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IL DIGITALE A SCUOLA

La digitalizzazione della scuola è legata alla parola innovazione, infatti digitale e innovazione sono due parole che in
qualsiasi convegno appaiono associate. Innovazione rispetto a progresso ha decisamente una componente etica ridotta, è
una novità perché vittoriosa nella competizione economica ma non ha al suo interno la domanda esplicita rispetto a questa
innovazione al bene della comunità. Innovazione è un concetto che spinge a produrre cose nuove perché è un bene in sé
produrre cose nuove. Intorno a questa idea si è sviluppato il concetto di urgenza, “bisogna fare presto perché gli altri
stanno andando più veloci di noi”; l’altra caratteristica è quella della rivoluzione sta cambiando tutto, la scuola non è più
quella di una volta esattamente come i ragazzi, hanno uno stile di apprendimento diverso, non possono più essere coinvolti
con le tradizionali metodologie didattiche. Questo discorso a tratti è ideologico, perché non rappresenta la realtà, non è
bastato sull’evidenza scientifica bensì rappresenta uno step di aspettative che poi si sono tradotte in politiche le quali
hanno preso queste due caratteristiche dell’urgenza e della rivoluzione.

Nel capitolo 2: analisi dei documenti ufficiali che giustificano gli investimenti nelle tecnologie digitali, come i police maker
giustificano l’interesse nell’immissione di tecnologie: 1) aumentare i livelli di apprendimento, 2) aumentare il livello di
competenze digitali 3) l’inclusione degli studenti a rischio. Sul primo di questi obiettivi che poi è il più perseguito, non si
notano questi grandi risultati, ci sono però degli esperimenti in piccola scala che invece trova degli effetti positivi nella
digitalizzazione, la domanda da farci è però che cos’è tecnologia e cos’è metodologia didattica? Mettiamo insieme le due
cose, per esempio: un software per insegnare il teorema di Pitagora, può funzionare meglio in termini di apprendimento
del teorema di Pitagora stesso rispetto al metodo tradizionale, però da qui ricavare la conclusione che sono le tecnologie
che hanno prodotto questo aumento di apprendimento non è corretto perché quel software incorpora un diverso modo di
insegnare il teorema, magri è più pratico. Quindi seppur trova degli esiti positivi si scontra con l’evidenza sul campo dove
effettivamente gli investimenti non sono serviti a molto almeno sull’apprendimento.

L’innovazione tecnologica spesso si lega all’innovazione didattica, uno degli interrogativi di questo libro è qual è il ruolo di
uno e dell’altro, li abbiamo visti molto legati ma non per forza devono andare sempre di pari passo.

Per quanto riguarda le competenze digitali non abbiamo dei risultati così definitivi come sui livelli di apprendimento,
tuttavia l’immissione di tecnologie favorisce delle competenze digitali operative cioè le abilità di utilizzo e qui ci sono dei
segnali incoraggianti, però non favorisce la semplice immissione di tecnologie per le competenze digitali delle valutazione
delle informazioni, avere relazione sociali significative e non conflittuali, abilità di produrre contenuti in modo consapevole
online, abilità strategiche nell’uso dei media. Per tutta questa parte più critica, che è la vera urgenza per la scuola, non si
vedono grandi miglioramenti nel livello di competenze digitali per effetto di immissione di tecnologia.

EVIDENZE: ci mostrano che il ritorno degli investimenti versati sul digitale a scuola in Italia ma anche in molte altre parti
del mondo sono stati nulli, non hanno portato a un aumento dei livelli di apprendimento, tra l’altro primo obiettivo di
queste politiche. Tema delle disabilità, dove sicuramente abbiamo esiti positivi ed anche gli insegnanti concordano con il
dire che questo è un campo dove la tecnologia digitale ha portato benefici importanti; diverso è il discorso per studenti
poco coinvolti, il fatto di pensare che la tecnologia abbia un potere di coinvolgimento è problematico: gli studenti dicono
di preferire le lezioni tecnologiche rispetto a quelle tradizionali, anche gli insegnanti vedono un maggiore coinvolgimento,
la domanda è quali sono gli effetti collaterali di questo coinvolgimento attraverso la tecnologia? Che possono essere di tipo
cognitivo, cioè un utilizzo delle strategie ludiche e quindi abbasso la complessità cognitiva per coinvolgere più le persone
ma possono essere anche di tipo abituale cioè a un certo punto si assuefà a una modalità ludica e l’effetto non si registra
più. Abbiamo bisogno quindi di più evidenza per trarre delle conclusioni definitive.

È stato un abbaglio pensare che le tecnologie digitali e gli ambienti ad essa connessi avrebbero rivoluzionato la didattica e
la scuola in un senso migliorativo, come è stato un abbaglio anche rincorrere alcune applicazioni commerciali del mondo
giovanile come se fossero l’avanguardia da imitare, da seguire anche per la realtà scolastica. È un abbaglio perché la
funzione della scuola è quello di insegnare a leggere criticamente la realtà; per farlo non occorre tanto essere
all’avanguardia della tecnologia per veicolare la didattica, non è l’urgenza, l’urgenza è quella di insegnare a leggere
criticamente la realtà digitale.

Se finora sono state messe grandi risorse di attenzioni ma anche di denaro nella didattica come nella tecnologia Marco Gui
suggerisce di spostare queste attenzioni e il denaro su uno sviluppo di un uso critico dei media, quindi organizzare
formazioni per i docenti su come può un insegnante all’interno della sua attività quotidiana, formare alla lettura critica dei
media. La condizione in cui ci troviamo di iper connessione ci pone in una condizione dove oltre alle classiche competenze
digitali, c’è anche una nuova urgenza, cioè abituarsi a gestire una sovrabbondanza comunicativa permanente quindi
gestendo in modo strategico tempo e attenzione, tutto ciò può distinguere un uso arricchente della rete da un uso povero o
addirittura controproducente della rete.

Un report di una conosciuta società di ricerca di mercato ha calcolato che nel 2013 la spesa globale in hardware scolastico è
stata di 13 miliardi di dollari, stimando un aumento a 19 miliardi nel 2018, con una crescita media annuale dell’8% dal 2013
RIASSUNTO

IL DIGITALE A SCUOLA
La digitalizzazione della scuola è legata alla parola innovazione, infatti digitale e innovazione sono due
parole che vanno di pari passo. Innovazione però rispetto a progresso ha decisamente una componente etica
ridotta, è una novità perché vittoriosa nella competizione economica ma non ha al suo interno la domanda
esplicita rispetto a questa innovazione al bene della comunità. Innovazione è un concetto che spinge a
produrre cose nuove; proprio intorno a questa idea si è sviluppato il concetto di urgenza, “bisogna fare
presto perché gli altri stanno andando più veloci di noi”; l’altra caratteristica è quella della rivoluzione sta
cambiando tutto, la scuola non è più quella di una volta esattamente come i ragazzi, hanno uno stile di
apprendimento diverso, non possono più essere coinvolti con le tradizionali metodologie didattiche. Questo
discorso a tratti è ideologico, perché non rappresenta la realtà, non è bastato sull’evidenza scientifica bensì
rappresenta uno step di aspettative che poi si sono tradotte in politiche le quali hanno preso queste due
caratteristiche dell’urgenza e della rivoluzione.

A partire dalla fine degli anni Novanta, in quasi tutto il mondo le politiche pubbliche, ma anche molti progetti
privati e associativi, hanno puntato in maniera sempre più pressante sull’introduzione di strumenti digitali nei
sistemi educativi. In particolare, l’Unione Europea, con la Strategia di Lisbona del 2000, ha fatto si che il
numero di tablet, LIM, computer all’interno delle scuole secondarie di primo grado e di secondo grado fosse
aumentato di gran lunga. Questo perché si pensava che l’uso del digitale all’interno della scuola dovrebbe
favorire l’aumento delle performance cognitive in determinate discipline. Marco Gui affronta poi l’analisi
dei documenti ufficiali che giustificano gli investimenti nelle tecnologie digitali, infatti avremmo dovuto avere:
1) aumentare i livelli di apprendimento, 2) aumentare il livello di competenze digitali 3) l’inclusione
degli studenti a rischio. Sul primo di questi obiettivi che poi è il più perseguito, non si notano questi grandi
risultati, ci sono però degli esperimenti in piccola scala che invece trova degli effetti positivi nella
digitalizzazione, la domanda da farci è però che cos’è tecnologia e cos’è metodologia didattica? Mettiamo
insieme le due cose, per esempio: un software per insegnare il teorema di PITAGORA, può funzionare meglio
in termini di apprendimento del teorema di Pitagora stesso rispetto al metodo tradizionale, però da qui
ricavare la conclusione che sono le tecnologie che hanno prodotto questo aumento di apprendimento non è
corretto perché quel software incorpora un diverso modo di insegnare il teorema, magri è più pratico. Quindi
seppur trova degli esiti positivi si scontra con l’evidenza sul campo dove effettivamente gli investimenti non
sono serviti a molto almeno sull’apprendimento.

I TASSI DI DISPERSIONE SCOLASTICA sono rimasti invariati e le performance informatiche sono rimaste
anch’esse invariate perché c’è da ricordare che essendo nati nel nuovo millennio, molti ragazzi erano già
abituati ad essere circondati da tablet e computer, ed inoltre non ha portato grossi benefici nemmeno dal
punto di vista didattico, tant’è vero che Gui sostiene che i ragazzi che prendono appunti con il computer non
hanno la stessa capacità di immagazzinare i dati forniti dai docenti rispetto a quelli che prendono appunto con
carta e penna. Analizza inoltre anche a livello mondiale l’uso della digitalizzazione all’interno delle scuola: ad
esempio nella Silicon Valley in California proprio dove è nata la Apple e dove risiedono la maggior parte delle
aziende informatiche, hanno anch’esse investito milioni e milioni di dollari per finanziare progetti per
aumentare il numero di computer e tablet anche in zone disagiate del mondo, proprio perché si ha la
concezione a livello mondiale che l’uso informatico sia un miglioramento a livello didattico, cosa però
teoricamente non vera come analizza Marco Gui. Un report di una conosciuta società di ricerca di mercato ha
calcolato che nel 2013 la spesa globale in hardware scolastico è stata di 13 miliardi di dollari, stimando un
aumento a 19 miliardi nel 2018. Un progetto che si chiama One Lapton for Child è un’iniziativa non-profit
finalizzata allo sviluppo e alla diffusione di un laptop a basso costo, pensato soprattutto per i bambini di aree
svantaggiate. Il sito del progetto dichiara di aver distribuito più di 2 milioni e mezzo di laptop in 42 diversi
paesi del mondo, soprattutto in America Latina e in Africa. Tuttavia, i risultati di questo progetto in termini di
apprendimento, non sono stati particolarmente incoraggianti. Per quel che concerne l’Italia, il ministero
dell’Istruzione ha speso 128 milioni di euro nel periodo 2007-2012 per l’innovazione con le tecnologie attraverso
il «Piano scuola digitale». Analizzando i benefici che dovrebbe aver avuto il digitale a scuola ovvero diminuire
la dispersione scolastica, aumentare le performance cognitive in determinate discipline e aumentare le
performance informatiche da parte degli studenti, Gui vede che i benefici sono quasi nulli. Gui tuttavia
nota che l’uso delle LIM durante le lezioni porta anche a dei piccoli miglioramenti, ad esempio dice che le
immagini con le LIM servono a far aumentare l’attenzione in alcuni argomenti e far rimanere più impressi nella
mente determinati concetti questo però avviene solamente se ogni immagine viene separata da un’immagine
nera la quale serve a dare il tempo allo studente a recepire tutte le informazioni che ha avuto in
contemporanea alla spiegazione del docente. Gui dice che l’uso delle tecnologie all’interno delle scuole non
deve escludere l’attività del docente che è quella fondamentale, però il lavoro del docente può in alcuni casi
essere affiancato dall’uso dei tablet, del computer e delle LIM. Marco Gui apre anche una parentesi su alcune
classi completamente digitalizzate a Milano, dove utilizzano solo i tablet anche per scrivere, quindi senza
nemmeno più portare carta e penna, ed ha costatato che durante le letture di testi, gli studenti erano
continuamente distratti dal muovere il dito su e giù del tablet per cercare le altre pagine, cosa che non succede
con il cartaceo. Nota anche che il tasso di dispersione dal 2000 al 2012 è rimasto quasi del tutto invariato, anzi,
in alcuni casi ha potuto costatare che l’uso del digitale a scuola ha contribuito talvolta alla dispersione e al non
coinvolgimento da parte di quegli studenti con una situazione socioeconomica alle spalle che non permette
ovviamente l’acquisto di attrezzature digitali.

Tema delle disabilità, dove sicuramente abbiamo esiti positivi ed anche gli insegnanti concordano con il dire
che questo è un campo dove la tecnologia digitale ha portato benefici importanti; diverso è il discorso per
studenti poco coinvolti, il fatto di pensare che la tecnologia abbia un potere di coinvolgimento è
problematico: gli studenti dicono di preferire le lezioni tecnologiche rispetto a quelle tradizionali, anche gli
insegnanti vedono un maggiore coinvolgimento, la domanda è quali sono gli effetti collaterali di questo
coinvolgimento attraverso la tecnologia? Che possono essere di tipo cognitivo, cioè un utilizzo delle strategie
ludiche e quindi abbasso la complessità cognitiva per coinvolgere più le persone ma possono essere anche di
tipo abituale cioè a un certo punto si assuefà a una modalità ludica e l’effetto non si registra più. Abbiamo
bisogno quindi di più evidenza per trarre delle conclusioni definitive.

È stato un abbaglio pensare che le tecnologie digitali e gli ambienti ad essa connessi avrebbero rivoluzionato la
didattica e la scuola in un senso migliorativo. È un abbaglio perché la funzione della scuola è quello di
insegnare a leggere criticamente la realtà; per farlo non occorre tanto essere all’avanguardia della tecnologia
per veicolare la didattica, non è l’urgenza, l’urgenza è quella di insegnare a leggere criticamente la realtà
digitale.

Se finora sono state messe grandi risorse di attenzioni ma anche di denaro nella didattica come nella
tecnologia Marco Gui suggerisce di spostare queste attenzioni e il denaro su uno sviluppo di un uso critico dei
media, quindi organizzare formazioni per i docenti su come può un insegnante all’interno della sua attività
quotidiana, formare alla lettura critica dei media. La condizione in cui ci troviamo di iper connessione ci pone
in una condizione dove oltre alle classiche competenze digitali, c’è anche una nuova urgenza, cioè gestire in
modo strategico tempo e attenzione, tutto ciò può distinguere un uso arricchente della rete da un uso povero o
addirittura controproducente della rete.

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