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conservava il possesso dell’intera Slesia.

Maria Teresa si assicurò inoltre l’alleanza d’Elisabetta


Petrovna zarina russa e, non da ultimo, trovò appoggio nella buona sorte. L’Inghilterra, che aveva
dovuto disimpegnarsi dal conflitto al fine di sedare le tensioni interne scaturite dal ritorno in patria –
fortemente favorito, se non tramato, da Luigi XV – di Carlo Edoardo Stuart, poté, nel 1746,
riprendere il ruolo d’alleato e finanziatore; per di più nello stesso 1746 morì Filippo V di Spagna, al
quale successe il figlio di prime nozze Ferdinando IV che in breve tempo fece allontanare dalla
corte la matrigna Elisabetta Farnese ed iniziò un progressivo abbandono del conflitto. L’esercito
francese fu presto scacciato dal nord Italia, tuttavia riportò a Lawfeldt un grande successo sugli
inglesi. Questo episodio, anziché dar nuova linfa alle truppe di Luigi XV, spinse la diplomazia
britannica a trovare un’alleanza con la zarina allo scopo di ottenere il coinvolgimento bellico della
Russia. Questo fu ratificato con la Convenzione di San Pietroburgo che in più autorizzava le truppe
zariste ad attraversare il territorio tedesco per unirsi agli alleati sul fronte francese.
Praticamente abbandonato dallo storico alleato e di nanzi al reale pericolo di dover fronteggiare
anche il numeroso esercito russo, Luigi XV si risolse alla pace.
Si giunse così il 18 ottobre del 1748 alla pace di Aquisgrana la quale ampliava in concreto i
possedimenti solamente di Prussia e regno Sardo ed in sostanza riportava la situazione allo status
quo ante del 1740.
La Francia, prima antagonista dell’Austria, registrava la restituzione da parte dell’Inghilterra
dell’isola di Cap Breton in America al prezzo della cessione alla stessa della città di Madras in
India; all’Austria rendeva i Paesi Bassi ed al re di Sardegna la Savoia e Nizza.
L’Inghilterra, maggior alleato asburgico sul piano diplomatico e finanziario oltre che militare,
ottenne esclusivamente la conferma di quanto già possedeva e la rinuncia da parte spagnola alla
rivendicazione della base di Gibilterra.
Negli anni immediatamente successivi gli equilibri fra le potenze continentali subirono quello
che la storiografia ribattezzò come il «rovesciamento delle alleanze»: dopo mezzo secolo di guerra a
brevissima intermittenza, Asburgo e Borboni si unirono in un’intesa il 1° maggio 1756 col trattato
di Versailles, il quale più che coronamento della pluriennale opera di seduzione su Luigi XV del
cancelliere austriaco, conte Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg, era il prodotto della diffidenza
francese nei confronti dell’alleato prussiano. Difatti questi, cinque mesi prima, aveva sottoscritto
con l’Inghilterra la convenzione di Westminster che impegnava i due regni a vietare il passaggio di
qualunque esercito straniero su territorio tedesco. Così Federico II si garantiva un alleato contro le
ambizioni di smembramento e spartizione del suo giovanissimo regno da parte austriaca e russa, lo
stesso faceva Giorgio II contro un eventuale attacco francese nell’Hannover, sua terra d’origine.
Proprio quest’ultimo dato fu la carta vincente del conte von Kaunitz che portò alla stipulazione del
trattato di Versailles, ma, allo stesso tempo fu la causa scatenante del conflitto noto come Guerra
dei sette anni.
Per parte sua la Russia accolse malamente la notizia dell’accordo anglo-prussiano in quanto vi
leggeva il chiaro svuotamento di significato della seconda Convenzione di Pietroburgo (1755),
stretta appunto con l’Inghilterra, con un senso velatamente antiprussiano. La zarina Elisabetta si
vide allora costretta ad avvicinarsi alle posizioni di Francia ed Austria quale unico supporto
rimastole per dissuadere Federico II dallo sfogare la propria intraprendenza espansionistica verso
oriente, verso la Polonia, preda appetita dalla stessa figlia di Pietro il grande come dalla corona
asburgica.
Il «rovesciamento delle alleanze» non fu dunque altro che un lungo domino di accordi e trattati
scaturiti da ragioni ed esigenze di stato inglesi ed austriache, precisamente dalla necessità britannica
di tutelare, mediante la propria macchina diplomatica, i territori dell’Hannover in modo da poter
concentrare maggiori forze e risorse nell’opera di espansione colonialistica e di controllo sui traffici
marittimi, che proprio allora prendevano quasi a coincidere (in seguito se ne daranno le ragioni) con
il dominio economico-commerciale; dalla volontà dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria di
riprendersi la Slesia dalle mani del brigante di Potsdam.

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