Sei sulla pagina 1di 31

DIRITTO DEL LAVORO AVANZATO

Pietro Antonio Varesi

Il programma si è diviso in due parti:


- Diritto del mercato del lavoro.
- Diritto sindacale: disciplina molto più complessa nel nostro paese rispetto agli altri paesi europei e
del mondo.

DIRITTO DEL MERCATO DEL LAVORO

POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO: OBIETTIVI EE STRUMENTI ALLA LUCE DEL S.E.O. – CAP.3
Comparto delle politiche del lavoro, che secondo la definizione di Ferrera (uno dei maggiori esperti italiani):
insieme di interventi pubblici rivolti alla tutela dell’interesse collettivo. Tutto ciò che viene posto in essere
dalla PA al fine di tutelare l’interesse collettivo all’occupazione.
I filoni principali delle politiche del lavoro sono:
- Discipline dei rapporti del lavoro e del fenomeno sindacale.
- Forme di sostegno al reddito in caso di sospensione del rapporto di lavoro o disoccupazione
involontaria.
- I servizi ai datori di lavoro e lavoratori per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
- Servizi per agevolare i lavoratori in difficoltà che se non fossero seguiti e guidati resterebbero
sempre ai margini del mercato del lavoro à migliorare l’occupabilità.
- Incentivi all’assunzioni che in Italia hanno un peso molto elevato. à nel Piano Nazionale di Ripresa
e Resilienza, una quota consistente di queste risorse volte alle politiche attive del lavoro è diretta a
tali incentivi.
- Misure di sostegno all’autoimpiego.
- Misure dirette alla creazione di lavoro da parte della PA (Lavori socialmente utili).
Alcuni di questi (quasi tutti) sono diretti alle politiche attive del lavoro.

Si chiamano politiche attive perché sono interventi attuati con l’intenzione di modificare la realtà, a partire
dagli anni ’70 in tutta Europa, a seguito della crisi petrolifera che costrinse il sistema produttivo europeo a
ristrutturarsi, si usa la definizione “politiche ATTIVE del lavoro”.
Quindi molti paesi europei si trovarono di fronte al fatto che moltissimi lavoratori che andavano spostati da
alcuni settori produttivi ad altri, dovevano transitare da una fase di disoccupazione e quindi dovevano
acquisire nuove competenze per poter rispondere alle esigenze di un nuovo sistema produttivo che si stava
delineando.
Fino al quel momento le politiche europee erano basate su:
- Registrazione del lavoratore disoccupato, in modo da accertare la situazione di disoccupazione.
- A seguito di questa certificazione era prevista l’assegnazione di un sussidio.
Un soggetto pubblico certifica la disoccupazione e a conseguenza di ciò veniva fornito un sussidio al
disoccupato à erano politiche PASSIVE del lavoro.
Con la crisi degli anni ’70, questo modello si rivela inefficace, non si può affrontare una crisi solo dando
sussidi ai disoccupati. Dare sussidi viene riassunto nell’espressione “POLITICHE PASSIVE DEL LAVORO”,
passive perché non viene richiesto niente in cambio del sussidio (a parte la condizione di disoccupazione),
non viene chiesto un impegno a migliorare le proprie competenze e quindi di impegnarsi nella
ricollocazione nel mondo del lavoro à con queste politiche i bilanci statali soffrono moltissimo.
Bisogna quindi rompere lo schema delle politiche passive e bisogna intervenire con le politiche attive,
dando si dei sussidi ma lavorando per far si che tali persone escano dallo stato di disoccupazione favorendo
la più rapida e attuale ricollocazione del lavoratore nel mondo del lavoro.
Si chiamano quindi politiche attive del lavoro per la contrapposizione con le politiche passive; esse hanno
l’obiettivo di incidere sul mercato del lavoro, rimuovendo le cause che impediscono l’ottimale allocazione
delle risorse umane in un determinato territorio.

1
Per rendere maggiormente efficaci tali politiche molti stati istituiscono le agenzie del lavoro (chi le aveva
già le rifonda per far si che siano in grado di compiere i nuovi compiti) di gestione pubblica.
Un grande impegno di tutti i paesi europei per sostenere tali politiche, ad un certo punto la stessa UE crea
una strategia dell’occupazione.

2. la politica attiva del lavoro nella strategia europea per l’occupazione (SEO)
Essa si è limitata a sviluppare una strategia coordinata a favore della promozione di una forza lavoro
competente e qualificata e di mercati del lavoro in grado di rispondere ai mutamenti economici, e
all’integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro. Si parte proprio dal “Vertice di Lussemburgo
del 1997”, proseguendo con le indicazioni del “Consiglio Europeo di Lisbona del 2000” e con il “Programma
comunitario dii Lisbona (PCL) 2008-2010”, arrivando fino alla strategia “Europa2020”.
Tutti i paesi europei si devono impegnare nelle politiche attive del lavoro, in Italia le riforme cominciano del
1997 (decentramento del potere dallo stato alle regioni, con apertura a soggetti privati per svolgere
interventi a sostegno dell’impiego).

3. la politica attiva del lavoro in Italia: obiettivi e fasi del processo di riforma
Questo processo, in Italia, porta ai seguenti risultati (diversi in tutti i paesi):
1. Modifica dell’assetto istituzionale, i poteri in materie che sono all’interno di queste politiche attive
del lavoro sono stati decentrati dallo stato alle regioni e agli enti locali à d.lgs. 469/1997 + riforma
del titolo V della costituzione 2001.
2. È stato ammesso l’ingresso di privati per l’erogazione di servizi per l’impiego (agenzie di
somministrazione lavoro) à legge 196/1997 + (legge 30/2003 e d.lgs.276/2003).
Si persegue l’ammodernamento sei soggetti pubblici e l’ingresso di soggetti privati.
Tentativo di spostare l’attenzione del nostro paese da strumenti più tradizionali a strumenti di politica
attiva, che non sempre hanno avuto successo.
La volontà del legislatore è chiara e forte, ma non sempre l’attuazione porta i risultati desiderati.
Il legislatore ha perseguito forme di intreccio di politiche passive e attive del lavoro, a presidio delle quali è
stato severamente applicato il principio di condizionalità: ovvero la PA condiziona l’erogazione del sussidio
al fatto che lavoratore si mostri disponibile a partecipare alle attività di ricollocazione (il lavoratore deve
essere attivo nella ricerca di un nuovo lavoro) à tale principio in Italia fa molta fatica ad essere applicato.
Tale principio, tuttavia, rischia di colpire situazioni particolari che vanno valutate con saggezza perché non
si può fare un massacro sociale.
Successivamente anche con la legge 92/2012 e con il d.lgs.150/2015, il legislatore ha perseguito l’obiettivo
di potenziare l’offerta di servizi nell’intento di assicurare ai cittadini i “livelli essenziali di servizi per
l’impiego” su tutto il territorio nazionale e di porre in essere regole più stringenti volte a condizionare
l’erogazione dei sussidi a comportamenti attivi e cooperativi da parte dei lavoratori

L’EVOLUZIONE DELL’ASSETTO ISTITUZIONALE IN MATERIA DI SERVIZI PER L’IMPIEGO E POLITICA ATTIVA


DEL LAVORO – CAP.4
1. Ripartizione delle competenze: le fasi principali del percorso evolutivo
Il nostro sistema di politiche attive è un sistema bicefalo: ha due teste, una è lo stato e una sono le regioni.
Esso è un problema, che si prova a risolvere da anni ma ad oggi è un problema ancora aperto (gli altri paesi
non hanno più questo problema).
È problema che dal profilo istituzionale tocca tante discipline tra cui proprio anche le politiche attive del
lavoro.
Tale problema (sistema diventa bicefalo) si manifesta negli anni ’70, quando nascono le regioni e avviene
una fase di decentramento dei poteri (art.117 della costituzione). A metà degli anni ‘70, la legge 382/1975
e il D.P.R 616/1977 chiedono la revisione dell’art.117 cost., con l’obiettivo di un riassetto complessivo delle
competenze, volto a favorire “l’adozione di un modello cooperativo impostato sulla leale collaborazione fra
i diversi livelli di governo”.

2
Il DPR ritiene che accanato ala formazione professionale, alle regioni debba essere accorpato il tema
dell’orientamento professionale.
Nel 1978 viene approvata in Italia la legge quadro che contiene un articolo dedicato all’osservazione del
mercato del lavoro che riconosce che le regioni hanno una potestà in questa materia di osservazione
perché ciò è utile per la programmazione della formazione professionale à alla fine del 1978 abbiamo che
alle regioni è stato riconosciuto 3 competenze (1. Formazione professionale, 2. orientamento
professionale, 3. osservazione del mercato del lavoro).
Negli anni ’80 abbiamo che nelle regioni più dinamiche, quelle del nord, hanno, oltre leggi che
implementano politiche attive del lavoro basandosi sulle 3 competenze reinterpretate in chiave innovativa.
la regione Lombardia istituisce un’agenzia del lavoro (Lombardia lavoro SPA), con i compiti di ricollocazione
dei lavoratori disoccupati, con un occhio di riguardo per quelli provenienti da aziende che hanno
riconvertito la produzione e hanno licenziato la parte di manodopera che non serviva più.
La Lombardia mette quindi in campo le 3 competenze riuscendo quindi a capire per quali figure
professionali l’agenzia deve preparare i lavoratori e orientandoli nel modo migliore.
Nascono quindi delle agenzie regionali di politiche attive del lavoro, copiando le agenzie istituite negli altri
paesi. Lo stato in questo periodo era assente perché aveva altri problemi a cui pensare (terrorismo, mafia,
omicidio Aldo Moro, ecc.).
Negli anni ’80 arrivano le prime leggi statali che replicano le politiche messe in atto a livello regionale,
estendono alle altre regioni quelle azioni che inizialmente erano riservate alle regioni più attente e
dinamiche alla materia.
Il limite di questo processo è la confusione (chi deve fare cosa?) e ci si trova quindi di fronte a paradossi
dove se tutti possono fare tutto non si capisce più bene il criterio di razionalità che guida le attività della PA
(a Milano se un’azienda assumeva un apprendista poteva godere dei benefici statali e anche degli incentivi
regionali, anche di quelli provinciali e persino di quelli comunali).

2. la fase del “federalismo amministrativo”: dalla legge 59/1997 al d.lgs. 469/1997


Si capisce che non si può andare avanti così e ad un certo punto negli anni ’90 si fa largo l’idea del
federalismo amministrativo, ovvero un modo di ripensare la PA (come si era tentano nel 1975 con il DPR
616) con un faro guida che prevedeva il decentramento più ampio possibile dallo stato alle regioni e agli
enti locali à legge Magri 59/1997 (conferimento di funzioni amministrative) e il D.lgs.469/1997 (prevede il
decentramento di funzioni e compiti in materia di politica attiva del lavoro).
L’idea di fondo era che lo stato doveva smagrirsi dal punto di vista di gestione degli interventi (lo stato
regola e la gestione viene affidata ai livelli più bassi inizialmente alle provincie che avevano in capo la vera e
propria e gestione [mentre le regioni avevano funzioni di programmazione e controllo] e poi alle regionni
stesse).
Si fa largo l’idea di modifica della costituzione che però non trova approvazioni e quindi si fa largo l’idea di
federalismo amministrativo à tensione che il legislatore ha verso un modello di PA in cui chi regola sta al
centro e chi gestisce sta in periferia e quindi se la gestione è delle regioni bisogna prendere strutture
attrezzature e personale dell’apparato statale e decentrali all’apparato regionale.
Ci sono 7000 dipendenti statali che a seguito del decentramento passano dall’essere dipendenti statali ad
essere dipendenti regionali e provinciali à potevamo scegliere se spostarsi alle regioni oppure farsi
ricollocare in altri settori sempre alle dipendenze statali.

4. la riforma del titolo V, parte II della costituzione, 2001: e i suoi riflessi sulla ripartizione dei poteri
Questo processo fu molto complicato e durò circa 2 anni, il decentramento parte infatti in concreto nel
novembre 1999, ma pochi mesi dopo che va in porto il federalismo amministrativo, alcune persone
ritengono che sia necessaria una riforma costituzionale, il grande obiettivo quindi diventa la riforma
costituzionale che viene approvata dal parlamento (passò al senato con 3 voti) nel 2001 (la cd. riforma del
titolo V della costituzione) e i cittadini vennero chiamati a votare ad un referendum popolare.

3
I cittadini votarono a favorevole e quindi l’assetto cambia: stato e regioni hanno (maggiori) poteri diversi
rispetto a quelli di prima.
Nelle materie in cui vi era stato il decentramento amministrativo di funzioni e compiti, la novità della
riforma costituzionale è che (in costituzione viene inserita una materia che non era mai stata definita,
quindi migliaia di giuristi cercano di capire il nuovo art.117 del titolo V) viene divisa la competenza
legislativa, procedendo ad unna dettagliata elencazione di materie suddivise tra quelle di:
- Competenza esclusiva dello stato;
- Competenza concorrente tra stato e regioni (in cui lo stato determina solo i principi fondamentali):
o “tutela della sicurezza del lavoro”;
o “previdenza complementare ed integrata”;
o “professioni”;
- Competenza esclusiva delle regioni à “istruzione e formazione professionale”
Dopo il 2001 la regolazione della materia è affidata allo stato per la definizione dei principi e dei livelli
fondamentali (strumento per assicurare omogeneità e prestazioni in un contesto istituzionale ad
organizzazione diversificata) e alle regioni per quanto riguarda la disciplina minuta.

5. D.lgs. 276/2003 e la sentenza della Corte costituzionale n.50/2005


Parte una “guerriglia” stato e regioni fanno ricorso per ogni singola legge dell’altro. La riforma del 2001 si è
rivelata una riforma che stimola i conflitti, per questo la Corte costituzionale, che viene sempre chiamata in
causa, fa delle sentenze che puntano per quanto possibile a salvaguardare la legislazione approvata dallo
stato o dalle regioni, evitando quindi il collasso della legislazione in materia (in quanto se tutti i ricorsi
fossero stati accettati tutte quelle leggi sarebbero diventate incostituzionali).
La corte costituzionale ad ogni appello richiama sempre la leale collaborazione tra stato e regioni (stato e
regioni concordano “insieme” i testi per le leggi) limitando quindi così le contestazioni.
Collaborazione che viene raggiunta con la grande crisi del 2008 che costringe stato e regioni ad abbondarne
il modello conflittuale adottato fino a quel momento e a ricercare un modello cooperativo.
Dopo la riforma del Titolo V, molte regioni hanno dubitato della sopravvivenza dei principi e criteri del
vecchio d.lgs.469/1997, il quale imponeva alle regioni di affidare alle province alcune funzioni
amministrative in materia di servizi per l’impiego e politiche attive del lavoro.
La Corte costituzionale, con la sentenza n.50/2005, accolse queste obiezioni permettendo quindi alle
regioni di poter (ri)legiferare in materia di organizzazione del collocamento e servizi per l’impiego.

6. la crisi economica ed il prevalere di un modello cooperativo: le Intese in sede di conferenza stato-


regioni.
Il calo del PIL con quella crisi del 5%, l’Italia che era abituata ad una crescita moderata, ci siamo
improvvisamente trovati con una decrescita che ha significato un rischio di disoccupazione per decine di
migliaia di lavoratori e quindi come affrontare questa situazione?
Il problema che si poneva era il seguente: “se molte aziende di diverse settori hanno eccedenza di
personale, esse possano passare ai licenziamenti” ci sono dei settori che nei decenni hanno costituito degli
strumenti per fronteggiare eccedenze temporanee à Cassa Integrazioni Guadagni (CIG).
Tutta via tale crisi ha colpito tutti i settori e quindi tutti i settori che non avevano una strumentazione simile
alla cassa integrazione come avrebbero potuto fronteggiare l’eccedenza di personale senza ricorrere al
licenziamento? Anche per quei settori fu avviata la cassa integrazione in deroga: laddove possa intervenire
la CIGO classica (finanziata dalle aziende) interviene, ma laddove non ci sia uno strumento di quel tipo
interviene la cassa integrazione in deroga, così che le aziende possano evitare ii licenziamenti. Per poterla
sfruttare è necessario un accordo sindacale (un sindacalista certifica che l’azienda è davvero in difficoltà e
quindi l’INPS pagherà ai lavoratori un importo simile a quella della CIGO – 80% dello stipendio classico –.
La CIG in deroga viene finanziata in parte dallo stato e in parte dalle regioni con il fondo sociale europeo
volti a finanziare le politiche attive di lavoro.
Tale fondo dovrebbe finanziare le politiche attive, ma in questo caso le politiche sono passive.

4
È quindi necessario andare a Bruxelles a chiedere il permesso che viene concesso solo nel caso in cui
vengano attuate anche delle politiche attive à si crea quindi la cassa integrazione in deroga che viene
concessa a tutti colo che ne hanno davvero bisogno a cui sono state abbinate delle politiche attive e quindi
i lavoratori che beneficiano della cassa integrazione in deroga sono impegnati in attività di orientamento e
di formazione per tutto il periodo in cui godono di tale cassa.
(Caso emblematico di superamento della situazione di conflitto tra stato e regioni).
Un altro esempio di collaborazione fu:
Nasce l’iniziativa europea a sostegno del passaggio dalla scuola al lavoro dei giovani: all’Italia possono
essere dati fino a 1,5 miliardi di euro à per riceverlo deve essere presentato un piano nazionale.
Siccome le politiche attive per i giovani sono di competenza delle regioni ma il piano deve essere nazionale
si crea una commissione che elabora il piano nazionale (all’interno della quale ci sono rappresentati di stato
e regioni che devono cooperare per creare un piano che sia credibile agli occhi dell’UE e che ci consenta di
avere queste risorse) che viene approvato dall’UE.
Non è un piano che garantisce l’occupazione, ma garantisce una formazione adeguata alla transizione dallo
studio al lavoro (anche se il nome del piano faceva intendere una garanzia all’occupazione).
Questi son due esempi che nel quadro costituzionale attuale è possibile che stato e regioni collaborino in
modo efficiente e che ottengano degli ottimi risultati.
Questi due eventi sono stati i precursori del D.lgs. 150/2015 (figlio del JOBS ACT), con il quale si è tentano di
costruire un sistema nazionale di politiche attive del lavoro, in cui Stato e Regioni cooperano per il
raggiungimento di tale obiettivo.
In esso sono indicate le modalità attraverso cui un disegno operativo possa essere applicato in
collaborazione tra stato e regioni.
Il 30/agosto/2015 è stato firmato un accordo che contiene il testo del D.lgs. 150, che viene portato in
conferenza stato-regioni, viene approvato e inserito nel decreto à siamo di fronte ad una legislazione
concertata.

7. il tentativo (negativo) di modificare la Costituzione e la fase post-referendaria


Nonostante le dimostrazioni di collaborazione efficiente e la firma del testo del D.lgs. 150 basato sulla
cooperazione tra stato e regioni, lo stato propone una nuova riforma del titolo V per far si che le politiche
attive del lavoro siano di competenza esclusiva dello stato, espropriando le regioni delle loro competenze.
Il problema di tale scelta è la mancata coerenza nelle scelte statali con la conseguenza di confusione e dello
stallo del decreto 150/2015, perdendo tutto l’interesse e gli investimenti ad esso volti (chi vuole investire in
un decreto che probabilmente un anno dopo fallirebbe?).
È stata fatta una votazione ed un referendum popolare che nel 2016 non viene approvato e quindi per un
anno, fino al 2017, le politiche attive sono ferme perché non è stato attuato il decreto 150/2015 e la
riforma costituzionale non essendo stata approvata non ha alcun tipo di validità.
I centri per l’impiego, quindi, rimangono in fase di stallo, essi erano sotto il controllo delle provincie a cui
sono stati tolti i fondi (legge Del Rio) fino a farle morire, questo per via della convinzione che il decreto
sarebbe stato approvato.
Con la fase post-referendaria ci sono stati degli interventi interessanti: stato e regioni si sono messi a
dialogare per dare attuazione al D.lgs. 150:
- Affidamento dei centri per l’impiego alle regioni (visto che ormai le provincie non hanno più
potere) che si dovranno occupare anche del loro potenziamento.
- Potenziamento dei centri per l’impiego: viene firmato un accordo tra stato e regioni, con impegno
statale a finanziare le regioni per potenziare tali centri (sia in campo di strutture che di personale).
Si prevede che negli anni 2019/20/21 avvenga l’assunzione tramite concorsi di circa 11.600
operatori organici da inserire nei centri per l’impiego.
- Regionalismo differenziato: che in qualche modo si contrappone al tema del neocentralismo.
Il regionalismo differenziato è quanto previsto dall’art. 116 della costituzione (riforma 2001) e
prevede che le regioni a statuto ordinario possano richiedere un ampliamento delle loro

5
competenze. Potrebbero esserci quindi competenze diverse tra le diverse regioni.
Il neocentralismo è uno dei più recenti segnali proposti dallo stato che prevede il rafforzamento
dell’amministrazione statale, in particolare dell’ANPAL à siamo ancora in una fase di incertezza tra
cooperazione e competizione.

DISCIPLINA DELL’INCONTRO TRA DOMANDA E OFFERTA DI LAVORO: DAL “COLLOCAMENTO PUBBLICO” ALLA
LIBERALIZZAZIONE – CAP.5
prima di affrontare il nuovo sistema di politiche attive del lavoro consegnato dal D.lgs. 150/2015, dobbiamo
avere delle nozioni di base sulle regole che stabiliscono il rapporto di domanda e offerta di lavoro nel
nostro paese.
Esse sono cambiate profondamente a partire dagli anni ’80, tale modifica è importante perché se la
tradizione di un paese è molto forte, non è sufficiente scrivere una buona legge perché la tradizione cambi,
ci vuole molto di più: provvedimenti di attuazione efficaci; una cultura del paese che condivida queste
scelte; essere consapevoli del dove si parte, dove si arriva e il cammino che si è fatto.

1. l’assunzione del lavoratore


Quando un datore di lavoro decide di assumere un nuovo dipendente, quali sono le regole che lui deve
conoscere ed applicare con l’assunzione:
1. Età minima e requisiti di formazione: l’età minima è di 16 ani (15 se assunto con contratto di
apprendistato) e deve aver assolto l’obbligo di istruzione (diritto-dovere all’istruzione e alla
formazione).
2. Principio di non discriminazione: è vietato fare indagini sulle scelte politiche, religiose,
orientamenti sessuali, ecc. del lavoratore à la scelta deve basarsi solo sulle competenze possedute
o meno.
3. Far eseguire visite mediche preventive al lavoratore à è stato molto discussa questa decisione. La
verifica dello stato di salute del lavoratore deve tuttavia limitarsi ad una valutazione di idoneità a
svolgere determinate mansioni (non è ammessa la verifica dello stato di gravidanza e neanche della
sieropositività – possono invece essere fatte analisi per verificare la tossicodipendenza e
l’alcolismo).
4. Comunicazione alla PA: tempestivamente e in forma telematica. Essa deve essere effettuata
all’ANPAL entro le ore 24 del giorno precedente a quello di inizio del rapporto di lavoro.
In precedenza la regola era che la comunicazione andava fatta entro i 5 giorni dopo l’assunzione à
modificata perché in quei primi 5 giorni in caso di incidenti, il lavoratore non sarebbe tutelato in
quanto non ancora del tutto in regola. In più si incentivava il lavoro in nero, in quanto nel caso di
arrivo dell’ispettorato del lavoro si usava la scusa del primo giorno di lavoro anche se non era vero.
Tale disposizione è dotata di pluri-efficacia, in quando nel momento in cui il datore comunica
l’assunzione alla PA (ministero del lavoro) essa viene comunicata anche all’INPS e all’INAIL, di
conseguenza dal momento dell’invio della comunicazione sia datore che lavoratore saranno in
regola per tutte le comunicazioni obbligatorie (PA, INAIL e INPS).
o Comunicare le variazioni del rapporto di lavoro, in questo caso si hanno 5 giorni di tempo
dall’avvenuta modifica.
Il datore di lavoro può comunicare direttamente oppure avvalendosi di soggetti terzi
(commercialisti, consulenti del lavoro, sindacati, ecc.).
5. Comunicazione al lavoratore: Il datore di lavoro è obbligato ad informare il lavoratore delle
condizioni del contratto di lavoro (gli aspetti fondamentali del rapporto di lavoro), essa può
avvenire in 2 modi:
o Consegnare al lavoratore copia della comunicazione obbligatoria inviata alla PA.
o Consegna di una copia del contratto individuale di lavoro.

6
2. il sistema di collocamento ordinario: evoluzione e funzioni residue
La facoltà del datore di lavoro e del lavoratore di poter individuare liberamente la controparte del rapporto
di lavoro è l’esito di un processo evolutivo assai lungo e complesso.
Per decenni la legge di riferimento per la disciplina dell’incontro di domanda e offerta di lavoro è stata: la
legge 264/1949, la quale si basava su 2 principi di ordine generale, indirizzati alla equa ripartizione delle
opportunità di lavoro:
- Obbligo dei lavoratori in cerca di occupazione di iscriversi presso le strutture pubbliche di
collocamento; per i datori di lavoro in cerca di manodopera di rivolgere le richieste alla stessa
struttura à divieto di esercizio da parte di privati all’intermediazione tra domanda e offerta di
lavoro.
- Limitazione della libertà contrattuale tra le parti à ruolo centrale della cd. chiamata numerica.
Tale legge che istituisce il sistema di collocamento al lavoro. Prevede che ci sia un unico soggetto abilitato
ad intermediare tra domanda e offerta di lavoro e questo soggetto è lo stato (attraverso l’apparato del
ministero del lavoro – apparato di collocamento) à ci sono delle apposite infrastrutture.
Tale approccio fin qui è stato simile agli approcci di tutti i paesi europei, ma il nostro sistema di
collocamento si distingue per il fatto che si basa sull’esercizio monopolistico da parte dell’apparato statale
delle funzioni e compiti in materia di incontro tra domanda e offerta di lavoro. Non sono ammessi altri
soggetti privati ma neanche altri soggetti pubblici (no comuni e no provincie) à monopolio pubblico
dell’apparato statale.
Come funzionavano gli uffici di collocamento nel dopo guerra: chiamata numerica
Il legislatore ritiene che, stando alle peculiarità del mercato del lavoro italiano in quel momento, la regola
fondamentale deve essere la cd. chiamata numerica, il legislatore si immagina che l’incontro tra D e O,
debba avvenire in questo modo:
- i lavoratori segnalano la loro volontà di trovare lavoro agli uffici di collocamento e, allo stesso modo
i datori segnalano che stanno cercando lavoratori;
- gli uffici di collegamento costruiscono una graduatoria tra tutti i lavoratori che hanno le
caratteristiche professionali che rispondono alle richieste dei datori, basata su principi consolidati
(tempo in cui si è stati disoccupati, reddito famigliare). Si tiene molto presente dell’effettivo
bisogno dei lavoratori e in base ad esso si costituisce una graduatoria.
Il legislatore si domandò se la scelta dell’impresa era rilevante e si rispose di NO perché all’epoca il lavoro
italiano era semplice manodopera senza particolari competenze e di conseguenza decide che non faceva
alcuna differenza sul chi inviare (a parità di competenze base).
La legge 264/1949 prevede altri meccanismi quali:
- Chiamata nominativa: il datore può dire all’ufficio di collocamento il nome della persona che vuole
assumere à ammessa in caso di aziende di piccole dimensioni (5 dipendenti); per i lavoratori di
concetto (impiegati); per lavoratori destinati a ricoprire posti di fiducia.
- Assunzione diretta: facoltà concessa al datore di assumere immediatamente il lavoratore senza
passare dall’ufficio di collocamento (che viene comunque avvisato dopo dell’avvenuta assunzione)
à concessa per l’assunzione di parenti o personale con funzioni direttive.
- Passaggio diretto ed immediato: formula attraverso cui il legislatore dichiarata di non volersi
occupare di come avviene l’incontro tra domanda e offerta di lavoratori già occupati (dopo
l’assunzione viene comunque avvisato l’ufficio di collocamento) à il passaggio deve essere diretto
ed immediato, il lavoratore non passa mai per lo stato di disoccupato.
Solo l’assunzione di lavoratori disoccupati soggiaceva ai limiti della chiamata numerica.
Le attività lavorative in quegli anni erano: agricoltura, industria manifatturiera ed edilizia.
Dopo qualche anno, l’Italia esplode e diventa uno dei primi paesi industriali nel mondo e cambia quindi
anche il mercato del lavoro. Di conseguenza cambia l’incontro tra domanda e offerta, tant’è che alla fine
degli anni ’60, a seguito di un’indagine, si scopre che solo il 5% delle assunzioni avveniva con la chiamata
numerica à tale legge quindi divento inefficace e creò intralci all’incontro tra D e O.

7
L’unica funzione che rimase di quella disciplina era l’erogazione di sussidi alla disoccupazione (il lavoratore
andava negli uffici di collocamento a dichiararsi disoccupato ed essi erogavano un sussidio). Gli uffici di
collocamento quindi si trovarono a svolgere solo la funzione di erogazione di sussidi alla disoccupazione
(molto apprezzata socialmente).
Con il passare degli anni matura l’idea di regolare l’incontro tra D e O con regole diverse, dagli anni’80 si
crea il contratto di formazione e lavoro (tipo di contratto a chiamata nominativa) rivolto a tutti i giovani in
cerca di lavoro.
Si va verso un processo di liberalizzazione della gestione dell’incontro tra D e O à si ammette l’assunzione
diretta per qualsiasi tipo di assunzione (1996).
Si consente ai potenziali contraenti di scegliersi il posto di lavoro, non c’è un soggetto che sta in mezzo e
sceglie chi deve andare a lavorare dove, questo avviene liberamente.

3. l’avviamento a selezione nelle PA di lavoratori da inquadrare in livelli per i quali non è richiesto un
titolo di studio superiore alla scuola dell’obbligo – inserimento di lavoratori disabili (cap.6) e dei soggetti
extra comunitari (cap.7)
Ci sono ancora dei settori soggetti a delle regole più restrittive: es. nella PA per quelle mansioni per cui non
sono richieste particolari competenze (centro di collocamento à centro per l’impiego).
L’altro segmento è quello dell’inserimento al lavoro di persone disabili e infine quello del rapporto di lavoro
tra datori e soggetti extra comunitari.
Lo stato a parte in questi 3 casi non impone alcun vincolo a chi assumere.

COLLOCAMENTO MIRATO AL LAVORO DEI DISABILI – CAP.6


Noto come “Collocamento obbligatorio”, si sostanzia in speciali forme di avviamento al lavoro istituite in
favore di lavoratori appartenenti alle cd. “categorie protette”.
1. l’evoluzione della legislazione in materia
A seguito della liberalizzazione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro sono rimasti dei segmenti del
mercato del lavoro che sono disciplinati in maniera particolare, perché la delicatezza della materia ha
spinto il legislatore ad approvare norme specifiche à come per la collocazione di lavoratori disabili.
Già dopo la Seconda guerra mondiale era stata fatta una legge che garantisse una quota dei posti dei
centralisti ai ciechi.
Questo modo di affrontare il problema si è rilevato poco efficace, in quanto le associazioni che riuscivano a
fare pressione sui parlamentari riuscivano ad aiutare i propri disabili mentre altri no.
Nel 1968 viene approvata una prima legge per il collocamento delle categorie protette 482/1968 che si
fondava sull’imposizione per le imprese con più di 35 dipendenti dovevano riservare almeno il 15% dei
posti a categorie protette.
Riformata dalla legge 68/1999 in quanto la legge precedente non aveva ottenuto dei buoni risultati ma
aveva invece messo in luce dei problemi gravi che i parlamenti italiani per anni hanno discusso trovando
una prima soluzione solo nel 1999. La legge 68/1999 ha come finalità la promozione dell’inserimento e
della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro principalmente mediante
l’erogazione di servizi ed il collocamento mirato.
Rispetto alla legge precedente cambia lo spirito con cui il legislatore affronta il problema in quanto esso
vuole aiutare i lavoratori disabili ad inserirsi nel mercato del lavoro principalmente con l’erogazione di
servizi e con il collocamento mirato.
La legislazione del 1999 è una svolta, in quanto la legge 482/1968 coltivava l’illusione che la collocazione
mirata dei disabili potesse essere affidata alla gestione amministrativa del mercato del lavoro: secondo
questo schema sarebbe bastato stabilire da un lato un imponibile di manodopera per le aziende e dall’altro
lato predisporre graduatorie di disabili (o di soggetti appartenenti alle categorie protette) per ottenere il
risultato voluto.

8
Pensare che la complessità dell’incontro tra D e O di lavoro in un caso del genere potesse essere affidato
solo al meccanismo di gestione amministrativa svanì dopo la sentenza 50 del 1990 della corte
costituzionale che aveva ammesso anche i cd. invalidi psichici (persone più facilmente inseribili nel
mercato del lavoro) e psichiatrici (molto difficili da gestire a causa dell’altalenarsi della loro situazione) al
sistema di protezione del collocamento obbligatorio.
Dire che in base delle graduatorie un soggetto psichico (psichiatrico) potesse essere inserito in aziende che
abbiano l’obbligo di collocare dei disabili, si è rivelato veramente complicato e quindi il legislatore ha deciso
di intervenire superando l’idea che l’incontro tra aziende e lavoratori disabili possa avvenire solo con il
meccanismo di gestione amministrativa.
Emergeva infatti con drammatica evidenza l’impossibilità di un efficace inserimento al lavoro di questi
soggetti mediante il mero ricorso a procedure amministrative.
Dopo la legge del 1999 ci sono state altre modifiche di cui l’ultima con il D.lgs.150/2015 che ha semplificato
l'applicazione delle norme.

2. la legge 68/1999 ed il sostegno al collocamento mirato al lavoro dei disabili


Collocamento mirato dei disabili: si intende quella serie di strumenti tecnici di supporto che permettono di
valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto
adatto, attraverso l’analisi dei posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzione dei problemi
connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di
relazione.
Le persone interessate al sistema di protezione del collocamento obbligatorio: art.1 legge 68/1999
- Persone affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e portatori di handicap intellettivo che
comportino una riduzione della capacità lavorativa inferiore al 45% o persone riconosciute
invalide a fini del conseguimento del diritto all’assegno di invalidità la cui capacità lavorativa sia
ridotto in modo permanente, a causa dell’infermità o difetto fisico o mentale, a meno di 1/3.
- Persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33%.
- Persone non vedenti o sordomute.
- Persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio.
- La normativa fa espresso riferimento anche ai cd. invalidi psichici o psichiatrici, ponendosi in linea
con quanto già affermato dalla sentenza 50/1990 della corte costituzionale e dalla legge 104/1992,
che inseriva espressamente tale categoria tra i soggetti beneficiari del collocamento obbligatorio.
- Altre categorie sociali prese in considerazione sono: orfani o vedove di caduti sul lavoro; vittime del
terrorismo e della criminalità organizzata; feriti nell’adempimento del loro dovere o familiari degli
stessi; invalidi permanenti a seguito di missioni dentro e fuori dai confini nazionali.
Il comitato tecnico, chi è chiamato a realizzare l’incontro, è:
Non ci si riferisce a chi si occupa delle graduatorie e controlla che le aziende abbiano rispettato o meno
l’obbligo del 15%, ma un comitato tecnico composto da funzionari (dell’ufficio che si occupa di tale materia)
e di esperti di queste malattie e dei medici legali, che valutano da un lato le posizioni lavorative messe a
disposizione e dall’altro lato le caratteristiche professionali e mediche dei lavoratori disabili.
Obblighi per i datori di lavoro
Tutti i datori di lavoro sono tenuti ad avere alle loro dipendenze una quota di lavoratori disabili, il numero
dei lavoratori da assumere è differente:
- 1 lavoratore disabile, se occupano da 15 a 35 dipendenti (allargamento della platea di aziende
rispetto alla vecchia legge).
- 2 lavoratori disabili, se occupano da 36 a 50 dipendenti.
- 7% dei lavoratori se occupano più di 50 dipendenti (prima era del 15%)
Legge che allarga la base ma alleggerisce l’obbligo per le aziende di maggiori dimensioni.
Come le aziende devono manifestare il rispetto dell’obbligo:
I datori di lavoro come possono manifestare la quota di riserva a cui sono tenuti: devono inviare un
prospetto informativo del personale in forza che indica il numero dei dipendenti e il numero dei disabili

9
presenti in azienda. Confrontando i dati si capisce se l’azienda è in regola o se ci sono delle scoperture in
merito all’obbligo di assunzione di disabili.
Questo prospetto deve essere inviato a gennaio del primo anno di riferimento e ogni volta che cambiano i
dati di riferimento che prevedrebbero dei cambiamenti degli obblighi.
2.1 Esclusioni, esoneri parziali e sospensione degli obblighi: art.5 legge 68/1999
il legislatore consapevole della delicatezza degli interessi in gioco adegua la disciplina a particolari situazioni
e contesti meritevoli di specifica attenzione mediante 3 meccanismi: esclusioni, esoneri parziali e
sospensione degli obblighi.
- Esclusioni: l’obbligo di assumere lavoratori disabili non opera nei confronti dei datori di lavoro
(pubblici e privati) che operano nei settori in cui non è facile assumere un soggetto disabile e non è
nemmeno opportuno.
Es. settore edile limitatamente al personale addetto ai cantieri, oppure il settore dei trasporti. Sono
inoltre esonerate le imprese che operano nel settore degli impianti a fune, per quanto riguarda il
personale direttivo ed il personale adibito alle aree operative.
- Esoneri parziali: qual ora l’impresa per le condizioni speciali dell’attività (faticosità, pericolosità o
particolari modalità di svolgimento dell’attività lavorativa) non possa occupare l’intera percentuale
dei lavoratori invalidi può essere parzialmente esonerata dall’obbligo di assunzione per un valore
massimo del 60%.
In questo caso è prevista tuttavia la condizione che il datore di lavoro che non adempie
completamente ai suoi obblighi di assunzione, per i suddetti motivi, deve versare al Fondo
regionale per l’occupazione dei disabili un contributo esonerativo per ciascun lavoratore non
assunto, nella misura di 30,64€ per ogni giorno lavorativo.
- Sospensione degli obblighi: si attua nei confronti delle imprese per cui sia stata accertata la
sussistenza di una delle cause di intervento della CIG. In questi casi, la sospensione è limitata
all’ambito provinciale, in proporzione all’attività lavorativa effettivamente sospesa, ed opera per la
durata dei programmi contenuti nella richiesta di intervento della CIGS.
La sospensione opera anche in caso di procedura di riduzione del personale e, qual ora quest’ultima
si concluda con il licenziamento di almeno 5 dipendenti, la sospensione di protrae per un ulteriore
periodo di 6 mesi.
È apparso chiaro al legislatore l’incoerenza tra il dover licenziare oppure ricorrere alla CIG e
l’assumere del personale (disabile).
2.2 Compensazione territoriale degli obblighi: d.lgs.276/2003
Gli obblighi di assunzione sopracitati devono essere rispettati a livello nazionale.
- I datori di lavoro privati che abbiano più unità produttive sul territorio nazionale ed i datori di
lavoro privati che sono parte di un gruppo di imprese possono però avvalersi della facoltà di
operare la compensazione territoriale: essi possono assumere in una unità produttiva o in una
sede del gruppo operante in Italia, un numero di lavoratori superiore a quello prescritto, portando
le eccedenze a compenso del minor numero di soggetti protetti assunti in altre unità produttive.
- La facoltà di operare la compensazione è riconosciuta anche ai datori di lavoro pubblici,
limitatamente alle unità produttive di una stessa regione; qualora si avvalgano di tale opportunità,
essi devono inviare, in via telematica, il “prospetto informativo” di cui si è detto in precedenza.
2.4 Modalità di assunzione obbligatorie e richieste di avviamento
Le modalità di assunzione sono cambiate con il D.lgs.: 150/2015, prima era più simile al vecchio sistema di
collocamento, tendenza all’utilizzo della graduatoria, adesso invece i datori di lavoro privati e anche quelli
pubblici possono assumere mediante richiesta nominativa o mediante la stipula di convenzioni.
Per il settore pubblico la richiesta è, di norma, numerica, previa verifica della compatibilità dell’invalidità
con le mansioni da svolgere. Anche nel settore pubblico la richiesta può essere nominativa se effettuata
nell’ambito delle citate convenzioni.

10
I datori di lavoro devono presentare agli uffici competenti la richiesta di assunzione entro 60 giorni dal
momento in cui sono obbligati all’assunzione dei lavoratori disabili.
Essi potranno poi scegliere, all’interno di una lista, i lavoratori disabili che più interessano al fine di
adempiere le mansioni che hanno a disposizione in azienda, in modo che esso possa riscontrare le minori
difficoltà possibili.
Nel caso di mancata assunzione entro i termini sopra indicati, gli uffici competenti devono avviare al lavoro
i disabili, secondo l'ordine di graduatoria per la qualifica richiesta o altra qualifica specificamente
concordata col datore di lavoro sulla base delle qualifiche disponibili.
Questo ha avuto degli effetti positivi sui disabili che hanno minori problematiche ma ancora ha difficoltà ad
integrare i lavoratori che corrono i maggiori rischi.

3. Le convenzioni:
Strumento con cui la PA si rapporta con soggetti privati in merito alla regolazione dell’adempimento
dell’obbligo del datore di lavoro ad assumere lavoratori disabili.
Ciò avviene non in maniera autoritativa, ma in modo tale da concordare come dare applicazione alla legge
68/1999 con delle regole particolari, le quali dimostrano un’attenzione della PA al datore di lavoro che deve
adempiere a quell’obbligo ma hanno comunque come obiettivo il perseguimento, in maniera più efficace
possibile, dell’inserimento dei lavoratori disabili nel mondo del lavoro.
L’arma principale a reagire la tendenza delle imprese a decidere i lavoratori più agili è quello delle
convenzioni:
- Bilaterali: art.11 legge 68/1999.
o Convenzioni per l’inserimento dei disabili: Il soggetto tenuto a riservare una quota di posti
per i disabili, stipula la convenzione con la struttura pubblica competente e attraverso
questa convenzione viene individuato un programma di assunzioni che porta il datore di
lavoro ad essere in regola. Diluendo l’obbligo nel tempo.
La convenzione disciplina i tempi e le modalità delle assunzioni, la possibilità di ricorrere
alla scelta nominativa per tutti i disabili, la facoltà di assumere con contratto a termine,
l'eventuale svolgimento di tirocini formativi e di orientamento e la pattuizione di periodi di
prova più lunghi di quelli previsti dalla contrattazione collettiva.
o Convenzioni di integrazione lavorativa: con particolare riferimento a disabili con particolari
caratteristiche e difficoltà come i disabili psichici.
o Convenzioni con cooperative sociali ed organizzazioni di volontariato.
- Trilaterali: ai sensi dell’ art.12 e 12 bis della legge 68/1968 e art.14, legge 276/2003, 3 norme, con
3 visioni per una sola cosa, nessuno dei quali ha dato risposte concrete ed efficaci.
La finalità perquisita è:
Il datore di lavoro tenuto ad assumere dei lavoratori disabili può adempiere a tale obbligo,
esternalizzando tale obbligo, affidando commesse ad un altro soggetto (cooperativa o impresa
sociale à società che hanno come fine degli scopi sociali, in particolare l’inserimento nel mondo
del lavoro di soggetti con problematiche particolari – 1/3 dei soci deve appartenere a quelle
categorie), la quale utilizza le prestazioni dei lavoratori disabili, ponendo in essere tutte le azioni di
sostegno necessarie (formazione, accompagnamento, tutoraggio, ecc.) al reintegro nell’azienda.
Sono nate delle diatribe in merito: chi assume il lavoratore?
o art.12: prevede che il lavoratore disabile venga assunto a tempo indeterminato
dall’impresa obbligata e presti la sua attività lavorativa presso la cooperativa sociale per un
certo periodo di tempo limitato.
Limiti alla diffusione della misura:
§ 1 disabile per 50 dipendenti à non oltre il 30% della quota di riserva.
§ La durata della convenzione non può essere superiore ai 12 mesi + proroga.
§ È vietata la ripetizione della convenzione per lo stesso disabile.
o Art.12 bis: le convenzioni in esame possono essere stipulate solo da datori di lavoro che
impiegano più di 50 dipendenti e possono farle solo in favore di disabili che presentano
particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario, dura

11
massimo 3 anni à tratto caratteristico di queste convenzioni è l’assunzione diretta da
parte della cooperativa.
o D.lgs. 276/2003: altra forma di convenzioni che affiancano quelle sopracitate. Si superano
le opportunità della legge 68/1999, le quali non vengono eliminate, ci si aggiunge solo una
terza opzione: stipula di accordi quadro che regolano l’inserimento basato
sull’assegnazione di commesse a cooperative sociali à applicabile solo per le aziende con
più di 50 dipendenti.
Mettendosi a discutere su aspetti così formali si perde di vista l’obiettivo ultimo di collocamento.
Tuttavia, qualcuno ha affermato che l’assunzione fatta direttamente dalla cooperativa sociale ci
avrebbe finalmente portato al modello belga, ovvero un modello in cui nelle imprese normali non ci
siano più persone disabili, che invece operano tutti in aziende particolari (cooperative e imprese
sociali) à affermazione discutibile.
Le imprese possono liberamente decidere quale dei due modelli di convenzione adottare, rispettando le
rispettive regole.

4. il fondo nazionale ed i fondi regionali per l’occupazione dei disabili


La legge 68/1999 prevede un fondo nazionale e la costituzione di fondi regionali per l’occupazione dei
disabili, strumenti finanziari adeguati a sostegno dell’inserimento mirato dei disabili.
Il fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili (art.13, L.68/1999) è alimentato dalle risorse stanziate
dallo stato, in aggiunta poi vi sono una parte di contributi esonerativi pagati dalle imprese che sfruttano i
suddetti esoneri parziali.
Chi assume lavoratori disabili, in teoria, può sfruttare degli incentivi economici che abbattono in parte i
costi di questi lavoratori.
L’incentivo è commisurato e direttamente proporzionale: al tipo di contratto, alla durata del rapporto di
lavoro e alla percentuale di disabilità.
I fondi regionali per l’occupazione dei disabili (art.14 L.68/1999) sono alimentati dagli importi derivanti
dalle irrogazioni delle sanzioni amministrative, dai contributi versati dai datori di lavoro e da contributi
volontari di enti e soggetti privati.
Essi sono utilizzati per il finanziamento di programmi regionali di inserimento lavorativo dei disabili e per i
relativi servizi.
Gli incentivi economici
Questa procedura istituita con la legge 68/1999, è stata innovata con il D.lgs.150/2015 rendendola molto
più semplice ed efficace rispetto alla vecchia procedura che funzionava:
- Prima: Avveniva l’assunzione del disabile e si faceva richiesta dell’incentivo, venivano fatte delle
graduatorie e che l’anno dopo venivano pubblicate e si dicevano alle aziende se potevano avere
diritto a quegli incettivi. Essi non erano incentivi però ma dei premi.
Incentivo: Strumento che spinge un datore di lavoro a scegliere un soggetto (disabile) invece di altri
lavoratori soggetti à fattore determinate è la tempestività.
- Oggi la procedura funziona in questo modo à Quando un’azienda vuole assumere un disabile,
riferisce il tutto all’INPS e chiede se con quell’assunzione avrebbe diritto o meno agli incentivi;
l’INPS entro 5 giorni deve dare una risposta (si o no) in base alla verifica dei requisiti del disabile e,
che ci siano delle risorse nel fondo nazionale.
L’incentivo viene erogato mediante conguaglio (compensazione) con i contributi che il datore di lavoro
deve versare all’INPS.
La legge 68 prevede che ci sia un responsabile per l’inserimento dei disabili nel posto di lavoro, questo
responsabile potrebbe essere uno già presente in azienda oppure potrebbe essere uno che viene assunto
appositamente e quindi si può richiedere che il costo di questa persona sia rimborsato dai fondi regionali.

12
5. la disciplina del rapporto di lavoro dei disabili assunti mediante collocamento mirato
Il disabile assunto tramite questa procedura speciale (collocamento mirato) ha diritto allo stesso
trattamento economico e normativo a cui hanno diritto i lavoratori assunti con procedure normali.
È ritenuto legittimo l’inserimento del patto di prova nel contratto di lavoro stipulato con il lavoratore
avviato obbligatoriamente.
La giurisprudenza ha sempre ribadito che il datore di lavoro con l’obbligo di assunzione di disabili, deve
reperire all’interno dell’azienda mansioni che siano compatibili con la minorazione del lavoratore à delle
mansioni che siano adatte ad impiegare proficuamente il lavoratore disabile.
Ciò viene sempre ribadito perché sempre ci sono stati dei contenziosi tra datori di lavoro e lavoratori
disabili, i datori di lavoro, infatti, per liberarsi del lavoratore disabile gli facevano compiere delle mansioni
che non erano coerenti con le disabilità del soggetto che quindi si licenziava.
Nel caso in cui in azienda non ci siano delle mansioni compatibili allora il datore di lavoro è esonerato
dall’assunzione del disabile à esenzioni ed esoneri parziali.
Nel tempo si è affermato il principio che il datore di lavoro può non tenere il disabile se si dimostri in
concreto che l’utilizzo di questo lavoratore possa essere pregiudizievole per il lavoratore stesso, per i
colleghi o per la sicurezza dell’impianto.
Licenziamento
Regole particolari sono state definite anche per il licenziamento del lavoratore assunto ai sensi della legge
68/1999. Il licenziamento può avvenire per giusta causa e per giustificato motivo ma ci sono delle
considerazioni da fare:
La giurisprudenza ritiene che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un disabile sia da
considerare come un caso estremo. Ci sono quindi delle norme specifiche per questo tipo di licenziamento.
Ipotesi che giustificano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo:
- Aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore disabile.
- Significative variazioni dell’organizzazione del lavoro.
da effettuare solo in seguito ad aver seguito un percorso specifico descritto dallo stato: a seguito di una
verifica fatta da una commissione di esperti (che aveva certificato la coerenza della L.104),
- in una prima fase il lavoratore viene sospeso senza retribuzione e viene avviato ad un percorso che
dovrebbe consentire di adattare le professionalità del lavoratore a nuovi posti di lavoro.
- Questo percorso può essere affiancato da un tirocinio formativo e di orientamento in modo che il
lavoratore sperimenti in concreto le nuove competenze acquisite.
- Nel caso in cui tutto questo percorso non porti a risultati positivi allora a quel punto viene
ammesso il ricorso al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In caso di sopraggiunta disabilità si può declassificare il lavoratore purché sia mantenuto il trattamento
economico.

6. I controlli del legislatore e l’apparato sanzionatorio


- Il legislatore ha adottato delle forme di controllo molto stringenti: gli uffici regionali competenti
devono comunicare all’ispettorato del lavoro il mancato rispetto degli obblighi da parte del datore
di lavoro.
- Anche in merito alle esclusioni e agli esoneri, i relativi dati vengono inviati all’ispettorato del lavoro,
il quale compie delle verifiche di correttezza.
Per quanto riguarda i bandi pubblici si è inserita la clausola volta a richiedere al partecipante alla gara, non
solo il DURC (dichiarazione unica di regolarità contributiva) che accerta la regolarità del pagamento dei
contributi, ma deve rilasciare una dichiarazione del legale rappresentate che attesta l’osservazione degli
obblighi della legge 68/1999. L’irregolarità di questi documenti è pena dell’esclusione dal bando.

13
L’ASSUNZIONE DI LAVORATORI STRANIERI: COMUINTARI, EXTRA-COMUNITARI E NEO-COMUNITARI
– CAP.7
1. L’assuzione di lavoratori stranieri comunitari ed extra-comunitari
Per quanto riguarda l’accesso al lavoro, i lavoratori stranieri provenienti da Paesi dell’UE sono equiparati, in
linea di principio ai cittadini italiani, l’unica cosa è che devono poter dimostrare:
- Di essere lavoratori subordinati o autonomi;
- Di disporre di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione sanitaria;
- Di essere iscritti ad un istituto (pubblico o privato) per seguire un corso di studi o di formazione
professionale.
- O di essere un famigliare di un cittadino UE che ha diritto a soggiornare in Itala, nel rispetto dei
punti precedenti.
Per quanto riguarda invece i lavoratori extra-comunitari, il nostro ordinamento fa unna chiara differenza:
- Extra-comunitari regolarmente soggiornanti nel nostro Paese à se in possesso del permesso di
soggiorno, godono degli stessi trattamenti dei cittadini italiani.
- Extra-comunitari che intendono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro à sono sottoposti a
vincoli e procedure derivanti dai limiti quantitativi triennali ai flussi in ingresso.
Procedure per l’assunzione di un lavoratore extra-comunitario:
lo stretto legame tra l’ingresso nel Paese per motivi di lavoro e lo stato occupazionale dello straniero extra-
comunitario opera anche con riferimento alle procedure di assunzione, molto complesse sia per il datore
che per il lavoratore stesso:
- Richiesta di nulla-osta per l’assunzione:
o Lavoratore conosciuto: il datore deve presentare allo “sportello unico per l’immigrazione”
l’apposita richiesta nominativa, allegando l’eventuale “proposta di contratto di soggiorno”
o Lavoratore non conosciuto: la richiesta di nulla-osta riguarderà un qualsiasi lavoratore
inserito nelle liste di lavoratori extra-comunitari che vogliono venire in Italia a lavorare.
- Contratto di soggiorno: mediante questo contratto il datore: garantisce la disponibilità di un
alloggio idoneo e si impegna al pagamento delle spese di viaggio per il rientro in patria del
lavoratore. Esso non sostituisce il contratto di lavoro, ma è necessario per ottenere il rilascio del
permesso di soggiorno.
- Permesso di soggiorno per motivi di lavoro: il lavoratore dovrà aver ottenuto il “visto d’ingresso
per motivi di lavoro” dopo di che avrà 8 giorni lavoratori (dal giorno di ingresso nel Paese) per
richiedere tale permesso.
In caso di mancata risposta del legislatore, o comunque fino alla sua risposta, il lavoratore extra-
comunitario ha il diritto di soggiornare e lavorare nel territorio nazionale.
Nel caso di permesso di soggiorno di durata superiore ad 1 anno, il lavoratore straniero può fare richiesta
per il nulla-osta al fine del ricongiungimento famigliare (deve avere un’abitazione consona e risorse
economiche tali da sostenere l’intera famiglia) à permesso di soggiorno per motivi famigliari.
È previsto anche il permesso di soggiorno umanitario (della durata di 6/12 mesi) per i lavoratori extra-
comunitari che denunciano abusi dei datori di lavoro di tali istituti, per le sole ipotesi di sfruttamento
lavorativo.
2. speciale disciplina dei lavoratori provenienti da paesi neo-comunitari
Su tale punto si è convenuto che gli stati appartenenti all’UE potessero rinviare nel tempo l’applicazione del
principio di libera circolazione della manodopera nei confronti dei cittadini provenienti dai Paesi di nuova
adesione à rinvio che può andare dai 2 anni fino 7 anni.
L’Italia adotto tale regime restrittivo solo per alcuni settori reputati strategici per l’economia del paese.
Abbiamo rinunciato al regime transitorio per i cittadini bulgari e rumeni dal 2012 e per quelli croati dal
2015.

14
IL SISTEMA NAZIOINALE DI SERVZI PER L’IMPIEGO E DI POLITICA ATTIVA DEL LAVORO – CAP.8
1. I servizi per l’impiego
Con l’espressione servizi per l’impiego si è soliti indicare le attività di:
- Accoglienza e prima informazione sulla regolamentazione dei rapporti di lavoro;
- Orientamento di base e orientamento specialistico;
- Supporto all’inserimento lavorativo;
- Avviamento a percorsi di formazione;
- Servizi per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro à prima per questo punto si
intendeva solo l’equa ripartizione delle opportunità di lavoro e non l’erogazione di servizi;
- Promozione dell’inserimento in lavori socialmente utili;
- Supporto all’autoimpiego.
L’obiettivo prevalente di questa attività è la messa a disposizione, sull’intero territorio nazionale, di servizi
di reclutamento e preselezione ricolti sia ai datori di lavoro che ai lavoratori stessi.
L’adesione al servizio può essere volontaria e non impegna le parti in merito alla fase selettiva o alla
stipulazione di un contratto di lavoro.
Per i lavoratori, l’accesso ai servizi di intermediazione è gratuito, mentre per i datori di lavoro può essere
previsto il versamento di un contributo o il pagamento di una tariffa.

2. una prima sperimentazione di sistema nazionale: la “Garanzia per i giovani” (legge 99/2003)
Offrire ai giovani entro 4 mesi dal momento che sono diventati disoccupati io sono usciti dal sistema di
istruzione formale, un’offerta qualitativamente valida di lavoro, di prosecuzione degli studi oppure di
apprendistato/tirocinio o altra misura di formazione professionale.
Piano italiano di attuazione della “garanzia per i giovani”:
il piano individua le risorse e le ripartisce, tra le regioni, in rapporto al numero di giovani disoccupati e
definisce le azioni comuni da intraprendere sul territorio nazionale.
c’è quindi un quadro nazionale che fa da cornice a tutte le iniziative da realizzare:
1. Accoglienza e profiling à stipulazione del patto di servizio;
2. Offerta di tirocinio formativo e di orientamento;
3. Offerta di lavoro con contratto a tempo indeterminato (oppure determinato da 6 a 12 mesi, se
superiore c’è un bonus occupazionale per il datore di lavoro);
4. Offerta di contratto di apprendistato;
5. Proposta di iscrizione ed inserimento nelle attività del servizio civile;
6. Accompagnamento in un percorso di avvio di un’impresa;
7. Incentivare la mobilità transazionale;
8. Inserimento o reinserimento in un percorso di formazione professionale o di istruzione.
L’architettura del Piano nazionale:
è un’architettura unitaria, con un grande sforzo di coesione tra le diverse istituzioni coinvolte:
- Inquadramento delle possibili azioni in un elenco definito;
- Previsione dei costi standard per ogni singola azione;
- Affermazione del principio di contendibilità dei servizi à il giovane può accedere ai servizi di
qualunque regione;
- Coinvolgimento di servizi privati accreditati;
- Implementazione di un sistema di monitoraggio e valutazione idoneo per segnalazioni tempestive.
Seconda fase della “Garanzia per i giovani”
I risultati ottenuti dalla prima fase sono stati considerati positivi sia dallo state che dalle regioni, per questo
motivo hanno deciso di proseguire con l’iniziativa, apportando qualche modifica:
- Semplificazione delle procedure e delle regole di attuazione;
- Assicurare maggiore supporto ai beneficiari;
- Revisione della tipologia dei servizi offerti.

15
3. La costruzione del sistema nazionale ad opera della legislazione “concentrata” a costituzione vigente:
d.lgs. 150/2015
Punti fondamentali del D.lgs. 150/2015 (uno degli 8 decreti del JOBS ACT):
- obiettivo: assicurare i livelli essenziali delle prestazioni ai cittadini su tutti i territori nazionali.
Il principale punto di debolezza del D.lgs.150/2015 è che non abbiamo avuto la possibilità di garantire a
tutti i cittadini pari opportunità su tutto il territorio nazionale à flop dell’obiettivo.
Con tale decreto si vuole superare questa situazione di frammentazione (questo limite) per assicurare a
tutti i cittadini i livelli essenziali su tutto il territorio nazionale.
Per raggiungere questo obiettivo vengono chiamati tutti i soggetti che svolgo delle attività in questo
campo, si vuole costituire una rete nazionale: soggetti pubblici e privati autorizzati, sono chiamati per dare
concretezza a questo obiettivo.
Tale decreto avviene in un clima di cooperazione tra stato e regioni agevolato anche dallo Strumento delle
convenzioni tra stato e regioni.
Il contesto italiano è molto variegato: Ci sono regioni più vicine a creare modelli di stampo europeo e ci
sono altre zone che sono rimaste alla legge 264/1949, siccome il contesto è variegato vengono create delle
convenzioni tra stato e singola regione per adeguare l’intervento pubblico alle reali necessità di quel
territorio, con l’obiettivo di riuscire a rispettare i livelli essenziali delle prestazioni in materia.
Le regioni si devono impegnare:
- a sostenere (garantire che esistano e funzionino) i centri per l’impiego (nati con la legge 469/1996).
- Adeguarsi ad individuare gli ammortizzatori sociali per le persone residenti.
- Assicurarsi di garantire la disponibilità di tutti i servizi a tutti i cittadini anche se non residenti al
proprio interno.
Laddove vi siano elementi di debolezza da parte della regione, in base al principio di sussidiarietà è
ammesso che lo stato (ANPAL) intervenga in supplenza.
Ogni regione contratta con lo stato le misure che servono per il proprio territorio e laddove quella regione
sia convinta di non essere in grado di mettere in atto servizi e politiche attive corrispondenti ai livelli
essenziali delle prestazioni può chiedere allo stato di farsi aiutare.
Di volta in volta in funzione delle specifiche peculiarità della regione possa esserci un intervento diretto da
parte dello stato in sussidiarietà.

4. d.lgs.150/2015: la nuova organizzazione del sistema a livello centrale


I soggetti che concorrono al buon funzionamento del “sistema nazionale di servizi per l’impiego e politiche
attive del lavoro” sono: - stato (ANPAL, INPS, INAIL, INAAP); - regioni (centri per l’impiego); - soggetti
autorizzati e accreditati; - fondi interpersonali e gli enti bilaterali;
Questo disegno richiede una nuova organizzazione anche a livello centrale: istituzione dell’ANPAL che ha
compiti di:
- coordinamento delle politiche attive del lavoro su tutto il territorio nazionale;
- supporto al ministero del lavoro (unica in Europa);
- può offrire assistenza tecnica e consulenza nella gestione di crisi aziendali e nei programmi di
reimpiego e di ricollocazione;
- gestione diretta dei servizi e delle politiche attive del lavoro nel territorio (valendo sempre il
principio di sussidiarietà).
Istituzione di un sistema informativo unitario (l’idea era che fosse unico) che dovrebbe raccogliere tutti i
dati del mercato del lavoro.
Viene ripensata l’attività ispettiva del lavoro che viene affidata ad un apposito istituto (INL – ispettorato
nazionale del lavoro) con una propria autonomia.

16
5. D.lgs.150/2015: i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale e la
standardizzazione del percorso di sostegno al disoccupato
Il sistema di servizi pubblici per l’impiego si occupa di lavoratori in stato di disoccupazione, ovvero che non
sono occupati e hanno firmato una dichiarazione di immediata partecipazione ad iniziative di politica attiva
del lavoro.
Quando il lavoratore si presenta ad un centro per l’impiego:
- Il primo passo è la presa in carico e poi la firma del patto di servizio che deve contenere almeno:
o dichiarazione di immediata disponibilità;
o Individuazione un operatore che segua il lavoratore;
o Definizione del profilo del lavoratore (la profilazione).
la profilazione serve per definire le misure di sostengo che sono differenziate in base al
grado di difficoltà di ricollocamento.
o Definizione delle azioni di ricerca attiva del lavoro;
- Erogazione dei servizi, a cui si abbina l’erogazione di sussidi alla disoccupazione;
- Monitoraggio del lavoratore anche ai fini dell’applicazione del principio di condizionalità.

6. D.lgs. 150/2015: il rafforzamento dei meccanismi di condizionalità e la definizione di offerta di lavoro


congrua
Con il D.lgs. 150 si pone anche il tentativo di dare concreta attuazione al principio di condizionalità:
l’erogazione di sussidi al disoccupato è subordinata al suo impegno ad una ricerca attiva del lavoro.
Il patto di servizio deve essere firmarto anche le persone che percepiscono sussidi di sostegno al reddito, in
quanto il sussidio di disoccupazione è percepibile solo per un quantitativo pari alla metà della retribuzione
media.
Nel caso in cui il lavoratore non adempia ai suddetti obblighi esso perde il sostegno al reddito.
La decadenza dalla prestazione è prevista non solo quando il lavoratore non adempie ai suoi obblighi ma
anche quando esso rifiuti un’offerta di lavoro congrua.
Offerta di lavoro congrua: art.25 d.lgs.150/2015
l’art. 25 del d.lgs.150/2015 ha indicato i principi su cui deve basarsi la definizione di un’offerta di lavoro
congrua:
• Coerenza tra offerta di lavoro ed esperienze e competenze maturate dal lavoratore;
• Distanza dal luogo di domicilio;
• Durata dello stato di disoccupazione;
• Retribuzione superiore del 20% rispetto alla prestazione percepita nell’ultimo mese.
Per essere definita congrua un’offerta di lavoro deve essere:
- Riferita ad un posto di lavoro a tempo indeterminato oppure determinato o di somministrazione di
durata non inferiore ai 3 mesi.
- Riferita ad un lavoro a tempo pieno, oppure con un orario di lavoro non inferiore all’80% di quello
dell’ultimo contratto di lavoro.
- La retribuzione non deve essere ai minimi salariali previsti di contratti collettivi nazionali (in
generale). per coloro che percepiscono il sostengo al reddito è considerata congrua l’offerta che
prevede una retribuzione superiore almeno al 20% dell’ultima indennità percepita nell’ultimo mese
precedente alla proposta di lavoro (potrebbe esser molto al di sotto dei minimi salariali).

Principali interventi di politiche attive del lavoro attuate in questi anni:


- Garanzia per i giovani.
- Assegno di ricollocazione.
- Inserimento mirato al lavoro dei disabili.
- Politiche attive per i beneficiari del reddito di cittadinanza.
- Sostegno alla formazione professionale continua (fondo nuove competenze).
- Programma GOL (a partire dal 2022).

17
7. D.lgs. 150/2015: l’assegno individuale di ricollocazione (ADR) e il suo intreccio con il reddito di
cittadinanza (art.23)
Strumento principe della politica attiva del lavoro del D.lgs.150 che ridisegna il modello di intervento in
questo campo, che fino ad oggi non è stato ancora applicato in maniera diffusa. Con la legge di bilancio del
2021 torna di “moda” l’assegno ricollocazione.
È una misura che si aggiunge alle misure di sostegno al reddito, esso non è una erogazione monetaria al
lavoratore, è un voucher che vale da 500 a 5000 euro (proporzionale al vero bisogno della persona) che
serve per acquistare servizi intensivi alla ricerca di lavoro. Il lavoratore può spendere questo buono presso il
centro pe l’impiego oppure presso soggetti privati accreditati. Ci sono delle procedure iniziali riservate al
centro dell’impiego, una volta profilato il lavoratore potrà rivolgersi a qualsiasi istituto.
I potenziali beneficiari dell’assegno di ricollocazione:
a) Soggetti disoccupati da più di 4 mesi, percettori di trattamento NASPI (unico beneficiario previsto
dal D.lgs. 150).
o Per effetto del D.L. 4/2019 questa categoria è stata sospesa fino al 31/12/2021 ma è stata
reintrodotta dalla legge di bilancio per il 2021.
b) Percettori del reddito di cittadinanza tenuto a stipulare il patto per il lavoro à Per finanziare
questo punto sono stati presi i fondi previsti per il primo punto.
c) Per i lavoratori collocati in CIGS per cessazione di attività (art.44 L.130/2018) + I lavoratori collocati
in CIGS destinati ad essere licenziati (art.24 bis D.lgs. 148/2015) per i quali è stato firmato un
accordo di ricollocazione che parte già prima del licenziamento.
7.1 l’ADR riconosciuto al disoccupato beneficiario della NASPI:
Esso viene assegnato su richiesta del lavoratore presentata al centro per l’impiego a seguito della
stipulazione del patto di servizio.
È uno strumento innovativo per diversi punti di vista:
- Dal punto di vista dei sostegni offerti al lavoratore in difficoltà occupazionale à non c’è più solo un
sostegno al reddito.
- Dal punto di vista della tecnica di valutazione del grado di debolezza occupazionale del lavoratore
(da cui ne deriva anche l’importo) à esso viene assegnato con la tecnica della profilazione del
lavoratore.
- Dal punto di vista del rapporto tra stato e lavoratore à l’ottenimento di tale sostegno, infatti, è
condizionato al comportamento cooperativo del lavoratore (principio di condizionalità).
- Dal punto di vista del rapporto tra soggetti pubblici e soggetti privati nell’erogazione dei servizi
intensivi di ricollocazione à viene adottato un modello cooperativo.
- Dal punto di vista del compenso dei servizi erogati à principalmente basato sul risultato. Se lo
stato pagasse i servizi che vengono erogati solo in caso di ricollocazione del lavoratore, gli uffici di
ricollocazione accetterebbero solo le persone facilmente ricollocabili (accettare persone non
facilmente ricollocabili e cercare di farli diventare appetibili al mercato, costa moltissimo).
Ciò non si può fare perché il concetto base di questo decreto è quello di aiutare tutti e
maggiormente quelle persone maggiormente in difficoltà à si parla infatti di servizi intensivi di
ricollocazione.
- Infine, dal punto di vista del rapporto di cooperazione tra stato (ANPAL) e regioni.
N.B: modello simile a quello della “dote lavoro” adottato dalla regione Lombardia con una variante
significativa: attenzione maggiore a non concentrare l’intervento solo sui soggetti più facilmente
ricollocabili.
7.2 l’ADR riconosciuto al lavoratore collocato in CIGS
L’intento è quello di attivare il più presto possibile processi di ricollocazione dei cassaintegrati, senza
attendere che vengano posti in essere licenziamenti collettivi.
I lavoratori collocati in CIGS ed ammessi all’ADR non sono tenuti ad accettare eventuali offerte congrue di
lavoro.

18
7.3 l’ADR riconosciuto al beneficiario del reddito di cittadinanza
Tutti i beneficiari del reddito di cittadinanza non esclusi o esonerati dalla stipulazione del “patto per il
lavoro” con il centro per l’impiego ricevono, dall’ANPAL, decorsi 30 giorni dalla data di liquidazione della
prestazione, l’assegno di ricollocazione à viene meno la richiesta da parte del cittadino.
Tuttavia il cittadino che beneficia del RDC è obbligato ad accettare almeno una di 3 offerte di lavoro
congrue nei primi 18 mesi, previa annullamento dell’erogazione.

Le recenti novità della legge di bilancio del 2021


- Istituzione del “fondo nuove competenze”, un fondo che finanzia le attività di formazione
professionale: da dei finanziamenti alle aziende che attivano corsi di formazione per i loro
lavoratori. Ma non paga l’attività di formazione, paga i costi relativi del personale che invece di
lavorare fa quelle attività di formazione (paga il mancato guadagno dell’impresa).
Per spingere le aziende a progetti di innalzamento delle competenze, lo stato rimborsa il costo del
lavoro.
Il meccanismo di accesso: l’azienda deve elaborare un progetto che viene valutato dall’ANPA e in
caso di parere positivo, esso viene segnalato all’INPS che risarcisce le aziende dei costi di lavoro
perduto.
La formazione può essere a carico dell’azienda, oppure potrebbe essere finanziata attraverso lo
sfruttamento dei fondi interprofessionali (… cercare su internet): i quali sono dei fondi istituititi
dalle parti sociali e da loro gestiti che finanziano attività di formazione professionale concordate a
livello aziendale o territoriale dalle parti sociali.
Esso si finanzia con il contributo ad esso destinati da tutti i datori che devono versare 0,3% per
finanziare la attività di formazione professionale e decidono di destinarli a tali fondi
interprofessionali.
C’è quindi un piano istituzionale che aiuta, finanzia e promuove la formazione professionale dei
lavoratori.
- Istituzione del “fondo per l’attuazione di misure relative alle politiche attive del lavoro”, con
dotazione di 500 milioni di euro dal programma europeo REACT-EU à assegno di ricollocazione
per le 4 categorie di persone sopracitate.
- Programma GOL che dovrebbe sostenere con misure simili all’assegno di ricollocazione non solo le
4 categorie ma tutti coloro che sono in stato di disoccupazione (estendere l’assegno di
ricollocazione a tutti coloro che si trovano in difficoltà occupazionale).

IL CONCORSO DI SOGGETTI PRIVATI VOLTI AL SERVIZIO PER L’IMPIEGO – CAP.9


1. il sistema misto pubblico-privato
Il sistema dei servizi per l’impiego deriva da una storia di monopolio pubblico, ma negli ultimi 25 anni (a
partire dal 1997) gradualmente si è spostato verso un’organizzazione di sistema misto in cui operano, per
offrire servizi per l’impiego a imprese e lavoratori, sia soggetti pubblici che soggetti privati.
Vi sono però delle funzioni che vengono giudicate inalienabili da parte della PA e sono:
- Porre in essere le regole, controllarne l’attuazione e valutarne i risultati;
- Mantenere il controllo sull’informazione relativa al mercato del lavoro, definendo gli obiettivi;
- Governare la finalizzazione e la distribuzione dei fondi pubblici destinati a finanziare le politiche
attive del lavoro.
Questo percorso svolto negli ultimi due decenni si fonda su due istituti; la presenza di soggetti privati
nell’offrire servizi per l’impiego è incentrata: sull’istituto dell’autorizzazione (regolazione dei servizi svolti
da privati per soddisfare la spontanea domanda dei datori di lavoro) e su quello dell’accreditamento
(disciplinare il partenariato tra pubblico e privato nell’attuazione di azioni che discendono dalla
programmazione pubblica). Essi regolano la partecipazione di soggetti privati all’erogazione di servizi per
l’impiego.
Esistono delle strutture centrali pubbliche dipendenti dal ministero del lavoro: ANPAL, altre sul territorio di
competenza regionale e andando ancora più sullo specifico ci sono le strutture di collocamento.

19
Ogni sistema è governato dal punto di vista della competenza legislativa da due strutture: stato (legifera sui
punti fondamentali della disciplina) e regioni (legifera sugli aspetti più fondamentali della disciplina); che
hanno competenza concorrente in materia.
Il nostro ordinamento prevede la gratuità dei servizi resi ai lavoratori, quindi questo mercato, in cui sono
presenti dei soggetti privati, presenta una peculiarità.
L’organizzazione internazionale del lavoro ha fissato il principio di gratuità che è condiviso da tutti i paesi
europei. Si ritiene che si servizi resi dai soggetti privati debbano essere compensati o dai datori di lavoro
(che quindi paga questo servizio), oppure dalla PA ma mai il lavoratore.
La stessa convenzione dell’OIL del 1997 prevede che il soggetto privato che svolge questi servizi per
l’impiego non possa mettere in atto pratiche discriminatorie.

2. l’ammissione di soggetti privati allo svolgimento di attività di somministrazione, di intermediazione tra


domanda ed offerta di lavoro, di ricerca e selezione del personale e di “outplacement”
- La legge 196/1997 ha consentito anche nel nostro Paese l’esercizio, da parte di soggetti privati,
delle attività di fornitura di lavoro temporaneo (somministrazione lavoro).
- Il d.lgs. 469/1997 per la prima volta ha disciplinato l’esercizio da parte di privati (fermo restando la
richiesta di determinati requisiti) degli altri 3 tipi di servizi per l’impiego:
o Intermediazione tra domanda e offerta di lavoro;
o Ricerca e selezione del personale;
o Supporto alla ricollocazione professionale.

3. Autorizzazione e accreditamento
L’autorizzazione:
può essere definita come un provvedimento che rimuove il divieto a svolgere determinate attività. Nel caso
specifico l’autorizzazione a svolgere servizi per l’impiego rimuove il divieto a svolgere 4 tipi di attività:
- Somministrazione di lavoro à lavoro interinale. Ci sono delle agenzie autorizzate che erogano dei
servizi a imprese e lavoratori con una peculiarità che fino al secolo scorso non esisteva, abbiamo
una forma id lavoro che prevede l’intervento di 3 soggetti: agenzia, utilizzatore della prestazione e
il lavoratore. Avviene lo sdoppiamento della figura del datore di lavoro (in questo caso è l’agenzia
che non sfrutta la prestazione lavorativa in quanto manda il lavoratore in missione presso un altro
soggetto). 2 contratti: contratto di somministrazione e contratto di prestazione.
- Intermediazione tra domanda e offerta di lavoro: sono quei servizi che vengono resi ad imprese e
lavoratori che si stanno cercando ma fanno fatica a trovarsi per diversi motivi (es: frammentazione
del lavoro, distanza, ecc.) e incentivano/aiutano quindi l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
- Ricerca e selezione del personale: è come la mediazione tra domanda e offerta ma è un’attività più
raffinata perché non solo cerca di proporre al datore di lavoro una rosa di candidati che rispettano
le caratteristiche richieste, ma si fa proprio la selezione. Si va a fondo nella conoscenza del
lavoratore e quelle che sono le aspettative del datore di lavoro offrendo così una piccola selezione
super dettagliata e accurata di potenziali lavoratori da offrire al datore di lavoro.
È un’attività che costa caro e che viene svolta da società specializzate per figure professionali
medio/alte.
- Supporto alla ricollocazione professionale dei lavoratori (eccedenti): quando un’azienda ha delle
eccedenze di personale può (in Italia e deve in altri paesi tipo la Francia) offrire ai lavoratori che
licenzia degli aiuti volti al reintegro nel mondo del lavoro.
Come si ottiene l’autorizzazione:
L’autorizzazione è un provvedimento che si ottiene non necessariamente presso lo stesso soggetto:
- Per la somministrazione è concessa dal ministero del lavoro.
- Per gli altri tipi di attività possono essere concessi anche dalle regioni, se l’operatore intende
operare solo in quella regione specifica à quasi nessuno chiede a loro l’autorizzazione ma quasi
tutti al ministero del lavoro.
Chi ottiene l’autorizzazione a svolgere attività di somministrazione di lavoro è automaticamente autorizzato
a svolgere gli altri 3 tipi di servizi. Vi è una chiara preferenza del legislatore ai soggetti multifunzionali.

20
Requisiti per ottenere l’autorizzazione (art. 10 d.lgs. 469/1997):
Essi variano in base al tipo di attività che si vuole svolgere. Sono gli stessi presenti in tutta Europa e sono:
- Economici e finanziari à non troppo severi. Sono necessari perché il timore è che l’agenzia possa
avere a capo dei soggetti disinvolti che ricevono i soldi dall’utilizzatore e invece di pagare i
lavoratori scappino. Quindi il legislatore, contro questo pericolo, individua 2 strumenti posti per
garantire anche i lavoratori, e sono:
o Capitale sociale di una certa consistenza.
o Fideiussione: così che in caso di problemi il fideiussore risponda per le inadempienze
dell’agenzia.
- Organizzativi
- Di professionalità dei dirigenti.
- Di moralità die dirigenti.
Il legislatore ha immaginato che fosse opportuno autorizzare (non per la somministrazione) dei soggetti che
avessero un’anima sociale (associazione dei lavoratori, ecc.). e chiede quasi a queste associazioni di
occuparsi di queste materie offrendo di aiutarli abbassando i requisiti e in certi casi azzerarli del tutto à
non ha avuto molto successo, uno dei pochi è la fondazione dei consulenti del lavoro.
L’accreditamento:
L’accreditamento può essere definito come il riconoscimento dell’idoneità di un soggetto privato a
diventare partener della PA per il raggiungimento di finalità che sono individuate dalla PA stessa.
È il provvedimento mediante il quale la PA riconosce ad un soggetto l’idoneità ad erogare servizi per
l’impiego come suo partner. In altri termini, laddove la PA competente dovesse decidere di avvalersi di altri
soggetti pubblici o privati per l’attuazione di servizi per l’impiego rientranti ella programmazione pubblica,
non potrebbe scegliere i partner se non tra i soggetti accreditati.
Esso è attualmente disciplinato dal D.lgs.150/2015 prima dal 469/1997 e dal 276/2003, questo mostra la
volontà del legislatore di disciplinare questa materia sempre con 2 istituti distinti.
L’attuale decreto prevede che siano le regioni ad accreditare, tutti quei soggetti che si rendono disponibili a
svolgere funzioni e compiti in campo di servizio per l’impiego e che la regione ritiene opportuno svolgere
non solo con i centri dell’impiego ma anche con soggetti privati.
La differenza tra autorizzazione e accreditamento sta nel fatto che:
- Nel primo caso (agenzia autorizzata) è l’impresa a commissionare all’agenzia di servizio all’impiego, la
prestazione di trovare dei lavoratori; di conseguenza la agenzia di somministrazione cercherà nel mercato
del lavoro con un occhio di riguardo per le preferenze proposte dall’impresa. Quando in un’agenzia, che si
comporta da soggetto autorizzato, entra un soggetto non facilmente ricollocabile, esso viene accettato ma
palesemente messo da parte.
Quindi le agenzie private autorizzate hanno una funzione importante per il mercato del lavoro e
sicuramente utile per la società (ma non confusa con la carità), ma la funzione che svolgono è quella di
aiutare le imprese a cercare competenze sul mercato del lavoro coerenti con le esigenze dell’impresa
stessa.
- Nel secondo caso (agenzia accreditata) in teoria dovrebbero esserci dei programmi pubblici di sostegno,
per le persone in difficoltà a ricollocarsi nel mercato del lavoro (es. assegno di ricollocazione), che spingono
ai soggetti pubblici e le agenzie accreditate a cercare nel mercato del lavoro con un occhio di riguardo per
quel personale maggiormente difficile da ricollocare.
Le agenzie autorizzate svolgono i 4 punti servizi prima spiegati mentre le agenzie accreditate hanno il
compito di erogare servizi per incrementare le competenze del lavoratore (es. corsi di formazione).
I soggetti autorizzati possono anche essere accreditati, nel caso in cui ci siano agenzie sia accreditati che
autorizzati possono accettare lavoratori sia facilmente ricollocabili (per cui l’agenzia compie le funzioni di
agenzia autorizzata pagate dalle imprese) che personale di più difficile ricollocazione (per cui l’agenzia
eroga dei corsi interni di miglioramento delle competenze che il lavoratore può pagare usando l’assegno di
ricollocamento).

21
Il d.lgs.150/2015, pur mantenendo i due istituti, sfuma la distinzione, cercando il più possibile di
sovrapporre l’area dei soggetti autorizzati a quella degli accreditati.
Con decreto dell’ANPAL, tuttavia, il rimborso spese da parte delle agenzie accreditate (previste dall’assegno
di ricollocamento) è vincolato alla effettiva ricollocazione della persona per cui sono state sostenute le
spese di formazione à annullando completamente quello che era il vero volere della legislazione iniziale.

Riassunto sul sistema dei servizi pubblici:


il legislatore tende a configurare un sistema misto che privilegia soggetti multifunzionali:
- Sistema misto in quanto si prevede la partecipazione di soggetti sia pubblici che privati:
o Accreditamento (all’interno della programmazione pubblica) e autorizzazione;
- Predilezione per il legislatore di soggetti che svolgono un’ampia gamma di funzioni (tra le 4
sopracitate);
- Ci sono funzioni che il legislatore intende tenere obbligatoriamente in capo ai centri per l’impiego;
- È previsto un modello di tipo competitivo tra le varie strutture à il lavoratore può decidere presso
quale soggetto, ad esempio, spendere l’assegno di ricollocazione.

LA FORMAZIONE PROFESSIONALE – CAP.10


1. introduzione
Per “formazione professionale” si intente quel comparto del sistema educativo costituito da percorsi
formativi volti a favorire il primo inserimento al lavoro, l’aggiornamento e la riqualificazione
professionale, per qualsiasi attività professionale à essi permettono di conseguire titoli di studio diversi da
quelli acquisibili nei percorsi di istruzione secondaria superiore statale o nei percorsi universitari.

2. L’area di competenza legislativa regionale


L’art. 117 Cost. attribuisce alle regioni un ruolo preminente, affermando infatti la competenza legislativa
residuale (esclusiva) delle regioni in materia di “istruzione e formazione professionale”.
- Il secondo ciclo di studi è formato da due canali:
o Sistema di istruzione secondaria superiore à statale.
o Sistema di istruzione e formazione professionale à regione
§ IeFP: istruzione e formazione professionale.
§ IFTS: istruzione e formazione tecnica superiore.
- La parte di formazione professionale somministrata in ambito aziendale dai datori di lavoro à è di
competenza statale.
- Nel caso in cui la formazione e il lavoro si intersecano (es. apprendistato – formazione continua –
fondi interprofessionali per la formazione continua)à vige la leale collaborazione tra stato e
regioni.

3. disciplina del comparto: le principali tappe evolutive


- Legge quadro in materia di formazione professionale (legge 845/1978):
Ha l’obiettivo di mutare la collocazione della formazione professionale iniziale nell’ambito del
sistema educativo, trasformandola da canale parallelo (all’istruzione secondaria superiore) a
strumento di politica attiva del lavoro.
Sia sul versante dei rapporti con la scuola che sul versante del lavoro non ci sono stati i mutamenti
sperati.
- Articoli 16 – 17 – 18 della legge 196/1997:
o Riordino del sistema di formazione professionale iniziale;
o Ha posto le basi per il potenziamento della formazione continua e per la costituzione dei
fondi interprofessionali;
o Disciplinato i punti chiave dell’apprendistato e i tirocini formativi e di orientamento;
o Ha previsto misure a sostegno della formazione professionale dei lavoratori interinali;

22
- Disciplina della formazione professionale iniziale nelle riforme del sistema educativo:
o Introduzione dell’obbligo di istruzione almeno per 10 anni à legge 296/2006;
o Obbligo formativo per i giovani fino ai 18 anni (diritto-dovere di istruzione e formazione) à
legge 53/2003 e d.lgs. 76/2005;
o Puntuale collocazione della formazione professionale iniziale nell’ambito del sistema
educativo à legge 40/2007;
i titoli conseguiti mediante la frequenza dei percorsi di formazione professionale, qualora rispondenti ai
requisiti richiesti dal Repertorio nazionale dell’offerta IeFP, hanno valore su tutto il territorio nazionale.
La legge 53/2003 prevede la connessione orizzontale con il resto del sistema educativo italiano à facoltà
di transitare dai percorsi regionali di istruzione e formazione professionale ai percorsi del sistema scolastico
superiore. È prevista anche la possibilità di proseguire negli studi scolastici e universitari.

4. l’avvio dei percorsi di istruzione e formazione professionale superiore: IFTS e ITS


La legge 144/1999 avvia l’ambito del sistema di formazione integrata superiore (FIS) del canale
dell’istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS). Esso è un interessante tentativo di colmare una delle
gravi lacune del nostro sistema di formazione professionale rispetto agli altri paesi europei: l’assenza di una
formazione di livello terziario non universitaria.
Sono programmate dalle regioni in collaborazione con università, scuole secondarie di secondo grado, enti
pubblici di ricerca, centri e agenzie di formazione professionale accreditati e imprese.

5. le attività di formazione professionale rivolte ai disoccupati


Il d.lgs. 150/2015 ha inserito, tra le misure di politica attiva del lavoro finalizzate a costruire i percorsi più
adeguati, per l’inserimento o il reinserimento lavorativo dei disoccupati, “l’avviamento ad attività dii
formazione ai fini della qualificazione o riqualificazione professionale”.

6. il sostegno alla formazione continua e l’istruzione dei Fondi interprofessionali per la formazione
continua
Si tratta della formazione professionale dei lavoratori occupati che hanno necessità di formazione anche a
causa di tutti i cambiamenti che sono in atto, soprattutto al giorno d’oggi (digitalizzazione).
Per quanto concerne il finanziamento, la legislazione fa emergere due filoni principali, che al momento
operano in parallelo e con possibili intrecci:
- Il tradizionale intervento della PA, mediate il finanziamento (totale o parziale) di attività di
formazione continua à Fondo sociale europeo.
- L’assegnazione di risorse a Fondi gestiti congiuntamente dalle parti sociali: i “Fondi paritetici
interprofessionali per la formazione continua”.
Questo secondo filone risponde al principio di sussidiarietà orizzontale: la PA si ritrae e valorizza il
ruolo di specifiche strutture appartenenti al mondo della “bilateralità sindacale”, ovvero strutture
promosse dalle parti sociali.
I Fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua
L’art. 118 Legge 388/2000 promuove la costituzione, ad opera delle parti sociali, di “Fondi paritetici
interprofessionali per la formazione continua”, alimentati con contributo da parte dei datori di lavoro
privati che, per finanziare la formazione professionale continua, tutti i mesi versano all’INPS un contributo
pari allo 0,30% del monte salari.
Il datore di lavoro nel momento in cui versa questo contributo può indicare quale sia il fondo
interprofessionale per la formazione a cui intende destinare quelle risorse (istituiti e gestiti dalle parti
sociali – sono circa 20 in Italia per altrettanti settori), oppure nel caso in cui non venga espressa alcuna
preferenza il contributo va allo stato.
Il legislatore ha previsto una concorrenza tra i fondi quindi ogni azienda può decidere qualsiasi fondo anche
se non inerente all’attività svolta in azienda.

23
L’obiettivo principale di tali fondi è quello di finanziare (in tutto o in parte) piani formativi (programma
organico di azioni formative a cui possono afferire uno o più progetti formativi) per i loro dipendenti,
previste da piani formativi aziendali, territoriali o settoriali che sono stati concordati tra le parti sociali.
Modalità in cui intervengo (di utilizzo) i fondi:
- Conto aziendale di formazione: molti fondi hanno una precisa contabilità di quello che la singola
azienda ha versato e quindi ha un proprio “conto” presso il fondo stesso.
L’azienda, quindi, può accedere in forma diretta a una percentuale di quanto versato e accantonato
dal fondo su un c/c ad essa intestato e può presentare un progetto per la formazione dei suoi
dipendenti che sia coerente con i soldi presenti nel conto formazione. à l’approvazione del
progetto è certa, purché sia di valore inferiore al conto formazione aziendale presente nel fondo.
Per evitare che il conto formazione assorbisse tutte le risorse, i fondi di solito mettono un limite
sull’utilizzo di quanto versato sul conto formazione (es. 80%) e il restante viene adibito in modo
mutualistico ai bandi.
- Bando: (modalità più tradizionale – sistema degli “avvisi”) il fondo predispone un avviso con cui
informa gli aderenti della possibilità di presentare richieste di finanziamento per attività formative
che perseguono determinate finalità. Chiunque sia interessato può presentare la domanda con il
proprio progetto, il quale viene analizzato e in caso positivo viene finanziato (rispettando i limiti dei
soldi presenti nel fondo).
Il fondo nuove competenze finanzia il costo del lavoro dei lavoratori impegnati nella formazione
professionale continua (le ore “perse” sul posto di lavoro) mentre i fondi interprofessionali finanziano
direttamente la formazione.
La sinergia tra i 2 fondi è fondamentale per il buon esito di questa strategia volta a potenziare l’attività di
formazione continua dei dipendenti.

8. l’apprendimento permanete e la certificazione delle competenze


Per apprendimento permanete si intende qualsiasi attività dalle persone in modo: formale; non formale; o
informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le proprie conoscenze, capacità e competenze, in
una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale.
- Apprendimento formale: quello che si attua nel sistema di istruzione e formazione che si conclude
con il conseguimento di un titolo di studio o una qualifica professionale;
- Apprendimento non formale: quello caratterizzato da una scelta intenzionale della persona che si
realizza (al di fuori dei sistemi indicati al puto precedete) in ogni organismo che persegua scopi
educativi e formativi;
- Apprendimento informale: quello che, a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello
svolgimento di attività svolte durante la vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo
(contesto di lavoro, famigliare e nel tempo libero).

I TIROCINI FORMATIVI E DI ORIENTAMENTO – CAP.11


1. il tirocinio formativo e di orientamento: profili generali
Il tirocinio formativo e di orientamento, noto anche come stage aziendale, è un’esperienza di lavoro che,
per espressa indicazione del legislatore, non costituisce un rapporto di lavoro.
Definizione: “periodo di pratica lavorativa di durata limitata, con una componente di apprendimento e
formazione, il cui obiettivo è l’acquisizione di un’esperienza pratica e professionale finalizzata a migliorare
l’occupabilità e facilitare la transizione verso un’occupazione regolare”.
Tale istituto può essere usato anche come strumento di politica attiva del lavoro, per favorire
l’orientamento e l’inserimento al lavoro di disoccupati o di coloro che presentano condizioni di debolezza o
svantaggio occupazionale.

24
Si può quindi capire quanto questo istituto sia duttile e utilizzabile:
- Nell’ambito del sistema educativo à al fine di completare la preparazione dell’allievo;
- Nell’ambito dei servizi per il lavoro e politiche attive à per agevolare l’inserimento al lavoro;
- Nell’ambito degli interventi a sostegno dell’inclusione sociale di soggetti in condizione di
svantaggio.

2. necessità di distinguere il tirocinio formativo e di orientamento dal rapporto di lavoro:


I tirocini formativi e di orientamento tipici non costituiscono “rapporti di lavoro”. In caso di controversia,
sarà dunque chi chiede il riconoscimento di un diverso rapporto, a dover dimostrare al giudice non il mero
svolgimento di un'attività lavorativa, ma la violazione della disciplina legale.
Pur non instaurando un rapporto di lavoro, il legislatore intende offrire assicurazioni anche alla collettività
in merito allo stage tipizzate, mediante l'indicazione di procedure, requisiti e limiti.
Con il fine di scongiurare il pericolo che il “tirocinio formativo e di orientamento” possa mascherare le
forme di lavoro irregolare, il legislatore ha creato il ruolo del promotore del tirocinio: un soggetto che
assume sui su di sé la responsabilità di esplicitare le ragioni per cui quelle esperienze di lavoro non può
essere qualificata come rapporto di lavoro.

3. competenza legislativa: incrocio tra stato e regioni


Con la riforma del Titolo V della Costituzione è stato posta la competenza legislativa dell'Istituto, all'incrocio
tra competenze statali e regionali.
3.1 tirocinio estivo:
La Corte costituzionale, chiamata da alcune ragioni a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della
norma, ha ritenuto (sentenza 50/2005) che il tirocinio estivo, non avendo alcun collegamento con rapporti
di lavoro e non essendo preordinato in via immediata ad eventuali assunzioni, rientrasse nella sfera di
competenza esclusiva (residuale) delle regioni, in materia di formazione professionale.
Lo Stato deve in ogni caso fissare i confini che delimitano l'area del tirocinio rispetto al rapporto di lavoro.
3.2 il riordino della disciplina ad opera dell’art. 11 legge 148/2011: nuovo conflitto di competenze:
Nel 2011 il legislatore statale con la legge 148/2011 ha proceduto al riordino del quadro normativo di
riferimento ribadendo in tal modo l'esistenza di uno spazio di intervento legislativo dello stato in materia:
- Viene ribadito, l'impianto triangolare del tirocinio: 1) tirocinante; 2) soggetto ospitante; 3) soggetto
promotore (requisiti per l’identificazione sono dementati alle regioni).
- Viene differenziata la disciplina dei tirocini curriculari da quella dei tirocini non curriculari. i primi
erano disciplinati dalla normativa regionale, i secondi invece sono sottoposti a vincoli indicati dalla
legislazione statale.
- Vennero posti limiti all'utilizzo dei tirocini non curriculari, i quali potevano essere attivati
unicamente favore dei neodiplomati o neolaureati e non potevano avere una durata superiore a 6
mesi, proroghe comprese. Restavano però esclusi da queste restrizioni i tirocini non curriculari
promossi a favore di disabili, invalidi psichici, fisici e sensoriali.
Con la sentenza 287/2012, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 11 legge 148/2011 per
contrasto con l'art. 117 Cost. poiché va ad invadere un territorio di competenza normativa residuale
(esclusiva) delle regioni.
3.3 il secondo riordino della legislazione statale (legge 92/2012) e i criteri per la definizione delle linee-
guida condivise
La legge 92/2012, ha affidato la nuova regolazione del “tirocinio formativo e di orientamento” ad un
accordo tra Stato e regioni da raggiungere in sede di conferenza permanente, volto alla definizione di
“linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento”.
Criteri (fissati dal legislatore) a cui deve informarsi l’accordo:
- Valorizzazione di altre forme contrattuali a contenuto formativo, sostenere quindi il rilancio
dell'apprendistato anche mediante un intervento restrittivo sui tirocini formativi e di orientamento.
- Azioni e interventi volti a prevenire, contrastare un uso distorto dell'Istituto.

25
- Individuare gli “elementi qualificanti del tirocinio” e degli effetti conseguenti la loro assenza.
- Riconoscimento di una congrua indennità, anche in forma forfettaria, in relazione alla prestazione
svolta a favore del tirocinante. La cui mancata corresponsione comporta una sanzione
amministrativa.

4. dal conflitto agli Accordi stato-regioni


Per quanto riguarda i tirocini non curriculari, la disciplina è rinvenibile, quindi, negli accordi tra Stato e
regioni e nelle leggi adottate dalla Regioni, in attuazione degli accordi. Ne consegue che la disciplina
applicabile nei diversi territori, seppur racchiusa entro un comune quadro, può avere elementi di
diversificazione.
4.1 accordo stato-regioni 2017 (ex 2013): “linee-guida in materia di tirocini non curricolari”
Le linee guida hanno indicato alcuni standard minimi di disciplina, la cui definizione ha lasciato inalterata la
facoltà delle regioni di fissare a disposizione di maggiore tutela.
I punti cardine dell'accordo stato-ragioni:
- Definizione di tirocinio non curriculare: non curriculare: periodo di orientamento al lavoro e di
formazione in situazione che non si configura con un rapporto di lavoro.
- Limiti nel campo di applicazione delle linee-guida: sono inclusi nel campo di applicazione i tirocini
non curriculare rivolti a:
o Soggetti in stato di disoccupazione.
o Lavoratori, beneficiare di strumenti di sostegno al reddito.
o Lavoratori a rischio di disoccupazione.
o Soggetti già occupati ma che siano in cerca di altra occupazione.
o Soggetti disabili e soggetti svantaggiati.
Sono invece esclusi dal campo di applicazione:
o Tirocini curriculari, anche nella modalità del tirocinio estivo.
o Tirocini previsti per l'accesso alle professioni ordinistiche ed i periodi di pratica
professionale.
o Tirocini per soggetti extracomunitari promossi all'interno delle quote d'ingresso.
- Durata del tirocinio: la durata massima dei tirocini non curriculari non può essere superiore a 12
mesi (per i soggetti disabili la durata può arrivare fino a 24 mesi), Mentre quella minima non può
essere inferiore a due mesi. È fatta salva la possibilità di prorogare la richiesta di proroga.
- Divieti di attivazione di tirocini: è vietato lo svolgimento di tali esperienze di lavoro:
o Qualora si tratti della ripetizione del tirocinio da parte dello stesso lavoratore, presto lo
stesso soggetto ospitante.
o Quando l'attività da svolgere non richiede un periodo formativo.
o Per sostituire lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto.
o Nell'ipotesi in cui il tirocinante abbia avuto un rapporto di lavoro con lo stesso soggetto
ospitante negli ultimi due anni.
o Per ricoprire ruoli, opposizioni proprie dell'organizzazione del soggetto ospitante.
o Per sostituire lavoratori subordinati nei periodi di picco delle attività.
o Presso soggetti ospitanti che abbiano effettuato licenziamenti nella stessa unità operativa
nell'anno precedente o che abbiano in essere procedura di CIGS.
- Limiti numerici per l'attivazione contemporanea dei tirocini:
o 1 tirocinante in unità operative senza dipendenti o con un massimo di 5.
o Massimo due tirocinanti in unità produttive con numero di dipendenti compreso tra 6 e 20.
o Numero non superiore al 10% del personale per le aziende con più di 20 dipendenti.
- Eventuali deroghe ai limiti: per i soggetti ospitanti, con unità operative con più di 20 dipendenti a
tempo indeterminato, sono ammesse attivazioni di nuovi tirocini, oltre la quota del 10%, a
condizione che abbiano stipulato contratti di lavoro subordinato della durata di almeno sei mesi
con i tirocinanti ospitati in precedenza.

26
- Convenzioni: i tirocini sono svolti sulla base di apposite convenzioni che disciplinano gli aspetti
fondamentali del tirocinio stesso, stipulate tra soggetti promotori e soggetti ospitanti. Le
convenzioni devono indicare:
o Le modalità di attivazione del tirocinio.
o Gli obblighi del soggetto promotore e di quello ospitante.
o Le forme di valutazione, attestazione degli apprendimenti.
o Monitoraggio delle attività.
o Decorrenza e durata della Convenzione.
- Soggetti promotori del tirocinio: sono soggetti solitamente pubblici che assumono sui su di sé la
responsabilità di esplicitare le ragioni per cui quelle esperienze di lavoro non può essere qualificata
come rapporto di lavoro.
- Compiti del soggetto promotore: presidiare la qualità dell'esperienza e dell'apprendimento del
tirocinio, particolare deve:
o Favorire l'attivazione dell'esperienza del tirocinio.
o Fornire informativa preventiva chiara e trasparente a cui il soggetto ospitante deve
attenersi.
o Individuare un tutor per il tirocinante.
o Provvedere alla predisposizione del piano formativo individuale, alla stesura del dossier
individuale del tirocinante e al rilascio dell'attestazione finale.
- Soggetti ospitanti: possono ospitare tirocini tutti i soggetti di natura pubblica o privata, che
rispettano dei requisiti specificati dalle regioni o province autonome.
- Compiti del soggetto ospitante:
o Stipulare la Convenzione con il soggetto promotore e collaborare alla definizione del piano
formativo individuale.
o Trasmettere al soggetto promotore le comunicazioni di proroga, interruzioni e/o infortunio.
o Designare tutor con funzione di affiancamento al tirocinante.
o Garantire un'adeguata informazione e formazione in materia di salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro.
o Mettere a disposizione del tirocinante tutto ciò che è necessario, lo svolgimento delle
attività assegnate.
o Collaborare attivamente alla stesura del dossier individuale nonché al rilascio
dell'attestazione finale.
- Progetto formativo: il progetto formativo deve indicare: 1) la durata del tirocinio; 2) l'indennità
prevista; 3) il numero di ore giornaliere settimanali che il tirocinante è tenuto a osservare; 4) le
garanzie assicurative previste, 5) le attività oggetto di tirocinio.
- Attestazione finale: sulla base del piano formativo individuale e del dossier individuale, è rilasciata
al tirocinante un'attestazione finale firmata dal soggetto promotore e da quello ospitante per
indicare e documentare le attività effettivamente svolte.
- Indennità di partecipazione: le linee-guida considerano congrua un'indennità di importo non
inferiore a 300 € lordi mensili, le regioni possono stabilire importi superiori fino a un massimo di
800 € lordi mensili.
Essa non è dovuta per i periodi di sospensione e anche nel caso in cui il tirocinante sia precettore di
una forma di sostegno al reddito, in costanza di rapporto di lavoro. Nel caso, invece, di tirocinanti,
disoccupati, beneficiari della NASPI, l'indennità è cumulabile con l'ammortizzatore percepito.
- I tutori: persone impegnate nell’accompagnare e guidare lo svolgimento del tirocinio. Ogni tutor
del soggetto promotore può accompagnare al massimo 20 tirocinanti contemporaneamente. Ogni
tutor del soggetto ospitante può accompagnare al massimo 3 tirocinanti contemporaneamente.
- Garanzie assicurative: Il soggetto promotore tenuto a garantire al tirocinante l'assicurazione contro
gli infortuni sul lavoro, oltre che quella per la responsabilità civile verso terzi.
- Comunicazioni obbligatorie alla PA: L'attivazione dei tirocini non curriculari è soggetta
comunicazione obbligatoria alla PA da parte del soggetto ospitante.
- Apparato sanzionatorio: A fronte del riscontro di eventuali irregolarità, le sanzioni saranno irrogate
dall'ispettorato nazionale del lavoro e dalle regioni sulla base delle rispettive competenze.

27
4.2 Accordo stato-regioni 2015: “linee-guida” per i tirocini non curriculari finalizzati all’inclusione sociale”
Per “presa in carico” ai fini dell'accordo si intende la funzione esercitata dal servizio sociale professionale in
favore di una persona o di un nucleo familiare in risposta bisogni complessi che richiedono interventi
personalizzati. La durata dei tirocini di inclusione sociale non può essere superiore a 24 mesi.
Alla Convenzione deve essere allegato un progetto personalizzato per ciascun tirocinante sottoscritto da:
tirocinante, soggetto ospitante, soggetto promotore e della PA che ha preso in carico la persona.
Tali tirocini sono esclusi dai limiti relativi al numero massimo di tirocini attivabili. È prevista un’indennità
che costituisce un soggetto economico finalizzato all'inclusione sociale.
4.3 Accordo stato-regioni 2014: “linee-guida in materia di tirocini non curricolari per extracomunitari:
Il destinatario di tali tirocini sono persone straniere residenti in paesi non comunitari che attestano un
percorso di formazione da completare col tirocinio in Italia.
La durata del tirocinio, stabilita in almeno tre mesi e non può essere superiore ai 12, comprese eventuali
proroghe.
In aggiunta agli obblighi ordinari, il soggetto ospitante ha l'obbligo di fornire al tirocinante un alloggio
idoneo, vitto e pagare le spese di viaggio per il rientro nel paese di provenienza.

I LAVORI SOCIALEMENTE UTILI E LE ATTIVITÀ A FINI DI PUBBLICA UTILITÀ


1. definizione
Lavori socialmente utili (LSU) e le attività a fini di pubblica utilità sono espressioni con cui si è soliti
qualificare le attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere o servizi resi a favore della collettività
e che sono svolte impiegando soggetti beneficiari di sostegno al reddito, senza l'instaurazione di un
rapporto di lavoro.
- LSU à sono mirati alla qualificazione professionale in settori innovativi.
- Lavori di pubblica utilità à sono mirati alla creazione di occupazione in nuovi bacini di impiego.
- Attività fini di pubblica utilità à hanno lo scopo di permettere al mantenimento lo sviluppo di
competenze dei lavoratori.

2. qualificazione del rapporto


Lo svolgimento di tali attività non dà luogo alla costituzione di rapporti di lavoro, bensì a un rapporto
giuridico di carattere previdenziale.

3. ripartizione delle competenze legislative tra stato e regioni


Nell'attuale quadro costituzionale si trovano all'incrocio di competenze legislative delle regioni e di
competenze esclusive dello Stato. Vige quindi la leale collaborazione tra Stato Regioni sia mediante accordi,
in sede di conferenza permanente; sia mediante convenzioni.

4. i principali filoni dell’esperienza italiana di LSU e di attività a fini di pubblica utilità


3 filoni di attività:
- Attività finanziate con risorse statali del Fondo sociale Occupazione e Formazione:
o Proroga dei LSU svolti dalla platea storica dei lavoratori socialmente utili.
o Contributo ai comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti per l'assunzione di LSU a
tempo indeterminato.
o Contributi ai comuni con popolazione inferiore ai 50.000 abitanti per la stabilizzazione di
LSU.
- Attività promosse con risorse proprie da PA o enti.
- Attività realizzate da Pia mediante l'impiego di lavoratori percettori di sostegno al reddito durante il
periodo di godimento di tali prestazioni.
In seguito, sono state aggiunte le attività rientranti in progetti a titolarità dei comuni per l'impiego dei
beneficiari del reddito di cittadinanza.

28
5. l’evoluzione del quadro legislativo: dal d.lgs. 468/1997 al riordino ad opera della d.lgs. 81/2000
I lavori socialmente utili hanno cominciato a conoscere un'apprezzabile applicazione pratica solo a seguito
delle norme che:
- da un lato, hanno reso più severa la disciplina della CIG e hanno introdotto l'istituto della “mobilità”
per il personale considerato in esubero;
- dall'altro lato, hanno attribuito al personale impegnato nei lavori socialmente utili, il diritto ad una
specifica integrazione economica.
La prima disciplina nel nostro ordinamento che legifera sulla materia è il d.lgs. 468/1997, il quale prevedeva
l'utilizzo diretto dei lavoratori da parte di pubbliche amministrazioni.
Il riordino della disciplina ad opera del d.lgs.81/2000:
l'attuazione del vecchio decreto ha dimostrato però gravi limiti, le attività da transitorie, sono
progressivamente diventate pressoché stabili e la rotazione tra lavoratori non è stata applicata.
È in questo contesto che è intervenuto il d.lgs.81/2000, con l'obiettivo di evitare, innanzitutto, l'ulteriore
proliferazione di LSU e riportarli entro limiti fisiologici, anche provvedendo misure di sostegno per la
ricollocazione sul mercato ordinario à L’art. 7 prevede contributi economici in favore dei datori di lavoro
privati e degli enti pubblici economici (e dei comuni con meno di 5000 abitanti) che assumono soggetti
impegnati in progetti di LSU.
A seguito di questo decreto, gli enti utilizzatori di LSU saranno solo gli enti pubblici e, i soggetti impiegabili
subiranno una restrizione rispetto al vecchio decreto.
Viene invece ampliata la gamma di attività in cui possono essere impiegati lavoratori con l'intento di
promuovere l'impiego in nuove e diverse attività che possono cambiare nel corso del tempo.
La durata dell'occupazione in LSU non può essere superiore a sei mesi, rinnovabile per un ulteriore periodo
di sei mesi, a patto che l'ammontare dell'assegno sarà per il 50% corrisposto dall’ente utilizzatore.
Per quanto riguarda l'orario di lavoro, è previsto l'impiego per non meno di 20 ore settimanali e per non più
di 8 ore al giorno.
Ai lavoratori privi di trattamento previdenziale spetta un assegno mensile per i lavori socialmente utili svolti
e viene riconosciuto l'accredito della contribuzione figurativa.

6. i nuovi scenari alla luce dell’art.26 d.lgs.150/2015: la disciplina delle attività a fini di pubblica utilità
Abrogato per intero il d.lgs.468/1997, rimane in vigore invece il d.lgs81/2000.
Rimane in continuità, la tradizione consolidata la disposizione secondo cui “l'utilizzazione di lavoratori nelle
attività di pubblica utilità non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro” lavoro” e quelle che
prevedono convenzioni tra Stato e regioni.
Vi è un'ulteriore restrizione della platea dei beneficiari che ora si limita a:
- Lavoratori che beneficiano di strumenti di sostegno al reddito in costanza del rapporto di lavoro,
senza che vi sia distinzione alcuna tra beneficiari dell'intervento ordinario o straordinario della
cassa integrazione, né per quanto riguarda il tempo da cui viene percepito l’ammortizzatore.
- Lavoratori disoccupati ultra sessantenni, privi dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia o per il
pensionamento anticipato.
Il sussidio corrisposti lavoratori è erogato dall'Inps ed è denominato “assegno di sussidio per attività
socialmente utili” (ASU), il cui importo dipende dalla condizione occupazionale del lavoratore.
Qualora il lavoratore fruisca di sostegno al reddito in costanza del rapporto di lavoro, non ha diritto ad altri
emolumenti; il decreto, tuttavia, limita il suo utilizzo à quanto minore risulterà l'importo percepito, tanto
minore sarà l'orario di lavoro.

7. impiego dei beneficiari del reddito di cittadinanza


Il legislatore richiede al beneficiario del RDC di essere disponibile a partecipare a progetti utili alla
collettività, svolgendo, nel proprio Comune di residenza, un numero di ore compatibili con le altre attività
del beneficiario e comunque non superiore alle 8 ore settimanali.

29
Le attività in cui potrà essere impiegato il beneficiario del reddito di cittadinanza devono essere coerenti col
suo profilo professionale e con le competenze da lui acquisite. Devono inoltre tener conto degli interessi,
delle propensioni del lavoratore, emerse nel colloquio sostenuto presso il Centro per l'impiego.

GLI INCENTIVI ECONOMICI E NORMATIVI PER FAVORIRE L’ASSUNZIONE DI SOGGETTI SVANTAGGIATI –


CAP.13
1. finalità, diffusione e limiti degli incentivi per favorire assunzioni di soggetti in condizione di svantaggio
Mediante l’adozione di tecniche premiali, il legislatore vuole indurre il datore di lavoro ad assumere, tra
tutti i potenziali candidati, un soggetto appartenete a categorie poste ai margini del mercato del lavoro;
oppure di utilizzare un determinato tipo di contratto per l’assunzione.
A questo fine, ci sono due strumenti:
- Incentivi economici, volti a ridurre il costo del lavoro à sgravi contributivi o fiscali.
- Incentivi normativi, volti a stabilire specifiche regole più flessibili à
o Previsione di un limite massimo di durata del rapporto o la facoltà di fissare un termine;
o Ammissione di un salario ridotto;
o Non computabilità al dine del superamento dei limiti occupazionali per l’applicazione di
leggi e CCNL.
Attualmente non risultano affatto chiare né le modalità, né le ragioni che giustificano i divari di entità e
durata dei diversi incentivi concessi. Se a questo si somma il policentrismo delle sedi di regolazione,
amplificato dalla riforma del titolo V, che produce una disorganizzata sovrapposizione di strumenti e di
interventi; si ottiene un quadro disorganico, caratterizzato da:
- L’effetto “peso morto”: incentivo per assunzioni che sarebbero comunque state fatte;
- L’effetto di “sostituzione o spiazzamento”: gli effetti positivi derivanti dall’assunzione di un
soggetto beneficiato sono controbilanciati dagli effetti negativi che si registrano sugli altri soggetti.

2. le limitazioni poste dall’UE agli interventi pubblici volti ad incentivare l’assunzione e l’occupazione: le
misure ammesse a sostegno dei lavoratori svantaggiati o con disabilità
Il regolamento dell’UE 651/2014:
- individua le categorie di soggetti potenzialmente beneficiari degli incentivi economici volti a
favorire l’assunzione o l’occupazione di lavoratori svantaggiati o con disabilità;
o lavoratore svantaggiato, ovvero colui che:
§ non ha un impiego retribuito da almeno 6 mesi;
§ non possiede un diploma di scuola superiore o diploma professionale;
§ ha un’età compresa tra i 15 e i 24 anni o superiore ai 50 anni;
§ è un adulto che vive da solo e ha una o più persone a carico;
§ è occupato in professioni caratterizzate da un tasso di disparità uomo-donna
superiori al 50% ed è del genere “discriminato”;
§ appartiene ad una minoranza etnica.
o Lavoratore molto svantaggiato, ovvero colui che:
§ Non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi;
§ Non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno 12 mesi e appartiene ad una
tra le categorie 3 o 5 dell’elenco precedente.
o Lavoratore con disabilità, ovvero colui che:
§ È riconosciuto come lavoratore con disabilità a norma di legge;
§ Presenta durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che, in
combinazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed
effettiva partecipazione all’ambiente lavorativo.
- limita l’intensità e la durata massima degli aiuti ammessi, che variano a seconda del grado di
debolezza della categoria sociale considerata.
Da tale regolamento sono esclusi gli aiuti cd. “de minimis”, ovvero quelli di piccola entità (max 200.000€
nell’arco di 3 anni alla stessa azienda), in quanto si presume che non incidano sulla concorrenza.

30
3. principi per un’omogenea applicazione degli incentivi economici
Tali principi sono da considerare “principi fondamentali” in una materia a competenza legislativa
concorrente, in quanto, tutti i soggetti, regioni comprese, sono tenuti a rispettarli.
In caso di somministrazione lavoro, gli incentivi economici spettano all’utilizzatore.
Gli incentivi non spettano quando:
- l’assunzione costituisce l’attuazione di un obbligo, stabilito a norma di legge;
- l’assunzione violi il diritto di precedenza all’assunzione di un altro dipendente;
- il datore di lavoro abbia in atto delle sospensioni del lavoro connesse a una crisi o riorganizzazione
aziendale;
- il lavoratore sia stato licenziato, nei 6 mesi precedenti, da parte di un datore di lavoro, in qualche
modo affiliato a quello che lo assume;
il riconoscimento degli incentivi previsti per le assunzioni incentivate è subordinato;
- all’impegno del datore di lavoro di applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti, condizioni non
inferiori a quelle risultanti dai CCNL.
- Alla dimostrazione del regolare versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, mediante
l’esibizione del DURC.

L’impressione che deriva da questo quadro normativo è quella di provvedimenti che interferiscono tra
loro e, nel complesso, indeboliscono l’efficacia dell’azione pubblica. Il che rende assolutamente
necessario l’intervento di riordino previsto già dal 2007 e fino ad ora continuamente rinviato.

31

Potrebbero piacerti anche