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Modeling e

positioning
per tutti
Una breve guida
per evitare errori ricorrenti
e comprendere alcuni
aspetti fondamentali della
pianificazione di un nuovo
business.
A cura di
Nicola Vernaglione

© 2022 CREAZIONEIMPRESA SRL – SB.


TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Indice
00
INTRODUZIONE
pag.3

01
CHI SIAMO E PERCHÈ ABBIAMO SCRITTO
QUESTA GUIDA
pag.7

Parte I: 5 principi basici


del modeling
01
02
PRINCIPIO 1: IL "MENO" È SEMPRE "PIÙ"
pag.11

03
PRINCIPIO 2: IL TEMPO È UNA RISORSA SCARSA
pag.16

04 PRINCIPIO 3: RICONOSCERE I CONCORRENTI


pag.22

05
PRINCIPIO 4: CONSIDERARE LE RISORSE
FUNZIONALI UN BUSINESS
pag.30

01
06
PRINCIPIO 5: CONOSCERE I CLIENTI
pag.38

Parte II: 5 consigli basici


di positioning
01
CONSIGLIO 1: PUNTARE AD ESSERE UNICI E
PRIMI IN QUALCOSA
pag.47

02
CONSIGLIO 2: PUNTARE AD ESSERE I PRIMI
DELLA CATEGORIA
pag.62

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03 CONSIGLIO 3: COSTRUIRE IL FOCUS
pag.77

04
CONSIGLIO 4: COSTRUIRE ASSOCIAZIONI UNICHE
pag.91

01
05 CONSIGLIO 5: LA RICERCA DEI FONDI
pag.106

Info
01 COME POSSO APPROFONDIRE
pag.116

02
L'AUTORE DI QUESTA GUIDA
pag.117

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
00 Introduzione
Nel corso degli ultimi anni mi sono trovato
innumerevoli volte di fronte alla fatidica domanda che
viene rivolta a chiunque si occupi di promuovere la
nascita di nuove imprese o meglio startup.

In numerosi incontri con neo o aspiranti imprenditori,


la richiesta, quasi dogmatica, è sempre la stessa:
"Cosa devo fare per avere successo con la mia
impresa e non fallire dopo qualche mese o
pochi anni?
Come posso ridurre al massimo i rischi di disperdere,
in un nulla, le mie limitate risorse ed illimitate
aspettative?”

Rispondere a quesiti di questo genere non è mai


semplice.
Per diversi ordini di motivi. Il primo è naturalmente
legato al senso etimologico della parola imprenditore,
colui che intraprende un'impresa.
In se il termine ha una carica di rischio associato che
nulla e nessuno potrà mai ridurre a zero.

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Certo, si può e deve lavorar per ridurre il rischio ad un
minimo accettabile, ma la possibilità di fallire nel
proprio intendimento imprenditoriale esiste e la
capacità di saper convivere con esso rappresenta
certamente una delle caratteristiche principali
dell'essere imprenditore.

Andando oltre, potremmo dire che anche accettare e


riconoscere le lezioni legate ai primi fallimenti sono
caratteristiche proprie degli imprenditori.

Del resto, le storie delle imprese di successo sono


piene di casi in cui i primi tentativi furono fallimentari.

Valutare una nuova impresa, soprattutto nella sua


fase iniziale, è particolarmente complesso anche
perché ognuna delle migliaia di imprese che nasce
ogni anno in Italia è una storia a se, ideata, promossa
e sviluppata da persone che hanno storie personali,
culture di appartenenza, competenze professionali,
sensibilità ancestrali, differenti.

Se fosse possibile dare un identico progetto


imprenditoriale a persone diverse, i risultati sarebbero
certamente differenti, probabilmente contrastanti.

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Sono le attitudini, le competenze, la passione dei
promotori che fanno la differenza, che riescono a
trasformare un progetto mediocre in uno vincente, che
sanno vedere ed anticipare i problemi più importanti,
che intervengono continuamente per correggere piani
che, sulla carta, sembravano perfetti.

Team, team, team, ecco quello che personalmente


rispondo quando mi chiedono cosa deve avere una
buona start up per avere maggiori possibilità di
successo.
Un gruppo di persone coeso, con competenze
diversificate, un commitment chiaro e determinato e la
voglia di vivere un’avventura imprenditoriale,
un’impresa appunto.

Ricordo spesso in pubblico, il “mantra dello


Startupper”:
un'ottima idea con un pessimo team sarà un sicuro
fallimento, un'idea buona con un buon team potrebbe
anche diventare un buon business, un idea mediocre
con un team eccellente, sarà sicuramente una buona
impresa, perché saranno in grado di migliorarla, di
anticipare gli errori e perfezionarla strada facendo.

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Per questo motivo ho deciso di mettere insieme questi
pensieri perché tentano (o almeno si spera) di
colmare un gap formativo che sistematicamente
ritroviamo anche negli aspiranti “startupper” più validi.

Il tasso di fallimento delle nuove imprese è ancora


troppo alto, tanto più se parliamo di startup in senso
stretto, alcune stime parlano addirittura del 80% nei
primi tre anni. Certamente questi numeri dipendono
da un sistema Paese che per troppi aspetti ancora
non favorisce sufficientemente la nascita di nuove
realtà innovative, ma è altrettanto vero che si può e
deve lavorare per dare maggiore consapevolezza di
cosa significhi gestire un’azienda nel concreto.

E’ fondamentale, accanto agli aspetti teorici,


insegnare a fare impresa, dotare le nuove generazioni
di imprenditori innovativi degli strumenti più
determinanti del “fare business”, come la definizione
di studi di fattibilità realistici, la corretta valutazione del
potenziale delle proprie idee, la valorizzazione del
tempo, l’analisi della concorrenza, la capacità di
accedere e gestire le risorse finanziarie. Per questo
crediamo o abbiamo la pretesa di affrontare temi
cruciali con un linguaggio accessibile e chiaro.
Buona lettura.

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Chi siamo e perchè
01 abbiamo scritto
questa guida
Se dopo aver letto questa guida hai la sensazione che
gli argomenti siano troppi e troppo tecnici, prenditi un
attimo di riflessione.

La definizione del giusto modello di business e la sua


applicazione pratica o declinazione in business plan,
lo sappiamo, anche noi, “non è una passeggiata” e il
rischio di confondersi è naturale.
È un processo e in quanto tale richiede tempo,
esercizio, e approccio, ovvero in una parola “mindset.

Noi siamo qui per aiutarti e oltre ai contenuti


informativi che pubblichiamo (proprio come questo),
abbiamo creato l’Academy dove troverai ben
quattro moduli estremamente pratici e concreti, che ti
aiuteranno a scoprire tutti gli aspetti di applicazione
con esempi pratici e immediatamente fruibili.
Visita la nostra Academy.

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A differenza dei nostri competitors, oltre a sviluppare
una strategia commerciale capillare sul territorio,
l’attività di Creazioneimpresa è caratterizzata da
un’ulteriore strategia rivolta agli aspetti sociali con lo
scopo di sensibilizzare le comunità locali ai temi
dell’educazione finanziaria e dell’innovazione,
condividendo i propri valori morali allo scopo di
rendere possibile un futuro più sostenibile, con
ricadute positive sull’intero Sistema Paese.

La nostra value proposition è primariamente rivolta è


rivolta in particolare alle startup innovative,
caratterizzate da un lato da un elevato tasso di
mortalità nei primi anni di attività e dall’altro da una
altrettanto elevata potenzialità di creazione. Essa si
basa su:

Capacità di comunicazione
Disponibilità all’aiuto
Sostegno all’imprenditorialità
Diffusione della conoscenza
Educazione finanziaria
Esperienza concreta nell’assistenza alle Startup
Esperienza concreta nell’assistenza alle micro e
piccole imprese

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Tra I progetti avviati e coerenti con la nostra strategia
è la nostra mission c’è la
“CREAZIONEIMPRESA ACADEMY”.

Con la ACADEMY abbiamo pensato di creare veri e


propri laboratori di consulenza prativa rivolti ai
fondatori e agli amministratori di startup così come ai
consulenti e Commercialisti che le assistono, perché
siamo certi che solo condividendo le giuste (e
specialistiche) conoscenze si possano mettere a frutto
tutte le infinite opportunità che offre una startup.

Pensiamo che quello che diciamo, illustriamo,


spieghiamo e scriviamo permette (ed ha permesso
alle startup che lo hanno già fatto) di sfruttare al
massimo tutte le potenzialità di una startup, ottenendo
notevoli benefici.

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Parte I:
5 PRINCIPI BASICI
DEL MODELING

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Principio 1: il "meno"
02 è sempre "più"
Avete presente le classiche e antiche lampadine a
incandescenza? Sono state progressivamente
sostituite perché consumavano molta energia, con un
potere illuminante spesso di scarsa efficacia, o
comunque, di potere illuminante meno che
proporzionale all’utilizzo di energia necessario a
produrlo. No, non preoccupatevi non è una lezione di
fisica di base, e non avete sbagliato, testo. E’ solo un
esempio per introdurre l’argomento complesso della
“focalizzazione”.

Tornando alla nostra lampadina, il suo compito lo


svolgeva molto bene: illuminare in tutte le direzioni,
senza però illuminare perfettamente alcuna zona, in
particolare (i classici lampadari delle nostre nonne o
bisnonne se venite dopo la “X” Generation).

Perché sono state sostituite da fonti più efficienti?


Perché le lampade direzionali hanno sostituito i
lampadari?
Vi lascio riflettere per un istante.

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Ora spostiamoci su un altro tipo di strumento che
utilizza un fascio di energia.
Il bisturi al laser.
Cosa c’entra adesso il bisturi con la lampadina?

C’entra e come, perché l’energia che utilizza,


potrebbe essere pressappoco quella di una
lampadina ad incandescenza ad alto wattaggio con la
differenza che il bisturi è in grado di tagliare in
maniera precisa mentre la lampadina a
incandescenza al massimo riesce a illuminare in
maniera poco efficace un ambiente.

La differenza dove sta?

Nell’uso concentrato di energia direzionato in un


punto preciso. Esattamente quello che dovrebbe
essere ogni startup, anzi, esattamente quello che
dovrebbe essere ogni impresa: un raggio laser!
Purtroppo, però, molti imprenditori, soprattutto
all’inizio, si comportano da lampadina, e spesso,
di dimensioni belle grosse.

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2.1 L'euforia del fare tanto. Troppo
Il primo principio da adottare quando si inizia a
modellare il proprio business è quello di pesare in
grande ma realizzare solo l’essenziale, il
“controllabile”.

Spesso, nei diversi anni di mentoring e/o coaching di


startup mi sono trovato davanti a quella che definisco
“l’euforia dello startupper”, ovvero la logica di
concepire inizialmente un business complesso con
molti prodotti e servizi (spesso slegati tra loro);
svariati segmenti da raggiungere e problem/solution
non esattamente definite. Il classico fenomeno del
menù del “ristorante internazionale di periferia”: un
insieme fitto di “questo e quello” senza alcuna logica
e identità.

La logica perversa si ripete con una sistematicità


scientifica:
“ma, so fare e posso fare anche questo. Perché non
dovrei metterlo?” Semplice, perché non si lega agli
altri prodotti/servizi, al vincolo di coerenza della
1
problem/solution, alla value proposition del business.

1 La Value Proposition (Proposta di Valore) tradotta nella maniera più elementare possibile indica il pacchetto di prodotti e servizi
che rappresenta un valore per uno specifico Segmento di Clienti. La domanda a cui, imprenditori, startupper e liberi
professionisti sono chiamati a rispondere è: “Perché i clienti dovrebbero scegliere il mio prodotto/servizio?”.

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“Perché dovrei togliere servizi e prodotti? Così mi
pregiudico possibilità di vendita?” Semplice,
perché il più è sempre meno.

Più aggiungi, più la tua immagine percepita si


immerge nella nebbia, e per il tuo target cominci a
diventare qualcosa di indefinibile. All’inizio dobbiamo
puntare sulla credibilità. Come fa un neonato a
guidare l’auto? Il cervello non è ancora predisposto
per controllare tutte le attività necessarie per farlo!

“Perché dovrei eliminare segmenti di clienti? Così


posso proporre a meno persone i miei prodotti e
servizi?” Certo. Ma a quelle giuste. In grado di
comprendere la value proposition e diventare (se
saremo bravi) fan della nostra azienda e da loro,
cominciare la scalata.

Vi ricordate il laser?
Una startup che funzioni deve essere inizialmente
focalizzata su un business (modello) molto semplice
2
ed efficace, con il requisito della scalabilità.

Insomma, si parte con quello nel quale si è più forti e


che risolve il problema più importante generando il più

2 Ovvero possibilità di ampliamento dei prodotti e servizi in maniera coerente e tenendo sempre in mente il vincolo che
li lega alla principale problem/solution.

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3
presto possibile clienti e ricavi, prevedendo un
modello di crescita ed espansione a partire da
validazioni costanti e KPI misurabili.

Nella fase iniziale gli elementi da controllare (anche


non strettamente attinenti al business) sono
tantissimi, ed il rischio di errore è dietro l’angolo e può
pregiudicare l’immagine ed il posizionamento
dell’impresa.

In sintesi
All’avvio della pianificazione di un nuovo business
occorre concentrarsi, anzi focalizzarsi su alcuni pochi
elementi realmente validi ed efficaci.

3 In dipendenza della tipologia di business, del grado di innovazione e delle necessarie attività di sviluppo e lancio. Una attività
web based di media complessità ed innovazione, ha in genere un periodo di “incubazione” di almeno 18-24 mesi.

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Principio 2: il tempo
03 è una risorsa scarsa
In particolare nelle attività di servizi, appartenenti alla
categoria know how (ad esempio i servizi basati sulla
prestazione di consulenze) che, di conseguenza, si
caratterizzano per essere human intensive, ovvero
con prevalente o, addirittura, esclusivo uso del proprio
tempo quale principale fattore produttivo, la tendenza
ricorrente in fase di pianificazione e avvio del
business è quella di:

Non considerare la remunerazione oraria o al


giorno.
Considerare il tempo disponibile illimitato.

Considerare la remunerazione
3.1 ordinaria e giornaliera
E’ ovvio. Per questa tipologia di attività, il sistema di
4
prezzi e tariffazione da prendere in considerazione
per formulare le previsioni di vendita e di EBIT, deve
considerare unicamente, quale unità di misurazione,
IL TEMPO.
4 L’EBIT è espressione del risultato aziendale prima delle imposte e degli oneri finanziari, e deriva dall’acronimo
dell’espressione inglese Earnings Before Interests and Taxes. In italiano può essere indicato come Risultato ante
oneri finanziari oppure Reddito operativo aziendale.

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Tale necessità introduce ad un’altra preventiva: quella
di definire un metodo standard e scientifico per
misurare ogni servizio da erogare ed appartenente
all’offerta che compone il business, in termini di
tempo.
5
Insomma, costruire una Distinta Base, basata sul
Tempo.

Un metodo valido, e molto efficace, è quello di


6
applicare il cosiddetto Service Blueprinting o se
preferite, applicando il metodo della W.P. (Work
Package) e quindi della W.B.S. (Work Breakdown
Structure) derivati dalle metodologie del Project
Management.
In sintetica analisi, il metodo prevede di:

1. Spacchettare ognuno dei servizi prestati in fasi o


blocchi (anche di quelli a monte e valle, come ad
esempio i sopralluoghi e gli appuntamenti i
preventivi ed i brief finali di consegna).
2. Assegnare le risorse che svolgono la fase (le
persone impegnate).

5 Una distinta base, acronimo Diba (in inglese Bill of Materials - BOM), è l'elenco di tutti i componenti, sottoinsiemi, semilavorati e
materie prime necessari per realizzare un prodotto. Nel mondo alimentare, chimico e farmaceutico essa si chiama ricetta o
anche formula. Il concetto è ovviamente applicabile anche ai servizi individuando i fattori produttivi idonei a rappresentarla.
Una distinta base è organizzata gerarchicamente, e si rappresenta come un albero, con la forma simile ad un albero
genealogico, con in testa il prodotto finito, ed a scendere nei vari livelli si trovano i sottoinsiemi, i semilavorati e le materie prime.
Per convenzione la cima dell'albero, ovvero il prodotto finito, si trova a livello zero. I suoi componenti diretti sono a livello uno, e
così via.
6 Sull’argomento si può approfondire in “Zeithaml – Bitner “Il marketing dei servizi – Ed. Mc Graw- Hill”

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3.Assegnare il tempo necessario ad ognuna delle
risorse che contribuisce a produrre la fase.
4.Ottenere, quale unità finale per definire il costo,
(distinta base) il tempo complessivo necessario a
produrre ognuno dei servizi.

L’ultimo e necessario passaggio per definire una


prima ipotesi di distinta base a costo diretto è quello di
assegnare ad ognuna delle risorse un costo orario
idoneo e coerente (ovvero giusto per la mansione,
qualifica ed esperienza) ed ottenere così la prima e
necessaria base per definire il prezzo di vendita del
singolo servizio (ovviamente non applicando, in
7
questa fase il full costing, ovvero la considerazione di
tutti i costi).

7 In generale, il costo pieno (full costing) è una definizione di costo che tiene conto di tutte le componenti di spesa
sostenute (costi generali, oneri finanziari, imposte). Tale configurazione permette di non trascurare alcun costo, ma
necessita di un processo di attribuzione dei costi molto dettagliato e complesso.
Il costo pieno integra il costo diretto con la quota di costi che derivano dall'allocazione dei centri ausiliari (detti anche
funzionali) sui centri principali. Per questo, la definizione di costo pieno ha significato solo per i centri definiti come
“principali”. In tale accezione, trova applicazione come indice principale dei sistemi di controllo di gestione.

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Considerare il tempo disponibile,
3.2
limitato
La logica più coerente e corretta è quindi quella di un
approccio bottom up.
Ovvero di definire preventivamente:

1. il numero massimo di servizi erogabili


corrispondente all’utilizzo di tutta la capacità
produttiva disponibile ed effettiva;
2. di giungere alla definizione della capacità
produttiva effettiva partendo, ovviamente, dal
numero di giorni che compongono un anno solare,
sottraendone tutti i giorni, festivi, feriali estivi e
quelli di probabile improduttività;
3. di trasformare il calcolo in giorni (se necessario) in
ore (basato sulle classiche 8 ore giornaliere) o
addirittura, minuti, se volete ottenere la massima
precisione;
4. di considerare una quota di tempo “non
produttivo” ovvero, impegnato in attività di PR,
aggiornamento professionale, promozione,
burocrazia e spostamenti (per questi soltanto se
non li avete già considerati in una delle fasi di
produzione dei servizi).

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In media, per il primo anno dovremo considerare
“improduttivo” almeno il 40% del tempo disponibile
(soprattutto per la necessaria promozione e per la
burocrazia iniziale).

3.3 Potenziale produttivo


Con tale attività preliminare avremo ottenuto il vero
potenziale produttivo complessivo basato sul tempo
e sul numero di risorse (persone) impegnate nella
produzione.

Abbiamo, in precedenza, definito ognuno dei servizi


in termini di tempo necessario a produrlo (per ognuna
delle risorse assegnate), ora potremo giungere ad
8
ulteriori definizioni, ovvero al calcolo del numero
massimo di servizi erogabili in un anno.
Il risultato finale potrebbe essere sbalorditivo! (nel
bene e nel male).

Ad esempio. Potreste constatare di non avere


sufficienti risorse (in termini di giorni uomo)9 per
soddisfare le previsioni di mercato (il SOM).
8 In generale, il costo pieno (full costing) è una definizione di costo che tiene conto di tutte le componenti di spesa
sostenute (costi generali, oneri finanziari, imposte). Tale configurazione permette di non trascurare alcun costo, ma
necessita di un processo di attribuzione dei costi molto dettagliato e complesso.
Il costo pieno integra il costo diretto con la quota di costi che derivano dall'allocazione dei centri ausiliari (detti anche
funzionali) sui centri principali. Per questo, la definizione di costo pieno ha significato solo per i centri definiti come
“principali”. In tale accezione, trova applicazione come indice principale dei sistemi di controllo di gestione.

9
Il SOM, ovvero il Serviceable and Obtainable Market è il mercato che realisticamente dovrebbe raggiungere la tua
startup o azienda una volta lanciata. Il SOM quindi corrisponde alla capacità di sfruttare al massimo le competenze e
gli strumenti che hai a disposizione

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Oppure che la remunerazione immaginata per i vostri
servizi corrisponde ad una tariffazione oraria poco
dignitosa, in relazione all’attività che andrete a
svolgere.

In sintesi
Per qualsiasi nuova attività la pianificazione
dell’utilizzo delle risorse produttive da impiegare a
supporto del business è una fase fondamentale.
Occorre evitare di essere sovradimensionati ma
anche definire una dimensione non sufficiente a
supportare lo sviluppo delle vendite.

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Principio 3:
04 riconoscere
i concorrenti
Spesso, ma meno frequentemente di qualche anno fa
(fortunatamente) chi si prepara all’avvio di una nuova
attività ha un “approccio di prodotto” ovvero la
convinzione di aver trovato l’uovo di colombo. Il
prodotto o servizio unico; la soluzione che cambierà il
mondo, e per questo, alla fatidica domanda “abbiamo
analizzato la concorrenza?” o “chi sono e dove sono i
vostri concorrenti?” la risposta è spesso: “NON
ABBIAMO CONCORRENTI”.

Purtroppo, ed evidentemente, non è mai così. Questa


affermazione e questa convinzione, derivano da una
elevata concentrazione sul prodotto o sul servizio in
quanto tali, pensando e credendo che, renderli unici o
migliorarli, o anche, inventandone uno nuovo (nelle
startup innovative accade di frequente) non si abbiano
concorrenti e che, per questo, tutti i potenziali clienti
10
diverranno clienti effettivi (TAM, SAM, SOM).

10 Con TAM si indica il Total Addressable Market, ovvero la domanda totale di un determinato prodotto o servizio.
SAM = SERVED AVAILABLE MARKET
Il SAM identifica il Served Available Market, ovvero il mercato potenzialmente disponibile.
Il SAM, quindi, va a ridimensionare il mercato totale ponendo dei vincoli che possono essere ad esempio quelli
territoriali. Del SOM abbiamo già parlato in una nota precedente

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La realtà è, ovviamente, molto diversa, quando si
analizza il settore (ovvero i clienti posizionati sul
medesimo bisogno), prima che il mercato specifico
(concorrenti che soddisfano il medesimo bisogno con
offerte simili).

La situazione reale? Al minimo, si avranno concorrenti


“indiretti” (di settore) che sono importanti quanto i
diretti, se consideriamo il potenziale di spesa di ogni
potenziale cliente come una quota “predefinita” a
soddisfare quella specifica categoria di bisogno.

Ad esempio, se sto analizzando il potenziale di un


ristorante che lavora nel weekend, rientrerò
principalmente nella categoria di bisogno leisure, e
non in quella di pasto funzionale, di conseguenza i
miei concorrenti (indiretti) saranno tutti gli operatori
che soddisfano il bisogno leisure, ovvero spesa per il
tempo libero dato un determinato budget di spesa.

Per coloro che non fossero sufficientemente convinti


di quanto appena scritto, consigliamo di guardare alla
realtà quotidiana, ed in cosa si sono trasformati i
Centri Commerciali: veri luoghi che hanno l’obiettivo
di accaparrarsi tutto il budget delle famiglie destinato
alla spesa per il tempo libero, nel fine settimana.

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Quindi: “vieni a far la spesa per la settimana”
(funzionale); “guarda i negozi e fai shopping”
(funzionale/leisure); “vai al cinema” (leisure); “porta i
bimbi alla zona giochi, libera o a pagamento” (leisure);
“vai al ristorante/pub/pizzeria, prima o dopo il film”
(leisure); “fai un giro in sala giochi” (leisure).

Così è più evidente, vero?

La domanda che bisogna porsi


La domanda deve essere unica: “C’è almeno un
motivo convincente del perché li fuori c’è bisogno di
noi, e del perché fino ad oggi, se ne è potuto fare a
meno.”

La risposta sbagliata?
“Perché non ho concorrenti”.

E’ ed proprio da questa risposta che deve iniziare il


percorso di business modeling constatando che se
11
non ci sono concorrenti non c’è mercato.
Se non c’è mercato non c’è business.

11 Gli economisti non si scandalizzino. Il concetto di Monopolio è, di fatto, una pura teoria che nella realtà non si realizza
mai. Se pensiamo ad esempio ai tabacchi ed al gioco, o comunque ai prodotti e servizi del Monopolio, tecnicamente
e teoricamente non vi sarebbero concorrenti “diretti” ma di fatto ve ne sono e come. Ma non operano in legalità.

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Prima il "cosa", poi il "come".
4.1
Il paradosso del tonno
Domanda:“Siete davvero convinti che quando
comprate una scatoletta di tonno, dentro ci sia
davvero tonno?"
No, non preoccupatevi, non è un numero di una rivista
dei consumatori informati e consapevoli.

Il paradosso al quale voglio condurvi parte


dall’assunto che noi “crediamo di mangiare” tonno in
olio o al naturale, sulla base di informazioni e
percezioni che nulla hanno a che fare con il prodotto
“tonno” e che, tranne pochi esperti (io non sono tra
quelli), che sono in grado di valutare per conoscenza
tecnica del prorotto, tutti noi siamo certi di mangiare
del tonno solo perché c’è scritto così sulla confezione
e sulla scatoletta e magari perché lo abbiamo visto in
pubblicità.

Deduzione del tonno


Solo pochi consumatori posseggono le informazioni e
le competenze per giudicare le qualità tecniche di un
prodotto/servizio. Quello che acquistiamo ogni giorno,
sono percezioni di valore date dalle estensioni di
prodotto servizio e dalla percepita capacità di questo
di generare vantaggi e benefici. (value proposition e
problem/solution).
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Il cavallo non è un aereo.
4.2
Un esempio accademico
Ai primi del ‘900 quando cominciarono a circolare le
prime autovetture con motore a scoppio, e ancora
prima i treni a vapore, stava in realtà accadendo
(mutamenti del contesto Tecnologico e Sociale)
qualcosa che avrebbe condizionato un intero Secolo:
lo sviluppo dei trasporti veloci.

Tale cambiamento portò a conseguenze ben diverse:


il business delle aziende che producevano carrozze a
cavallo, o gestivano poste per viaggiatori a cavallo
stava inesorabilmente cambiando (attenzione, non
morendo) ed i comportamenti furono
fondamentalmente di due tipi, totalmente
contrapposti:

Innovativo: passare dalle carrozze a cavallo alle


carrozze a motore.
Conservatore: continuare a pensare alla carrozza
a cavallo e rifiutare il cambiamento, con relativa
progressione di comportamenti standard (ai quali
si assiste immutabilmente anche ai giorni nostri):
contestazione, boicottaggio, lamentela, chiusura.

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Il pensiero innovativo
Coloro che avevano concepito (e concepiscono) il
proprio business nella logica del “COSA” compresero
che dovevano adattarsi al nuovo “COME” e, che,
quello che facevano, fosse “trasportare persone
velocemente”, convertendo, di conseguenza, la
produzione verso le nuove tecnologie.

Il pensiero conservatore
Coloro che avevano concepito (e concepiscono) il
proprio business come, “produciamo carrozze a
cavallo” ovviamente chiusero i battenti di li a poco,
magari lamentandosi (vi ricorda qualcuno che
conoscete?) del Governo, degli Stranieri, del Web (no
quello non c’era ancora!), ecc. ecc.

Torniamo ai concorrenti
Da quanto scritto, attraverso un lungo, ma necessario
giro, si dovrebbe chiaramente comprendere che:

se ci concentriamo sul “COME” non riusciremo a


vedere, né concorrenti, né mercato;

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se, al contrario, guardiamo al “COSA”, potremo
collocare la nostra nuova idea nel novero
dell’innovazione o meglio innovatività: abbiamo
trovato un NUOVO COME che migliora la vita a
molte persone e di conseguenza siamo in grado
di lavorare ad una value proposition convincente.

In sintesi
Riconoscere il “come” e il “cosa” non è affatto cosa
semplice.
Occorrono, apertura mentale e “palestra”, ovvero
esercizio nell’identificare l’unica vera risposta utile:
“cosa sto facendo?”, slegandolo dal mezzo, dalla
modalità e dagli strumenti che utilizzo per farlo.

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Principio 4:
considerare le
05 risorse funzionali un
business
Quando si parla di business model e di business
plan, per noi esiste un unico credo:

i due supporti non sono in concorrenza, al contrario


l’uno serve (deve servire) all’altro per spiegare e
analizzare al meglio l’avvio e lo sviluppo del business
ed è per questo che non condividiamo l’opinione di chi
sostiene che “a una Startup è sufficiente il solo
business model”, sostenendo che il business plan
“riguardi esclusivamente scelte operative e
numeri da considerare in seguito e, in maniera
separata e distaccata dalle strategie.

Le scelte operate nel business model, per sua stessa


definizione, hanno implicazioni finanziarie soprattutto
nel merito delle fonti necessarie a finanziare le scelte
del lato Revenue Streams o Model.

In effetti nel cosiddetto Business Model Canvas, si


evidenzia e riporta che occorre definire, tra le altre
cose, le Key Resources e le Key Activities, ovvero le
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attività necessarie a sviluppare il business (attraverso
obiettivi e strategie), e la conseguente assegnazione
di una o più risorse ad ognuna delle attività.

Cosa è questo se non produzione di previsioni


economiche e finanziarie?
Stiamo parlando di investimenti, costi di struttura,
costi diretti e working capital; quindi, di business plan
e business model che sono una sola cosa.

È evidente, quindi, che tra le strategie da prendere in


considerazione vi sia quella FINANZIARIA, ovvero
come e dove acquisire le fonti necessarie a finanziare
il business in fase di partenza, o, alternativamente se
sia possibile rivedere gli obiettivi e l’intero business
model (senza cambiarne sostanzialmente l’efficacia)
considerando la finanza, un vincolo funzionale ma
non sostanziale.

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5.1 I soldi del biglietto
Quando cerco di far comprendere questo
importantissimo dilemma, adotto un esempio molto
semplice, quello “dei soldi del biglietto”:

Obiettivo: partendo da Milano, devo essere in un


giorno della prossima settimana, nel centro di Roma
alle 10.30 per partecipare ad un importantissimo
incontro di lavoro che può cambiare in meglio la mia
vita professionale e familiare.12

Strategie possibili: è evidente che le mie strategie


saranno condizionate da due fattori, o vincoli: il tempo
ed il costo.
Di conseguenza tra tutte le modalità (strategie)
possibili (incluso, per assurdo, la possibilità di
muovermi, a piedi), considero quelle che mi
permettono di raggiungere l’obiettivo nel miglior modo
possibile, considerando i vincoli. Quindi tra le scelte
possibili (muovermi in auto; muovermi in aereo;
muovermi con Treno Veloce) considererò
l’opzione/strategia “treno”, perché è quella che in
prima battuta risulta la migliore per “arrivare in centro”
“muovendomi dal centro, o quasi”.
12 La definizione di un obiettivo deve essere il più possibile puntuale, ovvero determinata e quantificabile. Solo in questo
modo possiamo definire scelte strategiche e operative sufficientemente efficaci e idonee a raggiungere l’obiettivo.

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Il vincolo finanziario. Solo in seguito (e non in
partenza, ecco l’errore) considero il costo del
biglietto A/R e se questo rientra nel mio budget, o
meno.

Lo rimuovo, valutando le alternative meno costose, mi


convinco che nessuna risulta sufficientemente valida
a raggiungere l’obiettivo, o prevedrebbe un cambio di
programma (partire con molto anticipo e disagio;
dover prendere un taxi nel traffico di Roma; dover
raggiungere l’aeroporto di partenza).

Quindi pur constatando che il credito sulla mia carta


non è sufficiente ad acquistare il biglietto (è solo un
esempio!), decido che il mio finanziatore sarà mia
moglie, che avendone la disponibilità, e valutando
assolutamente importante e necessario il mio viaggio
a Roma, non obietta nel prestarmi la sua carta di
credito e finanziare la trasferta.

Ma cosa ho scritto in realtà?


Mia Moglie, è un possibile finanziatore. Ma non
uno qualsiasi. Ha caratteristiche molto importanti,
considerando la premessa “un incontro di lavoro che
può cambiare in meglio la mia e la sua vita”. Quindi:

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condivide l’obiettivo;
condivide la prospettiva;
ha fiducia in me;
valuta l’operazione finanziaria con un ottica di
13
ritorno di risultato (ROI).

E’ in questi termini che dobbiamo considerare il nostro


business e quindi i nostri obiettivi e le conseguenti
strategie.

Non preoccupiamoci troppo, in partenza, del vincolo


finanziario. Se il risultato di prospettiva è interessante,
e lo presentiamo in maniera chiara, esaustiva e
coerente (in un business plan), la possibilità di trovare
un finanziatore potrebbe essere molto alta.

Le soluzioni alternative avrebbero condizionato


l’obiettivo e la prospettiva (il business model), in
relazione a probabili rischi:
arrivare all’appuntamento troppo stanco e non
concentrato;
arrivare in ritardo.
Nessuna delle due risulta accettabile.

13 Il return on investment (o ROI, tradotto come indice di redditività del capitale investito o ritorno sugli investimenti) è un
indice che genericamente, quanto rende il capitale un euro di capitale investito in azienda o in qualsiasi altra attività
(utilizzato anche come indice per misurare l’efficacia di azioni pubblicitari e promozionali).

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Non dimentichiamo la regola
finanziaria n°1
La prima regola finanziaria è quella della credibilità,
ovvero: “mettersi le mani in tasca”.

Se vogliamo trovare finanziatori, dimostriamo che


stiamo rischiando, o perlomeno, che ci stiamo dando
da fare per avere o cercare capitali, guardando in
varie direzioni.
Come possiamo chiedere ad altri di rischiare sul
nostro progetto se non facciamo altrettanto? Non
esiste la formula magica, del “quanto”, ma esistono
comunque dei parametri condivisi di credibilità:
pensate ad avere di vostro almeno un 20%-25%
soprattutto se ci stiamo rivolgendo ad una banca.

Le agevolazioni pubbliche, possono aiutare, ma non


risolvono e non sono una certezza o l’unica via nella
quale guardare.

Dopotutto, come ripeto a tutti e da sempre: “si


chiamano agevolazioni, quindi agevolano, non
risolvono”.

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Non dimentichiamo la regola del giusto
contenitore
Il giusto contenitore, cosa?
Si, il contenitore del vostro business, adesso e in
prospettiva.

Uno degli errori può essere quello di “sceglierlo


piccolo” perché, “adesso mi è sufficiente”, e perché,
“poi posso prenderne uno più grande. Almeno, in
questo modo risparmio!”

Il contenitore del business è la forma giuridica.


E’ prassi, considerare la forma giuridica della startup
come una pura formalità, un semplice “costo dovuto”
piuttosto che una opportunità. La scelta della forma
giuridica sbagliata o vincolata a sole logiche di
risparmio può influire in maniera seria sulle possibilità
di affermazione e sviluppo.

La forma giuridica ed il Capitale Sociale (o meglio il


Patrimonio o Capitale Netto) della startup sono il
primo biglietto da visita e la prima garanzia di
credibilità verso gli stakeholders, soprattutto quelli
finanziari.

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Ovviamente tanto più la portata del business è di
dimensioni (attuali e potenziali), ultra-provinciali,
nazionali, (o internazionali), tanto più la forma
giuridica dovrà essere quella capitalistica (al minimo
Srl ordinaria), ed il capitale sociale (o inizialmente
investito), idoneo a fornire garanzie di credibilità a
investitori e finanziatori di ogni genere.

La scelta della cosiddetta “srl semplificata” per soli


motivi di risparmio, trasmette indubbiamente un
messaggio chiaro ed inequivocabile “stanno
giocando; provano senza rischi; non hanno o riescono
a trovare nemmeno i soldi per costituire una società
seria”.

Medesime considerazioni per le società di persone o


addirittura per le ditte individuali o imprese familiari,
Idonee a business locali, artigianali o, per definizione,
familiari.

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In sintesi
La quasi totalità dei modelli e schemi di business plan
ha un approccio “cost based” ovvero assume come
vincoli i costi e le uscite previste da un business
definendone i relativi break-even e quindi il fatturato e
le entrate minime da produrre.

Questo non è l’approccio corretto. Occorre al


contrario un approccio “Market oriented” ovvero
“Revenue Based”. Devo unire le assunzioni del
business model a quelle del business plan partendo
dalla definizione del Revenue Model e considerando
costi e finanza funzionali ad esso.

Questo è il nostro approccio.

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Principio 5:
06 conoscere i clienti
Siamo al principio finale, quello del processo di
segmentazione della domanda, ovvero il processo
che definirà a chi e come rivolgere la nostra offerta
nella maniera più efficace possibile, con un
messaggio inequivocabile e convincente.

Imbuto
Quando ci approcciamo alla analisi della domanda
dobbiamo prendere in considerazione tutti gli aspetti
che possono influenzarla, ricordando che, in
dipendenza del business che stiamo avviando, e
14
quindi del canale che utilizzeremo dovremo
considerare vari livelli di redemption per giungere alla
conversion, attraverso una call-to-action.

Passo immediatamente alla traduzione.


Sono tre concetti fondamentali della cosiddetta lead
generation, ovvero capacità di generare clienti e
acquisti.

14 Il CHANNEL del Business Model.

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I tre termini utilizzati sono mutuati (presi in prestito)
dalle tecniche e strategie di comunicazione,
(tradizionale e web), e, nell’ordine (Funnel strategy o
tecnica dell’imbuto) riguardano:

Capacità di attirare l’attenzione con un messaggio


chiaro, definito, convincente.
Capacità di trasformare l’attenzione ricevuta in
acquisto.
Invito all’azione, ovvero cosa bisogna fare per
ottenere maggiori informazioni o acquistare.

I clienti, gli utenti, i fruitori, gli


influenzatori
Molti business, in particolare quelli dei servizi e dei
servizi web, si rivolgono a diverse platee,
approcciando più problemi con diverse soluzioni.
Innanzitutto, occorre saper distinguere chi è il cliente.
Nel dubbio, la risposta è inequivocabile:
IL CLIENTE È CHI PAGA!

Occorre, ovviamente considerare anche l’appetibilità


verso gli utenti e le loro scelte e percezioni, che
spesso sono rilevanti se non determinante per il
business stesso.

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Spiegato meglio
Se il mio servizio web-based prevede il pagamento di
una fee per operatori economici (ad esempio
artigiani), il mio sistema deve tener conto anche degli
utenti che attraverso il mio servizio chiederanno
prestazioni o prodotti agli iscritti (paganti), di
conseguenza, devo poter raggiungere (e quindi
preliminarmente considerare) anche gli utenti. La
mancanza di utenti può generare l’abbandono dei
clienti ed il fallimento del business.

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6.1 I servizi baby, ma non solo
Volgendo l’attenzione ad attività e servizi, meno
tecnologici, ma assolutamente rilevanti, consideriamo
per un attimo, un Asilo o una Ludoteca.

In questi casi accade molto spesso che si analizzi la


domanda esclusivamente rispetto ai bambini.

Un classico difetto di eccessiva concentrazione sul


“COME”. Quindi si pensa al proprio business come
una serie di servizi rivolti ai bambini, dimenticando
che uno dei “COSA” prevalenti risiede altrove: NELLA
TESTA DEI GENITORI.

Quindi occorre, giustamente, considerare i bambini


come utenti o fruitori dei servizi e quindi settare un
15
giusto layout e servicescape idoneo a creare la loro
massima soddisfazione, il loro servizio desiderato, ma
allo stesso modo, definire e settare un’offerta
convincente rivolta ai genitori, che sono i clienti,
ovvero quelli che pagheranno per i nostri servizi

15 Sono due concetti fondamentali sui quali si basa il setting efficace di una attività di servizi. Sull’argomento si può
approfondire in “Zeithaml – Bitner “Il marketing dei servizi – Ed. Mc Graw- Hill”.

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16

Cosa vogliono i bambini?


Nel considerare i bambini dovrò immedesimarmi e
chiedermi:
quale sarebbe il luogo dei miei desideri?
Cosa vorrei fare?

Se ce l’avete fatta a correre indietro negli anni, la


risposta può essere solo una: DIVERTIMENTO.

I bambini vogliono, giocare, divertirsi, sperimentare,


quindi quando si pensa al “giusto servizio”, anche e
spesso, eccessivamente cervellotico, e quindi
orientato al “COME” (tecniche di apprendimento; corsi
avanzati di lingue; corsi di disegno creativo; ecc.)
ricordate sempre la regola fondamentale: DEVE
ESSERE TUTTO UN GIOCO! (il “COSA DEI
BAMBINI”).

Cosa vogliono i genitori?


Nel considerare i genitori, ovvero i Clienti, ovvero
coloro che acquistano pagando un prezzo, le variabili,
di segmentazione che definiscono il processo di
acquisto e soddisfazione (Key Factors) cambieranno
16 Il cosa vogliono, rivolto sia ai bambino che ai genitori è un passaggio fondamentale della costruzione del vantaggio
competitivo e quindi del posizionamento vincente, basato sulla analisi discriminante per Key Factors (o, come
impropriamente tradotto in italiano: Fattori Critici di Successo).
Una metodologia (quella discriminante) che si basa sul cosa e come lo vogliono, ovvero quali sono i driver che
condizionano i processi di acquisto e soddisfazione e sulla loro contestuale misurazione per assegnazione di pesi e
valori, introducendo un metodo matematico/scientifico che ci permette di comprendere come avvicinarsi al servizio
desiderato in contrapposizione al comportamento dei concorrenti (segmentazione dell’offerta o analisi competitiva).

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moltissimo, ed anche il (loro) metodo di ricerca e
selezione del fornitore migliore (l’asilo o ludoteca) si
baserà su un processo mediamente lungo, basato su
percezioni personali ma anche su percezioni di
influenzatori fiduciari.

Ecco un’altra categoria da considerare:


gli influenzatori fiduciari.
Sono tipici e sempre presenti, nella tipologia di servizi
fiduciari, appunto.

Quali sono?
La risposta è molto semplice.
Provate ad aggiungere “…..di fiducia” ad una serie di
servizi che acquistate normalmente e più o meno
periodicamente, ed otterrete la risposta.

Qual è la peculiarità di questa categoria di servizi?


Il fatto che prima di acquistare (o vendere) i servizi, si
acquisti (o venda) la fiducia nel sistema di erogazione
(azienda, professionista, artigiano, prestatore d’opera,
ecc.), ovvero della reputazione (uno dei Key Factor
spesso determinante) cioè quante persone ne parlano
bene e se queste persone sono:

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Grandi influenzatori: ovvero soggetti che a loro
volta godono di grande reputazione;
Influenzatori fiduciari: ovvero soggetti che
appartengono al “cerchio della fiducia” (parenti,
amici, colleghi, ecc.)

Torniamo quindi a QUELLO CHE VOGLIONO I


GENITORI
Beh, se già lo siete, non vi sarà difficile entrare nella
parte.

Cosa chiedete ai vostri bimbi il primo giorno di


Asilo e più o meno ogni giorno?
CI SIETE?
Cosa hai fatto? Ti sei divertito/a? Cosa hai mangiato?
Cosa chiedete alle maestre/educatrici/assistenti?
Ha mangiato? Ha pianto? Ha fatto amicizia? ecc.,
ecc.

Ecco i driver dei genitori.


Vi sarete accorti che non ancora parlato di prezzo.
Non è un caso. Nei servizi fiduciari il prezzo è quasi
sempre l’ultima variabile (Key Factor) che i nostri
decisori prendono (o dovrebbero prendere) in
considerazione, a patto che si sia costruita una
proposta di valore molto differenziata e forte, perché
se osì non fosse , risulteremmo, sfocati, uguali agli
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18
e, di conseguenza fungibili ovvero sostituibili. Se è
solo un Asilo, sceglierò tra tutti gli Asili, quello che mi
fa risparmiare.

È CHIARO ADESSO?

In sintesi
Comprendere cosa vuole chi paga, molto spesso non
basta. Occorre sapere e conoscere chi sarà il vero
utilizzatore di quel prodotto o servizio ed estendere le
percezioni in modo da creare il giusto “clima di
fiducia” verso tutti.

18 Mi da un chilo di mele? (fungibile). Mi dia tre Melinda (infungibile). Il nome, il posizionamento e la value proposition
hanno fatto la differenza.

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Parte II:
5 CONSIGLI BASICI
DI POSITIONING

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Consiglio 1: puntare
01 ad essere unici e
primi in qualcosa
Molti imprenditori (o aspiranti) ritengono che la
questione fondamentale per avviare e costruire un
business vincente, sia convincere i potenziali clienti di
essere coloro che offrono il prodotto o servizio
migliore.
Ecco un altro classico approccio “al prodotto”.

Se in un mercato sei un nuovo entrante (startup), che


intende lanciare un nuovo business ti trovi a
fronteggiare concorrenti più grandi, più strutturati e
solidi o semplicemente con più “storia”.

E’ molto difficile (se non impossibile) scalare la


“classifica del migliore”, (riferito ai prodotti e
servizi), semplicemente perché il “migliore” o i
migliori esistono già. Almeno in una data categoria.

Quindi la questione sta in tre punti:


Comprendere in quale categoria stiamo entrando.
Creare una nuova categoria valida.
Lavorare per affermarsi come “numero 1” della
categoria

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È ovvio che non sia semplice, ma con qualche
riflessione intelligente se ne può venire a capo.
Vediamo in che modo.

Iniziamo a definire il contesto con una regola


fondamentale del mercato:

E’ molto più semplice lavorare per affermarsi come


primi in qualcosa di nuovo, piuttosto che cercare di
essere migliori di qualcuno che in una categoria già
esistente.

Passiamo alla immediata dimostrazione di questa


regola con un rapido test.

Provate a rispondere (senza riflettere più di 2


secondi).

Categoria SPAZIO
Chi è stato il primo astronauta a poggiare il piede
sulla Luna? E il secondo?

Categoria SPETTACOLO
Chi ha vinto l’ultima edizione del Festival di Sanremo?
Chi è arrivato secondo?
E così via. Per tutte le possibili categorie esistenti.

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1.1 Categoria traversate aeree. Il caso
Come si chiama il primo aviatore che ha compiuto la
trasvolata dell’Atlantico in solitario (questa è una
categoria)? Charles Lindberg. Esatto!

E il secondo? Non lo ricordiamo, vero?


Il secondo aviatore a compiere la trasvolata
dell’Atlantico in solitario è stato Bert Hinkler.
Chi? Si esatto proprio lui. Poco conosciuto, se non
dagli esperti e cultori del genere.

Dove ha sbagliato Hinkler? Sicuramente non negli


aspetti tecnici.

Certamente non nell’essere migliore, tecnicamente.


Infatti, Hinkler, basando il confronto, su aspetti
esclusivamente tecnici (qualità tecnica, per intenderci)
risulta sempre, essere un pilota migliore di Lindbergh,
perché volava più veloce e consumava meno
carburante.

Quindi dove sta il problema? Perché nessuno lo


ricorda, se è stato, effettivamente migliore di
Lindbergh? È evidente.
Perché è stato il secondo in una categoria.

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L’approccio di molte startup o piccole e microimprese,
è quasi sempre quello di Hinkler.
Credono con fiducia, che la gente acquisterà i loro
prodotti e servizi semplicemente perché sono migliori
tecnicamente.

E magari lo sono davvero. Perché hanno speso molto


tempo in prove e studi, sviluppi tecnici, test, per
eliminare tutti i problemi e difetti dei concorrenti e
confidando che il fatto di aver ottenuto un prodotto o
servizio qualitativamente ottimo, eccezionale, basti a
conquistare mercato e posizioni.

Questa convinzione diventa tanto più radicata quanto


più (potendoselo permettere), sia stata supportata da
ricerche, focus group, analisi di mercato, nelle quali si
sia chiesto ai potenziali acquirenti:
“Come lo vorreste?”.
“Cosa non vi piace del prodotto o servizio del
concorrente?”

Purtroppo, i risultati di questo approccio sono sempre


gli stessi. Si diventa Hinkler.
Prima di passare alla soluzione del problema e quindi
al primo consiglio vediamo i fatti (per convincere gli
scettici).

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
La marca leader di qualsiasi categoria è sempre la
prima scelta nella nostra mente, e lo rimane per molto
tempo, se non per sempre.

Pensate alle bibite cola. Alle bevande energetiche.


Agli acquisti on line. Alle merendine. Ecc., ecc.

Un chiaro esempio
19
Dopo la Seconda guerra mondiale, Heineken è stata
la prima birra di importazione a farsi un nome in USA.
Quaranta anni dopo qual era la prima birra di
importazione negli USA? Heineken o quella con il
gusto migliore (ammesso che questo possa essere un
fattore oggettivo)? In USA, negli anni ‘80 si
vendevano oltre 400 birre di importazione.

Sicuramente tra queste ve ne sarà stata più di una


che aveva il gusto migliore. Tuttavia, Heineken
restava ancora la prima birra d’importazione e di gran
lunga, con una quota di mercato di molto superiore
alla birra che occupava la seconda posizione.

Attenti ad arrivare tardi


Il tempismo è un aspetto fondamentale: anche se
arrivate primi, potrebbe essere troppo tardi, perché la

19 L’esempio che state per leggere e quello precedente (Lindbergh e Hinkler) sono stati tratti dalle numerose letture di
libri e articoli degli autori AL RIES e JACK TROUT ai, quali, tra gli altri, mi sono più volte ispirato nello svolgere la mia
attività di manager, consulente, docente e formatore.

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
categoria che avete creato, rientra in un settore già
maturo oppure obsoleto.

Ad esempio, se stiamo pensando a creare una nuova


categoria di quotidiano cartaceo, dovremo tener conto
di vari aspetti:
I lettori di giornali. Quanti sono? Sono in crescita?
Che età anno?
La concorrenza della televisione.
La concorrenza del web e delle tecnologie.
Non può funzionare. Anche se arrivate primi.

Attenzione alle idee "troppo brillanti"


Alcuni primi sono solo cattive idee che non vedranno
mai clienti.
Se vi sta passando per la mente di creare la prima
Applicazione per mobile device che ordina il gelato
per i vostri cani, avrete poche probabilità di farcela. I
cani probabilmente la adorerebbero ma i cani non
usano lo smartphone ed i loro proprietari non
ritengono indispensabile (almeno per ora!) acquistare
gelato per i propri amici (nel caso aveste deciso di
convertirla in APP per proprietari di cani!).

Il concetto vale per tutto


La regola del numero 1 vale per qualsiasi prodotto,
servizio, marca o categoria.
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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Basta sostituire il concetto di primo, con quelli di
leader, leadership, migliore, preferito, ecc.

Qual è l’Università di Economia e Gestione d’Impresa,


Leader in Italia? La risposta la conoscete già! E la
seconda?

Condividerete il fatto che non si tratta di docenti,


opportunità post laurea, programmi, ecc. Si tratta di
un concetto condiviso da molti, che è entrato nella
opinione pubblica.

Già proprio quella. Potremmo chiamarla, la gente, la


massa, o semplicemente persone che ogni giorno
decidono di acquistare qualcosa e che formano le
proprie opinioni in maniera cauta, condividendo il
credo comune, piuttosto che avventurarsi in scelte per
le quali non possiedono adeguate informazioni o
capacità discrezionali, quali ad esempio la possibilità
di valutare UNA QUALITA’ MIGLIORE.

Adesso, comincia ad essere chiaro in cosa dovremo


essere primi? E perché non serve (soltanto e
unicamente) impegnarsi nella ricerca di una migliore
qualità tecnica?

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Tendenzialmente la gente rimane attaccata a quello
che ha, ovvero, a quello che conosce e del quale si è
fatta una solida e condivisa opinione. Di fronte al
nuovo, valuta costantemente e inconsciamente, lo
sforzo ed il costo del cambiamento.

Se pensate al mercato delle auto ed a tutte le


categorie, dal fuoristrada, alle citycar, alle berline
20
sportive, alle wagon, in ognuna di esse esiste un
leader che probabilmente lo è da molto tempo.

Se pensate ai computer, alle stampanti, alle TV pay-


per-view, agli analgesici, ai rasoi da barba, insomma
ad ogni categoria possibile, la regola non cambia mai.

Uno dei motivi per cui la prima marca tende a


mantenere la leadership è che il nome, spesso (non
sempre e solo per alcune categorie di prodotti e
servizi) diventa sinonimo e termine generico di
categoria.

Un caso che chiarirà ogni dubbio è quello noto della


Aspirina al quale si aggiungono Scotch, Goretex,
Velcro e molti altri.

20 I produttori ed esperti non se la prendano troppo se non ho utilizzato le “giuste nomenclature”

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Se cominciamo ad analizzare alcuni dei settori e
categorie citate, ci renderemo conto di una realtà
sbalorditiva che si verifica molto spesso:

“l’ordine di importanza delle aziende corrisponde,


sempre, in termini di quote di mercato, all’ordine di
ingresso nella categoria, almeno per le prime tre o al
massimo quattro posizioni”

Scalando la graduatoria spesso si trovano solo


aziende che combattono (sarebbe meglio dire, si
combattono tra loro) nella ricerca spasmodica del
migliore prodotto o servizio, curando però soltanto
caratteristiche ed attributi tecnici e qualitativi.
Con risultati che li lasciano nelle loro posizioni.

Il consiglio #1
Siamo quindi giunti al primo consiglio.

Se stiamo creando una startup o lanciando un nuovo


business fondato su un nuovo prodotto o servizio, non
possiamo pensare di acquisire la posizione numero 1,
lavorando esclusivamente sulle ipotesi di
miglioramento delle caratteristiche tecniche e
qualitative di prodotti e servizi dei concorrenti.

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Insomma, non dovremmo avere un approccio del tipo
quality benchmarking.
Il benchmarking consiste nel valutare e confrontare i
vostri prodotti e servizi rispetto ai migliori presenti sul
mercato, in un processo fondato sul principio della
qualità (tecnica) totale.

Funziona?
Pochissime volte.
Perché?

Perché si fonda su un assunto improbabile:

“la capacità delle persone (chiamiamoli pure


potenziali clienti) di riconoscere a pieno la qualità
tecnica”.

La posizione di migliore non è una questione di


attributi tecnici, ma di percezioni.
Quindi cominciate a pensare al vostro business non in
termini di prodotti e servizi migliori tecnicamente, ma
su come raggiungere la posizione numero 1
lavorando sulle percezioni complessive e
allontanandosi il più possibile dall’area del prodotto e
del servizio, valutando il business complessivo in
termini di problem solving, ovvero di problem/solution.

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Evidentemente sarebbe meglio ed opportuno creare
preventivamente una nuova categoria e dichiararsi
primi.

Ma questo è un altro consiglio.

Un caso ipotetico. La nuova gelateria


1.2 a Milano

Analizzando i dati di mercato, svolgendo analisi sui


potenziali clienti/consumatori, il neoimprenditore che
ha deciso di avviare una nuova gelateria, si rende
conto che, i clienti manifestano preferenze e gusti
orientati all’etnico, al senza lattosio, al bio, alla
artigianalità, ecc., ecc., e quindi concentra la sua
attenzione sulla creazione di una offerta
assolutamente attinente e coerente con le preferenze
manifestate dai clienti e rilevate attraverso minuziose
analisi di mercato, e diverse ore passate ad
analizzare “survey”, fondando la propria convinzione
nel fatto che diventerà la migliore gelateria di Milano
perché produrrà il migliore gelato di Milano in tutti i
gusti e le varianti possibili.

Ce la farà?
Percorrendo questa via è pressoché impossibile,

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anche perché nello stesso momento ci saranno altri
potenziali “gelatieri” che attraverso le stesse analisi
staranno giungendo alle medesime conclusioni.

Risultato, “fenomeno mee too” e nessuna


differenziazione.

Il miglior gelato di Milano


E allora cos’è che fa muovere le masse verso le
gelaterie di un certo noto brand?
Molti affermano: “è il miglior gelato di Milano”.

Sarà vero? E, cos’ha a che fare questa scelta ed


opinione di massa, con gusto, varietà, attributi
ricercati, ed altre caratteristiche tecniche e
qualitative?
Beh, proprio nulla! O poco.

Semplicemente il brand in questione è stato il primo


ad interpretare il business del gelato in maniera
imprenditoriale ed a dichiararsi “il migliore gelato”.
Se il nostro imprenditore vorrà raggiungere una
posizione di successo dovrà per forza cercare altrove.

Non considerando la volontà o possibilità di creare


una nuova categoria di gelateria pensando anche
molto fuori dagli schemi.
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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Dovrà cominciare ad esplorare al di fuori del prodotto
ed anche fuori dal vago concetto di qualità del gelato,
quanto piuttosto nel complessivo concetto di gelateria
quale luogo di consumo occasionale o abituale di una
piacevole esperienza (qualità totale della esperienza,
o User Experience, o UX, abbreviato).

Ora, se la nostra gelateria vorrà “pensare oltre” ed


anche se sarà vero, (e sicuramente lo sarà) che avrà i
migliori gelati di Milano e tutti e più gusti, sappiamo
bene, che questo non basterà a scalzare l’opinione
dei milanesi.

Allora dovrà andare “più in la”, oltre la posizione di


migliore gelato già acquisita, giungendo all’intera
esperienza di consumo e decisione.

Dovrà pensare ad acquisire una sua unicità ed


esclusività in grado di attirare la curiosità e
l’attenzione delle masse, inducendole a “provare
senza impegno” valutando variabili che non hanno a
che fare con il gelato in se stesso, quanto piuttosto
con il processo decisionale e di consumo.

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21

Un possibile pensiero "molto laterale"


Domanda. Di cosa abbiamo tutti bisogno quando
terminiamo di mangiare il nostro “gelato da
passeggio”? Credo che la risposta sia all’unisono:
di una salviettina imbevuta che non si frantumi tra le
mani (come quei maledetti fazzolettini che non
bastano mai!) liberandoci da quella fastidiosa
sensazione di “dita incollate”, che ci trasforma in
cercatori di fontane ed erogatori d’acqua d’ogni tipo,
ovviamente sempre introvabili.

Di un buon bicchiere d’acqua, (ma anche bottiglietta;


un erogatore libero all’interno della gelateria; perché
no) possibilmente non a pagamento.

Piccole cose. Piccole attenzioni, che possono


diventare grandi agli occhi dei clienti, soprattutto
perché risolvono il problema della qualità totale della
esperienza e conducendo la gelateria ad un livello di
percezione che stimolerà molti a provare questa bella
novità.
In seguito, i clienti, sottratti alla concorrenza, potranno
anche apprezzare il buon gelato e giudicarlo (forse)
migliore del concorrente principale.
Ma dopo, molto dopo.
21 Pensiero laterale (lateral thinking) è una locuzione coniata dallo scrittore e psicologo maltese Edward De Bono. Si
tratta, sostanzialmente, di una modalità di risoluzione di problemi diversa da quella tradizionale (pensiero verticale).
Per cercare di capire meglio quanto affermato da De Bono, riportiamo una sua definizione del pensiero laterale tratta
dal suo testo “Creatività e pensiero laterale”: Il pensiero verticale è selettivo, il pensiero laterale è produttivo.

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In sintesi
Non è mai una questione di prodotto o servizio
migliore.
Utilizzare questo criterio, da un lato presume che i
nostri clienti o utenti abbiamo sufficienti competenze
per affrontare valutazioni “tecniche”, dall’altro
prescinde dalla naturale soggettività del giudizio
stesso: “migliore”.

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Consiglio 2: puntare
02 ad essere i primi
della categoria
Chi è stato il terzo aviatore a compiere la
traversata dell’Atlantico in solitario?

Difficile. Impossibile ricordarlo. Se non conoscevamo


il secondo, figuriamoci il terzo.

Va bene. Allora cambiamo domanda e prospettiva.


Chi è stata la prima donna aviatore a compiere la
traversata dell’Atlantico in solitario? Ah, certo. È
Amelia Earthart.

Amelia Earthart, nell’ordine è stata la terza a


compiere la traversata, quindi le risposte alla prima
domanda ed alla seconda sono le medesime.
La differenza sta nella categoria di appartenenza.
Aggiungendo “donna” abbiamo creato una nuova
categoria, nella quale abbiamo un
“nuovo numero 1”.

Davanti al grande successo di una bevanda


energetica, tutti i produttori (anche quelli che già
detengono posizioni di mercato enormi e storiche nel
mercato delle soft drink) hanno iniziato ad imitare.
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Ma il numero 1 è sempre lo stesso, e con enorme
distacco sulla posizione numero 2.
Ora, partendo dagli attributi e benefici di prodotto,
iniziali ed ancora preponderanti, la bevanda in
questione si posiziona prevalentemente verso un
mercato maschile fondando una promessa (almeno
quella iniziale) di elevate prestazioni di genere.

I concorrenti le hanno provate tutte per spostare le


posizioni ed aprire altri mercati, anche lavorando su
varie aromatizzazioni, tipicamente preferite dalle
donne. Ma nulla. Il leader non si sposta da li.

La scelta logica e giusta sarebbe stata quella di


creare una bevanda energetica che nasce “di genere”
con promesse esplicite di genere.
Ragionando per assurdo, si potrebbe pensare ad una
bevanda dedicata alle donne che per esempio
22
soddisfi uno specifico desiderio estetico: le dimensioni
del seno.

Poniamo, sempre per assurdo, che la bevanda sia


tecnicamente realizzabile e che gli effetti, sia pure
temporanei, siano efficaci: “avremo inventato un
nuovo prodotto in una nuova categoria, nella quale
saremmo i numeri 1”.
22 Secondo i dati pubblicati da AICPE l'aumento del seno è rimasto la procedura chirurgica più comune al mondo nel
2020, per un totale del 16% di tutte le procedure di chirurgia plastica.

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Tornando al caso della Heineken, dopo il grande
successo negli USA, al punto da divenire negli
anni’80 la prima birra di importazione, di fascia alta,
gran parte dei concorrenti, pensarono che ci potesse
essere abbastanza mercato per molte birre di
importazione di fascia alta.

Ma, ovviamente i risultati non furono affatto


soddisfacenti. Come sempre, vinse chi si spinse “fuori
dal quadrato”.

“Se esiste un mercato per la birra di importazione


nella fascia di prezzo alta, allora esiste anche un
mercato per una birra nazionale nella fascia di prezzo
alta”.

E così nacque un fenomeno di successo.


Una birra tutta statunitense, (Michlelob), che
conquistò quote di mercato superando addirittura
Heineken. Ecco il risultato di una nuova categoria.

Tutto l’opposto dei risultati raggiunti da un’altra birra di


importazione (Carlsberg) che pur godendo in Europa
di un’ottima reputazione, negli USA non riuscì mai ad
avvicinarsi, ai fatturati della Heineken.

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Restando nel campo della birra, e pensando al
“fenomeno moda” degli ultimi anni: “creare una
startup nel settore delle birre artigianali”, vi pongo una
semplice domanda, alla quale io non saprei
rispondere.

Qual è la migliore tra tutte? Qual è la migliore, in


Puglia? Lombardia? Toscana?
Impossibile definirlo.

La percezione che ne abbiamo è di totale


indifferenziazione.
Nonostante il numero sempre crescente di eventi
degustativi e fiere di ogni tipo. Sono tutte birre
artigianali. I produttori entusiasti non si offendano. La
realtà è questa, ed i contenuti di gusto, luppolo,
retrogusto, ecc., ecc. non cambiano la situazione.
Restate sempre appartenenti alla categoria delle birre
artigianali, e nessuno si è ancora dichiarato numero 1
o avuto la forza o il coraggio per farlo.

E allora pensate a creare nuove categorie. Quella del


numero di luppoli? Quella della birra cruda? Quella
delle stagionali? Quella delle regionali?
Già tutte prese.
La risposta è sempre “fuori da quadrato”.

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Guardando ad altri settori e ad esempi del passato,
nel settore dei computer, negli anni ’70, dopo il
successo di IBM ci fu un grande fenomeno imitativo,
nella speranza, spesso falsa, del mercato potenziale
di grande valore.
Ma nessuna delle “mee too company” riuscì
minimamente ad avvicinarsi ai risultati di IBM,
nell’immediato.

Fino a quando non è arrivò DEC, che tra gli anni ’70 e
’80 diventò il più grande produttore nella CATEGORIA
MICROCOMPUTER.

Questo consiglio è troppo difficile da attuare? Può


darsi. Ma nessuno vi ha mai raccontato che sarebbe
stata cosa facile. La parte più difficile è sempre la
stessa:
“uscire dal quadrato, che limita la vostra visione”.
La domanda è molto semplice ed ossessiva?

“In cosa possiamo essere migliori dei concorrenti,


fuori dall’area della qualità dei prodotti e dei servizi?”
“In cosa potremmo essere i primi?”

Ma i primi rispetto a cosa? Al prodotto? Al servizio?


Assolutamente no.

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Sono le caratteristiche tecniche e la qualità dei
prodotti e servizi “il nostro quadrato”.

Dobbiamo essere i primi in una categoria.


Una nuova, che inventeremo sulle basi del “cosa
desidererebbe il cliente che ancora non esiste (vi
ricordate l’esempio della gelateria?)” che tradotto
significa fondare le scelte sulla base dei Key Factors
e sul confronto con la concorrenza, al di fuori delle
caratteristiche tecniche dei prodotti.

La prima gelateria mani pulite.


La prima bevanda che aumenta le dimensioni del
seno.
La prima rivista per donne mature.
Il primo microcomputer.

E le attività basate sull'affermazione


2.1 del brand? Il consiglio #2

Il brand è tutto per un business! Bisogna


costantemente lavorare e investire per creare valore
sul brand! Tutto giusto, perfetto, idoneo, se pensiamo
che le scelte che facciamo ogni giorno siano
puramente razionali.

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Certo può funzionare, e funziona se siamo
abbastanza bravi da utilizzare tecniche di branding
“alternative”, altrimenti mi occorre abbastanza budget
per riuscire a convincere molte persone.

Ma se sono una startup o una piccola o microimpresa,


occorre anche e soprattutto pensare ad approcci di
altro tipo (magari combinandoli con quelli più
tradizionali).

Dovremo sfruttare l’enorme vantaggio della novità,


della freschezza e puntare a creare una nuova
categoria, indirizzando le nostre attività, sforzi e
messaggi, nell’affermare che siamo i primi di quella
categoria che prima non c’era.

La gente davanti alle novità apre la mente, abbassa le


difese, al contrario, si mette sulla difensiva se
vogliamo convincerla di essere migliore di qualcosa o
qualcuno che già esiste.

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2.2 Il caso "villaggio in città"
23 24
Nel 2010, quando ancora mi occupavo di marketing,
mi fu commissionato un lavoro interessante e tutt’altro
che banale:

Promuovere un lido/stabilimento balneare, cittadino,


in una località capoluogo sull’Adriatico.

Le attività, nelle intenzioni del cliente, avrebbero


dovuto contribuire a garantire una buona campagna
abbonamenti ed un numero di ingressi raddoppiati
rispetto all’anno precedente.

La categoria Lido cittadino


Il Lido cittadino, nella mente di potenziali clienti, è
una categoria molto precisa:
“Ci vado perché è comodo”. “Perché non ho voglia o
possibilità di spostarmi ogni giorno di 30 e più km per
trovare lidi più belli e mare più limpido”.
“Perché è meno costoso”.

Insomma, una serie di caratteristiche che però


rappresentano anche limitazioni “non desiderate”.
23 Caso reale. Si omettono nomi e riferimenti di luoghi, reali, nel rispetto deontologico di privacy del committente.

24 Nicola Vernaglione è stato prima ricercatore in marketing e poi docente in marketing ei servizi svolgendo per anni in
tale ambito l’attività di advisor e Temporary manager
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Ovvero, è sempre, e comunque, una scelta
secondaria.
“Se non scelgo il lido in città, sceglierò la spiaggia
libera in città”.

Con tutti i rischi e le conseguenze del caso. Insomma,


una scelta di ripiego, con la richiesta di un minimo
sevizio e comfort.

La situazione di partenza
Al momento di rilevare la gestione dello stabilimento
balneare, al committente si presentava la seguente
situazione:

Ottima posizione e raggiungibilità.


Clientela famigliare/popolare acquisita.
Numero di abbonamenti e ingressi in costante
riduzione (per dati acquisiti dalla gestione
precedente).
Un bar al limite della accettabilità.
Un’area pizzeria/ristorante ben strutturata, con
forno a legna ma da ristrutturare.
Un ottimo layout esterno con cabine distribuite
lungo tutto il perimetro.
Accesso diretto al mare con rampa.
Una piscina centrale con vasca da 25 metri.
Docce numerose e ben disposte.
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Inoltre, la struttura si presentava con ampi spazi
inutilizzati e potenzialmente idonei a creare ulteriori
servizi.

Dal punto di vista competitivo, la situazione di


contesto locale, prospettava la presenza di altri
quattro lidi cittadini, ognuno con dotazioni “classiche
da lido”, con area ristorazione e pizzeria funzionanti
anche di sera.

Nel panorama cittadino, il nostro Lido occupava


l’ultima posizione nella mente dei potenziali clienti, ed
i driver di scelta erano fondamentalmente due:

Prezzi popolari.
Comodità, ovvero facile da raggiungere e
parcheggi liberi.

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La threat non threat
Nella definizione del posizionamento e del vantaggio
competitivo si presero, ovviamente, in considerazione
gli aspetti ambientali di marketing analizzando la
25
SWOT dal lato opportunità e minacce, prima di
rilevare il comportamento dei competitors.

Tra tutti i “Fattori” ve ne era uno preponderante su


26
tutti: la recessione galoppante.

In realtà, la recessione, se pure in termini assoluti,


poteva essere considerato un fattore altamente
negativo che cominciava a creare condizioni di
disagio economico e finanziario a molte famiglie e
imprese, per il nostro business, al contrario,
rappresentava una reale opportunità.

Infatti, a causa degli effetti della crisi economica, le


famiglie, per reali difficoltà o per paura del futuro,

25 L’analisi SWOT è uno strumento che viene usato nella formulazione della gestione strategica. Può aiutare ad
identificare le Forze (Strengths), Debolezze (Weaknesses), Opportunità (Opportunities) e Minacce (Threats) di
un’azienda. I punti di forza e di debolezza sono fattori interni che possono creare o distruggere valore. Possono
comprendere attività, abilità, o risorse che un’azienda ha a disposizione, paragonate a quelle dei suoi competitor.
Possono essere misurate tramite valutazioni interne oppure benchmarking esterni. Le opportunità e le minacce sono
fattori esterni incontrollabili per l’azienda: questi al tempo stesso possono comportare la creazione o la distruzione del
valore. Tali fattori vengono spesso riassunti con l’abbreviazione “PEST“: fattori Politici e Legali, Economici, Sociali e
Demografici, Culturali, Tecnologici (Innovazione). Inoltre possono emergere dinamiche competitive dell’industria o dei
mercati che possono rappresentare, di volta in volta, opportunità o minacce per l’impresa.
L’analisi SWOT è un supporto alle scelte e risponde all’esigenza di razionalizzazione dei processi aziendali. E’ una
tecnica sviluppata da più di 50 anni come supporto alla definizione di strategie aziendali in contesti caratterizzati da
incertezza e forte competitività.

26 Per chi non lo sa o non lo ricorda gli anni successivi al default di importanti gruppi bancari (2008) a causa de c.d.
“derivati spazzatura” sono stati molto duri, a causa del conseguente “credit crunch” delle banche che ha creato a
discesa un restrizione del credito alle imprese ed alle famiglie con molte chiusure e moltissimi fallimenti.

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ridussero sensibilmente la spesa in vacanze “fuori
città” non rinunciando però all’idea di vacanza low
cost.

La categoria villaggio in città


Una ricerca motivazionale basata sulle percezioni
della categoria “Lido in Città” e della necessità forzata
di passare le vacanze in città, ci condusse a
considerare alcuni aspetti interessanti:

alla gran parte degli interessati, potendoselo


permettere, sarebbe piaciuta una vacanza in
crociera o in villaggio turistico;
tutti quelli che sceglievano gli altri Lidi lo
facevano, per le dotazioni di animazione e per le
qualità strutturali;
tutti, le mamme in particolare, lamentavano
l’assenza di aree dedicate ed animazione baby;
a tutti, sarebbe piaciuto avere un unico luogo
dove trascorrere tutto il giorno divertendosi e
dimenticando di essere in città e ovviamente
dimenticando la crisi economica.

Prendendo spunto da tali preziose indicazioni risultò


subito molto evidente che vi era un vuoto competitivo
rispetto al servizio desiderato dai clienti.

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Sulla base di ciò, si cominciò a costruire una nuova
categoria nella quale essere primi: IL VILLAGGIO IN
CITTA’.

Le attività di investimento strutturale e di


comunicazione furono quindi guidate dalla scelta
strategica, a cominciare dal nuovo layout, dalle
colorazioni, dalle scelte degli ombrelloni in paglia, ed
inoltre alla selezione di personale di animazione, alla
nuova grafica di corporate, alle divise degli animatori
(distinte per tipo di animazione e ruolo), alla creazione
di spazi svago (mini soccer, area baby, area Karaoke;
area TV SAT, ecc.), alla realizzazione di tornei e gare
di ogni tipo per tutte le età, alla riorganizzazione della
area ristorazione/pizzeria bar, con realizzazione di un
self service, in funzione a pranzo e pizzeria/ristorante
“mare” di sera.

Ovviamente anche la realizzazione di spettacoli serali


ebbe il suo ruolo; quindi, si crearono appuntamenti
settimanali con giochi di ruolo, cabaret e musica dal
vivo, discoteca, e tornei di carte, oltre alla proiezione
di eventi sportivi (era l’anno dei mondiali di calcio).

Infine, per completare l’offerta verso la parte alta del


servizio desiderato, si attivò un servizio
convenzionato con catena della GDO per prenotare la
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spesa da portare con sé, a casa al momento di
27
lasciare il “VILLAGGIO”.

Il nuovo posizionamento fu supportato da una buona


e differenziata campagna di comunicazione
utilizzando annunci web segmentati, radio, affissioni,
pubblicità dinamica e molto pensiero creativo.

I risultati
I risultati furono importanti.
A fronte di un investimento complessivo di poco
superiore a € 65.000 il ritorno in termini di ricavi, parlò
chiaro sin dalla campagna abbonamenti: +300%
rispetto all’anno precedente, in un solo mese effettivo,
e gli ingressi singoli giornalieri o solo pomeridiani,
ebbero una crescita progressiva e geometrica
inarrestabile, al punto di dover limitare gli ingressi per
motivi di sicurezza.

I risultati dei mesi successivi (tra abbonamenti e


ingressi) non furono da meno. Supportati dall’ovvio
fenomeno del passaparola di chi aveva già provato e
toccato con mano la nuova esperienza del
VILLAGGIO IN CITTA’.
Gli altri lidi cittadini, rimasero LIDI.

27 In effetti si era inventato il primo servizio di delivery senza APP.

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In sintesi
Quando si entra in un nuovo business occorre
comprendere che esistono tante graduazioni di
categorie, incluso quella nuova che volgiamo creare.

Non sempre è idoneo o opportuno puntare a quella


più alta, quanto piuttosto a quella più giusta.
Insomma, per fare un esempio calcistico:
“è meglio essere primi in serie B che a centro
classifica in serie A”.

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Consiglio 3: costruire
03 il focus
La ricerca del focus (o della focalizzazione) è in
assoluto l’attività più importante da compiere per
iniziare il processo di costruzione di un business
vincente.

Per questo è anche l’attività più complessa e che


richiede molto tempo, sforzo e creatività.
Quando si affronta questo argomento occorre un
esercizio che può risultare spesso molto complesso e
lungo: arrivare alla definizione di una parola semplice,
efficace, che descriva il concetto univoco da
associare al business o meglio alla “unique value
28
proposition”.

Di conseguenza, non si tratta di spingere la creatività


verso nomi di fantasia o privi di significato concreto e
reale, dovremo collegare il concetto più evidente e
forte che sia a sua volta coerente con l’applicazione
dei principi precedenti: la posizione numero 1; la
creazione di una nostra categoria.

28 La Unique Value Proposition (UVP), conosciuta anche come Unique Selling Proposition (USP), è una definizione
chiara e inequivocabile dei benefici che il tuo prodotto/servizio offre, dei problemi che risolve ai tuoi clienti e
soprattutto di ciò che ti distingue dai competitor.

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Una delle logiche applicabili, se abbastanza efficace,
potrebbe essere quella di creare un focus, fondato
sulla categoria nella quale intendiamo diventare il
numero uno.

Se vivete o vi trovate in una città di medie-grandi


dimensioni, e per questo molto servita da servizi di
29
food delivery cominciate a pensare al concetto e
quindi alla parola che corrisponde ad alcuni di questi
servizi.
“Non cucinare, resta a casa”.
“I più veloci”.
“Ti portiamo qualsiasi cosa”
Corrisponde?

ECCO, QUESTO È UN FOCUS.


La perfetta applicazione della legge della
focalizzazione prevede che tutte le attività di sviluppo
e di marketing (e quindi anche la programmazione
delle attività di comunicazione strategica e operativa)
e tutta l’organizzazione siano assolutamente coerenti
rispetto alla parola, e quindi al concetto da fare
entrare nelle menti dei nostri potenziali clienti.

29 Volutamente, in questo caso, non si riportano nomi specifici di aziende e/o gruppi. Non è mia intenzione veicolare
propaganda gratuita.

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Le attività e gli investimenti devono tendere ad un
risultato (di lungo periodo) che abbia l’obiettivo di far
divenire quel concetto associato all’azienda, così
scontata, da essere invisibile.
Invisibile, in che senso?

Proviamo con un Test rapido che vi invito a svolgere


senza pensarci su troppo.

ASSOCIATE A QUESTE PAROLE, NOMI DI


AZIENDE O ORGANIZZAZIONI
Bevanda a base di cola = ....................................
Bevanda energetica = .........................................
Viaggiare low fares = …………………………......
Computer smart graphic = ...................................
Sito ricerca immobili = .........................................
Panino con Hamburger = …….............................
Consolle giochi = ………………...........................

In (quasi) tutte le associazioni di idee riportate, vi


accorgerete che il focus è diventato quasi invisibile,
ovvero è diventato così compenetrato nel concetto
stesso del brand e dell’azienda che lo possiede, che
lo identifica con una intera categoria di prodotti o
servizi.

Aspirina? = Raffreddore
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Quando sarete giunti a questo risultato, avrete
raggiunto la posizione di leader, ma non di mercato.
Avrete la leadership nella mente dei vostri potenziali
acquirenti (o utenti), ovvero nel luogo più importante
da conquistare.

MA QUAL’E’ LA DIFFERENZA?

Semplice. La leadership di mercato è una posizione


che dipende da performance di risultato e quindi di
vendita che può essere semplicisticamente espressa
in termini di Quota di Mercato.
È un obiettivo importante, eccellente, ma che per
essere duraturo va associato ad una contestuale e
coerente posizione di leadership non misurabile in
termini aritmetici ma di percezioni.

La differenza a questo punto dovrebbe essere


evidente.

Se costruisco una leadership fondata sul focus, ho


serie possibilità, se non la certezza, di arrivare ad una
posizione di leadership di quota.

Se raggiungessi una leadership di quota, potrebbe


non essere definitiva o abbastanza duratura.

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TEMPI E INVESTIMENTI

Attenti. Lo so che vi siete illuminati, e che state


pensando che questo sia una specie di “gratta e
vinci”.
In realtà, il processo di acquisizione della focus
leadership può essere molto lungo che necessità di
investimenti (comunque di molto inferiori a quelli che
sarebbero necessari ad affermare il brand).

Il tutto in dipendenza delle dimensioni del vostro


mercato potenziale e del livello di pressione
30
competitiva, e quindi di liquidità, che si sa, in fase di
startup o avvio di un nuovo business, può
rappresentare un vincolo (si veda il CONSIGLIO # 5
e il PRINCIPIO # 4).

Quindi, dopo aver creato la vostra nuova categoria


nella quale sarete i numeri 1, occorrerà lavorare in
tutti e due i sensi: cominciamo dalla conquista della
quota e quindi dai ricavi e dalle entrate per alimentare
il processo di conquista delle leadership definitiva e/o
duratura.

30 Livello qualitativo e quantitativo dei concorrenti.

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3.1 Il consiglio #3. Le parole da cercare
In fase di avvio di un nuovo business, siamo,
ovviamente abbastanza lontani dalla posizione di
leader (nel senso di quanto appena scritto).

La di ricerca della parola o insieme di parole (poche)


che riassumano il concetto, deve rispettare due
requisiti molto importanti:

ESSERE SEMPLICE
ESSERE DISPONIBILE
La semplicità della parola può essere ricercata nella
classe dei benefici associabili al brand o meglio, ai
servizi ed ai prodotti ad esso associabili.
Arrivare al concetto migliore, necessità quindi di un
percorso che preliminarmente preveda, (attraverso
una analisi competitiva comparativa, per Key
31
Factors), la definizione di vantaggi e benefici
associabili ai brand concorrenti (e quindi ai prodotti e
servizi che li rappresentano) e di conseguenza la
32
nostra posizione di benefici obiettivo, ovvero la nostra
problem/solution.
31 Ne abbiamo parlato nella prima parte dedicata agli ERRORI. E’ la seconda parte della analisi SWOT, quella dedicata
a Strengths e Weaknesses ovvero Forze e Debolezze dei concorrenti e quindi anche nostre.

32 Qualsiasi prodotto e servizio e quindi il brand ad esso associato (questo vale anche per i nomi dei professionisti) può
essere descritto e schematizzato secondo la cosiddetta C.V.B., ovvero attraverso Caratteristiche, (tecniche,
qualitative), alle quali far corrispondere Vantaggi (qualità collegate alle caratteristiche) e quindi Benefici (come
migliora la vita del nostri clienti)
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Quindi potremmo:

permetterti di “scegliere un capo di abbigliamento


on line ma acquistarlo solo dopo la prova”

(SCEGLI – INDOSSA –PAGA);


permetterti di “vivere una vacanza o soggiorno
fuori casa “COME A CASA”;
permetterti di viaggiare “senza costi non voluti”
(LOW FARES).

Oppure potremmo concentrarci su caratteristiche e


vantaggi, unici ed inequivocabili, che rappresentino un
primato per la stessa azienda o brand, ben
comprensibili a tutti, e quindi più efficaci (questo
accade spesso per i prodotti alimentari):

Biscotti leggeri e digeribili.


Caffè come al bar.
DOC, IGT, IGP ecc.
Pasta con autentica trafilatura al bronzo.
Tipico e locale.

La scelta di una parola semplice e quindi, di un


concetto efficace, porta con sé altri ulteriori effetti
positivi.

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Se dimostriamo che quell’attributo ci appartiene
davvero (ovvero non è solo uno slogan o una trovata
estemporanea, ma frutto di una seria visione
aziendale) i clienti ce ne concederanno molti altri;
alcuni, di loro esclusiva creazione e, spesso, anche di
autosuggestione.

“Da quando mangio quel prodotto X mi sento più in


forma”.

“Da quando acquisto abbigliamento sul portale Y non


regalo più indumenti che non metto”.

3.2 Restringere il focus


Torniamo “al Via”, ovvero al PRINCIPIO #1. Rileggete
del laser e della lampadina. Fatto? Bene, ora
possiamo, affrontare il concetto di “restringere il
focus”.

L’assunto di base riguarda la specializzazione o


specialità, ma non quella che scriviamo sulle nostre
belle brochure o bigliettini, o sulla pagina “chi siamo”
del sito web, questo conta davvero poco.

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La vera specializzazione è quella che ci riconosce il
pubblico, il nostro pubblico, fatto di, clienti, potenziali
clienti, utenti e influenzatori, e, il grande vantaggio di
avviare un nuovo business (a differenza di quelli già
33
esistenti), sta proprio in questo: facciamogli vedere
quello che vogliamo venga visto!

La regola fondamentale o aurea è sempre la stessa:


“Li fuori, ci vedono bravi o migliori per una o al
massimo due cose”

Di conseguenza se aggiungiamo, otterremo il risultato


opposto alle aspettative: confusione, non
focalizzazione, mancate vendite!

Per questo il programma di un nuovo business deve


prevedere l’applicazione della focalizzazione e della
scalabilità, ovvero:

partire da un Concetto Forte e Focalizzato;


costruirvi una visione o proposta di valore;
associarvi pochi prodotti e servizi inziali efficaci e
“forti”.

33 Rilocalizzare e riposizionare un business e un brand esistente (vale anche per i nomi dei professionisti e degli Studi)
è un processo lungo e costoso, che non sempre produce i risultati desiderati. In questo caso il SEGRETO applicabile
sta nel non dimenticare in cosa ci vedono bravi, o meglio, numero 1, e partire da quella posizione. Ma questa è
un’altra storia.

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Così saremo in grado di dimostrare che siamo
“davvero bravi” in quello che facciamo. Che la nostra
value proposition è davvero importante e reale. Che
vale la pena sperimentarci e, considerarci, numeri 1,
nella nostra categoria.

Solo in seguito amplieremo la gamma di prodotti e


servizi, ma solo di quelli che rispetteranno il vincolo di
coerenza del focus.

ALCUNI ESEMPI
Dal concetto di car sharing possono nascere altri
servizi legati al concetto di sharing economy della
mobilità.

Dal concetto di home food delivery sono nati altri


servizi legati al luogo ed al delivery (WYW delivery,
ovvero Wherever o Whatever You Want).

Dal concetto di hospitality possono nascere servizi


legati al “come a casa”.

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L'errore della focalizzazione sulla
3.3 qualità
So già, che quello che state per leggere non vi
piacerà molto. Ma fate uno sforzo di apertura mentale
e comprenderete.

I concetti di qualità, qualità tecnica totale e


benchmarking fondati sulla ricerca della qualità
assoluta, sono stati e sono ancora molto sopravalutati
(PRINCIPIO # 3 – IL PARADOSSO DEL TONNO), e
di fatto non contribuiscono a creare focus e
posizionamenti efficaci, al più, possono contribuire a
sostenere programmi e processi di Vantaggi
Competitivi basati sulla leadership di costo, quali la
34
tecnica del Target Costing.

PERCHE’ LA QUALITA’ NON È ABBASTANZA


EFFICACE
Il concetto di qualità tecnica (ovvero il nostro aviatore,
Hinkler), non è e non può essere, un elemento
oggettivo e condiviso. Esistono, nella nostra mente,
tante graduazioni di qualità, che ne fanno un concetto
soggettivo e relativo, molto influenzato dalle nostre

34
Per approfondire si suggerisce la lettura di Michael E. Porter. “Il vantaggio Competitivo”.

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conoscenze specifiche, dalle nostre mai sufficienti
nozioni tecniche del prodotto o servizio che stiamo
valutando prima dell’acquisto.

Cosa significa, la dichiarazione “la nostra società di


consulenza, fonda la propria filosofia sulla qualità dei
servizi?”

Si, ma qual è la qualità del servizio che devo


valutare? Non conosco il servizio, quindi non posso
valutarne la qualità, non ne è ho gli elementi.
E cosa significa “Il nostro ristorante gourmet si basa
sulla qualità delle materie prime”.
Si, ma lo dichiara anche un noto brand di fast food
che di certo non è e non vuole essere gourmet.
Ora cominciate a comprendere?

L’errore di valutazione si fa ancora più grande quando


introduciamo l’altro cavallo di battaglia: “fondiamo
tutto sul rapporto qualità/prezzo, e saremo i più
convenienti”. Ma perché, questa follia?

Nei servizi, (soprattutto), il prezzo lo si definisce come


“una variabile implicita della qualità”, traducendo,
significa che se mi rivolgo ad un Avvocato che ha
tariffe molto alte, mi aspetto un ottimo risultato, non
avendo alcuna idea o concetto di come si svolga il
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servizio che sto acquistando, e, quindi, NON
CONOSCENDONE LA QUALITA’ TECNICA.

ORA È QUASI TUTTO CHIARO.


I beni e servizi di qualità percepita elevata, devono
avere un prezzo medio alto. Al contrario quelli di
qualità percepita bassa.
Se scelgo un discount lo faccio per un motivo molto
chiaro ed evidente!

Se non lo scelgo il motivo è ugualmente chiaro!


Quindi, il focus non è sulla qualità, quanto piuttosto
sulla CONVENIENZA o RICERCATEZZA.

Il concetto di qualità soggettiva lo costruiranno i nostri


clienti, nelle loro teste, ognuno con la propria scala di
valori. Il nostro compito sarà semplicemente quello di
concepire un FOCUS fondato su:

IL PIU’ CONVENIENTE
IL PIU’ RICERCATO

ABBIAMO BISOGNO DI “FAN”


Nel costruire il focus si potrebbe ottenere una migliore
efficacia, presentandosi come “opposti a”, “non”,
“come, ma…”.

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Non posso presentarmi come “il commercialista che
ti farà pagare meno tasse”, non ho un reale opposto.
Non esiste un commercialista così pazzo da
dichiararsi “quello che ti farà pagare più tasse”.

Posso però dichiarami come il migliore nella


consulenza delle microimprese, delle partite IVA
35
forfettarie, delle S.r.l. semplificate o piuttosto
36
specializzato in startup e PMI innovative, o restando
in tema di tasse, “dello specialista in deduzione o
detrazione di costi e spese dalla dichiarazione dei
redditi”
In questo caso avrò creato una categoria, avrò dei
fan, avrò i miei opposti o diversi. Ma i veri fan ed il
vero successo si creano, quando altri entrano nella
nostra categoria, alimentando la graduatoria, in cima
alla quale ci siamo noi. Essere i primi di 100 da
sicuramente più prestigio che essere soli.

In sintesi
Prima che clienti create audience e fan intorno ad un
concetto molto forte. La creazione di un concetto forte
non è altro che la trasformazione della UVP in una
specializzazione che magari (se possibile) abbia un
opposto.

35 Gli specialisti perdoneranno se non sono stato estremamente tecnico nella definizione. Ma non è un mio focus.
36
Questo invece lo é.

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Consiglio 4: costruire
04 associazioni uniche
Cosa sono le cartoline o loghi mentali?
Sono immagini mentali che ognuno di noi associa in
maniera unica ed esclusiva, ad un concetto, una
parola, un luogo. Un vincolo istantaneo ed inconscio
che ha come risultato quello di rendere tutti coloro che
dovessero usare gli stessi concetti, parole e luoghi,
delle imitazioni.
Al massimo buone imitazioni, ma senza alcuna
speranza di raggiungere la posizione numero 1.

Proviamo a chiarire il concetto ed anche in questo


caso lo facciamo con un test rapidissimo.

Associate l’immagine relativa ad ognuno dei luoghi


che seguono (istintivamente, senza pensarci su):

Parigi = ………………………
Roma = ………………………
Londra=………………………

Ovviamente avrete risposto in sequenza: Tour Eiffel,


Colosseo, Big Ben.

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Cosa sono questi tre monumenti per le tre città?
Le cartoline, ovvero ciò che le rappresenta in
maniera unica ed esclusiva senza possibilità di
errore.

Soffermiamoci sui due concetti: unica ed esclusiva.


I tre monumenti li trovi soltanto nelle città, ma non
significa che sceglierai di visitare quelle città soltanto
per i loro monumenti.

Cosa significa, in pratica. Che la cartolina ed il


concetto di unicità ed esclusività, sono di assoluta
importanza per creare una rapida ed efficace
attrazione ed attenzione verso il luogo (o l’azienda,
nel nostro caso), per poi condurre il cliente (o turista)
verso la scoperta della nostra offerta complessiva.

Certo sarebbe complicato scegliere tra Parigi e Roma


se invece della cartolina monumento avessi scelto
altri elementi più generici, quali arte, cucina, cultura.

Qual è la città dell’arte in Europa? E quella della


cucina? Della cultura?

Le risposte possono essere svariate e soggettive, a


seconda delle nostre preferenze.

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Ecco, la logica della cartolina o logo mentale è proprio
questa: evitare la soggettività.
Creare un concetto, ovvero un’immagine che sia di
unica interpretazione ed associazione, senza
possibilità di interpretazioni soggettive.

Restando sui luoghi, spesso ci capita di guardare sui


social network, (soprattutto d’estate) foto di spiagge
bellissime, con sabbia bianca e mare cristallino, e
magari qualche albero di palma sparso qua e là, con
la solita banale domanda, “indovina dove sono”?

In mille possibili posti, potremmo rispondere, tranne il


fatto che la cartolina, sabbia, mare, palme ha un
nome ben preciso, ed ecco perché tutte le cartoline
imitative spesso assumono il nome dell’originale con
l’aggiunta della sottomarca.
I Caraibi del........, le Maldive del........, la Rimini
del........, la Parigi del........

Fin qui tutto semplice, ovvio, scontato. Ma


raggiungere questo risultato per un nuovo business
non è un processo altrettanto facile.

Per arrivarci occorre ripercorrere tutte le tappe dei


principi e consigli fin qui letti e dopo aver definito quali

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siano i concetti o la parole candidate a divenire la
nostra cartolina, effettuare le verifiche di non
appartenenza ad altri, e, infine verificarne la reale
efficacia evocativa verso i potenziali clienti.

4.1 Il consiglio #4
Quando un concorrente possiede una parola, un
concetto, una evocazione o una posizione nella
mente del potenziale cliente, è totalmente inutile
tentare di possedere la stessa parola, concetto.

Seguendo gli esempi fatti nel capitolo precedente


ognuna delle aziende può possedere la parola
“ricercato o conveniente” nella categoria “food” e solo
l’aggiunta di una nuova categoria derivata potrebbe
cambiare le condizioni di competizione: “street food”,
“local food”, ovviamente entrambi associabili alla
categoria madre, “ricercato o conveniente”.

Nonostante la cultura aziendale ed i casi che ne sono


derivati, raccontino di simili errori, molte aziende,
specialmente quelle più piccole o in fase di startup,
continuano ad ignorare questa importante regola.

Una volta che la gente si è fatta un’idea, è pressoché


impossibile fargliela cambiare, se non con immensi
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sforzi e molto tempo, e senza che il risultato sia
garantito.
È un processo mentale automatico ed inconscio, e
funziona per tutto, anche per le persone.

Ogni tentativo di assumere un concetto o parola già


posseduti da altri, in effetti, ci conduce al risultato
opposto: finiamo per rafforzare la posizione del
numero 1 aumentando l’importanza del concetto.

Torniamo al caso della gelateria di Milano. Se tutte le


potenziali nuove gelaterie fondano le loro ricerche
chiedendo “come vorreste il vostro gelato?”, restando
però nell’area del prodotto, tutte giungeranno alle
medesime conclusioni affermando in maniera
entusiasta ed orgogliosa di avere “il gelato più buono
di Milano”.
Ma non è possibile. Nella mente della gente questa
posizione si è già formata, ed ha un leader. Farle
cambiare idea è praticamente impossibile.

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Cartoline di posizione. Il concetto di
4.2 rendita

La rendita di posizione è un concetto di Economia che


viene definito come segue:

“rendita (o reddito), connessa alla localizzazione del


terreno. La rendita di posizione non è ricollegabile alle
caratteristiche fisiche del fattore terra, ma al fatto che
quest'ultima è situata in prossimità di agglomerati
urbani o in una posizione particolarmente favorevole
che, ad esempio, comporterà minori costi di trasporto
ed un maggiore margine di profitto”.

Anche nella definizione del concetto unico ed


esclusivo, e della cartolina derivata, esiste la
possibilità di partire da condizioni di favore legate al
luogo di provenienza. Tra le cartoline mentali
condivise, esistono a livello mondiale, concetti di
esclusività inconfutabili.

Ad esempio, se parlo di cibo e quindi della categoria


food, in termini di varietà, qualità e specializzazione,
non posso che pensare all’Italia. Ciò significa che se
sto pensando, ad esempio, di creare una startup che
promuove il local food all’estero, la mia credibilità e

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reputazione saranno già elevati in partenza,
ovviamente se l’azienda è italiana, ha un nome
italiano ed è formata da Italiani.

Dopotutto, sono sotto gli occhi di tutti i vari e


innumerevoli (e, aggiungiamo, spesso squallidi)
tentativi di imitazione di prodotti e nomi di aziende che
rappresentano l’eccellenza nell’agroalimentare
italiano.
Molte aziende estere locali utilizzano nomi italiani per
promuovere i loro pomodori in scatola, vini o
spaghetti, che quasi mai, nulla hanno a che fare con
gli originali, nemmeno per le materie prime utilizzate.

Ma le rendite di posizione non esistono solo a livello


macro. Per le attività di prossimità come, ad esempio,
il retail o la ristorazione, le rendite di posizione
all’interno di una città sono altrettanto importanti ed
andrebbero prese in considerazione quando si
definisce la scelta localizzativa.
Ogni città, specialmente in quelle più grandi, possiede
zone a vocazione tipica, che ne definiscono una
specializzazione e quindi una capacità attrattiva di
segmenti di clienti in relazione a scelte o bisogni.

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Passiamo alla traduzione del concetto.
Se sono in una città di mare, cercherò (se sono un
turista, per esempio) un buon “ristorante di pesce”,
proprio vicino al mare; è evidente.
Se arrivo a Milano per fare shopping, andrò nelle vie
dello shopping, e sceglierò quella più vicina alle mie
possibilità; è evidente.

Il livello successivo, per sfruttare la rendita di


posizione in un contesto competitivo molto affollato
(molti concorrenti concentrati in un solo luogo), è
quello di trovare la parola ed il concetto unico che ci
distingue per non essere o diventare “un ristorante”,
“un negozio”, ma “il ristorante che…, dove….”, “il
negozio che…, dove….”.

4.3 Il caso Thin Lenses e la nicchia


37

38
Alla fine del 1995 fui chiamato, come manager
esterno in consulenza, da una piccola azienda
specializzata nella produzione di lenti correttive “da
vista”, per guidare un processo di ampliamento del
mercato.

37
Nome di fantasia collegato ad un caso reale. Non si riportano i nomi reali dell’azienda, delle persone e dei prodotti
per rispettarne la privacy

38
Nicola Vernaglione è stato per 4 anni, dal 1996 al 2000, Advisor Manager di un’impresa di produzione di lenti
correttive specializzata in “forti miopie”.

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L’azienda in questione, al mio arrivo, aveva un
mercato pressoché ultraregionale, ovvero serviva due
regioni.
Il canale di riferimento era ovviamente Btb ed operava
direttamente con propri commerciali interni sul canale
ottici, ed indirettamente con due distributori e
depositari nei punti più lontani da raggiungere.

Le consegne erano molto efficienti, con corrieri interni


che ogni giorno provvedevano a distribuire i prodotti
agli ottici. Insomma, un piccolo gioiello di efficienza.
La Thin Lenses aveva un grosso pregio ed un
importante difetto.

Il Pregio.
L’azienda era dotata di una fortissima ed esclusiva
specializzazione nel produrre lenti ad alto potere
correttivo (cioè per forti miopi) di spessore
notevolmente inferiore rispetto agli standard di
mercato.
Rispetto a tutte le lenti commercializzate, e quindi
anche quelle dei leader e big player, si riusciva ad
ottenere un abbattimento di spessore della lente che
in alcuni casi raggiungeva e superava anche il 50%,
con proporzione crescente rispetto all’aumento delle
diottrie da correggere.
39
Nome di fantasia non associabile al vero nome dell’impresa.

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Un risultato ottenuto grazie all’ingegno ed all’impegno
del Direttore Tecnico ed Amministratore della società,
che riuscì nel tempo a perfezionare anche le
procedure di lavorazione e quindi trasferirle al
personale tecnico di laboratorio.

Il Difetto.
Il solito e ricorrente. La mancata focalizzazione. I
listini di vendita presentavano, sotto lo stesso brand,
sia i prodotti che rappresentavano l’azienda e che
avevano un elevato valore aggiunto ed un relativo
prezzo molto alto già agli ottici, sia altri prodotti,
cosiddetti “di consumo”, ovvero lenti ordinarie a basso
potere correttivo, che nella mente dell’amministratore
e dei soci, avrebbero dovuto avere il compito di
completare l’offerta e fidelizzare totalmente gli ottici.
Ma questo non avveniva mai.

LA PERCEZIONE DEGLI OTTICI


Gli ottici pur riconoscendo la grande specializzazione
e qualità dei prodotti, vivevano gli ordini quasi come
un “male necessario”, ovviamente realizzando il loro
buon guadagno, e spesso, se non sempre,
spacciavano le lenti della Thin Lenses per quelle di
una azienda Leader (chi avrebbe mai acquistato delle
lenti così care prodotte da un nome sconosciuto?).

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Quando al contrario ordinavano le lenti ordinarie più
per comodità di unico ordine ma anche per sconti di
valore, realizzavano la loro vendetta, chiedevano
sconti e prezzi sempre più bassi, o almeno
sensibilmente più bassi rispetto a quelli dei big player.
A proposito di loro, in quegli anni (giusto per farsi un
idea) i nomi erano Galileo, Essilor, Hoya, Zeiss e
numerose altre.

NON LENTI MA PRODOTTI ESTETICI


Il lavoro non sarebbe stato affatto facile: per avviare
un programma di crescita sul mercato nazionale ed
internazionale, si sarebbe dovuta focalizzare
l’attenzione sul prodotto specialistico, di nicchia,
eliminando tutto quello che non serviva.
La prima attività necessaria fu quella di posizionare il
prodotto in una categoria ben specifica, dandogli un
nome ed un concetto efficace.

Si cominciò dal cercare una proposta di valore,


concentrandosi sulle percezioni del cliente finale (il
portatore di lenti correttive).
Tra tutte le variabili e le percezioni, la
problem/solution prevalente (e di molto rispetto a tutte
le altre), fu quella di ambire alla “normalità dello
sguardo”, ovvero tutti i miopi (specialmente quelli a
forte miopia) lamentavano il fatto che le lenti in
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commercio che erano obbligati a portare, donavano
loro uno sguardo ed un viso quasi deturpato da quel
maledetto effetto “fondo di bottiglia” (ovvero eccessivo
rimpicciolimento degli occhi circondati dalle
cerchiature della lente).

Per tutti, i driver di scelta nell’area tecnica del


prodotto, risultavano scontati: i poteri correttivi, ovvero
la funzionalità della lente; l’antiriflesso e l’antigraffio (i
due trattamenti classici delle lenti).
Nessun miope al momento di acquistare le lenti,
aveva (ed ha) le competenze tecniche per valutare se
una lente possa essere migliore di altre rispetto a tali
caratteristiche, al punto da giustificarne un prezzo
superiore. Solo il nome dell’azienda che le produce,
forse, ma soprattutto, il consiglio dell’ottico “di fiducia”.

L’unico aspetto che qualsiasi miope poteva valutare


da sé era la eliminazione o sensibile riduzione di
quello sgradevole effetto.

Seguendo questa strada (in realtà si era aperta una


vera autostrada) e guardando alla accesissima lotta
per conquistare la categoria, “sottile”, “più sottile”,
comprendemmo che avevamo una unica possibilità:

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creare una nuova categoria, nella quale, grazie anche
alla specializzazione esclusiva, potevamo essere i
40
numeri 1: quella delle lenti estetiche per miopi.

Una operazione tutt’altro che semplice, soprattutto


perché, occorreva convincere l’amministratore e
Direttore Tecnico (nonché padre e creatore orgoglioso
delle lenti) che non producevamo più lenti ma prodotti
cosmetici. (il nostro cosa legato alla problem/solution
era senza alcun dubbio quello).

Dopo svariate e convulse riunioni, si riuscì, nel corso


di tutto il 1996 e nell’anno successivo, a mettere a
punto questo nuovo concetto (prima di presentarci al
mercato nazionale ed internazionale attraverso la
partecipazione come espositori alla Fiera
Internazionale settoriale di Milano).

LA CONQUISTA DEL MERCATO


In seguito a questo nuovo posizionamento ed alla
41
partecipazione al M.I.D.O. e successivamente
all’evento correlato a Parigi (S.I.L.M.O.), con un
importante (ma non eccessivo) supporto commerciale
e promozionale, l’azienda riuscì a conquistare
progressivamente il mercato nazionale, puntando, in
40
Le lenti a contatto estetiche sono venute molto dopo nel tempo, così come il perfezionamento e la diffusione degli
interventi chirurgici corneali.

41 Mostra Internazionale dell’Ottica di Milano.


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coerenza, su una distribuzione selettiva, ovvero,
selezionando uno o più ottici di una certa città o
località ai quali concedere in esclusiva la vendita del
prodotto.

Di pari passo, progredì l’avvio del programma


all’estero. Prima però si rese opportunamente
necessaria una attività di protezione della proprietà
intellettuale, ovvero la richiesta e l’ottenimento del
brevetto delle geometrie e tecniche di lavorazione e
produzione.

Grazie anche al brevetto, si avviò una prima


collaborazione (con un importante produttore e
distributore francese) per la vendita in Europa Centro
Occidentale.

LA EXIT
Fino a quando, anche grazie o a causa del brevetto,
l’azienda, “uscendo dalla nicchia” venne scoperta, dai
più grandi, con grande loro fastidio: stavamo
mangiando quote di mercato in Italia ed in Europa, e
questo non era affatto concepibile, soprattutto su
prodotti per i quali (i big players) spendevano molto in
Ricerca e Sviluppo, e sui quali puntavano per il futuro
immediato delle vendite e dei profitti.

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Tutti i grandi manager delle multinazionali si
domandavano come fossimo riusciti a portare a casa
“questo miracolo”.

In seguito (e come possibile conseguenza) scattò


l’opzione “exit”.
Uno degli ultimi eventi (era la metà del 2000), prima
che lasciassi l’azienda (nella convinzione di aver
concluso un ciclo), fu la delocalizzazione produttiva
grazie all’utilizzo del brevetto; contratti di royalties
sulle produzioni, e (ma non vi ho partecipato
personalmente) l’offerta da parte di una
multinazionale, di rilevare tutto il pacchetto con
relativa opzione economica molto interessante.

In sintesi
Costruiamo bene, con pazienza e con la giusta
velocità, senza mai farci prendere dalla frenesia della
“exit milionaria”. Questa, se arriva, è il completamento
logico di un processo paziente e pressoché,
scientifico.

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Consiglio 5: la ricerca
05 dei fondi
Se avete messo a punto una buona idea e pensate di
essere ad un buon punto per arrivare alla fatidica
“Revenue” del vostro Business Model, quello che
state per leggere avrà lo stesso effetto di una
secchiata di acqua gelata. Almeno all’inizio.

Immaginare di avviare un business vincente, pur


rispettando ed applicando tutti i principi e consigli letti
fino ad ora, è una operazione impossibile, senza le
necessarie risorse finanziarie.

Niente di strano o comunque di tanto diverso, da


quello che già pensavate prima di leggere la prima
pagina di questo book. Vi sarete resi conto che la
creazione di un business vincente è un processo che
deve raggiungere la mente del potenziale cliente
prima del suo portafoglio. Per trovare una chiave di
ingresso efficace, occorrono investimenti e quindi,
soldi.

E non sto parlando soltanto di pubblicità o meglio di


advertising.

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La pubblicità non è la soluzione al problema di
affermarsi presso i clienti potenziali.
La pubblicità è costosa anche quella che per
credenza comune non sembrerebbe esserlo:
mantenere la posizione numero 1 sulle ricerche
Google. Per categorie ed in città mediamente
competitive, (ad esempio Wine bar Milano) può
arrivare a costare fino a € 25.000 all’anno.
Ora è chiaro quanto costa?

Pensare alla sola pubblicità per sponsorizzare il


vostro progetto può far crollare ogni velleità in un
istante e trasformare quel sogno in un incubo,
soprattutto se ci mettiamo le mani in tasca e vi
troviamo pochi spiccioli.
Quindi è fin troppo evidente: un’idea senza soldi
vale nulla?

Beh…non proprio.

Gli investimenti inziali in attività di comunicazione e


promozione dovranno puntare a costruire la credibilità
dell’idea e del progetto. Dovete usare la vostra idea
per trovare soldi, per rimuovere il vincolo finanziario,
per trovare l’aiuto iniziale che vi serve, ovvero creare
il marketing del progetto.
Vediamo come si può arrivare all’obiettivo.
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5.1 Consiglio #5. Il progetto appetibile
Se state cercando sponsor non vi è alcun dubbio:
avete bisogno di trasformare la vostra idea in un
progetto strutturato. Avete bisogno di un business
plan e di un “deck”.

“Ma a cosa mi serve un business plan?


So già cosa fare, adesso le priorità sono altre, e i soldi
(o il tempo), mi servono per sviluppare al meglio il mio
progetto!”

È questa una delle frasi ricorrenti di molti “startupper”.

Vale la pena, chiarire alcuni aspetti fondamentali.


Il business model non è una parte astratta del
business, e non è la rappresentazione totale e
complessiva del business.

Il business plan non è solo un estratto contabile con


numeri astratti ma il risulato di assunzioni credibili
sviluppate dal business model.

Quindi non è assolutamente logico o completo,


presentare un progetto con il solo supporto del
business model.
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Va bene se siete all’Università, partecipate ad un
Contest “figo”, o ad un concorso per l’ammissione in
un incubatore di startup.
Per creare un business vi servono le idee chiare
dall’inizio, a partire dal fabbisogno finanziario, e
questo ve lo può dire soltanto un business plan.

Ma il business plan, “master”, non è il documento che


vi servirà (almeno non in prima battuta) a creare
interesse e coinvolgimento; a intercettare risorse e
investitori.
Il marketing del progetto, prevede che vi siano
supporti “più leggeri” e leggibili, che vanno creati ed
utilizzati secondo logiche e progressioni ben precise,
per verificare la maturazione dell’interesse e creare
scremature rispetto a coloro che non vedono il chiaro
messaggio “no perditempo, grazie”.

Stiamo parlando in prima battuta, del pitch o del


deck..
Ovvero di quelle 10-15 slide che sintetizzano in
maniera chiara ed esaustiva gli aspetti principali del
business, inclusi quelli di natura finanziaria, partendo
da come si generano i Ricavi. Ovviamente il
“packaging” e quindi la parte grafica assume un ruolo
importante: deve attirare l’interesse e l’attenzione.

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L’elevator pitch può avere ovviamente anche una
versione video. Il format deve prevedere un impegno
42
massimo di lettura o visone/ascolto molto ridotta.

l passaggio successivo riguarda la creazione di un


supporto/estratto del business plan master,
comunemente indicato come short business plan. La
parola stessa lo descrive.

È una versione ridotta ma esaustiva ed analitica del


business plan che prevede, quasi sempre una
sezione dedicata a “THE ASK” ovvero cosa
chiediamo, in termini di risorse, giustificandone
l’utilizzo in una time lime credibile almeno semestrale
(e al massimo annuale), e rappresentando in un
apposito piano finanziario l’uso mensile che si farà
delle risorse (BURNING RATE) ed i risultati
auspicabili programmati nel Business Plan.

DOVE E COME UTILIZZO I SUPPORTI


La risposta giusta porta ad una prioritaria domanda.
“Chi voglio interessare al mio progetto?”

Lasciando perdere, per un attimo, l’utilizzo per la


partecipazione a bandi, contest e gare di ogni tipo, la
ricerca iniziale può essere rivolta a coinvolgere
42
A tal proposito vi invito a visionare uno o più siti dedicati all’argomento “come creare un elevator pitch”. Sono molti e
molto ben fatti, perlopiù.

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partner che apportino risorse tecniche (ad esempio,
se devo sviluppare una piattaforma web molto
costosa e che necessita di attività di aggiornamento
costante, potrei presentarla ad uno sviluppatore o ad
una società di sviluppo, per renderla partner del
founder team), oppure risorse finanziarie (investitori
privati; imprenditori del settore; o semplicemente
parenti e amici che credono in voi e nel progetto).

Nella fase iniziale, ovvero quando il valore del


progetto è ancora minimo ed il modello non ha ancora
ricevuto test, non è consigliabile approcciarsi al equity
43 44
crowdfunding o alle società di venture capital.

Sull’utilizzo dei canali più idonei il consiglio migliore è


ovviamente quello di diversificare e scegliere a
seconda del livello di protezione del diritto di proprietà
o d’autore che possedete, e del livello di fiducia verso
l’interlocutore.
43
Il crowdfunding è un fenomeno che si è diffuso negli ultimi anni ma che trova radici ben più radicate nel tempo. Il
termine utilizzato, che racchiude in sé i concetti di folla (crowd) e finanziamento (funding), ha in realtà un significato
ben più profondo che per certi versi può essere sintetizzato come una reinterpretazione della raccolta fondi nell'era
digitale. Il modello equity prevede un finanziamento sotto forma di capitale di rischio al fine di ottenere delle quote di
partecipazione nella società.

44 Un fondo di venture capital investe principalmente in capitale finanziario nelle imprese che sono troppo rischiose per i
mercati dei capitali standard o dei prestiti bancari. Spesso lo stesso nome è dato ai fondi creati appositamente,
mentre i soggetti che effettuano queste operazioni sono detti venture capitalist. Nella maggioranza dei casi, i fondi
necessari sono erogati da limited partnership o holding in aziende che per natura della attività e stadio di sviluppo
non risultano finanziabili dai tradizionali intermediari finanziari (come ad esempio le banche). Il venture capital è una
categoria del settore del private equity, che raggruppa tutte le categorie di investimenti in società non quotate su un
mercato regolamentato. L'investimento di venture capital si caratterizza per i seguenti elementi:
fase di sviluppo: investe in idee imprenditoriali particolarmente promettenti (seed financing) e società in start up nelle
prime fasi di vita (venture financing) fin dalle fasi pre revenue, ovvero senza che siano ancora stati approntati i
prodotti/servizi da vendere e quindi nella fase di investimento in prodotto; ambiti tecnologici: investimenti in aree ad
alto contenuto di innovazione; rischio: le società in cui i fondi di venture capital investono sono caratterizzate dalla
contemporanea presenza di un elevato rischio operativo, ovvero non ha ancora chiaro se la società avrà un mercato
per i propri prodotti, e rischio finanziario, per cui l'investitore non sa se avrà modo di recuperare il capitale investito.

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È evidente che posso utilizzare anche i canali social
(in particolare LinkedIn, così come YouTube) per
pubblicare il pitch.
Al minimo servirà a raccogliere (dal numero di click), il
livello di interesse, e quindi ottenere un feedback.

Il passaggio al secondo livello di interesse e poi al


terzo prevede documenti a supporto, come lettere di
intenti, regolamenti di Governance, ipotesi di uscita e
remunerazione, accordi di confidenzialità.
Insomma, tutti i supporti di natura prevalentemente
legale che potranno “proteggere” le trattative e
rendere chiari anche gli aspetti più ostici, se le cose
dovessero andare per il peggio.

In sintesi: prima sviluppate l’idea; lo trasformate in


progetto; testate l’efficacia del modello di business e
poi andate in cerca dei soldi per trasformarla in
business reale. Ed ecco alcuni ulteriori suggerimenti
di base:

Create i presupposti idonei di credibilità intorno


all’idea a partire dal founder staff (o team). La
coerenza e competenza del team promotore vi
renderà molto più “appetibili in termini di
cantierabilità”.

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Il mondo è pieno di buone idee, per trasformarle in
business sono necessarie le competenze giuste o
almeno le attitudini giuste.

Scegliete la forma giuridica giusta per la crescita e per


attrarre investitori.
Chi investirebbe o parteciperebbe mai in una ditta
individuale o società di persone, o peggio, S.r.l.
semplificata?

Applicate tutte le forme d’impresa che creino vantaggi


per voi e per gli investitori, come la possibilità di
qualificarsi startup innovativa (laddove possibile).

Non, e dico NON, pensate al risparmio iniziale o alla


falsa credenza delle c.d. “SRL semplificate”.
Il Capitale sociale, o meglio, il Patrimonio Netto, di
una SRL è uno dei principali indici di credibilità e
serietà verso tutti gli stakeholders finanziari.
Di qualsiasi genere.

Abbandonate (non definitivamente) l’idea del jackpot


mito “l’idea acquistata per qualche milionata di euro”.
Vi trasformerete in brevissimo tempo da potenziali
brillanti imprenditori in appartenenti al club
“dell’anonima startupper” che fa della condizione di

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startupper e della partecipazione a concorsi e contest
“nella speranza di…”, un lavoro fine a sé stesso.

In sintesi
I soldi fanno girare il business.
Siate bravi a trovarli nel modo giusto, creando
presupposti di credibilità.

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INFO

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Come posso
01 approfondire?

Se dopo aver letto questa guida hai la sensazione che


gli argomenti siano troppi e/o troppo tecnici, prenditi
un attimo di riflessione.

La corretta definizione e applicazioni delle detrazioni


spettanti agli investitori in startup e pmi innovative,
richiede una adeguata e approfondita conoscenza
della normativa e delle relative modalità di
applicazione e produzione documentale.

Il rischio di incorrere in errori e “trappole” e fin troppo


evidente. Occorre anche tener conto delle esatte
procedure (e dei tempi necessari) per accreditare la
richiesta dell’agevolazione al 50% con opportuno
calcolo preventivo del “plafond deminimis” e del
preventivo calcolo di opportunità di fruizione della
detrazione al 30% o 50%.

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L'autore di questa
02 guida
Nicola Vernaglione
Founder e CEO CREAZIONEIMPRESA SRL – SB.
Certified Startup advisor & specialist, certified innovation manager in per
l’innovazione gestionale e organizzativa delle PMI.
Dottore commercialista, consulente per l’innovazione del business, con circa 30
anni di esperienza. Laureato in Economia, si è poi specializzato in Business
Planning.
E’ stato ricercatore e Docente in marketing strategico e marketing dei servizi
presso la Facoltà di Economia di Bari.
Ha svolto e svolge attività di assistenza per numerose Amministrazioni
Pubbliche sia come valutatore di bandi progetti sia come monitor e mentor di
progetti avviati e agevolati. E’ componente stabile di alcuni nuclei di valutazione
di call for ideas, competition e premi nazionali dedicati alle startup. E’
componente della commissione startup e PMI dell’Ordine dei Dottori
Commercialisti di Milano. E’ autore del libro “startupper 10 e lode” e di numerosi
articoli tematici su startup e PMI innovative. Ha supportato alla nascita e
sviluppo oltre 300 imprese (tra microimprese, startup innovative, PMI)

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