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SUTRA DEL CUORE (PRAJNAPARAMITA) – LA TRADUZIONE DI THICH

NHAT HANH

Il maestro zen Thich Nhat Hanh ha completato questa traduzione in inglese


del Sutra del Cuore l’11 settembre 2014, poche settimane prima di essere
ricoverato in ospedale. Il testo è destinato a essere utilizzato sotto forma di canto
nella pratica e nelle cerimonie di Plum Village, dove risiede la comunità dei monaci
della tradizione di Thich Nhat Hanh stesso. Il testo può risultare di non facile
comprensione, pertanto può essere utile leggere il commento di Thich Nhat
Hanh che lo accompagna, scritto per spiegare i motivi della nuova traduzione. Si
veda anche il commento di Shunryu Suzuki.

La comprensione profonda che ci conduce all’altra


riva
Avalokiteshvara,

essendosi immerso nella pratica della comprensione profonda


che ci conduce all’altra riva,


all’improvviso scoprì

che i cinque skandha sono tutti ugualmente vuoti,


e con questa realizzazione


superò ogni sofferenza.

“Ascolta, Shariputra:

questo stesso corpo è il vuoto


e il vuoto stesso è questo corpo.


Questo corpo non è altro che il vuoto


e il vuoto non è altro che questo corpo.


Lo stesso vale per le sensazioni,


le percezioni, le formazioni mentali


e la coscienza.
Ascolta, Shariputra:
tutti i fenomeni portano il marchio del vuoto;

la loro vera natura e’ la natura


della non-nascita e non-morte


del non-essere e del non non-essere,


della non-impurita’ e della non-purezza,


della non-crescita e della non-decrescita.

Questo è il motivo per cui nel vuoto


il corpo, le sensazioni, le percezioni,


le formazioni mentali e la coscienza


non sono entità con un sé separato.

I diciotto regni dei fenomeni –


ovvero i sei organi di senso,


i sei oggetti dei sensi,


e le sei coscienze – a loro volta


non sono entità con un sé separato.


I dodici anelli della genesi interdipendente


e la loro estinzione, a loro volta


non sono entità con un sé separato.


La sofferenza, le cause della sofferenza,


la fine della sofferenza, il Sentiero,


la comprensione profonda e la realizzazione,


a loro volta non sono entità con un sé separato

Chiunque sia in grado di vederlo,


non ha più bisogno di realizzare nulla.

I Bodhisattva che praticano


la comprensione profonda che ci conduce all’altra riva


non vedono più alcun ostacolo nella loro mente,


e poiché non esiste più


alcun ostacolo nella loro mente,


possono superare ogni paura,


distruggere ogni percezione erronea


e realizzare il Perfetto Nirvana.


Tutti i Buddha del passato, del presente e del futuro,
praticando la comprensione profonda che ci conduce all’altra riva,

sono in grado di realizzare


l’Illuminazione autentica e perfetta.

Quindi, Shariputra, si sappia


che la comprensione profonda che ci conduce all’altra riva


è un grande mantra,

è il mantra che più illumina,


il mantra supremo,

il mantra incomparabile,

la vera Saggezza che ha il potere


di porre fine ad ogni tipo di sofferenza.


Proclamiamo quindi

un mantra per lodare


la comprensione profonda che ci conduce all’altra riva:

Gate gate paragate parasamgate bodhi svaha!


Questo testo accompagna la traduzione del Sutra del cuore completata da Thich
Nhat Hanh (“Thay“) nel settembre 2014. Il Sutra del Cuore è uno dei più
importanti testi del buddhismo mahayana (quello da cui deriva lo zen) e testo
fondamentale sul tema della vacuità.

Le ragioni per cui Thay ha tradotto di nuovo il Sutra del


Cuore
Cara Famiglia,

il motivo per cui Thay ha sentito la necessità di tradurre di nuovo il Sutra del Cuore è che il
Patriarca che in origine ha trasmesso il sutra per iscritto non è stato abbastanza abile
nell’uso del linguaggio, causando così molti equivoci nel corso di circa duemila anni.

Thay desidera condividere con tutti voi due storie: la storia di un monaco novizio che era
andato a far visita a un maestro Zen e la storia di un Bhikkhu (un monaco) che era andato a
interrogare il celebre Maestro Tue Trung.

1.

Nella prima storia, il maestro Zen chiese al monaco novizio:

“dimmi, qual è la tua comprensione del Sutra del Cuore?”

Il novizio giunse le mani e rispose: “Ho compreso che i cinque skandha sono vuoti. Non ci
sono occhi, né orecchie, né naso, né lingua, né corpo né mente. Non ci sono forme, né
suoni, né odori, né sapori, né sensazioni, né oggetti mentali; le sei coscienze non esistono, i
diciotto regni dei fenomeni non esistono, i dodici anelli della genesi interdipendente non
esistono, persino la saggezza e la realizzazione non esistono.”

“Credi a ciò che dice il Sutra?”

“ Sì, certamente credo a ciò che dice.”

“ Avvicinati”, ordinò il maestro Zen al novizio.

Quando il novizio si fu avvicinato, subito il maestro Zen gli prese il naso fra il pollice e
l’indice e glielo strinse, torcendolo. Tutto dolorante il novizio si mise a urlare: “Maestro, mi
fai male!” Il maestro Zen guardò il novizio. ”Hai appena detto che il naso non esiste. Se il
naso non esiste, che cosa mai ti fa male?”

2.
Il celebre Maestro Tue Trung era un maestro Zen laico che in passato era stato mentore del
giovane Re Tran Nhan Tong, nel Vietnam del tredicesimo secolo. Un giorno un Bhikkhu
andò a fargli visita per interrogarlo sul Sutra del Cuore.

“ Rispettabile Nobile Maestro qual è il vero significato della frase “ la forma è vuoto, il vuoto
è forma” ?

Dapprima il Nobile Maestro restò in silenzio. Poi, dopo un po’, chiese : “Bhikkhu, tu hai un
corpo?”

“Sì, certo.”

“ E allora, perché dici che il corpo non esiste?”

Il Nobile Maestro continuò: “Secondo te, nello spazio vuoto c’è la forma?”

“No, non vedo che ci sia la forma.”

“Allora perché dici che il vuoto è forma?’

Il Bhikkhu si alzò, si inchinò e uscì. Il Maestro però lo richiamò indietro, per potergli recitare
la seguente gatha:

La forma è vuoto, il vuoto è forma

è un mezzo abile creato temporaneamente dai Buddha dei tre tempi.

Il vuoto non è forma, la forma non è vuoto.

La loro natura è sempre pura e luminosa, non è limitata né dall’essere, né dal non-essere.

In questa storia sembra che il Nobile Maestro Tue Trung contraddica il Sutra del Cuore e
metta in dubbio la sacra formula “ la forma è vuoto e il vuoto è forma”, considerata
inviolabile in tutta la letteratura della Prajñāpāramitā .

Thay ritiene che il Nobile Maestro sia andato troppo lontano. Il Maestro non aveva saputo
vedere che l’errore non risiede nella formula “ la forma è vuoto”, ma nell’espressione non
abile: “quindi nel vuoto non c’è forma”. Secondo Thay l’uso delle parole nel Sutra del Cuore
è perfetto dall’inizio fino al verso che dice: “né nascita, né morte, né contaminato né
immacolato, né aumenta né diminuisce”.

Thay si rammarica solo del fatto che il patriarca che per primo ha trasmesso il Sutra del
Cuore per iscritto non abbia aggiunto le quattro parole “ né essere, né non essere”
immediatamente dopo le quattro parole “ né nascita, né morte”, perché queste quattro
parole ci aiuterebbero a trascendere la nozione di essere e non-essere, e quindi non
saremmo più intrappolati in idee come “né occhi, né orecchi, né naso, né lingua…”

Il naso del monaco novizio fa male ancora oggi. Capite?


Il problema inizia con il verso: “Ascolta, Shariputra: per questo nel vuoto non c’è forma, né
sensazioni, né percezioni, né formazioni mentali, né coscienza.”

(in
Sanscrito TasmācŚāriputraśūnyatayāmnarūpamnavedanānasamjñānasamskārānavijñānam)

Che strano! Prima si era affermato che il vuoto è forma e la forma è vuoto, ora invece si
dice il contrario: c’è solo il vuoto, non c’è corpo. Questa frase del Sutra può generare molti
fraintendimenti dannosi: cancella tutti i fenomeni dalla categoria dell’“essere” e li mette
nella categoria del “non-essere” (né forma, né sensazioni, né percezioni, né formazioni
mentali, né coscienza…). Eppure la vera natura di tutti i fenomeni è quella di né essere né
non-essere, né nascere né morire. Il punto di vista dell’“essere” è un punto di vista estremo,
così come il “non-essere” è un altro punto di vista estremo.

È proprio a causa di questa espressione non abile che il naso del monaco novizio fa ancora
male.

Anche la famosa gatha attribuita al sesto patriarca Hue Nang (Hui-Neng) quando presentò
la sua visione profonda al quinto patriarca Hoang Nhan (Hung-Jen), esprime questa idea ed
è intrappolata nella preda della medesima visione erronea.

“In origine, non c’è alcun albero della Bodhi,


né esiste alcuno specchio lucente.
Dal non-inizio del tempo non è mai esistito nulla,
dunque dove può mai posarsi la polvere?”
Passa una nuvola bianca e oscura l’entrata della caverna,
per cui tantissimi uccelli non trovano più la strada di casa.

La visione profonda della Prajñāpāramitā è per eccellenza la più liberatoria delle visioni, che
ci aiuta ad andare oltre tutte le coppie di opposti come nascere e morire, essere e non-
essere, immacolato e contaminato, crescere e decrescere, soggetto e oggetto, e così via, e
ci aiuta ad entrare in contatto con la vera natura del “né nascere né morire”, “né essere né
non-essere”, eccetera, che è la vera natura di tutti i fenomeni. È uno stato di tranquillità, di
pace, di non-paura che possiamo esperire proprio in questa vita, nel nostro corpo, nei
nostri cinque skandha. È il nirvana. Come gli uccelli gioiscono nel cielo e i cervi gioiscono nei
prati, così i saggi gioiscono dimorando nel nirvana. Troviamo questa splendida frase nel
capitolo sul Nirvana nel Dharmapada Cinese.

La visione profonda della Prajñāpāramitā è la verità ultima che trascende tutte le verità
convenzionali. È la visione più alta trasmessa dal Buddha. Qualsiasi paragrafo del Tripitaka,
perfino nella più suggestiva delle tante versioni della Prajñāpāramitā che vi sono raccolte,
se contraddice questa visione è ancora invischiato nella verità convenzionale. Purtroppo
nel Sutra del Cuore troviamo un simile paragrafo, anche piuttosto lungo.

Ecco perché in questa nuova traduzione Thay ha modificato il modo di in cui le parole sono
state usate sia nella versione originale in sanscrito che in quella cinese di Huyen Trang
(Xuan-Zang). Thay traduce così :
“Ecco perché, nella vacuità, corpo, sensazioni, percezioni, formazioni mentali e coscienza non
sono entità con un “sé” separato.” Tutti i fenomeni sono prodotti da origini interdipendenti :
questo è il punto centrale di tutto l’insegnamento della Prajñāpāramitā . “Persino la
profonda comprensione e la realizzazione non esistono come entità con un sé separato”. Questa
frase è altrettanto importante della frase “la forma è vuoto”. Thay ha anche aggiunto “ né
essere né non-essere”, al testo.

“Né essere né non-essere” è la profonda visione del Buddha dichiarata nel sutra di
Kātyāyana, quando egli offrì una definizione della “retta visione”. Queste quattro parole “ né
essere né non-essere” aiuteranno le generazioni future a non soffrire la pena di un naso
ritorto.

Il Sutra del Cuore era destinato ad aiutare i seguaci della scuola Sarvāstivāda abbandonare
l’idea della non esistenza del sé e dei fenomeni. L’insegnamento più profondo della
Prajñāpāramitā è nella vacuità del sé (ātmaśūnyatā) e nella vacuità dei fenomeni
(dharmanairātmya) e non nel non-essere del sé e dei fenomeni. Nel Sutra di Kātyāyana il
Buddha ha insegnato che la maggior parte delle persone nel mondo sono catturate
dall’idea dell’essere o del non-essere. Perciò la frase “nel vuoto non c’è forma, né
sensazioni…” è chiaramente ancora radicata nell’idea del non-essere. Perciò questa frase
non corrisponde alla verità ultima.

“Vuoto di sé” significa soltanto la vacuità del sé, non significa “il non-essere del sé”, proprio
come dire che un pallone è vuoto non significa che il pallone non esista. Lo stesso dicasi
per il “vuoto di dharma” (fenomeni): significa solo la vacuità di tutti i fenomeni, non significa
la non-esistenza dei fenomeni. È come un fiore che è fatto soltanto di elementi di non-fiore:
il fiore è vuoto (privo) di un’esistenza separata, ma questo non significa che il fiore non
esista.

Il Sutra del Cuore è apparso tardivamente, in un’epoca in cui il Buddismo Tantrico


cominciava a fiorire. Il Patriarca che ha compilato il Sutra del Cuore voleva incoraggiare i
seguaci del Buddismo Tantrico a praticare e recitare il Sutra del Cuore, perciò lo ha
presentato in forma simile a un mantra. Anche questo era un mezzo abile. Thay ha usato la
frase “ La visione profonda che ci conduce all’altra riva” perché nel mantra c’è l’espressione
“pārāgate” che significa “ andato, passato all’altra riva, la riva della saggezza”.

Le parole pārāyana e pārāmitā sono state tradotte entrambe come “ attraversare [il fiume]


verso l’altra sponda”.

Anche nel Sutta Nipāta c’è un capitolo intitolato Pārāyana che è stato tradotto a sua volta
come “attraversare verso l’altra riva”.

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