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Volume : 2 Numero: 33 Data: Luglio 2011 Sede: Gruppo Alternativa Liguria Di: Asta Paolo, Martini Claudio

Alternativa news
In collaborazione con: Megachip

IN QUESTO NUMERO
1 Grecia senza soluzione: serve un default Di: Wall street Italia [ pag. 1 ]

"Grecia senza soluzione: serve un default"


di Wall Street Italia.

Londra
2 Scenari di prosperit senza crescita Di: Gianfranco Bologna [ pag. 2/3 ] 3 Indignados dItalia Di: Giulietto Chiesa [ pag. 3 ] 4 Tremonti sul partenone Di: Beppe Grillo [ pag. 3 ] 5 La doppiezza di Obama Di: Pino Cabras [ pag. 4 ] 6 Libia: e se fosse tutto falso? Di: Marinella Correggia [ pag. 4/5 ] 7 Criticare il sapere accademico e rompere lillusione del talento Di: Nicola Villa [ pag. 5/6 ] 8 Comunicazione e informazioni: armi del dominio e del potere Di: Massimo Ragnedda [ pag. 6 ] 9 Il mercato non ci sta dicendo la verit Di: Gianfranco Bologna [ pag. 7/8 ] 10 Insegnare? Professione per pochi Di: Alessandra Ricciardi [ pag. 8 ] 11 Visioni dopo la crisi dellhomo oeconomicus Di: Paolo Bartolini [ pag. 8]

"La Banca centrale europea non sta facendo altro che trasformare un problema in
un disastro. Sta solo peggiorando le cose e minacciando di ritirare gli aiuti per le banche in paesi come la Grecia in caso di ristrutturazione del debito, non fa altro che incitare a una corsa agli sportelli." lopinione di Mario Blejer, in precedenza presidente della banca centrale dellArgentina. La motivazione che i titoli della Grecia non sarebbero pi utilizzabili come collaterali in quel caso, non giustificherebbe una mossa cos azzardata, altamente destabilizzante. "La Bce deve garantire di essere lultima opzione per queste banche, perch se i risparmiatori non sentono pi questa sicurezza, correranno a ritirare i propri depositi, generando una spirale che drener la liquidit dal sistema", ha detto Blejer, che in precedenza ha coperto altri ruoli di prestigio, tra cui al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale e presso la Banca centrale dellInghilterra. "Il problema della Grecia strutturale e non pu essere risolto accumulando debiti su debiti per ripagare quelli precedenti. una costruzione senza fondamenta, destinata a collassare in ogni momento." Sarebbe stato azzardato assumere una possibilit per la Grecia di ritornare al mercato gi dal prossimo anno. Il programma sarebbe basato sullillusione che il debito sia sostenibile, ma ignora il fatto che il paese in recessione e senza crescita diminuisce la possibilit di saldare i conti. E il processo di privatizzazione? Sarebbe solo un illusione, capace di risolvere solo il problema nel breve termine e migliorare la produttivit. "In merito, lesperienza dellArgentina, del Messico e degli altri paesi dellAmerica Latina da seguire. Sono le riforme fiscali e le riforme strutturali le condizioni necessaria per ridare vita al paese, la privatizzazione gioca un ruolo di secondo piano." Ma tutto questo dovrebbe essere accompagnato a unaltra azione. "Senza eufemismi, un default. molto pi semplice ritrovare accesso al credito dopo che il fardello del debito viene diminuito, come ci dimostrano Uruguay e Argentina. Adesso, anche se il discorso non ancora pienamente risolto, lArgentina pu prendere a prestito alla met dello spread greco."

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SCENARI DI PROSPERIT SENZA CRESCITA di


Gianfranco Bologna - greenreport.it.

Il Programma Ambiente delle Nazioni Unite


(United nations environment programme, www.unep.org ), nei suoi continui e lodevoli sforzi per fornire il massimo di analisi alla comunit internazionale, favorendo il percorso verso la Conferenza ONU sullo Sviluppo Sostenibile (la cosidetta Conferenza Rio+20 che avr luogo nel giugno del 2012 a Rio de Janeiro, vent'anni dopo il grande Earth Summit del 1992) ha reso noto il nuovo rapporto dell'autorevole International Resource Panel, dal titolo "Decoupling: natural resource use and environmental impacts from economic growth"(scaricabile dal sito www.unep.org/resourcepanel/decoupling/fi les/pdf/Decoupling_Report_English.pdf mentre altri materiali, dal comunicato stampa al sommario del rapporto, sono disponibili su www.unep.org/resourcepanel/Publications/ Decoupling/tabid/56048/Defauls.aspx ). L'International Resource Panel stato lanciato ufficialmente nel 2007, nell'ambito dell'UNEP stesso, con l'obiettivo di provvedere alla messa a punto scientifica degli obiettivi da perseguire in tutto il mondo per disaccoppiare la crescita economica e l'uso delle risorse dal degrado ambientale. Il Panel coordinato da due illustri studiosi in materia, quali Ernst Urlich von Weizsacker, fondatore del prestigioso Wuppertal Institute tedesco, autore, fra l'altro, dei famosi rapporti "Factor 4" e "Factor 5" e Ashok Khosla, presidente dell'International Union for Conservation of Nature (IUCN) e del Club di Roma, mentre il rapporto sul decoupling stato coordinato da Mark Swilling del Sustainability Institute dell'Universit di Stellenbosch in Sud Africa e Marina Fischer-Kowalski, nota studiosa dei metabolismi sociali e dell'ecologia industriale e direttrice dell'Institute of Social Ecology dell'Universit di Alpen-Adria in Austria. Il rapporto lancia un messaggio molto chiaro: nel 2050 se non vi saranno modifiche all'attuale stato delle cose, l'umanit si trover ad utilizzare annualmente 140 miliardi di tonnellate di minerali, combustibili fossili e biomasse, cifra che risulta essere quasi tre volte la quantit consumata attualmente. Con l'attuale crescita della popolazione e l'incremento dei consumi in numerosi paesi di nuova industrializzazione la prospettiva di un continuo e sempre maggiore consumo di risorse molto lontana dall'essere sostenibile. La media globale di consumo di risorse pro capite ha raggiunto nel 2000, intorno alle 10 tonnellate, mentre si calcola che era circa la met nel 1900.

Da qui nasce l'importanza del "fare pi con meno", incrementando il livello di "produttivit" delle risorse, disaccoppiando (decoupling) l'intensit di energia e materie prime per unit di PIL, ottenendo cio una riduzione dell'input di materie prime ed energia per la produzione di beni e servizi. Tale obiettivo richiede ovviamente di ripensare i legami tra l'utilizzo delle risorse e la prosperit umana ed economica, avviando un grande investimento nell'innovazione tecnologica, finanziaria e sociale per ridurre e congelare i livelli di consumo pro capite nei paesi industrializzati e mirare a percorsi sostenibili nei paesi in via di sviluppo. Oggi, riferisce il rapporto, il decoupling ha luogo ma ad un ritmo insufficiente per venire realmente incontro alle necessit di una societ sostenibile ed equa. Tra il 1980 ed il 2002 per 1.000 dollari di output economico vi stato una abbassamento della richiesta di materie prime da 2.1 tonnellate a 1.6 tonnellate, ma un ritmo non sufficiente e, globalmente, il consumo di risorse, sotto la spinta della crescita della popolazione e dei consumi individuali, aumenta. Gli attuali trend relativi alla crescita dell'urbanizzazione potrebbero aiutare in questa direzione in quanto le strutture urbane possono favorire, se ben gestite e governate, economie di scala e significative efficienze nell'approvvigionamento dei servizi. Le aree densamente popolate potrebbero consumare meno risorse pro capite rispetto alle aree scarsamente popolate e rurali, grazie a politiche mirate sulla disponibilit di acqua, l'uso dell'energia e dei trasporti, il trattamento dei rifiuti ed il riciclaggio e il modo stesso di strutturare le abitazioni. Come ricorda l'economista britannico Tim Jackson, autore del bellissimo "Prosperit senza crescita" (Edizioni Ambiente) di cui abbiamo parlato numerose volte nelle pagine di questa rubrica, il decoupling visto da molti economisti e altri analisti come la soluzione centrale per risolvere i gravi problemi attuali presenti tra i nostri metabolismi sociali e quelli naturali. Ma, sino ad ora, il decoupling non ha dato i risultati necessari, come peraltro confermano gli stessi autori del rapporto UNEP e Jackson ricorda che per riuscirci nell'immediato futuro e, per rispettare i limiti ecologici sempre pi chiari e palesi, sarebbe necessario un decoupling su scala cos vasta che francamente difficile da immaginare. Ma, in ogni caso, fondamentale non lasciare nulla di intentato. In maniera molto corretta e rifacendosi alla letteratura gi esistente in merito, Jackson, nel capitolo del suo libro intitolato proprio "Il mito del decoupling", ricorda che

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fondamentale distinguere tra decoupling relativo e decoupling assoluto. Il primo si riferisce alla riduzione dell'intensit ecologica per unit di output economico, in altre parole, come abbiamo gi visto sopra, si riduce l'impatto sulle risorse rispetto al PIL, ma non necessariamente il suo valore assoluto (infatti l'impatto sulle risorse pu anche aumentare, ma a un tasso inferiore del PIL). Il secondo, invece, mira a ridurre l'utilizzo delle risorse (o le emissioni prodotte) per unit di output economico allo stesso livello, cio l'efficienza dell'uso delle risorse deve aumentare almeno quanto l'output. Jackson ricorda che esiste una regola molto comoda per calcolare il punto in cui il decoupling relativo porta a quello assoluto: in una popolazione in espansione, con redditi medi in aumento, il decoupling assoluto si ha quando il tasso di decoupling relativo maggiore della somma dei tassi di crescita della popolazione e del reddito. Quindi Jackson ritiene che le prove sul ruolo del decoupling come scappatoia dal dilemma della crescita, non si rivelano convincenti ed il "mito" sta appunto nel credere che il decopuling, da solo, ci permetta di raggiungere i nostri obiettivi di sostenibilit. E' evidente che tali riflessioni non significano che il decoupling sia inutile, anzi esso in ogni caso fondamentale, con o senza crescita ma bene conoscerne anche i limiti. Il rapporto dell'International Resource Panel descrive tre scenari per giungere ad una "convergenza" tra paesi sviluppati e in via di sviluppo, rispetto all'utilizzo delle risorse. Nel primo si prevede un andamento BAU (Business As Usual, cio fare come se niente fosse) nei paesi industrializzati con una progressiva convergenza degli altri. Nel 2050 si avrebbe un consumo annuo di risorse (dai combustibili fossili alle biomasse) di 140 miliardi di tonnellate, circa 16 tonnellate a testa per una popolazione di 9 miliardi. Il rapporto definisce questo uno scenario assolutamente insostenibile per quanto riguarda sia l'utilizzo delle risorse quanto la gestione delle emissioni. Lo scenario 2 prevede una moderata contrazione del consumo delle risorse nei paesi sviluppati ed una progressiva convergenza su questi livelli da parte degli altri paesi. Il risultato che ne emergerebbe al 2050 un consumo totale di 70 miliardi di tonnellate, circa il 40% in pi del 2000. Il consumo pro capite medio di risorse sarebbe di 8 tonnellate. Le emissioni medie di anidride carbonica risulterebbero di 1.6 tonnellate pro capite, mentre le emissioni globali raddoppierebbero rispetto alla situazione attuale. Lo scenario 3 prevede una decisa contrazione del consumo di risorse nei paesi industrializzati e una convergenza degli altri

Ci produrrebbe un risultato di circa 50 miliardi di tonnellate annue, gli stessi del 2000, con un consumo globale pro capite di 6 tonnellate annue. Anche le emissioni di anidride carbonica resterebbero a livelli "accettabili" di 0.75 tonnellate pro capite. Si tratta dello scenario al quale tutti i paesi dovrebbero indirizzare le loro politiche. Il messaggio centrale del rapporto mirato quindi ad avviare una vera rivoluzione del decoupling in tutto il mondo, sottolineando la straordinaria importanza di attivare tutte le capacit innovative per vincere questa sfida alla quale legata la nostra stessa sopravvivenza. Il trend attuale di consumo delle risorse non sostenibile. di Giulietto hanno escogitato il trucco numero due. Chiesa La Voce delle Voci, giugno 2011. Cancelliamo noi la nostra legge. Il presidente della Repubblica firmer, la crivo con lanimo di chi ha subito uno Corte di Cassazione prender atto, il s scippo. Mi hanno rubato non il portafogli contro il nucleare sparir dal voto e la ma la mia democrazia. Dico mia per gente se ne andr al mare. Poi - e lhanno distinguerla da quel budino informe e perfino detto, papale papale - quando il si sar diradato, noi maleodorante che diventata in Italia. Se , polverone etimologicamente, potere del popolo, non riproponiamo la legge e costringiamo il c il minimo dubbio che questo potere non popolo a ricominciare da capo. Mai sentita lo ha il popolo. Comunque me lhanno la leggenda di Sisifo? rubato. Neanche con destrezza; direi Intanto togliamo di mezzo il pericolo spudoratamente. Negli ultimi tempi sono capace di trainare della gente al voto. diventati pi prepotenti. Si sentono Cos otterremo anche il resto: liquidando i impuniti. Pensa che prima facevano finta di due referendum contro la privatizzazione niente e ti spacciavano per vere delle cose dellacqua e - dulcis in fundo - anche verosimili. Adesso, fatto lesperimento che quello sul legittimo impedimento. la gente ci casca dentro, stanno tentando Hai capito dove siamo ridotti? Un intero quello che prima poteva sembrare popolo deve andare a votare per togliere impensabile: pretendono che tu creda di mezzo una legge che serve solo a tenere fuori dalla galera il capo del governo. anche linverosimile. Guarda un po con questa storia di Osama Quando si dice che siamo stati espropriati, bin Laden. Dicono che lhanno ammazzato. E non si esagera. E le regole del gioco le nascondono il cadavere. Anzi proprio lo tiene in mano il croupier. Tu puoi anche fanno sparire. Mangiato dai pesci puntare su un numero, ma se lui di dellOceano Indiano. Ti raccontano quella cattivo umore, se non gli piace la tua delluva (anzi ti raccontano una decina di puntata, non getta la pallina nella roulette. storie delluva, una diversa dallaltra, una Che fai? Non saprai neppure se avresti che contraddice laltra) e poi pretendono potuto vincere. Pensavo agli antichi greci e a quello che ci che tu ci creda, anche contro levidenza. Anzi, pretendono che tu creda a tutte hanno insegnato a scuola: che gli eletti del contemporaneamente. E, se provi a dire che popolo dovevano essere i migliori, i primi non ci stai, o anche solo a dichiarare inter pares, dediti alla collettivit. timidamente che ne scegli una sola, a caso, Succedeva, spesso, anche allora, che la tirandola fuori dal mazzo di carte, eccoli maggioranza fosse abbastanza stupida gridare in coro che tu sei un complottista. comunque da eleggersi un dittatore che le avrebbe poi rotto le ossa. Ma allora non Manco lavessi ammazzato tu. cera la droga televisiva, che Dio li abbia in gloria. Il fatto che mi hanno rubato la congiuntamente alla corruzione delle democrazia. O ci stanno provando. Forse opposizioni - faceva sempre vincere i non ci riescono, ma se non ci riescono non lanzichenecchi. perch sono meno ladri: solo perch gli Allora che facciamo? Prima che ci rubino anche le mutande - leggi: prima che abbiamo dato una legnata sulle dita. Volevo dirgli che sono contro il nucleare. comincino al ritmo di una manovra da 40 Per sempre, per i secoli dei secoli. Volevo miliardi di euro allanno - iniziamo a impedirgli di fare altri scempi. Volevo usare rivoltarci. Per carit, pacificamente, come la democrazia per impedire ai malfattori di hanno cominciato a fare gli spagnoli. prendere decisioni sulla mia testa. Potevo Rompiamogli la roulette e prendiamo a farlo, con il referendum. Ma stanno calci il croupier. Siamo sovrani oppure no? cercando affannosamente di scipparci il referendum. Capito i furbi? I referendum sono quattro, ma quello che faceva paura, subito, a tutti, era (speriamo che ancora lo sia quando leggerai queste righe) quello sul nucleare. Avevano gi messo il voto il 12 e 13 giugno, sotto il solleone, quando la gente vorrebbe andare al mare. Cos, speravano, non si sarebbe raggiunto il quorum e addio ai quattro referendum. Speravano. Allora i ladri della democrazia Poi arrivato lo tsunami e Fukushima. E loro

Indignados d'Italia -

Tremonti sul Partenone - di Beppe


Grillo er conoscere il nostro futuro sufficiente osservare ci che avviene all'ombra del Partenone, in piazza Syntagma, dove da giorni si fronteggiano la polizia e i cittadini greci. Il primo ministro greco Papandreou ribadir la prossima settimana il suo piano di "riforme" per ottenere un nuovo prestito internazionale. Le riforme in questione sono le solite di fronte al fallimento. Vendita all'incanto dei beni nazionali per 50 miliardi di euro entro il 2013 (le cosiddette "privatizzazioni"), il taglio dei servizi pubblici, o "ristrutturazione", con la riduzione del 20% dei dipendenti statali, circa 150.000, nei prossimi quattro anni oltre all'aumento delle tasse dirette e indirette. Il costo delle vita salir e sempre meno persone se lo potranno permettere. E' probabile che Papandreou, che per salvarsi propone un governo di "unit nazionale" (vi ricorda qualcosa?) si debba presto dimettere. Si andrebbe allora a nuove elezioni con una probabile vittoria della destra come avvenuto in Portogallo e come, con tutta probabilit, avverr anche in Spagna. Le multinazionali stanno riducendo da tempo la loro presenza in Grecia e alcune l'hanno gi abbandonata. Per ridurre il rischio e si fanno pagare in contanti dallo Stato, come avviene nel settore farmaceutico. In un anno e mezzo, da quando stata dichiarata la crisi, le banche greche hanno perso il 17% dei loro depositi, circa 40 miliardi di euro, a causa dei trasferimenti effettuati dalle societ internazionali. Il default greco creer un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili anche nel sistema bancario europeo. Le banche pi esposte al fallimento greco sono quelle francesi con 53 miliardi di euro concentrati in Crdit Agricole, Socit Gnrale e BNP Paribas, ma non sono le sole, seguono Germania con 34 miliardi, UK con 13,1 e Portogallo (il prossimo della lista del default) con 10,2. In Italia il debito si sta avviando ai 2.000 miliardi nel 2012, il tasso di rischio dei nostri titoli sta aumentando e ha superato i 200 punti rispetto ai bund tedeschi. In sostanza Tremorti deve pagare pi interessi per vendere il nostro debito, le nostre cambiali e sta raschiando il barile dei contribuenti, privati e imprese, attraverso Equitalia. Il default greco potrebbe essere la nuova Lehman con al posto delle banche, gli Stati insieme alla banche. Nessuno vuole aprire il nuovo vaso di Pandora, ma forse si gi aperto e nessuno ci ha detto nulla.

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La doppiezza di Obama
Di Pino Cabras - megachip

Libia: e se fosse tutto falso?


Di: Marinella Correggia cristiana) La madre di tutte le bugie. (famiglia

Va bene che la giustizia e la coerenza non sono cosa di questo mondo, tanto meno in politica. Per i due pesi e le due misure che usa Obama nelle crisi internazionali sono talmente squilibrati da rivelare una doppiezza che lo squalifica sempre di pi. Ad esempio su Siria e Bahrain. Nei confronti della Siria di Assad, un giorno s e l'altro pure il presidente USA chiede sanzioni in nome dei diritti umani violati, con lo stesso schema - e le stesse falsit - che hanno portato alla guerra di Libia. Nei confronti del Bahrain di Al-Khalifa, che ha schiacciato le opposizioni con l'aiuto dell'esercito saudita e con massacri e torture, invece, Obama ha disteso i tappeti rossi. Non davanti a tutti, per. Il Principe del Bahrain Salman al-Khalifa infatti stato ricevuto da Obama lo scorso 7 giugno alla Casa Bianca, senza conferenza stampa, n imbarazzanti foto ricordo, lasciate alla Clinton, ma con una dichiarazione di encomio per la volont del regnante di perseguire il dialogo interno, senza menzione per le violenze. Bel dialogo davvero, con le corti marziali a pieno regime, le sparizioni di oppositori in stile argentino, e la Quinta flotta statunitense placidamente ospite dell'isola-stato araba. Il giorno che le truppe saudite hanno prestato il loro fraterno aiuto alla satrapia in difficolt, il segretario USA della Difesa era l a coordinare le operazioni. Rosy Bindi, forse presa dai suoi fervori per la guerra umanitaria in Libia, non se n accorta, chiss dovera. Se n accorto invece quello stagionato serial killer di democrazie che risponde al nome di Henry Kissinger. Lex segretario di Stato, mentre parlava a una selezionata platea di berlinesi, ha dichiarato, papale papale, che un cambiamento democratico in Bahrein non gioverebbe agli interessi americani. Ha pure concesso, bont sua, che lo sconvolgimento in Bahrain e negli altri paesi arabi del Golfo Persico poneva un problema strategico e al tempo stesso morale per l'America. Sempre lucido questo angelo della morte, sempre bravo a individuare razionalmente i dilemmi. Scommettete cosa sceglier, linventore del Piano Condor, il pianificatore delle decine di migliaia di desaparecidos? Come? Non puntate un centesimo su una scelta morale? Bravi anche voi. Avete imparato la lezione della Storia. Meno bravi i giornali che hanno nascosto anche queste dichiarazioni, e che continuano a ripetere il mantra delle guerre umanitarie. Sono allenati, ormai. Dimenticano lArabia Saudita e il Bahrein e passano con disinvoltura dalla Libia alla Siria, in sequenza. La giustizia e la coerenza non sono cosa di questo mondo, e va bene. Ma per favore risparmiateci le lodi a Obama, questo sepolcro imbiancato che si fa campione dei diritti umanitari.
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La guerra della Nato in Libia (operazione


Protettore unificato), alla quale lItalia sta partecipando, presentata allopinione pubblica internazionale come un intervento umanitario a tutela del popolo libico massacrato da Gheddafi. In realt la Nato e il Qatar sono schierati, per ragioni geostrategiche, a sostegno di una delle due parti armate nel conflitto, i ribelli di Bengasi (dallaltra parte sta il Governo). E questa guerra, come ha ricordato Lucio Caracciolo sulla rivista di geopolitica Limes, sar ricordata come un collasso dellinformazione, intrisa com di bugie e omissioni. Le sta studiando la Fact Finding Commission (Commissione per laccertamento dei fatti) fondata a Tripoli da una imprenditrice italiana, Tiziana Gamannossi, e da un attivista camerunese, con la partecipazione di attivisti da vari Paesi. La madre di tutte le bugie: 10 mila morti e 55 mila feriti. Il pretesto per un intervento dalle vere ragioni geostrategiche(http://globalresearch.ca/in dex.ph p?context=va&aid=23983) stato fabbricato a febbraio. Lo scorso 23 febbraio, pochi giorni dopo linizio della rivolta, la tiv satellitare Al Arabyia denuncia via Twitter un massacro: 10mila morti e 50mila feriti in Libia, con bombardamenti aerei su Tripoli e Bengasi e fosse comuni. La fonte Sayed Al Shanuka, che parla da Parigi come membro libico della Corte penale internazionale Cpi (http://www.ansamed.info/en/libia/news/ ME.XEF93179.html). La notizia fa il giro del mondo e offre la principale giustificazione allintervento del Consiglio di Sicurezza e poi della Nato: per proteggere i civili. Non fa il giro del mondo invece la smentita da parte della stessa Corte Penale internazionale: Il signor Sayed Al Shanuka o El Hadi Shallouf non in alcun modo membro o consulente della Corte(http://www.icccpi.int/NR/exeres/8974AA77-8CFD-41488FFC-FF3742BB6ECB.htm). Ci sono foto o video di questo massacro di migliaia di persone in febbraio, a Tripoli e nellEst? No. I bombardamenti dellaviazione libica su tre quartieri di Tripoli? Nessun testimone. Nessun segno di distruzione: i satelliti militari russi che hanno monitorato la situazione fin dallinizio non hanno rilevato nulla (http://rt.com/news/airstrikes-libyarussian-military/). E la fossa comune in riva al mare? E il cimitero (con fosse individuali!) di Sidi Hamed, dove lo

scorso agosto si svolta una normale opera di spostamento dei resti. E le stragi ordinate da Gheddafi nellEst della Libia subito in febbraio? Niente: ma possibile che sul posto nessuno avesse un telefonino per fotografare e filmare? Lesperto camerunese di geopolitica JeanPaul Pougala (docente a Ginevra) fa anche notare che per ricoverare i 55 mila feriti non sarebbero bastati gli ospedali di tutta lAfrica, dove solo un decimo dei posti letto riservato alle emergenze (http://mondialisation.ca/index.php?conte xt=va&aid=24960). Mercenari, miliziani e cecchini. Lopera di demonizzazione del nemico, gi suggerita con successo dallagenzia Wirthlin Group agli Usa per la guerra contro lIraq, riuscita ottimamente nel caso della Libia. Gheddafi usa mercenari neri. I soldati libici sono sempre definiti mercenari, miliziani, cecchini. In particolare i media sottolineano la presenza, fra i combattenti progovernativi, di cittadini non libici del Continente Nero; i ribelli a riprova ne fotografano svariati cadaveri. Ma moltissimi libici delle trib del Sud sono di pelle nera. I mercenari, i miliziani e i cecchini di Gheddafi violentano con il Viagra. Il governo libico imbottirebbe di viagra i soldati dando loro via libera a stupri di massa, stata laccusa della rappresentante Usa allOnu Susan Rice. Ma Fred Abrahams, dellorganizzazione internazionale Human Rights Watch, afferma che ci sono alcuni casi credibili di aggressioni sessuali (del resto il Governo libico e alcuni migranti muovono le stesse accuse ai ribelli) ma non vi la prova che si tratti di un ordine sistematico da parte del regime. Ugualmente fondata solo su contradditorie testimonianze (e riportata solo da un giornale scandalistico inglese (http://www.dailymail.co.uk/news/article1380364/Libya-Gaddafis-troops-rapechildren-young-eight.html) laccusa di sterminio di intere famiglie e di violenze su bambini di otto anni. Gheddafi ha usato le bombe a grappolo a Misurata. Sottomunizioni dei micidiali ordigni Mat-129 sono stati trovati nella citt da organizzazioni non governative e dal New York Times. Tuttavia,secondo una ricerca di Human Rights Investigation (Hri) riportata da vari siti (http://www.uruknet.de/?l=e&p=6&hd=0&size=1) potrebbero essere stati sparati dalle navi della Nato. Strage di civili a Misurata. Negli scontri fra lealisti e ribelli armati sono certo morti decine o centinaia di civili, presi in mezzo. Ma ognuna delle due parti rivolge allaltra accuse di stragi e atrocit. Oltre 750 mila sfollati Decine di migliaia di vittime civili

effetti collaterali dei missilamenti Nato. Oltre alle centinaia di morti civili nei bombardamenti aerei iniziati in marzo (oltre 700, secondo il Governo libico), e a centinaia di feriti tuttora ricoverati negli ospedali, la guerra ha provocato oltre 750 mila fra sfollati e rifugiati: dati forniti da Valerie Amos dellUfficio umanitario delle Nazioni Unite, ma risalente al 13 maggio. Si tratta di cittadini libici trasferitisi in altre parti del Paese e soprattutto di moltissimi migranti rimasti senza lavoro e timorosi di violenze (solo nel poverissimo Niger sono tornati oltre 66 mila cittadini: (http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=24959).Oltre 1.500 migranti sarebbero gi morti nel mar Mediterraneo dallinizio dellanno. Atrocit commesse ai danni di neri e migranti. Secondo le denunce di Governi africani, di migranti neri in Libia, e le testimonianze raccolte da organizzazioni umanitarie come la Fdration internationale des droits de lhomme Fidh (www.lexpress.fr/actualite/monde/libye-desexactions-anti-noirs-dans-les-zones-rebelles_994554.html), nellEst libico controllato dai ribelli - innocenti lavoratori migranti sono stati accusatidi essere mercenari di Gheddafie linciati, torturati, uccisi o comunque fatti oggetto di atti di razzismo e furti. I ribelli, come proverebbero diversi video, hanno giustiziato e seviziato soldati libici in particolare neri (http://fortresseurope.blogspot.com/search/label/Rivoluzionari%20e%20razzisti%3F%20I%20video). La comunit internazionale ha finora ignorato queste denunce. Fatte cadere tutte le proposte negoziali. Fin dallinizio della guerra civile libica, sono state avanzate diverse proposte negoziali, prima da Governi latinoamericani e poi dallUnione Africana (Ua), che prevedevano il cessate il fuoco ed elezioni a breve termine. Sono state tutte ignorate dalla Nato e dai ribelli.

Criticare il sapere accademico e rompere l'illusione del talento


di Nicola Villa. convinzione consolante, comune e condivisa tra gli intellettuali, che siamo alla provincia del potere ma depositari della cultura e dei saperi che incidono sulle trasformazioni del mondo: come la Grecia classica era dominata dallImpero romano, sebbene influente culturalmente, cos noi siamo dominati dalla cultura tardo capitalista nord-americana, ma conserviamo lorgoglio almeno della non-ignoranza della vecchia Europa, o meglio dellItalia umanistica e scientifica. Questa metafora, che deriva da un film canadese di qualche anno fa dal titolo eloquente Il declino dellimpero americano, non potrebbe essere pi fuorviante: nella realt infatti siamo alla provincia della periferia dei saperi, lontani dai dibattiti culturali, arretrati in tutti i campi della ricerca, scientifica e umanista. Mentre le nostre universit si inorgogliscono, in modo autoreferenziale, sugli alti standard di conoscenze e saperi raggiunti dagli studenti italiani, paesi ben pi lungimiranti come Germania e Cina hanno aumentato gli investimenti alla ricerca universitaria allalba dellultima crisi economica-finanziaria, come a garantirsi per la concorrenza spietata del futuro non solo nel campo delle risorse energetiche e dellinnovazione tecnologica. Un caso paradigmatico la convinzione dellesportabilit dei nostri studiosi, intellettuali e scienziati, vanto nazionale: ormai la famosa fuga dei cervelli sembra gi terminata da un pezzo perch le uscite di sicurezza sono intasate e chi ha trovato un varco in qualche universit straniera lo occupa saldamente Se non si criticano i saperi, la lotta di retroguardia C una battuta paradossale sulluniversit che ha diverse paternit per quanto suffragata: alluniversit ho imparato tutto ci che non so. Che sia Ennio Flaiano o Jack London poco importa: non sono pochi coloro che la sottoscriverebbero

Una

sentendosi frustrati o delusi dalla loro personale esperienza accademica. Ma non tanto laspetto di non aver imparato abbastanza o aver appreso nulla alluniversit, perch quello che manca una dimensione politica e pratica dei saperi accademici. Una volta ho sentito dire da una studentessa delusa e sperduta: luniversit non mi ha fatto scoprire i libri utili e necessari che mi avrebbero aiutato a capire la realt, a muovermi in questo presente. Il problema proprio lassenza di una dimensione politica in tutti i campi del sapere accademico e, dove non assente, questa insufficiente o superata. In questi ultimi anni di mobilitazioni studentesche, limitandosi allOnda del 2008 e alla rivolta dellautunno del 2010, la critica dei saperi mancata sia nelle prospettive che negli intenti della protesta. Da un certo punto di vista questa mancanza stata dovuta a una vera e propria Realpolitik: gli studenti, anche quelli che criticano il sistema, spesso per difendere listituzione pubblica non criticano i suoi difetti. Quando una lotta di retroguardia si difende cio il poco che si ha e che fortemente a rischio pacifico che questa diventi un minimo reazionaria, che si adatti al momento e al nemico politico: quando un potere assume aspetti anarchici bisogna irrigidirsi, quando al potere ci sono i pregiudicati bisogna per forza di cose essere un po giustizialisti, per esempio. Ma in questi anni, due opinionisti come Francesco Ciafaloni e Carlo Donolo sul mensile Lo straniero sono stati piuttosto inascoltati quando avvertivano i movimenti sulla necessit di legare la difesa dellistruzione pubblica a una critica dei saperi anche in ottica del discorso sul lavoro (poi le riflessioni di Donolo sono confluite nel recente Italia sperduta pubblicato da Donzelli). A dire il vero una minoranza di studenti ha proposto nelle assemblee lipotesi di gestire corsi di autoformazione, di creare piccole redazioni intermittenti di confronto politicoculturali, ma queste esperienze minoritarie..

si sono rivelate poco efficaci e velleitarie. Da un punto di vista mediatico le proteste sono state etichettate come quelle dei bravi ragazzi, cio dei bravi studiosi che non vogliono perdere i corsi, le ore di studio, che non vogliono essere costretti a trovarsi un lavoro in nero o part-time per pagarsi laumento delle tasse, consapevoli che il futuro lavorativo passi per linvestimento nella formazione individuale e collettiva, ma forse sarebbe stato molto pi radicale e di rottura se la rabbia per lattacco alluniversit fosse passata per la prospettiva di totale riforma e rifondazione. Bisogna difendere con le unghie e con i denti luniversit, ma quando una laurea vale zero, quando nessuno legge pi i cv, quando ormai la fase transitoria della precariet finita per una prospettiva di non lavoro, quando cio luniversit stata per anni consapevolmente complice con la congiura sociale contro il lavoro e lautonomia giovanile, che senso ha difenderla pi a lungo? Rompere lincantesimo del talento (e dei consumi culturali) Pi in generale un altro aspetto che vede i giovani deficitari sul piano della contestazione sociale la critica della cultura. Siamo forse il primo paese europeo che negli ultimi dieci anni ha intensificato, raddoppiato e triplicato i consumi culturali collettivi, non intesi come libri, cd o dvd ma come biglietti e partecipazioni: si pensi alla fioritura di festival culturali (musica, teatro, letteratura, danza) che hanno occupato quasi totalmente le 52 settimane annuali, oppure alla eventizzazione di ogni aspetto pubblico. Un popolo ormai mutato e televisivo riesce a trovare una piazza pubblica e comune solo quando questa viene spettacolarizzata, nella celebrazione dellarte, della cultura e della creativit in un clima festivo permanente. La cosa pi impressionante che i giovani partecipano a questa festa culturale illusi che ne venga valorizzato il talento. La grande invenzione del nostro tempo,

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conseguente alla scomparsa del lavoro, proprio il talento, lillusione che ognuno possa raggiungere, attraverso la propria creativit, fama e denaro. Eppure una critica della cultura deve passare anche per quella dei consumi culturali: abbastanza preoccupante che i maggiori lettori di articoli reazionari di Travaglio siano giovani, che i maggiori e pi indignati spettatori di Santoro siano il pubblico dei laureati, che i bestseller e la musica pi ascoltata siano confezionati per incontrare i gusti giovanili. lillusione della diversit culturale a permeare tutti questi consumi per generazioni di accettanti e dormienti.

Comunicazione e informazione: armi dominio e del potere - di Massimo Ragnedda.

del

a principale battaglia nella nostra societ quella per la conquista delle menti. Da sempre la comunicazione e linformazione sono armi del dominio e del potere (ma anche del contropotere), ma mai come ora la capacit di costruire consenso fondamentale per imporre le regole che governano le istituzioni della societ. Il potere, dunque, si esplica, anche e soprattutto, attraverso la capacit di plasmare le menti (Castells, 2009). Infatti il modo in cui noi pensiamo influisce e determina le leggi, i principi e i valori su cui le societ si fondano; il modo in cui noi pensiamo determina come agiamo, sia singolarmente che collettivamente. La vera sfida delllite al governo - che non necessariamente coincide con i politici al governo, quelli democraticamente eletti, anzi spesso trae vantaggio dallo stare nellombra - sta nel riuscire ad imporre, grazie alla comunicazione, il pensiero unico, ovvero, per usare le parole di Ignacio Ramonet "la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universalisti, degli interessi di un insieme di forze economiche, e specificamente di quelle del capitale internazionale" (Le Monde diplomatique, "La pense unique" gennaio 1995). Questa tecnologia del consenso sociale, abilmente costruito con la ridondanza e la trasversalit dei messaggi, affidata di volta in volta ai tanti opinion leaders, allindustria culturale e ai mass media, alle riflessioni dei tanti autorevoli esperti che presentano un'unica visione delle cose, quella politically correct, che non urta, quella che non turba. I concetti chiave del pensiero unico si basano essenzialmente sugli aspetti economici e sul ruolo delleconomia come guida della nostra societ. Il pensiero unico esalta lonnipotenza del mercato e ce la fa accettare come inevitabile. Questo processo egemonico si articola mentre si forma e crea le proprie istituzioni man mano che si sviluppa, dal G8 alla Banca mondiale, dai miti hollywoodiani ai loghi intesi come universi simbolici. Il mercato fa il suo corso sino a determinare lo sviluppo di un Paese. Gli accordi commerciali vengono considerati la base del processo di democratizzazione di un Paese. Siamo dinanzi ad un processo che colpisce e svuota i soggetti politici classici e le loro istituzioni e che priva gli organismi nazionali (liberamente eletti) del proprio potere decisionale. Uno Stato che accetta le direttive imposte dai grandi organismi internazionali WTO, Banca Mondiale, FMI, le agenzie di rating eccetera che non pone ostacoli al normale corso del mercato, che ne recepisce le leggi, viene aiutato e sorretto (non solo economicamente) dallestero. Chi si oppone oggetto di ritorsioni politiche, economiche e spesso anche militari (in questottica devono essere intese alcune delle recenti guerre umanitarie o alcuni tentativi di rivoluzioni pilotate). Concetti come mercato del lavoro pi flessibile, riforme delle pensioni, moneta forte, crescita del PIL, aumento dei consumi e cos via, sono entrati nel nostro lessico quotidiano, come elementi imperanti e imprescindibili di qualsiasi azione di governo. E questo, grazie al lavoro sotterraneo e lento dellindustria culturale e della pubblicit, dei film e dellinformazione: in una parola grazie alla comunicazione. Il mercato, con le sue leggi e il suo corso, riuscito a farsi accettare e desiderare; e lo ha fatto presentandosi con il volto suadente del progresso. Il libero mercato, nellottica neoliberista, che dovrebbe estendere i diritti e la democrazia, in realt, rende

schiavo il sistema democratico stesso. Infatti, tutti devono recepire le leggi imposte dal mercato, indistintamente dal colore o fazione politica. Chiunque si veda investito del potere popolare di governare, deve necessariamente mettere mano al mercato del lavoro per renderlo pi flessibile ed adattarlo al mercato che cambia. il mercato che lo impone: non accettare questo diktat significa porsi volontariamente fuori dal circuito internazionale che conta. Allora ecco che la politica diviene schiava delleconomia e chi liberamente eletto deve sottostare alle leggi ferree imposte da chi, non democraticamente, siede nei posti di potere. Maggiore flessibilit significa anche e soprattutto minori diritti sindacali per i lavoratori, minore tutela e sicurezza del posto di lavoro. Lavoro flessibile significa anche e soprattutto una ferita dellesistenza, una fonte immeritata di ansia, una diminuzione di diritti (Gallino, 2002). Affermando questo si rischia di essere considerato anacronistico, fuori dai tempi, fuori moda: e questo, oggi, un peccato mortale. La nuova egemonia che grazie ai media viene accettata come naturale dallopinione pubblica e sembra esistere in virt di un potere indiscutibile - ora una forza transnazionale, che travalica i confini dello Stato e si perde nella sua internazionalit. Le scelte che influenzano realmente la nostra quotidianit, vengono prese in sedi e da soggetti di cui spesso si ignora anche lesistenza. Mentre da una parte si decantano le lodi di un sistema di democrazia rappresentativa, dove i cittadini sono chiamati a votare ed eleggere cos i propri rappresentanti, dallaltra non si parla dei meccanismi di autoperpetuazione degli interessi privati. Non si da risalto alle regole di nomina dei governatori delle Banche centrali, dei dirigenti del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale o si tace, cosa tanto sconosciuta quanto preoccupante, sullesistenza di societ private che certificano anche i bilanci pubblici, le cui valutazioni determinano, in misura tuttaltro che secondaria, il grado di affidabilit di un Paese. Sono queste istituzioni e questi personaggi, in parte oscuri, che determinano landamento delleconomia reale e influenzano in maniera diretta le scelte economiche e politiche dei governi democraticamente eletti. Sono queste istituzioni e persone (quella ristretta lite al potere) che decidono se un Paese deve fallire o meno, quanti milioni di disoccupati ci devono essere, quali servizi devono essere privatizzati e cos via. Non si pu affidare al solo momento elettorale la protezione efficace dei cittadini dagli abusi di potere, poich il voto, da solo, non basta per garantire i cittadini dalluso arbitrario del potere. La difesa dei diritti passa anche attraverso la libera informazione: per questo potere e contropotere si scontrano anche nel mondo mediatico.

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Il mercato non ci sta del Last Minute Market, e del suo gruppo dicendo la verit - di Gianfranco (vedasi il sito www.lastminutemarket.it) in
Bologna - greenreport.it.

Recentemente sul sito del prestigioso Worldwatch Institute, nella sua parte specifica dedicata ai "Vital Signs. Global Trends that Shape Our Future" (ricordo che il Worldwatch, oltre al famoso rapporto annuale "State of the World", pubblica anche il rapporto annuale sui "Vital Signs" I trend globali che modellano il nostro futuro, vedasi http://vitalsigns.worldwatch.org) apparsa la notizia che le persone in sovrappeso nel mondo hanno raggiunto, nel 2010, la cifra di un miliardo e 934 milioni (mentre nel 2002 erano un miliardo e 454 milioni). Circa il 23% del dato del 2002 era attribuibile a individui di et intorno ai 15 anni o poco pi mentre questo dato, nel 2010, ha raggiunto la percentuale del 38%. L'incremento per gli adulti in questi ultimi otto anni stato invece dell'11%. Si tratta di un ulteriore dato sconcertante di questo mondo francamente sempre pi indescrivibile con il buon senso. Sappiamo contestualmente, dai dati Fao nei rapporti sullo stato dell'insicurezza alimentare nel mondo, che il numero di denutriti sulla Terra si aggira, da qualche anno, intorno al miliardo di persone, e potrebbe risultare nuovamente in incremento nel 2010 a causa soprattutto degli effetti provocati degli sbalzi dei prezzi delle commodities alimentari di base sui mercati internazionali. I decisori politici ed economici continuano imperterriti a ragionare con una vecchia visione di semplice relazioni causa-effetto e quindi con la solita litania del tipo "siccome si incrementa la domanda di beni di consumo, perch vi incremento di popolazione e di consumi, ergo bisogna incrementare l'offerta". Ancora nel World Food Summit 2009 la Fao dichiarava la necessit di incrementare la produzione alimentare mondiale per fare fronte alle esigenze di una popolazione in crescita, alle esigenze dei denutriti del pianeta ed alla crescita dei consumi. Fortunatamente quest'anno la Fao stessa ha commissionato un ottimo studio sulla perdita di cibo nelle filiere alimentari mondiali e sul cibo letteralmente "buttato via" da noi abitanti dei paesi ricchi e ne uscito fuori un dato terribile. Ogni anno nel mondo si perdono un miliardo e 300 milioni di tonnellate di cibo; ogni anno i consumatori dei paesi ricchi buttano via una quantit di cibo, stimato in 222 milioni di tonnellate comparabile all'intera produzione alimentare dell'Africa sub-sahariana, calcolata in 230 milioni di tonnellate (il documento "Global Food Losses and Food Waste" rintracciabile sul sito della FAO, www.fao.org ). Come ci hanno indicato gli studi di Andrea Segr, preside della facolt di agraria dell'Universit di Bologna, inventore

Italia si buttano via oltre 20 milioni di tonnellate di cibo l'anno. Il perverso meccanismo della crescita economica materiale e quantitativa realmente giunto al capolinea. Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institute, creatore degli Stati of the World e dei Vital Signs, fondatore e presidente dell'Earth Policy Institute, uno dei pi noti analisti interdisciplinari della sostenibilit, ha scritto nel suo ultimo libro "World on the Edge" riflessioni molto interessanti in proposito. Sto curando l'edizione italiana di questo volume che uscir tra qualche mese pubblicato dalle Edizioni Ambiente. Brown scrive: Nessuna civilt del passato sopravvissuta alla costante distruzione dei propri supporti naturali, n potr sopravvivervi la nostra, ma nonostante ci gli economisti guardano al futuro in modo diverso. Basandosi su dati esclusivamente economici per misurare il progresso, essi concepiscono la crescita di quasi dieci volte dell'economia mondiale dal 1950 ad oggi e il conseguente miglioramento degli standard di vita come il risultato pi alto della nostra civilt moderna. In questo arco di tempo il reddito medio pro capite nel mondo aumentato di circa 4 volte, portando i nostri standard di vita a livelli prima d'ora inimmaginabili. Un secolo fa la crescita annuale dell'economia mondiale si misurava in miliardi di dollari; ora si misura in migliaia di miliardi. Agli occhi degli economisti tradizionali il mondo non ha solamente un illustre passato economico, ma ha anche davanti a s un futuro promettente. Brown sottolinea come : Gli economisti tradizionali vedono la recessione economica globale del 2008-09 e il quasi collasso del sistema finanziario internazionale come un ostacolo lungo il cammino, seppure un ostacolo di dimensioni fuori dal comune, a cui seguir un ritorno alla crescita abituale. Le previsioni per la crescita economica, che siano quelle della Banca Mondiale, della Goldman Sachs o della Deutsche Bank parlano di una crescita dell'economia globale di circa il 3% annuo; di questo passo le dimensioni dell'economia del 2010 potrebbero facilmente raddoppiare entro il 2035. Secondo queste previsioni la crescita economica nei decenni a venire sar pi o meno un'estrapolazione della crescita dei decenni recenti. Ma come siamo finiti in questo pasticcio? La nostra economia globale di mercato cos come attualmente gestita si trova in difficolt. Il mercato sa fare bene molte cose e ripartisce le risorse con un'efficienza che nessun tipo di pianificazione centralizzata potrebbe immaginare, e tantomeno raggiungere. Ma mentre nel corso dell'ultimo secolo l'economia mondiale cresceva di almeno 20 volte, ne venuto alla luce un difetto: un

difetto cos importante che porter alla fine della civilt cos come la conosciamo se non riusciremo a correggerlo in tempo. Qui Lester Brown solleva un problema ben noto a tutti coloro che da anni si occupano delle problematiche della sostenibilit. Il mercato, che determina i prezzi, purtroppo non ci sta dicendo la verit. Sta omettendo i costi indiretti, che in alcuni casi sono attualmente di gran lunga superiori ai costi diretti. Anche in questo volume come nei suoi recenti "Piani B" (tre dei quattro "Piani B" sono stati pubblicati sempre da Edizioni Ambiente) Brown fa l'esempio della benzina. Estrarre il petrolio, raffinarlo per trasformarlo in benzina e consegnarlo alle stazioni di servizio americane pu costare all'incirca 3 dollari al gallone (un gallone equivale a 3,79 litri). I costi indiretti, che includono i cambiamenti climatici, il trattamento delle malattie respiratorie, le perdite degli oleodotti, la presenza militare statunitense in Medio Oriente per assicurare l'accesso al petrolio, portano a un totale di 12 dollari al gallone. Calcoli simili possono essere fatti per il carbone e per tante altre risorse utilizzate indiscriminatamente. Ecco quindi il punto centrale: con i nostri sistemi di contabilit inganniamo noi stessi. Non tenere conto di costi cos elevati una ricetta per arrivare alla bancarotta. I trend ambientali sono i principali indicatori che possono dirci quale sar il futuro dell'economia e in'ultima analisi della societ stessa. L'abbassamento del livello delle falde acquifere di oggi ci avverte dell'aumento dei prezzi del cibo di domani. La riduzione delle calotte polari il preludio al crollo del valore delle propriet immobiliari lungo le coste. Oltre a ci, ricorda ancora Brown, gli economisti tradizionali prestano poca attenzione al limite della produzione dei sistemi naturali del pianeta. Il pensiero economico moderno e la politica hanno creato un sistema economico che cos poco in sintonia con gli ecosistemi dai quali dipende che si sta avvicinando al collasso. Come possiamo dare per scontato che la crescita di un sistema economico che sta distruggendo le foreste della terra, ne sta erodendo il suo suolo, esaurendo le risorse idriche, portando al collasso le risorse ittiche, aumentando la temperatura e fondendo le calotte glaciali possa semplicemente venire proiettata sul futuro a lungo termine? Qual il processo intellettuale che sta alla base di queste estrapolazioni? Lester Brown fa poi una considerazione molto interessante che ha pi volte ricordato nei suoi interessanti volumi. A suo parere oggi nell'economia stiamo affrontando una situazione simile a quella dell'astronomia quando Copernico arriv sulla scena, quando si credeva che il sole

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ruotasse intorno alla terra. Cos come Copernico dovette formulare una nuova visione astronomica del mondo dopo molti decenni di osservazione del cielo e di calcoli matematici, anche noi dobbiamo formulare una nuova visione economica del mondo basata su molti decenni di osservazioni e analisi ambientali. I resoconti archeologici indicano che il collasso di una civilt non arriva in modo improvviso; gli archeologi che hanno analizzato le civilt del passato parlano di uno scenario di declino e collasso, in cui il collasso economico e sociale fu quasi sempre preceduto da un periodo di declino ambientale. Abbiamo bisogno veramente di cambiare rotta e prima siamo in grado di farlo meglio .

Insegnare? pochi - di
ItaliaOggi.

Professione

per

Alessandra Ricciardi -

Il

ministero ha stimato il fabbisogno di nuovi docenti fino al 2015. Nelle universit corsi a rischio. A una prima lettura, sembra tutto ok, anzi. Sapere che la scuola italiana, da qui a 4 anni, ha bisogno di 23 mila nuovi docenti da abilitare alla professione pu apparire addirittura consolante, dal punto di vista delle opportunit formative ma anche occupazionali. Ma quando si leggono i dati disaggregati per grado di scuola e per classe di concorso, la percezione cambia radicalmente. Perch i 23 mila docenti che le universit potranno formare fino al 2015 si traducono tra primaria e secondaria, spalmati tra matematica, lettere, inglese e lingue, storia e filosofia, latino e greco, e poi suddivisi su tre annualit accademiche, in una manciata di posti. Risicate chance lavorative che parlano di una professione in declino, in cui c poco spazio per nuovi docenti. In alcuni casi, come per esempio la classe 050 alle superiori, ovvero Lettere, vi sarebbero in tutta Italia solo 75 posti disponibili da occupare. Del resto, ci sono gi circa 230 mila insegnanti abilitati, quelli delle graduatorie permanenti, che vanno immessi in ruolo. Una situazione choc che, se confermata, renderebbe lorganizzazione di alcuni nuovi corsi un affare in perdita per le universit. Gi, perch i nuovi percorsi abilitanti previsti dalla riforma Gelmini (laurea magistrale e tirocinio attivo) sono blindati: per evitare il formarsi di nuovo precariato, gli atenei formeranno solo in base ai flussi programmati a livello regionale. Le prime stime sul fabbisogno di nuovi docenti fatte dal ministero dellistruzione, universit e ricerca sono state trasmesse in questi giorni ai direttori scolastici regionali. Obiettivo: prendere contatto con le varie universit del territorio perch queste abbiano lordine di grandezza dei corsi di laurea a decorrere dal 2012. ItaliaOggi ha avuto modo di leggere le stime. Complessivamente, ci sono 23.200 disponibilit per la formazione: 4.550 per il 2012/2013; poco pi di 7.400 per il 2013/2014 che salgono a 11.200 per il 2014.2015. Lordine di scuola pi affamato sar la scuola media con 8.200 nuovi docenti, seguito dalla secondaria di secondo grado con 5.100 e poi la scuola dellinfanzia quasi a quota 5 mila e la primaria a poco

meno di 4.900. Le stime sono state elaborate tenendo conto, su un organico di 605 mila unit, dei posti vuoti in organico e delle cessazioni dal servizio che si avranno, a legislazione vigente. Sommando i due dati, vanno poi sottratti gli abilitati ad oggi gi iscritti in graduatoria. Ovviamente le stime non sono in grado di dire cosa accadrebbe in caso di ulteriori strette sugli organici. A spulciare i dati emerge per esempio che per la Campania alle superiori la classe di concorso A013, Chimica, avr una disponibilit di 4 posti; A034, ovvero elettronica, in Abruzzo avr un fabbisogno di zero docenti per il 2012, sempre zero per il 2013 e un solo nuovo docente per il 2014/2015. Va meglio per Igiene, A040: a livello nazionale quasi 400 posti, sempre su tre anni ovviamente. Per A036, ovvero Filosofia e pedagogia, ce ne saranno nel triennio 75; 184 per Storia e Filosofia. Difficile immaginare che le universit possano realizzare corsi per un solo potenziale aspirante o comunque poche decine. Ecco perch il ministero sta studiando integrazioni legislative per accorpare presso un solo ateneo regionale o anche nazionale i corsi di laurea pi poveri. Se la strategia, avviata dal precedente governo di centrosinistra, quella di non formare pi docenti di quelli che presumibilmente potr assorbire il sistema, per un po di anni bisogner inevitabilmente mettere il lucchetto ad alcune classi di concorso. Ed evitare che, come invece avvenuto per le Siss, le maglie per laccesso vengano via via allargate.

Visioni dopo la crisi dell'homo oeconomicus


di Paolo Bartolini Megachip. Frequente il tentativo, negli ambienti scientifici, di approdare ad una Teoria del Tutto che riesca a spiegare la molteplicit dei fenomeni naturali inserendoli in una quadro esplicativo unico. Non sappiamo se ci potr mai accadere, ma quel che certo - limitandoci alla storia recente del nostro pianeta - che unideologia totalizzante ha gi vinto la sua battaglia, e qui parliamo delleconomia liberista mainstream, che stata capace di conquistare limmaginario di buona parte del mondo, creando letteralmente una nuova visione della realt. Tale visione ha la sua premessa antropologica, com noto, nel cosiddetto homo oeconomicus, ovvero lindividuo

egoistico che si relaziona con il prossimo (e qui uso non a caso un termine religioso) solo al fine di massimizzare il proprio utile personale. A questo individuo si rivolge il suadente richiamo del mercato autoregolantesi, della libert di consumo, della riduzione ai minimi termini dei vincoli legati alla socialit primaria. Questa, in sintesi, lideologia totalizzante della civilt del denaro, nella quale il principio economico dellaccumulazione quantitativa diviene il motore centrale che condiziona ogni forma di riproduzione sociale e culturale. Ebbene, con la Grande Crisi iniziata nel 2007 stato chiaro a tutti che questo tentativo di manipolazione universale delle coscienze stava naufragando e che la faccia cruda dei rapporti di forza sarebbe balzata allo sguardo senza il belletto dellipocrisia. Tuttavia basta guardare oggi alla tragedia che si sta consumando in Grecia, per rilevare con sgomento lassoluta mancanza di solidariet da parte delle altre popolazioni europee. Ognuno resta chiuso nel suo spazio privato e non riesce a vedere oltre il proprio naso. Cos, che una nazione sia costretta a privatizzare tutti i suoi beni strategici e che la vita di milioni di persone valga meno del debito contratto con un sistema finanziario antidemocratico e criminale, non sembra mobilitare reazioni di alcun genere negli paesi evoluti dellUnione Europea. Questo silenzio mette bene in luce lassenza di unalternativa politica e simbolica al Sistema. Parlare di simboli non deve qui stupire, perch oggi sappiamo che una trasformazione politica autentica non potr realizzarsi senza unaltrettanto profonda rivoluzione culturale. Abbiamo bisogno, quindi, di programmi e di parole dordine mobilitanti, che possano raccogliere attorno ad un centro di forza ideale la resistenza al capitalismo assoluto e alla sua teoria del tutto. Parole come Acqua, Territorio, Ridistribuzione e Partecipazione sono solo alcuni dei concetti guida che ci serviranno per traghettare la societ atomizzata di mercato verso una comunit ancora impensata di liberi individui solidali.

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