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Le fascianti

S’affollavano storditi i paesani zotici di Grotte o di Favara, di Racalmuto e di


Raffadali o di Montaperto, solfatari e contadini, la maggior parte, dalle facce
terrigne e arsicce, dagli occhi lupigni, vestiti dei grevi abiti di festa di panno
turchino con berrette di strana foggia […] venuti per testimoniare o per
assistere i parenti carcerati. Parlavano tutti con cupi suoni gutturali o con
aperte protratte interiezioni. […] E avevano seco le loro donne, madri e mogli e
figlie e sorelle, dagli occhi spauriti o lampeggianti d’un’ansietà torbida e
schiva.1
E’ pittoresca e appare quasi priva di empatia la descrizione pirandelliana della
folla dei Fasci. Ma altro è il tono quando descrive l’indignazione di fronte alla
dichiarazione crispina dello stadio d’assedio.
Per tutto era un fremito d’odio alle notizie che giungevano di paesi circondati
da reggimenti di fanteria, da squadroni di cavalleria, per trarre in arresto a
centinaia, senz’alcun discernimento e con furia selvaggia, ricchi e poveri,
studenti e operai, e qua consiglieri e là maestri e segretari comunali, e donne e
vecchi e finanche fanciulli; soppressa la stampa; sottoposta a censura anche la
corrispondenza privata; tutta l’isola tagliata fuori dal consorzio civile e resa
legata e disarmata all’arbitrio d’una dittatura militare.[…]Per quanto i più alti
ordini sociali fossero spaventati dalle agitazioni popolari, ora, di fronte a quella
sopraffazione militare, a quell’aria di nemico invasore della milizia che aboliva
per tutti ogni legge e sopprimeva ogni garanzia costituzionale, si sentivano
inclinati, se non ad affratellarsi con gli infimi, se non a scusarli, almeno a
riconoscere che in fine questi, finora, nei conflitti, avevano avuto sempre la
peggio, né mai s’erano sollevati a mano armata, e che, se a qualche eccesso
erano trascesi, vi erano stati crudelmente e balordamente aizzati dagli eccidi. 2
Del resto Crispi non era nuovo a simili decisioni: nel 1860, da segretario di
Stato di Garibaldi, aveva autorizzato i massacri di contadini perpetrati da Bixio
a Bronte, Centuripe, Regalbuto e Randazzo. E ora, nel 1893, a bella posta
l’avevano voluto al governo, liquidando Giolitti col pretesto del suo
coinvolgimento nello scandalo della Banca Romana, Giolitti che forse quella
repressione indiscriminata avrebbe evitato.
Ma cominciamo dall’inizio.
Sono duri gli anni in quello scorcio di secolo: i grandi monopoli industriali
decollano al Nord d’Italia, protetti dai dazi doganali e favoriti dall’insicurezza
della manodopera priva di tutele, mentre la mancata riforma agraria,
mantenendo intatto il latifondo, fa del Mezzogiorno un serbatoio di materie
prime a basso costo e di braccia per le fabbriche e un mercato per i prodotti
finiti che è panacea per la neonata industria settentrionale. Si crea così quella
strana alleanza denunciata da Gramsci fra imprenditori progressisti del Nord e
agrari retrivi del Sud, che è l’esito anomalo del nostro Risorgimento. La grande
emigrazione svuota le campagne meridionali, concedendo un breve sollievo a
chi resta, poiché contiene la disoccupazione e il crollo dei salari e fornisce

1
Pirandello, I vecchi e i giovani, Milano 1981, p.142.
2
Pirandello, op.cit., p.405.
rimesse in valuta pregiata straniera. Ma la massiccia invasione dello zolfo
americano annienta la produzione siciliana e la tariffa del 1887 scatena una
guerra del vino con la Francia che rovina i viticoltori pugliesi, i quali
esportavano uve da taglio poco pregiate, ora rifiutate ai confini.
Al Nord il movimento operaio comincia a organizzarsi: nasce nel 1891 la prima
Camera del Lavoro a Milano e l’anno dopo Costa Kuliscioff e Turati fondano il
Partito Socialista. Scioperi delle mondine si susseguono nella pianura padana,
leghe di resistenza nascono nelle campagne emiliane e romagnole. In
Lunigiana i cavatori di marmo scioperano. In Sicilia, nascono i Fasci, il primo
esempio di lotta organizzata contro la mafia. 3Zolfatari e contadini, ma anche
operai delle fonderie di Palermo e Catania dal 1891 iniziano a scendere in
piazza. Dapprima la loro protesta è solo espressione di un malessere atavico e
senza sbocco, ma presto essi trovano sponda in esponenti della borghesia colta
che redigono un programma di massima. Sono il possidente Bernardino Verro,
il ragioniere Garibaldo Bosco, il medico Nicola Barbato, l’avvocato Giacomo
Montalto, il principe Alessandro Tasca di Cutò, futuro deputato socialista nel
collegio di Sciacca, e il catanese Giuseppe De Felice. Le richieste sono
semplicemente giuste, neppure rivoluzionarie: la riforma del patto di mezzadria
e l’imponibile di manodopera, la riforma tributaria per un’imposizione
progressiva, la pubblicazione dei bilanci delle amministrazioni locali e la
pubblicità delle gare d’appalto cui devono poter partecipare le cooperative dei
Fasci, l’abolizione del dazio di consumo, la quotizzazione dei demani, l’accesso
per le cooperative contadine alle terre incolte dei latifondi. Questi i Patti di
Corleone, del luglio 1892, sostenuti dal primo grande sciopero mezzadrile di
massa. Al congresso di Grotte, del novembre dello stesso anno, gli operai
chiedono l’elevazione a 14 anni dell’età minima per scendere in miniera e un
minimo salariale di 3 lire.
E’ vero che nelle occupazioni simboliche delle terre qualche eccesso di violenza
si registra, ma non è paragonabile in alcun modo all’efferatezza dello stato
d’assedio voluto da Crispi in Lunigiana e nella sua isola.
I Fasci si posero coscientemente il problema della mafia, anche come risposta
alle accuse di essere associazioni di malfattori, escludendo dai loro statuti
mafiosi e criminali. […] Il loro movimento fu stroncato sanguinosamente per
l’azione congiunta di istituzioni e mafia.4
La loro fu la prima lotta consapevole contro il latifondo e contro le collusioni tra
mafia e politica. Non dimentichiamo che il 1893 è anche l’anno del primo
omicidio eccellente: sul treno Palermo-Termini Imerese viene ucciso l’ex
direttore del Banco di Sicilia Emanuele Notarbartolo che intendeva svelare
l’origine degli ammanchi nelle casse del Banco: l’insolvenza del deputato
Palizzolo, collegato al boss Giuseppe Fontana, cui era stata finanziata una
campagna elettorale non proprio trasparente!
Ma c’è un’altra novità assoluta nel movimento dei Fasci: la diffusa, consistente,
convinta presenza delle donne. Non deve stupirci, dal momento che i giovani
uomini erano per lo più andati a cercare fortuna in America…
La partecipazione dei ragazzi e delle donne dava un preciso carattere di massa
al movimento dei Fasci […], costituiva anche un elemento nuovo che dava tono

3
U. Santino, Storia del movimento antimafia,Roma 2000, p. 23
4
ibidem, p. 24
e clima morale particolare alla vita delle sezioni locali. […] Tale era l’atmosfera
religiosa che dominava in taluni Fasci, che, riferivano con scandalo alcuni
giornalisti, qualche socio quando nasceva un bambino invece di portarlo in
chiesa per il battesimo lo portava al Fascio.5
A Piana dei Greci esisteva un Fascio delle Lavoratrici con mlille iscritte, una
propria sezione di tre stanze e uno stendardo rosso con l’iscrizione.
La porta d’ingresso e le pareti erano tutte adorne di festoni di piante verdi di
montagna per l’inaugurazione della bandiera delle donne. Tre camere al primo
piano, tutte inghirlandate con rami d’ulivo, alloro, ellera, e altre piante
rampicanti, con festoni adorni di pannocchie, melanzane, piccole zucche gialle
e bacche rosse. Nella stanza principale era spiegato il nuovo stendardo rosso,
con queste parole ricamate in bianco dalle stesse socie ”Fascio delle Lavoratrici
di Piana dei Greci”. Una stanza più piccola serviva per il concerto e per la
fanfara del Fascio. Portabandiera delle Fascianti era una bella giovane
diciottenne, formosa, dai grandi occhi neri, che col viso incorniciato dalla
mantellina di lana bianca aveva tutto l’aspetto di una vestale: era stata scelta
dopo che nell’ultimo tumulto – forse quello contro il colera in cui tra gli
arrestati c’era anche una donna all’ottavo mese di gravidanza – si avanzò
verso i soldati che avevano spianato le armi contro il popolo e disse loro:
Avreste il coraggio di tirare contro di noi? Un soldato le rispose piano, per non
farsi sentire dagli ufficiali: Io, per me, ti do anche il fucile, se lo vuoi. Dritta
come una palma, col viso soffuso da un leggero rossore si era rivolta ai militari,
quelli avevano abbassato le armi e il capitano aveva ritirato i suoi uomini. 6
Anche a Partinico, nel novembre del 1893, una ventina di donne aveva
avvicinato i soldati e descrivendo le condizioni di miseria, in cui erano costretti
a vivere i figliuoli, aveva spinto quei militari a fraternizzare, con il risultato di
provocare un immediato ordine alle truppe di levare le tende da quel paese. 7
A Milocca, dopo che i membri del Consiglio Direttivo del Fascio vengono
imprigionati, le donne di quell’ameno villaggio, le quali non sono meno
gagliarde degli uomini, indignate di quella che a loro sembrava infame
prepotenza, insorgono in numero di cinquecento, assaltano la caserma dei
carabinieri, ne sfondano le porte e liberano i cinque arrestati della vigilia. Non
un solo uomo si unì alle donne e di fronte a questo esercito infuriato, ma
inerme, i carabinieri non ebbero cuore di far fuoco e perciò non si deplorarono
morti o feriti. Delle intenzioni delle donne, che non si seppero rassegnare a
vedere arrestati ingiustamente i mariti e i figli, se ne ha la prova in questa
circostanza: ebbre di gioia per la liberazione dei prigionieri, s’impadronirono
delle armi dei carabinieri, non per adoperarle, ma per condurle in trionfo; e in
trionfo condussero sulle loro braccia, baciandolo in volto, un carabiniere che si
era mostrato più umano e pietoso verso di loro.8
Ma non sempre andava a finire così!
Se a Piana le donne erano mille, a Belmonte Mezzagno erano settecento e
ottanta a San Giuseppe Jato; a Modica esisteva addirittura una sezione di

5
S.F. Romano, Storia dei Fasci Siciliani, cit. in Desideri, Storia e Storiografia, Messina 1984, p. 319
6
Questa descrizione risale alla più ricca testimonianza sulle donne dei Fasci, quella del giornalista Adolfo Rossi, che
pubblicò la sua inchiesta con il titolo L’agitazione in Sicilia. Questo passo è citato da Michele Figurelli in Siciliane,
Siracusa 2006, p.540
7
S.F. Romano, ibidem
8
Da un giornale dell’epoca, citato in U. Santino, op. cit., p.48
fanciulli, I Figli del Fascio. Durante le manifestazioni, le donne erano nelle
prime file e camminavano dritte e maestose come tante regine, donne
intelligentissime che parlavano in pubblico con vera eloquenza. In uno sciopero
agricolo sei donne di Villafrati furono arrestate per aver tolto di mano la zappa
ai contadini e un’altra donna, Caterina Costanzo, era stata arrestata nella zona
di Piana.9
Di molte conosciamo i nomi e le storie. Maria De Felice Giuffrida, figlia del
fondatore del Fascio dei Lavoratori di Catania, è una giovanetta quattordicenne
straordinariamente animata dalla fede nel socialismo, che parla al popolo col
fervore di una missionaria e che per il sesso e l’età esercita sulle masse un
vero fascino. Così la descrive il giornalista Adolfo Rossi, nella sua inchiesta
L’agitazione in Sicilia, la più ricca fonte per ricostruire la storia delle Fascianti.
Anna Pillitteri, con sette altre compagne del Fascio di Piana, è condannata a
due mesi per oltraggio e violenza ad una guardia. Altre ancora subiscono
arresti, carcerazioni e processi. Antonina Matranga è processata per essersi
proclamata amica di Barbato, il medico dei poveri; Maria Finocchio per la sua
propaganda a Santa Cristina Gela; Maddalena Cusenza di diciassette anni,
insieme con una trentina di altre donne, per aver preteso dal municipio di
Piana le chiavi dell’acqua pubblica ‘non potendo morire di sete’ 10e forse è
proprio lei la bella portabandiera descritta da Rossi. Quest’ultimo procedimento
si concluse il 23 novembre 1893 con la condanna delle trentenne Elena Pillitteri
per resistenza a pubblico funzionario. I fatti risalivano all’11 settembre
precedente, quando le donne avevano preteso il controllo dell’acqua potabile e
la creazione di un cordone sanitario in seguito a una morte per colera. Sullo
scranno degli imputati le donne vestono il caratteristico costume greco-
albanese, ci racconta il Giornale di Sicilia. La Pillitteri, rilasciata dopo pochi
giorni, viene acclamata al suo rientro come l’innocente condannata.
E ancora il 2 giugno del 1895 i carabinieri di Piana arrestano numerose
Fascianti per incitamento all’odio di classe, tra queste Francesca Chiesa, di
trentadue anni, definita caporione delle istigatrici.11
Ma ascoltiamo le loro voci!
Una contadina maritata (bella donna con denti candidissimi e grandi occhi pieni
d’intelligenza): Vogliamo che come lavoriamo noi, lavorino tutti. Che non vi
siano più né ricchi né poveri. Che tutti abbiano del pane per sé e per i figli.
Dobbiamo essere uguali. Io ho cinque bambini e una sola cameretta, dove
siamo costretti a mangiare, a dormire e a far tutto, mentre tanti signori hanno
dieci o dodici camere, dei palazzi interi. Le terre, le case basta metterle in
comune e distribuire con giustizia quello che rendono. […] Gesù era un vero
socialista e voleva appunto quello che chiedono i Fasci, ma i preti non lo
rappresentano bene, specialmente quando fanno gli usurai.
Una zitella (alzandosi e venendo a parlare in mezzo al circolo perché la sentissi
bene): I signori prima non erano religiosi e ora che c’è il Fascio hanno fatto
lega coi preti e insultano noi donne socialiste come se fossimo disonorate. Il
meno che dicono è che siamo tutte le sgualdrine del presidente.

9
S.F. Romano, ibidem
10
M. Figurelli, ibidem
11
Antonino Blando, in Siciliane, p.791
Una vecchia: Io ho avuto il marito malato per sette anni e andai al Municipio a
dire che non potevo pagare il fuocatico. Mi hanno risposto che dovevo andare a
servizio, ma che era necessario pagare.
Un’altra contadina: Non trovando lavoro qui, mio marito è andato in America e,
per campare, le mie due figlie hanno dovuto mettersi al servizio a Palermo.
Sentendo che c’era il colera, la settimana scorsa io volli andarle a trovare. Non
avendo da pagare il carretto, fui costretta a impegnare qualche straccio presso
uno strozzino, perché qui non abbiamo Monte di Pietà, ma solo certi usurai che
una volta erano poveri come noi.12
Le donne seppero meritarsi tutto il rispetto dei loro compagni se Barbato, a
proposito della proprietà privata, denunciava il suo feroce estendersi a tutti e a
tutto, non esclusa la propria prole e la propria moglie, continuando: quando la
donna non può più convivere col proprio compagno, dovrebbe essere libera di
lasciarlo, ma si risveglia l’uomo selvaggio e dice ‘tu sei mia, non per affetto né
per ragione di cuore, sei proprietà mia e io ti sopprimo’. Noi uomini portiamo
un’idea selvaggia di questo diritto di proprietà sulla donna, proprietà che si
manifesta sopprimendo l’essere verso il quale noi ci sentiamo padroni, non
l’essere da cui vogliamo essere amati.13
Il movimento visse tra il 1891 e il ’93. Al momento della repressione Turati
chiamò il Partito Socialista in correo, dichiarando tutti gli iscritti complici
necessari dei contadini siciliani. E fu merito di una donna, Anna Kuliscioff, che
scrisse ad Engels, se anche la II Internazionale si schierò con i Fasci.
Nessuna riforma agraria fu attuata e l’emigrazione si ingigantì sino allo scoppio
della Grande Guerra, ma le Fascianti restarono di esempio per le donne che
sarebbero venute dopo: per quelle che occuparono le terre nel secondo
dopoguerra a sostegno dei decreti Gullo del 1944, come Gina Mare e Lucia
Mezzasalma; per le donne di Portella delle Ginestre e della strage di via
Maqueda; per quelle che si batterono nel 1945, al grido di ‘Non si parte!’,
contro la leva, come Maria Occhipinti di Ragusa; per le donne che ruppero il
muro mafioso dell’omertà, come Francesca Serio, madre di Turi Carnevale, e
Felicia Bartolotta, madre di Peppino Impastato. Donne con la schiena dritta.
Esempi. Esempi per tutte noi.

12
Dall’inchiesta di Adolfo Rossi,L’agitazione in Sicilia, citata in un dattiloscritto inedito del prof. Roberto Lopes che
ringrazio
13
Nicola Barbato, Conferenza sul socialismo,Trani 1902, cit. in M. Figurelli, ibidem

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