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di Lucia Landi
Scritto più di 2000 anni fa, L’arte della guerra è un manuale per il generale che aspira all’eccellenza, ma è anche un testo
fondamentale per ogni uomo che aspiri a fare il salto di qualità nelle proprie relazioni, lavorative o personali. Da alcuni anni
tali insegnamenti sono stati studiati e interpretati a servizio dei manager e di coloro che sono chiamati a decidere la sorte
delle imprese e delle risorse aziendali, che vogliono vincere ed essere consapevoli delle proprie armi e potenzialità. Alcuni
insegnamenti fondamentali di quest’opera ne fanno una pietra miliare, guida assolutamente moderna: la razionalità lucida
con cui esaminare i mezzi e i fini della strategia; la lungimiranza con cui valutare e adottare le decisioni, l’adattabilità alle
mutevoli condizioni dell’ambiente esterno. L’insegnamento che colpisce è: la vittoria non è una vittoria a tutti i costi. È
necessario bilanciare esigenze, valutare e mediare. Siamo nell’epoca della ‘win win solution’: può capitare che per vincere
entrambi tutti rinuncino a qualcosa, per ottenere −apparentemente− meno di quanto prefissato. Un’azienda sarà vincente se
tutte le abilità, competenze, conoscenze saranno messe a fattor comune e a beneficio di molti, perché le battaglie non si
combattono e, soprattutto, non si vincono da soli.
quello che può essere un gusto del tutto personale, ho trovato il film interessante dal punto di vista
dell’approccio comunicativo utilizzato, ma soprattutto mi ha colpita l’attenzione al valore della
trasmissione delle competenze. Mi sono infatti interrogata su cosa avesse determinato una visibile
trasformazione nel personaggio del film; incontriamo all’inizio un giovane schiavo nero, incatenato,
spaventato (pur senza paura) e con gli occhi curiosi sul mondo e su ciò che gli sta succedendo ma
totalmente privo di strumenti che gli permettessero di capire e affrontare le situazioni. In una delle
prime scene del film appare una fila di schiavi che nella notte e in catene percorre un sentiero a piccoli passi e a testa
bassa…alla mia mente è apparso chiaro il ‘mito della caverna’ di Platone, contenuto nel settimo libro della Repubblica. Il
filosofo ateniese afferma il primato della conoscenza e la vittoria della luce sulle ombre, Tarantino fa lo stesso attraverso un
personaggio che nel dialogo filosofico solo immaginiamo: il Socrate di turno, il dottor King Schultz, che insegna senza
insegnare in maniera scolastica. Schulz, che diventerà il mentore di Django, attraverso l’esempio, il ragionamento, la
costruzione di uno schema permette al giovane schiavo di riacquistare la libertà non solo fisica ma anche intellettuale e
cognitiva. Al di là della delicatezza del film e della grandiosa capacità del regista del Tenesse di parlare da una parte della
superiorità comunque dell’uomo e di fondamentali valori e dall’altra di ridicolizzare invece l’atteggiamento di chiusura verso
ciò che non conosciamo o ciò a cui non siamo abituati, mi ha colpito molto il livello di cambiamento espresso tanto che sono
uscita dal cinema con una serie di riflessioni.
processo venga non solo illustrato ma condiviso ‘bottom up’ e per fare questo, paradossalmente ci vuole un forte ‘top down’.
Bisogna essere credibili nei fatti perché con le parole e dalle parole alcuni −molti− sono stati ingannati. La capacità di
prendere decisioni, anche difficili, di scegliere, di chiedere dei sacrifici è una caratteristica da sempre presente nei profili Hr
ma mai come oggi oggetto di rivisitazione. Empatia, intelligenza emotiva, approccio olistico, sono queste le nuove
competenze che deve avere un manager o comunque chi vuole ‘fare bene il proprio lavoro’. Sapere, saper fare sono
attitudini importanti ma non bastano più. Bisogna essere capaci di vedere oltre, di rischiare, di fare anche quello che
sappiamo fare meno o meno bene. La mia personale esperienza mi ha portato a convincermi di una cosa: ogni decisione
che prendi, ogni singola decisione, non è una decisione su cosa fare, è una decisione su chi sei. Se vedi questo, se capisci
questo, tutto cambia. Cominci a vedere la vita in una nuova maniera, ogni evento, sfida, difficoltà diventa opportunità per
fare in modo di affermare veramente chi sei. Solo così è possibile ottenere non solo risultati ma cambi di rotta; nei colloqui
che quotidianamente svolgo parlo sempre più spesso dell’Arte della guerra che dei numeri, ma alla fine quello che ottengo è
misurabile. Di recente parlavo con un collega, titolare di filiale, in difficoltà nella gestione del rapporto con e tra i
collaboratori; ho notato subito che da come mi stava illustrando la situazione avrebbe potuto chiedermi “mi aiuti?”. Che
esplicitato in una richiesta Hr significa: “Puoi trasferire uno dei due visto che non vanno d’accordo?”. In quel momento ho
preso una decisione, ho preso il libro l’Arte della guerra e ho iniziato a leggere. Ho fatto come il dottor King Schultz con
Django, perché qualcuno che vuole fare qualcosa troverà la strada, chi non vuole troverà una scusa o una giustificazione. Noi
abbiamo il dovere di indicare, o almeno di provare a indicare la strada. “Non contrastare il nemico che si ritira verso casa.
Lascia una via d’uscita a un esercito accerchiato. Non incalzare un nemico disperato. Poiché la disperazione può produrre
una forza inaspettata”. “Non contare sul mancato arrivo del nemico, ma fai affidamento sulla capacità di affrontarlo; non
contare sul mancato attacco del nemico, ma procurati di essere inattaccabile”. Finito di leggere queste due parti ho detto “Ti
consiglio di leggerlo e quando avrai finito ci rivediamo”.
il funzionamento dell’esercito/ impresa gioca un ruolo fondamentale. Sun Tzu non descrive soltanto
quello che riteneva il modo più efficace di gestire le operazioni militari, ma esplora l’influenza della
natura umana nel modo di condurre e organizzare le attività, così come il valore della conoscenza di
se stessi e del rivale. Non si può prescindere dalla conoscenza di sé per conoscere, motivare e guidare
gli altri. È interessante riportare alcune parti del testo, che lasciano capire quanto sia attuale e saggio
lo studio dell’autore, ad esempio: “Quando si è in grado di attaccare, dobbiamo sembrare incapaci di farlo; quando
muoviamo le nostre forze, dobbiamo sembrare inattivi; quando siamo vicini, dobbiamo sembrare lontani e quando lontani,
dobbiamo far credere di essere a un passo… Se l’avversario è superiore di numero, evita lo scontro diretto; se è irritabile,
fallo innervosire. Fai finta di essere debole per renderlo arrogante”. Tornando alle analogie tra l’arte della guerra e il
management, si può fare riferimento al capitolo sui preparativi per la guerra, dove Sun Tzu afferma come sia non solo inutile,
ma assolutamente controproducente, iniziare un conflitto solo nel momento in cui tutti i dettagli siano pronti e questo è
evidente anche nell’attività lavorativa, che necessita costantemente di sperimentazione, per appurare quali sono le possibilità
che offre il mercato e per individuare ad esempio strumenti di comunicazione innovativi. Il momento giusto non esiste,
dobbiamo rinunciare all’idea della perfezione per provare a essere migliori con quello che abbiamo a disposizione. Questo
vuol dire tendere alla perfezione. Attenersi a una programmazione a lungo termine, senza riflettere sui nuovi elementi che si
manifestano durante l’attività, conduce a un’inconsapevolezza assolutamente pericolosa e molte aziende lo hanno appreso a
proprie spese. Un altro elemento strategico piuttosto interessante riguarda il modo in cui si può raggiungere il successo,
tanto per un generale che conquista un territorio, quanto parafrasando per le aziende a livello di attrazione/mantenimento
dei talenti aziendali, alti profili ecc. “Nell’arte della guerra la cosa migliore tra tutte è prendere il territorio nemico intatto;
saccheggiare e distruggere non porta alcun profitto… In quanto combattere e conquistare in tutte le tue battaglie non
corrisponde alla suprema eccellenza; la suprema eccellenza consiste nell’infrangere la resistenza del nemico senza
combattere”. “Vincerà chi saprà quando combattere e quando evitarlo; chi saprà come gestire una forza sia superiore sia
inferiore al nemico; vincerà chi al suo interno sarà animato dallo stesso spirito a prescindere dal rango; chi si preparerà
adeguatamente e saprà cogliere l’avversario impreparato. Se conosci le tue capacità e quelle del nemico non dovrai temere
l’esito di cento battaglie; se conosci te stesso, ma non il tuo avversario, per ogni vittoria subirai una sconfitta, ma se non
conosci né la tua forza, né quella del rivale, perderai in ogni battaglia”. “Chi comprende i vantaggi legati alle variazioni nella
tattica, sa come gestire la propria organizzazione, ma chi non lo capisce appieno, pur possedendo un’ottima conoscenza
dell’ambiente in cui agisce, non sarà in grado di trasformare la conoscenza in un’azione vantaggiosa”.
comodini di tutti noi. Già. Oltre a usarlo nella strategia quotidiana di vita sociale, andrebbe consultato anche per la vita
privata: “Conosci il nemico e te stesso, e potrai combattere cento battaglie senza timore di essere sconfitto…”. Un principio
che nel rapporto con gli altri è più che essenziale. Lo scopo di un combattimento non è quello di distruggere un nemico ma è
quello di ridurlo all’impotenza per conquistarlo intatto. Un nemico distrutto non è più niente, un nemico impotente è
costretto a eseguire gli ordini del vincitore. Attività di suprema importanza per vincere il conflitto: sconvolgere la strategia del
nemico, spezzare le alleanze, attaccare il suo esercito, non assediare le sue città fortificate. La presa di una città fortificata ha
un costo dispendioso in termini di tempo ed energie, per tanto, l’attacco a una fortezza è quasi sempre privo di grande
utilità. Il comandante abile è colui che assume come fine la vittoria suprema e non si discosta da tale direttiva, sicché la
massima abilità è nella conquista senza combattere. Conosci te stesso, e il nemico non potrà mai batterti: conosci te stesso e
il nemico, e sarai invincibile. Sun Tzu è un testo prezioso perché conduce e stimola la conoscenza di tre elementi centrali del
conflitto: se stessi, il nemico e la contingenza. L’arte della guerra mostra come esista una radice comune all’intera logica dello
scontro, in qualunque sua forma, come abbiamo più volte mostrato in queste pagine. Questa logica, tuttavia, non si presta a
una riduzione totale ma solo a una scomposizione per principi generali che devono trovare piena realizzazione solo
all’interno della dimensione contingente. L’elemento contingente è il contesto in cui si situa materialmente il conflitto ed è
solo in questa cornice materiale, che, come diceva Aristotele, non si lascia mai ricondurre ai soli principi della forma, che va
dominata attraverso la conoscenza dei singoli dettagli che la compongono. Innanzi tutto, lo scopo di ogni conflitto, se è
sensato, è quello di ottenere vantaggi. Una guerra, è un’attività che determina potenziali circoli viziosi estremamente
pericolosi e indesiderabili: vanno a perderci tutti. Così, un conflitto ha senso solo se è in grado di portare l’ago della bilancia
in modo che i vantaggi siano superiori ai vantaggi. Ma se conquistassimo il nemico dopo la sua totale distruzione, che
vantaggio ne avremmo tratto? La vittoria sul campo è pur sempre una battaglia difficile e dispendiosa e, già solo per questo,
va evitata, se possibile. Questo non significa che non bisogna combattere, semplicemente che esistono sistemi migliori per
vincere un conflitto. Inoltre, anche nel momento in cui bisogna scendere in campo, bisogna rispettare alcuni principi aurei:
non perdere mai la calma, calibrare la forza necessaria per vincere in base alle energie del nemico e colpire solo dove si può
ottenere il massimo vantaggio con il minimo del dispendio delle risorse. Il grande generale sa scegliere altre strade, che la
propria dissipazione di forze, anche se sono vie meno dirette e più tortuose, ma sono quelle che conseguono il massimo
vantaggio, e così un manager ‘visionario’ percorre strade inusuali, poco battute e che spesso lo espongono a dei rischi.
allora perché Sun Tzu indica come condizione necessaria alla vittoria quella di “essere
preparati ad ogni imprevisto”? La guerra è composta da noi e il nostro schieramento, dal
nemico e dal suo schieramento e dal resto della realtà che compone lo spazio e il tempo
della contesa. Conoscere noi stessi, il nemico e la realtà sono le condizioni grazie alle quali è possibile assicurarsi nei
confronti delle avversità. Così, Sun Tzu termina con queste immortali parole. E così, nelle operazioni militari: “Se conosci il
nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo, se non conosci il nemico ma conosci te stesso,
le tue possibilità di vittoria sono pari a quelle di sconfitta. Se non conosci né il nemico né te stesso, ogni battaglia significherà
per te la sconfitta”. Da un punto di vista individuale, posso provare a trarre alcune considerazioni. Per vincere bisogna
contare solo sulle proprie forze e sulla propria mente, per tanto, per prima cosa bisogna che la nostra razionalità sia assistita
da una volontà non vacillante, così che non ci siano intromissioni delle emozioni nella nostra attività, emozioni che
rischierebbero di lasciarci andare a considerazioni sentimentali che non massimizzano la nostra utilità. Una volta salda la
mente, unificato lo spirito, bisogna analizzare le condizioni alle quali noi possiamo muovere contro un avversario, in modo
economico, efficiente ed efficace. Ogni azione dissipa energia, ogni pensiero costa fatica, così che è necessario cercare
un’armonia tra lo sforzo e l’obbiettivo, in modo da ordinare i mezzi nel modo migliore. Per fare questo, occorre conoscere
bene se stessi e il nemico, perché solo a queste condizioni potremo operare nell’ottica di capitalizzare ogni nostro vantaggio.
Realismo costruttivo, questa è l’ottica, l’unica, verso la quale la nostra mente deve tendere per giungere al massimo
vantaggio, il solo scopo per cui valga la pena imbarcarsi in uno scontro, quale che sia. Ragionare in questi termini, cercando
di essere sempre pronti al confronto, spazzando via quelle piccole verità che ognuno di noi crede di avere in tasca, lo ritengo
un approccio non solo sensato ma decisamente vincente. Costa impegno, certo, e spesso le strade conosciute ci sembrano
apparentemente più funzionali e comode, ma come ci è capitato di sperimentare almeno a tutti una volta nella vita, il vero
miracolo accade fuori dalla zona di comfort. Un tale approccio, certe dinamiche, soprattutto in aziende, storicamente basate
sulle leggi dei numeri, sono scommesse, ma per esperienza personale io posso dire di averla vinta. Le persone sono più
attente, più sensibili. Si sentono più forti e allo stesso tempo più leggere. Ritengo infatti che bisogna essere leggeri per
portare dei pesi e bisogna prendersi alla leggera per portare a termine progetti importanti. Io ho capito questo e ho avuto
conferma quando il mio nuovo ‘artigiano della guerra’ mi ha detto che le cose stavano andando meglio e che non si sentiva
più schiacciato. Anche Django alla fine solleva la testa, anche lui alla fine è disinvolto, anche lui acquista sicurezza perché
qualcuno gli insegna il ‘come si fa’. Credo che in questo particolare periodo le parole, benché importanti, non abbiano la
forza di insegnare fino in fondo. Scriviamo molto, ma brevemente. Mandiamo messaggi, chat, postiamo video, frasi, ma
brevemente. Sono concetti, slogan, flash che accendono ma non insegnano; l’esempio è un altra cosa. Se pretendi devi dare,
se vuoi sincerità devi essere limpido, se vuoi impegno devi essere tenace, se vuoi essere ascoltato devi ascoltare. Nell’epoca
del dire paradossalmente è il fare che la ‘fa da padrone’. Essere concreti senza abbandonare il senso dell’effimero, essere
solidi e veritieri. Questo è il consiglio che mi sento di dare ogni giorno a me stessa ed è sicuramente quello che cerco di
trasmettere ogni giorni a colleghi e collaboratori.
1 I brani citati sono stati tradotti dall’edizione di The art of War pubblicata da Dover Publication, New York. Lasker E., La lotta, Scacchi e Scienza applicata, Venezia,
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