Sei sulla pagina 1di 254

Antonio Zoppetti

PRIMO SOCCORSO
COSA FARE (E NON FARE)
NEI CASI DI EMERGENZA

Manuale pratico da portare sempre con sé


per affrontare qualsiasi situazione di emergenza

EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO


Copyright © Ulrico Hoepli Editore, S.p.A. 2012
via Hoepli 5, 20121 Milano (Italy)
tel. +39 02 864871 – fax +39 02 8052886
e-mail hoepli@hoepli.it

www.hoepli.it
Seguici su Twitter: @Hoepli_1870

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge


e a norma delle convenzioni internazionali

ISBN 978-88-203-5565-4

Progetto editoriale: Maurizio Vedovati - Servizi editoriali (info@iltrio.it)


Redazione: Francesca de Robertis
Impaginazione: Monica Sala
Disegni: Gabriele Frione

Realizzazione digitale: Promedia, Torino


INDICE

Premessa

PARTE PRIMA – AVVERTENZE INDISPENSABILI


1. IL PRIMO SOCCORSO
2. LA TUTELA DEL SOCCORRITORE
3. ASPETTI LEGALI
4. RACCOMANDAZIONI: LA TEORIA NON BASTA SENZA LA
PRATICA
5. I NUMERI DI EMERGENZA: 118, 113, 112, 115 E ALTRI

PARTE SECONDA – NOZIONI BASE SUL CORPO UMANO


6. L’APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO
7. L’APPARATO RESPIRATORIO
8. L’APPARATO DIGERENTE
9. IL SISTEMA OSSEO (SCHELETRO)
10. GLI OCCHI
11. IL SISTEMA NERVOSO
12. I RENI E L’APPARATO URINARIO
13. L’APPARATO RIPRODUTTIVO

PARTE TERZA – COSA FARE IN CASO DI…


14. AIDS (HIV), EPATITE E INFEZIONI PER VIA EMATICA
15. ANGINA
16. ANNEGAMENTO
17. APPENDICITE
18. ARRESTO CARDIACO
19. ASFISSIA
20. ASMA
21. ASSIDERAMENTO
22. AVVELENAMENTO
23. COLICHE
24. COLLASSO
25. COLPO APOPLETTICO
26. COLPO DI CALORE
27. COLPO DI SOLE
28. COMA
29. COMMOZIONE CEREBRALE
30. CONGELAMENTO
31. CONGESTIONE CEREBRALE
32. CONTUSIONE
33. CONTUSIONE CEREBRALE
34. CONVULSIONI
35. CRISI ISTERICA
36. DIABETE
37. DIARREA
38. DISTORSIONE
39. EDEMA POLMONARE
40. EMATEMESI
41. EMATURIA
42. EMBOLIA
43. EMORRAGIA
44. EMOTTISI
45. EPILESSIA
46. EPISTASSI
47. FEBBRE
48. FERITE
49. FOLGORAZIONE
50. FRATTURE
51. GRAVIDANZA INDESIDERATA
52. ICTUS
53. IDROFOBIA
54. INFARTO CARDIACO
55. IPERPIRESSIA (FEBBRE)
56. LEPTOSPIROSI
57. LIPOTIMIA (SVENIMENTO)
58. LUSSAZIONE
59. MELENA
60. METRORRAGIA
61. MORSI DI VIPERA E DI ALTRI SERPENTI
62. OCCLUSIONE INTESTINALE
63. OTORRAGIA
64. PALPITAZIONI
65. PARTO
66. PERDITA DI COSCIENZA
67. PERITONITE
68. PUNTURE E MORSI DI INSETTI E ALTRI ANIMALI
69. RABBIA (IDROFOBIA)
70. SHOCK
71. SINCOPE
72. SINDROME DA SCHIACCIAMENTO
73. SOFFOCAMENTO
74. TETANO
75. TRAUMA CRANICO
76. USTIONI
77. VOMITO

PARTE QUARTA – LE TECNICHE DI PRIMO SOCCORSO


78. DISINFEZIONE E MEDICAZIONE
79. BENDAGGI E FASCIATURE
80. BLOCCO DELLE EMORRAGIE MASSIVE
81. IMMOBILIZZAZIONE DELLE FRATTURE
82. TRASPORTO DI UN INFORTUNATO
83. VALUTAZIONE DELLO STATO DI COSCIENZA
84. INDIVIDUARE RESPIRAZIONE E POLSO
85. IPERESTENSIONE DELLA TESTA
86. POSIZIONE LATERALE DI SICUREZZA (PLS)
87. LA POSIZIONE ANTISHOCK
88. RESPIRAZIONE ARTIFICIALE
89. RIANIMAZIONE ARTIFICIALE: MASSAGGIO CARDIACO E
RESPIRAZIONE ARTIFICIALE

PARTE QUINTA – TEST DI VERIFICA


90. TEST DI VERIFICA: IL CORPO UMANO
91. TEST DI VERIFICA: COSA FARE IN CASO DI…
92. TEST DI VERIFICA: LE TECNICHE DI PRIMO SOCCORSO
93. SOLUZIONI AI TEST DI VERIFICA

APPENDICI
COSA METTERE NELLA CASSETTA DEL PRONTO SOCCORSO
COSA FARE IN CASO DI TERREMOTO
COSA FARE IN CASO DI ERUZIONE VULCANICA
COSA FARE IN CASO DI INCENDIO
COSA FARE IN CASO DI DISASTRI IDROGEOLOGICI

Circa l’autore
PREMESSA

Può capitare a chiunque di trovarsi all’improvviso in una situazione in cui è


necessario prestare il proprio soccorso. Purtroppo il più delle volte non si è
assolutamente preparati a un’evenienza del genere. Ci si fa prendere dal
panico e dall’agitazione, si compiono azioni inutili e – per quanto in buona
fede – persino dannose. Senza un minimo di preparazione, invece di aiutare
una persona si rischia di aggravarne il quadro clinico. Ci si affida al buon
senso e alle cose che da sempre si sentono dire ma che spesso sono
completamente erronee e sconsigliabili. Talvolta le massime popolari sono
assolutamente fuorvianti. Basti pensare alla consuetudine di dare da bere
“qualcosa di forte” e di alcolico a chi ha uno svenimento o un mancamento,
un errore molto grave, poiché l’alcol è un vasodilatatore che provoca
l’effetto opposto a quello necessario. Allo stesso modo, la convinzione
ancora piuttosto diffusa che davanti all’emergenza la cosa migliore sia
trasportare l’infortunato al pronto soccorso nel più breve tempo possibile e
con il primo mezzo a disposizione è completamente sbagliata. Davanti a un
incidente ci si deve invece rivolgere al personale specializzato in grado di
trasportare l’infortunato nel migliore dei modi e, in attesa dei soccorsi, è
importante sapere cosa fare per non peggiorare la situazione e per aiutare
correttamente chi ne ha bisogno. Ci vuole calma e la prima cosa da fare non
è quella di trasportare, ma di intervenire per mettere in sicurezza,
immobilizzare quando è il caso e tenere sotto controllo le funzioni vitali. E
invece, quante volte ai soccorritori capita di trovare un incidentato che è
stato estratto maldestramente dall’automobile da passanti che credono in
questo modo di aiutare il malcapitato!
Una cultura generale e di base del primo soccorso, nei momenti di
emergenza, può contribuire a salvare una vita o comunque aiutare ad
alleviare le pene di chi soffre. È importante precisare che lo scopo di questo
lavoro non è quello di formare dei soccorritori. Per diventarlo infatti
bisogna seguire appositi corsi che affiancano alle nozioni teoriche le
indispensabili esercitazioni pratiche. È però auspicabile che le norme del
soccorso facciano parte del bagaglio culturale di ognuno di noi. Una
persona “di cultura” spesso spazia dalla letteratura all’arte, dalla scienza dei
massimi sistemi alla storia, eppure davanti alle norme di soccorso più
elementari manifesta una profonda ignoranza. Colmarla, invece, non solo è
facile, ma anche utile per chi ci sta attorno. Questo libro vuole fornire le
basi e vuole contribuire a creare quella cultura del pronto soccorso che
dovrebbe appartenere a tutti. La speranza è anche che il lettore senta
l’esigenza di approfondire e di rivolgersi alle strutture che organizzano corsi
appositi comprensivi di esercitazioni pratiche.
Le informazioni di carattere generale che si trovano nelle avvertenze non
sono un’introduzione da saltare, poiché contengono delle premesse molto
importanti di carattere pratico e legale, a cominciare dalla tutela del
soccorritore che viene prima di ogni altra cosa. La parte dedicata al corpo
umano non è una noiosa e inutile trattazione scolastica, contiene invece le
condizioni e le premesse per comprendere il quadro generale all’interno del
quale il soccorritore può operare con cognizione di causa. Come vedremo,
infatti, di fronte a ogni intervento è sempre indispensabile comprendere e
ragionare più che applicare una serie di regole imparate a memoria. Anche
perché, al di là delle situazioni tipo descritte nei manuali, che sono sempre
astratte, ogni caso concreto si presenta sempre in modo diverso, complicato,
imprevedibile e va ricondotto agli esempi tipo con la calma e il
ragionamento.
La parte terza dedicata a “Cosa fare in caso di…” è un elenco delle
principali casistiche in cui capita di imbattersi, proposto in ordine alfabetico
per essere più semplicemente consultabile. Ogni voce è strutturata in modo
da descrivere in maniera comprensibile a chiunque di che cosa si tratta,
quali sono i sintomi e quali sono gli interventi o i comportamenti da tenere.
I precetti contenuti in questa parte sono quelli più alla portata di tutti e si
possono generalmente mettere in atto anche con poca esperienza. Quando
invece sono previste delle manovre che richiedono anche l’esercitazione
pratica e la simulazione c’è un rimando alla parte quarta, “Le tecniche di
primo soccorso”, che come ripeteremo più volte – melius abundare quam
deficere – non vanno messe in pratica senza possedere l’esperienza
necessaria. Il che non significa che siano superflue: sapere è già qualcosa. E
in molti casi sapere che cosa evitare e non commettere gli errori più comuni
che possono causare danni e peggiorare la situazione è già molto
importante.
La sezione dei test, infine, permette di verificare quanto appreso attraverso
una serie di domande con risposte a scelta multipla che seguono la struttura
delle parti del libro, in modo da poter lavorare per argomento e, in caso di
risposta sbagliata, andare a rivedere con più facilità quel che è sfuggito. Il
consiglio è di rispondere ai quiz dopo aver letto il libro. Ma non solo. Se
ogni tanto (una volta all’anno, per esempio) si provasse a rispondere
nuovamente a tutte le domande per essere sicuri di non aver dimenticato
quanto si è appreso anche a distanza di tempo, sarebbe un ottimo esercizio
per tenersi sempre allenati e preparati. Perché le emergenze, purtroppo, per
definizione arrivano sempre in modo imprevisto.
PARTE PRIMA
AVVERTENZE
INDISPENSABI
LI
LEGENDA
Le voci di questo manuale sono collegate tra loro da rimandi. Quando si fa
riferimento a una voce all’interno della stessa parte sarà indicata dal
simbolo: (→). Se invece il rimando è verso altre sezioni verrà specificato,
per esempio (→ Parte quarta), quando è il caso anche con l’indicazione del
capitolo.
1. IL PRIMO SOCCORSO

Il primo soccorso consiste in una serie di norme e di manovre da eseguire


nel caso una persona sia colpita da un malore o da un incidente. L’insieme
di queste regole permette di intervenire nelle emergenze in attesa dei
soccorsi qualificati o, nel caso di problemi non gravi e non urgenti, di
comportarsi correttamente in attesa di un parere medico. L’importanza di
questi precetti non è legata soltanto alla messa in pratica di comportamenti
attivi che spesso, oltre alla teoria, richiedono anche delle simulazioni e delle
esercitazioni concrete per poter essere eseguiti correttamente. Sapere che
cosa non bisogna fare – dunque un’astensione da pratiche errate e un
comportamento passivo – può in molti casi rivelarsi utile e fondamentale
per preservare la vita di un infortunato, per migliorarne le condizioni
generali o per evitarne il peggioramento.
La prima regola che bisogna imprimere nella mente, e tenere sempre ben
presente, è che davanti a un’emergenza è importante soprattutto mantenere
la calma, osservare molto bene la situazione, riflettere. Solo a questo punto
si può agire con tempestività ed efficacia.

LE FASI DEL SOCCORSO


Fase 1: comprendere. Davanti a un malore o a un incidente per prima cosa
bisogna osservare attentamente il contesto, oltre a focalizzare l’attenzione
su chi è coinvolto, e capire cosa sta succedendo.
Una persona è a terra per la strada. Ci sono dei segnali utili per capire cosa
le sia successo e che possono aiutarci a ipotizzare se abbia avuto un malore,
sia caduta dalla finestra o sia stata investita? Oppure, se si trova in casa, ci
sono elementi che lascino pensare a una fuga di gas, a una folgorazione
dovuta a un cortocircuito elettrico o altro? I comportamenti da tenere, nei
rispettivi casi, sono tra loro molto diversi, come vedremo.
Istintivamente si tende a concentrarsi sull’infortunato e fare un’analisi del
contesto può sembrare una perdita di tempo in un frangente di estrema
urgenza, ma non è affatto così. Il tempo impiegato nell’analisi della
situazione è fondamentale e ben “sprecato”. Facciamo un altro paio di
esempi significativi a questo proposito. Un’automobile si è stranamente
schiantata contro l’unico albero della via. La gente riferisce che l’ha vista
sbandare senza un perché. All’interno c’è una persona incosciente. In
questo caso potrebbe non trattarsi di un incidente stradale ma di un malore
il cui schianto è stato la conseguenza. Questo è un elemento
importantissimo da rilevare, poiché la cura dell’infortunato non dovrà
riguardare solo gli eventuali traumi subiti, ma anche quel che è accaduto
prima e che ha causato l’incidente stesso. In mancanza di una ricostruzione
di quanto è successo i soccorritori si potrebbero concentrare solo
sull’aspetto dei traumi e non individuare tanto facilmente il malore. Un
ulteriore esempio può essere quello di un incidente stradale, magari con più
automezzi coinvolti. Se i primi soccorritori e i passanti non si soffermassero
a osservare attentamente il contesto, i lamenti e le ferite di chi è uscito dai
mezzi potrebbero distrarre dalla presenza di chi, ancora incastrato nel
veicolo e in condizioni ben peggiori, non riesce nemmeno a lamentarsi e a
chiedere aiuto. Il primo soccorso, in sintesi, è efficace se si individuano
tempestivamente le lesioni, le loro cause e soprattutto gli elementi che
mettono in immediato pericolo la vita. Solo dopo questa prima indagine si
possono chiamare i soccorsi.

Fase 2: la chiamata dei soccorsi. Al momento della chiamata dei soccorsi


è molto importante essere in grado di riferire in modo preciso cosa sta
succedendo. In questo modo i soccorritori arriveranno con la giusta urgenza
e con la giusta strumentazione, evitando successive perdite di tempo. La
catena del soccorso inizia proprio da qui e, anche in questo caso, i protocolli
richiesti da chi riceve la chiamata possono essere percepiti come una inutile
burocrazia che rallenta ogni cosa. Non è così. Stare al telefono con
l’operatore non significa rallentare l’uscita dell’ambulanza, per esempio,
che può anzi essere coordinata dal centralino nel modo più efficiente
proprio grazie alla descrizione dettagliata dell’accaduto. Nell’agitazione del
momento non ci si rende conto che è molto importante specificare il nome
di chi chiama, lasciare il proprio recapito telefonico, soffermarsi su cosa è
successo e dove, quanti feriti ci sono, quando è avvenuto il fatto e così via.
Il recapito telefonico è prezioso nel caso i dati del luogo dell’infortunio non
siano chiari o siano fraintesi, in questo modo i soccorritori possono
richiamare per ulteriori precisazioni. È molto frequente che in caso di un
incidente automobilistico, magari su una strada fuori città, qualche passante
chiami immediatamente il 118 senza sapere indicare in quale paese, strada e
chilometro si trovi.
Un’ultima precisazione. Chi risponde alla chiamata di soccorso è sempre un
operatore qualificato che segue dei protocolli consolidati e spesso, al
telefono, può aiutare e guidare chi si trova sul posto a intervenire nel giusto
modo in attesa dell’ambulanza.

Fase 3: in attesa dei soccorsi. In attesa dei soccorsi qualificati e dotati


della giusta strumentazione, il soccorritore sul luogo può finalmente
procedere alla fase di assistenza. Per esempio la fasciatura di una ferita,
l’immobilizzazione di una frattura, il blocco di un’emorragia. Tutto dipende
dalla competenza di chi è coinvolto, ma in ogni caso anche il semplice
soccorso psicologico della persona è fondamentale. Chi è a terra per un
incidente molte volte non ricorda o non ha capito cosa gli è successo. È
spaventato, può rischiare lo shock. Bisogna tranquillizzarlo, cercare di
parlargli, coprirlo o confortarlo. Sono azioni che può fare chiunque e sono
molto importanti.

Fase 4: l’arrivo dei soccorsi. All’arrivo dei soccorsi qualificati si devono


fornire tutte le informazioni richieste e utili per delineare cosa è successo.
L’infortunato sarà quindi finalmente consegnato alle cure del personale di
un’ambulanza, per esempio, che lo trasporterà nel migliore dei modi in un
pronto soccorso.
2. LA TUTELA DEL SOCCORRITORE

Nelle situazioni di emergenza bisogna sempre fare molta attenzione perché


a volte il soccorritore può andare incontro a dei rischi. Il primo principio da
seguire, e che si deve costantemente tenere presente, è cercare di intervenire
senza perdere la propria incolumità. Non a caso il primo punto delle linee
guida ERC (European Resuscitation Council) – che stabiliscono le
procedure del BLS (Basic Life Support) – precisa che prima di intervenire
su un infortunato il soccorritore deve accertarsi che la zona in cui agisce sia
priva di pericoli che potrebbero pregiudicare la salute sua e dell’assistito.
Bisogna perciò vincere il panico e non esser precipitosi.
Di seguito alcuni consigli e alcuni esempi che servono a far riflettere e che
saranno ripresi e approfonditi nelle apposite sezioni.

Respirazione bocca a bocca. Alcune tecniche di rianimazione, come per


esempio la respirazione bocca a bocca, possono risultare pericolose sia per
il soccorritore sia per l’infortunato, poiché possono trasmettere delle
malattie. Nel soccorso qualificato la respirazione artificiale viene fatta
mediante delle apparecchiature apposite come il pallone “ambu” e senza
contatto bocca a bocca. In mancanza di questo strumento è consigliabile
apporre per lo meno un fazzoletto di protezione. Bisogna tenere presente
che spesso chi è incosciente o si trova vittima di gravi incidenti presenta
tracce di sangue, vomito o altre secrezioni e la manovra può risultare molto
coraggiosa se effettuata in queste condizioni. Chi compie la respirazione
bocca a bocca lo fa dunque a suo rischio e pericolo.

Folgorazione. Di fronte a una folgorazione il soccorritore deve fare


attenzione a non prendere a sua volta la scossa, qualora l’infortunato sia
ancora in contatto con la fonte elettrica. Prima di intervenire bisogna
sempre staccare la corrente o, se non è possibile, allontanare il folgorato con
un bastone di legno perfettamente asciutto, dopo essersi isolati attraverso
uno strato di legno o di gomma (cattivi conduttori) facendo attenzione
soprattutto alle perdite d’acqua (buon conduttore) che potrebbero propagare
la folgorazione a chi sta attorno.

Emorragie. Davanti alle emorragie bisogna sempre proteggersi dal contatto


con il sangue, veicolo di numerose malattie, utilizzando gli appositi guanti
in lattice da infermiere che si trovano di norma nelle cassette del pronto
soccorso. Analogamente, in caso ci siano più feriti, bisogna stare attenti a
non toccare con i guanti sporchi del sangue di un assistito gli altri,
esponendoli in questo modo a rischi di trasmissione di malattie.

Annegamento. In caso di annegamento, gettarsi in acqua per cercare di


trarre in salvo l’infortunato può essere molto pericoloso se non si
conoscono le tecniche di salvataggio e se non si è degli ottimi nuotatori. Il
rischio è che chi sta per affogare trascini con sé il soccorritore. Nei corsi di
salvamento, i bagnini, oltre a essere ottimi nuotatori si immergono
nell’acqua in modo da afferrare di sorpresa chi è in difficoltà, da sotto o da
dietro, e sanno come immobilizzarlo e trasportarlo a riva. Tali manovre però
sono difficilissime da eseguire e in questi casi bisogna sempre cercare di
gettare un salvagente, oppure raggiungere chi sta annegando con una barca,
un materassino o qualcosa di galleggiante che faccia da supporto.

Incidenti stradali. In caso di incidente stradale, soprattutto in autostrada, è


bene prestare attenzione a non essere travolti dalle automobili che
sopraggiungono, disponendo un triangolo di avvertimento e inviando
qualcuno a fare le opportune segnalazioni. Allo stesso modo, bisogna
evitare di lasciare la propria auto in mezzo alla strada, col pericolo di
procurare ulteriori incidenti, accostandola sul ciglio. Nei grandi
tamponamenti a catena in autostrada, magari con scarse condizioni di
visibilità, è consigliabile abbandonare il veicolo immediatamente se si è
coinvolti e mettersi in sicurezza prima di intervenire e di chiamare i
soccorsi.
3. ASPETTI LEGALI

Prestare soccorso a chi si trova in pericolo è prima di tutto un dovere morale


e sociale, ma anche un istinto biologico di alcune specie di animali sociali.
Il mutuo appoggio è stato studiato come un aspetto dell’evoluzionismo che,
in molti casi, favorisce la sopravvivenza della specie. Anche chi è
impressionabile e non riesce a sopportare la vista del sangue, quando si
trova in una situazione di emergenza, molte volte è portato a intervenire
istintivamente. L’articolo 2 della Costituzione italiana riconosce e
garantisce tra i valori e i diritti inviolabili dell’uomo anche i doveri di
solidarietà sociale, mentre l’articolo 32 tutela la salute come un
fondamentale diritto dell’individuo garantendo anche le cure gratuite per gli
indigenti.

Omissione di soccorso. Di fronte a un malore o a un incidente è obbligo


del cittadino intervenire, altrimenti compie il reato di omissione di soccorso,
punibile penalmente con la reclusione. La pena è aggravata se dal mancato
soccorso deriva un peggioramento della situazione o il decesso
dell’infortunato. La norma è regolata dall’articolo 593 del codice penale che
riguarda i comportamenti omissivi di chi trova una persona abbandonata a
se stessa, per malattia di mente o di corpo, vecchiaia, età inferiore a 10 anni
e altre cause. Di fronte a questi casi il cittadino deve rivolgersi
immediatamente alle autorità. In altre parole, a proposito del primo
soccorso, non è obbligato a intervenire direttamente, soprattutto se non è
esperto, ma è tenuto ad avvertire le autorità predisposte: il numero di pronto
intervento per le emergenze sanitarie (118), quello delle forze dell’ordine
(112 Carabinieri e 113 Polizia), i Vigili del Fuoco (115), il medico e così
via. Dunque, soprattutto se non si è competenti né esperti è bene evitare di
intervenire personalmente limitandosi a chiamare i soccorsi e a mettere la
persona in difficoltà al riparo da eventuali pericoli. L’assistenza è un
obbligo da parte di chi trova un infortunato e grava su tutti, nel caso in cui i
possibili soccorritori siano più di uno, a meno che non ci sia l’assoluta
impossibilità di metterla in pratica (per situazioni di pericolo o per
impossibilità fisiche di chi è coinvolto). Se invece chi interviene è un
sanitario o una persona esperta (un medico, un infermiere o un soccorritore)
ed è in grado di prestare un’assistenza diretta non deve limitarsi a chiamare
le autorità preposte, ma è tenuto a intervenire in modo attivo.
Se poi un automobilista provoca un danno ad altre persone riconducibile al
proprio comportamento, in caso di incidenti o di investimenti, e omette di
fermarsi, di constatare quanto è accaduto e di chiamare i soccorsi e
attenderli incorre nel reato previsto dall’art. 189 del codice della strada nei
suoi vari commi. Comma 1: “L’utente della strada, in caso di incidente
comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di
prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito
danno alla persona”. Comma 6: “Chiunque, nelle condizioni di cui comma
1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di
fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si applica la
sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida
da uno a tre anni (…)”. Comma 7: “Chiunque, nelle condizioni di cui al
comma 1, non ottempera all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle
persone ferite, è punito con la reclusione da un anno a tre anni. Si applica la
sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida
per un periodo non inferiore a un anno e sei mesi e non superiore a cinque
anni (…)”. Comma 8: “Il conducente che si fermi e, occorrendo, presti
assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi
immediatamente a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando
dall’incidente derivi il delitto di omicidio colposo o di lesioni personali
colpose, non è soggetto all’arresto stabilito per il caso di flagranza di reato”.

Lesioni colpose. Se il soccorso viene prestato direttamente, il soccorritore


lo fa a suo rischio e pericolo (in mancanza di una certa esperienza e
preparazione è meglio evitarlo). In altre parole, oltre a proteggere la sua
incolumità, come abbiamo già visto, il soccorritore “attivo” si assume la
responsabilità del suo intervento. Se per disgrazia il soccorso prestato
determinasse un peggioramento della situazione o un decesso, il
soccorritore incorrerebbe nei reati di lesioni personali colpose (art. 590 del
codice penale) o peggio ancora di omicidio colposo (art. 589). Il termine
colposo indica una non volontarietà della conseguenza negativa, di cui
tuttavia si è responsabili per negligenza o imperizia (da cui la colpa).
Abuso della professione medica. È bene sapere che solo un medico può
fare diagnosi, somministrare dei farmaci o praticare un’iniezione
endovenosa e solo un infermiere può farne una intramuscolare. Più
precisamente un medico è abilitato a ogni genere di intervento e cura (r.d.l.
5 marzo 1935 n. 184 e d.l. c.p.s. 13 settembre 1946 n. 233), mentre un
infermiere professionale (in possesso di apposito diploma) ha un campo di
azione più limitato (r.d. 31 maggio 1928 n. 1334, t.u.l.s. 27 luglio 1934 n.
1256, r.d. 2 maggio 1940 n. 1310 e d.p.r. 14 marzo 1974 n. 225). Questo va
tenuto sempre molto presente. È una prassi comune, per esempio, eseguire
delle semplici iniezioni o anche “prescrivere” l’assunzione di farmaci ad
amici o familiari. Ma nel caso di conseguenze negative o complicazioni
(infezioni, mancata sterilizzazione delle siringhe, shock anafilattico,
reazioni allergiche e via dicendo) si è responsabili e si corre il rischio di
essere denunciati per abuso della professione medica.

Lo stato di necessità. L’articolo 54 del codice penale, tuttavia, mitiga i


rischi sopracitati stabilendo che non è punibile chi provoca un
peggioramento o un decesso dell’infortunato, se opera in stato di necessità.
In altre parole, se l’infortunato è in grave pericolo e non è possibile agire
altrimenti, anche un soccorso maldestro o un tentativo di soccorso è
preferibile al lasciare l’infortunato a se stesso. Naturalmente il criterio per
definire lo stato di necessità deve essere valutato caso per caso. Inoltre,
l’intervento deve essere sempre proporzionale al pericolo. Se in caso di
soffocamento, per esempio, il soccorritore lede le vie aeree dell’infortunato
nel tentativo di farlo respirare, difficilmente sarà punibile. Allo stesso
modo, un massaggio cardiaco mal eseguito che provoca la rottura delle
coste o una lesione interna è pur sempre un tentativo di salvare la vita, per
quanto non andato a buon fine.

Obbligo del segreto professionale. Chi prestando soccorso, assistenza o


collaborazione con un medico, anche senza possedere titoli specifici, viene
a conoscenza di un’informazione riservata o segreta che riguarda le
condizioni cliniche della persona coinvolta (malattie non visibili,
informazioni personali e simili) ha l’obbligo di non rivelarla (se non per
giusta causa, per esempio nel caso di pericoli di contagio). Se invece
l’informazione venisse usata a vantaggio di chi la conosce o divulgata
costituirebbe una violazione della legge sulla privacy e, nel caso dalla
divulgazione (per esempio che una persona è sieropositiva all’HIV)
derivassero dei danni all’assistito, il rischio è quello di una denuncia da
parte dell’offeso in base all’art. 622 del codice penale (punibile soltanto
dietro querela e non d’ufficio).

Norme per la sicurezza sul lavoro. La “legge sulla sicurezza nel lavoro”
del 1994, comunemente nota come la 626 (D.Lgs. 626/94), ha introdotto nel
campo della salute e della sicurezza delle importanti innovazioni rispetto al
passato, trasformando la precedente normativa incentrata sugli interventi
“riparatori” in un nuovo approccio basato sull’informazione e sulla
prevenzione, che obbliga le aziende a nominare un Responsabile del
Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP). La legge, successivamente, è
stata modificata e abrogata dal decreto legislativo numero 81 del 9 aprile
2008 che ha introdotto il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro. L’art. 37 del
D.Lgs. 81/08 specifica che i dipendenti scelti per ricoprire il ruolo di
addetto al primo soccorso devono seguire un corso di formazione specifico
e certificato, alla fine del quale devono sostenere e superare un esame.
4. RACCOMANDAZIONI: LA TEORIA NON
BASTA SENZA LA PRATICA

Dopo queste importanti avvertenze, prima di entrare nel vivo, è doveroso


precisare che attraverso un manuale di primo soccorso le nozioni vengono
apprese in modo del tutto teorico, mentre alcune manovre, in particolare
quelle trattate nella parte quarta di questo libro (“Le tecniche di primo
soccorso”), richiedono delle esercitazioni pratiche e dei corsi specifici per
poter essere eseguite. Nei corsi di primo soccorso che prevedono il rilascio
di attestati, le manovre di rianimazione, come la respirazione bocca a bocca
o il massaggio cardiaco, sono sperimentate con appositi manichini in grado
di restituire feedback e valutare l’efficacia e la corretta messa in atto di
quanto appreso. Ma anche lo spostamento di infortunati con politraumi o il
trasbordo di un incidentato fuori dall’automobile sono operazioni
delicatissime che richiedono pratica ed esperienza senza le quali è molto
meglio evitare di intervenire e di peggiorare la situazione. In gioco c’è la
vita umana, non ci si possono permettere ingenuità, inesperienze ed errori.
Qualcuno potrebbe pensare di imparare a guidare un’automobile
semplicemente leggendo un libro che spiega come si fa? Per il primo
soccorso è la stessa cosa. La teoria è importante. Ma non basta.
Ci sono diversi tipi di corsi di primo soccorso, quelli rivolti alla
popolazione e quelli che servono alla formazione dei soccorritori. Questi
ultimi prevedono l’utilizzo di apparecchiature medicali cui nel presente
testo introduttivo si fa solo accenno.
5. I NUMERI DI EMERGENZA: 118, 113, 112,
115 E ALTRI

In tutto il testo, quando si fa riferimento alla chiamata dei soccorsi


qualificati, per l’Italia, s’intende soprattutto il 118. Questo numero unico
per l’emergenza sanitaria è diventato nazionale nel 2005. Prima la
situazione cambiava da regione a regione e le richieste di soccorso venivano
ricevute da diversi enti e istituzioni, tra cui i centralini degli ospedali o le
associazioni di volontariato (Croce Rossa Italiana, Pubbliche Assistenze,
Misericordie e molte altre). Con l’introduzione del 118, oggi si è collegati
con la centrale operativa di competenza, che ha il compito di coordinare gli
interventi dei mezzi di soccorso (compresi l’elisoccorso e il soccorso
alpino) e di stabilire la destinazione dei pazienti in base all’accaduto e alla
disponibilità degli ospedali del territorio.
Tra gli altri numeri di emergenza c’è poi il 113 (soccorso pubblico di
emergenza gestito dalla Polizia di Stato), il 112 collegato a una centrale
operativa dei Carabinieri e il 115 dei Vigili del Fuoco.
Fuori dal nostro Paese è utile sapere che quasi in tutta Europa (in Svizzera è
il 114) componendo il 112 (sia da fisso sia da cellulare) è possibile parlare
con un servizio di emergenza attrezzato con operatori multilingue in grado
di gestire la chiamata in modo diretto oppure inoltrandola al servizio più
appropriato.
Negli Stati Uniti, Canada e altri Paesi il numero unico per qualunque tipo di
richiesta di soccorso è invece il 911.
È importante ricordare che i numeri di emergenza sono gratuiti e
raggiungibili 24 ore su 24 anche da cellulari privi di credito (in alcuni casi
persino privi della scheda SIM). Ogni abuso e ogni chiamata di soccorso
per scherzo, in tutta l’Unione Europea, sono considerati reati per procurato
allarme punibili dalla legge.
PARTE
SECONDA
NOZIONI
BASE SUL
CORPO
UMANO
6. L’APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO

L’apparato cardiocircolatorio è un po’ come un sistema idraulico, per usare


una semplificazione, formato dal cuore, che funziona come una pompa, e da
un complesso sistema di vasi che distribuiscono il sangue per tutto il corpo
attraverso le arterie per poi riportarlo al cuore attraverso le vene, mediante
la piccola e la grande circolazione.

IL CUORE
Fisiologia. Il cuore umano ha le dimensioni di un pugno chiuso e, al di là
delle raffigurazioni romantiche, ha una forma simile a una pera con la punta
rivolta verso il basso. Si trova all’interno della gabbia toracica, tra i due
polmoni. Sotto c’è il diaframma, il muscolo che divide la cavità toracica da
quella addominale. Dietro si trova l’esofago e poi la colonna vertebrale.
Davanti c’è lo sterno, l’osso del torace dove si uniscono le costole.
La membrana esterna che ricopre il cuore è il pericardio, mentre quella
interna si chiama endocardio. Tra le due membrane è presente il miocardio,
il muscolo involontario che lo fa pompare.
La cavità cardiaca è attraversata da una parete longitudinale che la divide in
due parti: a destra scorre il sangue venoso, a sinistra quello arterioso.
Ciascuna delle due metà è poi a sua volta divisa da una parete orizzontale
che forma l’atrio, la parte superiore, e il ventricolo, quella inferiore. Tale
parete orizzontale non è però continua come quella longitudinale, contiene
delle valvole unidirezionali che permettono al sangue di passare
esclusivamente dall’atrio al ventricolo. La valvola che mette in
comunicazione atrio e ventricolo destro si chiama tricuspide, perché è
formata da tre lembi; l’altra, che mette in comunicazione atrio e ventricolo
sinistro, si chiama bicuspide (è formata da due lembi) o mitrale.

Funzionamento. Quando gli atrii si dilatano il sangue entra, a questo punto


si contraggono spingendolo nei ventricoli sottostanti. Questi, a loro volta, si
dilatano per poi contrarsi nuovamente e sospingerlo nelle arterie. Tale
capacità di contrazione del cuore è autonoma: continua a contrarsi per un
breve periodo anche quando viene espiantato.
La fase di dilatazione di atrii e ventricoli è detta diastole, quella di
contrazione sistole. Normalmente, in una persona adulta, il cuore si contrae
60/70 volte al minuto. Ma la frequenza cardiaca non è regolare; sotto
sforzo, per esempio, aumenta in quanto è necessario pompare una maggior
quantità di sangue. Inoltre, bisogna tenere presente che nei bambini è più
frequente (80/100 al minuto).

Figura 6.1 – Lo schema del cuore

LE ARTERIE, LE VENE E I CAPILLARI


Le arterie. Sono i vasi che trasportano il sangue dal cuore alle zone
periferiche. A ogni contrazione il sangue viene sospinto in avanti. Questo
determina che la circolazione non sia continua ma a flussi. Per questo
motivo, durante un’emorragia arteriosa, il sangue, di colore rosso vivo, esce
a fiotti.
Le arterie superficiali si possono rilevare in alcuni punti del corpo
apponendo un dito sopra di esse per percepire le pulsazioni. Questa
manovra è detta prendere il polso, proprio perché questo è uno dei punti più
conosciuti che riproduce i battiti cardiaci alla palpazione. Ma ne esistono
molti altri, come vedremo, spesso più semplici da individuare per un
neofita, come il polso carotideo, sul collo, oppure sull’inguine e via dicendo
(→ “Individuare respirazione e polso”, Parte quarta).

Le vene. Sono i vasi che trasportano il sangue dalle zone periferiche al


cuore. Nel sistema venoso il sangue fluisce in modo continuo con un
movimento aiutato dalla presenza di numerose valvole “a nido di rondine”
che non permettono il suo rifluire verso il basso.

I capillari. Sono dei vasi sottilissimi, con un diametro compreso tra i 10 e i


20 millesimi di millimetro, tramite i quali la parte terminale delle arterie si
congiunge con la parte iniziale del sistema venoso. La loro sottigliezza
consente al sangue di scorrere a contatto con i tessuti effettuando gli scambi
delle sostanze che trasporta.
Una curiosità: la lunghezza complessiva dei vasi sanguigni del corpo umano
è stata stimata tra i 95.000 e i 160.000 chilometri, ben 3 o 4 volte la
lunghezza della circonferenza del nostro pianeta!
Figura 6.2 – Lo schema della circolazione sanguigna

LA GRANDE CIRCOLAZIONE
La circolazione del sangue segue due diversi circuiti: la grande e la piccola
circolazione.
La grande circolazione consiste nell’insieme dei vasi che portano il sangue
dal cuore alla periferia e da qui nuovamente al cuore.
Il sangue parte dal ventricolo sinistro carico di ossigeno, spinto dalla sistole,
ed entra nell’aorta, l’arteria più grande. Questa si dirama in due vie, la
carotide destra e quella sinistra, che portano il sangue alla testa. Le altre
successive importanti diramazioni si hanno attraverso le due succlavie, che
portano il sangue alle ascelle (arterie ascellari) e alle braccia (arterie
omerali) e, dopo il gomito, si dividono ulteriormente in arterie radiali e
ulnari. L’aorta continua a ridosso della colonna vertebrale fino all’addome
da dove partono le arterie che vanno verso i visceri: la splenica irrora la
milza, le renali i reni, l’epatica il fegato e le mesenteriche gli intestini. Più
in basso, l’aorta si dirama nella zona lombare nelle arterie iliache,
attraverso l’inguine, e queste continuano irrorando le gambe, come arterie
femorali, poplitee (all’altezza del ginocchio) e tibiali.
Dopo che il sangue ha raggiunto le parti più periferiche del corpo attraverso
vasi sempre più piccoli, e dopo avere effettuato gli scambi nutrizionali con i
tessuti attraverso la rete capillare, torna verso il cuore attraverso il sistema
venoso. Il sangue che proviene da testa, torace e arti superiori, nel suo
viaggio di ritorno confluisce nella vena cava superiore; quello che proviene
dai visceri e dalle gambe nella vena cava inferiore. Entrambe le vene
sboccano nell’atrio destro del cuore chiudendo la grande circolazione.

LA PICCOLA CIRCOLAZIONE
La piccola circolazione consiste nell’insieme dei vasi che portano il sangue
dal cuore ai polmoni e da qui nuovamente al cuore.
In questo viaggio il sangue, ricco di anidride carbonica, se ne libera
caricandosi invece dell’ossigeno che successivamente cederà ai tessuti.
Quando, attraverso le vene cave superiore e inferiore, entra nell’atrio destro,
scorre attraverso la valvola tricuspide nel ventricolo sottostante per poi
salire attraverso le arterie polmonari dove giunge ai polmoni. Qui passa
attraverso i capillari degli alveoli polmonari dove si purifica e si libera
dell’anidride carbonica per caricarsi di ossigeno, attraverso la respirazione
(→). Dopo questo scambio gassoso ritorna al cuore attraverso le vene
polmonari che sboccano nell’atrio sinistro. Da qui tutto il circolo della
grande e della piccola circolazione ricomincia.
Figura 6.3 – Lo schema della doppia circolazione

IL SISTEMA LINFATICO
L’apparato linfatico è connesso a quello circolatorio e comprende una
fittissima rete di canali, vasi linfatici e piccoli organi a forma di fagiolo, i
linfonodi, che svolgono un importante ruolo nelle difese immunitarie. La
linfa ha una composizione che varia a seconda delle zone del corpo e
comprende sostanze nutritive, di rifiuto, globuli bianchi e altro.
I vasi linfatici hanno un funzionamento simile a quello delle vene, con
valvole a nido di rondine, e trasportano la linfa che, al termine del suo
percorso, confluisce nel sangue attraverso la vena cava superiore. Ma la
linfa è presente anche al di fuori delle cellule, deriva ed è conseguenza della
corrente sanguigna e avvolge costantemente nel suo fluido ogni singola
cellula. A differenza del sistema di circolazione sanguigno, quello della
linfa non è chiuso. Una parte viene assorbita (per osmosi) dai capillari
sanguigni e un’altra è raccolta nei capillari linfatici le cui estremità a fondo
cieco assorbono il liquido negli interstizi tra cellule e vasi sanguigni.
7. L’APPARATO RESPIRATORIO

L’aria entra nel corpo di solito attraverso il naso: la bocca infatti ha soltanto
una funzione accessoria nella respirazione. All’interno delle narici viene
filtrata dal pulviscolo atmosferico attraverso le vibrisse, i piccoli peli che
trattengono le particelle più grosse. La mucosa presente nelle nari serve a
riscaldare e a umidificare l’aria. Questa poi, attraverso la faringe, il
condotto in comune con l’apparato digerente (→), entra nella laringe che ha
una forma a imbuto ed è sostenuta da uno scheletro di cartilagine.
L’epiglottide è una cartilagine che serve a evitare che il cibo penetri nella
trachea durante la deglutizione. Se per caso qualche particella di cibo
penetra ugualmente, il contatto con la mucosa delle vie respiratorie, molto
sensibile, provoca violenti colpi di tosse con cui le particelle vengono
espulse. Alla laringe fa seguito la trachea, una sorta di tubo lungo circa 10
centimetri che si divide poi in due grossi condotti, i bronchi, che a loro
volta si ramificano in canali fitti e sottili, i bronchioli, terminanti in circa 3
o 400 milioni di alveoli polmonari. Qui avviene la respirazione: ovvero lo
scambio di ossigeno (O2) e anidride carbonica (CO2) per opera dei globuli
presenti nel sangue che si caricano dell’ossigeno di cui è ricca l’aria
inspirata e rilasciano l’anidride carbonica che hanno accumulato nel loro
percorso all’interno dell’organismo umano.
Figura 7.1 – Le vie aeree superiori

I polmoni hanno una forma piramidale e una consistenza spugnosa.


Poggiano sul diaframma, il muscolo che separa l’addome dalla gabbia
toracica. Sono avvolti da una specie di sacco chiuso formato dalle pleure,
due membrane o foglietti: uno riveste i polmoni, l’altro le pareti toraciche e
il diaframma. Tra i due foglietti è presente un liquido vischioso, il liquido
pleurico, che permette lo scorrimento delle membrane senza attrito.

LA RESPIRAZIONE
L’aria che inspiriamo è formata per il 78% da azoto e per circa il 20% da
ossigeno; il restante 2% comprende idrogeno, gas vari e soltanto uno 0,04%
di anidride carbonica. Anche l’aria che espiriamo è composta dalle stesse
percentuali, con l’unica differenza che la percentuale di ossigeno è scesa al
16% e l’anidride carbonica è salita al 4%. La respirazione utilizza perciò
l’ossigeno eliminando anidride carbonica (e vapore acqueo). Tale processo
avviene negli alveoli polmonari: qui il sangue carico di CO2 rilascia
anidride carbonica e si carica di ossigeno per poi trasportarlo
nell’organismo.
La respirazione è regolata da stimoli nervosi: se nel corpo c’è abbondanza
di ossigeno rallenta, se c’è abbondanza di anidride carbonica accelera.
Nell’inspirazione il diaframma si abbassa e la gabbia toracica si espande,
grazie ai muscoli intercostali che si contraggono. Questo movimento
richiama aria, proprio come in un mantice, così i polmoni si espandono e si
riempiono. Durante l’espirazione, invece, diaframma e muscoli intercostali
si rilassano e i polmoni, contraendosi, espellono l’aria ormai ricca di
anidride carbonica.

Figura 7.2 – Gli organi della respirazione faringe


In un minuto si compiono circa 12/16 atti respiratori, anche se il numero
aumenta notevolmente sotto sforzo e nei bambini piccoli.
8. L’APPARATO DIGERENTE

L’apparato digerente è l’insieme degli organi che svolgono il processo


digestivo. In questo processo gli alimenti vengono assunti, elaborati e
assorbiti con l’eliminazione, attraverso le feci, delle sostanze non
assimilabili.

LA DIGESTIONE ORALE (DALLA BOCCA ALLO


STOMACO)
La bocca è il luogo dove avviene la prima fase della digestione. Il cibo
subisce la prima scomposizione attraverso la masticazione. La triturazione
avviene grazie ai 32 denti con funzioni specifiche: 8 incisivi, 4 canini, 8
premolari e 12 molari. L’intero processo è aiutato dalla lingua, un muscolo
ricoperto di mucosa e fornito di papille gustative che funzionano come
organo di tatto e di gusto, e dalle ghiandole salivari che secernono la saliva
indispensabile per ammorbidire gli elementi macinati e disciogliere quelli
solubili in acqua. Grazie alla ptialina, un enzima contenuto nella saliva, si ha
inoltre un’ulteriore trasformazione, quella degli amidi in maltosio, uno
zucchero dalla composizione più semplice. Il boccone, così trasformato in
bolo, viene ingoiato e scende attraverso la faringe, la cavità a forma di
imbuto in comune con l’apparato respiratorio (→), per poi passare
nell’esofago, un tubo muscoloso lungo oltre 20 centimetri che attraversa il
diaframma e porta il bolo nello stomaco.

LA DIGESTIONE GASTRICA
Lo stomaco è un allargamento del tubo digerente. Possiede un orifizio di
ingresso, dall’esofago, detto cardias e uno di uscita verso l’intestino detto
piloro. È formato da strati di fibre muscolari in grado di contrarsi per
rimescolare il cibo. La superficie interna si presenta a pieghe, sotto le quali
sono presenti le ghiandole che secernono i succhi gastrici.
In presenza di svariati stimoli, tra i quali la vista e l’odore del cibo, alcuni
impulsi nervosi del cervello stimolano le ghiandole dello stomaco che
secernono il succo gastrico. Questo è composto da acido cloridrico, in grado
di scomporre il cibo e di uccidere ogni organismo vivente che viene ingerito,
e un enzima, la pepsina, che trasforma le proteine in sostanze più semplici: i
peptoni. Al termine della digestione che, a seconda delle sostanze ingerite e
della loro quantità, può durare da mezz’ora a sette ore, il cibo immesso nello
stomaco è stato trasformato in chimo, una sostanza poltigliosa e biancastra,
che tramite le contrazioni dello stomaco stesso passa attraverso il piloro e
giunge nell’intestino.

Figura 8.1 – Lo stomaco


Figura 8.2 – L’apparato digerente

LA DIGESTIONE INTESTINALE
La prima parte dell’intestino è l’intestino tenue, un tubo dal diametro di circa
3 centimetri, lungo 7 o 8 metri. A sua volta l’intestino tenue si divide in tre
parti: il duodeno, il digiuno e l’ileo. Nel duodeno, lungo circa 25/30
centimetri, ha inizio la digestione intestinale. Qui affluiscono i condotti di
fegato e pancreas. Nel suo passaggio attraverso il duodeno, sul chimo –
ancora una volta a causa di differenti stimoli nervosi – si riversano: il succo
duodenale (prodotto dal duodeno), il succo pancreatico (prodotto dal
pancreas) e la bile (prodotta dal fegato). Il succo duodenale è composto da
enzimi che trasformano il chimo in sostanze semplici: i peptoni vengono
ridotti ad aminoacidi e il maltosio viene trasformato in glucosio, ovvero lo
zucchero semplice.
Il succo pancreatico, invece, è quello più completo ed efficace: non solo
trasforma i peptoni in aminoacidi e l’amido sfuggito all’azione della saliva in
maltosio (che diverrà poi glucosio), ma aggredisce anche i grassi,
riducendoli a un miscuglio di glicerina e acidi grassi, affinché possano essere
assorbiti dai villi intestinali.
La bile, infine, contribuisce a sciogliere i grassi, ne favorisce l’assorbimento
e stimola i movimenti dell’intestino. Il chimo, trasformato in questo modo,
passa per il digiuno e quindi per l’ileo, la parte più lunga e ingarbugliata
dell’intestino dove avviene l’assorbimento delle sostanze ingerite attraverso
cinque milioni di villi intestinali, minuscole sporgenze al cui interno
scorrono i capillari che trasportano il nutrimento ai vari organi.

L’ASSORBIMENTO INTESTINALE
La parte terminale dell’intestino è l’intestino crasso, comunicante con quello
tenue attraverso la valvola ileo-cecale, che lascia passare le sostanze in una
sola direzione. A sua volta, anche l’intestino crasso è diviso in tre parti:
l’intestino cieco, il colon e il retto, che termina all’esterno attraverso lo
sfintere, un anello muscolare in parte volontario e in parte involontario che
permette di regolare l’apertura anale.
Nell’intestino crasso viene assorbita l’acqua residua, mentre miliardi di
batteri scompongono la cellulosa degli alimenti vegetali che non viene
intaccata dai succhi gastrici. In una piccola percentuale questa
scomposizione porta alla formazione di glucosio, che viene assimilato,
mentre la massa rimanente, insieme alle altre sostanze indigeribili, viene
espulsa sotto forma di feci.

IL FEGATO
Il fegato è la ghiandola più grossa del nostro corpo, pesa oltre un chilo e
mezzo ed è largo circa 20 centimetri. È posto nella cavità addominale a
destra, dietro le ultime sette/otto costole. Secerne la bile, il liquido di colore
giallastro che, come abbiamo spiegato, viene utilizzato durante la digestione.
Tra un pasto e l’altro la bile si raccoglie nella cistifellea o colecisti, un
piccolo “sacchetto” che si trova sotto il fegato. Da qui, attraverso un
apposito condotto giunge nel duodeno. Il fegato ha anche la funzione di filtro
tra il tubo digerente e il sistema circolatorio. Le sostanze assorbite
nell’intestino, infatti, attraverso il sangue trasportato dalla vena porta
arrivano al fegato che le filtra e le trasforma. Quelle tossiche, come l’alcol,
vengono neutralizzate, mentre le altre vengono qui accumulate per poi essere
rilasciate nel sangue nel momento in cui si rendono necessarie. Il glucosio,
che è lo zucchero semplice, per esempio, viene immagazzinato e trasformato
in glicogeno, uno zucchero più complesso. Quando l’organismo necessita di
zuccheri, il glicogeno viene nuovamente trasformato in glucosio e rilasciato
nel sangue.

Figura 8.3 – Il fegato

Tra le altre funzioni del fegato va ricordata la produzione dell’eparina, una


sostanza anticoagulante del sangue che ne permette un buon scorrimento, e
del fibrinogeno, che si trasforma in fibrina e consente al contrario di far
coagulare il sangue in presenza di un’emorragia.

IL PANCREAS
Il pancreas è una grossa e importante ghiandola del nostro corpo la quale,
come abbiamo spiegato, produce il succo pancreatico che, riversato
nell’intestino tenue, contribuisce al processo digestivo.
Figura 8.4 – Il pancreas

Questa ghiandola svolge anche un’altra importante funzione: la produzione


di insulina. Si tratta di una sostanza in grado di trasformare il glucosio
(zucchero semplice) in glicogeno, ovvero lo zucchero più complesso che,
come abbiamo visto, viene immagazzinato nel fegato. Se l’insulina
scarseggia, il glucosio non potendo essere trasformato e immagazzinato – e
conseguentemente rilasciato qualora i muscoli dovessero necessitarne – si
accumula nel sangue e compare nelle urine, provocando il diabete (→ Parte
terza).
9. IL SISTEMA OSSEO (SCHELETRO)

Lo scheletro è l’insieme delle ossa e ha la funzione di sostegno del corpo.


Nel corpo umano ci sono 208 ossa, alcune delle quali si possono spostare
grazie al sistema delle articolazioni.
Il tessuto osseo può essere compatto o spugnoso, nel secondo caso sono
presenti delle cavità che contengono il midollo osseo. Le ossa sono avvolte
da una robusta membrana, il periostio, che in caso di una frattura (→ Parte
terza) interviene attivamente per la rigenerazione ossea.
Di norma le ossa si possono dividere in lunghe (per esempio femore, tibia,
perone, omero, radio e ulna), brevi (vertebre, falangi e tutte quelle di
piccole dimensioni) e piatte (scapole, ossa del cranio e via dicendo). Le
ossa lunghe sono costituite da un corpo compatto detto diafisi, da una cavità
tubolare che contiene il midollo e da due estremità spugnose dette epifisi
all’interno delle quali si trova il midollo rosso che ha la funzione di
produrre i globuli rossi. Le ossa piatte, invece, sono formate da uno strato
centrale spugnoso ricoperto da entrambe le parti da uno strato di tessuto
compatto.

LE ARTICOLAZIONI
Le ossa si uniscono tra loro attraverso le articolazioni, fisse o mobili. Le
articolazioni fisse, per esempio quelle che congiungono le varie ossa del
cranio, non permettono alcun movimento. Quelle mobili alle loro estremità
sono rivestite da una cartilagine che consente i movimenti grazie a una
capsula fibrosa e grazie ai legamenti, come nel caso di gomito, spalla o
femore.
Figura 9.1 – Le articolazioni mobili dei femori nel bacino

IL CRANIO
Il cranio è una sorta di scatola che contiene il cervello. In alto,
anteriormente c’è l’osso frontale e ai lati le ossa parietali. Più in basso si
trovano le ossa temporali e posteriormente c’è l’osso occipitale. Sotto
l’osso frontale ci sono le 16 ossa della faccia, tra cui la mascella, la
mandibola e l’etmoide.

Figura 9.2 – Il cranio

GLI ARTI
Gli arti superiori sono collegati alla colonna vertebrale mediante le scapole
e le clavicole. La scapola è un osso piatto triangolare nella cui cavità si
inserisce l’omero, ovvero l’osso lungo della parte superiore del braccio. La
clavicola è invece un osso allungato che si trova tra sterno e scapola e
delimita il margine del collo. Sotto l’omero, che forma il braccio, si trovano
radio e ulna, le ossa dell’avambraccio, e poi carpo, metacarpo e falangi
della mano.
Le ossa degli arti inferiori, invece, sono collegate al cinto sacrale o bacino,
formato da osso sacro e coccige, posteriormente, e dalle ossa iliache laterali
a loro volta costituite da tre porzioni saldate: ileo, ischio e pube. La parte
alta degli arti inferiori, la coscia, è costituita dal femore, l’osso più lungo del
corpo umano, mentre la parte bassa, la gamba, è formata da tibia e perone.
Infine c’è il piede composto da tarso, metatarso e falangi. Tra la coscia e la
gamba, nell’articolazione del ginocchio, si trova la rotula.
Figura 9.3 – Il sistema osseo degli arti

LA GABBIA TORACICA
La gabbia toracica ha la funzione di proteggere organi vitali come cuore e
polmoni, ma è anche flessibile e mobile grazie all’elasticità delle
articolazioni tra costole e vertebre, in modo da potersi espandere e
permettere la respirazione. È costituita lateralmente dalle 24 coste (o
costole), anteriormente dallo sterno e posteriormente dalle vertebre
toraciche. Le prime sette coppie di coste (destra e sinistra) sono congiunte
direttamente allo sterno e sono chiamate vere. Le tre coppie seguenti, dette
fluttuanti, sono tra loro unite da una cartilagine a sua volta congiunta allo
sterno. Le ultime due coppie, dette fluttuanti, non raggiungono lo sterno.

Figura 9.4 – La gabbia toracica

LA COLONNA VERTEBRALE
È l’asse mediano dello scheletro, costituito da 33 o 34 vertebre sovrapposte.
La parte superiore si articola con il cranio e quella inferiore con il bacino.
Poiché le vertebre sono forate, la sovrapposizione dei 33 o 34 fori
determina il canale vertebrale che contiene il midollo spinale.
Figura 9.5 – La colonna vertebrale

Le prime 7 vertebre sono le cervicali, in particolare, la prima si chiama


atlante, la seconda epistrofeo. Seguono 12 vertebre toraciche, 5 lombari, 5
sacrali e 4 o 5 coccigee.
10. GLI OCCHI

Gli occhi sono due globi dalla consistenza elastica formati da vari strati.
All’esterno c’è la cornea, una membrana trasparente con al centro l’iride, il
cui colore varia da persona a persona, e la pupilla, un foro che lascia
passare la luce e che si dilata o restringe come il diaframma di una
macchina fotografica a seconda degli stimoli luminosi. La parte posteriore è
invece la sclera da cui esce il nervo ottico, mentre il nucleo è composto da
materiali liquidi e da piccoli organuli. Il bulbo oculare contiene anche il
cristallino e il corpo vitreo, oltre alle camere anteriore e posteriore che
contengono a loro volta l’umore acqueo.
L’osservazione delle pupille è un elemento molto importante per la
valutazione di alcune patologie o problematiche, in caso di infortunio. Il
restringimento delle pupille che avviene per esempio davanti a una luce
intensa, si chiama miosi. La midriasi, al contrario, è la dilatazione delle
pupille. Una midriasi accentuata e una non reattività alla luce (per esempio
quella di una torcia) sono fattori che aiutano a indicare quando si è in
presenza di un arresto cardiaco (→ Parte terza). Se invece le pupille sono
asimmetriche, stato di anisocoria, indicano la presenza di un trauma cranico
(→ Parte terza) o di una lesione cerebrale.
Figura 10.1 – Valutazione di alcuni infortuni mediante l’osservazione delle pupille
11. IL SISTEMA NERVOSO

Il sistema nervoso, costituito dai neuroni, si compone di una serie di organi


che servono a percepire, elaborare e trasmettere impulsi. Si divide in sistema
nervoso cerebrospinale, che riceve, elabora e risponde a stimoli provenienti
dal mondo esterno, e sistema nervoso simpatico o neurovegetativo che
riceve, elabora e risponde agli stimoli che provengono dall’organismo.

I NEURONI
Le cellule nervose che costituiscono il sistema nervoso e che collegate tra
loro sono in grado di trasmettere gli impulsi nervosi sono i neuroni. Tali
cellule, al contrario delle altre, non hanno la capacità di riprodursi né di
rigenerarsi. Ne possediamo migliaia di miliardi sin dalla nascita, ma quando
un neurone è leso o muore è per sempre. Ogni trauma o patologia che
determina la distruzione di neuroni produce perciò dei danni irreversibili.
Figura 11.1 – Lo schema di un neurone

I neuroni sono molto sensibili all’assenza di ossigeno: nel giro di 4 o 5


minuti, in caso di asfissia (→ Parte terza) o di un arresto cardiocircolatorio
(→ Parte terza), ha inizio la loro distruzione.

IL SISTEMA NERVOSO CEREBROSPINALE


Il sistema nervoso cerebrospinale è composto dal sistema nervoso centrale e
da quello periferico. Il primo è formato dall’encefalo (a sua volta composto
da cervello, cervelletto e bulbo) e dal midollo spinale che è contenuto nel
canale vertebrale.

Figura 11.2 – Il sistema nervoso centrale e periferico


Al sistema nervoso centrale è collegata una fitta rete di nervi che trasportano
gli impulsi verso la periferia o, viceversa, dalla periferia all’encefalo.

Il sistema nervoso centrale. È formato dalla sostanza grigia, composta da


neuroni, e dalla sostanza bianca, composta da neuriti. La sostanza nervosa è
avvolta dalle meningi e cioè da tre guaine o foglietti: la dura madre, la più
esterna e resistente, l’aracnoide, quella centrale, e la pia madre, all’interno.
Tra aracnoide e pia madre c’è il liquido cefalorachidiano, che ha la
funzione di attutire gli urti, le scosse e i movimenti del cervello.
Il cervello è formato da due emisferi congiunti da un ponte di sostanza
bianca chiamato corpo calloso. Va ricordato che l’emisfero sinistro presiede
alle funzioni della parte destra del corpo e viceversa. In una cavità del corpo
calloso si trova l’ipofisi, una ghiandola responsabile dei processi di
regolazione di pressione, temperatura, fame, sonno e altro. La parte esterna
del cervello è la corteccia cerebrale, percorsa da numerosi solchi che
aumentano notevolmente la superficie cerebrale. Qui risiedono le facoltà più
complesse, come la memoria e l’intelligenza.

Figura 11.3 – I due emisferi del cervello

Il cervelletto è posto nella nuca e svolge la funzione di controllo dei muscoli


e dei movimenti volontari. Nel bulbo o midollo allungato che unisce
cervello e cervelletto hanno sede i centri che regolano respirazione, attività
cardiaca e processi digestivi. Il midollo spinale racchiuso nel canale
vertebrale, infine, è la sede dei contatti tra il sistema nervoso centrale e
quello periferico.

Figura 11.4 – Il sistema nervoso centrale

Il sistema nervoso periferico. È formato dall’insieme dei nervi che si


diramano dal sistema nervoso centrale: sono 12 paia di nervi cranici e 13
paia di nervi spinali che si irradiano nel tronco e negli arti.
Le fibre nervose, chiamate assoni, sono vie a senso unico, gli stimoli le
percorrono in una sola direzione. Le fibre sensorie trasmettono gli stimoli
sensoriali dalla periferia al centro, quelle motrici trasportano gli impulsi dei
movimenti dal centro alla periferia.

IL SISTEMA NERVOSO NEUROVEGETATIVO


È il sistema che regola e controlla gli organi viscerali – cuore, polmoni,
stomaco, vescica, reni e così via – e le loro funzioni: circolazione sanguigna,
respirazione, digestione, secrezioni urinarie e via dicendo. Questo sistema,
detto anche simpatico, è costituito da centri situati nella parte inferiore del
cervello e nel bulbo, e da gangli, grossi agglomerati di cellule nervose che si
trovano ai lati della colonna vertebrale. Da qui i nervi simpatici raggiungono
i vari organi interni. L’apparato simpatico è il risultato del sistema
parasimpatico e di quello ortosimpatico, che hanno funzioni regolatrici
opposte. Durante uno sforzo fisico, per esempio, prevale l’apparato
ortosimpatico che provoca una dilatazione delle vie respiratorie,
un’accelerazione dell’attività cardiaca, una stimolazione del fegato a
rilasciare zuccheri e altre simili attività. Durante il riposo, invece, è
l’apparato parasimpatico a prendere il controllo, riducendo l’attività
respiratoria e cardiaca, l’attività del fegato e il resto. Le funzioni
dell’organismo derivano perciò dall’integrazione e dalla perfetta alternanza
di questi due sistemi.
12. I RENI E L’APPARATO URINARIO

I RENI
I reni hanno la forma di due grossi fagioli e sono situati nella regione
lombare a destra e a sinistra della colonna vertebrale. Sono costituiti da
circa un milione di glomeruli all’interno dei quali si trovano dei gomitoli di
capillari. Ogni glomerulo possiede un canaletto tortuoso, chiamato tubulo;
glomerulo e tubulo costituiscono un nefrone.
La funzione dei reni è quella di filtrare il sangue e di depurarlo dalle
sostanze tossiche, dalle scorie e dall’eccesso di sali e di acqua che vengono
eliminati attraverso l’urina. I reni inoltre contribuiscono alle trasformazioni
chimiche di alcune sostanze che restituiscono al sangue.

Figura 12.1 – I reni e la vescica


L’APPARATO URINARIO
Il sangue, passando per i reni viene filtrato nei glomeruli. Le scorie,
attraverso i tubuli, sboccano in una cavità renale detta bacinetto renale,
dove si raccoglie l’urina. Da qui passa poi negli ureteri, i due canali che
provengono dal rene destro e sinistro che conducono l’urina nella vescica
urinaria, un organo cavo a forma di palloncino situato nella parte inferiore
dell’addome dietro l’osso pubico.
La vescica funziona da serbatoio: quando è piena e dilatata insorge lo
stimolo della minzione, cioè dell’espulsione dell’urina all’esterno attraverso
l’uretra. Questo canale, nel maschio percorre l’interno del pene per tutta la
sua lunghezza, mentre nella femmina è più breve e sbocca anteriormente
alla vagina. La minzione è un atto volontario di rilassamento dello sfintere
della vescica. In 24 ore, in media, il corpo umano produce un litro e mezzo
di urina.

Figura 12.2 – L’apparato urinario e riproduttivo femminile


13. L’APPARATO RIPRODUTTIVO

L’APPARATO RIPRODUTTIVO FEMMINILE


Le ovaie sono gli organi posti nella cavità addominale dove maturano le
celluleuovo. Al momento dell’ovulazione – generalmente tra il 12° e il 16°
giorno a partire dall’inizio della precedente mestruazione – l’ovulo viene
espulso ed entra nelle tube uterine: due condotti attraverso i quali raggiunge
la cavità uterina. È nelle tube che avviene la fecondazione, quando uno
spermatozoo penetra nella cellula-uovo dando origine al processo di
riproduzione.
L’utero è un apparato interno dove si sviluppa il feto e si fissa la placenta,
l’organo che mette in comunicazione la madre con l’embrione e mediante il
quale avviene l’apporto del nutrimento e di tutto quanto quest’ultimo ha
bisogno per il suo sviluppo. Il feto cresce protetto in una sacca che contiene
il liquido amniotico in cui è immerso. La vagina, infine, è il canale che
mette in comunicazione l’utero con l’esterno e attraverso il quale il neonato
viene partorito.

L’APPARATO RIPRODUTTIVO MASCHILE


L’apparato genitale maschile si sviluppa all’esterno attraverso il pene e lo
scroto, che a sua volta contiene i testicoli, organi di forma ellissoidale
composti da una rete di tubuli. Il pene contiene al suo interno dei corpi
cavernosi che riempiendosi di sangue nel corso dell’eccitazione sessuale
determinano l’erezione. All’interno dell’apparato riproduttivo maschile ci
sono una serie di ghiandole come le vescichette seminali, l’epididimo, una
sorta di serbatoio dove maturano gli spermatozoi che fuoriescono attraverso
il dotto deferente, e la prostata che secerne il liquido alcalino e vischioso
che serve a stimolare la mobilità degli spermatozoi.
Figura 13.1 – L’apparato riproduttivo maschile
PARTE
TERZA
COSA
FARE IN
CASO DI…
14. AIDS (HIV), EPATITE E INFEZIONI PER
VIA EMATICA

Il trattamento di patologie come l’AIDS o l’epatite toccano solo


marginalmente l’argomento del primo soccorso che è l’insieme delle azioni
da compiere nell’attesa dei soccorsi qualificati. Tuttavia è bene sapere
alcune cose importanti che riguardano la prevenzione. Per prima cosa,
poiché un soccorritore ha spesso a che fare con la fuoruscita del sangue,
bisogna sempre tenere presente che attraverso lo scambio ematico si
possono contrarre numerose patologie e infezioni. Perciò durante ogni
intervento si deve sempre evitare il diretto contatto con il sangue,
proteggersi gli occhi e il viso e soprattutto, nel caso di più feriti coinvolti
(negli incidenti stradali capita), bisogna fare attenzione a non toccare con le
mani sporche di sangue un altro infortunato ferito!

AIDS
Cos’è. In inglese la sigla significa sindrome da immunodeficienza acquisita
(Acquired Immuno-Deficiency Syndrome). Semplificando, è un insieme di
manifestazioni provocate dalla contrazione di un virus (HIV) che intacca le
difese immunitarie: il corpo non è perciò più in grado di proteggersi dalle
infezioni e di reagire.
Il contagio avviene per via ematica (attraverso il sangue) e attraverso il
contatto tra sperma e sangue. Il virus si può perciò contrarre per esempio
attraverso rapporti sessuali non protetti o attraverso lo scambio di siringhe
non sterili. Una volta contratto il virus, il sieropositivo non ha alcun
sintomo. La fase di latenza della malattia può durare anche molti anni prima
che inizi quella conclamata, ma in questo periodo il sieropositivo è
ugualmente contagioso.

ATTENZIONE! Poiché molte persone possono essere sieropositive


senza saperlo, è bene sempre cautelarsi.
Sintomi. Quando la malattia si manifesta, a causa dell’abbassamento delle
difese immunitarie il soggetto va incontro a numerose infezioni di fronte
alle quali l’organismo non è più in grado di reagire.

Intervento. In caso di sospetto contagio – rapporti sessuali non protetti,


puntura con siringhe, contatto con sangue – consultare il medico o le
strutture ospedaliere.

EPATITE
Cos’è. L’epatite è un’infiammazione del fegato dovuta a molteplici cause e
si distingue in vari tipi (A, B, C e altre). La contrazione, a seconda delle
tipologie, può avvenire per via alimentare, per abuso di farmaci o alcol, per
via virale attraverso lo scambio ematico o i rapporti sessuali.

Sintomi. A seconda del tipo di epatite si possono avere disturbi che vanno
dal vomito e la diarrea sino alla completa asintomaticità. Spesso, dunque,
chi ha l’epatite non lo sa.

Intervento. In caso di sospetto contagio consultare il medico o le strutture


ospedaliere.
15. ANGINA

Cos’è. L’Angina pectoris è un dolore toracico dovuto a un restringimento


temporaneo dei vasi coronarici, che provoca una diminuzione dell’apporto
di sangue al cuore (ischemia).

Sintomi. L’infortunato è oppresso da un dolore più o meno intenso allo


sterno che si può irradiare sulla sinistra alla spalla, al braccio o al collo. La
durata dell’attacco è solitamente di pochi minuti. L’infortunato è pallido,
suda freddo, è ansioso, ha difficoltà respiratorie.

Intervento. Chiamare il pronto intervento e, in attesa dei soccorsi, cercare


di tranquillizzare l’infortunato e impedire che si muova: ogni movimento o
sforzo richiede infatti un maggiore afflusso di sangue. Il paziente va
adagiato in posizione semiseduta, in questo modo la respirazione è favorita.
Inoltre, è bene tenere sempre sotto controllo le funzioni vitali: polso e
respirazione (→ “Individuare respirazione e polso”, Parte quarta).

ATTENZIONE! I sintomi dell’angina sono molto simili a quelli


dell’infarto cardiaco (→): in mancanza di una diagnosi precisa è
necessario chiamare i soccorsi immediatamente.

È utile informarsi se il paziente ha già manifestato in passato episodi


analoghi. Se è cardiopatico, infatti, è probabile che possieda dei farmaci
come le compresse di Trinitrina o di Carvasin. Questi farmaci, che di solito
non hanno particolari controindicazioni, provocano una vasodilatazione
delle coronarie che facilita l’apporto sanguigno al muscolo cardiaco.
L’assunzione della pastiglia avviene ponendola spezzata sotto la lingua.

ATTENZIONE! Solo un medico può prescrivere e somministrare dei


farmaci. Se il paziente è cardiopatico e possiede questo tipo di farmaco
può perciò assumerlo, altrimenti è consigliabile sentire il parere di un
medico anche in caso di emergenza.
Gravità. L’attacco di angina è passeggero, tuttavia, essendo molto simile
all’infarto (→) nella sua manifestazione esteriore, in mancanza di controlli
e di una diagnosi precisa è bene intervenire in modo molto tempestivo e
considerare il paziente un potenziale infartuato.
16. ANNEGAMENTO

Cos’è. L’annegamento avviene per l’ostruzione delle vie aeree da parte di


un liquido. Perché si verifichi non è necessario che il corpo sia totalmente
sommerso, per annegare basta l’immersione degli orifizi respiratori: chi per
esempio, in seguito a un malore, cade a faccia in giù in un sottile strato di
liquido rischia di annegare.
Lo stesso si può verificare anche senza immersione nell’acqua. Quando un
liquido entra nella cavità orale per riflesso provoca una chiusura della
laringe, ma se l’infortunato è incosciente e vomita, per esempio, è
necessario che il vomito possa defluire altrimenti, poiché i riflessi cessano,
il liquido può penetrare nella trachea, nei bronchi e negli alveoli polmonari
soffocandolo e dando inizio all’asfissia (→).

Sintomi. Il malcapitato, se è stato soccorso tempestivamente e non ha perso


coscienza, sarà molto agitato e spaventato, avrà delle difficoltà respiratorie
e tossirà per espellere il liquido dalle vie aeree. Se la permanenza nel
liquido è più lunga, l’asfissia porta alla perdita di coscienza e,
successivamente, all’arresto respiratorio e quindi a quello cardiaco.

Intervento. Per prima cosa è necessario rimuovere l’infortunato dal liquido


che lo asfissia. In caso di annegamento in acqua alta, è consigliabile tentare
di raggiungere l’infortunato dalla riva, tendendogli un salvagente, una fune,
un asciugamano o un ramo, se è ancora cosciente. Se ciò non fosse
possibile, è consigliabile raggiungerlo a nuoto soltanto se si è muniti di un
salvagente, una barca, un materassino o un qualsiasi oggetto galleggiante in
grado di sostenere sia il malcapitato sia il soccorritore.

ATTENZIONE! Il salvataggio a nuoto è pericoloso: l’infortunato si


aggrapperà al soccorritore in modo disperato con grande rischio per la
sua incolumità. Le tecniche di salvamento prevedono infatti
l’immersione in acqua per prendere di sorpresa e da dietro chi affoga,
oltre che le tecniche di nuoto per trasportarlo a riva. Ma queste manovre
sono molto difficili anche per i bagnini ed è sconsigliabile attuarle se
non si è esperti.

Una volta tratto in salvo l’infortunato bisogna verificare immediatamente se


è cosciente o meno.
Se è cosciente è sufficiente tranquillizzarlo, metterlo in posizione
semiseduta per facilitare la respirazione e aiutarlo a espellere il liquido
presente nelle vie aeree con dei colpetti sulla schiena e con movimenti
circolari delle braccia che aiutano l’espansione della gabbia toracica e
quindi della respirazione.

ATTENZIONE! L’espulsione dell’acqua dai polmoni è particolarmente


importante soprattutto in caso di annegamento in acqua salata. Infatti,
quando due liquidi separati da un tessuto permeabile contengono delle
soluzioni con diversa salinità, per osmosi le soluzioni tendono a
equilibrarsi. Ciò significa che la forte salinità dell’acqua marina può
provocare l’allagamento dei polmoni richiamando altra acqua
proveniente dal sangue.

Se l’infortunato ha perso coscienza è necessario agire con la massima


urgenza e chiamare i soccorsi. Nell’attesa, bisogna verificare per prima cosa
la presenza della respirazione e del battito cardiaco (→ Parte quarta). Se le
funzioni vitali sono integre, bisogna porre l’annegato in posizione laterale
di sicurezza (→ Parte quarta), meglio se su un piano leggermente inclinato
con la testa in basso. Se non si riprende, bisogna tenere costantemente sotto
controllo le funzioni vitali. Se l’infortunato è incosciente con respiro
assente e battito cardiaco presente bisogna immediatamente procedere con
la respirazione artificiale (→ Parte quarta). Prima, però, è bene verificare
che le vie aeree non siano ostruite dall’ingestione del liquido. Per far ciò
bisogna rovesciare l’annegato a pancia in giù, disporsi in piedi a gambe
larghe sopra il suo bacino, afferrarlo per le anche o per i fianchi e sollevarlo
in modo da far defluire l’acqua. Appena questa è defluita si può finalmente
stendere l’annegato a pancia in su e procedere con la respirazione artificiale.
Nel caso anche il battito cardiaco sia assente bisogna procedere alla
respirazione artificiale e al massaggio cardiaco (→ Parte quarta).
ATTENZIONE! Nel caso di tuffi in acque basse, per esempio in piscina
o in presenza di scogli, l’annegamento potrebbe essere stato provocato
da un trauma. In questo caso bisogna avere molta cautela: l’infortunato
potrebbe avere delle fratture (→), per esempio alla colonna vertebrale,
il che comporta una grande attenzione nel rimuoverlo (→ “Trasporto e
spostamento di un infortunato”, Parte quarta).

Gravità. Nel caso di annegamento è necessario intervenire con la massima


tempestività. L’arresto respiratorio avviene in pochi minuti e, se accade, in
breve sopraggiunge anche l’arresto cardiaco.
17. APPENDICITE

Cos’è. L’appendicite è un’infiammazione o un’infezione dell’appendice, un


piccolo prolungamento chiuso a forma di verme dell’intestino cieco. Tale
infiammazione può presentarsi in forma cronica, che regredisce
spontaneamente, o acuta: in tal caso è necessario intervenire
chirurgicamente, prima che possa degenerare in peritonite (→).

Sintomi. L’infiammazione cronica dell’appendice si manifesta con lievi


dolori addominali che regrediscono per poi ripresentarsi dopo mesi o anni.
La fase acuta, invece, si manifesta solitamente con un dolore improvviso,
inizialmente poco intenso, poi sempre più forte. Il dolore è generalmente
localizzato nella fossa iliaca destra, ma può essere spostato anche più in alto
o più a sinistra e confuso con un’addominalgia (dolore all’addome). Oltre al
dolore, che in rari casi può anche non manifestarsi, gli altri sintomi sono
generalmente un leggero innalzamento della temperatura, stitichezza,
inappetenza e talvolta vomito e accelerazione del polso. Alla palpazione
della parte dolente, di solito, le fitte aumentano soprattutto nel momento in
cui si rilascia la pressione della mano.

Intervento. Davanti a una sospetta appendicite è necessario interpellare il


medico per una visita. Se trascurata, l’infiammazione può degenerare, con
gravi complicazioni. Il comportamento da tenere in attesa del medico
prevede di rimanere immobili a letto, eventualmente con una borsa di
ghiaccio sull’addome, ma avvolta in uno straccio affinché non ci sia un
contatto con la pelle. È bene astenersi dall’ingestione di qualsiasi sostanza,
anche dei liquidi.

ATTENZIONE! Non usare nessun tipo di purgante o lassativo che, in


queste condizioni, potrebbe portare a una perforazione. Evitare anche
l’assunzione di analgesici che possono alterare il quadro clinico durante
la visita medica.
Gravità. La fase acuta dell’appendicite richiede un intervento chirurgico,
l’appendicectomia, che consiste nell’asportazione della parte infiammata. È
necessario intervenire con tempestività, prima che l’infezione porti a gravi
complicazioni, perforazioni o peritonite (→).
18. ARRESTO CARDIACO

Cos’è. L’arresto cardiaco è la cessazione dell’attività del muscolo cardiaco


che può avvenire per molteplici cause. Per quanto riguarda il primo
soccorso, il rischio di un arresto cardiaco è frequente nel caso di infarto
(→), folgorazione (→), asfissia (→) e shock (→).

Sintomi. Quando il cuore cessa di battere la persona è incosciente, la


respirazione e il polso sono assenti, la colorazione della pelle è pallida, le
labbra e le unghie possono essere cianotiche (violacee), le pupille in breve
si dilatano, divengono fisse e non reagiscono alla luce.

Intervento. Bisogna agire con la massima tempestività: dopo 3 o 4 minuti


dall’arresto cardiaco i danni al cervello sono irreversibili. È necessario
chiamare i soccorsi urgentemente spiegando la situazione affinché arrivino
pronti e preparati per un intervento rapido ed efficace. Nell’attesa bisogna
procedere con il massaggio cardiaco e con la respirazione artificiale (→
Parte quarta). In questo modo l’infortunato viene tenuto in vita
meccanicamente sino all’arrivo in ospedale.

Gravità. La gravità è massima: dopo pochi minuti dall’arresto cardiaco ha


inizio la morte cerebrale.
19. ASFISSIA

Cos’è. L’asfissia è un arresto o un’insufficienza della respirazione. Insorge


per una mancanza o una carenza di ossigeno. Le cause possono essere
molteplici: l’ostruzione delle vie respiratorie da parte di corpi estranei che
soffocano l’infortunato (→ soffocamento), per esempio alimenti, ma anche
dentiere (in caso di malore o incidente) o vomito (nel caso l’infortunato sia
incosciente). Tra le altre cause meccaniche si possono ricordare l’acqua (in
caso di annegamento →), terra o neve (in caso di frane e valanghe), lacci e
corde (in caso di impiccagione), lingua capovolta o ostruzione da liquidi
interni e secrezioni (in caso di incoscienza). Una persona, inoltre, può
soffocare e andare incontro all’asfissia anche perché l’ambiente non è
sufficientemente ossigenato, per la presenza di gas tossici come l’ossido di
carbonio emesso dalle stufe, per le fughe di gas, per i fumi durante un
incendio. Infine, l’alterazione della respirazione e addirittura la paralisi dei
muscoli respiratori può avvenire in caso di insufficienze cardiache o
polmonari, ma anche in caso di traumi cranici (→) o toracici e, soprattutto,
in caso di avvelenamento da farmaci (→), overdose di droghe, folgorazione
(→) e tetano (→).

Sintomi. In caso di asfissia l’infortunato presenta delle evidenti difficoltà di


respirazione. Non necessariamente è privo di coscienza. Se c’è ostruzione
delle vie aeree per cause meccaniche avrà un colorito violaceo, soprattutto
sulle labbra. In caso di intossicazione da ossido di carbonio, invece, il
colorito sarà rosso ciliegia. Se l’infortunato è incosciente ed è sopraggiunto
un arresto respiratorio, dopo pochi minuti sopraggiungerà anche l’arresto
cardiaco: in tal caso il colorito della pelle sarà bianco livido.

Intervento. Poiché le cause di asfissia sono molteplici, innanzitutto bisogna


individuare il problema.
Nel caso di difficoltà respiratorie dovute a patologie polmonari o cardiache
– per esempio edema polmonare (→) o infarto (→) – è bene chiamare i
soccorsi, tranquillizzare l’infortunato, evitare che compia movimenti,
tenerlo in posizione semiseduta. Se si ha a disposizione dell’ossigeno è bene
somministrarlo. Se l’infortunato è in un ambiente mal ossigenato, è
necessario trasportarlo immediatamente all’aria aperta o spalancare le
finestre. In questo caso il soccorritore dovrà fare attenzione a non rimanere
a sua volta asfissiato: per esempio in caso di fughe di gas tossici. Bisogna
fare attenzione soprattutto all’ossido di carbonio, assolutamente inodore, la
cui presenza non è perciò evidente: l’asfittico in questo caso ha un colorito
rosso ciliegia, come abbiamo già detto.

ATTENZIONE! Nel caso di impiccagione in seguito a tentato suicidio,


non è facile intervenire. Bisogna prima di tutto rimuovere (o tagliare) i
lacci che soffocano l’infortunato e adagiarlo a terra per verificarne le
condizioni, tenendo presente che potrebbe avere delle lesioni alle prime
vertebre del collo, con conseguente lesione del midollo e della colonna
(anche se ciò è la causa di morte nelle esecuzioni dei condannati, ma è
raro nei casi di tentato suicidio dove la morte sopraggiunge per lo più
per soffocamento).

Se l’asfittico non è cosciente, bisogna immediatamente verificare la


presenza della respirazione (→ Parte quarta). Per far ciò è sufficiente
appoggiare una mano sul torace e una sull’addome per percepire
sollevamenti e, contemporaneamente, si può avvicinare l’orecchio alla
bocca dell’infortunato per avvertire il passaggio dell’aria.
Se il paziente respira è necessario tenerlo sotto controllo e, in attesa dei
soccorsi, metterlo in una posizione che favorisca la respirazione. È
sufficiente adagiarlo sulla schiena (attenzione che non abbia politraumi,
però!) e mettere la testa in posizione iperestesa (→ Parte quarta): questa
manovra impedisce il soffocamento per il rovesciamento della lingua.
È importante, inoltre, verificare che le vie aeree non siano ostruite da
dentiere, alimenti o altro: in tal caso, con l’ausilio di un fazzoletto, basta
rimuovere manualmente ciò che provoca l’ostruzione. È consigliabile anche
slacciare gli indumenti (cravatte, busti, cinture, reggiseni…) che possono
rendere difficoltosa la respirazione.
Se il paziente non respira, dopo aver controllato che non ci siano ostruzioni
meccaniche delle vie aeree bisogna procedere immediatamente alla
respirazione artificiale, in attesa dei soccorsi, facendo molta attenzione al
polso cardiaco. In caso di arresto del cuore bisognerà procedere anche al
massaggio cardiaco (→ Parte quarta).

ATTENZIONE! Se l’asfissia è provocata da cause meccaniche come


l’ostruzione causata da un boccone o da una caramella (frequente nei
bambini) andati di traverso, si possono mettere in pratica manovre come
quella di Heimlich o altre tecniche per la rimozione dei corpi estranei, a
seconda del caso, descritte più avanti (→ soffocamento).

Gravità. Il nostro corpo non è in grado di resistere a lungo senza respirare.


In caso di arresto respiratorio ci sono solo pochi minuti prima che
sopraggiunga l’arresto cardiaco e, successivamente, la morte cerebrale. È
perciò importante chiamare i soccorsi e agire con la massima tempestività.
20. ASMA

Cos’è. L’attacco d’asma può avere origini emotive e psichiche, essere


causato da infezioni delle vie respiratorie o da reazioni allergiche. Di solito
avviene una contrazione spasmodica dei piccoli bronchi che produce
dispnea, cioè difficoltà di respirazione.

Sintomi. L’infortunato è dispnoico, pallido, labbra e unghie sono spesso


cianotiche per la carenza di ossigeno. Il torace è bloccato in uno stato di
inspirazione forzata. La respirazione è molto difficoltosa: si ha
un’inspirazione breve seguita da una prolungata espirazione difficoltosa,
rumorosa e sibilante.

Intervento. L’infortunato di norma riconosce le sue crisi asmatiche e


possiede delle compresse o dei broncodilatatori per inalazione
precedentemente prescritti dal medico. Queste cure, però, vanno utilizzate
solo se già prescritte, perché talvolta possono provocare fenomeni
collaterali. È necessario tenere l’infortunato in posizione semiseduta per
agevolare la respirazione, cercare di tranquillizzarlo il più possibile e, se è
presente dell’ossigeno, somministrarlo.

Gravità. Dipende da quanto è violento l’attacco. Se la crisi è leggera e


passeggera non richiede particolari accorgimenti. Se il paziente è cianotico,
agitato e la dispnea è preoccupante è necessario un immediato trasporto al
pronto soccorso.
21. ASSIDERAMENTO

Cos’è. L’assideramento è il risultato di un’eccessiva esposizione al freddo e


a basse temperature.

Sintomi. Brividi, pallore, torpore, difficoltà di movimento e, negli stati più


gravi, confusione mentale e sonno che può degenerare in coma (→).

Intervento. È necessario riscaldare l’infortunato in modo graduale,


portandolo in ambiente caldo, coprendolo e massaggiandolo per riattivare la
circolazione. Somministrare caffè e bevande calde con zucchero, ma non
alcolici che non favoriscono la circolazione sanguigna. Per agevolare la
circolazione è utile anche allentare gli indumenti che possono costringere.

ATTENZIONE! L’assideramento è possibile anche a temperature non


particolarmente rigide. Gli etilisti, per esempio, sono soggetti a una
grande dispersione di calore che li può portare facilmente a stati di
assideramento.

Gravità. A seconda del tempo e del grado di esposizione al freddo


l’assideramento può richiedere l’ospedalizzazione urgente.
22. AVVELENAMENTO

Cos’è. L’avvelenamento avviene per l’ingestione nel nostro organismo di


sostanze nocive. I sintomi possono essere immediati, ma possono anche
verificarsi sino a 12/24 ore dopo l’ingestione.

Sintomi. Sono svariati e generalmente riconducibili a nausea, vomito,


crampi e dolori addominali. Qualora le sostanze tossiche siano ingerite
involontariamente, per esempio per intossicazione da funghi, o da
alterazioni di cibi che producono tossicosi alimentari come il botulismo,
non è sempre facile collegare i sintomi a ciò che si è ingerito, soprattutto
perché la loro insorgenza può avvenire dopo un arco di tempo non breve.

Intervento. Davanti a un sospetto avvelenamento è indispensabile


individuare la tipologia della sostanza tossica ingerita e consultare
immediatamente un medico o recarsi tempestivamente in un pronto
soccorso, a seconda della gravità.

Gravità. La gravità dell’avvelenamento dipende dal tipo di sostanze


ingerite. In generale è sempre bene recarsi in ospedale con urgenza. Di
seguito alcuni dei casi più diffusi.

AVVELENAMENTO DA BARBITURICI O FARMACI


Tipico di chi vuole tentare il suicidio, questo tipo di avvelenamento porta
all’arresto respiratorio e di conseguenza alla morte.
I sintomi sono: sonno che degenera in coma (→), depressione e alterazione
della respirazione. In questi casi bisogna chiamare i soccorsi e condurre
l’infortunato in ospedale.

ATTENZIONE! È molto importante far pervenire in ospedale o al


medico il tipo di farmaco ingerito e, possibilmente, anche la quantità.
Nel frattempo è fondamentale non fare addormentare l’avvelenato,
nonostante la sonnolenza, sollecitandolo costantemente con domande e
stimoli fisici (scossoni, piccoli schiaffi, pizzicotti e simili). È inoltre utile
indurre il vomito (→) e somministrare abbondante caffè, un ottimo
eccitante. Se il paziente non è cosciente bisogna controllare attentamente
che non avvenga un arresto respiratorio.

ATTENZIONE! Questo tipo di avvelenamento spesso coinvolge i


bambini, che ingeriscono farmaci involontariamente, per esempio
credendo siano caramelle. Per questo è bene che i medicinali siano
sempre fuori dalla loro portata.

AVVELENAMENTO DA ALCOL
L’eccessiva assunzione di alcol porta euforia, loquacità, stati di alterazione
della personalità e dei comportamenti, sonnolenza, nausea o sonno
profondo che può anche degenerare in coma. In questi casi è necessario
stimolare il vomito e somministrare abbondante caffè. Nei casi più gravi è
necessario ospedalizzare la persona e ricorrere a una lavanda gastrica.

ATTENZIONE! Anche se comunemente si tende a essere indulgenti nel


considerare i rischi dell’assunzione eccessiva di alcol, in dosi alte si
tratta invece di un avvelenamento pericoloso a tutti gli effetti che può
avere degli esiti mortali, se non si interviene.

AVVELENAMENTO DA FUNGHI
Le tossine presenti nei funghi possono agire rapidamente, dopo 1/6 ore, ma
anche dopo 8/48 ore.
Nel primo caso i sintomi sono generalmente nausea, vomito, diarrea (→),
tremori muscolari, eccitazione psichica, tachicardia. Con il vomito e la
diarrea le tossine vengono eliminate. È bene comunque ospedalizzare
d’urgenza, se possibile con i residui del cibo ingerito che saranno analizzati.
Nel secondo caso le tossine portano a sintomi come vomito, diarrea, dolori
addominali, shock (→). È inutile provocare il vomito, perché dopo 8/48 ore
le tossine sono state completamente assorbite. È necessario ospedalizzare
d’urgenza, se possibile con i residui del cibo ingerito che servono per le
analisi.
AVVELENAMENTO DA CAUSTICI
Può avvenire per inalazione o ingestione di sostanze come benzina,
candeggina e simili che provocano lesioni, ulcere e perforazioni. I sintomi
sono: dolori violenti a bocca, esofago e stomaco.
In questi casi bisogna assolutamente evitare il vomito, perché le sostanze
ingerite danneggerebbero ulteriormente le pareti dell’esofago e della bocca.
È necessario chiamare immediatamente i soccorsi e può essere utile cercare
di diluire le sostanze ingerite con latte – per le sostanze come acido
muriatico e solforico – e acqua e limone nel caso sia stata ingerita
dell’ammoniaca.

ATTENZIONE! Prima di fare ingerire qualunque sostanza è bene


consultare un medico: un errore potrebbe danneggiare ulteriormente
l’infortunato.

AVVELENAMENTO DA ANTIPARASSITARI
Può avvenire per assunzione o inalazione di sostanze velenose utilizzate per
frutta e ortaggi.
I sintomi possono manifestarsi attraverso tremori, convulsioni e alterazioni
della respirazione. In questo caso è importante evitare l’ingestione di latte o
grassi che facilitano l’assorbimento di tali sostanze. È utile provocare il
vomito (ma è sempre meglio consultare un medico per assicurarsi che le
sostanze non siano caustiche) e ricoverare d’urgenza all’ospedale.
23. COLICHE

Cos’è. Una colica, letteralmente, è una contrazione spasmodica e dolorosa


del colon che si manifesta attraverso crisi più o meno dolorose, lunghe e
frequenti, spesso accompagnate da sintomi come pallore, nausea, vomito e
talvolta diarrea. Per analogia, con questo termine si indicano in genere
anche tutti i dolori addominali di tipo parossistico che sono causati dalla
contrazione di un viscere cavo che non è necessariamente il colon, come lo
stomaco, l’intestino, l’utero e le vie urinarie o biliari.

Gravità. Sebbene molto dolorose, le coliche non richiedono interventi


particolarmente urgenti, se non per alleviare il dolore. È però sempre
consigliabile interpellare il medico per accertarsi che si tratti veramente di
coliche e non di altre più gravi patologie come per esempio: appendicite
(→), peritonite (→) o avvelenamento (→).
Di seguito i sintomi e gli interventi a seconda del tipo di colica.

COLICA GASTRICA
Sintomi. L’infortunato è in preda a crampi allo stomaco ed è pallido e
sudato; talvolta la crisi è accompagnata da persistenti conati di vomito. I
dolori sono localizzati nella “bocca dello stomaco”, la parte alta e mediana
dell’addome.

Intervento. La cosa migliore è interpellare subito un medico che può


somministrare un calmante e confermare la diagnosi: i sintomi possono
essere infatti anche dovuti ad altre patologie ben più gravi. In questo caso
può essere utile slacciare gli abiti che possono costringere l’infortunato e
provocare il vomito (→) per liberare lo stomaco e alleviare la crisi. Nel
frattempo l’infortunato deve cercare di sdraiarsi sul dorso, rilassarsi,
applicare sullo stomaco qualcosa di caldo. È importante non ingerire cibi o
bevande e, passata la crisi, mantenere per qualche tempo una dieta leggera.
COLICA INTESTINALE
Sintomi. L’infortunato lamenta dolori diffusi per tutto il ventre, quasi
sempre associati a scariche di diarrea e talvolta a conati di vomito. Le crisi
accompagnate da stitichezza e vomito fecaloide (cioè maleodorante e dal
colore scuro tipico delle feci) sono di solito sintomo di un’occlusione
intestinale (→).

Intervento. In questi casi è bene consultare un medico che può prescrivere


un calmante o dei farmaci appropriati, dopo aver effettuato una diagnosi che
escluda possa trattarsi di un’addominalgia dovuta ad altre cause. Nel
frattempo è bene che l’infortunato stia a letto a riposo con applicazioni
caldo-umide sul ventre.

COLICA RENALE
Sintomi. È caratterizzata da un improvviso dolore acutissimo a un fianco
che si propaga dalla regione lombare in avanti e in basso verso l’inguine.
Questo sintomo è importante per distinguere la colica renale da quella
epatica che si irradia invece verso l’alto. Spesso i sintomi sono
accompagnati da vomito, febbre, minzione difficoltosa o dolorosa, talvolta
con emissione di sangue.

Intervento. È bene consultare un medico per una diagnosi precisa e


un’eventuale prescrizione di un farmaco calmante. Intanto bisogna rimanere
a riposo a letto, stesi su un fianco, con una borsa d’acqua calda sulla parte
dolente.

ATTENZIONE! Nel caso un calcolo venga espulso durante la minzione


è bene conservare le urine per successive analisi.
Figura 23.1 – Differenze nell’irradiazione del dolore nella colica renale e in quella epatica

COLICA EPATICA O BILIARE


Sintomi. I dolori sono localizzati nel quadrante superiore destro
dell’addome e si irradiano verso l’alto alla spalla o alla regione lombare e
toracica, cosa che fa distinguere la crisi da una colica renale che si irradia
verso il basso. Altri sintomi possono essere, nausea, vomito, febbre, itterizia
e il colore scuro delle urine.

Intervento. È bene consultare un medico per una diagnosi precisa e


un’eventuale prescrizione di un farmaco calmante. Intanto è consigliabile
rimanere a riposo a letto e, passata la crisi, adottare una dieta leggera priva
di grassi e alcol.
24. COLLASSO

Cos’è. Un collasso cardiaco è un cedimento caratterizzato per lo più da un


calo improvviso della pressione sanguigna. Con l’espressione collasso
nervoso, invece, si indica talvolta la crisi isterica (→).

Sintomi. Nel caso di un collasso cardiaco l’infortunato diventa pallido,


molto debole e sudato; il polso si indebolisce, la muscolatura si rilascia e le
estremità divengono fredde. Solitamente non si ha perdita di coscienza.

Intervento. Bisogna immediatamente consultare un medico e, intanto, è


bene porre l’infortunato in posizione antishock (→ Parte quarta), coperto,
vigilando costantemente sulle funzioni vitali.

Gravità. Il collasso cardiaco è sempre una manifestazione di un malore di


una certa gravità: bisogna subito interpellare un medico o trasportare
l’infortunato a un pronto soccorso e prestare attenzione alle funzioni vitali.
25. COLPO APOPLETTICO

Cos’è. Il colpo apoplettico, ictus o apoplessia cerebrale, è causato da


un’interruzione dell’afflusso di sangue in una zona del cervello, che può
avvenire per un’emorragia e la rottura di un vaso o per un trombo, ma anche
per un’occlusione di un vaso dovuta a un coagulo di sangue.

Intervento. In generale è bene intervenire tempestivamente. Per il tipo di


intervento si veda la voce: ictus (→)
26. COLPO DI CALORE

Cos’è. Il colpo di calore si verifica in ambienti molto caldi, umidi e poco


ventilati. In queste condizioni la sudorazione, che serve a raffreddare il
corpo e a disperdere la temperatura, può non avvenire in quanto l’eccessiva
umidità ne impedisce l’evaporazione.

Sintomi. Intensa sete, cute molto calda, volto arrossato, respiro affannoso,
torpore e shock (→).

Intervento. È necessario condurre immediatamente l’infortunato in un


luogo fresco e ventilarlo, raffreddarlo con impacchi di acqua fresca ma non
troppo fredda e tenere sotto controllo respirazione e polso. È consigliabile
fargli bere qualcosa di fresco, ma assolutamente non alcolico.

Gravità. Se la temperatura è particolarmente elevata è bene consultare un


medico o condurre l’infortunato in un pronto soccorso, soprattutto se c’è il
sospetto che non si tratti di un semplice colpo di calore ma di un colpo di
sole (→).
27. COLPO DI SOLE

Cos’è. Il colpo di sole è causato da un’eccessiva esposizione al sole, che


provoca un aumento di temperatura e una vasodilatazione che conduce a
uno stato di shock (→).

Sintomi. Cefalea e vertigini, sudorazione, nausea, offuscamento della vista,


aumento della temperatura, shock.

Intervento. Per prima cosa è necessario porre l’infortunato all’ombra, in un


luogo arieggiato, e rinfrescargli il capo con impacchi umidi o acqua fresca
ma non troppo fredda. Il paziente va condotto all’ospedale con urgenza.

Gravità. Il colpo di sole è più pericoloso del colpo di calore e può


richiedere anche un trattamento medico della massima urgenza.
28. COMA

Cos’è. Lo stato comatoso è caratterizzato da una perdita totale e prolungata


della coscienza. La respirazione e il battito cardiaco sono invece presenti.
Le cause possono essere molteplici: trauma cranico (→), emorragia
cerebrale (→), ictus (→), disturbi metabolici ed endocrini (coma epatico,
coma diabetico, ipoglicemico, endocrino), infezioni come meningiti e,
ancora, intossicazioni come nel caso del coma etilico o più in generale
quello da avvelenamento (→).

Sintomi. L’infortunato si presenta incosciente, come avvolto in un profondo


sonno da cui non riesce a svegliarsi. La motilità e la reazione al dolore – per
esempio un pizzicotto – nel caso di un coma profondo sono completamente
assenti, mentre in una forma di coma leggero si ha reattività al dolore ma
non vi è motilità. Nel coma vigile si ha anche una certa motilità. Talvolta
l’infortunato russa profondamente.

Intervento. Verificato lo stato comatoso è necessario chiamare


immediatamente i soccorsi. Nell’attesa è bene porre l’infortunato in
posizione di sicurezza (→ Parte quarta), slacciare gli indumenti stretti
(cravatte, reggiseni, busti, cinture, camicie…), coprirlo e controllare
costantemente che le funzioni vitali siano presenti.

Gravità. La gravità del coma dipende dalle cause. In ogni caso


l’infortunato deve essere trasportato in ospedale con la massima urgenza.
29. COMMOZIONE CEREBRALE

Cos’è. La commozione cerebrale è una delle possibili conseguenze che si


manifestano in caso di trauma cranico. Consiste in una perdita di
conoscenza, generalmente transitoria e reversibile, che non produce danni
permanenti ma può degenerare in coma. Per l’intervento si veda la voce
trauma cranico (→).
30. CONGELAMENTO

Cos’è. Il congelamento è una lesione della cute e dei tessuti sottostanti


causata dall’esposizione a un freddo intenso. Solitamente colpisce le parti
periferiche del corpo come le dita, le mani, i piedi, le orecchie o il naso.

Sintomi. Le lesioni di primo grado provocano un rallentamento della


circolazione con dolore ed edema locale. La cute in questo caso è cianotica.
Le lesioni di secondo grado provocano un arresto della circolazione con
locale insensibilità, immobilità e comparsa di bolle. Le lesioni di terzo
grado provocano la necrosi del tessuto e un successivo sfaldamento.

Intervento. Per le lesioni di primo grado è sufficiente massaggiare


delicatamente la parte colpita da congelamento per riattivare la circolazione.
È utile allentare tutto ciò che potrebbe ostacolare la circolazione: lacci,
calzettoni e così via.
Per le lesioni più gravi, di secondo e di terzo grado, è bene chiamare i
soccorsi e immergere la parte lesa in acqua tiepida (37°/40°) ricoprendola
poi con panni asciutti.

ATTENZIONE! Evitare di riscaldare la parte congelata in modo


improvviso ed eccessivo, per esempio attraverso stufe o borse di acqua
calda, il riscaldamento deve essere graduale. Evitare anche l’assunzione
di alcolici, vasodilatatori che non favoriscono la circolazione del
sangue.

Gravità. Le lesioni di secondo o terzo grado richiedono un immediato


ricovero ospedaliero.
31. CONGESTIONE CEREBRALE

Cos’è. La congestione cerebrale è causata da un eccessivo afflusso di


sangue al cervello ed è tipica delle persone ipertese con pressione arteriosa
alta. Può avvenire in seguito a emozioni violente o sforzi eccessivi.

Sintomi. L’infortunato ha mal di testa, vertigini, ma soprattutto


arrossamento nel viso. Si può verificare anche perdita di coscienza.

Intervento. In presenza di questi sintomi è consigliabile chiamare


immediatamente il medico. Dopo una conferma della diagnosi, in attesa dei
soccorsi è bene che l’infortunato stia seduto, con il capo sollevato, con una
borsa di ghiaccio in testa e qualcosa di caldo sui piedi (va bene anche una
bacinella piena di acqua calda, ma senza esagerare). In questo modo il
freddo in testa provoca una vasocostrizione che fa defluire il sangue, mentre
il calore ai piedi richiama sangue verso gli arti periferici.

ATTENZIONE! L’infortunato non va mai posto in posizione antishock,


bisogna far defluire il sangue dalla testa se non si vuole peggiorare la
situazione; per questo il capo deve essere sollevato rispetto al corpo.

Gravità. Anche se l’infortunato non perde coscienza è bene che sia


sottoposto a una tempestiva visita medica.
32. CONTUSIONE

Cos’è. Una contusione è una lesione del corpo prodotta da un urto contro un
corpo contundente, senza lacerazione della cute.

Sintomi. Dopo il trauma sulla pelle compare un’ecchimosi, una macchia


inizialmente rossa e poi violacea che con il tempo assume una colorazione
giallognola, prima di scomparire. È il risultato di una rottura di capillari che
versano il sangue nei tessuti superficiali. Se il travaso di sangue è più
abbondante si ha invece un ematoma, più esteso gonfio e scuro.

Intervento. In caso di ematomi ed ecchimosi è consigliabile applicare degli


impacchi di ghiaccio (sempre attraverso un panno e mai a diretto contatto
con la pelle) per indurre una vasocostrizione ed eventualmente un
bendaggio non stretto. Si possono inoltre applicare delle apposite pomate in
vendita in farmacia.

Gravità. Se la contusione non interessa zone a rischio, come organi interni,


non c’è da preoccuparsi: ecchimosi ed ematomi regrediscono in poco
tempo. Come sempre è comunque consigliabile farsi visitare da un medico
per controllare che non ci siano per esempio fratture o conseguenze più
gravi.
33. CONTUSIONE CEREBRALE

Cos’è. La contusione cerebrale è una delle possibili conseguenze che si


manifestano in caso di trauma cranico. Consiste in una distruzione dei
tessuti cerebrali che comporta danni permanenti e irreversibili. Per
l’intervento si veda la voce trauma cranico (→).
34. CONVULSIONI

Cos’è. Le convulsioni, o attacchi parossistici, consistono in un susseguirsi


di contrazioni e di movimenti involontari che possono interessare tutta la
muscolatura o una parte, per esempio gli arti.

Sintomi. Durante una crisi convulsiva, oltre ai suddetti movimenti


involontari, l’infortunato può presentare o meno perdita di coscienza.

Intervento. Davanti a una crisi convulsiva è bene adagiare l’infortunato su


un letto, supino o su un fianco, cercando di impedire che si ferisca durante i
movimenti, slacciando gli indumenti che possono costringere e facendo
attenzione che le vie aeree non siano ostruite dalla lingua, da secrezioni o da
altro. Le crisi convulsive possono avere molteplici cause, per esempio sono
tipiche dell’epilessia (→), ma possono essere causate anche da altri fattori.
Un’eccessiva febbre (→ iperpiressia), per esempio, soprattutto nei bambini
molto piccoli, può scatenare degli attacchi parossistici. In questo caso è
consigliabile porre impacchi freddi sulla testa per abbassare rapidamente la
temperatura.

Gravità. È sempre consigliabile consultare immediatamente un medico. Se


la crisi persiste, è molto violenta o c’è perdita di coscienza è meglio
chiamare i soccorsi, soprattutto se l’infortunato non ha una patologia già
diagnosticata e la crisi si manifesta per la prima volta.
35. CRISI ISTERICA

Cos’è. La crisi isterica è un’ostentazione di comportamenti plateali che


hanno lo scopo di richiamare l’attenzione. Talvolta si ha una simulazione di
perdita di coscienza.

Sintomi. Le crisi isteriche sono spesso precedute da malumore e tristezza e


si manifestano in modo chiassoso. Talvolta possono sfociare in urla,
atteggiamenti plateali o drammatici e in contorsioni violente che possono
essere scambiate per crisi epilettiche (→). Al contrario di queste ultime,
tuttavia, durante una crisi isterica non si ha mai una reale perdita di
coscienza, anche se talvolta l’isterico la simula. Inoltre, poiché hanno lo
scopo di richiamare l’attenzione, le crisi isteriche avvengono solo in
pubblico, il paziente non si ferisce mai seriamente e non presenta amnesie
di ciò che è successo.

Intervento. Per placare una crisi isterica bisogna innanzitutto isolare il


soggetto dal pubblico e dagli spettatori per demotivarlo nella sua
manifestazione. È necessario trattenerlo in modo deciso e dimostrare
comprensione e fermezza. Per questo motivo è bene evitare di dargli degli
schiaffi, contrariamente a certe diffuse convinzioni popolari.

Gravità. La crisi isterica non presenta particolari rischi per l’individuo, che
non si ferisce mai. È sufficiente isolarlo e calmarlo. Se ciò non avviene è
bene consultare un medico.
36. DIABETE

Cos’è. Il diabete è una malattia che consiste in una carenza di insulina, una
sostanza prodotta dal pancreas (→ Parte seconda) senza la quale il glucosio
non può essere trasformato in glicogeno, uno zucchero più complesso che
viene immagazzinato nel fegato (→ Parte seconda) e restituito sotto forma
di glucosio nei momenti di necessità. Il glucosio, perciò, si accumula nel
sangue e compare nelle urine.
Un individuo diabetico è soggetto a crisi che possono sfociare in stati di
coma (→) ipoglicemico o iperglicemico. Se il paziente è trattato con dei
farmaci che abbassano la glicemia, come l’insulina, può succedere che in
condizioni particolari il tasso degli zuccheri scenda troppo e si abbia un
coma ipoglicemico. Viceversa, se la dose di insulina manca o è insufficiente
il diabetico rischia un coma iperglicemico o diabetico, che avviene perché
nel sangue ci sono troppi zuccheri.

Sintomi. Nel caso di coma iperglicemico il paziente, oltre a essere privo di


coscienza, ha un respiro profondo, continuo e senza pause; la cute non è
sudata ma secca; è presente una flaccidità muscolare; l’alito ha un odore
simile all’acetone. Nel caso di coma ipoglicemico, invece, il respiro è
normale, la cute è sudata, si ha tonicità muscolare, l’alito non ha odori
particolari.

Intervento. Tenere sotto controllo le funzioni vitali e chiamare


immediatamente i soccorsi. Soltanto se si è in presenza di una crisi
ipoglicemica, e solo in questo caso, si può tentare di somministrare dello
zucchero sciolto in acqua, impresa impossibile se l’infortunato è
incosciente. La cosa migliore è individuare immediatamente la crisi prima
che il soggetto entri in coma, in tal caso la somministrazione dello zucchero
migliora rapidamente la situazione.

ATTENZIONE! Non è facile distinguere il coma iperglicemico da


quello ipoglicemico se non si è degli esperti. Pertanto, se non si è più
che sicuri, è meglio evitare somministrazioni di zuccheri, che nel caso
di un errore di valutazione peggiorerebbero la situazione.

Gravità. È necessario trasportare urgentemente l’infortunato in un pronto


soccorso.
37. DIARREA

Cos’è. La diarrea è l’espulsione frequente di feci liquide, talvolta


accompagnata da dolori addominali. Può avere molteplici cause: eccessi
alimentari, colpi di freddo, problemi digestivi, ma può anche essere un
segnale di virus, infezioni intestinali, salmonellosi e altre malattie infettive,
di avvelenamento o di intossicazione. Per questo, in caso di diarrea
prolungata è necessario comprenderne le cause e consultare il medico. Se le
scariche diarroiche sono molto frequenti, si va incontro a una
disidratazione.

Sintomi. I sintomi variano con le cause che provocano la diarrea. Talvolta


le scariche sono accompagnate da dolori addominali in caso di indigestioni
– ma anche da nausea, vomito e cefalea –, da febbre in caso di infezioni
virali, da crampi e da vomito in caso di avvelenamento.

Intervento. È necessario cercare di comprendere le cause della diarrea,


perciò meglio consultare un medico. In generale, comunque, è buona norma
evitare le bevande fredde, assumere una dieta leggera e bere più del solito
per compensare la disidratazione e le perdite di liquidi.

Gravità. Dipende dalle cause. È minima nel caso di lievi disturbi digestivi,
è alta nel caso di certe gravi patologie infettive, intossicazioni alimentari o
avvelenamento (→).
38. DISTORSIONE

Cos’è. Una distorsione è un trauma delle articolazioni causato da falsi


movimenti. La più comune è quella della caviglia. Si verifica quando un
osso esce dalla sua sede articolare, rientrandovi immediatamente dopo. Nei
casi gravi, questa momentanea fuoriuscita può provocare una lacerazione
dei legamenti.

Sintomi. Una distorsione è solitamente dolorosa. La parte traumatizzata


presenta un gonfiore localizzato e dolore nei movimenti. Questi, anche se
faticosi, sono tuttavia possibili.

Intervento. È consigliabile applicare una fasciatura stretta e fare impacchi


freddi. Nei casi di lievi distorsioni è sufficiente tenere l’arto a riposo per
qualche giorno. Non sempre, tuttavia, è semplice fare diagnosi esatte senza
una lastra o senza una visita medica. È perciò consigliabile condurre
l’infortunato all’ospedale per una visita di controllo che accerti che non ci
siano fratture o complicazioni.

Gravità. La distorsione non è un trauma grave, tuttavia è sempre


consigliabile una visita di controllo, soprattutto in presenza di un forte
dolore o di un forte gonfiore. Potrebbero infatti esserci dei traumi ai
legamenti oppure, invece di una distorsione, si potrebbe essere in presenza
di una lussazione (→) o di una frattura (→).
39. EDEMA POLMONARE

Cos’è. L’edema polmonare è una sorta di annegamento dei polmoni causato


dall’eccessivo passaggio di liquido sieroso dai capillari sanguigni agli
alveoli che vengono così riempiti di liquido e non sono più in grado di
svolgere la loro attività respiratoria.

Sintomi. L’edema polmonare si manifesta frequentemente nelle ore


notturne. L’infortunato si sveglia improvvisamente con enormi difficoltà di
respirazione (dispnea), è agitato, si sente soffocare e chiede ossigeno. Il
respiro è rumoroso, si ode un gorgoglio causato dalla presenza di liquido
negli alveoli polmonari. Il paziente si mette istintivamente seduto, per
meglio respirare, non si deve mai sdraiare perché aumenterebbe il senso di
soffocamento. Il polso è debole; può comparire una schiuma rosa biancastra
alla bocca. Il volto è solitamente pallido o cianotico; l’individuo è sudato e
le estremità sono fredde.

Intervento. È necessario raggiungere al più presto l’ospedale. Il soggetto va


mantenuto in posizione semiseduta, per agevolare la respirazione. Bisogna
cercare di tranquillizzarlo, controllare costantemente le funzioni vitali ed
evitare che compia movimenti. Se è presente dell’ossigeno bisogna
somministrarlo a dosaggi molto alti.

Gravità. L’evoluzione dell’edema polmonare è molto rapida, da mezz’ora a


due ore. È perciò necessario ospedalizzare l’infortunato con la massima
urgenza, prima che muoia per asfissia.
40. EMATEMESI

Cos’è. L’ematemesi consiste nella fuoriuscita di sangue dalla bocca insieme


al vomito. Implica la presenza di un’emorragia dello stomaco o
dell’esofago.

Intervento. È bene condurre l’infortunato in ospedale e, in caso di perdita


di coscienza, in attesa dei soccorsi mantenerlo in posizione di sicurezza (→
Parte quarta) affinché il vomito non ostruisca le vie respiratorie.

Gravità. La gravità dipende dalla patologia che ha provocato la lesione e


dal tipo di lesione. In generale è consigliabile recarsi velocemente in un
pronto soccorso o consultare subito un medico.
41. EMATURIA

Cos’è. L’ematuria è l’espulsione di sangue attraverso le urine, in seguito a


un’emorragia renale, della vescica o dell’uretra.

Intervento. È bene conservare l’urina per le analisi in ospedale.

Gravità. La gravità dipende dalla patologia che ha provocato la lesione e


dal tipo di lesione. In generale è consigliabile consultare immediatamente
un medico o recarsi in un pronto soccorso.
42. EMBOLIA

Cos’è. L’embolia è un’ostruzione parziale o totale di un vaso sanguigno per


opera di un embolo solido, liquido o gassoso che produce disturbi
circolatori locali o generali. L’embolia può essere venosa o arteriosa, a
seconda del vaso interessato. Se l’embolo passa nel cuore e dalle vene passa
alle arterie si può verificare un quadro patologico molto grave che
determina un infarto polmonare o un embolo polmonare.

Sintomi. Solitamente l’infortunato avverte un forte dolore acuto in


corrispondenza del punto dove si è manifestata l’occlusione, che può essere
una qualunque zona del corpo.
L’embolo di natura solida è di origine interna, per esempio può essere
costituito da frammenti di trombi o coaguli di sangue. L’embolo liquido può
verificarsi per esempio durante un’iniezione intramuscolare di farmaci
oleosi che invece di entrare nel muscolo finiscono in un vaso. L’embolo
gassoso è tipico per esempio dei subacquei che risalgono in superficie
troppo rapidamente da profondità elevate. Questa improvvisa differenza di
pressione determina un vero e proprio ribollimento del sangue che libera
gas disciolti in modo tumultuoso, in particolare l’azoto.

Intervento. Chiamare i soccorsi, tranquillizzare l’infortunato, mantenerlo


sdraiato, togliere gli indumenti che possono rendere difficoltosa la
circolazione.

Gravità. La gravità di un’embolia dipende dal tipo di vaso interessato e


dalla sua ostruzione che può essere parziale o totale. Se l’embolo interessa
il cervello o il cuore è necessario intervenire tempestivamente. Anche un
embolo in un arto, tuttavia, se l’ostruzione è totale, può richiedere un
intervento chirurgico per rimuoverlo ed evitare la necrosi dei tessuti che non
vengono più irrorati dal sangue.
43. EMORRAGIA

Cos’è. Un’emorragia (→ ferite) è una fuoriuscita del sangue dai suoi vasi.
A seconda che il sangue si riversi all’interno o all’esterno del corpo si ha
un’emorragia interna o esterna. Se la fuoriuscita del sangue avviene da
un’arteria si ha un’emorragia arteriosa, altrimenti può essere venosa o
capillare, a seconda dei vasi interessati. Poiché arterie e vene scorrono
vicine, il più delle volte le emorragie sono miste.

Sintomi. Le emorragie capillari interessano i vasi sottocutanei e


superficiali. In questo caso il sangue fuoriesce a gocce intorno alla lesione.
Se non c’è lacerazione della cute compare un ematoma (sangue raccolto
sotto l’epidermide) mentre sulla cute compare l’ecchimosi, una chiazza che
inizialmente è di colore rosso poi, col tempo, diviene violacea e infine gialla
prima di scomparire. Le emorragie venose sono riconoscibili perché il
sangue che fuoriesce è di colore più scuro, fluisce lentamente, in modo
continuo e uniforme lungo i bordi della ferita. Nelle emorragie arteriose,
invece, il sangue è di colore rosso vivo e fuoriesce a fiotti, a intervalli in
sincronia con il battito cardiaco. Le emorragie interne, infine, sono meno
evidenti. Possono essere causate da traumi o da patologie. I sintomi, di
solito, consistono in pallore, estremità fredde e violacee, stato di agitazione,
polso rapido e poco percettibile, respirazione rapida e superficiale. Talvolta
possono comparire offuscamenti alla vista, sete violenta, ronzio alle
orecchie.

Intervento. Le emorragie capillari sono le meno gravi. Per curare


l’ematoma è sufficiente porre una borsa del ghiaccio sulla parte per
provocare una vasocostrizione. In caso di lacerazione della cute è utile
sciacquare con acqua fredda e raffreddare con ghiaccio. Se si tratta di un
taglietto la compressione della ferita, con una garza sterile, per un breve
periodo aiuta a fermare il sangue. Le emorragie venose si possono arginare,
dopo una buona disinfezione (→ Parte quarta), ponendo sulla ferita una
garza sterile (o un fazzoletto pulito se non c’è di meglio) e tamponando.
Può anche essere utile applicare una fasciatura di sostegno al tampone.
Questa non deve essere troppo stretta: non si deve arrestare la circolazione.
Se la zona contusa è un arto è consigliabile sollevarlo più in alto del corpo
per far diminuire l’emorragia.
Nel caso di emorragie arteriose l’intervento deve essere tempestivo perché
la quantità di sangue è di solito molto elevata rispetto alle emorragie
venose.
Se l’emorragia non è molto abbondante è sufficiente tamponarla con una
garza sterile o un fazzoletto pulito, dopo aver disinfettato la parte. Se invece
interessa grossi vasi è necessario evitare che l’infortunato muoia
dissanguato attuando delle compressioni sulle arterie a monte della ferita
(→ “Blocco delle emorragie massive”, Parte quarta). Anche in questo caso,
se la parte interessata è un arto, si può alzarlo al di sopra del corpo per far
diminuire l’afflusso di sangue. Il laccio emostatico va usato solo nei casi più
gravi e di assoluta necessità: per esempio davanti a un’amputazione o a una
sindrome da schiacciamento (→). Davanti al sospetto di un’emorragia
interna, infine, bisogna porre l’infortunato in posizione antishock (→ Parte
quarta), coprirlo e chiamare urgentemente i soccorsi.

Gravità. La gravità di un’emorragia dipende dalla quantità di sangue che


fuoriesce. In caso di lesioni a importanti arterie c’è il rischio di entrare
rapidamente in stato di shock e di morire dissanguati: è perciò importante
arginare l’emorragia in modo tempestivo e chiamare i soccorsi. Anche nel
caso delle emorragie interne non bisogna perdere tempo e recarsi
urgentemente al pronto soccorso.

EMORRAGIA CEREBRALE
Cos’è. Un’emorragia cerebrale è una rottura di un vaso sanguigno nella
zona del cervello che può avvenire per cause traumatiche o patologiche.

Sintomi. I sintomi dipendono da vari fattori, ci può essere dolore,


confusione mentale, afasia (difficoltà nel parlare), vomito ma anche
incoscienza e coma a seconda della zona interessata. La fuoriuscita di
sangue può formare ematomi e gonfiori che comprimono una parte del
cervello. Oppure ci può essere un ictus. Altre volte avviene per un trauma
cranico che determina una commozione cerebrale o una contusione
cerebrale.

Intervento. Dipende dai casi. Si vedano le voci ictus (→) e trauma cranico
(→).

Gravità. Dipende dai casi. Davanti a una sospetta emorragia cerebrale è


sempre bene chiamare i soccorsi e recarsi in ospedale.

EMORRAGIA ESTERIORIZZATA
Cos’è. Un’emorragia esteriorizzata si ha quando il sangue, raccolto in una
cavità interna del corpo, defluisce attraverso gli orifizi naturali. La più
comune è l’epistassi (→), che consiste nella fuoriuscita di sangue dal naso.
Ci sono poi emottisi (→), ematemesi (→), ematuria (→), metrorragia (→),
otorragia (→), melena (→).

Sintomi. Intervento e gravità dipendono dal tipo di emorragia esteriorizzata


e sono trattati all’interno delle singole voci sopraindicate.
44. EMOTTISI

Cos’è. L’emottisi è un’emorragia esteriorizzata che consiste nella


fuoriuscita di sangue dalla bocca attraverso colpi di tosse. La perdita si
presenta di colore rosso vivo e schiumosa.

Intervento. L’emottisi implica emorragie polmonari, è perciò necessario


consultare il medico e recarsi in ospedale.
45. EPILESSIA

Cos’è. L’epilessia è un’affezione nervosa che sfocia in crisi caratterizzate


dalla perdita improvvisa di coscienza e dalla caduta a terra dell’individuo
con o senza convulsioni (→).

Sintomi. Durante la crisi epilettica l’infortunato perde coscienza e cade a


terra, ha gli occhi rovesciati all’indietro e frequentemente manifesta
convulsioni e spasmi. Gli arti si muovono in modo scoordinato in tutte le
direzioni. In questa fase l’epilettico rischia di farsi male e procurarsi
escoriazioni e traumi. La faccia è contratta, talvolta compare una schiuma
alla bocca. Passata la crisi segue un periodo di alcuni minuti di coma e di
incoscienza. Al risveglio l’epilettico non ricorda cosa sia successo
(amnesia).

ATTENZIONE! Le crisi epilettiche non vanno confuse con le crisi


isteriche (→): queste ultime avvengono senza perdita di coscienza,
senza amnesia finale, senza che l’infortunato si ferisca e soltanto in
pubblico.

Intervento. Di fronte a una crisi epilettica è inutile tentare di frenare i


movimenti convulsi, bisogna invece cercare di adagiare l’infortunato su un
materasso o su un luogo morbido evitando che si ferisca con i violenti
spasmi. Bisogna perciò fare spazio e allontanare gli oggetti contundenti. È
importante prestare attenzione alla testa che non sbatta violentemente: si
può tenere tra le mani da dietro, ma bisogna stare attenti a non essere colpiti
dagli arti in convulsione. È molto importante prestare attenzione alla bocca
che frequentemente si serra in modo violento e può ferire la lingua.

ATTENZIONE! Non mettere mai le dita in bocca all’infortunato che


può serrare la bocca violentemente. Se possibile, è bene mettergli in
bocca un fazzoletto o qualcosa che serva da “morso” per evitare che si
ferisca la lingua.
Passata la crisi, nella fase di coma, è bene prestare attenzione alle funzioni
vitali, respirazione e polso. È importante stare vicino all’epilettico e
confortarlo al momento del risveglio.

Gravità. È sempre meglio chiamare il medico o il pronto intervento.


Passata la crisi è consigliabile condurre l’epilettico in ospedale.
46. EPISTASSI

Cos’è. L’epistassi è un’emorragia esteriorizzata che consiste nella


fuoriuscita di sangue dal naso per cause traumatiche o patologiche, come la
rottura di un capillare o l’eccessiva pressione sanguigna.

Sintomi. Fuoriuscita di sangue dal naso.

Intervento. È bene non rovesciare la testa all’indietro, come viene


spontaneo e come tramandano certe credenze popolari, ma bisogna invece
far defluire il sangue che altrimenti viene inghiottito o può ostruire le vie
respiratorie. È consigliabile sedersi, comprimere esternamente la narice
interessata per qualche minuto per arginare l’emorragia e reclinare il capo in
avanti. Si può anche applicare un impacco di ghiaccio per provocare una
vasocostrizione.

Figura 46.1 – A sinistra la corretta postura in caso di epistassi, a destra quella da evitare
Gravità. Se l’emorragia non si argina, conviene recarsi in ospedale.
47. FEBBRE

Cos’è. La febbre è un innalzamento della temperatura corporea di natura


patologica, più propriamente chiamata iperpiressia (→).
48. FERITE

Cos’è. Una ferita è un’interruzione della continuità della cute o delle


mucose, con danneggiamento dei tessuti sottostanti. Viene definita ferita
superficiale se interessa solo i primi strati della cute, profonda se interessa
muscoli, ossa o organi interni, penetrante se l’azione traumatica raggiunge
cavità anatomiche come l’addome o il torace.
Le ferite vengono anche distinte e classificate a seconda di come si
presentano. Si ha un’abrasione quando un corpo tagliente danneggia o
asporta i primi strati della cute. Un’escoriazione è dovuta invece a corpi
contundenti irregolari, come le ferite da strisciamento, che possono
presentare schegge di legno, terriccio e altre piccole particelle che devono
essere rimosse. Le ferite da punta, dovute a spilli, chiodi, schegge o altro,
sono quelle che penetrano nella cute perpendicolarmente. Le ferite da taglio
sono provocate da vetri, coltelli e lamine. Le ferite lacere avvengono per
strappamento della cute. Le ferite lacero contuse sono infine provocate da
botte o contusioni che includono una lacerazione della pelle ma anche la
presenza di ematomi e ecchimosi.

Intervento. Di fronte a una ferita bisogna operare in ambiente il più


possibile sterile e osservare tutte le norme di igiene e di disinfezione. Nello
stesso tempo il soccorritore deve prestare attenzione anche alla propria
salute. Il sangue è un potenziale veicolo per la trasmissione di numerose
malattie: è necessario proteggersi dal contatto diretto mediante l’uso di
appositi guanti in lattice. In caso di emorragie massive bisogna fare
attenzione anche agli eventuali schizzi di sangue e proteggersi per esempio
gli occhi (a questo scopo esistono apposite mascherine in dotazione del
personale di soccorso qualificato).

ATTENZIONE! In caso di perforazioni non rimuovere mai gli oggetti


estranei, ma immobilizzarli. L’estrazione deve infatti essere fatta sotto
controllo medico perché può aggravare notevolmente l’emorragia.
Nel caso di piccole ferite: lavare abbondantemente la ferita con acqua e
sapone e rimuovere eventuali corpi estranei come terra o schegge.
Disinfettare la ferita con acqua ossigenata. Evitare l’uso di alcol (utile
invece per sterilizzare) o della tintura di iodio, sostanze nocive se applicate
direttamente sulle ferite. Ricoprire la ferita con garze sterili. Al di sopra di
queste (non a diretto contatto con la ferita) si può porre del cotone idrofilo
con funzione di tampone. La medicazione, infine, può essere fissata
mediante bende o cerotti (→ “Disinfezione e medicazione”, Parte quarta).
Per “fermare il sangue”, invece, può essere utile comprimere il punto della
fuoriuscita e mantenere premuto per un breve periodo di tempo. È lo stesso
metodo che si usa anche per i piccoli tagli che ci si può procurare, per
esempio, facendo la barba. Dopo una compressione di 30/60 secondi,
quando si rilascia, la fuoriuscita del sangue sarà rimarginata. Naturalmente
va fatto in condizioni di igiene e pulizia, per esempio con garze sterili.

ATTENZIONE! Anche le piccole ferite possono portare a delle


complicazioni. Spore, batteri e virus possono penetrare all’interno
dell’organismo e moltiplicarsi velocemente creando infezioni. Dunque
non vanno mai sottovalutate e vanno sempre disinfettate.

Nel caso di ferite gravi o profonde (→ emorragie): è necessario arginare la


fuoriuscita del sangue ed eventualmente porre l’infortunato in posizione
antishock in attesa dei soccorsi.
Le ferite al torace possono essere molto gravi se interessano il polmone. Se
l’agente lesivo è in sede non rimuoverlo, altrimenti tamponare, tenere
l’infortunato in posizione semiseduta e chiamare i soccorsi.
Nel caso delle ferite all’addome si può correre anche il pericolo di essere in
presenza di emorragie interne. È necessario chiamare i soccorsi. Non
bisogna mai rimuovere i corpi estranei. Se questi non sono più in sede è
utile fasciare la parte. In caso di fuoriuscita dell’intestino non cercare di
farlo rientrare, ma ricoprire le viscere con teli sterili e mantenere
l’infortunato in posizione semiseduta.

ATTENZIONE! Nel caso di ferite profonde all’addome non dare mai da


bere all’infortunato anche se lo richiede insistentemente: nel caso di
perforazioni interne l’ingestione di liquidi può peggiorare il quadro
clinico.
Anche nel caso di ferite all’occhio bisogna evitare di rimuovere i corpi
estranei conficcati. Chiamare i soccorsi o trasportare in ospedale e cercare
di porre una medicazione sterile su entrambi gli occhi, per ridurre così al
minimo i movimenti dei bulbi oculari, che possono aggravare la situazione.
49. FOLGORAZIONE

Cos’è. La folgorazione avviene per il passaggio di corrente elettrica


attraverso il corpo. È un incidente domestico e di lavoro che qualche anno
fa era molto diffuso. Oggi, grazie alle nuove norme di sicurezza, il rischio si
è sensibilmente ridotto. Perché la folgorazione sia pericolosa non è
necessario che la fonte elettrica abbia una forte intensità. Se la persona
rimane attaccata alla corrente, anche una di debole intensità può essere
pericolosa.

Sintomi. A seconda della gravità della folgorazione gli effetti possono


essere delle ustioni più o meno circoscritte, perdita di coscienza, ma anche
carbonizzazione dei tessuti e ustioni molto profonde, arresto respiratorio e
fibrillazione cardiaca. In quest’ultimo caso il cuore cessa di battere e
comincia a tremolare, senza essere più in grado di mandare in circolo il
sangue.

Intervento. Per prima cosa il soccorritore deve fare molta attenzione a non
rimanere a sua volta folgorato. Se l’infortunato è rimasto attaccato alla fonte
elettrica e l’interruttore è a portata di mano bisogna immediatamente
interrompere la corrente, altrimenti è necessario staccare la vittima dalla
fonte elettrica con molta cautela.

ATTENZIONE! Evitare, come verrebbe spontaneo, di toccare


l’infortunato: trasmetterebbe la scossa. Per allontanarlo dalla fonte di
elettricità si può utilizzare un pezzo di legno (per esempio il manico di
una scopa), che è un cattivo conduttore, facendo attenzione che non
abbia parti metalliche, che sia ben asciutto e che non ci sia dell’acqua
intorno che potrebbe propagare l’elettricità. Per compiere questa
operazione è bene cercare di isolarsi da terra mediante un asse di legno
o di gomma.
Dopo aver interrotto la corrente ed essersi assicurati della messa in
sicurezza della scena in cui si opera, bisogna immediatamente verificare le
condizioni dell’infortunato. L’individuo presenterà delle ustioni, potrebbe
aver perso coscienza e potrebbe essere entrato in arresto respiratorio o
anche cardiaco. È perciò importante controllare respirazione e polso (→
Parte quarta) ed eventualmente procedere alla rianimazione artificiale (→
Parte quarta).

Gravità. La gravità della folgorazione dipende dall’intensità della corrente,


dal tempo di esposizione, dal percorso che la corrente segue all’interno del
corpo e dalla massa corporea: un bambino è più vulnerabile di un adulto. Se
il paziente ha perso coscienza è necessario chiamare immediatamente i
soccorsi.
50. FRATTURE

Cos’è. Una frattura è un’interruzione della continuità di un osso che si


verifica solitamente in seguito a un evento traumatico.
Può essere diretta se si verifica nel punto del trauma o indiretta se avviene
in una zona lontana: per esempio una frattura di una vertebra in seguito a
una caduta sui calcagni. Ci sono poi anche delle fratture spontanee che non
sono causate da un trauma, ma da un cedimento delle ossa, soprattutto nelle
persone molto anziane, per carenze di calcio o per malattie come il
rachitismo.
Una frattura può essere chiusa, se non c’è lacerazione del tessuto muscolare
o cutaneo, o esposta, quando un moncone lacera il tessuto esterno ed esce.
In questi casi il trauma è molto grave, c’è un grande pericolo di infezione: i
tessuti ossei, infatti, normalmente non vengono mai a contatto con i germi
esterni che possono perciò costituire un grave pericolo e dare origine a serie
complicazioni.
Figura 50.1 – Alcuni tipi di fratture

A seconda di come un osso si spezza, una frattura può essere: incompleta,


se soltanto una parte dell’osso si spezza; con spostamento se i due monconi
si spostano e non si trovano più allineati sullo stesso asse, o senza
spostamento se rimangono sullo stesso asse; comminuta se l’osso si spezza
in piccolissimi pezzi; a legno verde – caratteristica dei bambini – quando
per un’incompleta ossificazione l’osso si piega e non si spezza
completamente.

Sintomi. In seguito a un trauma non sempre è facile riconoscere senza una


lastra se si è in presenza di una frattura o se più semplicemente si ha una
distorsione (→) o una lussazione (→). In generale, tuttavia, la frattura
provoca dolore violento, deformazione dell’arto, gonfiore, incapacità
funzionale e dei movimenti, tumefazioni ed ecchimosi. Queste
manifestazioni possono anche comparire alcune ore dopo il trauma e non
immediatamente.

ATTENZIONE! Le fratture, in particolare nei casi di politraumatizzati


(presenza di molte fratture), possono provocare stato di shock.

Intervento. Poiché, come si è detto, non è sempre semplice riconoscere una


frattura senza una lastra, in presenza di un trauma violento è sempre
consigliabile intervenire con prudenza e considerare l’infortunato un
potenziale fratturato. In generale è bene sdraiare e immobilizzare
l’incidentato evitando che si muova. Se non ci sono particolari problemi di
urgenza (rischi di vita) è meglio evitare il trasporto finché l’arto non sia
stato completamente immobilizzato. È sempre meglio attendere il soccorso
qualificato di personale dotato delle attrezzature di immobilizzazione
(steccobende, materassini a depressione o barellini appositi). Fare
attenzione che l’infortunato non entri in uno stato di shock e confortarlo. A
questo proposito è bene prestare attenzione soprattutto nei casi di
politraumi.
Davanti a una frattura esposta è necessario coprire le parti ferite con teli
sterili per proteggerle dalle infezioni. Anche in questo caso bisogna cercare
di mettere l’infortunato in posizione antishock, impedire i movimenti e le
ulteriori lacerazioni e attendere i soccorsi.
Per il trattamento delle fratture e la loro immobilizzazione si veda l’apposita
sezione (→ Parte quarta). Di seguito qualche consiglio più specifico a
seconda della zona coinvolta.

FRATTURE DELLA COLONNA VERTEBRALE


In questo caso l’immobilizzazione è fondamentale per evitare che ci sia una
lesione del midollo spinale che può portare a morte, paralisi o danni
irreversibili. Il soccorso qualificato richiede particolari tecniche di
spostamento, barelle appositamente concepite o il materassino a
depressione, che immobilizzano totalmente l’infortunato prima del
trasporto. Meglio attendere il personale qualificato mantenendo il
malcapitato in assoluta immobilità.
Nello spostamento bisogna fare in modo che l’asse testa-collo-tronco non
subisca spostamenti e rimanga sempre rigido e in trazione. Se ciò non
avviene si corre il rischio che una vertebra possa provocare una lesione del
midollo spinale.

FRATTURE DELLA TESTA


Tenere sotto controllo le funzioni vitali dell’infortunato e chiamare
urgentemente i soccorsi (→ trauma cranico). Nel caso di traumi facciali
bisogna fare attenzione che le vie aeree non vengano ostruite. Nella frattura
al setto nasale è bene applicare del ghiaccio per arginare l’epistassi (→).

FRATTURE DELLE COSTE


È il risultato di un colpo violento sul torace, per caduta o per sfondamento,
per esempio nel caso di un incidente stradale. Bisogna distinguere la frattura
di una o qualche costa dallo sfondamento del torace, molto più grave.
L’infortunato deve essere tenuto in posizione semiseduta per agevolare la
respirazione, non bisogna farlo parlare o tossire. È importante mantenerlo il
più possibile immobile per evitare che i monconi delle costole possano
bucare i polmoni o ledere altri apparati vitali interni. È necessario chiamare
con urgenza i soccorsi che sono in grado di effettuare il trasporto nel modo
più corretto.

FRATTURA DELLA CLAVICOLA


Solitamente l’incidentato piega la testa dal lato della frattura per alleviare il
dolore e si sorregge l’avambraccio con la mano sana. Si ha una
deformazione visibile della spalla e il dolore è intenso. È importante
sostenere il braccio infortunato e immobilizzarlo con una fascia a triangolo
nella classica posizione analgesica del “braccio al collo”. Naturalmente il
paziente va ospedalizzato.

FRATTURA DEL BACINO


L’infortunato lamenta forti dolori all’anca, all’inguine o al coccige. Non
bisogna mai metterlo in posizione seduta, per evitare lesioni interne,
mantenendolo supino e immobile. Poiché in questi casi c’è il rischio di una
frattura della parte terminale della colonna vertebrale, è opportuno chiamare
soccorsi qualificati e porre in atto le tecniche di immobilizzazione.
ATTENZIONE! Questo tipo di frattura porta frequentemente allo stato
di shock.
51. GRAVIDANZA INDESIDERATA

La donna è feconda soltanto durante il periodo dell’ovulazione, quando è


presente l’ovulo, in grado di vivere per circa due o tre giorni. L’ovulazione
avviene in media ogni 28 giorni ed è un fenomeno periodico come la
mestruazione, anche se meno evidente, che si manifesta in genere tra il 12°
e il 16° giorno a partire dall’inizio della precedente mestruazione. Tuttavia,
non sempre il ciclo di una donna è regolare, ci possono essere degli anticipi
e dei ritardi, che non facilitano di certo l’individuazione precisa del periodo
in cui è fertile. Inoltre, bisogna tenere presente che gli spermatozoi possono
sopravvivere anche per tre giorni nelle vie genitali femminili, per cui se un
rapporto avviene poco prima dell’ovulazione i rischi di gravidanza non sono
da escludere. In caso di un rapporto a rischio – cioè di un rapporto sessuale
non protetto che avviene in un periodo in cui la donna può essere fertile – se
si vuole evitare una gravidanza è bene consultare immediatamente un
medico o rivolgersi a un consultorio o a un pronto soccorso. Per evitare il
rischio di una gravidanza indesiderata esiste la cosiddetta “pillola del giorno
dopo”, che va assunta secondo prescrizioni mediche. Se non si interviene
tempestivamente si corre il rischio di dover affrontare un’interruzione di
gravidanza che viene fatta entro il terzo mese per via chirurgica o per via
farmacologica con la RU-486, dal 2009 introdotta anche in Italia.

ATTENZIONE! Poiché in Italia esistono molti medici obiettori di


coscienza che non prescrivono la “pillola del giorno dopo” è importante
contattare telefonicamente le strutture o il pronto soccorso a cui si
intende rivolgersi per verificare che ci siano di turno medici non
obiettori in grado di prestare l’assistenza richiesta.
52. ICTUS

Cos’è. Un ictus, detto anche colpo apoplettico o apoplessia cerebrale, è


causato da un’interruzione dell’afflusso di sangue in una zona del cervello
che può avvenire per un’emorragia e la rottura di un vaso o per un trombo,
cioè un’occlusione di un vaso per un coagulo di sangue.

Sintomi. L’ictus può presentarsi in modo improvviso, spesso con perdita di


coscienza e caduta a terra dell’infortunato, o può essere preceduto da
sintomi premonitori come un pesante mal di testa, un senso di vertigini,
formicolii, perdita delle forze, pesantezza degli arti. Chi ne viene colpito
può perdere coscienza, presenta una respirazione rumorosa e irregolare,
afasia (difficoltà o impossibilità di parlare), viso arrossato – spesso con una
fisionomia alterata –, vomito. Uno dei sintomi più evidenti è la perdita di
sensibilità e di motilità da un lato del corpo (emiparesi o emiplegia). Se
l’emiparesi colpisce il lato sinistro è segno che la lesione ha interessato la
zona destra del cervello e viceversa. Può tuttavia capitare una lesione
bilaterale che si ripercuote su entrambi i lati del corpo.

Intervento. In caso di ictus bisogna chiamare i soccorsi immediatamente e


condurre l’infortunato in ospedale. Intanto è bene tenerlo sdraiato, ma con il
capo sollevato, in modo che il sangue non affluisca al cervello a peggiorare
l’emorragia o l’ingorgo. In attesa dei soccorsi è consigliabile slacciare gli
indumenti che costringono per agevolare la circolazione e applicare degli
impacchi freddi sul capo, per evitare l’eccessiva affluenza di sangue.
Se il paziente è cosciente, per riconoscere un ictus è utile afferrargli
entrambe le mani e chiedergli di stringerle con forza. Una delle due, quella
dalla parte colpita da emiplegia, sarà molto più debole o inerme.
Se l’infortunato è incosciente, controllare le funzioni vitali. Solitamente è
molto facile riconoscere la presenza della respirazione che è molto
rumorosa e talvolta caratterizzata da un sonoro russare.
Gravità. La gravità dell’ictus dipende dalla parte del cervello che viene
lesa. È bene intervenire sempre molto rapidamente.
53. IDROFOBIA

Cos’è. L’idrofobia è una malattia contagiosa più comunemente detta rabbia


(→).
54. INFARTO CARDIACO

Cos’è. L’infarto cardiaco è dovuto alla chiusura o all’ostruzione delle


arterie coronarie che irrorano il cuore di sangue. La zona del tessuto
cardiaco che non viene più irrorata dall’ossigeno presente nel sangue va
incontro a una rapida necrosi (morte) con perdita definitiva delle funzioni.

Sintomi. Dolore toracico molto intenso localizzato sullo sterno, spesso


irradiato sulla parte sinistra: al braccio, alla spalla, alla schiena e al collo. Il
paziente avverte un forte senso di costrizione sul torace, è pallido, ha un
senso di angoscia, difficoltà nella respirazione, sudorazione fredda,
alterazioni del battito cardiaco e del polso.

Figura 54.1 – Irradiamento del dolore che generalmente si presenta durante un infarto cardiaco

Intervento. Chiamare immediatamente i soccorsi e, nel frattempo, cercare


di tranquillizzare l’infortunato, evitare che faccia ogni minimo sforzo,
perché questo richiede un ulteriore afflusso sanguigno. Mantenere il
cardiopatico in posizione semiseduta per agevolare la respirazione e
controllare attentamente e costantemente le funzioni vitali: respiro e
pulsazioni. Se si ha a disposizione dell’ossigeno è bene somministralo. Se il
paziente ha un arresto cardiaco è necessario procedere immediatamente con
la rianimazione artificiale (→ Parte quarta).

Gravità. In assenza di controlli e di apposite apparecchiature mediche è


difficile capire la gravità dell’attacco cardiaco. È perciò necessario agire
sempre con la massima tempestività, ogni minuto può essere in questo caso
molto prezioso.
55. IPERPIRESSIA (FEBBRE)

Cos’è. L’iperpiressia, comunemente chiamata febbre, è un innalzamento


della temperatura corporea che può essere provocato da molteplici cause. È
un sintomo (la febbre non si “attacca” contrariamente a quanto si dice, sono
caso mai le patologie che la provocano a essere contagiose) che ci avverte
di una reazione del nostro corpo contro agenti patogeni.
I valori normali della temperatura corporea sono compresi tra 36,8 C° e
37,5 C° se la temperatura è misurata internamente (per via orale o rettale) e
tra i 36,5 C° e i 37 C° se è misurata esternamente (sotto l’ascella o nelle
pieghe inguinali). La temperatura va misurata a riposo, almeno mezz’ora
dopo uno sforzo fisico e possibilmente non durante la digestione: questi
processi, infatti, ne determinano un innalzamento. In caso di iperpiressia è
consigliabile misurare la temperatura almeno due volte al giorno, al mattino
e alla sera, a orari fissi, tenendo presente che è normale avere alla sera un
lieve innalzamento.

Sintomi. Quando la temperatura corporea sale oltre la norma, il malato


generalmente si sente caldo, talvolta affaticato e indolenzito. Può avvertire
una sensazione di calore o essere colpito da brividi di freddo. Queste due
fasi generalmente si alternano e i brividi compaiono quando si verifica
l’innalzamento della temperatura.

Intervento. L’iperpiressia non è una malattia ma un sintomo, è perciò


fondamentale consultare un medico per comprenderne la causa e agire sulla
patologia.
L’innalzamento della temperatura oltre una certa soglia è pericoloso e,
soprattutto nei bambini, può portare a crisi convulsive (→) o stati di delirio.
In questi casi è perciò necessario abbassarla rapidamente. In generale si può
individuare la soglia critica nel superamento dei 38 C° di temperatura
esterna, oltre questo valore è consigliabile intervenire per abbassarla. Per
farlo esistono metodi chimici e fisici. L’abbassamento attraverso i metodi
chimici prevede l’assunzione di farmaci antipiretici (ma è sempre bene
assumerli dopo aver consultato un medico). Esistono anche dei metodi fisici
che aiutano la dispersione del calore: per abbassare la temperatura
rapidamente, in caso la febbre raggiunga valori pericolosi, sopra i 39 C°,
bisogna togliere i vestiti esponendo all’aria tutta la superficie corporea ed
eventualmente si può bagnare e raffreddare il corpo con una spugna
inzuppata.
Contrariamente a quanto talvolta comunemente si pensa, non è vero che
quando si ha la febbre bisogna rimanere coperti al caldo, è meglio lasciarsi
guidare dall’istinto. Se abbiamo caldo, è necessaria una dispersione del
calore che non dobbiamo impedire coprendoci eccessivamente. Viceversa,
davanti ai classici brividi, che di solito avvengono durante la fase
dell’innalzamento della febbre, è bene stare molto coperti, come viene
naturale.

Gravità. Quando la temperatura sale oltre certi livelli è necessario


abbassarla rapidamente. Oltre i 39 C° bisogna intervenire con urgenza.
56. LEPTOSPIROSI

Cos’è. La leptospirosi è un’infezione dovuta a microrganismi chiamati


leptospire. Tipica degli animali, questa malattia può trasmettersi
occasionalmente all’uomo se viene in contatto con acqua o altri materiali
contaminati dagli escrementi di animali infetti. Gli animali più colpiti sono i
ratti, ma anche alcuni animali domestici possono essere veicolo del virus,
talvolta come portatori sani: possono in altre parole trasmettere la malattia
anche senza manifestarla. È attraverso le urine che avviene l’eliminazione
delle leptospire che possono sopravvivere per molte settimane in ambienti
favorevoli come l’acqua. Il contagio avviene attraverso abrasioni della cute
o attraverso le mucose, per esempio facendo il bagno in pozze, stagni o
corsi d’acqua infetti, oppure se si viene a contatto con acque di fogna.

Sintomi. L’incubazione, cioè il tempo che trascorre tra il momento


dell’infezione e la manifestazione dei sintomi è compresa tra i 2 e i 26
giorni. Nella prima fase i sintomi sono febbre alta (39/40 C°), mal di testa,
dolori muscolari, nausea, vomito, occhi arrossati, dolori addominali. Dopo
1/3 giorni di miglioramento sintomatico le leptospire scompaiono dal
sangue e inizia la seconda fase: la febbre fa la sua ricomparsa e le leptospire
compaiono nelle urine. Durante la malattia vengono colpiti soprattutto il
fegato e i reni.

Intervento. Non ci sono particolari prescrizioni di primo intervento, è


molto importante la prevenzione attraverso una vaccinazione, se si
compiono professioni a rischio, ed evitare le balneazioni in luoghi stagnanti
o nei pressi di acque contaminate da fogne.

Gravità. In caso di sospetta contrazione della leptospirosi bisogna


immediatamente consultare il medico.
57. LIPOTIMIA (SVENIMENTO)

Cos’è. La lipotimia, comunemente nota con il nome di svenimento, è il


livello meno grave della perdita di coscienza (→). La causa è una cattiva
irrorazione (e quindi ossigenazione) cerebrale dovuta al calo della pressione
arteriosa. Questo malore può essere prodotto da molteplici fattori:
stanchezza e fatica, calore eccessivo, cattiva ossigenazione nell’ambiente,
emorragie, ustioni, traumi fisici o emotivi, abbassamento della pressione,
ipoglicemia (basso tasso di zuccheri nel sangue) e varie altre patologie.

Sintomi. La perdita di coscienza talvolta non è completa, il respiro è


conservato, il polso è debole e lento, l’infortunato è spesso sudato, pallido e
ha un senso di freddo. I sintomi premonitori sono un senso di malessere,
nausea pallore e capogiri.

Intervento. Porre l’infortunato in posizione antishock (→ Parte quarta),


con le gambe alzate.

ATTENZIONE! Nel caso di rinvenimento di un infortunato a terra,


prima di muoverlo è bene controllare che nella caduta non abbia
riportato fratture, nel qual caso la posizione antishock deve essere
messa in atto con estrema cautela per non peggiorare la situazione.

È inoltre consigliabile liberare l’infortunato dagli indumenti che lo


costringono, slacciando cinture, cravatte, reggiseni o camicie per agevolare
la circolazione, e consentirgli di respirare bene, allontanando la folla e
aerando l’ambiente. Bisogna sempre sorvegliare il battito cardiaco e le
funzioni vitali.
Di solito, dopo essere stato messo in posizione antishock, l’infortunato si
riprende in pochi istanti. Quando ciò avviene è bene lasciarlo sdraiato per
un po’, impedirgli di alzarsi bruscamente, col rischio di un nuovo
svenimento, e confortarlo: potrebbe non ricordare cosa gli è successo.
ATTENZIONE! Non dare mai da bere alcolici! Questa erronea
consuetudine, purtroppo ancora oggi diffusa, è altamente
controproducente: l’alcol è un vasodilatatore, di conseguenza la sua
assunzione induce un abbassamento della pressione e un peggioramento
della situazione.

Gravità. Se l’infortunato si riprende immediatamente non c’è urgenza di


ospedalizzare. Tuttavia, poiché le cause che portano alla lipotimia sono
molteplici, è bene compiere una visita in pronto soccorso per accertamenti,
anche di fronte a un’apparente completa ripresa.
58. LUSSAZIONE

Cos’è. La lussazione si verifica quando, per un trauma o un falso


movimento, un capo articolare esce dalla sua articolazione senza tornare a
posto. Le più diffuse sono le lussazioni della spalla, del dito e del gomito.

Sintomi. Dolore acutissimo, impotenza funzionale, blocco e visibile


deformità dell’articolazione, gonfiore.

Intervento. Bisogna evitare di rimettere a posto l’articolazione. È invece


importante chiamare i soccorsi che trasporteranno l’infortunato all’ospedale
dopo aver immobilizzato l’arto nel migliore dei modi. L’immobilizzazione
dell’arto con fasciature adatte prima di qualsiasi movimento o trasporto è
fondamentale per alleviare le sofferenze dell’infortunato e per evitare
ulteriori traumi.
Figura 58.1 – Lussazione della spalla omero

Figura 58.2 – Lussazione del gomito

Gravità. Anche se la lussazione è molto dolorosa, l’infortunato non è in


pericolo di vita. Poiché non è facile, senza una lastra, diagnosticare che non
ci siano delle fratture, è sempre bene comportarsi come se ci si trovasse di
fronte a una frattura.
59. MELENA

Cos’è. La melena è un’emorragia esteriorizzata (→) che consiste in una


fuoriuscita di sangue dall’ano insieme alle feci. L’aspetto del sangue è di
colore scuro, non rosso vivo. La causa è un’emorragia presente nello
stomaco, nel duodeno o nell’intestino.

ATTENZIONE! La fuoriuscita di sangue rosso vivo è invece indice di


una lesione del tratto terminale del retto.

Intervento. È necessario recarsi in ospedale e consultare il medico.


60. METRORRAGIA

Cos’è. La metrorragia è un’emorragia esteriorizzata (→) dalla vagina in


seguito a lesioni o patologia dell’apparato genitale femminile.

Intervento. È necessario recarsi in ospedale e consultare il medico.


61. MORSI DI VIPERA E DI ALTRI SERPENTI

Cos’è. In Italia esistono quattro specie di vipere. Questi serpenti velenosi


sono piuttosto schivi, temono l’uomo e aggrediscono soltanto per difesa.
Rispetto ad altri serpenti non velenosi le vipere si distinguono in particolare
dalla pupilla, verticale e non rotonda, dalla costituzione breve e tozza, dalla
forma della testa triangolare, non affusolata e appiattita.

Figura 61.1 – La vipera si riconosce, tra le altre cose, soprattutto dalla pupilla verticale

Naturalmente, in caso di morso, non è molto facile individuare questi


particolari, tuttavia è il morso stesso a presentare dei segni evidenti e ben
distinguibili: due piccoli fori che distano circa un centimetro l’uno
dall’altro, lasciati dai denti veleniferi.

ATTENZIONE! Potrebbe capitare che la vipera abbia perso un dente


velenifero, oppure che il morso non sia andato a segno completamente e
a fondo. In tal caso può essere presente un solo foro del dente
velenifero.

Talvolta il morso può presentare anche altri segni: oltre ai fori dei denti
veleniferi possono essere presenti anche dei forellini molto più piccoli
lasciati dagli altri denti, molto meno profondi ed evidenti. Il morso di altri
serpenti non velenosi, invece, non presenta i due fori maggiori. In questi
casi, la ferita va dunque semplicemente disinfettata e medicata, anche se
una visita al pronto soccorso è sempre consigliabile e, se non si è più che
sicuri che il morso appartenga a un serpente non velenoso, è meglio agire
con prudenza.

Figura 61.2 – I segni del morso di una vipera

Mediamente, ma ciò non è sempre vero, la quantità di veleno iniettato da


una vipera con un morso non dovrebbe essere mortale per un uomo adulto,
anche se tutto dipende da numerose variabili. La media di veleno iniettata
dipende infatti dalla vipera, da quanto le sue ghiandole velenifere siano
piene e dal modo in cui i denti affondano durante il morso. Inoltre, la
reazione al veleno dipende per esempio dalla massa corporea del
malcapitato: un bambino è più a rischio di un individuo adulto.
Diverso è il caso di morsi di altri serpenti velenosi che si possono incontrare
in viaggio in posti esotici o a rischio. In tal caso esistono anche dei serpenti
il cui morso è mortale. In generale è sempre necessario capire di che veleno
si tratti e la cosa migliore è quella di uccidere il serpente per mostrarlo ai
soccorritori.

ATTENZIONE! Evitare di toccare il serpente anche se è stato ucciso:


talvolta può “fingersi” morto (tecnica di sopravvivenza denominata
tanatosi) e altre volte può mordere per delle contrazioni che avvengono
anche post mortem.
Sintomi. Il morso della vipera è solitamente molto doloroso e provoca in
genere arrossamento, cianosi, gonfiore e crampi più o meno acuti. Dopo
circa mezz’ora o un’ora, i sintomi sono: cefalea, vertigini, tachicardia, calo
di pressione, vomito, diarrea e shock che può condurre anche alla morte, nei
casi estremi.

Intervento. In caso di morso di serpenti è necessario rallentare la


circolazione del sangue con azioni di tranquillizzazione ed evitando il più
possibile i movimenti. Bisogna chiamare i soccorsi o raggiungere
velocemente un ospedale.

ATTENZIONE! Contrariamente a quanto diffuso nell’opinione comune


è bene non incidere la ferita e non succhiare. L’incisione a croce rischia
di aumentare il contatto tra il veleno e il sangue o i sistemi linfatici. La
suzione è pericolosissima per il soccorritore: basta una piccola lesione,
carie o screpolatura per contrarre il veleno.

Spremere la ferita immediatamente dopo il morso è invece utile per fare


uscire la maggior quantità possibile di veleno. Quello dei serpenti si
trasmette in tempi rapidi soprattutto attraverso il sistema linfatico (→ Parte
seconda), mentre soltanto più lentamente si trasmette per via venosa. Per
questi motivi si può improvvisare o usare un laccio emostatico, ma soltanto
per bloccare la circolazione linfatica e venosa non quella arteriosa! Il laccio,
quindi, non va stretto molto. Ancora più indicata è una fasciatura molto
stretta. Nel caso il morso abbia interessato un braccio o una gamba, per
esempio, può essere applicata a monte della ferita, sino alla fine dell’arto.
Il siero antivipera: l’utilizzo del siero antivipera è decisamente
sconsigliabile, perché la sua inoculazione richiede la presenza di un medico.
Esistono infatti dei rischi di shock anafilattico e di allergie. Per evitare
questo inconveniente è necessario un test di inoculazione di una
piccolissima quantità di siero per vedere la reazione: operazione che
richiederebbe la presenza di un medico. Inoltre, bisogna ricordare che il
siero, di solito, va conservato in frigorifero e si deteriora portandolo in giro
per alcune ore a temperature più elevate dei 2/6°. Dunque meglio
trasportare l’infortunato in ospedale.
La prevenzione: durante le escursioni in montagna o in campagna è
consigliabile fare attenzione a dove ci si siede o ci si sdraia, agli indumenti
poggiati sull’erba che vanno scossi prima di indossarli nuovamente. I
serpenti si annidano spesso tra i sassi che è bene non rimuovere, le vipere
attaccano l’uomo per difesa solo se si sentono aggredite, minacciate o
stanate, altrimenti tendono ad allontanarsi. È perciò buona norma picchiare
con un bastone sui sentieri: anche se i serpenti sono sordi, percepiscono le
vibrazioni del terreno e di solito si allontanano immediatamente. L’uso di
calzettoni e stivali, durante le passeggiate, riduce notevolmente il rischio del
morso.

ATTENZIONE! Le vipere, animali ovovivipari, partoriscono sui rami


degli alberi, bisogna fare particolarmente attenzione all’eventualità di
incontrare una vipera su un ramo perché in tal caso si rischia che il
morso avvenga in un punto molto delicato e critico come per esempio il
collo o il capo.
62. OCCLUSIONE INTESTINALE

Cos’è. L’occlusione intestinale è causata da un’ostruzione per cause


meccaniche o funzionali del passaggio delle feci.

Sintomi. Il blocco di norma avviene in modo progressivo, comincia con


alcuni giorni di stitichezza, si accentua e, se le cause non vengono
eliminate, produce un notevole gonfiore dell’addome sino alla
manifestazione di vomito, inizialmente alimentare, poi sempre più verdastro
e amaro, sino ad assumere nei casi più gravi un odore e un aspetto fecale.
Altri sintomi che possono aiutare l’identificazione di un’occlusione
intestinale sono la lingua asciutta e ricoperta di una patina giallastra o scura,
una sete persistente, una diminuzione della quantità delle urine, uno stato
confusionale.

Intervento. Bisogna chiamare un medico e agire in modo tempestivo.


L’infortunato va tenuto a letto, a riposo, favorendo il rilassamento dei
muscoli addominali. È necessario il digiuno ed è bene limitare anche
l’ingestione dei liquidi. Evitare la somministrazione di purganti e lassativi,
non somministrare analgesici che alterano il quadro clinico e, se si
manifesta il vomito fecaloide, ricoverare immediatamente in ospedale.

Gravità. La fase acuta di questa malattia è una patologia intestinale molto


grave.
63. OTORRAGIA

Cos’è. L’otorragia è un’emorragia esteriorizzata (→) che consiste nella


fuoriuscita di sangue dall’orecchio in seguito a traumi cranici o
dell’orecchio stesso.

Intervento. Se non ci sono sospetti di traumi alla colonna vertebrale o altre


complicazioni, è consigliabile porre l’infortunato in posizione di sicurezza
(→ Parte quarta) e chiamare urgentemente i soccorsi. Non bisogna tentare
di arginare il sangue: è bene che defluisca.

Gravità. Bisogna chiamare i soccorsi o ospedalizzare con tempestività.


64. PALPITAZIONI

Cos’è. Il disturbo di avvertire le palpitazioni, detto anche cardiopalmo,


consiste nel percepire in modo forte e accelerato le pulsazioni del proprio
battito cardiaco. Raramente questo fenomeno è collegato a una reale
cardiopatia. Le motivazioni sono molteplici, spesso riconducibili a cause
nervose, emotive, psicologiche o accidentali, altre volte a manifestazioni
riflesse di disturbi gastrici, uterini, epatici e altri.

Sintomi. Il soggetto, all’improvviso, avverte in modo intenso il battito del


proprio cuore. A volte questo fenomeno è collegato a uno spavento, a uno
sforzo fisico o a cause emotive, ma può manifestarsi anche in modo
improvviso e imprevedibile.

Intervento. In questi casi, invece di prendere farmaci, è bene consultare un


medico. Non bisogna farsi prendere dallo spavento, non si è in presenza di
un attacco cardiaco. È bene cercare di tranquillizzare l’infortunato e farlo
distendere. Per prevenire questo disturbo, per chi ne soffre, è buona norma
cercare di condurre una vita regolare, evitare le cause di tensione, gli
affaticamenti, l’eccesso di caffè e di sigarette.

Gravità. Le palpitazioni difficilmente sono collegate a disturbi cardiaci, più


frequentemente sono riconducibili a cause nervose e psichiche. Durante
queste manifestazioni quindi, non si corrono pericoli di vita che richiedono
interventi d’urgenza. Ma poiché solo un medico può fare delle diagnosi, se
permane il dubbio che invece di palpitazioni si possa trattare di un attacco
cardiaco meglio procedere per eccesso e chiamare i soccorsi.
65. PARTO

Cos’è. Il parto è il momento in cui una donna dà alla luce il figlio. Talvolta
è preceduto dalla rottura delle acque e da un periodo più o meno lungo di
doglie e di travaglio.

Figura 65.1 – La normale posizione del feto prima del parto

Sintomi. Il parto è solitamente preceduto dalle doglie, contrazioni sempre


più dolorose e frequenti. Durante questo periodo avviene una progressiva
dilatazione delle pareti dell’utero e della vagina finché il nascituro viene
espulso. Il feto è racchiuso in una sacca, detta borsa delle acque, che
contiene il liquido amniotico. Talvolta si ha la rottura della sacca e le acque
defluiscono attraverso la vagina, il che non implica sempre che stia
nascendo il bambino.

Intervento. Quando sopraggiungono le doglie è necessario trasportare la


partoriente in ospedale, di solito c’è tutto il tempo e la donna è preparata
all’evenienza. Nel caso il bambino stia per nascere prima
dell’ospedalizzazione è meglio chiamare i soccorsi e, nell’attesa, bisogna
innanzitutto tranquillizzare la madre e stenderla distesa sulla schiena, con le
gambe divaricate e le ginocchia piegate. È importante vincere ogni
imbarazzo e togliere (o far togliere) gli indumenti intimi, per evitare di non
accorgersi che il bambino stia nascendo o peggio ancora che gli indumenti
ne ostruiscano l’uscita.

Figura 65.2 – La testa del feto che si appresta a uscire

Poiché il parto comporta grandi dispersioni di liquidi, è consigliabile porre


sotto le natiche della partoriente dei panni possibilmente puliti. Quando
avviene la spinta espulsiva la donna deve ispirare profondamente e,
trattenendo il respiro, spingere contraendo gli addominali. Quando il
bambino compare bisogna invitarla a respirare profondamente. Il
soccorritore non deve cercare di estrarre il feto, né comprimere l’addome
della madre, limitandosi a sorreggere il capo e poi il corpo del nascituro.
Figura 65.3 – Come sorreggere il capo e il corpo del nascituro

Durante il parto bisogna prestare attenzione sia alla madre sia al figlio. È
bene fare attenzione che il cordone ombelicale non si attorcigli intorno al
collo del bambino col rischio di soffocarlo.
Una volta nato, il piccolo va coricato tra le cosce della madre e, se la bocca
è ostruita, va pulita delicatamente con una garza. Se il bambino non respira
si può battere delicatamente con le mani sui piedini: questa manovra, per
riflesso, stimola la respirazione. Se ciò non dovesse bastare bisogna
procedere alla respirazione bocca a bocca-naso (→ “Respirazione
artificiale”, Parte quarta).
Se entro 10/15 minuti i soccorsi non intervengono è necessario tagliare il
cordone ombelicale, operazione che legalmente spetterebbe soltanto al
medico. Per farlo è bene effettuare due legature con del filo molto
resistente, a circa 20 centimetri dall’ombelico del neonato, e poi tagliare tra
le due legature con delle forbici.

ATTENZIONE! Non compiere mai trazioni sul cordone ombelicale.


Figura 65.4 – Come tagliare il cordone ombelicale in caso di emergenza

La madre, dopo il parto va sorvegliata per evitare che entri in stato shock.
Inoltre, di solito nel giro di mezz’ora, rilascia la placenta, che va conservata
per le successive analisi del medico.

ATTENZIONE! È possibile imbattersi anche in un parto gemellare. In


questi casi la madre lo segnalerà. Il soccorritore non deve lasciarsi
prendere alla sprovvista, è sufficiente che ripeta tutte le operazioni di
intervento anche per il secondo figlio.
66. PERDITA DI COSCIENZA

Cos’è. Una perdita di coscienza è la perdita della nozione della propria


esistenza e degli oggetti esterni.

Sintomi. L’infortunato non parla, non sente, non risponde. A volte reagisce
a stimoli dolorosi, per esempio pizzicotti in zone particolarmente sensibili
come il capezzolo o il collo. Ci sono vari livelli di perdita di coscienza: la
lipotimia (→), il coma (→) e la sincope (→).

ATTENZIONE! In queste condizioni il polso e la respirazione possono


essere presenti, ma possono anche essersi arrestati. Dunque vanno
sempre tenuti sotto controllo.

Intervento. Davanti alla perdita di coscienza bisogna immediatamente


controllare le funzioni vitali (→ Parte quarta) e intervenire di conseguenza
ponendo l’infortunato in posizione antishock (→ Parte quarta).

ATTENZIONE! Non porre l’infortunato in posizione antishock nel caso


di una sospetta congestione cerebrale (→), in caso di ictus (→) o di
sospetta lesione della colonna vertebrale (per esempio in caso di un
grave incidente stradale o di una caduta da una certa altezza).

Nel caso di una lipotimia la posizione antishock è sufficiente a far rinvenire


dal malore il soggetto che si dovrà successivamente sottoporre a una visita
medica. Se ciò non avviene immediatamente, e comunque in tutti gli altri
casi, bisogna tempestivamente chiamare i soccorsi. Se si verifica un arresto
respiratorio o un arresto cardiaco bisogna procedere senza perdere tempo
con la respirazione artificiale (→ Parte quarta) ed eventualmente con il
massaggio cardiaco (→ Parte quarta).

ATTENZIONE! In caso di malori o svenimenti, non essendo spesso


possibile una diagnosi sul luogo, è bene sempre comportarsi con la
massima allerta e chiamare urgentemente i soccorsi.

Gravità. La perdita di coscienza può essere una momentanea lipotimia, o


svenimento, ma il più delle volte si verifica per infortuni molto gravi e
richiede un soccorso urgente per condurre il malcapitato all’ospedale.
67. PERITONITE

Cos’è. La peritonite è l’infiammazione acuta del peritoneo, la membrana


che avvolge gli organi dell’addome. L’infiammazione, di origine batterica, è
spesso associata alla formazione di pus. Questa grave infezione è spesso
causata dalla degenerazione di un’appendicite (→): se l’appendice si
perfora, l’infezione passa nella cavità addominale e si propaga al peritoneo.

Sintomi. L’infortunato avverte un forte dolore addominale, inizialmente


localizzato e poi sempre più esteso. Ogni minimo movimento accresce il
dolore. Alla palpazione la parete dell’addome contrappone una tenace
resistenza e la contrazione, col tempo, si fa sempre più forte ed estesa: si ha
il “ventre di legno”. Sono presenti poi anche altri disturbi come iperpiressia
(febbre), nausea e vomito.

Intervento. Davanti a questi sintomi bisogna chiamare i soccorsi e


condurre l’infortunato in ospedale. È necessario un rapido intervento
chirurgico per eliminare il focolaio e richiudere il punto perforato. In attesa
dei soccorsi, mantenere il paziente sdraiato a letto, con i muscoli
addominali il più possibile rilassati. Non assumere purganti o lassativi né
analgesici che altererebbero il quadro clinico alla visita del medico.

Gravità. La peritonite è una patologia molto grave che richiede un


intervento chirurgico urgente, nel giro di poche ore, altrimenti può avere un
esito mortale.
68. PUNTURE E MORSI DI INSETTI E ALTRI
ANIMALI

Cos’è. In Italia praticamente non esistono insetti o ragni velenosi al punto


di provocare la morte. Le punture sono perciò considerate pericolose solo
quando l’infortunato sia allergico alle sostanze iniettate, quando il numero
delle punture è elevato, quando la puntura avviene sul viso, in gola, sulla
lingua, in un occhio o sui genitali.
Tra gli altri animali che possono provocare analoghi inconvenienti si
possono ricordare alcuni pesci dotati di spine velenose, come lo scorfano o
il pesce ragno (tracina), e le meduse i cui tentacoli rilasciano una sostanza
urticante. Diverso è il caso se ci troviamo all’estero, in luoghi dove sono
presenti insetti, ragni o scorpioni che possono avere veleni anche mortali. In
questi casi è necessario chiamare i soccorsi con estrema urgenza.

Sintomi. Dolore pungente, prurito, gonfiore, arrossamento della zona


colpita.

Intervento. Innanzitutto, se il pungiglione di un insetto è rimasto conficcato


nella carne, bisogna estrarlo con l’ausilio di un ago o di una pinzetta
opportunamente disinfettati. Nel caso delle api, i cui pungiglioni sono
uncinati, questa operazione è però inutile.
In generale è consigliabile lavare la parte con acqua e sapone e disinfettare.
La consuetudine popolare di toccare il luogo della puntura con un batuffolo
di cotone imbevuto di ammoniaca pura o diluita con acqua (c’è persino chi
consiglia di usare l’urina che contiene ammoniaca) ha i suoi fondamenti, ma
non è consigliabile. Meglio rivolgersi al medico e applicare pomate
antistaminiche e prodotti specifici che danno sollievo e poi fasciare. Si
possono anche fare degli impacchi di ghiaccio.
Analoghi interventi sono consigliabili anche nel caso di punture di ragni e
scorpioni. Per scorfani, pesci ragno o contatto con meduse (in questo ultimo
caso mai strofinare la parte interessata) di solito il veleno è termolabile e
un’immersione in acqua calda (senza esagerare) può attenuare il bruciore.
ATTENZIONE! Se la puntura interessa la lingua, il palato o la gola il
gonfiore può ostruire le vie respiratorie. È perciò necessario recarsi
velocemente in ospedale e porre sulla base della lingua il manico di un
cucchiaino o un bastoncino di legno per agevolare la respirazione.

Gravità. Nel caso che le parti colpite siano molto delicate, per esempio
l’occhio o i genitali è bene recarsi in un pronto soccorso o consultare un
medico. Analogamente, se la zona colpita è la lingua o la gola si corre il
rischio che il gonfiore possa impedire la respirazione ed è bene recarsi
immediatamente in ospedale. La stessa urgenza si presenta nel caso
l’infortunato sia allergico alle sostanze iniettate.
69. RABBIA (IDROFOBIA)

Cos’è. Nota anche come idrofobia, la rabbia è una malattia contagiosa


trasmissibile dall’animale all’uomo e viceversa. Solitamente il contagio
avviene attraverso il morso di animali come cani, linci, puzzole, mustelidi o
gatti selvatici. Il virus è presente nella saliva e viene trasmesso attraverso il
contatto con il sangue. Ma anche le mucose – per esempio gli occhi o la
bocca – possono costituire un ingresso del virus. Il periodo di incubazione –
cioè il periodo intercorso tra il contagio e la manifestazione dei sintomi – è
molto variabile nell’uomo: mediamente è di circa 1/3 mesi, ma può durare
dagli 8 giorni a un anno.

Sintomi. Formicolii, prurito e dolore nella zona della ferita, iperpiressia


(febbre) e anoressia (mancanza di appetito). Successivamente segue un
periodo di eccitazione, con spasmi e contrazioni, forte cefalea, dolori alla
gola così forti da far venire il terrore della deglutizione di cibo e bevande:
da qui il termine idrofobia, che significa paura dell’acqua.

Intervento. Nel caso di un morso di un animale è necessario pulire molto


bene la ferita in profondità con acqua e sapone, acqua ossigenata o
disinfettanti e recarsi al pronto soccorso tempestivamente per la
vaccinazione, se l’animale è a rischio. È molto importante catturare,
possibilmente vivo, l’animale selvatico che ha morso l’infortunato in modo
che possa essere tenuto in osservazione. Il che è facile a dirsi ma meno a
farsi, ovviamente. Nel caso di cani domestici è invece importante prendere
le generalità del padrone in modo che sia rintracciabile e che sia facilmente
individuabile se il suo animale è stato vaccinato. Prevenzione: per le
professioni a rischio, veterinari, agricoltori e chi è soggetto a essere morso
da animali potenzialmente portatori del virus, è consigliabile la
vaccinazione preventiva.

Gravità. Se non si effettua il vaccino in modo tempestivo l’esito della


malattia risulta quasi sempre mortale.
70. SHOCK

Cos’è. Lo shock è una sindrome dovuta a una diminuzione dell’afflusso di


sangue nei tessuti. È una conseguenza della caduta della pressione arteriosa
e si verifica in seguito a numerosi fattori: quando si presenta un’emorragia
con conseguente diminuzione del volume del sangue; quando si ha una
dilatazione dei vasi (vasodilatazione) e di conseguenza calano la pressione e
l’irrorazione sanguigna; quando avviene una diminuzione della gittata
cardiaca. Può essere anche causato da una grave reazione allergica (shock
anafilattico).

ATTENZIONE! Contrariamente al significato del linguaggio comune,


in medicina lo shock non è la semplice conseguenza di un’emozione
improvvisa o di uno spavento, è una sindrome molto grave che può
portare alla morte se non viene fermata.

Sintomi. L’infortunato è in uno stato di prostrazione da insufficienza


cardiocircolatoria acuta, spesso è in uno stato di confusione mentale, afasia
(mancanza di parola), ha freddo, è pallido, può andare incontro a una
perdita di coscienza.

Intervento. Davanti a uno shock è innanzitutto importante individuare ed


eliminare la causa: per esempio bloccare un’emorragia, immobilizzare una
frattura e tranquillizzare l’infortunato. Naturalmente bisogna chiamare i
soccorsi. È poi fondamentale agevolare la circolazione sanguigna
slacciando gli indumenti che costringono, evitare la dispersione del calore
mantenendo l’infortunato coperto, porlo in posizione antishock (→ Parte
quarta): con le gambe alzate rispetto al corpo in modo che il sangue
affluisca verso la testa. È sempre fondamentale, in questi casi, sorvegliare
attentamente le funzioni vitali.

ATTENZIONE! Non somministrare mai alcolici: l’alcol è un


vasodilatatore che peggiora la situazione.
Gravità. Lo shock, una volta instaurato, evolve irreversibilmente verso il
coma e porta alla morte. È bene perciò prevenirlo e bloccarlo
immediatamente ponendo l’infortunato in posizione antishock in attesa dei
soccorsi qualificati.
71. SINCOPE

Cos’è. È l’improvvisa e totale perdita di coscienza con arresto del respiro e


del cuore. Le cause possono essere molteplici: infarto, gravi traumi, ma
anche malattie polmonari o nervose.

Sintomi. L’infortunato è completamente privo di coscienza, la respirazione


e il battito cardiaco si sono arrestati, l’aspetto è pallido, la pelle è sudaticcia
e fredda. Le pupille sono di solito dilatate e non reagiscono alla luce.

Intervento. Constatata l’assenza del respiro e del battito cardiaco è


necessario procedere immediatamente alla respirazione artificiale e al
massaggio cardiaco (→ Parte quarta), in attesa dei soccorsi.

Gravità. La gravità è massima. Dopo pochi minuti dall’avvenuto arresto


cardiorespiratorio ha inizio la morte cerebrale che produce danni
irreversibili e una rapida morte dell’individuo.
72. SINDROME DA SCHIACCIAMENTO

Cos’è. La sindrome da schiacciamento insorge quando l’infortunato rimane


a lungo schiacciato sotto pesi o macerie con lesione di tessuti.

Sintomi. L’infortunato avrà delle lesioni gravi ai tessuti e alle ossa. Ma una
volta liberato dai pesi che lo schiacciano rischia un’emorragia, uno stato di
shock molto grave e una diminuzione (o un blocco) delle urine o
un’insufficienza renale che può essere mortale. I muscoli lesionati, infatti,
liberano una sostanza detta mioglobina che, entrando in circolo, è
responsabile del blocco renale. L’urea che non viene più eliminata si
accumula nel sangue e porta alla morte.

Intervento. In attesa dei soccorsi, prima di estrarre l’infortunato dalle


macerie o dai pesi che lo bloccano e costringono, bisogna apporre un laccio
emostatico (→ “Blocco delle emorragie massive”, Parte quarta) a monte
della parte schiacciata per prevenire l’imponente emorragia che ne
consegue e per arginare l’entrata in circolo della mioglobina.
L’infortunato va poi posto in posizione antishock (→ Parte quarta). Se è
cosciente è consigliabile fargli bere bicarbonato di sodio (4 cucchiaini circa
in un litro d’acqua) per diminuire l’acidità che fa precipitare la mioglobina.

Gravità. In caso di schiacciamento è necessario chiamare immediatamente


il soccorso qualificato. Oltre al rischio di una sindrome da schiacciamento,
infatti, l’infortunato è di solito in condizioni fisiche e psichiche gravi e
presenta fratture, lesioni ed emorragie che richiedono un urgente ricovero.
73. SOFFOCAMENTO

Cos’è. Il soffocamento per cause meccaniche, per esempio per l’ostruzione


delle vie respiratorie dovuta al cibo andato “di traverso”, porta all’asfissia.
Bisogna immediatamente rimuovere ciò che impedisce la respirazione
attraverso delle apposite manovre (→ asfissia e → “Individuare respirazione
e polso”, Parte quarta).

Sintomi. L’infortunato in un primo momento comincia a tossire, non respira


o rantola ed è agitato. Non riesce a parlare. Se non risolve il problema
diventa cianotico e rischia l’asfissia e l’arresto respiratorio.

Intervento. Cercare di afferrare con le mani ed estrarre il corpo estraneo può


essere utile, ma non sempre l’oggetto è estraibile in questo modo. Inoltre si
corre il rischio di spingerlo ancora più all’interno. Dare dei colpi sul torace o
sulla schiena può essere una valida manovra, ma non sempre è sufficiente.
Più utile è la tecnica di far contemporaneamente chinare in avanti
l’infortunato, magari appoggiandolo allo schienale di una sedia che faccia da
sostegno, per sfruttare anche la forza di gravità. Nel caso di un bambino si
può addirittura afferrarlo per i piedi a testa in giù e dargli dei colpetti sulla
schiena. In alternativa, la manovra più efficace è quella di Heimlich.
Figura 73.1 – A sinistra la tecnica di dare colpetti sulla schiena facendo chinare in avanti
l’infortunato, al centro e a destra due modi di attuare la manovra su un bambino

MANOVRA DI HEIMLICH
Il soccorritore si pone alle spalle dell’infortunato e lo cinge ponendo il
pugno chiuso alla bocca dello stomaco, tra lo sterno e l’ombelico. A questo
punto preme in modo rapido, forte e ripetuto il pugno verso la testa
dell’infortunato facendo contemporaneamente anche pressione sull’addome.
La manovra deve essere energica e violenta, se è il caso, e può essere
ripetuta più volte fino a che non provoca il vomito e l’espulsione
dell’oggetto che ostruisce la respirazione. Se l’infortunato è incosciente la
manovra di Heimlich si può effettuare ponendolo in posizione supina
(sdraiata a pancia in su) e comprimendo (come sopra) con le mani aperte o
sovrapposte a pugno nella zona addominale tra ombelico e sterno
esercitando una serie di pressioni ritmiche.

ATTENZIONE! L’esito della manovra porta a un conato di vomito. Il


soccorritore deve quindi cercare di cautelarsi. Inoltre, nel caso di
infortunati obesi o di donne incinte, la manovra può essere
rispettivamente inefficace o pericolosa.
Figura 73.2 – La manovra di Heimlich su paziente cosciente

Una volta rimosse le cause dell’ostruzione l’infortunato ricomincerà a


respirare e va assistito. È utile mantenerlo in posizione semiseduta per
agevolare la respirazione, tranquillizzarlo e non farlo parlare fino a che non
si è ripreso. Se era incosciente, oltre a chiamare i soccorsi, è necessario
verificare il ripristino della respirazione e tenere sotto controllo le funzioni
vitali, intervenendo come prevedono i protocolli nel caso di problemi (→
Parte quarta).

Gravità. Il nostro corpo non è in grado di resistere a lungo senza respirare.


In caso di arresto respiratorio ci sono solo pochi minuti prima che
sopraggiunga quello cardiaco e, successivamente, la morte cerebrale. È
perciò importante agire con la massima tempestività e chiamare i soccorsi se
non si riesce a intervenire efficacemente.
74. TETANO

Cos’è. Il tetano è una malattia provocata da un microbo (Clostridium


Tetani) che vive in ambiente anaerobico, cioè povero di ossigeno. Nelle
ferite profonde, soprattutto se provocate da oggetti arrugginiti o sporchi,
questo microrganismo trova un terreno fertile per la riproduzione.

Sintomi. L’incubazione della malattia è silenziosa e può durare da una


settimana a 6 mesi. I sintomi iniziali dell’infezione sono: temperatura
elevata (iperpiressia), sudorazione e rigidità del collo. Successivamente
sopravvengono spasmi nei muscoli della faccia, inarcamento della colonna
vertebrale difficoltà di respirazione. L’infezione, difficilmente curabile,
porta alla morte per paralisi dei muscoli respiratori.

Intervento. In caso di ferite profonde, soprattutto se provocate da oggetti


sporchi, terrosi o arrugginiti, è importante la prevenzione dell’infezione
attraverso il vaccino o il siero che va inoculato nell’organismo entro le 24
ore dal ferimento.

Gravità. La malattia è molto grave e difficilmente curabile se non viene


bloccata mediante il vaccino o il siero. Ma quando ci si reca in ospedale, nel
caso di ferite importanti si è sempre sottoposti alla profilassi della
vaccinazione antitetanica.
75. TRAUMA CRANICO

Cos’è. Con trauma cranico si intende una qualsiasi lesione al cranio o al


cervello dovuta a un evento traumatico.

Sintomi. I sintomi e le conseguenze dipendono dalla gravità del trauma. La


commozione cerebrale si manifesta generalmente con una momentanea
perdita di conoscenza ed è di solito transitoria e reversibile. Anche se non
comporta danni permanenti, nei casi più gravi può portare a uno stato di
coma. Quando si verifica invece una distruzione dei tessuti cerebrali
sottostanti si ha una contusione cerebrale che è irreversibile e comporta dei
danni permanenti. Un trauma cranico può anche causare la rottura di un
vaso sanguigno. Il sangue, in tal caso, fuoriesce e si raccoglie tra le ossa
craniche comprimendo il cervello. La formazione dell’ematoma può essere
anche non immediata e verificarsi alcune ore o anche alcuni giorni dopo il
trauma. Talvolta l’infortunato riprende coscienza per un breve periodo, poi
avverte mal di testa, vomita e può avere convulsioni ed entrare in coma.

ATTENZIONE! In seguito a un trauma cranico o a un’emorragia


cerebrale, spesso il vomito si manifesta con conati improvvisi non
preceduti da nausea.

In presenza di una lesione al cervello, permanente o reversibile,


l’infortunato presenta sempre anisocoria, cioè asimmetria dei diametri
pupillari (→ “Gli occhi”, Parte seconda). In altre parole, osservando le
pupille, una sarà dilatata (stato di midriasi) e l’altra ristretta (stato di miosi).
Figura 75.1 – L’asimmetria delle pupille (anisocoria) indica una lesione del cervello temporanea o
permanente

La frattura del cranio può portare a emorragie da orecchio o naso (→


otorragia e → emorragie).

Intervento. Per prima cosa, quando l’infortunato ha battuto il cranio, è


necessario compiere un’indagine sull’accaduto per vedere se il paziente
presenta amnesie, difficoltà nel parlare (afasia) o confusione mentale.
Controllare sempre se c’è asimmetria pupillare, segno evidente di un danno
al cervello. Evitare sempre che il paziente si addormenti, nonostante possa
presentare una forte sonnolenza, in queste circostanze, infatti, il sonno può
degenerare in coma.

ATTENZIONE! Davanti a un trauma cranico, anche se sembra lieve, è


necessario comportarsi sempre come se l’infortunato – anche se appare
normale – abbia avuto delle lesioni e portarlo in ospedale per controlli e
accertamenti.

In attesa della visita è consigliabile apporre sulla parte traumatizzata una


borsa di ghiaccio, per indurre una vasocostrizione. In caso di emorragie da
orecchio o naso, è bene porre l’infortunato in posizione di sicurezza (→
Parte quarta) per far defluire il sangue che non deve rimanere all’interno.

ATTENZIONE! Fare attenzione che l’infortunato non presenti fratture o


lesioni alla colonna vertebrale, davanti a questo sospetto la posizione di
sicurezza potrebbe nuocere.

In caso di fratture esposte e di fuoriuscita di materiale cerebrale è necessario


coprire la parte con un telo sterile: il rischio di infezioni è elevato. Se il
paziente non è cosciente, in attesa dei soccorsi, controllare costantemente la
presenza delle funzioni vitali.

Gravità. Un trauma cranico, anche se appare lieve, richiede sempre


accertamenti e controlli in ospedale. Anche quando l’infortunato appare
normale è bene condurlo al pronto soccorso, le complicazioni possono a
volte sorgere anche dopo alcune ore e persino giorni. Se il trauma è forte e
il paziente ha perso coscienza, presenta amnesie, afasia o confusione
mentale, è bene chiamare i soccorsi.
76. USTIONI

Cos’è. Un’ustione è una lesione della cute e dei tessuti provocata dal calore.
Può essere causata da un contatto diretto col fuoco, con liquidi bollenti, con
sostanze chimiche ma anche da un’eccessiva esposizione al sole o da una
folgorazione.

Sintomi. A seconda della gravità, della profondità e dell’estensione,


l’ustione viene classificata di 1°, 2° o 3° grado. La sua estensione è molto
importante per determinarne la gravità. Se supera il 50% della superficie
corporea, le possibilità di sopravvivenza sono deboli. Per il 30/40% le
condizioni sono gravissime mentre, intorno al 20%, anche se la situazione è
grave, non ci sono di solito rischi di vita.
L’ustionato per contatto con fuoco, liquidi bollenti o sostanze chimiche,
soprattutto se l’estensione è notevole, presenta dei dolori e dei bruciori
violentissimi, spesso viene trovato urlante e incapace di esprimere quanto
gli è successo. Le parti ustionate si possono presentare fortemente arrossate,
con evidente lacerazione dei tessuti e della cute; talvolta possono anche
essere carbonizzate.

Intervento. Davanti a un’ustione bisogna per prima cosa interrompere


tempestivamente l’azione lesiva: spegnere l’ustione con acqua fredda sulla
parte e sulle zone limitrofe. Se la fonte di calore è ancora attiva al momento
del soccorso è bene eliminare gli abiti, ma non quelli a contatto con
l’ustione: si rischia di staccare insieme agli abiti anche l’epidermide e
aggravare la situazione.
Bisogna sempre cercare di operare in ambiente il più possibile sterile: le
ustioni sono molto soggette alle infezioni. Bisogna perciò cercare di coprire
la parte ustionata con appositi teli sterili.
Se l’ustione è grave, profonda o estesa (2° e 3° grado), bisogna chiamare i
soccorsi ed è bene porre l’infortunato in posizione antishock. Per le ustioni
di 1° e 2° grado è consigliabile lavare immediatamente la parte con acqua
fredda o applicare ghiaccio (mai a contatto con la cute): agendo
tempestivamente si possono evitare le successive formazioni di bolle. Se
queste si manifestano non vanno mai bucate, a contatto con l’aria la parte
lesa rischia di infettarsi. Il liquido presente nelle bolle, se non si bucano, si
riassorbe in pochi giorni. Nel caso le bolle si buchino spontaneamente
bisogna disinfettarle accuratamente e ricoprirle con apposite garze sterili.
Per le ustioni di 1° grado di piccola entità è sufficiente lavare la parte lesa
con acqua fredda e utilizzare appositi unguenti curativi facendo attenzione
alle infezioni.

ATTENZIONE! Nel caso di ustioni da sostanze chimiche e caustiche, è


molto importante il lavaggio per eliminare le cause, ma è anche
importante che il soccorritore faccia attenzione a non esporsi alle
medesime sostanze, proteggendosi con guanti adatti.

Gravità. La gravità di un’ustione dipende dalla superficie corporea che


interessa, ma anche dalla profondità. Un’ustione superficiale ma molto
estesa può essere pericolosa. Altrettanto pericolosa può essere un’ustione
poco estesa ma molto profonda. Anche un’ustione da eccessiva esposizione
al sole che è estesa su gran parte del corpo, dunque, può essere gravissima e
da ospedalizzare.
77. VOMITO

Cos’è. Il vomito è l’espulsione attraverso la bocca del materiale presente


nello stomaco e nel duodeno. Di solito è preceduto da nausea, eruttazioni e
aumento della salivazione. È un sintomo di svariati malesseri e patologie,
bisogna perciò comprendere da che cosa è provocato. Può essere causato da
un lieve e banale disturbo digestivo, ma può essere anche un sintomo di
avvelenamento per l’ingestione di cibi indigesti, alterati o sostanze velenose
che suscitano reazioni di intolleranza nel nostro organismo. È anche un
sintomo di varie malattie virali e non.

Sintomi. In caso di disturbi digestivi il vomito si manifesta solitamente


insieme a sonnolenza, gonfiore del ventre, aerofagia, bruciore di stomaco,
crampi addominali, mal di testa o diarrea. In caso di ingestione di cibi
alterati o sostanze velenose, i sintomi possono manifestarsi nel momento
della masticazione ma anche 12 o 24 ore dopo l’ingestione. In seguito a un
trauma cranico (→) o a un’emorragia cerebrale (→), spesso il vomito si
manifesta con conati improvvisi non preceduti da nausea.

Intervento. Nel caso di lievi disturbi digestivi, ci si può lasciar guidare dal
buon senso, evitando di assumere cibi, rimanendo a riposo, al caldo,
aiutandosi con appositi farmaci. Nel caso di vomito prolungato o
incoercibile, soprattutto se è accompagnato da addominalgie e dolori è
invece necessario consultare il medico.
Se c’è il sospetto di un’intossicazione alimentare grave o di un
avvelenamento – da funghi, da alcol, da sostanze tossiche – è necessario
recarsi in ospedale con sollecitudine.

ATTENZIONE! Se l’infortunato non è cosciente, il vomito può ostruire


le vie aeree e portare al soffocamento. Questo pericolo si può evitare
ponendo il soggetto in posizione laterale di sicurezza (→ Parte quarta).
Gravità. Dipende dalle cause. È minima nel caso di lievi disturbi digestivi,
è massima nel caso di gravi intossicazioni alimentari o di avvelenamenti.
PARTE
QUARTA
LE
TECNICHE
DI PRIMO
SOCCORS
O
Le tecniche di pronto soccorso di seguito riportate sono state raccolte
separatamente, rispetto agli interventi descritti nella Parte terza, in quanto la
conoscenza teorica non è sufficiente: per attuarle bisogna prima aver fatto
delle esercitazioni pratiche, altrimenti possono essere pericolose, come
specificato nelle “Avvertenze” della Parte prima. Mentre la manovra di
Heimlich (→ “Soffocamento”, Parte terza), per fare un esempio
chiarificatore, non ha particolari controindicazioni se mal eseguita (a meno
che non sia praticata su una donna in gravidanza) e al massimo risulta non
efficacie o superflua, la posizione antishock (→), se effettuata in pazienti
con una congestione cerebrale o su infortunati con una lesione alla colonna
vertebrale è pericolosa. Analogamente, manovre come il massaggio
cardiaco, senza avere frequentato e superato dei corsi che prevedono delle
esercitazioni sui manichini, sono sconsigliabili da attuare. Inoltre, senza le
apparecchiature medicali in dotazione dei soccorritori – come il pallone
“ambu” e le cannule faringee per la respirazione artificiale o le steccobende,
i collari, i barellini “a cucchiaio” e i materassini a depressione per
l’immobilizzazione delle fratture –, è molto difficile intervenire, anche per
chi è competente. Non bisogna dimenticarlo, né sottovalutarlo.
Il senso di questa parte è perciò quello di fornire tutte le conoscenze
teoriche necessarie, perché la cultura del primo soccorso è sempre qualcosa
di utile, ma con la raccomandazione di non metterle in pratica se non si è
degli esperti. Come abbiamo già premesso sarebbe un po’ come voler
imparare a guidare un’automobile semplicemente leggendo un manuale che
spiega come farlo. Meglio evitare. La cosa migliore è sempre quella di
chiamare il 118 ed eventualmente farsi guidare dagli operatori, prima di
compiere qualunque azione. Un’ultima avvertenza. Le manovre qui
descritte si basano sulle ultime linee guida dell’ERC (European
resuscitation Council) del 2010 che a loro volta hanno apportato delle
modifiche ai protocolli del 2005. Queste regole vengono infatti rilasciate,
con degli aggiornamenti, ogni cinque anni. Il che significa che un tempo
non erano esattamente così – per la rianimazione cardiopolmonare (RCP) i
tempi di compressione/insufflazione erano diversi una decina di anni fa –,
ma soprattutto è possibile che in futuro siano ulteriormente cambiate. La
scienza del primo soccorso è infatti in continua evoluzione e i protocolli
sono costantemente monitorati su basi statistiche per migliorarli. Inoltre,
come abbiamo già accennato, i corsi di primo soccorso per la popolazione
prevedono dei protocolli diversi da quelli per i soccorritori di un’ambulanza
che operano con apposite strumentazioni e con una formazione più
accurata. Per tutti questi motivi è possibile che altri manuali meno recenti
oppure orientati alla formazione professionale, contengano delle differenti
prescrizioni. Quello che rimane valido è invece il procedimento teorico che
sta dietro le manovre descritte e che è bene interiorizzare. Per la pratica e
gli approfondimenti, il consiglio è di seguire i corsi organizzati dal 118 o
dalle strutture preposte (informatevi a seconda della zona in cui abitate) e
soprattutto di rimanere sempre aggiornati. Sul sito dell’ERC (www.erc.edu)
sono disponibili in lingua inglese informazioni dettagliate.
78. DISINFEZIONE E MEDICAZIONE

Nel caso di ferite imponenti, il soccorritore non si deve preoccupare troppo


della loro disinfezione, quanto di tamponare l’emorragia. L’infortunato va
infatti trasportato urgentemente in ospedale dove sarà poi medicato e
disinfettato in modo professionale.

ATTENZIONE! Nel caso di ustioni o di fratture esposte, è invece


assolutamente importante cercare di mantenere il più alto grado
possibile di sterilità per evitare complicazioni. In questi frangenti il
rischio di infezioni è alto e pericoloso.

Nel caso invece di piccole ferite, abrasioni o escoriazioni, prima della


medicazione bisogna procedere alla disinfezione.

DISINFEZIONE
Per prima cosa si deve lavare la ferita sotto un getto di acqua e con sapone.
In questa fase è bene rimuovere eventuali oggetti estranei, come schegge o
terriccio. Successivamente bisogna disinfettare la ferita con acqua
ossigenata. Va evitato invece l’uso di alcol o della tintura di iodio: sono
sostanze nocive se applicate direttamente sulle ferite, in parole povere, oltre
a eliminare i batteri eliminano anche gli anticorpi e sono dannose per le
cellule del corpo. L’alcol è invece indicato per disinfettare una zona del
corpo prima di un intervento, oppure per disinfettare gli strumenti da
utilizzare nella medicazione, come pinzette, forbicine, aghi e simili.

MEDICAZIONE
Ricoprire la ferita con garze sterili. Al di sopra di queste, ma non a diretto
contatto con la ferita, si può porre del cotone idrofilo con funzione di
tampone. Il cotone idrofilo rilascia infatti numerosi filamenti che restano
appiccicati alla ferita ed è perciò consigliabile evitare il contatto diretto. La
medicazione, infine, può essere fissata mediante bende o cerotti. Il cerotto
non deve mai essere applicato sopra la ferita, che deve “respirare”, ma
sempre di lato, per fissare la garza. Le medicazioni devono sempre avere
un’estensione maggiore della ferita, che deve essere interamente ricoperta.

Figura 78.1 – Nelle medicazioni i cerotti non vanno mai applicati sopra la ferita, ma sempre di lato
79. BENDAGGI E FASCIATURE

I bendaggi e le fasciature consistono nell’avvolgere una parte del corpo con


tessuti e garze allo scopo di proteggere le ferite dalle infezioni, di assorbire
le secrezioni, di tamponare le emorragie o di bloccare lussazioni (→ Parte
terza), distorsioni (→ Parte terza) e fratture (→ Parte terza). Le fasciature
sono i bendaggi eseguiti con fasce di varia larghezza a seconda della zona
del corpo interessata.

Fasciatura degli arti. Per fasciare una parte di un arto si impiega la


fasciatura a spirale. Dopo aver fatto un paio di giri di benda, si continua ad
avvolgere la parte scalando, a ogni giro, circa 1/3 della larghezza della
benda, procedendo dall’alto verso il basso. Al termine, si compiono altri
due giri e si fissa il tutto con un cerotto o con una spilla da balia.
Le fasciature non devono essere troppo strette, ostacolerebbero la
circolazione, ma nemmeno troppo larghe perché perdono la loro efficacia.

Figura 79.1 – Fasciatura di un segmento di un arto

Se la fasciatura comprende un’articolazione, per esempio gomito o


ginocchio, a seconda dei casi si può continuare a scalare per immobilizzare
la parte oppure, arrivati nell’incavo dell’articolazione, si può avvitare la
garza su se stessa per permettere la mobilità dell’articolazione. Nella
fasciatura di una mano, si parte dal polso, si scende a coprire il palmo e le
dita, in modo obliquo, lasciando libero il pollice, e si risale nuovamente
verso il polso dove si fissa. Anche per la caviglia si procede nello stesso
modo. Questo tipo di fasciatura è adatta anche per il torace e l’addome.

Bendaggi tubolari. Esistono in commercio dei bendaggi tubolari elastici di


varie forme e dimensioni che si adattano alle varie parti del corpo. Hanno la
funzione di sostenere le medicazioni e sono molto rapidi e semplici da
utilizzare.

Bendaggi triangolari. Anche le bende triangolari si possono impiegare per


la fasciatura di arti, mani, piedi, gomiti, articolazioni e testa. Questo tipo di
bendaggio è particolarmente usato per sostenere la spalla, nel caso di
lussazioni o traumi, o per sostenere il braccio nella classica posizione del
“braccio al collo”.

Figura 79.2 – bendaggio e immobilizzazione del braccio al collo mediante benda triangolare
80. BLOCCO DELLE EMORRAGIE MASSIVE

Le emorragie massive interessano di solito i grossi vasi arteriosi e sono


perciò molto abbondanti. Vanno tempestivamente arginate per evitare che
l’infortunato perda eccessive quantità di sangue o muoia dissanguato.
Bisogna tenere presente che in caso di recisione di grossi vasi come per
esempio l’arteria femorale, se non si interviene con celerità il
dissanguamento può avvenire in pochi minuti. Per bloccare o diminuire le
perdite è sufficiente cercare di fermare la circolazione del sangue
comprimendo i vasi arteriosi in alcuni punti (sempre a monte della ferita)
dove il loro passaggio è facilmente raggiungibile. I punti di compressione
sono collocati tra il cuore e la ferita (→ “La grande circolazione”, Parte
seconda). Comprimendoli si provoca una vasocostrizione che rallenta o
blocca la circolazione (e la fuoriuscita) del sangue. Dunque, bisogna
individuare il punto di compressione più vicino a monte della ferita e
intervenire su quello.
Le compressioni sono ancora più efficaci se si utilizza un oggetto rigido
sotto le dita, per esempio una moneta.
Figura 80.1 – I punti di compressione delle arterie

I PUNTI DI COMPRESSIONE

Compressione dell’arteria carotidea. Si effettua in caso di gravi ferite al


collo, facendo molta attenzione a non bloccare l’afflusso di sangue al
cervello e a non “strangolare” l’infortunato.
Figura 80.2 – Compressione dell’arteria carotidea

Compressione dell’arteria succlavia. Si pratica nel caso di ferite alla


spalla o detroncazioni del braccio. Il soccorritore si posiziona dietro la
schiena dell’infortunato e introduce le dita nella cavità dietro la clavicola
comprimendo con forza verso il basso.

Figura 80.3 – Compressione dell’arteria succlavia

Compressione dell’arteria ascellare. Si effettua nel caso di ferite


importanti al braccio o all’avambraccio. È consigliabile sollevare in alto il
braccio dell’infortunato (ciò rallenta di per sé l’afflusso del sangue e la
circolazione), per poi comprimere energicamente con i pollici a fondo nella
cavità ascellare.
Figura 80.4 – Compressione dell’arteria ascellare

Compressione dell’arteria omerale superiore. È utile nel caso di ferite al


braccio. Bisogna comprimere sotto il bicipite in corrispondenza dell’omero,
nella parte interna del braccio.

Figura 80.5 – Compressione dell’arteria omerale superiore

Compressione dell’arteria omerale inferiore. Indicata nel caso di ferite


all’avambraccio o alla mano. Si comprime con i due pollici nell’incavo del
gomito.
Figura 80.6 – Compressione dell’arteria omerale inferiore

Compressione dell’arteria femorale superiore. Si pratica nel caso di


ferite alla coscia o prossime all’inguine. Bisogna far stendere l’infortunato e
comprimere sull’inguine, con la mano chiusa a pugno, in modo deciso e con
forza, con il braccio teso e facendo forza anche con l’altro braccio.

Figura 80.7 – Compressione dell’arteria femorale superiore

Compressione dell’arteria femorale inferiore. Si effettua in caso di ferite


alla coscia. L’infortunato è disteso a terra con la gamba leggermente
piegata: il soccorritore comprime con forza contro il femore, nella parte
interna della coscia, con la mano chiusa a pugno e il braccio teso.
Figura 80.8 – Compressione dell’arteria femorale inferiore

Compressione dell’arteria poplitea. Utile nel caso di ferite alla gamba o al


polpaccio. L’infortunato è disteso a terra, il soccorritore pone il piede del
ferito sulla propria spalla, in modo che rimanga sollevato (rallentando la
circolazione) e comprime nell’incavo del ginocchio con i due pollici.

Figura 80.9 – Compressione dell’arteria poplitea


IL LACCIO EMOSTATICO
È da utilizzare con molta prudenza e solo in caso di assoluta necessità.
Questo sistema, infatti, esclude completamente la circolazione sanguigna
con il rischio di procurare una necrosi dei tessuti. Il laccio va perciò
utilizzato solo in casi estremi come la detroncazione di un arto, lo
schiacciamento sotto macerie o pesi (→ “Sindrome da schiacciamento”,
Parte terza), o gravi fratture esposte (→ Parte terza). Le complicazioni più
pericolose sono la possibilità di cancrena ischemica, la paralisi dei tessuti
nervosi, lo shock da laccio.
Una volta messo, il laccio non si deve più né allentare né togliere: queste
operazioni, infatti, portano a un improvviso ripristino della circolazione che
può comportare scompensi circolatori anche mortali. Il laccio emostatico
non va mai tenuto a lungo: dopo 30 minuti comincia a essere rischioso e più
passa il tempo più il rischio di complicazioni aumenta. Per questo motivo,
se si usa, è buona consuetudine scrivere sulla fronte dell’infortunato l’ora
esatta della messa del laccio affinché i soccorritori si sappiano regolare.

Figura 80.10 – Come improvvisare un laccio emostatico “a torchio” con un pezzo di stoffa e un
legnetto (o una penna)

I lacci emostatici si possono improvvisare con strisce di stoffa, sciarpe e


stracci di una larghezza di circa 4 o 5 centimetri, legati molto stretti o
attorcigliati intorno a un legno o una penna a mo’ di torchio. Non bisogna
usare mai corde, fili elettrici o stringhe che ledono i tessuti.

ATTENZIONE! Il laccio emostatico si può applicare soltanto al femore


o all’omero che costituiscono un supporto rigido contro cui le arterie si
comprimono. Non si deve mai utilizzare sull’avambraccio o sulla
gamba perché sono formati da due ossa ciascuno (→ “Gli arti”, Parte
seconda) e i vasi sanguigni scorrono tra di essi.

Figura 80.11 – Dove si applica il laccio emostatico


81. IMMOBILIZZAZIONE DELLE FRATTURE

Nel caso di fratture, ma anche di distorsioni e lussazioni, prima del trasporto


bisogna procedere all’immobilizzazione della parte. La cosa migliore è
attendere l’intervento dei soccorsi qualificati dotati di apposite attrezzature
medicali, come le steccobende, i collari rigidi, le barelle “a cucchiaio”, il
materassino a depressione e via dicendo. Se questo non è possibile si
possono improvvisare delle immobilizzazioni con mezzi di fortuna. Bisogna
sempre tenere a mente che in caso di frattura, la parte deve essere tenuta in
trazione. In questo modo si evita che i monconi possano danneggiare i
tessuti, inoltre l’infortunato ne trae solitamente un sollievo e una
diminuzione del dolore.

Fratture degli arti. Nel caso di una sospetta frattura di un arto si può
cercare di steccarlo con mezzi di fortuna come delle stecche di legno o
comunque dei sostegni rigidi, avvolti in stracci, giornali o indumenti
successivamente bendati e fasciati. Nel caso di una frattura di una gamba, in
mancanza di meglio, si può usare l’arto sano come sostegno.

Figura 81.1 – Immobilizzazione di fortuna di un arto fratturato

ATTENZIONE! Spesso, se la frattura coinvolge un’articolazione, l’arto


può essere deformato o piegato. In tal caso per immobilizzarlo è
necessario raddrizzarlo. Questa operazione è sconsigliabile per chi non è
un esperto soccorritore. Tuttavia, se è indispensabile, bisogna ricordare
che lo spostamento deve avvenire sempre in trazione, allontanando tra
loro i monconi.

Figura 81.2 – Immobilizzazione di un arto con mezzi di fortuna: stracci, coperte, cravatte, lacci o
spille da balia

Fratture alla colonna vertebrale. L’immobilità dell’infortunato in questo


caso è fondamentale e molto delicata. Se viene leso il midollo spinale si va
incontro a un danno irreversibile che può portare alla paralisi o alla morte. In
generale è bene tenere presente che più la lesione è alta, vicino al collo, più è
pericolosa perché la regolamentazione delle funzioni vitali come la
respirazione può essere intaccata. Una lesione più in basso è ugualmente
grave perché può compromettere il movimento di braccia o gambe.
TRASPORTO O SPOSTAMENTO DI UN INFORTUNATO
CON SOSPETTE LESIONI ALLA COLONNA

Il trasporto di un infortunato con sospette lesioni alla colonna vertebrale


richiede alcune attrezzature apposite e un soccorso qualificato. In casi di
estrema urgenza (incendio, fughe di gas e simili emergenze) si può tentare il
trasporto con almeno 3 soccorritori, ma molto meglio se in 5.

Figura 81.3 – Tenere in trazione la colonna in caso di fratture evita le lesioni al midollo

Prima del trasporto si deve mettere in trazione il paziente. La mano sotto la


testa deve tirare verso l’esterno mentre, dall’altra parte, bisogna che anche i
piedi siano tirati in direzione opposta. Le mani dei soccorritori devono poi
scivolare sotto le gambe, i glutei e la schiena, molto aperte e tese, a formare
un piano rigido. I soccorritori devono essere coordinati e sollevare il
paziente contemporaneamente, mantenendone il corpo sempre perfettamente
in asse e allineato. Durante la collocazione dell’infortunato per esempio su
un piano rigido, che a sua volta può poi fungere da barella, è bene che
l’operazione sia coordinata ad alta voce da uno dei soccorritori che dà il via
allo spostamento sincronizzando il movimento di tutti per mantenere il più
immobile possibile e in asse il corpo dell’infortunato.

Esempio di coordinamento vocale.


Capo: “Prendere!” (Ognuno si dispone con il proprio ruolo di trazione e
posizione delle mani).
Capo: “Pronti ad alzare?” (Attende che tutti diano conferma).
Capo: “Su!” (Tutti sollevano l’infortunato tenendolo in asse).
Capo: “Pronti ad abbassare?” (Attende che tutti diano conferma).
Capo: “Abbassare!”

Una volta posto sul piano rigido l’infortunato va legato e immobilizzato,


prima del trasporto.

Figura 81.4 – Trasporto di emergenza in caso di sospetta frattura alla colonna (5 soccorritori)
82. TRASPORTO DI UN INFORTUNATO

Il trasporto di un infortunato, a seconda dei casi, può essere un’operazione


molto delicata che richiede un soccorso qualificato e un’attrezzatura
medicale apposita. In molti casi, per esempio davanti a politraumi o
sospette fratture della colonna vertebrale, è perciò bene evitare il trasporto
improvvisato con mezzi di fortuna, perché può essere pericoloso.
Per prima cosa è necessario distinguere gli infortuni gravi da quelli che
richiedono un trasporto urgente: le due cose sono infatti molto diverse. Chi
ha subito un trauma alla colonna vertebrale, per esempio, ha un problema
gravissimo, ma non c’è urgenza nel trasporto. La cosa più importante,
invece, è una buona immobilizzazione e uno spostamento corretto che
consentano di condurlo in ospedale senza ulteriori traumi e in sicurezza.
Quando è necessario improvvisare un trasporto di fortuna con mezzi privati,
dopo aver distinto di volta in volta l’urgenza dalla gravità, bisogna
procedere con il buon senso nella conduzione al pronto soccorso. Nel caso
di fratture e traumi, per esempio, un furgone, benché più lento di
un’automobile è preferibile: l’importante è infatti mantenere l’infortunato
immobilizzato, evitare scossoni e movimenti bruschi. Se è incosciente, per
fare un altro esempio, va mantenuto sdraiato, in posizione di sicurezza.
Infine è indispensabile che ci sia sempre lo spazio per il soccorritore che
deve costantemente vigilare sulle funzioni vitali ed eventualmente
intervenire con manovre di soccorso, difficilmente eseguibili per esempio in
un’automobile.

TRASPORTO SENZA BARELLA


Questo tipo di trasporto va effettuato soltanto con pazienti coscienti e se
non ci sono fratture. È utile per trasportare l’infortunato in un mezzo privato
per poi recarsi in ospedale oppure per allontanare qualcuno da un luogo
pericoloso.

Trasporto a spalle. Il trasportato, oltre a essere cosciente deve essere in


grado di aggrapparsi alle spalle del soccorritore con le braccia. Inoltre il
peso del trasportato e del soccorritore devono essere tra loro sostenibili,
altrimenti il rischio è di una caduta da parte di entrambi.

Trasporto di un ferito in braccio. Si può eseguire solo nel caso di bambini


o di persone di poco peso. Il soccorritore mette un braccio sotto le gambe e
l’altro attorno al dorso del trasportato.

Trasporto “a seggiolino”. Si effettua con due soccorritori che si afferrano


per le mani in modo da formare una sorta di seggiolino e si tengono
saldamente. Il primo soccorritore afferra con una mano il proprio polso e
con l’altra il polso del secondo soccorritore. Quest’ultimo afferra il polso
del primo con una mano. Con l’altro braccio, invece, sorregge le spalle e il
dorso dell’infortunato che si siede sulle loro mani “a seggiolino” e viene
così sollevato.

Figura 82.1 – La posizione delle mani “a seggiolino” e il trasporto di un infortunato che viene
sorretto dietro la schiena

Trasporto per trascinamento. È utile per porre in sicurezza un infortunato


allontanandolo da un luogo pericoloso, per esempio da una stanza con una
fuga di gas o un incendio. Si può far sdraiare il trasportato su una coperta o
un tappeto che poi viene trascinato afferrandolo per i lembi dalla parte della
testa (in modo che sia così protetta da eventuali urti). In alternativa si può
afferrare l’infortunato sotto le ascelle oppure cingerlo con le braccia saldate
attorno alla vita e trascinarlo dalla parte della testa (manovra, questa,
possibile anche se il paziente non fosse cosciente).

Figura 82.2 – Trasporto per trascinamento

Trasporto “del pompiere”. È indicato nel caso il paziente sia cosciente ma


non in grado di camminare da solo (sempre che non abbia fratture). Se il
peso dell’infortunato è sostenibile per il soccorritore questo si può piegare
mettendo il dorso sotto la pancia dell’infortunato che afferra con una mano
per il polso, mentre pone l’altra mano sotto le ginocchia. Poi il soccorritore
si solleva e lo trasporta sulle proprie spalle.
Figura 82.3 – Trasporto “del pompiere”

COME TRASPORTARE UN INFORTUNATO PER LE


SCALE
Se l’infortunato è in casa, spesso non è facile trasportarlo, soprattutto se non
è cosciente, se è anziano o se manca l’ascensore.

Trasporto mediante una sedia. Se il paziente è cosciente, e non ha traumi


o sospette fratture, il metodo più comodo è quello di utilizzare una sedia da
cucina (dopo aver controllato che sia ben robusta!), il trasporto si effettua in
due. L’infortunato si siede e un soccorritore afferra le gambe posteriori della
sedia o lo schienale, mentre l’altro le gambe anteriori. In questo modo si
può trasportare per le scale o con un ascensore. È importante che i
soccorritori siano coordinati e sollevino la sedia contemporaneamente,
facendo molta attenzione a non inclinarla con il rischio di far cadere il
trasportato. Quest’ultimo deve tenere le mani sulla pancia e stare fermo.
Figura 82.4 – Trasporto per le scale mediante una sedia

ATTENZIONE! Scendendo le scale si deve fare attenzione che il


paziente non si aggrappi alla ringhiera, come viene istintivo, il rischio è
che i trasportatori vengano sbilanciati e possano inciampare. Bisogna
sempre raccomandare al trasportato di tenere le mani ferme sulla pancia
e di stare fermo e tranquillo.

Questo tipo di trasporto da seduti è particolarmente adatto nei casi di


difficoltà respiratoria, infarto o edema polmonare, quando il paziente non
deve mai essere sdraiato.

Trasporto mediante un telo. Se il paziente non può stare seduto o non è


cosciente, e non ha traumi, si possono utilizzare un telo o una coperta ben
robusti. Dopo che l’infortunato vi è stato sdraiato sopra, i soccorritori,
preferibilmente quattro, afferrano i lembi della coperta
contemporaneamente e scendono per le scale. Un soccorritore afferra i
lembi dove c’è la testa, altri due si pongono di fronte e afferrano i lembi
dove ci sono i fianchi (la parte più pesante) e il quarto i lembi dalla parte dei
piedi. A meno che non sia necessaria la posizione antishock, scendendo per
le scale la testa deve essere sollevata rispetto al corpo, in altre parole scende
per primo chi è dalla parte dei piedi. Se i soccorritori sono in tre, uno può
afferrare i lembi della coperta dalla parte della testa, gli altri due, posti ai
lati del paziente, uno di fronte all’altro, afferrano con una mano il lembo
all’altezza dei fianchi e con l’altra il lembo verso i piedi.

ATTENZIONE! In caso di fratture, il trasporto deve avvenire soltanto


dopo aver immobilizzato la parte traumatizzata. In caso di sospette
fratture alla colonna vertebrale, invece, l’uso del telo o della coperta è
dannoso e pericolosissimo. Il paziente va trasportato dopo essere stato
legato e immobilizzato perfettamente su un piano rigido o su una
barella improvvisata.
83. VALUTAZIONE DELLO STATO DI
COSCIENZA

Preliminare verifica della sicurezza dell’ambiente. Secondo i protocolli


del soccorso, prima di valutare lo stato di coscienza di un infortunato il
soccorritore deve sempre effettuare una valutazione sulla sicurezza
dell’ambiente e sulle possibili cause dell’incidente.
Più nel dettaglio, il presunto stato di incoscienza può essere causato da un
malore o da un incidente e in questo secondo caso bisogna cercare di
cogliere i segnali che hanno scatenato l’evento: una caduta dalle scale, un
incidente domestico o sul lavoro, un’aggressione… Il punto è che
potrebbero esserci dei fattori invisibili o non appariscenti che possono
mettere a rischio l’incolumità dei soccorritori. Per esempio, se non ci sono
segni di incidenti bisogna assicurarsi che non ci siano fughe di gas, un
avvelenamento da ossido di carbonio (il che è complicato visto che è
inodore) oppure che non si tratti di una folgorazione con il rischio di
rimanere fulminati e via dicendo. In questi casi il soccorritore, prima di
intervenire deve mettersi in sicurezza (aerazione del locale, chiusura degli
interruttori elettrici e così via). Questa norma è importantissima e va sempre
tenuta presente, perché istintivamente viene spontaneo avvicinarsi
all’infortunato immediatamente, ma può essere molto pericoloso.

Approccio multisensoriale. Stabilita la sicurezza dell’ambiente, la


valutazione dello stato di incoscienza presuppone delle tecniche
multisensoriali. Bisogna porsi dinnanzi alla persona stesa, per evitare che
torca il collo se si desta, e innanzitutto scuoterla leggermente per le spalle
(tenendo presente che potrebbe avere delle lesioni, quindi è bene fare
attenzione ed evitare in caso di traumi evidenti) chiamandola ad alta voce. Il
solo stimolo vocale può essere infatti inutile se la persona è sorda. Inoltre, è
buona norma afferrare la mano dell’infortunato in modo rassicurante per
prevenire eventuali sue reazioni in caso di risveglio improvviso che possono
variare dallo spavento all’aggressione per il panico, soprattutto per chi è
sotto gli effetti di stupefacenti. Infine, in questo modo è possibile sentire se
ci sono delle reazioni nella mano, oltre che valutarne la temperatura.
Se con questa tecnica la persona non reagisce lo stato di incoscienza è
accertato. Bisogna immediatamente chiamare i soccorsi e procedere con la
valutazione della presenza della respirazione e del battito cardiaco (→).
84. INDIVIDUARE RESPIRAZIONE E POLSO

Verificato lo stato di incoscienza dell’infortunato, il soccorritore lo deve


porre su un piano rigido (va benissimo per terra) tenendo sempre presente
che non bisogna spostare chi ha subito traumi o ha delle sospette lesioni
della colonna vertebrale. A questo punto si può procedere con il protocollo
denominato ABC, dalle iniziali delle parole inglesi Airway, Breathing e
Circulation che indicano rispettivamente il controllo della pervietà delle vie
aeree, del respiro e del battito cardiaco.

FASE A (AIRWAY: PERVIETÀ DELLE VIE AEREE)


Chi è incosciente corre il pericolo di soffocamento per il rovesciamento della
lingua, per la presenza di liquidi interni (vomito, sangue o secrezioni) o per
la presenza di eventuali oggetti estranei (dentiere, caramelle o altro). Per
prima cosa si può eseguire un controllo del cavo orale tramite una manovra
denominata “a borsellino” che consiste nella rotazione di indice e pollice
nella bocca dell’infortunato come se si dovesse aprire un portamonete.

ATTENZIONE! Evitare di eseguire questa manovra a mani nude.


L’ideale sarebbe indossare dei guanti in lattice, altrimenti meglio sempre
proteggersi con un fazzoletto.

Se sono presenti oggetti estranei vanno rimossi. In questa fase è consigliabile


anche iperestendere la testa (→). A questo punto si deve immediatamente
procedere alla verifica della presenza di respirazione (fase B) e polso (fase
C).

FASE B (BREATHING: RESPIRAZIONE)


Nel controllo della presenza delle funzioni vitali si comincia con la verifica
della respirazione: se questa è assente bisogna verificare anche la presenza
del polso, se invece è presente, significa necessariamente che anche l’attività
cardiaca non si è arrestata.
Per far ciò è sufficiente appoggiare una mano sul torace e una sull’addome
dell’infortunato per percepire sollevamenti in modo tattile e
contemporaneamente avvicinare l’orecchio alla bocca (a circa 3/5
centimetri) per avvertire il passaggio dell’aria mentre lo sguardo è fisso sul
torace/addome (meglio se è stato precedentemente scoperto dai vestiti) per
vedere se dà dei segni di movimento respiratorio. Questa manovra è detta
GAS, dalle iniziali di Guardo (il movimento del torace), Ascolto (il respiro)
e Sento (il flusso di aria sulla guancia, ma anche il sollevamento
dell’addome). Questa rilevazione va effettuata per 10 secondi (meglio
contare ad alta voce) mantenendo la testa iperestesa.

ATTENZIONE! In caso di arresto respiratorio si possono rilevare degli


ansimi e dei gorgoglii che non vanno confusi con la respirazione
normale e regolare. Si tratta del gasping, un “respiro” agonico durante il
quale si avvertono dei movimenti del torace ma che sono privi di
efficacia, non c’è un flusso d’aria. In questo caso bisogna procedere
come se il respiro fosse assente.

Se la respirazione è presente, come abbiamo già detto, possiamo stare


tranquilli che anche la circolazione del sangue lo sarà e procedere, a seconda
dei casi, con la messa dell’infortunato incosciente in posizione laterale di
sicurezza (→) o in posizione antishock (→) altrimenti occorre verificare
immediatamente la presenza del polso, cioè delle pulsazioni cardiache.

FASE C (CIRCULATION: POLSO)


Se l’infortunato non respira e non si percepiscono né movimenti del corpo né
colpi di tosse, potrebbe essere (o sta per entrare) in arresto cardiaco. Bisogna
intervenire urgentemente.
Le pulsazioni del cuore si possono percepire facilmente sul petto o sul collo.
Appoggiando una mano sul torace, sotto la metà dello sterno, o meglio
ancora appoggiando l’orecchio, il battito cardiaco si percepisce chiaramente.
Bisogna però aprire eventuali giacche o cappotti, nel caso ci siano, e scoprire
il torace. Un altro sistema è quello di porre indice, medio e anulare sul collo,
esattamente sotto la mandibola, premendo un po’ nel muscolo di fianco alla
carotide. Qui è possibile percepire l’arteria carotidea, molto evidente. Per
esercitarsi a trovarla il soccorritore deve cominciare a prendere il polso
carotideo a se stesso. Individuato il punto, sarà poi facile trovarlo anche
negli altri.
Il polso radiale è più difficile da trovare. Anche in questo caso il soccorritore
deve prima esercitarsi su se stesso. Il punto da palpare, con le tre dita lunghe,
è sull’esterno del polso, sotto la mano, dalla parte del pollice.

ATTENZIONE! Il polso si deve percepire sempre con le dita indice,


medio e anulare, mai con il pollice. Qui infatti passa un’arteria
abbastanza importante e spesso non è possibile sapere se la pulsazione
che il soccorritore sente è la sua o quella dell’infortunato!

Un altro indizio che aiuta a rendersi conto se l’infortunato è in arresto


cardiaco consiste nell’osservare le pupille. Dopo un breve periodo
dall’arresto, infatti, queste si dilatano e non reagiscono alla luce. In
condizioni normali, invece, se illuminate si rimpiccioliscono
immediatamente. Ma poiché la tempestività in questi frangenti è importante,
non bisogna perdere troppo tempo.
Nel caso l’infortunato sia incosciente, con respiro assente ma con il battito
cardiaco presente, bisogna immediatamente procedere alla respirazione
artificiale (→). Nel caso anche il battito cardiaco sia assente bisogna
procedere alla respirazione artificiale e al massaggio cardiaco (→).
Figura 84.1 – Come individuare il polso, cioè le pulsazioni del cuore
85. IPERESTENSIONE DELLA TESTA

A cosa serve. Una persona in stato di incoscienza, ma con le funzioni vitali


inalterate, può rischiare di soffocare o di non respirare sufficientemente per il
rovesciamento all’indietro della lingua. L’iperestensione della testa è una
manovra che consente di evitare questo problema e va dunque effettuata in
attesa dei soccorsi qualificati (insieme alla posizione laterale di sicurezza).
Anche se la lingua non è rovesciata all’indietro, questa posizione aiuta la
respirazione. Se il capo è piegato in avanti, infatti, la lingua ostruisce la
respirazione e l’infortunato tende a russare. Con il capo reclinato all’indietro
questo non avviene.

Figura 85.1 – La testa iperestesa (a sinistra) permette la respirazione che potrebbe essere invece
pregiudicata dall’ostruzione della lingua (a destra)

Come si attua. Dopo aver sdraiato l’infortunato a pancia in su, è sufficiente


porre una mano sulla fronte e spingere, per reclinare all’indietro la testa,
mentre contemporaneamente con due dita sotto il mento si tira per
sollevarlo. La manovra non deve essere effettuata in modo brusco. In
alternativa è possibile collocare una mano sotto la nuca tirando verso l’alto e,
contemporaneamente, con l’altra mano si può esercitare una pressione sulla
fronte verso il basso. Oppure si può afferrare la mandibola dell’infortunato e
rovesciare all’indietro la testa (sempre senza movimenti bruschi o violenti).

ATTENZIONE! Non iperestendere mai il capo davanti al sospetto di una


frattura alla colonna vertebrale!

Questa posizione è indispensabile prima di praticare la respirazione


artificiale (→), altrimenti l’aria insufflata rischia di non raggiungere i
polmoni. Se l’infortunato è incosciente l’iperestensione della testa può
avvenire lateralmente, ponendo il soggetto in posizione laterale di sicurezza
(→).
86. POSIZIONE LATERALE DI SICUREZZA
(PLS)

A cosa serve. Per evitare che una persona in stato di incoscienza rischi di
non respirare a sufficienza o di soffocare per il rovesciamento della lingua o
per delle ostruzioni delle vie aeree causate per esempio dal vomito, si
utilizza la posizione laterale di sicurezza. Attuando tale manovra si evita
questo rischio mantenendo una postura corretta in modo che l’eventuale
vomito possa defluire all’esterno e che la lingua non si rovesci grazie
all’iperestensione della testa. In presenza di un infortunato incosciente (con
le funzioni vitali inalterate) è consigliabile porlo in tale posizione.

ATTENZIONE! Questa manovra non va mai effettuata in caso di


sospette lesioni alla colonna vertebrale.

Come si attua. L’infortunato va posto sdraiato su un fianco, con una gamba


stesa e una piegata, in modo da assicurare stabilità ed evitare che possa
rotolare. La testa va iperestesa, per agevolare la respirazione, su un lato, in
modo che in caso di rigetto, il vomito possa defluire senza ostruire le vie
aeree.
Figura 86.1 – Posizione laterale di sicurezza (PLS)

Dopo aver messo l’infortunato in sicurezza, in attesa dei soccorsi, bisogna


continuamente controllare che la respirazione e il polso siano presenti.
87. LA POSIZIONE ANTISHOCK

In caso di shock (→ Parte terza) bisogna porre l’infortunato in una


posizione che favorisca l’afflusso di sangue al cervello. Dopo aver cercato
di eliminare la causa dello shock, per esempio bloccando un’emorragia,
tranquillizzando l’infortunato e così via, è necessario cercare di agevolare la
circolazione, slacciando gli indumenti che possono costringere e ponendo il
soggetto in modo che il capo sia più in basso del corpo. In questo modo, per
gravità, il sangue tende a defluire verso il cervello.

Figura 87.1 – La posizione antishock

Se l’infortunato viene fatto sdraiare su un piano rigido, si può apporre


qualcosa sotto la parte dei piedi. In alternativa si può farlo sdraiare per terra
e sollevargli le gambe.
Figura 87.2 – Posizione antishock con l’ausilio di una sedia

ATTENZIONE! Evitare la posizione antishock in caso di trauma


cranico o davanti al sospetto di emorragia cerebrale o congestione
cerebrale.
88. RESPIRAZIONE ARTIFICIALE

A cosa serve. La respirazione artificiale serve per ossigenare artificialmente


un infortunato che ha un arresto respiratorio, tipico per esempio nei casi di
asfissia, annegamento, avvelenamento da farmaci, overdose e altro. In
questi casi i muscoli involontari che dilatano la gabbia toracica sono
bloccati e l’infortunato non può ossigenare il sangue. In queste condizioni,
dopo pochi minuti, anche l’attività del cuore si blocca. È perciò necessario
agire tempestivamente per ossigenare il sangue in modo artificiale. La
manovra più conosciuta per eseguire la respirazione artificiale è quella
bocca a bocca.

Tutela del soccorritore. La respirazione bocca a bocca è una pratica di


emergenza che prevede dei rischi per il soccorritore. Praticarla a un
infortunato che, essendo incosciente o traumatizzato può spesso presentare
secrezioni, sanguinamento o vomito, pone evidentemente dei problemi
igienico-sanitari. Per questi motivi se il soccorritore decide di effettuarla è
consigliabile per lo meno porre come protezione un fazzoletto pulito o
qualcosa del genere.
Il soccorso qualificato e professionale non ricorre mai a questa manovra. La
respirazione artificiale si pratica invece attraverso degli strumenti più
idonei. Prima di tutto ogni paziente incosciente viene sempre incannulato,
in altre parole, gli viene inserita in bocca una cannula, un tubicino di
plastica che arriva fino alla gola e che mantiene sempre perfettamente
pervie le vie aeree. In secondo luogo le insufflazioni si eseguono attraverso
il palloncino “ambu”. Si tratta di uno strumento che evita il contatto bocca a
bocca e funziona come un piccolo mantice: è composto da un pallone che si
schiaccia manualmente e determina la fuoriuscita di aria attraverso
un’apposita valvola posta su una mascherina simile a quelle che servono per
irrorare l’ossigeno. In questo modo il soccorritore può ventilare
l’infortunato evitando il contatto bocca a bocca. Inoltre, l’aria insufflata
presa dall’ambiente, o meglio ancora collegata a un erogatore di ossigeno,
contiene delle percentuali di ossigeno superiori a quelle insufflate con il
metodo bocca a bocca.
Ciò premesso, nei casi di emergenza in cui bisogna intervenire senza
strumenti, la respirazione bocca a bocca si rivela comunque efficace. Anche
se l’aria che insuffliamo in questo modo è ricca di anidride carbonica, la
quantità di ossigeno immessa è ugualmente sufficiente all’ossigenazione.
L’aria che espiriamo, infatti, contiene il 16% di ossigeno, contro il 20%
dell’aria che inspiriamo.

Figura 88.1 – Il pallone “ambu” per la respirazione artificiale

RESPIRAZIONE BOCCA A BOCCA


Distendere l’infortunato a pancia in su dopo aver praticato l’iperestensione
della testa.
Figura 88.2 – Respirazione bocca a bocca. Primo: iperestensione della testa

Chiudere con due dita (indice e pollice) il naso dell’infortunato per evitare
che l’aria insufflata fuoriesca. Senza queste due premesse la respirazione
non avrà successo.
Figura 88.3 – Respirazione bocca a bocca. Secondo: chiudere il naso

Fare aderire le proprie labbra a quelle dell’infortunato (meglio dopo aver


apposto un fazzoletto) e insufflare con una certa forza (ma senza esagerare)
il proprio fiato con una ventilazione che dovrebbe durare un secondo.

Figura 88.4 – Respirazione bocca a bocca. Terzo: insufflazione della durata di un secondo
Quindi alzare la testa e controllare che il torace si sollevi per poi abbassarsi
immediatamente dopo. Il rischio, se la testa dell’infortunato non è iperestesa
o se la manovra è eseguita male, è che l’aria finisca nello stomaco anziché
nei polmoni (rendendo l’operazione inutile). La verifica dell’innalzamento
del torace aiuta a comprendere che ciò non accada.

Figura 88.5 – Respirazione bocca a bocca. Quarto: verificare l’innalzamento del torace

Ripetere l’operazione, con un ritmo di 15/20 atti al minuto, fino a quando


l’infortunato non riprende la respirazione autonoma o sino all’arrivo dei
soccorsi. Controllare periodicamente che l’infortunato non vada in arresto
cardiaco, nel qual caso bisogna procedere anche con il massaggio cardiaco.

ALTRE TECNICHE DI RESPIRAZIONE ARTIFICIALE


Respirazione bocca a naso. Se l’infortunato presenta delle fratture alla
mandibola o alla mascella, si può procedere come nel caso della
respirazione bocca a bocca con la differenza che la bocca viene tenuta
chiusa – per evitare che fuoriesca l’aria insufflata – e che le insufflazioni
vanno invece fatte attraverso il naso.
Respirazione bocca a bocca-naso. Nel caso l’infortunato sia un bambino
piccolo, il soccorritore può aderire le proprie labbra sul viso del bambino
effettuando le insufflazioni contemporaneamente attraverso la bocca e il
naso dell’infortunato. In questo caso la quantità di aria insufflata e la forza
dell’insufflazione devono essere ridotte.

Respirazione manuale di nielsen. Se non è possibile la respirazione bocca


a bocca si può tentare una respirazione manuale la cui efficacia è molto
inferiore e in molti casi non si rivela molto utile. Questa manovra è
controindicata in caso di traumi o fratture agli arti superiori o alla colonna
vertebrale.

Dopo aver steso l’infortunato a pancia in giù su un piano rigido, con la testa
iperestesa e gli arti superiori piegati, il soccorritore, inginocchiato,
posiziona le mani sulle scapole dell’infortunato, con le dita ben aperte e,
sfruttando il peso del proprio corpo, esercita una compressione sulla schiena
che serve a far espirare l’aria. Successivamente afferra i gomiti
dell’infortunato tirandoli verso di sé per favorire l’allargamento della gabbia
toracica e quindi l’inspirazione. L’operazione va ripetuta con un ritmo di 15
atti al minuto.
Figura 88.6 – La respirazione manuale di Nielsen

Respirazione manuale di Silvester. Un ulteriore metodo di respirazione


manuale di efficacia molto inferiore, se non è possibile praticare la
respirazione bocca a bocca, è la cosiddetta respirazione manuale di
Silvester. Anche questa manovra dà dei risultati spesso poco significativi ed
è controindicata in caso di traumi o fratture agli arti superiori o alla colonna
vertebrale.
Dopo aver steso l’infortunato a pancia in su, su un piano rigido, con la testa
iperestesa, il soccorritore, inginocchiato dietro la testa del paziente, dovrà
afferrargli i polsi, incrociarli sull’addome, portarsi in avanti e, sfruttando il
proprio peso, comprimere l’addome per produrre l’espirazione. A questo
punto dovrà portarsi all’indietro sedendosi sui talloni e aprire le braccia
dell’infortunato per allargare la gabbia toracica e produrre l’inspirazione.
89. RIANIMAZIONE ARTIFICIALE:
MASSAGGIO CARDIACO E RESPIRAZIONE
ARTIFICIALE

A cosa serve. Dopo 3 o 4 minuti dall’arresto cardiaco i neuroni e il


cervello, molto sensibili alla carenza di ossigeno, che non viene più
pompato dal cuore attraverso il sangue, cominciano un’irreversibile
distruzione. In presenza di un arresto cardiaco, perciò, bisogna intervenire
immediatamente con il massaggio cardiaco e la respirazione artificiale:
operazioni che servono a ripristinare artificialmente l’attività cardiaca e
respiratoria.
Attraverso il massaggio cardiaco il cuore pompa il sangue soltanto al
20/40% del normale, ma è sufficiente per tenere in vita l’infortunato sino
all’arrivo dei soccorsi o al trasporto in ospedale dove, attraverso un
defibrillatore si tenterà di ripristinare l’attività cardiaca mediante scariche
elettriche. Il soccorritore, esercitando una pressione sulla gabbia toracica,
comprime il cuore tra lo sterno e la colonna vertebrale e in questo modo si
sostituisce meccanicamente all’attività cardiaca. Grazie all’elasticità della
gabbia toracica, quando cessa la compressione, il torace si espande e il
cuore si dilata, per poi restringersi alla successiva compressione.

Figura 89.1 – Il massaggio cardiaco permette il funzionamento del cuore in modo manuale,
comprimendo la cassa toracica di 4/5 cm
Questa manovra deve anche essere accompagnata dalla respirazione bocca a
bocca (ma con ritmi differenti da quando è eseguita da sola), per continuare
a ossigenare il sangue che viene pompato in modo meccanico attraverso il
massaggio cardiaco.

Posizione dell’infortunato. L’infortunato deve essere sdraiato a pancia in


su, disteso su un piano rigido o al suolo, meglio se in posizione antishock.

ATTENZIONE! Non bisogna mai effettuare un massaggio cardiaco su


un letto o un materasso ma sempre su un piano rigido (a terra va
benissimo).

Individuazione del punto di compressione. Prima di procedere al


massaggio cardiaco è necessario individuare il punto di compressione. Per
trovarlo si può misurare a occhio la lunghezza dello sterno, individuare la
metà e porre il palmo della mano appena sotto questa metà. È questo il
punto migliore per comprimere il cuore: al di sopra si rischia di rompere lo
sterno, al di sotto si rischia di procurare fratture alle costole con possibili
lesioni di organi vitali come il fegato o i polmoni. Più precisamente, per
individuarlo si può scorrere con le dita la gabbia toracica per individuare il
punto di incontro dell’ultima costola con lo sterno: al di sopra di questo
punto si possono appoggiare due dita e accanto, sulla parte ossea dello
sterno, si può appoggiare il “calcagno” dell’altra mano nel punto di
compressione. Una volta individuato è importante non staccare mai la mano
per non “perderlo”. Bisogna invece appoggiare anche il palmo dell’altra
mano sulla prima e intrecciare le dita in modo che restino sollevate durate le
compressioni senza comprimere le costole. Per individuare il punto di
compressione e per effettuare il massaggio cardiaco è consigliabile scoprire
il torace dell’infortunato sollevando i vestiti.
Figura 89.2 – Il punto di compressione si trova a metà della lunghezza dello sterno e le mani sono
l’una sull’altra con le dita intrecciate

Il colpo precordiale, una manovra che non si usa più. Spesso l’arresto
cardiaco non è totale, il cuore è in fibrillazione, comincia cioè a tremolare
senza più riuscire a mandare in circolo il sangue. Questo stato è
particolarmente frequente nei casi di folgorazione. Fino a una decina di anni
fa, prima di iniziare il massaggio si tentava perciò il ripristino dell’attività
cardiaca attraverso il colpo precordiale che consiste in un colpo forte e
secco assestato col pugno chiuso circa alla metà dello sterno che potrebbe
far riprendere la circolazione. Ma con i nuovi protocolli di pronto soccorso
questa manovra non si usa più.

MASSAGGIO CARDIACO CON UN SOCCORRITORE


Dopo aver controllato che l’infortunato sia su un piano rigido (mai su un
letto o su un divano, meglio per terra), posizionarsi in ginocchio, al lato
dell’infortunato disteso a pancia in su e porre la base del palmo nel punto di
compressione dello sterno precedentemente individuato. Porre il palmo
dell’altra mano sul dorso della prima, con le dita ben alzate, per fare forza
con entrambe le braccia. Mantenere le braccia ben tese e non piegate,
perché il massaggio è efficace se è perfettamente verticale e non deve mai
seguire un asse obliquo.
Figura 89.3 – La posizione del soccorritore durante il massaggio cardiaco: braccia tese, dita
sollevate e pressioni perpendicolari

A questo punto eseguire la prima compressione facendo forza, in modo


perpendicolare, con tutto il peso del corpo e poi rilasciare. Lo sterno si deve
abbassare di circa 4 o 5 centimetri. Il ritmo delle compressioni è di 100
volte al minuto, cioè 3 compressioni ogni 2 secondi, ma dopo ogni 30
compressioni è necessario praticare 2 insufflazioni d’aria (→ Respirazione
artificiale) attraverso la respirazione bocca a bocca.
Per fare ciò il soccorritore deve spostarsi velocemente vicino alla testa
dell’infortunato e, dopo averla sistemata in iperestensione (importante
perché l’aria fluisca), chiudere il naso con una mano, per evitare che esca
l’aria che viene insufflata (se non lo si fa l’operazione è inutile), e soffiare
due volte a fondo (la durata di ogni ventilazione è di circa un secondo)
proteggendosi, se possibile, con un fazzoletto per evitare il contatto diretto
tra le labbra. Tra un’insufflazione e l’altra è bene controllare che il torace e
l’addome si dilatino durante l’insufflazione per riabbassarsi
immediatamente dopo. Come abbiamo detto, il pericolo è che l’aria finisca
nello stomaco anziché nei polmoni rendendo inefficace la respirazione.
A questo punto il soccorritore deve continuare la manovra ricominciando
dalle compressioni. È consigliabile contare ad alta voce ogni compressione
per non perdere il conto e per mantenere il giusto ritmo.
ATTENZIONE! Prima di eseguire un massaggio cardiaco è necessario
essere certi dell’avvenuto arresto del cuore, altrimenti si possono
provocare dei danni molto seri.

Nei passaggi tra massaggi e insufflazioni, bisogna periodicamente


controllare che l’attività cardiaca non si sia ripristinata o che ci siano dei
segnali motori che indicano che l’infortunato si è ripreso. In tal caso
bisogna interrompere immediatamente il massaggio e controllare le funzioni
vitali dell’infortunato (polso e respirazione) sino all’arrivo dei soccorsi. Se
l’attività non si ripristina il massaggio va continuato senza interruzioni sino
all’arrivo dei soccorsi. Questa manovra è molto faticosa per chi la pratica,
soprattutto perché le insufflazioni incidono sulla normale respirazione,
perciò è difficile riuscire a protrarla per molto tempo ed è sempre preferibile
che ci siano due soccorritori a eseguirla.

ATTENZIONE! Le conseguenze di un errato posizionamento sul torace


o di un massaggio non eseguito correttamente possono causare delle
fratture costali (succede di frequente) e delle lesioni pleuro-polmonari,
spleniche o epatiche, oltre a determinare una manovra inefficace.

MASSAGGIO CARDIACO CON DUE SOCCORRITORI


Procedere come nel caso di un solo soccorritore con le seguenti differenze:
un soccorritore si posiziona vicino alla testa e si occupa delle insufflazioni.
L’altro si posiziona vicino al torace e si occupa delle compressioni.
Si comincia praticando 30 compressioni con lo stesso ritmo
precedentemente descritto (3 ogni 2 secondi), ed è necessario contare ad
alta voce ogni compressione, in modo che l’altro soccorritore che si occupa
delle insufflazioni prenda il giusto ritmo e sia coordinato e pronto a
immettere aria al termine del ciclo. Non bisogna mai effettuare
contemporaneamente insufflazione e compressione ma sempre alternando.
Quando è il suo turno l’altro soccorritore effettua 2 insufflazioni seguendo
le procedure descritte al punto precedente e alla voce “respirazione
artificiale” (iperestensione della testa, chiusura del naso, insufflazione della
durata di un secondo dopo aver posto un fazzoletto a protezione). Al
termine si ripete tutta l’operazione ripartendo dalle 30 compressioni
seguendo il ciclo 30/2.
Poiché queste manovre sono molto faticose, è bene che i due soccorritori si
alternino e si diano il cambio ogni 2 minuti. Il cambio deve essere veloce e,
anche in questo caso, concordato ad alta voce con l’altro. Per convenzione
si ruota sempre dalla parte della testa, nello scambiarsi le posizioni.
Naturalmente valgono le regole già espresse nel punto precedente: bisogna
ricordarsi di controllare periodicamente il polso per vedere se l’attività
cardiaca si è ripristinata e stare attenti a eventuali segnali motori o
respiratori che indicano la ripresa del paziente.
La rianimazione deve continuare fino all’arrivo del soccorso avanzato, fino
alla ricomparsa spontanea di segni di vita o fino all’esaurimento fisico dei
soccorritori

Figura 89.4 – Il massaggio cardiaco con due soccorritori

MASSAGGIO CARDIACO AI BAMBINI


Nel caso l’infortunato in arresto cardiaco sia un bambino, bisogna
premettere che le compressioni devono essere meno energiche. Per i neonati
e i bambini molto piccoli la compressione va effettuata soltanto con le dita,
vista la fragilità e l’elasticità delle loro ossa, altrimenti si procura uno
sfondamento del torace. Inoltre, poiché il ritmo del cuore è più veloce di
quello di un adulto (80/100 battiti al minuto invece di 60/70) anche il ritmo
del massaggio è bene sia un po’ più veloce. Bisogna insomma valutare l’età
e la corpulenza del bambino almeno fino agli 8 anni. A parte questo, un
soccorritore inesperto può procedere con lo stesso metodo e con lo stesso
rapporto di compressioni/insufflazioni dei casi precedenti (30/2), mentre per
i soccorritori professionisti o qualificati sono previsti dei protocolli
leggermente diversi.
PARTE
QUINTA
TEST DI
VERIFICA
90. TEST DI VERIFICA: IL CORPO UMANO

1 Quante pulsazioni si hanno, normalmente, in una persona adulta in


condizioni normali?
a. 80/90 al minuto.
b. 60/70 al minuto.
c. 30/40 al minuto.

2 Che cosa differenzia le vene dalle arterie?


a. Le arterie sono i vasi che trasportano il sangue dal cuore verso le
periferie. Il sangue scorre a fiotti a ogni contrazione del muscolo
cardiaco. Le vene trasportano il sangue dalle zone periferiche al cuore
in modo continuo, grazie alle numerose valvole “a nido di rondine”.
b. Le vene contengono il sangue ricco di ossigeno, di colore rosso vivo,
mentre le arterie trasportano il sangue ricco di anidride carbonica, di
colore più scuro.
c. Le arterie sono grossi vasi che trasportano il sangue dal cuore nei
punti vitali. Le vene sono un sistema di vasi più piccoli che irrorano
di sangue le zone periferiche. Per questo motivo le emorragie
arteriose sono molto più gravi di quelle venose e richiedono un
intervento molto urgente.

3 Cos’è la grande circolazione?


a. L’insieme dei vasi che portano il sangue dal cuore alla periferia e da
qui nuovamente al cuore.
b. L’insieme dei vasi arteriosi che trasportano il sangue dal cuore alle
zone periferiche.
c. L’insieme di vasi che trasportano il sangue dai polmoni al cuore e
viceversa.

4 Cos’è la piccola circolazione?


a. L’insieme dei vasi capillari che irrorano i tessuti periferici del corpo.
b. La circolazione del sistema linfatico, parallelo a quello del sangue,
ma che trasporta una minore quantità di liquidi.
c. L’insieme dei vasi che portano il sangue dal cuore ai polmoni e da qui
nuovamente al cuore.

5 Cosa succede negli alveoli polmonari?


a. Gli alveoli polmonari sono la sede della secrezione del liquido
pleurico che serve per permettere che le membrane pleuriche possano
scorrere senza attrito.
b. Gli alveoli polmonari sono gli organi deputati a filtrare l’aria
inspirata. Qui, attraverso complesse reazioni chimiche, in una prima
fase, viene separato l’ossigeno dall’azoto, dall’anidride carbonica e
dagli altri gas e successivamente viene trattenuto in apposite sacche,
mentre gli altri gas vengono espulsi.
c. Negli alveoli polmonari avviene lo scambio di ossigeno (O2) e
anidride carbonica (CO2) per opera dei globuli presenti nel sangue
che si caricano di ossigeno presente nell’aria inspirata rilasciando
anidride carbonica.

6 Come avviene l’inspirazione dell’aria?


a. Durante l’inspirazione, il diaframma si abbassa e la gabbia toracica si
espande, grazie ai muscoli intercostali che si contraggono. Questo
movimento richiama aria, proprio come in un mantice, e i polmoni si
espandono e se ne riempiono.
b. Durante l’inspirazione, i polmoni, che si comportano come due
spugne, si dilatano richiamando l’aria. A mano a mano che l’aria
entra, la gabbia toracica è costretta ad allargarsi, mentre il diaframma
si abbassa.
c. L’inspirazione avviene per un processo osmotico. Quando la
percentuale di ossigeno all’interno del corpo si abbassa oltre una certa
soglia, la pressione dell’aria esterna, più elevata, determina uno
spostamento di quella all’interno dei polmoni, attraverso le vie aeree.

7 Qual è la particolarità delle lesioni al sistema nervoso?


a. Il sistema nervoso è composto dai neuroni, cellule che al contrario
delle altre non hanno la capacità di riprodursi e di rigenerarsi. Ogni
trauma o patologia che determina la distruzione di neuroni produce
perciò dei danni irreversibili.
b. Il sistema nervoso, al contrario degli altri tessuti, è attraversato
costantemente da impulsi elettrici che trasportano energia vitale. Ogni
lesione, pertanto, provoca un’interruzione dell’energia vitale che
produce spesso dei danni irreversibili.
c. Le lesioni al sistema nervoso provocano un’interruzione degli stimoli
elettrici che dal cervello vanno alle zone periferiche. Fino a quando la
lesione nervosa non si rimargina e non si rigenera autonomamente,
perciò, si hanno delle anomalie funzionali.

8 A cosa servono i reni?


a. I reni servono alla produzione e all’espulsione dell’urina. Se si ha un
blocco renale, l’urina o non viene più prodotta, e perciò entra in
circolo nel sangue, oppure non viene più espulsa e in tal caso bisogna
ricorrere alla dialisi.
b. I reni, oltre alla produzione dell’urina, sintetizzano delle sostanze
indispensabili per il processo digestivo, come l’insulina, la
mioglobina e l’eparina.
c. La funzione dei reni è quella di filtrare il sangue e di depurarlo dalle
sostanze tossiche, dalle scorie e dall’eccesso di sali e di acqua che
vengono eliminati attraverso l’urina. Inoltre, i reni contribuiscono
alle trasformazioni chimiche di alcune sostanze che restituiscono al
sangue.
91. TEST DI VERIFICA: COSA FARE IN CASO
DI…

9 In caso di un attacco di angina è consigliabile:


a. Porre l’infortunato in posizione antishock, per favorire l’afflusso di
sangue al cervello.
b. Tenere l’infortunato in posizione semiseduta per agevolare la
respirazione ed evitare che compia sforzi o movimenti.
c. Porre l’infortunato in posizione laterale di sicurezza perché
l’eventuale vomito possa defluire.

10 Di fronte a un sospetto attacco di appendicite, in attesa del medico è


consigliabile:
a. rimanere a letto con una borsa fredda sull’addome.
b. Somministrare dei purganti per aiutarlo a liberare la pancia prima
della visita.
c. Assumere degli analgesici per placare il dolore.

11 Come si riconosce un arresto cardiaco?


a. Dal fatto che l’infortunato non respira.
b. Dall’assenza del polso, che è bene prendere sulla carotide.
c. Dalla temperatura del corpo freddo e rigido (rigor mortis), da un
colore violaceo in volto e sulle unghie e dalle pupille in stato di
miosi.

12 In caso di asfissia, se l’infortunato ha un arresto respiratorio:


a. Bisogna immediatamente procedere con la respirazione artificiale e il
massaggio cardiaco.
b. Bisogna immediatamente somministrare ossigeno ad alti dosaggi e
procedere con il massaggio cardiaco.
c. Bisogna immediatamente procedere con la respirazione artificiale.
13 In caso di assideramento:
a. Porre immediatamente l’assiderato a ridosso di una fonte di calore:
termosifoni, borse d’acqua calda, stufe. Somministrare bevande
alcoliche e molto calde.
b. riscaldare l’infortunato in modo graduale, con panni caldi e massaggi
per riattivare la circolazione. Somministrare caffè e bevande calde
con zucchero, ma non alcolici.
c. Porre l’assiderato in posizione antishock con una borsa d’acqua calda
sul capo. Evitare di coprire e scaldare mani e piedi. In questo modo il
sangue viene richiamato verso il cervello e gli organi vitali, invece di
disperdersi nelle zone periferiche.

14 In caso di ingestione di candeggina, acidi o benzina in attesa dei


soccorsi è consigliabile:
a. Procurare immediatamente il vomito per far espellere al più presto le
sostanze ingerite, prima che vengano assorbite.
b. Cercare di diluire le sostanze ingerite somministrando abbondante
caffè, eccitante, mescolato con il latte che ha una funzione lenitiva.
c. Evitare che l’infortunato vomiti, col rischio di danneggiare
ulteriormente le pareti dell’esofago e della bocca.

15 In caso di coliche renali è meglio:


a. In attesa del medico è consigliabile rimanere a riposo a letto, stesi su
un fianco, con una borsa d’acqua calda sulla parte dolente.
b. Chiamare immediatamente i soccorsi: è necessario intervenire
chirurgicamente con la massima urgenza.
c. In attesa del medico fare in modo che l’infortunato beva molti liquidi
gasati per evitare di andare incontro a un blocco renale.

16 In caso di colpo di calore è necessario:


a. Avvolgere in una coperta di lana l’infortunato in modo da mantenere
la temperatura corporea a circa 37 C°, isolandolo dall’ambiente
circostante più caldo. Evitare che beva mentre è sudato.
b. Porre l’infortunato in acqua molto fredda (vasca da bagno, piscina,
mare) e somministrargli bevande ghiacciate.
c. Condurre l’infortunato in un luogo fresco e ventilato, raffreddarlo con
impacchi di acqua fresca ma non troppo fredda e farlo bere.

17 In caso di coma è bene:


a. In attesa dei soccorsi somministrare ossigeno ad alti dosaggi o
procedere con la respirazione artificiale.
b. Chiamare immediatamente i soccorsi e porre l’infortunato in
posizione di sicurezza, slacciare gli indumenti che lo costringono,
coprirlo e controllare costantemente che le funzioni vitali siano
presenti.
c. Chiamare i soccorsi urgentemente e cercare di svegliare l’infortunato
con stimoli sonori, scossoni e stimoli fisici (pizzicotti o piccoli
schiaffi).

18 Cos’è una commozione cerebrale?


a. È un profondo stato di malinconia che spesso precede le crisi
isteriche.
b. Consiste in una perdita di conoscenza, generalmente transitoria e
reversibile, che non produce danni permanenti ma può degenerare in
coma.
c. È una lesione al cervello provocata o da un’emorragia o da
un’occlusione da parte di un trombo o di un embolo che si manifesta
generalmente con un’emiparesi.

19 In caso di congestione cerebrale è meglio:


a. In attesa dei soccorsi, porre l’infortunato in posizione antishock.
b. Coprire l’infortunato e tenerlo bene al caldo, somministrandogli
bevande calde, ma non alcoliche.
c. In attesa del medico è bene che l’infortunato stia seduto, con il capo
sollevato, con una borsa di ghiaccio in testa e qualcosa di caldo sui
piedi.

20 In caso di contusioni, ematomi o ecchimosi è preferibile:


a. Applicare degli impacchi di ghiaccio per indurre una vasocostrizione
ed eventualmente un bendaggio non stretto.
b. Medicare le parti contuse applicando dei cerotti, dopo aver bene
disinfettato le escoriazioni con l’alcol.
c. Applicare una fasciatura piuttosto stretta sulla parte contusa per
provocare una vasocostrizione.

21 Le convulsioni possono comparire:


a. Durante una crisi epilettica e in seguito a un’eccessiva febbre.
b. Durante uno stato di coma e nel caso di ictus.
c. Durante una crisi isterica e in caso di addominalgie acute.

22 In caso di crisi isterica è meglio:


a. Tentare di immobilizzare il soggetto per evitare che si ferisca a causa
delle forti convulsioni.
b. Isolare il soggetto dagli spettatori per demotivarlo nella sua
manifestazione. Trattenerlo in modo deciso e dimostrare
comprensione e fermezza.
c. Assestare un paio di schiaffi in faccia, con decisione ma senza
provocare dei traumi.

23 Se un soggetto diabetico ha una crisi e rischia di entrare in coma:


a. Bisogna somministrare urgentemente l’insulina, per abbassare il tasso
di zuccheri presenti nel sangue.
b. Poiché il coma diabetico o ipoglicemico è causato da un abuso di
insulina che abbassa il tasso degli zuccheri presenti nel sangue,
bisogna somministrare urgentemente dello zucchero.
c. Bisogna individuare immediatamente se si tratta di una crisi
ipoglicemica o iperglicemica, per somministrare rispettivamente
zuccheri o insulina.

24 In caso di forte diarrea:


a. È necessario bere più del solito per compensare la disidratazione e le
perdite dei liquidi.
b. Bisogna assolutamente evitare di bere, perché in queste condizioni i
liquidi non vengono assorbiti e la loro ingestione aumenta
l’evacuazione e il problema.
c. È consigliabile mangiare abbondantemente e bere poco: in questo
modo le feci divengono più consistenti e lo stimolo all’evacuazione
diminuisce.

25 Una distorsione è:
a. La momentanea fuoriuscita dalla sua sede articolare di un osso, che vi
rientra immediatamente dopo.
b. La fuoriuscita di un osso da un’articolazione.
c. Uno strappo o una contusione dei legamenti e dei tessuti muscolari,
per lo più causata da un evento traumatico.

26 In caso di edema polmonare acuto:


a. Chiamare immediatamente il medico per un ricovero in ospedale.
L’edema polmonare, infatti, è pericoloso perché degenera quasi
sempre in polmonite.
b. Distendere l’infortunato in posizione antishock, per agevolare
l’afflusso di sangue al cervello e condurlo in ospedale.
c. Tenere l’infortunato immobile in posizione semiseduta per agevolare
la respirazione. Chiamare urgentemente i soccorsi e somministrare
ossigeno ad alti dosaggi.

27 Cos’è l’ematemesi?
a. La fuoriuscita di sangue dall’orecchio o dal naso. Implica la presenza
di un’emorragia o una lesione a livello cranico.
b. La fuoriuscita di sangue dalla bocca con il vomito. Implica la
presenza di un’emorragia dello stomaco o dell’esofago.
c. La fuoriuscita di sangue dall’ano e dall’orifizio urinario. Implica la
presenza di un’emorragia intestinale o renale.

28 Cos’è l’ematuria?
a. La perdita di sangue dal naso in seguito a una rottura di capillari.
b. L’espulsione di sangue attraverso le urine, in seguito a un’emorragia
renale, della vescica o dell’uretra.
c. La fuoriuscita di sangue attraverso gli orifizi naturali – naso, bocca,
orecchie, sfinteri – in seguito a un’emorragia interna.

29 Cos’è l’embolia?
a. Un’ostruzione parziale o totale di un vaso sanguigno per opera di un
embolo solido, liquido o gassoso che produce disturbi circolatori
locali o generali.
b. Una malattia che colpisce frequentemente i sommozzatori che si
spingono a una profondità eccessiva, dove, a causa della pressione, si
verifica una rottura dei vasi sanguigni.
c. Un’occlusione degli alveoli polmonari per opera degli emboli, bolle
di ossigeno e anidride carbonica che in condizioni particolari non
riescono a essere espulsi attraverso la respirazione.

30 Nelle emorragie:
a. Il sangue esce in modo continuo se l’emorragia interessa i capillari, a
fiotti se è venosa o arteriosa.
b. Il sangue esce in modo continuo se l’emorragia è arteriosa, a fiotti se
è venosa.
c. Il sangue esce in modo continuo se l’emorragia è venosa, a fiotti se è
arteriosa.

31 Cos’è un’emorragia cerebrale?


a. Una rottura di un vaso sanguigno nella zona del cervello che può
avvenire per cause traumatiche o patologiche.
b. Una fuoriuscita di sangue dalla bocca, dall’orecchio o dal naso.
c. Una lesione del cervello che si esteriorizza per eventi traumatici.

32 Cos’è un’emorragia esteriorizzata?


a. Si definisce esteriorizzata un’emorragia che implica la fuoriuscita del
sangue all’esterno del corpo, per esempio in caso di ferite.
b. Si ha quando il sangue, raccolto in una cavità interna del corpo,
defluisce attraverso gli orifizi naturali.
c. È un’emorragia interna che si può individuare soltanto in base a segni
esteriori (pallore e debolezza) o attraverso esami medici sofisticati
(TAC, risonanza magnetica…).

33 Cos’è l’emottisi?
a. Un’emorragia esteriorizzata che consiste nella fuoriuscita di sangue di
colore rosso vivo e schiumoso dalla bocca attraverso colpi di tosse.
b. Il tamponamento di una ferita o di un’emorragia.
c. Una patologia dell’apparato renale e urinario.

34 In una crisi epilettica:


a. L’infortunato perde conoscenza e cade a terra, frequentemente in
preda alle crisi convulsive.
b. L’infortunato non perde mai coscienza, le convulsioni e le grida sono
di origine nervosa e psichica, non fisica.
c. L’infortunato è colpito da violenti dolori muscolari che gli provocano
movimenti spasmodici e il rischio di un arresto respiratorio.

35 Quando esce il sangue dal naso conviene:


a. rovesciare la testa all’indietro per arginare l’emorragia.
b. Tappare dall’interno la narice interessata con un batuffolo di cotone e
spingerlo verso l’alto.
c. Sedersi con la testa reclinata in avanti per far defluire il sangue e
comprimere esternamente la narice.

36 Cos’è l’iperpiressia?
a. Una patologia che consiste nell’eccessiva pressione arteriosa.
b. Un eccessivo sforzo e rigonfiamento della ghiandola tiroide.
c. Il termine scientifico per indicare la febbre.

37 In caso di ferite all’addome:


a. rimuovere immediatamente i corpi estranei, se sono ancora in sede, e
somministrare da bere all’infortunato che ha bisogno di rimpiazzare i
liquidi persi.
b. Non rimuovere i corpi estranei se sono in sede, ma fasciare la parte.
Non dare mai da bere all’infortunato anche se lo richiede
insistentemente.
c. Non rimuovere i corpi estranei se sono ancora in sede e
somministrare da bere all’infortunato che ha bisogno di rimpiazzare i
liquidi persi.

38 In caso di folgorazione:
a. Se l’infortunato è ancora attaccato alla fonte elettrica bisogna
immediatamente allontanarlo con una spinta rapida, decisa e forte.
b. Se l’infortunato è ancora attaccato alla fonte elettrica, bisogna
allontanarlo dopo essersi isolati con cattivi conduttori (guanti di lana,
stracci bagnati…) e servendosi di oggetti di legno o metallici (scope,
ombrelli…).
c. Se l’infortunato è ancora attaccato alla fonte elettrica, prima di
intervenire bisogna staccare la corrente.

39 In caso di frattura esposta:


a. Chiamare urgentemente i soccorsi e tentare rapidamente di far
rientrare la frattura tenendo in trazione la parte e cercando di
rimettere in asse i monconi che fuoriescono.
b. In attesa dei soccorsi coprire la ferita con teli sterili e porre
l’infortunato in posizione antishock, dopo aver immobilizzato la parte
fratturata per impedire i movimenti e le ulteriori lacerazioni.
c. Chiamare i soccorsi, non spostare l’infortunato. Fasciare la parte in
modo stretto utilizzando, bende sterili; se non si possiedono si
possono usare stracci o vestiti per arginare l’emorragia.

40 In caso di ictus:
a. In attesa dei soccorsi, sdraiare l’infortunato con il capo sollevato per
diminuire l’afflusso di sangue al cervello. Tenere sotto controllo le
funzioni vitali.
b. In attesa dei soccorsi porre immediatamente l’infortunato in posizione
antishock per irrorare il cervello. Tenere sotto controllo le funzioni
vitali.
c. In attesa dei soccorsi, se il paziente è ancora cosciente,
somministrargli bevande e liquidi. Se non è cosciente fare degli
impacchi freddi sui piedi.

41 Cos’è l’idrofobia?
a. Una patologia non contagiosa nota anche col nome di botulismo.
b. Un disturbo psichico che consiste nella paura di annegare nell’acqua.
c. Una malattia contagiosa nota anche col nome di rabbia.

42 In caso di sospetto infarto cardiaco:


a. In attesa dei soccorsi tranquillizzare l’infortunato, evitargli ogni
minimo sforzo, mantenerlo in posizione semiseduta, controllare
costantemente le funzioni vitali.
b. In attesa dei soccorsi, procedere immediatamente al massaggio
cardiaco e alla respirazione artificiale. Queste manovre sono efficaci
se iniziate subito.
c. In attesa dei soccorsi mantenere l’infortunato sdraiato a pancia in giù
e controllare in questo modo le funzioni vitali.

43 In caso di febbre molto alta (40 C°):


a. rimanere a letto, assumere degli antibiotici e chiamare il medico.
b. Assumere degli antipiretici, rimanere a letto ben coperti cercando di
sudare, e chiamare il medico.
c. In attesa di una visita medica abbassare la temperatura con antipiretici
e raffreddare la superficie del corpo scoprendosi e applicando
impacchi freschi.

44 Come si trasmette la leptospirosi?


a. Il virus della leptospirosi si trasmette per via aerea, il contagio
avviene come nella maggior parte dei virus influenzali.
b. Le leptospire vengono eliminate attraverso gli escrementi e le urine e
sono in grado di vivere a lungo in ambienti favorevoli come l’acqua.
Il contagio avviene attraverso il contatto con abrasioni della cute o
attraverso le mucose.
c. Il contagio e la trasmissione delle leptospire avviene attraverso il
morso di animali contagiosi.

45 In caso di lipotimia:
a. Fare rinvenire l’infortunato attraverso stimoli acustici (chiamarlo) e
fisici (scossoni e schiaffi). Per farlo riprendere si può anche fargli
annusare dell’aceto o bagnarlo con acqua fredda.
b. Porre l’infortunato in posizione antishock. Slacciare gli indumenti
che possono costringere, evitare che si alzi immediatamente non
appena si riprende.
c. Cercare di sollevare l’infortunato, sorreggerlo e metterlo in posizione
seduta. Non appena riprende i sensi fargli bere qualcosa di forte come
un superalcolico, ma non in grande quantità.

46 Cos’è una lussazione?


a. La lussazione si verifica quando, per un trauma o un falso
movimento, un capo articolare esce momentaneamente dalla sua
articolazione per ritornare al suo posto subito dopo.
b. La lussazione si verifica quando, per un trauma o un falso
movimento, un capo articolare esce dalla sua articolazione senza
tornare al suo posto.
c. La lussazione si verifica quando, per un trauma o un falso
movimento, un capo articolare esce dalla sua articolazione ledendo
muscoli e tendini. Talvolta il capo articolare ritorna nella sua sede,
talvolta rimane fuori.

47 Cos’è la melena?
a. La melena è un’emorragia esteriorizzata che consiste in una
fuoriuscita di sangue dall’ano insieme alle feci. Se il sangue fuoriesce
a zampilli la melena è arteriosa, se fuoriesce in modo continuo è
venosa.
b. La melena è un’emorragia esteriorizzata che consiste in una
fuoriuscita di sangue dall’ano insieme alle feci. L’aspetto del sangue è
di colore rosso vivo. La causa è un’emorragia presente nello stomaco,
nel duodeno, nell’intestino o nel retto.
c. La melena è un’emorragia esteriorizzata che consiste in una
fuoriuscita di sangue dall’ano insieme alle feci. L’aspetto del sangue è
di colore scuro. La causa è un’emorragia presente nello stomaco, nel
duodeno o nell’intestino.

48 Cos’è una metrorragia?


a. Un’emorragia esteriorizzata dalla vagina in seguito a lesioni o
patologia dell’apparato genitale femminile o maschile.
b. Un’emorragia esteriorizzata dalla vagina in seguito a lesioni o
patologia dell’apparato genitale femminile.
c. Un’emorragia esteriorizzata dalla vagina periodica che avviene ogni
28 giorni a meno che la donna non sia incinta o in menopausa.

49 In caso di morso di vipera a una mano è meglio:


a. Bloccare la circolazione venosa e linfatica del braccio e
dell’avambraccio con una fasciatura molto stretta o con un laccio
emostatico non troppo stretto al braccio.
b. Incidere la ferita a croce, succhiare per asportare il veleno e porre un
laccio emostatico sul braccio.
c. Spremere la ferita per far uscire il veleno e applicare un laccio
emostatico sull’avambraccio.

50 L’occlusione intestinale è:
a. Una patologia intestinale che nella fase acuta è molto grave.
b. Un disturbo abbastanza comune che si può risolvere con l’assunzione
di un purgante.
c. Una forma acuta di stitichezza che produce coliche e calcoli.

51 L’otorragia è:
a. Una grave infezione dell’apparato auricolare che si manifesta con
improvviso abbassamento dell’udito e vertigini.
b. Un’emorragia esteriorizzata che consiste nella fuoriuscita di sangue
dall’orecchio in seguito a traumi cranici o dell’orecchio stesso.
c. Un’ostruzione dei canali dell’orecchio per il cerume che se trascurata
degenera in otite.

52 In caso di palpitazioni:
a. In attesa dei soccorsi, somministrare ossigeno in alto dosaggio. Alle
palpitazioni spesso segue un attacco cardiaco.
b. Chiamare i soccorsi o recarsi urgentemente in ospedale per un
elettroencefalogramma.
c. Non bisogna farsi prendere dallo spavento, raramente questo
fenomeno è collegato a reali cardiopatie. Consultare un medico.

53 Se una donna sta partorendo:


a. Il soccorritore deve aiutare la madre a espellere il feto, comprimendo
l’addome della donna con una mano, mentre con l’altra deve tirare
verso l’esterno il capo del bambino.
b. Il soccorritore non deve cercare di estrarre il feto, né comprimere
l’addome della madre, limitandosi a sorreggere il capo e poi il corpo
del nascituro.
c. Il soccorritore deve attendere la fuoriuscita naturale del nascituro e
intervenire recidendo il cordone ombelicale appena possibile per
poter fare respirare il bambino.

54 In caso di perdita di coscienza:


a. Bisogna controllare le funzioni vitali e individuare le cause. In
generale è consigliabile porre l’infortunato in posizione antishock, a
meno che non si tratti di ictus o congestione cerebrale. Chiamare i
soccorsi.
b. Non cercare mai di far rinvenire l’infortunato che se si riprende
improvvisamente può entrare in stato di shock. Controllare le
funzioni vitali, chiamare i soccorsi e attendere che l’infortunato si
riprenda da sé.
c. In attesa dei soccorsi, slacciare gli indumenti che possono costringere,
porre l’infortunato in posizione semiseduta per agevolare la
respirazione e cercare di svegliarlo con pizzicotti e stimoli acustici.
55 Cos’è la peritonite?
a. La fase acuta dell’appendicite che, quando diventa peritonite, deve
essere operata e non più curata con farmaci.
b. Un’infiammazione del peritoneo che degenera facilmente in
appendicite, se non è curata o operata in modo tempestivo.
c. L’infiammazione acuta del peritoneo, la membrana che avvolge gli
organi dell’addome.

56 In caso di una puntura di vespa sulla lingua è meglio:


a. Tamponare con un batuffolo imbevuto di limone o di aceto e
consultare il medico.
b. Lavare la parte con acqua e sapone, disinfettare con l’acqua
ossigenata (mai con l’alcol) e recarsi urgentemente al pronto
soccorso.
c. Porre sulla base della lingua il manico di un cucchiaino o un
bastoncino di legno per agevolare la respirazione e recarsi in pronto
soccorso.

57 Come si trasmette la rabbia?


a. La rabbia si trasmette attraverso il morso di un animale infetto.
Tuttavia, anche la carne di un animale infetto, se per mancanza di
controlli viene ingerita, può far insorgere la malattia nell’uomo.
b. Solitamente il contagio avviene attraverso il morso di un animale. Il
virus è presente nella saliva e viene trasmesso attraverso il contatto
con il sangue. Ma anche le mucose – per esempio gli occhi o la bocca
– possono costituire un ingresso del virus.
c. La rabbia si trasmette all’uomo essenzialmente attraverso il contatto
con gli escrementi degli animali infetti. Il virus, in ambienti
favorevoli come l’acqua, trova terreno fertile e si moltiplica. È perciò
sconsigliabile fare bagni nei laghi e negli stagni se si hanno delle
ferite.

58 Cosa determina uno stato di shock?


a. Lo shock è uno stato di prostrazione che insorge in seguito a un
trauma psichico o a un grave spavento. Se non curato
tempestivamente può degenerare in shock anafilattico.
b. Lo shock può essere causato da una reazione ai farmaci antistaminici
(shock anafilattico) oppure da un improvviso calo della pressione
venosa per cause patologiche.
c. Lo shock si può verificare per un’emorragia, per un’improvvisa
vasodilatazione che fa calare la pressione e l’irrorazione sanguigna,
per una diminuzione della gittata cardiaca, per una grave reazione
allergica (shock anafilattico).

59 Cos’è una sincope?


a. L’improvvisa e totale perdita di coscienza con arresto del respiro e del
cuore.
b. Il più diffuso sintomo di un imminente infarto miocardico.
c. Uno svenimento improvviso che avviene per improvvisi traumi
emotivi o per cause patologiche.

60 Una persona ha un braccio schiacciato sotto un grave peso:


a. Il soccorritore deve immediatamente rimuovere il peso che costringe
l’infortunato e, valutata la gravità delle ferite, se l’emorragia è
incontenibile deve apporre subito un laccio emostatico. Altrimenti è
meglio evitare: il laccio dopo 30 minuti provoca la necrosi dei tessuti.
b. Il soccorritore, prima di rimuovere l’infortunato, deve applicare un
laccio emostatico al braccio, per evitare che la rimozione provochi
un’imponente emorragia e per evitare che la mioglobina vada in
circolo.
c. Il soccorritore non deve mai mettere il laccio emostatico. In caso di
schiacciamento i tessuti sono già stati compressi a lungo e bisogna al
contrario favorire la circolazione.

61 Per evitare il tetano:


a. Poiché la vaccinazione e il siero presentano notevoli rischi ed effetti
collaterali è bene, in caso di ferite profonde, tenere sotto controllo la
parte per almeno due mesi. Se durante questo periodo si dovessero
presentare i classici segni dell’insorgenza dell’infezione, si farà
sempre in tempo a inoculare il vaccino.
b. In caso di ferite profonde, soprattutto se provocate da oggetti sporchi,
terrosi o arrugginiti è importante la prevenzione dell’infezione
attraverso il vaccino o il siero che va inoculato nell’organismo entro
le 24 ore dal ferimento.
c. Nelle sei ore successive alla ferita, se si manifestano febbre, spasmi e
convulsioni, l’infortunato va immediatamente portato al pronto
soccorso per il vaccino.

62 Se un trauma cranico provoca una lesione al cervello:


a. In presenza di una lesione al cervello, permanente o reversibile,
l’infortunato presenta sempre anisocoria, cioè asimmetria dei diametri
pupillari.
b. In presenza di una lesione al cervello l’infortunato vomita e presenta
un’emiplegia: paralisi parziale o totale di una metà del corpo.
c. L’infortunato perde coscienza e, quando si riprende, non riesce a
parlare (afasia).

63 In caso di ustioni:
a. Poiché il calore uccide tutti i batteri, le ustioni, difficilmente sono
soggette a infezioni. Per questo non bisogna mai disinfettare
un’ustione con l’alcol.
b. Sono molto soggette alle infezioni. Bisogna sempre ricoprire la parte
con appositi teli e garze sterili e, se si manifestano le classiche bolle,
non bisogna mai bucarle.
c. Le ustioni vanno medicate con garze sterili. Quando,
successivamente, si manifestano le classiche bolle bisogna
tempestivamente bucarle per far uscire il siero.

64 Cos’è una lipotimia?


a. Una patologia virale che colpisce la cistifellea.
b. Una forma benigna di leucemia che coinvolge il sistema linfatico.
c. Una perdita di coscienza causata da una cattiva irrorazione (e quindi
ossigenazione) cerebrale per calo della pressione arteriosa.

65 Davanti a un incidente stradale o a un malore in strada, per legge:


a. Il cittadino ha l’obbligo di intervenire avvisando le autorità
competenti, altrimenti incorre nel reato di omissione di soccorso.
b. Il cittadino ha l’obbligo di intervenire direttamente con manovre di
soccorso e di assistenza, altrimenti incorre nel reato di omissione di
soccorso.
c. Il cittadino per non incorrere nel reato di omissione di soccorso ha
l’obbligo di intervenire soltanto se ha provocato l’incidente.
92. TEST DI VERIFICA: LE TECNICHE DI
PRIMO SOCCORSO

66 In caso di un’incontenibile emorragia al polso:


a. Applicare un laccio emostatico al braccio.
b. Applicare un laccio emostatico sotto al polso, verso la mano.
c. Applicare un laccio emostatico all’avambraccio.

67 Il massaggio cardiaco:
a. Se l’infortunato presenta anche un arresto respiratorio deve essere
intervallato dalla respirazione artificiale, altrimenti no.
b. Deve essere sempre intervallato dalla respirazione artificiale.
c. Non deve mai essere intervallato dalla respirazione artificiale.

68 La respirazione bocca a bocca:


a. Deve essere effettuata con 15/20 insufflazioni al minuto.
b. Deve essere effettuata con 30/40 insufflazioni al minuto.
c. Deve essere effettuata con 50/60 insufflazioni al minuto.

69 La respirazione artificiale:
a. Deve essere sempre intervallata dal massaggio cardiaco.
b. Non deve mai essere intervallata dal massaggio cardiaco.
c. Se l’infortunato presenta anche un arresto cardiaco deve essere
intervallata dal massaggio cardiaco, altrimenti no.

70 La manovra di heimlich è:
a. Una tecnica per l’estrazione rapida del nascituro durante il parto
mediante taglio cesareo.
b. Una tecnica di respirazione artificiale che prevede delle compressioni
della gabbia toracica e dei movimenti degli arti superiori.
c. Una tecnica per liberare le vie aeree ostruite da un corpo estraneo che
consiste in una violenta compressione alla bocca dello stomaco.

71 Per trasportare un sospetto infartuato per le scale è bene:


a. Se l’infortunato è cosciente, farlo scendere con le sue gambe, molto
lentamente e sostenendolo, per agevolare la circolazione sanguigna.
b. Se l’infortunato è cosciente, trasportarlo utilizzando una sedia da
cucina.
c. Se l’infortunato è cosciente, trasportarlo tenendolo sdraiato,
utilizzando un telo o una barella, che si possono improvvisare con un
piano rigido, una scala o una coperta.

72 La posizione laterale di sicurezza è utile:


a. Quando l’infortunato è incosciente.
b. Quando l’infortunato è cosciente.
c. Quando l’infortunato presenta delle lesioni alla colonna vertebrale.

73 In quale caso bisogna evitare la posizione antishock?


a. Se l’infortunato ha perso i sensi.
b. Se l’infortunato ha una grave emorragia a una gamba.
c. Se l’infortunato ha un ictus, un’emorragia alla testa o una congestione
celebrale.

74 Perché la frattura alla colonna vertebrale è molto pericolosa?


a. Perché, data la vicinanza con il cuore, si rischia che i frammenti delle
ossa possano ferirlo o che le schegge possano entrare in circolo con il
sangue creando emboli e trombi.
b. Perché se viene leso il midollo spinale si va incontro a un danno
irreversibile, che può portare alla paralisi o alla morte.
c. Perché la colonna vertebrale, al contrario delle ossa degli arti, non
può venire ingessata e fatica molto a calcificare.

75 Nel massaggio cardiaco, quante compressioni bisogna effettuare al


minuto?
a. 100, tre ogni due secondi.
b. 60/70, come i battiti del cuore in condizioni normali.
c. 30, una ogni due secondi.
93. SOLUZIONI AI TEST DI VERIFICA

IL CORPO UMANO
1B
2A
3A
4C
5C
6A
7A
8C

COSA FARE IN CASO DI…


9B
10 A
11 B
12 C
13 B
14 C
15 A
16 C
17 B
18 B
19 C
20 A
21 A
22 B
23 C
24 A
25 A
26 C
27 B
28 B
29 A
30 C
31 A
32 B
33 A
34 A
35 C
36 C
37 B
38 C
39 B
40 A
41 C
42 A
43 C
44 B
45 B
46 B
47 C
48 B
49 A
50 A
51 B
52 C
53 B
54 A
55 C
56 C
57 B
58 C
59 A
60 B
61 B
62 A
63 B
64 C
65 A

LE TECNICHE DI PRIMO SOCCORSO


66 A
67 B
68 A
69 C
70 C
71 B
72 A
73 C
74 B
75 A
APPENDICI
COSA METTERE NELLA CASSETTA DEL
PRONTO SOCCORSO

Per quanto riguarda il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, all’interno del
quale è confluita la legge 626 del 1994, può essere utile dare uno sguardo
alle disposizioni che regolamentano il contenuto minimo della cassetta di
pronto soccorso e del pacchetto di medicazione che devono essere presenti
nelle aziende, a seconda delle tipologie in cui la legge le classifica.
Di seguito riportiamo gli allegati 1 e 2 del Regolamento recante disposizioni
sul pronto soccorso aziendale, in attuazione dell’articolo 15, comma 3, del
decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 e successive modificazioni,
tratto dalla Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3 Febbraio 2004 (Ministero della
Salute, decreto 15 luglio 2003, n. 388).

CONTENUTO MINIMO DELLA CASSETTA DI


PRONTO SOCCORSO
Guanti sterili monouso (5 paia)
Visiera paraschizzi
Un flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio
da 1 litro
Flaconi di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0,9%) da 500 ml (3)
Compresse di garza sterile 10x10 in buste singole (10)
Compresse di garza sterile 18x40 in buste singole (2)
Teli sterili monouso (2)
Pinzette da medicazione sterili monouso (2)
Una confezione di rete elastica di misura media
Una confezione di cotone idrofilo
Confezioni di cerotti di varie misure pronti all’uso (2)
Rotoli di cerotto alto cm 2,5 (2)
Un paio di forbici
Lacci emostatici (3)
Confezioni di ghiaccio pronto uso (2)
Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari (2)
Termometro
Apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa

CONTENUTO MINIMO DEL PACCHETTO DI


MEDICAZIONE
Guanti sterili monouso (2 paia)
Un flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio
da 125 ml
Un flacone di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0,9%) da 250 ml
Compresse di garza sterile 10x10 in buste singole (3)
Compresse di garza sterile 18x40 in buste singole (1)
Pinzette da medicazione sterili monouso
Una confezione di cotone idrofilo
Una confezione di cerotti di varie misure pronti all’uso
Un rotolo di cerotto alto cm 2,5
Un rotolo di benda orlata alta cm 10
Un paio di forbici
Un laccio emostatico
Una confezione di ghiaccio pronto uso
Un sacchetto monouso per la raccolta di rifiuti sanitari
Istruzioni sul modo di usare i presidi suddetti e di prestare i primi
soccorsi in attesa del servizio di emergenza
COSA FARE IN CASO DI TERREMOTO

L’Italia presenta molte zone ad alto rischio sismico, anche se la pericolosità


dei terremoti è legata soprattutto al modo in cui gli edifici sono stati
costruiti, più che all’effettiva forza dell’evento. Basti pensare che Paesi
come il Giappone, in cui i terremoti sono all’ordine del giorno, resistono a
scosse di gran lunga più intense rispetto a quelle che hanno colpito L’Aquila
(2009) e l’Emilia-Romagna (2012), riportando meno danni a cose e
persone. Questo accade perché gli edifici sono costruiti in modo da
sopportare eventi sismici che nel nostro Paese sarebbero a dir poco
catastrofici.

Prevenzione. Non è possibile prevedere dove e quando si può manifestare


un terremoto. Esiste una classificazione delle zone a rischio e, a seconda del
territorio, è sempre bene informarsi su quali misure siano previste in caso di
emergenza.
Ci sono degli accorgimenti che si possono mettere in pratica per una
maggiore sicurezza. Nell’arredare una casa, per esempio, è sempre meglio
fissare al muro gli arredi più pesanti e alti, come le librerie, ed evitare di
tenere oggetti di un certo peso sugli scaffali perché potrebbero cadere. È
anche importante sapere dove si trovano i rubinetti di gas e acqua e i
contatori della luce per poterli chiudere rapidamente in caso di emergenza.

Durante un terremoto. Se si è in un luogo chiuso bisogna cercare di


mettersi al riparo da eventuali crolli, per esempio riparandosi sotto un
tavolo, un letto o nel vano di una porta di un muro portante (i più solidi). È
importante stare lontani da finestre, vetri o mobili che potrebbero cadere.
Durante la scossa è bene evitare di precipitarsi per le scale per fuggire,
spesso sono le strutture più fragili di un edificio e sono più soggette ai
crolli. In ogni caso non si deve mai prendere l’ascensore che può rimanere
bloccato, anche a causa delle interruzioni di corrente elettrica. La cosa
migliore è attendere la fine della scossa in un luogo il più possibile sicuro e,
in caso di crolli e danni, abbandonare lo stabile subito dopo. Dopo la prima
scossa, infatti, se ne possono succedere molte altre che – anche se lo sciame
sismico di assestamento è solitamente di un’intensità minore – possono
amplificare i danni alle strutture e determinare anche in un secondo
momento crolli importanti di edifici che in un primo tempo avevano
resistito.
Prima di abbandonare l’abitazione è bene chiudere i contatori della luce e i
rubinetti di gas e acqua, in modo da prevenire corto circuiti, fughe di gas e
allagamenti.

ATTENZIONE! È consigliabile iniziare l’evacuazione solo dopo aver


indossato gli abiti adeguati: meglio evitare di scappare precipitosamente
in pigiama in pieno inverno. E calzare delle scarpe robuste: cocci, vetri
e crolli rendono i percorsi insidiosi.

Se ci si trova in automobile, la cosa migliore è rallentare e dirigersi verso


uno spazio aperto allontanandosi il più possibile da edifici, ponti, linee
elettriche e tutto ciò che potrebbe crollare.
La stessa cosa vale anche se si è a piedi, cercando di evitare i terreni
franosi, i margini degli strapiombi e le zone sottostanti a questi.
COSA FARE IN CASO DI ERUZIONE
VULCANICA

Prevenzione. L’Etna e il Vesuvio, ma anche altre realtà vulcaniche


concentrate soprattutto nell’Italia meridionale, interessano un’enorme fascia
di abitanti e di edifici esposti a rischio, in caso di eruzioni. Chi vive in
queste zone deve essere ben informato sui piani di emergenza previsti dal
proprio comune in modo da seguirli per l’eventuale evacuazione; inoltre
deve rispettare i comportamenti indicati dalle autorità di protezione civile.

Durante un’eruzione. È sempre fondamentale tenersi lontani dalle colate


di lava che, anche se scorrono lentamente, possono sprigionare gas tossici o
dare luogo a improvvise esplosioni di materiale incandescente. In caso di
colate piroclastiche bisogna prepararsi ad abbandonare le aree dove è
previsto che la lava possa arrivare distruggendo ogni cosa.
Quando l’eruzione presenta le cosiddette “bombe vulcaniche”, ovvero
l’espulsione violenta di masse incandescenti a grandi distanze, rimanere
negli edifici non costituisce un rifugio sicuro. Non resta che prepararsi
all’evacuazione seguendo i piani di emergenza.

ATTENZIONE! Poiché durante i momenti di crisi spesso si diffondono


informazioni distorte e fuorvianti, è sempre necessario seguire le
indicazioni che vengono diramate dalla protezione civile attraverso
televisione, radio, Internet o gli appositi numeri verdi. In caso di
eruzione bisogna sempre rispettare i divieti di accesso alle aree
interessate.

Bisogna anche tenere presente il pericolo delle emissioni gassose che


possono interessare le aree colpite o le vicinanze dei crateri. L’anidride
carbonica è un gas inodore più pesante dell’aria, quindi può saturare
l’ambiente e, in grandi concentrazioni, risultare letale.
La caduta di ceneri vulcaniche che si è registrata più volte per esempio nella
zona di Catania durante le ultime eruzioni è un fenomeno meno
preoccupante che non costituisce un’emergenza. Tuttavia, quando si
manifesta per periodi prolungati, bisogna tenere presente che può provocare
dei disturbi all’apparato respiratorio, anche se moderati, o delle irritazioni
agli occhi. Meglio prendere delle precauzioni, soprattutto per chi è affetto
da patologie croniche dell’apparato respiratorio (dall’asma all’enfisema) e
nel caso di anziani e bambini: rimanere in casa con porte e finestre chiuse;
quando si esce all’aperto meglio proteggersi con apposite mascherine e
occhiali che trattengono le polveri. In caso di contatto delle ceneri con gli
occhi bisogna lavarli abbondantemente con l’acqua, evitando di strofinarli
con il rischio di procurarsi abrasioni della cornea. Anche frutta, verdura e
altri alimenti esposti all’aria dovranno essere lavati con cura.
Infine, è bene cercare di rimuovere le ceneri che si accumulano sui tetti, per
evitare sovraccarichi che possono provocare crolli senza però disperderle
per strada: tornerebbero in circolo nell’aria. Bisogna invece metterle in
sacchetti sigillati che si dovranno depositare negli appositi punti di raccolta
indicati dalle amministrazioni locali.
COSA FARE IN CASO DI INCENDIO

Prevenzione. Da qualche decennio, da quando la presenza degli estintori


nei luoghi di lavoro e pubblici è stata resa obbligatoria per legge, il numero
degli incendi domestici è decisamente diminuito. La tempestività per evitare
la propagazione del fuoco è infatti importantissima.
Per quanto riguarda gli incendi all’interno degli edifici la prevenzione è
fondamentale. Bisogna per esempio fare attenzione alle prese elettriche che,
oltre a essere a norma, devono sempre essere sgombre da materiali
infiammabili nelle vicinanze, per esempio pile di giornali o libri che
possono incendiarsi anche con una scintilla.
Nel caso degli incendi boschivi, è risaputo che è pericoloso gettare
mozziconi di sigaretta o fiammiferi ancora accesi, accendere fuochi fuori
dalle aree attrezzate o bruciare sterpaglie. Ma anche parcheggiare
un’automobile con la marmitta calda sopra l’erba alta può sviluppare
incendi.
In caso di avvistamento di un incendio è sempre necessario segnalarlo ai
Vigili del Fuoco, al numero 115, in modo tempestivo.

Durante un incendio. All’interno di un edificio è sempre importante


arginare il fuoco da subito, prima che si propaghi, utilizzando estintori,
soffocandolo con coperte e cercando di isolarlo allontanando dalle fiamme
tutti i materiali che possono facilmente incendiarsi.

ATTENZIONE! Non bisogna mai usare dell’acqua per spegnere un


incendio che interessa delle apparecchiature elettriche: si rischia la
folgorazione.

È poi indispensabile chiudere immediatamente i rubinetti del gas, per


evitare esplosioni, e staccare la corrente elettrica.
Se l’incendio si è ormai propagato e non è arginabile, bisogna fuggire e
mettersi al sicuro. In caso di evacuazione non si devono mai utilizzare gli
ascensori e le scale, bensì usare quelle antincendio o, se possibile, calarsi
dalle finestre. Nell’attraversare i locali, bisogna fare estremamente
attenzione al fumo, che spesso porta al soffocamento ed è la principale
causa di morte, più che al fuoco vero e proprio. La combustione di sostanze
plastiche e degli oggetti quotidiani, infatti, produce un fumo denso e tossico
che limita anche la visibilità. In questi casi ci si può allontanare a carponi
così, visto che il fumo caldo tende verso l’alto, sarà più facile respirare. E
nell’attraversare locali in fiamme bisogna avvolgersi in coperte bagnate per
proteggersi il più possibile.
È importante chiudere le porte di ogni locale, per isolare al meglio le zone
interessate e rallentare la propagazione delle fiamme. Aprire le porte è
sempre pericoloso: possono creare delle improvvise fiammate, correnti e
colonne di fumo.

ATTENZIONE! Se una maniglia è molto calda, significa che nella


stanza adiacente l’incendio si è già sviluppato. In questo caso è
necessario usare la massima circospezione.

Se le uscite sono bloccate bisogna attendere i soccorsi per esempio


rifugiandosi in bagno, dove l’acqua abbonda, coprendosi il viso e il corpo
con stracci bagnati e cercando di tappare tutte le fessure da cui può entrare
il fumo.
In caso di incendi boschivi, le fiamme, oltre a vedersi, si avvertono
dall’odore. Anche in questo caso la segnalazione ai Vigili del Fuoco o al
Corpo forestale (il 1515 è il numero per ogni emergenza ambientale) deve
essere tempestiva. Se si viene coinvolti da un incendio boschivo, il
comportamento migliore è quello di allontanarsi rapidamente andando nella
direzione controvento. Se non ci sono alternative, meglio attraversare il
fuoco dove è meno intenso e passare sulla parte già bruciata.
COSA FARE IN CASO DI DISASTRI
IDROGEOLOGICI

Nel nostro Paese capitano di frequente emergenze legate a frane, valanghe,


alluvioni, inondazioni e disastri idrogeologici. Alcune di queste catastrofi,
per esempio le tracimazioni di fiumi nei periodi di piogge e piene, sono
prevedibili e previste: in tal caso bisogna attenersi ai piani di emergenza
comunicati dai media e dai numeri verdi predisposti. Altre volte possono
accadere del tutto improvvisamente.

Alluvioni e inondazioni. Nel caso di preallarme, oltre a seguire le


indicazioni delle autorità competenti, è bene cercare di mettere in sicurezza
tutto ciò che può deteriorarsi nell’eventualità di un allagamento. Chi abita ai
piani alti può prepararsi a ospitare chi si trova a quelli sottostanti. Anche in
questo caso, è importante predisporsi a staccare tutti gli impianti elettrici
che, a contatto con l’acqua, possono causare corto circuiti e folgorazioni.
Durante e dopo le alluvioni, le strade si possono trasformare in veri e propri
torrenti in piena che trasportano detriti pericolosi e trascinano via ogni cosa.
È necessario mettersi al riparo.

Frane. Le frane avvengono spesso in modo repentino, come le colate di


fango. Durante piogge violente e temporali è meglio evitare di transitare in
zone che in passato sono già state sottoposte a movimenti del terreno.
Davanti a una frana che sta sopraggiungendo è consigliabile allontanarsi il
più velocemente possibile e cercare di raggiungere un luogo più elevato. Gli
edifici e le mura non riescono ad arginarne la forza distruttiva. Se non è
possibile fuggire, l’unica alternativa è rannicchiarsi proteggendosi la testa.
Dopo una frana bisogna fare attenzione ai crolli, alle fughe di gas e alla
rottura di linee elettriche.

Valanghe. Durante una valanga la neve tende ad accumularsi nella zona


centrale ed è consigliabile tentare una via di fuga laterale. Se si viene
travolti bisogna cercare di mantenere uno spazio libero davanti al petto e,
nel tentativo di avvicinarsi al margine della valanga, si può provare a
muovere braccia e gambe come se si nuotasse, per restare il più possibile in
superficie.
Circa l’autore
Antonio Zoppetti ha una lunga esperienza come divulgatore. È autore
multimediale, di libri di saggistica e di narrativa e di numerose
pubblicazioni enciclopediche, digitali e su web. Ha inoltre alle spalle molti
anni di volontariato come soccorritore.

Potrebbero piacerti anche