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de genere

Rivista di studi letterari, postcoloniali e di genere


Journal of Literary, Postcolonial and Gender Studies

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ISSN 2465-2415

Malinconica Moana, morte e malattia sullo sfondo del porno


italiano
Sofia Torre
Università degli Studi dell’Aquila
sofiatorre.3.4@gmail.com

Il presente articolo si propone di leggere la figura di Moana Pozzi come un prodotto


culturale della malinconia degli anni Ottanta. La star, che ha vissuto il suo massimo
fulgore durante la crisi epidemica di AIDS e che ha scelto di ritirarsi dalle scene e dalla
vita pubblica dopo essersi ammalata di cancro al fegato, è ricordata nell’immaginario
popolare per la sua eleganza convenzionale, più congeniale al cinema tradizionale che a
quello pornografico. L’ingresso in settori della cultura popolare “lecita”, come la
televisione, la politica e la moda, è stato reso possibile tanto dal rispetto di determinati
standard estetici quanto dal rispetto di un’etica dell’osceno, di cui la scelta di celare
malattia e segni di morte è la prerogativa più evidente.
Se il cancro è per definizione una malattia innominabile, la scoperta dell’HIV nei
primi anni Ottanta trasforma la vita sessuale quotidiana degli individui in una
questione di sicurezza pubblica, tanto da rendere necessaria la rappresentazione e la
discussione esplicita del comportamento sessuale. La nuova narrazione della sessualità
finisce per comportare un coefficiente di responsabilità in grado di far trapelare una
rivalutazione dei costumi sessuali degli anni precedenti, causa di “tragici errori”.
Rappresentare la sessualità non significa più raffigurare la ricerca e l’abbandono al
piacere, come negli anni Sessanta, ma cercare di dipingere una salvaguardia dell’ordine
pubblico e la necessità di combattere e sconfiggere la malattia. Nell’ottica degli anni
Ottanta, l’idea della promiscuità perduta produce un ricordo nostalgico. Lo spettro
dell’AIDS, che gruppi religiosi e ultraconservatori dipingono come la punizione divina
e naturale alla sregolatezza e alla liberazione sessuale, esercita un potere
sull’immaginario erotico in toto, in parte dovuto alla continuità fra gli incubi sessuali
dei tradizionalisti e i sogni della controcultura. Il “tentativo di colonizzare la nostalgia
dell’irraggiungibile” produce una continuità nell’immaginario pornografico che ha
nella bianchezza e nella passività femminile prerogative necessarie.

Sofia Torre è dottoranda presso l’Università Degli Studi dell’Aquila. Laureata in


Mass Media e Politica, si interessa di gender studies e di porn studies. Suoi interventi
sono apparsi su SexTelling, The Vision, Il Tascabile, L’Indiscreto, Not, Il Manifesto. Fra i
suoi articoli: “Storia e critica del femminismo antiporno” (Il Tascabile); “Perchè
l’erotismo femminista di Erika Lust non è erotico” (L’Indiscreto); “Porno, mestruo e
femminismo” (Not).
TORRE, MALINCONICA MOANA, MORTE E MALATTIA SULLO SFONDO DEL PORNO ITALIANO

Introduzione
L’intento di questo articolo è quello di sviscerare la possibilità di leggere la figura
di Moana Pozzi come un prodotto culturale della malinconia degli anni Ottanta. La
star, che ha vissuto il suo massimo fulgore durante la crisi epidemica di AIDS,
ammalatasi di cancro al fegato, scelse il massimo riserbo, smettendo di calcare le scene
e impedendo che la sua immagine pubblica venisse avvolta dallo spettro della
sofferenza e della morte. Per comprendere gli effetti della portata malinconica di una
figura caposaldo della pornografia e della cultura popolare italiana, si è ritenuto
opportuno operare una contestualizzazione del periodo storico degli anni Ottanta,
caratterizzato dalla crisi delle grandi ideologie, cercando di analizzare le ricadute dal
dibattito femminista sul porno nel contesto italiano, conservatore e culturalmente
pudico. Il concetto di malinconia, definito tramite gli strumenti dell’analisi freudiana e
dell’opera di Julia Kristeva, verrà interpretato alla luce delle dinamiche dei rapporti di
genere, riscontrati nella lontananza e nel senso di misurato distacco comunicato dalla
gestualità e dall’abbigliamento di Moana Pozzi. Si sostiene che la possibilità offerta
dalla bellezza canonica di Pozzi di arroccarsi su un’eleganza convenzionale, più
congeniale al cinema tradizionale che a quello pornografico, ne abbia, in una certa
misura, decretato il successo e permesso l’ingresso in settori della cultura popolare
“lecita”, come la televisione, la politica e la moda. L’analisi, trattata anche attraverso un
close reading di alcune opere in cui compare la diva, si propone di restituire alla figura di
Moana Pozzi i connotati peculiari e di congiungere prospettive metodologiche come la
sociologia e i porn studies.
Gli anni Ottanta fra malinconia e kitsch
Gli anni Ottanta del Ventesimo secolo si sono distinti come un periodo di estrema
ambivalenza culturale, espressa, ad esempio, attraverso il pensiero postmoderno.
Fredric Jameson, analizzando la logica culturale del tardo capitalismo, descrive un
appiattimento della profondità storica attraversato da un senso di nostalgia immediata.
La fine delle grandi narrazioni è un momento di consumismo sfrenato e di intense
manifestazioni culturali e artistiche che riflettono la crisi del periodo, come avviene, ad
esempio, per il cosiddetto cinema della nostalgia, definito da una “stranezza visiva
spersonalizzata”, secondo la definizione dello studioso (Jameson 1989, 51). Proiettare
su un piano sociale e collettivo il disperato tentativo di riappropriarsi di un passato
perduto significa scontrarsi con la ferrea legge della trasformazione della moda e del
cambio generazionale. Il successo del pastiche evidenzia l’incompatibilità delle istanze
nostalgiche con una storicità autentica, con difficoltà che riverberano anche nella
cultura popolare, dove il familiare universo della moda e della pubblicità risulta
straniato dal senso di sovrapposizione di segmenti temporali.1 Questo gusto nostalgico
innesca un processo di oggettificazione della realtà, tale da invertire la tendenza a farsi
immagini dei prodotti commerciali, instaurando una reificazione dell’immaginario,
come dimostra il nuovo processo di creazione di stelle e di celebrità del cinema,
difforme dall’esperienza storica precedente. Come sostiene Jameson, il postmodernismo
è una forza culturale che abbraccia gli aspetti schlock o kitsch della cultura popolare,
caratterizzata dalla trasformazione oggettuale e dalla cultura del consumo, dei cui

1 A questo proposito Jameson sottolinea la capillarità della teoria di Debord (2001, 38) che vede

l’immagine come la forma finale del processo di reificazione. È il caso della creazione di celebrità e di
stelle del cinema, come Moana Pozzi.

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scarti si nutre. Nella società consumista degli anni Ottanta, spettacolarizzata e


immediatamente fruibile, sono evidenti tendenze iconoclaste nei confronti delle
certezze ideologiche e del senso di continuità tipici dei decenni precedenti: Jean-
François Lyotard ha teorizzato la fine delle grandi narrazioni, sottolineando come
l’estraneità dal disincanto e dalla cieca positività della postmodernità veda affermarsi
un certo gusto estetico come tentativo di collettivizzare la nostalgia
dell’irraggiungibile (Lyotard 1984, 81).2 Il nuovo benessere economico comprende una
dimensione simbolica, con idoli, come le star del cinema, e icone materiali che
rappresentano l’auspicio o la possibilità di un innalzamento dello status sociale. 3 I
personaggi dell’immaginario popolare, la cui celebrità è da intendersi come una
transazione fra la produzione mediatica e il consumo culturale,4 e che sono ubicati in
tutti i settori della cultura, anche in quelli tradizionalmente meno “leciti”, come la sfera
pornografica, vengono coinvolti nelle raffigurazioni e nelle logiche d’immagine
mainstream (cinema, televisione, vita politica e sociale). La relazione fra un’icona e il
suo grado di astrazione è oggetto d’intervento dell’immaginario popolare, che ne
determina il grado di convergenza nei diversi media.5 Negli anni Ottanta e per quasi
tutti gli anni Novanta, il porno mainstream eterosessuale negli Stati Uniti e in gran
parte dell’Europa incarna un modello estetico a cavallo tra il moderno e il kitsch;6 i
suoi prodotti comunicano ampiamente con la cultura VHS tramite una parodia più o
meno esplicita dei suoi film di maggiore popolarità. Il successo di Cicciolina e Moana
“Mondiali” di Riccardo Schicchi, con Ron Jeremy nel ruolo di Diego Maradona,
esemplifica la pervasività del fenomeno.7
La coda lunga della rivoluzione sessuale
Se gli anni Sessanta avevano iniziato ad attaccare il fenomeno anacronistico delle
convenzioni sociali, delle norme e delle religioni, i due decenni successivi hanno
spalancato fratture nella società ipernormata del Dopoguerra, rivisitando concetti e
fulcri sociali, come quello della famiglia, additato dal pensiero femminista come la
genesi di tutte le oppressioni. Un certo genere di disincanto, rivolto alla possibilità di
una progettualità e di una possibilità sessuale emancipatoria, ha investito anche
l’immaginario erotico, ricoprendolo di un senso di immobilità e di malinconia. Nel
1986 la giornalista Gloria Steinem e le professoresse della Columbia University
Catherine McKinnon e Andrea Dworkin, femministe radicali “antiporno”, portarono
davanti alla Attorney General’s Commission on Pornography, nota come Commissione
Meese per i Diritti Umani, la vicenda di Linda Boreman, protagonista di La vera gola

2 Secondo Lyotard, il tentativo di suggerire nuove presentazioni delle immagini non è atto a
facilitarne il godimento, quanto piuttosto a trasmettere un senso più forte del non presentabile (1979,
108), suggerendo lontananza e assenza e suscitando nostalgia nel pubblico.
3 Il senso di lontananza dallo status desiderato produce un senso di malinconia il cui significato verrà

analizzato in seguito.
4 Come scrive Anthony Elliot, in caso di decesso, una star è destinata a trasfigurarsi in un vero e

proprio oggetto di lutto e di fantasia, su cui il pubblico fedele proietta intensi sentimenti di speranza e
paura (2018, 113).
5 Per una trattazione più approfondita del concetto di convergenza si veda il noto saggio del 2006 di

Henry Jenkins, Convergence Culture. Come sottolinea lo studioso, è la collisione fra nuovi e vecchi media a
determinare le caratteristiche dei prodotti culturali moderni, di cui è parte anche lo star system.
6 Per una trattazione più approfondita del fenomeno del kitsch si veda Emiliano Morreale, secondo

cui il kitsch “non è un bene attivo ingenuamente infuso con la brama di un’immagine desiderata, ma
piuttosto, un bene fallito che parla continuamente di quel che ha cessato di essere” (2009, 33).
7 Come verrà dimostrato nella sezione La distanza fra Moana e le altre.

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TORRE, MALINCONICA MOANA, MORTE E MALATTIA SULLO SFONDO DEL PORNO ITALIANO

profonda. L’attrice, che si dichiarava vittima di violenza e di coercizione, era destinata a


diventare un simbolo per quella corrente del femminismo che negava con forza la
possibilità che la sessualità e la sua rappresentazione potessero significare qualcosa di
diverso da un meccanismo di oppressione, denunciando il fallimento della rivoluzione
sessuale degli anni Sessanta.
La commercializzazione delle pratiche di riappropriazione del corpo delle donne,
di autocoscienza ed espressione del desiderio da parte tanto della moda quanto di
colossi dell’editoria “per adulti” come Hustler e Penthouse avevano contribuito a
screditare quelle prima intese come pratiche di liberazione. Lo stile grafico
volutamente votato all’eccesso nella rappresentazione dei connotati fisici ed estetici
maschili e femminili polarizza innaturalmente i generi, al punto che il sesso
eterosessuale, scrive Feona Attwood, “diventa un gioco impossibile di peni enormi e di
vagine microscopiche” (Attwood 2017, 63; traduzione mia). Nonostante gli anni
Sessanta avessero lasciato in eredità alle donne istanze di riappropriazione, di
riequilibrio e di sospensione dei ruoli di genere, la mercificazione della
rappresentazione del desiderio e del piacere aveva finito per declinarne ogni
descrizione in modalità fantastiche ed iperboliche, mentre l’attività sessuale era ormai
ridotta a “cicli meccanizzati di penetrazione da un orifizio all’altro” (Attwood 2009, 9).8
Soprattutto, secondo pensatrici come Ellen Willis, gli anni Sessanta avevano
inaugurato battaglie che non lasciavano necessariamente le donne più soddisfatte: la
scossa della rivoluzione sessuale aveva avuto l’effetto perverso di deregolarizzare
ulteriormente il comportamento sessuale maschile, senza che venissero affrontate
questioni come il lavoro di cura o la genitorialità: il “personale” era ancora lontano
dall’essere “politico”. “Il lavoro di cura e il lavoro domestico, confusi con l’amore, con
l’altruismo materno, con l’ambigua collocazione dell’essere femminile, sospeso tra
sacralità e determinismo biologico, non riescono ancora ad essere visti e riconosciuti
per quello che sono sempre stati: sostegno materiale e affettivo al potere e al privilegio
di un sesso”, avrebbe osservato quarant’anni dopo Lea Melandri, constatando che
l’unico lavoro riconosciuto come tale è “il lavoro produttivo associato a ricchezza,
potere, successo, sviluppo, proliferazione e consumo di merci” (Melandri 2017, 1).
Negli anni Ottanta, le femministe avevano appena iniziato ad affrontare quella che
Willis definisce come “una serie di dibattiti sovrapposti e intrecciati” (Willis 2014, 175)
aventi come perno la sessualità. Il dibattito, però, si dipanava in termini di accettazione
e di eventuale legittimazione da conferire al sesso, se non addirittura come
elaborazione di strategie di difesa da attenzioni sessuali indesiderate, piuttosto che in
termini di ricerca del piacere o di attiva sperimentazione del desiderio. Ad essere
discussi erano argomenti come la legittimità della pornografia, le cause della violenza
sessuale e il modo migliore per opporvisi; la definizione di consenso sessuale; la natura
sessuale delle donne e l’eventualità di adottare l’omosessualità come risposta politica al
patriarcato e alla violenza maschile (Willis 2014, 104). La matrice del dibattito era
relativa all’esistenza e all’eventuale interpretazione di una morale femminista nel
campo della sessualità: ci si domandava se la libertà sessuale fosse un valore in quanto
tale o se il femminismo dovesse piuttosto auspicare a sostituire l’onnipresente
controllo maschile con nuove regole, definite dalle donne.
Nonostante i tentativi di sensibilizzazione e di liberazione del corpo fossero
diventati oggetto di discussione pubblica, la loro stessa popolarità li aveva resi oggetto

8 Il saggio di Attwood viene citato anche in Biasin 2011, 183.

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di appropriazione del mercato capitalista, il principale esponente di un macrosistema


culturale ostile e con meccanismi di potere squilibrati. A livello inconscio, alle radici
della cultura popolare, è evidente che il femminismo antisex, ufficialmente vincitore in
settori della cultura ufficiale come l’Accademia e il giornalismo, non era riuscito a
debellare in profondità la credenza tradizionale che vede un legame ferreo fra il
liberalismo sessuale e il sessismo e la violenza contro le donne. Sebbene il contraccolpo
sociale dei governi conservatori di Ronald Reagan e di George H. Bush sia innegabile,
per comprendere la sessuofobia femminile, evidente dalla seconda parte degli anni
Ottanta, secondo Willis è necessario ammettere un fallimento delle femministe pro-
sex. L’incapacità di immaginare un sistema realmente diverso da quello capitalista e
patriarcale, e di rovesciarlo, aveva impedito che potessero disinnescarsi le dinamiche di
genere che si riproponevano, sempre uguali, in tutti i contesti culturali e politici.
D’altra parte, non era da sottovalutare l’impatto sociale del femminismo antiporno
nella narrazione cinematografica; la sua preferenza “per la legge e l’ordine rispetto alla
libertà di parola” (Willis 2014, 499), che esibiva maggiori affinità con lo spirito del
contraccolpo culturale conservatore che con le altre sponde del pensiero femminista,
aveva contribuito a consolidare l’immagine del cinema come uno spazio dove
feticizzare la differenza dei generi. L’evoluzione tecnologica è determinante nello
stabilire le prerogative dei corpi e la fisionomia dei protagonisti degli atti sessuali
rappresentati: la pornografia è anche il prodotto di tecniche e tecnologie
cinematografiche e digitali: di illuminazione e fotografia, di montaggio e doppiaggio,
ritocco e composizione digitale.9
Sesso e malinconia
Con l’avvento del femminismo radicale, la politica sessuale dei movimenti di
liberazione gay e di quello femminista aveva assunto un atteggiamento di profonda
sfiducia verso le teorie sessuali con la biologia alla base, sostenendo, invece, che la
libertà sessuale fosse un valore umano fondamentale, che non dovesse mai essere
ceduto o compromesso. Secondo Willis, astrarre il sesso dalla biologia avrebbe
significato, però, proprio mettere in discussione questa premessa: intendere la
sessualità come una mera costruzione sociale avrebbe significato rimuoverla dall’ordine
delle necessità vitali e considerarla una mera questione di etica personale e di gusto,
una gratificazione secondaria ad altri beni sociali, e, in particolare, rispetto alla salute.
In quest’ottica, la più grande minaccia alla possibilità di una liberazione sessuale negli
anni Ottanta è stata l’epidemia di AIDS: rifiutare i limiti e le imposizioni dal sapore di
morale sessuale repressiva avrebbe significato contribuire alla diffusione della malattia
e della morte.
L’epidemia, oltre ad essere stata causa diretta di morte, aveva minacciato di
uccidere definitivamente il desiderio, producendo una frattura incolmabile fra il sesso
legittimo di coloro che potevano praticarlo all’interno del vincolo matrimoniale, e chi
invece viveva nella promiscuità carnale e sensuale rivendicata negli anni Sessanta, o in
coppie monogame non eterosessuali, e quindi ritenute non pienamente legittime.
Anche nel pensiero postmodernista, gli anni Sessanta avevano perso la loro patina di

9 Come scrivono Federico Zecca e Giovanna Maina in Le grandi manovre (2012, 59-61), la

progressiva erotizzazione della cultura italiana iniziata negli anni Sessanta è caratterizzata
dall’esplosione delle scene di nudo nel cinema, dal successo e dalla diffusione delle riviste per adulti,
come Playmen o Le Ore.

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splendore, diventando quasi “tossici” (Jameson 1992, 166): si erano trasformati in un


“brutto viaggio” storico e controculturale causa della frammentazione psichica
dell’individuo e della sua distrazione strutturale.
Volendo caratterizzare con maggior rigore questo diffuso senso di rimpianto, è
necessario ricorrere a due nozioni. La prima è quella di malinconia, teorizzata da Freud
in Lutto e malinconia (1917). In questo contesto, Freud analizza i pazienti che
esperiscono la morte di un caro e che, in seguito al dolore, gli consentono di notare due
reazioni differenti. Se una parte dell’oggetto di analisi riesce a lavorare sul lutto e a
investire in nuovi legami affettivi in grado di compensare la perdita subita, gli altri
pazienti, invece, si ostinano ad identificarsi con l’oggetto d’amore perduto, che rimane
“enigmatico”: è il caso del paziente malinconico. L’oggetto della malinconia, per Freud,
resta enigmatico nella misura in cui, a livello conscio, il malinconico non è consapevole
della continuità e dell’entità del proprio attaccamento all’oggetto stesso: più che
sentire di aver perso qualcosa nel mondo all’esterno di sé, egli scava al proprio interno,
senza avvedersi dell’identificazione fra il proprio Io e l’oggetto della perdita.
Interiorizzata dalle arti e riflessa dalla letteratura e dal cinema, la malinconia
permea l’immaginario comune, dove l’eccesso e l’edonismo sono sospesi su un filo
sottile. È a questa analisi che si riferisce la psicanalista e filosofa Julia Kristeva nel suo
saggio Black Sun: Depression and Melancholia. (in italiano Sole nero. Depressione e
malinconia), dove asserisce che la malinconia e la nostalgia, 10 che ne traduce la
dimensione enigmatica sul piano della dimensione culturale, sono elementi costitutivi
dell’identità individuale.
Il fallimento delle aspirazioni di liberazione ed emancipazione ne aveva causato
una rivalutazione malinconica, un distacco ironico come rifugio a una realtà divenuta
più complessa, illeggibile. La narrazione storica della liberazione sessuale, costituita di
spinte utopistiche che avrebbero preparato il rifiuto della politica tradizionale,
rappresenta un’altra “fine dell’ideologia” (Jameson 1992, 216) nella quale la
trasformazione dei rapporti sociali e delle istituzioni politiche si proietta sulla visione
dello spazio e del paesaggio, fino a comprendere il corpo umano.11
La soppressione del desiderio e del piacere femminile si era caratterizzata per
secoli come il principale pilastro della supremazia maschile. A fungere da deterrente
per le donne era intervenuta anche la loro stessa biologia, caratterizzata dal rischio di
incorrere in imprevisti difficili da nascondere, come le gravidanze indesiderate, che le
avrebbero fatte incorrere nel biasimo sociale, che i loro partner uomini non avrebbero
mai dovuto affrontare. Sarebbe stata proprio un’ulteriore questione biologica a porre
nuovi argini alla liberazione sessuale: lo scoppio dell’epidemia del virus
dell’immunodeficienza.

10 In Realismo Capitalista, Mark Fisher si occupa di ampliare la dinamica nostalgica a campi artistici
come la musica, osservando come la retromania in ambito culturale ben si combini con la temporalità
gradualmente imposta dal neoliberalismo a livello economico e politico, nella quale il futuro non potrà
che essere una qualche riproposizione del presente: “There is no alternative”, vaticina Margaret
Thatcher (cit. in Fisher 2018, 15). In un tale contesto, non importa cosa si rimpianga oggi: l’industria
culturale ha abbastanza prodotti più o meno consapevolmente retrò da soddisfare ogni gusto.
11 Secondo Jameson, non è chiaro fino a che punto questi molteplici impulsi utopistici si siano

prolungati negli anni Settanta e Ottanta; per esempio, Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood (1985)
è stato giudicato come la prima “distopia” femminista, e, dunque, la fine del ricchissimo contributo
femminista all’interno del genere utopico (1992, 216).

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L’erotismo triste dell’epidemia


La scoperta dell’HIV nei primi anni Ottanta trasforma la vita sessuale quotidiana
degli individui in una questione di sicurezza pubblica tanto da rendere necessaria la
rappresentazione e la discussione esplicita del comportamento sessuale. Se gli anni
Sessanta avevano portato alla ribalta istanze inespresse, come l’imprescindibilità del
piacere femminile e la critica della monogamia, negli anni Ottanta normare l’attività
sessuale, scoraggiando la promiscuità e promuovendo l’uso di anticoncezionali, diventa
parte dell’educazione sanitaria tradizionale nei luoghi pubblici. La sessualità riesce
nell’impresa di erodere i confini tradizionali che separano la pratica privata
dall’esibizione, ma viene inclusa nel discorso pubblico quasi esclusivamente in termini
di salute. Secondo Willis, l’immagine dell’eccesso, anche nell’immaginario
conservatore, assume inevitabilmente i connotati di un’orgia (Willis 2014, 279), in un
richiamo inconfondibile alla promiscuità e alla libertà di sperimentare e cambiare
partner che aveva caratterizzato la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta. In seguito
all’esplosione dell’epidemia di AIDS, il desiderio sessuale non è più libero di nascere e
di svilupparsi attorno a istanze identitarie e di liberazione, ma è accompagnato dalla
consapevolezza che le pratiche non controllate e inconsapevoli possono rivelarsi fatali.
La nuova narrazione della sessualità finisce per comportare un necessario coefficiente
di responsabilità, al punto di lasciar trapelare una rivalutazione dei costumi sessuali
degli anni precedenti, causa di “tragici errori” (Willis 2014, 282). Rappresentare la
sessualità non significa più raffigurare la ricerca e l’abbandono al piacere, ma cercare di
dipingere una salvaguardia dell’ordine pubblico e la necessità di combattere e
sconfiggere la malattia. Nella nuova ottica degli anni Ottanta post-epidemia, l’idea
della promiscuità perduta non può che produrre un ricordo nostalgico. In una cornice
culturale segnata dalla rassegnazione malinconica e dalla paura della morte, Willis
intravede “il sogno di recuperare l’innocenza” (Willis 2014, 283) e il segno
inequivocabile di un bagaglio edipico, destinato a ripercuotersi nell’immaginario
erotico. Se lo spettro dell’AIDS, che gruppi religiosi e ultraconservatori dipingono
come la punizione divina e naturale alla sregolatezza alla liberazione sessuale, finisce
per esercitare un potere sull’immaginario erotico in toto, è in parte dovuto alla
continuità fra gli incubi sessuali dei tradizionalisti e i sogni della controcultura.
Sebbene anche il discorso sessuale precedente all’HIV prevedesse gerarchie
sessuali e di genere istituzionalizzate o implicite, il timore del contagio ha l’effetto di
radicalizzare il dominio maschile eterosessuale, come dimostra la demonizzazione nel
discorso pubblico dell’intera comunità omosessuale, che prima subiva un quasi
completo ostracismo da parte della società eteronormata (McNair 2002, 12). La
fantasia di “un’energia sessuale benefica che scorreva liberamente” come quella di un
“amore universale” (Willis 2014, 280) produce, vent’anni dopo, vergogna e imbarazzo,
come accade con la “perversità polimorfica” dell’infanzia, l’età della vita verso la quale
si prova un acuto senso di nostalgia, dovuto al desiderio di ricominciare da capo.
Le pratiche erotiche, anche quando rappresentate in un contesto come quello
pornografico, devono sottostare a determinate norme e meccaniche di potere, che
prevedono il protagonismo dell’uomo contrapposto a una femminilità tanto passiva da
farlo risultare quasi predatorio. Le pratiche sessuali sono oggetto di regolamentazione
sia in termini di coefficiente di oscenità considerato tollerabile che in termini di
dinamiche di genere: il prodotto pornografico riproduce dinamiche preesistenti nella
società. Lo status quo non appare in discussione: la pornografia destinata a comparire
nel discorso pubblico è quella bianca, maschile ed eterosessuale. Come conseguenza di

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TORRE, MALINCONICA MOANA, MORTE E MALATTIA SULLO SFONDO DEL PORNO ITALIANO

determinate forme mediatiche, il codice pornografico viene integrato nella produzione


simbolica della società contemporanea globale, dove un tipo di sguardo sessualizzato e
sessualizzante è sempre più presente e sempre più visibilmente implicato col il potere.
È il pubblico di riferimento a determinare le modalità in cui si rappresenta il corpo
e la sessualità, il concetto di audience è costruito in sistemi di stratificazione sociale
altamente gerarchizzati dove la devianza viene ostacolata (cfr. McNair 2002, 5). Uno
dei presupposti culturali più profondamente radicati in questa società prevede che la
sessualità maschile sia inevitabilmente aggressiva quando non apertamente oppressiva
verso quella femminile. In quest’ottica, svincolata dal matrimonio, la pulsione erotica
dell’uomo è inerentemente antisociale, lontana per definizione da ogni forma di
attaccamento amoroso, e intrinsecamente connessa a impulsi distruttivi e violenti, che
devono essere bilanciati dalla controparte femminile, equilibrata e comprensiva.12
Origini e conformazioni dell’hard italiano
A partire dagli anni Sessanta si assiste ad una progressiva erotizzazione della
cultura italiana, caratterizzata dall’esplosione delle scene di nudo nel cinema, dal
successo e dalla diffusione delle riviste per adulti, come Playmen, nata nel 1967, o come
Le Ore, dedicata fino al 1967 all'attualità cinematografica e culturale, dal 1971
stampata sotto la categoria “erotica” e dal 1977 come rivista apertamente
pornografica.13 Secondo Adamo (2004, 210), la situazione legislativa italiana degli anni
Ottanta è poco chiara: la circolazione, la produzione e l’importazione di prodotti
pornografici, ridotti sotto l’etichetta di “osceno”, sembrano vietati dal Codice Penale;
d’altro canto, però, l’hard è tollerato14 e la nozione di osceno soggetta a interpretazioni.
La legge n. 35 del 17 luglio 1975, la cui applicazione si era rivelata tollerante come
negli stati europei con legislazioni analoghe, sancisce la fine delle possibili
ripercussioni legali del commercio di riviste pornografiche, che collaborano
attivamente e legalmente alla diffusione di un certo immaginario softcore.15 Nel 1978
Nicola Cerrato, Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano, uno dei magistrati

12 Nonostante, come riporta Ellen Willis, il sesso non sia una “funzione” isolata, ma un’esternazione
legata ad emozioni, modi di essere, principi e valori personali, salvaguardare la relazione rassicurante dei
rapporti di genere significa preservare un certo pubblico dalle conseguenze dell’esplosione del un
sistema di potere esistente (2014, 176).
13 Per un approfondimento sul panorama della stampa italiana per adulti si veda l’ultimo lavoro di

Giovanna Maina, Play Men! (2020).


14 La legge 17 luglio 1975, n. 355., articolo unico, contempla infatti l’ipotesi di esclusione dei

rivenditori professionali della stampa periodica e dei librai dalla responsabilità derivante dagli articoli
528 e 725 del codice penale e dagli articoli 14 e 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. “Non sono punibili
per i reati previsti dagli articoli 528 e 725 del codice penale e dagli articoli 14 e 15 della legge 8 febbraio
1948, n. 47, i titolari e gli addetti a rivendita di giornali e di riviste per il solo fatto di detenere, rivendere,
o esporre, nell’esercizio normale della loro attività, pubblicazioni ricevute dagli editori e distributori
autorizzati ai sensi delle vigenti disposizioni. La stessa disposizione si applica ai titolari ed agli addetti a
negozi di vendita di libri e pubblicazioni non periodiche, salvo il caso che essi operino di concerto con gli
editori ovvero con i distributori al fine specifico di diffondere stampa oscena. Le disposizioni di esonero
di responsabilità di cui ai commi precedenti non si applicano quando siano esposte, in modo da renderle
immediatamente visibili al pubblico, parti palesemente oscene delle pubblicazioni o quando dette
pubblicazioni siano vendute ai minori di anni sedici. In tale caso la pena è della reclusione sino ad un
anno. Nei casi in cui il reato previsto dall’articolo 528 del codice penale sia commesso da un editore di
libri o stampa periodica si applica la pena della reclusione da uno a tre anni.”
15 Le influenze di marchi come Playboy o Hustler hanno effetti anche verso la metà degli anni Novanta,

quando iniziano ad essere utilizzati come marchio o decorazione per capi di abbigliamento e gadget.

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DE GENERE 6 (2020): 191-205

più attivi nella difesa del pudore, concorda con alcune case editrici la possibilità di
tenere le loro riviste nelle edicole, a patto che le copertine siano prive di immagini ed
espressioni oscene e che sia esposta e ben visibile la dicitura “vietato ai minori”.
Tuttavia, nonostante l’apparente permissività, sussiste, nel contesto italiano, una
ritrosia a mostrare l’osceno, come dimostra la differenza fra i prodotti originali italiani
e le versioni per il mercato estero, che presentano rinforzi di scene hard. In questo
senso, fra i prodotti audiovisivi pornografici italiani degli anni Settanta, è necessario
sottolineare l’importanza della figura di Joe D’Amato, regista horror di culto di opere
come Sesso nero, girato nel 1978 e considerato il primo film pornografico italiano, o la
serie erotica Emanuelle nera del 1975, nata per il mercato nazionale come un progetto
softcore. Tra i primi praticanti del video in Italia si distingue, inoltre, Mario Salieri,
che, in una dimensione altrettanto influenzata dall’estetica cinematografica (Adamo
2004, 12), “serializza” i prodotti invece dei marchi: diventa comune l’espressione della
sessualità di fronte alla videocamera in costumi e formati immediatamente
riconoscibili. Se si intende storicizzare il cinema pornografico italiano, questo processo
è particolarmente significativo perché propedeutico al passaggio dal cinema alle
videocassette pornografiche, così come il mutamento, destinato a terminare nel
decennio successivo, che coinvolge gli interpreti dell’hard, che passano dalla categoria
di attrici/attori a quella di performer. In questa fase, la selezione avviene in base al
grado di qualità estetica dei corpi da riprendere in forma ravvicinata, con specificità da
etichettare immediatamente come pornografiche,16 che contribuiscono a costruire una
cultura definita dall'immagine e dalla circolazione incessante delle immagini.17
Fantastica Moana
Il personaggio Moana Pozzi è contraddistinto dall’aderenza dei connotati della sua
figura pubblica e di quella pornografica, che è sempre vistosamente diversa da quella
delle altre donne. Moana è immediatamente riconoscibile tanto sul lavoro quanto nelle
apparizioni televisive, che la vedono circondata da donne “meno avvenenti di lei e
vestite con abiti più castigati” (De Maria e Santangelo 2015, 184). Il peso simbolico ne
determina l’attenzione a un tipo di estetica curata e canonicamente femminile, che sulla
scena pornografica si riscontra nel viso truccato, nella pettinatura e nella mise non
dissimili da quelle sfoggiate nella vita pubblica. L’abito rosso esibito in diretta con
Pippo Baudo a Tutti a casa è solo meno scollato di quello che indossa nella locandina di
I vizi segreti degli italiani, il cappotto che le copre le spalle in Cicciolina e Moana
Mondiali non è molto diverso dalla pelliccia indossata in vista delle elezioni politiche
del 1992. La grammatica a monte del personaggio di Moana Pozzi prevede che l’attrice
non venga ricordata tanto per le sue gesta di pornostar quanto per la sua statuaria
bellezza, adatta al cinema tradizionale e al grande pubblico. Descritta da Santangelo

16 In “Le grandi manovre. Gli anni Settanta preparano il porno”, Giovanna Maina e Federico Zecca

descrivono la liberalizzazione globale della pornografia come “un percorso globale e di lunga durata,
determinato da una serie di graduali mutazioni storico-politiche, socio-culturali, etiche e tecnologiche
che caratterizzano il Novecento nella sua interezza” (Maina e Zecca 2012, 59). Come afferma il titolo del
saggio, gli anni Settanta “preparano il porno”: nella quasi totalità dei paesi europei cominciano a nascere
le sale a luci rosse, prima della massiccia diffusione degli home-video pornografici.
17 Fattori come configurazioni economiche e culturali, identità, tecnologie dei media e consumo dei

media sono componenti comuni degli studi postmodernisti, la cui etica ed espressione produce effetti
all’interno della cultura delle celebrità contemporanea, come spiega Anthony Elliot in Handbook of
Celebrity Studies.

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TORRE, MALINCONICA MOANA, MORTE E MALATTIA SULLO SFONDO DEL PORNO ITALIANO

come l’emblema dell’immagine “della donna oggetto che diventa soggetto” (2015, 177),
Pozzi si era distinta come il membro più noto dell’entourage di Diva Futura, la prima
agenzia italiana specializzata in pornografia, fondata nel 1983 da Riccardo Schicchi e
Ilona Staller.
In un contesto culturale in cerca di uno scudo contro i capovolgimenti sociali e il
progresso politico, l’erotismo glaciale di Moana Pozzi incarna la fantasia più
rassicurante per il pubblico maschile, che desidera soprattutto conservare
un’autorappresentazione che descrive la mascolinità come potente, inscalfibile. Il
distacco, amplificato dal doppiaggio, è il marchio di fabbrica della star, che alterna
sorrisi educati a una presa di posizione innegabilmente passiva durante i sex acts. Il
sesso sullo schermo, sdoganato dagli anni Sessanta per salvaguardare gli incassi
dell’industria cinematografica, è circoscritto “dal senso borghese del pudore” (Maina
2020, 9). Pozzi sfoggia passivamente la disponibilità del suo corpo; subisce la
penetrazione, abbigliata con eleganza, i capelli in piega, il trucco applicato con la
precisione impeccabile della moda del momento, il rossetto rosso, una sottile linea di
eyeliner nero, come per un’occasione formale ed elegante. Lo stesso Rocco Siffredi,
collega e partner preferito della star, la definisce “inibita”, descrivendola come
“riservata, distaccata, poco adatta al porno” e sottolineandone, intervistato a riguardo,
la remissività18. Il corpo di Moana è il perno erotico di una precisa visione del modello
occidentale di donna: bianca, bionda, elegante.
Complice il moto emancipatore degli anni Sessanta, il corpo femminile finisce per
incarnare uno strumento di promozione sociale, dissociato, però, da qualsiasi slancio
apertamente provocante o prosaico da parte delle donne. Le pose condiscendenti e
arrendevoli di Moana Pozzi riproducono la dinamica tradizionale dei ruoli: quello
maschile, cacciatore, e quello femminile, da preda. Senza necessariamente assumere la
tesi di Andrea Dworkin per cui l’atto eterosessuale è intrinsecamente un atto di
occupazione e colonizzazione di una forza ostile, un “ritratto di uomini che hanno
bisogno di credere nel proprio assoluto, immutabile, onnipresente, eterno, potere senza
limiti” (1981, 90), quello che si evince in una gestualità scarna, che non performa, non è
un’attiva partecipazione al piacere. Ad essere proposto come partner frequente di Pozzi
è proprio Siffredi, definito da Pietro Adamo come “dominante, passionale, attivo”
(2004, 242) e “l’attore giovane di maggiore personalità nel porno mondiale” (2004,
243). Un esempio su tutti è Fantastica Moana, il primo film nella carriera di Rocco
Siffredi e il secondo in quella di Moana Pozzi, dove, in una fluida combinazione di
gonzo e contesto narrativo, Siffredi sfoggia una forma di violenza che Adamo,
comparandola a quella di Max Hardcore, definisce “più impetuosa e meno asettica”;
sfruttando la “potenza fisica del maschio” (2004, 243) il pornoattore stabilisce un
determinato stile comunicativo, spontaneo e dinamico. Sottomissione e passività
sessuale confinano invece Moana nel suo genere, il suo stesso aspetto
convenzionalmente elegante assume un significato sociale: il personaggio, che risulta
immediatamente riconoscibile come avviene con un prodotto in franchising o con il
protagonista di una serie televisiva, è rassicurante e conferisce un senso di liceità
estetica a una sfera discussa e controversa come quella pornografica. Nei film di Moana
Pozzi a creare “la frenesia del visibile” di cui scrive Linda Williams (Williams 1989, 36)
non è la particolarità dell’azione filmica pornografica, che non prevede pratiche
estreme come il pissing, né bondage o elementi di BDSM, ma l’elemento pornografico
18 Si veda, ad esempio, la “confessione” sul suo canale Youtube, Rocco’s World Official,

https://www.youtube.com/watch?v=rwuXyPmPYec .

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DE GENERE 6 (2020): 191-205

combinato a un’estetica non dissimile da quella del cinema classico hollywoodiano. Gli
atti sessuali sono ridotti a poche interazioni genitali, che prevedono la penetrazione,
vaginale e anale, e pratiche orali che vengono sempre dirette e istigate dalla parte
maschile. Se in un immaginario sessuale collettivo profondamente vanilla come quello
italiano negli anni Ottanta sono presenti trasgressioni da parte delle attrici donne, in
termini di sexual acts peculiari o legati a dati tabù o parafilie, esse sono giustificate
dall’estetica e dalla “fama” di chi le compie. Emblematico in questo senso il ruolo
assunto nell’immaginario collettivo da Ilona Staller dopo la sua apparizione in
Cicciolina Number One. Nonostante la pellicola di Riccardo Schicchi, datata 1986, veda
Denise Dior, specializzata in scene di zoofilia, impegnata a simulare un rapporto
sessuale con uno stallone, mentre Staller assiste, appoggiata a un calesse, è al
personaggio di Cicciolina, nel discorso pubblico, che viene attribuito l’amplesso con
l’equino,19 vista la reputazione del suo personaggio votato all’eccesso e all’ironia.
La contrapposizione lavorativa ed estetica a Staller/Cicciolina, costruita con una
maggiore aggressività e un più vasto gusto per la provocazione ha l’effetto di
sottolineare l’atteggiamento remissivo di Pozzi. Le attività pornografiche filmate
appartengono a un modello erotico standardizzato composto da attività sessuali
classiche, che non intendono davvero stridere o provocare una rottura. Le posizioni
assunte da Pozzi e i suoi atti sessuali compiuti in risposta agli stimoli degli agenti
maschili la posizionano in un ruolo definitivamente non dominante, come esponente di
un modello di passività e di resa sessuale simile a quello criticato dalle femministe
antiporno. In Cicciolina e Moana Mondiali, è a Staller che viene lasciato l’onere
dell’iniziativa nei confronti dei calciatori/pornoattori, è a lei che spettano approcci
fisici espliciti, è la prima a sperimentare pratiche meno convenzionali, come avviene
nella scena con Ron Jeremy e la banana, e la prima a ricevere sesso orale nella scena
del rapporto lesbico con Pozzi. A sottolineare la differenza fra i ruoli delle due attrici si
aggiungono anche i primi piani: se Staller è ripresa soltanto in atteggiamenti
ammiccanti, con la lingua fra le labbra, quando si tratta di Moana, le inquadrature
esplicite si alternano a istantanee di mani curate e dettagli di eleganti décollete rosse.
Al sorriso ampio di Ilona Staller e al suo abbigliamento vistoso e bizzarro, Pozzi
contrappone pochi gesti misurati e un’espressione malinconica. Anche in Ecstasy,
pellicola erotica di Luca Ronchi distribuita nel 1989, permane nel personaggio di
Moana Pozzi un atteggiamento distaccato, malinconico e passivo, apertamente
contrapposto a Siffredi e alla sua “volontà fusionista di scambiare fluidi e conoscere
l’altra” (Adamo 2004, 260). Nel susseguirsi di eventi che la vedono impegnata sul set di
film porno, per le strade a cercare di salvare la sorella dalla cocaina e in giro per feste
decadenti, Moana Pozzi resta con lo sguardo assente, viene descritta come “il sogno
erotico degli italiani” e come tale conserva una dimensione di riservatezza onirica,
alternando, durante gli atti sessuali come in tutti gli altri atti scenici, pose nostalgiche
che suggeriscono rimpianto ad un’esplicita voce narrante fuori campo che racconta
malinconia, solitudine e dolore. Le modalità recitative di Moana Pozzi ricalcano la
nostalgia dei valori tradizionali che caratterizza gli anni Ottanta e la loro ferrea
separazione dei ruoli di genere; come scrive Willis (2014, 41), uno dei principali

19 Si veda a questo proposito la causa intentata a Google da parte dell’attrice:


https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/cicciolina-fa-causa-google-mai-fatto-sesso-cavallo-
1350194.html; https://www.huffingtonpost.it/2017/01/13/cicciolina-video-cavallo_n_14144262.html;
https://www.tre43.it/cicciolina-chiede-70-milioni-euro-google-mai-sesso-un-cavallo/. Secondo Marco
Giusti, persino Federico Fellini sarebbe stato convinto dell’avvenuto amplesso (Giusti 2004, 13).

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TORRE, MALINCONICA MOANA, MORTE E MALATTIA SULLO SFONDO DEL PORNO ITALIANO

mestieri femminili è quello di essere un oggetto sessuale gradevole alla vista. La


tradizionale separazione dicotomica madonna/prostituta è riassunta nell’aspetto
rassicurante di Moana Pozzi, bionda come le eroine vittime di Alfred Hitchcock e
preposta dalla sua professione al piacere maschile. L’avvenenza convenzionale e la
distanza glaciale, impassibile, fungono da contrappeso ai valori tradizionali che la
società patriarcale impone alle donne, come la mancanza della monogamia e della
castità, prerogative che una pornostar non può ovviamente garantire. La trasgressione
della rappresentazione degli atti sessuali viene lenita dal rispetto dei ruoli di genere,
dalla sottomissione e dalla subordinazione: la complessità delle dinamiche sessuali
risulta schiacciata e appiattita in una ferreo binomio vittima/carnefice, dove la
“violenza subita” (Willis 2014, 354) è un concetto che assume in sé la mancanza di
agency e la proietta nell’immagine corporea dell’attrice.
In quest’ottica, Moana Pozzi può essere contestualizzata in una dimensione
postmoderna: Fredric Jameson, nella difesa della tesi che l’opera d’arte esprima la
logica dello sviluppo, della produzione e della contraddizione sociali secondo modalità
utilmente più precise di quelle disponibili altrove, analizza la questione della corporeità
e afferma che l’immagine del corpo riesce a rafforzare l’illusione dell’unità della
personalità. Nel postmoderno il nominalismo 20 implica una riduzione al corpo in
quanto tale, circostanza che, più che rappresentare il trionfo delle ideologie del
desiderio, si configura come la verità segreta della pornografia contemporanea. In
Hardcore. Power, Pleasure and the Frenzy of the Visible, Williams sottolinea come la
definizione di pornografico si attribuisca a ciò che viene percepito come lussurioso,
impuro, indecente e osceno (1989, 202). L’osceno è letteralmente l’off scene, ciò che non
deve calcare il palcoscenico sottoposto alla visione pubblica. L’opera di Moana Pozzi,
che rende il suo corpo un mezzo di titillante rassicurazione per i suoi spettatori, non è
certamente adatta a tutta la quotidianità, ma relegata in una fascia serale e diretta ad
un pubblico adulto non risulta oscena e può essere normalizzata proprio in virtù
dell’esistenza di uno iato fra lei e le altre star del porno. La differenza con le altre
pornoattrici, sancita dalla bellezza canonica di Pozzi, riguarda la presentabilità della
star, rassicurante per i suoi modi garbati durante le apparizioni pubbliche,
l’abbigliamento e i connotati tipicamente occidentali, simili a quelli dell’immaginario
conservatore, classico e coloniale.
A rafforzare l’immaginario colonialistico e la dicotomia maschile-
attivo/femminile-passivo, interviene anche la canonica “bianchezza” 21 dell’attrice,
avvolta dall’aura nostalgica delle dive del cinema degli anni Quaranta come Ingrid
Bergman, e Cinquanta come Grace Kelly e a loro più simile che alle contemporanee
Hyapatia Lee, modella pornografica di origine cherokee, o, ad esempio, Vanessa Del
Rio, star latina, formosa, esponente di un genere di bellezza decisamente meno
conforme di quella di Pozzi. In particolare, Del Rio, nota per le dimensioni della sua
clitoride, nata Ana Maria Sachez da padre cubano e madre portoricana e ritiratasi dalle

20 Nella Dialettica dell’Illuminismo, Adorno definisce come “nominalismo” il tendenziale rifiuto delle
forme generali o universali (compreso il genere) e la progressiva volontà dell’estetico di identificarsi
sempre più strettamente con il qui e ora di questa situazione e di questa espressione uniche (1966, 212).
21 Come scrivono Gaia Giuliani e Cristina Lombardi-Diop in Bianco e nero: Storia dell’identità razziale

degli italiani, il genere ha in sé il seme della costruzione della razza; non a caso, dal periodo liberale al
periodo fascista, lo Stato italiano assegna alle donne il compito di mantenere la purezza razziale. Il sesso
emerge come metodo di colonizzazione, evidenziato dalla figura patologica della Venere Nera,
l’immaginario della donna colonizzata come sessualmente rapace, funge da accento per il presunto
bianco delle colonie italiane. (2013, 12-13)

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DE GENERE 6 (2020): 191-205

scene nel 1986 per paura di contrarre l’AIDS, incarna standard estetici, evidenti, ad
esempio, nella fisionomia del viso, molto diversi da quelli “bianchi” e mostra la sua non
conformità genitale come un oggetto di feticizzazione e di attrazione.
Conclusione
La morte di Moana Pozzi crea nell’immaginario del suo pubblico una reazione
melancolica che può essere proficuo leggere alla luce del Freud di Lutto e malinconia. Se
sulla scena pornografica la passività e l’estetica elegante ne decretano il successo, la
distanza e il riserbo degli ultimi giorni della malattia 22 la configurano come un
enigmatico oggetto d’amore perduto, che le conferisce un’aura di sacralità
nell’immaginario nazionale. In un sistema valoriale in delicata trasformazione come
quello italiano, la strategia adottata per permettere ad una diva del porno di
raggiungere il traguardo dell’integrazione in una società permeata dalla morale
cattolica è l’adozione di standard estetici conformi al cinema tradizionale e dei
meccanismi strutturali della televisione, come la serialità del personaggio. Anthony
Elliot analizza le analogie fra i santi e le star, sottolineandone le differenze di linea
temporale: i santi divengono tali solo dopo la morte, mentre le celebrità acquisiscono la
loro etichetta mentre sono in vita (2018, 113). Se il culto della celebrità fornisce lo
spazio simbolico per allontanarsi dal contesto spazio-temporale della vita quotidiana
presente, finisce anche per innescare un rapporto di dipendenza nella formazione dei
meccanismi della fantasia e dell’immaginazione: l’auto-formazione culturale si fonda
sullo spettro istituzionalizzato di immagini e associazioni televisive. Secondo Philippe
Aries, il mondo moderno è caratterizzato dal tentativo di rendere la morte un
passaggio discreto nell’immaginario collettivo tramite il design razionale e il controllo
sociale, esercitato, nel caso di Moana Pozzi, nel negare agli occhi del suo pubblico la
sua raffigurazione più oscena. La paura della morte è una questione individuale,
quando coinvolge il pensiero collettivo assume un’aura di mistero quasi romantico, che
sfugge a ogni tentativo di controllo. La dimensione sociale della malattia è avvolta da
un senso di malinconia che è destinato a sparire solo in caso di scoperta di una cura:
proprio come il romanticismo che circondava la tubercolosi ha perso la sua potenza con
l’avvento di antibiotici, così spariranno i miti che hanno definito la paura del cancro
(Sontag 1979, 15). Se è vero che la malattia all’apparenza non viene tematizzata, è
grazie a questa omissione che la star malata può subire una mutazione più profonda:
facendosi immagine Moana Pozzi sopravvive al cambiamento, alla fine della vita e al
suo contesto culturale. Il senso di perdita collettivo espresso dall’opinione pubblica,
tanto in giornali, riviste e serie televisive che ne celebrano la fragilità e la bellezza
entrata nel mito, quanto da ex colleghi e professionisti, come lo stesso Rocco Siffredi,
ottiene l’effetto perverso di spersonalizzare ulteriormente l’attrice, rendendola un
oggetto di paragone simbolico e malinconico, passivo per definizione. La sfera
simbolica anestetizza la vita quotidiana, fissando una narrazione terapeutica contro la
realtà: se il tumore sfugge al controllo di chi ne è colpito, si può solo scegliere di
preservare un’immagine eterna, avvolta dalla malinconia e dal rimpianto. La morte di
Pozzi è avvolta dal mistero e si è creduto che sia stata causata dall’AIDS; la chiave di
lettura più semplice è che Pozzi non abbia fatto altro che rispettare quella che Sontag
definisce “una tacita convenzione a celare il cancro”, a non nominare nemmeno la

22 Dalle sue interviste, secondo Marco Giusti “traspare sempre un elegante velo di amarezza non per

lo scivolamento nell’hard, ma per il tempo che passa e per la bellezza che può sfiorire,” un senso
nostalgico che la accompagna per tutta la vita e che è determinante per il suo successo (2004, 14).

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TORRE, MALINCONICA MOANA, MORTE E MALATTIA SULLO SFONDO DEL PORNO ITALIANO

malattia più diffusa e terrorizzante del secolo (Sontag 1979, 9). I confini dell’ordine
pubblico istituzionalizzato, designato come buon gusto, impediscono un racconto
scientifico delle malattie, rese come un’unica metafora. Come scrive Sontag: “avere un
cancro può essere uno scandalo tale da mettere a repentaglio la vita amorosa, il lavoro
e la speranza di promozione di una persona” (1979, 9) tanto che chi ne è affetto tende
ad essere “estremamente riservato”, come è stata Pozzi, al fine di preservare la sua
immagine.

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