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Il postcoloniale italiano. Costruzione


di un paradigma
Cristina Lombardi-Diop, caterina romeo

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cat erina romeo

‘La “svolt a” post coloniale negli st udi it aliani.’


sandra ponzanesi
Introduzione
Il postcoloniale italiano.
Costruzione di un paradigma
Cristina Lombardi-Diop e Caterina Romeo

Postcolonialismo: una deinizione


In un famoso saggio che enfatizza la «spazialità equivoca» e la «temporalità pro-
blematica» del termine «postcoloniale», Ella Shohat si chiede, «Quando, con esattez-
za, inizia il ‘postcoloniale’?» 1. Questa domanda è particolarmente rilevante per l’Italia,
dal momento che l’inizio del processo di decolonizzazione non ha coinciso con l’ini-
zio dell’era postcoloniale. Nel periodo che va dal 1890 al 1943, l’Italia ha formalmen-
te colonizzato l’Eritrea, la Somalia, parti della Libia, l’Etiopia, le isole del Dodecanneso
e l’Albania, ma il periodo post-indipendenza in questi territori non è iniziato simul-
taneamente. L’Italia ha uficialmente rinunciato al proprio impero coloniale con il
Trattato di Parigi del 1947, ma aveva già perso le colonie dopo la sconitta subita per
mano dell’esercito britannico in Africa orientale nel 1941 e in Libia nel 1943; sem-
pre nel 1943, il comando delle colonie in Albania e nel Dodecanneso era stato assun-
to dall’esercito tedesco. L’Italia, però, continuò ad avere relazioni di tipo coloniale con
questi Paesi anche quando essi cessarono di essere colonie italiane. Questo avvenne tan-
to a livello politico, come nel caso dell’AFIS (Amministrazione Fiduciaria Italiana della
Somalia) dal 1949 al 1960, quanto a livello economico, come nel caso della Libia, dove
gli italiani rimasero ino all’esodo forzato di massa del 1970. Inoltre, il processo di deco-
lonizzazione nelle colonie italiane non fu il risultato di guerre coloniali per l’indipenden-
za, nelle quali la periferia si ribellò alla metropoli; piuttosto fu il risultato dell’indeboli-
mento, e poi della sconitta, del regime fascista. Per tutti questi motivi il caso dell’Italia,
che raramente viene considerato nel contesto degli studi postcoloniali, ci induce a con-
siderare il postcolonialismo sotto una nuova luce.
Questo volume presenta e analizza la condizione postcoloniale italiana come
uno dei fattori determinanti della vita quotidiana che danno forma alla cultura con-
temporanea, identiicando un’ampia varietà di discorsi, pratiche sociali e forme di

1 Shohat 1992, p. 103. La traduzione dei brani citati è a cura della traduttrice, ove non altrimenti
segnalato.

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2 Introduzione

produzione culturale speciicatamente postcoloniali che trovano espressione nella


contemporaneità italiana. Il modo in cui questo volume si inserisce nel campo degli
studi postcoloniali non si limita all’esplorazione del rapporto tra ex colonizzatori ed
ex colonizzati e neanche a una rilettura della storia e della cultura coloniali; esso con-
sidera piuttosto come il paradigma postcoloniale formuli nuove epistemologie pro-
dotte da soggetti che prima non avevano voce, e allo stesso tempo sottolinea ed esa-
mina le relazioni di potere poste in essere dal colonialismo e il modo in cui esse ven-
gono perpetuate e corroborate nelle società postcoloniali contemporanee.
Il termine «postcoloniale» è sempre stato molto controverso, tanto a livello poli-
tico, quanto a livello teorico. Se da un lato questo termine rende invisibile la conti-
nuità esistente tra le relazioni di potere coloniali e quelle postcoloniali e neocoloniali,
dall’altro esso rende indistinguibili le speciicità spaziali e temporali, uniformandole
a un modello che rilette una posizione coloniale eurocentrica. In linea con quan-
to affermato da alcuni critici, che mettono in guardia sul fatto che il preisso «post»
seguito dal termine «colonialismo» possa evocare la ine di una fase e in tal modo
cancellare il legame esistente in epoca postcoloniale tra il colonialismo e i suoi effet-
ti nel presente 2, la nostra concezione del postcoloniale si fonda sull’assunto che gli
effetti economici e culturali del colonialismo sono tuttora presenti in molti Paesi, ivi
inclusa l’Italia, soprattutto nel modo in cui gli squilibri introdotti dai poteri colonia-
li vengono ripristinati nel mondo globale odierno attraverso il trattamento ingiusto
e l’esclusione dei migranti che provengono dai Paesi in via di sviluppo, a cui spes-
so viene negato l’accesso ai diritti umani e al privilegio di una cittadinanza globale 3.
Partendo dalla consapevolezza che il preisso «post» in «postcoloniale» segnala con-
tinuità piuttosto che frattura, il nostro volume adotta una prospettiva postcoloniale
sull’Italia contemporanea al ine di rideinirne la storia culturale e l’identità nazionale.
L’idea di postcolonialismo all’interno del volume è deinita in modo ampio e
include i processi di razzializzazione e genderizzazione e le trasformazioni culturali
generate nell’Italia contemporanea dall’eredità del colonialismo, dall’emigrazione di
massa, e dalle migrazioni globali contemporanee. Proprio in quanto la condizione
postcoloniale di un Paese deve essere analizzata al di là dei conini nazionali, è neces-
sario individuare i rapporti di continuità e di discontinuità tra l’Italia e gli altri Paesi
europei. Secondo la nostra analisi il postcoloniale italiano non si posiziona tanto in
relazione alla storia dell’impero britannico e di quello francese, che hanno generato
lussi migratori quasi esclusivamente dalle loro ex colonie, ma piuttosto in relazione
alla riconigurazione dell’Europa in seguito alla ine della Guerra Fredda, alla glo-
balizzazione delle migrazioni e alle postcolonialità che sono emerse da questa ricon-
igurazione 4. Nel mondo anglofono il termine «postcoloniale» viene di solito usa-

2 Cfr. Shohat 1992; McClintock 1995; Loomba 1998.


3 Cfr. Loomba 1998.
4 Di recente la critica ha analizzato la postcolonialità italiana rispetto a quella di altri Paesi europei,
in relazione sia alla produzione culturale (cfr. Ponzanesi – Merolla 2005; Ponzanesi – Waller
2011; Ponzanesi – Blaagaard 2012), sia alla storia e alla geograia dell’Europa coloniale e alle

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Il postcoloniale italiano. Costruzione di un paradigma 3

to per deinire tanto un approccio teorico-critico quanto un periodo storico che ha


inizio all’indomani dei processi di decolonizzazione e che si estende alle migrazio-
ni contemporanee dall’Asia, dall’Africa e dall’America Latina verso Europa e Nord
America. Nel contesto italiano, il termine è stato di recente utilizzato per esplorare
il continuum storico e la genealogia culturale che collega il passato coloniale italiano
alla contemporaneità della nazione. Il presente volume adotta questo signiicato del
termine al ine di riposizionare la storia coloniale e la sua eredità al centro del dibat-
tito nell’Italia contemporanea. Inoltre, attraverso l’inclusione dell’emigrazione, del-
la questione meridionale e dell’immigrazione come fenomeni strettamente connessi
alla condizione postcoloniale, il volume va oltre il contesto nazionale e la storia colo-
niale, suggerendo che l’identità nazionale italiana sia il frutto di fenomeni che hanno
avuto luogo nel passato oltre i conini della nazione, ossia a livello transnazionale, e
di eventi globali che continuano a veriicarsi nel presente.

Colonialismo, Sud, emigrazione


La struttura di questo volume si fonda, anche se in modo lessibile, sulle catego-
rie di spazio e tempo al ine di porre l’accento sul senso di continuità e di prossimità
(piuttosto che di frattura e di distanza) tra vari fenomeni interconnessi tanto storica-
mente, quanto geograicamente. Da una parte i concetti di identità e di cultura ita-
liana prendono forma in un continuum storico che collega il presente postcoloniale
al colonialismo, alla posizione subalterna del Sud e ai movimenti migratori nazionali
e internazionali. Dall’altra, la prospettiva postcoloniale enfatizza il senso di prossimi-
tà transnazionale che mette in connessione, in Italia, in Europa e in tutto il mondo,
diverse comunità diasporiche che hanno condiviso l’esperienza della colonizzazione 5.
L’Italia ha una lunga storia di migrazioni, sia transatlantiche, sia transmediter-
ranee. Tra il 1876 e il 1976, circa 26 milioni di italiani hanno lasciato il Paese, stabi-
lendo in questo modo un record nelle migrazioni internazionali 6. Il fatto che subito
dopo l’uniicazione (1861-1870) l’emigrazione divenne un fenomeno di massa e che
pochi anni più tardi l’Italia iniziò ad acquisire territori sul Mar Rosso (1882) che pre-
sto vennero a costituire la prima colonia italiana, l’Eritrea (1890), sottolinea la natura
transnazionale del nuovo stato-nazione appena uniicato, che costruì il proprio senso
di identità culturale proiettandosi ben al di là dei propri conini. La storia di emigra-
zione e di colonizzazione dell’Italia non ha creato soltanto «una circolazione di indi-

loro ‘rifrazioni’ sulle società postcoloniali contemporanee (Poddar – Patke – Jensen 2008).
Cfr. anche Ponzanesi in questo volume.
5 Questo approccio è in qualche modo simile a quello di Paul Gilroy, il quale afferma l’esistenza
di comunità e culture nere che, in differenti contesti geopolitici, hanno sviluppato caratteristi-
che comuni e una comune estetica. Ciò, secondo Gilroy, si deve al fatto che esse affondano le
proprie radici nella comune esperienza della diaspora africana. Cfr. Gilroy 1993.
6 Cfr. Choate 2008, p. 244, nota 1.

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4 Introduzione

vidui e di famiglie, ma anche di capitali, tradizioni e idee» 7. L’emigrazione ha anche


decentrato il senso di appartenenza nazionale e disseminato tratti linguistici e caratte-
ristiche culturali proprie del concetto di «italianità», un concetto centrale per la dei-
nizione e la comprensione della condizione postcoloniale dell’Italia contemporanea 8.
Dall’inizio del terzo millennio gli studi sulle migrazioni che hanno riguarda-
to l’Italia si sono concentrati sulla continuità esistente tra migrazioni internazionali
– transoceaniche e transmediterranee – e intranazionali 9. Di recente, inoltre, l’emi-
grazione e la colonizzazione dell’Africa sono state analizzate come fenomeni corre-
lati 10, che avevano origine nella necessità dello stato-nazione appena formatosi di
stabilire economie transnazionali a supporto di quella nazionale. Nicola Labanca ha
sottolineato il bisogno di analizzare la natura (e)migrante della colonizzazione italia-
na in Africa, invece di limitare lo studio della storia coloniale alla politica, alle strate-
gie militari e alla diplomazia. Questo consente di comprendere le implicazioni sociali
del fenomeno, sia in Italia, sia nelle colonie, e di esaminare le continuità e le discon-
tinuità esistenti tra emigrazione e colonizzazione. Mark Choate osserva che la parola
«colonia» è stata usata per riferirsi tanto ai possedimenti italiani d’oltremare, quanto
alle comunità di emigranti nel mondo 11, anche se gli italiani che vivevano nei terri-
tori colonizzati e coloro i quali erano emigrati altrove occupavano posizioni di potere
opposte rispetto alle popolazioni native 12. Anche l’analisi di Robert Viscusi si svilup-
pa a partire dal doppio signiicato della parola «colonia» al ine di impiegare i con-
cetti di «coloniale» e «postcoloniale» in una storia e in una geograia diverse da quel-
le usuali e di metterli in connessione con gli studi italoamericani negli Stati Uniti 13.
La sua terminologia, presa a prestito dal discorso postcoloniale e risigniicata, sotto-
linea la centralità della condizione di doppia subalternità culturale che caratterizza
la cultura italoamericana in rapporto tanto alla cultura dominante dell’Italia intesa
come «metropoli», quanto a quella degli Stati Uniti. Ponendo al centro della propria
analisi sull’emigrazione italiana negli Stati Uniti argomenti che sono centrali per gli
studi postcoloniali, come l’uso strategico del linguaggio, l’articolazione spaziale della

7 Choate 2008, p. 1.
8 Le contraddizioni insite nel concetto di «appartenenza nazionale» sono evidenti nel sistema
elettorale italiano. Nonostante la legge 459/2001 e poi il Regolamento di esecuzione DPR
104/2003 (cfr. http://www.esteri.it/MAE/IT/Italiani_nel_Mondo/ServiziConsolari/VotoEste-
ro/ElezioniPoliticheReferendum.htm) abbiano concesso ai cittadini italiani residenti all’estero
il diritto di voto nelle elezioni politiche e nei referendum popolari in Italia – includendo in tal
modo i discendenti degli emigranti che sono dotati di passaporto italiano, spesso persone che
non hanno forti legami con l’Italia e che non conoscono la lingua e la cultura italiana – gli
immigrati in regola che vivono, lavorano e pagano le tasse in Italia non hanno il diritto di voto
neanche nelle elezioni amministrative.
9 Cfr. Gabaccia 2000; Gaspari 2001.
10 Cfr. Labanca 2002a; Choate 2008, 2010.
11 Cfr. Fiore in questo volume.
12 Cfr. Choate 2008, p. 2.
13 Cfr. Viscusi 2010.

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Il postcoloniale italiano. Costruzione di un paradigma 5

dicotomia metropoli/periferia, la questione dell’egemonia culturale, i processi di eso-


tizzazione, i commerci internazionali e le rotte commerciali, Viscusi crea una conti-
nuità discorsiva tra l’impianto teorico-critico degli studi della diaspora e quello degli
studi postcoloniali, attribuendo in tal modo complessità ai concetti di subalternità
ed egemonia, così come anche alla deinizione stessa di postcolonialismo italiano.
Sebbene la propaganda del periodo liberale e quella del periodo fascista diffon-
dessero il messaggio che le colonie africane, una volta acquisite, sarebbero divenute
un’estensione del territorio nazionale e avrebbero accolto gli emigranti italiani in mas-
sa 14, l’emigrazione coloniale non raggiunse mai i numeri della Grande Migrazione ver-
so gli Stati Uniti. Inoltre, la natura «indiretta» del colonialismo italiano in Paesi come,
ad esempio, la Tunisia, un tempo colonia romana e all’inizio del XX secolo Paese con
una popolazione di 80.000 emigrati italiani, testimonia la complessità delle relazioni
coloniali ma anche delle migrazioni transmediterranee, introducendo un collegamen-
to tra «colonialismo indiretto» e «postcolonialità indiretta» nell’Italia contemporanea,
dove l’immigrazione di massa non proviene prevalentemente dalle ex colonie 15.
Prima dell’intervento di Viscusi, Pasquale Verdicchio aveva osservato che il
contesto italiano offre un esempio di come gli studi postcoloniali possano ampliare
il proprio ambito e andare al di là di limitanti dicotomie se si considera la posizione
del Mezzogiorno come estensione coloniale del Nord Italia al tempo dell’uniicazio-
ne. Il colonialismo interno italiano fornisce un esempio di come il discorso postco-
loniale possa emergere non soltanto dalla periferia coloniale di altri continenti ma
anche da un contesto di subalternità interno allo stato-nazione, e quindi diverso dalle
tradizionali geograie di potere (Primo mondo/Terzo mondo) e da strutture razzia-
li fortemente dicotomizzate (bianco/non-bianco). Se da un punto di vista storico il
Risorgimento coincise con la riterritorializzazione dell’Italia al di là dei propri con-
ini nazionali attraverso l’espansione coloniale e l’emigrazione, da un punto di vista
socio-economico esso non riuscì ad incorporare a pieno gli italiani del Sud all’interno

14 Cfr. Labanca 2002a; Choate 2008, 2010.


15 Adottiamo qui l’idea di «postcolonialità indiretta» per l’Italia (cfr. Fiore in questo volume) – ter-
mine che riconosce che la maggior parte dei migranti nell’Italia contemporanea non provengo-
no da ex colonie italiane – al ine di suggerire che lo stesso concetto di «indiretto» si potrebbe
applicare al colonialismo italiano, date le peculiari caratteristiche demograiche della colonizza-
zione italiana in Africa. Nicola Labanca suddivide le migrazioni italiane verso l’Africa in tre grup-
pi: la migrazione coloniale vera e propria; la migrazione verso Paesi mediterranei come la Tuni-
sia, l’Egitto e l’Algeria francese, un tempo colonie romane con le quali l’Italia aveva mantenuto
una relazione precoloniale; e una migrazione subsahariana (cfr. Labanca 2002b). Lo studioso fa
notare che nel 1893 c’erano 623 civili italiani in Eritrea e un numero ancora inferiore in Soma-
lia (cfr. Labanca 2002b, p. 372). La Libia attirò subito un numero di italiani più elevato; ma
nei primi anni Venti, comunque, c’erano circa 17.500 civili italiani nel Paese, un numero esiguo
se messo a confronto con gli 80.000 italiani residenti in Tunisia all’inizio del ventesimo secolo.
Questi numeri cambiarono in modo cospicuo negli anni Trenta, quando il colonialismo italia-
no divenne più ‘demograico’; verso la ine di quel decennio, c’erano 100.000 italiani in Libia e
qualche centinaio di migliaia in Africa orientale (cfr. Labanca 2002b, pp. 372-377).

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6 Introduzione

della nazione uniicata. Quando i soggetti coloniali interni cominciarono a emigrare


dall’Italia, la letteratura nazionalistica cominciò prontamente a parlare della dificile
situazione dei lavoratori emigrati per promuovere ulteriormente una politica impe-
rialista e in questo modo implementare l’espropriazione territoriale della Cirenaica.
Verdicchio sostiene che, considerato il collegamento storico e ideologico tra meridio-
nali italiani e altri popoli colonizzati, «la scrittura degli immigrati italiani in Canada e
negli Stati Uniti è un’espressione di quella condizione postcoloniale» 16. Questa posi-
zione evidenzia come la natura della postcolonialità nel contesto italiano si deinisca
in una pluralità di periodi storici e di località geograiche.
Partendo da una prospettiva simile a quella di Verdicchio, il volume colletta-
neo interdisciplinare curato da Jane Schneider dal titolo Italy’s Southern Question evi-
denzia il carattere essenzialistico e razzializzante del discorso politico e culturale sul
Meridione dall’uniicazione ai giorni nostri 17. Riprendendo l’analisi critica elaborata
da Edward Said sulle rappresentazioni del mondo musulmano e del Medio Oriente,
il volume di Schneider mostra come il discorso sul Mezzogiorno fosse basato su
meccanismi simili a quelli iscritti nelle pratiche disciplinari e discorsive dell’Orien-
talismo, come ad esempio l’imposizione di semplicistiche dicotomie e l’adozione di
una visione manichea della divisione tra Nord e Sud 18. Anche se il lavoro pionieristi-
co di Schneider ha promosso una riconsiderazione del colonialismo interno all’Italia
mediante l’analisi saidiana del discorso coloniale, esso tuttavia non ha esteso la pro-
pria analisi a una valutazione del colonialismo italiano 19.
Le posizioni critiche sul Meridione d’Italia derivano in buona parte dal fon-
damentale lavoro di Antonio Gramsci sulla questione meridionale e sul concetto di
subalternità. La rilevanza di Gramsci per teorici postcoloniali quali Edward Said,
Partha Chatterjee e il Subaltern Studies Group, fondato in India da Ranajit Guha, ha
origine nell’applicazione al contesto coloniale delle rilessioni gramsciane sul senso
comune, sull’egemonia culturale e sulla coscienza politica, che Gramsci aveva ela-
borato tenendo a mente il contesto italiano. Tuttavia la pubblicazione dei Quaderni
del carcere di Gramsci dal 1948 in poi non ha dato origine ad alcun dibattito signi-
icativo intorno all’impatto del colonialismo sulla storia nazionale e sull’identità
culturale dell’Italia del dopoguerra 20. Nonostante il grande interesse internazionale
per Gramsci come intellettuale postcoloniale, tra gli studiosi italiani il suo pensie-

16 Verdicchio 1997, p. 204.


17 Cfr. Schneider 1998.
18 Per un’analisi dell’Orientalismo italiano come ilone importante nel pensiero europeo, cfr. Dai-
notto 2007, pp. 172-217.
19 L’analisi della subalternità del Sud Italia rispetto a quella delle colonie, iniziata da Verdicchio, è
stata sviluppata ulteriormente da studiosi italiani (cfr. Brunetti – Derobertis 2009). Derober-
tis sostiene che la «moltiplicazione del Sud», sia a livello discorsivo, sia politico, continui a pro-
durre asimmetrie economiche e geopolitiche all’interno dell’Italia e dei conini dell’Europa (cfr.
Derobertis 2009, p. 100).
20 Cfr. Gramsci 1975.

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ro non ha suscitato un dibattito teorico consistente sul colonialismo italiano e sulla


postcolonialità 21. Solo di recente i teorici e le teoriche postcoloniali hanno comin-
ciato a esaminare l’eredità di Gramsci in relazione all’imperialismo italiano 22. Dalla
loro analisi emerge che Gramsci comprese con largo anticipo rispetto ai propri con-
temporanei che il capitalismo italiano, diversamente dal capitalismo negli altri Paesi
europei, promuoveva l’espansione coloniale prevalentemente per ini ideologici, cioè
per rafforzare l’egemonia dello Stato e l’unità nazionale a scapito del Mezzogiorno.
Fattore anche più importante per gli studiosi postcoloniali, Gramsci comprese che
le lotte contro la schiavitù e il colonialismo erano una condizione imprescindibile
al raggiungimento della maturità politica necessaria per ogni liberazione 23. L’analisi
gramsciana ha travalicato i conini nazionali dell’Italia ed è giunta ino agli ex imperi
coloniali e pertanto i suoi scritti costituiscono uno strumento molto utile per la dei-
nizione della postcolonialità come categoria di analisi intranazionale e trans-storica 24.
L’asse spazio-temporale che collega la colonizzazione, l’emigrazione e l’immi-
grazione distingue l’Italia dagli altri contesti europei, come risulta evidente dal modo
irregolare in cui si è sviluppata la sua storia postcoloniale. Nel secondo dopoguerra,
mentre altre nazioni europee ricevevano i lussi migratori provenienti dalle proprie ex
colonie, l’Italia era ancora una Paese di emigrazione che mandava i propri cittadini a
lavorare in Germania, Austria e Svizzera sulla base di accordi bilaterali. I meridionali
che migravano verso altri Paesi europei partecipavano a quel processo di reclutamento
di lavoratori che avveniva nel bacino del Mediterraneo, in particolare nell’Europa del
Sud, in Turchia, Marocco e Yugoslavia. Questo reclutamento era spesso indipenden-
te da precedenti rapporti coloniali. Gli operai venivano reclutati come Gastarbeiter,
lavoratori ospiti, e, in quanto tali, ricevevano visti temporanei e una qualche forma
di sussidio sociale. Un altro lusso migratorio era costituito da coloro che si trasferiro-
no nelle regioni industrializzate del Nord dal Meridione d’Italia. Essi, a nostro avviso,
possono essere considerati a tutti gli effetti ‘migranti coloniali interni’ dal momento
che condividevano con gli italiani settentrionali alcuni dei privilegi che derivavano
dalla cittadinanza, ma allo stesso tempo erano spesso discriminati e trattati come cit-
tadini di seconda classe nel mercato lavorativo e abitativo 25. Il fatto che la loro razzia-
lizzazione fosse, in parte, anche effetto del discorso coloniale appare chiaramente in
una scena eloquente del ilm di Luchino Visconti Rocco e i suoi fratelli (1960), in cui

21 Per una discussione critica sulla rilevanza degli scritti di Gramsci nella teoria postcoloniale, cfr.
Chambers 2006; Vacca – Capuzzo – Schirru 2008.
22 Sull’eredità che Gramsci ha lasciato agli studi postcoloniali, cfr. Srivastava – Bhattacharya
2011. Nell’introduzione le curatrici dedicano una sezione alla rilessione di Gramsci sull’impe-
rialismo italiano.
23 Cfr. Srivastava – Bhattacharya 2011.
24 Per un testo di grande rilevanza per la comprensione delle rilessioni di Gramsci sull’Italia meri-
dionale, la cultura regionalista e l’egemonia culturale europea, cfr. Dainotto 2000.
25 Per una discussione sulle migrazioni coloniali, il sistema dei lavoratori ospiti e le migrazioni per-
manenti verso l’Europa nel dopoguerra, cfr. Castles – Miller 2003, pp. 68-75.

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8 Introduzione

la famiglia Parondi giunge per la prima volta nello stabile milanese dove gli è stato
assegnato un sordido seminterrato e i loro vicini settentrionali, vedendoli arrivare con
un carretto carico di valigie e vettovaglie, si riferiscono a loro deinendoli «Africa» 26.

Una decolonizzazione irregolare


A differenza della Gran Bretagna, della Francia e dei Paesi Bassi, all’indoma-
ni della decolonizzazione l’Italia non è divenuta meta di migrazioni spontanee di
massa provenienti dalle ex colonie. Nel Regno Unito la popolazione originaria del
Commonwealth aumentò rapidamente dopo il 1951, raggiungendo 1.200.000 per-
sone nel 1971 e 1.500.000 nel 1981. Nel 1970 c’erano più di 600.000 algerini,
140.000 marocchini e 90.000 tunisini in Francia. I Paesi Bassi furono la meta di due
principali lussi migratori provenienti dalle ex colonie: il primo, tra il 1945 e i pri-
mi anni Sessanta, dalle Indie Orientali olandesi (oggi Indonesia); il secondo, dopo il
1965 dal Suriname nei Caraibi. La maggior parte di questi migranti coloniali giun-
se in Europa avendo già la cittadinanza in quegli Stati che un tempo erano le loro
nazioni colonizzatrici 27. Al contrario, in Italia non ci furono grandi lussi provenien-
ti dalle ex colonie, ma principalmente arrivi sporadici di giovani intellettuali etiopi e
di studenti somali che venivano mandati a studiare nelle università europee in modo
tale da acquisire la formazione adeguata per costituire un giorno la nuova classe diri-
gente dei loro Paesi 28. Un’altra migrazione verso l’Italia fu quella delle donne eritree
che erano impiegate presso le famiglie italiane e che si trasferirono con loro in Italia
quando queste fecero ritorno in patria negli anni Sessanta, continuando a lavorare
come collaboratrici familiari. Si stima inoltre che negli anni Settanta gli eritrei fossero
il gruppo di immigrati più numeroso nella Penisola, in maggioranza rifugiati fuggiti
dall’Eritrea durante la guerra di liberazione dall’Etiopia 29.
La decolonizzazione, dunque, non produsse per l’Italia dei notevoli cambia-
menti demograici, come per gli altri Paesi europei. Ciononostante, il problema
dell’atteggiamento da assumere e delle politiche da intraprendere nelle ex colonie si
pose in Italia in dal 1944: alla ine della Seconda Guerra Mondiale la posizione ufi-
ciale dell’Italia fu quella di mantenere il controllo su tutte le colonie acquisite pri-
ma del Fascismo, con diversi gradi di sovranità nelle diverse colonie, e di istituire un

26 Cfr. Rocco e i suoi fratelli 1960.


27 Cfr. Castles – Miller 2003.
28 Cfr. Del Boca 1984, pp. 77-78. Le migrazioni tra Italia e Corno d’Africa tra il 1941 e il 1951,
anche se esigue, andarono in entrambe le direzioni. In seguito alle sconitte italiane sul fron-
te africano, alla ine degli anni Quaranta più di 200.000 italiani giunsero in Italia dalla Libia,
dall’Etiopia, dall’Eritrea e dalla Somalia. Tra il 1943 e il 1945, invece, ci fu uno spostamento
opposto di soggetti coloniali che fecero ritorno in Etiopia, dopo essere stati arrestati dal regime
fascista e aver trascorso un periodo di detenzione in Italia. Anche su questo cfr. Del Boca 1984.
29 Cfr. Andall 2008, p. 288.

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Il postcoloniale italiano. Costruzione di un paradigma 9

protettorato italiano in Somalia. Nel dibattito nazionale che precedette il Trattato di


Parigi nel 1947, quasi il 20 per cento degli italiani credevano che la perdita delle colo-
nie sarebbe stata una dolorosissima «mutilazione» 30. Dopo il trattato, quando l’Italia
fu obbligata a rinunciare a tutte le colonie, la «questione coloniale» venne riproposta
come uno dei temi più importanti della politica estera italiana. Le motivazioni per la
rivendicazione italiana sui territori di Eritrea, Libia e Somalia avevano una tendenza
fortemente nazionalistica e somigliavano molto alle tesi espresse all’inizio dell’espan-
sione coloniale italiana. Il governo sosteneva che il Paese avesse bisogno di uno sboc-
co demograico per riuscire a controllare l’eccesso di popolazione e considerava que-
sti territori come una base per gli investimenti non soltanto di capitali, ma anche di
«popolazioni bianche» sul suolo africano 31. La classe dirigente italiana, dunque, con-
tinuava a proteggere la sicurezza e i privilegi dei coloni, particolarmente in Eritrea e
in Somalia, dove gli italiani riuscirono a mantenere il controllo di molti settori ammi-
nistrativi, almeno ino agli anni Cinquanta 32.
Durante l’Amministrazione iduciaria italiana della Somalia (AFIS 1949-
1960), la Somalia postcoloniale rimase per molti versi ancorata all’eredità colonia-
le 33. Di fronte alle crescenti richieste del nazionalismo pansomalo e alla graduale
creazione di un governo indipendente, la reazione dell’Italia fu di nostalgico attac-
camento ai valori coloniali e di totale protezione dei propri interessi economici 34.
La protezione dei settori dell’economia somala gestita dagli italiani, come la raccolta
delle banane, fu di cruciale importanza per le attività dell’AFIS 35. La posizione anti-
italiana della Lega dei Giovani Somali durante i primi anni dell’AFIS fu una diretta
reazione del periodo coloniale, in cui ai somali era stato proibito di partecipare atti-
vamente al governo e all’amministrazione della colonia 36. Uno dei compiti principa-
li afidati all’Italia dal mandato delle Nazioni Unite durante il periodo dell’AFIS fu
di porre rimedio alla mancanza di un sistema di scuola secondaria, altra conseguen-
za dell’eredità coloniale italiana. A questo scopo, dal 1950 in poi, furono creati isti-
tuti di istruzione secondaria, mentre pochi e selezionati giovani somali furono scel-
ti per andare in Italia ad acquisire un’istruzione universitaria 37. Per la maggior parte
della durata dell’AFIS, però, furono gli italiani ad occupare le posizioni dirigenziali
nell’amministrazione della Somalia postcoloniale. Essi inoltre furono determinanti
nella stesura della Costituzione del nuovo Stato democratico somalo 38.

30 Cfr. Del Boca 1984, p. 32.


31 Cfr. Rossi 1980, p. 302.
32 Cfr. Del Boca 1984; Calchi Novati 1999.
33 Cfr. Morone 2011.
34 Cfr. Del Boca 1984.
35 Cfr. Tripodi 1999.
36 Cfr. Lewis 1998.
37 Tra loro vi era anche il padre della scrittrice Igiaba Scego, come narra lei stessa (cfr. Scego
2010).
38 Cfr. Tripodi 1999.

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10 Introduzione

Il coinvolgimento politico ed economico dell’Italia nel Corno d’Africa, caratte-


rizzato da misure e iniziative spesso incoerenti e ambivalenti 39, riletteva le contrad-
dizioni di una coscienza postcoloniale incerta 40. Il fatto che, durante il periodo della
decolonizzazione, dalle ex colonie non fossero giunti in Italia immigrati in numeri
signiicativi corroborò l’idea che la nazione fosse demograicamente e culturalmen-
te omogenea. Inoltre, l’Italia non fece esperienza di un’ampia e protratta resistenza
coloniale e di guerre anticoloniali – come successe, ad esempio, alla Gran Bretagna
durante la rivolta dei Mau-Mau in Kenya (1952-1960) e alla Francia durante la
Guerra di liberazione algerina (1954-1962) 41. Questi fattori impedirono alla società
italiana di elaborare il signiicato e l’importanza dell’esperienza coloniale, ritardando
in questo modo la formazione di una coscienza postcoloniale.
Lo storico Angelo Del Boca ha affermato che il mettere a tacere, omettere e
nascondere le prove degli atti violenti perpetrati dall’esercito italiano contro i colonizzati
sia stato un tentativo deliberato da parte del governo italiano, negli anni che seguirono
la decolonizzazione, di riabilitare l’immagine nazionale che era stata danneggiata dagli
eventi della Seconda guerra mondiale. Le campagne coloniali italiane furono caratteriz-
zate da espropriazioni di terre, da rimozioni forzate di masse di persone, dalla creazione
di campi di internamento, da rappresaglie militari spietate e disumane contro i movi-
menti di resistenza, dall’uso di gas chimici e dall’applicazione di misure di segregazione
razziale nei confronti degli africani: «La mancanza di un dibattito sul colonialismo e di
una condanna dei suoi aspetti più brutali hanno autorizzato l’Italia alla negazione delle
proprie colpe coloniali» 42. Con la complicità dei media e della classe dirigente, la socie-
tà civile italiana è stata tenuta nell’ignoranza rispetto al proprio passato coloniale ino a
tempi molto recenti: questo capitolo della storia italiana, infatti, è stato a lungo assente
dai testi scolastici e dal dibattito pubblico in generale 43.

39 Cfr. Calchi Novati 1999, 2011.


40 La collaborazione tra Italia e Somalia è continuata anche dopo la proclamazione della Repub-
blica Somala nel 1960. Negli anni Sessanta e Settanta, la Somalia è stata teatro di una corruzio-
ne dilagante tra i suoi leader politici e nella pubblica amministrazione, e anche di una violenta
instabilità politica. Nel frattempo l’Italia continuava ad essere uno dei Paesi ad inviare ingenti
aiuti economici e, negli anni Ottanta, divenne uno dei maggiori fornitori di armi e munizioni.
Cfr. Calchi Novati 1999, 2008.
41 La notizia dell’uccisione di cinquantacinque civili italiani che ebbe luogo a Mogadiscio nel gen-
naio del 1948 raggiunse l’Italia solo tre giorni dopo gli eventi e ricevette pochissima attenzione
da parte della stampa. Anche se questa violenta rappresaglia contro gli italiani fu centrale per
la creazione dell’immaginario simbolico del nazionalismo somalo, essa non ha mai avuto gran-
de risonanza nell’Italia postcoloniale (cfr. Del Boca 1976). Per uno studio più approfondito di
quegli eventi, cfr. Calchi Novati 1980.
42 Del Boca 2003, p. 19.
43 Le prime monograie sul colonialismo italiano scritte da una prospettiva postfascista e postcolo-
niale non furono pubblicate ino agli anni Settanta, con l’unica eccezione del lavoro di Roberto
Battaglia sulle prime campagne militari in Africa orientale (cfr. Battaglia 1958). Cfr. Rochat
1973; Del Boca 1976; Labanca 1993, 2002b.

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Il postcoloniale italiano. Costruzione di un paradigma 11

Nonostante fosse in atto un chiaro processo di oblio e diniego, la colonizzazione


italiana ha lasciato tracce visibili della propria presenza nell’architettura, nelle infra-
strutture, nelle strutture politiche ed economiche, così come anche nell’uso della lin-
gua e nella cultura alimentare del Corno d’Africa 44. Le tracce del colonialismo sono
dovunque anche in Italia, come suggerisce Mia Fuller, «se uno sa dove guardare» 45. Se
osserviamo lo spazio pubblico, vediamo che le città d’Italia, e specialmente la capitale,
sono disseminate di monumenti e nomi di luoghi che ricordano importanti eventi,
personaggi e luoghi del periodo coloniale 46. L’archivio coloniale, nascosto e invisibi-
le per anni, è stato aperto alla consultazione solo in tempi molto recenti. Tuttavia,
come ha osservato Alessandro Triulzi, «la postcolonialità italiana non è meno ano-
mala del precedente colonialismo in quanto continua a produrre, sessant’anni dopo
la ine del colonialismo, ambigue dislocazioni di memoria tanto nella sfera pubblica
politicamente instabile e irrisolta delle metropoli, che in quella delle colonie» 47. Per
questo motivo la critica postcoloniale ha anche il compito di ricollocare la memo-
ria coloniale al centro del dibattito culturale contemporaneo in Italia. Parte del lavo-
ro di questo volume consiste proprio nel cercare tracce coloniali nella letteratura, nel
cinema 48, nella musica e nella cultura popolare dell’Italia contemporanea, inclusi, ad
esempio, il cinema esotico-erotico degli anni Settanta, la musica dei migranti nelle
città italiane, i simboli imperiali nelle tifoserie calcistiche e le metafore derivanti dalla
biopolitica nazionalista in un autore canonico come D’Annunzio 49.
Lo storico Nicola Labanca riconosce tre fasi distinte del processo di memo-
rializzazione coloniale: la prima, subito dopo la ine del colonialismo, tra gli anni
Quaranta e i primi anni Cinquanta, durante la quale le memorie coloniali furono
costruite da coloro i quali avevano un contatto diretto con le colonie e con l’esperien-
za coloniale; la seconda, nel periodo di decolonizzazione a livello internazionale tra gli
anni Sessanta e gli anni Settanta, durante la quale l’Africa per gli italiani non voleva
più dire soltanto ex colonie; inine la terza, un periodo di grandi trasformazioni mon-
diali tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, durante la quale le rivendicazioni della
memoria del passato coloniale divergevano dai resoconti revisionistici, dando in que-
sto modo inizio allo sviluppo di un nuovo ilone di studi 50. È importante aggiungere
una fase più recente a questa periodizzazione, una fase nella quale l’Italia inalmente
assiste al consolidamento di una memoria coloniale condivisa che emerge da lavori
letterari e culturali di scrittori, scrittrici e intellettuali che provengono tanto dall’Italia,
quanto dai Paesi in precedenza colonizzati. Scrivere la memoria dell’archivio colonia-

44 Cfr. Calchi Novati 1999; Fuller 2011.


45 Fuller 2011, senza pagina.
46 Per un’illuminante lettura del collegamento tra monumenti coloniali e memoria postcoloniale,
cfr. von Henneberg 2004; Triulzi 2006. Cfr. anche Greene 2012b.
47 Triulzi 2006, p. 441.
48 Cfr. Duncan 2012.
49 Su questi argomenti, cfr. rispettivamente Caponetto, Portelli, Ricatti e Welch in questo volume.
50 Cfr. Labanca 2005.

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12 Introduzione

le in forma letteraria è stato prevalentemente un progetto portato avanti da donne e


i generi letterari prescelti sono stati il memoir e altre scritture autobiograiche, in par-
ticolare il romanzo. Questi testi sono stati scritti tanto dalle discendenti dei coloni,
come nel caso di Asmara addio di Erminia Dell’Oro e di Ghibli di Luciana Capretti,
quanto da quelle dei colonizzati, come nel caso di Lontano da Mogadiscio di Shirin
Ramzanali Fazel, Memorie di una principessa etiope di Marta Nasibú e Regina di iori e
di perle di Gabriella Ghermandi 51. Tutte queste opere prendono parte alla rielabora-
zione di una memoria collettiva e alla riscrittura di una controstoria del colonialismo
dalla prospettiva di autrici individuali; tale prospettiva è profondamente collegata al
destino delle generazioni presenti e future 52. Ed è proprio grazie a questa ricca pro-
duzione culturale di cittadini e cittadine italiane postcoloniali che l’Italia è sempre più
sollecitata a riconsiderare la propria memoria nazionale e la propria identità culturale.
Sul versante opposto rispetto a queste narrazioni scritte da donne, ci sono una
serie di romanzi di autori italiani, come La presa di Macallè e Il nipote del Negus di
Andrea Camilleri, L’ottava vibrazione di Carlo Lucarelli e L’inattesa piega degli eventi di
Enrico Brizzi 53. Tutti questi testi sono ambientati in scenari coloniali fortemente eso-
tizzati, avvolti da atmosfere nostalgiche e quasi elegiache in cui i protagonisti, uomini
per la maggior parte, mettono di nuovo in scena eventi importanti della storia colo-
niale (Camilleri e Lucarelli) o immaginano un futuro postcoloniale distopico (Brizzi).
L’umorismo di queste narrazioni ha la funzione di segnalare ai lettori il fatto che gli
autori si sono emancipati dalla retorica coloniale 54. Ma la parodia del passato colonia-
le è strumento mnemonico più che strumento critico: salvata dall’oblio, la memoria
coloniale viene messa al sicuro più per creare una fascinazione estetica che un distacco
ironico. Diverso dai testi appena citati è il romanzo di Wu Ming 2, Timira. Romanzo
Meticcio 55, nel quale la protagonista è una donna nera italiana, Isabella Marincola, e il
suo punto di vista viene situato all’interno di una cornice storica in un romanzo che
combina memoria personale, materiale di archivio e inzione. Ciò che tutte queste nar-
razioni sottolineano è l’appropriazione della memoria coloniale come uno dei fonda-
menti più importanti dell’identità e della società postcoloniale italiana.

Immigrazione e coscienza postcoloniale


Negli anni Ottanta l’Italia è diventata meta privilegiata delle migrazioni glo-
bali senza aver mai cessato di essere un Paese di emigrazione 56. Traiettorie multiple

51 Cfr. Dell’Oro 1988; Capretti 2004; Fazel 1994; Nasibù 2005; Ghermandi 2007.
52 Per dettagli bibliograici e lunghe interviste con queste autrici, cfr. Comberiati 2009.
53 Cfr. Camilleri 2003, 2010; Lucarelli 2008; Brizzi 2008.
54 Cfr. Triulzi in questo volume.
55 Cfr. Wu Ming 2 – Mohamed 2012.
56 Come è riportato a p. 18 del Rapporto italiani nel mondo 2012, non è possibile determinare con
esattezza quanti italiani vivano all’estero e quanti emigrino ogni anno. Secondo i dati raccolti

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Il postcoloniale italiano. Costruzione di un paradigma 13

caratterizzano la posizione geopolitica dell’Italia tra i Paesi mediterranei che costitu-


iscono un luogo di passaggio per i lussi migratori provenienti da sud e da est. Alla
dicotomia Nord/Sud, così centrale per il senso di identità in Italia, si è aggiunta dal
dopoguerra in poi la dicotomia Est/Ovest. Durante la Guerra fredda, la cortina di
ferro produsse una forte polarizzazione geopolitica in cui l’Italia, governata dalla
Democrazia Cristiana, si schierò dalla parte delle democrazie liberali occidentali 57.
Dopo il crollo del muro di Berlino (1989) e in seguito alle migrazioni provenienti sia
da sud, sia da est, l’Italia è divenuta di nuovo un luogo di passaggio per popolazioni
provenienti da direzioni diverse, come lo era stata nell’antichità. La recente ricon-
igurazione delle migrazioni mediterranee ebbe inizio dopo la crisi del petrolio del
1973, quando la Francia, la Germania Occidentale e i Paesi Bassi smisero di recluta-
re Gastarbeiter e lavoratori «coloniali», e l’Italia divenne una destinazione alternativa
per molti migranti. Alla ine degli anni Novanta l’Italia aveva una delle popolazioni
immigrate più diversiicate d’Europa, che includeva migranti provenienti da Europa,
Nord Africa, Africa Subsahariana, America Latina, Cina e Sud-est asiatico. Tale ete-
rogeneità, come osserva Russell King, crea un tipo di multiculturalismo che presenta
nuove possibilità e pone nuove side alla società italiana 58.
Questa eterogeneità mette anche in discussione un’idea di postcolonialità che
non è né il rilesso di una cultura coloniale universalista e assimilazionista, come
nel caso della Francia, né il rilesso di una cultura coloniale particolarista e integra-
zionista, come nel caso della Gran Bretagna e dei Paesi Bassi. Nel caso dell’Italia si
sono registrate due tendenze in certo modo contrarie: da una parte, la persistenza
del principio dello ius sanguinis nell’attribuzione della cittadinanza ha contribuito
a mantenere in piedi l’idea dell’immutabilità del senso di appartenenza all’italia-
nità, nonostante la dispersione degli italiani attraverso l’emigrazione; dall’altra, la

dall’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), ino al 1° gennaio 2012 il numero di cit-
tadini italiani residenti all’estero era di 4.208.977. È necessario ricordare, però, che l’iscrizione
all’AIRE è facoltativa e pertanto questo numero potrebbe non essere del tutto rappresentativo.
57 Per una discussione approfondita delle migrazioni contemporanee in relazione all’identità unita-
ria dell’Italia, cfr. Pratt 2002.
58 Cfr. King 2001. Sul multiculturalismo italiano, cfr. Grillo – Pratt (2002). Secondo il Dos-
sier Statistico Immigrazione 2012 Caritas-Migrantes, al 31 dicembre 2011 erano residenti in Italia
3.685.385 stranieri che costituivano il 6,5% della popolazione totale italiana di 59.570.581 abi-
tanti (p. 12). Secondo la stima, 1.373.000 stranieri sono cittadini comunitari (p. 13). Le comu-
nità di stranieri più popolose sono quelle provenienti dalla Romania (997.000), dal Marocco
(506.369), dall’Albania (491.495), dalla Cina (277.570) e dall’Ucraina (223.782) (p. 12). Tra
le comunità di stranieri, se ne contano 117 con più di 100 persone solo tra i soggiornanti non
comunitari (p. 468). La natura «indiretta» delle migrazioni postcoloniali verso l’Italia risulta evi-
dente nel fatto che, con l’eccezione dell’Albania, da cui proviene la terza comunità di stranieri più
numerosa in Italia, i cittadini delle ex colonie italiane non compaiono tra le comunità a presenza
più signiicativa. L’Eritrea si trova al trentaquattresimo posto (11.439), l’Etiopia al quarantesimo
(8664), la Somalia al quarantaduesimo (8376) e la Libia al settantasettesimo (1279) (questa sti-
ma include solo i gruppi di soggiornanti non comunitari, p. 468).

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14 Introduzione

critica a questo principio ha reso possibile la condivisione di un senso di appar-


tenenza tra migranti e soggetti postcoloniali di origini diverse. Questo senso di
appartenenza non deriva da uno status legale, ma piuttosto da nuovi modi di esse-
re italiani, legati al fatto di essere nati in Italia, di condividere esperienze e pratiche
quotidiane, spesso contraddittorie e controverse, di partecipare al sistema educa-
tivo del Paese e di utilizzare la lingua nazionale in modo dinamico. Quindi non è
il principio legale della discendenza che conferisce ai migranti un senso di appar-
tenenza, ma piuttosto sono le pratiche culturali comuni che trascendono l’idea di
nazione biologicamente determinata, pratiche che deiniamo qui «postnazionali»
piuttosto che semplicemente postcoloniali.
Per questa ragione la nostra concezione del postcolonialismo italiano in que-
sto volume enfatizza come la dimensione postnazionale e migratoria sia una compo-
nente essenziale della condizione postcoloniale in Italia. I migranti nell’Italia di oggi,
tanto quelli provenienti dalle ex colonie italiane, quanto quelli provenienti da altre
ex colonie, stanno contribuendo in modo considerevole agli slittamenti nei proces-
si di signiicazione che sottendono la postcolonialità. Centrale in questo processo è
lo slittamento dalla categoria storica del razzismo verso una nuova concezione della
nerezza che si interseca con l’idea stessa di italianità 59. Il lavoro di scrittori e scrittri-
ci come Pap Khouma e Igiaba Scego, rispettivamente di origini senegalesi e soma-
le, mette in luce il senso di disagio che gli italiani bianchi avvertono nel vedere la
nerezza associata all’italianità. Di solito si ritiene che questi termini siano incompa-
tibili e che pertanto si escludano a vicenda 60. Come vediamo in scrittori e scrittrici
di prima e di seconda generazione, la critica a ciò che conferisce italianità è un nodo
cruciale, in quanto l’italianità è apparentemente irraggiungibile per gli italiani neri
precisamente perché l’appartenenza nazionale di solito viene concepita come l’essere
caratterizzati da tratti speciici, tanto biologici quanto culturali, che non si possono
semplicemente acquisire come conseguenza di una perfetta padronanza della lingua
italiana e di un modo di vivere italiano 61. Nella letteratura postcoloniale il tema del-
la cittadinanza, che molto spesso viene negata ai migranti (e alle seconde generazioni
ino alla maggiore età), è fortemente tematizzato in chiave critica in quanto il princi-
pio legale per la sua acquisizione è imbrigliato nell’ambiguità di un’idea di italianità
ancora fondata su principi razziali di tipo biologico.
La revisione del progetto di costruzione dell’italianità alla luce di una coscienza
postcoloniale sottolinea la necessità di rivedere anche il canone culturale e letterario
italiano, specialmente se si considera l’indubbio contributo della civiltà italiana alla
cultura occidentale sin dall’antichità. In modo simile a quella adottata da Said e da
altri nello studio del canone letterario e culturale britannico, una critica postcolonia-
le della modernità culturale italiana può rivelare la complicità della cultura naziona-
le con l’imperialismo e contribuire a districare gli assunti culturali di una prospet-

59 Per il signiicato e l’uso del termine «nerezza», cfr. Romeo 2011a.


60 Cfr. Romeo in questo volume.
61 Cfr. Andall 2002; Clò in questo volume.

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Il postcoloniale italiano. Costruzione di un paradigma 15

tiva eurocentrica che hanno dato forma alla storia dell’Italia moderna 62. In Culture
and Imperialism Edward Said sostiene che, dalla metà del XIX secolo in poi, l’impe-
rialismo e il romanzo si sostennero e si rafforzarono a vicenda. Il romanzo inglese,
afferma Said, non aveva concorrenti in Europa precisamente perché la sua posizione
rispecchiava la forza indiscussa dell’impero britannico. Se trasferiamo questa idea al
contesto italiano a cavallo tra il XIX e il XX secolo, si potrebbe affermare che la tradi-
zione del romanzo fu meno signiicativa dal momento che l’Italia costituì un «impe-
ro minore». Dagli anni Ottanta dell’Ottocento in poi, però, la letteratura italiana
vide il iorire di una serie di testi orientalisti e africanisti di scrittori molto inluenti,
quali Edoardo Scarfoglio, Matilde Serao, Gabriele D’Annunzio, Giosuè Carducci,
Giovanni Pascoli, Filippo Tommaso Marinetti, Edmondo De Amicis, Enrico Pea,
Giuseppe Ungaretti, Riccardo Bacchelli e, nell’immediato dopoguerra, Carlo Levi 63
ed Ennio Flaiano. I critici letterari hanno da poco iniziato a leggere questo fruttuo-
so ilone di testi nazionalisti e orientalisti in modo contrappuntistico, cercando cioè
«ciò che è taciuto o solo marginalmente presente o rappresentato ideologicamente» 64.
Tuttavia, al contrario di ciò che è avvenuto nel contesto britannico, gli studi postco-
loniali nel contesto italiano non sono nati dalla revisione del canone letterario nazio-
nale, bensì da una critica delle culture imperiali fuori dall’Italia.

Gli studi postcoloniali in Italia


Gli studi postcoloniali in Italia sono un fenomeno accademico recente che ha
avuto inizio a partire dalla metà degli anni Novanta e si è poi sviluppato negli anni
Duemila principalmente nei dipartimenti di anglistica e americanistica, attraverso la
pubblicazione di volumi collettanei e monograie pionieristiche (Chambers – Curti
1996 ; Albertazzi 2000; Mellino 2005). La casa editrice romana Meltemi ha dato
un contributo signiicativo al progetto postcoloniale dagli anni Novanta ino alla pri-
ma decade del terzo millennio, pubblicando in traduzione italiana il lavoro dei mas-
simi teorici postcoloniali, come Edward Said, Homi Bhabha, Gayatry Chakravorty
Spivak, Stuart Hall, Partha Chatterjee, Dipesh Chakrabarty, Paul Gilroy, Iain
Chambers, Ania Loomba, Achille Mbembe e Robert Young. Queste traduzioni han-

62 Per un’analisi del nesso colonialismo-nazionalismo in relazione alla modernità italiana, cfr. Ben-
Ghiat 2001.
63 Cfr. Derobertis in questo volume e Derobertis 2010.
64 Said 1993, p. 66. I testi di riferimento sulla letteratura coloniale italiana sono Tomasello 1984,
2004; Pagliera 1991. Sulla letteratura di esplorazione, cfr. Lombardi-Diop 1999, 2003. Sui
romanzi coloniali scritti durante il periodo fascista sia da autori, sia da autrici, cfr. Lombardi-
Diop 1999; Bonavita 1999; Venturini 2010. Sul ilone africanista nel lavoro di Ungaretti e
Pea, cfr. Re 2003. Sull’esotismo in Marinetti, cfr. Bongie 1991; Sartini-Blum 2003; Trento
2012a. Per un approccio postcoloniale alla visione italiana dell’Africa, con particolare attenzione
al discorso africanista di Pier Paolo Pasolini, cfr. Trento 2010, 2012b.

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16 Introduzione

no avuto il grande merito di introdurre la letteratura e la teoria postcoloniale agli


accademici italiani che operavano fuori dai dipartimenti di anglistica e americanistica
e, in generale, a un pubblico più ampio. Tuttavia questo lavoro così importante non
poteva essere suficiente, dal momento che la cornice teorica sviluppatasi nel conte-
sto britannico non si poteva semplicemente traslare a quello italiano 65. Per la mag-
gior parte il lavoro teorico-critico sulla letteratura postcoloniale è rimasto limitato ad
autrici e autori anglofoni. Il risultato è stato il rafforzamento dell’idea che il dibattito
postcoloniale non avesse ragione di svilupparsi fuori dall’ambito anglofono e la con-
vinzione che in Italia non ci fosse alcuna condizione postcoloniale e, quindi, tanto
meno la necessità di articolare un dibattito accademico sull’argomento. Sempre verso
la metà degli anni Novanta, accademici italiani, sia in Italia, sia negli Stati Uniti, han-
no cominciato a studiare le migrazioni verso l’Italia, anche se la loro analisi non era
posta in relazione agli studi postcoloniali (Parati 1995, 1999, 2005; Gnisci 1998,
2003, 2006) 66. È alla ine degli anni Novanta che, per la prima volta, vengono pub-
blicati due volumi, uno negli Stati Uniti e uno in Italia, che includono una sezione
interamente dedicata alla condizione postcoloniale dell’Italia (Allen – Russo 1997;
Matteo – Bellucci 1999) 67. Questi volumi, come anche altri tre volumi colletta-
nei pubblicati negli anni successivi (Palumbo 2003; Ben-Ghiat – Fuller 2005;
Andall – Duncan 2005), non adottano direttamente la metodologia degli studi
postcoloniali per esaminare l’Italia contemporanea. Essi, però, hanno il grande meri-
to di mettere in discussione concezioni salde e tradizionalmente accettate dell’identità
nazionale italiana alla luce dei recenti cambiamenti a livello globale, come ad esempio
la posizione dell’Italia all’interno di un’Unione Europea in continua espansione, le
migrazioni contemporanee verso l’Italia, il nascente multiculturalismo, le connessioni
tra l’emigrazione italiana, le migrazioni interne e l’immigrazione. Allo stesso tempo,

65 Di recente case editrici come ombre corte di Verona e DeriveApprodi di Roma hanno pubbli-
cato testi correlati direttamente al postcolonialismo o collegati al discorso postcoloniale. La rivi-
sta «Studi culturali» ha dato un apporto signiicativo al campo degli studi postcoloniali in Italia,
pubblicando nuovi studi e testi classici che pongono particolare enfasi su tematiche di genere,
razza, etnicità e cittadinanza in contesti postcoloniali e multiculturali. «Scritture migranti. Rivi-
sta di scambi interculturali», pubblicata dal Dipartimento di Italiano dell’Università di Bologna,
è incentrata sulle produzioni culturali associate alle migrazioni, ai movimenti transculturali e alla
condizione postcoloniale dell’Italia contemporanea. La rivista «Zapruder. Storie in movimento»
ha pubblicato due numeri sul colonialismo e sul postcolonialismo italiani: cfr. L’impero colpisce
ancora 2005; Brava gente 2010.
66 Mentre negli Stati Uniti questi studi sono cominciati come un ampliamento del campo dell’ita-
lianistica, in Italia essi sono nati nei programmi di letterature comparate. Questo mostra la rilut-
tanza dell’italianistica in Italia a considerare le letterature e le culture migranti e postcoloniali
come una parte della cultura italiana in senso ampio ed evidenzia il continuo tentativo, tuttora
in atto in molti dipartimenti di italianistica, di proteggere il concetto stesso di cultura nazionale,
caratterizzando la produzione culturale postcoloniale come non-italiana.
67 Il volume di Matteo e Bellucci è stato pubblicato prima in Italia e poi negli Stati Uniti (cfr. Mat-
teo 2001), ma è parte di un lavoro svolto da studiosi di italianistica operanti all’estero.

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Il postcoloniale italiano. Costruzione di un paradigma 17

questi studi esaminano l’eredità della storia coloniale italiana, le sue implicazioni poli-
tiche e la produzione culturale, ancora poco analizzata, delle società coloniali italiane.
Il 2004 vede la pubblicazione di due volumi (Ponzanesi 2004; Morosetti
2004) che segnano un punto di svolta negli studi postcoloniali italiani. Questi testi
adottano per la prima volta una prospettiva postcoloniale per leggere la produzio-
ne culturale dei migranti e degli italiani di seconda generazione. Il testo di Sandra
Ponzanesi affronta la speciicità della condizione postcoloniale italiana, evidenziando
la marginalità degli studi postcoloniali italiani – e della lingua italiana come lingua
postcoloniale – rispetto alla teoria postcoloniale dominante e alle letterature di lin-
gua inglese. Allo stesso tempo, Ponzanesi evidenzia l’intersezione della teoria postco-
loniale con la teoria femminista, analizzando come il genere complichi le relazioni
di potere in ambiti postcoloniali. Nel volume curato da Tiziana Morosetti, alcuni
capitoli utilizzano temi cari agli studi postcoloniali per analizzare la scena cultura-
le italiana contemporanea (deinizione di postcoloniale italiano; inluenza cultura-
le dell’Italia nelle colonie; lingua; multiculturalismo italiano), mentre altri adottano
una prospettiva postcoloniale per rileggere il canone letterario italiano.
Nello stesso periodo si assiste allo sviluppo di diverse traiettorie di analisi e di
ricerca che contribuiscono, direttamente o indirettamente, a un esame approfondi-
to della condizione postcoloniale italiana. Nel campo della letteratura e del cinema
della migrazione, Jennifer Burns e Loredana Polezzi identiicano l’emigrazione inter-
nazionale, l’immigrazione e le migrazioni intranazionali come fenomeni cruciali nel
processo di formazione di un’identità e di una cultura nazionale (Burns – Polezzi
2003). Graziella Parati utilizza l’approccio dei cultural studies per esaminare la socie-
tà italiana multiculturale del presente e la sua produzione letteraria (Parati 2005;
Orton – Parati 2007). Daniele Comberiati (Comberiati 2010b) esplora la let-
teratura della migrazione in Italia dal 1989 al 2007, strutturando la propria analisi
intorno alle origini geograiche di autori e autrici e alle inluenze culturali che queste
origini hanno sulla letteratura che producono. Comberiati dedica anche un capitolo
alla relazione postcoloniale tra Italia e Albania e alla letteratura albanese italiana 68. I
saggi raccolti nel volume a cura di Lucia Quaquarelli (Quaquarelli 2010) analiz-
zano rappresentazioni di comunità, spazio, genere e postcolonialità nella letteratura
della migrazione in Italia, mentre il volume collettaneo di Fulvio Pezzarossa e Ilaria
Rossini (Pezzarossa – Rossini 2011) suggerisce che la produzione letteraria di scrit-
tori e scrittrici migranti e postcoloniali ha cambiato il modo in cui gli italiani inter-
pretano la propria cultura e società. Anche se in un certo modo questi volumi foca-
lizzano l’attenzione sulle migrazioni verso l’Italia e affrontano la condizione postco-
loniale dell’Italia, il paradigma teorico postcoloniale non è usato in modo costante e
sistematico per analizzare la produzione letteraria e culturale italiana.
Gli ultimi sviluppi nel discorso critico e nel dibattito accademico sulle trasfor-
mazioni dell’Italia contemporanea, che sta avvenendo su scala internazionale, han-

68 Per una prima panoramica sulla letteratura della migrazione in Italia e sulle tendenze critiche, cfr.
Sinopoli 2004, 2006.

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18 Introduzione

no preso forma in relazione alla mediterraneità dell’Italia e all’immaginario italiano-


mediterraneo. Questo discorso sviluppa una rilessione sulla posizione dell’Italia e
dell’identità italiana all’interno di un nuovo scenario europeo e globale, e anche sul-
la sua posizione in relazione al mar Mediterraneo, considerato come unità geopoli-
tica, che tanto importante è stato durante il periodo del colonialismo e altrettanto
importante continua ad essere per i migranti transnazionali in epoca contemporanea
(Chambers 2008). In particolare Mediterranean Crossings di Iain Chambers articola
un’eloquente critica dei presupposti stessi della storiograia italiana basata sull’invi-
sibilità e sull’esclusione della storia delle minoranze, e rilegge l’eredità culturale e la
modernità italiane alla luce della storia, spesso rimossa, dei contatti tra Italia e mon-
do arabo-ottomano, della emigrazione verso il Nuovo Mondo e del colonialismo,
evento il cui signiicato è riattivato nell’Italia di oggi dall’arrivo dei migranti che
attraversano il Mediterraneo 69.
Insieme – e anche grazie – a tutte queste tendenze che suggeriscono una rimap-
patura del mondo postcoloniale contemporaneo e che insistono su concetti quali
«deterritorializzazione» e «transnazionalismo», gli studi postcoloniali italiani hanno
generato traiettorie diverse sia in Europa, sia negli Stati Uniti. Dopo il 2004 sono stati
pubblicati importanti volumi collettanei, monograie e articoli che hanno esplorato la
condizione postcoloniale dell’Italia in rapporto al suo passato coloniale (De Donno
– Srivastava 2006; Andall – Duncan 2010) rispetto alla produzione cultura-
le e letteraria dei soggetti postcoloniali in Italia (Comberiati 2007, 2010a, 2010b;
Lombardi-Diop 2005, 2008; Mauceri – Negro 2009; De Vivo 2011; Romeo
2011b), alla riscrittura del canone letterario italiano (Benvenuti 2008; Derobertis
2010; Venturini 2010; Fracassa 2012) e all’analisi sociale e politica (Rahola 2003;
Mellino 2005, 2006; Rigo 2007; Sossi 2007; Mezzadra 2008; Sciurba 2009).
Un segno importante dell’interesse generale per la metodologia critica degli stu-
di postcoloniali in Italia è evidente nella pubblicazione di un volume accademico di
carattere introduttivo sull’argomento (Bassi – Sirotti 2010). Questo volume collet-
taneo ha il grande merito di mettere insieme il lavoro di studiose e studiosi che lavo-
rano in questo campo in Italia e di chiarire alcuni punti centrali e questioni teoriche
poste dagli studi postcoloniali in varie parti del mondo. Coninando l’analisi della
produzione culturale italiana all’ultimo capitolo, però, il testo rafforza la convinzione
che questi studi non siano collegati all’Italia o lo siano solo in modo molto parziale.
C’è ancora molto da fare nel campo degli studi postcoloniali italiani. Tuttavia
è importante riconoscere che in questi ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti
nella ricerca che hanno posto le fondamenta per una comprensione più profonda e
più ampia della natura postcoloniale dell’Italia contemporanea 70.

69 Il primo numero della rivista accademica online «California Italian Studies», pubblicato nel
2010, è interamente dedicato all’Italia e al Mediterraneo. Cfr. Fogu – Re 2010.
70 Tra le opere più recenti, non incluse in questo excursus, che sono uscite in concomitanza con o
dopo Lombardi-Diop – Romeo 2012 e che contribuiscono ad arricchire il dibattito sul post-
coloniale italiano da prospettive diverse, cfr. Contarini – Pias – Quaquarelli 2011-2012; De

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Il postcoloniale italiano. Costruzione di un paradigma 19

Metodologia e inalità
Il nostro volume adotta una pluralità di metodologie critiche che combinano
gli studi postcoloniali, i cultural studies, la teoria sulla razza e gli studi di genere. Per
ciò che riguarda la categoria di razza, ad esempio, per noi è centrale sottolineare come
essa sia costruita intersecando altre categorie di analisi come genere, classe, sessualità,
religione, nazionalità e cittadinanza, e come il razzismo a sua volta intersechi altre for-
me di discriminazione come l’esclusione sociale, il sessismo, la xenofobia, l’intolleran-
za religiosa, lo sfruttamento economico e la discriminazione legale. Negli Stati Uniti
e in Gran Bretagna la razza e il razzismo sono campi di ricerca con visibilità istituzio-
nale e accademica e si stanno rapidamente sviluppando in varie direzioni che inclu-
dono un più ampio spettro di prospettive critiche e di ambiti disciplinari, compresa
la teoria queer e gli studi sulla bianchezza. Questo succede molto meno nell’Europa
continentale. In Italia, gli studi sulla razza si sono limitati allo studio della storia ita-
liana del razzismo contro popolazioni sia autoctone, sia migranti (meridionali, ebrei
italiani e omosessuali in primo luogo, soggetti coloniali, rom e sinti in seguito) 71. La
teoria della razza in Italia si è sviluppata principalmente come un’analisi delle rela-
zioni razziali nel contesto della storia e della memoria coloniali (Centro Furio Jesi
1994; Sòrgoni 1998, 2002; Burgio 1999; Barrera 2003a, 2003b; Bonavita –
Gabrielli – Ropa 2005; De Donno 2006; Poidimani 2009), avendo come ogget-
to il razzismo contemporaneo e le sue rappresentazioni (Sibhatu 2004; Naletto
2009). Testi sociologici inluenti, con poche eccezioni 72, in un primo tempo hanno
collegato l’insorgenza del razzismo nell’Italia contemporanea all’arrivo degli immi-
grati e alla realizzazione di misure restrittive sull’immigrazione (Balbo – Manconi
1990, 1992). Un’attenzione più incentrata sull’eredità coloniale e fascista del razzi-
smo contemporaneo è divenuta possibile in seguito alla circolazione di studi sull’ide-
ologia razzista e su quello che Labanca deinisce «razzimo ‘diffuso’, delle immagini e
delle percezioni, dei comportamenti e delle prassi» 73 nella letteratura scientiica e nel-
la cultura popolare fascista, incluso il cinema (Mignemi 1984; Centro Furio Jesi
1994; Pinkus 1995; Maiocchi 1999; Ben-Ghiat 2003). Solo di recente un nuovo

Franceschi 2013; Schrader – Winkler 2013; Sinopoli 2013; Bond – Comberiati 2013;
Jedlowski 2014. Cfr. anche i documentari di Brioni, Chiscuzzu e Guida, Aulò e La quarta via.
Testi sulle tematiche di razza e genere in relazione al dibattito sul postcoloniale includono: Petro-
vich Njegosh – Scacchi 2012; Curcio – Mellino 2012; Mellino 2012a; Coburn 2013;
Giuliani – Lombardi-Diop 2013; Giuliani 2013; Spadaro 2013; Marchetti – Mascat –
Perilli 2012; Marchetti 2013; Mascat 2013.
71 Il volume Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia, 1870-1945, a cura di Alberto Bur-
gio (Burgio 1999), mostra questo tipo di approccio storico.
72 Queste eccezioni sono lo studio di Paola Tabet (Tabet 1997) sull’impatto dell’eredità coloniale
per la percezione delle differenze razziali tra i bambini nelle scuole e quello di Alessandro Dal
Lago (Dal Lago 2004) sulla discriminazione legale dei migranti e sull’eredità del razzismo colo-
niale nelle loro rappresentazioni mediatiche.
73 Labanca 1999, p. 147.

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20 Introduzione

ilone di studi ha iniziato ad analizzare il tema della costruzione della razza in Italia nei
suoi vari processi di signiicazione in rapporto al corpo e alla sessualità (Pinkus 1995;
Pickering-Iazzi 2002; Ardizzoni 2005; O’Healy 2007; D’Arma 2008; Duncan
2010; Greene 2012a; Caponetto e O’Healy in questo volume), alla maschilità
(Stefani 2007; Duncan 2008a) e alle relazioni di potere basate sui privilegi di clas-
se e cittadinanza (Andall 2000; Curcio – Mellino 2010) presenti nelle socie-
tà capitaliste (Mellino 2012b). Di certo una ricerca più approfondita è necessaria
per l’analisi della costruzione della bianchezza degli italiani (Lombardi-Diop 2011;
Giuliani – Lombardi-Diop 2013) e della nerezza degli immigrati (Makaping
2001; Portelli 2003; Romeo 2006, 2011a; O’Healy 2009). Le rilessioni sulla
bianchezza degli italiani sono state fortemente inluenzate da studi sulla razzializza-
zione degli emigrati italiani negli Stati Uniti (Orsi 1992; Vecoli 1995; Guglielmo
2003; Guglielmo – Salerno 2003) e solo nel 2013 è apparso il primo volume a
fornire uno studio di notevole ampiezza storica (dall’Unità agli anni Sessanta del XX
secolo, con una serie di rilessioni sulla contemporaneità), sull’identità razziale degli
italiani 74. Di recente studiosi e studiose sia in Italia, sia negli Stati Uniti hanno ini-
ziato ad esplorare le intersezioni tra razza, subalternità (tanto dei migranti interna-
zionali, quanto degli italiani del Sud) e culture giovanili nella musica contemporanea
italiana, esaminando come la razzializzazione del Sud e dei migranti sia centrale nelle
culture hip hop in Italia (Sciorra 2002; Dawson – Palumbo 2005; Clò in questo
volume). Essi analizzano inoltre come la musica migrante contemporanea in Italia sia
fortemente inluenzata dalla disseminazione globale della musica nera, come teorizza
Paul Gilroy (Sabelli 2006), ed esplorano il modo in cui le controculture italiane si
sono appropriate della musica reggae (Sabelli 2012). Nonostante la proliferazione di
interventi di questo tipo, in Italia gli studi sulla razza non hanno ancora un’esistenza
istituzionale o una visibilità accademica.
A partire dagli studi sul razzismo italiano che hanno aperto la strada per una
seria riconsiderazione della matrice imperiale e coloniale del razzismo, in questo
volume intendiamo analizzare e aiutare a comprendere come la razza sia legata a più
ampi processi sociali e culturali di razzializzazione in speciici momenti storici e attra-
verso speciiche convenzioni narrative nei diversi media 75. Ci preme inoltre esamina-
re come questi processi inluenzino la condizione delle comunità di migranti in Italia
e l’idea stessa di appartenenza nazionale e di italianità 76.
Come ha osservato Iain Chambers, «la xenofobia di oggi […] ha molto a che
fare con il fallimento e la mancanza di volontà di indagare un passato europeo che
rimane ancora molto a livello inconscio, nel quale il colonialismo e l’impero era-
no (e ancora sono) presenti nelle conigurazioni nazionali di ‘identità’, ‘cultura’,
‘modernità’, e ‘progresso’» 77. Questo sottolinea il bisogno di analizzare il razzismo

74 Cfr. Giuliani – Lombardi-Diop 2013.


75 Cfr. Caponetto, Lombardi-Diop e O’Healy in questo volume.
76 Cfr. Lombardi-Diop e Romeo in questo volume.
77 Chambers 2008, p. 7.

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Il postcoloniale italiano. Costruzione di un paradigma 21

in Italia e in Europa al di là delle dicotomie coloniali (e interne) di subalternità su


cui è stato costruito. Ciò rivela inoltre l’urgenza di comprendere il razzismo e i pro-
cessi di razzializzazione come componenti strutturali degli Stati-nazione contempo-
ranei, i quali esercitano la sorveglianza sugli spazi metropolitani attraverso l’«inclu-
sione differenziale» 78 dell’alterità e un’ambigua celebrazione della molteplicità, che
ammette però all’interno del gruppo dominante solo coloro differenzialmente inclu-
si. Quindi, per ciò che riguarda i discorsi razziali, in questo volume abbiamo voluto
focalizzare l’attenzione sui processi di razzializzazione che storicamente hanno coin-
volto gli italiani e che oggi interessano i nuovi italiani – e lo abbiamo fatto mettendo
in luce le interazioni interrazziali tra diversi gruppi – piuttosto che concentrarci sulla
storia del razzismo e delle sue rappresentazioni.
Il campo degli studi di genere in Italia è stato fortemente inluenzato dalla teo-
ria femminista degli anni Settanta e Ottanta ed è ancora fortemente contrassegnato
da un certo essenzialismo che non mette profondamente in discussione la dicoto-
mia maschio/femmina. In Italia, gli studi di genere non hanno adottato la metodo-
logia dell’intersezionalità in modo signiicativo e, quando l’hanno fatto, raramente
l’hanno applicata al contesto italiano. Il risultato di ciò è stato che diverse categorie
di oppressione spesso sono state esaminate indipendentemente l’una dall’altra e ciò
ha inito per indebolire l’analisi di tutte le categorie di oppressione, incluso il gene-
re. Negli ultimi dieci anni, però, questioni di razza e di postcolonialità sono apparse
nel dibattito femminista italiano, sia in contesti diversi da quello italiano (De Petris
2005; Ellena 2010), sia all’interno di esso. Le studiose femministe che lavorano
in Italia e all’estero hanno esplorato la relazione tra femminismo italiano e donne
migranti, e anche l’intersezione tra razza, bianchezza e genere in Italia (Pojmann
2006; Merrill 2006; Giuliani 2010; Marchetti 2011); hanno evidenziato l’in-
tersezione tra studi femministi e studi postcoloniali (Demaria 2003; Curti 2006;
Romeo 2012); hanno indagato temi quali la globalizzazione e la migrazione in rela-
zione all’etnicità (Campani 2002), al lavoro e alla precarietà (Bertilotti – Galasso
– Gissi – Lagorio 2006; Andall – Puwar 2007), con una particolare enfasi sul
lavoro domestico (Andall 1992, 2000; Marchetti 2010, 2011) e sul mercato del
sesso (Andrijasevic 2003; Achebe 2004; Trappolin 2005); hanno analizzato la
maschilità, l’essere queer, l’omofobia e l’omonazionalismo in contesti italiani colo-
niali e postcoloniali (Stefani 2007; Duncan, 2008b; De Vivo – Dufour 2012).
Jacqueline Andall (Andall 2000) e Chiara Boniglioli (Bonfiglioli 2010) hanno
suggerito la necessità in Italia di un femminismo più inclusivo che tenga in conside-
razione «la diversità esperenziale delle donne appartenenti a minoranze etniche» 79,
l’importanza delle loro identità lavorative e il loro ruolo nei processi di produzione.
La combinazione di questi approcci ha un ruolo centrale in questo volume non sol-
tanto per comprendere come le donne immigrate decentrino le «grandi narrazioni»
del femminismo italiano, ma anche per esplorare le intersezioni tra i modi in cui

78 Cfr. Mezzadra 2008.


79 Andall 2000, p. 3.

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22 Introduzione

queste donne vengono discriminate per motivi legati alla razza e al genere, e mar-
ginalizzate sulla base di una pluralità di fattori che includono la religione, l’orienta-
mento sessuale, la classe sociale e la (mancanza di) cittadinanza.

Struttura del volume


Il volume si divide in quattro sezioni, in cui la struttura e l’organizzazione dei
materiali rilettono le metodologie adottate nella nostra interpretazione del postco-
lonialismo. Il volume, infatti, non è suddiviso secondo un approccio disciplinare e
neanche sulla base del medium utilizzato per rappresentare la postcolonialità (lettera-
tura, cinema, musica, ecc.): la suddivisione, invece, si articola a partire da una riles-
sione che privilegia l’identiicazione di importanti aree di collegamento, zone di con-
tatto e convergenze tra diverse metodologie e prospettive disciplinari.
Il capitolo di Robert Young, uno dei massimi esperti di teoria postcoloniale,
compare all’inizio della Sezione I, intitolata Italia postcoloniale e transnazionale, con
una funzione contrappuntistica più che prefazionale. Questo saggio, che in qualche
modo celebra il carattere distintivo del postcolonialismo in Italia, può essere letto in
contrapposizione con molte delle analisi degli altri studiosi inclusi nel volume. Il sag-
gio di Young, tuttavia, ha la funzione di ricordare l’importanza che la politica della
sinistra italiana ha rivestito come supporto materiale e simbolico alle lotte anticolo-
niali nel mondo dalla ine della Seconda guerra mondiale ino agli anni Sessanta. Per
Young è l’eredità della tradizione socialista e anarchica dell’Italia che ha fatto sì che
gli intellettuali italiani articolassero una corrente di discorsi postcoloniali dai tratti
unici e distintivi. Il capitolo successivo, di Sandra Ponzanesi, inserisce il postcolonia-
lismo italiano all’interno di una prospettiva europea attraverso l’analisi della condi-
zione postcoloniale in differenti Paesi. Esso offre una rilessione sulla costruzione di
un senso di identità europeo alla luce del comune passato coloniale, passato che, pur
essendo spesso messo a tacere, inluisce profondamente sulle strutture sociali euro-
pee della contemporaneità. Inine, il capitolo di Teresa Fiore è incentrato sulle migra-
zioni di ritorno, in particolare sul ritorno in Italia dei discendenti degli emigrati in
Brasile di ine Ottocento-inizio Novecento, e si interroga sulle dinamiche di inclu-
sione ed esclusione in relazione sia alla cittadinanza, sia alla vita quotidiana. Partendo
dall’analisi di un documentario, il capitolo di Fiore crea un parallelo tra l’espansione
coloniale e l’emigrazione attraverso il doppio signiicato del termine «colonia», inteso
sia come comunità di cittadini residenti nello stesso luogo, sia come possedimento
extraterritoriale, espandendo in tal modo la nozione di «postcoloniale» attraverso il
concetto di «post‘colonialità’ emigrante».
La Sezione II, dal titolo Il corpo della nazione. Smembramenti e trasformazio-
ni, adotta la metafora del corpo della nazione per esaminare come la natura fram-
mentaria del processo di costruzione nazionale abbia implicato continue trasfor-
mazioni dell’italianità e dell’alterità attraverso una serie di costruzioni discorsive e
retoriche, di inzioni narrative e di atti performativi. La sezione si apre con l’anali-

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Il postcoloniale italiano. Costruzione di un paradigma 23

si di Rhiannon Welch dell’associazione retorica tra la produttività del lavoro agri-


colo e la riproduzione biologica prevalente nei dibattiti relativi al colonialismo e
all’emigrazione italiana. Il saggio rintraccia nella biopolitica la natura profonda di
un’ampia corrente del discorso razziale postunitario e utilizza tale approccio storico
per una lettura biopolitica della formulazione razziale nell’Italia contemporanea. Il
campo retorico identiicato da Welch, e utilizzato per comprendere come i proces-
si di razzializzazione nell’Italia dell’immigrazione contemporanea siano pervasi da
igure derivanti dalla biopolitica, apre all’analisi del capitolo successivo, di Isabella
Clough Marinaro, sulla costruzione in Italia dei rom e dei sinti come «nomadi» e
«criminali», da cui la società sente il bisogno di difendersi come se essi rappresen-
tassero una minaccia biologica all’integrità del corpo della nazione. Il saggio ana-
lizza i discorsi popolari e politici, nonché le politiche e le pratiche istituzionali,
suggerendo che nozioni quali sporcizia e inquinamento vengono strategicamente
riutilizzate per costruire i rom come portatori di malattie vere o metaforiche, dan-
do voce a forme tradizionali di razzismo biologico. Un’altra rilessione sul processo
performativo dell’identità nel quale prende forma la nozione di «italianità» è pre-
sente nel capitolo di Barbara Spackman in questa sezione, che esamina il romanzo
di Amara Lakhous Divorzio all’islamica in viale Marconi (2010) per arrivare a sug-
gerire una lettura contrappuntistica dell’italianità oltre i conini e il canone lettera-
rio nazionali, estendendo il paradigma orientalista alla cosiddetta «letteratura del-
la migrazione» nella sua dimensione trans-storica e transnazionale. Nella lettura di
Spackman delle molte inzioni e trasformazioni presenti in Lakhous, l’Italia è pro-
spettata come «il sito della proliferazione e dell’attraversamento di lingue e identi-
tà» in cui non è più possibile dire chi sia un migrante e chi no, in quanto il passato
delle migrazioni transnazionali degli ‘italiani d.o.c.’ diventa elemento fondante sia
del suo presente, sia del suo futuro.
La Sezione III, intitolata Tracce e frammenti dell’impero, si apre con il sag-
gio di Francesco Ricatti che analizza come la presenza dei simboli dell’impero e
della retorica fascista nella tifoseria della squadra calcistica della Roma sia possi-
bile solo grazie all’oblio che ha avvolto la storia coloniale italiana. Ricatti esami-
na anche la natura omoerotica di queste fantasie imperiali che si fondano su ide-
ali, quali la forza e il coraggio, strettamente legati a una costruzione egemonica
dell’identità di genere maschile. La sezione include inoltre due capitoli che offrono
una diversa visione dell’ex impero d’Africa dalla prospettiva, nel caso del capito-
lo di Alessandro Triulzi, di alcune «voci a contrasto» dell’Italia contemporanea e,
nel caso di Roberto Derobertis, dei meridionali rappresentati dalla penna di Carlo
Levi. Alessandro Triulzi esamina come le memorie dell’Africa italiana siano costru-
ite nell’Italia contemporanea attraverso l’analisi di rappresentazioni afidate a media
differenti (un romanzo, un romanzo a fumetti e un documentario). Anche se la
presenza del colonialismo nell’immaginario contemporaneo italiano testimonia la
volontà dell’Italia di affrontare il proprio passato coloniale, il senso di avventura
associato alla conquista dell’Africa nel romanzo di Carlo Lucarelli e nel romanzo a
fumetti di Gianfranco Manfredi è in aperto contrasto con le autorappresentazioni

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24 Introduzione

dei rifugiati etiopi nel documentario di Andrea Segre, Dagmawi Yimer e Riccardo
Biadene. Ciò crea una profonda frattura nel modo in cui la memoria nazionale è
costruita nell’Italia postcoloniale. Il capitolo di Roberto Derobertis, che chiude
la sezione, opera una rilettura di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi da una
prospettiva postcoloniale e con riferimenti a materiale d’archivio. Derobertis sot-
tolinea la connessione esistente tra la posizione subalterna (e la conseguente emi-
grazione di massa) dei contadini meridionali e quella dei soggetti colonizzati nella
AOI. Derobertis, poi, stabilisce un rapporto di continuità con il presente attraverso
l’analisi di come il capitalismo globale abbia creato nuove forme di sfruttamento
nel Sud rurale dove, di recente, gli immigrati clandestini hanno preso il posto pre-
cedentemente occupato dai contadini autoctoni nella scala sociale.
La Sezione IV, che si intitola Relazioni di razza. Estraneità e intimità, è dedica-
ta alla costruzione della razza e alle rappresentazioni di bianchezza e nerezza nell’Ita-
lia contemporanea ed enfatizza la prossimità, piuttosto che la separazione, tra bian-
chi e neri nel presente. Cristina Lombardi-Diop apre la sezione affermando che la
società italiana del presente postcoloniale è essenzialmente una società postrazziale
che neutralizza e spesso nasconde ogni discorso intorno al colonialismo, ma soprat-
tutto intorno alla razza. L’autrice deinisce la situazione attuale come il risultato, tra
le altre cose, di un progetto di «sbiancamento» dell’identità razziale degli italiani,
un progetto che a suo giudizio risale alla concezione eugenetica dell’abiezione raz-
ziale dell’Italia fascista e alle sue politiche intorno all’igiene. Attraverso un’analisi
di rappresentazioni cinematograiche che mettono in luce le intersezioni di razza
e genere, le rilessioni di Rosetta Giuliani Caponetto e Áine O’Healy inducono a
riconsiderare le dinamiche degli incontri interrazziali e ad interrogare quali livelli di
intimità essi producano nella vita e nella cultura contemporanee. La reinterpreta-
zione operata da Caponetto dell’immagine e della funzione ideologica della Venere
nera nel cinema popolare italiano degli anni Settanta testimonia la presenza persi-
stente dell’immaginario razzializzante del colonialismo nell’Italia contemporanea,
sostenendo che il ritorno di quest’icona femminile venga usato per promuovere un
tipo di femminilità sottomessa, in opposizione ai modelli di autodeterminazione
proposti dal movimento di liberazione delle donne che in quegli anni si diffon-
dono. Áine O’Healy analizza come la differenza razziale sia costruita nel cinema
italiano contemporaneo e come questa differenza ruoti intorno alle costruzioni di
maschilità e femminilità nere ereditate dal colonialismo, anche se non immedia-
tamente riconoscibili come tali. I ilm che O’Healy analizza, sostiene la studiosa,
non mettono suficientemente in discussione le strutture razziste della società ita-
liana, ma contribuiscono tuttavia ad una riformulazione dell’immaginario nazio-
nale attraverso la rappresentazione e la problematizzazione delle unioni interrazzia-
li. Il capitolo di Caterina Romeo si concentra sulle rappresentazioni letterarie, esa-
minando come scrittrici e scrittori postcoloniali africani italiani si oppongano alle
fantasie di bianchezza della società italiana e alla mancanza di conoscenza critica di
tematiche inerenti alla razza e al razzismo, assumendo la nerezza come parte inte-
grante dell’identità nazionale italiana. Articolato sull’intersezione tra razza e genere,

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Il postcoloniale italiano. Costruzione di un paradigma 25

questo capitolo estende la propria analisi al modo in cui le scrittrici postcoloniali


rappresentano le dificili relazioni tra donne bianche e donne nere in Italia, metten-
do in questo modo in discussione il concetto di sorellanza globale.
La Sezione V, dal titolo Estetiche e produzioni transculturali, prende in consi-
derazione la musica, il cinema, la letteratura e le culture giovanili prodotte da sog-
getti migranti e postcoloniali secondo un’estetica che trascende i conini nazionali e
i modelli culturali italiani. Alessandro Jedlowski apre questa sezione con un capito-
lo che esamina il fenomeno emergente dell’industria del cinema nollywoodiano in
Italia. Questi ilm, girati, prodotti, distribuiti e consumati in Italia, non sono desti-
nati a cittadini italiani ma a un pubblico di migranti provenienti dalla Nigeria e da
altri Paesi africani, e la loro estetica cinematograica mette in atto un decentramen-
to senza precedenti del paradigma di ciò che comunemente viene designato come il
«cinema nazionale». Il capitolo di Alessandro Portelli mostra come la musica popola-
re prodotta da artisti e artiste migranti, che non sono soggetti postcoloniali in senso
stretto, stia trasformando il paesaggio urbano di Roma attraverso una rimappatura di
aree speciiche che diventano siti globali di espressione religiosa cattolica e di musi-
ca popolare e folklorica. La ricerca di Portelli in questo capitolo mette in evidenza la
continuità di scopo e di metodo tra questo studio e la sua precedente etnograia della
città di Roma, in quanto ancora una volta devia dalla divisione gerarchica tradizio-
nale, particolarmente forte nel contesto italiano, tra produttori e fruitori di cultura.
Inine, il capitolo di Clarissa Clò analizza la natura transnazionale della produzio-
ne culturale di autori e autrici di seconda generazione, natura che affonda le proprie
radici nell’hip hop, nella cultura popolare, in elementi della diaspora africana e nella
politica postnazionale. Oltre a una produzione culturale assolutamente innovativa e
pioneristica, le seconde generazioni formulano una forte critica al principio dello ius
sanguinis per l’attribuizione della cittadinanza. La loro mobilitazione civica e la loro
identità ibrida, plurilinguistica e multirazziale introducono scenari per il presente e
per il futuro che mutano profondamente la norma somatica e cromatica italiana 80,
provocando un radicale cambiamento nella cultura, nella società e nel signiicato
stesso dell’essere e del deinirsi italiani.

(Traduzione di Caterina Romeo)

80 Per una trattazione di questi due concetti, cfr. Romeo in questo volume.

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