ASH
Una storia segreta
(Ash, a Secret History, 1999)
A Richard Evans
Dottor Pierce Ratcliff, ASH, LA VECCHIA STORIA DELLA
BORGOGNA. JJJJJJ University Press, 2001. Rarissimo.
Si accettano offerte di acquisto serie.
ASH
La vecchia storia della Borgogna
Pierce Ratcliff
PROLOGO
C. AD 1465-1467[?]
II
La piccola Ash era intenta ad applaudire i mimi insieme agli altri bam-
bini del campo. Era seduta a terra con la schiena appoggiata a un albero
spoglio e alcune pellicce sotto il sedere per proteggersi dal freddo.
Gli sfregi non stavano guarendo bene e spiccavano rossi contro il pallore
della pelle. Il fiato si condensava in grosse nuvole ogni volta che urlava. Il
Grande Wyrm (un uomo con il volto celato da un teschio di cavallo e la
schiena coperta da una pelle marrone chiaro sempre di cavallo) entrò ram-
pando sul palco. La coda del cavallo, che era stata lasciata attaccata alla
pelle, frustò la gelida aria del pomeriggio. Il Cavaliere della Desolazione
(interpretato da uno dei sergenti della compagnia con indosso la sua arma-
tura migliore) compì un largo affondo con la lancia.
«Uccidilo» urlò Crow, una ragazzina della compagnia.
«Piantagliela nel sedere!» sbraitò Ash. I bambini intorno a lei comincia-
rono a ridere rumorosamente pronunciando frasi colme di scherno.
Richard, un ragazzino dai capelli neri con una macchia color porto sul
viso, sussurrò: «Deve morire. Ho sentito dire dal capitano che il Leone è
nato.»
La frase interruppe il torrente di volgarità che stava uscendo dalla bocca
di Ash. «Dov'è nato? Quando gliel'hai sentito dire, Richard?»
«A metà mattina, quando ho portato l'acqua alla sua tenda» rispose or-
goglioso il ragazzino.
Anche se non lo era veramente, Richard aveva provato a farle notare il
suo status di paggio, ma Ash lo ignorò, appoggiò il naso sui pugni chiusi e
soffiò sulle dita gelate. Il Wyrm e il sergente duellavano con ardore per
non sentire il freddo. Ash si alzò in piedi e si sfregò con vigore le natiche
intorpidite.
«Dove vai, Ashy?» le chiese il ragazzino.
«Vado a prendere l'acqua» gli rispose Ash, in tono altezzoso. «Non puoi
venire con me.»
«Dai, fammi venire!»
«Non sei abbastanza grande» sentenziò Ash, quindi si fece strada tra la
piccola folla di bambini, capre e cani.
Le nuvole erano basse e avevano lo stesso colore del peltro. Dal fiume si
stava levando una nebbia biancastra. Se avesse nevicato, la temperatura si
sarebbe alzata. Ash si incamminò silenziosamente verso le case abbando-
nate (un tempo dovevano essere state parte di una fattoria) che gli ufficiali
della compagnia avevano scelto come quartiere generale. I soldati avevano
eretto le loro tende da campo davanti agli edifici e passavano gran parte
delle giornate intorno ai fuochi con il viso rivolto alla fiamma e la schiena
al gelo. La ragazzina passò alle loro spalle senza farsi notare.
Aggirò la fattoria, sentì che gli ufficiali stavano per uscire e si acquattò
dietro un barile dal cui bordo spuntava un blocco di acqua piovana gelata
alto più di una spanna.
«... e andateci a piedi» finì di dire il capitano, quindi, accompagnato dal
prete e da due tenenti che, come Ash aveva sentito dire, si vantavano di
avere origini nobili, cominciò ad attraversare il cortile.
Il capitano indossava l'armatura completa. Il piastrone gli proteggeva il
tronco e le spalle, le piastre e i guanti gli avvolgevano le braccia e le mani,
mentre gli schinieri gli coprivano le gambe e gli stivali. Portava il suo ar-
met4 sotto il braccio. La luce dell'inverno conferiva al metallo dell'armatu-
ra un colore biancastro. Forse è per questo che la chiamano l'armatura
bianca, pensò Ash. L'unico altro colore che spiccava sul bianco era il rosso
della barba e del fodero in cuoio.
Ash si inginocchiò appoggiando le dita contro le doghe gelate del barile.
4
Elmo aderente al volto.
Il clangore metallico delle armature echeggiava nell'aria ricordandole il
rumore di un carro cucina che si ribalta.
Voleva una di quelle armature, anche lei voleva camminare sentendosi
invulnerabile, portando sulle spalle il peso di tutta la ricchezza rappresen-
tata da uno di quegli oggetti. E fu proprio quel desiderio più che la curiosi-
tà a spingerla ad andare dietro agli ufficiali. Si mise a correre in preda a
una sorta di meraviglia.
Il cielo si ingiallì. Qualche sporadico fiocco di neve cominciò a fluttuare
nell'aria posandosi sui suoi capelli, ma la bambina non ci fece caso. Aveva
le orecchie e il naso arrossati, mentre le dita delle mani e dei piedi comin-
ciavano ad assumere un colorito bluastro e porpora. Il fatto non la preoc-
cupò, perché ci era abituata. Aveva imparato a sopportare il freddo e non si
prese neanche il disturbo di chiudere la giubba.
I quattro uomini continuavano a camminare senza dire una parola. Ash
approfittò del fatto che il capitano si fosse fermato per un attimo a parlare
con le guardie per superarli senza farsi notare.
Si chiese come mai gli ufficiali non avessero preso i cavalli e quando li
vide arrivare in cima alla salita che portava al limitare del bosco capì il
motivo di tale scelta. Il terreno era coperto di grossi cespugli, felci, rovi e
strati e strati di detriti che avrebbero fermato anche un cavallo da guerra.
I tre ufficiali si fermarono e infilarono l'elmo tenendo alta la ventaglia5 .
Il cappellano, l'unico dei quattro privo di corazza, si fece da parte. Uno dei
due luogotenenti estrasse la spada, ma il capitano scosse la testa e un atti-
mo dopo il suono di una lama che veniva rinfoderata echeggiò nell'aria.
Il bosco era silenzioso.
I tre ufficiali si girarono verso il cappellano dal volto arrossato. Il reli-
gioso indossava un cappello da guerra6 imbottito di velluto. Ash si avvici-
nò ulteriormente.
Il cappellano si inoltrò nel bosco con passo sicuro.
Ash non aveva prestato molta attenzione alla valle. Il fiume era pulito e
la fattoria era abbandonata, non c'era posto migliore per far svernare la
compagnia. Cos'altro avrebbe dovuto sapere? Le foreste spoglie che rico-
privano le colline non offrivano nessun tipo di distrazione. Quale altro
motivo l'avrebbe potuta spingere ad abbandonare il calore dei fuochi da
campo se non la caccia?
5
La celata degli elmi medievali (N.d.T.).
6
Un elmetto d'acciaio a tesa larga identico al 'Tommy' che gli Inglesi
portavano durante la prima guerra mondiale.
Qual era il motivo che aveva spinto quei quattro uomini ad andare fin
lassù?
Ash rifletté per qualche minuto, quindi decise che ci doveva essere un
sentiero. Sia i rovi che le felci non erano cresciuti abbastanza per nascon-
derla il che faceva supporre che quel bosco fosse stato battuto fino a poche
stagioni prima.
Gli ufficiali camminavano imperterriti tra i rovi. «Sangue di Dio!» im-
precò il più basso dei due tenenti, per poi zittirsi nell'attimo stesso in cui
gli altri tre si giravano per fissarlo. Ash passò sotto dei rovi spessi come il
suo polso. Era piccola e veloce e se solo avesse conosciuto la loro meta li
avrebbe potuti precedere facilmente.
Quel pensiero la indusse a spostarsi su un lato, strisciare sul ventre lungo
il corso di un ruscello gelato e spuntare un centinaio di passi davanti al-
l'uomo che conduceva il gruppo.
I rami degli alberi formavano una sorta di cupola che impediva alla neve
di passare. Le foglie morte, i rovi rinsecchiti e i giunchi sul bordo del tor-
rente avevano un colorito marrone. Ash scorse un felceto davanti a sé, si
alzò e - proprio come aveva previsto - vide che gli alberi si erano diradati.
In mezzo alla radura si ergeva una cappella ammantata di neve.
Ash non aveva alcuna conoscenza degli stili architettonici, ma anche se
fosse stata un'esperta in materia in quel caso avrebbe avuto il suo bel da
fare nel riconoscere lo stile della costruzione. C'erano solo un paio di muri
coperti di muschio e rovi. I contorni delle finestre sembravano due buchi
grigi. Sul terreno c'erano dei mucchi di macerie coperti di neve.
Uno sprazzo di verde attirò l'attenzione di Ash. Sotto il sottile strato di
neve i detriti erano avvolti dall'edera.
La vegetazione stava crescendo anche ai piedi delle mura. Due grossi
cespugli di agrifoglio avevano messo radici nel punto in cui il piano
dell'altare toccava la parete. I rami carichi di bacche rosse pendevano verso
il terreno schiacciati dal peso della neve.
Sentì un clangore metallico alle sue spalle. Un pettirosso e uno scriccio-
lo fuggirono da sotto l'agrifoglio spaventati dal rumore. Gli uomini alle sue
spalle cominciarono a cantare. Dovevano trovarsi a una quindicina di passi
di distanza da lei.
Ash corse acquattata tra i cumuli di detriti e si andò a nascondere sotto i
rami più bassi dell'agrifoglio.
L'interno del cespuglio era caldo e asciutto. Le foglie secche le scric-
chiolavano fra le mani mentre strisciava sotto i rami neri che sorreggevano
il baldacchino di foglie verdi, i cui contorni taglienti le strapparono la
giubba di lana in più punti.
Diede un'occhiata tra le foglie. La neve cadeva copiosa.
Il piccolo prete prese a cantare con voce da tenore. Era una lingua che
Ash non conosceva. I due tenenti camminavano a fatica cantando a loro
volta. La bambina pensò che sarebbe stato molto meglio per loro se si fos-
sero tolti l'elmo.
Il capitano emerse dal limitare del bosco.
Ash lo vide armeggiare con le cinghie e i ganci dei guanti e dell'elmo e
dopo che li ebbe sfilati lo osservò avanzare a testa scoperta attraverso la
radura, lasciando che la neve si posasse sulla barba e i capelli.
Il capitano prese a cantare a sua volta,
Aveva una voce potente, ma non molto intonata. Quell'uomo doveva far-
si sentire in mezzo al frastuono della battaglia. Il silenzio del bosco venne
infranto e Ash cominciò improvvisamente a piangere. Il prete si avvicinò
al cespuglio nel quale Ash si era nascosta e la bambina si immobilizzò, con
le lacrime che si asciugavano sulle guance sfregiate. Due sono le cose da
fare per non lasciarsi scoprire quando si è nascosti: immobilizzarsi del
tutto e pensare di essere un coniglio, un topo, una felce, un albero o qualsi-
asi altra componente del paesaggio. Ash premette la bocca contro il bavero
della giubba per evitare che le nuvolette di fiato condensato tradissero la
sua presenza.
Il religioso, che a dispetto del freddo aveva gli occhi lucidi e la fronte
imperlata di sudore, posò un oggetto sull'altare e disse: «Rendiamo gra-
zie.» Ash non riuscì a vedere di cosa si trattasse, ma l'odore faceva , pensa-
re a un pezzo di carne.
«Guardate!» urlò improvvisamente il tenente più alto. Ash rischiò di
schizzare fuori da sotto l'altare per lo spavento. Una cascata di neve si ri-
versò su di lei da un ramo. Mi hanno scoperta, pensò sbattendo le palpebre.
Girò la testa verso la radura, ma si accorse che nessuno stava guardando
nella sua direzione. Gli occhi degli uomini erano fissi sull'altare.
I tre cavalieri si inginocchiarono accompagnati dal clangore metallico
delle armature. Il capitano abbandonò le braccia lungo i fianchi. L'elmo gli
scivolò dalla mano, cadde sul terreno gelato e rotolò poco distante facendo
sussultare nuovamente Ash.
Anche il prete si tolse l'elmo e si inginocchiò con grazia sorprendente.
La neve turbinava veloce nel cielo bianco coprendo tutto il paesaggio
circostante. Un grosso animale scese sbuffando dall'altare della cappella.
Ash sentì il fiato caldo e umido della bestia che le carezzava il volto.
Una grossa zampa toccò terra.
Ash fissò il pelo giallo e ispido e i lunghi artigli ricurvi posti all'estremi-
tà dell'arto.
La gobba del leone le passò davanti al viso e i fianchi le oscurarono la
vista della radura e degli uomini. La bestia scese fluidamente dall'altare,
alzò la testa con uno scatto e trangugiò l'offerta.
Un ruggito basso e gorgogliante risuonò nell'aria.
Ash si urinò addosso dalla paura. Fissava la scena con gli occhi sbarrati
chiedendosi come mai nessuno di quei tre cavalieri avesse ancora estratto
la spada per affrontare la bestia. Il leone cominciò a girare la testa. Ash
rimase in ginocchio, paralizzata.
La fiera infilò il muso nel cespuglio. La bambina vide un paio di occhi
gialli e luminosi che la fissavano, sentì il fiato puzzolente e rischiò di vo-
mitare. Il leone emise uno sbuffo e arretrò di qualche centimetro dalle fo-
glie pungenti dell'agrifoglio. Arricciò le labbra, infilò nuovamente il muso
nel cespuglio, la estrasse senza alcuno sforzo tenendola delicatamente tra
gli incisivi superiori e inferiori, quindi la lasciò cadere sul terreno roccioso
ricoperto di neve ed emise un ruggito assordante.
Ash era troppo spaventata per muoversi, si strinse la testa tra le braccia e
cominciò a piangere.
La bestia le leccò una guancia con la lingua ruvida e spessa quanto una
sua gamba.
Ash smise di piangere. Il volto le faceva male. Si inginocchiò lentamen-
te. Il leone rimase immobile. La bambina fissò gli occhi gialli, il muso e i
denti bianchi. La lingua le leccò l'altra guancia. Gli sfregi pulsavano dolo-
rosamente e Ash li toccò con le dita intirizzite dal freddo. L'aria fu pervasa
dal canto di un pettirosso.
Pur essendo troppo piccola per avere quel genere di consapevolezza,
Ash era sicura di provare sensazioni contrastanti. Una parte di lei, quella
della bambina cresciuta in un campo di mercenari, abituata ai predatori e
alla caccia, le suggerì di rimanere immobile come una statua. Non mi ha
ancora colpita con gli artigli, pensò. Sono troppo vicina per scappare. De-
vo spaventarlo. L'altra parte di lei, quella meno familiare, era al colmo
della gioia. Non riusciva a ricordare le parole o la lingua usata dal religio-
so, quindi decise di cantare l'inno intonato dal capitano.
III
Ash scoprì molto presto come usare la sua bellezza infantile enfatizzata
dagli sfregi.
All'età di nove anni aveva una massa di riccioli bianchi che le scendeva-
no fino ai fianchi. I capelli, che lavava una volta al mese, erano tanto unti
da brillare, ma nessuno dei mercenari ci faceva caso. Ash non mostrava
mai le orecchie e imparò a vestirsi con un farsetto e dei calzoni stretti al
ginocchio, coperti spesso da una giubba da uomo. Quegli abiti fuori misura
la facevano sembrare più vecchia.
Uno degli artiglieri le dava sempre del cibo o delle monete di rame,
quindi la faceva piegare in avanti contro un traino per cannoni, le sbotto-
nava i pantaloni e la sodomizzava.
«Non c'è bisogno che tu stia così attento» si lamentava Ash. «Non rimar-
rò incinta. Non ho ancora perso sangue.»
«Non ti è neanche spuntato l'uccello, se è per questo» rispondeva l'arti-
gliere. «Quindi, finché non avrò trovato un ragazzino carino, ti tocca.»
Una volta le diede un pezzo di maglia metallica. Ash mendicò del filo
dal sarto della compagnia e ottenne dal conciatore un avanzo di cuoio che
fissò alla maglia metallica. Si era fabbricata una gorgiera 7 e la indossò nel
corso di ogni schermaglia, razzia di bestiame, caccia ai banditi nella quale
imparò il suo mestiere: quello del guerriero.
Ash pregava per la guerra con lo stesso ardore di una novizia chiusa in
convento che pregava per essere la sposa prescelta dal Cristo Verde.
IV
La prima luce del giorno prese a rischiarare il cielo e Ash si sporse oltre
il parapetto della torre campanaria. Era ancora troppo buio per vedere il
terreno che si trovava una dozzina di metri sotto di lei. Un cavallo nitrì. Un
attimo dopo giunse la risposta dal centinaio di cavalli che formavano lo
schieramento. Il canto di un'allodola echeggiò nell'aria del mattino. La
vallata attraversata dal fiume cominciava a emergere dall'oscurità.
Il caldo aumentava rapidamente. Ash indossava una maglia rubata a un
uomo. Il puzzo del vecchio proprietario ne impregnava ancora il tessuto.
La maglia le arrivava fino alle ginocchia e lei aveva usato la cintura della
spada per stringerla all'altezza della vita. Il tessuto le proteggeva il collo, le
braccia e gran parte delle gambe. Si strusciò le mani sulla pelle. Presto
avrebbe fatto molto caldo.
La luce continuava a farsi strada da est e le ombre si ritiravano a ovest.
Ash colse un bagliore a due miglia di distanza.
Uno. Cinquanta. Mille? Il sole brillava sugli elmi, le corazze, le lance, i
martelli e sulle punte delle frecce.
«Si sono schierati e avanzano! Hanno il sole alle spalle!» Cominciò a
saltare da un piede all'altro. «Perché il capitano non ci lascia combattere?»
«Non voglio» disse Richard, un ragazzino dai capelli scuri che in quel
periodo rivestiva l'incarico di suo amichetto particolare.
Ash lo fissò stupefatta. «Hai paura?» Schizzò dall'altra parte della torre e
si sporse per osservare i carri in cerchio della compagnia. Le lavandaie, le
prostitute e le cuoche stavano fissando le catene che tenevano uniti i carri.
La maggior parte di loro erano armate di lance e alabarde. Si sporse ulte-
riormente, ma non riuscì a vedere Guillaume.
Il sole si levava rapido nel cielo. Ash si sforzò di vedere quello che stava
succedendo sul pendio che portava alla riva del fiume. Qualche cavallo, i
loro cavalieri con indosso le divise colorate, una bandiera con le insegne
della compagnia e i soldati che marciavano armi alla mano.
«Perché avanzano così piano?» domandò Richard. «Il nemico gli sarà
addosso prima che siano pronti!»
Ash si era irrobustita parecchio nel corso degli ultimi sei mesi, ma con-
tinuava a dimostrare non più di otto anni. La denutrizione giocava un ruolo
fondamentale in questo ritardo.
Cinse le spalle del ragazzino con un braccio. «Ci sono dei problemi. Non
possono muoversi velocemente. Guarda.»
Il terreno intorno al fiume era coperto da una fitta distesa di grano e pa-
paveri che rallentava notevolmente la marcia dei soldati. Poco lontano dai
fanti c'erano i cavalieri immersi in una distesa di papaveri.
Richard si strinse ad Ash, pallido in volto. «Moriranno?»
«Non tutti. Sempre che arrivi qualcuno ad aiutarli quando inizia la batta-
glia. Il capitano avrà pagato degli uomini, se ci è riuscito. Oh.» Ash sentì
un crampo allo stomaco, infilò una mano tra le gambe, la ritrasse e vide
che la punta delle dita era sporca di sangue.
«Dolce Cristo Verde!» Ash strofinò le dita sulla maglia guardandosi in-
torno per essere sicura che nessuno l'avesse sentita imprecare. Erano soli.
«Sei ferita?» chiese Richard, arretrando di un passo.
«Oh. No» rispose Ash, molto più stupita di quanto dava a vedere. «Sono
diventata donna. Le donne del campo mi avevano avvertita che prima o
poi sarebbe successo.»
Richard si dimenticò dei soldati e sorrise, dolce. «È la prima volta, vero?
Sono contento per te, Ashy! Avrai un bambino?»
«Non adesso...»
Ash fece ridere l'amichetto per distrarlo dalle sue paure, dopodiché si gi-
rò per tornare a fissare i campi che si stendevano ai piedi della torre. Il sole
stava facendo evaporare la rugiada.
«Guarda...»
A circa un chilometro e mezzo di distanza da loro c'era il nemico.
Gli uomini della Serena Sposa del Mare scendevano lungo il pendio i-
nondato dalla luce del sole. Le bandiere rosse, blu, giallo e oro sventolava-
no qua e là sopra gli elmi. Si tolsero la baviera e la ventaglia dall'elmo per
via del caldo 8 , ma erano ancora troppo lontani per distinguere i volti o le V
rovesciate che coprivano la bocca e il mento.
«Sono troppi, Ashy!» piagnucolò Richard.
Lo schieramento della Serena Sposa del Mare si divise in tre parti. Un
primo contingente piuttosto nutrito formò l'avanguardia. Dietro di esso si
trovava il grosso dello schieramento dal quale spuntavano i vessilli, mentre
la retroguardia era formata da un manipolo di uomini armati di alabarde e
lance.
Le prime file avanzavano lente. Il sole si rifletteva sugli elmi e sulle ar-
mi dei ronconieri. Ash sapeva che i ronconi9 erano usati anche dai conta-
dini, ma non riusciva a immaginare come. Quelle armi servivano per di-
sarcionare i cavalieri e spaccare le armature. Dietro i roncolieri c'erano i
soldati armati di asce che davano l'impressione di essere un gruppo di con-
tadini diretto a far legna... E gli arcieri. Tanti. Quasi troppi.
«Tre battaglie.» Ash indicò, tenendo Richard per le spalle. Il ragazzino
tremava. «Guarda, Dickon. Il primo schieramento. C'è una fila di roncolie-
ri, una di arcieri, una di fanti, un'altra fila di arcieri, un'altra fila di ronco-
lieri e ancora altri arcieri.»
Una voce roca risuonò lontana. «Incoccare! Tirare!»
Ash si grattò. Improvvisamente le era tutto chiaro e per la prima volta
riuscì a dar voce a quello che nella sua testa si era sempre presentato come
uno schema.
Cominciò a parlare rapidamente. Era così eccitata che il ragazzino non
8
Parti dell'armatura che proteggevano il mento e la parte bassa del volto,
composte da una serie di piastre metalliche articolate imbottite di velluto o
di stracci che risultavano calde da indossare.
9
Roncone: arma in asta con lama variamente configurata ma sempre
caratterizzata da un robusto uncino tagliente su entrambe le curve, l'interna
e l'esterna (N.d.T.).
riusciva a seguirla. «I loro arcieri sono protetti dai fanti! Possono tirarci
addosso una salva di frecce ogni sei battiti del cuore e noi non possiamo
farci niente. Tuttavia dobbiamo provarci e finiremo tra le braccia dei ron-
colieri e dei fanti. Poi gli arcieri prenderanno le spade o si sposteranno sui
fianchi per continuare a bersagliarci. Ecco perché li hanno posizionati in
quel modo. Cosa possiamo fare?»
«Se sei in svantaggio numerico non puoi impegnare il nemico separata-
mente. Forma un cuneo con la punta rivolta verso il nemico in modo che i
tuoi arcieri possano tirare senza il rischio di colpire i compagni davanti a
loro. Quando i loro fanti attaccheranno saranno costretti ad affrontare i
fianchi del tuo schieramento. A quel punto usa la tua fanteria pesante per
spezzare le loro fila.»
Ash comprese alla perfezione la strategia. Non era la prima volta che le
succedeva. Spesso si era sdraiata sull'erba dietro la tenda del capitano e lo
aveva ascoltato esporre le sue tattiche agli ufficiali. Ci pensò sopra e disse:
«Come possiamo farlo? Non abbiamo abbastanza uomini!»
«Ashy» piagnucolò Richard.
«Cosa abbiamo?» protestò Ash. «Gli uomini del grande duca sono po-
chi! E quelli che formano la milizia cittadina sanno appena da che parte si
regge una spada. Due compagnie di riserva e noi.»
«Ash!» strillò il ragazzino ad alta voce. «Ashy!»
«Allora non radunare gli uomini perché diventerebbero facile bersaglio
per gli arcieri nemici. Il nemico è fuori tiro. Devi muoverti veloce e attac-
carlo.»
Piantò le dita dei piedi negli interstizi tra i blocchi di pietra della torre
senza guardare le bandiere che si avvicinavano. «Sono troppi!»
«Smettila, Ashy. Smettila! Con chi stai parlando?»
«Allora ti devi arrendere e implorare una pace.»
«Non dirlo a me! Io non posso fare niente! Niente!»
«Dirti cosa? Con chi stai parlando?» strillò Richard.
Passarono diversi secondi nei quali non successe nulla, poi la compagnia
di mercenari e le truppe del grande duca cominciarono a correre infran-
gendosi contro le linee nemiche. Le aste delle bandiere si piegarono in
avanti e i petali dei papaveri strappati dagli steli si levarono in aria for-
mando una nuvola rossa. Il clangore metallico delle armi e delle corazze,
le voci roche degli ufficiali che urlavano gli ordini, il suono di una corna-
musa e il battito degli zoccoli dei cavalli si levarono dal campo di batta-
glia.
«Hai detto 'Ti ho sentito!'» Ash fissò il volto rosso e bianco di Richard.
«L'hai detto. Ti ho sentita. Chi era?»
Lo schieramento del grande duca si infranse e gli uomini formarono dei
piccoli gruppetti intorno alle bandiere e agli stendardi. Ora non avevano
nessuna possibilità di formare un cuneo. Il grosso delle truppe della Sere-
nissima Sposa del Mare cominciò ad avanzare e l'aria venne pervasa dal
sibilo delle frecce.
«Ma qualcuno ha detto...»
Un'esplosione frantumò una grossa sezione del parapetto.
Ash venne investita da una pioggia di schegge. Sentì il sangue che le co-
lava dal labbro. Si toccò il naso con le dita tremanti e urlò dal dolore.
Un boato fece tremare il cielo ripercuotendosi in tutto il corpo di Ash,
che si toccò le tempie. Le fischiavano le orecchie, lacrime di terrore solca-
vano le guance del piccolo Richard che strillava terrorizzato, ma lei non
riusciva a sentirlo.
Un lato del parapetto crollò. Ash rischiò di cadere nel vuoto, ma riuscì a
buttarsi carponi nel momento stesso in cui un grosso blocco di pietra vola-
va via. Un attimo dopo un secondo boato fece tremare l'aria. L'esplosione
fu tanto violenta che lei riuscì a sentirla malgrado la prima l'avesse quasi
assordata.
Il ragazzino stava in piedi di fronte ad Ash con le braccia abbandonate
lungo i fianchi e le gambe tremanti. Sul davanti dei pantaloni era comparsa
una larga macchia di urina. Richard si sedette. Ash lo fissò, ma nei suoi
occhi non c'era disprezzo: a volte, rimanere fermi sul posto e farsi la pipì
addosso è l'unica reazione sensata.
«Usano i mortai! Buttati a terra!» Sperò di essere riuscita a urlare. Prese
il ragazzino per un braccio e cominciò a trascinarlo verso i gradini della
scala.
Le schegge di pietra le graffiavano le ginocchia ed era accecata dalla lu-
ce del sole. Si lasciò cadere all'interno della torre battendo la testa contro la
parete delle scale. Richard le diede un calcio in bocca senza volerlo. Ash
scese le scale a rotta di collo imprecando ad alta voce. Uscì dalla torre e
andò a ripararsi nel cerchio dei carri.
Non sentiva più il boato delle artiglierie. Si girò e vide che la torre del
monastero era stata ridotta a un cumulo di macerie dal quale si levava una
densa nuvola di polvere che stava oscurando il sole.
Quarantacinque minuti più tardi i carri vennero catturati dal nemico.
Ash corse al fiume.
Il campo di battaglia era costellato di corpi. L'odore era così forte da far
ondeggiare l'aria. Si premette la manica della maglia sulla bocca e sul naso
e cercò di non calpestare i visi dei morti.
I contadini stavano spogliando i cadaveri dei loro averi. Ash si nascose
tra le spighe di grano tinte di rosso.
Si era scottata il naso e le guance sotto il caldo sole estivo e ora sentiva
che anche i polpacci cominciavano ad arrossarsi malgrado fossero protetti
dai pantaloni. Si alzò in piedi e si infilò il cappello di paglia. Il lezzo di
escrementi la fece vomitare ma lei se ne rese appena conto.
«Bartolomeo! Bartolomeo!» pianse un ferito, quindi cominciò a implo-
rare l'uomo che trascinava il carretto per raccogliere i corpi, ma questi pas-
sò oltre scuotendo la testa.
Non c'era nessun segno di Richard o degli altri. I raccolti erano bruciati
per più di un chilometro. I corvi banchettavano con i corpi infilando i bec-
chi negli interstizi delle armature. Sul campo non c'erano più tracce di
bombarde o armature in buono stato. Dovevano essere state portate via o
razziate.
Ash corse al campo. Vide Richard in compagnia delle lavandaie. Il ra-
gazzino la intravide a sua volta e corse via.
Ash rallentò, si girò e tirò violentemente il vestito di uno degli artiglieri
e, senza realizzare quanto fosse assordata, urlò: «Dov'è Guillaume Arni-
sout?»
«È stato buttato nella buca della calce.»
«Cosa?»
L'uomo scrollò le spalle. «È morto e l'hanno sepolto nella calce.»
Ash non seppe cosa dire.
«No,» si intromise un secondo uomo che si trovava vicino a un fuoco
«l'hanno fatto prigioniero.»
«Ma va, aveva un foro grosso così nello stomaco» disse un terzo uomo
allargando le mani. «Ma non sono stati gli uomini della Serenissima, deve
essere stato uno degli uomini del duca a cui doveva dei soldi.»
Ash si allontanò dal fuoco.
Non importa dove venisse eretto, ma il campo rimaneva sempre lo stes-
so. Si diresse verso uno di quei punti del campo che frequentava di meno:
il centro. Ora era pieno di stranieri in armi. Finalmente vide un volto noto.
Era uno degli aiutanti di campo del capitano. Lo conosceva di vista, ma
non di nome. Gli artiglieri lo chiamavano lo scendiletto e Ash era abba-
stanza grande per capire come mai si fosse guadagnato quell'appellativo.
L'ufficiale biondo indossava una cotta verde bordata d'oro sopra l'armatura
e sembrava infastidito.
«Guillaume Arnisout?» si passò una mano tra i capelli folti e mossi. «È
tuo padre?»
«Sì» mentì Ash, senza esitare. Era una cosa che aveva imparato a fare da
tempo. «Lo voglio! Dov'è?»
L'ufficiale consultò una lista. «Arnisout. Eccola qua. È stato fatto pri-
gioniero. I capitani si stanno parlando. Immagino che ci scambieremo i
prigionieri tra poche ore.»
Ash lo ringraziò cercando di essere il più gentile possibile, quindi tornò
al limitare del campo e attese.
Scese la sera. Il puzzo dolciastro dei cadaveri ammorbava l'aria. Guil-
laume non era ancora tornato. Nel campo avevano cominciato a circolare
le voci più disparate. C'era chi sosteneva che fosse morto per le ferite e chi
diceva che avesse contratto la peste nel campo del nemico. Altri erano
convinti che fosse passato dalla parte della Serenissima con il grado di
comandante delle artiglierie per il doppio della paga. Infine qualcuno era
convinto che fosse scappato con una nobildonna e si fosse nascosto in una
tenuta in Navarra. (Ash passò alcune settimane a sperare che fosse andata
veramente così, ma dopo sei mesi perse ogni illusione.)
Al tramonto i prigionieri camminavano confusi tra le tende del campo.
Non erano abituati a muoversi disarmati. Gli ultimi sprazzi di sole indora-
vano il sangue e i papaveri. L'aria era calda. Ash si abituò in fretta al puzzo
dei cadaveri in decomposizione. Richard sgattaiolò vicino ad Ash che si
stava facendo medicare le caviglie da una delle lavandaie.
«Quando lo sapremo?» chiese Richard, fissandola in cagnesco. «Cosa ci
faranno?»
«A noi?» Ash aveva ancora le orecchie che fischiavano.
«Facciamo parte del bottino» borbottò una lavandaia. «Forse ci vende-
ranno a qualche bordello.»
«Sono troppo giovane!» protestò Ash.
«No.»
«Sei un demonio!» urlò il ragazzino. «I demoni ti hanno detto come far-
ci perdere! Tu senti le voci dei demoni! Finirai sul rogo!»
«Richard!»
Il bambino corse via.
«Porca miseria! È troppo carino» commentò improvvisamente la lavan-
daia, maligna. Tirò giù del tutto i pantaloni di Ash. «Non vorrei essere in
lui o in te. Hai un bel visino, ma ti bruceranno se senti le voci?»
Ash piegò la testa all'indietro per fissare il firmamento. Non era euforica
come le capitava di solito dopo un grande sforzo. Aveva mal di stomaco,
le ginocchia sbucciate, si era strappata un'unghia di un piede e sentiva tutti
i muscoli indolenziti.
«Non delle voci. Una voce.» Spinse con un piede la tazza di terracotta
piena d'olio. «Forse era il dolce Cristo o un santo.»
«E una come te sente le voci dei santi?» ringhiò incredula la donna.
«Sgualdrinella!»
Ash si passò il dorso della mano sul naso. «Forse è stata una visione.
Guillaume ne ha avuta una. Ha visto il Morto Benedetto combattere al
nostro fianco a Dinant.»
La lavandaia si girò per andarsene. «Spero che i soldati della Serenissi-
ma ti guardino bene e ti facciano scopare dagli uomini che svuotano i poz-
zi neri!»
Ash prese la scodella con un gesto rapido e si preparò a lanciarla. «Put-
tana sifilitica!»
Una mano sembrò apparire dal nulla e strinse la sua. Ash emise un umi-
liante grido di dolore e lasciò cadere la scodella.
«Donna,» ringhiò il soldato della Serenissima «va' al centro del campo.
Ci stiamo spartendo il bottino. Sbrigati! Anche tu, piccolo mostro sfregia-
to!»
La lavandaia corse via ridendo seguita dal soldato.
«Senti delle voci, piccola?» le chiese improvvisamente una donna a
fianco del carro.
Aveva il volto tondo e pallido come la Luna. Il cappello che le fasciava
la testa era tanto stretto da non lasciare vedere i capelli. Il corpo volumino-
so era avvolto in una tunica grigia stretta in vita da una cintura dalla quale
pendeva la Croce di Rovi.
Ash si pulì nuovamente il naso piagnucolando. Un sottile filamento di
moccio chiaro le pendeva tra la narice e la manica. «Non lo so! Cosa vuol
dire che 'sento le voci'?»
La donna dal volto pallido la fissò con sguardo avido. «Gli uomini della
Serenissima non parlano di altro. Credo che stiano cercando proprio te.»
«Cercano me?» Ash ebbe l'impressione che qualcuno le avesse stretto il
costato.
Una mano bianca e sudaticcia la prese per la mascella e le girò il volto.
Ash cercò di liberarsi dalla presa, ma non ci riuscì. La donna la studiò at-
tentamente.
«Se si tratta veramente di un messaggio del Cristo Verde, essi vorranno
sfruttare la tua capacità a loro vantaggio. Se è un demone ti esorcizzeran-
no, ma potresti aspettare fino al mattino, perché per la maggior parte sono
già ubriachi, a quest'ora.»
Ash ignorò la stretta della donna e la paura. «Sei una suora?»
«Sì, appartengo all'ordine delle Sorelle di Santa Herlaine. Il nostro con-
vento è vicino a Milano10 . Non è molto lontano da qua.» La donna la la-
sciò andare. Il tono di voce era duro. Ash pensò che la donna non dovesse
essere nata da quelle parti. Come tutti i mercenari anche lei aveva imparato
le basi di tutte le lingue che aveva sentito parlare. «Hai bisogno di mangia-
re, piccola. Quanti anni hai?» le chiese la suora.
«Nove. Dieci. Undici.» Ash si passò una manica sul mento. «Non lo so.
Ricordo il grande uragano. Ho dieci anni. Forse nove.»
Gli occhi della donna si illuminarono. «Sei una bambina e denutrita, per
10
Le prove suggeriscono che non si tratti di uno dei contratti che la
compagnia dei Griffin dorati ha stipulato con i duchi di Borgogna. La
battaglia descritta in queste pagine non può essere né quella di Dinant (19-
25 agosto 1466) né quella di Brustem (28 ottobre 1467). Io penso che si
tratti della battaglia di Molinella (Italia, 1467) svoltasi nel corso della
guerra tra il duca Francesco Sforza di Milano e le truppe della Serenissima
Repubblica di Venezia guidate da Bartolomeo Colleoni, al quale è stato
erroneamente accreditato il merito di essere stato il primo a impiegare
l'artiglieria in battaglia.
I dati sulla battaglia sono piuttosto oscuri a causa del commento cinico
di Niccolò Machiavelli, che qualche anno dopo argomentò sulle 'guerre
senza spargimenti di sangue' dei mercenari italiani sostenendo che a
Molinella ci fu solo un morto a causa di una caduta da cavallo. Fonti più
attendibili affermano che ci furono seicento morti.
Il codice di Winchester venne scritto intorno all'AD 1495, circa
vent'anni dopo la battaglia e diciannove anni dopo la redazione degli scritti
più importanti riguardanti la vita di Ash (redatti tra il 1476 e il 1477).
Alcuni dettagli della battaglia descritti in queste pagine fanno pensare
all'ultimo scontro della Guerra delle Rose, la battaglia di Stoke (1487).
Forse questa biografia venne scritta da un soldato inglese che si fece
monaco e si ritirò nel convento di Winchester e narrò quello che aveva
visto nella battaglia di Stoke piuttosto che in quella di Molinella.
giunta. Nessuno si è mai preso cura di te, giusto? Forse è stato allora che i
demoni sono riusciti a entrare. Questo campo non è adatto a una bambina.»
Le lacrime le bruciavano gli occhi. «È casa mia! Non ho i demoni!»
La donna le prese il volto tra le mani.
«Sono Sorella Ygraine. Dimmi la verità. Chi è che ti parla?»
«Niente e nessuno, Soeur! C'eravamo solo io e Richard.»
Sentì un brivido gelato che dal collo le scendeva fino alle spalle. Le pa-
role di una preghiera al Cristo Verde le morirono in bocca. Cominciò ad
ascoltare. Il respiro roco della suora. Lo scoppiettio del fuoco. Il nitrito di
un cavallo. Le canzoni e le urla degli ubriachi.
Non sentì nessuna voce compassionevole che le parlava nella mente.
Nel centro del campo scoppiò un trambusto e Ash sussultò. Dei soldati
passarono di corsa vicino a loro diretti verso il punto in cui si era radunata
una piccola folla. In un carro nelle vicinanze un ferito chiamava la madre
urlando. Il sole era scomparso quasi del tutto. Le scintille che si levavano
dai fuochi da campo cominciarono a balenare nel cielo. Le fiamme erano
altissime e rischiavano di bruciare le tende.
«Stanno saccheggiando il campo» disse la suora.
«Siamo prigionieri. Cosa ci succederà ora?» chiese Ash ad alta voce,
senza rivolgersi a nessuno in particolare.
«Licenziosità, ubriachezza e libertinaggio...»
Ash si tappò le orecchie con le mani, ma la voce proseguì: «... la notte
dopo la battaglia i comandanti non possono controllare i propri uomini. È
in notti come questa che una persona può essere uccisa anche solo per
divertimento.»
Sorella Ygraine posò le mani sulle spalle di Ash, che tolse le sue dalle
orecchie. Il borbottio che proveniva dallo stomaco le fece capire che aveva
fame e che non mangiava ormai da dodici ore.
La suora continuò a fissarla come se nessuna voce avesse parlato.
«Io...» Ash esitò.
In quel momento nella sua mente non c'erano né voci né silenzio, solo
un grande potenziale per parlare. Era come avere un dente che non è anco-
ra spuntato del tutto, ma che spinge all'interno della gengiva.
Il pensiero di quanto la sua anima potesse sentirsi sola nel suo corpo le
provocò molta tristezza e provò una grande paura.
«Non sento nessuna voce» balbettò improvvisamente. «Non sento nien-
te. Niente! Ho mentito a Richard perché pensavo che sarei diventata famo-
sa. Volevo solo farmi notare!»
La donna si girò e cominciò ad allontanarsi a grandi passi tra i fuochi da
campo e gli ubriachi.
«Portami al sicuro. Non lasciare che mi facciano del male, ti prego!» ur-
lò Ash a squarciagola.
DOTT. PIERCE RATCLIFF (Studi sulla guerra)
Flat I, Rowan Court, 112 Olvera Street,
London W14 OAB, U. K.
Fax:JJJJJJJ
E-mail:JJJJJJJ
Tel:JJJJJJ
Carissima Anna,
Pierce
DOTT. PIERCE RATCLIFF (Studi sulla guerra)
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Anna Longman
Editore
JJJJUniversity Press
JJJJJJ
JJJJJ lettera precedente di
JJJJJJ A. Longoman è mancante?
15 ottobre 2000
Carissima Anna,
Con affetto,
Pierce
PARTE PRIMA
II
III
Ash raggiunse lo spiazzo dove era stato piantato il vessillo della compa-
gnia, saltò sopra il cassone di un carro e guardò la folla di persone seduta
sulle balle di fieno, sui barili o in piedi. Tutti la stavano fissando.
«Lasciatemi ricapitolare» esordì con voce chiara e decisa in modo che
tutti potessero sentirla. «Due giorni fa abbiamo combattuto una scherma-
glia contro gli uomini del duca. È stata una mia iniziativa, non si trattava di
un ordine dei nostri datori di lavoro. Un atto sconsiderato, è vero, ma sia-
mo soldati e dobbiamo comportarci così. A volte.»
La voce le si incrinò provocando le risate di alcuni uomini vicino ai bari-
li di birra: Jan-Jacob, Gustav e Pieter, Fiamminghi appartenenti al gruppo
di Paul di Conti.
«Al nostro datore di lavoro rimanevano solo due cose da fare. Poteva
rompere il contratto e noi saremmo andati dritti dal suo avversario, il duca
Carlo di Borgogna.»
«Visto che stanno per firmare la pace forse dovremmo chiedere al duca
Carlo se ci vuole. Quello è sempre in guerra contro qualcuno, gridò Tho-
mas Rochester.»
«Forse non è ancora il momento.» Ash fece una pausa. «Forse ci con-
viene aspettare uno o due giorni finché si sarà dimenticato che l'abbiamo
quasi ucciso!»
Un soldato scoppiò a ridere, seguito a ruota dagli uomini di Van Man-
der. Era un buon segno, perché questi ultimi erano riconosciuti da tutti
come dei veri duri, quindi molto rispettati.
«Ne parleremo dopo» continuò Ash. «A noi non importa nulla di chi sa-
rà il vescovo di Neuss, così se Federico ci dice che dobbiamo togliere le
tende, noi ubbidiamo. Questa era la prima possibilità, ma non è andata
così. Secondo - avrebbe potuto darci del denaro.»
«Sììì!» esultarono due donne arciere (che, solo quando erano fuori porta-
ta d'orecchio, venivano chiamate le 'donne di Geraint.')
Ash, che sentiva il cuore battere all'impazzata, posò una mano sull'elsa
della spada.
«Beh, come tutti voi saprete, non ci ha dato il denaro.»
Un coro di fischi di disapprovazione si levò dai soldati. In fondo alla
calca gli arcieri, i balestrieri, gli archibugieri e gli alabardieri cominciarono
a spingere per avvicinarsi.
«Devo dire una cosa a quelli che hanno preso parte alla schermaglia:
bravi. È stato fantastico. Fantastico.» Fece una pausa a effetto. «Non ho
mai visto uno scontro vinto da un gruppo di soldati che abbiano fatto così
tanti errori in una volta sola!»
Ci fu una risata generale e Ash alzò la voce per indicare i singoli casi.
«Euen Huw, non devi mai scendere da cavallo per spogliare i corpi. Tu,
Paul di Conti, non dovresti cominciare le cariche da lontano per poi arriva-
re sul nemico con il cavallo sfinito! Sono sorpresa che tu non sia dovuto
scendere da cavallo e correre. Per quanto riguarda il fatto di seguire gli
ordini del vostro comandante!» Lasciò calare il brusio. «Vi devo ricordare
di tenere sempre d'occhio il nostro fottuto stendardo...» Si schiarì la gola.
«È vero, dovresti tenerlo d'occhio!» urlò Robert Anselm per aiutarla.
Ci fu una seconda risata generale e Ash si rese conto che il momento di
crisi era passato o quanto meno rinviato.
«Quindi è necessario che tutti noi ci esercitiamo parecchio nelle tattiche
per le schermaglie.» Ash si girò per guardarsi alle spalle. «Quello che ave-
te fatto è stato stupefacente. Potrete raccontarlo ai vostri nipoti. Non era
guerra. Non si vedono mai dei cavalieri che caricano altri cavalieri, perché
ci sono sempre i fottuti arcieri nelle vicinanze! Ah, già, mi dimenticavo
anche degli archibugieri.» Degli sghignazzi si levarono dal gruppo degli
archibugieri. «Cosa sarebbe una battaglia senza il suono allegro del fuoco
di copertura degli archibugi? Niente!»
Un uomo dai capelli rossi, uno degli uomini di Aston, urlò: «Prendi una
fottuta ascia!» I fanti cominciarono a intonare una rumorosa cantilena e gli
artiglieri risposero per le rime. Ash fece un cenno con il capo ad Antonio
Angelotti, che tranquillizzò immediatamente i suoi uomini.
«Qualsiasi cosa sia stata, era comunque fantastica. Purtroppo non ci ha
fatto guadagnare niente. La prossima volta che avremo la possibilità di
piantare una lancia nel culo di Carlo di Borgogna, tornerò al campo e chie-
derò di essere pagata in anticipo.»
Una voce si levò dal fondo. «'Fanculo Federico d'Asburgo!»
«Magari!»
Tutti scoppiarono a ridere.
La brezza le spinse alcune ciocche di capelli sul viso. Ash annusò l'aria
pervasa dall'odore di ottocento uomini sudati radunati in uno spazio ristret-
to, di sterco di cavallo e fumo. Erano tranquilli all'interno del campo, e
nessuno aveva ragione di temere un attacco. Solo pochi mercenari porta-
vano l'elmo e le alabarde erano impilate a dozzine dentro una tenda.
I bambini correvano intorno alla folla cercando un varco per ascoltare.
La maggior parte degli uomini e delle donne che non combattevano, le
prostitute, le lavandaie e i cuochi, si erano seduti sui carri al bordo del
campo per sentire. Eccettuati i soliti individui che giocavano sempre a dadi
oppure dormivano ubriachi fradici dentro una tenda, Ash poteva dire di
aver radunato tutta la compagnia.
Il vedere tutti quei volti conosciuti la indusse a pensare che i suoi uomini
la stavano ascoltando perché volevano sapere cosa fare. Sapeva che la
stragrande maggioranza di quelle persone era dalla sua parte, ma lei si sen-
tiva responsabile per tutti.
Comunque, se a loro non piaceva quello che stava per proporre, poteva-
no andare in un'altra compagnia.
Tutti attendevano che Ash riprendesse a parlare. La sua pausa era durata
troppo a lungo e il nervosismo cominciava a serpeggiare tra la compagnia.
«Molti di voi sono con me da quando tre anni fa fondai la compagnia.
Altri da quando andavo a reclutare uomini per il Grifone d'Oro e la Com-
pagnia del Cinghiale. Guardatevi. Siete un mucchio di pazzi bastardi la cui
unica prospettiva è quella di affrontare un altro mucchio di pazzi bastardi
come voi! Dovete essere pazzi per seguirmi - ma se lo farete» disse, au-
mentando il tono di voce «ne uscirete sempre vivi, pagati e con una cavolo
di reputazione.»
Alzò un braccio prima che il brusio della folla aumentasse di volume. «E
questa volta verremo pagati. Anche se lo faranno con un matrimonio! Sup-
pongo che ci sia una prima volta per tutto.»
Fissò gli ufficiali raggruppati sotto di lei che parlottavano tra loro.
«Negli ultimi giorni ho valutato diverse possibilità. È il mio lavoro, ma è
anche il vostro futuro. Ci siamo sempre riuniti per discutere quali contratti
accettare e quali no. Quindi adesso discuteremo anche di questo matrimo-
nio.»
Le parole le sgorgavano fluide dalla bocca. Non aveva mai avuto pro-
blemi a parlare con i suoi uomini. Ma questa volta dietro tanta fluidità c'era
qualcosa che non andava. Ash si rese conto che aveva stretto i pugni fino a
farsi sbiancare le nocche.
Cosa posso dire? pensò. Che dobbiamo farlo, ma io non posso?
«E dopo che ne avremo discusso» proseguì Ash «allora metteremo la
proposta ai voti.»
«Ai voti?» urlò Geraint ab Morgan. «Stai parlando di un voto vero e
proprio?»
«Democrazia significa fare quello che ti dice il capo!» urlò qualcuno.
«Sì, un vero voto. Perché se accettiamo, allora la compagnia avrà delle
terre e dei guadagni. Ma se non accettiamo l'unica scusa che l'imperatore
Federico potrà accettare sarà che la mia compagnia non vuole!»
Ash non lasciò loro il tempo di pensare e continuò: «Siete stati con me e
con altre compagnie mercenarie che non sono durate una stagione, figu-
riamoci degli anni. Ho sempre fatto in modo di coprirvi le spalle.»
Il sole fece capolino da dietro le nuvole. La luce si rifletté sul piastrone
della corazza di Ash e la donna sembrò avvolta da un alone divino. Quel
fenomeno giungeva così a proposito che Ash lanciò uno sguardo a Go-
dfrey, che si trovava ai piedi del carro stringendo la Croce di Rovi tra le
mani.
Il religioso alzò gli occhi al cielo e sorrise con fare assente, lanciando al
tempo stesso una rapida occhiata alla figura splendente che si trovava sotto
lo stendardo del Leone Azzurro. Un vero miracolo in miniatura.
Ash rimase in silenzio ancora per qualche secondo affinché tutti notasse-
ro quanto era successo e riflettessero sul segno. Me lo posso permettere,
pensò rivolgendosi al cielo, quindi vuol dire che sono buona. Sei dalla mia
parte: davvero...
«Se sposo quell'uomo» continuò Ash «potremo avere un luogo dove tor-
nare in inverno. Avremo dei raccolti, del legname e della lana da vendere.
Potremo smettere di accettare dei contratti suicidi solo per poterci equi-
paggiare alla fine di ogni stagione.»
«E cosa succederà se qualcuno ci offrirà un contratto per combattere
contro l'Imperatore?» domandò un uomo con i capelli sporchi che indossa-
va una giubba verde.
«Sa che siamo mercenari.»
Una donna arciere si fece strada a gomitate. «Ma adesso siamo al suo
servizio e non sarà lo stesso quando avrai sposato uno dei suoi feudatari.»
Alzò la testa per guardare meglio Ash. «Lui si aspetta che tu giuri lealtà al
Sacro Romano Impero, vero, capitano?»
«Se mi avessero chiesto con chi avrei voluto combattere» urlò un archi-
bugiere «mi sarei unito a un esercito feudale.»
«Troppo tardi per i rimpianti» ringhiò Geraint ab Morgan. «È stata fatta
un'offerta. Io voto per le proprietà e per non mandare al diavolo l'imperato-
re.»
«Io penso che potremo continuare a gestirci come al solito» cercò di ras-
sicurarli Ash.
Dalla folla si levò un brusio di disapprovazione. L'arciere, che indossava
una giubba marrone imbottita, un farsetto rosso e le protezioni per le gi-
nocchia, si girò verso i commilitoni. «Non volete proprio darle una possi-
bilità, vero, stronzi? Tu ti sposerai, capitano Ash.»
Ash la riconobbe, era una donna con i capelli lunghi e un nome strano:
Ludmilla Rostovnaya. Portava una manovella per balestre appesa alla cin-
tura. Uno dei balestrieri genovesi, pensò Ash, mentre si appoggiava a una
sponda del carro.
Perché sto cercando di persuaderli a seguirmi? continuò a pensare. Non
posso farlo. Cosa può importare loro di una piccola tenuta bavarese?
Geraint ab Morgan si fece strada fino alla prima fila. Ash vide il suo
sergente degli arcieri fissare Florian e il prete come se stesse chiedendo
loro perché non intervenivano.
«Capo,» urlò Geraint «è dannatamente chiaro che qualcuno ci ha ficcato
in questo guaio perché non gli piacciono i mercenari. Ricordi cosa è suc-
cesso agli Italiani dopo Héricourt?28 Non possiamo inimicarci Federico.
Devi farlo, capitano.»
«Non può!» gli urlò Ludmilla. La compagnia cominciava ad agitarsi
28
Il 24 dicembre 1474 diciotto mercenari italiani che avevano
combattuto per i Burgundi ed erano stati fatti prigionieri dagli Svizzeri
vennero bruciati vivi a Basilea.
perché non tutti riuscivano a seguire la discussione tra i due. La voce della
donna si levò sopra il brusio. «Se lei sposa quell'uomo tutto ciò che le ap-
partiene diventa proprietà del marito. Non succede il contrario! Se lo sposa
questa compagnia diventerà una proprietà della famiglia del Guiz! E i del
Guiz appartengono all'imperatore, che in questo modo avrà a disposizione
una compagnia mercenaria senza dover tirare fuori neanche un quattrino!»
Dalle prime file partì un rapido passaparola per informare quelli più in-
dietro, che non avevano potuto sentire tutto.
Ash fissò Ludmilla. La presenza di una donna nei momenti di crisi le
aveva sempre dato un senso di sicurezza, ma adesso era una donna che la
stava indicando con il braccio teso. «Ci hai pensato a questo particolare,
capo?»
Tutto ciò che le appartiene diventa proprietà del marito...
Fernando è un vassallo di Federico, rifletté Ash, quindi diventeremmo
proprietà di un feudatario. Cristo, questo peggiora le cose!
Perché non ci ho pensato prima?
Perché continui a pensare come un uomo, si disse.
Ash non riusciva a parlare. Avrebbe voluto sedersi per non guardare tutti
i suoi uomini in volto, ma l'armatura la costringeva a mantenere una postu-
ra eretta.
Il brusio cessò. Solo i bambini che correvano e giocavano intorno alla
folla infrangevano il silenzio. Ash lasciò vagare lo sguardo tra i suoi uo-
mini. Ne vide uno che la fissava tenendo un pezzo di carne vicino alla boc-
ca e un altro che lasciava colare a terra il vino da una borraccia. Gli uomini
si erano radunati intorno agli ufficiali per chiedere chiarimenti.
«No» ammise Ash. «Non ci avevo pensato.»
«Quel ragazzo non ti lascerà comandare» le rammentò Robert Anselm.
«Se ti sposi con Fernando del Guiz ti perdiamo.»
«Merda!» disse un soldato. «Non può sposarlo!»
«Ma se fotti l'imperatore lui poi fotte te.» Geraint socchiuse gli occhi
che sembrarono sparire tra le pieghe degli zigomi e fissò Ash.
«Ci sono altri che possono assoldarci» cercò di giustificarsi Ash.
«Sì, certo, sono tutti cugini di secondo grado o qualcosa di simile.» Ge-
raint sputò a terra. «Tutti noi conosciamo i principi della cristianità. Ince-
sto è il loro secondo nome. Finiremo con l'essere assoldati da degli stronzi
che si fanno chiamare 'nobili' solo perché un lord qualsiasi un giorno si è
scopato la loro madre. Possiamo dimenticarci di essere pagati in oro!»
«Possiamo sempre dividerci e andare in altre compagnie» disse un sol-
dato.
«Sì e finire tra le mani di un coglione che ci farà crepare tutti quanti!»
urlò Pieter Tyrrel. «Ash sa quello che fa quando combatte!»
«Peccato che non sappia fare nient'altro!»
Ash girò la testa e cominciò a guardarsi intorno con noncuranza in cerca
della polizia militare e per vedere le espressioni sui volti dei cuochi, delle
lavandaie e delle prostitute. Udì il nitrito di un cavallo. Il cielo venne at-
traversato da una nube di storni che andavano in cerca di un tratto di terre-
no umido per cibarsi dei vermi.
«Non vogliono perderti» la rassicurò Godfrey Maximillian in tono tran-
quillo.
«Perché li ho portati in battaglia con me e ho sempre vinto.» Aveva la
bocca secca. «Ma questa volta ho perso.»
«È un gioco diverso. Adesso devi indossare la gonnella.»
«Nove decimi di loro» borbottò Florian/Floria «non possono mandare
avanti la compagnia come fai tu. Il decimo che pensa di poterlo fare si
sbaglia. Lascia che parlino tra di loro e se ne ricorderanno.»
Ash si irrigidì e annuì. «Vi lascio tempo fino a Complina29 . Ascolterò la
vostra decisione dopo la messa serale di Padre Godfrey.»
Scese dal carro e si allontanò insieme a Florian. Ash notò che il chirurgo
camminava come un uomo, ondeggiando le spalle e non i fianchi. Aveva
sempre il viso così sporco che nessuno faceva caso se avesse la barba fatta.
La donna non disse nulla e Ash gliene fu grata.
Ash si fermò a controllare il fieno e l'avena che erano stati dati ai cavalli.
Gli stallieri raccoglievano anche le erbe per la cucina di Wat Rodway e
quelle mediche per Florian. Controllò anche che le tinozze per l'acqua e
per la sabbia disposte tra le tende fossero piene. Gli incendi divampavano
più facilmente in estate. Imprecò contro una sarta che stava lavorando su
un carro alla luce di una candela e la costrinse a prendere una lampada,
quindi si recò dall'armaiolo per controllare come procedevano i lavori di
riparazione delle alabarde, delle frecce, l'affilatura delle spade e la ribatti-
tura delle corazze ammaccate.
Florian le posò una mano sulla spalla. «Basta, capo, smettila di renderti
fastidiosa!»
«Hai ragione.» Ash lasciò cadere una fila di anelli metallici, fece un
cenno d'assenso all'armaiolo e uscì. Fissò il cielo buio. «Non penso che
quegli stupidi ne sappiano molto più di me di politica. Perché lascio deci-
29
Le nove di sera secondo l'orario monastico.
dere a loro?»
«Perché tu non puoi. O non vuoi. O non hai il coraggio di farlo.»
«Grazie!»
Ash attraversò lo spiazzo centrale del campo facendosi strada tra gli
uomini e le donne seduti a terra, mentre le ultime frasi dei Vespri echeg-
giavano nell'aria.
Raggiunse lo stendardo e si girò verso i suoi uomini. «Allora,» esordì
«cosa avete deciso?»
Geraint ab Morgan si alzò in piedi, apparentemente intimidito dall'atten-
zione che i suoi commilitoni stavano concentrando su di lui in quel mo-
mento. Ash lanciò una rapida occhiata a Robert Anselm. L'ufficiale si tro-
vava nel cono d'ombra di due lanterne e lei non riuscì a scorgere l'espres-
sione del suo viso.
«Abbiamo contato i voti» disse Geraint. «È fatta, Ash. È troppo rischio-
so rifiutare l'offerta dell'imperatore. Vogliamo che ti sposi.»
«Cosa?»
«Abbiamo fiducia in te, capo.» L'uomo si grattò le natiche con un gesto
automatico. «Sappiamo che troverai una scappatoia prima del matrimonio.
Spetta solo a te, capo. Trova un modo di uscirne prima che abbiano termi-
nato i preparativi per il matrimonio. Non possiamo permettere che ti pren-
dano, capitano!»
Ash fissò l'intera compagnia riunita davanti a lei.
«Andate all'inferno tutti quanti!»
Così dicendo si allontanò infuriata.
Quattro giorni più tardi, mentre sia Carlo di Borgogna detto l'Intrepido
che le truppe dell'imperatore Federico III si allontanavano da Neuss po-
nendo fine all'assedio 30 , Ash si trovava nella cattedrale di Colonia.
30
L'edizione della vita di Ash scritta dal del Guiz e stampata dal
La luce del sole penetrava attraverso le vetrate colorate screziando i volti
del migliaio di persone riunite tra le navate. Intorno ai basamenti delle
snelle colonne che si protendevano verso l'alto, dando l'impressione di
essere troppo esili per sorreggere il soffitto, si era accalcato un nutrito
gruppo di nobili che indossavano abiti eleganti e corazze lucidate, sfog-
giando preziosi e armi ingioiellate. L'imperatore aveva voluto che la sua
corte fosse presente al gran completo per celebrare l'evento.
«Sta tardando.» Ash deglutì. «Non ci posso credere. Mi ha piantata!»
«Non può essere. Non sei così fortunata» sibilò Anselm. «Fa qualcosa,
Ash!»
«Cosa? Dimmelo tu! È da quattro giorni che cerchiamo una soluzione e
non siamo venuti a capo di niente. Come puoi pensare che ci riusciamo
adesso?»
Quanti minuti mancavano al momento in cui la sua compagnia sarebbe
passata dalle sue mani a quelle del marito? L'unica cosa che poteva fare
per evitare che accadesse era uscire dal quel luogo da sola. Adesso.
Di fronte a tutta la corte dell'imperatore.
E hanno ragione, pensò Ash. Metà delle famiglie reali della Cristianità
sono sposate con l'altra metà e io non otterrei più un contratto finché le
acque non si fossero calmate. Il che vuol dire non lavorare almeno per un
anno. Non ho abbastanza denaro per sfamare tutti i miei uomini per un
periodo così lungo. Problemi, sempre problemi.
Robert Anselm fissò Padre Godfrey Maximillian. «Potremmo intonare
una preghiera per ricevere una grazia, Padre.»
Il religioso annuì.
«Non che abbia molta importanza, adesso, ma hai scoperto chi mi ha
messa in questo pasticcio?» chiese Ash.
«Sigismondo del Tirolo» rispose Godfrey, tranquillo.
«Dannazione. Sigismondo? Cosa gli - quell'uomo ha la memoria lunga.
L'ha fatto perché abbiamo combattuto contro di lui a Héricourt?»
Godfrey inclinò il capo. «Sigismondo del Tirolo è troppo ricco e l'impe-
ratore non si può permettere il lusso di offenderlo rifiutando un suo consi-
glio. Mi hanno detto che a Sigismondo non piacciono 'le unità mercenarie
con più di cinquanta lance'. Sembra che le trovi una minaccia alla purezza
della guerra.»
non si stabilirono mai nel Nord Africa. Anzi, nel 711 successe il contrario
con l'invasione araba della Spagna visigota.
«Sarà il tuo regalo di nozze, del Guiz» concordò Federico d'Asburgo, as-
sumendo un'espressione velatamente sardonica. «Sarà anche la luna di
miele per te e la tua sposa.» Raccolse lo strascico lungo più di due metri
con l'aiuto dei paggi e, senza voltarsi, disse: «Vescovo Stephen.»
«Sì, Vostra Maestà Imperiale?»
«Esorcizzate questa cosa» ordinò indicando il golem. «E quando avrete
finito ordinate ai carpentieri di ridurla in ghiaia a martellate!»
«Certo, Vostra Maestà Imperiale.»
«Barbari!» esclamò, incredulo, Daniel de Quesada. «Siete solo dei bar-
bari!»
Asturio Lebrija alzò la testa a fatica e disse: «Non mi ero sbagliato, Da-
niel: questi maledetti Franchi39 sono dei bambini che giocano a distruggere
tutto ciò che capita loro tra le mani! Asburgo, voi non avete idea del valore
di...»
I cavalieri che lo tenevano fermo gli fecero sbattere la faccia contro il
pavimento. Il tonfo echeggiò sulle pareti e il soffitto della cattedrale. Ash
fece un passo avanti per avvicinarsi, ma inciampò in un lembo del vestito e
afferrò il braccio di Godfrey per non cadere.
«Lord del Guiz,» disse l'imperatore «scortate questi uomini al porto più
vicino e assicuratevi che salgano su una nave diretta a Cartagine. Voglio
che vivano per portare in patria la loro sventura.»
«Vostra Maestà.» Fernando si inchinò.
«Avrete bisogno di prendere il comando delle vostre nuove truppe. Non
tutte, però. Non tutte. Questi uomini,» Federico d'Asburgo indicò con un
movimento impercettibile del dito gli ufficiali e i soldati di Ash che affol-
lavano il fondo della cattedrale, «ora vi appartengono per diritto feudale,
Mio Lord. Ed essendo la nostra persona vostro signore feudale, apparten-
gono anche a noi. Prenderete solo una parte dei vostri nuovi soldati, e gli
altri rimarranno con noi per espletare alcuni compiti alla loro portata: l'or-
dine non è stato ristabilito del tutto a Neuss e la città non è ancora sicura.»
Ash aprì la bocca, ma Robert Anselm le assestò una gomitata tra le co-
stole senza farsi notare.
«Non può farlo!» sibilò Ash.
«Certo che può. Adesso taci, ragazza.»
Ash era tra Godfrey e Anselm, il vestito cominciava a darle fastidio e
sentiva le ascelle fradice di sudore. I cavalieri, i lord, i mercanti, i vescovi,
39
Un termine usato in questo testo per definire gli abitanti del Nord
Europa.
i preti che facevano parte della corte imperiale si accodarono a Federico
d'Asburgo che usciva dalla cattedrale e il loro vociare si levò fino ai santi
nelle nicchie e al soffitto della chiesa.
«Non può dividerci in questo modo!»
La mano di Godfrey le strinse il gomito. «Non muoverti mai, se non
puoi fare nulla. Ascoltami bene, figliola! Se ti metti a protestare adesso
tutti vedranno quanto poco conti. Aspetta. Aspetta il momento propizio.»
La corte degnò la sposa e il gruppo di soldati della stessa attenzione che
riservavano ai santi della cattedrale: quasi nessuna.
«Non posso lasciarla!» Ash parlò con un tono di voce che poteva essere
udito solo da Anselm e dal prete. «Ho creato questa compagnia dal nulla.
Se aspetto, cominceranno a disertare o si abitueranno a essere comandati
da del Guiz.»
«Lasciali andare. È un loro diritto» la blandì Godfrey, mite. «Forse, non
vorranno più fare i guerrieri.»
Ash e Robert Anselm scossero la testa all'unisono.
«Li conosco.» Ash si passò una mano su una guancia. «Sono a centinaia
di leghe dal cazzo di fattoria o città dove sono nati e non sanno fare altro
che combattere. Sono la mia gente, Godfrey.»
«Adesso sono i soldati di del Guiz. Non hai pensato che questa potrebbe
essere la soluzione migliore per loro, figliola?»
Questa volta fu Robert Anselm a dissentire.
«Conosco questi giovani cavalieri che poggiano il culo su un cavallo da
guerra per la prima volta! Sono dei sacchi pieni di piscio e vento che non
sanno trattenersi in battaglia e non si curano dei loro uomini! Quello non è
altro che uno dei tanti eroici disastri che vanno in giro su due gambe. Ab-
biamo tempo, capitano. È meglio che andiamo via da Colonia.» Anselm
fissò Fernando del Guiz che si allontanava lungo la navata in compagnia di
Joscelyn van Mander senza girarsi a guardare la sua sposa. «Vedremo
quanto ti piacerà la strada, ragazzino di città.»
Merda, pensò Ash.
Non ho più la mia compagnia. La stanno smembrando, io sono sposata a
una persona che mi possiede e non ho alcun modo di imparare i giochi di
corte per far cambiare idea all'imperatore, perché devo scortare un paio di
ambasciatori in disgrazia Cristo solo sa dove...
Ash lanciò un'occhiata all'ala ovest40 della cattedrale, che si trovava oltre
40
Proprio come successe con la navata, anche questa parte venne
lasciata incompleta fino al diciannovesimo secolo.
le porte. «Qual è il porto imperiale più vicino a noi?»
«Genova» disse Godfrey Maximillian.
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ash:
La storia perduto della Borgogna, (Ratcliff, 2001), British Library.
— Anna
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— Pierce Ratcliff
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— Anna
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Non sapevo che gli editori lavorassero così tanto. Spero che tu non stia
lavorando troppo duramente.
Mi chiedi qualcosa riguardo la mia teoria - molto bene. Molto probabil-
mente non possiamo continuare il nostro rapporto lavorativo senza che
prima ti abbia chiarito alcuni punti. Sopportami ancora per qualche tempo,
così potrò darti le informazioni necessarie.
L'arrivo di quel personaggio che nel testo è chiamato l'ambasciatore dei
'Goti' rappresenta effettivamente un problema, che, tuttavia, credo di aver
risolto e, come tu hai intuito, si tratta del fattore chiave nel mio processo di
rilettura della storia dell'Europa.
Mentre per la presenza dell'ambasciatore alla corte di Federico ho trova-
to dei riferimenti sia nelle CRONACHE DELLA BORGOGNA che nella
corrispondenza tra Filippo de Commines e Luigi XI di Francia, ho trovato
molto arduo scoprire da dove saltassero fuori questi 'Goti' (o, visto che
preferisco la traduzione di Charles Mallory Maximillian, che trovo più
accurata, 'Visigoti': i 'nobili Goti').
La tua collaboratrice sbaglia nell'affermare che le tribù barbariche della
Germania 'scomparvero' visto che vennero assorbite nel gigantesco calde-
rone etnico che era l'Europa dopo la caduta dell'Impero Romano. In Italia,
per esempio, troviamo gli Ostrogoti; i Burgundi nella valle del Reno e i
Visigoti in Iberia (Spagna). Essi continuarono a regnare su questi territori
in alcuni casi anche per secoli.
Tuttavia, Maximillian azzarda l'ipotesi che gli ambasciatori siano Spa-
gnoli. Questa sua affermazione non mi ha mai soddisfatto. La giustifica-
zione logica addotta da CMM è che, a partire dall'ottavo secolo, la Spagna
è divisa tra un'aristocrazia gotica di stampo cavalleresco e le dinastie ara-
biche approdate sulla penisola iberica con l'invasione del 711. Le casate
minori, sia quelle arabe che quelle gotiche, governavano su una grande
massa di contadini iberici e mori. Quindi, Maximillian dice: «Visto che
esistevano dei 'Visigoti' in circolazione fino al tardo quindicesimo secolo,
è probabile che ci fossero anche delle voci riguardo al fatto che sia i Visi-
goti cristiani che i 'Saraceni infedeli' (musulmani) fossero in possesso di
alcune macchine e di parte della tecnologia dell'Impero Romano.»
Gli ultimi Musulmani vennero cacciati del tutto dalla Spagna con la 'Re-
conquista' (1488 - 1492) , quindici anni dopo la morte di Ash. Quindi, è
lecito supporre che l'ambasciatore visigoto alla corte dell'imperatore Fede-
rico provenisse dalla penisola iberica.
Comunque, io stesso trovai molto curioso che i testi sulla vita di Ash di-
cessero chiaramente che i due diplomatici arrivavano da una città che si
trovava sulle coste del Nord Africa. (Ancor più stupefacente perché quelle
zone non appartenevano agli Arabi!)
Vaughan Davies, l'autore della seconda storia della vita di Ash (1939),
basa la SUA teoria sul fatto che i testi si riferiscono agli abitanti del Nord
Europa come 'Franchi' trattando i Visigoti come se fossero i cavalieri sara-
ceni delle leggende arturiane - i 'Saraceni' nascono da un'idea tutta europea
della cultura araba mista ai racconti fatti dai Crociati tornati dalla Terra
Santa. Non penso che Vaughan Davies abbia fatto qualche studio per ri-
solvere il problema.
Adesso passiamo all'altro problema: Cartagine. Cartagine venne fondata
dai Fenici e, come tu mi hai fatto notare, venne rasa al suolo dai Romani
che in seguito costruirono un'altra città nello stesso luogo.
Il fatto più interessante è che, dopo che l'ultimo Imperatore romano ven-
ne deposto nell'anno 476, furono i Vandali a impossessarsi dei territori
romani del Nord Africa e i Vandali, proprio come i Visigoti, erano una
tribù germanica.
Quella che prese possesso delle regioni in questione era una piccola elite
militare che, guidata dal suo primo re, Genserico, voleva godere dei frutti
del grande regno africano. Sebbene i Vandali continuassero a restare in
qualche modo 'germanizzati', Genserico portò con sé una casta sacerdotale
ariana che fece diventare il Latino lingua ufficiale e fece erigere dei bagni
pubblici simili a quelli dei Romani. La Cartagine vandalica tornò a essere
il grande porto di un tempo: Genserico non controllava solo il Mediterra-
neo, ma, a un certo punto del suo regno, saccheggiò Roma.
Come puoi vedere una specie di 'Tunisia gotica' è effettivamente esistita.
L'ultimo re, Gelimero (un usurpatore), perse l'Africa vandalica contro i
Bizantini nel volgere di tre mesi nell'anno 530 (si dice che in seguito si
fosse ritirato in uno dei grandi possedimenti donatigli dai Bizantini). I Bi-
zantini cristiani vennero cacciati dai regni berberi circostanti e dall'Islam
(più che altro per l'uso militare del cammello) nel 630. Da quell'anno in
poi tutte le tracce della cultura gotica vennero fatte sparire da quell'area
dell'Africa, tanto che non ci sono più neanche dei richiami nella lingua.
Secondo te, dove è possibile che sia sopravvissuta la cultura gotico-
germanica dopo il 630?
In Spagna, vicino al Nord Africa, 'con i Visigoti.'
Come ti renderai conto dopo la pubblicazione del mio Ash, tutto il cam-
po di ricerca sulla storia del Nord Europa dovrà essere rivisto.
In breve: intendo dimostrare che fino al tardo quindicesimo secolo sulle
coste dell'Africa del Nord c'era ancora un insediamento di Visigoti.
Che il loro 'ristabilirsi' ebbe luogo molto dopo il Nord Africa vandalico,
dopo la fine del Primo Medio Evo e che il loro periodo di massimo fulgore
militare fu il 1400.
Intendo provare che nell'anno 1476 c'era un insediamento medievale po-
polato dai sopravvissuti delle tribù Vandale che non avevano 'golem' né
'crepuscoli'.
Penso che l'Africa del Nord sia stata oggetto di un'incursione dei discen-
denti iberici dei Visigoti provenienti dalle 'taifa' (confini/misti) spagnole.
Sono arrivato a tali conclusioni dopo la lettura delle descrizioni trovate nei
testi. Nel Fraxinus l'insediamento è chiamato 'Cartagine' perché molto pro-
babilmente doveva sorgere nei pressi del sito dell'antica Cartagine.
Io credo che questo insediamento gotico, influenzato dalla cultura araba
(ci sono moltissimi termini militari usati dagli Arabi nei manoscritti del-
l'Angelotti e di del Guiz) abbia prodotto qualcosa di unico. E io non credo
che la controversia verta sull'esistenza o meno di questo luogo, quanto
(potremmo dire) su quello che fece tale cultura e sul contributo fornito alla
cultura europea come la viviamo oggi.
Forse ci sarà una prefazione o una postfazione, che spiegherà tutte le
implicazione insite nei documenti su Ash, ma non l'ho terminata.
Mi dispiace di essere così vago riguardo tali implicazioni, Anna, ma non
voglio che qualcuno le pubblichi prima di me. Ci sono dei giorni in cui
non posso proprio credere che nessun altro abbia letto il 'Fraxinus' prima di
me e il mio incubo è aprire il GUARDIAN e scoprire che qualcun altro ha
fatto una nuova traduzione. Al momento non ho voglia di mettere in rete la
mia teoria perché chiunque potrebbe scaricarla. Infatti, finché non avrò
tradotto e corretto tutto, nonché scritto la postfazione alla prima stesura,
sono piuttosto riluttante a discutere di questioni editoriali.
Abbi pazienza, ti prego. Dobbiamo lavorare a compartimenti stagni, al-
trimenti mi rideranno tutti in faccia e sarò espulso dal mondo accademico.
Per il momento ti trasmetto un altra parte della traduzione: la seconda
parte della VITA, scritta da del Guiz.
— Pierce
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Messaggio: #19 (Anne longman)
Oggetto: Ash: una teoria
Data: 04/11/00 ore 18,37 Format dell'indirizzo
Da: Ratcliff@ e altri dettagli
cancellati
Anna —
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Messaggio: #14 (Pierce Ratcliff)
Oggetto: Ash:
Data: 05/11/00 ore 08,43
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Pierce — cancellati
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No, no, NON sono Turchi! Ho solo pensato che potessero esserlo. Mi
SBAGLIAVO!
La mia teoria pone un enclave visigoto sulle coste del Nord Africa nel
corso del quindicesimo secolo. La mia opinione è che le prove di questo
fatto siano state occultate sotto il tappeto accademico.
È già successo con molti altri fatti storici. Gli eventi e le persone non so-
lo sono deliberatamente cancellati dalla storia, come succedeva con lo sta-
linismo, ma sembra che vengano dimenticati del tutto quando i tempi sono
contro di loro. La stessa Ash scomparve durante il periodo patriarcale e in
anni più 'illuminati' venne fatta apparire come un 'simbolo', mai coinvolta
negli scontri. Ma questo accadde anche con Giovanna d'Arco, Jeanne de
Montfort, Eleonora d'Aquitania e centinaia di altre donne la cui bassa e-
strazione sociale le costringeva nel dimenticatoio per diversi anni.
Sono sempre stato affascinato dal PROCESSO che fa accadere tutto ciò
- vedi la mia tesi - e dai DETTAGLI che vengono cancellati. Se non fosse
stato per Charles Mallory Maximillian e il suo Ash (che mi venne donato
da una mia bisnonna che a sua volta probabilmente lo ricevette come pre-
mio a scuola) non avrei mai passato vent'anni ad esplorare la storia
'scomparsa'. E ora l'ho trovato. Ho trovato un pezzo di storia 'scomparsa'
abbastanza attendibile da darmi una reputazione.
Devo tutto al 'Fraxinus'. Più lo studio più penso che la sua provenienza
dalla famiglia Wade (il baule dove l'ho trovato si suppone provenga da un
monastero andaluso) sia attendibile. La Spagna medievale è complessa,
lontana e affascinante; e se ci sono stati dei Visigoti superstiti - mischiati
nei vari rami della classe dirigente di origine romano barbarica che al tem-
po governava la penisola iberica - io mi aspetto di trovarne le prove tra le
pagine di questo semisconosciuto manoscritto medievale.
Ovviamente nei manoscritti su Ash ci sono degli errori e delle esagera-
zioni, ma contengono molte verità storiche. È possibile che ci fosse alme-
no un città visigota sulle coste del Nord Africa e che esercitasse un'egemo-
nia militare di un certo peso!
— Pierce
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Ottimo.
FORSE.
Come è possibile che fatti di una tale importanza siano SCOMPARSI
dalla storia???
— Anna
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La chiatta galleggiava sulle acque del Reno. Ash inclinò la testa all'in-
dietro e slacciò la fibbia dell'elmo. «Che ora è?»
«Il tramonto» le rispose Philibert.
L'inizio della mia prima notte di matrimonio, pensò Ash.
Si tolse l'armatura aiutata dai suoi due paggi, quindi fece un sospiro e
stirò le braccia. L'armatura non era pesante appena indossata e dopo dieci
minuti continuava a non pesare nulla, ma ogni volta che veniva tolta sem-
brava di piombo.
Il trasporto sulle chiatte presentava molti problemi: duecento uomini
della compagnia del Leone selezionati da Fernando del Guiz, che aveva
cominciato subito a esercitare il suo diritto matrimoniale, per scortare gli
ambasciatori visigoti da Colonia, attraverso i cantoni svizzeri e i passi al-
pini fino a Genova. Quindi bisognava organizzare duecento uomini, l'equi-
paggiamento, i cavalli e nominare un vice comandante da lasciare alla gui-
da del resto della compagnia; in questo caso lei aveva nominato Angelotti
e Geraint ab Morgan.
Ash udì un lamento soffocato seguito dal tonfo di qualcosa di pesante
che cadeva sul ponte: uno dei suoi uomini aveva ucciso l'ultimo manzo.
Sentì il rumore dei passi, lo sciacquio dell'acqua usata per pulire il ponte
dal sangue che non era colato nei recipienti e il rumore del coltello da ma-
cellaio che scuoiava la bestia.
«Cosa vuoi da mangiare, capo?» gli chiese Rickard, ballonzolando da un
piede all'altro, chiaramente impaziente di tornare sul ponte per unirsi al
resto della compagnia: uomini che giocavano e bevevano e prostitute che
41
'Poiché sotto i mozzi ['Asse' della Rota Fortuna] è scritto, 'Ecate
Regina' -un'interessante citazione dell'autore del manoscritto
dell'Angelotti, secondo il quale nel 'tremendo esempio' medievale della
Caduta dei Re, la regina Ecuba di Troia è stata sostituita da Ecate, la
potente e a volte malvagia dea degli Inferi, della notte e della luna. È
curioso notare che il termine 'Ecuba' in Greco viene tradotto con 'Ecabe'.
se la spassavano per tutta la notte godendosi la lenta discesa lungo il fiu-
me.
«Pane e vino.» Ash fece un gesto brusco. «Li prenderà Phili. Ti farò
chiamare se ho bisogno di qualcosa.»
Philibert le diede un piatto e Ash cominciò a passeggiare avanti e indie-
tro per la piccola cabina masticando pane e bevendo vino con la fronte
corrugata, muovendosi - in ricordo di Costanza nella sua solare Colonia -
non come una donna, ma come un ragazzo dalle gambe lunghe.
«Avevo indetto un incontro con gli ufficiali! Dove diavolo sono?»
«Il mio signore, Fernando, ha detto che si terrà domani mattina.»
«Oh, davvero?» Ash sorrise torva per qualche secondo, poi tornò seria.
«Ha detto: 'non stanotte', e ha fatto commenti pesanti sulla prima notte di
nozze, giusto?»
«No, capo.» Phili sembrava dispiaciuto. «Sono stati i suoi amici. Mat-
thias e Otto. Matthias mi ha dato dei confetti poi mi ha chiesto cosa faces-
se il capitano-puttana. Non gli ho detto nulla. Posso mentire la prossima
volta?»
«Menti quanto vuoi, se ti va.» Ash sorrise con fare cospiratorio nel vede-
re il ghigno compiaciuto che compariva sulle labbra del ragazzino. «Lo
stesso vale anche per Otto, lo scudiero di Fernando. Fa in modo che stia
sempre sulla corda, bambino mio.»
Cosa fa il capitano-puttana...? pensò. Già, cosa faccio?
La vedova, ecco cosa faccio. Mi confesso e faccio penitenza come tutte
le vedove.
«Cristo!» Ash si buttò sul letto della cabina.
Il fasciame della chiatta gemeva sommessamente. L'aria notturna rinfre-
scata dall'acqua del fiume conferiva alla cabina dal tetto telato un'atmosfe-
ra piacevole. Una parte della sua mente registrava il gemito delle gomene,
i cavalli che battevano gli zoccoli, un uomo che chiedeva del vino e un
altro che pregava santa Caterina, e gran parte dei rumori provocati dai due-
cento uomini a bordo delle chiatte che stavano risalendo il fiume per allon-
tanarsi da Colonia.
«Cazzo!»
«Capo?» Philibert alzò gli occhi dal piastrone che stava sabbiando.
«È già abbastanza brutto senza!» Senza che gli uomini abbiano chiaro da
chi debbano prendere ordini: da me o da lui, concluse fra sé; quindi, tor-
nando a parlare ad alta voce disse: «Non ci fare caso.»
Ash si tolse il pantaloni e il farsetto lentamente, senza neanche rendersi
conto che il suo scudiero la stava aiutando. Uno scoppio di risa sul ponte
infranse il silenzio e Ash sussultò senza accorgersene. Una mano le tirò un
lembo della maglia che le scendeva oltre le ginocchia.
«Vuoi che accenda le lanterne, capo?» Phili si sfregò gli occhi con le
nocche.
«Sì.» Ash osservò il paggio che appendeva le lanterne ai ganci. Un atti-
mo dopo una luce giallastra inondò la cabina piena di cuscini di seta, pel-
licce, un letto incassato su un lato e un drappo di tela con i colori della
famiglia del Guiz, il giallo, l'oro e il nero e quelli degli Asburgo, il giallo e
il nero.
I bauli da viaggio di Fernando erano aperti, parte del contenuto era spar-
pagliato per la cabina. Ash fece un inventario mentale di tutto quello che
vedeva: capi di vestiario di vario tipo, una borsa, un corno per calzare le
scarpe, uno spillone da capelli, della cera rossa, filo da calzolaio, una sac-
ca, un cappuccio di velluto rivestito di seta, una cavezza di cuoio dorato,
un rotolo di pergamena, un coltello da tavola con il manico in avorio...
«Vuoi che ti canti qualcosa, capo?»
Ash diede una leggera pacca sul sedere di Philibert. «Certo.»
Il ragazzino si tolse il cappuccio, chiuse gli occhi e cominciò a cantare:
«Non quella.» Ash si sedette sul bordo del letto. «E comunque non co-
mincia così, quella strofa è verso la fine. Ma va bene lo stesso. Sei stanco.
Va' a dormire.»
Il ragazzino la fissò. «Io e Rickard vogliamo dormire con te come sem-
pre.»
Ash non aveva più dormito da sola da quando aveva tredici anni.
«No, vai a dormire con gli altri scudieri.»
Il ragazzino corse fuori. Le parole di una canzone molto più esplicita e
sconcia di quella che Philibert aveva cercato di intonare per lei la raggiun-
sero per poi svanire quando il pesante drappo che fungeva da porta tornò a
chiudersi. Probabilmente il piccolo sa anche questa, pensò Ash, ma è da
stamattina che mi cammina intorno trattandomi come se fossi un vetro
veneziano.
Sentì dei passi sul ponte e riconobbe a chi appartenevano. Ebbe un fre-
mito e si sdraiò sul letto.
Fernando del Guiz spostò il drappo berciando qualcosa alle sue spalle e
Matthias, uno dei suoi ben poco nobili amici, come li definiva Ash, scop-
piò a ridere. Fece ricadere il drappo alle sue spalle, chiuse gli occhi e don-
dolò a ritmo con la nave.
Ash rimase sdraiata sul letto.
Nessuno toccò il drappo. Nessuno scudiero, paggio o giovane cavaliere
germanico pieno di boria? pensò lei. Niente scherzi in uso tra l'aristocrazi-
a?
Non li vuoi, vero? Non ti va di mostrare le lenzuola prive del sangue di
una vergine? Non vuoi sentire dire che tua moglie è una puttana.
«Fernando...»
Il cavaliere si sbottonò il farsetto senza maniche e lo fece cadere con uno
scrollone delle spalle. Fernando sorrise. «Devi chiamarmi 'marito'.»
Il sudore gli impastava i capelli biondi sulla fronte. Armeggiò con i lacci
ai fianchi e si tolse la maglia con un gesto brusco, strappandola. Sebbene
non avesse ancora un fisico da adulto Ash pensò che fosse veramente gros-
so. Il petto era quello di un uomo e i muscoli delle cosce erano induriti da
ore e ore passate in sella.
Tirò fuori il membro eretto tenendolo con una mano senza preoccuparsi
di calarsi i pantaloni e usò l'altra mano per issarsi sul letto. La luce della
lanterna conferiva alla pelle di Fernando un colorito dorato. Lei inalò l'o-
dore di maschio e di maglie di lino lasciate ad asciugare all'aperto.
Ash tirò su i lembi della maglia.
Fernando le posò una mano sulla vagina, le sollevò i fianchi con l'altra e
la penetrò con un movimento goffo.
Ash, che era già pronta a quel momento da quando l'aveva sentito cam-
minare sul ponte, lo accolse ed ebbe un fremito come se fosse in preda alla
febbre.
Il volto di Fernando del Guiz era a pochissimi centimetri dal suo. «Bal-
dracca...» le sussurrò quando si accorse che lei era pronta a riceverlo.
Le passò un pollice sulle guance sfregiate, su una vecchia cicatrice alla
base del collo e sul livido nerastro provocatole da un colpo sul piastrone
durante una scaramuccia fuori Neuss. «Hai il corpo di un uomo» borbottò
con voce impastata. Le crollò addosso rendendole difficile respirare. Ash
piantò le dita nelle spalle del marito sentendo il contrasto tra la pelle mor-
bida e la durezza dei muscoli sottostanti: velluto sopra l'acciaio. Poi ab-
bandonò la testa sul cuscino ed emise un gemito gutturale.
Fernando diede due o tre spinte. Ash sentì i muscoli della vagina che si
rilassavano ulteriormente per meglio accogliere il membro del marito.
L'uomo sussultò un paio di volte come un coniglio ferito a morte e il suo
seme caldo si riversò tra le cosce di lei, dopodiché le crollò addosso.
Ash avvertì il forte odore di birra che appestava il fiato dell'uomo.
Il membro le scivolò fuori dalla vagina, molle.
«Sei ubriaco!» gli disse Ash.
«No, ma vorrei esserlo.» La fissò con uno sguardo annebbiato. «Ho
mantenuto fede ai miei doveri. Fatto, signora moglie. Adesso sei mia, la
nostra unione è segnata dal sangue.»
«Non credo» lo interruppe Ash, secca.
Fernando del Guiz cambiò espressione, ma lei non riuscì a capire cosa
provasse in quel momento. Arroganza? Repulsione? Confusione? Un desi-
derio semplice ed egoistico di non essere su quella barca in compagnia di
quella donna problematica che somigliava a un uomo?
Se fosse stato uno dei miei uomini avrei capito subito cosa gli passa per
la testa. Cosa mi succede? si chiese Ash.
Fernando abbassò lo sguardo e vide che sulle lenzuola c'era solo una
macchia di sperma. «Tu sei stata con altri uomini. Speravo che fosse solo
una voce incontrollata e che tu non fossi stata una puttana, come la moglie
del re di Francia. Ma tu non sei vergine.»
Ash si spostò per guardarlo in faccia. «Ho perso la mia verginità all'età
di sei anni» lo informò in tono piatto e leggermente sarcastico. «Avevo
otto anni quando mi violentarono per la prima volta, dopodiché mi guada-
gnai da vivere prostituendomi.» Non vide alcuna comprensione nello
sguardo del marito. «Non sei mai stato con una ragazzina?»
Fernando arrossì. «No!»
«Mai con una bambina di nove o dieci anni? Saresti sorpreso di scoprire
quanti uomini lo fanno. Anche se, a dire il vero, molti di voi non si preoc-
cupano se hanno a che fare con una donna, una bambina, un uomo o una
pecora, basta infilarlo in un posto caldo e umido.»
«Angeli e Ministri di Grazia!» sbottò Fernando. «Taci!»
Ash avvertì qualcosa che fendeva l'aria e alzò istintivamente il braccio
deviando il pugno di lui, che tuttavia la sfiorò su una guancia facendole
scattare la testa indietro.
«Taci, taci, taci...»
«Va bene!»
Ash si allontanò da lui con gli occhi umidi di lacrime. Si allontanò da
quella pelle vellutata e dai quei muscoli d'acciaio che tanto avrebbe voluto
toccare e abbracciare.
«Come hai potuto farlo?» le chiese con il tono amareggiato di una per-
sona tutta privilegi feudali e potere.
«Con molta facilità» rispose Ash con il tono pragmatico, acerbo e venato
di umorismo nero di un comandante. «Ho preferito passare la mia vita da
puttana piuttosto che diventare la vergine che tu vorresti io fossi. Quando
capirai il motivo di questa scelta, allora avremo qualcosa di cui parlare.»
«Parlare? Con una donna?»
Avrebbe anche potuto perdonarlo se avesse usato 'con te', ma il modo in
cui aveva pronunciato la parola 'donna' le aveva fatto arricciare un angolo
della bocca.
«Ti dimentichi chi sono» gli ricordò con un tono privo di umorismo. «Io
sono Ash. Io sono il Leone Azzurro.»
«Lo eri.»
Ash scosse la testa. «Fottimi, allora. Questa è la nostra prima notte di
nozze.»
Pensò di averlo conquistato, arrivò al punto di giurare a se stessa che
Fernando stava per scoppiare a ridere, che stava per rivedere quel ghigno
complice che aveva già visto a Neuss, ma lui si abbandonò sul letto, si
coprì gli occhi con un braccio e cominciò a esclamare: «Christus Impera-
tor! Perché mi hanno fatto unire a costei?»
Ash sedeva a gambe incrociate, del tutto inconsapevole della sua nudità
finché i suoi occhi non ricaddero sul ventre piatto, le cosce robuste e il
sesso del marito e sentì l'eccitazione crescere in lei. Cambiò posizione e
posò una mano sulla vagina per cercare di calmare i bollori.
«Sei una fottuta contadina puttana!» esclamò lui. «Una cagna in calore!
Ho avuto ragione fin dalla prima volta che ti ho incontrata.»
«Oh, dannazione...» Ash arrossì, portò le dita alle guance e si accorse
che anche le orecchie le si erano scaldate. «Non farci caso» si scusò in
tutta fretta.
Fernando afferrò la coperta e si avvolse dentro di essa senza togliere il
braccio dagli occhi. Ash si strinse le caviglie per impedire alle mani di
allungarsi e toccare quella pelle vellutata.
Il marito cominciò a russare. Era scivolato subito in un sonno profondo.
Ash attese ancora qualche attimo, quindi strinse il medaglione con l'effi-
gie di san Giorgio su una faccia e la runa del suo nome sull'altra.
Aveva l'impressione che il suo corpo urlasse.
Non dormiva.
Sì, molto probabilmente lo farò uccidere, pensò.
Non è molto diverso che uccidere sul campo di battaglia, continuò tra sé
e sé. Non mi piace. Voglio solo scoparmelo.
Molte ore dopo, molte più di quelle che potevano essere contate con una
candela segna tempo, Ash vide della luce bordare il drappo che fungeva da
porta. L'alba stava cominciando a illuminare la valle del Reno e il convo-
glio di chiatte.
Cosa faccio? si chiese. Allungò una mano verso la cintura che aveva la-
sciato sopra il farsetto e i pantaloni e afferrò l'elsa del coltello. Passò il
pollice sul pomello sferico, quindi estrasse dal fodero qualche centimetro
di lama grigia e affilata.
Fernando dormiva.
Non aveva pensato di portarsi un paggio, uno scudiero o una guardia.
Non c'era nessuno in grado di dare l'allarme, tanto meno di difenderlo.
C'era qualcosa nell'ignoranza del marito, forse dovuta alla sua incapacità
di arrivare a pensare che una donna potesse uccidere un cavaliere feudale,
e nella sua facilità ad addormentarsi come se fossero una coppia qualun-
que, che la colpì profondamente. Cristo Verde, non ha mai pensato di esse-
re ucciso da una prostituta? si chiese Ash.
Si girò, estrasse del tutto la daga e ne saggiò il filo con il pollice. Era ab-
bastanza affilata perché solo posandogliela sulla gola gli potesse lacerare il
primo strato di pelle senza intaccare la carne.
Dovrei pensare, si disse, che è stata la sua arroganza a ucciderlo, e farla
finita. Un'occasione simile potrebbe non capitare mai più.
No, non riuscirei ad andarmene. Nuda e coperta di sangue: sarebbe fin
troppo facile capire chi è stato.
No. Non è il momento.
So molto bene che una volta fatto, a fait accompli come direbbe Go-
dfrey, i miei ragazzi butterebbero il corpo nel fiume e direbbero a chiun-
que li interrogasse, imperatore incluso, che si è trattato di un incidente di
navigazione.
Ho ancora qualche remora a farlo.
Solo Cristo e la sua pietà sanno perché non voglio ucciderlo.
«Neanche ti conosco» sussurrò.
Fernando del Guiz continuava a dormire con il volto scoperto e vulnera-
bile.
Nessun confronto: nessun compromesso. Compromesso. Cristo, ma non
sono io quella che ha passato metà della sua vita in cerca di compromessi
per fare in modo che ottocento persone potessero lavorare insieme? Non è
necessario che mi dimentichi di avere un cervello solo perché sono in un
letto.
Allora?
Siamo una compagnia che è stata divisa: gli altri sono a Colonia. Se uc-
cidessi Federico qualcuno avrebbe da obiettare - c'è sempre qualcuno che
ha da ridire su qualcosa: per esempio, se fosse per van Mander ci sarebbe
una seconda divisione e lui e i suoi uomini seguirebbero mio marito. A lui
piace del Guiz perché gli piace essere comandato da un uomo che oltre a
essere un nobile è anche un cavaliere. A Van Mander non piacciono le
donne neanche quando combattono bene come me.
È meglio aspettare fino a quando non avremo mollato gli ambasciatori a
Genova e saremo tornati a Colonia.
Genova. Merda.
«Perché l'hai fatto?» gli sussurrò, sdraiandosi al suo fianco. Fernando del
Guiz si girò nel sonno e le diede le spalle.
«Sei uno come Joscelyn, convinto che per quanto possa io fare bene, non
sarà mai abbastanza perché sono una donna? Perché l'unica cosa che non
posso fare è diventare uomo? O forse solo perché non sono una nobildon-
na? Una di voi?»
Il respiro basso di Fernando del Guiz riempiva la cabina.
Dopo qualche secondo il nobile si girò premendosi contro di lei che ri-
mase immobile sotto il corpo muscoloso e sudato del marito. Ash gli spo-
stò una ciocca di capelli dagli occhi con la mano libera.
Non riuscivo a ricordare il suo volto, pensò, ma adesso sì.
Il pensiero la stupì non poco, inducendola ad aprire gli occhi.
«Ho ucciso i miei due primi uomini quando avevo otto anni» gli sussur-
rò per non svegliarlo. «A che età hai ucciso il tuo primo uomo? A quali
battaglie hai preso parte?»
Non posso uccidere un uomo che dorme, pensò.
Non...
Le mancarono le parole. Godfrey o Anselm avrebbero detto pique, ma
entrambi gli uomini erano su altre chiatte e avevano trovato delle occupa-
zioni che li avrebbero tenuti il più distante possibile dalla chiatta di testa,
specialmente durante la prima notte di matrimonio.
Ho bisogno di riflettere, si disse Ash. Devo parlarne con loro.
Comunque, non posso dividere la compagnia, qualunque cosa farò è
meglio che aspetti di tornare in Germania.
Ash tolse un secondo ciuffo di capelli dalla fronte del marito.
Fernando del Guiz si agitò nel sonno. Il letto era così stretto che i corpi
entravano in contatto per forza. Ash cominciò a baciarlo alla base del collo
avvertendo il profumo della sua pelle. Le vertebre gli spuntavano tra le
spalle.
Fernando del Guiz emise un forte sospiro, si girò, l'afferrò per i fianchi e
la trasse contro di lui. Ash premette il seno, il ventre e le cosce contro il
corpo dell'uomo, provocandogli un'erezione. Fernando fece scivolare una
mano fino alla vagina e cominciò ad accarezzarla. La luce dell'alba illumi-
nava il bel volto del cavaliere. È così giovane, pensò Ash.
Il marito la penetrò prima ancora che lei potesse rendersene conto, rima-
se fermo per qualche istante tenendola stretta tra le braccia dopodiché co-
minciò a ondeggiare i fianchi provocandole un orgasmo dolce, ma piace-
volissimo.
Fernando le posò la testa contro la spalla e lei avvertì il solletico delle
ciglia sulla pelle. Le carezzò più volte la schiena. Era un tocco caldo e cau-
to che possedeva una venatura erotica, ma al tempo stesso gentile.
È il primo uomo della mia età che mi tocca con gentilezza, pensò Ash, e
quando aprì gli occhi si scoprì a sorridergli. Fernando cominciò a spingere
con maggiore vigore, venne e tornò a sprofondare nel sonno.
«Cosa?» chiese lei, dopo aver sentito il marito borbottare qualcosa.
Fernando ripeté la frase e tornò a dormire.
«Mi hanno fatto sposare con il cucciolo di un leone» pensò di aver senti-
to Ash.
Delle lacrime di umiliazione brillavano sotto le ciglia dell'uomo.
Ash si svegliò qualche ora dopo, sola nel letto.
Quindici giorni e quindici notti solitarie più tardi, il giorno di san Swi-
thum 42 , arrivarono a una decina di chilometri dalla città di Genova.
II
Ash alzò la ventaglia dell'elmo con un pollice. Il sole si era appena leva-
to sopra l'orizzonte e l'aria era ancora fresca. Intorno a lei gli uomini avan-
zavano a piedi o a cavallo. Il vento le portò l'eco di una canzone. Era la
voce di un pastore e non avrebbe cantato se il posto non fosse stato sicuro
e tranquillo.
42
Festeggiato il 15 luglio; questo è il riferimento per la data di arrivo
della compagnia fuori dalla città di Genova.
Robert Anselm la raggiunse dal fondo della colonna tenendo l'elmo sotto
il braccio. Il sole del meridione gli aveva arrossato la testa calva. Uno de-
gli uomini, un ronconiere, lanciò un fischio e intonò Bei capelli, bei capel-
li, sarai mai mia? nel momento stesso in cui passava Anselm, che lo supe-
rò senza farci caso. Ash sentì le labbra che si contraevano in un sorriso: il
primo dopo giorni.
«Tutto a posto?»
«Ho trovato quattro stronzi addormentati in uno dei carri, stamattina. E-
rano ubriachi fradici. Non si sono presi neanche il disturbo di andare a
dormire da qualche altra parte.» Anselm socchiuse gli occhi per protegger-
si dal sole. «Ho detto al prete di impartire loro una punizione.»
«E i furti?»
«Ci sono state altre lamentale. Tre: Euen Huw, Thomas Rochester e Ge-
raint ab Morgan prima che lasciassimo Colonia.»
«Se Geraint ha ricevuto delle lamentele al riguardo prima che lasciassi-
mo Colonia, come mai non ha preso provvedimenti?»
Ash fissò il suo secondo.
«Come se la sta cavando Geraint Morgan?»
Anselm scrollò le spalle.
«Per Geraint è già difficile rigare dritto da solo, figurati se deve coman-
dare gli altri.»
«Lo sapevamo quando l'abbiamo preso, giusto?» Ash vide la foschia che
si addensava e aggrottò la fronte. «Euen Huw ha garantito per lui...»
«So che venne sbattuto fuori dall'esercito di re Enrico dopo Tewkesbury.
Era al comando di un'unità d'arcieri e venne trovato ubriaco durante lo
scontro. Tornò alla sua famiglia che commerciava lana, ma non riuscì ad
abituarsi a quella vita e finì per fare il mercenario.»
«Non l'abbiamo preso solo perché era un vecchio Lancaster, Roberto.
Deve fare la sua parte come tutti.»
«Geraint non è un Lancaster. Ha combattuto per il conte di Salisbury a
Ludlow a fianco degli York nel cinquantanove» aggiunse Anselm, non
troppo fiducioso che il suo capo fosse a conoscenza delle guerre dinastiche
tra i rosbif.
«Cristo Verde, ha cominciato giovane!»
«Non è il solo...»
«Sì, sì» Ash avvicinò il suo cavallo a quello di Roberto. «Geraint è un
figlio di puttana, ubriacone e violento...»
«È un arciere» disse Anselm, come se le caratteristiche citate da Ash
fossero sottintese in quella definizione.
«... e peggio ancora, è amico di Euen Huw» continuò Ash. «Sul campo
di battaglia non ha pari, ma o si dà una mossa o se ne va. Dannazione. Beh,
almeno l'ho lasciato al comando con Angelotti... Allora, Roberto, il la-
dro?»
Robert Anselm alzò gli occhi al cielo, quindi tornò a fissarla. «L'ho bec-
cato, capitano. È Luke Saddler.»
Ash si ricordava di lui: un ragazzino che non aveva ancora quattordici
anni e vagava per il campo quasi sempre ubriaco con la candela al naso.
Era evitato dagli altri paggi e Philibert le aveva raccontato storie di braccia
piegate dietro la schiena e mani che toccavano in mezzo alle gambe degli
altri ragazzini. «Lo conosco. È il paggio di Aston. Cosa ha preso?»
«Borse, coltelli, la sella di qualcuno, Cristo Santo» sottolineò Anselm.
«Quella ha cercato di venderla. Va avanti e indietro dal magazzino, così mi
dice Brant; ma più che altro si accanisce con l'equipaggiamento personale
dei ragazzi.»
«Questa volta tagliagli le orecchie, Roberto.»
Anselm assunse un'espressione torva.
«Tu, io, Aston, il prete... non possiamo impedirgli di rubare. Quindi...»
Indicò la colonna di uomini sudati che marciava dietro di loro scam-
biandosi invettive.
«Dobbiamo agire. Altrimenti lo faranno loro per noi e probabilmente lo
sodomizzeranno: è un ragazzino carino.»
Frustrata, Ash ricordò il giorno in cui aveva convocato Luke Saddler
nella sua tenda per vedere se il peso del comando potesse avere effetto su
di lui. Il ragazzino, tetro in volto, puzzava di vino e ridacchiava come un
idiota.
«Perché me ne hai parlato?» sbottò Ash, infastidita dalla sensazione di
aver sbagliato tutto. «Luke Saddler non è un mio problema, adesso. Mio
marito è il problema.»
«Come se te ne importasse qualcosa!»
Ash guardò la brigantina43 che indossava, non meno calda del piastrone,
e Robert Anselm rise.
«Come se volessi che fosse del Guiz a preoccuparsi di questa gente...»
43
Forma di armatura corazzata a protezione del torso in uso nella
fanteria dal secolo XIV all'inizio del XVII, composto da una struttura di
lamelle sovrapposte 'a tegole', disposte in fasce verticali e fissate in file
parallele a un supporto di pelle o tela imbottita (N.d.T.).
aggiunse. «Stai impazzendo a stargli dietro, ragazza.»
Ash guardò davanti a sé distinguendo appena le figure di Joscelyn van
Mander e Paul di Conti che cavalcavano con Fernando, e sospirò senza
rendersene conto. L'aria del mattino era pervasa dall'odore del timo che
cresceva sul ciglio della strada e veniva schiacciato sotto le ruote dei carri.
Fernando del Guiz cavalcava davanti ai carri. Era circondato da un
gruppo di giovani e servitori che facevano parte del suo seguito e rideva.
Al suo fianco c'erano un trombettiere e un cavaliere che reggeva lo sten-
dardo della famiglia del Guiz. Il simbolo della compagnia di Ash si trova-
va qualche centinaio di metri più indietro, coperto da uno strato di polvere
biancastra sollevata dai carri.
«Dolce Cristo, sarà lunga tornare a Colonia.»
Ash si aggiustò sulla sella per assecondare i movimenti del cavallo che
ormai aveva soprannominato Bastardo. È agitato perché sente l'odore del
mare, pensò. Genova e la costa sono a quattro o cinque chilometri da qui,
dovremmo arrivare molto prima di mezzogiorno.
La foschia umida schiacciava a terra la polvere sollevata da un gruppo di
cavalieri e da diverse lance a piedi a che avanzavano verso di loro.
«Chi è? Non riesco a riconoscerlo» disse, indicando.
Robert Anselm affiancò la sua cavalcatura a quella di Ash e socchiuse
gli occhi per mettere meglio a fuoco i carri con gli scudi attaccati alle fian-
cate e carichi di uomini armati di balestra e archibugi.
«Anzi no» si contraddisse Ash, prima ancora che Robert potesse rispon-
dere. «È Agnes. O uno dei suoi uomini. No, no, è l'Agnello in persona.»
«Lo vado a prendere.» Anselm premette i talloni contro i fianchi del suo
cavallo, che si lanciò in un trotto sostenuto tra le file dei carri.
Malgrado la foschia faceva troppo caldo per indossare l'armatura. Ash
cavalcava indossando una brigantina blu rivestita di velluto le cui borchie
dorate brillavano insieme all'elsa della spada al suo fianco. Robert Anselm
tornò indietro con il nuovo arrivato e lei spostò il peso all'indietro per fare
rallentare il cavallo.
Lanciò un'occhiata al marito, ma lui non se ne accorse.
«Salve, donna-uomo!»
«Salve, Agnes» rispose Ash. «Fa abbastanza caldo per te?»
L'uomo dai capelli radi indicò con un gesto della mano l'armatura com-
pleta, l'elmo infilato sul pomello della sella e il martello da guerra assicu-
rato alla cintura. «Ci sono stati dei problemi con le Gilde giù a Marsiglia e
lungo la costa. Sai com'è fatta Genova, mura possenti, abitanti con la puz-
za sotto il naso e dozzine di fazioni che combattono l'una contro l'altra per
far eleggere il rispettivo Doge. Ho staccato io stesso la testa a Farinetti
durante una schermaglia la scorsa settimana.»
Inclinò la mano e imitò il colpo. Il volto scarno era bruciato da anni di
campagne in Italia. Sulla sopravveste spiccava il disegno di un agnello
dalla cui testa partivano dei raggi di luce, sotto il quale, ricamata con il filo
nero, c'era la scritta 'Agnus Dei'.44
«Noi siamo stati a Neuss. Ho guidato una carica di cavalleria contro il
duca Carlo di Borgogna.» Ash scrollò le spalle come per dire: 'nulla di
speciale'. «Ma il duca è ancora vivo. Così vanno le cose in guerra.»
L'Agnello sogghignò mostrando i denti rotti e giallastri. «Eccoci qua, al-
lora» continuò con un marcato accento italiano del nord. «Perché non ci
sono spie qui intorno? Mi avete visto quando ormai vi ero addosso! Dove
diavolo erano gli esploratori?»
«Mi hanno detto che non erano necessari» rispose Ash, ironica. «Questo
è un regno pacifico pieno di mercanti e pellegrini che prosperano sotto la
protezione dell'imperatore. Non lo sapevi?»
L'Agnello (Ash si era dimenticata quale fosse il suo vero nome) socchiu-
se le palpebre e fissò l'apice della colonna. «Chi è il cucciolo?»
«Quello che mi sta facendo lavorare» rispose Ash, senza guardare An-
selm.
«Oh. Giusto. È uno di quei datori di lavoro.» Agnus Dei scrollò le spal-
le, gesto piuttosto complicato da fare in armatura, quindi tornò a concen-
trarsi su di lei. «Che iella nera, sto andando a Napoli per imbarcarmi. Vieni
anche tu.»
«No, non posso rompere il contratto. Inoltre, gran parte dei ragazzi sono
ancora a Colonia sotto il comando di Angelotti e Geraint ab Morgan.»
Una smorfia di dispiacere apparve per un attimo sulle labbra dell'Agnel-
lo. «Ah, capisco. Com'era il passo del Brennero? Ho dovuto aspettare tre
giorni per far scendere i carri dei mercanti fino a Genova.»
«Ha nevicato, ma era sgombro. Dimmi tu se deve nevicare nel mezzo di
luglio, Cristo - scusami Agnello. Voglio dire, siamo a metà luglio. Odio
attraversare le Alpi. Fortunatamente non ci è caduto addosso niente, questa
volta. Ti ricordi la valanga del settantadue?»
Ash continuò a parlare del più e del meno consapevole degli sguardi
rabbiosi che Anselm le lanciava in tralice mentre cavalcava al suo fianco.
Di tanto in tanto lasciava vagare gli occhi verso la testa della colonna dove
44
L'Agnello di Dio.
si trovava Fernando. Il marito cavalcava senza l'elmo e il sole faceva
splendere l'abito di seta. Il suono delle voci e il cigolio dei carri echeggiava
monotono intorno a lei. Qualcuno si mise a suonare un piffero.
«Ci incontreremo di nuovo sul campo, Madonna. E Dio voglia che sia-
mo dalla stessa parte!» disse Agnello, per porre fine alla conversazione.
«Dio lo voglia» rispose Ash, ridendo.
L'Agnello si diresse a sud est dove, forse, erano schierate le sue truppe.
«Non gli hai detto che il nostro 'attuale datore di lavoro' è anche tuo ma-
rito» le fece notare Robert Anselm.
«No, non l'ho fatto.»
Un uomo tarchiato con i capelli scuri raggiunse Anselm, si guardò bene
intorno e disse: «Dobbiamo essere vicini a Genova, capo!»
«Credo» rispose Ash a Euen Huw.
«Lo porto a caccia con me.» Il pollice del Gallese carezzò l'elsa della
daga. «Molte persone muoiono per un incidente di caccia. Succede conti-
nuamente.»
«Siamo un convoglio di duecento uomini e venti carri. Avremo spaven-
tato la selvaggina per chilometri. Non ci crederà. Mi dispiace, Euen.»
«Allora domani gli sello io il cavallo. Un pezzo di filo metallico intorno
allo zoccolo, sotto il garretto e... capo, si continua!»
Lo sguardo calcolatore di Ash fissò il marito per valutare quali ufficiali
stavano cavalcando con lui e i suoi scudieri e quali erano invece dalla sua
parte. I primi giorni di viaggio erano stati penosi, poi si erano presentati
problemi in numero sufficiente a tenere occupati tutti, ma ora la situazione
si era stabilizzata.
Non puoi prendertela con loro, pensò Ash. Qualsiasi cosa mi chiedono,
lui mi contraddice con i suoi ordini.
Ma una compagnia divisa non può combattere. Ci farebbero a pezzi co-
me un gregge di pecore.
Un uomo con il volto simile a una patata e un ciuffo di capelli che spun-
tava da sotto il bordo dell'elmo fece affiancare il suo cavallo a quello di
Ash. «Butta giù da cavallo quello stronzetto, Ash» esordì sir Edward A-
ston. «Se continua a farci avanzare senza esploratori rischiamo qualche
brutta sorpresa, e il nostro collo. E ogni volta che ci fermiamo per accam-
parci non fa addestrare i soldati.»
«E se continua a spendere quelle cifre per vino e cibo ogni volta che ci
fermiamo in città, finiremo nei guai» la incalzò Henri Brant, un uomo di
mezza età dal fisico tarchiato. «Ma lo conosce il valore del denaro, quello?
Quando saremo tornati non avrò il coraggio di farmi vedere alle Gilde.
Negli ultimi quindici giorni ha speso più di quello che ho messo da parte
per l'autunno!»
«Hai ragione, Ned. Lo so, Henri.» Ash spostò il peso sulla sella e il suo
cavallo morse il roano di Aston sulla spalla.
Ash assestò un pugno in mezzo alle orecchie di Bastardo e si lanciò al
galoppo. L'aria le rinfrescò il volto.
Giunta vicina al carro nel quale erano tenuti i prigionieri rallentò. Le
grosse ruote rivestite di metallo facevano ondeggiare vistosamente il mez-
zo e i due ambasciatori che erano stati buttati sul fondo del cassone legati
mani e piedi rotolavano sulle tavole seguendo gli scossoni.
«È stato mio marito a ordinare che fossero trattati così?»
Un uomo a cavallo armato di balestra sputò di lato. «Sì» rispose senza
guardarla.
«Liberali.»
«Non posso» rispose il soldato. Qual è la prima regola, ragazza? si ram-
mentò Ash. Mai dare un ordine se sai che non verrà eseguito.
«Liberali quando Fernando ti manderà l'ordine» disse Ash, dando un se-
condo pugno al suo cavallo che stava cercando di dare una spallata a quel-
lo del balestriere. «Cosa che farà» aggiunse. Un lampo maligno le balenò
negli occhi per un attimo. «Tu hai bisogno di una bella galoppata per cal-
marti. Ahi!»
Ash lanciò il cavallo prima al trotto poi al galoppo, passando tra i carri
incurante dei colpi di tosse e delle bestemmie che i soldati le lanciavano
contro per il polverone che stava sollevando. Scorse una dozzina di pen-
nacchi alla testa della colonna.
Il cavallo di Fernando trotterellava davanti a tutti con la testa alta e le
redini pericolosamente molli. Ash notò che il marito aveva dato l'elmo al
suo scudiero, Otto e la lancia a Matthias che non era né un cavaliere né
uno scudiero. Una coda di volpe pendeva attaccata all'asta dello stendardo.
Appena vide il marito ebbe un tuffo al cuore. Era il ritratto di un cavalie-
re. Cavalcava con destrezza e a testa scoperta. Il piastrone dell'armatura
gotica era di ottima fattura. L'umidità si era condensata in goccioline sul
metallo, sul bordo dei guanti e sui capelli biondi.
Non sono mai stata così sventata, pensò Ash, con un pizzico d'invidia.
Ha sempre avuto tutto questo fin da quando è nato. Non ci ha mai neanche
pensato.
«Mio signore.» Il marito girò la testa, il volto era coperto da una sottile
peluria biondiccia, quindi tornò a rivolgersi a Matthias discorrendo con lui
della lunga spada da cavaliere che portava appesa al fianco del suo cavallo.
L'animale scalpitò scocciato, il gruppo si allargò per qualche secondo poi
tornò compatto.
Gli scudieri che circondavano Fernando sembravano riluttanti all'idea di
farla passare. Ash allentò leggermente la presa intorno alle redini di Ba-
stardo, che morse immediatamente il fianco di uno dei cavalli che aveva
vicino.
«Merda!» Il giovane cavaliere tirò le redini e la bestia cominciò a muo-
versi in cerchio.
Ash si infilò nell'apertura e si mise a fianco del marito. «È arrivato un
messaggero. Ci sono stati guai a Marsiglia.»
«Siamo a leghe di distanza da quella città.» Fernando cavalcava reggen-
do una borraccia piena di vino con entrambe le mani. Distese le braccia,
inclinò la borraccia e un fiotto di vino lo centrò in bocca. Il nobile tossì e il
vino color paglia si riversò sul piastrone.
«Hai vinto, Matthias!» Fernando lanciò via la borraccia semi piena che
scoppiò appena toccata terra, dopodiché tirò una manciata di monete. Otto
e un altro paggio lo affiancarono immediatamente e gli sfilarono il piastro-
ne. Il nobile, che continuava a tenere le protezioni per le braccia, estrasse
la daga e tagliò i lacci che chiudevano il giustacuore bagnato, lo tolse e lo
gettò via. «Otto! Fa troppo caldo per l'armatura. Fai montare il mio padi-
glione. Mi cambio.»
Fernando del Guiz cavalcava solo con la maglia di seta che ricadeva sul-
la calzamaglia, la quale metteva in evidenza il profilo del membro. Una
volta sceso da cavallo tutto sarebbe tornato a posto. Ash si assestò sulla
sella.
Avrebbe voluto mettergli una mano in mezzo alle gambe.
Il trombettiere si fermò, portò lo strumento alla bocca e ne fece uscire
uno squillo.
«Ci fermiamo?» disse Ash, sussultando.
Il sorriso di Fernando venne imitato dagli ufficiali di Ash che cavalca-
vano al suo fianco, dai paggi e dai suoi amici nobili. «Io mi fermo. I carri
si fermano. Tu puoi fare quello che vuoi, mia signora moglie.»
«Vuoi dar da bere e da mangiare agli ambasciatori mentre sostiamo?»
«No.» Fernando fermò il cavallo.
Ash rimase in sella a Bastardo guardandosi intorno. La foschia mattutina
si era diradata del tutto rivelando un terreno giallastro e arido dal quale
spuntavano dei cespugli che difficilmente sarebbero stati scambiati per
alberi. Un terreno rialzato a duecento metri da una strada larga. Un paradi-
so per gli esploratori e per i fanti. Anche dei banditi a cavallo avrebbero
potuto attaccarli in quel punto.
Godfrey la raggiunse in groppa al suo cavallo. «Quanto manca a Geno-
va?»
La polvere si era depositata tra le rughe sul volto del prete e gli aveva
imbiancato la barba dando ad Ash un'idea di che aspetto avrebbe avuto
l'amico una volta raggiunti i sessant'anni.
«Sette chilometri? Quindici? Quattro?» Ash si diede un pugno sulla co-
scia. «Sono cieca! Mi ha vietato di mandare gli esploratori e di pagare del-
le guide locali: ha preso questo itinerario segnato per i pellegrini che si
recano in Terra Santa e pensa che sia tutto quello di cui abbiamo bisogno!
È un nobile! Un cavaliere! Nessuno può tendergli un'imboscata! E se quel-
li che abbiamo incontrato non fossero stati gli uomini dell'Agnello? Se
fossero stati banditi?»
Godfrey scosse la testa sorridendo. «Va bene, va bene, è vero,» riprese
Ash «è difficile intravedere la differenza tra l'Agnello e un bandito! Ma,
cosa vuoi, sono fatti così questi mercenari italiani.»
«Una calunnia infondata, forse.» Godfrey tossì, bevve e passò la borrac-
cia ad Ash. «Ci accampiamo due ore dopo che siamo partiti?»
«Il mio signore vuole cambiarsi d'abito.»
«Un'altra volta? Avresti dovuto buttarlo fuori bordo quando eravamo sul
Reno, prima ancora che attraversassimo i cantoni, per non parlare delle
Alpi.»
«Non è un pensiero molto cristiano da parte tua, Godfrey.»
«Matteo dieci, trentaquattro!» 45
«Non penso che Nostro Signore intendesse quello che stai pensando...»
Ash portò la borraccia alle labbra e bevve una sorsata. La birra era calda,
ma servì lo stesso a rinfrescarle un po' la bocca. «Non adesso, Godfrey.
Non è ancora arrivato il momento di chiedere ai miei uomini di schierarsi.
Si creerebbe solo un gran caos. Dobbiamo continuare così almeno finché
non saremo tornati da questo stupido viaggio.»
Il prete annuì lentamente.
«Salgo sulla cima della prossima collina per vedere la situazione» disse
Ash. «Quell'uomo cammina nella nebbia in più di un senso. Godfrey, mo-
45
Matteo 10: 34 'Non pensate che io sia venuto a mettere pace in terra:
io non sono venuto a mettervi la pace, bensì la spada.'
stra un po' di carità cristiana ad Asturio Lebrjia e al suo compagno. Non
penso che il mio caro marito abbia dato loro da mangiare stamattina.»
Godfrey si allontanò.
Jan-Jacob Clovet e Pieter Tyrrel raggiunsero Ash mentre Bastardo trot-
terellava di malavoglia su per la collina. I due Fiamminghi sembravano
quasi identici e puzzavano di vino stantio e sperma. Ash pensò che en-
trambi gli uomini dovevano essersela spassata con una prostituta, forse la
stessa, fino all'alba.
«Capo,» esordì Jan-Jacob «fa qualcosa con quel figlio di puttana.»
«Tutto a tempo debito. Se muovete un dito senza un mio ordine vi in-
chiodo le palle su un asse.»
Normalmente i due Fiamminghi avrebbero riso della battuta, ma questa
volta no. «Quando?» insisté Jan-Jacob.
«Gli altri dicono che non lo ucciderai perché sei cotta. E dicono che non
potevano aspettarsi altro da una donna» aggiunse Pieter.
Ash sapeva che se avesse chiesto i nomi degli altri avrebbe ricevuto del-
le risposte evasive e si limitò a sospirare.
«Ascoltate, ragazzi... abbiamo mai rotto un contratto?»
«No!» risposero i due all'unisono.
«Beh, non si può dire lo stesso per le altre compagnie mercenarie. Noi
veniamo sempre pagati perché non rompiamo mai un contratto per passare
dall'altra parte. La legge è l'unica cosa che abbiamo. Ho firmato un con-
tratto quando ho sposato Fernando e questa è una delle ragioni per le quali
non è facile.»
Spronò Bastardo verso la cima dell'altura.
«Sarebbe bello sperare che Dio lo facesse per me» disse, meditabonda.
«Ci sono giovani nobili avvinazzati che cadono da cavallo e muoiono ogni
giorno, perché non potrebbe succedere anche a lui?»
«Balestra?» suggerì Pieter, battendo una mano sulla custodia che teneva
appesa alla sella.
«No!»
«Scopa bene?»
«Jan-Jacob, almeno per una volta nella tua vita potresti smettere di pen-
sare con quello che hai in mezzo alle gambe, diavolo!»
La brezza finì di diradare gli ultimi scampoli di foschia nel momento
stesso in cui raggiunsero la cima della collina. Il sole splendeva sulle alture
che circondavano la città di Genova e sulle onde del Mediterraneo. Da
quel punto si vedevano chiaramente la costa e il mare.
E una flotta che costellava la baia.
Non erano mercantili.
Navi da guerra.
Vele bianche e insegne nere, pensò Ash, là sotto c'è mezza flotta da
guerra visigota!
Il vento portò il sapore del sale, mentre lei rimase immobile per alcuni
secondi che sembrarono dilatarsi all'infinito. Le prue taglienti come un
coltello delle triremi fendevano la superficie argentea del mare. Il loro nu-
mero era imprecisato, ma Ash valutò a occhio e croce che poteva oscillare
da dieci a trenta navi. In mezzo ai vascelli c'erano circa cinquanta o sessan-
ta quinqueremi e vicino alla spiaggia i mezzi da sbarco dal pescaggio ri-
dotto sparivano dalla sua vista oltre le mura di Genova, circondati da pic-
coli arcobaleni formati dalla luce del sole che attraversava gli spruzzi d'ac-
qua sollevati dalle pale che fungevano da sistema propulsivo46 .
Ash vide il fumo nero che si levava dai tetti dei magazzini del porto e
vide diversi uomini correre lungo le strade tortuose della città.
«Truppe che sbarcano, numero imprecisato, una flotta d'assalto e nessun
vascello alleato a contrastarla; il mio contingente ammonta a duecento
uomini.»
«Ritirati o arrenditi» le rispose la voce nella sua testa.
Ash continuava a fissare la costa a bocca aperta, quasi ignorando il con-
siglio.
«L'Agnello sta per finire in bocca al nemico!» Jan-Jacob indicò, atterri-
to, lo stendardo bianco di Agnus Dei, qualche chilometro più avanti di
loro. Ash fece un rapido calcolo mentale degli uomini che stavano scap-
pando.
«Vado a dare l'allarme» disse Pieter, che stava trattenendo a stento la
cavalla.
«Aspetta» gli ordinò Ash. «Ascoltatemi bene. Jan-Jacob, fa disporre gli
arcieri a cavallo. Di' ad Anselm che li voglio in formazione e armati sotto
46
Questa è un'altra intrusione delle leggende medievali all'interno del
testo. Oltre alla precedente inclusione del nome 'Cartagine', io sospetto che
questo sia solo un oscuro ricordo, preservato in qualche dimenticato
manoscritto monastico, della potenza marinara di Cartagine prima che i
Romani ne distruggessero la flotta nella battaglia navale di Milazzo (263
A.C.) grazie, soprattutto, all'uso dei ponti per l'arrembaggio chiamati:
'corvi'. Non è strano che un cronista medievale abbia inserito tale
anacronismo.
il suo comando! Pieter, di' a Henri Brant che devono abbandonare tutti i
carri e che i passeggeri devono ricevere un'arma e scappare. Ignorate qual-
siasi ordine proveniente da del Guiz e la sua cricca - adesso vado a parlare
a Fernando.»
Galoppò giù dalla collina in direzione del suo stendardo. Vide Rickard
in mezzo agli altri uomini e gli urlò di andare a chiamare Godfrey e gli
ambasciatori stranieri, dopodiché si diresse a rotta di collo verso il punto in
cui stavano erigendo il padiglione di Fernando, che nel frattempo sedeva
sul cavallo parlando allegramente con il suo seguito.
«Fernando!»
«Cosa?» Il nobile si girò sulla sella. Le labbra si piegarono in una smor-
fia colma d'arroganza e Ash si rese conto che il marito non era un uomo
avventato, come aveva pensato fino a quel momento, bensì crudele. Saltò
giù dalla sella e gli afferrò le redini del cavallo in modo che fosse costretto
a prenderla in considerazione.
«Cosa vuoi?» Si grattò in mezzo alle gambe. «Non vedi che aspetto di
vestirmi.»
«Ho bisogno del tuo aiuto.» Ash fece un respiro profondo. «Siamo stati
ingannati. La flotta visigota non sta navigando verso il Cairo contro i Tur-
chi. È qui.»
«Qui?» Fernando la fissò meravigliato.
«Ho contato almeno venti triremi e sessanta fottute quinqueremi! E
mezzi da sbarco.»
«Visigoti?» Il volto di Fernando assunse un'espressione innocente e di-
vertita.
«La flotta! I loro cannoni! L'esercito! È a una lega da qui su quella stra-
da!»
Fernando rimase a bocca aperta. «Cosa diavolo ci fanno i Visigoti qui?»
«Bruciano Genova.»
«Bruciano...»
«Genova! È un contingente d'invasione. Non ho mai visto tante navi in
un posto solo.» Ash staccò un grumo di terra dalle labbra. «Agnello è fini-
to loro in bocca. Stanno combattendo.»
«Combattono?»
«Sì, Ferdie, combattono» disse Matthias parlando in un dialetto del sud
della Germania. «Ricordi. L'addestramento, i tornei, le guerre? Qualcosa di
simile.»
«Guerra» ripeté Fernando.
Il giovane amico di del Guiz finse di guardarlo in cagnesco. «Se la cosa
non ti disturba, mi sono addestrato più di te! Sei sempre stato pigro come
un cinghiale...»
«Mio Lord, marito,» lo interruppe Ash «devi venire a vedere. Andia-
mo!»
Ash montò in sella a Bastardo e lo spronò senza pietà al galoppo, ma il
cavallo la disarcionò a metà collina costringendola a terminare l'ultimo
tratto di corsa. Raggiunse la cima qualche attimo dopo sudata e ansante.
Ash si girò aspettandosi di trovare Fernando alle sue spalle, ma il marito
arrivò qualche minuto dopo con l'armatura indossata alla bell'e meglio e la
maglia che faceva capolino tra le piastre delle protezioni per le braccia.
«Allora? Dove...» La voce gli si strozzò in gola.
Le pendici della collina erano costellate da una folla di uomini in corsa.
Otto, Matthias, Joscelyn van Mander, Ned Aston e Robert Anselm li
raggiunsero un attimo dopo sollevando un nuvolone di polvere e terra e
rimasero ammutoliti. Da Genova si levavano delle alte colonne di fumo
nero.
«Visigoti» dissero all'unisono Fernando del Guiz e Joscelyn van Mander.
«Potevano attaccare noi o i Turchi. Alla fine hanno deciso di prendersela
con noi» commentò Robert Anselm.
«Ascoltate» disse Ash. «Una dozzina di uomini a cavallo possono muo-
versi più velocemente di questa compagnia. Fernando, Mio Lord marito,
torna dall'imperatore per fargli sapere cosa sta succedendo! Prendi de Que-
sada e Lebrija con te come ostaggi! Tu puoi farcela in pochi giorni se ca-
valchi senza sosta.»
Il nobile fissò gli stendardi che si avvicinavano. Alle sue spalle gli uo-
mini del Leone Azzurro formavano una massa di elmetti, bandiere e punte
di lance che sembrava ondeggiare per il calore dell'aria calda. «Perché non
vai tu, capitano!»
Ritta in sella su quella collina polverosa, sudata e con l'odore di cavallo
che gli impregnava gli abiti, Ash ebbe l'impressione di aver stretto in pu-
gno l'elsa della sua spada: era una sensazione di controllo che non aveva
più provato da quando era partita da Colonia.
«Tu non sei un contadino o un mercenario come me» spiegò Ash. «Sei
un nobile. L'imperatore ti darà ascolto.»
«Ha ragione, mio signore» incalzò Anselm, cercando di mostrarsi il più
servile possibile. Roberto non fissò Ash negli occhi, ma lei sapeva bene
quello che stava pensando il suo braccio destro perché ormai lo conosceva
da anni: non lasciare che a questo ragazzino venga in mente di comandare
una carica del tipo 'gloria o morte' contro quelli!
«Ci sono sessanta quinquiremi...» disse Van Mander, stupefatto. «Tren-
tamila uomini.»
Fernando fissò Ash. «Porterò la notizia a mio cugino l'imperatore!» de-
clamò, come se nessuno avesse parlato e l'idea fosse stata sua. «Tu com-
batterai questi bastardi per me! È un ordine.»
Sei mio! pensò Ash, esultante e fissò Joscelyn van Mander che aveva
sentito l'ordine.
Fecero girare i cavalli e cominciarono a scendere giù dalla collina. Il ca-
lore faceva sudare i fianchi delle bestie. La luce del sole dava fastidio ad
Ash.
Indicò a Godfrey Maximillian i due ambasciatori visigoti che avanzava-
no incespicando al suo fianco. «Trova loro un cavallo e incatenali ai polsi.
Vai!»
Ash diede una pacca sul collo di Bastardo. Non riusciva a smettere di ri-
dacchiare. Il castrato girò la testa e le morse una delle protezioni delle ca-
viglie. «Va bene, ti piace la gente, perché allora non vai d'accordo con gli
altri cavalli? Uno di questi giorni finisci in padella. Stai fermo.»
Un oggetto duro le rimbalzò tra le spalle facendo risuonare una delle
piastre metalliche all'interno del brigantino. Ash imprecò. La freccia cadde
a terra.
Fece girare il cavallo con le ginocchia.
In cima alla collina c'era una fila di soldati a cavallo con le divise nere.
Arcieri.
«Fermi!» urlò a Henri Brant e ai suoi uomini che stavano mettendo i car-
ri in cerchio per formare una fortificazione. «Lasciate perdere. Prendete
tutto quello che può essere caricato sui cavalli e filate.»
Si diresse verso il punto in cui Anselm stava organizzando lo schiera-
mento di arcieri a cavallo con Jan-Jacob e Pieter al comando delle due ali.
Piantò le ginocchia con violenza nei fianchi di Bastardo e desiderò con
tutta se stessa di essere in sella a Godluc. Quello stronzo di Fernando, pen-
sò. 'Non portiamo i cavalli da guerra!' ha detto. 'Viaggiamo in pace!' Si
rese conto di aver afferrato la spada, ma non avrebbe saputo dire da quan-
to. Le mani erano protette solo da un paio di guanti di cuoio. Si sentiva
troppo vulnerabile e il pensiero delle lame seghettate dei Visigoti le fece
chiudere lo stomaco. Lanciò un'occhiata alla dozzina di giovani cavalieri
germanici che galoppavano verso l'entroterra come se avessero il diavolo
alle calcagna, quindi tornò a concentrarsi sul nemico.
Diversi manipoli di soldati erano raggruppati intorno agli stendardi e si
avvicinavano lentamente. Il sole si rifletteva su circa un migliaio di lance.
Galoppò indietro fino allo stendardo del Leone Azzurro trovando Ri-
ckard che portava il suo stendardo personale. Raggiunse Robert Anselm e
disse: «Sono a circa un paio di chilometri da qua! Henri, dovete cancellare
le tracce dei cavalli e sparire. Quando raggiungerete la curva che si trova a
un paio di chilometri da qui uscite dalla strada e salite sulle colline. Vi
copriremo le spalle.»
Ash fece girare Bastardo e tornò alla linea di difesa; circa un centinaio di
uomini a cavallo e altrettanti sulle ali con gli archi. «Ho sempre detto che
voi bastardi avreste fatto di tutto per vino, donne e canzoni e il vostro vino
si sta ritirando verso il bosco alle nostre spalle! Tra un minuto lo seguire-
mo anche noi, ma prima faremo capire a questi bastardi del sud che non
devono seguirci. L'abbiamo già fatto e lo rifaremo!»
«Ash!» urlarono gli uomini in coro.
«Gli arcieri su quella altura, muovetevi! Ricordate: non arretriamo fin-
ché lo stendardo non arretra, poi ci ritiriamo veloci! E se sono abbastanza
stupidi da seguirci nella foresta riceveranno tutto ciò che meritano. Arriva-
no!
«Incoccare! Tirare!» sbraitò Euen Huw.
Il sibilo di una freccia fendette l'aria seguito un attimo dopo da altre
duecento. Ash vide un cavaliere visigoto allargare le braccia e cadere dalla
sella con un quadrello nel petto.
Un gruppo di soldati armati di lance cominciò ad arretrare.
«Mantenete le posizioni» urlò Anselm.
Ash vide un altro gruppo di cavalieri visigoti armati di archi corti. «Cir-
ca sessanta uomini che possono tirare da cavallo» borbottò.
«Se si radunano caricali con la cavalleria. Se scappano, ritirati.»
«Chiaro» borbottò Ash. Segnalò al suo stendardo di arretrare e alla com-
pagnia di montare a cavallo. Dopo circa un chilometro a passo di marcia si
accorse che il nemico non li stava seguendo.
«Non mi piace per niente» commentò.
«C'è qualcosa di strano» Robert Anselm si fermò. «Mi aspettavo che
quei bastardi ci attaccassero.»
«Sono in inferiorità numerica. Li avremmo fatti a pezzi.»
«Questo non ha mai impedito ai Visigoti di farsi ammazzare. Sono un
branco di stupidi indisciplinati.»
«Lo so, ma oggi non si comportano come tali.» Ash abbassò leggermen-
te la visiera dell'elmo per riparare gli occhi dalla luce del sole. «Grazie a
Dio il mio maritino mi ha dato ascolto. Per un attimo ho avuto paura che ci
ordinasse di caricare.»
Vide le insegne dei Visigoti stagliarsi contro il cielo in lontananza. Sem-
bravano, ma la distanza poteva trarre in inganno, sormontate da un'aquila
dorata.
Un movimento sotto una di quelle insegne attirò la sua attenzione.
Visto da quella distanza poteva sembrare un uomo dal fisico snello, ma
svettava di una testa buona sopra il gruppo di comandanti. Il sole risplen-
deva sulla pelle color ocra e rame.
Ash osservò il golem che si allontanava verso sud est. Il passo non era
più veloce di quello di un uomo, ma inesorabile. Non c'era roccia o pendio
che potesse farlo rallentare. Quell'essere era più lento di un cavallo, ma
non aveva bisogno di riposarsi o mangiare. Poteva viaggiare sia di notte
che di giorno divorando più di un centinaio di chilometri in ventiquattro
ore.
«Merda» imprecò. «Stanno mandando dei messaggeri. Vuol dire che so-
no sbarcati anche in altri punti.»
Anselm le toccò una spalla e le indicò un secondo golem che si dirigeva
verso nord ovest lungo la costa.
«Nessuno era preparato!» Ash si sistemò sulla sella. «Non hanno solo
ingannato la nostra rete di spie, Robert. L'hanno fatta anche alle banche, ai
preti e ai principi... Che Dio ci aiuti. Non volevano combattere i Turchi.
Non hanno mai voluto farlo...»
«Vogliono noi» borbottò Robert Anselm girando il cavallo. «Questa è
una cazzo d'invasione.»
III
IV
— Anna
——————————————————————————————
Sono confinato in una stanza di un hotel a Tunisi. Uno dei giovani assi-
stenti di Isobel Napier-Grant mi sta spiegando come scaricare e spedire e-
mail attraverso le linee telefoniche della Tunisia e ti assicuro che, come
potrai immaginare, non è facile come sembra. Il camion si recherà al sito
solo stanotte con il favore delle tenebre. Gli archeologi diventano dei veri
fanatici quando si tratta di sicurezza, ma se Isobel ha veramente trovato
quello che dice non mi sento di biasimarla.
Quando mi disse che sarebbe venuta fin qua, io speravo che potesse tro-
vare delle prove per sostenere la mia tesi ma, mai e poi mai mi sarei aspet-
tato QUESTO!
'Ha fatto sparire il sole'. Certo. Da quello che ho scoperto, tra il 1475 e il
1476 non c'è stata nessuna eclisse visibile. L'unica a cui riesco a pensare è
quella del 25 febbraio 1476, a Pskov, ma siamo in Russia! Comunque, è
molto probabile che i cronisti l'abbiano usata come una sorta di licenza
poetica per rendere il tutto più drammatico. Anch'io ho fatto lo stesso.
— Pierce
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— Anna
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— Pierce
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— Anna
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Messaggio: #24 (Anne Longman)
Oggetto: Visigoti
Data: 07/11/00 ore 17,234
Da: Ngrant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Anne — cancellati
— Pierce
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— Pierce
Voglio parlare con il dottor Napier-Grant e persuaderla che voi due do-
vete lavorare in tandem a partire da ORA. Il mio Media Director, Jonathan
Stanley, è *molto* favorevole a una collaborazione tra te e il dottor Na-
pier-Grant. Sembra una di quelle inglesi eccentriche che di tanto in tanto
appaiono sul piccolo schermo. Intravedo la possibilità di una serie televisi-
va per lei, poi c'è la tua traduzione di 'Ash', senza parlare di quello che
potreste fare insieme - che ne dici di un diario della spedizione? Pensi di
poter scrivere il testo per un documentario sulla spedizione? Le possibilità
sono *infinite*!
Sono certo che si possa raggiungere un accordo. Di solito non dico que-
ste cose ai miei autori accademici, ma ti consiglio di *trovarti un agente*!
Hai bisogno di qualcuno che sappia trattare per i diritti sui film e le tra-
smissioni televisive, per non parlare dei diritti sulla traduzione del libro.
È vero che abbiamo un testo che per metà si basa su leggende medievali
e per metà su fatti storici (l'eclissi!) e che sono stupita dal fatto che un e-
vento della portata di un'invasione sia stato omesso dai libri di storia. Co-
me si MUOVEVANO i golem? Ma non vedo niente di tutto ciò come una
barriera al successo editoriale. Parla con il dottor Napier-Grant dell'idea di
un progetto in comune e rispondi appena puoi!
II
III
Nei cinque giorni che seguirono l'incontro, Ash parlò almeno con due o
tre persone alla volta. Sempre.
Godfrey le portò il contratto stilato dai Visigoti affinché lo controllasse e
firmasse. Era scritto in ottimo latino. Firmò mentre riprendeva Gustav e i
suoi fanti per aver tentato un ultimo assalto al castello di Guizburg, con-
tando al tempo stesso le nuove cavalcature e i sacchi d'avena insieme a
Henri Brant e ascoltando le lamentele degli archibugieri per la polvere da
sparo che scarseggiava e quelle di Florian - Floria - riguardo i feriti che
guarivano e quelli che peggioravano. Entro mezzanotte aveva consultato
ogni unità della sua compagnia e tutti gli uomini avevano accettato i ter-
mini del contratto.
«Ci muoviamo stanotte» annunciò Ash. Tale decisione era dettata in par-
te dal fatto che almeno di notte c'era un po' di luce, visto che l'ultimo quar-
to di luna era ancora visibile nel cielo, e in parte perché agli uomini non
piaceva cavalcare sotto la cappa di buio innaturale che oscurava il cielo
durante il giorno. Inoltre, secondo Ash, era molto più sicuro dormire du-
rante il giorno e muoversi di notte. Spostare un campo di ottocento uomini
più i carri era già abbastanza duro sotto il sole.
Non rimase mai sola, neanche per un secondo.
Si avvolse in un velo impenetrabile di autorità. Nessuno fece domande.
Ash aveva l'impressione di essere una sonnambula.
Si risvegliò da quello stato di apparente dormiveglia cinque giorni dopo
sentendosi del tutto esausta.
Mentre entrava nella città di Basilea, Ash riusciva solo a pensare che il
faris aveva il suo stesso volto. Sono orfana, non c'è nessuno al mondo che
mi assomigli, ma io e lei siamo due gocce d'acqua. Le devo parlare.
Vorrei che ci fosse la luce!
Le urla dei soldati e il tonfo degli zoccoli dei cavalli da guerra echeggia-
vano nelle vie di Basilea. I cittadini si spostavano frettolosamente per met-
tersi al coperto. Dalle finestre più di una persona la ricoprì di insulti. Put-
tana, stronza e traditrice erano tra i più comuni.
«Nessuno ama i mercenari» disse Ash, fingendosi dispiaciuta. Rickard
rise di gusto, mentre i suoi uomini presero a pavoneggiarsi.
Su molte porte era stata inchiodata una croce. Le chiese erano piene e
Ash incrociò più di una processione di uomini che si flagellavano. Il pa-
lazzo del comune era chiuso, ma sul tetto del piccolo palazzo delle corpo-
razioni sventolavano le bandiere nere.
Ash riuscì a salire la stretta rampa di scale malgrado l'armatura. Le armi
le erano d'impaccio. Mano a mano che si avvicinavano alla stanza in cima
alla rampa il rumore delle voci diventava sempre più forte: un misto di
tedesco svizzero, fiammingo, italiano e latino del Nord Africa. Il consiglio
d'occupazione del faris: questo voleva dire che lei doveva trovarsi nelle
vicinanze.
«Prendi.» Ash passò l'elmo umido di sudore a Rickard.
La stanza in cui entrarono era simile a tante altre in cui era stata. Le fi-
nestre erano incastonate nella pietra del muro e i loro vetri ovali permette-
vano di vedere la strada sottostante e le case a quattro piani dall'altra parte
del vicolo bagnate dalla pioggia. Dei puntini bianchi cadevano nel raggio
di luce delle lanterne nelle case di fronte e delle torce che illuminavano i
soldati in strada. I ripidi tetti spioventi si stagliavano contro il cielo nero.
La stanza puzzava a causa di un centinaio di candele di sego. Guardò la
candela segna tempo e vide che era passato mezzogiorno.
«Ash» tirò fuori un pezzo di cuoio sul quale era impresso il suo simbolo.
«Condottiero del faris.»
Le due guardie la fecero passare. Ash si sedette al tavolo e gli uomini
della scorta si fermarono alle sue spalle. Era tranquilla per quanto riguar-
dava il suo campo. Sapeva che Robert Anselm era in grado di trattare con
Joscelyn van Mander e Paul di Conti, che avrebbe dato retta agli ufficiali
che comandavano le unità minori e, se fosse stato necessario, sarebbe stato
in grado di guidare la compagnia all'attacco. Una rapida occhiata le permi-
se di prendere nota dei presenti alla riunione: c'erano gli Europei e i Visi-
goti, ma non il faris.
«Dobbiamo organizzare l'incoronazione. Mi rivolgo a tutti voi per la
procedura» disse un Visigoto che Ash riconobbe come un amir.
Un Visigoto in borghese cominciò a leggere con attenzione un mano-
scritto europeo. «Appena l'arcivescovo avrà posto la corona sulla testa del
re, allora questi dovrà offrire la sua spada a Dio posandola sull'altare... Il
duca più meritevole tra i presenti alla cerimonia... dovrà presentarla sguai-
nata al re... 62 »
Non è quello che volevo fare, pensò Ash. Come faccio a parlare al loro
generale?
Si grattò la nuca, poi si fermò perché non voleva attirare l'attenzione sul
pezzo di cuoio della gorgiera morsicato dai topi.
«Perché dovremmo incoronare il nostro viceré con una cerimonia paga-
na?» domandò un qa'id. «Neanche i loro re e i loro imperatori riescono a
ottenere la lealtà dei propri sudditi, quindi, non vedo perché dovremmo
attenerci ai loro usi.»
Uno degli individui che si trovava al fondo del tavolo, un uomo con i
capelli biondi tagliati corti alla maniera dei soldati visigoti alzò la testa e
Ash si trovò faccia a faccia con Fernando del Guiz.
«Ah, niente di personale, del Guiz» aggiunse lo stesso ufficiale. «Sarai
anche un traditore, ma, dopotutto, sei il nostro traditore!»
Un'ondata di umorismo macabro attraversò la tavolata, ma l'amir riportò
immediatamente l'ordine senza riuscire a fare a meno di lanciare un'oc-
chiata interrogativa a Fernando.
Fernando del Guiz sorrise. La sua espressione era aperta, generosa e pa-
lesemente complice con l'ufficiale visigoto: come se anche Fernando si
stesse divertendo per lo scherzo ai suoi danni.
Era la stessa espressione che aveva fuori dalla tenda dell'imperatore a
Neuss.
Ash vide che il marito aveva la fronte imperlata di sudore.
Non era certo un simbolo di forza di carattere. Tutt'altro.
«Cazzo!» urlò Ash.
«'E il re sarà...'» Un uomo dai capelli bianchi che indossava una tonaca
62
È una procedura simile a quella illustrata nel manoscritto
'Sull'ordinazione di un Cavaliere' del quindicesimo secolo, intitolato 'Il
modo e la forma di incoronazione dei re e delle regine in Inghilterra.'
dello stesso colore dei capelli ornata con degli anelli metallici intorno al
colletto, alzò gli occhi dal manoscritto che stava leggendo. «Scusatemi,
frau?»
«Cazzo!» Ash balzò in avanti posando una mano sul tavolo. Fernando
del Guiz la fissava freddo e impassibile. Indossava un usbergo sopra una
tunica bianca con i gradi di qa'id sulle spalle. In quel momento le sue lab-
bra diventarono bianche. Ash lo fissò negli occhi ed ebbe l'impressione di
ricevere un pugno nelle costole.
«Sei solo un fottuto traditore!»
La lama della spada era già uscita dal fodero e i muscoli si erano contrat-
ti, prima ancora di riuscire a formulare un pensiero cosciente. Sentì il cor-
po che si preparava ad assorbire l'impatto della punta che penetrava nel
volto scoperto di del Guiz. Nel corso di tutta la sua vita Ash aveva sempre
pensato che la forza bruta alle volte potesse risolvere dei problemi per i
quali pensare era tempo sprecato.
Un attimo prima che estraesse la spada, Agnus Dei, che si trovava dietro
l'amir, scrollò le spalle come per dire: 'Donne!' «Risolvi le tue questioni
private in un altro momento, Madonna!» aggiunse ad alta voce.
Ash lanciò un'occhiata alla sua scorta. I sei uomini continuavano a rima-
nere impassibili in volto, ma pronti a ritirarsi. Solo Rickard si stava mor-
dendo le unghie, atterrito dal silenzio.
Fernando del Guiz la fissava privo d'espressione. Si sentiva al sicuro e
protetto dai suoi nuovi alleati.
«E sia» disse Ash, sedendosi. Tutti i presenti allentarono la stretta intor-
no all'elsa delle spade. «Risolverò le mie questioni private più tardi. Que-
sto vale anche per te, Agnello.»
«Forse i mercenari non dovrebbero prendere parte a questo incontro,
condottieri» fece notare il Lord-amir, secco.
«Credo proprio di no.» Ash posò le mani sul bordo del tavolo di quercia.
«Ho bisogno di parlare con il faris.»
«Lei è nel municipio.»
Era la fine di ogni bega tra mercenari e Ash l'apprezzò. Si alzò in piedi e
gratificò Agnus Dei di un sorriso. Anche il mercenario italiano si stava
alzando per abbandonare la sala insieme ai suoi uomini. Ash si strinse nel
mantello per ripararsi dal nevischio. «Tutti i mercenari in strada...»
Quella frase avrebbe indotto Agnello a combattere o a ridere.
L'uomo aggrottò la fronte. «Quanto ti paga, Madonna?»
«Più di te. Qualunque sia la cifra, scommetto che è più alta di quella che
passa a te.»
«Hai più lance» affermò Agnello, tranquillo, mentre si infilava i guanti.
Ash mise l'elmo, si diresse nel punto in cui Rickard teneva le redini di
Godluc e montò velocemente in sella. I ferri di un cavallo da guerra scivo-
lavano sulla strada pavimentata tanto quanto i suoi stivali. Il fatto di essere
tornata calma in maniera così repentina la disorientava.
«Antonio Angelotti te l'ha detto?» la chiamò Agnello. «Hanno bruciato
anche Milano. L'hanno rasa al suolo.»
L'odore del pelo umido di cavallo pervadeva l'aria.
«Tu non vieni da Milano, Agnello?»
«I mercenari non hanno patria, Madonna, lo sai anche tu.»
«Alcuni di noi ci provano, ad averne una.» Ripensò alle mura frantumate
di Guizburg e al mastio che era ancora intatto. È in quella piccola stanza e
vorrei che fosse morto, si disse.
«Chi ha lasciato che le 'gemelle' si incontrassero senza avvertire nessuna
delle due?» gli chiese.
Agnello rise, cinico. «Pensi che sarei ancora vivo se il faris pensasse che
è colpa mia?»
«Ma c'è anche Fernando.»
Il mercenario italiano la gratificò di uno sguardo che sembrava dirle:
'Ma non capisci proprio nulla, bambina mia.'
«E se ti pagassi per uccidere mio marito?» chiese improvvisamente Ash.
«Sono un soldato, non un assassino.!»
«Ho sempre saputo che avevi dei principi, Agnello, se solo sapessi dove
trovarli!» Così dicendo, Ash scoppiò a ridere, continuando a tenere d'oc-
chio il mercenario perché l'espressione del suo volto dava chiaramente a
intendere che lo scherzo non gli era piaciuto.
«Comunque, sta per diventare il braccio destro del faris.» Agnus Dei si
toccò il simbolo sul vestito e l'espressione del suo volto si ammorbidì. «Sa-
rà Dio a giudicarlo, Madonna. Pensi di essere il suo unico nemico dopo il
tradimento che ha compiuto? Il Giudizio Divino calerà su di lui.»
«Mi piacerebbe arrivare prima» sentenziò Ash, sogghignando, mentre
fissava Agnus Dei e i suoi uomini che salivano a cavallo. Il rumore degli
zoccoli e delle voci echeggiava contro i muri delle case. Brutta strada per
combattere, pensò Ash, quindi affondò il mento nella gorgiera e borbottò,
giusto a scopo informativo e per la prima volta da Genova: «Sei cavalieri
contro sette armati di martelli da guerra, spade e asce. Terreno pessimo.»
Si fermò e abbassò la ventaglia dell'elmo per nascondere il volto, girò il
cavallo e lo spronò al galoppo lungo quel vicolo scivoloso, seguita imme-
diatamente dai suoi uomini. Le urla di Agnello furono coperte dal tonfo
degli zoccoli sul porfido.
No! Non ho detto nulla! Non voglio sentire!
Era preda di una paura irrazionale e non voleva capirne il motivo.
È solo il santo che sentivo fin da bambina: perché...
Non voglio sentire la mia voce.
Fece rallentare Godluc e guidò la sua scorta lungo un dedalo di stradine
scarsamente illuminate. Il campanile suonò le due di pomeriggio.
«So dove trovare il chirurgo» disse a Thomas Rochester. L'uomo annuì e
si mise in testa al gruppo insieme a un altro. Due balestrieri le si affianca-
rono e gli ultimi due chiusero il gruppo. Il selciato della strada lasciò il
posto al fango ghiacciato.
Le case su ambo i lati del vicolo avevano le finestre oscurate dalle tende,
dietro le quali era possibile intravedere il bagliore fioco delle lanterne. Una
macchia nera attraversò il suo campo visivo e Godluc ne seguì la traiettoria
con la testa. Sono pipistrelli, comprese Ash. Sono usciti dai loro nidi a
caccia di insetti.
Qualcosa scricchiolò sotto gli zoccoli del cavallo.
Un tappeto di insetti morti ricoperto da un sottilissimo strato di ghiaccio
ammantava la strada.
C'erano centinaia di migliaia di api, vespe e calabroni. Godluc continuò
ad avanzare schiacciando corpi e ali.
«Là.» Ash indicò una casa di tre piani con una fila di finestre sporgenti.
Rochester annusò l'aria. La ventaglia nascondeva gran parte del volto del
piccolo inglese, ma quando cominciò a studiare la casa, Ash fu sicura che
sulle labbra dell'uomo fosse apparso un sorrisetto compiaciuto. Le finestre
erano illuminate da un centinaio di lanterne, qualcuno cantava e qualcun
altro suonava il liuto con grande arte. Nel centro della strada c'erano tre o
quattro uomini con il mal di stomaco. I bordelli facevano sempre buoni
affari durante le crisi.
«Aspettatemi qui.» Ash scese di sella. La luce della casa si rifletté sul-
l'armatura. «E quando dico qui, intendo in questo stesso punto. Quando
torno non voglio scoprire che qualcuno di voi è sparito durante la mia as-
senza!»
«No, capo!» Rochester sogghignò.
I due buttafuori la videro arrivare e la lasciarono passare. Non c'era nien-
te di nuovo in un cavaliere con la voce da ragazzino o in un soldato che
entrava in un bordello. Con un paio di domande e due monete spese per
comprare il silenzio, riuscì a trovare la stanza nella quale si era appartato
un chirurgo biondo dall'accento burgundo. Ash salì la scala con passo de-
ciso, bussò alla porta ed entrò.
Una donna era sdraiata sul lettino in un angolo della stanza. I seni le
sporgevano dal corpetto slacciato e aveva la camicia da notte tirata su fino
alle cosce. Il mento era piccolo e carnoso e i capelli erano tinti di biondo.
Aveva un'età indefinita, tra i sedici e i trent'anni.
La stanza odorava di sesso.
C'era uno liuto a fianco della prostituta. Sul pavimento c'era una candela
e un vassoio con del pane. Floria del Guiz sedeva sul letto con la schiena
appoggiata al muro. Un capezzolo marrone spuntava da sotto la maglia.
Ash fissava la prostituta che carezzava il collo di Floria.
«È un peccato?» le chiese la ragazza. «Vero, sir? Ma anche la fornica-
zione è un peccato e io ho fornicato con moltissimi uomini. Sono come dei
tori in un campo con i loro grossi affari. Lei è gentile e forte con me.»
«Sssh. Margaret.» Floria si inclinò in avanti e la baciò sulla bocca. «De-
vo andare. Posso tornare a trovarti?»
«Quando avrai i soldi.» Negli occhi della prostituta sembrò balenare un
lampo. «Mamma Astrid non ti farebbe passare senza. E vieni vestita da
uomo. Non voglio diventare legna da ardere per i fuochi della chiesa.»
Floria fissò Ash e roteò gli occhi. «Questa è Margaret Schmidt. Le sue
dita sono molto abili nel... suonare il liuto.»
Ash diede le spalle alle due donne che finivano di vestirsi e cominciò a
camminare su e giù per la stanza facendo scricchiolare le tavole del pavi-
mento. Una voce profonda e maschile urlò qualcosa dall'androne, mentre
da un'altra stanza giunse l'eco di false grida di piacere.
«Non mi sono mai prostituita con un'altra donna!» disse Ash, girandosi.
«Sono andata con gli uomini. Ma mai con gli animali o le donne! Come
puoi farlo?» '
«Anche se si fa passare per un uomo è una donna!» borbottò Margaret.
Floria finì di allacciare il mantello e si girò verso la ragazza. «Lei ha un
gran cuore. Se hai voglia di vivere viaggiando, puoi unirti alla nostra com-
pagnia: ce ne sono di peggiori.»
Ash voleva urlare, ma vide l'espressione sul volto della prostituta e deci-
se di stare zitta.
Margaret si grattò il mento. «Vivere in mezzo ai soldati, non la conside-
ro una vita. E dai retta a lei, o lui, non posso venire con te, giusto?»
«Non lo so, dolcezza. Non sono mai stata con una donna» commentò
Ash.
«Torna prima di ripartire e ti darò una risposta.» Calma, Margaret
Schimdt prese il liuto, il piatto e li posò sul ripiano di un mobile. «Cosa
state aspettando? Mamma avrà sicuramente mandato qualcun altro. Sbriga-
tevi a uscire altrimenti vi farà pagare il doppio.»
Ash non attese di vedere il bacio tra le due donne. Le prostitute non ba-
ciano, pensò. Io non ho mai...
Si girò e scese giù per la scala stretta passando davanti alle stanze. Alcu-
ne porte aperte le permisero di farsi un'idea delle attività in corso in quel
momento nel bordello. C'erano degli uomini impegnati in partite a dadi,
altri bevevano e altri ancora copulavano con le prostitute. Raggiunta la fine
della rampa, Ash si girò di scatto rischiando di dare una gomitata al chi-
rurgo. «Cosa pensavi di fare? Avresti dovuto parlare con gli altri medici
per cercare notizie!»
«Cosa ti fa pensare che non l'abbia fatto?»
L'alta donna controllò il cinturone, il borsellino dei soldi e la daga con
un gesto automatico della mano, continuando a stringere una bottiglia di
cuoio nell'altra.
«Proprio qui ho trovato uno dei medici personali del cugino primo del
califfo Teodorico. Era sbronzo marcio e mi ha detto in confidenza che il
califfo ha il cancro. Gli restano pochissimi mesi di vita.»
Ash la osservava dritta negli occhi. Sembrava che non stesse ascoltando.
«Che faccia!» Floria rise e bevve.
«Cristo, Florian, ti scopi le donne!»
«Non c'è niente di sbagliato in Florian che si scopa le donne.» Tirò su il
cappuccio. «Non sarebbe molto più sconveniente se cercassi di scoparmi
un uomo?»
«Pensavo che avessi pagato una stanza e il tempo della ragazza perché
faceva parte della messa in scena!»
L'espressione di Floria si ammorbidì, diede un buffetto sulla guancia ad
Ash, e si mise le muffole per proteggere le mani dal freddo della strada.
«Cristo santo. 'Non fare la stronza priva d'umorismo', come direbbe il no-
stro buon Roberto.'»
Ash sospirò rumorosamente. «Ma tu sei una donna che va con un'altra
donna!»
«La cosa non ti disturba con Angelotti.»
«Ma lui è...»
«Un uomo che va con un uomo?» concluse Floria. Ash sentiva le labbra
che tremavano. «Sant'Iddio, Ash!»
Una donna anziana con il volto scarno incorniciato da una cuffia sbucò
dalle cucine. «Voi due state cercando una donna o siete solo dei perdigior-
no? Chiedo scusa, si. cavaliere. Tutte le nostre ragazze sono pulitissime,
vero, dottore?»
«Proprio così.» Floria spinse Ash verso la porta. «Tornerò con il mio si-
gnore quando avrà sbrigato alcune faccende.»
La strada era molto buia e il bagliore vivido delle fiaccole tenute da
Thomas Rochester e gli altri uomini la accecarono per un attimo, non per-
mettendole di vedere il volto del ragazzino che portava il cavallo a Floria.
Ash montò in sella.
Aprì la bocca come per urlare, ma poi si rese conto che non sapeva cosa
dire. Floria non era affatto contrita e la stava fissando dritto negli occhi.
«Godfrey sarà già tornato» disse Ash, mentre premeva i talloni sui fian-
chi di Godluc per segnalargli di mettersi in marcia. «E la faris sarà arriva-
ta. Andiamo.»
La testa del cavallo di Floria scattò verso l'alto. Un gufo bianco era pla-
nato a pochi centimetri dal cappello del chirurgo, chiaramente disorientato.
«Guarda.» Floria indicò.
Ash alzò lo sguardo e fissò i tetti delle case.
Non aveva mai notato che il cielo estivo fosse pieno di vita perché non si
era mai soffermata ad osservarlo. Ora i tetti e i davanzali delle case erano
pieni di uccelli: piccioni, corvi, cornacchie e tordi gonfiavano il piumaggio
nella speranza di ripararsi dal gelo innaturale. I passeri condividevano i
tetti con i falchi pellegrini e le poiane in quella che sembrava una tregua
alquanto improbabile. Una sorta di mormorio di disappunto si levava dai
tetti, mentre le tegole e le travi cominciavano a ricoprirsi di uno strato di
guano bianco.
Sopra i volatili il cielo continuava a essere nero come la pece.
IV
68
Il 24 agosto.
69
Francese: 'baciami il culo'.
V
72
Latino: 'Grazie Dio', 'con l'aiuto di Dio'.
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ask: La storia perduta
della Borgogna (Ratcliff, 2001), British, Library.
Prima di tutto voglio scusarmi per essere sparito per due giorni. Qui so-
no sembrati poco più che minuti! Sono successe un mucchio di cose e c'è
una troupe televisiva che sta cercando di entrare. Grazie all'aiuto delle au-
torità locali. Il dottor Isobel ha creato un formidabile cordone di sicurezza
intorno al sito. È probabile che tu non abbia visto niente di tutto ciò in te-
levisione. Se fossi in Isobel non sarei così felice di avere tutti questi soldati
che ronzano intorno al sito. Quando penso a quello che potrebbero distrug-
gere inavvertitamente mi si gela il sangue nelle vene e non solo in senso
figurato.
Prima di continuare *devo* scusarmi per le cose che ho scritto giovedì
riguardo il dottor Napier-Grant. Io e Isobel siamo amici da molti anni, ma
c'è sempre una certa distanza tra noi. Temo che il mio entusiasmo riguardo
le scoperte mi abbia ridotto a un idiota farneticante. Spero che tu consideri
tutto ciò che ho scritto come confidenziale.
Non dispongo delle conoscenze tecniche che Isobel ha nel campo del-
l'archeologia, ma lei vuole che rimanga e le fornisca notizie storiche sul
tardo quindicesimo secolo. Lei è una specialista del periodo classico e quei
manufatti risalgono al Medio Evo. Il golem 'messaggero' è stato esaminato
con strumenti avanzatissimi e posso assicurarti, Anna, che questa cosa un
tempo camminava.
Non so dirti *come*, però.
Non abbiamo trovato ancora una fonte propulsiva o qualcosa che gli
somigli. Isobel e la sua squadra sono perplessi. Lei non può credere che la
descrizione dei golem riportata negli scritti su Ash sia solo una coinciden-
za o una favola medievale. Non ci vuole proprio credere.
Anch'io sono confuso. In un certo senso non avremmo dovuto trovare
quello che abbiamo scoperto in questo luogo. Certo, ho tra le mani la pro-
va di un insediamento tardo gotico sulla costa del Nord Africa, ma ho
sempre saputo che i riferimenti a Cartagine riportati sui manoscritti non
erano solo una licenza poetica. NON C'È CARTAGINE! Dopo le guerre
puniche, Roma cancellò Cartagine dalla faccia della terra. Cartagine e i
Cartaginesi smisero di esistere nell'anno 146 AC. Il successivo insedia-
mento romano che sorgeva sullo stesso punto, chiamato dai Romani stessi
Cartagine, venne distrutto dalle invasioni dei Vandali, dei Bizantini e degli
Arabi nell'ultima parte del settimo secolo DC e le rovine che ora si trovano
fuori Tunisi sono solo una bella attrazione turistica.
'Delenda est Cartago' come usava dire Catone durante le sedute del Se-
nato romano ogni volta che gli si presentava l'occasione: 'Cartagine deve
essere distrutta'. E così fu. Due generazioni dopo che l'armata cartaginese
guidata da Annibale era stata spazzata via da Scipione a Zama, Roma ave-
va deportato gli abitanti di Cartagine, dopodiché aveva demolito la città,
fatto arare il terreno per poi ricoprirlo di sale affinché non potesse crescer-
vi più nulla - un po' eccessivo, forse, ma a quel punto della nostra storia si
trattava di avere un impero romano o un impero cartaginese e i Romani, in
quanto vincitori, fecero in modo di non avere più problemi da quella zona.
La storia cancella tutto. Fino a dieci anni fa non eravamo certi che le ro-
vine che si trovavano sulla costa vicino a Tunisi fossero quelle di Cartagi-
ne! Io devo supporre che la spedizione visigota giunta dall'Iberia si fermò,
proprio come i Romani prima di loro, in un luogo chiamato Cartagine che
si trovava a una distanza ragionevole dal sito originale. Se questo è succes-
so solo nell'Alto Medio Evo, allora è probabile che ci siano dei riferimenti
nelle cronache del tempo e io intendo vagliare con molta attenzione le fon-
ti islamiche in cerca di prove.
La mia teoria rimane la stessa. E ora ho una prova inconfutabile della
sua veridicità!
— Pierce
——————————————————————————————
— Pierce
——————————————————————————————
Provo una certa riluttanza a parlare con il suo comitato editoriale in tele-
conferenza. Le linee telefoniche non sono buone e ho i miei seri dubbi che
siano sicure. Le verrò a parlare di persona appena potrò allontanarmi dal
sito. Le sarei grata se potesse mettermi in contatto con un'associazione di
agenti letterari o televisivi, ammesso che ne esista una. La mia Università è
in grado di entrare nelle trattative.
Non vedo nessuna ragione per la quale non dovremmo raggiungere un
accordo. Il metraggio della nostra squadra addetta alle riprese è stato spe-
dito per via digitale al mio dipartimento all'università di.......... e lo stanno
analizzando. Le suggerisco di mettersi in contatto con il mio dirigente di
dipartimento, Stephen Abawi, per accordarvi su come usare i filmati e per
pubblicizzare il lavoro del dottor Ratcliff.
Seguendo un suggeriemento del dottor Ratcliff, sto incoraggiando il
team addetto alle riprese a filmare anche ciò che 'circonda' la nostra sco-
perta archeologica. Intendo parlare di come la vivono i singoli componenti
della spedizione. Non sarà una sezione molto lunga perché i soldati di
guardia non amano farsi riprendere neanche dietro un piccolo compenso in
denaro. Comunque sono d'accordo con il dottor Ratcliff che quel materiale
sarà comunque utile per un documentario su quanto è successo qua.
È possibile che io e il dottor Ratcliff collaboriamo alla stesura di un testo
per il documentario. Sto pensando di usare delle citazioni dal vecchio ma-
teriale edito su Ash. Conosce l'edizione del 1890 di Charles Mallory Ma-
ximillian?
— Salve. Napier-Grant
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— Anna
——————————————————————————————
— Pierce
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——————————————————————————————
— Pierce
——————————————————————————————
— Anna
——————————————————————————————
Sono d'accordo con te sul fatto che Vaughan Davies dovrebbe essere sta-
to in grado di scoprire se i documenti erano falsi. Tu sei abbastanza gentile
da non dirlo, quindi devo farlo io.
Quella che segue è una lista dei principali documenti su cui ho lavorato.
Sono tutti autentici:
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— Anna Longman
——————————————————————————————
— Pierce
PARTE QUARTA
II
Si svegliò calda e sudata. Un incubo scivolò via da lei come un'onda che
si ritira dalla battigia. Ash aprì gli occhi e il delirio si tramutò in consape-
volezza.
Merda! pensò. Quanto tempo sono stata così? Quanto tempo ci vorrà
prima che il faris mi insegua o mandi una squadra a rapirmi?
«Sei stata calpestata da un cavallo» le spiegò la voce di Floria del Guiz.
«Facciamo tanto per la gloria della battaglia...» Ash cercò di mettere a
fuoco la vista. «Seppellita a causa di uno scherzo tra soldati73 »
«Stupida idiota.»
Il telaio del letto scricchiolò sotto il peso del chirurgo che si sedeva e
Ash sentì il suo corpo che veniva sollevato da un paio di braccia calde e
robuste. Pensò di sentire un altro corpo contro il suo poi si rese conto che i
seni che premevano contro la sua guancia erano quelli di Floria, che la
donna chirurgo la stava cullando e che il suo corpo era debolissimo.
La voce tranquilla di Florian le ronzava nell'orecchio, ma Ash percepì le
parole più attraverso le vibrazioni trasmesse al suo corpo che direttamente
dalla voce. «Suppongo che tu voglia sapere in che condizioni di trovi, giu-
sto? Sei il capo.»
«No...»
«Giusto.»
Dovresti lavarti, pensò Ash sentendo l'odore del sudore che impregnava
gli abiti del chirurgo. Abbandonò la testa contro il petto di Florian e la
cella cominciò a ondeggiare. «Oh, merda...»
Il peso dei due corpi abbracciati aveva infossato il materasso. Ash alzò
gli occhi al soffitto e seguì la traiettoria di un'ape che ronzava nella stanza.
L'abbraccio del chirurgo era il benvenuto.
«Sei molle come una palla di sterco» le disse la voce roca del medico.
«E non posso fare di più.»
Ash udì un coro di donne che cantava in lontananza. La piccola stanza
era pervasa dal profumo della lavanda. Deve crescere qua vicino, pensò.
Non c'era niente di suo nella stanza.
«Dov'è la mia cacchio di spada? E l'armatura!»
«Ah, questa è la ragazza che conosco!»
Ash fissò Floria. «So che morirò prima di raggiungere i trent'anni. Non
possiamo essere tutti Colleoni74 o Hawkwood75 . Quanto ci sono andata
73
Hoc futui quam lude militorum. Cito la traduzione idiosincratica di
Vaughan Davies dal Latino rozzo del testo.
74
Bartolomeo Colleoni (1403 -1475) era morto l'anno prima. Un famoso
condottiero che i Veneziani assoldarono più volte a partire dal 1455, visse
fino all'età di settantadue anni conservando il grado di generale delle forze
veneziane e scoraggiò la Serenissima ad andare a nord delle Alpi dal suo
vicina?»
«Non penso che il cranio sia rotto... l'ho ricucito e ho pronunciato gli in-
cantesimi del caso. Se ascolti i miei consigli rimarrai a letto per tre setti-
mane. Se succedesse sarebbe la prima volta in cinque anni che mi dai a-
scolto!» Il chirurgo l'abbracciò con più forza. «Non posso fare altro per te,
davvero. Riposa.»
«A quante leghe distiamo da Basilea?» chiese Ash. «Cosa è successo al-
la mia compagnia?»
Floria del Guiz sospirò.
«Perché non sei come tutti gli altri miei pazienti e cominci con chieder-
mi: 'dove sono?' Sei in un convento fuori Digione, in Borgogna, e la com-
pagnia è accampata a circa un chilometro in quella direzione.» Il lungo
dito della donna fendette l'aria davanti al naso di Ash indicando fuori dalla
finestra.
«Digione?» Ash strabuzzò gli occhi. «Ma siamo lontanissimi dai canto-
ni. Siamo dall'altra parte del France-Comté. Mio Dio. Digione... Tu sei una
fottuta Burgunda, Florian, aiutami. Conosci il posto?»
«Dovrei.» La risposta di Floria sembrava piuttosto acida. Si sedette. «Ho
una zia che vive a sei leghe da qui. Zia Jeanne dovrebbe essere a corte in-
sieme al duca.»
«Il duca Carlo è qua?»
«Oh è qua con tutto l'esercito e i mercenari. I prati fuori la città sono co-
perti di tende!» Florian scrollò le spalle. «Suppongo che sia venuto diret-
tamente qui dopo l'assedio di Neuss. Questa è la capitale meridionale del
regno.»
«I Visigoti hanno attaccato la Borgogna? Come procede l'invasione?»
«Come faccio a saperlo visto che sono stata tutto il tempo qui a curarti,
stupida stronza!»
Il disprezzo che il chirurgo aveva per le questioni familiari fece sorridere
Ash. «Non si parla così al tuo capo.»
Floria si girò in modo che potessero guardarsi in faccia. «Io lo faccio
quando mi pare e piace, hai capito 'stupida stronza di un capo'?»
III
IV
Il mattino dopo il calore sembrava ammantare gli alberi con una foschia
bluastra. Il cielo aveva un colorito grigio polvere. Ash camminava con le
maniche del vestito arrotolate, lungo la strada bordata da margherite e
piante di prezzemolo che portava al suo campo, un chilometro circa dal
convento. Si avvicinò di soppiatto passando attraverso un boschetto di
betulle e percorrendo la zona in cui erano state impastoiate le capre e le
vacche della compagnia.
Ash grattò uno dei pavesi di vimini attaccati a un carro non lontano dal
cancello principale e prese nota mentalmente di ricordare a Geraint che la
distanza tra un picchetto e l'altra era sbagliata.
«Non dovrei essere in grado di farlo...»
Fissò il campo oltre i carri, i larghi corridoi tra le tende per impedire il
dilagare degli incendi e gli uomini del Leone, per lo più intenti a mangiare
il porridge intorno ai fuochi dalle loro scodelle di legno.
Va bene, pensò, cos'è cambiato? Cosa c'è di diverso? Chi...
«Ash!»
Ash inclinò la testa all'indietro facendosi ombra con una mano per vede-
re meglio chi si trovava sul carro. Il caldo le fece arricciare la pelle delle
guance e del naso. «Bianche? Sei tu?»
Due gambe bianche balzarono giù dal carro e la donna abbracciò Ash
con le lacrime agli occhi. L'impeto dell'ex prostituta dai capelli biondi fu
tale da spingerla indietro.
«Whoa! Tranquilla, ragazza! Sono tornata, ma non vorrai uccidermi
prima che sia entrata.»
«Merda!» esclamò Bianche felice. Il sole evidenziava lo sporco delle
guance. «Pensavamo che stessi per morire. Pensavano che avremmo dovu-
to continuare a sopportare il Gallese bastardo. Henri! Jan-Jacob! Venite!»
Ash si issò oltre la barra del carro e saltò sulla paglia che ricopriva il ter-
reno del campo non lontano dalle tende dei cavalieri, poi si raddrizzò ri-
trovandosi tra le braccia di Henri Brant e Jan-Jacob Clovet: quest'ultimo
cercava di allacciarsi i pantaloni con una mano mentre con l'altra le dava
delle pacche sulla schiena. Baldina, la figlia di Bianche, una donna dai
capelli rossi, si abbassò la gonna con calma e si alzò dalla paglia sopra la
quale stava occupandosi dei due soldati.
«Sei tornata capo?» le chiese con voce roca.
Ash scompigliò i capelli rosso fuoco della prostituta. «No, sto per sposa-
re il duca Carlo di Borgogna. Dopo passeremo tutta la vita a mangiare fino
a scoppiare e a scopare su materassi di piume d'oca.»
«È giusto» approvò Baldina, divertita. «Ti renderemo vedova, così po-
trai farlo. Sempre che quel cazzo moscio che ti sei sposata sia ancora vi-
vo.»
Ash non riuscì a rispondere perché Euen Huw l'abbracciò ricoprendola
di una fiumana di complimenti e lamentele in gallese. Nel volgere di qual-
che attimo il gruppo intorno a lei cominciò a farsi sempre più numeroso.
Musicisti, lavandaie, prostitute, stallieri, cuochi e arcieri, tutti volevano
parlarle e pian piano cominciarono a portarla verso il centro del campo
come era nelle sue intenzioni.
Thomas Rochester le buttò le braccia al collo con le lacrime agli occhi,
imitato da metà degli inglesi.
«I soliti rosbif sentimentali.» Ash gli batté la schiena. Josse e Michael si
strinsero a lei.
Quindici minuti dopo stava stringendo la mano di Joscelyn van Mander,
malgrado il dolore alla testa l'avesse quasi accecata. Anche il Fiammingo
aveva gli occhi lucidi.
«Sia lode a Cristo!» bofonchiò il lanciere. Si guardò intorno per osserva-
re il gruppo sempre più numeroso di soldati che cominciavano a sgomitare
per raggiungere Ash. «Sei viva! Sia lode a Cristo!»
«Non per molto» disse Ash sotto voce. Cercò di liberare le mani. Posò
un braccio sulla spalla di Euen Huw e strinse la mano di Baldina che le
stava tamponando il volto con un lembo della gonna.
«Ho parlato in favore della compagnia con il visconte, abbiamo avuto
dei problemi a fare entrare i cavalieri in città» le disse Joscelyn van Man-
der in tono confidenziale e a voce bassa.
Oh, pensò Ash, sei andato a parlare in favore della compagnia? Ma senti
questo.
«Sistemerò tutto io» disse Ash, illuminandosi in volto.
Sorrise alle persone che la circondavano.
«È il capo!»
«È tornata!»
«Allora - dov'è Geraint-il-Gallese-bastardo?» indagò Ash, divertita.
Geraint ab Morgan si fece spazio tra la folla in mezzo a una pioggia di
risate. Il robusto Gallese si stava infilando la maglia nel dietro dei pantalo-
ni e quando vide Ash nel mezzo di una folla di ammiratori deliranti i suoi
occhi azzurri iniettati di sangue ebbero un guizzo.
Geraint le cadde davanti in ginocchio, allargando le braccia. «È tutto tu-
o, capo!»
Ash sorrise nel sentire la venatura di sollievo nella voce dell'uomo. Il
Gallese era davvero contento di vederla. «Sei sicuro di non volere il mio
lavoro?»
Sapeva bene cosa avrebbe risposto l'uomo di fronte a lei. Ash aveva de-
ciso di entrare dal campo senza passare dal cancello centrale perché voleva
farsi vedere per prima dal personale non militare che componeva la sua
compagnia, persone che non erano interessate in alcun modo alle lotte per
il comando. La gioia genuina di quelle persone si era trasmessa immedia-
tamente anche agli altri uomini e ai cavalieri rimanenti ai quali, visto il
voltafaccia repentino di van Mander, non restava altro che dimenticare le
ambizioni che avevano coltivato, le promozioni e le degradazioni non au-
torizzate ed esultare per l'arrivo del vero condottiero.
«Riprenditi il tuo fottuto lavoro, capo» disse Geraint parlando in gallese.
«Portatrice di luce!» urlò qualcuno alle sue spalle. «Leonessa!» aggiunse
qualcun altro. Ash pensò di aver riconosciuto la voce di Jan Jacob Clovet.
«Ascoltate!» Ash alzò entrambe le mani per ottenere silenzio. I servizi
del campo potevano aspettare per un'ora. «Sono qua, sono tornata e sto per
andare alla cappella. Chiunque voglia ringraziare Dio per essere stato libe-
rato dall'oscurità mi segua!»
Non riuscì a farsi sentire per un minuto abbondante. Improvvisamente si
fermò, diede una pacca sulla schiena di Euen Huw e indicò con l'altra ma-
no. Almeno quattrocento persone si diressero verso il cancello principale
del campo guidate da Ash che rispondeva alle domande, chiedeva notizie e
si congratulava con i feriti che stavano guarendo.
Ash camminava su per la collina seguita dai suoi uomini, facendo loro
strada verso la cappella dedicata al culto di Mitra82 che si trovava ovvia-
82
Sono del tutto d'accordo con la supposizione di Vaughan Davies che si
trova nel suo libro del 1939, quindi non mi resta altro che citarlo
direttamente: 'Il grandissimo numero di religioni praticate nel
quindicesimo secolo non ha nessuna somiglianza con la pratica del
Cristianesimo moderno. Un'epoca più stabile, un'epoca meno bisognosa di
mente al di fuori dei territori conventuali.
Le chiome rigogliose degli alberi splendevano al sole. Ash fece un lungo
respiro rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse rimasta
stupita dal caldo e dalla luce. Abbassò lo sguardo e fissò l'entrata della
cappella davanti alla quale si trovavano Floria, Godfrey, Angelotti e Ro-
bert: fece un cenno lievissimo con il capo e gli ufficiali si rilassarono.
Floria le andò incontro insieme a Godfrey. Angelotti si inchinò e Robert
si fece da parte.
Ash lanciò un'occhiata interrogativa ai due uomini.
C'erano anche dei preti di fronte all'entrata del piccolo tempio. Ash prese
Floria e Godfrey sotto braccio. I soldati alle sue spalle cominciarono a
inginocchiarsi posando le armi e togliendosi i cappelli e gli elmi, ben sa-
pendo che non sarebbero potuti entrare in quel luogo sacro. Tutti ridevano
e parlavano ad alta voce. Dei giovani preti del culto di Mitra si allontana-
rono dal tempio e si diressero verso la folla in modo da potere officiare un
rito anche per loro.
Ash entrò nel tempio sempre a braccetto di Godfrey, abbassando la testa
per non picchiare contro l'architrave e passando dall'odore di foresta secca
che regnava all'esterno a quello di terra umida che permeava il corridoio.
«Allora? Cosa ti hanno detto a corte? Il duca vuole combattere?»
«Ho sentito delle voci, ma niente di affidabile. Sicuramente non può i-
gnorare un esercito a settanta chilometri dai confini del suo regno, ma...
Ma non ho mai visto tanta magnificenza!» esclamò Godfrey. «Devono
esserci almeno trecento libri nella sua biblioteca!»
«Oh, libri. Certo, certo.» Ash strinse la mano intorno al braccio del prete
mentre scendeva l'ultimo gradino ed entrava nella cappella di Mitra. I raggi
del sole penetravano tra le travi creando i più strani giochi di luce e ombra
all'interno della caverna. Il pavimento a mosaico riproduceva i Cammina-
tori Orgogliosi e Le Piogge d'Aprile. «Cosa pensi che me ne possa impor-
Ash si accorse che il cuore aveva cominciato a batterle più forte, che la
bocca si stava seccando e che aveva un'urgente bisogno di andare nelle
latrine da campo. Strinse con forza l'invito del duca di Borgogna.
«Quando?» chiese. Non voleva farsi vedere intenta a sillabare ogni paro-
la della pergamena davanti a un nuovo datore di lavoro. Vide il volto ar-
rossato di Rickard e gli passò la borraccia.
Il paggio bevve, si versò dell'acqua sulla testa per poi scuoterla violen-
temente. «La quinta ora dopo mezzogiorno. È quasi mezzogiorno, capo!»
Ash sorrise per rassicurarlo. «Vai a chiamare Anselm, Angelotti, Geraint
Morgan e padre Godfrey: corri!»
Aveva la voce incrinata.
Si drizzò sulla sella e vide Anselm e Angelotti che uscivano dal campo.
Il ragazzino li superò entrambi di corsa mentre i due camminavano con
passo deciso verso di lei e il conte di Oxford.
«Eccoli che tornano - i miei due ragazzi candidi come un giglio» com-
mentò a bassa voce. In quale casino mi hai ficcata, Robert? pensò. «Conte
di Oxford, il mio signore sarebbe così gentile da accettare la mia ospitali-
tà?»
L'inglese si affiancò ad Ash fissando il campo del Leone Azzurro che in
quel momento aveva l'aspetto di un nido d'api preso a calci da un mulo. «Il
conte di Oxenford 88 » mormorò l'uomo con un sorrisetto stampato sulle
labbra «farebbe meglio a tornare tra un'ora in modo che i vostri uomini
possano mettersi in ordine.»
«No» rispose Ash, torva. Il suo sguardo era fisso sui due ufficiali sempre
più vicini. «Siete il mio capo, mio signore. Spetta solo a voi darmi il per-
messo di rispondere a questa chiamata e presentarmi davanti al duca. E se
vado dovete spiegarmi cosa dire e fare. Ora è come. se avesse convocato
voi.»
Il nobile sollevò le sopracciglia.
«Certo, certo, mia signora. Potete andare. Devo decidere cosa potete di-
re. Sfortunatamente sembra che vi abbia privato dell'opportunità di ottene-
re un contratto più ricco di quello che vi posso offrire, visto che le mie
88
Era uno dei nomi con il quale al tempo veniva chiamata la città di
Oxford.
terre sono nelle mani di Riccardo di Gloucester89 »
E quanto ci pagherai? pensò Ash. Non un centesimo in più di quanto po-
trebbe offrire Carlo il Téméraire 90 . Questo è poco ma sicuro. Merda.
«Rimanete a pranzo da noi, mio signore. Dovete darmi degli ordini. An-
che il vostro seguito è invitato.» Ash prese fiato. «Intendo far fare un ap-
pello in modo da potervi comunicare la nostra forza esatta. Probabilmente
mastro Anselm vi ha detto che abbiamo lasciato Basilea di gran carriera.
Avete fatto un buon affare. Mio signore.»
«La povertà è un padrone peggiore di quanto possa esserlo io, signora.»
Ash diede un'occhiata al farsetto e pensò a cosa significasse avere i pro-
pri beni posti sotto sequestro ed essere mandati in esilio. «Lo spero» bor-
bottò sotto voce. «Scusatemi, Vostra Grazia!»
Mentre gli uomini del seguito raggiungevano il conte, Ash spronò Go-
dluc verso i suoi ufficiali conscia del fatto che Floria stava correndo al suo
fianco. Cominciava ad aver mal di testa. Si fermò di fronte alle figure an-
simanti di Robert Anselm e Angelotti e di Geraint ab Morgan, che nel frat-
tempo li aveva raggiunti. Guardò il campo e si rese conto che versava nel
caos più totale.
«Cristo sull'Albero!»
La situazione era peggiore di quello che sembrava a prima vista. Gli
uomini giacevano sdraiati intorno ai fuochi spenti intenti a bere. Le lance e
le alabarde erano state impilate alla meno peggio e sembrava dovessero
cadere da un momento all'altro. Dei soldati a torso nudo spostavano delle
pentole annerite dal fumo. Le prostitute sedute sui carri mangiavano mele
e ridevano sguaiate. La vista del patetico tentativo dei lancieri di Euen
Huw di montare di guardia la fece imbestialire ulteriormente. I bambini
giocavano troppo vicini ai cavalli e il muro formato dai carri scendeva fino
al fiume riducendosi a un guazzabuglio di ripari improvvisati fatti per lo
più di coperte tese sopra due bastoni. Nessuno aveva cercato di rispettare
le regole contro gli incendi o aveva provato a organizzare una difesa degna
di questo nome...
89
Sette anni dopo le vicende narrate nei libri sulla vita di Ash, Riccardo
di Gloucester è incoronato re d'Inghilterra, come Riccardo HI (1483 -
1485).
90
Il duca Carlo di Borgogna, come i suoi predecessori - Filippo l'Ardito,
Giovanni il Senzapaura e Filippo il Buono - era conosciuto con il suo
cognome. Téméraire venne tradotto in seguito in modo da sembrare 'Carlo
il Temerario'.
«Geraint!»
«Sì, capo?»
Ash fulminò il balestriere gallese che stava suonando un flauto in do se-
duto su un carro, con i pantaloni slacciati e una cuffia sporca sulla testa.
«Cosa pensi che sia tutto questo? Rimetti in quadro questo casino prima
che Oxford ci licenzi! O i Visigoti ci piombino addosso e ci prendano a
calci in culo! Muoviti!»
Il sergente gallese era abituato a sentirsi urlare addosso, ma il tono di
voce di Ash lo fece girare immediatamente sul posto e lo indusse ad attra-
versare il campo con passo deciso sbraitando ordini a ogni squadra di uo-
mini che incontrava. Ash, ritta sulla sella, lo osservò con i pugni piantati
sui fianchi.
«Per quanto ti riguarda» disse rivolgendosi ad Anselm senza abbassare
la testa. «Sei con il culo a terra. Dimentica di mangiare con il tuo signore.
Quando saremo usciti dalla mia tenda voglio che questo campo risponda in
tutto e per tutto a una delle descrizioni fatte da Vegezio e che questi cial-
troni abbiano l'aspetto di soldati, altrimenti sei fuori gioco. Chiaro?»
«Sì, capo.»
«Era solo una fottuta domanda retorica, Robert. Fai l'appello, voglio sa-
pere chi abbiamo perso e chi abbiamo guadagnato. Una volta che sono a
posto falli esercitare un po' con le armi. La metà degli uomini è sdraiata a
terra sbronza marcia, ma la cosa finisce, adesso. Voglio avere una scorta
degna di questo nome quando entrerò nel palazzo del duca Carlo!»
Anselm sbiancò in volto.
«Hai un'ora» ringhiò Ash. «Muoviti!»
Florian fece una profonda risata. «Il capo abbaia e tutti scattano.»
«Non mi chiamano la vecchia scure da battaglia per niente!»
«Allora lo sapevi! Non ne sono mai stata sicura.»
Ash fissò Anselm che correva verso il campo. Sapeva bene che la paura
che stava provando in quel momento era dovuta a due fattori. Il primo era
lo stato di abbandono in cui versava il campo. Il secondo era il fatto di
dover entrare nella prima corte d'Europa. Tuttavia c'era una vocina dentro
di lei che esultava esclamando: «Dio, quanto mi piace questo lavoro!»
«Rimani qua, Antonio. Voglio che tu faccia vedere all'Inglese i tuoi can-
noni. Tienimelo lontano per un'ora. Non ho mai visto un lord che non fosse
interessato all'artiglieria. Dov'è Henri?»
L'addetto ai rifornimenti si avvicinò al cavallo zoppicando, aiutato da
Bianche.
«Henri, sto per accogliere un conte inglese e il suo seguito nella mia
tenda. Fa' stendere uno strato di segatura pulita, tira fuori l'argenteria e
facciamo in modo che il cibo sia decente, chiaro? Vediamo se riusciamo a
imbandire una tavola degna di un conte.»
«Con quello che cucina Wat, capo?» L'espressione terrorizzata di Henry
cambiò dopo qualche secondo. «Ah, già, sono Inglesi. Non sanno niente
della buona cucina e non potrebbe importagliene di meno. Dammi un'ora.»
«Concessa! Vai, Angelotti!»
Girò Godluc esercitando una leggera pressione con un ginocchio e tornò
lentamente verso il conte. La bandiera del nobile continuava a penzolare
inerte per la mancanza di brezza. I soldati avevano il volto madido di sudo-
re. Ogni maledetto contadino, pensò Ash, a quest'ora si sta riparando dal
sole per uscire solo a tardo pomeriggio. Ogni mercante di Digione è tra
quattro mura di pietra intento ad ascoltare i musicisti e scommetto che an-
che il Duca sta facendo la siesta. E a noi cosa danno?
Meno di cinque ore per prepararci.
«Capitano» urlò de Vere.
Ash lo raggiunse.
Il conte di Oxford indicò i cavalieri al suo seguito. «Questi sono i miei
fratelli, Thomas, George e Richard; e il mio buon amico visconte Beau-
mont.»
I fratelli del nobile dovevano aver superato da poco la ventina; il viscon-
te era di qualche anno più vecchio. Tutti avevano i capelli lunghi fino alle
spalle. Le armature e le spade erano simili.
Quello che sembrava il più giovane dei fratelli de Vere si drizzò sulla
sella e parlò in un inglese dell'East Anglia: «È una sfrontata, John! Si veste
come un uomo. Non abbiamo bisogno di una come lei per buttare giù dal
trono Edoardo!»
Un altro fratello socchiuse gli occhi e disse: «Guardate che faccia! Cosa
importa chi è!»
Ash sedeva in sella al suo cavallo da guerra squadrando tranquillamente
i quattro fratelli. Si girò verso il visconte Beaumont. «Adesso capisco per-
ché tutti parlano in un certo modo dell'educazione degli Inglesi» gli disse
nell'inglese che aveva imparato durante le campagne in quel paese. «Non
avete nulla da aggiungere, visconte?»
Il nobile alzò le mani come se volesse arrendersi. Negli occhi c'era un'e-
spressione di chiaro apprezzamento. «Niente, signora!» Gli mancava uno
dei denti davanti e la voce aveva un che di flautato.
«Mi dispiace che Dickon 91 sia stato tanto scortese.» John de Vere fece
un inchino, quindi, apparentemente fiducioso nella capacità di Ash di sa-
persela cavare, disse: «Sono sicura che sapete benissimo come affrontare
questa situazione, capitano.»
«Ma è una donna debole!» esclamò Richard de Vere, stupefatto. «Cosa
sai fare?» ringhiò, rivolgendosi ad Ash.
«Capisco... Voi pensate che il mio signore non mi abbia ingaggiato per
la mia abilità» rispose Ash, secca. «Voi pensate che mi ha ingaggiata solo
per farmi delle domande sul generale visigoto e l'invasione e siete convinti
che sia Robert Anselm a dare gli ordini sul campo. Mi sbaglio, forse?»
Uno dei fratelli de Vere, Tom o George, disse: «Il duca Carlo deve esse-
re della stessa opinione. Sei una donna, cos'altro sai fare se non parlare?»
«Questo è mio fratello George, signora» lo presentò educatamente il du-
ca di Oxford.
Ash si avvicinò al fratello più giovane. «Vi dirò io cosa so fare, mastro
de Vere. Posso ragionare, parlare, fare il mio lavoro e combattere. Ma se
un uomo non crede che io possa comandare o pensa che sia debole o non
vuole rimanere a terra dopo uno scontro leale, cosa che di solito succede
con le reclute, o pensa che l'unico modo per rispondere alle donne sia uno
stupro... allora posso anche ucciderlo.»
Il giovane de Vere arrossì dal collo alla punta dei capelli, in parte per
l'imbarazzo e in parte perché, almeno così pensò Ash, si era reso conto che
le sue parole rispondevano alla verità.
«Rimarreste molto sorpreso di scoprire quanti guai vi siete risparmiato.»
Rise e abbandonò per un attimo l'etichetta. «Non ho bisogno di convincerti
che non sono una nullità, dolcezza. Devo solo combattere i nemici di tuo
fratello abbastanza bene da rimanere in vita ed essere pagata.»
Dickon de Vere si irrigidì sulla sella. Ash si girò verso il conte di O-
xford.
«Non devo piacere loro, mio signore. Solo che non voglio essere consi-
derata come la figlia di Eva.»
Il visconte Beaumont borbottò qualcosa in inglese. Aveva parlato troppo
velocemente e lei non riuscì a capirlo, ma il più giovane dei fratelli arrossì
ulteriormente e scoppiò a ridere e il conte si passò una mano sulla bocca,
molto probabilmente per nascondere un sorriso. Solo i due fratelli di mez-
zo continuavano a fissarla in cagnesco.
91
'Dickon' è un diminutivo affettuoso in uso tra gli Inglesi per indicare il
nome 'Richard'.
Ash socchiuse gli occhi per ripararsi dal sole. Il sudore le impastava i
capelli sotto il cappello di velluto. L'odore di cuoio dei finimenti e quello
del cavallo le diede un senso di sicurezza.
«È tempo che mi diate i primi ordini, mio signore» gli disse, allegra.
«Questa è la mia compagnia, conte. Ottanta lance. Mi piacerebbe sapere
una cosa. Siamo troppo grossi per una scorta e troppo piccoli per essere un
esercito, quindi come mai ci avete ingaggiati?»
«Dopo, signora. A pranzo. C'è ancora abbastanza tempo prima che vi re-
chiate dal duca.»
Ash stava per insistere, quando vide Godfrey davanti ai cancelli del
campo che finiva di parlare con due uomini vestiti alla meno peggio e una
donna che indossava un abito verde e si dirigeva a grandi passi verso di lei.
«Credo che il mio prete voglia parlarmi. Sarebbe così gentile da seguire
mastro Angelotti? Egli sarà ben contento di mostrarvi i nostri pezzi d'arti-
glieria. Sono all'ombra...» Indicò gli alberi vicino al fiume.
Osservò l'espressione di de Vere e si rese conto che il nobile aveva capi-
to che si trattava di uno stratagemma, ma, essendo abituato a tali cortesie,
accettò di buon grado.
Ash si alzò sulla sella e fece un inchino, mentre Angelotti prendeva le
redini del cavallo del conte e lo guidava verso il campo.
«Godfrey?»
«Sì, figliola?»
«Seguimi! Dimmi tutto quello che sai della situazione a Digione mentre
ispeziono il campo. Tutto! Non ho idea di cosa sta succedendo a corte e tra
quattro ore devo presentarmi davanti al duca!»
Scusa, ma non ho dormito perché sono stato collegato tutta la notte con
delle università in diverse parti del mondo.
Hai ragione. È successo con tutti i manoscritti. Il CARTULARIO di St.
Herlaine è scomparso del tutto. Esiste una copia dello Pseudo-Godfrey
nella galleria dei falsi al V&A. Il testo dell'Angelotti e quello di del Guiz
sono considerati romanzi medievali, leggende. Sono stati tolti dai docu-
menti medievali dopo gli anni '30!
Da quello che ho potuto scaricare, i testi sono rimasti invariati. L'unica
cosa che è cambiata è la loro CLASSIFICAZIONE, da storia a romanzi.
Ti posso solo chiedere di credermi quando ti dico che non sono un truf-
fatore.
— Pierce
——————————————————————————————
— Anna
——————————————————————————————
Isobel non ha la minima intenzione di mettere delle foto del sito o dei
golem su Internet. Dice che sarebbero di dominio pubblico in tutto il mon-
do in meno di mezz'ora.
Suo figlio, John Monkham, tornerà dalla Tunisia la prossima settimana.
Sono riuscita a persuadere Isobel a usarlo come corriere. Porterà delle co-
pie delle foto fatte ai golem; ma rimarranno sempre in suo possesso. Isobel
ti autorizza a mostrarle al tuo MD prima che John torni al sito.
È il massimo che posso fare.
——————————————————————————————
Pierce —
——————————————————————————————
Francamente, no. Non ho la MINIMA idea del motivo per il quale quegli
scritti sono stati classificati sotto la categoria 'Narrativa'. Ho esaurito tutte
le spiegazioni possibili.
Comunque HO un'idea. Io penso che c'entri la filosofia. Si tratta del Ra-
soio di Occam - se la più semplice delle spiegazioni per ogni evento è pro-
babilmente quella vera, potrebbe essere che la RICLASSIFICAZIONE dei
testi su 'Ash' sia stata un errore? Sai come vanno le cose con i database on
line; se una delle università dovesse decidere che quel documento è un
falso si produrrebbe un 'effetto cascata' che coinvolgerebbe tutte le univer-
sità collegate in rete. E il documento si perderebbe o verrebbe mal classifi-
cato.
Ho passato una notte insonne con questo pensiero come mia unica con-
solazione. Ho verificato. Purtroppo stamattina, svegliato dal rumore ormai
familiare dei camion che arrivavano al sito, mi sono reso conto di aver
lavorato troppo con la fantasia. È impossibile che si sia verificato un effet-
to cascata tra i database perché non avrebbe influito su quelle biblioteche
che non sono collegate in rete. No, non ho nessuna idea di quello che sta
succedendo. Quando sono riuscito ad avere accesso alla sezione
'manoscritti' della British Library, i documenti che ho consultato erano
semplicemente classificati sotto la voce 'Storia Medievale'.
Non so spiegare come mai, a quanto pare, questi documenti siano stati
riclassificati negli anni trenta.
Non so che cosa stia succedendo, ma so che corriamo il rischio di vedere
Ash scomparire come una bolla di sapone dalla storia per essere relegata
nell'immaginario popolare diventando un personaggio la cui veridicità sto-
rica sarà pari (se non inferiore) a quella di re Artù o Lancillotto. Tuttavia,
ero e rimango convinto che abbiamo a che fare con essere umano in carne
e ossa, sotto la concrescenza del tempo.
Inoltre, ciò che mi rende veramente perplesso è che quanto è stato ritro-
vato in questo sito non solo avvalla la mia teoria di una cultura visigota nel
Nord Africa, ma anche gli aspetti più STRANI di quella cultura come la
padronanza della tecnologia post-romana nove secoli dopo. Se pensavo
che l'idea dei Visigoti in questa zona dell'Africa potesse essere improbabi-
le, ero addirittura sicuro che la loro tecnologia fosse mitologia pura! E
invece eccola qua!
Non riusciamo ancora a capirne il funzionamento.
È abbastanza per farmi pensare a Vaughan Davies. Forse non sai guanto
suona strana la sua introduzione ad ASH: UNA BIOGRAFIA. È qualcosa
che si tende a ignorare a causa dell'alto grado culturale dello scrittore e
dell'accuratezza delle sue traduzioni.
Riguardo alle 'concrescenze' sui vari testi sostiene che la difficoltà non
erano i miti cresciuti intorno ad Ash, ma il fatto che era lei stessa a disse-
minarli.
Ti copio la parte più interessante:
(...) L'ipotesi che io {Vaughan Davies} trovo più accettabile è che nella
storia di 'Ash', o in quella che si suppone tale, lo storico si trovò di fronte,
tra le altre cose, al prototipo della leggenda della Pulzella, Giovanna da
Domremy, che la storia ci ha tramandato con il nome di Giovanna d'Arco.
Questa teoria può sembrare in contrasto con la ragione. Le vicende di
Ash si svolgono chiaramente nel terzo quarto del quindicesimo secolo. È
impossibile datare i manoscritti a un periodo precedente al 1470. Giovanna
d'Arco fu messa al rogo nel 1431. Accettare il fatto che Ash sia una prefi-
gurazione di Giovanna come archetipo della donna-guerriero è una follia
pura e semplice poiché Giovanna visse prima di lei.
Comunque, io credo che sia stata la leggenda di Ash, redentrice della sua
terra, ad essere accollata alla rapida carriera della giovane francese che, è
necessario ricordarlo, divenne soldato a diciassette anni e morì a dicianno-
ve dopo avere cacciato gli Inglesi dalla Francia, e non la storia di Giovan-
na a diventare il ciclo di 'Ash'. Il lettore si chiederà come sia successo.
La spiegazione è piuttosto semplice. Se le narrazioni non risalivano al
tardo, bensì al primo Medio Evo, allora le riproduzioni nel 1480 possono
averle portate alla conoscenza di tutti. Con l'invenzione della stampa, gli
autori si limitarono semplicemente a riscrivere le loro narrazioni in termini
più moderni. In quel periodo riprodurre, per esempio, scene dalla Bibbia o
dalla letteratura classica, adattandole agli usi e ai costumi del quindicesimo
secolo era un'operazione piuttosto comune.
In questo caso, comunque, ci sì può chiedere come mai non esistessero
manoscritti sulla vita di Ash prima del 1470.
Come possiamo spiegarlo?
Io credo fermamente che le storie su Ash non siano frutto di invenzioni,
che siano storia e che interessino non solo la nostra storia.
Sono convinto che la Borgogna sia effettivamente 'scomparsa'. Quando
dico scomparsa non voglio dire che ci fu un calo d'interesse riguardo quel
regno, cosa a cui avrebbe potuto porre rimedio uno storico diligente, ma
intendo dire che ne venne cancellata ogni traccia. Quello che rimane nei
nostri libri è solo un'ombra.
Ma tale scomparsa molto probabilmente lasciò una traccia nell'inconscio
collettivo dell'Europa: e uno dei risultati fu un'oscura contadina francese.
Sono più che consapevole che quanto ho affermato richiederebbe la cre-
azione spontanea della documentazione su Giovanna d'Arco.
Accettando questa realtà si comincia a capire come si sono svolti vera-
mente i fatti, a partire da alcuni frammenti sulla scomparsa della Borgogna
conosciuta da Ash. Frammenti che si spingono avanti e indietro nel tempo,
impalati lungo lo scorrere della storia e che per sopravvivere presero una
'connotazione locale' creando dozzine di leggende. La storia di questa pri-
ma Borgogna ci circonda ancora.
È ovvio che la mia teoria si può smontare, ma io la considero valida e
razionale; (...)
Sono sempre stato attratto da questa teoria stravagante - l'idea che la
Borgogna scomparve dalla storia dopo il 1477, come effettivamente suc-
cesse, ma che possiamo trovarne tracce tramite le vicende di altri perso-
naggi storici: nelle azioni di uomini o donne. Il ritratto della Borgogna si fa
strada nella storia come una sorta di rompicapo che può diventare visibile
per coloro che hanno voglia di guardare.
È ovvio che non si tratta di una teoria nel senso stretto del termine. Da-
vies dice chiaramente che è una sua 'credenza'. Era solo un accademico che
si divertiva a speculare su un argomento basandosi sul concetto di 'Borgo-
gna perduta' espresso da Charles Mallory Maximillian per portarlo poi a
una conclusione logica.
Il problema è che questa è solo metà della sua introduzione di 'ASH:
UNA BIOGRAFIA.' La teoria è incompleta - quali sono le basì razionali
sulle quali l'ha enunciata? Non abbiamo nessuna idea di quale fosse la teo-
ria di Vaughan Davies. Ho consultato l'edizione economica del libro di
Davies, pubblicata durante la guerra, custodita nella British Library e, co-
me ben sai, sembra che non ci siano altre copie esistenti di questa seconda
edizione. (Presumo che le scorte siano state distrutte dopo il bombarda-
mento del 1940.) Dopo sei anni di ricerche approfondite non sono riuscito
a trovarne nessuna copia integrale.
Se ti metti a cercare delle prove su questa teoria potresti cominciare a
pensare che il professore fosse un eccentrico. Comunque, è meglio non
liquidarlo così su due piedi. Nel 1930 non erano molte le persone che ave-
vano un dottorato in storia, uno in fisica e la cattedra a Cambridge. Molto
probabilmente era fortemente interessato alla teoria fisica dei mondi paral-
leli. Posso capire come mai: in un certo senso, la storia è come, un univer-
so fisico, e, se dobbiamo credere agli scienziati, allora è tutto fuorché con-
creta.
Si sa così *poco*. E io, come altri miei colleghi storici, cerchiamo di
scrivere la storia partendo da quel poco. Nelle università insegnano che la
gente si sposava a una certa età, che molte donne morivano di parto, che
molti facevano un particolare apprendistato, che i mulini ad acqua segna-
rono l'inizio della 'rivoluzione industriale del Medio Evo' - ma se qualcuno
chiedesse a uno storico cosa successe a una persona in quel tal giorno, al-
lora non saprebbe rispondere. *Facciamo congetture.*
C'è spazio per moltissime cose nelle pieghe della storia.
Se non avessi *toccato* il golem con le mie mani mi sarei arreso e avrei
abbandonato il progetto (non ho bisogno di vedere rovinate la mia reputa-
zione accademica e la possibilità di pubblicare).
Comunque, quello che sto per dire è una sorta di avviso. In seguito alla
pressante insistenza di Isobel sto continuando la traduzione del nucleo di
questo libro - il documento al quale qualcuno, diversi anni dopo, aggiunse
una frase buffa, 'Fraxinus me fecit': 'Fui fatto da Ash'. Essendo Ash prati-
camente analfabeta è molto probabile che questo documento sia stato det-
tato a un monaco o a uno scriba, quindi non possiamo sapere cosa sia stato
aggiunto e cosa sia stato omesso. Detto questo credo che il documento sia
veritiero. Colma il vuoto tra la presenza di Ash all'assedio di Neuss e quel-
la in Borgogna negli ultimi mesi del 1476 e la sua morte a Nancy il 5 gen-
naio 1477. Risolve il problema conosciuto da tutti come quello 'dell'estate
mancante.'
Sono arrivato al punto nel quale si fa maggiore luce sulla permanenza di
Ash a Digione già descritta negli scritti di Angelotti e del Guiz. Tradurla
ora, con un golem a pochi metri da me, nella tenda accanto, dall'altra parte
di una parete di tela, fa sorgere in me una domanda. Una domanda molto
seria che quando me la sono posta tempo fa mi era sembrata uno scherzo.
Se i golem messaggeri sono veri, cos'altro lo è?
— Pierce
——————————————————————————————
— Anna
QUINTA PARTE
Il campo di battaglia
Ash e i suoi uomini si fermarono alla fine di una rampa di scale. Aveva-
no distanziato il conte di Oxford e i suoi fratelli, ignorato l'etichetta di cor-
te ed eseguito i saluti di rito in maniera meccanica. La scoperta di poter
essere venduta e comprata come una merce l'aveva scossa profondamente.
Il duca mi cederà sicuramente, pensò Ash. È una mossa politica. O, se
non si tratterà di politica, lo farà per rispettare la legge, visto che è la legge
a tenere lontana l'anarchia dal suo regno...
Il Vespro echeggiò per tutto il palazzo.
Forse ho bisogno di pregare.
Si chiese quale fosse la cappella più vicina, si rivolse a Godfrey e non si
accorse delle persone che stavano andando loro incontro. «Capo...» l'av-
verti Thomas Rochester fingendo di tossire.
La luce che penetrava dalle piccole finestre si rifletteva sul pavimento e
sui muri coperti di calce bianca illuminando a giorno l'intera stanza. Non
era un posto dove era facile passare inosservati.
I Visigoti la videro e cominciarono a rallentare.
«Come vorrei che vi avessero lasciato portare i cani» mormorò Ash.
«Una bella muta di mastini tornerebbe molto utile in questo momento...»
«Adesso vedremo se la pace del duca è duratura o se dovremo prendere
qualcuno a calci in culo, capo» commentò cupo Thomas Rochester.
Ash lanciò una rapida occhiata alle guardie presenti nel locale e comin-
ciò a sorridere. «Ehi, ragazzi. Siamo noi quelli che sono a casa qua, non
quei fottuti Goti.»
«Hai ragione, capo» convenne Euen Huw sghignazzando.
«Spacchiamo loro il cranio con una cazzo di alabarda» suggerì uno degli
uomini della lancia di Rochester.
«Non fate niente a meno che sia io a dirlo. Chiaro?»
«Sì, capo» risposero i suoi uomini in tono riluttante.
Ash era consapevole della presenza di Thomas ed Euen alle sue spalle. Il
primo uomo che componeva il gruppo allungò il passo andandole incontro.
Era Sancho Lebrija.
«Qa'id» lo salutò prontamente Ash.
«Jund.»
L'uomo alto e robusto alle spalle di Lebrija era Agnus Dei. L'agnello,
che indossava un'armatura milanese, sorrise. I denti ingialliti spiccarono
sulla barba nera.
«Madonna» la salutò. «Che brutta ferita.»
Ash, che aveva ancora il cappello in mano, si toccò il taglio alla testa
con un gesto automatico.
«Ash...» le sussurrò Godfrey in un orecchio per cercare di metterla in
guardia.
La delegazione era scortata da quattro o cinque soldati. Appena il picco-
lo manipolo si fermò, Ash poté scorgere il giovane in mezzo che portava
l'elmo sotto il braccio e lo riconobbe immediatamente.
«... È chiaro!» sussurrò Godfrey in tono vendicativo. «Non poteva essere
altrimenti! Lui può aver pagato qualche ciambellano per sapere quando e
con chi Carlo avrebbe parlato.»
Fernando del Guiz.
«Guarda chi è arrivato» disse Ash ad alta voce. «Non è questa la piccola
merda che ha detto al faris dove mi trovavo quando ero a Basilea? Euen,
Thomas: ricordatevi questa faccia. Molto presto dovrete romperla.»
Fernando sembrò ignorarla. Agnus Dei disse qualcosa all'orecchio di
Lebrija e il Visigoto emise una sorta di risata.
Agnello continuava a sorridere.
«Spero che tu abbia fatto un bel viaggio da Basilea a qua.»
«È stato veloce.» Ash non staccava gli occhi di dosso a Fernando. «Stai
attento anche tu, Agnus. Un giorno potrebbero rubarti la tua armatura mi-
gliore se non stai attento!»
«Il faris vuole conferire ancora con voi» disse Sancho Lebrija, rigido.
Cosa diresti se sapessi che anch'io sono molto ansiosa di parlare di nuo-
vo con lei? pensò Ash concentrandosi sugli occhi chiari dell'ambasciatore,
che non erano neanche lontanamente affascinanti come quelli del suo de-
funto cugino.
Una sorella, una sorellastra, una gemella.
«Allora speriamo in una tregua» disse ad alta voce in modo da farsi sen-
tire dai vari intriganti che alloggiavano in ogni corte. «La guerra è meglio
quando non si combatte. Ogni vecchio soldato lo sa - vero, Agnus?»
Sulla bocca del mercenario apparve un sorriso ironico. Alle sue spalle i
soldati visigoti non fecero nessuna mossa ostile. Ash riconobbe l'udqa102
della scorta e cercò il nazir che l'aveva portata via dai giardini di Basilea. Il
visigoto la stava guardando male da sotto l'elmo.
102
L'uqda era uno stendardo portato da un nazir al comando di otto
uomini.
Sul locale era calato un silenzio carico di tensione.
Sancho Lebrija si girò parzialmente, fulminò con un'occhiataccia Fer-
nando del Guiz, quindi tornò a rivolgersi ad Ash. «Tuo marito vorrebbe
parlarti, jund.»
«Davvero?» domandò Ash, scettica. «Non mi sembra che voglia farlo.»
Il qa'id appoggiò una mano sulla schiena del cavaliere tedesco e lo spin-
se avanti con decisione. «Certo che vuole farlo.»
Fernando del Guiz indossava la divisa bianca e la maglia di anelli metal-
lici tipica dei Visigoti. Non dovevano essere passati più di dieci giorni da
quando l'aveva visto a Basilea. Il pensiero la scosse parecchio perché in
quel breve lasso di tempo erano successe un sacco di cose. Il volto era più
smunto e i capelli biondi erano stati tagliati corti e non gli ricadevano più
fluenti sulle spalle muscolose come quando l'aveva incontrato a Neuss.
Ash lasciò vagare lo sguardo sulle mani forti.
L'odore del marito fece breccia in lei in un attimo: quell'aroma le ricordò
il caldo delle lenzuola di lino, la morbidezza della pelle del suo petto, della
pancia e delle cosce, le spinte del suo membro eretto dentro di lei. Sentì i
capezzoli che si inturgidivano, la gola che si seccava e le guance che arros-
sivano. Avrebbe voluto carezzare quel volto, ma strinse il pugno e rimase
immobile.
«Meglio se parliamo» borbottò Fernando del Guiz, senza guardarla in
volto.
«Stronzo!» lo insultò Thomas Rochester.
«Andiamo via» disse Godfrey Maximillian tirandola per un braccio.
Ash non si mosse di un centimetro continuando a studiare l'espressione
inintelligibile di Sancho Lebrija e quella maliziosa dell'Agnello. «No»
borbottò a sua volta. «Voglio parlare con del Guiz. Devo dire un paio di
cose a questo uomo!»
«Non farlo, figliola» la scongiurò Godfrey.
Sfuggì alla presa del prete senza sforzo e indicò un punto della stanza a
qualche metro dal gruppo. «Andiamo in ufficio, maritino mio. Thomas,
Euen, sapete cosa fare.»
Attraversò la stanza e si fermò in un punto in cui la luce rossa e blu che
penetrava da una finestra colorata screziava il pavimento sotto un vecchio
stendardo che i Burgundi avevano usato in una delle guerre contro i Fran-
cesi. Erano abbastanza lontani per non essere ascoltati né dalla delegazione
visigota né dalle guardie del duca Carlo.
Se dovesse provare a farmi del male siamo abbastanza in vista e tutti
possono vedere, però vale anche il contrario.
Si affrettò a togliersi i guanti, posò la mano sulla spada e attese.
Fernando del Guiz si allontanò da Lebrija e si diresse verso di lei. Il ru-
more prodotto dagli stivali che battevano sul pavimento consumato echeg-
giò contro le pareti. Il calore del tardo pomeriggio giustificava il velo di
sudore che gli imperlava il volto.
«Allora?» lo pungolò Ash. «Cosa hai da dirmi?»
«Io?» Fernando del Guiz la fissò dritta negli occhi. «Non è stata una mia
idea!»
«Smettila di farmi perdere tempo» gli intimò, parlando in tono autorita-
rio senza neanche rendersene conto. Ash vedeva che Fernando stava lan-
ciando delle rapide occhiate a Lebrija che si trovava alle sue spalle.
«È tutto così goffo...» disse Fernando dopo qualche attimo.
«Goffo!»
Fernando posò una mano sul braccio di Ash. Un gesto che la colse alla
sprovvista e attrasse la sua attenzione sulle unghie ben curate, la pelle
morbida e la peluria bionda che ricopriva il polso.
«Andiamo a parlare da qualche altra parte. Da soli.» Fernando le carezzò
una guancia.
«Perché?» Ash mise la mano sopra di quella di Fernando. Era partita con
l'intenzione di strappargliela via, invece intrecciò le dita con quelle del
marito. Il calore di quella mano era più che benvenuto.
«Cosa vuoi, Fernando?»
«Voglio solo parlare» spiegò abbassando la voce. «Non farò nulla che tu
non voglia io faccia.»
«Questa l'ho già sentita.»
Fissò il volto del marito e pensò di vedere ancora il giovane nobile dal
portamento fiero che andava a caccia con i falchi e i cani circondato da
amici e parenti, senza dover lavorare per permettersi i cavalli e il vino,
senza dover scegliere se cambiare i ferri al cavallo o comprare le scarpe.
Ora aveva il viso un po' smunto, ma quell'uomo continuava a rimanere una
miniera d'oro.
Il contatto con il marito la faceva tremare. Aprì la sua mano, si allontanò
e in quell'istante sentì freddo. Portò la sua mano con un gesto disinvolto
alla guancia. Voleva conservare ancora per qualche attimo la sensazione
della pelle di Fernando del Guiz contro la sua.
«Dai, smettila.» Scettica, Ash serrò le labbra. Sentì un tremore allo sto-
maco e non seppe dire se si trattasse di nausea, dolore o piacere. «Non
posso crederci. Stai cercando di sedurmi?»
«Sì.»
«Perché?»
«Perché è più facile.»
Ash rimase a bocca aperta senza sapere cosa rispondere. Si sentiva ol-
traggiata. «Sei - cosa vorrebbe dire: 'perché è più facile'? Più facile di co-
sa?»
«Di rifiutare il faris e i suoi ufficiali.» La voce di Fernando del Guiz a-
veva perso ogni venatura di umorismo. «Dicono che una bella scopata po-
trebbe farti tornare nelle loro mani, perché non farlo, allora?»
«'Una bella scopata...'?» sbraitò Ash.
Agnus Dei posò una mano sul braccio di Sancho Lebrija per trattenerlo.
Entrambi gli uomini li stavano fissando in cagnesco. Era ovvio che avesse-
ro sentito l'ultima frase. Ash vide con la coda dell'occhio Godfrey che,
pallido in volto, faceva un passo verso di lei.
«Sedurmi?» ripeté Ash. «Fernando... è ridicolo!»
«Hai ragione, è ridicolo, ma cosa mi suggeriresti di fare con una mezza
dozzina di pazzi assassini armati fino ai denti che mi sorvegliano mentre
parlo con te?» Era più alto di lei di una quindicina di centimetri e la fissava
tenendo il capo chino. «Grazie a te, in questo momento sono considerato il
pappone del faris. Il minimo che puoi fare è non scoppiare a ridere.»
«Co...» Ash non riuscì a terminare la frase, l'onestà di quella dichiara-
zione l'aveva lasciata senza parole. «Il pappone del faris?»
«Questo è l'ultimo posto in cui vorrei essere!» urlò Fernando. «Voglio
solo tornare a Guizburg e rintanarmi nel castello finché questa fottuta
guerra condotta da un branco di folli non finirà. Ma loro mi hanno fatto
sposare con te, giusto? E dopo si scopre che sei in qualche modo imparen-
tata con il faris. Secondo te quando i Visigoti l'hanno scoperto a chi pensi
si siano rivolti credendo che quella persona sapesse tutto sul comandante
mercenario chiamato Ash? A me. Chi credi che loro pensino possa in-
fluenzarti? Io.» Riprese fiato. «Non me ne importa nulla della politica.
Non voglio far parte della famiglia del faris. Non voglio stare nella corte
visigota. Non voglio stare qua. Sono qua perché pensano che io sia una
valida fonte di informazioni su di te! Io voglio solo tornare nella fottuta
Bavaria!»
Fernando del Guiz terminò ansimando con la saliva che faceva capolino
dagli angoli della bocca. Ash si rese conto che il marito aveva parlato in
Tedesco e che i suoi due accompagnatori, Agnus Dei e Lebrija, non ave-
vano capito nulla a causa della velocità della tirata.
«Cristo» disse Ash. «Sono impressionata.»
«Sono qua solo per te!»
Il disprezzo e la furia che venavano la voce di Fernando del Guiz aveva-
no indotto Euen Huw e Thomas Rochester a posare la mano sull'elsa della
spada e osservare il loro comandante con la coda dell' occhio per capire se
fosse stato il caso di intervenire. Ash notò che Godfrey aveva stretto i pu-
gni al punto di farli sbiancare.
«Pensavo che volessi entrare nelle grazie del faris» affermò Ash, con to-
no mite. «Credevo che ti fossi fatto catturare per crearti una posizione al-
l'interno della corte visigota.»
«Non voglio un posto a corte!» si infuriò Fernando.
«Certo, certo» rispose Ash, in tono sarcastico. «Ecco perché in questo
momento sei a Guizburg e non di fronte a me! Come dire che non sei al
fianco di Lebrija per ottenere dei vantaggi politici o perché sei stato pro-
mosso.»
Il nobile prese fiato e la fulminò con un'occhiata carica di rabbia. «Ades-
so ti dirò perché sono qua. Il faris avrebbe fatto piantare la mia testa in
cima a una lancia molto volentieri come monito per i nobili minori della
Germania. Non l'ha fatto perché le ho dato un'occhiata da vicino e le ho
detto che aveva una gemella.»
«Sei stato tu a dirglielo.»
«Suppongo che essere il marito di una visigota bastarda sia molto me-
glio che essere sposato con una puttana francese che fa il soldato.»
«Sei stato tu?»
«Tu pensi che io sia un cavaliere uscito dalle cronache. Beh, mi dispiace
deluderti, ma non è così. Quando mi hanno puntato contro le lance mi sono
reso conto che ero solo un altro uomo con un titolo al quale erano stati
intestati alcuni acri di terra che si trovava di fronte degli uomini con un'a-
quila cucita sugli abiti. Non avevo nessun valore. Non ero degno di nota.
Non ero differente dagli altri come me che avevano massacrato a Genova,
a Marsiglia o nelle altre città.»
Ash lo fissò in volto e per un attimo ebbe l'impressione di veder balenare
nella sua espressione il ricordo di quel trauma. «Roberto mi disse che eri
uno di quegli stupidi ragazzetti con la testa piena di ideali del tipo morte o
gloria. Si è sbagliato, vero? Hai dato un'occhiata alla gloria e hai deciso
che era meglio salvare la pelle!»
Fernando la fissò. «Dolce Gesù. Ti vergogni di me!»
Dal tono di voce sembrava che il nobile si stesse prendendo in giro da
solo.
«Non l'hai detto al tuo amico Agnello. O sì? Gliel'hai detto? Perché non
gli dici come mai non hai combattuto contro i Visigoti a Genova? Voi era-
vate in duecento e loro solo in trentamila.»
Aveva azzardato quel numero senza neanche rendersene conto. Arrossì
in volto e aggiunse: «Agnello ha negoziato una condotta perché è il suo
mestiere. Anch'io faccio quel mestiere, mentre tu ti sei cagato sotto e ti sei
inginocchiato a implorare pietà...»
Fernando del Guiz le serrò una spalla con la mano, lei gliela afferrò e
cercò di toglierla, ma non ci riuscì e cominciò a tremare. Una parte di lei
non voleva perdere quel contatto.
«Sei stata fu a mandarmi via! Sei stata tu a consegnarmi a loro.»
«Stai cercando di incolparmi per quanto è successo? Ehi. Io volevo tor-
nare al comando della mia unità. Non volevo che tu ordinassi alle mie lan-
ce di intraprendere una battaglia persa in partenza.» Ash sbuffò. «Non cre-
di che ci sia una certa ironia in tutto ciò? Avrei dovuto lasciarti dare un
ordine. Sicuramente avresti gridato: 'Scappiamo veloci come degli stron-
zi!'»
Fernando del Guiz arrossì mettendo in evidenza le efelidi che gli chiaz-
zavano il volto.
«E ci saresti riuscito!» urlò Ash. «Non sarebbe stato difficile. Su dritto
per le colline e poi al sicuro tra le montagne. Si erano appena attestati sulla
costa non avevano intenzione di dare la caccia a dodici uomini a cavallo!»
La rabbia non ha bisogno di essere tradotta per essere capita. Nel mo-
mento in cui Fernando arretrò di un passo, una tunica verde si parò tra lui e
la moglie. Ash afferrò Godfrey Maximillian e lo spinse via, nonostante il
religioso fosse grosso il doppio di lei.
«BASTA!» sbraitò Ash.
Un attimo dopo Thomas ed Euen erano alle sue spalle con le mani sulle
spade. Ash vide che gli uomini di Lebrija avevano cominciato ad avvici-
narsi con passo deciso e distese le mani in avanti con le dita ben aperte e
visibili.
«Va bene! Adesso è troppo! Distanziatevi!» tuonò un soldato burgundo,
un capitano, forse. «C'è una tregua in corso! In nome di Dio, non estraete
le armi in questo luogo!»
I Visigoti si fermarono incerti sul da farsi. Un cavaliere burgundo fermo
vicino alla porta assunse la posizione di combattimento. Ash agitò un pol-
lice e con la vista periferica vide Thomas, Euen e il riluttante Godfrey che
arretravano nuovamente. Continuò a fissare Fernando.
«Ash...» disse il marito tradendo un certo nervosismo «... quando tu sei
prudente si tratta di cautela; quando cambi parte per schierarti con il più
forte, sono affari. Sai cosa sia la paura?» Esitò per un attimo, quindi ag-
giunse: «Pensavo che potessi capirlo. Mi sono comportato in quel modo
perché avevo paura di essere ucciso.»
Aveva parlato in tono tranquillo marcando le parole con un'enfasi paca-
ta. Ash aprì la bocca per replicare, ma un attimo dopo la richiuse. Lo fissò
e vide che le mani stavano stringendo l'elmo con tanta forza che le nocche
erano sbiancate.
«L'ho vista in faccia - il faris» disse Fernando. «E ora sono vivo perché
ho detto a una puttana cartaginese che aveva una cugina bastarda nell'eser-
cito franco. Ero troppo spaventato per non dirglielo.»
«Saresti potuto scappare» insistette Ash. «Diavolo, almeno avresti potu-
to provarci!»
«No, non potevo.»
Il pallore del volto di Fernando del Guiz fece comprendere ad Ash che
quell'uomo stava ancora subendo gli effetti di un trauma da combattimen-
to. Non è mai sceso in battaglia, ma è comunque traumatizzato, pensò.
«Non te la prendere troppo» gli disse ad alta voce, in tono tranquillo.
«Infatti.» Replicò Fernando fissandola in volto.
«Cosa?»
«Non me la prendo.»
«Ma...»
«Se lo facessi» disse Fernando «dovrei pensare che i folli come te sono
nel giusto. In quei momenti ho capito tutto. Tu e quelli come te siete com-
pletamente pazzi. Ve ne andate in giro a uccidere la gente e a farvi uccide-
re e per voi non c'è nulla di sbagliato in tutto ciò.»
«Hai fatto qualcosa quando hanno ucciso Otto, Matthias e gli altri tuoi
compagni? Sei almeno riuscito a dire qualcosa?»
«No.»
Ash lo fissò dritto negli occhi.
«No» rispose Fernando. «Non ho pronunciato neanche una parola.»
Se fosse stato un altro lei gli avrebbe detto che quella era la guerra, un
affare di merda, d'accordo, ma il mondo andava così e che qualsiasi cosa
avesse detto in quei momenti non sarebbe servito a nulla.
«Qual è il problema?» lo punzecchiò. «Pisciare addosso a una ragazzina
di dodici anni è più nel tuo stile?»
«Forse non l'avrei fatto se avessi capito quanto sei pericolosa.» Fernando
del Guiz cambiò espressione. «Sei una donna malvagia. Una macellaia
psicopatica.»
«Non essere ridicolo, per favore. Sono un soldato.»
«Perché secondo te i soldati possono essere altro?» ribatté pronto Fer-
nando.
«Forse è come dici tu» rispose Ash. «Ma si tratta della guerra.»
«Beh, io non voglio più avere nulla a che fare con la guerra. Mai più.»
Fernando del Guiz la gratificò con un sorriso mesto. «Vuoi sapere la verità
pura e semplice? Non voglio avere nessuna parte in tutto ciò. Se avessi
possibilità di scegliere, tornerei a Guizburg, tirerei su il ponte levatoio e
uscirei dal castello solo alla fine di questa dannata guerra lasciando il tutto
alle puttane assetate di sangue come te.»
Sono stata a letto con questo uomo, pensò Ash, meravigliandosi della di-
stanza tra loro. E se adesso me lo richiedesse...
«Posso suggerire di uscire?» Ash agganciò la cintura con le mani. Il cuo-
io azzurro era decorato con delle borchie a forma di testa di leone. Non era
certo una cintura che si addiceva a una donna. «A seduzione andiamo piut-
tosto male.»
«Già.» Fernando lanciò un'occhiata a Sancho Lebrija alle sue spalle.
Sembrava che il giovane nobile tedesco si sentisse terribilmente imbaraz-
zato all'idea che qualcuno potesse assistere al suo tentativo fallito di sedur-
re la moglie errante. «Ultimamente il mio stato di servizio non è il massi-
mo.»
Ha l'aria stanca, pensò Ash. Un impeto di simpatia nei confronti del ma-
rito distrusse il castello di rabbia che aveva costruito pazientemente fino ad
allora.
No, si riprese, molto meglio se continuo a odiarlo.
«Il tuo stato si servizio è perfetto. L'ultima cosa che hai fatto è stato tra-
dirmi. Perché non sei venuto a trovarmi quando mi hanno messa in prigio-
ne a Basilea?» gli domandò.
«Perché avrei dovuto farlo?» rispose Fernando del Guiz in tono piatto.
Ash lo colpì.
Era stato più forte di lei. Non era riuscita a controllarsi. Non aveva e-
stratto la spada per non essere infilzata da una delle guardie del duca, ma,
soprattutto, perché un attimo prima di agire aveva avuto una visione fuga-
ce ma nitidissima del volto di Fernando del Guiz insanguinato a causa di
una vistosa ferita al cranio.
Quell'immagine le aveva provocato un senso di nausea. Non per il fatto
di uccidere un uomo, quello faceva parte del suo mestiere, ma per il sem-
plice pensiero di far del male a quel corpo, quel corpo che lei aveva carez-
zato con le sue mani.
Lo aveva colpito con un pugno in faccia dopodiché aveva serrato la ma-
no sotto l'ascella imprecando sonoramente e fissando al tempo stesso Fer-
nando che ondeggiava con gli occhi spalancati per lo stupore. Non si trat-
tava di rabbia. Era solo sconvolto dall'idea che una donna avesse osato
picchiarlo.
Ash udì dietro di lei il rumore dei piedi contro il pavimento, il clangore
delle corazze, il fondo delle lance che battevano a terra e gli uomini pronti
a entrare in azione.
Fernando del Guiz non si mosse.
Un piccolo segno rosso cominciava a gonfiarsi sotto il labbro. Il giovane
nobile tedesco ansimava pesantemente, rosso in volto.
Ash continuò a guardarlo flettendo le dita che pulsavano.
Qualcuno, un visigoto non uno dei suoi uomini, proruppe in una roca ri-
sata.
Ash fissò il volto del marito e qualcosa di simile alla pietà, ammesso che
la pietà possa bruciare e tagliare allo stesso modo dell'odio e porti all'asso-
luta incapacità di reggere la vergogna e il dolore di un altro, penetrò in lei
come una lama affilata.
Sussultò e si passò una mano tra i capelli toccando i punti della ferita e
sentì nuovamente l'odore del marito sulla sua pelle.
«Cristo.» Ebbe una sorta di conato di vomito. Trattenne le lacrime sbat-
tendo furiosamente le palpebre, rizzò la testa e disse. «Euen! Thomas! Go-
dfrey! Andiamo!»
Si allontanò velocemente seguita dai suoi uomini. Passò vicina ad Agnus
Dei a Sancho Lebrija e ai soldati visigoti ignorandoli e si diresse verso le
grandi porte di quercia senza voltarsi; non voleva vedere l'espressione di
Fernando del Guiz in quel momento.
Uscì dal palazzo ducale e si incamminò per Digione senza una direzione
precisa. Superò degli uomini della sua compagnia ignorandoli deliberata-
mente. Qualcuno la chiamò, ma lei non si fermò e cominciò a salire dei
larghi gradini di pietra che la portarono in cima ai massicci spalti che cir-
condavano la città.
Si fermò per riprendere fiato e, sebbene la sua mente fosse concentrata
su altre questioni, prese a osservare le difese di Digione che incombevano
sulle strade piene di gente. Gli uomini della scorta la raggiunsero.
«Merda!»
Ash si sedette sui merli e prese a contemplare i campi oltre le mura. In
lontananza i contadini con i pantaloni tirati su fino alle ginocchia erano
intenti a caricare balle di fieno sui carri tirati dai buoi. Ora che il sole era
meno caldo riuscivano a lavorare più alacremente.
«Va tutto bene, figliola?» Godfrey Maximillian la raggiunse ansimando.
«Cristo sull'Albero, quel dannato codardo, figlio di puttana!» Sentiva il
cuore che le batteva all'impazzata e le mani che formicolavano. «Fottuti
Visigoti! E io dovrei essere consegnata a quelli? Non se ne parla nemme-
no!»
«Cristo, capo, calmati!» le suggerì Thomas Rochester, rosso in volto.
«Fa troppo caldo per correre in questo modo» commentò Euen Huw sfi-
landosi l'elmo mentre si issava sui merli per godersi la brezza del tardo
pomeriggio, fissando al tempo stesso il campo dell'esercito burgundo.
«Dobbiamo preoccuparci anche di quel ragazzo, giusto?»
Ash lanciò loro una rapida occhiata. «Ho ventiquattro ore per decidere
se attendere il verdetto del duca o fare armi e bagagli e andare...»
Gli uomini risero. C'era del trambusto ai piedi delle mura. Una decina di
metri più in basso alcuni uomini del Leone Azzurro stavano nuotando
nell'acqua cristallina del fossato con i cani del campo che abbaiavano loro
contro. Ash vide una prostituta che spingeva il secondo di Euen Huw, Tho-
mas Morgan, in acqua dal ponte che dava accesso a Digione. Il tonfo e-
cheggiò nell'aria calda.
«Ecco il duca Carlo.» Ash indicò un gruppo di cavalieri che uscivano
dalla città in direzione dei boschi. Erano tutti abbigliati con abiti eleganti e
alcuni di loro avevano dei falchi posati sugli avambracci. Il gruppo era
accompagnato da un piccolo manipolo di suonatori la cui musica arrivava
fino alle mura. «Viene da pensare che non abbia nulla di cui preoccuparsi!
Beh, forse è così visto che probabilmente mi consegnerà ai Visigoti.»
«Posso parlarti da solo, capitano?» le chiese Godfrey Maximillian.
«Certo! Perché no?» Ash fissò Thomas Rochester ed Euen Huw. «Pausa,
ragazzi. Ho visto una locanda ai piedi della scalinata. Ci troviamo là.»
«Con i Visigoti in città, capo?» le domandò Rochester, torvo in volto.
«Con metà dell'esercito di Carlo che pattuglia le strade?»
Il cavaliere inglese scrollò le spalle, scambiò un'occhiata con Euen Huw
e insieme scesero le scale seguiti dagli altri uomini della scorta. Ash sape-
va bene che non sarebbero andati oltre l'ultimo gradino della rampa.
«Allora?» Si sporse dalla merlatura per offrire il volto alla brezza fresca.
Alzò un ginocchio e vi posò sopra un gomito. Le dita le tremavano ancora
leggermente e osservò la sua mano destra con un certo stupore. «Cosa ti
preoccupa, Godfrey?»
«Ho altre notizie.» Il prete guardava fisso davanti a sé. «Questo 'padre'
del faris, Leofric, è uno dei nobili più importanti di Cartagine. Molto pro-
babilmente vive nella Cittadella stessa. Il resto sono solo voci prive di fon-
damento. Non ho nessuna idea dell'aspetto che può avere questo 'Golem di
Pietra'. Purtroppo non sono riuscito a sapere altro. E tu?»
C'era qualcosa nel tono di voce del prete che la preoccupava. Ash alzò lo
sguardo e batté una mano sullo spazio tra due merli per invitarlo a sedersi.
Godfrey Maximillian rimase in piedi.
«Siediti» lo invitò Ash. «Cosa ti preoccupa?»
«Non posso ottenere altre informazioni senza denaro. Quando ha inten-
zione di pagarci lord Oxford?»
«Non si tratta di quello, Godfrey. Cosa succede?»
«Perché quell'uomo è ancora vivo?» tuonò il prete.
Gli uomini che stavano facendo il bagno nel fossato si girarono. Ash
sussultò e si girò verso l'interno degli spalti. «Chi, Godfrey?»
«Perché quell'uomo è ancora vivo?» ripeté il religioso, con un sussurro
deciso.
«Dolce Cristo!» Ash batté le palpebre e si stropicciò un occhio con il
palmo della mano. «Parli di Fernando, vero?»
Il prete si asciugò il volto sudato.
«Cosa sta succedendo, Godfrey? È uno scherzo o qualcosa di simile.
Non ucciderò un uomo a sangue freddo.»
Godfrey cominciò a camminare avanti e indietro senza neanche guardar-
la. «Potresti farlo uccidere!»
«Certo. Ma perché dovrei? Domani partiranno e ci sono molte probabili-
tà che io non lo riveda più.» Ash posò una mano su Godfrey per fermarlo,
ma lui la ignorò. Il tessuto ruvido della tunica del prete le sfiorò le dita. Lei
sentiva ancora l'odore di Fernando su di sé e lo inalò. Improvvisamente
alzò lo sguardo e fissò l'omone con la barba. Non è vecchio, pensò. Non ho
mai pensato a Godfrey come a un giovane, ma non è neanche vecchio.
Il religioso si fermò di fronte a lei. La luce che inondava gli spalti confe-
riva alla barba castana del prete dei riflessi fulvi. Gli occhi sembravano
avere un'espressione addolorata, ma Ash pensò che fosse un effetto del
sole calante.
«Che importanza ha, Godfrey? Uno di questi giorni ci sarà una battaglia
e mi diranno che sono vedova» cercò di rassicurarlo Ash.
«Ha importanza se domani il duca ti consegnerà nelle mani di tuo mari-
to!»
«Lebrija non ha abbastanza uomini da costringermi a seguirlo. Per quan-
to riguarda il duca Carlo...» Ash posò le mani sul bordo della merlatura e
saltò sugli spalti. «Cagarmi addosso a morte per tutta la notte non mi servi-
rà a sapere cosa sta decidendo il duca! Quindi, ti ripeto: cosa importa?»
«Importa eccome!»
Ash studiò il volto del prete. Non sono stata molto con te da quando
siamo scappati da Basilea, pensò e fece un sorriso per scusarsi. In quel
momento si rese conto che l'uomo aveva un'aria sciupata. I lati della bocca
erano segnati da piccole rughe e alcuni capelli bianchi avevano cominciato
a striare la chioma castana.
«Ehi» gli disse, tranquilla. «Sono io, ricordi? Racconta. Cosa succede,
Godfrey?»
«Piccola...»
Gli prese le mani. «Sei un mio buon amico e non devi aver paura di dir-
mi qualcosa di brutto.» Lo fissò negli occhi e aumentò la stretta. «Va bene,
non sono nata libera. Credo che qualcuno a Cartagine possa accampare dei
diritti di proprietà su di me.»
Fece un sorriso contrito, ma Godfrey non rispose e continuò a fissarla
come se fosse la prima volta che si incontravano.
«Capisco.» Ash sentì il battito del cuore che aumentava. «A te importa.
Dannazione, Godfrey! Pensavo che fossimo tutti uguali agli occhi di Dio.»
«Cosa ne sai tu?» urlò improvvisamente il prete. Aveva gli occhi lucidi.
«Cosa ne sai, Ash? Tu non credi in nostro Signore! Tu credi nella tua spa-
da, nel tuo cavallo, nei tuoi uomini che paghi per combattere e in tuo mari-
to che vorresti ti infilzasse con il suo uccello. Non credi in Dio o nella gra-
zia divina e non l'hai mai fatto!»
«Cos...» Ash rimase senza parole e non poté fare altro che guardare.
«Ti ho osservata quando eri con lui! Ti ha toccata - tu l'hai toccato, gli
hai permesso di toccarti - volevi che lo facesse...»
«Cosa te ne importa?» Ash scattò in piedi. «Sono affari tuoi, per caso?
Sei un cavolo di prete, cosa nei sai tu di come si fotte?»
«Puttana!» sbraitò Godfrey.
«Verginello!» replicò Ash.
«Sì!» sbottò. «Sì. Ma quale altra scelta avevo?»
Ash ansimava e fissava l'uomo di fronte a lei. Il volto di Godfrey sembrò
deformarsi e dalle sue labbra uscì uno strano verso. Attonita, Ash lo fissò
scoppiare a piangere come solo gli uomini piangono, in maniera profonda,
viscerale. Allungò una mano e gli sfiorò la guancia.
«Ho lasciato tutto per te» sussurrò Godfrey. «Ti ho seguita per mezza
Cristianità. Ti ho amata fin dalla prima volta che ti ho vista. Me lo ricordo
benissimo, come se fosse successo ieri. Tu con indosso l'abito da novizia e
la Sorella che ti sculaccia a sangue. Una mocciosa spaventata dai capelli
bianchi.»
«Oh, merda, ti voglio bene, Godfrey. Sai che è così.» Ash gli afferrò le
mani e gliele strinse con vigore. «Sei il mio più vecchio amico. Sei sempre
con me. Ho fiducia in te. E sai che ti voglio bene.»
Lo stringeva con forza come se dovesse salvare un uomo che stava an-
negando, come se aumentando la presa al massimo potesse sottrarlo alla
sua angoscia. Lo sforzo le aveva sbiancato le mani. Lo scosse delicatamen-
te cercando di guardarlo in volto.
Godfrey Maximillian si liberò dalle mani di Ash e gliele strinse.
«Non posso sopportare di vederti con lui.» Aveva la voce rotta dal pian-
to. «Non posso sopportare di sapere che sei sposata con quello, che sei
un'unica carne...»
Ash provò a sottrarsi alla presa, ma non ci riuscì.
«Posso sopportare le tue fornicazioni saltuarie» disse. «Ti confessi con
me e ti assolvo, non vogliono dire niente. Senza contare che sono state
poche. Ma il talamo nuziale - e il modo in cui lo guardi...»
Ash sussultò. «Ma Fernando...»
«Fanculo a Fernando del Guiz!» tuonò Godfrey.
Ash lo fissò rimanendo in silenzio.
«Non ti amo come dovrebbe fare un prete.» Godfrey la fissò negli occhi.
«Ho preso i voti prima di incontrarti. Se potessi vi rinuncerei immediata-
mente. Se potessi violare il mio voto di celibato lo farei.»
Ash provò uno stretta allo stomaco e si liberò dalla presa. «Sono stata
stupida.»
«Ti amo come un uomo. Oh, Ash...»
«Godfrey...» si interruppe. Non sapeva più cosa dire, sapeva solo che il
mondo le stava crollando intorno. «Cristo, questa è una decisione che non
voglio prendere! Non sei un prete qualunque, non posso buttarti fuori a
calci in culo e assumere un altro. Sei con me fin dall'inizio - addirittura
prima ancora di Roberto. Sant'Iddio, dovevi proprio dirmelo adesso!»
«Non sono in stato di grazia! Io dico messa tutti giorni pur sapendo che
lo vorrei vedere morto!» Godfrey cominciò ad aggrovigliare il cordone che
portava al fianco tra le dita.
«Sei un mio amico, mio fratello, mio padre. Godfrey... Sai che io non...»
Ash si interruppe per trovare le parole giuste.
«Non mi vuoi» concluse per lei Godfrey, con un'espressione che sembrò
sgretolargli il volto.
«No! Voglio dire - non voglio - non desidero - oh, merda, Godfrey!» Il
prete si mise a correre verso gli scalini e lei cercò di fermarlo. «Godfrey!
Godfrey!» urlò.
Il prete era corso giù dalle scale alla massima velocità che poteva per-
mettergli la sua mole e si era incamminato per le strade di Digione. Ash si
fermò a guardare l'uomo robusto con indosso la tonaca che si faceva strada
tra le donne con i cesti, i soldati, i cani e i bambini che giocavano a palla.
«Godfrey...»
Ash notò, come aveva previsto, che sia Rochester sia Huw non erano
molto distanti dagli ultimi gradini della scalinata. Il piccolo gallese aveva
una pinta di qualcosa, mentre Thomas Rochester stava dando una moneta
al ragazzino della locanda che aveva portato loro da bere e mangiare.
«Oh, merda, Godfrey...»
Mentre Ash pensava se fosse il caso di inseguire Godfrey vide una testa
bionda in fondo alla scalinata.
Le sembrò che il cuore avesse smesso di battere. Rochester alzò la testa,
disse qualcosa e fece passare l'uomo che dopo pochi gradini si rivelò esse-
re Floria del Guiz e non suo fratello Fernando.
III
IV
Il mattino dopo il paesaggio era avvolto da una nebbia fitta e umida. An-
che all'interno del palazzo si erano formate delle gocce d'acqua. La nebbio-
lina che permeava la sala delle udienze si tinse di rosso al sorgere del sole.
Ash, ferma a fianco del conte di Oxford, era contenta di quel fresco mat-
tutino. A de Vere e i suoi fratelli era stato dato un posto poco distante dal
trono ducale e da quella posizione Ash poteva osservare la corte burgunda,
i dignitari stranieri e la delegazione visigota.
Ai rintocchi delle campane il coro cominciò a cantare l'inno del mattino.
Ash si tolse il cappello e si inginocchiò sul pavimento di marmo bianco.
«Non ho la minima idea di quale possa essere la decisione del duca» le
disse John de Vere al termine dell'inno. «Io sono uno straniero qua, signo-
ra.»
«Avrei potuto stringere un contratto con quell'uomo» sussurrò Ash.
«Già» ammise il conte di Oxford.
«Già.»
Si guardarono negli occhi, scrollarono le spalle con un sorrisetto sulle
labbra e si alzarono in piedi nel momento stesso in cui il duca Carlo di
Borgogna si sedette sul trono.
Ash si guardò intorno aspettandosi di trovare Godfrey al suo fianco che
le sussurrava all'orecchio i suoi preziosi consigli, ma rimase delusa. Questa
volta c'era Robert Anselm. Godfrey Maximillian sembrava sparito nel nul-
la.
Robert crede che Godfrey abbia passato la notte a Digione, pensò Ash,
ma anche lui si sta chiedendo dove sia finito. Lo capisco dalla sua espres-
sione e io non so cosa dire. Dove cavolo sei andato, Godfrey?
Tornerai?
«Al diavolo» aggiunse, credendo di parlare sottovoce, ma, a giudicare
dallo sguardo interdetto di de Vere doveva aver fatto l'esatto opposto.
Il nobile inglese sfruttò i discorsi del ciambellano e del cancelliere del
duca per conferire con Ash. «Non preoccupatevi, signora. Se dovesse suc-
cedere, troverò il modo di tenervi qua, lontana dalle grinfie dei Visigoti.»
«Come?»
L'Inglese sorrise fiducioso, apparentemente divertito dal tono caustico
della donna. «Penserò a qualcosa. Lo faccio spesso.»
«Vi fa male pensare troppo... mio signore.» Ash sembrò appiccicare il ti-
tolo alla fine della frase. Alzò la testa e prese a osservare la folla intorno a
lei.
L'argento e il blu, il rosso e l'oro, lo scarlatto e il bianco dei complicati
stemmi araldici della Borgogna e della Francia erano ovunque. Lo sguardo
di Ash si posò sui nobili raggruppati negli angoli della sala o su quelli in-
torno ai camini. C'erano mercanti vestiti con abiti di seta, dozzine di paggi
con le giubbe bianche a sbuffo e preti con le tuniche verdi e marroni. I
servitori si muovevano rapidamente tra i vari gruppi. Il fresco del mattino
rendeva le voci più nitide, ma, notò Ash, venate di un tono solenne, greve
e riverente.
Dove sei Godfrey, ho bisogno di te.
Cominciò a origliare in cerca di notizie utili: uno vicino a lei esaltava le
virtù dei cani da caccia femmina, due cavalieri discutevano di un torneo e
una grossa donna con indosso un abito italiano parlava del maiale in gela-
tina di miele.
L'unica conversazione politica che riuscì a sentire fu quella tra l'amba-
sciatore francese e Filippo di Commines105 : i due stavano parlando di al-
cuni duchi francesi che non conosceva.
Allora dove sono tutti questi intrighi di corte? si chiese. Forse non ho bi-
sogno di Godfrey per conoscere i dettagli, non qua, almeno.
Ma io ho bisogno di lui.
Ash si girò per assicurarsi che Joscelyn van Mander non fosse solo pre-
sente, ma anche sobrio e abbastanza sottomesso e che i suoi uomini indos-
sassero le giubbe della compagnia sopra le armature lucide, per quanto
potevano esserlo dopo una fuga di qualche centinaio di chilometri in pieno
inverno. Antonio Angelotti e Robert Anselm erano al suo fianco. Robert
stava chiacchierando educatamente con uno dei fratelli de Vere e non notò
la sua occhiata. Angelotti le sorrise e lei gli fece cenno di mettersi davanti
al gruppo. Almeno facciamo una bella figura, pensò Ash.
Un lieve trambusto in fondo alla sala attirò la sua attenzione.
Ash resistette all'impulso di alzarsi in punta di piedi. Vide uno stendardo
che svettava sull'uscio dalle grandi porte di quercia e udì il latino cartagi-
nese parlato dai Visigoti. Portò automaticamente una mano sulla spada
come per rassicurarsi. Rimase in quella posizione e spostò il peso sui tal-
105
Filippo di Commines o Commynes (1447 - 1511), storico e politico.
Fu il primo a servire i Burgundi per poi tradirli a favore della Francia.
Divenne consigliere di Luigi XI quattro anni prima nell'AD 1472.
loni, mentre il ciambellano e i suoi servitori annunciavano e facevano en-
trare Sancho Lebrija, Agnus Dei e Fernando del Guiz.
Lo sfarzo della corte ducale sembrò avere un certo effetto su Fernando
del Guiz che portò le mani tremanti dietro la schiena. La presenza fisica
del marito le seccò immediatamente la gola e la confuse, ma ormai era una
reazione alla quale si era abituata. Ciò che la confuse e la stupì veramente
fu il dolore che provò nel vederlo vittima degli eventi, opportunista e isola-
to da se stesso.
Al suo fianco il conte di Oxford assunse un portamento eretto. Ash uscì
dal suo sognare a occhi aperti, ma impiegò qualche secondo prima di riu-
scire a concentrarsi sulla voce del duca. La nebbia delle prime ore del mat-
tino aleggiava ancora nell'aria, avvolgendo i presenti in una sorta di coper-
ta umida. I raggi del sole cominciavano a penetrare dalle finestre poste a
oriente riscaldando il volto di Oxford che stava ascoltando un commento
di Robert Anselm. La luce dell'astro infuocò la bellezza italiana di Ange-
lotti donando alle armature di Jan-Jacob Clovet e Paul di Conti un'aria an-
tica che li fece somigliare a due angeli usciti da un dipinto di Mynheer van
Eyck, intenti a sognare l'eternità al cospetto di Dio.
Ash avvertì una stretta al cuore. La sensazione della loro permanenza in
aggiunta agli affari terreni scomparve. Fu colta da una sensazione di fragi-
lità come se i suoi compagni fossero imperdibili e a rischio allo stesso
tempo.
Il sole continuava a levarsi sull'orizzonte. La luce cambiò d'angolazione
portando via quella sensazione. Ash girò il capo verso il duca nel momento
stesso in cui diceva: «Mastro Lebrija, ho ponderato la vostra richiesta con i
miei consiglieri. Voi ci chiedete una tregua.»
Sancho Lebrija fece un inchino rigido e formale. «Esatto, mio signore e
principe di Borgogna.»
Il volto lugubre del duca era quasi del tutto nascosto dal cappello, dal
colletto a sbuffo e dalle collane d'oro che portava al petto: una ierofania
che era l'immagine della regalità. Improvvisamente il regnante si chinò in
avanti e Ash vide in lui l'uomo ricco e potente, appassionato di artiglieria,
che passava più mesi possibili sul campo.
«La vostra tregua è una menzogna» disse chiaramente il duca Carlo.
La sala fu pervasa da un forte brusio. Ash si girò e zittì i suoi uomini con
un gesto, quindi si sporse in avanti per meglio ascoltare le parole del duca.
«Vi siete fermati ad Auxonne non per domandare una tregua, ma per
spiare le mie terre e ricevere i rinforzi. Sostate ai nostri confini avvolti
nell'oscurità, armati di tutto punto con le atrocità dell'estate alle vostre
spalle e venite a chiedere la pace - ci chiedete di arrenderci in nome di non
si sa cosa. No» negò perentorio Carlo di Borgogna. «Se ci fosse rimasto
anche solo un uomo della mia gente a difendere queste terre egli direbbe la
stessa cosa, direbbe che noi siamo nel giusto e dove c'è giustizia c'è anche
Dio. Noi vinceremo poiché Egli sarà al nostro fianco in battaglia.»
Ash represse il commento cinico che solitamente avrebbe rivolto a Ro-
bert Anselm. Il suo luogotenente si era tolto il cappello e stava osservando
con gli occhi sbarrati il fulgore del duca circondato dai vescovi, dai cardi-
nali e dai preti.
La voce del nobile tornò a echeggiare contro le volte della sala. «La giu-
stizia può anche cadere in letargo, ma non marcisce nella terra come i cor-
pi degli uomini, o arrugginisce come i tesori di questo mondo. Essa rimane
immutata nel tempo. La vostra è una guerra ingiusta. Preferisco morire
sulla terra governata da mio padre e dal padre di mio padre prima ancora di
lui, piuttosto che firmare una pace con voi. Tutti coloro che vivono in Bor-
gogna, non importa se poveri, contadini o profughi, difenderanno questa
terra con tutti i loro mezzi e le preghiere che potranno innalzare a Dio.»
L'ambasciatore francese si fece avanti e Ash vide che aveva stretto l'elsa
della spada.
«Mio duca» disse, quindi lanciò un'occhiata a Filippo di Commines che
si trovava ancora tra la folla e continuò, «cugino del nostro re di Valois,
quelli che ho appena udito sono dei sofismi. Sono parole per giustificare
un tradimento.»
Nessuno ribatté. Ash aveva la bocca secca e lo stomaco chiuso.
Il nobile francese assunse un'espressione tetra. «Con questa minaccia voi
sperate di far sembrare la Borgogna uno stato pericoloso da attaccare in
modo che il nemico si rivolga contro le terre di re Luigi! È questa la vostra
strategia? Voi sperate che il faris, questa meretrice, si sfianchi a combatte-
re per dei mesi contro di noi per poi sconfiggerla e prendervi quello che
rimane della Francia. Dov'è finito il tuo voto di lealtà al tuo sovrano, Carlo
di Borgogna?»
Già, dov'è finito? pensò ironica, Ash.
«Il vostro re» disse Carlo di Borgogna «si ricorderà che io in persona ho
bombardato Parigi 106 . Se volessi il suo regno me lo prenderei e voi ora non
parlereste.»
Ash si rese conto che i ciambellani e gli altri funzionari di corte si stava-
106
1465.
no avvicinando all'ambasciatore, mentre il duca tornava a rivolgere la sua
attenzione a Sancho Lebrija.
«Non accetterò la vostra richiesta» sentenziò Carlo ih tono deciso.
«La vostra affermazione equivale a una dichiarazione di guerra» gli fece
notare il qa'id visigoto.
Ash lanciò un'occhiata a Olivier de la Marche e notò che il robusto co-
mandante dell'esercito burgundo sorrideva pienamente soddisfatto.
«Avevamo detto che ci serviva una battaglia» ringhiò Robert Anselm al-
l'orecchio di Ash.
«Già, credo che ne avremo una molto prima di quanto ti aspettavi.» Ash
fissava Sancho Lebrija per non guardare il marito. «Non mi consegneranno
ai Visigoti.»
L'occhiata di Anselm valse più di cento parole. Era come se le avesse
detto: «Cerca di essere realista, ragazza! Non hai scelta.»
«No» rispose Ash, tranquilla «non capisci. Io non andrò con loro nean-
che se ci vanno di mezzo tutta la corte, l'esercito di Carlo e Oxford. Attra-
verserò il Mediterraneo solo in compagnia di ottocento uomini armati di
tutto punto.»
Anselm assunse l'aria di qualcuno che stava pensando intensamente. «Se
dovesse essere necessario ti tireremo fuori noi» borbottò improvvisamente
qualche attimo dopo.
Tu lo faresti anche, pensò Ash, ma non sono altrettanto sicura di van
Mander. Si avvicinò al conte di Oxford che nel frattempo era stato convo-
cato dal ciambellano del duca.
«Sire?» disse il nobile in tono mite.
«Io non sono il vostro signore legittimo» esordì Carlo di Borgogna spor-
gendosi in avanti, ignorando deliberatamente la delegazione visigota «ma
credo che sarete contento di schierarvi insieme alla vostra compagnia sotto
le nostre insegne quando ci recheremo ad Auxonne.»
Merda, imprecò mentalmente Ash. Al diavolo l'incursione.
«Facciamo da noi» mormorò ad Anselm.
«Se paghi!»
«Non posso pagare niente. I commercianti di Digione ci fanno credito
solo perché siamo al soldo di Oxford.»
Angelotti fece un commento scurrile in italiano a voce abbastanza alta
da attrarre l'attenzione di Agnus Dei.
«Ne sarò onorato» accettò cortesemente il conte di Oxford. «Sire.»
Sancho Lebrija si fece avanti. «Principe di Borgogna, prima ancora della
guerra c'è la legge. Il nostro generale ha chiesto che le sia restituita una sua
proprietà, una schiava che si trova in questa sala.» Il dito guantato indicò
Ash. «La casata dei Leofric reclama il possesso di quella donna. I suoi
genitori erano schiavi» ripeté. «Quella donna è una proprietà della casata
dei Leofric.»
Ash respirò profondamente, inalando l'odore dolce della segatura e dei
petali di fiori che ricoprivano il pavimento della sala. L'apprensione le
provocò uno strano senso di vertigine, ma riuscì a controllarsi. Alzò gli
occhi per fissare il duca burgundo.
«Mi consegnerà, ne sono sicura» mormorò all'indirizzo di Anselm e An-
gelotti.
Per la seconda volta da quando si erano incontrati Ash vide un sorrisetto
apparire sulle labbra di Carlo di Borgogna.
«Ash» chiamò.
Lei fece un passo avanti per affiancarsi a Oxford e scoprì con sommo
stupore di avere le gambe molli.
«Ho sempre assoldato mercenari con gran piacere» affermò grave il du-
ca. «Per nessuna ragione al mondo permetterei a un comandante esperto e
capace di abbandonare le mie forze. Tuttavia, in questo caso, non sono io
quello che detiene il vostro contratto. Siete al servizio di un lord inglese
sul quale le leggi della Borgogna non hanno alcun effetto.»
«Non potrei mai andare contro i desideri del primo principe d'Europa, si-
re» incalzò prontamente John de Vere. «Voi avete richiesto la mia presen-
za sul campo di battaglia...»
«Sento il suono dei soldi che passano di mano in mano» borbottò Ash.
Dovette sforzarsi per non sorridere.
«Avete chiamato in causa la giustizia» la voce di Sancho Lebrija tuonò
nella sala. «Avete parlato della giustizia, principe di Borgogna. 'La giusti-
zia può anche cadere in letargo, ma non marcisce'.»
Il conte di Oxford cambiò postura mettendo Ash in allarme. Lei conti-
nuò a mostrarsi sicura di sé, consapevole che i suoi soldati stavano facendo
vagare lo sguardo da lei al duca Carlo, al Visigoto e di nuovo su di lei.
«Quali sono le vostre obiezioni?» domandò il duca.
«La giustizia non cade in letargo. Il diritto, la legge, sono dalla nostra
parte.» Il sole illuminò la figura dell'ambasciatore obbligandolo a socchiu-
dere gli occhi e fece brillare gli anelli metallici delle corazze leggere e le
else delle spade consumate dall'uso degli uomini della scorta.
«State ricorrendo a un espediente di bassa lega, principe di Borgogna.
Voi state sfidando la legge solo perché desiderate avere qualche centinaio
di uomini in più dalla vostra parte. Questa è cupidigia, non diritto. È un
atto degno di un despota e non ha nulla a che fare con la legge.»
L'ambasciatore esitò per qualche attimo. Fernando del Guiz gli suggerì
qualcosa all'orecchio ed egli annuì.
«Nessuno vi può biasimare, principe, quando dite che la guerra contro di
noi è giusta. Ma dov'è la vostra giustizia, se voi la mettete da parte quando
più vi aggrada? La donna appartiene alla casata dei Leofric. Voi, come
ormai anche tutti i presenti, saprete che ella ha lo stesso volto del mio ge-
nerale. Non potete negare che sia figlia degli stessi genitori. Non potete
negare che sia una schiava.»
Lebrija si interruppe fissando il duca. Il nobile non proferì parola e il Vi-
sigoto terminò:
«In quanto schiava non ha il diritto di firmare una condotta, quindi non
importa sotto di chi sta servendo in questo momento.»
Sulla bocca di Oxford apparve una smorfia amara. Aggrottò la fronte
senza parlare con l'aria di chi stesse pensando a una soluzione in fretta e
furia.
«Lo farà» sussurrò Ash ai due uomini al suo fianco. Anselm sudava co-
piosamente e teneva la testa bassa con fare aggressivo, mentre Angelotti
aveva posato la mano sulla daga con un gesto carico di grazia letale. «For-
se non lo farà per ottenere un vantaggio politico - forse è diverso da Fede-
rico - ma ascolterà sicuramente le parole di Lebrija. Mi consegnerà a loro
per non trasgredire la legge.»
Dietro di lei i suoi uomini cominciarono ad allargarsi leggermente, alcu-
ni di loro valutarono a quanto distavano dalle porte e dove si trovavano le
guardie.
«Avete qualche idea?» aggiunse Ash, rivolgendosi a Oxford.
Il conte la fissò in cagnesco. «Datemi un minuto!»
Uno squillo di chiarina echeggiò chiaro e cristallino nella sala delle u-
dienze. Un manipolo di cavalieri in corazza completa e armati di asce da
guerra entrò dalla porta e si posizionò lungo le pareti. Ash vide de la Mar-
che che approvava con un cenno del capo.
«Cosa farà il vostro faris alla donna di nome Ash, una volta riavuta?»
domandò Carlo di Borgogna dall'alto del suo trono.
«Cosa farà?» ripeté Lebrija, colto alla sprovvista dalla domanda.
«Esatto! Cosa ne sarà di lei?» Il duca poggiò le mani in grembo, quindi
in tono leggermente pomposo aggiunse: «Vedete, è mia opinione che le
farete del male.»
«Farle del male? No, mio principe, no.» L'espressione di Lebrija era
quella di un uomo che sapeva di non essere convincente. «La cosa non vi
deve preoccupare, principe. La donna di nome Ash è una schiava. È come
se mi chiedeste se ho intenzione di far del male al mio cavallo quando
scendo in battaglia.»
Alcuni soldati della scorta di Lebrija sghignazzarono.
«Cosa ne sarà di lei?»
«La cosa non vi deve preoccupare, principe. Voi dovete attenervi alla
legge. E la legge stabilisce che lei è nostra.»
«Fatto sicuramente accertato» concordò Carlo di Borgogna.
La frustrazione degli uomini di Ash era quasi tangibile. Fissavano i sol-
dati burgundi intorno alla sala con occhiate ferali, imprecando a bassa vo-
ce. Tutti i loro disaccordi erano stati messi da parte per il momento. An-
selm disse qualcosa per trattenere Angelotti.
«No» sbottò l'Italiano. «Sono stato schiavo di uno dei loro amir. Farò
tutto ciò che è in mio potere per impedire che ti portino con loro, madon-
na.»
«Mastro artigliere, zitto!» ringhiò Anselm.
Ash fissò Agnus Dei che dava una pacca sulla schiena di Sancho Lebrija
per congratularsi. Dietro il mercenario italiano, Fernando del Guiz ascoltò
il commento di un uomo della scorta e rise di gusto reclinando il capo al-
l'indietro.
Ash prese una decisione.
«Sarò molto contenta di uccidere tutti i Visigoti presenti.» Aveva parlato
in modo da farsi sentire da Anselm, Angelotti, van Mander, Oxford e i suoi
fratelli. «Sono in nove. Uccidiamoli adesso. Dobbiamo essere veloci, do-
podiché gettiamo a terra le armi e lasciamo che il duca ci dichiari fuorileg-
ge. Se quelli moriranno ci sbatteranno fuori della Borgogna, ma non sare-
mo consegnati.»
«Facciamolo.» Anselm fece un passo avanti seguito dagli uomini del
Leone. Ash udì van Mander che borbottava qualcosa in tono allarmato
riguardo alle guardie. Avremo delle perdite, è ovvio, pensò. Carracci im-
precava eccitato, mentre Euen Huw e Rochester avevano portato le mani
sulle armi sghignazzando soddisfatti.
«Aspettate!» ordinò il conte di Oxford.
Uno squillo di chiarina echeggiò nell'aria e il duca Carlo di Borgogna si
alzò in piedi come se nella sala non ci fosse un gruppo di mercenari a soli
dieci metri dal suo trono e i soldati armati fino ai denti non si fossero mos-
si perché Olivier de la Marche aveva ordinato loro di stare immobili con
un segnale brusco.
«No. Non vi consegnerò la donna di nome Ash» dichiarò il duca.
«Ma è nostra per legge» ribatté Lebrija, visibilmente oltraggiato.
«È vero. Tuttavia, non ve la consegnerò.»
Ash si rese appena conto della mano di Anselm che le stringeva con for-
za un braccio.
«Cosa?» sussurrò. «Cos'ha appena detto?»
Il duca diede un'occhiata ai suoi consiglieri, ai legali, ai suoi sudditi. Un
velo di soddisfazione calò sul suo volto quando Olivier de la Marche si
inchinò profondamente e indicò gli uomini armati nella sala.
«Comunque, se tenterete di portarla via con la forza, faremo tutto ciò
che è in nostro potere per impedirvelo.»
«Siete un folle, principe.»
«Mi pigliasse un colpo se non ha ragione» commentò Ash a bassa voce.
De Vere scoppiò a ridere di gusto e diede una pacca sulla spalla di Ash
con la stessa forza che usava con i suoi fratelli. Lei fu molto contenta di
aver indossato la brigantina perché l'impatto fece scricchiolare le piastre
metalliche.
Gli uomini di Ash esultarono e il duca Carlo si rivolse alla delegazione
visigota.
«È mio desiderio che la donna di nome Ash rimanga nella mia corte. E
così sarà.»
«Ma state infrangendo la legge» esclamò Sancho Lebrija come se la
persona che aveva davanti non fosse il principe più potente della Cristiani-
tà, ma un paggio recalcitrante.
«Sì, lo so. Portate questo messaggio ai vostri padroni - al vostro faris: io
continuerò a infrangere la legge ogni volta che questa si dimostrerà sba-
gliata. L'Onore» continuò affettato e nuovamente un po' pomposo «è al di
sopra della Legge. L'onore e la cavalleria ci impongono di difendere i de-
boli. Sarebbe moralmente sbagliato consegnarvi la donna quando ogni
uomo presente in sala sa bene che voi la massacrerete.»
Sancho Lebrija lo fissò stupefatto.
«Non ci capisco niente.» Ash scuoteva la testa attonita. «Quale vantag-
gio può trarne il duca da questa mossa?»
«Nessuno» le spiegò il conte di Oxford, serrando le mani dietro la schie-
na come se anche lui non le avesse posate sulle armi un attimo prima. Le
lanciò un'occhiata furba. «Assolutamente nessuno, signora. Nessun van-
taggio politico. La sua azione non può essere difesa in alcun modo.»
Ash ignorò la gioia dei suoi uomini e fissò la delegazione visigota che
veniva scortata fuori della sala, quindi spostò l'attenzione sul trono e sul
duca.
«Non ci capisco niente» disse.
Le ventiquattr'ore successive passarono nel caos più completo che gli uf-
ficiali del Leone Azzurro gestirono grazie alla loro esperienza. Sia Ash che
i suoi uomini non dormirono per più di due ore.
Cumuli di nuvole gialle si ammassavano a ovest striate dai lampi. Il cal-
do umido aumentò notevolmente. Gli uomini con indosso le armature si
grattavano in continuazione imprecando. Scoppiò anche una rissa durante
l'operazione di carico dei cavalli da trasporto. Ash era ovunque. Ascoltava
tre, quattro, cinque persone contemporaneamente, controllando al tempo
stesso armi e vettovagliamento, occupandosi dei preti e delle guardie ai
cancelli.
Tenne la riunione finale nella tenda che fungeva da armeria. Era un luo-
go che puzzava di carbone, fumo e fuliggine. L'aria era pervasa dal clango-
re metallico dei martelli che si abbattevano sulle punte delle frecce.
«Cristo Verde!» imprecò Robert Anselm, asciugandosi la fronte sudata.
«Perché non piove?»
«Preferiresti marciare sotto la pioggia? Siamo fortunati!»
L'approssimarsi della tempesta faceva pulsare la testa di Ash.
Dickon Stour chiuse l'ultima cinghia che bloccava lo schiniere sulle ca-
viglie e lei piegò la gamba a novanta gradi.
«No, mi taglia il retro del ginocchio» disse Ash. L'armiere provò ad al-
lentare le cinghie. «Lascia perdere: ho gli stivali. Indosserò solo le prote-
zioni superiori delle gambe.»
«Ti ho preparato un piastrone.» Dickon Stour si girò e glielo porse con
le mani sporche di fuliggine. «Devo modificare i fori per le braccia?»
Non c'era tempo per forgiare una nuova armatura. Ash si girò, l'armiere
le infilò il piastrone senza chiudere le cinghie e lei tese le braccia in avanti
come se stesse maneggiando la spada. Il movimento fece salire i bordi del
piastrone contro l'interno delle braccia. «Troppo largo. Taglialo ancora.
Non importa se non smussi i bordi, voglio qualcosa che posso indossare
per quattro ore e che sia in grado di proteggermi dalle frecce.»
L'armiere emise un grugnito deluso.
«Gli uomini del duca sono partiti?»
«All'alba» urlò Geraint ab Morgan per farsi udire sopra il baccano pro-
dotto dai martelli.
Durante quelle ultime ore quasi ventimila uomini erano partiti per i con-
fini meridionali del regno e ci avrebbero impiegato diversi giorni per co-
prire i sessanta chilometri fino ad Auxonne. Il terreno intorno a Digione
era diventato una distesa di terra rivoltata e calpestata. I magazzini della
città erano stati svuotati per approvvigionare le truppe.
I tuoni echeggiavano nel cielo. Il rombo era udibile nonostante il fra-
stuono nella tenda. Ash pensò brevemente alla strada che portava a sud.
Una manciata di chilometri da percorrere lungo la valle del fiume poi la
città sarebbe scomparsa alle loro spalle, dopodiché avrebbero trovato solo
qualche fattoria, dei villaggi eretti nelle radure della foresta e le grandi
distese dei pascoli vuoti o dei terreni incolti. Un mondo vuoto.
«Partiamo tra due ore.»
Alla vigilia del ventuno agosto, la compagnia del Leone Azzurro si era
accampata al limitare di un bosco a circa cinque chilometri a ovest di Au-
xonne. Ash passò tra i ripari improvvisati e si avvicinò agli uomini inco-
lonnati per la cena stando molto attenta a sembrare serena e allegra.
Henri Brant le si avvicinò in compagnia del capo stalliere e chiese: «La
battaglia è dopodomani mattina, giusto? Devo cominciare a nutrire i caval-
li da guerra in modo particolare?»
Pur essendo addestrato un cavallo da guerra rimaneva comunque un er-
bivoro che aveva bisogno di essere nutrito per rimanere in forze, altrimenti
bastava un'ora di combattimento per sfiancarlo irrimediabilmente.
Il cielo color porpora era appena visibile tra le foglie delle querce e l'aria
umida rendeva la pelle appiccicosa. Ash si asciugò il viso. «Calcola che i
cavalli dovranno combattere dall'alba fino alle nove. Comincia a dare loro
il cibo speciale.»
«Sì, capo.»
Thomas Rochester e la scorta si erano fermati sotto gli alberi a parlare
con Bianche e altre donne. Nessuno che mi fa domande! pensò Ash. Stupe-
facente! Fece un lungo sospiro.
Merda, preferisco in momenti in cui ho tanto da fare che non ho tempo
per pensare.
C'è sempre qualcosa da fare.
«Non mi allontano di molto» disse all'uomo della scorta che le era più
vicino. «Di' a Rochester che sono nella tenda del medico.»
Il padiglione di Floria si trovava a pochi metri da lei. Ash scavalcò le
corde e i tiranti legati intorno al tronco di un albero e alle radici che spun-
tavano dal terreno, mentre dal cielo cadevano le prime gocce di pioggia.
«Capo?» chiese il diacono Faversham uscendo dalla tenda.
Ash nascose la sua apprensione e chiese: «Il mastro chirurgo è dentro?»
«Sì» rispose l'Inglese senza scomporsi.
Ash annuì in segno di saluto ed entrò. Come aveva temuto la tenda non
era vuota: sui lettini c'erano una mezza dozzina di uomini che smisero di
parlare ad alta voce tra di loro appena la videro, dopodiché, passato qual-
che attimo, ripresero la conversazione, ma a voce più bassa.
«Ci stiamo muovendo troppo in fretta» si lamentò Floria del Guiz senza
sollevare gli occhi dal braccio fratturato che stava bendando. «Nel mio
studio, capo.»
Ash scambiò qualche parola con i feriti: due fratture a un piede mentre
caricavano una cassa di spade su un cavallo, una bruciatura, un ubriaco che
era caduto sulla propria daga ferendosi, quindi li superò e spostò la tenda
che separava l'area riservata al chirurgo dal resto del padiglione.
La pioggia tamburellava sul tetto della tenda. Ash usò la pietra focaia
per accendere il moncone di una candela e le lanterne. Il chirurgo la rag-
giunse nel momento stesso in cui lei terminava l'operazione e si sedette
emettendo una sorta di grugnito.
«Vedo che i feriti continuano a venire da te» esordì Ash andando dritta
al punto.
Floria alzò la testa e una ciocca di capelli le scivolò via dalla fronte. «Ci
sono stati diciannove feriti negli ultimi due giorni. Viene da pensare che
nessuno di loro abbia mai cercato di picchiarmi!»
Il chirurgo giunse le mani facendo combaciare le punte delle dita.
«Sai cosa è successo, Ash? Hanno deciso di non pensarci, almeno per il
momento. Forse quando saranno feriti non si preoccuperanno molto di chi
li sta ricucendo o forse sì.»
Floria lanciò un'occhiata severa ad Ash.
«Non mi trattano né come un uomo né come una donna. Come un eunu-
co, forse. Un animale castrato.»
Ash prese uno sgabello e si sedette. Entrò uno degli assistenti, servì loro
del vino e portò a Floria un mantello leggero per proteggersi dall'aria fred-
da.
«Domani ci sarà la battaglia» disse Ash, cauta. «Adesso sono tutti trop-
po impegnati nei preparativi. La maggior parte dei piantagrane sono andati
via con van Mander. Gli altri possono decidere di linciarti o farsi salvare la
vita da te quando saranno feriti. Non c'è che dire: abbiamo bisogno di que-
sta battaglia per un mucchio di motivi.»
La donna chirurgo sbuffò e prese la coppa di vino. «Ne abbiamo bisogno
veramente, Ash? Abbiamo veramente bisogno che questi giovani vengano
mutilati o trapassati dalle frecce?»
«È la guerra» rispose Ash, impassibile.
«Lo so. Potrei sempre lavorare da qualche altra parte. Le città appestate.
I lazzaretti. Curare i bambini ebrei che i medici cristiani si rifiutano di toc-
care.» Le ombre che le lampade proiettavano sul volto di Floria del Guiz le
conferivano un'espressione impietosa. «Forse domani varrà la pena di
combattere.»
«Non è l'ultima battaglia di Artù» disse Ash, cinica. «Non è Camlann.
Anche se li battiamo quelli non fanno i bagagli e tornano a casa. Vincere
una battaglia non ti fa vincere una guerra. Non importa se domani cancel-
leremo l'esercito del faris dalla faccia della terra.»
«Cosa succede, allora?»
«Noi siamo in vantaggio di due a uno. Avrei preferito un vantaggio di
tre a uno, ma li batteremo. L'esercito di Carlo è il migliore di tutta la Cri-
stianità.»
In quel momento si ricordò che il faris aveva sconfitto gli Svizzeri, ma
non disse nulla.
«Forse uccideremo il faris, forse no. Comunque se la sconfiggiamo il
suo esercito ne risulterà notevolmente decimato e le avremo fatto perdere
lo slancio. È come recita il detto: 'Una volta battuti, possono essere sconfit-
ti'.»
«E poi?»
«E poi ci sono gli altri due eserciti cartaginesi.» Ash sogghignò. «Molto
probabilmente rivolgeranno le loro attenzioni a un bersaglio più semplice -
la Francia forse - oppure si fermeranno per l'inverno o si scontreranno con
l'esercito del sultano. L'ultima opzione sarebbe quella ideale. Non sarebbe
più un problema della Borgogna o di Oxford e lui potrebbe tornare alle sue
guerre tra goddams.»
«E tu ti faresti pagare dal sultano?»
«Con chiunque tranne che con quella donna» confermò Ash.
«Vuoi parlarle ancora, vero?» azzardò Florian.
«Posso cavarmela anche senza i suggerimenti di una macchina in testa.
Combatto dall'età di dodici anni» si difese Ash, infastidita dall'acume del
chirurgo. «Cosa importa in termini pratici? Cosa può dirmi quella donna
che io non sappia già, Florian?»
«Come e perché sei nata?»
«Cosa importa! Io sono nata nei campi» disse Ash «come un animale.
Non sai nulla di cosa significhi. Sono sempre stata tra i carri dei riforni-
menti, non li ho mai fatti affondare o depredare dai soldati. L'unico mo-
mento in cui si moriva di fame era quando tutti morivano di fame.»
«Ma il faris è tua...» Floria fece una pausa interrogativa. «Sorella.»
«Forse» rispose Ash in tono ironico. «È pazza, Florian. Sedeva tranquil-
la e beata e mi diceva che suo padre faceva generare figli maschi per l'ac-
coppiamento e femmine per procreare. Mi diceva che i figli venivano fatti
accoppiare con i genitori. Generazioni che hanno vissuto nel peccato
dell'incesto. Cristo, vorrei che Godfrey fosse qua.»
«È una cosa che succede in ogni villaggio.»
«Ma non in maniera tanto...» Ash non riuscì a pronunciare la parola si-
stematica.
«I loro scienziati hanno insegnato alla Cristianità la maggior parte delle
tecniche mediche che ho imparato» disse Floria «e Angelotti ha appreso la
balistica da un amir.»
«E allora?»
«E allora la tua machina rei militaris non è un marchingegno demonia-
co.» Floria scosse la testa. «Godfrey non ha mai detto che era un peccato,
giusto? Sarebbe triste se non potessi più usarla, ma, non preoccuparti, tutti
sanno che sei capace di massacrare anche senza l'aiuto di quell'aggeggio.»
«Mmm»
«È vero che Godfrey ha lasciato la compagnia?» chiese Floria in tono
secco.
«Non - lo so. Sono giorni che non lo vedo. Da quando abbiamo lasciato
Digione.»
«Faversham mi ha detto di averlo visto in compagnia dei Visigoti.»
«I Visigoti? Con la delegazione?»
«Parlava con Sancho Lebrija.» Quando vide che Ash non diceva nulla,
aggiunse: «Non riesco capire come mai Godfrey sia andato con loro. Cosa
è successo tra te e lui?»
«Se potessi dirtelo, lo farei.» Ash si alzò in piedi e cominciò a cammina-
re su e giù nervosamente. «La milizia cittadina non si è fatta vedere al
campo» disse, cambiando deliberatamente argomento. «Mademoiselle
Châlon deve aver tenuto la bocca chiusa.»
«Certo che l'ha fatto» sbottò Floria. «Se non l'avesse fatto avrebbe dovu-
to ammettere che ero sua nipote. Non lo farà. Finché rimango lontana da
Digione sono abbastanza al sicuro. Basta che non le chieda nulla.»
«Continui a pensare di essere Burgunda, vero?» comprese Ash.
«Certo.»
Ash fissò il chirurgo dritto negli occhi e vide che aveva un'espressione
strana, di nessuno di loro si poteva dire che avesse una nazionalità. Sorrise.
«Non penso a me stessa come a una Cartaginese. Non dopo tutto questo
tempo. Ho sempre pensato di essere uno dei tanti bastardi della Cristiani-
tà.»
Floria ridacchiò di gusto e versò altro vino.
«La guerra non ha nazionalità» decretò. «La guerra è un patrimonio del
mondo intero. Avanti, mia piccola amazzone scarlatta. Bevi.»
Là donna si alzò barcollando, si mise a fianco di Ash, le appoggiò una
mano sulla spalla e con l'altra le porse la coppa.
«Non ti ho ancora detto grazie per averli fermati» disse.
Ash scrollò leggermente le spalle, appoggiandosi contro Floria.
«Beh, grazie lo stesso.» Florian inclinò la testa e posò le labbra su quelle
di Ash dandole un bacio rapido e leggero.
«Cristo!» Ash scattò allontanandosi da quello che sembrava essere l'ab-
braccio di una donna. «Cristo!»
«Cosa?»
Ash si passò il dorso di una mano sulla bocca. «Cristo!»
«Cosa?»
Ash non si rese neanche conto dell'espressione cinica e tesa che aveva
assunto. Aveva l'impressione che davanti ai suoi occhi ci fosse qualcosa di
diverso dal chirurgo della compagnia.
«Non sono la tua piccola Margaret Schmidt! Cos'era? Pensavi di sedur-
mi come credeva tuo fratello?»
Floria del Guiz si alzò lentamente. Stava per dire qualcosa, ma si fermò
e parlò in tono controllato. «Stai dicendo un sacco di stupidaggini, Ash. E
lascia fuori mio fratello da quanto è successo!»
«Tutti vogliono qualcosa.» Ash scosse la testa e abbandonò le braccia
lungo i fianchi. Sopra la sua testa la pioggia faceva tremare il telo della
tenda.
Floria del Guiz allungò una mano per toccarla, poi rifletté che forse era
meglio trattenersi. «Ah.» Il chirurgo si fissò i piedi per qualche secondo,
quindi rialzò la testa e disse: «Non seduco le amiche.»
Ash la fissava in silenzio.
«Un giorno» aggiunse Floria «ti racconterò di quando a tredici anni sono
stata buttata fuori di casa e sono andata a Salerno vestita da uomo, perché
avevo sentito che là le donne potevano studiare. Beh, mi sbagliavo. Le
cose erano molto cambiate dai giorni di Trotula108 . E ti dirò perché Jeanne
Châlon che è solo la mia madre putativa non mi vuole vedere. Sei a pezzi,
capo. Avanti!» Floria fece un ghigno furbo. «Su, Ash. Onestamente.»
Il tono irriverente del chirurgo fece arrossire Ash che sospirò sollevata e
scrollò le spalle per sembrare disinvolta. «Hai ragione, Floria, sono state
delle giornate molto dure per tutti. Mi dispiace. Ho detto una cosa molto
stupida.»
«Mmm - hmm.» Floria arcuò un sopracciglio. «Dai, dimmi.»
Ash si girò verso l'entrata della tenda. I fuochi da campo dell'esercito
burgundo brillavano nell'oscurità e nel cielo splendeva il disco argenteo
della luna.
Circa due giorni prima del primo quarto, pensò, stimando automatica-
mente il rigonfiamento del suo profilo. Sono passate poche settimane.
«Cristo, sono successe così tante cose! Adesso siamo a metà agosto, giu-
sto? E la schermaglia di Neuss è avvenuta a metà giugno. Due mesi. Dia-
volo, sono solo sei settimane che mi sono sposata...»
«Sette» precisò Floria alle sue spalle. «Altro vino?»
Ash vide la luna che si sfocava.
«Capo?»
Ash si girò, lanciò un'occhiata alle tavole anatomiche appese nella tenda,
al sorriso tranquillo di Floria e tutto divenne improvvisamente chiaro e
netto. Uno si sente così solo quando è scosso o sta combattendo, pensò.
«Ho avuto le perdite quando ero ferita, Floria?» domandò.
108
Trotula di Salerno fu un medico donna dell'undicesimo secolo che tra
i vari trattati medici scrisse il Passionibus mulierum curandorum (Le
malattie veneree). Era considerata una delle più alte autorità in campo
medico del Medioevo. A Salerno studiarono altre 'mulieres Salernitanae'
(donne medico), ma nel quindicesimo secolo tale usanza era finita.
Floria del Guiz scosse la testa e aggrottò la fronte. «No. Ho controllato e
non c'era nessuna perdita di sangue. Non era quel genere di ferita.»
Ash scosse la testa.
«Cristo!» esclamò. «Non quel genere di sangue. Il sangue mensile. Sono
due mesi che non lo perdo. Sono incinta.»
VI
Due ore dopo Ash era a fianco di Godluc. Bertrand teneva le redini del
cavallo e Rickard le portava l'elmo e la lancia. Si era fatta prestare le pro-
tezioni per le gambe da un uomo al seguito di de Vere, ma non le andav