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§ 1.

Situazione e politica internazionale nell’Europa del XVIII secolo


Il 1° novembre del 1700 muore Carlo II d’Asburgo sovrano spagnolo. La successione al suo
trono – rivendicata, da un lato da Filippo di Borbone, nipote per parte di sorella di Luigi XIV re di
Francia, dall’altro da Carlo VI, figlio di un’altra sorella di Carlo II, terza moglie dell’imperatore
Leopoldo I d’Asburgo – apre ad un quindicennio di guerre fra le maggiori potenze europee.
In ossequio alla volontà testamentaria del sovrano defunto, il Borbone fu proclamato sul trono di
Madrid col titolo di Filippo V. Il risentimento asburgico ed ancor più il timore di un’egemonia
borbonica sul Continente portarono alla «Grande alleanza» dell’Aja (7 settembre 1701) con la quale
Inghilterra, Paesi Bassi ed Austria s’impegnavano alle armi contro il Borbone. Ad esse si unì il
neonato regno di Prussia di Federico I e, dal 1703 il ducato di Savoia di Vittorio Amedeo II e del
Portogallo che dapprincipio avevano sposato la causa francese (cui rimaneva l’appoggio degli
elettori di Colonia e della Baviera).
Il XVIII secolo si inaugura dunque con un periodo di guerre che coinvolge tante potenze quante mai
sin allora la storia aveva visto in campo. Inizialmente le sorti del conflitto parvero sorridere a Luigi
XIV il cui esercito puntava vittoriosamente verso Vienna. Dopo pochi anni però la situazione fu
ribaltata. Nel 1706 caddero nelle mani dell’Alleanza Madrid e gran parte della Spagna. La sconfitta
di Torino (7 settembre 1706) e, su suolo francese, la carestia dilagante ed un pullulare di rivolte di
stampo ugonotto fecero traballare il trono del roy soleil. Fu allora che egli spinse per intavolare
trattative di pace. Tuttavia le durissime pretese avanzate dall’Alleanza suonarono come un’onta alle
regali orecchia borboniche. Inutile aggiungere che furono rigettate. Luigi XIV accettava di
sopportare una situazione che si approssimava all’intollerabile per il ventre della nazione. Soltanto
qualche successo sul fronte orientale col generale Villars e su quello spagnolo col generale
Vendôme nonché l’estremo appello ai sudditi per la salvezza della nazione, ridiedero respiro al re di
Francia, quanto bastò perché la fortuna, ormai irreperibile per terra e per mari, cadesse dal cielo fra
le braccia del Pirro borbonico. Nel 1711, infatti, tutte le carte del gioco cambiarono repentinamente.
L’improvvisa morte dell’imperatore Giuseppe I d’Austria, aprì all’avvento al suo posto di quello
stesso arciduca Carlo che aveva aspirato al trono spagnolo. Di conseguenza la Grande alleanza si
spaccò davanti al pericolo che la nascita di un’unica superpotenza, di una longa manus sull’Europa
– spettro per cui si era levata in armi contro l’ambizione borbonica – fosse covata nel proprio seno.
Inghilterra, Prussia e Olanda dovettero preoccuparsi per un verso di impedire che si creasse questo
nuovo gigante dai possedimenti di Spagna e dell’Impero, per l’altro di porre un freno e dei limiti
all’affermazione del gigante borbonico. Così promisero a Filippo V di riconoscerlo re di Spagna,
purché proclamasse l’assoluta rinunzia ad eventuali rivendicazioni dei suoi parenti francesi sul
trono.
In compenso Filippo V concesse le piazze marittime di Gibilterra e Minorca all’Inghilterra; Napoli,
Milano ed una fascia di frontiera nei Paesi Bassi all’Austria. Altre clausole furono sancite, nei
trattati di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714), a favore della Prussia (annessione della Gheldria ex
spagnola), della Savoia (annessione del Monferrato e creazione del regno di Sicilia) e specialmente
dell’Inghilterra, la quale ottenne: dalla Francia Terranova ed altre basi in America settentrionale;
dalla Spagna il diritto all’asiento (esclusiva per la tratta di schiavi negri dall’Africa in America su
proprie navi) ed all’esportazione di merci inglesi in America Latina. Questa pace fu dunque gettata
sul tavolo onde evitare di far di Carlo IV o della dinastia borbone il padrone dell’arena europea; fu,
in altre parole, dettata dal timore dei più, dalle ferite interne di alcuni e soprattutto nell’interesse di
poche. Aveva in sé i semi della propria dissoluzione.
Di fatti, se della pace profittava la Francia per riassettare le proprie casse dissanguate e per
placare le tensioni intestine, conseguenze di un lungo conflitto il cui unico scopo fu quello di porre
un nipote del re sul trono spagnolo, Inghilterra ed Olanda (ed in piccola parte il neonato regno
prussiano) uscivano dai trattati di Utrecht e Rastad come le reali vincitrici, entrambe consolidavano
infatti la supremazia in ambito marittimo-coloniale-commerciale, il loro potere economico e, di
riflesso, militare. Per converso, Spagna ed Austria, spinte da ragioni parallele, premevano per una

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ridiscussione degli accordi sottoscritti. Così, a poco meno di quattro anni di distanza dal trattato di
Rastadt, scoppiò il caso del cardinale Alberoni.
Al fondo della vicenda stavano essenzialmente due ragioni: la consapevolezza di Filippo V d’aver
sacrificato un prezzo troppo alto sui vassoi della bilancia internazionale per il riconoscimento della
propria sovranità e l’aspirazione della regina Elisabetta Farnese di assicurare dei feudi ai suoi due
figli, Carlo e Filippo. Questi ultimi erano, come su scritto, tagliati fuori da ogni possibilità di
successione sul trono spagnolo, possibilità aperta esclusivamente ai figli che il sovrano aveva avuto
in prime nozze con Maria Luisa Gabriella di Savoia, terzogenita di Vittorio Amedeo II.
Ancora una questione di successione stava alla base del malcontento asburgico. Con la
promulgazione, nel 1713, della prammatica sanzione, Carlo VI intendeva garantire il diritto di
successione alla propria discendenza diretta anche – e questo è l’aspetto che allora parve
sconvolgente – secondo linea femminile. Il necessario riconoscimento interno ed internazionale di
tale decreto costò all’imperatore (il cui unico figlio maschio, Leopoldo, nato solo nel 1716, morì
dopo appena sette mesi) sostanziali concessioni che, unitamente all’instabilità politica, ne
caratterizzarono il regno.
Questo era il quadro entro cui, nel 1717, il cardinale Alberoni, ministro di Filippo V, con
l’appoggio degli ultimi Farnese di Parma e gli ultimi Medici toscani, dietro un banale pretesto,
attaccò ed occupò la Sardegna degli Asburgo ed in seguito la Sicilia. dei Savoia. Talché troppi
erano gli interessi lesi e minacciati nel Mediterraneo. Austria, Savoia, Francia, Inghilterra si
legarono contro l’Alberoni in una Quadruplice alleanza che in breve tempo costrinse gli spagnoli
alla pace dell’Aja (1720). La corona iberica subì un sensibile ridimensionamento del proprio peso
internazionale mentre Asburgo e Savoia scambiarono i rispettivi possedimenti di Sardegna e Sicilia.
La nuova situazione spinse Filippo V a riavvicinarsi ancora una volta alla parente Francia. Il fine
era di ottenerne l’appoggio per l’incameramento del Ducato di Parma e Piacenza e del Gran ducato
di Toscana. L’accordo, secondo le trame spagnole, doveva essere sancito dalle nozze fra Luigi XV
ed una delle figlie di Filippo V. Ma il piano saltò: l’undicenne Luigi XV rifiutò il fidanzamento con
una bimba di tre anni. Tuttavia nel 1729 la Spagna era comunque riuscita a strappare a Francia ed
Inghilterra, con il trattato di Siviglia, il riconoscimento delle proprie aspirazioni sul Ducato di
Parma e Piacenza che solo due anni dopo (quando Antonio Farnese morì senza lasciar eredi) passò
ufficialmente in mani spagnole. Solo ufficialmente però. Nei fatti Parma e Piacenza subirono
l’occupazione asburgica la quale smobilitò soltanto quando Filippo V si impegnò, in maniera
informale, al riconoscimento della prammatica sanzione.
Del 1733 è la «guerra di successione polacca» nella quale le tensioni irrisolte fra potenze
europee deflagrarono in un nuovo conflitto che ebbe nell’Inghilterra l’unica grande spettatrice. Con
la morte di Sigismondo II Augusto di Polonia si estinse, nel 1572, la dinastia Jagelloni che regnava
sul trono polacco da circa due secoli: al principio dell’ereditarietà dinastica del potere supremo fu
allora sostituito il principio dell’elettività che resse sino al tempo della rivoluzione francese.
Pertanto la distinzione della guerra di successione polacca da quella della successione a Carlo II di
Spagna è evidente. In quest’ultimo caso le potenze continentali erano scese in campo dietro meri,
ma in qualche misura legittimi, interessi dinastici; nel caso polacco il labile velo di legittimità
invece non è mai esistito. Le due fazioni in armi erano esclusivamente determinate a calamitare
ciascuna nella propria orbita di interesse il trono polacco, a porre cioè su di questo un uomo
immagine non di libera sovranità, ma, all’occorrenza, di fedele asservimento.
Il 1° febbraio morì dunque a Varsavia il re Federico Augusto II, suo successore fu eletto Stanislao
Leczinski, candidato proposto da Filippo V di Spagna e soprattutto da Luigi XV il quale ne aveva
sposato la figlia. La nomina fu però contestata dal candidato della Russia, dell’Austria e della
Prussia – le quali l’anno precedente si erano unite nel trattato delle tre aquile nere – Federico
Augusto III. L’intervento russo costrinse il Leczinski alla fuga e favorì l’insediamento sul trono di
Augusto III. I borboni replicarono con l’offensiva bellica contro l’Austria. Un anno appena e, con la
battaglia di Bitonto, l’esercito franco-spagnolo conquistò le Due Sicilie: i regni di Napoli e Sicilia
tornarono indipendenti dopo oltre due secoli di dominazione prima spagnola, poi austriaca.

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