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1. Unione intrinseca e diritto di proprietà del corpo nelle Meditazioni metafisiche.


1.1 Il rasoio cartesiano: l’estromissione del corpo dall’io meditante nella Meditatio secunda.
La mens umana (sostanza pura, indivisa, immortale), la cui essenza si identifica col pensiero, è una realtà il
cui concetto è distinto da quello di corpo. Nella Meditatio secunda la certezza di sé come pensiero è
raggiunta con l’elusione del corpo da ciò che appartiene all’ego meditante. L’esito dell’abductio della mente
dai sensi (mente che si sottrae all’identificazione col corpo e dà avvio al dubbio iperbolico) è che solo il
pensiero non può esser separato da me, l’io corrisponde con la res cogitans, che si rivela soggetto esclusivo
di intendere, volere, immaginare, sentire. “…sono una cosa che dubita, intende, afferma, nega, vuole, non
vuole, immagina anche e sente”: include immaginazione e sensazione nella sfera del pensiero (non si danno
immaginazioni e sensazioni che non siano mie), ma mantiene una separazione tra modalità dell’intendere e
del volere e dell’immaginare e del sentire, perché queste ultime rimandano al corpo. La mens non è
compagine della macchina corporea e ed è estranea al suo funzionamento: esempio del pezzo di cera, solo il
giudizio della mente afferra ciò che si avverte mediante i sensi o con l’immaginazione; nessuna sensazione o
immaginazione può ravvisare nei diversi stati del pezzo di cera lo stesso pezzo di cera. Se vedo delle sagome
di notte solo il giudizio della mente può farmi afferrare che sono uomini e non automi, anche se solo la
presenza di un linguaggio articolato mi permetterebbe di fare una reale distinzione. Infatti, in linea di
principio, per Cartesio è possibile costruire automi zoomorfi e antropomorfi, che obbedirebbero alle stesse
leggi fisiche cui obbedisce il corpo umano e animale. Con l’esclusione della corporeità dall’ego, si respinge
la definizione di uomo come animal rationale, dato che la riduzione dell’anima a mens incorporea non
permette di pensare l’anima come ciò che vivifica il corpo e gli dà forma (in Aristotele l’anima è insieme di
forma e materia, la sostanza, il sinolo). Un’anima senza corpo e un corpo senza anima sono impensabili
(l’anima è qualcosa del corpo). L’abductio mentis a sensibus è anche a corpore, distacco della mente dalle
funzioni corporee: l’ego si scopre come cogitatio e sostanza, del tutto indipendente dal corpo. A questo
punto il corpo appare come estraneo all’ego, mostra un’apparente estraneità alla vita e ai processi della
mente.

1.2 Meditatio sexta: il “mio corpo” e la finalità vitale della sensibilità.


Nella Meditatio sexta Cartesio mostra di non voler rinunciare all’unità psicofisica dell’uomo, riconoscendo
al mio corpo lo statuto speciale dell’inseparabilità, che lo distingue dagli altri corpi. Anche se incorporea e
inestesa, la mente non è legata al corpo da un rapporto estrinseco, ma forma con esso un’unità posta da Dio a
conservazione dell’unione del composto umano. Solo l’unione di mente e corpo rende conto della genesi
delle qualità percepite, ovvero stati di coscienza in cui la mens è subordinata all’attività organica del corpo e
ai suoi meccanismi d’interazione con l’ambiente circostante. L’universo degli appetiti, passioni, sensazioni
testimonia alla mente l’esistenza di una facoltà di ricevere e conoscere le idee delle cose sensibili, originate
dall’autonoma attività del corpo. Quello che avverto come piacevole e doloroso è da rinviare al corpo, perché
non in mio potere , n quanto cosa pensante, produrre i fenomeni della sensibilità. Sensazioni e sentimenti
registrano le modificazioni del mio corpo mediante segnali istituiti dalla natura (quindi Dio) per indicare alla
mente quali cose siano di giovamento e quali di danno al composto di cui è parte. Prive di portata conoscitiva
(per l’ego non sono in grado di rendere onto delle proprietà geometrico-meccaniche del corpo e della realtà,
le qualità percepite trovano legittimazione metafisica nel compito di informarci su ciò che è favorevole o
nuoce al composto mente-corpo (finalità conservativa): traduzione immediata della stimolazione nervosa in
sensazione di dolore fa sì che la mens non ostacoli al movimento istintivo del corpo e che così partecipi alla
sua conservazione. Se nella fisica Cartesio rigetta ogni causalità finale, nei processi viventi e nell’unione
mente-corpo gioca un ruolo fondamentale: la funzione conservativa dell’organismo spiega i movimenti
muscolari che regolano i rapporti di prossimità coi corpi circostanti (vicinanza ad un fuoco innesca
movimento dei muscoli che servono a voltare occhi e testa, proteggere il corpo, ritirare il piede troppo vicino
alla fiamma ecc). Con l’autoconservazione dell’organismo si spiega l’accomodamento del cristallino a
seconda della distanza e il ridimensionamento della pupilla a seconda delle condizioni di luce. Le passioni
hanno il compito di disporre l’anima a volere cose che la natura ha disposto come a noi favorevoli. Tale
autoconservazione non vi sarebbe se io e corpo non costituissero un’unità vitale. Cadono le accuse di
platonismo, perché lo stesso Cartesio afferma che se io fossi una res cogitans non mescolata al mio corpo ma
fossi un’anima platonica posta in un corpo a me estraneo, non proverei sensazioni ma coglierei tutto col puro
intelletto in modo chiaro, senza provare sensazioni confuse derivanti dalla con-fusione di mente e corpo.
Sottoposta al dubbio, la credenza dell’unità psicofisica trova conferma, nonostante la distinzione reale delle
due res, nell’insegnamento della natura. Rimane la tensione tra la sostanzializzazione del cogito come mens
nella Meditatio secunda e l’unione mente-corpo nella Meditatio sexta: problema della compatibilità teorica di
distinzione reale delle due res con l’unità psicofisica della persona. Gueroult fa del corpo una terza sostanza
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inalienabile, distinta dal corpo-macchina degli animali (ipotesi che non trova riscontro nei testi). Dopo aver
riconosciuto l’unione psicofisica e l’inalienabilità nella persona umana al corpo, Cartesio continua a
considerarlo una macchina, obbediente alle leggi della fisica; il corpo è un congegno che funzionerebbe
anche senza la mente (non contraddice L’Homme); un corpo-macchina dotato di autoregolazione è
l’indispensabile strumento teorico per il concetto di corpo e per l’unione anima-corpo opposta a quella
ilemorfica. Nella lettera a Mesland parla dell’anima come forma, ma è impossibile pensare a un ilemorfismo
cartesiano, dato che le due res sono sostanze autonome e distinte. Nella stessa lettera discute in termini fisici
della transustanziazione, che non sembra precludere al corpo animale un’indivisibilità funzionale derivante
dall’assemblamento dei suoi organi. L’unità funzionale del corpo risulta condizione della sua unione con
l’anima (no animismo).

1.3 Speciale quoddam ius.


Necessario chiarire cosa significhi l’espressione “speciale quoddam ius”: nella Meditatio sexta il corpo è
reintegrato nella sfera di ciò che mi appartiene inalienabilmente, corpo con cui l’io si identificava all’inizio
del percorso meditativo, ma che veniva messo in discussione col dubbio iperbolico. Credenza spontanea si
fondava su un qualche diritto, che appare fondato una volta dimostrata l’esistenza di un Dio buono e fonte di
verità. Significato tecnico dell’espressione e rinvio a tematiche giuridiche non dovrebbe destare sorpresa,
poiché tutte le Meditationes sono intessute del lessico della seconda scolastica, sui cui manuali Cartesio si
era formato. Tradizione annovera i trattati di De Vitoria, Suarez, De Soto, Molina, che costituiscono un
momento fondamentale per la riflessione su diritto di proprietà, in particolare del corpo e del diritto
dell’individuo all’autoconservazione. Inoltre, il diritto ha costituito una parte essenziale della formazione di
Cartesio. È necessario chiedersi se l’espressione sqi vada inteso in senso letterale, come alludente a uno
speciale diritto di proprietà sul corpo e comprendere la ragione dell’uso di tale locuzione (si tratta dell’unica
occorrenza nel corpus cartesiano).
L’aggettivo speciale, attribuito allo ius del corpo, rinvia all’esistenza di altre categorie di ambito applicativo
più generale: specialis, da species, contrapposto a genus, che nel diritto era connesso allo ius generale o
commune. Il diritto tardomedievale e rinascimentale era strutturato in molteplici piani normativi con ambiti
di applicazione diversi: ius commune, ovvero norma di valore generale (genus), disposizione da applicarsi a
tutti i soggetti dell’ordinamento positivo; e iura propria, norma particolari (species), che regolamentavano lo
statuto di un territorio, città, insieme di soggetti, norme che derivavano a volte da statuti codificati o dalla
consuetudine, che è tra le principali fonti del diritto. Ius proprium specifica l’ambito applicativo dello ius
commune, è derogatorio rispetto alle norme del diritto generale. Polarità tra genere e specie e carattere
derogatorio delle consuetudini sono richiamati nella formula sqi. Tale diritto è quello attribuito alle opinioni
e alle abitudini dalla consuetudine; nella Meditatio prima, ius compare, a dire che le opinioni consuete che
ostacolano l’esercizio del dubbio iperbolico sono tanto potenti da sottomettere la credenza dell’io come per
“abitudine e diritto di familiarità”. Le opinioni sottoposte al dubbio e destituite di fondamento razionale
mantengono una forza di imposizione sulla mia credulità, che deriva da un diritto di familiarità e dalla
consuetudine, cioè dall’uso che eleva a parametro del vero ciò che la ragione ritiene sono opinione.
L’abductio mentis a sensibus vede scontrarsi tre domini: quello delle consuetae opiniones, della ratio e della
voluntas dubitandi. L’ego vuole mettere tutto in discussione e ricominciare dai primi fondamenti per stabilire
qualcosa di certo nelle scienze, vede crollare tutte le false certezze basate sui sensi, crollo che coinvolge
l’esistenza del corpo, del mondo e, con l’ipotesi di un Dio ingannatore, la validità delle matematiche. Le
opinioni sottoposte al dubbio restano comunque verosimili ed è ragionevole credervi, non appena si distoglie
l’attenzione dalle ragioni del dubbio, le opinioni consuete tornano a imporsi in forza dello ius familiaritatis.
Tale diritto si oppone alla voluntas dubitandi dell’ego, tanto che, per mantenere lo stato di epochè, è
necessario che postuli un Genio Maligno, che azzera il contenuto di verità delle consuete opinioni. Lo stesso
ius delle consuetae opiniones, nella Meditatio sexta sarà detto speciale, in virtù del quale considero
appartenermi il “mio” corpo. Tale ius va considerato come realtà di fatto e, alla luce del contesto fondato
sull’articolazione ius generale-speciale e del ruolo della consuetudine, di diritto. L’unione e commistione
nell’uomo di due realtà contrapposte, statuita da Dio in una specifica legalità naturale, giustifica l’esercizio
di uno sqi, lo ius familiaritatis, diritto della credenza del possesso del proprio corpo e dell’unità della
persona. Tale credenza è legittimata dall’esistenza di un Dio onnipotente e verace. Istituzione del soggetto
psicofisico è istituzione di una legalità, unione di pensiero ed estensione, norma valida solo se andata sulla
legislazione divina.

1.4 Il Dio legislatore e l’institutio naturae.


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Il Dio delle Meditazioni è un dio legislatore titolare di una potestas codendi leges derivante dalla sua
potentia absoluta: si tratta di una rimodulazione scolastica della nozione di potenza assoluta come sovranità
sul creato e sull’uomo e gioca nel pensiero cartesiano un ruolo eminente, che chiarisce la subordinazione dei
principi della fisica a quelli metafisici fondati sulla distinzione della mente dal corpo. Cartesio manifesta a
Mersenne la necessità di una fondazione metafisica dei principi della fisica, dato che Dio, in quanto
onnipotente, impone alla creazione una legalità, le cui nozioni sono innate nella mente umana, che sono
frutto della libera ingiunzione del suo volere. Dio statuisce leggi naturali come leggi positive, che non
rinviano ad un ordine increato ma sono prescrizione della sua volontà: Dio ha stabilito le leggi di natura
come un re stabilisce quelle dello stato, tutte possono esserci comprensibili perché sono innate nella nostra
mente, come le leggi che un re imprimerebbe nel cuore dei sudditi se ne avesse il potere. Nel Mondo
l’unificazione geometrico-meccanica del mondo è condotta sul piano legislativo; le leggi che governo il
mondo fisico, fondate sul principio di conservazione, sono regole prescritte da Dio alla natura materiale.
Nella prefazione ai Principia sostiene che i principi delle cose immateriali vanno presentati in connessione a
quelli fisici, coi secondi dedotti dai primi, e in una lettera a Mersenne afferma che nelle Meditazioni sono
presenti tutti i principi della sua fisica. Metafisica è scienza dei principi che separando i concetti di anima e
corpo, permette di restituire al corpo ciò che gli appartiene (estensione e movimento) e all’anima la sua
natura di pensiero: obiettivo della metafisica è intendere le cose che sono concepibili distintamente. Senza
distinzione delle nozioni di anima e corpo (innate nella mente) è impossibile stabilire la natura incorporea e
le proprietà dell’anima e la costituzione di una scienza dei corpi. Nozioni scolastiche di forma, sostanza,
qualità reale sono proiezioni delle proprietà dell’anima sulla sfera della corporeità, che danno luogo a
nozioni contraddittorie. Confusione di proprietà del corpo e della mente (ostacolo alla costruzione di una
scienza della natura) è effetto della con-fusione, della permixitio di mente e corpo, istituita da Dio. Dio
legislatore non gradisce solo la fondazione metafisica della fisica, ma anche quel dominio “antropologico”
del reale rappresentato dall’unione mente-corpo. Senza la legislazione divina, mente e corpo sono incapaci di
comporsi in unità. Di rilievo nella Meditazione sesta è la dottrina dell’istituzione naturale e
dell’insegnamento naturale, effetti del volere di Dio, che entrano nella spiegazione della dimostrazione
dell’esistenza dei corpi e del mio corpo. Dimostrata l’esistenza di un Dio verace, vengono riprese le ragioni
per cui era stato dichiarata nulla la verità di sensazioni e immaginazioni: conducono a credere nell’esistenza
di una realtà esterna, che le origina tramite il “mio” corpo, che non posso ancora assicurarmi esista perché so
di esistere solo come res cogitans. Se Dio avesse fondato nell’uomo una propensione a credere vero qualcosa
di falso e illusorio, allora sarebbe un ingannatore. Se la veracità divina accerta la verità di ciò che percepisco
chiaro e distinto, ed escludo che io, in quanto pensiero, crei le sensazioni da me (ne dovrei essere cosciente)
ma sono cosciente solo di una facoltà passiva di avere percezioni provenienti prodotte dall’esterno. Non è
Dio a causare le sensazioni perché a ciò non corrisponde nessuna idea, mentre attribuisco la loro cause a
realtà materiali che affettano gli organi di senso del “mio” corpo. Un Dio verace legittima questa credenza e
le dà fondamento reale: pertanto esistono le cose corporee. Dimostrazione dell’esistenza dei corpi passa per
la certificazione dell’esistenza del “mio” corpo, a cui l’io è unito in maniera speciale a cui spontaneamente
riferisce le sensazioni: localizzazione spontanea insegnatami dalla natura delle mie sensazioni in un corpo è
un’istanza sufficiente, a differenza di quanto affermato nella Meditazione prima, a legittimare quello come
mio corpo, col quale formo un’unità. Insegnamento della natura, ciò a cui sono naturalmente spinto a
credere, prima respinto dal dubbio metodico, ora viene dichiarato, alla luce della veracità divina, dotato di
qualche verità, da sottoporre a esame razionale. Per natura in generale si intende ora Dio stesso o il
coordinamento delle cose che Dio ha stabilito; per natura particolare si intendono tutte le cose che Dio mi ha
attribuito: distinzione tra natura (dominio della distinzione mente-corpo) e natura umana (dominio
dell’unione mente corpo): entrambe le nature sono istituite da Dio legislatore, che dà all’universo un ordine
eterno (onnipotente) e contingente (Dio è assoluto, sciolto da leggi, è decreto della sua volontà). Si tratta
della fondazione della legalità di due distinti domini normativi. La mia particolare natura, ciò che mi è stato
attribuito da Dio, ha una giurisdizione, quella dell’unione mente-corpo, la cui legalità è ontologicamente pari
a quella del dominio della natura in generale. Dio ha istituito, nell’unione mente-corpo, un dominio del reale
che ha legittimità assoluta nel proprio ambito particolare di applicazione, l’uomo, che, a differenza di angeli
e animali, unisce in sé due nature.

1.5 Identità dell’io e diritto di proprietà del corpo.


La confusione di proprietà del corpo e della mente, che permea la conoscenza e il senso comuni, eretti a
sistema dalla filosofia aristotelico-scolastica, deriva dall’esperienza irriflessa della compenetrazione di mente
e corpo in sensazioni e passioni, che ciascun essere umano prova e la cui attività razionale resta vincolata a
sensibilità e immaginazione. Nella spontaneità il soggetto percepisce l’unione mente-corpo come
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un’indistinzione, concepisce sé stesso come corpo animato che percepisce qualità realmente inerenti agli
oggetti. Il predominio del corpo sulla mente, la priorità ontologica dell’unione piuttosto che la conoscenza
della loro distinzione, fa sì che l’unione mente-corpo sia vissuta e non concepita. È necessario rifondare la
nozione di anima, che sorregge la sterile metafisica sia il fragile sapere fisico, medico, antropologico. Il
pregiudizio dell’animazione del corpo deve essere rimosso dal dubitare, l’ego può concepirsi come puro
pensiero solo recidendo ogni legame tra le nozioni di anima e corpo. Il cogito è l’unica cosa che mantiene la
certezza della sua esistenza col dubbio iperbolico, dopo essersi staccato dal corpo. Dopo l’abductio mentis a
sensibus e l’estromissione del corpo, rimane la certezza dell’ego, ma resta il problema dell’identità di
quell’ego necessariamente esistente. L’ego è costretto a rivolgersi a quello che prima pensava
spontaneamente di essere, per rimuovere tutto ciò di cui si possa aver anche il minimo dubbio:
determinazione della mia identità è un processo di sottrazione (subductio) di tutto ciò che l’esercizio del
dubbio mi dice non necessario; sottrazione esercitata in virtù di quel diritto speciale che è la certezza della
mia esistenza in quanto pensiero, che resiste anche nel regno di un Dio ingannatore: si tratta di una subductio
mentis a corpore ma anche ab anima, in quanto elimina il concetto compromesso di anima come intesa dalla
Scolastica. Tutte le caratteristiche che credevo del corpo e dell’anima possono essere sottratte senza che
venga meno la certezza della mia esistenza come pensiero, unica cosa che non posso separare da me.
Costituzione dell’identità dell’io passa per la determinazione di ciò che è inalienabilmente mio, il pensiero,
che mi appartiene di diritto (pertinere) e mi spetta di diritto (tribuere). Distaccare la mente dal corpo
permette di identificare e distinguere le funzioni che competono di diritto al corpo e alla mente, interdicendo
quelle facoltà intermedie tra fisico e psichico abusivamente considerate esistenti della tradizione.
Costituzione metafisica dell’identità dell’io mostra l’esistenza di una dimensione giuridica interna al
soggetto, di ciò che mi coappartiene (cogitatio), e di ciò che mi appartiene sqi (corpo). Abductio-subductio
permette di vagliare il diritto di proprietà di ciò che considero appartenermi: accertata la proprietà della
cogitatio e l’esistenza di un Dio verace, l’esame di quanto mi appartiene di diritto individua il dominio
dell’unione mente-corpo nel cui ambito trova garanzia lo sqi in virtù del quale considero spontaneamente
appartenermi il “mio” corpo. Il possesso del corpo mi permette di essere un’unità, una persona; se fossi una
pura mens in un corpo a me estraneo, allora non sarei un essere umano. Linguaggio giuridico lascia
ipotizzare che Cartesio conoscesse quel filone giuridico-teologico che porterà al diritto soggettivo di
proprietà del corpo: scuola di Salamanca, Vitoria afferma che l’uomo è l’unico soggetto di proprietà in
quanto creato a immagine di Dio, tuttavia è proprietario del suo corpo solo per gli usi leciti di esso, come la
conservazione (un diritto ma anche un dovere per questa tradizione). Nella Meditazione quarta la volontà il
segno della somiglianza tra uomo e Dio, ovvero il libero arbitrio e il dominio sulla volontà: possiamo essere
giudicati solo per le azioni che compiamo volontariamente, siamo padroni di noi stessi. È il libero esercizio
della volontà che ci permette di avviare l’abductio mentis e determinare ciò che mi appartiene di diritto; la
libera volontà mi permette di esercitare quello sqi sul corpo: riappropriarmene ed esercitare su di esso il
dominio istituito da Dio.

2. I paradossi dell’unione mente-corpo: l’affaire Regius e le obiezioni di Gassendi, Arnauld e la principessa


Elisabeth.
2.1 Le aporie del soggetto cartesiano.
Obiezioni e risposte permettono a Cartesio di sviluppare o affrontare per la prima volta questioni che non
avevano trovato spazio dell’ordo rationum della struttura delle Meditazioni. Ordine che non è quello delle
Summae (che procedono per gradi di perfezione), ma rispetta l’ordine genetico e seriale, come un’analisi
geometrica, che prescrive l’acquisizione di una conoscenza certa di una cosa ignota solo attraverso la
conoscenza certa di un’altra che la precede in certezza. In una lettera a Mersenne dice di non seguire l’ordine
degli argomenti, ma va dalle cose più facili alle più difficili e ne deduce il possibile; ritiene essere questi il
procedimento migliore per spiegare e trovare la verità. Tra le maglie del procedere dimostrativo, aperte dalle
obiezioni, trovano spazio questioni rimaste irrisolte nell’ordo rationum. Si profila così l’enorme questione
del rapporto tra fisico e psichico. I chiarimenti derivanti dalle obiezioni permettono a Cartesio di articolare la
“questione del corpo” su due fronti, quello del corpo-macchina e quello del “mio corpo”.

2.2 La riduzione dell’anima a mens e la negazione di ogni proportio tra mente e corpo: le critiche
all’automatismo animale e la polemica con Gassendi.
Dottrina dell’unione e commistione di anima e corpo per Cartesio compatibile con quella dell’automatismo
corporeo. Teoria del corpo-macchina eliminava ogni medio tra anima e corpo, l’anima sensitiva. Nel De
anima Aristotele definisce vivente un essere che abbia almeno uno tra intelletto, sensazione, moto e quiete,
crescita, decrescita. L’anima, che è un principio divino, è il principio di queste facoltà, pertanto ha un
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primato nello studio dei viventi. Nel Discorso del metodo, Cartesio sostiene che il corpo sia un congegno
meccanico, azionato da una forza non vitale né psichica; ma il calore prodotto nel cuore può essere
assimilato a fenomeni inorganici come l’autocombustione (come il fieno che brucia se lasciato al chiuso,
oppure la fermentazione del vino). Il circuito cardiovascolare (scoperto da Harvey ma interpretato in chiave
meccanicistica) è dispositivo di alimentazione e controllo automatico del corpo, non serve più l’anima
sensitiva. L’uomo condivide le funzioni chimico-meccaniche del corpo con l’animale, che è puro automa
privo di ragione, le cui parti funzionano automaticamente. L’aristotelico Fromondus critica il meccanismo
cartellino di movimento del cuore e la teoria degli animali-macchina: sostiene inverosimile che tutte le
funzioni vitali (eccetto la ragione) si possano spiegare con la fermentazione; ritiene pericolosa la
meccanizzazione degli animali, poiché gli atei potrebbero dire lo stesso dell’anima razionale. Anche i
platonici respinsero Cartesio, poiché eliminava la distinzione tra vivente e non vivente. Il platonico More
sostiene che l’animale-macchina sia contrario ai fenomeni, al senso comune e alle autorità filosofiche; ritiene
che l’anima sia principio animante del corpo e che abbia la proprietà dell’estensione. Senza l’anima,
l’animale è privo di vita (ed è una conseguenza della riduzione dell’anima a pensiero). Anche la tradizione
materialistico-atomistica rifiuta tale riduzione, in particolare Gassendi. Egli segnala l’ambiguità dell’uso
cartesiano di anima e contesta il fatto che l’abductio mentis sia sia dal corpo che dall’anima come principio
vitale. Nella risposta, Cartesio dice a Gassendi di considerare la mente non come parte, ma come tutta
l’anima; inoltre sostiene che l’ambiguità rilevata derivi dall’erronea applicazione della parola “anima” a
designare funzioni organiche, ambiguità che lui risolve riducendola al pensiero. Le funzioni organiche di
uomini e animali sono distinte dal pensiero, la loro confusione impedisce di comprendere le proprietà
esclusive della sfera cognitiva e di avere scienza geometrica-meccanica dei corpi. L’eliminazione di ogni
medio tra mente e corpo dà vita al problema mente-corpo. Hobbes critica la sostanzializzazione del cogito e
afferma la materialità del soggetto a cui va riferito l’atto del pensare. Gassendi vede il problema di conciliare
una realtà materiale con una immateriale, la mente non potrebbe muovere il corpo (per Lucrezio il moto si dà
tra cose materiali), la mente non potrebbe percepire le sensazioni: Cartesio ritiene che la distinzione reale tra
le due sostanze sia compatibile con una loro mescolanza, tale per cui percepiamo dolore e non ne abbiamo
percezione intellettuale. Gassendi ritiene che una mescolanza dia solo tra cose materiali e che non si concilii
con la distinzione tra le sostanze. Ritiene che l’anima debba essere estesa, se si vuole risolvere il problema
mente-corpo. Anche se Cartesio individua la sede dell’anima nella ghiandola pineale, per quanto piccola,
l’anima deve essere estesa. Cartesio porterebbe sul piano reale una distinzione solo concettuale.
L’eliminazione di ogni medio porta, per Gassendi, ad un uomo diviso. Cartesio obietta dicendo che
l’atomista sbaglia nel paragonare l’unione di cose materiali con quella, non soggetta alla nostra giurisdizione,
di una immateriale con una materiale.

2,3 Ut nauta in navigio: le obiezioni di Arnauld e lo spettro dell’antropologia platonica.


Il teologo Arnauld ritiene che l’unione mente-corpo non possa avvenire che secondo il modello platonico. La
distinzione reale delle sostanze non rende conto del fatto che la res cogitandi è connessa agli organi del
corpo. Arnauld vede la dottrina degli animali-macchina come argomento presupposto nell’analisi della
distinzione mente-corpo. Egli ritiene che gli animali abbiano un principio psichico. La distinzione reale
dell’anima dal corpo rischia di ridurre l’uomo alla sua anima, come fa Platone, e la loro unione sembra poter
essere solo estrinscea; si richiama a Tommaso: l’anima è una sostanza incompleta e ha una naturale
propensione a unirsi al corpo, solo così si dà una sostanza completa. Pertanto, operazioni come il sentire, che
i platonici ritenevano dell’anima, risultano essere dell’uomo. L’errore dei platonici è pensare l’anima non
come forma del corpo, ma come nocchiero, quindi di pensare il rapporto col corpo in maniera strumentale, il
che mina alla dottrina cristiana della persona come unione di anima e corpo, necessaria per la resurrezione
dei corpi e la ricongiunzione con le rispettive anime. I platonici considerano l’uomo non come unum ens, ma
come ens per accidens. La critica di Arnauld a Cartesio è la stessa di Tommaso ai platonici, ovvero di non
rispettare l’unità dell’uomo e ridurre il rapporto anima-corpo ad un’unione strumentale, estrinseco, non in
grado di rendere conto della sensazione. Nella Meditazione sesta Cartesio aveva respinto il modello
platonico, parlando del corpo che mi appartiene per diritto speciale. Dualismo e unione sono necessari per
rendere conto dell’umano nella sua unità. La mente, incorporata nella ghiandola pineale, avverte
immediatamente la sensazione e non la osserva da fuori. Alla critica di incompletezza delle res, Cartesio
risponde che la completezza non è proprietà della sostanza, ma della nostra nozione di sostanza. Le due res
vanno pensate come complete e incomplete secondo il nostro modo di prenderle in esame. Esse sono
autonome e detengono il principio delle loro operazioni, la mete on anima il corpo e il corpo non pensa. La
distinzione è ribadita, ma le due res formano un unum quid inestricabile. Cartesio ritiene che l’unione mente-
corpo sia più vicina alla posizione tomistica che a quella platonica, ma che sia più rigorosa. Distinzione e
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unione si implicano a vicenda. La mente agisce sul corpo e ne patisce gli stati. Cartesio non può accogliere la
dottrina scolastica dell’unione perché nega l’ilemorfismo. La connessione del pensiero agli organi corporei
non dimostra che il pensiero sia prodotto da essi. Cartesio mostra che la dottrina della distinzione di mente e
corpo trova resistenza in virtù della loro stretta unione.

2.4 Homo ens per accidens: la realtà dell’unione nell’affaire Regius.


Medico e filosofo Regius, allievo di Cartesio e promotore delle sue teorie fisiche e mediche, nel 1641
definisce l’uomo ens per accidens. La dottrina scolastica dell’anima come forma era dominante, la materia
era considerata un ente per metà che costituiva con essa un unum. Nel Mondo e nei Saggi, Cartesio sostiene
l’autosufficienza della materia: non ha bisogno di forme e qualità scolastiche per spiegare i fenomeni fisici,
intellegibili grazie ai concetti di estensione e movimento meccanico. Nella Disputatio medica Regius critica
le forme sostanziali, sostiene che nella fisica cartesiana la forma non è che disposizione materiale delle parti.
Sostiene che l’autosufficienza delle due res fa sì che la loro unione non dia luogo ad un unum ens, ma ad un
ens per accidens. Tale tesi porta all’accusa di cripto-ateismo rivolta a Cartesio dall’Università di Utrecht e
alla condanna del cartesianesimo nel 1642. Cartesio respinge la tesi innanzi tutto per ragioni teologiche,
chiarendo che nella sua affermazione Regius volesse dire che, essendo le due res indipendenti, è come se la
loro unione fosse in certo modo accidentale; inoltre afferma che nel dire che l’uomo è un ente per accidente,
intendeva dire che l’uomo è un ente in sé, in quanto per Regius le due sostanze sono incomplete. I filosofi
della Scuola possono obiettare che il corpo umano sia un’unità necessaria, non accidentale. L’unione mente-
corpo può dirsi in certo modo accidentale, non assolutamente tale, solo se si considerano singolarmente il
corpo e la mente, che in loro non hanno nulla che lasci presagire un’unione reciproca. Per Cartesio, Regius
non capirebbe che, per spiegare la sensazione, è necessario postulare l’unione intrinseca di mente e corpo (se
non fosse così, l’uomo sarebbe un angelo incarnato che intuisce intellettualmente le sensazioni). La con-
fusione di mente e corpo è istituita da Dio e causa la confusione di sensazioni e passioni, che sono segnali
chiari e distinti quanto basta a garantire al corpo l’autoconservazione, ma insufficienti per conoscere la realtà
materiale: proietteremmo il nostro mondo psichico su quello reale, il mondo della qualità percepite non ha
rapporto di somiglianza con gli oggetti che rappresentano, la veracità divina legittima la mia propensione
naturale a riferire le sensazioni l’azione di oggetti esterni ma non legittima la tendenza spontanea a
considerare gli oggetti simili alle sensazioni. Nelle Stextae Responsiones distingue tre gradi della sensazione,
1) fisico-meccanico, pertiene al funzionamento dei dispositivi sensoriali e neurocerebrali; 2) ciò che risulta
immediatamente nella mente perché è unita all’organo corporeo; 3) sensazione è sempre accompagnata da un
giudizio spontaneo della mente, si richiama alla Diottrica: a significare l’articolazione reciproca tra
istituzione naturale e unione intrinseca mente-corpo. Pertanto, pur dando luogo ad un’unità di composizione
(e non per sé), l’unione mente-corpo forma un ens per se comprensibile solo nell’interrelazione di funzioni
organiche e psichiche. Cartesio ammonisce Regius di aver stravolto la sua metafisica nei Fundamenta
Physices. Regius vede discrepanza tra metafisica dualistica e fisica meccanica, e ritiene che quest’ultima
debba estendere la propria applicazione allo studio delle concrete modalità psicofisiolog\iche del rapporto
mente-corpo. Regius accuserà Cartesio di dissimulare il suo materialismo; assume una posizione
antinnatistica negando ogni valore autoevidente al cogito, ritenendo che l’essenza dell’anima, come tutte le
essenze, è per noi indeterminabile. Sostiene la natura organica dell’anima basandosi su osservazioni cliniche:
l’anima si serve del cervello; essa è il complesso di sensazioni, passioni, abitudini, atti di volontà, memoria,
immaginazione, pensieri che hanno radice nel corpo.

2.5 Lo scambio epistolare con la principessa Elisabeth e la terza nozione primitiva.


Nel 1643 la principessa Elisabeth chiede a Cartesio come l’anima immateriale possa interagire col corpo e
determinarne i movimenti. Cartesio ammette che le incomprensioni sull’unioni nascono dalla priorità della
distinzione mente-corpo. Esamina le notiones primitives, su cui formiamo tutte le nostre conoscenze: 1) per il
corpo abbiamo la nozione di estensione, da cui seguono fiera e movimento; 2) per l’anima quella del
pensiero, che comprende percezioni dell’intelletto e inclinazioni della volontà; 3) per anima e corpo insieme
abbiamo la nozione della loro unione, dalla quale dipende la forza dell’anima di muovere il corpo e quella
del corpo di agire sull’anima causando sentimenti e passioni. Sostiene l’inderivabilità della terza nozione
dalle altre due. Per comprendere l’unione non si può partire dalla distinzione, cioè dalle nozioni singole di
anima e corpo. l’uso dei sensi ci ha reso le nozioni di estensione, figura e movimento più familiari della altre,
la causa dei nostri errori sta nel non saper distinguere il dominio di applicazione di ciascuna nozione: per
questo nelle Meditazioni ha parlato delle nozioni che appartengono alla sola anima e quelle che
appartengono al solo corpo, ora il compito è stabilire quelle che appartengono alla loro unione. Elisabeth
confessa di comprendere l’unione anima-corpo solo considerando l’anima estesa e materiale. Cartesio
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riconosce che concepire l’unione mente-corpo significa pensare l’anima come materiale. Ciò si chiarisce
distinguendo le modalità con cui conosciamo le nozioni primitive: l’anima con l’intelletto (metafisica), il
corpo con l’immaginazione razionale (matematica), la loro unione con i sensi: solo vivendo e astenendoci dal
meditare concepiamo l’unione mente-corpo. L’incomprensione di Elisabeth deriverebbe dal voler
comprendere l’unione con lo stesso strumento (l’intelletto) adibito a comprendere la distinzione mente-
corpo, sarebbe necessario concepirli come una sola cosa e due cose distinte allo stesso tempo, che è
contraddittorio. Ma l’unione non è meno reale della distinzione, dato che la sperimentiamo quotidianamente.
Elisabeth è pertanto autorizzata a pensare l’anima come materiale, perché significa concepirla unita al corpo;
materialità che serva dalla natura incorporata del soggetto umano e che spiega l’azione reciproca di anima e
corpo. Asimmetria nelle nozioni, le prime due sono idee colte da intelletto e immaginazione+intelletto,
l’unione è un’idea che si sente e non si pensa: l’unione prima si avverte, poi si pensa. L’ego cogito si
guadagna con l’abductio mentis perché il soggetto è incorporato, per questa ragione l’unione mente-corpo è
il punto di partenza delle Meditationes. La ratio delle Meditazioni è l’analisi, che mostra come qualcosa è
stata scoperta metodicamente e come a priori, mentre la sintesi scopre a posteriori, partendo da definizioni
ecc e dimostra vero ciò che si conclude ma estorce l’assenso al lettore occultando il procedimento di
scoperta. Le nozioni non si offrono spontaneamente come quelle su cui si fonda la sintesi, ma è necessario
abducere a sensibus, liberarsi dai pregiudizi che derivano dall’unione dell’anima col corpo.

3. Il mio corpo e le funzioni della mente incorporata.


3.1 L’anima e l’automa: il superamento del modello dell’unione mente-corpo avanzato ne l’Homme.
Ricostruzioni della teoria dell’unione e interazione mente-corpo muovono dal modello presentato ne
l’Homme, sezione del Monde, in cui si analizzano le funzioni della macchina del corpo umano. Nel mondo
nuovo ricostruito geometricamente, gli uomini sono composti di anima e corpo come noi, dice di voler
descrivere anima, corpo, e la loro unione. Si avanza il modello “statico” dell’unione mente-corpo: le due
natures vanno isolate e indagate a parte, nei loro ecludentesi domini (indagine strutturale). Sostiene Cartesio
che “il corpo non sia altro che una statua o macchina di terra che Dio forma espressamente per renderla il più
possibile simile a noi: per modo che non solo dia ad essa all'esterno il colore e la figura di tutte le nostre
membra, ma vi metta anche all'interno tutti i pezzi che si richiedono per fare sì che cammini, mangi, respiri e
imiti infine tutte quelle nostre funzioni che sì può immaginare procedano dalla materia e non dipendano che
dalla disposizione degli organi”.
Comprendere una macchina, compresa quella vivente, equivale a smontarla nei suoi componenti, a
osservarne il comportamento; naturale e artificiale appartengono alla stessa legalità fisica, macchina diventa
modello per comprendere i processi interni dell’organismo. Differenza tra macchine naturali e costruite
dall’uomo è solo di scala: automa de l’Homme costruito da Dio che forma negli organi del corpo vivente,
secondo leggi meccaniche, macchine miniaturizzate inosservabili a occhio nudo, i cui meccanismi sono
riprodotti macroscopicamente negli artefatti. Riduzione del fisico al meccanico è conseguenza della
riduzione del fisico al geometrico della prima parte del Monde. Come nell’indagine sui corpi fisici si deve
muovere da nozioni geometriche (estensione e movimento) e non dall’esperienza delle qualità percepite, così
l’anatomo-fisiologia cartesiana non descrive i processi della macchina organica da quanto è osservabile ma li
ricostruisce dall’assemblaggio delle parti: l’anatomia si profila come una geometria della macchina del
corpo, che fornisce elementi la disposizione spaziale delle parti organiche principali a partire dalla quali si
elaborano modelli meccanico-cinematici che consentono di ricostruire dinamiche inosservabili: anatomia
cartesiana è a occhio nudo, anteriore a quella microscopica. Si tratta di concepire e ricostruire strutture e
movimenti corpuscolari che generano i processi della macchina del corpo, procedimento euristico ipotetico-
deduttivo fecondo nell’indagine del sistema nervoso. Con Cartesio si ha l’abbandono della concezione
cardiocentrica e cerebrocentrica della localizzazione delle facoltà psichiche: funzioni mentali ricondotte ad
un unico centro nervoso, il sistema ghiandola pineale-ventricoli cerebrali. Il cervello dell’automa
antropomorfo de l’Homme è composto da tessuto filamentoso disseminato di pori, attraversati da spiriti
animali, al centro del quale si trova la ghiandola pineale. Cartesio abbandona l’anima vegetativa ed elabora
una spiegazione meccanica delle funzioni fisiologiche che comandano gli automatismi corporei; circuito
cardio-vascolare, digestione, movimento muscolare, sensazione, appetiti, passioni, memoria, immaginazione,
sonno, veglia. Spiegazione meccanica della macchina del corpo la cui condizione di possibilità risiede nel
moto del cuore e nella circolazione del sangue, resa nota da Harvey (1628): scoperta fondamentale per
Cartesio, mutila nelle mani del suo scopritore (troppo aristotelico), che ammetteva una vis non meccanica
responsabile della contrazione del cuore; a cui Cartesio oppone una produzione di calore e movimento nel
cuore per cause chimico-meccaniche: incontro nel cuore di due tipi di sangue produce un’attività
fermentativa ininterrotta che innesca il moto cardiaco. Nel cuore agisce un “fuoco senza luce”, simile ai
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processi di autofermentazione: il corpo è una macchina termica e idraulica con un motore chimico. Passa alla
descrizione dell’anima razionale, che ha sede nel cervello ed è come il fontaniere che dirige il flusso degli
spiriti animali in entrata e uscita dalla ghiandola pineale. L’Homme manca di due parti (anima e anima-
corpo) su tre. Nel Discorso afferma che l’unione anima-corpo deve essere più stretta di quella del fontaniere
o del pilota, perché si possano dare sentimenti e appetiti: a questo condizione il composto psicofisico sarà un
vero uomo. Ne l’Homme Cartesio postula un organismo già formato, e offre una spiegazione geometrico-
meccanica dei suoi processi: limitazione teorica, non ha potuto procedere dalla cause agli effetti come ha
fatto nel Mondo: nel Discorso dice di partire da un uomo simile a noi creato da Dio. Limitazione epistemica
è non poter trattare l’organismo secondo il metodo genetico-causale, a causa della scarsità dei mezzi a sua
disposizione. Esigenza di formulare una teoria embriogenetica adeguata alla spiegazione delle funzioni del
corpo-macchina. È verosimile che Cartesio non abbia mai scritto le parti mancanti de l’Homme: una
spiegazione completa dell’unione mente-corpo deve formulare modelli di tipo psicogenetico, se si parte da
un modello già formato come ne l’Homme si contravviene alle caratteristiche del fenomeno d indagare
(nessun uomo nasce adulto). L’automa de l’Homme non è un unum quid ma un ens per accidens: modello
mostra l’impossibilità di spiegare come possa darsi interazione mente-corpo senza un rinvio immanente e
reciproco tra mentale e corporeo (è esperienza che facciamo nella quotidianità). Solo la sensibilità ha la
certezza dell’unione io-corpo e della loro reciproca trascendenza. Stato del soggetto percepente è di
immanenza e trascendenza delle sue res. L’io, per tramite del corpo, ha accesso alla realtà corporea esterna;
se affetto da passioni, l’io partecipa alla conservazione del corpo. Per tramite del corpo, l’io si radica nel
mondo. Biomeccanica del corpo umano deve essere compatibile con la metafisica dell’unione; sono
necessarie condizioni anatomo-fisiologiche incentrate su un’architettura neuro-cerebrale descritta come
soldale e isomorfa alle caratteristiche psicologiche della mente.

3.2 Fisiologia dell’anima: cervello e percezione visiva.


Unione di mente e corpo reclama un soggetto incorporato, che nella sensazione e negli stati emotivi si
manifesta come totalità vitale, realtà unitaria a due facce (fisica e somatica). Cartesio sviluppa ne l’Homme e
nella Dioptrique un modello di propagazione al cervello della stimolazione sensoriale, applicato al
meccanismo della visone che escludeva il transito nel corpo di qualità reale. Esperimento: uomo che osserva
delinearsi naturalmente e in prospettiva immagini di oggetti esterni sulla membrana traslucida aderente al
fondo di un occhio avulso dalla propria orbita, privato delle tuniche esterne e infisso nel foro d’entrata della
luce in una stanza chiusa. Scopo dell’esperimento è dimostrare la natura geometrico-meccanica dei processi
interni al globo oculare. Cartesio fa propria la scoperta di Keplero nei Paralipomena ad Vitellionem e nella
Dioptrice, secondo cui le immagini degli oggetti non si fumano a calco sula superficie del cristallino, ma
sono proiettate da questo sulla parete retinica, apparendovi rovesciate. Cristallino era ritenuto sede di species
intentionales, immagini semicorporee irraggiate dagli oggetti, che si tramutavano negli spiriti visivi, secondo
un processo di rispecchiamento qualitativo che garantiva l’uniformità tra mondo e rappresentazione
sensibile. Keplero isola l’esame dei processi di formazione delle immagini nell’occhio dal problema della
loro percezione, problema della trasmissione nervosa. Cartesio ribalta i termini del problema: una teoria
coerente dei processi nervosi può darsi solo se si presuppone che la dissomiglianza tra oggetto e sensazione,
e non la loro somiglianza, sia condizione di possibilità dell’esercizio della percezione visiva. Cerca di
delineare un modello meccanicistico globale, che spieghi in un quadro unitario l’azione della luce
sull’organo della visione e la sua trasmissione nervosa. Raggi di luce agiscono per contatto, come oggetti sul
bastone dei ciechi: modello del bastone utilizzato nel Discorso I per illustrare la trasmissione spontanea della
pressione dei corpuscoli di materia luminifera sugli occhi; nel Discorso IV spiega la loro trasmissione
nervosa. Prima cosa da spiegare è in che modo le immagini che si formano nel nostro cervello possano far
sentire all’anima le diverse qualità che riferiamo agli oggetti e non la loro somiglianza con essi. Nessuna
immagine può essere identica agli oggetti che rappresenta, un’efficace rappresentazione degli oggetti
richiede dissomiglianza (es stampe, sono inchiostro ma sono uguali agli oggetti, oppure la prospettiva).
Dispositivi sensoriali e nervosi della macchina corporea formano un sistema di selezione automatica degli
stimoli esterni verso un punto unico e centralizzato, la ghiandola pineale…processo fisico…si interrompe,
quindi la mente, incorporata nella ghiandola pineale, avverte configurazione delineata sula sua superficie dai
moti degli spiriti animali traducendola in maniera innata e inconsapevole nel linguaggio psichico delle
qualità percepite. Traduzione è effetto inanalizzabile dell’unione mente-corpo in una zona del cervello. Non
analizzabilità del qualitativo percepito deriva dal fatto che tra la catena di movimenti fisici e organici che
innesca la sensazione del colore rosso e il suo contenuto mentale vi è completa eterogeneità e
dissomiglianza. Rapporto in analogia col linguaggio: corrispondenza tra parola e significato istituita per
convenzione, quella tra movimento cerebrale e qualità percepita è istituita dalla natura, da Dio, che ha
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correlato piano fisiologico e quello psichico. Sensazioni non riproducono caratteristiche degli oggetti, ma ci
informano dei mutamenti convogliati a livello cerebrale, che essi inducono nella superficie del nostro corpo.
Analisi del meccanismo della visione mostra come le sensazioni si realizzino grazie a sistemi di
rappresentazione che hanno origine nei processi nervosi e da essi sono determinati. Sensazioni si generano
dall’attività propriocettiva inconsapevole dell’individuo psicofisico, dall’azione immanente che la macchina
del corpo, dal sistema cervello-ghiandola pineale, esercita sul mentale. Percezione della distanza non dipende
da immagini inviate dagli oggetti ma deriva dalla registrazione neuro-cerebrale dei processi d’adattamento
della struttura del globo oculare e dell’accomodamento del cristallino, dall’allargamento o dal respingimento
della pupilla in rapporto all’intensità luminosa e dalla conseguente distinzione o confusione della figura
percepita, dal grado di convergenza degli occhi nella visione binoculare e da conoscenze pregresse su
grandezza, posizione, conformazione dell’oggetto. Cervello è struttura primaria della relazione tra mente e
mondo. Ogni comportamento percettivo è espressione di un’attività cerebrale. Tra io e mondo esterno si
frappone architettura nervosa della macchina del corpo: visione fornisce immagini radicata nelle disposizioni
organiche, negli stati neurofisiologici che comandano automatismi con i corpi circostanti. Cartesio declina
sul piano psicofisiologico la contrapposizione tra natura geometrico-meccanica dell’oggetto fisico e
contenuto della sensazione, delineata da Galieli nel Saggiatore (distinzione qualità primarie e secondarie). A
procurare la sensazione della luce è la forza di quei movimenti che hanno luogo nelle parti del cervello da
dove provengono i filamenti dei nervi ottici, movimenti che producono anche il colore, movimenti dei nervi
in contatto con le orecchie fanno udire i suoni, quelli in contatto con la lingua i sapori; i movimenti dei nervi
del corpo fanno sentire solletico se moderati, dolore se violenti, senza che vi debba essere somiglianza tra le
idee che l’anima concepisce e i movimenti che ne sono causa. Attività mentale condizionata dal cervello e
dalle sue disposizioni. Mente esercita e sue funzioni nella ghiandola pineale, presente anche negli animali (la
sua presenza non è discriminante). Caratteristiche della ghiandola: 1) unicità; 2) posizione mediana; 3)
mobilità; 4) piccolezza; che rispondono all’esigenza di un correlato fisiologico dell’unità strutturale della
mente: natura intrinseca dell’unione mente-corpo implica unione strutturale e convergenza funzionale di
fenomeni eterogenei, come movimenti cerebrali e pensieri ad essi associati. Ghiandola è l’unica parte non
doppia del cervello, la sua unicità permette di spiegare in che modo si abbia una percezione unificata degli
oggetti, la sua motilità spiega la varietà illimitata di sensazioni avvertite dalla mente e il meccanismo di
immaginazione e movimento volontario. Condizione di possibilità dell’interazione mente-corpo risiede nel
loro intreccio nella ghiandola pineale, ogni modificazione di essa è un processo fisico e psichico.
Memoria corporea e delle cose intellettuali: la seconda è immateriale e connessa al ricordo di ciò che non è
possibile rappresentare con l’immaginazione; la prima è una funzione animale che può causare movimenti
involontari della ghiandola pineale, che viene inclinata indipendentemente da percezioni o interventi
dell’anima, così gli spiriti animali sono indotti a circolare in particolari zone dei ventricoli cerebrali. Così la
memoria corporea può attivare il meccanismo delle passioni, come le avversioni, dando luogo ad
associazioni di idee indipendenti dalla volontà.

3.3 Psicogenesi e passioni dell’anima.


Ambito dell’unione psicosomatica è governato dal principio di associazione-ripetizione tra un movimento
corporeo e una modalità di pensiero: ogni pensiero dell’anima può talmente associarsi con qualche
movimento o con altre disposizioni del corpo, che quando si ripresentano le stesse disposizioni l’anima è
indotta da esse ai medesimi pensieri, e quando lo stesso pensiero ritorna prepara il corpo a ricevere la
medesima disposizione. Principio di associazione tra moti corporei e pensieri è a fondamento dei fenomeni
emotivi. Le passioni sono stati mentali di origine somatica, finalizzate alla conservazione del composto: le
emozioni hanno il compito di indurre l’anima a volere le cose per cui preparano il corpo. Cartello attribuisce
al corpo il processo causale delle passioni, contrapponendosi alle teorie psicologiche-morali classiche che
imputavano ad un moto contro natura dell’anima la genesi delle emozioni. Passioni scaturiscono
dall’automatismo animale: meccanismi d’innesco automatici e involontari che agiscono su ghiandola pineale
e cuore, così da predisporre la mente a compartecipare ai movimenti reattivo-adattivi del corpo alle
stimolazioni sensoriali. La non intenzionalità è spiegata ne l’Homme con l’esempio dell’anima-fontaniere:
meccanismo automatico che si ispira all’ingegneria idraulica, modello per spiegare la non intenzionalità del
processo di innesco delle passioni e la natura vincolata del meccanismo reattivo e la simulabilità tecnica
delle passioni, da una soglia reattiva minima ad una massima, a seconda dell’intensità dello stimolo che le
innesca. Cartesio insiste sul ruolo del piccolo nervo che collega cuore e cervello; spiriti animali che vanno da
cervello a cuore per via nervosa agitano il sangue che manda al cervello spiriti che mantengono la passione
della paura, ovvero tengono aperti i pori del cervello che i conducono negli stessi nervi. Passioni si generano
già nella vita prenatale. Dio congiunge l’anima ad un corpo in formazione: Cartesio presenta lo stato iniziale
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del corpo come un insieme di fluidi organici dei due genitori; il calore produce grumi di particelle, la
pressione forma unità di materia che per fermentazione compongono strutture che si differenziano in cuore,
cervello, fegato ecc. Corpo si assembla senza un programma definito, la mente non è principio vitale e non
partecipa alla formazione del corpo. Nel corso della vita intrauterina, la mente è in grado di esercitare solo
funzioni (sensazioni, appetiti, passioni) preposte alla conservazione del composto. Sensazioni avvertite nella
mente del feto hanno disposizione affettiva, sono sentimenti e pensieri confusi perché l’anima è attaccata alla
materia. Funzioni mentali del feto si associano a movimenti metabolici che determinano il ripetersi delle
passioni; la prima ad essere avvertita è la gioia, dato che Dio infonde l’anima solo quando il corpo è
predisposto ad accoglierla. Passioni primitive (amore, odio, gioia, tristezza, desiderio) sono riferite nella loro
genesi al periodo prenatale; quindi ogni passione è la ripetizione di una protopassione fetale, un ricondurci
all’infanzia. Iniziale aderenza della mente ai bisogni del corpo condiziona la vita emotiva del soggetto ma
anche le credenze sulla natura di anima, corpo, mondo. Immersione della mente è tale da comportare quel
torpore cognitivo, incapacità di distinguere sé dal corpo nella percezione e riferire sensazioni a qualcosa di
esterno. Mente umana si appropria faticosamente e spesso parzialmente delle proprie facoltà innate. Errore e
pregiudizio hanno origine nel mio corpo, sentiamo dolore come se provenisse dall’arto, mentre è solo
nell’anima; avvertiamo paura come se causata dall’anima, ma è causata dal corpo. Fonte dei nostri errori,
confusione tra proprietà del corpo e della mente, eretta a sistema dalla Scolastica, deriva dall’esperienza
irriflessa che ogni essere umano ha dai primi istanti della sua vita, compenetrazione di mente e corpo.

3.4 Medicina e morale: il dominio delle passioni.


Errori sulle passioni dell’anima derivano da un triplice assunto: 1) anima è principio vitale del corpo; 2)
passioni causate dall’anima; 3) passioni sono malattie, stati d’animo nocivi al corpo. Per Cartesio le passioni
sono tutte buone purché se ne evitino usi eccessivi. Sono effetti della condizione incarnata dell’anima umana,
conseguenze delle leggi prescritte da Dio, che regolano processi fisici e psicofisici governanti le percezioni
avvertite come piacevoli o spiacevoli, benefiche o nocive. Sono metamorfosi di moti corporei in commozioni
dell’anima, si danno nell’interesse del corpo, si originano nei processi reattivi alle stimolazioni indotte nel
continuum psicofisico dagli oggetti con cui esso entra in contatto. Senza passioni la vita del composto mente-
corpo sarebbe insensata, mancherebbe dei motori originari della sensibilità e dell’azione (piacere e dolore) su
cui si fonda il carattere desiderabile dell’esistenza. Nelle passioni sono risposte “tutta la dolcezza e le felicità
terrene”. Passioni, nell’imporre alla volontà le necessità irriflesse del corpo, tendono a deprivare l’anima di
autonomia razionale e libertà di giudizio. Non ci sono pensieri che scuotano tanto la mente come le passioni,
che condizionano il nostro comportamento; nelle passioni si gioca il destino della libertà o della schiavitù,
della felicità o dell’infelicità, il banco di prova dell’autonomia del soggetto morale. Rapporto tra
temperamento e passioni, malattie del corpo e dell’anima: mezzo più efficace per rendere gli uomini più
saggi e abiti è l’intervento medico-terapeutico sul temperamento (Discorso del metodo, pt VI). Medicina che
si configura come uno dei rami del sapere, insieme alla meccanica e alla morale, emergente dal tronco della
fisica meccanicistica. Medicina cartesiana riconduce febbri e malattie a forme d’infezione sanguigna (umori
corrotti). Nel carteggio con Elisabeth si prefigura una medicina dell’anima, correlata all’analisi dei processi
fisiologici, capace di tener conto di quanto il buon uso delle energie emotive che sono alla base della
condotta della vita dipendendo non solo dall’equilibrio organico, ma soprattutto dal nostro equilibrio
interiore. Tra 1643 e 1649 Cartesio passa dalla mente al “vero uomo”, riorientamento che conduce all’esame
di un’individualità incarnata, in cui ha ampio spazio l’esame del potere dell’anima sulle passioni, dei riflessi
organici di condizioni psichiche personali (ansia, stati depressivi), all’influenza della vita emotiva sui
processi di salute e malattia. Elisabeth soffriva di melanconia. Cartesio aveva concesso a Elisabeth di pensare
l’anima come materiale, effetto della natura incorporata del soggetto, che spiega la forza esercitata
dall’anima sulla ghiandola pineale nella determinazione del movimento volontario e il suo grande potere sul
corpo, come provano i mutamenti di esso per collera e altre passioni, che possono portare a malattie e anche
morte. Sono utili in quanto fanno conservare all’anima pensieri che è bene conservare, sono dannose quando
fortificano e mantengono pensieri sui quali non è bene soffermarsi. La tristezza di Elisabeth va considerata,
come le altre passioni mal regolate dall’anima, come agente psichico dagli effetti fisici destabilizzanti
l’equilibrio organico. Medico galenico è terapeuta d’organi e interviene per loro tramite sulle facoltà
psichiche. L’approfondimento dei fenomeni emotivi in un quadro di una reciproca interazione causale tra
mentale e corporeo consente alla medicina cartesiana di pensare l’eziologia psicogena di alcune patologie
dell’individuo psicosomatico e di intervenire sulle malattie dell’anima attraverso procedimenti psicologici,
da integrare con dieta e regime. Cura cartesiana fa leva sul potere causale della mente sul corpo: malinconia
si cura con distogliendo dell’attenzione da pensieri spiacevoli, che s contrappone alla catarsi aristotelica,
come simile che scaccia il simile. Catarsi rimuove le passioni mediante il passaggio dalla compartecipazione
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di ciò che suscita timore e pietà a una contemplazione distaccata: piacere tragico stabilisce equilibrio tra
parte razionale e irrazionale dell’anima. Per Cartesio l’anima è una, e la lotta si riduce alla ghiandola pineale
che viene mossa dall’anima o dagli spiriti animali. Nelle passioni, la spinta degli spiriti animali sulla
ghiandola impedisce l’intervento della volontà su di esse, l’anima non dispone delle passioni. L’anima è
inclinata, quando affetta da passioni, a volere ci a cui il corpo è disposto, ma non vi è necessitata, per
Cartesio non c’è determinismo morale: libertà dell’anima deriva dal fatto di poter produrre i propri pensieri e
per loro tramite di intervenire, nei limiti corporei e dell’abitudine, su moti corporei e passioni. Anima ha
potere indiretto d’azione sul corpo, attraverso mediazione della rappresentazione delle cose che abitualmente
sono congiunte con le passioni che vogliamo avere e che sono contrarie a quelle che vogliamo respingere.
Dominio delle passioni esaurisce l’ambito del morale; controllo delle passioni si ha attraverso gestione e
correzione degli schemi associativi e ricorsivi che comandano la sfera emotiva, nell’azione indiretta della
volontà sui meccanismi neurocerebrali e cardiovascolari che ne sono alla base. L’abitudine dà vita a una
seconda natura, come dimostra l’addestramento degli animali. Piacere fisico indica all’anima non solo la
conservazione del corpo, ma anche la valutazione della forza di resistenza e di opposizione sul corpo alla
stimolazione nociva, percezione che ha l’anima della potenza del proprio corpo di autoconservarsi, il suo
costituire un bene che le appartiene in quanto unita al corpo e le dà gioia. Dolore indica all’anima non solo il
danno occorso al corpo, ma anche percezione della sua impotenza a resistere all’aggressione dello stimolo,
rappresentare entrambi come mali sempre spiacevoli, tranne quando causano qualche bene che l’anima stima
più di essi.

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