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ISSN 2465-2415
Introduzione
L’intento di questo articolo è quello di sviscerare la possibilità di leggere la figura
di Moana Pozzi come un prodotto culturale della malinconia degli anni Ottanta. La
star, che ha vissuto il suo massimo fulgore durante la crisi epidemica di AIDS,
ammalatasi di cancro al fegato, scelse il massimo riserbo, smettendo di calcare le scene
e impedendo che la sua immagine pubblica venisse avvolta dallo spettro della
sofferenza e della morte. Per comprendere gli effetti della portata malinconica di una
figura caposaldo della pornografia e della cultura popolare italiana, si è ritenuto
opportuno operare una contestualizzazione del periodo storico degli anni Ottanta,
caratterizzato dalla crisi delle grandi ideologie, cercando di analizzare le ricadute dal
dibattito femminista sul porno nel contesto italiano, conservatore e culturalmente
pudico. Il concetto di malinconia, definito tramite gli strumenti dell’analisi freudiana e
dell’opera di Julia Kristeva, verrà interpretato alla luce delle dinamiche dei rapporti di
genere, riscontrati nella lontananza e nel senso di misurato distacco comunicato dalla
gestualità e dall’abbigliamento di Moana Pozzi. Si sostiene che la possibilità offerta
dalla bellezza canonica di Pozzi di arroccarsi su un’eleganza convenzionale, più
congeniale al cinema tradizionale che a quello pornografico, ne abbia, in una certa
misura, decretato il successo e permesso l’ingresso in settori della cultura popolare
“lecita”, come la televisione, la politica e la moda. L’analisi, trattata anche attraverso un
close reading di alcune opere in cui compare la diva, si propone di restituire alla figura di
Moana Pozzi i connotati peculiari e di congiungere prospettive metodologiche come la
sociologia e i porn studies.
Gli anni Ottanta fra malinconia e kitsch
Gli anni Ottanta del Ventesimo secolo si sono distinti come un periodo di estrema
ambivalenza culturale, espressa, ad esempio, attraverso il pensiero postmoderno.
Fredric Jameson, analizzando la logica culturale del tardo capitalismo, descrive un
appiattimento della profondità storica attraversato da un senso di nostalgia immediata.
La fine delle grandi narrazioni è un momento di consumismo sfrenato e di intense
manifestazioni culturali e artistiche che riflettono la crisi del periodo, come avviene, ad
esempio, per il cosiddetto cinema della nostalgia, definito da una “stranezza visiva
spersonalizzata”, secondo la definizione dello studioso (Jameson 1989, 51). Proiettare
su un piano sociale e collettivo il disperato tentativo di riappropriarsi di un passato
perduto significa scontrarsi con la ferrea legge della trasformazione della moda e del
cambio generazionale. Il successo del pastiche evidenzia l’incompatibilità delle istanze
nostalgiche con una storicità autentica, con difficoltà che riverberano anche nella
cultura popolare, dove il familiare universo della moda e della pubblicità risulta
straniato dal senso di sovrapposizione di segmenti temporali.1 Questo gusto nostalgico
innesca un processo di oggettificazione della realtà, tale da invertire la tendenza a farsi
immagini dei prodotti commerciali, instaurando una reificazione dell’immaginario,
come dimostra il nuovo processo di creazione di stelle e di celebrità del cinema,
difforme dall’esperienza storica precedente. Come sostiene Jameson, il postmodernismo
è una forza culturale che abbraccia gli aspetti schlock o kitsch della cultura popolare,
caratterizzata dalla trasformazione oggettuale e dalla cultura del consumo, dei cui
1 A questo proposito Jameson sottolinea la capillarità della teoria di Debord (2001, 38) che vede
l’immagine come la forma finale del processo di reificazione. È il caso della creazione di celebrità e di
stelle del cinema, come Moana Pozzi.
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2 Secondo Lyotard, il tentativo di suggerire nuove presentazioni delle immagini non è atto a
facilitarne il godimento, quanto piuttosto a trasmettere un senso più forte del non presentabile (1979,
108), suggerendo lontananza e assenza e suscitando nostalgia nel pubblico.
3 Il senso di lontananza dallo status desiderato produce un senso di malinconia il cui significato verrà
analizzato in seguito.
4 Come scrive Anthony Elliot, in caso di decesso, una star è destinata a trasfigurarsi in un vero e
proprio oggetto di lutto e di fantasia, su cui il pubblico fedele proietta intensi sentimenti di speranza e
paura (2018, 113).
5 Per una trattazione più approfondita del concetto di convergenza si veda il noto saggio del 2006 di
Henry Jenkins, Convergence Culture. Come sottolinea lo studioso, è la collisione fra nuovi e vecchi media a
determinare le caratteristiche dei prodotti culturali moderni, di cui è parte anche lo star system.
6 Per una trattazione più approfondita del fenomeno del kitsch si veda Emiliano Morreale, secondo
cui il kitsch “non è un bene attivo ingenuamente infuso con la brama di un’immagine desiderata, ma
piuttosto, un bene fallito che parla continuamente di quel che ha cessato di essere” (2009, 33).
7 Come verrà dimostrato nella sezione La distanza fra Moana e le altre.
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9 Come scrivono Federico Zecca e Giovanna Maina in Le grandi manovre (2012, 59-61), la
progressiva erotizzazione della cultura italiana iniziata negli anni Sessanta è caratterizzata
dall’esplosione delle scene di nudo nel cinema, dal successo e dalla diffusione delle riviste per adulti,
come Playmen o Le Ore.
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TORRE, MALINCONICA MOANA, MORTE E MALATTIA SULLO SFONDO DEL PORNO ITALIANO
10 In Realismo Capitalista, Mark Fisher si occupa di ampliare la dinamica nostalgica a campi artistici
come la musica, osservando come la retromania in ambito culturale ben si combini con la temporalità
gradualmente imposta dal neoliberalismo a livello economico e politico, nella quale il futuro non potrà
che essere una qualche riproposizione del presente: “There is no alternative”, vaticina Margaret
Thatcher (cit. in Fisher 2018, 15). In un tale contesto, non importa cosa si rimpianga oggi: l’industria
culturale ha abbastanza prodotti più o meno consapevolmente retrò da soddisfare ogni gusto.
11 Secondo Jameson, non è chiaro fino a che punto questi molteplici impulsi utopistici si siano
prolungati negli anni Settanta e Ottanta; per esempio, Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood (1985)
è stato giudicato come la prima “distopia” femminista, e, dunque, la fine del ricchissimo contributo
femminista all’interno del genere utopico (1992, 216).
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TORRE, MALINCONICA MOANA, MORTE E MALATTIA SULLO SFONDO DEL PORNO ITALIANO
12 Nonostante, come riporta Ellen Willis, il sesso non sia una “funzione” isolata, ma un’esternazione
legata ad emozioni, modi di essere, principi e valori personali, salvaguardare la relazione rassicurante dei
rapporti di genere significa preservare un certo pubblico dalle conseguenze dell’esplosione del un
sistema di potere esistente (2014, 176).
13 Per un approfondimento sul panorama della stampa italiana per adulti si veda l’ultimo lavoro di
rivenditori professionali della stampa periodica e dei librai dalla responsabilità derivante dagli articoli
528 e 725 del codice penale e dagli articoli 14 e 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. “Non sono punibili
per i reati previsti dagli articoli 528 e 725 del codice penale e dagli articoli 14 e 15 della legge 8 febbraio
1948, n. 47, i titolari e gli addetti a rivendita di giornali e di riviste per il solo fatto di detenere, rivendere,
o esporre, nell’esercizio normale della loro attività, pubblicazioni ricevute dagli editori e distributori
autorizzati ai sensi delle vigenti disposizioni. La stessa disposizione si applica ai titolari ed agli addetti a
negozi di vendita di libri e pubblicazioni non periodiche, salvo il caso che essi operino di concerto con gli
editori ovvero con i distributori al fine specifico di diffondere stampa oscena. Le disposizioni di esonero
di responsabilità di cui ai commi precedenti non si applicano quando siano esposte, in modo da renderle
immediatamente visibili al pubblico, parti palesemente oscene delle pubblicazioni o quando dette
pubblicazioni siano vendute ai minori di anni sedici. In tale caso la pena è della reclusione sino ad un
anno. Nei casi in cui il reato previsto dall’articolo 528 del codice penale sia commesso da un editore di
libri o stampa periodica si applica la pena della reclusione da uno a tre anni.”
15 Le influenze di marchi come Playboy o Hustler hanno effetti anche verso la metà degli anni Novanta,
quando iniziano ad essere utilizzati come marchio o decorazione per capi di abbigliamento e gadget.
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più attivi nella difesa del pudore, concorda con alcune case editrici la possibilità di
tenere le loro riviste nelle edicole, a patto che le copertine siano prive di immagini ed
espressioni oscene e che sia esposta e ben visibile la dicitura “vietato ai minori”.
Tuttavia, nonostante l’apparente permissività, sussiste, nel contesto italiano, una
ritrosia a mostrare l’osceno, come dimostra la differenza fra i prodotti originali italiani
e le versioni per il mercato estero, che presentano rinforzi di scene hard. In questo
senso, fra i prodotti audiovisivi pornografici italiani degli anni Settanta, è necessario
sottolineare l’importanza della figura di Joe D’Amato, regista horror di culto di opere
come Sesso nero, girato nel 1978 e considerato il primo film pornografico italiano, o la
serie erotica Emanuelle nera del 1975, nata per il mercato nazionale come un progetto
softcore. Tra i primi praticanti del video in Italia si distingue, inoltre, Mario Salieri,
che, in una dimensione altrettanto influenzata dall’estetica cinematografica (Adamo
2004, 12), “serializza” i prodotti invece dei marchi: diventa comune l’espressione della
sessualità di fronte alla videocamera in costumi e formati immediatamente
riconoscibili. Se si intende storicizzare il cinema pornografico italiano, questo processo
è particolarmente significativo perché propedeutico al passaggio dal cinema alle
videocassette pornografiche, così come il mutamento, destinato a terminare nel
decennio successivo, che coinvolge gli interpreti dell’hard, che passano dalla categoria
di attrici/attori a quella di performer. In questa fase, la selezione avviene in base al
grado di qualità estetica dei corpi da riprendere in forma ravvicinata, con specificità da
etichettare immediatamente come pornografiche,16 che contribuiscono a costruire una
cultura definita dall'immagine e dalla circolazione incessante delle immagini.17
Fantastica Moana
Il personaggio Moana Pozzi è contraddistinto dall’aderenza dei connotati della sua
figura pubblica e di quella pornografica, che è sempre vistosamente diversa da quella
delle altre donne. Moana è immediatamente riconoscibile tanto sul lavoro quanto nelle
apparizioni televisive, che la vedono circondata da donne “meno avvenenti di lei e
vestite con abiti più castigati” (De Maria e Santangelo 2015, 184). Il peso simbolico ne
determina l’attenzione a un tipo di estetica curata e canonicamente femminile, che sulla
scena pornografica si riscontra nel viso truccato, nella pettinatura e nella mise non
dissimili da quelle sfoggiate nella vita pubblica. L’abito rosso esibito in diretta con
Pippo Baudo a Tutti a casa è solo meno scollato di quello che indossa nella locandina di
I vizi segreti degli italiani, il cappotto che le copre le spalle in Cicciolina e Moana
Mondiali non è molto diverso dalla pelliccia indossata in vista delle elezioni politiche
del 1992. La grammatica a monte del personaggio di Moana Pozzi prevede che l’attrice
non venga ricordata tanto per le sue gesta di pornostar quanto per la sua statuaria
bellezza, adatta al cinema tradizionale e al grande pubblico. Descritta da Santangelo
16 In “Le grandi manovre. Gli anni Settanta preparano il porno”, Giovanna Maina e Federico Zecca
descrivono la liberalizzazione globale della pornografia come “un percorso globale e di lunga durata,
determinato da una serie di graduali mutazioni storico-politiche, socio-culturali, etiche e tecnologiche
che caratterizzano il Novecento nella sua interezza” (Maina e Zecca 2012, 59). Come afferma il titolo del
saggio, gli anni Settanta “preparano il porno”: nella quasi totalità dei paesi europei cominciano a nascere
le sale a luci rosse, prima della massiccia diffusione degli home-video pornografici.
17 Fattori come configurazioni economiche e culturali, identità, tecnologie dei media e consumo dei
media sono componenti comuni degli studi postmodernisti, la cui etica ed espressione produce effetti
all’interno della cultura delle celebrità contemporanea, come spiega Anthony Elliot in Handbook of
Celebrity Studies.
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come l’emblema dell’immagine “della donna oggetto che diventa soggetto” (2015, 177),
Pozzi si era distinta come il membro più noto dell’entourage di Diva Futura, la prima
agenzia italiana specializzata in pornografia, fondata nel 1983 da Riccardo Schicchi e
Ilona Staller.
In un contesto culturale in cerca di uno scudo contro i capovolgimenti sociali e il
progresso politico, l’erotismo glaciale di Moana Pozzi incarna la fantasia più
rassicurante per il pubblico maschile, che desidera soprattutto conservare
un’autorappresentazione che descrive la mascolinità come potente, inscalfibile. Il
distacco, amplificato dal doppiaggio, è il marchio di fabbrica della star, che alterna
sorrisi educati a una presa di posizione innegabilmente passiva durante i sex acts. Il
sesso sullo schermo, sdoganato dagli anni Sessanta per salvaguardare gli incassi
dell’industria cinematografica, è circoscritto “dal senso borghese del pudore” (Maina
2020, 9). Pozzi sfoggia passivamente la disponibilità del suo corpo; subisce la
penetrazione, abbigliata con eleganza, i capelli in piega, il trucco applicato con la
precisione impeccabile della moda del momento, il rossetto rosso, una sottile linea di
eyeliner nero, come per un’occasione formale ed elegante. Lo stesso Rocco Siffredi,
collega e partner preferito della star, la definisce “inibita”, descrivendola come
“riservata, distaccata, poco adatta al porno” e sottolineandone, intervistato a riguardo,
la remissività18. Il corpo di Moana è il perno erotico di una precisa visione del modello
occidentale di donna: bianca, bionda, elegante.
Complice il moto emancipatore degli anni Sessanta, il corpo femminile finisce per
incarnare uno strumento di promozione sociale, dissociato, però, da qualsiasi slancio
apertamente provocante o prosaico da parte delle donne. Le pose condiscendenti e
arrendevoli di Moana Pozzi riproducono la dinamica tradizionale dei ruoli: quello
maschile, cacciatore, e quello femminile, da preda. Senza necessariamente assumere la
tesi di Andrea Dworkin per cui l’atto eterosessuale è intrinsecamente un atto di
occupazione e colonizzazione di una forza ostile, un “ritratto di uomini che hanno
bisogno di credere nel proprio assoluto, immutabile, onnipresente, eterno, potere senza
limiti” (1981, 90), quello che si evince in una gestualità scarna, che non performa, non è
un’attiva partecipazione al piacere. Ad essere proposto come partner frequente di Pozzi
è proprio Siffredi, definito da Pietro Adamo come “dominante, passionale, attivo”
(2004, 242) e “l’attore giovane di maggiore personalità nel porno mondiale” (2004,
243). Un esempio su tutti è Fantastica Moana, il primo film nella carriera di Rocco
Siffredi e il secondo in quella di Moana Pozzi, dove, in una fluida combinazione di
gonzo e contesto narrativo, Siffredi sfoggia una forma di violenza che Adamo,
comparandola a quella di Max Hardcore, definisce “più impetuosa e meno asettica”;
sfruttando la “potenza fisica del maschio” (2004, 243) il pornoattore stabilisce un
determinato stile comunicativo, spontaneo e dinamico. Sottomissione e passività
sessuale confinano invece Moana nel suo genere, il suo stesso aspetto
convenzionalmente elegante assume un significato sociale: il personaggio, che risulta
immediatamente riconoscibile come avviene con un prodotto in franchising o con il
protagonista di una serie televisiva, è rassicurante e conferisce un senso di liceità
estetica a una sfera discussa e controversa come quella pornografica. Nei film di Moana
Pozzi a creare “la frenesia del visibile” di cui scrive Linda Williams (Williams 1989, 36)
non è la particolarità dell’azione filmica pornografica, che non prevede pratiche
estreme come il pissing, né bondage o elementi di BDSM, ma l’elemento pornografico
18 Si veda, ad esempio, la “confessione” sul suo canale Youtube, Rocco’s World Official,
https://www.youtube.com/watch?v=rwuXyPmPYec .
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combinato a un’estetica non dissimile da quella del cinema classico hollywoodiano. Gli
atti sessuali sono ridotti a poche interazioni genitali, che prevedono la penetrazione,
vaginale e anale, e pratiche orali che vengono sempre dirette e istigate dalla parte
maschile. Se in un immaginario sessuale collettivo profondamente vanilla come quello
italiano negli anni Ottanta sono presenti trasgressioni da parte delle attrici donne, in
termini di sexual acts peculiari o legati a dati tabù o parafilie, esse sono giustificate
dall’estetica e dalla “fama” di chi le compie. Emblematico in questo senso il ruolo
assunto nell’immaginario collettivo da Ilona Staller dopo la sua apparizione in
Cicciolina Number One. Nonostante la pellicola di Riccardo Schicchi, datata 1986, veda
Denise Dior, specializzata in scene di zoofilia, impegnata a simulare un rapporto
sessuale con uno stallone, mentre Staller assiste, appoggiata a un calesse, è al
personaggio di Cicciolina, nel discorso pubblico, che viene attribuito l’amplesso con
l’equino,19 vista la reputazione del suo personaggio votato all’eccesso e all’ironia.
La contrapposizione lavorativa ed estetica a Staller/Cicciolina, costruita con una
maggiore aggressività e un più vasto gusto per la provocazione ha l’effetto di
sottolineare l’atteggiamento remissivo di Pozzi. Le attività pornografiche filmate
appartengono a un modello erotico standardizzato composto da attività sessuali
classiche, che non intendono davvero stridere o provocare una rottura. Le posizioni
assunte da Pozzi e i suoi atti sessuali compiuti in risposta agli stimoli degli agenti
maschili la posizionano in un ruolo definitivamente non dominante, come esponente di
un modello di passività e di resa sessuale simile a quello criticato dalle femministe
antiporno. In Cicciolina e Moana Mondiali, è a Staller che viene lasciato l’onere
dell’iniziativa nei confronti dei calciatori/pornoattori, è a lei che spettano approcci
fisici espliciti, è la prima a sperimentare pratiche meno convenzionali, come avviene
nella scena con Ron Jeremy e la banana, e la prima a ricevere sesso orale nella scena
del rapporto lesbico con Pozzi. A sottolineare la differenza fra i ruoli delle due attrici si
aggiungono anche i primi piani: se Staller è ripresa soltanto in atteggiamenti
ammiccanti, con la lingua fra le labbra, quando si tratta di Moana, le inquadrature
esplicite si alternano a istantanee di mani curate e dettagli di eleganti décollete rosse.
Al sorriso ampio di Ilona Staller e al suo abbigliamento vistoso e bizzarro, Pozzi
contrappone pochi gesti misurati e un’espressione malinconica. Anche in Ecstasy,
pellicola erotica di Luca Ronchi distribuita nel 1989, permane nel personaggio di
Moana Pozzi un atteggiamento distaccato, malinconico e passivo, apertamente
contrapposto a Siffredi e alla sua “volontà fusionista di scambiare fluidi e conoscere
l’altra” (Adamo 2004, 260). Nel susseguirsi di eventi che la vedono impegnata sul set di
film porno, per le strade a cercare di salvare la sorella dalla cocaina e in giro per feste
decadenti, Moana Pozzi resta con lo sguardo assente, viene descritta come “il sogno
erotico degli italiani” e come tale conserva una dimensione di riservatezza onirica,
alternando, durante gli atti sessuali come in tutti gli altri atti scenici, pose nostalgiche
che suggeriscono rimpianto ad un’esplicita voce narrante fuori campo che racconta
malinconia, solitudine e dolore. Le modalità recitative di Moana Pozzi ricalcano la
nostalgia dei valori tradizionali che caratterizza gli anni Ottanta e la loro ferrea
separazione dei ruoli di genere; come scrive Willis (2014, 41), uno dei principali
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TORRE, MALINCONICA MOANA, MORTE E MALATTIA SULLO SFONDO DEL PORNO ITALIANO
20 Nella Dialettica dell’Illuminismo, Adorno definisce come “nominalismo” il tendenziale rifiuto delle
forme generali o universali (compreso il genere) e la progressiva volontà dell’estetico di identificarsi
sempre più strettamente con il qui e ora di questa situazione e di questa espressione uniche (1966, 212).
21 Come scrivono Gaia Giuliani e Cristina Lombardi-Diop in Bianco e nero: Storia dell’identità razziale
degli italiani, il genere ha in sé il seme della costruzione della razza; non a caso, dal periodo liberale al
periodo fascista, lo Stato italiano assegna alle donne il compito di mantenere la purezza razziale. Il sesso
emerge come metodo di colonizzazione, evidenziato dalla figura patologica della Venere Nera,
l’immaginario della donna colonizzata come sessualmente rapace, funge da accento per il presunto
bianco delle colonie italiane. (2013, 12-13)
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scene nel 1986 per paura di contrarre l’AIDS, incarna standard estetici, evidenti, ad
esempio, nella fisionomia del viso, molto diversi da quelli “bianchi” e mostra la sua non
conformità genitale come un oggetto di feticizzazione e di attrazione.
Conclusione
La morte di Moana Pozzi crea nell’immaginario del suo pubblico una reazione
melancolica che può essere proficuo leggere alla luce del Freud di Lutto e malinconia. Se
sulla scena pornografica la passività e l’estetica elegante ne decretano il successo, la
distanza e il riserbo degli ultimi giorni della malattia 22 la configurano come un
enigmatico oggetto d’amore perduto, che le conferisce un’aura di sacralità
nell’immaginario nazionale. In un sistema valoriale in delicata trasformazione come
quello italiano, la strategia adottata per permettere ad una diva del porno di
raggiungere il traguardo dell’integrazione in una società permeata dalla morale
cattolica è l’adozione di standard estetici conformi al cinema tradizionale e dei
meccanismi strutturali della televisione, come la serialità del personaggio. Anthony
Elliot analizza le analogie fra i santi e le star, sottolineandone le differenze di linea
temporale: i santi divengono tali solo dopo la morte, mentre le celebrità acquisiscono la
loro etichetta mentre sono in vita (2018, 113). Se il culto della celebrità fornisce lo
spazio simbolico per allontanarsi dal contesto spazio-temporale della vita quotidiana
presente, finisce anche per innescare un rapporto di dipendenza nella formazione dei
meccanismi della fantasia e dell’immaginazione: l’auto-formazione culturale si fonda
sullo spettro istituzionalizzato di immagini e associazioni televisive. Secondo Philippe
Aries, il mondo moderno è caratterizzato dal tentativo di rendere la morte un
passaggio discreto nell’immaginario collettivo tramite il design razionale e il controllo
sociale, esercitato, nel caso di Moana Pozzi, nel negare agli occhi del suo pubblico la
sua raffigurazione più oscena. La paura della morte è una questione individuale,
quando coinvolge il pensiero collettivo assume un’aura di mistero quasi romantico, che
sfugge a ogni tentativo di controllo. La dimensione sociale della malattia è avvolta da
un senso di malinconia che è destinato a sparire solo in caso di scoperta di una cura:
proprio come il romanticismo che circondava la tubercolosi ha perso la sua potenza con
l’avvento di antibiotici, così spariranno i miti che hanno definito la paura del cancro
(Sontag 1979, 15). Se è vero che la malattia all’apparenza non viene tematizzata, è
grazie a questa omissione che la star malata può subire una mutazione più profonda:
facendosi immagine Moana Pozzi sopravvive al cambiamento, alla fine della vita e al
suo contesto culturale. Il senso di perdita collettivo espresso dall’opinione pubblica,
tanto in giornali, riviste e serie televisive che ne celebrano la fragilità e la bellezza
entrata nel mito, quanto da ex colleghi e professionisti, come lo stesso Rocco Siffredi,
ottiene l’effetto perverso di spersonalizzare ulteriormente l’attrice, rendendola un
oggetto di paragone simbolico e malinconico, passivo per definizione. La sfera
simbolica anestetizza la vita quotidiana, fissando una narrazione terapeutica contro la
realtà: se il tumore sfugge al controllo di chi ne è colpito, si può solo scegliere di
preservare un’immagine eterna, avvolta dalla malinconia e dal rimpianto. La morte di
Pozzi è avvolta dal mistero e si è creduto che sia stata causata dall’AIDS; la chiave di
lettura più semplice è che Pozzi non abbia fatto altro che rispettare quella che Sontag
definisce “una tacita convenzione a celare il cancro”, a non nominare nemmeno la
22 Dalle sue interviste, secondo Marco Giusti “traspare sempre un elegante velo di amarezza non per
lo scivolamento nell’hard, ma per il tempo che passa e per la bellezza che può sfiorire,” un senso
nostalgico che la accompagna per tutta la vita e che è determinante per il suo successo (2004, 14).
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malattia più diffusa e terrorizzante del secolo (Sontag 1979, 9). I confini dell’ordine
pubblico istituzionalizzato, designato come buon gusto, impediscono un racconto
scientifico delle malattie, rese come un’unica metafora. Come scrive Sontag: “avere un
cancro può essere uno scandalo tale da mettere a repentaglio la vita amorosa, il lavoro
e la speranza di promozione di una persona” (1979, 9) tanto che chi ne è affetto tende
ad essere “estremamente riservato”, come è stata Pozzi, al fine di preservare la sua
immagine.
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