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collocava in seconda fila, e spesso in posizione di autentica dipendenza, tutte

le altre potenze coloniali.1

Tutti i conflitti che precedono la guerra d’Indipendenza americana sono un chiaro indice del
progressivo dilatarsi dell’abisso che separa i governanti dai governati che da alcune parti si appressa
all’incolmabile. Il rimedio del ritorno allo status quo ante, col quale si era passata la spugna sui
quindici anni di guerra, dalla questione della successione austriaca alla guerra dei sette anni,
appariva agli occhi di una sempre più nutrita e matura opinione pubblica – che, come si è in parte
visto ed in parte si dirà, nasce e si afferma proprio in questo secolo – come una spugna incapace
d’assorbire tutto il sangue e il veleno versato. Scrive Alberto Caracciolo a proposito dell’assetto
europeo disegnato dalle clausole del trattato di pace di Aquisgrana:

questo immobilismo, al termine di un lungo conflitto che aveva investito dai


Paesi Bassi all’Italia, dalla Germania agli Oceani, con ulteriore perdita di
uomini e di ricchezze, era davvero emblematico: sottolineava l’inutilità di
scontri nati da calcoli di semplice «ragione di Stato», giustificava
l’insofferenza dei sudditi e il travaglio dei pensatori e dei politici per trovare
nuovi assetti per la convivenza fra i popoli.2

Tirando le somme del paragrafo, quel che apprendiamo dalla serie di lotte è: che lo ius divinum,
generalmente riconosciuto e/o semplicemente accampato dai prìncipi europei, è ancora, insieme alla
pura ragione e calcolo di Stato, un portentoso motore di morte; che il peso politico e marittimo delle
antiche potenze iberiche accelera il cammino sulla via d’un tramonto irreversibile ed è ereditato a
piene mani dalle Province Unite, dalla Francia e soprattutto dall’Inghilterra la quale, proprio nel
corso di questo secolo, assume il ruolo di «carrettiere dei mari»; che le Province Unite, patria già
dal secolo precedente d’una civiltà borghese, pur mantenendo il prestigio commerciale, uscivano
dal novero delle Grandi Potenze; il grave travaglio pagato da alcune Grandi,dalla Spagna,
dall’Austria ed indirettamente dalla Francia, per il mantenimento della corona entro i canali del
diritto divino, e il tragico epilogo del regno polacco, nato da questioni – soltanto simili – di
successione; l’agitazione per il clima politico-internazionale e per le peculiari posizioni geopolitiche
di Austria e Prussia che nell’arco di poco più di mezzo secolo fa vestire ad entrambe, senza
soluzioni di continuità, i panni degli amici, del lupo e dell’agnello; l’inutilità delle ambizioni
egemoniche sul continente europeo che non mancherà di presentare il conto a quanti le inseguirono,
l’ascesa e la prosperità crescente dell’Inghilterra che invece cercò fortuna imperiale oltre oceano;
l’affacciarsi sulla platea delle grandi d’Europa della Russia; il sorgere dello stesso miracolo
prussiano fatto di spregiudicatezza, azzardi, febbre espansionistica e fondato su di un esercito
nient’affatto numeroso ma moderno e soprattutto rapidissimo negli spostamenti il che, da un lato,
gli permise di anticipare in più occasioni le mobilitazioni ed i congiungimenti delle truppe nemiche,
dall’altro però lo costrinse sempre ad una guerra di aggressione.
L’espansionismo colonialistico, l’affermarsi d’una consistente opinione pubblica, la rapidità del
progresso e, se mi è consentito, specialmente il progresso della rapidità di spostamenti, produzioni,
cambi e scambi sono fra i tratti salienti delle società emancipate o che si avvicinano al momento
dell’emancipazione da strutture civili avvertite come soffocanti, arretrate, ormai inadeguate, più che
ai tempi, ai nuovi uomini. La borghesia, in Inghilterra e Francia – dopo che in Olanda e più che
altrove- nel corso del XVIII secolo diventa cosciente della propria maturità, si appropria de-, o
rivendica, i propri diritti e le proprie poltrone al sole, se non già al potere, viene al centro di una
società profondamente rinnovata, non priva delle sue contraddizioni, col beneplacito oppure col
sangue della corona e delle altre classi sociali.

1
A. Caracciolo, L’età della borghesia e delle rivoluzioni XVII-XIX secolo, il Mulino, Bologna 1979, p. 85.
2
Ibid., p.38.

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