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Le lezioni dei cattivi maestri (1)

Benedetto Vertecchi

Non è stata ancora del tutto superata l’emergenza sanitaria determinata dalla pandemia
che una nuova, terribile crisi sta squassando le condizioni della nostra vita quotidiana:
mai, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, lo spettro di una nuova, indicibile
tragedia è apparso in tutta la sua angosciosa evidenza. Non è questa la sede per entrare
nel merito di eventi così diversi, ed anzi la leggerezza con la quale certi temi sono stati
trattati è uno degli aspetti sui quali vorremmo soffermarci per le conseguenze che ne
derivano da un punto di vista educativo. Tuttavia, non ha senso, post factum, dare sfogo,
come sta avvenendo, a lamenti sui livelli dell’educazione formale (ignorando, per di
più, quanto tali livelli procedano di pari passo con le esperienze di educazione
informale) al cui confronto quelli di Geremia potrebbero essere scambiati per battute fra
adolescenti.
Molto si dovrebbe riflettere sull’incapacità del sistema educativo di contrastare la
devastazione causata dalla pandemia. E speriamo di non doverci cimentare in
ragionamenti non troppo diversi in un futuro non lontano. Sarebbe necessaria una
ricognizione critica alla quale recassero il loro apporto i genitori, le scuole e quanti altri
soggetti siano interessati, a carattere individuale o collettivo, allo sviluppo
dell’educazione. Per quel che mi riguarda, non posso che prospettare l’opportunità che
tale ricognizione sia effettuata, e che rappresenti il punto di avvio per l’elaborazione e la
revisione di modelli e procedure per l’educazione rivolta non solo all’infanzia e
all’adolescenza, ma anche alle successive età della vita.
Intanto, però, conviene notare che proprio la crisi intervenuta al seguito della pandemia
ha posto in evidenza la necessità di considerare l’educazione come un fattore costitutivo
della vita sociale, che non può prescindere dal suo modificarsi, così come la vita sociale
viene a sua volta modificata dalle interpretazioni e dalle pratiche educative. Al primo
manifestarsi della pandemia hanno corrisposto nel volgere di poche settimane
adattamenti obbligati nei comportamenti collettivi che hanno interessato l’intera
popolazione, fin dall’infanzia. È fin troppo banale osservare che i diversi strati della
popolazione non vivono esistenze separate, ma ciascuno regola la propria condotta in
relazione a ciò che sta avvenendo ad altri livelli di età. Così, per esempio, se i bambini
sono a scuola, i genitori possono impegnare il loro tempo senza doversene preoccupare,
ma non possono non preoccuparsene se quel tassello determinante dell’organizzazione
sociale viene rimosso. Se le scuole, per contenere il contagio, cessano il normale ritmo
delle attività, e sostituiscono l’insegnamento a interazione diretta con pratiche a
interazione mediata, occorre rivedere in conformità con le nuove esigenze l’impegno
degli insegnanti, l’uso delle risorse tecniche, rendere tali risorse compatibili con quelle
di cui dispongono gli allievi nell’ambiente abituale di vita, stabilire quanto si possa fare
affidamento su servizi pubblici a loro volta riorganizzati in funzione dei fruitori effettivi
e via elencando: molti dei cambiamenti menzionati hanno fatto parte per periodi più o
meno lunghi dell’esperienza quotidiana di chi legge. Ma non basta: se la nostra
attenzione si limita agli aspetti più evidenti dell’educazione, si perdono di vista tutte
quelle attività che sono svolte da personale impegnato in servizi, da quelli di pulizia a

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quelli di refezione, dal funzionamento degli impianti di riscaldamento ai collegamenti
telematici. Non si possono neanche ignorare le attività produttive direttamente o
indirettamente collegate al funzionamento del sistema educativo, dall’editoria alla
varietà dei materiali didattici.
A questo punto non si può non rilevare che il chiacchiericcio immediatamente seguito ai
primi provvedimenti per contenere il contagio si è mostrato sostanzialmente insensibile
ai tanti aspetti dell’organizzazione educativa. I grilli parlanti che hanno da subito invaso
i mezzi di comunicazione per riversare la loro sapienza su un pubblico in difficoltà si
sono fatti al più zelatori di un senso comune estenuato, sul quale hanno espresso giudizi
rapidamente cangianti. Nessuna esperienza, nessun dato, nessuna revisione critica
sottostava alle prese di posizione più abusate. Era sufficiente confrontare ciò che si
pubblicava nei giornali italiani con ciò che poteva leggersi su grandi testate
internazionali. Per esempio, quando in Italia si enfatizzavano le opportunità offerte
dall’istruzione a distanza, in Francia, dove si era alle prese con problemi non diversi dai
nostri, si potevano leggere attente riflessioni sull’effetto di dilatazione delle disparità
sociali che sarebbe derivato da pratiche non adeguatamente sostenute centrate sull’uso
di tecnologie digitali.
Ed è stato paradossale il rovesciamento delle opinioni, quando nel giro di qualche mese,
è diventato evidente che non basta avere a disposizione un canale per la comunicazione
per passare da una didattica a interazione diretta a una a interazione mediata.
Non sono in grado di comparare (sarebbe necessaria una base informativa che,
purtroppo, non è stata acquisita) i livelli di apprendimento che si conseguivano prima
della pandemia con quelli seguiti al mutare delle condizioni di intervento. Ritengo, in
ogni caso, che sia eccessiva l’attenzione posta sulla rilevazione di apprendimenti finali
senza tener conto del formarsi negli allievi di atteggiamenti che riguardano le
caratteristiche della conoscenza scolastica. La prima lezione dei cattivi maestri (che non
sono stati gli insegnanti alle prese con prescrizioni sulle condizioni del servizio che per
la gran parte di loro erano del tutto estranee) è consistita in primo luogo nello screditare
una cultura educativa che aveva avuto, se non altro, il merito di consentire, in
condizioni di estremo sfavore, l’alfabetizzazione del paese. Non solo: gli allievi non
hanno potuto non interiorizzare concezioni transeunti della cultura che ad essi si
proponeva di apprendere, pronti come erano, i soliti esperti de omni et de nullo, a
esibire un nuovismo che spesso non resisteva fino alla stagione successiva.
A questa prima lezione ne sono seguite altre, sulle quali ci proponiamo di soffermarci
nei prossimi interventi. Sono lezioni che hanno avuto effetti sul rapporto che si instaura
fra gli allievi e la scuola, e mediatamente fra gli insegnanti e la scuola, perché è
cambiata l’interpretazione del ruolo che essi svolgono nel processo di sviluppo di
bambini e ragazzi. Fra le tante ragioni che insteriliscono il confronto sulla valutazione
c’è da un lato l’ossessività dei controlli sugli apprendimenti finali degli allievi, dall’altro
l’ignavia che circonda l’affermarsi di questo o quell’atteggiamento attorno
all’educazione. Sono convinto che sia questo il terreno sul quale occorre impegnarsi.

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