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Quintilianus - Institutio oratoria X 1, 84-131

Nel I capitolo del 10 libro ci dà un canone, ossia un insieme di autori greci e latini che
rappresentano una buona lettura per coloro che vogliono formarsi ad una sana oratoria e
difendersi dai ”pericoli” culturali e morali degli ultimi tempi. Non è un canone inventato da
Quintiliano, è esistito infatti precedentemente un famoso canone alessandrino redatto da
Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia in età ellenistica che appunto indicava una
serie di letture e autori divisi per generi. Dionigi di Alicarnasso fa pure lui una sorta di
canone. Gli autori vogliono segnalare i protagonisti del panorama culturale del passato e del
presente che hanno segnato la cultura a loro contemporanea. Tutto ciò che veniva
nominato, consigliato, suggerito finiva con l’imboccare il canale della trasmissione (motivo
per cui ad esempio Pindaro arriva fino a noi mentre gli autori di cui oggi non abbiamo nulla
probabilmente sono gli stessi che non erano contemplati in questi canoni. Quintiliano è
interessato anche agli autori greci, infatti prima di questo testo che andremo a tradurre parla
proprio di loro. La sua è infatti una prospettiva di continuo confronto tra autori, generi e
tematiche greci è quelli latini. Questo modus operandi di Quintiliano riassume un po’ la cifra
di tutta la cultura e letteratura latina. Il suo primo pensiero sembra essere sempre quello di
vedere come gli autori latini si sono comportati rispetto ai loro modelli greci. Celeberrima è
infatti la frase: “Satura quidem tota nostra est” , la satira è infatti un genere tipicamente
romano.

85. Lo stesso criterio a proposito anche degli autori romani deve essere seguito da
noi. Pertanto come per quelli (gli autori greci) Omero, così per noi Virgilio (è quello
che) potrebbe dare l’inizio migliore, di tutti i poeti greci e nostri di quel genere senza
dubbio è il più vicino (ad Omero).
86. Mi servirò dunque di quelle stesse parole che da giovane ascoltai da Domizio Afro,
il quale a me che gli chiedevo chi egli ritenesse che si avvicinasse maggiormente ad
Omero disse: “Secondo è Virgilio, e tuttavia più vicino al primo rispetto al terzo” (su
un’ipotetica scala gerarchica che trova come unità di misura l’auctoritas letteraria degli
autori, Virgilio pur essendo secondo ad Omero è lontanissimo dal terzo, per cui questo
ipotetico terzo autore non sarà immediatamente successivo a Virgilio e tantomeno vicino ad
Omero. Virgilio è molto più vicino ad Omero di quanto non lo siano gli altri autori che sono
già largamente lontani da Virgilio) . E per Ercole così come dovremmo cedere dinanzi a
quella natura celeste e immortale (di Omero), così in costui (Virgilio) c’è più
attenzione e più accuratezza per il fatto che ci fu da parte sua uno sforzo maggiore, e
per quanto possiamo essere vinti in alcune parte più sublimi, forse siamo compensati
sotto il profilo dell’equalità. Tutti gli altri lo seguono a lunga distanza. (É come se
Omero,pur essendo irraggiungibile per le sue punte di genialità,non fosse riuscito a
raggiungere quella stabilità, quell’armonia stilistica raggiunta invece nel complesso da
Virgilio.Orazio in 359 dell’Ars Poetica dice:“indignor quondam bonus dormitat Homerus”,“mi
indigno quando in certi punti Omero sonnecchia”)
87. Infatti anche Emilio Macro (poeta di cui non ci è pervenuto nulla) e Lucrezio sono da
leggere, ma non perchè siano in grado di insegnare uno stile, che è il fulcro
dell’eloquenza, sono eleganti ciascuno nel suo ambito, ma più abbordabile l’uno
(Macro) più ostico l’altro (Lucrezio). Varrone Atacino per le opere per le quali ha
ottenuto fama, interprete dell’opera altrui, non è da disprezzare, in realtà poco utile al
miglioramento delle capacità del “dire bene”.
88. Ennio poi adoriamolo come si onorano i boschi sacri per la loro antichità, nei quali
querce immense e vecchissime non hanno tanta bellezza quanto piuttosto sono piene
di sacralità. Per quello di cui parliamo altri sono più vicini (a Virgilio) e più utili. Ovidio
è lascivo anche nei versi eroici e troppo innamorato del suo ingegno, tuttavia da
apprezzare in alcune parti. (In realtà si è molto discusso sulla “lascivia” sempre attribuita
ad Ovidio. Si è riflettuto sul fatto che anche nelle Metamorfosi Ovidio inserisca un tono
fortemente elegiaco che inevitabilmente finisce per contaminare il genere epico.)
89. Cornelio Severo poi, benché sia migliore come versificatore che come poeta, se
tuttavia (come è stato detto) avesse portato a compimento il suo Bellum Siculum sul
modello del primo libro, rivendicherebbe senz’altro per sè il 2 posto. Serrano una
morte che sopraggiunse troppo presto non gli permise di perfezionarsi, tuttavia le sue
opere giovanili dimostrano sia un grandissimo talento e una volontà di perseguire
uno stile bello che è ammirabile soprattutto in età giovanile.
90. Molto abbiamo perso, recentemente, con Valerio Flacco. Ingegno vigoroso e
poetico fu quello di Saleo Basso, e non ebbe modo di maturare con la vecchiaia.
Rabirio e Pedo non sono indegni di essere conosciuti, se c’è possibilità. Lucano forte
e concitato e famosissimo per le sue sentenze e, se devo dire ciò che penso, deve
essere imitato più dagli oratori che dai poeti.
91. Ho parlato di questi per il fatto che l’impegno nelle cose dell’Impero allontanò
Augusto Germanico (ossia Domiziano che si fece chiamare così in seguito ad una sua
tanto acclamata spedizione contro i Germani) dagli studi che aveva intrapreso, e agli dei
parve poco il fatto che egli fosse il sommo poeta (Ovviamente non corrispondono a
realtà questi giudizi su Domiziano, si intrecciano con i rapporti che Quintiliano ebbe con la
dinastia Flavia ed in particolare con lo stesso Domiziano). Ma cosa si potrebbe trovare di
più sublime, di più dotto, di più bello sotto ogni aspetto in quelle stesse opere nelle
quali deposto il potere si era rifugiato da giovane (“donato imperio”: pare che Domiziano
da giovane volesse dedicarsi, e vi si dedicò infatti, alla letteratura, alla poesia e che
Vespasiano e Tito lo precedettero a tal proposito. O almeno questa sarebbe la versione che
forse era più comoda ed autorevole che Domiziano stesso voleva che fosse tramandata) ?
Chi infatti potrebbe cantare le guerre meglio di colui che le ha condotte così? Chi
vorrebbero ascoltare più volentieri le dee che presiedono alla cultura? A chi più che a
lui potrebbe aprire le sue arti il nume familiare di Minerva? (La divinità di Minerva a lui
familiare perchè Domiziano diceva addirittura di essere discendente della dea Minerva)
92. Lo diranno meglio i tempi futuri, ora infatti questa lode è oscurata dal fulgore di
tutte le altre virtù. Noi che veneriamo le sacre lettere ci perdonerai, o Cesare, se non
passiamo avanti in silenzio e che testimoniamo con un verso di Virgilio:
“L’edera serpeggia per te tra gli allori della vittoria”
(Virgilio, Bucoliche VIII, v.13)
93. Anche nell’elegia provochiamo i Greci (possiamo sfidarli), della quale Tibullo è
l’autore di elegia che a me sembra il più limpido ed elegante. Ci sono quelli che
preferiscono Properzio (Tibullo gli sembra senz’altro l’autore più limpido di elegia ma è
giusto riportare anche la parte della critica che preferisce Properzio, passando velocemente
ad Ovidio. Questo ci fa capire ancor di più che preferisce il primo.) . Ovidio più lascivo
dell’uno e dell’altro, così come più duro è Cornelio Gallio. La Satira poi è tutta nostra,
nella quale Lucilio che ha ottenuto un insigne lode, ha ancora alcuni ammiratori che
non esitano a preferire lui non soltanto agli autori del suo genere ma di tutti i poeti.
94. Io sono in disaccordo tanto con questi quanto con Orazio (opinione di Orazio che è
fatta presente nella 4 Satira), che ritiene che Lucilio “scorra limaccioso” e che c’è
qualcosa che si può sottrarre (dalla sua poesia). È straordinaria infatti la sua
erudizione e la sua libertà di parola e la durezza e un’abbondante arguzia. Molto più
limpido era e più puro è Orazio e, se non mi inganno per il troppo amore nei suoi
confronti, è il migliore. Molto e di vera gloria ha meritato Persio anche se ha scritto un
solo libro. Ci sono degli scrittori famosi ancora oggi e che un giorno saranno
nominati (Alcuni pensano che si tratti di Giovenale ma non ci troviamo con la cronologia)
95. Quell’altro genere antico di satira che non è misto soltanto per la varietà di
carmina la fondò Terenzio Varrone, il più erudito dei Romani. Ha scritto numerosi e
dottissimi volumi estremamente esperto nella lingua latina e di tutta l’antichità e del
mondo Greco e nostro, tuttavia destinato ad essere più utile alla scienza che
96. all’eloquenza. Il giambo non è particolarmente utilizzato dai romani come genere
autonomo, ma mescolato ad altri: la sua mordacità si può trovare in Catullo, Bibaculo,
Orazio (benchè in lui si intrecci l’epodo). Ma quanto ai lirici è stesso Orazio l’unico
degno di essere letto: infatti talvolta *si eleva* raggiunge delle vette ed è ricco di
piacevolezza e grazia e ricco nelle figure e particolarmente audace nelle parole (nella
scelta delle parole) (chiasmo: “varius figuris et verbis [felicissime] audax”). Se si vuole
aggiungere qualcun altro, questo sarà Cesio Basso, che da poco abbiamo visto; ma di
gran lunga lo precedono gli ingegni di quelli che sono ancora vivi.
97. Degli scrittori di tragedie tra gli antichi sono famosissimi Accio e Pacuvio per la
gravitas delle loro sentenze, per il peso delle parole e per l’autorevolezza dei
personaggi. Del resto l’eleganza e l’ultima mano nella rifinitura delle opere può
sembrare che siano mancati più ai tempi (in cui vissero) che a loro stessi: ad Accio
viene comunque attribuito più vigore, quelli che invece vogliono dimostrare di essere
dotti dicono che Pacuvio è più dotto. (A Pacuvio ed Accio, più a quest’ultimo in realtà,
sono attribuiti moltissimi titoli di tragedie che rimangono per noi purtroppo soltanto come
raccolte di frammenti. Questa grande quantità ci fa intuire la grande influenza che questi
autori dovettero avere su quelli successivi e naturalmente anche su Seneca.)
98. Il Tieste di Varo può essere messo a confronto con qualsiasi altro dei Greci.
(Un’altra grave perdita. Potremmo mai pensare che Seneca non abbia avuto quest’opera
come modello quando ha scritto il Tieste?) La Medea di Ovidio mi sembra chiaramente
dimostrare quanto quell’uomo avrebbe potuto essere eccellente se avesse preferito
comandare al suo ingegno piuttosto che esservi indulgente (Anche per Quintiliano che
non ama Ovidio, e l’abbiamo notato, non può negare e non può non apprezzare l’auctoritas
di questa tragedia purtroppo perduta). Di quelli che ho visto di gran lunga il più
importante è Pomponio Secondo, che gli antichi ritenevano che non fosse un autore
tragico (lo reputavano poco tragico), ma ammettevano che eccelleva per erudizione
ed eleganza. (Il giudizio che ora darà Quintiliano sulla commedia ci sembra difficile da
digerire dato che a noi le figure di Plauto e Terenzio garantiscono un valore altissimo)
99. Nella commedia zoppichiamo di più. Anche se (licet) Varrone, secondo le parole di
Elio Stilone, avrebbe detto che le muse, se avessero voluto parlare in latino avrebbero
parlato con la lingua di Plauto, anche se gli antichi riempiono di lodi Cecilio Stazio,
anche se gli scritti di Terenzio sono attribuiti a Scipione l’Africano ( scritti che tuttavia
sono i più eleganti in questo genere letterario e avrebbero ottenuto certamente una
maggiore gradevolezza se fossero rimasti in trimetri) :
100. noi (rispetto alla commedia greca) a stento raggiungiamo una lieve ombra, al
punto tale che la lingua latina in sè che a me sembra non riuscire ad accogliere quella
bellezza che è stata concessa ai soli Attici, dal momento che neppure i greci stessi
l’hanno ottenuta in alcun altro dialetto. Per quanto riguarda le Togate è primo Afranio:
magari non avesse contaminato le sue trame con dei turpi amori di fanciulli,
confessando i suoi (personali) costumi.

101. Ma la storia non si piegherebbe ai Greci (non sarebbe finita con i Greci). Non
avrei problemi ad opporre a Tucidide Sallustio, nè Erodoto si indignerebbe se gli
fosse paragonato Tito Livio, tanto nella narrazione di straordinaria piacevolezza e di
grande linearità, quanto nei discorsi eloquente più di quanto si possa dire, così che
tutte le cose che vengono dette si adattano tanto alle circostanze quanto ai
personaggi: gli affetti poi, soprattutto quelli che sono i più profondi, per dirla in
pochissime parole (a dir poco) nessuno degli storici li ha valorizzati di più.
102. E perciò ha ottenuto quella immortale efficacia propria di Sallustio (sebbene) con
caratteristiche diverse. Infatti mi sembra che abbia detto in modo egregio Servilio
Noniano che essi sono equivalenti piuttosto che simili: e stesso lui è stato udito da
me, uomo di un celebre ingegno e denso nelle sentenze, ma meno conciso di quanto
richieda l’autorevolezza della storiografia.
103. Un’autorevolezza che precedendolo di poco in età Aufidio Basso egregiamente, e
soprattutto nei libri del Bellum Germanico, ha raggiunto, eccelse in quello stesso
genere, da approvare in tutti (i libri), tuttavia inferiore alle sue stesse capacità in
alcune parti (della sua opera). (A questo Aufidio Basso, che scrisse quest’opera
storiografica, si rifece anche Plinio. È un personaggio che troviamo nell’epistola 30 di
Seneca il quale ci dice aprendo la lettera:”Bassum Aufidium, virum optimum, vidi quassum
aetati obluctantem” ossia:“Ho incontrato Aufidio Basso, uomo eccellente, stanco e in
combattimento con la sua stessa età”. La lettera parla di come la vecchiaia caratterizzata da
molte difficoltà debba essere vissuta dall’uomo saggio come Aufidio Basso, ossia con
coraggio e traendone elementi positivi.
104. C’è ancora e innalza la gloria del nostro tempo un uomo degno della memoria dei
secoli, che un giorno sarà nominato, ora è apprezzato. (Sono state date una serie di
interpretazioni senza essere convincenti al 100%, secondo alcuni lo storico Fabio Rustico)
Ha degli estimatori -non immeritatamente- la libertà di Cremuzio Cordo, benchè in
quelle parti eliminate che gli aveva nuociuto aver detto (Tacito ci dice che Cremuzio
aveva lodato Bruto e aveva definito Cassio l’ultimo dei Romani. La personalità di Cremuzio è
quella di uno storico di cui furono addirittura bruciate le opere. Sua figlia Marcia, che aveva
perso un figlio, è la destinataria di una delle Consolationes di Seneca. È interessante notare
che questa Consolatio si conclude in un modo molto particolare perchè Seneca invita Marcia
nella quale aveva ammirato il coraggio dimostrato nel difendere le opere del padre ad
immaginare che:“da quella rocca celeste tuo padre che aveva tanta autorità su di te,come tu
ne hai ora su tuo figlio, con l’ingegno con cui deplorò le guerre civili, con cui proscrisse per
l’eternità i proscrittori ma tanto più alto quanto più sublime è il suo stato, ti dica: perché figlia
mia un lutto così lungo?” È famosissima questa prosopopea di Cremuzio nel finale della
Consolatio ad Marciam. Le sta dicendo che suo figlio sta andando nelle braccia del nonno e
deve stare serena a tal proposito) ma puoi trovare abbondantemente uno spirito elevato
e sentenze audaci anche in quelle parti che rimangono. Ci sono anche altri validi
scrittori, ma noi “degustiamo” i generi letterari, non andiamo a scrutare le biblioteche.
105. In realtà gli oratori possono rendere l’eloquenza latina pari a quella greca: infatti
a qualunque oratore gre con forza opporrei Cicerone. E non ignoro una quanto
grande polemica io stia sollevando, per il fatto che non è mio proposito di
paragonarlo a Demostene in questo tempo: i non ha importanza dal momento che io
ritengo che Demostene deve essere letto o piuttosto imparato a memoria.
106. Di loro io ritengo che la maggior parte delle virtù siano analoghe, l’accortezza,
l’ordine, la capacità di organizzare, argomentare, di essere convincente, tutte quelle
parti insomma che sono dell’inventio. Nel discorso c’è una certa differenza: quello più
denso (più stringato Demostene), questo più abbondante, quello conclude più
rapidamente, questo più ampio, quegli combatte sempre con acume, questo spesso
anche col peso (la gravitas), a quegli nulla può essere tolto, a questi nulla può essere
aggiunto, c’è più attenzione in quello (Demostene) in questo più naturevolezza.
107. Nelle battute invero e nelle parti di commiserazione (quelle più tristi), che sono
quelle che valgono di più negli (nella descrizione degli) affetti, noi vinciamo. E forse il
costume di quella cultura ha tolto a lui la parte finale, ma anche a noi la diversa
struttura della lingua latina ha consentito meno quelle caratteristiche che gli Attici
ammirano. Per quanto riguarda poi le epistole, benchè ci siano di entrambe, o i
dialoghi, in merito ai quali nulla (scrisse) quello, non c’è confronto.
108. In questo certamente c’è da cedere, il fatto che quello fu precedente e ha reso in
gran parte Cicerone quello che è. Infatti mi sembra che M. Tullio, essendosi dedicato
con tutto se stesso all’imitazione dei greci, abbia raggiunto la forza di Demostene,
l’abbondanza di Platone, la piacevolezza di Isocrate.
109. Nè ha conseguito in verità ciò che in ciascuno era la parte migliore soltanto con
lo studio (impegnandosi), ma ha raggiunto la maggior parte delle virtu o piuttosto
tutte (prendendole) da se stesso per la straordinaria ricchezza(la prof ha ubertate e
quindi il soggetto sarebbe Cicerone e non la ricchezza) del suo ingegno. Infatti non mette,
come dice Pindaro, insieme acque piovane, ma esonda di una fonte viva, per un dono
della provvidenza affinchè l’eloquenza potesse sperimentare tutte le sue forze.
110. Infatti chi può insegnare con più attenzione, muovere emozioni con più forza, in
chi ci fu mai tale piacevolezza?- così che quei successi che estorce credi che li abbia
ottenute chiedendole, e quando riesce a portare il giudice con la sua forza, tuttavia
quello non sembra essere rapito ma sembra seguirlo.
111. In tutto ciò che dice c’è una tale autorevolezza che quasi ci si vergogna di
dissentire, e non porta la parzialità dell’avvocato quanto quella credibilità del
testimone e del giudice, tutti quei pregi che ciascuno riesce ad ottenere a stento con
una cura attentissima, (invece in lui) scorrono naturali, e quella sua eloquenza della
quale nulla si è mai sentito di più bello mostra tuttavia una straordinaria facilità.
112. Perciò non senza motivo dagli uomini della sua età si dice che regni nelle cause,
presso i posteri ha ottenuto che il nome Cicerone ormai non sia ritenuto più il nome di
un uomo ma dell’eloquenza. Guardiamo dunque a lui, sia sempre il nostro esempio,
sappia di aver ottenuto grandi risultati colui al quale molto piacerà Cicerone.
113. Significativa in Asinio Pollione è l’inventio, somma la diligenza, al punto tale che
ad alcuni sembra addirittura eccessiva e c’è anche una sufficiente accortezza e
coraggio: dalla purezza e dalla piacevolezza di Cicerone è così lontano che potrebbe
sembrare precedente di un secolo. Invece Messalla Corvino è limpido e chiaro ed è
uno che in un certo senso esprime nel parlare la sua stessa nobiltà, (forse) inferiore
114. nel vigore. Poi Caio Cesare se si fosse dedicato solo al foro (all’eloquenza)
certamente nessun altro (dei romani) sarebbe stato messo a paragone con Cicerone:
in lui vi è tanta forza, tale è l’acume, tale la concitazione che sembra che egli abbia
parlato con lo stesso animo con cui aveva combattuto; adorna tuttavia tutte queste
virtù con un’ammirabile eleganza del discorso, della quale fu particolarmente
indagatore. (Cesare dimostrò una grande attenzione nei confronti dell’oratoria,
dell’eloquenza. Temi che nel I sec. a.C. erano alquanto approfonditi)
115. Molto ingegno c’era in Celio (Il Celio difeso da Cicerone nel Pro Caelio) e
specialmente molta arguzia (urbanitas è un termine polisemico, di fatti precedentemente
venne utilizzato come aggettivo per indicare la lingua giusta da utilizzare in letteratura, una
lingua ossia parlata dalla città, ecco perchè “urbanitas”) in momento dell’accusa, ed era
un uomo degno e al quale spettassero una mente migliore e una vita più lunga. Ho
trovato anche coloro che preferiscono davanti a tutti Calvo, ho trovato quelli che
davano credito (all’opinione di) Cicerone secondo cui quegli avrebbe perso la sua
forza per un eccessiva esigenza contro se stesso; ma la sua eloquenza era solenne,
pesante, accorta ma spesso accesa. Imitatore degli attici, a lui fece ingiuria una morte
prematura se era destinato ad aggiungere qualcosa a se stesso, non se era destinato
116. a togliere qualcosa. Servio Sulpicio non immeritatamente meritò l’insigne fiama
con tre orazioni. Se viene letto con attenzione molti elementi degni di essere imitati li
offrirà Cassio Severo, che, se avesse aggiunto a tutte le altre virtù anche un tono e
una certa gravitas del discorso sarebbe stato di sicuro da collocare tra i più validi.
117. Infatti c’erano in lui molto ingegno, una straordinaria mordacità e un tono, ma
concesse di più di pancia che di testa: del resto come le sue battute sono amare, così
spesso anche questa amarezza (nel tono) è ridicola.
118. Ci sono molti altri bravi, che ricordare uno per uno sarebbe difficile. Di quelli che
ho visto Domizio Afro e Giulio Africano sono di gran lunga i migliori. É da preferire
per la sua attenzione alle parole e sotto ogni aspetto dell’eloquenza e tale che non
temeresti di porre nella schiera degli antichi: quest’altro(Giulio Africano) è più
concitato ma eccessivo nell’attenzione alle parole e nella composizione talvolta
troppo prolisso e poco frenato nelle metafore. C’erano poco fa belle menti.
119. Infatti anche Tracalo (vicino alla famiglia dell’imperatore Otone) è sublime e
abbastanza chiaro e tale che crederesti che cercava sempre le cose migliori, tuttavia
migliore se ascoltato: infatti e la bellezza della sua voce che in nessun altro mai ho
sentito, e una dizione che sarebbe stata adatta alle scene, e una bellezza, e insomma
tutte quelle caratteristiche che sono esteriori furono (in lui) in abbondanza: e Vibio
Crispo equilibrato e piacevole e nato per il diletto, tuttavia più valido nelle cause
private che in quelle pubbliche.
120. Se a Giulio Secondo fosse spettata una vita più lunga certamente il suo
famosissimo nome di oratore sarebbe (arrivata) ai posteri: avrebbe aggiunto, e infatti
vi era vicino, alle sue altre virtù ciò che può essere desiderato, cioè essere molto più
combattivo e passare più spesso dall’elocuzione ad una attenzione per i contenuti.
121. Del resto benchè morto (prematuramente) rivendica a se stesso una notevole
posizione,(in lui è) quella eloquenza, tanto grande la gradevolezza di spiegare ciò che
vuole, uno stile oratorio tanto limpido e lieve e gradevole, una così grande facilità
nella scelta delle parole anche quelle che sono prese (da un’altra parte), un’enorme
chiarezza anche in espressioni ardite.
122. Coloro che scriveranno dopo di noi a proposito dell’oratoria avranno abbondante
materiale per lodare coloro che ora sono attivi: ci sono infatti oggi delle grandi
personalità dalle quali il foro trae lustro. Infatti i patroni migliori entrano in
competizione con i vecchi e l’operosità di giovani che mirano al meglio li imita e li
123. segue. Rimangono ancora quelli che scrissero della filosofia: genere nel quale la
letteratura latina ha portato pochissimi eloquenti (la filosofia a Roma ha pochi esponenti
questo dipende assolutamente dalla lingua. Ce lo dice già il dramma che si faceva Lucrezio
nel dire che c’è una povertà della lingua latina rispetto a quella greca, povertà che lo
spingeva ad utilizzare intere perifrasi o neologismi per esprimere il concetto greco o
addirittura si lasciava il termine greco). Dunque Marco Tullio, che come ovunque, anche
in questo fu emulo di Platone. Valido in verità e molto piu capace che nelle orazioni
Bruto si fece carico del peso del pensiero: sai che egli ha fatto sue le cose che dice.
124. Scrisse non un’esigua quantità Cornelio Celso che seguì la scuola dei Sesti, non
senza raffinatezza e limpidezza. Plauto filosofo tra gli stoici è utile nella conoscenza
degli argomenti; tra gli epicurei è lieve ma non spiacevole l’autore Cazio.
125. Di proposito ho ritardato la trattazione di Seneca in ogni genere di eloquenza, a
motivo del fatto che mi è stata attribuita una divulgata opinione falsa su di me
secondo la quale io lo condanni e lo abbia quasi in odio. Questo mi accade perché mi
sforzo di richiamare a giudizi piu severi un genere di eloquenza ormai corrotto e
rovinato da ogni vizio: allora solo lui quasi era nelle mani degli adolescenti.
126. Autore che io nemmeno mi sforzavo di tirar via da nessuno di loro, ma non
permettevo che fosse preposto a persone più brave che egli stesso non aveva mai
smesso di accusare, dal momento che perfettamente consapevole del suo modo di
scrivere diverso temeva di non poter essere apprezzato nel parlare da coloro ai quali
quelli piacevano. Tuttavia lo amavano piu di quanto lo imitassero, e si allontanavano
tanto da lui quanto egli stesso si era allontanato dagli antichi.
127. Sarebbe stato da desiderare che fossero pari o almeno vicini a quell’uomo. Ma
piaceva per i soli suoi vizi, e ciascuno si volgeva all’imitazione di quello che poteva: e
dunque mentre andava dicendo che parlava nello stesso modo di Seneca, lo
128. offendeva. Del quale c’erano molte e abbondanti virtù, un ingegno immediato e
abbondante, molto lavoro, una grande conoscenza delle cose, nella quale tuttavia di
tanto in tanto veniva ingannato da coloro ai quali affidava delle cose da ricercare.
Trattò infatti ogni ramo degli studi: infatti sono tramandate di lui orazioni, poemi,
129. epistole, dialoghi. Nella filosofia era poco rigoroso, tuttavia eccelso persecutore
dei vizi (Quintiliano alla fine salva di Seneca la morale che si incrocia con i suoi costumi)
In lui ci sono molte e famose sentenze, anche molte cose da leggere a motivo dei
costumi, ma nella forma espressiva moltissimi elementi corrotti, e tanto piu
pericolose per il fatto che abbondano di dolci vizi.
130. Avresti voluto che quello avesse parlato con la sua intelligenza e col gusto di un
altro: infatti se avesse disprezzato alcune cose, se non avesse desiderato il poco (uno
stile degradato), se non avesse amato tutto ciò di suo, se non avesse distrutto i pesi
delle cose (argomenti importanti) con minutissime frasi, sarebbe stato approvato dal
consenso degli eruditi piuttosto che dall’amore dei ragazzi. (Chiasmo)
131. In vero anche così va letto da parte di persone solide e abbastanza salde in un
genere piu severo, perchè può esercitare giudizio dall’una e l’altra parte. Infatti in lui
ci sono molte elemento che devono essere approvati, come ho detto, molti anche da
essere ammirati, purchè ci sia attenzione a scegliere; cosa che magari avesse fatto lui
stesso: la sua natura infatti era degna di volere cose migliori : ciò che volle lo fece.

Il ritratto di Seneca è quasi paradossale. Certamente Quintiliano non ama Seneca e sarebbe
stato difficile il contrario dato che quest’ultimo si allontana fortemente dallo stile ciceroniano
del vir bonus dicendi peritus. In un certo punto di vista è quasi evidente l’incapacità di
Quintiliano di accettare che l’aurea eloquentia del bicentenario I sec a.C e I sec a.C. non è
ormai piu recuperabile. Anche i cristiani non possono non essere influenzati dal modo di
scrivere di Seneca, abbiamo detto piu volte che Agostino stesso fa i conti ed ingloba lo stile
senecano. Seneca rappresenta uno snodo fondamentale, e Quintiliano lo legge con gli occhi
del maestro di retorica e con le sue preoccupazioni.

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