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G. Berruto
Fondamenti di sociolinguistica

• I La collocazione della sociolinguistica fra le scienze del linguaggio

Prime note sulla SL:


• È un settore degli studi linguistici, appartiene all'area delle scienze del
linguaggio più che a quelle sociali;
• I sociolinguisti si considerano, e sono prima di tutto, linguisti;
• Il suo oggetto di studio comprende fenomeni linguistici visti sotto l'angolatura
della dimensione sociale

"Riassumendo, possiamo dire che vi sono due oggetti specifici della SL; da un lato, i
tratti del sistema sensibili al contesto sociale (dove la parte spettante alla SL, in
confronto a quella della linguistica teorica, è scarsa; ma dove la linguistica teorica, o
autonoma, e la SL lavorano sullo stesso piano); dall'altro, l'uso sociale e il valore
sociale (manifesto o latente) presso i parlanti di, in principio, ogni elemento
realizzato dalla lingua (dove la parte di ambito della SL può consistere in tutta la
lingua; ma dove la SL lavora dopo la linguistica teorica, autonoma)."

"Hudson riassume in una semplice formuletta questa diversità di prospettiva,


definendo la SL come «lo studio della lingua in rapporto con la società», e la
sociologia del linguaggio come, viceversa, «lo studio della società in rapporto
con la lingua»; e Fasold ha ben diversificato le due impostazioni nei titoli dei suoi
due trattati gemelli di SL, che suonano rispettivamente «sociolinguistica della società»
e «sociolinguistica della lingua»."

• SL correlazionale (Labov): i fattori e le variabili sociali sono assunti come


indipendenti e non costituiscono oggetto di studio; il compito della SL è
di mettere in correlazione i fatti linguistici con quelli sociali, per
comprendere meglio i primi; l' accento è sulla struttura linguistica.
• SL interpretativa (Gumperz): il comportamento linguistico e i fatti sociali
sono almeno in parte co-determinanti, senza che si debba né si possa
stabilire una direzione prioritaria tra gli uni e gli altri; non è possibile capire
bene cosa succede se si separano i due aspetti, e l'attività verbale va
studiata come una forma di comportamento socio-culturale,
determinato in maniera essenziale dalle intenzioni del parlante e dal
rapporto che questi instaura fra la prassi comportamentale e la
rappresentazione che se ne fa.

• II Problemi e presupposti teorici della sociolinguistica

"In effetti, con l'etichetta di funzionalismo viene designata un'ampia gamma di


correnti teoriche o impostazioni metodologiche aventi in comune il fatto di ritenere più
importante, nel determinare i fenomeni linguistici e i modi in cui sono fatte le lingue,
l'uso che non la struttura; in altre parole, condividono il presupposto che ciò a cui le

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lingue servono determini caratteri specifici del modo in cui le lingue sono
fatte."

(pp.53>58): Varie impostazioni (le più importanti) funzionaliste, in linguistica

• La grammatica funzionale di Dik (1978;1983;1986;1989) > il sistema


linguistico è visto come un complesso di regole, strutture e principi
motivati dalle condizioni d'uso, la cui descrizione va fatta nei termini di
specifiche funzioni che la lingua assolve – le proprietà strutturali che non
trovano spiegazione funzionale sono ricondotte ad accidenti storici.
• La grammatica sistemica-funzionale di Halliday (1985) > "il linguaggio è com'è
per ciò che deve fare", il funzionamento del linguaggio è riflesso nella sua
forma
• Il funzionalismo cognitivo di Simone (1990) > le lingue portano nella loro
organizzazione strutturale la traccia del loro utente; la struttura del linguaggio
è determoinata in parte dall' apparato fisico dei suoi utenti umani (percezioni,
struttura muscolare, memoria etc.) - un funzionalismo meno volto al sociale e
più alla parte cognitiva (sempre funzionalismo resta, però)
• La corrente funzionale dello strutturalismo europeo di Martinet (1965) > il
funzionalismo dievnta una specie di tendenza immanente al sistema
linguistico, che si estrinseca nei rapporti di economia interna, simmetria degli
elementi
• Il funzionalismo tipologico di Givón (1984) > il linguaggio e la comunicazione
sono parte dei meccanismi cognitivi generali - correlazione tra funzione
e struttura; si tratta però di una relazione iconica (la struttura riflette la
funzione in maniera mediata e metaforica)
• La sintassi funzionale di Kuno (1987) > accetta il generativismo e vuole
fornirne solo un' integrazione ai problemi sul versante pragmatico – la SF di
Kuno sottolinea la funzione comunicativa degli elementi, in aggiunta alle
loro relazioni strutturali

e in sociolinguistica

• La sociolinguistica funzionalista di Labov (1987) > L. è critico verso la tendenza


a sovrastimare i fattori funzionali nella spiegazione della variazione e del
mutamento linguistico. – L. introduce la spiegazione funzionale del
mutamento linguistico - «if we allow functionalism to expand to include
every effect that facilitates the production or comprehension of speech, it would
become all-inclusive and empty at the same time»
• Il funzionalismo interno dello strutturalismo europeo (Jakobson, Martinet, poi
Vennemann) > insiste sull' ottimizzazione della struttura del sistema, non
privo di una dimensione teleologica, dato che ogni mutamento risulta in
quest'ottica come diretto a uno scopo che è quello di migliorare (o non
peggiorare) il sistema al fine di migliorare la comunicazione – il language
improvement di Vennemann (che chiama in causa anche gli utenti, è gia più
'esterno')
• Il funzionalismo generativista di Lightfoot (1979) > «principio di
trasparenza» secondo cui l'obietivo del mutamento linguistico è di evitare
l'eccessiva opacità di settori della grammatica: i rapporti fa struttura
profonda e struttura superficiale devono poter essere per il parlante sempre
recuperabili con un certo agio.

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▲ ‘Assiomi’ alla base della SL:

1. il sistema e le strutture linguistiche non sono direttamente osservabili, l’attività


linguistica sì Æ i dati della SL sono in parte oggettivi, verificabili, e in parte
soggettivi e non verificabili;
2. la lingua è proprietà sia individuale che collettiva Æ necessario un approccio
anche sociale per capire il linguaggio nella sua totalità;
3. assioma della variabilità linguistica: ogni lingua è varia al suo interno;
4. ogni persona è capace di usare più varietà linguistiche;
5. ogni persona parla in modo un po’ diverso dalle altre persone;
6. le diverse varietà di lingua hanno diverso status;
7. la quantità di conoscenze implicate nel conoscere e utilizzare una lingua è
grandissima e presumibilmente non delimitabile;
8. assioma della plurifunzionalità: gli scopi dell’attibità linguistica sono plurimi,
e le sue funzioni formano una lista aperta;
9. non tutti i livelli linguistici sono suscettibili di influenza da parte
dell’extralinguistico (da - a +: morfologia, sintassi, fonologia, semantica e
lessico, pragmatica);
10.non tutte le unità di analisi sono suscettibili di variare nella stessa maniera
(stessa scala dell’ ass.9);
11.possono avere rilevanza sociale fatti ed aspetti di tutti i livelli di analisi della
lingua;
12.l’attività linguistica può costituire un atto di identità;
13.assioma della pluridimensionalità linguistica: lo spazio sociolinguistico in
cui un parlante è collocato è pluridimensionale (socialmente e
linguisticamente);
14.relativismo sociolinguistico: la SL è molto legata ad uno specifico
paese\società\comunità e alle differenze fra essi;
15.oggerto di specificazione della SL sono i fatti sociolinguistici, dove lingua e
società si fondono;
16.assioma del plurilinguismo: è normale che un sistema linguistico coesista in
una società con (un) altro\i sistema\i linguistico\i.

• III Nozioni fondamentali e unità di analisi

▲ Comunità linguistica (vedi la fotocopia): in via preliminare, si può intendere c.l.


una comunità sociale in quanto condivida determinati tratti linguistici (ne parla più
avanti, p. 6)

Criteri per definire una c.l.:

• Lingua Æ c.l. sarà l’insieme delle persone che usano una data lingua
(«common language»).
• Base socio-geografica Æ comunanza di lingua + comunanza di stanziamento.
• Modelli di interazione Æ c.l. come aggregato umano caratterizzato da
un’interazione regolare.
• Atteggiamenti Æ c.l. = comunità che condivide una serie di atteggiamenti
sociali (pragm.).
• Autoidentificazione Æ c.l è un gruppo che si identifca come tale (crit. un po’
fumoso)

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▲ Repertorio linguistico (introdotto e teorizzato da Gumperz): si può definire r.l.


l’insieme delle risorse linguistiche possedute dai membri di una comunità linguistica, la
somma delle varietà linguistiche o di più lingue impiegate presso una certa comunità.
(Æ aggregato di varietà). Si intende non solo la somma delle lingue ma anche i
rapporti che corrono fra di esse, le scelte dei parlanti etc. (il r.l. di un italiano
comprende tutte le possbili varietà diastratiche, diafasiche e diatopiche, i dialetti, le
lingue speciali, i sottodici etc.).

Cardona: la nozione di r.l. è indipendente dalla comunità linguistica, può (anzi,


dovrebbe) altrettanto bene riferisi al singolo parlante.

▲ Varietà di lingua: Ogni membro riconoscibile di un repertorio linguistico


costituisce una varietà di lingua. Varietà di lingua è dunque in SL un concetto molto
generale e neutro.

“Ciò che individua una varietà di lingua è il co-occorrere […] di certi elementi, forme e
tratti di un sistema linguistico e di certe proprietà del contesto d’uso: […] una varietà
di lingua è designabile come il modo in cui parla un gruppo di persone o il modo
in cui si parla in date situazioni. […] «forme convenzionalizzate di realizzazione del
sistema» (Nabrings).

Varietà diverse possono essere caratterizzate non solo da presenza\assenza di tratti


peculiari , ma anche da diversità nella loro frequenza

“La nozione di varietà di lingua è preliminare al riconoscimento di lingue diverse; due


varietà con un certo grado di distanza strutturale possono essere
alternativamente ritenute varietà della stessa lingua o varietà di due lingue
diverse sulla base di fatti non linguistici (sentimento dei parlanti, convenzioni
socio-culturali, attribuzioni politico-ideologiche, importanza sociale ecc.), e non esiste
una soglia al di qua o al di là della quale due varietà diverse vadano considerate
varietà della stessa lingua o due lingue diverse. La designazione di lingua dipende
sostanzialmente da criteri e proprietà extralinguistici. ”

il sociolinguista vede la lingua come un insieme di varietà Æ diasistema


(Weinreich)

limite inferiore = singolo parlante Æ idioletto (Bloch)

Tre interpretazioni di «idioletto»:

• idioletto = varietà linguistica minima, l’insieme delle possibili realizzazioni


linguistiche di un parlante nel servirsi in un determinato lasso temporale
di una lingua per interagire con un altro parlante (Î un parlante può
possedere più idioletti) (Bloch);
• idioletto = intero complesso delle particolarità linguistiche di un parlante ( ≈
repertorio linguistico, quindi)

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• idioletto = modo di realizzare la lingua tipico di un parlante in un certo


insieme omogeneo di situazioni; in questo terzo senso il parlante avrebbe
[…] più idioletti; e l’idioletto tenderebbe d’altra parte […] a coincidere con la
nozione di registro.

▲ Competenza comunicativa: (Hymes) padroneggiamento del repertorio


linguistico da parte di un singolo parlante; condivide con la competence chomskyana
il fatto che si tratta di conoscenze (know-how) e non di attività pratiche - il concetto di
c.c. è la risposta alla domanda «che cosa vuol dire sapere una lingua?»

Hymes: «la c.c. è competenza riguardo a quando parlare e quando tacere, e


riguardo a che cosa dire, a chi, quando, dove, in qual modo.»

(Hymes) - La c.c. si articola secondo quattro parametri:

1. Se (e in qual misura) qualcosa è formalmente possibile;


2. Se (e in qual misura) qualcosa è realizzabile in virtù dei mezzi di
esecuzione disponibili;
3. Se (e in qual misura) qualcosa è appropriato in relazione al suo contesto
d’uso e valutazione;
4. Se (e in qual misura) qualcosa è effettivamente fatto, realmente eseguito.

Un esempio linguistico: un enunciato può essere grammaticale, difficile,


appropriato e raro.

Berruto: sette competenze che concorrono a costituire la globale c.c.:

• Linguistica (divisibile in fonologica, sintattica, semantica e testuale);


• Paralinguistica (elementi fonici; bisbigliare, distorcere la voce verso l’alto o
verso il basso);
• Cinesica (tratti prosodici);
• Prossemica (atteggiamenti spaziali, vicinanza\distanza);
• Performativa (forza illocutoria);
• Pragmatica (capacità di adeguare i messaggi alla situazione);
• Socio-culturale (massime di cortesia, attenzione al livello sociale ecc.)

Tre prospettive di interpretazione della relazione tra c. linguistica di Chomsky e


c.comunicativa di Hymes:

• la c.l. è una parte specifica della c.c.;


• la c.l. e la c.c sono sullo stesso piano, autonome e rivolte a sfere diverse
delle capacità umane;
• la c.l non esiste, è una mera atrazione inoperante (Hymes).

▲ Appropriatezza situazionale (Berruto): segue il 3° par. di Hymes, riguarda il


‘saper usare’ le competenze linguistiche, rispettando livelli, aspettative e paradigmi
sociali.

▲ Situazione comunicativa: (da parte sociologica di Schütze) costellazione in atto


di eventi che si sviluppano gradualmente in successione, in riferimento alla quale i
partecipanti danno un senso al corso dell’interazione, stabiliscono piani d’azione etc. -
più banalmente, la s.c. è l’insieme di circostanze, il luogo specifico in cui l’attività

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linguistica si esplica, […] suscettibili ciascuno di influenzare per qualche aspetto e in


qualche maniera il comportamento linguistico. (poi parla di Hymes, e già si sa)

Categorizzazione dei tre aspetti della situazione comunicativa di Halliday


(“variazione diatipica”):

1. campo Æ più o meno equivalente ad argomento, sfere di esperinza, sfere di


attività;
2. tenore Æ più o meno equivalente ai rapporti, personali e funzionali, tra ia
partecipanti;
3. modo Æ più o meno equivalente al mezzo.

▲ Status: posizione di una certa persona (o, per estensione, di un gruppo, una lingua
etc.) all’interno di una struttura sociale. Gli status sociali sono in linea di principio
stratificati in una gerarchia che risponde alla disuguglianza sociale. Il ruolo sociale è
l’insieme di ciò che ci aspetta da un certo status (educatore è il ruolo sociale dello
status di insegnante, etc.).

▲ Teoria dell’accomodazione: i parlanti dell’interazione verbale tenderebbero,


all’interno del repertorio a loro disposizione, a convergere verso caratteristiche del
comportamento verbale verso il modo, reale o attribuito, in cui parla l’interlocutore,
rendendo più simili i rispettivi modi di parlare.

Due principi alla base:


• nell’interazione si tenderebbe sempre a guadagnare l’approvazione del nostro
interlocutore;
• i partecipanti negoziano il buon andamento dell’interazione (cooperazione).

Bell: lo stile di un parlante in una data situazione è una risposta all’immagine che
egli si fa dell’interlocutore, e ne imita tratti considerati caratteristici del gruppo di
appartenenza (mah!).

Due aspetti della situazione:

• S.c. a carattere transazionale: (≈ formale) l’accento è posto sulle relazioni


di status, l’interazione mira allo scambio di ‘merci’ materiali o culturali. Le
s.c.t. sono regolate da norme sociali dettagliate e piuttosto rigide.
• S.c. a carattere personale (≈ informale): l’accento è posto sulla relazione
interpersonale dei partecipanti, sono visto non nel loro sttus ma ‘per se
stessi’ (mah!).

Fishman: situazione congruente \ incongruente (p.92)

Lingua, contesto situazionale e cooperazione dei partecipanti sono analizzati come


mutuamente interagenti nel determinare forma, contenuti e risultati dell’evento
comunicativo, in base all’assunzione che attività verbale e contesto, grazie al lavoro
interpretativo dei partecipanti all’interazione, si definiscono e ridefiniscono a vicenda
in un processo continuamente dinamico.

▲ Dominio: classe di situazioni (‘a cluster of interaction situations’, Fishman).


Domini sono, as esmpio, famiglia, vicinato, lavoro, istruzione, religione,
eventualmente ufficialità, vita militare ecc.

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due grandi famiglie di categorie.


Variabili sociali - relative alla diversificazione sociale (Æ strato s., gruppo s.);
Variabili demografiche - ricavate dalla distribuzione naturale della popolazione (Æ
classe generazionale).

▲ Strato sociale: è la prima variabile sociale studiata in correlazione a variazioni


linguistiche (studi di Bernstein, primi anni ’60). È un concetto problematico sia sul
versante sociologico sia sul versante politico, poiché fa riferimento i raggruppamenti
gerarchici in cui ogni società si articola (le classi sociali; vedi gli stessi problemi per
la definizione di ‘variazione diastratica’).

▲ Gruppo sociale: si limita a designare compartimentazioni, senza implicare


stratificazione sociali. Presuppone una componente geografica, la condivisione dello
stanziamento in un dato territorio. […] Gruppo implica anche la comunanza di
aspettative ed esperienze, ed è caratterizzato da solidarietà e coesione al suo interno.

▲ Comunità linguistica: sul versante sociale, è formata da più gruppi di parlanti.


I gruppi possono costituire entità stabili ma anche transeunti, che durano per il
periodo in cui insiemi di individui si trovano a condividere un certo insieme, anche
settoriale, di attività ed esperienze, per es. in certi domini (lavoro, scuola etc.).

▲ Età dei parlanti. L’e.d.p. è riconosciuta avere un ruolo evidente nella


differenziazione sociolinguistica […] l’appartenenza alla medesima generazione è
anche un fattore molto favorevole allo stabilirsi di gruppi sociali coesi
principalmente appunto da questo tratto comune.

(parla anche del sesso dei parlanti, ma non è molto tenuto in considerazione, a parte
qualche rilevazione statistica: p. 99-100)

▲ Rete sociale: la nozione di r.s. rappresenta un affinamento e sviluppo di quella di


gruppo sociale; per r.s. si intende infatti un insieme di persone che si conoscono e
che hanno contatti, e più precisamente l’insieme in cui un ego di riferimento
intrattiene rapporti comunicativi. Klein : “la r.s. è un gruppo effettivamente
interagente di parlanti […] legati tra di loro da vincoli di diversa qualità: amicizia,
parentela, vicinato [...]. ”

Proprietà interne alla rete sociale:


• Molteplicità (quantità di relazioni plurime);
• Densità (grado in cui i membri di una rete di un individuo sono a loro volta in
contatto fra loro);
• Frequenza e durata dell’interazione fra coppie di individui all’interno della
rete;
• Centralità dell’ego di riferimento

▲ Le ‘zone’ (di primo ordine) o strati della rete sociale:

1. Cella personale (parenti, amici stretti);


2. Zona utilitaristica (amici ‘strumentali’);
3. Zona nominale (conoscenze poco importanti su entrambi i piani precedenti);
4. Zona allargata (persone parzialmente conosciute):

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Ci sono poi varie reti di secondo ordine, formate da persone conosciute non dall’ego
ma dai membri della prima rete (gli ‘amici degli amici’)

Modello integrato di J. e L. Milroy: la nozione di rete e quella di classe sociale […]


sarebbero ben collegabili fra loro attraverso il concetto […] di modo di vita, secondo
una trafila quale: struttura politica e socioeconomica Æ modi di vita Æ struttura del
network Æ struttura sociolinguistica.

▲Prestigio: valutazione sociale positiva, ovvero […] la proprietà […] di essere


degno di imitazione, perché positivamente valutato sulla base di caratteri favorevoli
(di solito, perché collocati in alto sulla scala sociale).
(Status alto Æ prestigio alto e vcvs.)
“Una varietà di lingua da questo punto di vista ha prestigio, o è modello di prestigio,
nella misura in cui il suo possesso è condizione necessaria per l’ascesa nella
scala sociale e il progresso sul mercato del lavoro.”

Il prestigio di una lingua implica:

• Gli atteggiamenti linguistici favorevoli dei parlanti membri della com.;


• Il valore di simbolo della comunità attribuito alla (varietà di) lingua;
• L’essere veicolo di ampia e apprezzata tradizione letteraria;
• L’essere parlata dai gruppi sociali dominanti (‘prestigio sociale’).

▲Atteggiamenti: gli atteggiamenti linguistici sono tutti gli att. riguardanti lingue,
varietà di lingua e comportamenti linguistici, o che hanno comunque a che fare con la
comunità parlante (è un concetto un po’ vago, include giudizi, disposizione, schemi di
valutazione, composti da componeneti affettive e razionali etc.).

Le funzioni degli a.l.:

• Funzione utilitaristica (volti a guadagnare privilegi);


• Funzione di orientamento cognitivo (impongono un certo ordine concettuale
al mondo),
• Funzione di manifestazione di valori;
• Funzione di difesa dell’ego e dell’identità personale.

Pregiudizi (atteggiamenti formati a priori) e stereotipi (categorie prestabilite e


tendenzialmente irreversibili, basate su un’errata o infondata generalizzazione) sono
due tipi di a.l. .

Tecniche per calclare e studiare gli atteggiamenti linguistici:

differenziale semantico (dalla psicologia) Æ chiedere ai soggetti di collocare un


oggetto di valutazione in un punto di una serie di scale a sette valori compresi fra due
aggetivi polari. (poco soddisfacente)

matched guise Æ ideato da W.Lambert, consiste nel far ascoltare a dei valutatori
alcuni brani letti con diverse voci e e nel chiedere a questi di esprimere la propria
opinione collocandole nella posizione che sembra loro adatta secondo diverse
categorie prestabilite (carattere, personalità, status economico etc.). Funziona perché

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il soggetto in genere dà opinioni spontanee, e permette anche di delineare gli


stereotipi sociali.

• Lingua e stratificazione sociale

Bloomfield (1974): la più notevole linea di demarcazione nel nostro modo di parlare è
quella relativa alla lingua. (oggi pochi sottoscriverebbero questa affermazione)

▲ Stratificazione sociale: ogni ordinamento gerarchico di insiemi di persone diversi


in una società.

Due importanti prospettive in sociologia:


• P.marxiana Æ società marcatamente divisa in classi compatte, in
conflitto fra loro (le più basse con le più alte)
• P.funzionalista Æ basata sullo status e sul consenso, accentua
l’unitarietà sociale e la comunanza di valutazioni e aspirazioni in tutti
gli strati della comunità, favorisce la competizione individuale per la
mobilità sociale.

Due caratteri importanti:

• Continuità: la società è distribuita su una curva continua, senza interruzioni


fra strati - ci si avvicina o ci si allontana da una serie di ‘punti focali’, ciascuno
portatore di una norma diversa di comportamento, che attraggono in misura
diversa l’adesione da parte dei membri della società.
• Pluridimensionalità: si fa parte di una certa classe sociale in base a una serie
di dimensioni, le une oggettive, le altre soggettive.

(parla di Labov, ovviamente, e cita anche la ricerca a Martha’s Vineyard)

Sociologia ’60-’70: sulla base dei mezzi a disposizione, dell’influenza e del potere
sociale divisione della società in: alto ceto alto, basso ceto alto, alto ceto medio, basso
ceto medio, alto ceto basso, basso ceto basso.
In Italia, Sylos Labini: premesso che la stratificazione sociale è terreno scivoloso e
incerto, propone una classificazione sulla base del modo attrvaerso cui si ottiene un
certo reddito: borghesia, classi media urbane, coltivatori diretti, classe operaia e
sottoproletariato.

In sociolinguistica, il primo ad affrontare questi temi è stato Labov Æ tre fattori:


• Reddito
• Grado di istruzione
• Occupazione

( Î classe mdia, operaia e inferiore)

Trudgill:

• Ricchezza
• Tipo di abitazione

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• Luogo di abitazione
• Occupazione del padre

(Î media classe media, classe media inferiore, classe operaia superiore, media classe
operaia, media classe operaia, bassa classe operaia)

In sociolinguistica, ad una caratterizzazione della stratificazione sociale sembrano utili


più che altri 1) il tipo di scuola frequentata e 2) il genere di occupazione svolta.
Comunque, in SL è necessaria una nozione di s.s. non troppo dettagliata,
comprendente pochi strati; Berruto dice che in linguistica si potrebbe operare anche
solo con il grado di istruzione, tanto (dice) non esistono rapporti riduzionistici
tra lingua e società, la prima non si può ricondurre tout court alla seconda né
viceversa.
Inoltre, in SL importa piuttosto la collocazione relativa dei parlanti lungo la scala
sociale (alta\media\bassa) che non l’appartenenza assoluta di classe.

Tre fasi del pensiero di Bernstein:

1. classe Î linguaggio; classe bassa = ‘codice ristretto’ \ classe media =


codice ristretto + ‘codice elaborato’. L’accesso ai due tipi è mediato dai
ruoli all’interno della famiglia:: controllo posizionale (mantenimento rigido dei
confini) o controllo personale (verso gli individui);
2. i due codici, detti ora ‘codici sociolinguistici’, vengono definit in maniera
molto meno linguistica e molto più orientata verso criteri interazionali-cognitivi,
e introduce la divisione sociale del lavoro (che determina la classe, la quale
determina la famiglia etc.) (p.133);
3. sempre più verso l’astrazione (p.133)

a pag. 134-135 c’è un esempio applicativo delle teorie di Bernstein (tanto alla fine B.
dice che alla sociolinguistica Bernstein non è granchè utile, il concetto di ‘codice’ è
oscillante e poco chiaro: “occorre riconoscere, dopo tutto, che Bernstein ha poco o
nulla da dire al sociolinguista”)

▲Sanga:

Sanga intende le classi sociali nel senso marxista-leninista ortodosso, come gruppi
distinti (oppressi ed oppressori)per il posto che occupano e la funzione che assolvono
nel sistema dei rapporti di produzione (distinzione marxista fra struttura [= rapporti
economico-produttivi] e sovrastruttura [= complesso di atteggiamenti, istituzioni, idee
politiche, religiose ed etiche che, prodotte dalla struttura socio-economica, portano la
classe dominante a impegnarsi per conservarla contro gli interessi della classe
subalterna])

Î la lingua fa parte della sovrastruttura : «la lingua esiste soltanto nell’uso


concreto, attuale, storico. La struttura linguistica è una nostra astrazione dell’uso
linguistico, ed è dunque anch’essa determinata, come l’uso da cui è astratta, da cause
socioeconomiche.»
Î la lingua dipende dalla classe sociale: è attraverso la mediazione della classe
sociale che la lingua entra in rapporto con la società. Di conseguenza, i registri
linguistici sono prodotti diretti dell’appartenenza ad una classe sociale.

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L’articolazione linguistica della società dipende in senso causale dalla


divisione della società in classi.
(le classi hanno proprio una ‘lingua propria’, secondo S. )
Æ vedi fotocopia (140-141)

Berruto: le interrelazioni fra linguaggio e stratificazione sociale si possono semplificare


secondo tre ordini diversi di fenomeni:

1. interrelazioni a livello del sistema linguistico stesso (ling.- classe s.);


2. interrelazioni a livello del comportamento linguistico individuale, nell’uso
che i parlanti fanno di ciascuna delle varietà di lingua che hanno a disposizione;
3. interrelazioni a livello del repertorio linguistico, delle varietà di lingua a
disposizione del parlante.

Æ vedi fotocopia (144-145)

• L’analisi della variazione interna alla lingua

La variazione diastratica include anche (secondo B.) etnicità, sesso, classe


generazionale.

(poi parla di registri e sottocodici, e già sappiamo)

“Una differenza importante fra le varietà diastratiche e quelle diafasiche è data dal
fatto che le prime sono legate univocamente al parlante […] mentre le seconde non
lo sono (ogni parlante avrà a sua disposizione più varietà diafasiche)”

ogni realizzazione concreta ha una collocazione sui tre assi (diastratia, diafasia,
diatopia [e anche diamesia, direi])

▲Continuum: designa la natura della lingua come gamma di varietà e, in particolare,


la natura delle dimensioni di variazione. Ci si riferisce in primo luogo al carattere dello
spazio di variazione di una lingua, o di un repertorio linguistico, che non conosce
compartimentazioni rigide e ben separate ma appare costituito da una serie
senza interruzioni di elementi varianti e, conseguentemente, al fatto che le
varietà di una lingua sono in sovrapposizione e si sciolgono
impercettibilmente l’una nell’altra senza che sia possibile stabilire limiti rigorosi,
confini certi di dove finisce una varietà e ne comincia un’altra.

(fa un riferimento alla creolistica, analisi delle comunità in termini di continuum etc.,
p.154)

Il contiuum, tuttavia possiede discretezza: è cioè possibile rintracciare dei punti di


discontinuità [Holenstein fa il paragone con le gradazioni di colore, che sembrano un
contiuum indistinto in cui le gradazioni si sciolgono una nell’altra, ma in realtà nel
momento in cui, ad esempio, nel verde non c’nemmeno è più un punto di giallo la
transazione dal verde al giallo è completata, e quel punto è un ‘punto focale ‘ del
continuum]

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Æ ‘continuum con addensamenti’ (Stehl usa il termine ‘gradatum’), in cui le


varietà principali dell’architettura della lingua corrispondono a dei raggruppamenti
significativi

▲ Variabili sociolinguistiche: Labov detiene la paternità del termine, che indica


ogni insieme di modi alternativi di dire la stessa cosa, di realizzazioni diverse di
un’unità o entità del sistema linguistico. Più tecnicamente, qualunque variabile
linguistica che vari in concomitanza con variabili sociali, relative al contesto
extralinguistico. Ogni valore che può assumere la variabile è una ▲variante
sociolinguistica.

Due casi:
1. variazione libera: le variabili variano in maniera del tutto indipendente dal
contesto (caso raro e non pertinente alla SL) ;
2. variazione sociolinguisica: quelle che si trattano qui (legate al contesto).

▲ Strutture sociolinguistiche: altro termine di matrice laboviana, la s.s.


rappresenta il comportamento di una variabile sociolinguistica all’interno di un
certo corpus (si rappresenta con un diagramma cartesiano, vedi il suo saggio sul
Giannini-Scaglione).

(Labov: la v.s., per essere tale, deve 1) avere una frequenza elevata, 2) sfuggire al
padroneggiamento cosciente del parlante, 3) fare parte di una struttura
linguistica più ampia e 4) essere quantificabile su una scala lineare)
Due di problemi riguardo le variabili sociolinguistiche:

• problema metodologico:
la nozione di v.s. si regge sul postulato del mantenimento dell’uguaglianza
di significato (principio dell’equivalenza semantica), cioè implica che i
diversi valori assunti da una variabile non tocchino il significato o la funzione
dell’unità interessata: diventerebbe infatti problematico parlare di varianti se
una o l’altra delle forme alternative facesse mutare in qualche misura e per
qualche aspetto il significato o più genericamente la funzione dell’unità di cui
quelle forme sono realizzazioni. Questo non dà problemi al livello fonologico (si
lavora con allofoni di un fonema, che per definitionem non hanno valore
distintivo) né, tutto sommato, al livello morfologico (allomorfi di un morfema); il
problema sorge però ineluttabile in sintassi e in lessico, e a maggior ragione in
pragmatica; fino a che punto è possibile dire che le varianti hanno tutte lo
stesso significato, che «valgono la stessa cosa», e trattarle quindi allo stesso
livello delle varianti a livello fonologico?
Esempio: a livello morfologico è noto il caso della realizzazione del clitico di 3°
pers. sing. in italiano, che può variare da gli\le a gli generalizzato (con
neutralizzazione dell’opp.) a ci sovraesteso (e generalizzato con neutr.). Ė una
variabile sociolinguistica (quantificabile come covariante con tratti sociali)? Si
possono trattare metodologicamente allo stesso livello delle varianti fonologiche
(che di sicuro variano legate a tratti sociali, vedi Labov etc.) ? Il sistema è lo
stesso, o sono più legate al lato pragmatico (e quindi strettamente contestuale
e contingente)?

• problema sostanziale:
quali tipi di unità o elementi del sistema linguistico, e a quali livelli di analisi,
sono preferibilmente suscettibili di variazione e si prestano a funzionare da

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variabili sociolinguistiche? È casuale che siano certi tipi a variare e non altri, o
c’è una spiegazione? Ad oggi, pare proprio che i tratti linguistici suscettibili di
recare significato sociale siano largamente casuali e arbitrari; questo
fondamentalmente perché la marcatezza sociale non è una proprietà
inerente alle manifetsazioni del sistema linguistico, bensì è mediata dal
gruppo sociale che realizza tali manifestazioni.
B. propone di considerare tendenzialmente più favorita a livello ‘basso’ la
variante più semplice, più naturale, meno linguisticamente marcata, e il
contrario al livello alto.

▲Regole variabili: regola della stessa natura formale delle regole grammaticali
generative, la cui forma generale è: X Æ <Y>\Z , che vale «riscrivere
variabilmente X (o: X diventa variabilmente) come Y nel contesto Z» (Æ
fotocopia)

(alla fine liquida il tutto tacciando il metodo - e chi lo sostiene - di scarsa attualità e di
utilità meramente quantificativa e non esplicativa)

• La differenziazione nel repertorio: appunti di sociologia del


linguaggio

Ridefinizione dello status in questo contesto:

▲ Status: (potenziale, de jure) quello che si può fare con un sistema linguistico, dal
punto di vista pratico, legale, culturale, economico etc. all’interno di una certa entità
di riferimento.

▲ Funzione (attuale, de facto) si intende invece ciò che effettivamente con un


certo sistema linguistico viene fatto, ciò a cui un sistema linguistico serve in una
società.

(di solito status Ù funzione, con qualche eccezione)

(nb: ‘funzione’ si intende ‘del sistema linguistico nella società’, nulla a che vedere con
le ‘funzioni della lingua’ o dei segni linguistici.)

Fasold Æ ▲Attributi proprietà che un sistema linguistico deve avere per poter
svolgere una certa funzione e per poter godere quindi di un certo status.
Discrepanze fra status e funzione ci sono, ad esempio, quando un sistema linguistico
(in un certo paese, o altra entità socio-politica) non possiede, o possiede in misura
insufficiente, (tutti) gli attributi necesari all’adempimento di una certa funzione. Per
es., l’italiano in Svizzera (dove è lingua ufficiale) non può contare, a livello della
Confederazione Elvetica, su quadri di cittadini colti che lo padroneggino bene
comparabili con i quadri che padroneggiano bene le altre due lingue ufficiali della
confederazione, tedesco e francese.

▲ Componenti che determinano lo status di una lingua:

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Dimensione geo-politica:

• Area o territorio di diffusione di una lingua:


ƒ lingue locali;
ƒ lingue di ampia comunicazione;
ƒ lingue franche (analoga alla lingua veicolare);
ƒ lingue veicolari (uso utilitaristico in situazioni
multietniche, pidgin);
ƒ lingue policentriche (dachsprache, uberdacht \ dachlos
etc.).

• Sistemi sociali e istituzioni di riferimento:


ƒ Lingua nazionale;
ƒ Lingua internazionale (lingue di lavoro di organismi
internazionali);

• Statuto giuridico e legale delle lingue:


ƒ Lingua ufficiale (tedesco in Germania);
ƒ Lingua ufficiale aggiunta paritaria (svedese in
Finlandia);
ƒ Lingua ufficiale regionale (catalano in Spagna);
ƒ Lingua promossa (non riconosciuta ma favorita,
spagnolo negli USA);
ƒ Lingua tollerata (basco in Francia);
ƒ Lingua proscritta (catalano, basco e gallego in Spagna
con Franco)

Dimensione socio-demografica:

• Numero e tipo di parlanti: lingua di maggioranza vs lingua di


minoranza;
• Caratteristiche socio-culturali dei parlanti (Æ status);
• Domini d’impiego (se l’uso è generalizzato, o limitato solo ad
alcuni).
Dimensioni linguistiche:

• grado di elaborazione Æ Kloss: grado di Ausbau (vedi schema p.


211);
Kloss propone anche una classificazione di sei tipi di lingua, sulla base
dell’Ausbau:
ƒ 1° lingua standard (matura e pienamente sviluppata);
ƒ lingua standard ‘giovane’ (codificata di recente per scopi
specifici);
ƒ 6° lingua preletterata (priva di uso scritto)
(B. ne cita solo tre, tanto per es.)

• grado di standardizzazione:
ƒ fatto che esista un codice di riferimento (manuali,
norme etc.);
ƒ contiene almeno una varietà standard;

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ƒ autonomia vs. eteronimia del sistema linguistico


(p.213),

• grado di vitalità Æ continuità dell’uso e della tradizione


(qualcuno parla similmente di language vigor, intendendo che il
possesso della lingua sia requisito necessario per essere accettati in
società e non discriminati)

Ma che cos’è una ‘lingua’?

• nozione linguistica Æ sistema linguistico, organizzato in sottosistemi a diversi


livelli d’analisi;
• nozione variazionistica Æ somma di varietà linguistiche, formanti un
diasistema,
• nozione sociolinguistica Æ sistema socialmente sviluppato (grado di ufficialità,
status etc.).

▲ Kloss

- Abstandsprache Æ lingua per distanziazione


- Ausbausprache Æ lingua per elaborazione: presenza di manuali scientifici, uso
nell’accademia: le lingue per Ausbau sono sistemi linguistici
socialmente evoluti.

Ad esempio, tra le lingue storico-naturali:

1) lingue sia per Abstand che per Ausbau: italiano, francese, tedesco, cinese.
2) lingue solo per Abstand: in Italia il romani.
3) lingue solo per Ausbau: Kloss cita il gallego rispetto al portoghese, lo
slovacco rispetto al ceco e il còrso rispetto all’italiano.

Per Ausbau il discorso è chiaro, per Abstand è un po’ più problematico, resta da
definire la norma: quanto devono essere distanti due lingue perché si parli di
Abstand, ovvero per essere due lingue diverse e non due varietà della stessa
lingua?

• Parentela genealogica, appartenenza allo stesso ramo: lingue di famiglie


diverse sraanno tra loro più lontane che lingue della stessa famiglia. Ma questo
criterio non aiuta nei casi critici, ad esempio sardo e bergamasco sono
considerati dialetti dell’italiano, pur passando fra essi più differenza strutturale
che fra italiano e francese.
• Reciproca comprensibilità: anche questo criterio è inaffidabile poiché capita
che la comprensibilità risulti asimmetrica, a causa di atteggiamenti
extralinguistici dei parlanti (politici, sociali, economici). Ad esempio, può
accadere che i parlanti X non capiscano o affermino di non capire Y mentre Y
capiscano o affermino di capire X. (es., bulgaro e macedone).
• Coscienza linguistica dei parlanti: valutazione sociale etc, ma è un criterio
troppo vago e aleatorio, difficilmente oggettivabile.
• Criterio lessicostatistico (Swadesh): consiste nel calcolare quanta parte del
lessico fondamentale, non esposto (parti del corpo, piante, animali etc.) due

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lingue abbiano in comune. Secondo certi autori, due lingue con in comune
più dell’81% di lessico fondamentale dovrebbero essere considerate varietà
della stessa lingua.
• Differenza strutturale vera e propria: a tutti i livelli di analisi del sistema
linguistico, ma è un metodo pressochè impraticabile (la mole sarebbe immensa
e complicata da mettere in relazione).

Secondo B., una oculata combinazione di questi criteri permetterebbe di raggiungere


discreti risultati.

- sistemi linguistici con massimo Ausbau e massimo Abstand (italiano, tedesco,


giapponese);
- sistemi linguistici con massimo Ausbau ma scarso Abstand (neerlandese);
- sistemi linguistici con massimo Abstand ma scarso Ausbau (molte lingue
africane);
- sistemi linguistici con discreto Abstand ma scarso Ausbau (sardo - sicuro?)
- sistemi linguistici con minimo Abstand e minimo Ausbau (molti dialetti locai
italiani)

La nozione di Ausbausprache ha molto in comune con quella di lingua standard.

Garvin e Mathiot Æ definizione di lingua standard secondo:

• Stabilità flessibile;
• Intellettualizzazione;
• Funzione di modello di riferimento;
• Funzione di prestigio;
• Funzione unificatrice (interna);
• Funzione separatrice (esterna);

Parlando di dialetti, Coseriu distingue in


• Dialetti primari (varietà geografiche coetanee da cui si è sviluppata la varietà
standard: piemontese, veneto, fiorentino etc);
• Dialetti secondari: gli ‘italiani regionali’ differenziazioni diatopiche posteriori
alla varietà standard.

- Fenomeni di avvicinamento linguistico ‘livellamento dialettale’, una convergenza


dei dialetti verso lo standard (formazioni di koiné, varietà di compromesso fra le
varietà locali)

▲ Diglossia (Ferguson): situazione in cui

• Esistono vari dialetti primari della lingua (varietà LOW);


• Esiste una varietà sovrapposta (varietà HIGH);
• C’è stabilità di coesistenza tra L e H;
• La varietà H è sensibilmente diversa dalle altre;
• La varietà H è veicolo di una prestigiosa tradizione letteraria
(ahi…)
• La varietà H è altamente codificata e standardizzata;
• La varietà H è insegnata a scuola attraverso istruzione formale;

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• La varietà H è impiegata per quasi tutti gli scopi scritti e formali;


• La varietà H non è usata in alcun settore della comunità per la
conversazione ordinaria.

(categorizzazione problematica, è abbastanza lampante comunque p.231-232)

Kloss ha proposto in-diglossia (H e L appartengono allo stesso codice) e out-diglossia


(sono lingue diverse)

Mioni propone sette tipi di repertorio linguistico:

• Lingua standard A + varietà regionale o dialetto B (dialia: Italia,


Germania);
• Lingua standard A + lingua di minoranza e il dialetto della zona circostante
entrambi B (le aree albanofone dell’ Italia meridionale);
• Lingua standard e lingua standard della minoranza entrambe A + dialetto
della minoranza B (Alto-Adige, Sudtirol);
• Varietà standard di A + varietà substandard di B (bidialettismo: paesi
monolingui, Inghilterra o Ile-de-France);
• Esolingua A + lingua franca di diffusione sovraregionale e varietà
vernacolare entrambe B (Africa centro-sud);
• Esolingua e lingua nazionale entrambe A + varietà vernacolari B (paesi
africani che hanno sviluppato uno standard: Tanzania, Somalia);
• Esolingua A + varietà vernacolari B (paesi africani senza standard, Liberia,
Ciad, Costa d’Avorio)

▲ Ludi propone spazi di variazione della diglossia (espace variationnel):

• Distanza linguistica (grado di parentela);


• Tipo ed espansione della comunità
o Territoriale (da locale a sovranazionale)
o Intersezione fra i gruppi parlanti di due codici (assenza \ presenza
generale di bilinguismo)
o Esistenza della diglossia (da singolo individuo a inera comunità)

• Complementarietà funzionale
o Sovrapposizione minima \ media \ massima delle funzioni
o Rigidità, media \ minima \ massima
o Stabilità minima \ media \ massima della ripartizione funzionale

• Standardizzazione
o Sviluppo di una scrittura (non scritta \ varietà scritta non letteraria)
o Elaborazione (Ausbau)
o Istituzione di una norma prescrittiva (minima \ massima)

• Tipo di acquisizione dei codici (appr. istituzionale [guidato] \ acquisizione


spontanea [naturale])

• Differenza di prestigio tra le due varietà

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(è una categorizzazione in parte duttile e utile, ma presenta qualche problema, al


solito di carattere definitorio: dov’è lo standard? Le variazioni sono ‘minime’ e
‘massime’ in base a quale punto focale?)

Berruto propone il concetto di ▲dilalia, in opposizione a quello problematico di


diglossia, che non spiega - ad esempio - la situazione italiana.

▲Criteri per la dilalia:

1. coesistenza di due lingue diverse (nel senso di Abs. e Ausb.);


2. sensibile diversità fra A e B;
3. uso di entrambi i codici nella conversazione ordinaria;
4. chiara differenziazione funzionale fra i due codici;
5. sovrapposizione di domini fra A e B;
6. standardizzazione della varietà B;
7. varietà B socialmente marcato e\o stratificato;
8. esistenza di un continuum di sottovarietà fra A eB;
9. alto prestigio della varietà A;
10.presenza di entrambe le varietà nella socializzazione primaria;
11.possibilità di promozione della varietà B a codice A alternativo;
12.frequenza del code-switching e di enunciazione mistilingue;
13.presenza di una tradizione di impiego letterario della varietà B.

(vedi fotoc. 244)

La dilalia si differenzia fondamentalmente dalla diglossia perché il parlato A è usato


anche nella conversazione usuale, e perché non vi sono restrizioni categoriche
all’uso dell’una o dell’altra (vi sono cioè ambiti in cui l’uso dell’una è sovrapposto o
alternativo all’altro)

Differenza plurilinguismo di diritto \ plurilinguismo di fatto (abb. intuitiva)

Mioni Æ distinzione bilinguismo monocomunitario (tutta la comunità è


bilingue: Val d’Aosta)
bilinguismo bicomunitario (una parte è bilingue, l’altra no:
Belgio)
(vedi fotoc.)

▲ Gumperz e le funzioni del code-switching (ci sono anche sul G-S, ma qui sono
più chiare):

1. citazione (di un discorso diretto, ad es.);


2. specificazione del destinatario;
3. interiezione (esclamazione);
4. ripetizione;
5. qualificazione del messaggio (commento o specificazione di quanto detto in
una lingua);

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6. personalizzazione vs. oggettivazione (coinvolgimento\distanziamento


del parlante o rispetto a quanto detto o rispetto ai gruppi e valori sociali di
riferimento Æ we-code \ they-code)
(7. inclusione \ esclusione del\i partecipante\i, direi)

Pizzolotto aggiunge:

• riempimento di lacune lessicali;


• scopo ludico;
• sfruttamento di potenziali connotativi della lingua;
• sottolineatura della particolare identità di un giovane immigrato (due
culture).

Distinzione code-switching \ code-mixing (‘enunciazione mistilingue’, all’interno di


uno stesso enunciato).

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