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Carlo Rovelli
fisico teorico quantistico
“HELGOLAND”.
ISBN 978 88 942950 7 8
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M.Arduino, F.Cortella – Della ricerca storica.
Antefatto e pregiudiziali
Ho pensato che dovevo scrivere, con Fabrizio come al solito, questo sfogo, a
lungo represso, per esprimere nella libertà data dalla nostra Costituzione,
all’articolo 21, le mie personalissime opinioni su questo tema. La storia inizia circa
dieci anni fa, quando, cessata la professione, ho finalmente potuto interessarmi a
tempo pieno del mio più grande interesse, la mia “passione”, che coltivo per
“amore” della storia delle vicende umane. Il mio interesse è soprattutto per la storia
della cultura materiale e della cosiddetta “ricerca” in queste tematiche. Questo
interesse ha fatto di me, prima ricercatore poi operatore nel campo delle tecnologie
della meccanica, un ricercatore “amatoriale” nelle discipline della Cultura e delle
“Belle Arti”, ambiti che a tutt’oggi non hanno ancora perimetri precisi e i cui
operatori “professionisti” non dispongono e non sono vincolati dagli strumenti
legislativi costituzionali previsti per le “libere professioni”. Il primo quesito ancora
irrisolto, a mio avviso, è basilare: distinguere che cosa sono la scienza e i suoi
“strumenti procedurali” scientifici da che cosa non lo sono. Il secondo aspetto è
chiarire nel mare magnum delle attività “culturali” quali sono gli ambiti di
esclusiva pertinenza “professionale” e quali quelli di pertinenza anche
“amatoriale”, consentiti dalla libertà di espressione costituzionale. Nel comune
parlare, “amatoriale” è generalmente assimilato a “dilettante”, definizione che -pur
se in questo campo è sinonimo di amatore- è però un termine utilizzato con
significati sminuenti, di persona poco preparata, similmente all’uso generalizzato
di “idiota” (originalmente colui che parla il dialetto locale) inteso come buono a
nulla incompetente. Celiando, siccome parlo tre dialetti, dovrei sentirmi un idiota
al cubo mentre mi interesso di cose che per un’obsoleta tradizione e per una ancora
nebulosa legislazione in materia, sono state accaparrate, quasi fossero un diritto
esclusivo, da alcune categorie di letterati. Per cercare di superare questo stato di
cose, riprendo tematiche che ho già affrontato in passato su questo stesso
argomento, ancora incompiutamente risolto dopo quarant’anni da quando mi resi
conto che la questione esisteva ed aveva un certo peso.
Medardo Arduino
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M.Arduino, F.Cortella – Della ricerca storica.
INDICE
A. Teoria vs prassi…………………………………4
4
A 0. Due esempi pratici della questione “teorica”………………
A 1-L’inquadramento teorico Premesse
di definizione e di metodo………………………………………. 13
A 1.1 Delimitazione degli ambiti……………………………… 13
A 1.2 Il divenire dello scibile umano e la
conseguente “specializzazione”…………………………….
16
C Delle metodologie………………………………….
30
C 1 Lo stato di fatto della ricerca storico archeologica… 30
C 2 Tipologie…………………………………………………… 36
C 2.1 Tipologie base………………………………………………. 36
C 2.2 Sottotipologie……………………………………………. 38
D Conclusioni…………………………………….. 39
Note………………………………………….…… 44
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M.Arduino, F.Cortella – Della ricerca storica.
A. Teoria vs prassi.
A 0 Due esempi pratici della questione “teorica”.
In assenza di un inquadramento teorico, la “lettura” dei lasciti di cultura
materiale del nostro passato è ancora condotta con metodi personali che
danno origine a interpretazioni troppo spesso opinabili, oggigiorno fraintese
come verità scientifiche. Un paio di esempi possono meglio di qualsiasi
preambolo chiarire la situazione.
Il primo caso è quello di un oggetto composito del quale gli esami di
laboratorio hanno fornito la datazione e la natura e provenienza del
componente determinante la funzione. Ė il caso dell’“ascia” del corredo
dell’Uomo del Similaun, ribattezzato Oetzi.
Quest’uomo preistorico possiede una attrezzatura mista di strumenti
litici e metallici, è vestito e calza stivali in corteccia di betulla. Aveva con se
un arco ligneo con faretra di frecce, un coltello di selce con manico e
fodero, di buona fattura come molti oggetti simili sparsi dappertutto in
Europa. Notevole è l’attrezzo immanicato più caratteristico, un oggetto
all’avanguardia della tecnica, costituito da un’impugnatura o manico di
legno ed una parte attiva o testa in rame quasi puro. A proposito di questo,
prima delle considerazioni tecniche una considerazione economica: Oetzi
deve saper far ben fruttare la sua abilità nel mestiere e si può permettere il
meglio per la massima resa del suo lavoro. L’attrezzo che possiede è molto
diffuso in vari territori Europei, con la stessa forma e le stesse soluzioni
realizzative, ma raro come quantità di ritrovamenti perciò rientra in una
tipologia caratteristica con evidenze di specializzazione costruttiva, perciò
un luogo d’origine specifico, e non può essere un prodotto del bricolage del
cacciatore. Il componente di pregio che determina la classificazione
tipologica è la testa, il codolo tagliente in rame. Osservando l’attrezzo si
può considerarne l’attitudine all’uso per cui è stato progettato e realizzato.
Il codolo metallico è di forma vagamente piramidale, con la sezione
longitudinale del lato largo di forma trapezoidale, mentre quella del lato
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roditori. Nel nostro caso si può pensare ad apposite “spalliere” per prodotti
della macellazione, conservati direttamente in atmosfera.
Per quanto riguarda quest’ultima funzione, la canalizzazione circolare
che scarica proprio sul lato opposto alla pendenza, è con una certa evidenza
il luogo dove, (con una pratica ancora vista applicare nel primo dopoguerra)
venivano sgozzati i bovini e lasciati dissanguare a terra, la canalizzazione
aveva il chiaro scopo di evitarne lo spargimento incontrollato su tutto il
pavimento. L’architettura si può perciò ipotizzare con ragionevole margine
di confidenza come mattatoio e deposito di carni bovine e di altri grandi
mammiferi ungulati d’allevamento.
L’insieme delle scelte progettuali e delle tecnicità utilizzate rientra
coerentemente nel quadro dei “bisogni” logistici di una guarnigione di più
di ottomila uomini che devono essere “pronti a muovere” (perdura il detto
“armi e bagagli”) con un minimo preavviso, per ovvie ragioni strategiche.
Sappiamo che la logistica è stata l’arma vincente delle legioni romane, un
capace deposito di carni trattate è in quest’ottica un investimento razionale.
Questo impianto è praticamente l’unico che si è ben conservato perché
non utilizzato con funzioni degenerative a causa dell’obsolescenza, come
avvenne per la stragrande maggioranza delle realizzazioni antiche, essendo
decisamente ben realizzato e staticamente sicuro venne utilizzato come
“cantina” con destinazione d’uso generica fino a tempi recenti, essendo
pienamente rispondente ai principali requisiti funzionali fin dall’origine.
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A 1-L’inquadramento teorico
Premesse di definizione e di metodo.
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impresso il logo della compagnia aerea, immagine che non è collegata alla
funzione tipica dell’oggetto. Questo è un esempio per introdurre un tema
qui non sviluppato: quello della “tipologia” dei supporti fisici di contenuti
puramente intangibili e non legati al contesto materico. Infatti il logo è un
messaggio pubblicitario e non rientra nei tipici “requisiti estetici” di un
manufatto, quali sono, ad esempio, le forme o le decorazioni, così come le
cosiddette opere d’arte sono portatrici di messaggi minimamente relativi
alla materia. Tali tipologie non sono qui trattate perché in questo testo si
accennano solo le linee guida del processo metodologico. Esse sono
caratteristiche delle situazioni di sovrapposizione, che un informatico
definirebbe di “interfaccia” fra scienza e umanesimo, che dimostrano
quanto tali discipline non possono fare a meno l’una dell’altra e sono parti
inscindibili, ma distinguibili, dell’“insieme cultura”.
B 2.3a-L’ambiente
La produzione di un manufatto con caratteristiche funzionali dovute
all’”ingegno” umano è nata e si è sviluppata quale reazione dell’Homo
Faber a mitigare avverse condizioni ambientali o per potenziare
insufficienti caratteristiche della sua macchina fisica, in entrambi i casi per
consentirgli un certo controllo dell’ambiente in cui si trovava a vivere. Il
contesto ambientale è il primo elemento condizionante l’attività
manifatturiera e da qui si deve iniziare l’analisi. Ambiente è il palcoscenico,
entro cui l’uomo interpreta l’affascinante racconto della sua storia, una
scena formata sia dal contesto territoriale naturale sia da tutte quelle
trasformazioni del medesimo che sono generalmente definite
antropizzazione. Questo scenario che definiamo ambiente è perciò tutto
l’insieme di condizionamenti e di stimoli, naturali o indotti dall’uomo stesso
sullo scenario fisico e intellettuale in cui si muove nel preciso momento
storico nel quale produce un determinato manufatto. Ai fini delle analisi
della cultura materiale, se lo scorrere del tempo e l’evoluzione umana
possono essere considerate un film, l’ambiente è il fermo immagine che
consente di analizzare fin nei minimi particolari l’inquadratura, di scendere
nell’analisi di singoli dettagli dell’immagine con uno zoom o di risalire alla
visione d’insieme con il pan.
Si può quindi definire che: l’ambiente è il generatore dei bisogni e,
perciò, l’elemento iniziatore del processo che porta alla produzione di un
manufatto atto a soddisfare quel particolare bisogno. Per questo l’oggetto
riassume in sé ed è latore di una parte dei contenuti rappresentativi di una
specifica epoca storica ovvero della cultura che vi opera.
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realizzati ad hoc, quali ad esempio gli attrezzi o i cicli termici, ovvero quei
sottoprocessi di realizzazione noti e applicabili a materiali disponibili in
quella precisa epoca storica. Tale complesso di nozioni accumulate, definito
“esperienza”, viene a costituire il limite o confine del sapere specifico entro
il quale può svilupparsi un progetto e ne condiziona lo sviluppo. Con
un’espressione sintetica, esso è realizzato con conoscenze disponibili entro
l’ orizzonte tecnologico di cui il manufatto è uno dei riflessi materiali.
AMBIENTE
|
BISOGNO
|
REQUISITI FUNZIONALI
REQUISITI ESTETICI
|
PROGETTO
|
ORIZZONTE TECNOLOGICO
suoi corollari.
|
MANUFATTO
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Diagramma originale
nella tesi di laurea
dell’algoritmo di
correlazione
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C Delle metodologie
Gli storici di professione sanno bene che i falsi documenti sono una
realtà da non trascurare; perciò, le nuove metodologie dovrebbero essere più
realisticamente legate alle testimonianze concrete della cultura materiale
che, per gli impliciti contenuti di natura economica, non si presta a quelle
interpretazioni di parte, generalmente espressione del potere egemone che
ne ha condizionato la redazione, con la stessa facilità di molte categorie di
documenti storici. Un filosofo dell’Ottocento affermò che la storia viene
(ri)scritta per giustificare il presente anziché per ricordare il passato. Se la
storia può essere revisionata con difficoltà per le epoche recenti, sulle quali
influiscono ancora i pesanti condizionamenti del presente, la preistoria e la
storia degli evi remoti possono essere rivedute e criticate con metodologie
più aggiornate e con principi più funzionali della sola analisi, ormai
alquanto sclerotizzata, delle fonti documentarie
Un documento scritto, per quanto chiaro nel contenuto, non può essere
decontestualizzato dall’ambiente (geografico e storico, ma anche socio-
economico) in cui è nato né, di conseguenza, può essere considerato la fonte
principale, se non addirittura l’unica, per la storia del summenzionato
contesto. Soltanto il serrato raffronto fra le testimonianze di cultura
materiale e la relativa documentazione scritta è il percorso che meglio può
approssimare una realtà storica. Leggere in una chronica medievale che
qualcuno “cinse di robuste mura la città” è una semplice informazione;
scovare in archivio il rendiconto delle spese per l’acquisto dei materiali
necessari a realizzarle possiede un valore di gran lunga maggiore, ma pur
con alto grado di credibilità questa informazione è pur sempre ipotetica: è
soltanto rinvenendo le tracce materiali di tali “robuste mura”, nelle
fondazioni o nei palesi reimpieghi in altri edifici, che si ottiene la “prova
provata” di quanto scritto e la documentazione cartacea assume il valore di
fonte storica certa. In altre parole, solamente la testimonianza materiale è
sempre probante del documento, o di quella parte di esso che le è concorde,
e mai il contrario.
Questa concordanza dovrebbe essere risolutiva, ma il conservatorismo
storiografico, quasi mai per problemi di oggettività storica, è portato a
chiudere gli occhi anche sulle evidenze materiali. Fu il caso nel 1980 di
un’esperienza personale con la scoperta di un documento Trecentesco su
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C 2 Tipologie
C 2.1 - Tipologie-base.
Quanto finora illustrato, è rappresentabile nella seguente matrice (fig
1), i cui assi X e Y rappresentano i “messaggi di testimonianza”, cioè le
tipologie contenute in qualunque manufatto dell’homo faber.
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Mater
A
MATERIALI COSTITUTIVI
Mater
Manufatto
B M B-2
Mater Manufatto
C M C -3
REQUISITI FUNZIONALI
C 2.2 - Sottotipologie.
L’evoluzione socio-culturale ha prodotto una diversificazione, definita
“ramificazione”, che ha indotto variazioni nei requisiti funzionali le quali, a
loro volta, hanno generato varianti sempre nuove dei manufatti divenuti
ormai obsoleti. Ad esempio, le “fasi” di una cultura classificate dagli
archeologi con strutture di sigle alfanumeriche, esprimono in sostanza le
differenze in una miscellanea di sottotipologie di entrambe le tipologie-
base.
Ciascuna tipologia base possiede, ovviamente, tutta la serie di tipologie
specifiche che sono sostanzialmente quelle già presenti nelle descrizioni dei
prodotti dell’uomo,ovvero le differenti denominazioni delle materie e dei
manufatti.
Come per la teoria evolutiva di Darwin, le linee guida per la
discriminazione delle tipologie sono organizzabili per famiglie evolutive
delle tipologie-base.
Riprendendo l’esempio del manufatto per bere, avremo classificazioni
tipologiche dei vari materiali ceramici e metallici a cui si aggiungono le
sottofamiglie delle terrecotte e dei vetri e, per i metalli, delle varie leghe.
Nelle tipologie funzionali avremo i bicchieri, le tazze, i boccali e via
discorrendo, indicatori specializzati del tipo di liquido contenuto e delle
occasioni, private o pubbliche, in cui venivano usati.
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D - Conclusioni.
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NOTE
(1) Cfr. M. Arduino in a.a. v.v. “ Castrum in Castro Porte Fibellone” in -Torino
Nel Basso Medioevo castello uomini oggetti-. -Assessorato per la cultura Musei
civici- Catalogo dell’omonima mostra in Palazzo Madama. Curatori S.Pettinati,
R.Bordone. Torino 1980-
Cito l’argomento come esempio della problematicità totalmente estranea alla
ortodossia della ricerca storica, a riguardo delle difficoltà di accettazione di
elementi che introducono la necessità di rivedere situazioni storiche “assestate”,
generalmente ritenute immodificabili dagli storici di professione. In questo caso si
tratta di una indiscutibile prova materiale che avrebbe portato un secolo indietro la
costruzione di un edificio emblematico e significativo della storia del Piemonte
medievale: il Castello di Torino, noto come Palazzo Madama.
L’edificio medievale che ancora oggi si vede oltre la quinta scenica Juvarriana,
si riteneva (ancora per molti rimane tale) edificato nel XV sec da Ludovico di
Savoia. I rendiconti di costruzione tenuti dal “Clavarius” di Tommaso d’Acaia
Pinerolese, (a quel tempo appena ritrovati da F. Monetti, ibidem), per mezzo dei
quali feci una ricostruzione analitica, dimostravano, per totale rispondenza ad
elementi esistenti, che la costruzione venne invece realizzata giusto un secolo
prima, (l’analisi venne effettuata sulle bozze della traduzione, prima della
pubblicazione).
La datazione al quattrocento, introdotta nella metà dell’ Ottocento, aveva chiari
intendimenti politici nel celebrare la presenza sabauda, volutamente unica attrice
nella formazione dello stato piemontese. Nonostante le evidenze strutturali, dovetti
esprimere la scoperta in formula dubitativa, nel testo del catalogo, per non
sollevare “vespai” fra l’amministrazione in carica, organizzatrice della mostra, e un
esponente dell’opposizione autore di saggi sul tema, situazione ovviamente non
cercata dagli organizzatori. Tale empasse conservatrice derivò dal fatto che troppo
si era già scritto a riguardo, perciò indiscutibilmente “assestato”, soprattutto da
parte di figure autorevoli della cultura pedemontana, in quanto il Palazzo Madama
è uno dei cardini della datazione in cronologia relativa della “austera e
conservatrice architettura del quattrocento piemontese”. Il Castello, quando
riconosciuto essere realizzato un secolo prima, avrebbe costretto ad una corposa
revisione storica soprattutto del livello culturale della società del Basso medioevo
pedemontano.
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Gli esperti, sostenitori della storia “tradizionale”, chiusero entrambi gli occhi
non solo sulla completa rispondenza del complesso planivolumetrico alle Note
Spese, ma anche a dettagli inequivocabili nelle stesse, come la evidentissima
presenza di frontoni d’età romana in marmo alla base della torre sedecagona destra
utilizzati come supporto della muratura, che il Libro Spese indica rimosse dalla
“Porta Marmorea” della città (crollata in seguito ai prelievi e ora scomparsa) per
essere utilizzate nelle “torri nuove”; per spostare tali pesantissimi monoliti venne
allestito addirittura uno speciale “arcicarro”.
(2)https://archive.org/stream/AdrianoLaRegina.IlGuerrieroDiCapestranoELeIscrizi
oniPaleosabelliche/2.Capestrano_djvu.txt
(3)(https://dger.beniculturali.it/professioni/elenchi-nazionali-dei-professionisti/)
accesso 03/03/2021.
(4)https://web.uniroma2.it/it/contenuto/archeologia__filologia__letterature_e_stori
a_dell__antichitr_a_a__2020-2021 ( accesso 01/10/2021)
(5)https://didattica.polito.it/laurea/ingegneria_aerospaziale/it/presentazione
(accesso. 3/3/2021)
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