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MARY GENTLE

ASH
Una storia segreta
(Ash, a Secret History, 1999)

A Richard Evans
Dottor Pierce Ratcliff, ASH, LA VECCHIA STORIA DELLA
BORGOGNA. JJJJJJ University Press, 2001. Rarissimo.
Si accettano offerte di acquisto serie.

L'edizione originale di (Ash: la vecchia storia della Borgogna, del


dr. Pierce Ratcliff) venne ritirata dall'editore poco prima della
pubblicazione. Tutte le copie stampate vennero distrutte. Quelle
spedite come anteprima vennero restituite e mandate al macero.

Parte di quel materiale venne pubblicato nell'ottobre del 2005 nel-


la collana TATTICHE MEDIEVALI, LOGISTICA E COMAN-
DANTI, Volume 3: Borgogna, senza le note a piè di pagina e il
commento finale.

Si pensa che la British Library abbia una copia dell'originale con


un facsimile della corrispondenza tra l'editore e lo scrittore, ma
sia il libro che i documenti non sono disponibili per la consulta-
zione.

NOTA: Questo estratto dell'Antiquarian Media Monthly, Vol. 2, No. 7,


luglio 2006, è originale ed è stato trovato incollato sul frontespizio bianco
di questa copia.

ASH
La vecchia storia della Borgogna

Pierce Ratcliff Ph.D.

JJJJJJJ UNIVERSITY PRESS


LONDRA NEW YORK
INTRODUZIONE

Non ho intenzione di scusarmi per aver tradotto nuovamente questi do-


cumenti, unico contatto con la vita di una donna straordinaria chiamata
Ash (1457 - 1477), perché ritengo che fosse un'opera necessaria.
Nell'edizione di Charles Mallory Maximillian del 1890 intitolata: 'Ash:
vita di un capitano mercenario del Medio Evo, è l'autore stesso ad ammet-
tere di aver omesso gli episodi più scabrosi della vita della condottiera. La
stessa operazione di taglio venne compiuta nel 1939 da Vaughan Davies
quando scrisse Ash: una biografia del quindicesimo secolo. I documenti
riguardanti la vita di Ash necessitavano di una traduzione moderna che
narrasse senza alcuna remora di tipo morale la gioia, ma anche la brutalità
del periodo medievale, e io credo di essere riuscito nell'intento.
Le donne si sono sempre accompagnate agli eserciti. Gli esempi sono
troppo numerosi per citarli tutti. Nell'anno 1476 erano passate solo due
generazioni da quando Giovanna d'Arco aveva guidato le forze del Delfino
di Francia e possiamo immaginare che i mercenari dell'unità nella quale
era nata Ash le avessero raccontato le imprese della Pulzella d'Orléans.
Comunque il fatto di trovare una donna di origini contadine al comando di
un'unità mercenaria senza l'appoggio di uno stato o della chiesa è un fatto
unico 1 .
In questa Europa della seconda metà del quindicesimo secolo si verifi-
cava l'incontro tra la gloria della vita medievale e l'esplosione culturale del
Rinascimento. Negli stati italiani, in Francia, in Borgogna, in Spagna, in
Germania e in Inghilterra tra le case reali, le guerre erano all'ordine del
giorno, mentre l'Europa stessa nella sua interezza era minacciata dal peri-
colo che arrivava dall'est: l'impero turco. È un periodo di eserciti in cresci-
ta e di compagnie mercenarie destinate a sparire con l'avvento dell'Età
Moderna.
Ci sono molti punti oscuri nella vita di Ash. La data e il luogo di nascita
sono due di questi. Molti documenti del quindicesimo e sedicesimo secolo
vengono spacciati come Vite di Ash, ma di questi parlerò più avanti insie-
me alle nuove scoperte che ho compiuto nel corso delle mie ricerche.
I primi frammenti in latino del Codice di Winchester, un documento
monastico scritto intorno all'anno 1495, parlano delle sue prime esperienze
da bambina e compongono la prima parte della mia traduzione.
A ogni personaggio storico viene inevitabilmente affibbiato un bagaglio
1
Non del tutto, come vedremo.
di leggende, aneddoti e vicende romantiche che vanno ad aggiungersi alla
verità storica della sua vita. Quanto segue è la parte più 'leggera' della vita
di Ash, ma non deve essere presa come pura verità storica. Ho scritto delle
note a piè di pagina riguardo questo periodo della vita di Ash, ma il lettore
più serio è libero di non prestarvi attenzione.
All'inizio del nostro millennio, con i sofisticati metodi di ricerca che ab-
biamo a disposizione, è molto più facile per me eliminare le false 'leggen-
de' intorno ad Ash, più di quanto avessero potuto fare Charles Maximillian
o Vaughan Davies. Ho scoperto il personaggio storico celato dietro le leg-
gende - e la vera Ash è molto più stupefacente di quella descritta nei miti.

Pierce Ratcliff, dottore (Studi di Guerra), 2001


NOTA: Aggiunta alla copia trovata nella British Library: appunti a matita
scritti su un foglio di carta libero:

DOTT. PIERCE RATCLIFF (Studi sulla guerra)


Flat I, Rowan Court, 112 Olvera Street,
London W14 OAB, U. K.
Fax: JJJJJJ
E-mail: JJJJJJ
Tel: JJJJJJJ

Anna Longman Copia della corrispondenza


Editor Originale intrattenuta
JJJJJUniversity Press tra il dott. Ratcliff e il
JJJJJJJJJ suo editor trovata tra le
JJJJJJJ
JJJJJJJJ pagine del testo. Che
29 settembre 2000 siano state inserite seguendo
l'ordine di
pubblicazione
Egregia Ms Longman,
Le invio con piacere, firmato come mi era stato richiesto, il
contratto del libro.

Ho allegato alla presente una brutta copia della traduzione


dei documenti che trattano i primi anni della vita di Ash: il
Codice di Winchester. Come capirà dalla lettura di tali do-
cumenti è in quelle pagine che vengono gettati i semi della
vicenda che seguirà.

Questa è la mia grande occasione! Suppongo che il sogno


di ogni storico sia quello di fare una scoperta che lo renda
famoso e io penso di esserci riuscito portando alla luce
nuovi dettagli sulla vita di una donna davvero notevole:
Ash. Così facendo sono anche convinto di aver scoperto
delle notizie su un periodo della storia dell'Europa medie-
vale poco conosciuto - anzi, sarebbe più giusto dire dimen-
ticato - ma molto significativo.
La mia teoria ha cominciato a prendere forma mentre stavo
raccogliendo documenti sulla vita di Ash per la mia tesi di
dottorato e sono stato in grado di consolidarla con la sco-
perta dei documenti denominati 'Fraxinus.' Tali documenti
facevano parte della collezione di antichità custodita nello
Snowshill Manor, nel Gloucestershire. Prima di morire,
Charles Wade, un cugino dell'ultimo proprietario della te-
nuta, aveva ricevuto in dono un baule germanico del sedi-
cesimo secolo. Nel 1952 Snowshill finì nelle mani della
sovrintendenza alle Belle Arti e quando aprirono il baule
vi trovarono il documento. Credo che sia rimasto là dentro
dal quindicesimo secolo (il meccanismo d'apertura era in
acciaio e ricopriva l'intera lunghezza del coperchio del ba-
ule!) senza mai essere stato letto. Charles Wade non so-
spettava neanche della sua esistenza.

Essendo scritto in francese medievale e latino, Wade non


lo tradusse; anche se era consapevole dell'importanza di
quel testo, egli era uno di quei 'collezionisti' di stampo vit-
toriano più interessati a possedere che a decifrare. La casa
è piena di orologi, armature giapponesi, spadoni della
Germania medievale, porcellane, etc, etc! Tuttavia sono si-
curo che qualcuno avesse messo gli occhi su quei docu-
menti molto prima di me. Sulla prima pagina dopo il fron-
tespizio c'era un'annotazione in latino - fraxinus me fecit:
'Fui fatto da Ash' (Non so se lei lo sa, ma il nome latino di
Ash è fraxinus.) Credo che si tratti di una nota del diciotte-
simo secolo.

Già da una prima e rapida lettura mi resi conto che si trat-


tava di un documento mai scoperto prima. Un serie di
memorie scritte, o più probabilmente dettate, da Ash in
persona poco prima di morire nel 1477(?). Non ci impie-
gai molto a capire che quello scritto colmava i numerosi
vuoti presenti nella storia della condottiera medievale.
(Si può supporre che sia stata proprio la scoperta del 'Fra-
xinus' a indurre la sua casa editrice a voler pubblicare una
nuova edizione della vita di Ash.)

Le descrizioni presenti nel 'Fraxinus' forse possono sem-


brare molto colorite, ma non bisogna dimenticare che le
esagerazioni, le leggende, i miti, per non parlare dei pre-
giudizi e della partigianeria del cronista, hanno sempre
contaminato tutti gli scritti medievali. Ma le assicuro che
sotto i rifiuti c'è oro puro. Vedrà.

La storia è una rete dalle maglie molto larghe attraverso le


quali dei fatti possono sgusciare nel limbo senza problemi.
Con il materiale che ho scoperto spero di riuscire a riporta-
re alla luce quei fatti che non si sposano con la nostra idea
di passato, ma che sono inequivocabilmente accaduti.

Tutto ciò ci porterà a riconsiderare in maniera radicale la


storia del Nord Europa e sarà meglio che gli storici ci si
abituino!

In attesa di un suo riscontro voglia gradire i miei più di-


stinti saluti,

Pierce Ratcliff
PROLOGO

C. AD 1465-1467[?]

'La mia anima è per mezzo di leoni'2

Erano gli sfregi a renderla bellissima.


Nessuno si era preso il disturbo di darle un nome fino all'età di due anni
e lei aveva vagato per i fuochi da campo, giocando per terra, scroccando il
cibo qua e là, poppando dai seni delle prostitute sentendosi chiamare Cuc-
ciolo-sporco, Grugno-sozzo e Culo-cenerino. Quando i suoi capelli cam-
biarono di colore passando dal castano chiaro a un biondo quasi bianco fu
quel 'cenerino' che la colpì di più, per cui decise di farsi chiamare Ash3 .
All'età di otto anni due mercenari la violentarono.
Ash non era vergine. Tutti i bambini del campo scoprivano le differenze
tra i corpi dei maschi e quelli delle femmine nascosti sotto le puzzolenti
coperte di pecora che usavano per dormire e anche lei aveva il suo amico
particolare. Sebbene i due mercenari avessero poco più di otto anni erano
considerati degli adulti. Uno di essi era ubriaco.
Dopo lo stupro, Ash cominciò a piangere. Uno dei due ragazzini, quello
sobrio, riscaldò la punta del coltello in un fuoco da campo e le praticò un
taglio sullo zigomo rischiando di mozzarle un orecchio.
La bambina non smise di piangere e il ragazzino le inflisse un secondo
sfregio parallelo al primo.
Ash riuscì a liberarsi e scappò via con il sangue che le colava lungo una
guancia. La ragazzina, che pur avendo cominciato l'addestramento con la
spada non era ancora abbastanza forte da poter sostenere uno scontro, era
tuttavia sufficientemente cresciuta per prendere una balestra (lasciata in-
cautamente carica dentro uno dei carri che costituivano la difesa perimetra-
le del campo) e piantare un quadrello a bruciapelo nel corpo del primo
stupratore.
2
Salmi 57:4.
3
Culo-cenerino è la traduzione del termine inglese:'Ashy-arse'. Il nome
della protagonista di queste vicende è Ash, che, come spiegato nella nota
precedente ha due traduzioni: frassino e cenere (N.d.T.).
Il terzo sfregio, quello che le segnava l'altra guancia, non fu provocato
da un atto di puro sadismo, ma dal tentativo del secondo ragazzino di ucci-
derla.
Sapeva di non poter ricaricare la balestra da sola, ma decise che non sa-
rebbe scappata. Saltò sul corpo del primo mercenario e piantò il coltello
che usava per mangiare nella coscia dell'assalitore, recidendogli l'arteria
femorale. Il ragazzino morì dissanguato nel giro di qualche minuto. Ricor-
do al lettore che la piccola Ash aveva cominciato il suo addestramento
militare.
La morte era all'ordine del giorno in un campo mercenario, ma il fatto
che una bambina di otto anni avesse ucciso due suoi coetanei inquietò pa-
recchie persone.
Il primo vero ricordo di Ash risale al giorno del suo processo. Aveva
piovuto per tutta la notte. Il sole si levò nel cielo facendo evaporare l'acqua
depositatasi a terra e sui rami, e illuminando le tende, i calderoni, i carri, le
capre, le lavandaie, le prostitute, i capitani, gli stalloni e le bandiere, esal-
tandone i colori. Ash fissò la lunga bandiera a forma di coda sulla quale
erano impresse la croce e la bestia, annusando la brezza fresca che le ca-
rezzava il volto.
Un uomo robusto con il volto incorniciato dalla barba si chinò di fronte
a lei.
Ash era una bambina piuttosto minuta, vide i suoi grossi occhi, la folta
chioma di lunghi capelli quasi bianchi e il volto segnato dagli sfregi, che le
rammentavano le pitture di guerra dei barbari dell'Est, riflessi sul piastrone
indossato dal capitano.
Annusò l'aria e sentì l'odore dei fuochi da campo, dello sterco di cavallo
e del sudore dei soldati. La brezza fresca le fece rizzare i peli sulle braccia.
Improvvisamente ebbe l'impressione di osservare la scena dall'esterno,
come se una parte di lei fosse uscita dal suo corpo. Vide un grosso uomo
inginocchiato di fronte a una bambinetta scalza dallo sguardo spaventato
con indosso un panciotto fuori misura, che portava con sé un coltello da
caccia modificato per somigliare a una daga.
Quella fu la prima volta in cui si rese conto di essere bellissima.
In quel momento provò anche una grande frustrazione perché non sape-
va cosa farsene di quella bellezza.
«I tuoi genitori sono vivi?» le chiese il capitano.
«Non lo so. Mio padre potrebbe essere uno di loro.» Indicò i mercenari
del campo intenti alla manutenzione delle armi. «E nessuna delle donne
dice di essere mia madre.»
Un uomo più magro si acquattò a fianco del capitano. «Uno dei morti è
stato abbastanza stupido da lasciare una balestra carica» esordì in tono
tranquillo. «Per quanto riguarda la bambina, ho chiesto alle lavandaie. Non
è vergine, ma non è neanche una prostituta.»
«Se è abbastanza grande per uccidere» sentenziò il capitano, torvo in
volto «allora vuol dire che lo è anche per essere punita. Frustatela.»
«Mi chiamo Ash» replicò lei a voce bassa, ma chiara. «Mi hanno fatto
del male e li ho uccisi. Se qualcun altro cercherà di farmi del male lo ucci-
derò. Ucciderò anche te.»
Ricevette le frustate che le spettavano più un extra per l'insubordinazio-
ne. Non pianse. Dopo qualche tempo un balestriere le diede un giustacuore
imbottito e Ash cominciò ad addestrarsi con impegno nell'uso delle armi.
La bambina fece finta per uno o due mesi che il balestriere fosse suo pa-
dre, finché non divenne chiaro che la gentilezza di quell'uomo era stata
frutto di un impulso temporaneo.
Nel corso del nono anno di vita di Ash si sparse nel campo la voce che
un Leone era nato da una Vergine.

II

La piccola Ash era intenta ad applaudire i mimi insieme agli altri bam-
bini del campo. Era seduta a terra con la schiena appoggiata a un albero
spoglio e alcune pellicce sotto il sedere per proteggersi dal freddo.
Gli sfregi non stavano guarendo bene e spiccavano rossi contro il pallore
della pelle. Il fiato si condensava in grosse nuvole ogni volta che urlava. Il
Grande Wyrm (un uomo con il volto celato da un teschio di cavallo e la
schiena coperta da una pelle marrone chiaro sempre di cavallo) entrò ram-
pando sul palco. La coda del cavallo, che era stata lasciata attaccata alla
pelle, frustò la gelida aria del pomeriggio. Il Cavaliere della Desolazione
(interpretato da uno dei sergenti della compagnia con indosso la sua arma-
tura migliore) compì un largo affondo con la lancia.
«Uccidilo» urlò Crow, una ragazzina della compagnia.
«Piantagliela nel sedere!» sbraitò Ash. I bambini intorno a lei comincia-
rono a ridere rumorosamente pronunciando frasi colme di scherno.
Richard, un ragazzino dai capelli neri con una macchia color porto sul
viso, sussurrò: «Deve morire. Ho sentito dire dal capitano che il Leone è
nato.»
La frase interruppe il torrente di volgarità che stava uscendo dalla bocca
di Ash. «Dov'è nato? Quando gliel'hai sentito dire, Richard?»
«A metà mattina, quando ho portato l'acqua alla sua tenda» rispose or-
goglioso il ragazzino.
Anche se non lo era veramente, Richard aveva provato a farle notare il
suo status di paggio, ma Ash lo ignorò, appoggiò il naso sui pugni chiusi e
soffiò sulle dita gelate. Il Wyrm e il sergente duellavano con ardore per
non sentire il freddo. Ash si alzò in piedi e si sfregò con vigore le natiche
intorpidite.
«Dove vai, Ashy?» le chiese il ragazzino.
«Vado a prendere l'acqua» gli rispose Ash, in tono altezzoso. «Non puoi
venire con me.»
«Dai, fammi venire!»
«Non sei abbastanza grande» sentenziò Ash, quindi si fece strada tra la
piccola folla di bambini, capre e cani.
Le nuvole erano basse e avevano lo stesso colore del peltro. Dal fiume si
stava levando una nebbia biancastra. Se avesse nevicato, la temperatura si
sarebbe alzata. Ash si incamminò silenziosamente verso le case abbando-
nate (un tempo dovevano essere state parte di una fattoria) che gli ufficiali
della compagnia avevano scelto come quartiere generale. I soldati avevano
eretto le loro tende da campo davanti agli edifici e passavano gran parte
delle giornate intorno ai fuochi con il viso rivolto alla fiamma e la schiena
al gelo. La ragazzina passò alle loro spalle senza farsi notare.
Aggirò la fattoria, sentì che gli ufficiali stavano per uscire e si acquattò
dietro un barile dal cui bordo spuntava un blocco di acqua piovana gelata
alto più di una spanna.
«... e andateci a piedi» finì di dire il capitano, quindi, accompagnato dal
prete e da due tenenti che, come Ash aveva sentito dire, si vantavano di
avere origini nobili, cominciò ad attraversare il cortile.
Il capitano indossava l'armatura completa. Il piastrone gli proteggeva il
tronco e le spalle, le piastre e i guanti gli avvolgevano le braccia e le mani,
mentre gli schinieri gli coprivano le gambe e gli stivali. Portava il suo ar-
met4 sotto il braccio. La luce dell'inverno conferiva al metallo dell'armatu-
ra un colore biancastro. Forse è per questo che la chiamano l'armatura
bianca, pensò Ash. L'unico altro colore che spiccava sul bianco era il rosso
della barba e del fodero in cuoio.
Ash si inginocchiò appoggiando le dita contro le doghe gelate del barile.
4
Elmo aderente al volto.
Il clangore metallico delle armature echeggiava nell'aria ricordandole il
rumore di un carro cucina che si ribalta.
Voleva una di quelle armature, anche lei voleva camminare sentendosi
invulnerabile, portando sulle spalle il peso di tutta la ricchezza rappresen-
tata da uno di quegli oggetti. E fu proprio quel desiderio più che la curiosi-
tà a spingerla ad andare dietro agli ufficiali. Si mise a correre in preda a
una sorta di meraviglia.
Il cielo si ingiallì. Qualche sporadico fiocco di neve cominciò a fluttuare
nell'aria posandosi sui suoi capelli, ma la bambina non ci fece caso. Aveva
le orecchie e il naso arrossati, mentre le dita delle mani e dei piedi comin-
ciavano ad assumere un colorito bluastro e porpora. Il fatto non la preoc-
cupò, perché ci era abituata. Aveva imparato a sopportare il freddo e non si
prese neanche il disturbo di chiudere la giubba.
I quattro uomini continuavano a camminare senza dire una parola. Ash
approfittò del fatto che il capitano si fosse fermato per un attimo a parlare
con le guardie per superarli senza farsi notare.
Si chiese come mai gli ufficiali non avessero preso i cavalli e quando li
vide arrivare in cima alla salita che portava al limitare del bosco capì il
motivo di tale scelta. Il terreno era coperto di grossi cespugli, felci, rovi e
strati e strati di detriti che avrebbero fermato anche un cavallo da guerra.
I tre ufficiali si fermarono e infilarono l'elmo tenendo alta la ventaglia5 .
Il cappellano, l'unico dei quattro privo di corazza, si fece da parte. Uno dei
due luogotenenti estrasse la spada, ma il capitano scosse la testa e un atti-
mo dopo il suono di una lama che veniva rinfoderata echeggiò nell'aria.
Il bosco era silenzioso.
I tre ufficiali si girarono verso il cappellano dal volto arrossato. Il reli-
gioso indossava un cappello da guerra6 imbottito di velluto. Ash si avvici-
nò ulteriormente.
Il cappellano si inoltrò nel bosco con passo sicuro.
Ash non aveva prestato molta attenzione alla valle. Il fiume era pulito e
la fattoria era abbandonata, non c'era posto migliore per far svernare la
compagnia. Cos'altro avrebbe dovuto sapere? Le foreste spoglie che rico-
privano le colline non offrivano nessun tipo di distrazione. Quale altro
motivo l'avrebbe potuta spingere ad abbandonare il calore dei fuochi da
campo se non la caccia?
5
La celata degli elmi medievali (N.d.T.).
6
Un elmetto d'acciaio a tesa larga identico al 'Tommy' che gli Inglesi
portavano durante la prima guerra mondiale.
Qual era il motivo che aveva spinto quei quattro uomini ad andare fin
lassù?
Ash rifletté per qualche minuto, quindi decise che ci doveva essere un
sentiero. Sia i rovi che le felci non erano cresciuti abbastanza per nascon-
derla il che faceva supporre che quel bosco fosse stato battuto fino a poche
stagioni prima.
Gli ufficiali camminavano imperterriti tra i rovi. «Sangue di Dio!» im-
precò il più basso dei due tenenti, per poi zittirsi nell'attimo stesso in cui
gli altri tre si giravano per fissarlo. Ash passò sotto dei rovi spessi come il
suo polso. Era piccola e veloce e se solo avesse conosciuto la loro meta li
avrebbe potuti precedere facilmente.
Quel pensiero la indusse a spostarsi su un lato, strisciare sul ventre lungo
il corso di un ruscello gelato e spuntare un centinaio di passi davanti al-
l'uomo che conduceva il gruppo.
I rami degli alberi formavano una sorta di cupola che impediva alla neve
di passare. Le foglie morte, i rovi rinsecchiti e i giunchi sul bordo del tor-
rente avevano un colorito marrone. Ash scorse un felceto davanti a sé, si
alzò e - proprio come aveva previsto - vide che gli alberi si erano diradati.
In mezzo alla radura si ergeva una cappella ammantata di neve.
Ash non aveva alcuna conoscenza degli stili architettonici, ma anche se
fosse stata un'esperta in materia in quel caso avrebbe avuto il suo bel da
fare nel riconoscere lo stile della costruzione. C'erano solo un paio di muri
coperti di muschio e rovi. I contorni delle finestre sembravano due buchi
grigi. Sul terreno c'erano dei mucchi di macerie coperti di neve.
Uno sprazzo di verde attirò l'attenzione di Ash. Sotto il sottile strato di
neve i detriti erano avvolti dall'edera.
La vegetazione stava crescendo anche ai piedi delle mura. Due grossi
cespugli di agrifoglio avevano messo radici nel punto in cui il piano
dell'altare toccava la parete. I rami carichi di bacche rosse pendevano verso
il terreno schiacciati dal peso della neve.
Sentì un clangore metallico alle sue spalle. Un pettirosso e uno scriccio-
lo fuggirono da sotto l'agrifoglio spaventati dal rumore. Gli uomini alle sue
spalle cominciarono a cantare. Dovevano trovarsi a una quindicina di passi
di distanza da lei.
Ash corse acquattata tra i cumuli di detriti e si andò a nascondere sotto i
rami più bassi dell'agrifoglio.
L'interno del cespuglio era caldo e asciutto. Le foglie secche le scric-
chiolavano fra le mani mentre strisciava sotto i rami neri che sorreggevano
il baldacchino di foglie verdi, i cui contorni taglienti le strapparono la
giubba di lana in più punti.
Diede un'occhiata tra le foglie. La neve cadeva copiosa.
Il piccolo prete prese a cantare con voce da tenore. Era una lingua che
Ash non conosceva. I due tenenti camminavano a fatica cantando a loro
volta. La bambina pensò che sarebbe stato molto meglio per loro se si fos-
sero tolti l'elmo.
Il capitano emerse dal limitare del bosco.
Ash lo vide armeggiare con le cinghie e i ganci dei guanti e dell'elmo e
dopo che li ebbe sfilati lo osservò avanzare a testa scoperta attraverso la
radura, lasciando che la neve si posasse sulla barba e i capelli.
Il capitano prese a cantare a sua volta,

'Confidate in Dio, signori, non lasciatevi abbattere da nulla;


In quest'ora buia il Sole torna; così potremo salutare il Giorno.'

Aveva una voce potente, ma non molto intonata. Quell'uomo doveva far-
si sentire in mezzo al frastuono della battaglia. Il silenzio del bosco venne
infranto e Ash cominciò improvvisamente a piangere. Il prete si avvicinò
al cespuglio nel quale Ash si era nascosta e la bambina si immobilizzò, con
le lacrime che si asciugavano sulle guance sfregiate. Due sono le cose da
fare per non lasciarsi scoprire quando si è nascosti: immobilizzarsi del
tutto e pensare di essere un coniglio, un topo, una felce, un albero o qualsi-
asi altra componente del paesaggio. Ash premette la bocca contro il bavero
della giubba per evitare che le nuvolette di fiato condensato tradissero la
sua presenza.
Il religioso, che a dispetto del freddo aveva gli occhi lucidi e la fronte
imperlata di sudore, posò un oggetto sull'altare e disse: «Rendiamo gra-
zie.» Ash non riuscì a vedere di cosa si trattasse, ma l'odore faceva , pensa-
re a un pezzo di carne.
«Guardate!» urlò improvvisamente il tenente più alto. Ash rischiò di
schizzare fuori da sotto l'altare per lo spavento. Una cascata di neve si ri-
versò su di lei da un ramo. Mi hanno scoperta, pensò sbattendo le palpebre.
Girò la testa verso la radura, ma si accorse che nessuno stava guardando
nella sua direzione. Gli occhi degli uomini erano fissi sull'altare.
I tre cavalieri si inginocchiarono accompagnati dal clangore metallico
delle armature. Il capitano abbandonò le braccia lungo i fianchi. L'elmo gli
scivolò dalla mano, cadde sul terreno gelato e rotolò poco distante facendo
sussultare nuovamente Ash.
Anche il prete si tolse l'elmo e si inginocchiò con grazia sorprendente.
La neve turbinava veloce nel cielo bianco coprendo tutto il paesaggio
circostante. Un grosso animale scese sbuffando dall'altare della cappella.
Ash sentì il fiato caldo e umido della bestia che le carezzava il volto.
Una grossa zampa toccò terra.
Ash fissò il pelo giallo e ispido e i lunghi artigli ricurvi posti all'estremi-
tà dell'arto.
La gobba del leone le passò davanti al viso e i fianchi le oscurarono la
vista della radura e degli uomini. La bestia scese fluidamente dall'altare,
alzò la testa con uno scatto e trangugiò l'offerta.
Un ruggito basso e gorgogliante risuonò nell'aria.
Ash si urinò addosso dalla paura. Fissava la scena con gli occhi sbarrati
chiedendosi come mai nessuno di quei tre cavalieri avesse ancora estratto
la spada per affrontare la bestia. Il leone cominciò a girare la testa. Ash
rimase in ginocchio, paralizzata.
La fiera infilò il muso nel cespuglio. La bambina vide un paio di occhi
gialli e luminosi che la fissavano, sentì il fiato puzzolente e rischiò di vo-
mitare. Il leone emise uno sbuffo e arretrò di qualche centimetro dalle fo-
glie pungenti dell'agrifoglio. Arricciò le labbra, infilò nuovamente il muso
nel cespuglio, la estrasse senza alcuno sforzo tenendola delicatamente tra
gli incisivi superiori e inferiori, quindi la lasciò cadere sul terreno roccioso
ricoperto di neve ed emise un ruggito assordante.
Ash era troppo spaventata per muoversi, si strinse la testa tra le braccia e
cominciò a piangere.
La bestia le leccò una guancia con la lingua ruvida e spessa quanto una
sua gamba.
Ash smise di piangere. Il volto le faceva male. Si inginocchiò lentamen-
te. Il leone rimase immobile. La bambina fissò gli occhi gialli, il muso e i
denti bianchi. La lingua le leccò l'altra guancia. Gli sfregi pulsavano dolo-
rosamente e Ash li toccò con le dita intirizzite dal freddo. L'aria fu pervasa
dal canto di un pettirosso.
Pur essendo troppo piccola per avere quel genere di consapevolezza,
Ash era sicura di provare sensazioni contrastanti. Una parte di lei, quella
della bambina cresciuta in un campo di mercenari, abituata ai predatori e
alla caccia, le suggerì di rimanere immobile come una statua. Non mi ha
ancora colpita con gli artigli, pensò. Sono troppo vicina per scappare. De-
vo spaventarlo. L'altra parte di lei, quella meno familiare, era al colmo
della gioia. Non riusciva a ricordare le parole o la lingua usata dal religio-
so, quindi decise di cantare l'inno intonato dal capitano.

'Confidate in Dio, signori, non lasciatevi abbattere da nulla;


In quest'ora buia il Sole torna; così potremo salutare il Giorno.
Marciamo decisi per vincere le Tue battaglie e il nemico è in rotta!
Oh, la sua Luce ci porta una gioia e un conforto
Che nessuno può distruggere:
Oh, la sua Luce ci porta gioia e conforto.'

Ash terminò e il silenzio calò nuovamente sulla radura. Non aveva la


possibilità di capire la differenza tra la voce roca e sgraziata degli uomini e
la purezza della sua. Non sapeva cogliere le differenze tra la voce incrinata
dalla maturità del capitano e il suo modo di intonare le parole, frutto di
tante cantate intorno ai fuochi da campo.
Mentre la sua giovane anima cantava, la sua mente, che ricordava ancora
una caccia al leopardo vicino a Urbino, nella quale la fiera, messa alle
strette, aveva sventrato uno dei cani con una zampata riversandone le vi-
scere sull'erba, ripeteva 'no, no' in tono lamentoso.
La grossa testa del leone si chinò in avanti strofinandole la criniera sul
viso e lei ebbe l'impressione di annegare in un mare di pelo. Il leone la
fissò ancora per un attimo negli occhi, quindi la superò con un balzo. Nel
tempo che Ash impiegò per girarsi a osservarla, la bestia si stava già fa-
cendo strada nel sottobosco per poi sparire del tutto qualche istante più
tardi.
Ash rimase ad ascoltare i rumori sempre più distanti del leone che si al-
lontanava nel bosco.
Il clangore delle armature la riportò alla realtà.
Ash, che sedeva a gambe aperte nella neve, si trovò faccia a faccia con
le ginocchiere della corazza e la ghiera d'argento del fodero del capitano.
«Non ha detto nulla» si lamentò la bambina.
«Il Leone nato da una Vergine è una bestia» commentò il religioso. «Un
animale. Non riesco a capire, Lord capitano. Tutti sanno che la bambina
non è vergine, tuttavia, Egli non le ha fatto alcun male.»
Il capitano la fissò torvo in volto e lei si spaventò.
«Forse si trattava di una visione» disse, senza rivolgersi direttamente ad
Ash. «La bambina rappresenta la nostra povera patria che attende di essere
salvata dall'alito del Leone. L'asprezza dell'inverno e il suo volto sfregiato
rappresentano la stessa cosa. Non ho le conoscenze per interpretare bene
questi segni. Potrebbero anche non significare nulla.»
Il prete si rimise l'elmo. «Quello che abbiamo visto in questo luogo, mio
signore, è solo per noi. Suggerisco di ritirarci in preghiera in cerca di con-
siglio.»
«Sono d'accordo.» Il capitano si chinò, prese il suo elmo e lo pulì dalla
neve. Il sole fece capolino da uno squarcio tra le nubi, illuminando i capel-
li e la barba rossa dell'ufficiale che sembrarono prendere fuoco. Fece qual-
che passo quindi si girò e aggiunse: «Qualcuno prenda la mocciosa.»

III

Ash scoprì molto presto come usare la sua bellezza infantile enfatizzata
dagli sfregi.
All'età di nove anni aveva una massa di riccioli bianchi che le scendeva-
no fino ai fianchi. I capelli, che lavava una volta al mese, erano tanto unti
da brillare, ma nessuno dei mercenari ci faceva caso. Ash non mostrava
mai le orecchie e imparò a vestirsi con un farsetto e dei calzoni stretti al
ginocchio, coperti spesso da una giubba da uomo. Quegli abiti fuori misura
la facevano sembrare più vecchia.
Uno degli artiglieri le dava sempre del cibo o delle monete di rame,
quindi la faceva piegare in avanti contro un traino per cannoni, le sbotto-
nava i pantaloni e la sodomizzava.
«Non c'è bisogno che tu stia così attento» si lamentava Ash. «Non rimar-
rò incinta. Non ho ancora perso sangue.»
«Non ti è neanche spuntato l'uccello, se è per questo» rispondeva l'arti-
gliere. «Quindi, finché non avrò trovato un ragazzino carino, ti tocca.»
Una volta le diede un pezzo di maglia metallica. Ash mendicò del filo
dal sarto della compagnia e ottenne dal conciatore un avanzo di cuoio che
fissò alla maglia metallica. Si era fabbricata una gorgiera 7 e la indossò nel
corso di ogni schermaglia, razzia di bestiame, caccia ai banditi nella quale
imparò il suo mestiere: quello del guerriero.
Ash pregava per la guerra con lo stesso ardore di una novizia chiusa in
convento che pregava per essere la sposa prescelta dal Cristo Verde.

Guillaume Arnisout era uno degli artiglieri della compagnia e non la


toccò mai con un dito. Le insegnò a scrivere il suo nome nell'alfabeto ver-
7
Un tipo di protezione per la gola (N.d.T.).
de: una linea verticale con cinque tagli orizzontali ('tanti quanti le dita di
una mano') che spuntavano sul lato destro della linea ('la parte dove tieni la
spada'). Non le insegnò a leggere perché neanche lui era capace, ma le
insegnò a contare. Ash pensava che fosse del tutto normale, perché gli ar-
tiglieri dovevano saper quanta polvere mettere nei cannoni, ma questo suc-
cedeva prima di conoscere veramente quella categoria di uomini.
Guillaume le mostrò il frassino e le insegnò come costruire degli archi
con quel legno ('hai bisogno di rami più lunghi rispetto a quelli che ti ser-
vono per fare un arco di tasso').
Dopo che ebbero tolto l'assedio alla città di Dinant e prima di tornare a
casa, Guillaume la portò al mattatoio.
Era agosto e il sole splendeva alto nel cielo illuminando i biancospini
che crescevano lungo il limitare dei pascoli. La brezza era fresca. Si trova-
vano sottovento e il lezzo e i rumori del campo non li raggiunsero.
Ash era in groppa alla vacca e Guillaume camminava al suo fianco. Lei
fissò il suo accompagnatore che si puntellava a ogni passo con un lungo
bastone nero. Ash non era ancora nata quando una lancia aveva fracassato
il ginocchio di quell'uomo costringendolo a dedicarsi alle artiglierie da
assedio.
«Guillaume...»
«Sì?»
«Avrei potuta portarla io. Non era necessario che venissi anche tu.»
«Sì?»
Ash guardò davanti a sé e vide i campanili della chiesa che si stagliava-
no oltre le creste degli alberi tra nuvole di fumo blu. Raggiunsero il limita-
re del tratto di terreno privo di vegetazione che circondava la palizzata del
villaggio e il vento prese a spirare in senso contrario. Il lezzo del mattatoio
era soffocante e nauseabondo.
«Sangue di Cristo!» bestemmiò Ash. Una mano forte le strinse la tibia.
La bambina abbassò lo sguardo in direzione dell'artigliere con gli occhi
umidi di lacrime.
«Ascolta,» esordì Guillaume, indicando davanti a sé «quello è il posto
dove siamo diretti. Adesso scendi dalla vacca e guidala tu.»
Ash saltò giù dalla schiena del bovino, atterrò barcollando, ma riuscì a
rimanere in piedi. Saltellò intorno alla vacca che continuava ad avanzare
con passo ciondolante, quindi corse nuovamente dall'uomo.
«Guillaume.» Gli strinse la manica color ruggine del farsetto. L'uomo
non portava i polsini perché quello al momento era l'unico abito che pos-
sedeva. «A te piacciono i ragazzini, vero?»
«Ah!» L'artigliere la fissò con gli occhi scuri. Portava i capelli lunghi fi-
no alle spalle, ma la corona era calva. Si radeva spesso con la daga, di soli-
to gli stessi giorni in cui l'affilava, ma era un evento rarissimo vedere una
scalfittura su quelle guance scure e coriacee.
«Se mi piacciono i ragazzini, signorina? Me lo chiedi perché non riesci a
farmi fare quello che vuoi come con gli altri? Secondo te questo succede
perché mi piacciono i ragazzini?»
«La maggior parte degli altri fanno tutto quello che voglio quando reci-
to.»
La tirò per i capelli. «A me piaci come sei.»
Ash spinse i capelli oltre le orecchie e cominciò a prendere a calci i ciuf-
fi d'erba che crescevano lungo il bordo della strada. «Io sono bellissima.
Non sono una donna, ma sono bellissima. Guardami i capelli, devo avere
sangue elfico. Guarda i miei capelli, non ti importa...» canticchiò tra sé e
sé per qualche minuto, quindi alzò nuovamente lo sguardo. «Guillaume...»
L'artigliere camminava con passo deciso aiutandosi con il bastone che,
una volta giunto in prossimità dei cancelli del villaggio, usò per salutare le
guardie. Ash notò che i soldati avevano in dotazione delle lance e indossa-
vano il giustacuore invece della corazza.
Prese la corda che pendeva dal collo della vacca. Erano sei mesi che la
bestia non rimaneva incinta. I soldati avevano provato a farla ingravidare
da diversi tori, ma non era successo nulla: una volta macellata la carne
sarebbe stata piuttosto dura, ma il cuoio sarebbe stato ottimo per le scarpe.
E anche per i cinturoni delle spade, pensò Ash continuando a camminare.
L'odore del villaggio diveniva sempre più forte. Sarà un altro di quei po-
sti dove mi insultano per gli sfregi e fanno il segno delle corna ogni volta
che passo? si chiese.
«Ash!»
La vacca si era spostata verso il bordo della strada e aveva cominciato a
brucare contenta. Ash tirò con tutta la forza che aveva in corpo. La vacca
alzò la testa ed emise uno sbuffo seguito da un muggito. Lunghi filamenti
di saliva le colavano dalla bocca. Ash la guidò verso i cancelli del villag-
gio.
Fissò le guardie ai cancelli passando le dita sull'arma che portava al
fianco. Aveva nove anni, ma ne dimostrava sette e la daga lunga una cin-
quantina di centimetri era quasi una spada per lei. Si era procurata un fode-
ro e un laccio per legarlo alla cintura. Se li era guadagnati. Rubava il cibo,
ma non le armi. Gli altri mercenari - recentemente anche lei aveva comin-
ciato a considerarsi tale - vedevano quel fatto come un vezzo interessante e
peculiare dal quale cercavano di trarre il maggior vantaggio possibile.
Era appena passata l'alba e c'era poca gente per le strade. Quel fatto di-
spiacque molto ad Ash, che voleva farsi ammirare da tutti.
«Mi hanno fatto entrare armata» si vantò. «Non ho dovuto consegnare la
daga!»
«Sei segnata come appartenente alla compagnia» rispose Guillaume che
a sua volta portava il coltellaccio alla cintura. Ash sospettava che l'uomo
portasse una giacca più grossa per conformarsi all'immagine che ogni abi-
tante del villaggio aveva dei mercenari: vestiti sporchi e armi linde. Certo
quell'uomo faceva anche altre cose che sicuramente gli abitanti del villag-
gio si aspettavano da un tipo così. Per esempio barava a carte, ma male,
perché Ash lo scopriva sempre.
La bambina camminava a testa alta. Fissò una coppia di perdigiorno se-
duta sotto il cespuglio sospeso che fungeva da insegna per una taverna.
«Se non dovessi trascinare questa vecchia vacca marcia e sterile» si la-
mentò con l'artigliere che camminava di fronte a lei «sembrerei veramente
un mercenario.»
Guillaume Arnisout rise piano e continuò a camminare senza girarsi a
guardarla.
Tormentò la povera vacca finché non giunse di fronte ai cancelli del
mattatoio. L'odore del sangue e degli escrementi era così forte da risultare
quasi tangibile. Cominciò a lacrimare e sentì un groppo alla gola. Conse-
gnò la vacca al macellaio fermo davanti ai cancelli e cominciò a tossire.
«Guarda qua, Ash!» la chiamò una voce.
Ash si girò e qualcosa di caldo e umido la centrò in faccia e al petto.
La sorpresa la fece sussultare. Aprì la bocca e un attimo dopo cominciò
a tossire e a sputare mentre parte della massa che l'aveva colpita comincia-
va a colare dalle spalle sul petto. Si stropicciò gli occhi brucianti con il
dorso delle mani. Continuava a tossire e a piangere. Le lacrime le schiari-
rono la vista.
Il sangue caldo e viscoso che le imbrattava il vestito, le aveva ridotto i
capelli a una massa informe e appiccicosa. Anche le mani erano lorde di
sangue. Una materia gialla le incrostava le pieghe dell'abito. Allungò una
mano e toccò la massa che le si era fermata sul collo.
Il pezzo di carne cadde davanti ai suoi piedi nudi. Era caldo, ma andava
raffreddandosi rapidamente. Dei tubicini rossi e rosa scivolarono a terra.
Ash si allontanò. La massa era così grossa che lei non sarebbe riuscita a
sollevarla neanche se avesse usato entrambe le mani.
Smise di piangere.
Fece un gesto che non le era del tutto nuovo. Un gesto che forse aveva
fatto poco prima o poco dopo di piantare il quadrello nel corpo del suo
violentatore.
Si passò il dorso della mano sul mento. Il sangue rappreso le tirava la
pelle. Si liberò del groppo alla gola e delle lacrime agli occhi.
Fissò Guillaume e il macellaio che tenevano in mano i cesti vuoti.
«È stata una stupidaggine» si infuriò la bambina. «È sangue impuro.»
«Vieni» le ingiunse Arnisout indicando un punto di fronte a lui.
L'artigliere era in piedi a fianco di un telaio usato per scuoiare le bestie.
Una catena e un verricello erano attaccati a dei tronchi grossi come quelli
usati per costruire le macchine da assedio. Dalle catene pendevano dei
ganci sospesi sopra i canaletti di scolo scavati nel terreno. Ash uscì dalla
pozza formata dalle interiora di porco e si avvicinò a Guillaume. Il sangue
le aveva appiccicato i vestiti addosso e stava cominciando ad abituarsi al
lezzo che ammorbava l'aria del mattatoio.
«Prendi la spada» ordinò l'artigliere.
Ash ubbidì. Era senza i guanti e l'elsa della daga rivestita di cuoio era
diventata scivolosa.
«Taglia» le disse Guillaume, calmo, indicando la vacca ancora viva ap-
pesa alla struttura. «Squartala.»
Ash non era una santa, ma la cosa non le piaceva.
«Fallo» le ordinò l'artigliere.
Ash tentò un affondo, ma sentì che la spada era diventata improvvisa-
mente pesante.
La vacca roteò gli occhi e prese a lamentarsi freneticamente. Le contor-
sioni la fecero ondeggiare a destra e sinistra. Un rivolo di sterco le colò
lungo i fianchi.
«Non posso farlo» protestò Ash. «Non mi ha fatto nulla di male!»
«Fallo!»
Ash girò la lama con un gesto goffo e la spinse in avanti scaricando con-
tro l'elsa tutto il peso del corpo come le avevano insegnato. La punta aprì
la pancia della bestia che cominciò a muggire dal dolore.
Un fiotto di sangue fuoriuscì dal taglio. Il sudore impediva ad Ash di
stringere con forza l'arma e la daga scivolò fuori dalla ferita superficiale.
La bambina fissò l'animale che era otto volte più grosso di lei, afferrò la
spada con entrambe le mani e compì un secondo tentativo lacerando un
fianco della bestia.
«Sei morta» la rimproverò Guillaume.
Ash sentiva le lacrime che le salivano agli occhi. Si avvicinò ulterior-
mente al corpo caldo e ansimante, alzò la daga sopra la testa con entrambe
le mani e la calò verso il basso.
La lama trapassò la pelle e i muscoli penetrando nella cavità addomina-
le. Ash impresse una torsione e cominciò a tirare verso il basso. Ebbe l'im-
pressione di lacerare un tessuto. Una valanga di tubi rosa fumanti si river-
sarono sul terreno intorno ai suoi piedi. Ash continuò a scendere finché la
lama non si incastrò in una costola. Cominciò a tirare, ma la carne sembra-
va richiudersi sulla lama.
«Torci la spada. Usa il piede se è necessario!» le consigliò Guillaume.
Ash appoggiò un ginocchio contro il collo della vacca premendolo con-
tro un palo della struttura. Impresse una violenta torsione alla lama e riuscì
a liberarla dall'osso. I lamenti della vacca echeggiavano nell'aria.
Strinse nuovamente la spada con entrambe le mani e la abbatté sulla gola
del bovino urlando. L'osso aveva intaccato la lama e lei si accorse dell'ir-
regolarità perché l'arma fu percorsa da un tremito nello stesso istante in cui
il fendente giungeva a segno. Prima che il sangue schizzasse fuori dal ta-
glio colpendola in piena faccia ebbe modo di vedere uno spaccato di pelle,
muscoli e arterie. Caldo. Il sangue è caldo, pensò, soddisfatta.
«Adesso piangi!» Guillaume la girò e le diede un ceffone che avrebbe
fatto male anche a un adulto.
Ash scoppiò in lacrime, stupefatta. Pianse per circa un minuto quindi
singhiozzò: «Non sono abbastanza grande per andare in prima linea!»
«Non quest'anno.»
«Sono troppo piccola!»
«Queste sono lacrime di coccodrillo» la riprese Guillaume. «Ti ringra-
zio» aggiunse in tono grave, mentre dava una moneta di rame al macellaio.
«Puoi ucciderla. Vieni, signorina. Torniamo al campo.»
«La spada è sporca» disse Ash. Improvvisamente si sedette a gambe in-
crociate in mezzo alla pozza di sangue ed escrementi e scoppiò nuovamen-
te a piangere. Cercò di riprendere fiato, ma riuscì solo a tossire. Il petto era
scosso da violenti tremori. I capelli impastati di sangue le ricadevano sulle
guance umide di pianto. Il moccio le colava dal naso.
«Ah!» Guillaume la sollevò in piedi prendendola per la collottola. «Me-
glio. Adesso basta. Guarda là.»
Indicò un punto all'altro lato del cortile.
Ash si tolse i vestiti e li gettò nell'acqua gelida della fontana, quindi co-
minciò a lavarsi. Il sole mattutino era caldo. Guillaume rimase a osservarla
in piedi a braccia conserte.
Ash continuò a pulirsi tenendo la spada a portata di mano e senza perde-
re di vista gli uomini che lavoravano al mattatoio.
Pulì la spada per ultima, quindi chiese del grasso per evitare che la lama
si arrugginisse. Quando ebbe terminato la manutenzione dell'arma i vestiti
non erano più fradici, ma solo umidi. I capelli le pendevano sul viso simili
a tante code di topo.
«Torniamo al campo» disse l'artigliere.
Ash uscì dal villaggio in compagnia di Guillaume e non le venne nean-
che in mente di provare a farsi adottare da una delle famiglie che abitavano
nella cittadina.
Guillaume la fissò negli occhi arrossati dal pianto. Il sole evidenziava lo
sporco annidato tra le pieghe della pelle. «Se questo è stato facile» le disse
«pensa che quella era una bestia e non un uomo. Non poteva minacciarti o
implorare pietà e, cosa più importante, non stava cercando di ucciderti.»
«Lo so» replicò Ash. «Ho già ucciso un uomo.»

All'età di dieci anni rischiò di morire, ma non sul campo di battaglia.

IV

La prima luce del giorno prese a rischiarare il cielo e Ash si sporse oltre
il parapetto della torre campanaria. Era ancora troppo buio per vedere il
terreno che si trovava una dozzina di metri sotto di lei. Un cavallo nitrì. Un
attimo dopo giunse la risposta dal centinaio di cavalli che formavano lo
schieramento. Il canto di un'allodola echeggiò nell'aria del mattino. La
vallata attraversata dal fiume cominciava a emergere dall'oscurità.
Il caldo aumentava rapidamente. Ash indossava una maglia rubata a un
uomo. Il puzzo del vecchio proprietario ne impregnava ancora il tessuto.
La maglia le arrivava fino alle ginocchia e lei aveva usato la cintura della
spada per stringerla all'altezza della vita. Il tessuto le proteggeva il collo, le
braccia e gran parte delle gambe. Si strusciò le mani sulla pelle. Presto
avrebbe fatto molto caldo.
La luce continuava a farsi strada da est e le ombre si ritiravano a ovest.
Ash colse un bagliore a due miglia di distanza.
Uno. Cinquanta. Mille? Il sole brillava sugli elmi, le corazze, le lance, i
martelli e sulle punte delle frecce.
«Si sono schierati e avanzano! Hanno il sole alle spalle!» Cominciò a
saltare da un piede all'altro. «Perché il capitano non ci lascia combattere?»
«Non voglio» disse Richard, un ragazzino dai capelli scuri che in quel
periodo rivestiva l'incarico di suo amichetto particolare.
Ash lo fissò stupefatta. «Hai paura?» Schizzò dall'altra parte della torre e
si sporse per osservare i carri in cerchio della compagnia. Le lavandaie, le
prostitute e le cuoche stavano fissando le catene che tenevano uniti i carri.
La maggior parte di loro erano armate di lance e alabarde. Si sporse ulte-
riormente, ma non riuscì a vedere Guillaume.
Il sole si levava rapido nel cielo. Ash si sforzò di vedere quello che stava
succedendo sul pendio che portava alla riva del fiume. Qualche cavallo, i
loro cavalieri con indosso le divise colorate, una bandiera con le insegne
della compagnia e i soldati che marciavano armi alla mano.
«Perché avanzano così piano?» domandò Richard. «Il nemico gli sarà
addosso prima che siano pronti!»
Ash si era irrobustita parecchio nel corso degli ultimi sei mesi, ma con-
tinuava a dimostrare non più di otto anni. La denutrizione giocava un ruolo
fondamentale in questo ritardo.
Cinse le spalle del ragazzino con un braccio. «Ci sono dei problemi. Non
possono muoversi velocemente. Guarda.»
Il terreno intorno al fiume era coperto da una fitta distesa di grano e pa-
paveri che rallentava notevolmente la marcia dei soldati. Poco lontano dai
fanti c'erano i cavalieri immersi in una distesa di papaveri.
Richard si strinse ad Ash, pallido in volto. «Moriranno?»
«Non tutti. Sempre che arrivi qualcuno ad aiutarli quando inizia la batta-
glia. Il capitano avrà pagato degli uomini, se ci è riuscito. Oh.» Ash sentì
un crampo allo stomaco, infilò una mano tra le gambe, la ritrasse e vide
che la punta delle dita era sporca di sangue.
«Dolce Cristo Verde!» Ash strofinò le dita sulla maglia guardandosi in-
torno per essere sicura che nessuno l'avesse sentita imprecare. Erano soli.
«Sei ferita?» chiese Richard, arretrando di un passo.
«Oh. No» rispose Ash, molto più stupita di quanto dava a vedere. «Sono
diventata donna. Le donne del campo mi avevano avvertita che prima o
poi sarebbe successo.»
Richard si dimenticò dei soldati e sorrise, dolce. «È la prima volta, vero?
Sono contento per te, Ashy! Avrai un bambino?»
«Non adesso...»
Ash fece ridere l'amichetto per distrarlo dalle sue paure, dopodiché si gi-
rò per tornare a fissare i campi che si stendevano ai piedi della torre. Il sole
stava facendo evaporare la rugiada.
«Guarda...»
A circa un chilometro e mezzo di distanza da loro c'era il nemico.
Gli uomini della Serena Sposa del Mare scendevano lungo il pendio i-
nondato dalla luce del sole. Le bandiere rosse, blu, giallo e oro sventolava-
no qua e là sopra gli elmi. Si tolsero la baviera e la ventaglia dall'elmo per
via del caldo 8 , ma erano ancora troppo lontani per distinguere i volti o le V
rovesciate che coprivano la bocca e il mento.
«Sono troppi, Ashy!» piagnucolò Richard.
Lo schieramento della Serena Sposa del Mare si divise in tre parti. Un
primo contingente piuttosto nutrito formò l'avanguardia. Dietro di esso si
trovava il grosso dello schieramento dal quale spuntavano i vessilli, mentre
la retroguardia era formata da un manipolo di uomini armati di alabarde e
lance.
Le prime file avanzavano lente. Il sole si rifletteva sugli elmi e sulle ar-
mi dei ronconieri. Ash sapeva che i ronconi9 erano usati anche dai conta-
dini, ma non riusciva a immaginare come. Quelle armi servivano per di-
sarcionare i cavalieri e spaccare le armature. Dietro i roncolieri c'erano i
soldati armati di asce che davano l'impressione di essere un gruppo di con-
tadini diretto a far legna... E gli arcieri. Tanti. Quasi troppi.
«Tre battaglie.» Ash indicò, tenendo Richard per le spalle. Il ragazzino
tremava. «Guarda, Dickon. Il primo schieramento. C'è una fila di roncolie-
ri, una di arcieri, una di fanti, un'altra fila di arcieri, un'altra fila di ronco-
lieri e ancora altri arcieri.»
Una voce roca risuonò lontana. «Incoccare! Tirare!»
Ash si grattò. Improvvisamente le era tutto chiaro e per la prima volta
riuscì a dar voce a quello che nella sua testa si era sempre presentato come
uno schema.
Cominciò a parlare rapidamente. Era così eccitata che il ragazzino non
8
Parti dell'armatura che proteggevano il mento e la parte bassa del volto,
composte da una serie di piastre metalliche articolate imbottite di velluto o
di stracci che risultavano calde da indossare.
9
Roncone: arma in asta con lama variamente configurata ma sempre
caratterizzata da un robusto uncino tagliente su entrambe le curve, l'interna
e l'esterna (N.d.T.).
riusciva a seguirla. «I loro arcieri sono protetti dai fanti! Possono tirarci
addosso una salva di frecce ogni sei battiti del cuore e noi non possiamo
farci niente. Tuttavia dobbiamo provarci e finiremo tra le braccia dei ron-
colieri e dei fanti. Poi gli arcieri prenderanno le spade o si sposteranno sui
fianchi per continuare a bersagliarci. Ecco perché li hanno posizionati in
quel modo. Cosa possiamo fare?»
«Se sei in svantaggio numerico non puoi impegnare il nemico separata-
mente. Forma un cuneo con la punta rivolta verso il nemico in modo che i
tuoi arcieri possano tirare senza il rischio di colpire i compagni davanti a
loro. Quando i loro fanti attaccheranno saranno costretti ad affrontare i
fianchi del tuo schieramento. A quel punto usa la tua fanteria pesante per
spezzare le loro fila.»
Ash comprese alla perfezione la strategia. Non era la prima volta che le
succedeva. Spesso si era sdraiata sull'erba dietro la tenda del capitano e lo
aveva ascoltato esporre le sue tattiche agli ufficiali. Ci pensò sopra e disse:
«Come possiamo farlo? Non abbiamo abbastanza uomini!»
«Ashy» piagnucolò Richard.
«Cosa abbiamo?» protestò Ash. «Gli uomini del grande duca sono po-
chi! E quelli che formano la milizia cittadina sanno appena da che parte si
regge una spada. Due compagnie di riserva e noi.»
«Ash!» strillò il ragazzino ad alta voce. «Ashy!»
«Allora non radunare gli uomini perché diventerebbero facile bersaglio
per gli arcieri nemici. Il nemico è fuori tiro. Devi muoverti veloce e attac-
carlo.»
Piantò le dita dei piedi negli interstizi tra i blocchi di pietra della torre
senza guardare le bandiere che si avvicinavano. «Sono troppi!»
«Smettila, Ashy. Smettila! Con chi stai parlando?»
«Allora ti devi arrendere e implorare una pace.»
«Non dirlo a me! Io non posso fare niente! Niente!»
«Dirti cosa? Con chi stai parlando?» strillò Richard.
Passarono diversi secondi nei quali non successe nulla, poi la compagnia
di mercenari e le truppe del grande duca cominciarono a correre infran-
gendosi contro le linee nemiche. Le aste delle bandiere si piegarono in
avanti e i petali dei papaveri strappati dagli steli si levarono in aria for-
mando una nuvola rossa. Il clangore metallico delle armi e delle corazze,
le voci roche degli ufficiali che urlavano gli ordini, il suono di una corna-
musa e il battito degli zoccoli dei cavalli si levarono dal campo di batta-
glia.
«Hai detto 'Ti ho sentito!'» Ash fissò il volto rosso e bianco di Richard.
«L'hai detto. Ti ho sentita. Chi era?»
Lo schieramento del grande duca si infranse e gli uomini formarono dei
piccoli gruppetti intorno alle bandiere e agli stendardi. Ora non avevano
nessuna possibilità di formare un cuneo. Il grosso delle truppe della Sere-
nissima Sposa del Mare cominciò ad avanzare e l'aria venne pervasa dal
sibilo delle frecce.
«Ma qualcuno ha detto...»
Un'esplosione frantumò una grossa sezione del parapetto.
Ash venne investita da una pioggia di schegge. Sentì il sangue che le co-
lava dal labbro. Si toccò il naso con le dita tremanti e urlò dal dolore.
Un boato fece tremare il cielo ripercuotendosi in tutto il corpo di Ash,
che si toccò le tempie. Le fischiavano le orecchie, lacrime di terrore solca-
vano le guance del piccolo Richard che strillava terrorizzato, ma lei non
riusciva a sentirlo.
Un lato del parapetto crollò. Ash rischiò di cadere nel vuoto, ma riuscì a
buttarsi carponi nel momento stesso in cui un grosso blocco di pietra vola-
va via. Un attimo dopo un secondo boato fece tremare l'aria. L'esplosione
fu tanto violenta che lei riuscì a sentirla malgrado la prima l'avesse quasi
assordata.
Il ragazzino stava in piedi di fronte ad Ash con le braccia abbandonate
lungo i fianchi e le gambe tremanti. Sul davanti dei pantaloni era comparsa
una larga macchia di urina. Richard si sedette. Ash lo fissò, ma nei suoi
occhi non c'era disprezzo: a volte, rimanere fermi sul posto e farsi la pipì
addosso è l'unica reazione sensata.
«Usano i mortai! Buttati a terra!» Sperò di essere riuscita a urlare. Prese
il ragazzino per un braccio e cominciò a trascinarlo verso i gradini della
scala.
Le schegge di pietra le graffiavano le ginocchia ed era accecata dalla lu-
ce del sole. Si lasciò cadere all'interno della torre battendo la testa contro la
parete delle scale. Richard le diede un calcio in bocca senza volerlo. Ash
scese le scale a rotta di collo imprecando ad alta voce. Uscì dalla torre e
andò a ripararsi nel cerchio dei carri.
Non sentiva più il boato delle artiglierie. Si girò e vide che la torre del
monastero era stata ridotta a un cumulo di macerie dal quale si levava una
densa nuvola di polvere che stava oscurando il sole.
Quarantacinque minuti più tardi i carri vennero catturati dal nemico.
Ash corse al fiume.
Il campo di battaglia era costellato di corpi. L'odore era così forte da far
ondeggiare l'aria. Si premette la manica della maglia sulla bocca e sul naso
e cercò di non calpestare i visi dei morti.
I contadini stavano spogliando i cadaveri dei loro averi. Ash si nascose
tra le spighe di grano tinte di rosso.
Si era scottata il naso e le guance sotto il caldo sole estivo e ora sentiva
che anche i polpacci cominciavano ad arrossarsi malgrado fossero protetti
dai pantaloni. Si alzò in piedi e si infilò il cappello di paglia. Il lezzo di
escrementi la fece vomitare ma lei se ne rese appena conto.
«Bartolomeo! Bartolomeo!» pianse un ferito, quindi cominciò a implo-
rare l'uomo che trascinava il carretto per raccogliere i corpi, ma questi pas-
sò oltre scuotendo la testa.
Non c'era nessun segno di Richard o degli altri. I raccolti erano bruciati
per più di un chilometro. I corvi banchettavano con i corpi infilando i bec-
chi negli interstizi delle armature. Sul campo non c'erano più tracce di
bombarde o armature in buono stato. Dovevano essere state portate via o
razziate.
Ash corse al campo. Vide Richard in compagnia delle lavandaie. Il ra-
gazzino la intravide a sua volta e corse via.
Ash rallentò, si girò e tirò violentemente il vestito di uno degli artiglieri
e, senza realizzare quanto fosse assordata, urlò: «Dov'è Guillaume Arni-
sout?»
«È stato buttato nella buca della calce.»
«Cosa?»
L'uomo scrollò le spalle. «È morto e l'hanno sepolto nella calce.»
Ash non seppe cosa dire.
«No,» si intromise un secondo uomo che si trovava vicino a un fuoco
«l'hanno fatto prigioniero.»
«Ma va, aveva un foro grosso così nello stomaco» disse un terzo uomo
allargando le mani. «Ma non sono stati gli uomini della Serenissima, deve
essere stato uno degli uomini del duca a cui doveva dei soldi.»
Ash si allontanò dal fuoco.
Non importa dove venisse eretto, ma il campo rimaneva sempre lo stes-
so. Si diresse verso uno di quei punti del campo che frequentava di meno:
il centro. Ora era pieno di stranieri in armi. Finalmente vide un volto noto.
Era uno degli aiutanti di campo del capitano. Lo conosceva di vista, ma
non di nome. Gli artiglieri lo chiamavano lo scendiletto e Ash era abba-
stanza grande per capire come mai si fosse guadagnato quell'appellativo.
L'ufficiale biondo indossava una cotta verde bordata d'oro sopra l'armatura
e sembrava infastidito.
«Guillaume Arnisout?» si passò una mano tra i capelli folti e mossi. «È
tuo padre?»
«Sì» mentì Ash, senza esitare. Era una cosa che aveva imparato a fare da
tempo. «Lo voglio! Dov'è?»
L'ufficiale consultò una lista. «Arnisout. Eccola qua. È stato fatto pri-
gioniero. I capitani si stanno parlando. Immagino che ci scambieremo i
prigionieri tra poche ore.»
Ash lo ringraziò cercando di essere il più gentile possibile, quindi tornò
al limitare del campo e attese.
Scese la sera. Il puzzo dolciastro dei cadaveri ammorbava l'aria. Guil-
laume non era ancora tornato. Nel campo avevano cominciato a circolare
le voci più disparate. C'era chi sosteneva che fosse morto per le ferite e chi
diceva che avesse contratto la peste nel campo del nemico. Altri erano
convinti che fosse passato dalla parte della Serenissima con il grado di
comandante delle artiglierie per il doppio della paga. Infine qualcuno era
convinto che fosse scappato con una nobildonna e si fosse nascosto in una
tenuta in Navarra. (Ash passò alcune settimane a sperare che fosse andata
veramente così, ma dopo sei mesi perse ogni illusione.)
Al tramonto i prigionieri camminavano confusi tra le tende del campo.
Non erano abituati a muoversi disarmati. Gli ultimi sprazzi di sole indora-
vano il sangue e i papaveri. L'aria era calda. Ash si abituò in fretta al puzzo
dei cadaveri in decomposizione. Richard sgattaiolò vicino ad Ash che si
stava facendo medicare le caviglie da una delle lavandaie.
«Quando lo sapremo?» chiese Richard, fissandola in cagnesco. «Cosa ci
faranno?»
«A noi?» Ash aveva ancora le orecchie che fischiavano.
«Facciamo parte del bottino» borbottò una lavandaia. «Forse ci vende-
ranno a qualche bordello.»
«Sono troppo giovane!» protestò Ash.
«No.»
«Sei un demonio!» urlò il ragazzino. «I demoni ti hanno detto come far-
ci perdere! Tu senti le voci dei demoni! Finirai sul rogo!»
«Richard!»
Il bambino corse via.
«Porca miseria! È troppo carino» commentò improvvisamente la lavan-
daia, maligna. Tirò giù del tutto i pantaloni di Ash. «Non vorrei essere in
lui o in te. Hai un bel visino, ma ti bruceranno se senti le voci?»
Ash piegò la testa all'indietro per fissare il firmamento. Non era euforica
come le capitava di solito dopo un grande sforzo. Aveva mal di stomaco,
le ginocchia sbucciate, si era strappata un'unghia di un piede e sentiva tutti
i muscoli indolenziti.
«Non delle voci. Una voce.» Spinse con un piede la tazza di terracotta
piena d'olio. «Forse era il dolce Cristo o un santo.»
«E una come te sente le voci dei santi?» ringhiò incredula la donna.
«Sgualdrinella!»
Ash si passò il dorso della mano sul naso. «Forse è stata una visione.
Guillaume ne ha avuta una. Ha visto il Morto Benedetto combattere al
nostro fianco a Dinant.»
La lavandaia si girò per andarsene. «Spero che i soldati della Serenissi-
ma ti guardino bene e ti facciano scopare dagli uomini che svuotano i poz-
zi neri!»
Ash prese la scodella con un gesto rapido e si preparò a lanciarla. «Put-
tana sifilitica!»
Una mano sembrò apparire dal nulla e strinse la sua. Ash emise un umi-
liante grido di dolore e lasciò cadere la scodella.
«Donna,» ringhiò il soldato della Serenissima «va' al centro del campo.
Ci stiamo spartendo il bottino. Sbrigati! Anche tu, piccolo mostro sfregia-
to!»
La lavandaia corse via ridendo seguita dal soldato.
«Senti delle voci, piccola?» le chiese improvvisamente una donna a
fianco del carro.
Aveva il volto tondo e pallido come la Luna. Il cappello che le fasciava
la testa era tanto stretto da non lasciare vedere i capelli. Il corpo volumino-
so era avvolto in una tunica grigia stretta in vita da una cintura dalla quale
pendeva la Croce di Rovi.
Ash si pulì nuovamente il naso piagnucolando. Un sottile filamento di
moccio chiaro le pendeva tra la narice e la manica. «Non lo so! Cosa vuol
dire che 'sento le voci'?»
La donna dal volto pallido la fissò con sguardo avido. «Gli uomini della
Serenissima non parlano di altro. Credo che stiano cercando proprio te.»
«Cercano me?» Ash ebbe l'impressione che qualcuno le avesse stretto il
costato.
Una mano bianca e sudaticcia la prese per la mascella e le girò il volto.
Ash cercò di liberarsi dalla presa, ma non ci riuscì. La donna la studiò at-
tentamente.
«Se si tratta veramente di un messaggio del Cristo Verde, essi vorranno
sfruttare la tua capacità a loro vantaggio. Se è un demone ti esorcizzeran-
no, ma potresti aspettare fino al mattino, perché per la maggior parte sono
già ubriachi, a quest'ora.»
Ash ignorò la stretta della donna e la paura. «Sei una suora?»
«Sì, appartengo all'ordine delle Sorelle di Santa Herlaine. Il nostro con-
vento è vicino a Milano10 . Non è molto lontano da qua.» La donna la la-
sciò andare. Il tono di voce era duro. Ash pensò che la donna non dovesse
essere nata da quelle parti. Come tutti i mercenari anche lei aveva imparato
le basi di tutte le lingue che aveva sentito parlare. «Hai bisogno di mangia-
re, piccola. Quanti anni hai?» le chiese la suora.
«Nove. Dieci. Undici.» Ash si passò una manica sul mento. «Non lo so.
Ricordo il grande uragano. Ho dieci anni. Forse nove.»
Gli occhi della donna si illuminarono. «Sei una bambina e denutrita, per
10
Le prove suggeriscono che non si tratti di uno dei contratti che la
compagnia dei Griffin dorati ha stipulato con i duchi di Borgogna. La
battaglia descritta in queste pagine non può essere né quella di Dinant (19-
25 agosto 1466) né quella di Brustem (28 ottobre 1467). Io penso che si
tratti della battaglia di Molinella (Italia, 1467) svoltasi nel corso della
guerra tra il duca Francesco Sforza di Milano e le truppe della Serenissima
Repubblica di Venezia guidate da Bartolomeo Colleoni, al quale è stato
erroneamente accreditato il merito di essere stato il primo a impiegare
l'artiglieria in battaglia.
I dati sulla battaglia sono piuttosto oscuri a causa del commento cinico
di Niccolò Machiavelli, che qualche anno dopo argomentò sulle 'guerre
senza spargimenti di sangue' dei mercenari italiani sostenendo che a
Molinella ci fu solo un morto a causa di una caduta da cavallo. Fonti più
attendibili affermano che ci furono seicento morti.
Il codice di Winchester venne scritto intorno all'AD 1495, circa
vent'anni dopo la battaglia e diciannove anni dopo la redazione degli scritti
più importanti riguardanti la vita di Ash (redatti tra il 1476 e il 1477).
Alcuni dettagli della battaglia descritti in queste pagine fanno pensare
all'ultimo scontro della Guerra delle Rose, la battaglia di Stoke (1487).
Forse questa biografia venne scritta da un soldato inglese che si fece
monaco e si ritirò nel convento di Winchester e narrò quello che aveva
visto nella battaglia di Stoke piuttosto che in quella di Molinella.
giunta. Nessuno si è mai preso cura di te, giusto? Forse è stato allora che i
demoni sono riusciti a entrare. Questo campo non è adatto a una bambina.»
Le lacrime le bruciavano gli occhi. «È casa mia! Non ho i demoni!»
La donna le prese il volto tra le mani.
«Sono Sorella Ygraine. Dimmi la verità. Chi è che ti parla?»
«Niente e nessuno, Soeur! C'eravamo solo io e Richard.»
Sentì un brivido gelato che dal collo le scendeva fino alle spalle. Le pa-
role di una preghiera al Cristo Verde le morirono in bocca. Cominciò ad
ascoltare. Il respiro roco della suora. Lo scoppiettio del fuoco. Il nitrito di
un cavallo. Le canzoni e le urla degli ubriachi.
Non sentì nessuna voce compassionevole che le parlava nella mente.
Nel centro del campo scoppiò un trambusto e Ash sussultò. Dei soldati
passarono di corsa vicino a loro diretti verso il punto in cui si era radunata
una piccola folla. In un carro nelle vicinanze un ferito chiamava la madre
urlando. Il sole era scomparso quasi del tutto. Le scintille che si levavano
dai fuochi da campo cominciarono a balenare nel cielo. Le fiamme erano
altissime e rischiavano di bruciare le tende.
«Stanno saccheggiando il campo» disse la suora.
«Siamo prigionieri. Cosa ci succederà ora?» chiese Ash ad alta voce,
senza rivolgersi a nessuno in particolare.
«Licenziosità, ubriachezza e libertinaggio...»
Ash si tappò le orecchie con le mani, ma la voce proseguì: «... la notte
dopo la battaglia i comandanti non possono controllare i propri uomini. È
in notti come questa che una persona può essere uccisa anche solo per
divertimento.»
Sorella Ygraine posò le mani sulle spalle di Ash, che tolse le sue dalle
orecchie. Il borbottio che proveniva dallo stomaco le fece capire che aveva
fame e che non mangiava ormai da dodici ore.
La suora continuò a fissarla come se nessuna voce avesse parlato.
«Io...» Ash esitò.
In quel momento nella sua mente non c'erano né voci né silenzio, solo
un grande potenziale per parlare. Era come avere un dente che non è anco-
ra spuntato del tutto, ma che spinge all'interno della gengiva.
Il pensiero di quanto la sua anima potesse sentirsi sola nel suo corpo le
provocò molta tristezza e provò una grande paura.
«Non sento nessuna voce» balbettò improvvisamente. «Non sento nien-
te. Niente! Ho mentito a Richard perché pensavo che sarei diventata famo-
sa. Volevo solo farmi notare!»
La donna si girò e cominciò ad allontanarsi a grandi passi tra i fuochi da
campo e gli ubriachi.
«Portami al sicuro. Non lasciare che mi facciano del male, ti prego!» ur-
lò Ash a squarciagola.
DOTT. PIERCE RATCLIFF (Studi sulla guerra)
Flat I, Rowan Court, 112 Olvera Street,
London W14 OAB, U. K.
Fax:JJJJJJJ
E-mail:JJJJJJJ
Tel:JJJJJJ

Anna Longman Copia della corrispondenza


Editore originale intratteunuta
JJJJUniversity tra il dott. Ratcleff e il
Press suo editore trovata ta le
JJJJJJJJ pagine del testo. Che
JJJJJJ
JJJJJJJ siano state inserite seguendo
9 ottobre 2000 l'ordine di
pubblicazione?

Carissima Anna,

È stato bello poterti finalmente incontrare di persona. Penso


che svolgere il lavoro di editing sezione per sezione con te sia
senza dubbio la cosa più saggia da fare, considerando il vo-
lume di materiale a disposizione, la data di pubblicazione
proposta (il 2001) e il fatto che sto affinando la traduzione.

Appena avrò stabilito un'adeguata connessione in rete potrò


spedirti direttamente le pagine. Sono felice che tu sia rimasta
soddisfatta del lavoro che ho svolto fino a questo momento. È
ovvio che posso tagliare sulle note a piè di pagina.

È gentile da parte tua ammirare la mia 'tecnica di distacco let-


terario' in riferimento al cattolicesimo del quindicesimo seco-
lo, quando uso termini come il 'Cristo Verde' e la 'Croce di
Rovi'. Questa è una delle tecniche che uso per impedire al let-
tore di imporre i suoi preconcetti sulla vita medievale. È una
traduzione diretta dal Latino volgare del Medio Evo e dalle
prime fonti mitriache. Non dovremmo preoccuparci più di
tanto perché questa parte è chiaramente legata alle leggende
che circolano sulla fanciullezza di Ash (il leone sovrannatura-
le e via discorrendo). Gli eroi sono sempre circondati da un
alone di leggenda e devo dire che tale alone diventa molto più
ampio quando si tratta di una donna.

Forse il Codice di Winchester vuole farci riflettere sulla scar-


sa cultura di Ash da bambina. A un'età che variava tra gli otto
e i dieci anni, Ash conosceva solo i campi, i boschi, le tende,
le armature, le lavandaie, i cani, i soldati, le spade, i santi e i
leoni. La compagnia mercenaria. I nomi di colline, fiumi e
città non avevano alcuna importanza per lei. Come poteva
sapere che anno fosse? Per lei le date non significavano nulla.

Tutto ciò cambia nella prossima sezione: la vita di Ash scritta


da del Guiz.

Proprio come il curatore dell'edizione del 1939, Vaughan


Davies, io mi sto servendo della versione originale in tedesco
della vita di Ash ad opera di del Guiz, pubblicata nel 1516.
(A causa delle natura rivoluzionaria degli scritti, il testo ven-
ne ritirato immediatamente e pubblicato, epurato, nel 1518.)
Eccettuati alcuni errori di stampa, questa copia è in linea con
le rimanenti edizioni del 1516 della Vita (le copie sono cu-
stodite nella British Library, al Metropolitan Museum of Art,
al Kunsthistorisches Museum di Vienna e al Glasgow Mu-
seum).

Oggi, io ho un gran vantaggio nei confronti di Vaughan Da-


vies che pubblicava nel 1939: posso essere esplicito. Ho fatto
ricorso allo slang specialmente nei dialoghi per meglio rap-
presentare le differenze sociali del periodo. Inoltre i soldati di
quell'epoca erano notoriamente sboccati. Quando Davies tra-
duce letteralmente: 'per le ossa di Cristo', tale imprecazione
non ha alcun effetto sul lettore di oggi. Per questo motivo mi
sono avvalso del gergo moderno e temo che Ash pronuncerà
un gran numero di parolacce.

Per quanto riguarda la tua obiezione sul fatto di far ricorso a


diverse fonti, la mia intenzione non è quella di seguire il me-
todo di Charles Mallory Maximillian. Sebbene ammiri mol-
tissimo la sua edizione del 1890 della vita di Ash, nella quale
egli tradusse i vari codici e documenti in latino, lasciando che
fossero gli autori di tali scritti a narrare lo svolgersi delle vi-
cende, io penso che non si possa chiedere tanto al lettore mo-
derno. Intendo seguire il metodo di ricerca biografica di Vau-
ghan Davies e spingere i vari autori a creare una versione co-
erente della vita di Ash. È ovvio che le differenze tra i testi
dovranno essere appianate ricorrendo ad adeguate disquisi-
zioni accademiche.

Comprendo che troverai sorprendente parte del nuovo mate-


riale che ho trovato, ma ricorda che si tratta di quello che la
gente di quel tempo pensava gli stesse accadendo. E se terrai
a mente le più grandi alterazioni al nostro modo di vedere la
storia una volta che avremo pubblicato Ash: la storia perduta
della Borgogna, forse ti renderai conto che non bisogna mai
sottovalutare nulla. Con affetto,

Pierce
DOTT. PIERCE RATCLIFF (Studi sulla guerra)
Flat I, Rowan Court, 112 Olvera Street,
London W14 OAB, U. K.
Fax:JJJJJJ
E-mail:JJJJJJ
Tel:JJJJJJJ

Anna Longman
Editore
JJJJUniversity Press
JJJJJJ
JJJJJ lettera precedente di
JJJJJJ A. Longoman è mancante?
15 ottobre 2000

Carissima Anna,

Sebbene le mie conclusioni sconvolgeranno completamente


le loro, mi sento molto fortunato per il fatto di poter rintrac-
ciare passo dopo passo la vita accademica di quei due studio-
si. Quando ero a scuola, Ash: una biografia, era considerato
un testo fondamentale! Ma il mio amore per quel personaggio
è molto più antico. Lo ammetto, risale ad: Ash: la vita di un
capitano mercenario donna nel Medio Evo, di Charles Mal-
lory Maximillian.

Prendi, per esempio, come Mallory tratta la Borgogna medie-


vale, regno unico per il periodo in cui è sorto. Sebbene i più
grandi riferimenti alla vita di Ash compaiano in testi germa-
nici, le sue gesta sono spesso accomunate a quelle dei potenti
regnanti borgognoni. Eccoti la descrizione completa di CMM
scritta nel 1890:

La storia di Ash in un certo qual modo è la sto-


ria di quella che potremmo definire la Borgogna
'perduta'. Tra tutti i regni dell'Europa Occidenta-
le la Borgogna - questo fulgido sogno di caval-
leria - è quello che durò meno a lungo, ma la
sua fiaccola arse con maggior intensità rispetto a
quella degli altri regni. Sotto i suoi quattro duchi
e il governo nominale del re di Francia, la Bor-
gogna divenne l'ultimo e più grande regno del
Medio Evo, consapevole, già al momento della
sua nascita, di rifarsi a un'altra epoca. Il culto ar-
turiano del duca Carlo è, per quanto strano pos-
sa sembrare a noi abitanti di questo mondo fu-
moso e industriale, un tentativo di risvegliare i
più alti ideali della cavalleria in quella terra di
cavalieri in armatura, principesse che abitavano
castelli da favola, donne di incredibile bellezza
e compitezza. Sebbene anche la Borgogna fosse
corrotta, i suoi regnanti pensavano che il quin-
dicesimo secolo fosse molto distante dagli ideali
dell'Era Classica dell'Oro, e che solo una rivalsa
delle virtù di coraggio, onore, pietà e rispetto
potesse restituire una certa integrità morale al
loro tempo. Pur non avendo previsto l'invenzio-
ne della stampa, la scoperta del Nuovo Mondo e
il Rinascimento, fatti e scoperte che sarebbero
avvenute solo nel corso degli ultimi vent'anni
del loro secolo, la Borgogna riuscì in qualche
modo a prendervi parte.

Questa, allora, è la Borgogna che svanisce dalla memoria e


dalla storia nel gennaio del 1477. Ash, una Giovanna d'Arco
borgognona, muore in uno scontro. Il duca
coraggioso viene ucciso dai suoi arcinemici di sempre, gli
Svizzeri, sul campo di battaglia di Nancy e vi giace due o tre
giorni prima che sia possibile riconoscere il suo corpo, perché
i fanti l'avevano spogliato dei suoi abiti e così, come ci spiega
Commine, ci vollero tre giorni prima che il re di Francia po-
tesse tirare un gran sospiro di sollievo e disporre delle terre
dei nobili borgognoni. Fu allora che la Borgogna scomparve.
Tuttavia, se si studiano le prove, è chiaro che la Borgogna
non scomparve del tutto. Simile a un torrente che si tuffa tra
le profondità della terra, il sangue di Carlo l'Intrepido scorre
attraverso la storia dell'Europa diventando Asburgo per ma-
trimonio, fondendosi con l'impero Austro-Ungarico che - pur
essendo un gigante che sta invecchiando - sopravvive ancora
ai nostri giorni. Quello che possiamo dire è che ricordiamo la
Borgogna come una terra perduta e dorata. Perché? Che cosa
stiamo ricordando?

Charles Mallory Maximillian (ed.), Ash: vita di


un capitano mercenario del Medio Evo, J Dent
& Sons, 1890; ristampe 1892, 1893, 1896, 1905.

Ovviamente CMM è uno studioso minore pieno di romantici-


smo vittoriano e il mio lavoro non dipende dalle sue tradu-
zioni. Ironia della sorte, anche se è più inaccurata, la sua sto-
ria è molto più piacevole da leggere rispetto alle storie a sfon-
do sociologico che la seguirono. Io voglio provare a sintetiz-
zare storia e accuratezza sociologica con il lirismo di CMM.
Spero che sia possibile farlo.

Ciò che egli sostiene è del tutto fittizio certo -


l'insieme di contee e ducati che componevano
l'antica Borgogna 'svanì dalla storia', per così di-
re (non prima che Ash avesse combattuto nelle
battaglie più importanti.) È vero comunque che
ben poco venne scritto sulla Borgogna dopo il
suo collasso nell'anno 1477.

Ma è stato il lirismo nostalgico per la 'Borgogna perduta' di


CMM, una sorta di interstizio magico nella storia, ad affasci-
narmi. Rileggerlo, Anna, mi ha fatto capire che avevo trovato
ciò che era 'perduto' e mi ha fatto intuire esattamente ciò che
implica tale scoperta.

Troverai in allegato alla presente la traduzione completa della


Prima Parte dell'opera di del Guiz: Fortuna Imperatrix Mun-
di. Una precisazione: sebbene la maggior parte del manoscrit-
to che ho trovato, Fraxinus, copra gli eventi degli ultimi mesi
del 1476, sono in grado di usare parte di tali documenti per
gettare luce su alcuni eventi descritti nei testi già esistenti, a
partire dal momento in cui il del Guiz comincia a descrivere
la vita adulta di Ash a partire dal giugno di quell'anno. Sco-
prirai che vi sono delle sorprese anche in queste 'vecchie car-
te' che possono
eludere CMM e Vaughan Davies!

Comprendo che tu debba presentarti alla riunione con i tuoi


capi con tutte le informazioni possibili riguardo la 'nuova teo-
ria storica' che ho evinto dal Fraxinus. Per diverse ragioni
tecniche temo di non poter rivelare i dettagli.

Con affetto,

Pierce
PARTE PRIMA

16 GIUGNO AD 1476 [?] - 1 LUGLIO AD 1476

Fortuna Imperane Mundi11

«Giù le ventaglie, signori!» ordinò Ash.


Il clangore metallico delle visiere che si abbassavano echeggiò lungo
tutta la fila di cavalieri.
Robert Anselm finì di agganciare il guardacollo e la baviera. «Il nostro
signore non ci ha detto di attaccarli, capo...»
Ash indicò con un dito e disse: «E chi se ne frega! È una buona occasio-
ne e non dobbiamo lasciarcela scappare!»
Eccettuata Ash, Anselm era l'unico cavaliere che avesse un'armatura
completa. Gli altri ottantuno indossavano elmi, piastroni, armature di scar-
sa qualità o i brigantini, giubbe a cui erano state applicate delle piastre
metalliche. L'unica sezione d'armatura di ottima qualità indossata da tutti
quei mercenari erano le protezioni per le gambe, perché erano le più espo-
ste agli attacchi.
«In formazione.»
Ash sentì che il suo tono di voce era ovattato a causa dei capelli che a-
veva raccolto in una treccia per poi ripiegarla contro l'imbottitura dell'el-
mo. Non aveva un timbro profondo come quello di Anselm. La sua voce
acuta si levava al di sopra del fragore della battaglia e solo il rombo dei
cannoni poteva coprirla. Gli uomini di Ash sentivano sempre gli ordini del
loro comandante.
Ash sistemò a sua volta la baviera e il guardacollo lasciando la ventaglia
alzata per poter vedere meglio. I cavalieri si affollavano intorno a lei simili
a una massa ribollente. Gli zoccoli dei cavalli avevano ormai rivoltato il
terreno della collinetta sulla quale si trovavano. I suoi uomini, la sua com-
pagnia: in sella a castrati di buona qualità.
Ai piedi del pendio si ergeva una gigantesca città fatta di tende e carri.
All'interno dell'insediamento c'erano trentamila uomini, donne e animali:
l'esercito borgognone. Giravano voci certe sul fatto che il campo fosse
abbastanza esteso da ospitare due mercati...
11
'La dea Fortuna è l'imperatrice di questo mondo.'
La vastità dell'accampamento rendeva quasi impossibile scorgere le mu-
ra della città assediata.
Neuss, una cittadina che sorgeva sulle rive del Reno, grande un decimo
dell'installazione militare che la attorniava, resisteva precariamente all'in-
terno del suo fossato e dei cancelli ormai ridotti a macerie. Alle sue spalle
si innalzavano le verdi colline della valle del Reno.
Ash abbassò leggermente la ventaglia per ripararsi dal sole. Un gruppo
di una cinquantina circa di cavalieri si muoveva tra il campo borgognone,
Neuss e il loro campo imperiale che, in teoria, era stato eretto per salvare
la cittadina. Ash riuscì a scorgere la croce di sant'Andrea, due braccia rosse
che si incrociavano diagonalmente, spiccare sulle divise dei soldati borgo-
gnoni.
Robert Anselm fece girare il baio e prese con la mano libera lo stendar-
do della compagnia: il Leone Azzurro in campo dorato12 . «E se fosse u-
n'imboscata, capo?»
Nel profondo dello stomaco di Ash ribollivano paura e attesa. Godluc, il
12
Vale la pena notare il termine usato dall'Angelotti nel suo manoscritto
quando si riferisce allo stendardo da battaglia: oro, un leone azzurro che
passa guardingo (un leone blu che cammina a sinistra del punto in cui lo si
vede con una zampa sollevata) è inusuale. Di solito in araldica la fiera che
passa guardinga non è il leone, ma il leopardo.
Io penso che Ash pensasse a se stessa come a un leone per motivi
religiosi. Lo stendardo riprodotto nel manoscritto dell'Angelotti, uno
stendardo affusolato a coda di rondine lungo due metri, riporta il simbolo
del comandante della compagnia e una versione del grido di battaglia -
'Frango regna!': 'Distruggo i regni!' - come anche i simboli delle diverse
campagne in Germania, Italia, Inghilterra e Svizzera.
Sulla bandiera personale di Ash, un rettangolo con impresso il suo
simbolo, un leone azzurro affronté, (un leone azzurro con il volto rivolto
verso chi guarda in campo oro) dovrebbe essere riprodotta solo la testa del
felino (solo quella e basta). Il termine più corretto sarebbe un leopardo
azzurro in campo oro. È chiaro che la divisa della compagnia è dorata con
il simbolo del leone. Questa combinazione di blu e oro è caratteristica
dell'est della Francia e della Lorena, ma anche della Francia in generale,
dell'Inghilterra, dell'Italia e della Scandinavia, in contrasto con i motivi
neri e oro tipici della Germania. Non sono riuscito a trovare nessun
riferimento all'Oro o a un leopardo con il muso azzurro, né a un leopardo
azzurro, se non nelle vicende di Ash.
grosso castrato grigio che cavalcava, si mosse come per rispondere alle
sensazioni della padrona. Come le succedeva sempre nel caso ci fosse il
rischio di un'imboscata, ebbe l'impressione che il tempo passasse più velo-
ce e sentì la necessità di prendere una decisione.
«No, non si tratta di un trucco. Sono troppo fiduciosi. Cinquanta uomini
a cavallo - quella è solo una scorta. Pensano di essere al sicuro. Pensano
che non li attaccheremo perché non abbiamo più fatto nulla dall'ultima
visita dell'imperatore Federico tre settimane fa.» Calò la mano guantata sul
pomello della sella e si girò verso Anselm sogghignando. «Dimmi quello
che non vedi, Anselm.»
«Non vedo fanteria, balestrieri, archibugi e non vedo arcieri - non ci so-
no gli arcieri!»
Ash non riusciva a smettere di sghignazzare. «Vedo che hai capito.
Quando mai ci è capitato uno scontro di cavalleria puro e semplice, solo
cavalieri contro cavalieri, in una guerra?»
«Senza il rischio di essere sbalzati dalla sella da una freccia?» Corrugò
la fronte. «Sei sicura?»
«Se non rimaniamo qua con le mani in mano possiamo beccarli allo sco-
perto. Sono troppo lontani per tornare al loro campo. Andiamo.»
Anselm annuì, compiacente.
Ash socchiuse gli occhi e inclinò la testa verso il cielo. L'armatura era
bollente e Godluc sudava copiosamente sotto la bardatura blu. Il mondo
puzzava di cavallo, sterco, lubrificante per armature e dalla città di Neuss,
dove erano ormai sei settimane che mangiavano topi e gatti, si levava un
fetore insopportabile.
«Finirò cotta viva se non mi tolgo questo affare in fretta, andiamo!» Ab-
bassò il braccio.
Robert Anselm fece scattare in avanti il cavallo e alzò lo stendardo. Ash
spronò Godluc oltre la selva di lance sollevate e si pose alla testa dei suoi
uomini, con il suo luogotenente che trottava qualche passo dietro di lei.
Premette i fianchi del cavallo facendolo passare dal trotto al piccolo ga-
loppo. Il cambio di velocità le provocò un fremito in tutto il corpo e fece
sferragliare le giunture dell'armatura di fabbricazione milanese. Il vento
penetrò nella celata lasciandola senza fiato per qualche secondo.
Gli zoccoli ferrati dei cavalli facevano tremare il suolo sollevando gros-
se zolle di terra. L'intensità del rumore divenne intollerabile. I suoi uomini
acquistarono velocità e scesero giù dal pendio continuando a galoppare a
rotta di collo per la pianura. Dolce Cristo, pensò Ash, fa che non mi sia
sbagliata!
Pregò perché nessuno dei cavalli inciampasse nella tana di un coniglio.
Vide gli stendardi dei nemici. Che il diavolo mi prenda, pensò, quello non
è uno qualunque. Si tratta del duca Carlo di Borgogna in persona!
Il sole brillava sulle armature dei cavalieri borgognoni e sulle punte del-
le lance.
Ash non aveva più tempo per pensare alla tattica. Avrebbero dovuto ca-
varsela con l'addestramento che avevano fatto durante la stagione morta.
Lanciò una rapida occhiata a destra e a sinistra per guardare i cavalieri
che la stavano raggiungendo. Gli elmi le impedivano di riconoscere Euen
Huw, Jocelyn Van Mander o Thomas Rochester, gli uomini al comando
delle lance13 che formavano la compagnia. Ormai c'era solo una selva di
lance abbassate in posizione d'attacco.
Abbassò la sua lancia. Aveva il guanto umido di sudore. I sussulti decisi
del cavallo la scossero violentemente malgrado avesse una sella dallo
schienale alto. Lo schiocco della bardatura e il clangore metallico dell'ar-
matura del cavallo l'assordarono, ma poteva ancora sentire gli odori e il
sapore metallico della sua armatura simile a quello del sangue. Lanciò Go-
dluc al galoppo e tutto sembrò rallentare.
«Cinquanta uomini a cavallo con corazza completa. Io ne ho ottantuno
con corazza media.»
«Come è armato il nemico?»
«Lance, mazze, spade. Non ci sono archi o balestre.»
«Carica il nemico prima che venga raggiunto dai rinforzi.»
«Cosa diavolo pensi che stia facendo?» urlò allegramente Ash, rivolgen-
dosi alla voce nella sua testa. «Avanti! Per il Leone! Per il Leone!» Alzò il
braccio libero e diede l'ordine di caricare.
«Un leone!» sbraitò Robert Anselm, che si trovava a mezza lunghezza di
distanza da lei, alzando l'asta della bandiera sopra la testa. Metà dei cava-
lieri l'avevano superata e avevano perso quasi del tutto la formazione. Era
troppo tardi per cercare di ricompattare i ranghi. Che vadano pure, pensò,
così impareranno a non stare con la bandiera! Passò le redini intorno al
pomello della sella e chiuse la ventaglia dell'elmo con un gesto automatico
della mano, riducendo il proprio campo visivo a una fessura.
Le bandiere borgognone sussultarono violentemente.
13
Per lancia si intende un gruppo di combattimento capeggiato da un
cavaliere o da un uomo d'arme assistito da più gregrari a cavallo o a piedi
(N.d.T.).
«Ci hanno visti!»
Non le fu immediatamente chiaro quello che voleva fare il nemico. Si
stava raggruppando intorno a un uomo? Scappava? Stava per lanciarsi al
galoppo verso il loro campo? Tutte e tre le cose contemporaneamente?
Qualche attimo dopo quattro cavalieri borgognoni si riunirono e si lan-
ciarono al galoppo verso di lei.
L'interno dell'armatura di Ash era madido di sudore e la luce del sole
contro il cielo azzurro l'accecava. Quei quattro uomini, pensò, stanno ga-
loppando verso di me su dei cavalli che pesano tre quarti di tonnellata l'u-
no, protetti dall'armatura, brandendo lance con delle punte lunghe quanto
la mia mano. Quando mi colpiranno a quella velocità penetreranno l'arma-
tura e la mia carne come se fossero un foglio di carta.
Ebbe una fugace visione della punta di una lancia che le trapassava la te-
sta.
Uno dei quattro cavalieri borgognoni abbassò la lancia sistemandola
nell'alloggiamento dell'armatura. L'elmo era decorato da una vistosa piuma
bianca di struzzo e la feritoia della ventaglia era così stretta da impedire la
vista degli occhi. La punta della lancia era diretta contro di lei.
Ash cadde preda di un sinistro senso d'esaltazione. Spostò il peso sulla
sella. Godluc rispose immediatamente al segnale scartando bruscamente a
destra, mentre lei abbassava la lancia. La punta penetrò il collo dello stal-
lone grigio del primo cavaliere.
L'impatto fu talmente violento da strapparle l'arma di mano. Il cavallo
ferito crollò sulle zampe anteriori catapultando il cavaliere sotto gli zoccoli
di Godluc, che, essendo un cavallo da guerra, non incespicò e continuò per
la sua strada come se non fosse successo niente. Ash afferrò la mazza e la
calò violentemente sull'elmo del secondo cavaliere. Sentì il metallo che si
crepava e cedeva. Qualcosa urtò Godluc e Ash raschiò il fianco a terra.
L'erba calda stava facendo scivolare più di un cavallo. Spostò il peso di
lato per non finire schiacciata, afferrò la mano di Robert Anselm che nel
frattempo era giunto in suo soccorso e riuscì a raddrizzare il cavallo.
I due schieramenti combattevano freneticamente. Tranne i Tedeschi co-
mandati da Anhelt, che cavalcavano ai margini della mischia piantando le
lance qua e là come se stessero partecipando a una caccia al cinghiale, e
Josse che aveva afferrato un cavaliere borgognone per il piastrone e cerca-
va di piantare la daga in uno dei varchi dell'armatura, alla fine della prima
carica quasi tutti avevano abbandonato le lance. Ormai regnava la confu-
sione più totale. Un uomo giaceva faccia a terra. Qualcuno ferito all'arteria
femorale. Ash con l'armatura sporca di sangue che roteava selvaggiamente
la mazza, il laccio di quest'ultima che si spezzava e l'arma che le schizzava
via dalla mano compiendo una parabola nel cielo azzurro.
Ash sfoderò la spada e colpì il volto del suo avversario con il pomello in
un unico e fluido movimento. L'impatto le fece tremare il braccio. Cambiò
direzione alla lama con una rotazione del polso e la calò sul gomito protet-
to ottenendo lo stesso risultato di prima.
Il cavaliere alzò la mazza e Ash piantò la lama nell'interstizio apertosi
tra le piastre dell'armatura.
Tre cavalli si aprirono la strada nella mischia. Ash si guardò intorno e
vide la sua bandiera. Maledizione, pensò, se non sono io la prima a stare
vicina allo stendardo come posso pretendere che lo facciano gli altri? A
circa un centinaio di metri di distanza dal punto dello scontro sventolava la
bandiera con le insegne del duca.
«Il comandante del nemico è a portata di mano» disse.
«Allora neutralizzalo.»
«Per il leone! Per il Leone!» Ash si drizzò sulle staffe e indicò con la
spada. «Catturate il duca! Catturate il duca!»
Qualcosa la colpì alle spalle facendole sbattere il viso sul collo di Go-
dluc. Il cavallo scartò di lato e si impennò, ma Ash era troppo impegnata a
rimanere in sella per cercare di capire cosa o chi fosse finito sotto gli zoc-
coli. Qualcuno urlò degli ordini in francese e in fiammingo. Ash vide il
suo stendardo che si inclinava di lato e cominciò a bestemmiare; un attimo
dopo la bandiera del duca fu scossa da un violento fremito e crollò al suo-
lo. Un cavaliere le corse incontro con la spada puntata contro il volto e
Ash si acquattò velocemente.
Una trentina tra cavalli e uomini con le divise borgognone cominciarono
a correre verso il loro campo. Sono passati solo pochi minuti, pensò Ash.
Degli uomini uscirono di corsa dal campo nemico e dopo qualche attimo
Ash vide che erano fanti appartenenti ai contingenti di Filippo di Poitiers e
Ferry de Cuisance, arcieri della Piccardia e dell'Hainault.
«Cinquecento arcieri, veterani.»
«Se non hai un numero di arcieri sufficienti per contrastarli allora riti-
rati.»
«Non ne ho in questo momento. 'Fanculo!» Agitò il braccio per indicare
ai suoi uomini di ritirarsi. «Indietro!»
Due degli uomini di Euen Huw, che facevano parte di quello che a esse-
re gentili si sarebbe potuto definire un deprecabile manipolo di bastardi,
stavano per scendere dai cavalli per derubare i feriti. Ash vide Euen in
persona che colpiva un cavaliere con la daga.
«Vuoi diventare carne per le balestre?» Si sporse dalla sella e fece alzare
il Gallese. «Via, ritiriamoci - adesso!»
Euen non aveva avuto il tempo di terminare ciò che aveva iniziato. Il ca-
valiere si dibatteva e gridava, perdendo sangue da sotto la ventaglia. Ash si
drizzò sulla sella, lo finì calpestandolo con il cavallo, quindi si avvicinò a
Robert Anselm e gridò: «Torniamo al campo - veloci!»
Lo stendardo con impresso sopra il simbolo del leone cominciò a ritirar-
si.
Un uomo che indossava una giubba con il leone azzurro cucito sopra si
tolse da sotto il suo cavallo morto. Era Thomas Rochester, un cavaliere
inglese. Ash si mantenne immobile sulla sella premendo le ginocchia con-
tro la pancia di Godluc e aiutò il suo uomo a salire in groppa dietro di lei.
I cavalli rimasti senza padrone vagavano senza meta per la piana di fron-
te alla città di Neuss.
«Attenta agli arcieri, capo!» urlò l'uomo alle sue spalle. «Andiamo via!»
Ash cavalcava lentamente tra i corpi per contare le sue perdite, quelle
del nemico e per vedere se erano riusciti a uccidere il duca, ma non scorse
né il cadavere del nobile né quelli dei suoi uomini.
«Capo!» protestò Thomas Rochester.
Il primo arciere della Piccardia superò un cespuglio che secondo la valu-
tazione di Ash era a circa duecento metri di distanza dal punto in cui si
trovava lei in quel momento.
«Capo!»
Thomas doveva essere spaventato. Non voleva neanche rallentare per
prendersi un cavallo. Tutte quelle bestie che vagavano libere senza padro-
ne rappresentavano una piccola fortuna su quattro zampe.
E gli arcieri?
«Va bene...» Ash si girò e cominciò a tornare verso il campo. Seguì il
letto quasi asciutto dell'Erft e si inerpicò lungo il pendio. Si avvicinò al
campo imperiale, che sembrava la copia carbone di quello burgundo, sfor-
zandosi di mantenere un'andatura tranquilla. «Ti sei guadagnato una bella
dose di biada» disse, dando una pacca sul collo protetto del cavallo.
Il castrato alzò la testa. Aveva gli zoccoli e i lati della bocca sporchi di
sangue.
Alcuni uomini con le insegne del Leone Azzurro riprodotte sulle divise
uscirono dal campo armati di archi. Ash attraversò il varco tra i carri.
«Eccoci arrivati, Thomas» fermò il cavallo per permettere all'uomo di
scendere. «Perdi un altro cavallo e la prossima volta te la fai a piedi...»
«Certo, capo!» le assicurò Thomas Rochester sogghignando.
Gli uomini della compagnia di Ash si radunarono intorno al loro capita-
no e a Robert Anselm urlando domande.
«È difficile che quei maledetti borgognoni ci seguano fin qui. Basta.
Piantatela.»
Il sole era cocente. Ash allontanò Godluc dalla folla e slacciò i cinghietti
che le chiudevano i guanti, quindi inclinò la testa all'indietro, aprì la fibbia
che le chiudeva l'elmo, lo sfilò e lo piantò sul pomello della sella.
L'aria era fresca. Sentiva la gola secca.
Si raddrizzò e si trovò faccia a faccia con la Sua Graziosissima Maestà
Imperiale Federico III, imperatore del Sacro Romano Impero, che la fissa-
va dalla sella del suo stallone da guerra preferito.
Ash lanciò una rapida occhiata intorno a sé e notò che il monarca era
andato da lei con tutto il suo codazzo di lacchè: un manipolo di cavalieri
tutti divise colorate e piume di struzzo sugli elmi. Le armature che indos-
savano non avevano neanche una tacca, segno evidente che non erano mai
state impiegate in battaglia. Dietro il gruppo scorse un uomo che indossava
una cotta di maglia. Sebbene fosse bendato, sulle sue labbra aleggiava un
sorriso cinico. Sembrava provenire dal Crepuscolo Eterno14 .
Il sudore imperlava le tempie e le guance di Ash impastandole i capelli.
Sentiva la pelle calda e arrossata. Si allontanò dai suoi uomini avvicinan-
dosi con calma all'imperatore. «Maestà.»
«Cosa ci fai in questa parte del mio campo, capitano?» sussurrò l'impe-
ratore in tono secco.
«Manovre, Vostra Maestà Imperiale.»
«Di fronte al campo dei Burgundi?»
«Dovevo insegnare ai miei uomini ad avanzare e ritirarsi seguendo lo
stendardo, Vostra Maestà Imperiale.»
«E siete incappati nella scorta del duca.»
«Pensavamo che stessero per compiere una scorreria contro Neuss, Vo-
stra Maestà Imperiale.»
«E li avete attaccati.»
14
Un riferimento tratto dal 'Fraxinus' nel quale si parla di un non meglio
identificato ciclo o leggenda medievale. Ne parla anche il testo di del Guiz,
ma è del tutto assente nei manoscritti dell'Angelotti e negli 'Pseudo
Godfrey'.
«Siamo pagati per farlo, Vostra Maestà Imperiale. Dopotutto siamo i vo-
stri mercenari.»
L'uomo vestito come un abitante del meridione cercò di soffocare una
scoreggia ma non ebbe molto successo. Seguì un silenzio imbarazzante.
«Chiedo scusa, Vostra Maestà Imperiale. Vento.»
«Sì...»
Ash fissò con i suoi occhi dal colore indefinibile il piccolo uomo dai ca-
pelli ben acconciati. L'imperatore Federico non indossava un'armatura, ma
era molto probabile che sotto il panciotto di velluto fosse nascosta una
cotta di anelli metallici. «D'altronde non siamo venuti qua da Colonia per
proteggere Neuss, Vostra Maestà Imperiale?» chiese Ash, in tono mite.
L'imperatore fece girare bruscamente il cavallo e galoppò verso il centro
del campo seguito dagli altri cavalieri.
«Merda!» imprecò Ash ad alta voce. «Avrei potuto farcela questa volta.»
«A far cosa, capo?» le chiese Robert Anselm che la raggiunse tenendo
l'elmo appoggiato a un fianco.
Ash lanciò uno sguardo di sottecchi all'uomo al suo fianco. Robert An-
selm aveva il doppio dei suoi anni e si era sempre dimostrato un ufficiale
capace e pieno d'esperienza. Allungò una mano dietro la testa e sfilò la
molletta che le tratteneva i capelli. La folta chioma quasi bianca si sciolse
scendendo fino ai fianchi. Fu allora che notò il sangue all'altezza della pro-
tezione del gomito e sui capelli.
«A ficcarmi nella merda fino al collo o ad andare dove voglio. Sai cosa
voglio ottenere quest'anno.»
«Delle terre» borbottò Anselm. «Non vuoi che ci diano la solita paga da
mercenari. Vuoi delle terre e dei possedimenti.»
«Esatto» sospirò Ash. «Sono stufa di conquistare castelli e tesori per gli
altri. Sono stufa di giungere alla fine della stagione di guerra e non avere
altro che i soldi per poter svernare.»
L'ufficiale sorrise. «Non tutte le compagnie possono permetterselo.»
«Lo so, ma io sono brava.» Ash rise della sua immodestia, imitata da
Robert Anselm. «Voglio un luogo in cui tornare, Robert» continuò, mode-
rando i toni. «Voglio della terra. La mia terra. Ecco a cosa serve tutto ciò,
tu ottieni della terra combattendo, la puoi ereditare, te la possono regalare,
ma dopo ti puoi stabilire da qualche parte. Come hanno fatto gli Sforza a
Milano.» Sorrise, cinica. «Dagli tempo e denaro e Jack il Contadino diven-
ta Sir John Di-Nobili-Natali. Lo voglio anch'io.»
Robert scrollò le spalle. «E pensi che Federico stia facendo la stessa co-
sa? Potrebbe anche impazzire. Non saprei.»
«Neanch'io.» Ora che era tutto più calmo si tolse anche i guanti, si passò
una mano sul volto e si girò a guardare gli uomini della sua compagnia che
smontavano da cavallo. «Abbiamo un bel gruppo di ragazzi.»
«Sono cinque anni che assumo soldati per conto tuo. Ti ho mai portato
degli incapaci?»
Ash sapeva che si trattava di un rimprovero scherzoso, ma aveva notato
che nell'atto di replicare l'ufficiale aveva distolto lo sguardo e aveva co-
minciato a sudare. Che voglia più denaro? si chiese Ash. No, non Robert.
Cosa gli succede, allora?
«Quella non è stata una battaglia» aggiunse Ash, cercando di compren-
dere cosa accadeva. «È stato un torneo!»
Anselm infilò le dita tozze tra la gorgiera e la striscia di cuoio annerita
dal sudore che portava intorno alla gola. «Una giostra, forse15 . Quelli han-
no perso dei cavalieri.»
«Sei o sette» confermò Ash.
«L'hai sentito?» Robert Anselm deglutì e riuscì finalmente a guardarla.
Ash si preoccupò.
«Laggiù ho colpito un uomo in faccia con l'elsa della spada» si sfogò,
scrollando le spalle. «Aveva la ventaglia alta. Gli ho portato via metà della
faccia con la crociera. L'ho accecato. Non è caduto e ho visto uno dei suoi
compagni che andava in suo soccorso. Ma ha urlato quando l'ho colpito.
Avresti dovuto sentirlo, Ash. In quel momento si è reso conto che sarebbe
stato rovinato per tutta la vita. Lo sapeva.»
Robert Anselm era un uomo dalle spalle larghe. Il sole si rifletteva sulla
sua armatura e i capelli corti avevano assunto delle sfumature rossicce a
causa del caldo e del sudore. Ash cercò di riconoscere la solita espressione
di Robert Anselm che le era familiare quanto quella del suo stesso volto.
«Robert...»
«Non sono i morti a preoccuparmi. Sono quelli che dovranno convivere
con ciò che io ho fatto loro.» Anselm scosse la testa e accennò un sorriso.
«Ah, dolce Cristo! Non farci caso, ragazza. Sono i postumi della battaglia.
Faccio questo mestiere da prima che tu nascessi.»
Quella non era una spacconata, ma un dato di fatto. Ash annuì rinfranca-
ta. «Dovresti parlare con un prete. Va' da Godfrey. Dopo vieni a parlare
15
Una giostra è uno scontro tra cavalieri. Le armi sono smussate e lo
scopo ultimo non è uccidere l'avversario, ma dimostrare la propria abilità
marziale. Il torneo è composto da diversi tipi di giostra.
con me. Stasera. Dov'è Florian?»
Robert Anselm sembrava meno turbato. «Nella tenda del chirurgo.»
Ash annuì. «Bene. Voglio parlare con i comandanti di lancia che oggi
erano con noi. Fai l'appello. Vado nella mia tenda. Muoviti!»
Cavalcò in mezzo ai suoi uomini che scendevano da cavallo urlando tra
di loro e al suo indirizzo. I paggi correvano ad afferrare le redini, mentre i
cavalieri cominciavano a parlare fra di loro della battaglia. Ash diede una
violenta pacca sul piastrone di un soldato, disse qualcosa di osceno a uno
dei suoi capitani, Paul di Conti, il savoiardo, ridendo di gusto alle urla
d'approvazione degli altri uomini, quindi smontò e si incamminò su per la
salita che portava alla tenda del chirurgo.
«Philibert, portami dei vestiti puliti!» urlò al suo paggio che corse im-
mediatamente al padiglione. «E mandami Rickard. Ho bisogno di toglier-
mi l'armatura. Florian!»
Il paggio si affrettò ulteriormente e Ash abbassò la testa per entrare nel
padiglione del chirurgo. L'interno della tenda puzzava di sangue, vomito,
spezie ed erbe. Un telo separava gli alloggi del chirurgo dal resto dell'am-
biente. Il terreno era coperto da uno spesso strato di segatura.
La tenda era praticamente vuota.
«Cosa? Ah, sei tu.» Un uomo alto con i capelli biondi tagliati male e il
volto sporco la guardò sorridendo. «Guarda qua. Spalla uscita dalla sede.
Affascinante.»
«Come stai, Ned?» Ash ignorò Florian de Lacey, il chirurgo, concen-
trandosi sul ferito.
Si chiamava Edward Aston, un vecchio cavaliere, un profugo delle guer-
re reali dei rosbifs 16 che ormai era stato assunto come mercenario nella
compagnia. La sua armatura, che giaceva su un cumulo di paglia, era com-
posta da pezzi di diversa provenienza: il piastrone veniva da Milano e le
protezioni per le braccia erano di fattura gotico-germanica. La luce del sole
che filtrava nella tenda gli illuminava la testa quasi del tutto calva e il ciuf-
fo di capelli bianchi. Gli avevano tolto il giustacuore e i lividi sulla spalla
diventavano sempre più neri con il passare dei secondi. Sul volto era im-
pressa un'espressione di dolore e disgusto. La giuntura della spalla aveva
un'angolazione del tutto innaturale.
«Un maledetto martello. Uno di quei fottuti cani bastardi di borgognoni
16
'Rosbif o 'roast-beef: nomignolo usato nel continente europeo per
indicare gli inglesi, visto che allora tutti pensavano che essi non
mangiassero nient'altro.
mi è arrivato alle spalle mentre finivo un suo compagno. Ha ferito anche il
mio cavallo.»
Sir Edward Aston aveva portato al suo seguito un balestriere, un arciere
dotato di un ottimo arco lungo, due bravi soldati, un sergente decisamente
bravo e un paggio ubriacone. «Il tuo sergente, Wrattan, si occuperà del
cavallo e prenderà il comando della tua lancia. Riposati.»
«Avrò sempre la mia parte, vero?»
«Ci puoi scommettere.» Ash osservò Florian de Lacey che serrava con
entrambe le mani il polso dell'uomo.
«Adesso devi dire: 'Christus vincit, Christus regnit, Christus imperad'»
gli ordinò Florian.
«Christus vincit, Christus regnit, Christus imperad» ripeté l'uomo ad alta
voce. «Pater et Filius et Spiritus Sanctus.»
«Resisti.» Florian piantò un ginocchio contro le costole di Edward Aston
e tirò con tutta la forza che aveva in corpo.
«Cristo!»
Il chirurgo mollò la presa. «Ecco fatto. Adesso la spalla è tornata a po-
sto.»
«Perché non mi hai detto che mi avrebbe fatto male, stupido sodomita?»
«Vuoi dirmi che non lo sapevi? Taci e fammi finire l'incantesimo.» Il
chirurgo biondo aggrottò la fronte, rifletté per qualche secondo quindi si
inclinò in avanti. «Mala, magubula, mala, magubula!»
Il vecchio cavaliere grugnì qualcosa e arcuò le spesse sopracciglia canu-
te annuendo brevemente. Ash fissò le forti dita di Florian che si chiudeva-
no intorno alla spalla dell'uomo costringendola a una temporanea immobi-
lità.
«Non ti preoccupare, Ned,» lo rassicurò Ash «non ti perderai molti scon-
tri. Federico-il-nostro-glorioso-condottiero ci ha impiegato diciassette
giorni di marcia per coprire le ventiquattro miglia da Colonia a qui. Non si
può dire che stia cercando la gloria a tutti i costi.»
«Presto mi pagheranno per non combattere! Sono vecchio. La prossima
volta mi rivedrai nella mia fottuta tomba.»
«Va' all'inferno» disse Ash. «La prossima volta che ti rivedrò sarai in
sella al tuo cavallo. Esattamente tra...»
«Tra una settimana» terminò Florian pulendosi le mani, macchiando il
panciotto di lana rossa, i lacci dello stesso colore e la maglia bianca. «Fini-
to, lui era l'ultimo, prima ho messo a posto una frattura a un braccio.» Il
chirurgo la fissò in cagnesco. «Perché non mi fai mai avere delle ferite
interessanti? E suppongo che non ti sia presa il disturbo di raccogliere un
cadavere per i miei studi di anatomia.»
«Non mi appartenevano» rispose Ash, cercando di rimanere seria nel
vedere l'espressione di Florian.
Il chirurgo scrollò le spalle. «Come faccio a studiare le ferite mortali se
non me ne porti mai una?»
«Fottuto vampiro!» borbottò Ned Aston tra sé e sé.
«Siamo stati fortunati» sottolineò Ash. «Chi si è fratturato un braccio?»
«Bartolomeo St. John. Uno degli uomini di Van Mander, il Fiammingo.
Guarirà.»
«Nessuno storpio? Nessun morto? Nessuna epidemia di peste? Il Cristo
Verde mi ama!» esultò Ash. «Faccio chiamare il tuo sergente, Ned.»
«Posso andarmene da solo. Non sono ancora morto.» Il massiccio cava-
liere inglese uscì dalla tenda lanciando un'occhiata carica di disgusto a
Florian de Lacey che, come Ash gli aveva sempre visto fare da quando lo
conosceva, rimase del tutto impassibile.
Ash si rivolse al chirurgo continuando a osservare Ned Aston che si al-
lontanava. «Non ti avevo mai sentito usare un incantesimo per una lussa-
zione o una frattura prima di oggi.»
«No... quello l'ho dimenticato. Ho usato la formula per il farcino.»
«Farcino?»
«È una malattia dei cavalli17 .»
«Una malattia dei...!» Ash si sforzò per evitare di scoppiare a ridere.
«Non farci caso, Florian. Voglio che ti cambi. Devo parlarti. Adesso.»
Fuori dalla tenda il sole picchiava come un martello. Il caldo era soffo-
cante. Ash socchiuse gli occhi per osservare il suo padiglione sopra il qua-
le lo stendardo del Leone Azzurro penzolava floscio nell'aria immota di
mezzogiorno.
Florian de Lacey le offrì la borraccia di cuoio. «Cosa è successo?»
Stranamente la borraccia conteneva acqua insaporita con un velo di vi-
no18 . Ash si bagnò la testa, incurante degli schizzi sull'armatura, poi bevve
avidamente. «L'imperatore» spiegò tra un sorso e l'altro. «L'ho compro-
messo. Non potremo più stare qua - dicendo ai Burgundi che possono an-
darsene a casa perché Neuss è una città libera e Herman di Hesse è nostro
amico. Guerra.»
17
Forse si tratta della morva.
18
In questo periodo l'acqua veniva bevuta solo quando era allungata con
un po' di alcol che serviva a prevenire le infezioni.
«Compromesso? Non si può mai dire una cosa simile con Federico.» I
lineamenti fini e pallidi di Florian si piegarono in una smorfia di disgusto
sotto lo strato di sporco che li ricopriva. «Si dice che hai quasi catturato il
duca dei Burgundi. È vero?»
«Ci sono andata dannatamente vicina!»
«Federico dovrebbe esserne contento.»
«Ma forse non lo è. Qui si tratta di politica, non di guerra. Ah, merda,
chi lo sa?» Ash finì l'ultimo sorso d'acqua. Quando staccò la borraccia dal-
le labbra vide Rickard, il suo secondo paggio, uscire dalla sua tenda e cor-
rere verso di lei.
«Capo!» Il quattordicenne si arrestò davanti ad Ash. «Un messaggio.
L'imperatore vuole che tu vada nella sua tenda. Adesso!»
«Ha spiegato perché?»
«Il tizio mi ha detto che devi andare e basta, capo!»
Ash buttò i guanti dentro l'elmo e se lo mise sotto il braccio. «Va bene.
Raduna i comandanti, Rickard. Veloce. Andiamo, mastro chirurgo. No.» Si
fermò. «Devi cambiarti, Florian.»
Il chirurgo sembrò divertito. «Pensi che io sia l'unico a doverlo fare?»
Ash diede un'occhiata alla sua armatura. Il sangue rappreso aveva assun-
to un colorito marrone scuro. «Non posso cambiarla in tempo. Rickard,
portami un secchio d'acqua.»
Qualche minuto dopo l'armatura era stata lavata dalla testa ai piedi e
sebbene la cascata d'acqua le avesse bagnato anche il giustacuore, la sen-
sazione di freschezza datale dall'acqua era più che benvenuta. Ash strizzò
la lunga chioma tra le mani, la gettò dietro le spalle e si diresse a grandi
passi verso il centro del suo campo, seguita dal suo scudiero.
«O ti nomina cavaliere» ringhiò Robert Anselm nel vederla arrivare «o ti
becchi una punizione di proporzioni bibliche. Guardali!»
«Va bene, va bene, sono qua per vedere qualcosa...»
Un nutrito gruppo di persone attendeva fuori dai quattro padiglioni che
componevano la tenda dell'imperatore. Ash si unì a loro. Erano tutti nobili.
I giovani portavano dei giustacuore a V che andavano molto di moda. Al-
cuni erano calvi, altri avevano i capelli lunghi. Tutti indossavano almeno il
piastrone della corazza. Gli uomini più vecchi sudavano dentro gli abiti da
cerimonia. Nel quadrato d'erba davanti alle tende dell'imperatore non c'e-
rano cavalli, vacche, donne, bambini con il sedere nudo che giocavano e
soldati ubriachi. Nessuno osava infrangere il confine sancito dallo stendar-
do giallo e nero con l'aquila a due teste. Tuttavia anche quell'area puzzava
di sterco di cavallo e rifiuti seccati al sole.
I suoi ufficiali arrivarono.
Il sole le aveva asciugato la corazza e il giustacuore sottostante e ora il
caldo si era fatto nuovamente soffocante. Almeno avessi avuto il tempo di
cambiarmi, pensò Ash. Ti convocano sempre in fretta e furia e poi ti fanno
aspettare.
Un uomo tozzo e barbuto di circa trent'anni, con indosso una tunica mar-
rone che sventolava intorno ai piedi scalzi, li raggiunse a grandi passi.
«Scusami, capitano.»
«Sei in ritardo, Godfrey. Sei licenziato. Mi troverò un altro prete.»
«Certo. Come se crescessimo sugli alberi, figliola.» Il prete della com-
pagnia aggiustò la croce. Aveva il torace ampio e delle rughe profonde
intorno agli occhi a causa di tutti gli anni passati all'aria aperta. A giudica-
re dall'espressione neutra del religioso nessuno avrebbe mai sospettato che
Godfrey Maximillian conoscesse Ash da tantissimo tempo e meglio di
chiunque altro al mondo.
Ash ricambiò l'occhiata del religioso e cominciò a tamburellare, impa-
ziente, le unghie contro l'elmo che portava sotto il braccio. «Allora, cosa ti
hanno detto i tuoi 'contatti'? Cosa ha in mente Federico?»
Il prete ridacchiò. «Dimmi se c'è mai stato qualcuno negli ultimi trenta-
due anni in grado di dire cosa passi nella testa di quell'uomo!»
«Va bene, va bene. Domanda stupida.» Ash riprese a fissare i nobili ra-
dunati intorno alla tenda e alcuni la salutarono. Ci fu un movimento all'in-
terno del padiglione.
«Ho sentito dire che in questo momento là dentro ci sono sei o sette ca-
valieri dell'impero molto influenti che gli stanno chiedendo come mai Ash
attacca sempre senza ricevere ordini al riguardo» aggiunse Godfrey Ma-
ximillian.
«Se non avessi attaccato si lamenterebbero dei mercenari che vengono
pagati per combattere e non lo fanno» ribatté Ash sotto voce, annuendo
all'indirizzo di Jacobo Rossano, un Italiano al comando di un'altra unità
mercenaria al soldo dell'imperatore. «Chi vorrebbe fare il capitano merce-
nario?»
«Tu, Madonna» disse Antonio Angelotti, il mastro artigliere italiano del-
la compagnia. I riccioli curatissimi e la faccia sempre sbarbata lo facevano
notare ovunque.
«Era una domanda retorica!» rispose Ash, fissandolo in cagnesco. «Tu
sai cos'è una compagnia mercenaria, Angelotti?»
Florian de Lacey arrivò prima che l'artigliere potesse rispondere. Si era
cambiato come Ash gli aveva ordinato.
«Una compagnia mercenaria? Hmm?» esordì Florian, intromettendosi
nel discorso. «Una truppa di leali psicopatici con l'abilità di sconfiggere
qualsiasi altro psicopatico arrivi loro a tiro?»
Ash arcuò le sopracciglia. «Cinque anni e non hai ancora capito che cosa
significa essere un soldato!»
Il chirurgo rise. «Dubito che lo capirò mai.»
«Te lo dico io che cos'è una compagnia mercenaria» disse Ash punzec-
chiando Florian con un dito. «Una compagnia mercenaria è una macchina
immensa che ingurgita pane, latte, carne, vino, cordami e abiti da una parte
ed espelle merda, abiti sporchi, sterco di cavallo, oggetti a pezzi, armi dan-
neggiate e vomito di ubriaco dall'altra. Il fatto che di tanto in tanto gli capi-
ti di combattere è solo un caso.»
Si fermò per riprendere fiato e abbassare la voce. Lasciò vagare lo
sguardo sulla piccola folla davanti a lei riconoscendo le livree, i nobili, gli
amici e i potenziali nemici.
Nessuno era ancora uscito dalla tenda dell'imperatore.
«È un baratro senza fondo che io devo cercare di colmare ogni giorno
spalandogli dentro gli approvvigionamenti: una compagnia si trova sempre
a due pasti dallo scioglimento. E i soldi? Non dimentichiamoci dei soldi. E
quando combattono ci sono i feriti da curare. E quelli non fanno niente di
utile mentre guariscono! E quando stanno bene non sono altro che un
branco di bestie indisciplinate che danno problemi ai contadini. Argghhh!»
«È il prezzo che devi pagare per farti seguire da ottocento uomini» le fe-
ce notare Florian.
«Non mi seguono. Mi permettono di guidarli. Sono due cose completa-
mente diverse.»
«Andrà tutto bene, Ash» la rassicurò Florian, tranquillo. «Il nostro sti-
mato imperatore non vorrà privare il suo esercito di un cospicuo contin-
gente mercenario.»
«Spero che tu abbia ragione.»
«No, mio signore,» disse una voce qualche metro dietro di lei «il capita-
no Ash non è ancora arrivato. L'ho vista: una creatura mascolina. Proprio
così, ha lo stesso fisico di un uomo. Era in compagnia di una ragazzina di
strada quando l'ho vista nel lato nord ovest del nostro campo. Doveva far
parte del 'bagaglio' del suo contingente e la stava carezzando in maniera
disgustosa! La ragazzina si ritraeva ogni volta che veniva toccata. Ecco chi
è il vostro 'comandante donna.'»
Ash aprì la bocca per replicare, ma dopo aver visto Florian che arcuava
le sopracciglia, non si girò per correggere lo sconosciuto e si avvicinò a
uno dei capitani più anziani.
Gottfried di Innsbruck inclinò la testa in segno di saluto. «Bella scher-
maglia.»
«Speravo di ricevere rinforzi dalla città.» Ash scrollò le spalle. «Ma cre-
do che Hermann di Hesse non uscirà per attaccare.»
«Perché dovrebbe farlo?» domandò il cavaliere imperiale senza disto-
gliere lo sguardo dall'ingresso del padiglione. «Ha resistito otto mesi senza
il nostro aiuto, quando io non gli avrei dato otto giorni. Chi l'avrebbe mai
detto: una piccola città libera che sfida i Burgundi.»
«Una piccola città libera che si è ribellata contro il suo 'giusto governa-
tore', l'arcivescovo Ruprecht» rispose Ash con mal celato scetticismo.
Gottfried rise di gusto. «L'arcivescovo Ruprecht è un uomo del duca
Carlo, Burgundo fino all'osso. Ecco perché i Burgundi lo vogliono rimette-
re alla guida di Neuss. Suvvia, capitano Ash, potrebbe anche piacerti -
Ruprecht era il candidato preferito alla carica di arcivescovo per il padre di
questo duca. Sai quale regalo mandò Ruprecht al duca Filippo di Borgogna
dopo aver ricevuto l'incarico? Un leone! Un leone in carne e ossa!»
«Non era azzurro, però» li interruppe una voce tenorile. «Dicono che il
duca Carlo dorma con gli occhi aperti come un leone.»
Ash si girò di scatto per vedere chi aveva parlato. Non ci siamo già visti
da qualche parte? pensò.
Le accadeva spesso di riconoscere un cavaliere germanico che aveva
partecipato ad altre campagne. Lo degnò di uno sguardo superficiale: un
ragazzo molto giovane, doveva avere più o meno la sua età. Aveva le
gambe lunghe e indossava un'armatura leggermente fuori misura che forse
avrebbe riempito del tutto tra un anno o due. Portava un elmo gotico che
gli nascondeva gran parte del volto anche con la ventaglia alzata. Indossa-
va un farsetto e dei pantaloni infilati in un paio di stivali da cavallerizzo
verdi e bianchi con gli speroni.
Il piastrone gotico dal disegno aggraziato era un pezzo d'armatura molto
costoso per un uomo che non aveva partecipato a nessuno scontro.
Era accompagnato da due o tre armati che indossavano una divisa verde.
Mecklenburg? Scharnscott? pensò Ash, cercando di ricordare i colori delle
varie casate.
«Ho sentito dire» replicò in tono incurante «che dorme su una sedia di
legno con l'armatura indosso nel caso lo volessero cogliere di sorpresa.
Cosa che qualcuno di noi vorrebbe fare più degli altri...»
L'espressione del cavaliere divenne gelida.
«Una puttana vestita da uomo» sentenziò. «Un giorno, capitano, dovrai
dirci cosa te ne fai del batacchio.»
Robert Anselm, Angelotti e un'altra mezza dozzina di ufficiali si avvici-
narono. Ci siamo... pensò rassegnata.
Ash si guardò deliberatamente in mezzo alle gambe. «Mi serve per ap-
penderci un paio di guanti di riserva. Credo che anche voi facciate lo stes-
so.»
«Fica rotta!»
«Davvero?» Ash fissò deliberatamente la protuberanza in mezzo alle
gambe dell'uomo. «Non mi sembra che lo sia, comunque sembra che voi lo
sappiate meglio di me.»
Ogni uomo che estraeva un'arma nelle vicinanze della tenda dell'impera-
tore veniva ucciso immediatamente dalle guardie e nessuno si sorprese nel
vedere che il giovane cavaliere teneva la mano ben distante dalla spada.
Ash rimase stupita di fronte al sorriso d'apprezzamento che comparve sulle
labbra del giovane. Il sorriso di una persona dotata di una buona dose di
auto ironia.
Il giovane nobile si girò e prese a parlare con i suoi amici come se Ash
non gli avesse mai rivolto la parola, indicando con il guanto le colline co-
perte di pini a est. «A domani, allora! Andremo a caccia. C'è un cinghiale
maschio che arriva al garrese della mia cavalla baia.»
«Non era il caso che ti facessi un altro nemico» le borbottò Godfrey al-
l'orecchio. Il calore o la tensione l'avevano fatto impallidire.
«È impossibile farsi amico uno stronzo. Succede così tutte le volte»
spiegò Ash, sghignazzando. «È uno dei tanti signorotti. Noi siamo soldati.
Io ho fatto incidere 'Deus Vult' sulla mia spada - lui 'Puntare la parte affila-
ta contro il nemico'. 19 »
I suoi ufficiali scoppiarono a ridere. Uno sbuffo di vento agitò la bandie-
ra imperiale e per un secondo la luce del sole filtrò attraverso il tessuto
giallo e nero. Il profumo della carne arrostita si levava dalle tende che de-
19
Nel testo originale questo è un gioco di parole intraducibile basato sul
contrasto tra due parole germaniche e un oscuro dialetto fiammingo ormai
sparito. Ho attuato una sostituzione per cercare di conferire lo stesso
significato del testo originale. 'Deus Vult' significa 'Sia fatta la volontà di
Dio'.
limitavano il campo. Il suono del flauto che proveniva dalla tenda di Fede-
rico non copriva quella della voce stonata che cantava.
«Io e voi abbiamo lavorato per tutto questo. Ecco come funziona il
mondo. Sempre su e giù senza mai riposarsi.»
Fissò i componenti della sua scorta. Erano tutti soldati sui vent'anni. Tra
i suoi ufficiali riconosceva solo i volti familiari di Angelotti, Florian, Go-
dfrey e Robert Anselm, mentre gli altri proponevano il solito guazzabuglio
di caratteri: lo scettico, il pio, il ruffiano e il competente, ed erano tutti
nuovi. Avevano cominciato la campagna da tre mesi e Ash ormai conosce-
va tutti i suoi uomini per nome.
Due guardie con la divisa gialla e nera uscirono dalla tenda.
«E speriamo che sia finita per pranzo.» Ash si toccò i capelli. Il sole li
aveva asciugati. Girò la testa rischiando di far impigliare la sua folta chio-
ma tra le piastre dell'armatura.
«E...» Ash si diede una rapida occhiata intorno e vide che Florian de La-
cey era scomparso. «Cristo! Dov'è Florian? È andato di nuovo a pisciare?»
Lo squillo delle trombe zittì la piccola folla radunata nello spiazzo. Un
attimo dopo sei tra i nobili più influenti del regno e l'imperatore uscirono
dalla tenda. Ash assunse un portamento marziale. Rivide lo straniero del
meridione che pur essendo bendato camminava alle spalle del monarca con
passo sicuro, evitando accuratamente i picchetti e i tiranti della tenda.
«Capitano Ash» esordì l'imperatore Federico.
Ash si inginocchiò cautamente di fronte al vecchio regnante.
«In questo sedicesimo giorno di giugno, dell'anno del Nostro Signore
1476 20 » continuò l'imperatore «è nostro piacere premiarti per il valore di-
20
Questa parte della vicenda è raccontata in modo accurato tranne che
per un particolare. La schermaglia durante l'assedio di Neuss ebbe luogo il
16 giugno 1475 e non nel 1476. Comunque questo tipo di errore si trova
spesso nei documenti di quel periodo. Secondo il calendario giuliano, in
uso allora in diverse parti d'Europa, capodanno è datato all'inizio della
Pasqua, nel giorno di Nostra Signora (25 Marzo) o a Natale (25 dicembre);
dopo l'anno 1583, il calendario gregoriano datò nuovamente l'inizio di
questi anni al 1 gennaio.
L'unica cosa che posso consigliare al lettore è di consultare il commento
nella 'Prefazione e Note' della prima edizione del libro di Charles Mallory
Maximillian(1890):
'La versione germanica della vita di Ash narra eventi tanto stupefacenti,
da sembrare poco plausibili. Comunque, è indiscutibile che le gesta di Ash
mostrato sul campo contro il nostro nemico, il nobile duca di Borgogna.
Tuttavia ho pensato a lungo cosa potrebbe far piacere a un mercenario al
nostro servizio.»
«Denaro» dichiarò una voce pragmatica alle spalle di Ash, che non ebbe
il coraggio di voltarsi per zittire Angelotti con un'occhiataccia.
La pelle agli angoli degli occhi di Federico si raggrinzì in maniera im-
percettibile. Il piccolo uomo che adesso indossava un abito blu e azzurro
giunse le mani inanellate e abbassò gli occhi per fissarla.
«Non ho oro da donare» disse Federico. «E neanche possedimenti per-
ché non sarebbe decoroso offrirli a una donna che non ha un uomo a di-
fenderla.»
Ash alzò la testa, stupefatta. «Vi sembro una donna che ha bisogno di
essere difesa?» chiese, dimenticandosi dell'etichetta.
Cercò di ricacciarsi in gola le parole nel momento stesso in cui le pro-
nunciava, ma non ci riuscì. La voce dell'imperatore coprì la sua: «Né posso
nominarti cavaliere perché sei una donna. Comunque ti premierà con dei
possedimenti, anche se di seconda mano. Ash, tu sposerai il nobile qui
presente: ho promesso a sua madre, che è mia cugina di quarto grado, che
gli avrei combinato un matrimonio e così ho fatto. Questa è la tua sposa,
Lord Fernando del Guiz.»
L'imperatore indicò un giovane. Ash seguì la mano e vide solo il cava-
liere con il quale aveva avuto il battibecco pochi attimi prima. L'imperato-
re sorrise con aria incoraggiante.
Ash rimase senza fiato e da quello che poteva vedere, malgrado l'elmo
gli nascondesse buona parte del volto, anche il giovane era impallidito.
«Sposarmi!» Ash aveva lo sguardo fisso. «Con quello?»
«Non sei contenta, capitano?»
Dolce Cristo! pensò Ash. Sono nel mezzo del campo di Sua Grazia l'im-
peratore del Sacro Romano Impero, Federico HI, il secondo sovrano più
potente di tutta la cristianità, e mi trovo sotto gli occhi dei suoi vassalli più
potenti. Non posso rifiutare. Ma un matrimonio! Non ho mai neanche pen-
sato al matrimonio!
Era consapevole degli sguardi di tutti quei potenti. Le sue mani appog-
giate sulla coscia erano callose. Il pomello della spada batteva contro il
piastrone dell'armatura e solo allora si rese conto che stava tremando.

sono descritte in maniera accurata da fonti storiche degne della massima


fiducia. 'Quindi, possiamo perdonare l'errore di datazione insito in questi
documenti.'
Dannazione, ragazza! pensò. Ti sei dimenticata per l'ennesima volta di
essere una donna. Loro non lo fanno mai. Adesso si tratta di dire sì o no.
Fece la cosa che le permise di allontanare la paura e l'umiliazione.
Ash alzò la testa fissando il monarca, perfettamente consapevole del
quadro che rappresentava: una ragazza dallo sguardo impavido e fiero con
le guance sfregiate e i capelli argentei che le scendevano fino alla vita si-
mili a un mantello.
«Non posso dire nulla, Vostra Maestà Imperiale. Un tale riconoscimen-
to, una tale generosità e un tale onore - vanno al di là di qualsiasi cosa mi
aspettassi e mi meritassi.»
«Alzati.» Federico la prese per mano. Ash sapeva che il monarca si era
accorto del sottile strato di sudore che le imperlava il palmo ed ebbe l'im-
pressione che sulle sue labbra fosse apparso un lievissimo accenno di sor-
riso. L'imperatore allungò la mano libera con un gesto carico d'autorità,
prese quella molto curata del giovane e la posò su quella di Ash. «Che
nessuno osi dire il contrario, essi saranno marito e moglie!»
Ash rimase assordata dall'applauso e dalle ovazioni dei lacchè. Continuò
a stringere la mano sudata quanto la sua del giovane nobile e si girò a fis-
sare i suoi ufficiali.
Che cavolo faccio, adesso? si chiese.

II

Una pioggia torrenziale cadeva su Colonia. Le gargoyle e le grondaie del


palazzo imperiale incanalavano l'acqua per poi farla cadere nei cortili. Le
gocce tamburellavano rumorosamente contro i vetri delle finestre produ-
cendo un rumore simile al fuoco di una fila di archibugi21 . I capitelli color
marrone delle colonne brillavano ogni qualvolta uno sprazzo di luce filtra-
va attraverso la spessa coltre di nubi.
Dentro una stanza, Ash si trovava faccia a faccia con la sua futura suoce-
ra.
«Tutto-ciò-è-bellissimo...» protestò Ash «... ma io devo tornare alla mia
compagnia! Ieri mi hanno scortato fuori da Neuss così velocemente che
non ho avuto modo di parlare con i miei ufficiali!»
«Devi vestirti da donna per il tuo matrimonio» replicò secca Costanza
del Guiz, incespicando sull'ultima parola.
21
Uno dei primi esempi di armi da fuoco portatili che risalgono al
quattordicesimo secolo.
«Con tutto il rispetto dovuto, mia signora - io ho sotto contratto circa ot-
tocento tra uomini e donne giù a Neuss che hanno l'abitudine di essere
pagati! Devo tornare indietro e spiegare loro i vantaggi di questo matrimo-
nio.»
«Sì, sì...» Costanza del Guiz era una bella donna, ma non era robusta
come il figlio. Indossava un abito lungo di velluto rosa che le copriva il
petto poco prosperoso per poi allargarsi vistosamente sui fianchi. Portava
una sottogonna di broccato rosso e argento. Rubini e smeraldi le ornavano
sia il cerchietto che portava sulla testa sia la cintura dalla quale pendevano,
assicurati a una catena, un mazzo di chiavi e un borsellino.
«La mia sarta non può lavorare se continui a muoverti. Stai ferma, ti
prego» la implorò Costanza.
Il cerchietto imbottito pesava sulla testa di Ash come un piccolo anima-
le.
«Possiamo fare più tardi. Adesso devo andare dai miei soldati!»
«Dolce bambina mia, come ti aspetti che possa organizzare un matrimo-
nio con una sola settimana d'anticipo? Federico! Potrei ucciderti!» Costan-
za del Guiz gratificò Ash di uno sguardo colmo di rimprovero. Ash aveva
notato il modo in cui aveva pronunciato il nome dell'imperatore. «E tu non
sei di nessun aiuto, bambina. Prima volevi sposarti con l'armatura...»
Ash abbassò la testa per osservare la sarta che armeggiava con aghi e
spilli intorno ai lembi del vestito. «Questo è il vestito, giusto?»
«È una sottoveste nei colori del vostro stendardo.» La donna, che dove-
va essere sulla cinquantina, portò le dita alle labbra tremanti. Stava per
piangere. «Ho impiegato tutto il pomeriggio per convincervi a togliervi il
farsetto e i pantaloni!»
Qualcuno bussò alla porta e la cameriera fece entrare un uomo tozzo con
il volto incorniciato da una folta barba. Ash si girò verso padre Godfrey
Maximillian, fece per muoversi, ma la fine sottoveste di lino che giaceva
abbandonata intorno alle caviglie la fece inciampare. «Cazzo!»
La sarta, le due apprendiste della sarta, due cameriere e la futura suoce-
ra, smisero di parlare e la fissarono. Costanza del Guiz arrossì.
Ash si fece piccola e cominciò a guardare fuori dalla finestra chiaramen-
te a disagio, decidendo al tempo stesso che non sarebbe stata la prima a
riprendere a parlare.
«Fiat lux, mia signora. Capitano.» L'acqua gocciolava dal cappuccio di
Godfrey Maximillian. Lo abbassò con calma, fece il segno della croce al-
l'effigie del Cristo Verde custodita in una nicchia ricavata nella parete,
quindi sorrise ai presenti. «Sia lode all'Albero.»
«Ci sono anche Florian e Roberto?» gli chiese Ash.
Anselm aveva lavorato molto in Italia insieme ad Antonio Angelotti e
c'erano ancora dei vecchi membri della compagnia che non usavano il suo
nome inglese, Robert. Tra tutti gli ufficiali era lui quello con il quale era
più ansiosa di parlare.
«Florian sembra sparito nel nulla, non riesco a trovarlo. Robert si sta oc-
cupando della compagnia in tua vece.»
E tu dove sei stato? Ti aspettavo otto ore fa, pensò Ash, torva. Potevi
almeno pulirti e presentarti con un aspetto decente! Sto cercando di con-
vincere questa donna che non sono uno scherzo della natura e tu ti presenti
sporco di fango come un prete di campagna!
Godfrey, che aveva visto l'espressione di disappunto sul volto di Ash, si
girò verso Costanza del Guiz e disse: «Mi dispiace dovermi presentare in
questo stato, mia signora. Ho cavalcato fin qua da Neuss perché gli uomini
del capitano Ash hanno bisogno di alcuni consigli per risolvere delle que-
stioni di una certa urgenza.»
«Oh.» La nobildonna rimase genuinamente sorpresa. «Hanno bisogno di
lei? Pensavo che fosse solo un simbolo. Ho sempre creduto che una banda
di soldati funzionasse meglio quando non ci sono donne in circolazione.»
Ash aprì la bocca, ma la giovane cameriera le calò una veletta sul volto.
Il prete scosse inavvertitamente il mantello infangato sui rotoli di stoffa
della sarta. «I soldati non si fanno comandare da un simbolo, mia signora.
Un simbolo non può radunare intorno a sé una compagnia di quasi mille
uomini che nel corso di tre anni è diventata la più richiesta dai nobili ger-
manici.»
Costanza del Guiz fissò Ash, attonita. «Padre, non mi starete dicendo
che lei effettivamente...»
«Comando una compagnia mercenaria» terminò Ash. «Ed è per questo
che ho bisogno di tornare indietro. Non siamo mai stati pagati con un ma-
trimonio. Li conosco bene. A loro non piacerà. Quelli vogliono solo dena-
ro sonante.»
«Comandante di un'unità mercenaria» ripeté Costanza, come se stesse
pensando ad altro, quindi si girò verso Ash e il profilo delle sue labbra,
solitamente molto dolce, si indurì. «Cosa passa per la testa di Federico? Mi
aveva promesso un buon matrimonio per mio figlio!»
«A me ha promesso delle terre» replicò Ash, cupa.
Godfrey rise.
«Ci sono già state delle donne che hanno guidato gli eserciti in batta-
glia» sbottò Costanza. «Quella prostituta asessuata di Margherita d'Angiò
si è giocata il trono d'Inghilterra che apparteneva al suo povero marito.
Non ti permetterò di fare lo stesso con mio figlio. Sarai anche rozza e ma-
leducata, forse i tuoi genitori erano contadini, ma non sei malvagia. Posso
insegnarti le buone maniere. Dopo che avrai sposato mio figlio, farò in
modo che la gente si dimentichi molto in fretta chi eri.»
«Stron... Stupidaggini!» Ash alzò le braccia in risposta allo strattone del-
la sarta. Una delle cameriere le infilò l'abito e cominciò ad abbottonarlo.
La sarta le mise la cintura.
«Faccio meno fatica a infilarmi l'armatura» borbottò Ash.
«Lady Ash sarà una compagna perfetta per vostro figlio Fernando, ne
sono certo» disse Godfrey, impassibile. «Proverbi, capitolo quattordici,
versetto uno: la donna savia edifica la sua casa: ma la stolta la sovverte con
le sue mani22 .'»
Qualcosa nel tono della citazione fece in modo che Ash fulminasse il
prete con un'occhiataccia.
Anche Costanza del Guiz fissò il prete. «Un momento, Padre. Mi state
dicendo che questa ragazza è anche la proprietaria della compagnia?»
«Proprio così. I suoi uomini sono sotto contratto.»
«Quindi suppongo che sia benestante?»
Ash premette un polso contro la bocca per non scoppiare a ridere. «Be-
nestante quando ci riesco!» disse allegra. «Quei bastardi devono essere
pagati. Voglio dire, quegli uomini devono essere pagati... oh, merda. Non
ci riuscirò mai!»
«Conosco Ash fin da bambina, mia signora» esordì Godfrey in tono a-
stuto «e vi posso assicurare che è perfettamente in grado di passare dalla
vita del campo a quella della corte senza alcun problema.»
Grazie! pensò Ash, lanciando un'occhiata colma d'ironia in direzione del
prete, che fece finta di niente.
«Ma è il mio unico figlio.» Costanza portò le dita alla labbra. «Certo,
Padre. Chiedo scusa, devo organizzare un matrimonio in un batter d'oc-
chio... e le sue origini... il fatto che non abbia famiglia...»
Costanza del Guiz si tamponò l'angolo di un occhio con il velo ricorren-
do a un gesto studiato ad arte, quindi si girò ad osservare Ash che lottava
22
Sebbene si tratti di una traduzione postuma, circa 135 anni dopo la
stesura dei testi su Ash, io ho scelto la Versione della Bibbia autorizzata da
Re Giacomo (1611) in quanto più accessibile al lettore moderno.
con il vestito e si rilassò lasciando che un sorriso sincero le affiorasse sulle
labbra.
«Nessuno di noi si aspettava una decisione simile da parte dell'imperato-
re, ma penso che ci riusciremo. I tuoi uomini aumenteranno il prestigio di
mio figlio e tu puoi diventare molto carina, piccola mia. Lascia che ti vesta
in maniera appropriata e nasconda quelle cicatrici con della biacca di
piombo. Vorrei che ti presentassi davanti alla corte come l'orgoglio della
famiglia del Guiz e non come la vergogna.» Costanza aggrottò la fronte.
«Specialmente se verrà anche zia Jeanne di Borgogna, cosa che dovrebbe
fare, anche se siamo in guerra con loro. La famiglia del padre di Fernando
ha sempre pensato di avere tutti i diritti di entrare in casa mia e criticarmi.
Li incontreremo tra poco.»
«No.» Ash scosse la testa. «Devo tornare a Neuss. Oggi.»
«No! Non finché non ti avrò vestita e preparata per il matrimonio.»
«Ascolta...» Ash separò i piedi e piantò i pugni sui fianchi. Le cuciture
all'altezza delle spalle gemettero in maniera allarmante per poi cedere un
attimo dopo.
L'abito azzurrò le scivolò fino alla cintura, che si inclinò. Il cerchietto
che portava tra i capelli scivolò pericolosamente rischiando di cadere.
Ash sbuffò per spostare la veletta che le era caduta sul volto.
«Bambina mia...» disse Costanza, triste. «Sembri un sacco di grano
chiuso con lo spago.»
«Allora ridatemi i miei pantaloni e il farsetto.»
«Non puoi sposarti vestita da uomo!»
Ash sghignazzò e disse: «Dillo a Fernando. Non mi importa nulla se
vuole vestirsi da...»
«Oh!»
Godfrey Maximillian incrociò le mani sul ventre, studiò per un attimo il
suo capitano e, decisione poco saggia da parte sua, decise di dire ciò che
pensava. «Non mi ero mai accorto che sembri più bassa quando indossi un
vestito.»
«Sono più alta su un maledetto campo di battaglia!» Ash gettò via il cer-
chietto e il velo, sussultando quando gli aghi le strapparono i capelli. Igno-
rò le proteste della sarta.
«Non puoi andartene!»la implorò Costanza del Guiz.
«Davvero?» Ash attraversò la stanza a grandi passi con la sottoveste che
sventolava sopra le ciabatte. Prese il mantello bagnato del prete e se lo
avvolse intorno alle spalle. «Andiamo via, Godfrey. Abbiamo un altro ca-
vallo della compagnia?»
«No. Ho solo il mio.»
«Perfetto. Lo cavalcheremo in due. Sono veramente molto dispiaciuta,
lady Costanza.» Ash esitò e gratificò la donna minuta di un sorriso rassicu-
rante, rimanendo stupita di se stessa. «Devo andare dai miei uomini, ma
tornerò. Devo. Vostro figlio è un regalo dell'imperatore Federico, non pos-
so non sposarlo!»

Ci fu qualche discussione al cancello nord ovest di Colonia: una donna


che cavalcava a capo scoperto accompagnata solo da un prete? Ash diede
dei soldi alle guardie apostrofandole con un frasario da soldato e alla fine
riuscì a uscire spacciandosi per una prostituta con il suo pappone.
«Mi dici cosa ti preoccupa?» chiese a Godfrey, un'ora dopo.
«No. A meno che non diventi necessario.»
Le condizioni della strada fecero durare il viaggio due giorni e non uno.
Ash ribolliva di rabbia. Il primo giorno di viaggio aveva stremato il caval-
lo e lei dovette comprarne uno nella fattoria dove erano stati ospitati. Ri-
presero il viaggio sotto la pioggia battente e dopo qualche ora avvertirono
nell'aria il puzzo di un campo militare: ormai erano vicini a Neuss.
«Non ti chiedi come mai» chiese Ash sghignazzando «conosco cento e
trentasette parole per definire le malattie dei cavalli? È ora di combinare
qualcosa di meglio. Svegliamoci!»
Godfrey fermò il cavallo e attese. «Cosa ne pensi della vita che le donne
conducono al castello?»
«Dico che un giorno e mezzo di quella vita è fin troppo per me.» Ash
smise di prestare attenzione al suo cavallo, che ne approfittò per rallentare.
Il vento cambiò direzione e lei alzò gli occhi per fissare le nuvole che co-
minciavano a diradarsi.
«Sono abituata alla gente che si gira ogni volta che entro in una stanza.
Ma questa volta ero insieme a Costanza. Ci guardavano entrambe, è vero,
ma non per lo stesso motivo!» Socchiuse gli occhi divertita. «Sono abitua-
ta a persone che si aspettano ordini da me, Godfrey. Al campo senti dire:
'Cosa facciamo adesso, Ash?' A Colonia dicono: 'Chi è quello strano esse-
re?'»
«Sei sempre stata una ragazzaccia autoritaria» le fece notare Godfrey.
«E se ci pensi bene sei sempre stata piuttosto strana.»
«Ed è per la mia stranezza che mi hai sottratta alle grinfie delle suore,
giusto?»
Il religioso si carezzò il pizzo e le fece l'occhiolino. «Mi piace avere una
donna strana.»
«Bella cosa da dire per un prete casto!»
«Se vuoi un miracolo per te e la tua compagnia è meglio tu che preghi e
rimanga casta.»
«Certo che ho bisogno di un miracolo. Finché non sono arrivata a Colo-
nia pensavo che l'imperatore mi avesse fatto uno scherzo.» Ash premette i
talloni contro i fianchi del cavallo che riprese a muoversi. La pioggia co-
minciò a diminuire.
«Andrai fino in fondo a questa storia, Ash?»
«Certo. Costanza indossava degli abiti che costavano più di quello che
ho guadagnato nelle ultime due campagne.»
«E se la compagnia avesse qualcosa in contrario?»
«Andranno a quel paese perché non gli lascerò prendere dei prigionieri
per chiedere il riscatto. Esulteranno quando sapranno che si tratta di un
matrimonio ricco. Avremo della terra. Tu sei l'unico che ha qualcosa in
contrario, Godfrey, e non mi dici perché.»
La sorprendente autorità della donna e il riserbo preoccupato del prete si
confrontarono nei loro sguardi per qualche secondo. «Solo se è necessa-
rio» ripeté il prete.
«Alle volte sei un vero tormento divino, Godfrey.» Ash si tolse il cap-
puccio. «Adesso vediamo se riusciamo a radunare i comandanti delle lance
nello stesso luogo e tutti insieme.»
Erano in vista del lato sud est del campo imperiale. I carri incatenati tra
loro a formare il fortino fumavano a causa dell'acqua che evaporava, e
lungo le fiancate metalliche dei carri da guerra cominciavano a comparire
le prime tracce di ruggine23 .
All'interno del perimetro difensivo Ash scorse un arcobaleno di colori
formato dagli stendardi che colavano acqua. I tetti conici delle tende si
erano infossati, i pali inumiditi e le corde tese gocciolavano. Ci vollero
cinque minuti abbondanti prima che le guardie si facessero sentire.
23
Questi bizzarri veicoli sono molto somiglianti ai 'carri da guerra'
trainati da cavalli usati dagli Ussiti nel 1420, cinquant'anni prima dei fatti
narrati in queste pagine. I soldati dell'Europa dell'Est sembra che li
abbiano usati come piattaforme mobili per i primi pezzi d'artiglieria.
Comunque i carri 'dalle fiancate in metallo' descritti dal del Guiz sono
inesistenti anche perché nel caso fossero stati costruiti veramente sarebbe
stato necessario un tiro di cavalli spropositato per muoverli.
Euen Huw superò il cancello con una gallina sotto il braccio, si fermò e
la fissò stupefatto. «Capo? Hai un bel vestito, lo sai?»
Ash guardò fissa davanti a sé con aria rassegnata mentre il cavallo avan-
zava nel passaggio tra i carri e le tende. Antonio Angelotti la raggiunse di
corsa qualche secondo dopo con le mani ingiallite dal fosforo.
«Non ti avevo mai vista con un vestito così bello, capo. Stai bene. Ti sei
persa tutto il trambusto!» Il bel volto dell'artigliere si illuminò. «Araldi che
venivano dal campo burgundo. Araldi che partivano dal campo imperiale.
Proposte e tutto il resto.»
«Proposte?»
«Certo. Sua Maestà Federico dice al duca Carlo di levare l'assedio e ar-
retrare di trenta, trentacinque chilometri, dopodiché anche noi arretreremo
della stessa distanza in tre giorni.»
«E il duca Carlo sta ancora ridendo, giusto?»
Angelotti scosse la testa. «Si dice che accetterà. L'imperatore e la Bor-
gogna firmeranno un trattato di pace.»
«Merda» imprecò Ash con il tono di una persona che fino a pochi minuti
prima sapeva esattamente come dar da mangiare a ottocento persone tra
soldati svitati, donne e bambini per i prossimi tre mesi e ora doveva esco-
gitare qualcosa di diverso, e anche in fretta. «Dolce Cristo. Pace. Ecco
finito il nostro assedio estivo.»
Angelotti si mise a camminare a fianco del cavallo. «E il tuo matrimo-
nio, Madonna? L'imperatore non era serio, vero?»
«Cavoli se lo era!»
Continuarono ad attraversare il campo e dopo dieci minuti arrivarono
davanti ai ripari a forma di A e all'area riservata ai cavalli che si trovava
all'angolo nord ovest dell'insediamento. La gonna le si era appiccata alle
gambe a causa dell'umidità e da azzurra era diventata blu scuro e il mantel-
lo di Godfrey si era inzuppato a tal punto che le era ricaduto oltre le spalle
mettendo in evidenza l'abito lungo e la camicia.
La sua compagnia era separata dal resto del campo imperiale da una pa-
lizzata provvisoria. La cosa non era piaciuta al quartiermastro del campo
finché Ash non gli aveva spiegato che solo tenendo i suoi uomini confinati
all'interno della palizzata avrebbe impedito loro di rubare qualsiasi cosa
non fosse stata inchiodata a terra. Lo stendardo bagnato del Leone Azzurro
spiccava sul cancello.
La guardia, un lanciere di Ned Aston, alzò gli occhi e fece un inchino
perfetto.
«Bel vestito capo!»
«Vaffanculo!»
Pochi minuti dopo Anselm, Angelotti e Godfrey erano a rapporto nella
tenda di Ash. Mancavano gli ufficiali di grado inferiore e Florian de La-
cey.
«Sono fuori a borbottare tra di loro. Li farò entrare quando avremo da
dire qualcosa.» Robert si tolse il cappuccio. «Dicci in quale bel casino ci
troviamo.»
«Nessun casino, questa è un'occasione coi fiocchi!»
Geraint ab Morgan entrò nella tenda interrompendola. «Salve, capo.»
Geraint, uno dei nuovi sergenti degli arcieri, era un uomo dalle spalle
larghe con i capelli castano chiaro tagliati a spazzola, dritti come gli aculei
di un porcospino. Aveva gli occhi perennemente iniettati di sangue. Men-
tre entrava Ash notò che i bottoni che collegavano la parte posteriore del
farsetto a quella dei pantaloni erano aperti. La maglia spuntava dall'apertu-
ra mettendo in evidenza le mutande strappate dalle quali faceva capolino la
fenditura delle natiche.
Consapevole di essere giunta inattesa, Ash non disse nulla, ma fulminò
il sergente con un'occhiata che lo indusse a spostare lo sguardo sulle armi
appese alle aste del tetto per evitare che assorbissero troppa umidità dal
terreno.
«Rapporto giornaliero» ordinò Ash, secca.
Geraint si grattò una natica. «I ragazzi sono rimasti nei carri per due
giorni a pulire le armi per non prendere la pioggia. Jacobo Rossano ha cer-
cato di truffare due Fiamminghi e questi gli hanno detto di andare al diavo-
lo. Lui non si è offeso. Henri de Treville è stato arrestato dalla polizia mili-
tare perché era ubriaco e ha cercato di bruciare il cuoco.»
«Non mi stai dicendo che ha cercato di dare fuoco al carro del cuoco,
vero?» chiese Ash. «Vuoi dire che ha cercato di bruciare il cuoco.»
«Qualcuno ha detto che gli assediati di Neuss mangiano meglio di noi»
disse Florian de Lacey mentre entrava sporco di fango fino alle ginocchia.
«Si dice che i topi siano una delizia in confronto a quello che cucina Wat
Rodway...»
«Dio ci manda la carne e il diavolo i cuochi inglesi» commentò Angelot-
ti ridendo.
«Ne ho abbastanza dei tuoi proverbi milanesi!» Ash si diede uno schiaf-
fo sulla fronte. «Bene. Nessuno è riuscito a truffare i nostri. Almeno per il
momento. Altro?»
Robert Anselm si fece avanti ansioso di parlare. «Sigismondo del Tirolo
si ritira, dice che Federico non combatterà affatto contro i Burgundi. Tra il
duca Carlo e Sigismondo non corre buon sangue da quando Sigismondo
perse Héricourt nel '74. I suoi uomini hanno litigato con gli arcieri di Gof-
fredo di Innsbruck. Oratio Farinetti e Henri Jacque si sono scontrati e il
chirurgo si è preso due morti dalla mischia.»
«Non credo ci sia stato nessuno scontro con il nemico, giusto?» Ash si
diede un secondo schiaffo sulla fronte con fare più teatrale. «No, no, che
stupida - non abbiamo bisogno di un nemico. Nessun esercito feudale ne
ha bisogno. Cristo mi preservi dalla nobiltà faziosa!»
Un raggio di sole penetrò nella tenda. L'acqua che non era ancora evapo-
rata prese a luccicare. Ash vide gli uomini con le divise blu e gialle che
uscivano dai ripari per accendere i fuochi, spillare la birra dai barili e rove-
sciare i tamburi al contrario al fine di usarli come tavolo per giocare a car-
te. Le voci cominciarono a echeggiare ovunque.
«Giusto. Robert, Geraint, fate uscire i ragazzi e dite ai comandanti delle
lance di dividerli in due squadre, i rossi contro i blu, dopo portateli fuori
dal recinto dei carri e fateli giocare a calcio.»
«Calcio? Quel fottuto gioco inglese?» Florian la fissò in cagnesco. «Lo
sai che provoca più feriti di una schermaglia?»
Ash annuì. «Ci ho pensato... Rickard! Rickard! Dov'è quel ragazzo?»
Lo scudiero entrò di corsa nella tenda. Aveva quattordici anni, i capelli
neri e le sopracciglia folte. Era molto consapevole della sua bellezza e a-
veva più di un problema a tenere a freno i suoi istinti.
«Corri dalla polizia militare e di' loro che i rumori che sentiranno al di
fuori del fortino non sono una zuffa, ma un gioco.»
«Sì, mia signora!»
Robert Anselm si grattò la testa pelata. «Non aspetteranno ancora per
molto, Ash. Negli ultimi due giorni i capi delle lance non hanno fatto altro
che venire da me quasi ogni ora.»
«Lo so. Quando avranno esaurito le loro energie» continuò Ash «falli
radunare. Devo parlare a tutti, non solo agli ufficiali. Vai!»
«Spero che tu abbia qualcosa di convincente da dire loro!»
«Abbi fede.»
Anselm uscì insieme a Geraint e rimasero solo il chirurgo, il prete e il
paggio.
«Quando esci, Rickard, mandami Philibert. Deve aiutarmi a vestirmi.»
Ash fissò il suo paggio anziano uscire dalla tenda.
«Rickard sta diventando troppo vecchio» disse con fare assente, rivol-
gendosi a de Lacey. «Devo promuoverlo a scudiero e trovarmi un altro
paggio di dieci anni.» Un bagliore le illuminò gli occhi. «Questo è un pro-
blema che non hai, Florian. Sono costretta ad avere dei paggi che non sia-
no ancora entrati nel periodo della pubertà, altrimenti le puttane ricomin-
ciano a spettegolare. 'Non è un vero capitano, se la fa con i suoi ufficiali e
quelli la lasciano andare in giro in armatura! ' Che vadano all'inferno!»
Rise. «Comunque il piccolo Rickard è diventato fin troppo carino per i
miei gusti. Mai scoparsi un sottoposto!»
Florian de Lacey si accomodò su una sedia di legno, posò le mani sulle
cosce e la gratificò di uno sguardo sardonico. «L'intrepido capitano merce-
nario che fa gli occhi dolci a un giovane innocente - a parte il fatto che non
ricordo l'ultima volta in cui sei andata a letto con qualcuno, Rickard si è
passato metà delle prostitute del campo ed è venuto da me perché si è bec-
cato le piattole.»
«Davvero?» Ash scrollò le spalle. «Beh... non posso portarmi a letto
nessuno della compagnia perché verrei accusata di favoritismi. E tutti
quelli che non sono soldati mi dicono: 'Sei una donna e fai cosa?'»
Florian si alzò e diede un'occhiata fuori dalla tenda facendo ondeggiare
lentamente la coppa di vino che teneva in mano. Non era un uomo molto
alto: aveva le spalle curve come i ragazzini che crescono più rapidamente
dei loro coetanei e non imparano a farsi valere. «E adesso ti sposi.»
«Yippee!» esultò Ash. «Non cambierà nulla, solo che avremo delle en-
trate dalle terre. Fernando del Guiz può stare nel castello e io mi occuperò
dell'esercito. Può trovarsi qualche bambinetto carino e io sarò felicissima
di guardare dall'altra parte. Il matrimonio? Nessun problema.»
Florian continuò a fissarla con uno sguardo colmo d'ironia. «A giudicare
da quello che hai detto, vedo che non hai fatto molta attenzione a quanto
sta succedendo.»
«So che il tuo matrimonio è stato difficile.»
«Oh.» Il chirurgo scrollò le spalle. «Esther preferì Joseph a me, capita
spesso che le donne preferiscano i figli ai mariti. Almeno non mi ha igno-
rato per un altro uomo...»
Ash cercò di slacciare il corpetto, ma non ci riuscì e si girò per farsi aiu-
tare da Godfrey. «Florian, c'è ancora una cosa che voglio sapere prima di
uscire a parlare ai ragazzi» disse Ash, mentre il prete armeggiava con i
lacci. «Come mai sei sparito ultimamente? Mi sono girata ed eri scompar-
so. Cosa significa Fernando del Guiz per te?»
«Ah!» Florian cominciò a passeggiare visibilmente irritato lungo il pe-
rimetro della tenda, quindi fissò Ash dritta negli occhi e disse: «È mio fra-
tello.»
«Tuo cosa?» disse Ash, strabuzzando gli occhi.
Sentì che Godfrey aveva smesso di armeggiare con i lacci. «Fratello?»
«Fratellastro, per essere più precisi. Abbiamo lo stesso padre.»
Ash si accorse che la parte alta del vestito era stata slacciata e scrollò le
spalle per farlo scivolare via. Il prete si dedicò a slacciare la sottoveste.
«Hai un fratello nobile?»
«Beh, lo sapevamo tutti che Florian è un aristocratico.» Godfrey esitò.
«Vero?» Andò al tavolino da campo e si versò una coppa di vino. «Pensa-
vo che lo sapessi, Ash.»
«Ho sempre pensato che appartenessi alla casata burgunda e non a quel-
la imperiale, Florian.»
«Esatto. Vengo da Digione in Borgogna. Quando mia madre morì, mio
padre sposò una nobile di Colonia.» Il chirurgo biondo scrollò le spalle.
«Fernando è molto più giovane di me, ma è pur sempre il mio fratellastro.»
«Cristo Verde in cima all'Albero!» esclamò Ash. «Per le Corna del To-
ro!»
«Florian non è l'unico uomo della compagnia sotto falso nome. Siamo
pieni di criminali, debitori e fuggiaschi.» le fece notare Godfrey, quindi,
dopo essersi reso contro che Ash non avrebbe bevuto il vino, svuotò la
coppa in un solo sorso dopodiché l'allontanò dalle labbra disgustato. «Quel
cantiniere ci ha venduto altra immondizia. Ash, io penso che Florian vo-
glia stare lontano dalla sua famiglia perché nessuna famiglia aristocratica
tollererebbe la presenza di un chirurgo militare tra di loro - non è così,
Florian?»
Il chirurgo sorrise, tornò a sedersi e mise i piedi sul tavolo di Ash. «Pro-
prio così! Tutti e due i rami della famiglia del Guiz sia quello burgundo
che quello germanico, avrebbero un infarto se sapessero che sono un dotto-
re. Preferirebbero sapere che sono morto in un canale chissà dove. Inoltre,
gli altri medici non sono d'accordo con i miei metodi di ricerca.»
«Un cadavere di troppo sparito da Padova24 , suppongo» azzardò Ash,
recuperando un po' di contegno. «Da quanto tempo ci conosciamo?»
«Cinque anni?» chiese Florian.
«E me lo dici solo adesso?»
«Pensavo lo sapessi» Florian distolse lo sguardo e si grattò uno stinco
24
Al tempo Padova era sede di una famosissima università di medicina.
con la mano sporca. «Pensavo che conoscessi tutti i miei segreti.»
Ash lasciò scivolare a terra il vestito e uscì dal mucchio di seta e brocca-
to che si era formato ai suoi piedi. La camicia era abbastanza fine dà la-
sciare intravedere il profilo del seno pieno e i capezzoli.
Florian le sorrise, momentaneamente distratto dalla vista. «Ecco quello
che chiamo un bel paio di tette. Buon Dio, donna! Come fai a tenere tutta
quella roba sotto il giustacuore? Un giorno devi permettermi di guardarle
meglio...»
Ash si tolse la camicia e rimase nuda davanti al chirurgo con le mani sui
fianchi. «Sì, certo - il tuo interesse è puramente professionale. Me l'hanno
detto tutte le ragazze del campo!»
Florian sbirciò maliziosamente con la coda dell'occhio. «Fidati. Sono un
dottore.»
Godfrey non rise. Stava guardando fuori dalla tenda. «Sta arrivando il
piccolo Philibert. Non trovi che sia tutto molto ridicolo, Florian? Potresti
provare a parlare con tuo fratello. Non pensi che questa sia un'ottima occa-
sione per una riunione familiare?»
«No» rispose Florian, serio.
«Puoi riconciliarti con la tua famiglia - benedite quelli che vi persegui-
tano: benediteli e non malediteli25 . Inoltre potresti suggerire a tuo fratello
di non sposare Ash.»
«Non posso. L'ho riconosciuto solo dai simboli della nostra casata. Non
l'ho più incontrato da quando eravamo bambini e intendo continuare a non
incrociarlo.»
La voce era leggermente tesa. Ash fissava i due uomini dimenticandosi
del tutto di essere nuda. «Non dovete essere contrari a questo matrimonio,
ragazzi. È un evento che apre nuovi orizzonti per la compagnia. Potremo
avere un posto dove tornare in inverno, e dei profitti.»
Lo sguardo di Florian era inchiodato sul volto del prete. «Ascoltala, pa-
dre Godfrey. Ha ragione.»
«Ma non deve sposare Fernando del Guiz!» La voce del prete che si al-
zava di un'ottava ricordò ad Ash quella di un giovane diacono che aveva
incontrato al convento di santa Herlaine otto anni prima. «Non deve!»
«Perché no?»
«Già, perché no?» chiese anche Ash. «Vieni, Phili, prendimi un farsetto
e i pantaloni. Quello verde con le striature argento dovrebbe andare bene.
Perché no, Godfrey?»
25
Romani 12: 14.
«Ho aspettato, ma tu no. Davvero non ti ricordi del suo nome? Non ri-
cordi il suo volto?» Godfrey era un uomo robusto, non solo grasso, e indi-
pendentemente dal fatto di essere anche un prete era in grado di incutere il
timore reverenziale tipico delle persone di grossa taglia, ma in quel mo-
mento sembrava indifeso. Si girò verso Florian punzecchiandolo ripetuta-
mente con un dito. «Ash non può sposare tuo fratello perché l'ha già incon-
trato!»
«Sono sicuro che il nostro spietato condottiero ha incontrato diversi no-
bili idioti.» Florian cominciò a pulirsi le unghie. «Fernando non sarà il
primo né il peggiore.»
Godfrey si fece da parte per lasciare passare il paggio. Ash si mise la
maglia, quindi si sedette su un baule e infilò il farsetto di lana verde e i
pantaloni. Allungò le braccia e il ragazzino le infilò le maniche abbotto-
nandole alle spalle.
«Vai a vedere la partita, Phili, e torna a dirmi quando hanno finito.» Gli
scompigliò i capelli. Appena il ragazzino uscì, Ash cominciò a chiudere i
lacci del farsetto. «Avanti, Godfrey, parla, cosa ti turba? Hai ragione, ho
già visto quel volto. Tu come fai a conoscerlo?»
Godfrey Maximillian distolse lo sguardo. «La scorsa estate ha vinto il
torneo di Colonia. Te lo ricordi, figliola? Ne ha disarcionati quindici e non
è mai dovuto scendere da cavallo per combattere. L'imperatore gli ha rega-
lato uno stallone baio. Ho riconosciuto i simboli della sua casata e il no-
me.»
Ash lo prese per una spalla e lo fece girare. «Va bene» disse in tono piat-
to. «E il resto? Cosa c'è di tanto speciale in lui, Godfrey? Dove l'ho già
incontrato?»
«Sette anni fa.» Godfrey riprese fiato. «A Genova.»
Ash provò una fitta allo stomaco e si dimenticò che la compagnia la sta-
va aspettando. Ecco perché ero così euforica in questi ultimi due giorni,
pensò. Divento così quando non voglio vedere qualcosa. Spesso mi capita
di non sapere quello che faccio.
Forse è per questo che mi sono lasciata portare a Colonia.
Le immagini di quanto era successo sette anni prima le tornarono in
mente, frammentarie. Le succedeva sempre così ogni volta che ricordava
l'accaduto. Lo sciabordio del mare contro il molo di un magazzino. La luce
della lanterna che si rifletteva sul selciato bagnato. Le spalle di un uomo
che si stagliavano contro la luce. La corsa al campo del Grifone d'Oro, la
sua vecchia compagnia, tossendo. Il fatto di provare troppa vergogna per
adirarsi apertamente.
«Oh. Già. È così?» disse Ash in tono piatto. Guardò fuori dalla tenda.
«Allora sarebbe quel del Guiz? È successo molto tempo fa.»
«Ho fatto in modo di sapere il suo nome dopo il fatto.»
«Davvero?» chiese lei in tono malizioso. «Ti è sempre piaciuto indagare,
vero, Godfrey? Anche allora.»
Vide con la coda dell'occhio che Florian de Lacey, ora Florian del Guiz,
suo potenziale cognato, si era alzato in piedi e si era tolto un ciuffo di ca-
pelli biondi dagli occhi. «Cosa è successo, ragazza?»
«Non te l'ho mai raccontato? Successe prima che ti unissi a noi. Pensavo
di avertelo detto da ubriaca.» Gli lanciò un'occhiata interrogativa e Florian
scosse la testa.
Ash si alzò dal baule e si avvicinò all'entrata della tenda. Il sole comin-
ciava ad asciugare la tela bagnata. Allungò una mano e scosse uno dei ti-
ranti per vedere che non avesse mollato. Il muggito di una vacca si levò
dai recinti di Henri Brant. L'aria era pervasa dal puzzo di sterco. Le tende e
gli altri ripari, delle strutture a forma di A formate da un telo teso tra le
aste incrociate delle alabarde, erano stranamente vuote. Tese un orecchio
per ascoltare i suoni della partita di calcio, ma non udì nulla.
«Bene» disse. «Bene.»
Si girò e guardò i due uomini. Godfrey giocherellava nervosamente con
il cordone della tonaca. Malgrado fosse invecchiato era ancora possibile
vedere i lineamenti del giovane rubicondo che era stato allora. Ash si infu-
riò.
«Fai sparire quella faccia da pecorella innocente! Non ti ho mai visto
tanto felice. Ti piaceva che mi punissero, così poi potevi confortarmi! Eri
triste quando non succedeva nulla, vero?»
«Ash!»
La rabbia diminuì, allontanando il pensiero che il mondo fosse pieno so-
lo di falsità, malizia e persecutori.
«Scusa, Godfrey, mi dispiace!»
Il volto del prete si rilassò leggermente.
«Cosa ti ha fatto mio fratello?» chiese Florian.
Ash tornò al baule, si sedette e infilò gli stivali senza guardare il chirur-
go. Vide l'ombra di una nuvola delinearsi contro la tela della tenda. «Vino»
ordinò.
«Eccolo qua.» Una mano sporca con una coppa stretta tra le dita entrò
nel campo visivo di Ash: era quella di Florian.
Ash la prese e osservò la luce che si infrangeva sulla superficie rossastra
del vino.
«Sai qual è il problema di questa storia? Che nessuno può ascoltarla sen-
za scoppiare a ridere.» Florian si acquattò di fronte a lei in modo da poterla
guardare in faccia. «Sai che non gli somigli affatto, altrimenti non ti avrei
mai fatto entrare nella mia compagnia.»
«Mi avresti preso lo stesso.» Florian posò una mano a terra per sostener-
si, incurante della segatura e del fango, e sfoderò un sorriso colmo d'affetto
che mise in evidenza lo sporco annidato tra le rughe intorno agli occhi.
«Altrimenti come potresti permetterti i servigi di un dottore che ha studiato
a Salerno. A meno che tu non riesca a trovarne un altro che abbia il pallino
di sezionare i morti in battaglia per capire come funziona il corpo. Do-
vrebbe essercene uno in ogni compagnia mercenaria! Inoltre dove avresti
trovato un'altra persona abbastanza sensibile da capire quando ti comporti
come un'idiota? E lo sei. Non conosco il mio fratellastro, ma cosa può aver
mai fatto...?»
Florian si alzò con un movimento repentino e cominciò a massaggiarsi
le gambe indolenzite sporcandosi i pantaloni di fango. Spazzò via uno o
due dei pezzi più grossi e la fissò di sottecchi. «Ti ha stuprata?»
«No. Ma vorrei che l'avesse fatto.»
Ash allungò una mano e sciolse la treccia che le aveva fatto una delle
cameriere di Costanza.
Adesso sono lontana da là, pensò per darsi coraggio. Gli uccelli che sen-
to sono corvi, non gabbiani. Questo è il presente. È estate e fa caldo anche
quando piove. Provo una tale vergogna.
«Avevo dodici anni, Godfrey mi aveva portata via dal convento di Santa
Herlaine un anno prima, successe prima che diventassi l'apprendista di un
armaiolo milanese e mi unissi alla compagnia del Grifone d'Oro.»
Nella sua mente echeggiò il rumore del mare. «Allora mi vestivo da
donna solo quando uscivo dal campo.»
Allungò una mano e prese la spada. Aveva passato il cinturone intorno
al fodero. Posò la mano sul pomello dell'arma e la sensazione che ne rica-
vò servì a confortarla. Il cuoio che foderava l'elsa si era tagliato. Doveva
sostituirlo.
«C'era una taverna, a Genova. Quel ragazzo era là in compagnia di amici
e mi chiese di sedermi al tavolo. Doveva essere estate perché c'era luce
fino a tardi. Aveva gli occhi verdi e un volto non particolarmente bello, ma
quella fu la prima volta che guardai un uomo e mi sentii il sangue ribollire.
Pensavo di piacergli.»
Ogni volta che ricordava quel fatto le sembrava di osservare l'accaduto
da una grande distanza, ma doveva sforzarsi ben poco per ricordare il su-
dore, la paura e la sua voce che li implorava di lasciarla andare. Si era di-
vincolata dalle loro mani e loro le avevano pizzicato i seni lasciandole dei
lividi che non aveva mai avuto il coraggio di mostrare a nessun medico.
«Pensavo di essere in gamba, Florian. Avevo cominciato l'addestramen-
to con la spada e il capitano mi aveva preso come suo paggio. Credevo di
essere la migliore.»
Non riusciva ad alzare la testa.
«Lui era di qualche anno più vecchio di me ed era ovvio che fosse il fi-
glio di un cavaliere. Feci di tutto per farmi piacere. C'era del vino, ma non
ne bevvi neanche un sorso perché mi sentivo ubriaca al solo pensiero che
lui potesse volermi. Non resistevo all'idea di toccarlo. Quando uscimmo,
pensai che saremmo andati nei suoi appartamenti. Mi portò dietro la lo-
canda, vicino a un magazzino e mi disse 'Sdraiati.' A me non importava
nulla del luogo. Là o da qualsiasi altra parte andava bene lo stesso.»
Avvertì nuovamente la sensazione del selciato contro la schiena e le na-
tiche e si rivide allargare le gambe.
«Rimase in piedi sopra di me e si sbottonò i pantaloni. Non avevo la mi-
nima idea di quello che stava per farmi. Credevo che stesse per sdraiarsi su
di me quando tirò fuori il suo affare e mi pisciò addosso.»
Si strofinò le mani sul volto.
«Mi disse che ero una ragazzina che si comportava come un uomo e mi
pisciò addosso. I suoi amici lo raggiunsero per godersi la scena e comin-
ciarono a ridere.»
Scattò in piedi. La spada cadde a terra. Raggiunse velocemente l'entrata
della tenda, guardò fuori, quindi tornò a girarsi verso i due uomini.
«Volevo morire. Mi tenne ferma mentre i suoi amici facevano lo stesso.
Sul vestito. Sulla faccia. Quel sapore... pensai che era veleno e che sarei
morta.»
Godfrey allungò una mano per confortarla, ma lei arretrò senza neanche
rendersene conto.
«Quello che non capisco è come mai lasciai che accadesse.»
La voce di Ash era carica di angoscia.
«Sapevo difendermi e anche se erano più forti e più numerosi di me sa-
pevo come si scappa.» Si passò una mano su una guancia. «Vidi un uomo
che passava là vicino e urlai per cercare di farmi aiutare, ma mi ignorò.
Sapeva cosa stava succedendo e non fece nulla. Si mise a ridere anche lui.
Non posso neanche arrabbiarmi. Non mi hanno fatto del male.»
Non riusciva più a guardare i due uomini, Godfrey che ricordava ancora
quella ragazzina bagnata, puzzolente e in lacrime e Florian, con il quale i
rapporti non sarebbero stati più gli stessi dopo quello che aveva scoperto.
«Cristo,» imprecò Ash «se quello era Fernando del Guiz non deve ricor-
darsi di nulla, altrimenti avrebbe detto qualcosa. Mi è sembrato diverso.
Avrà ancora i suoi amici? Pensate che qualcuno di loro possa ricordare?»
Le mani forti di Godfrey le serrarono le spalle senza dire nulla, ma Ash
sapeva che il prete stava lanciando un appello muto a Florian. Ash si stro-
finò le guance arrossate. «Merda.»
Ho passato gli ultimi cinque anni a uccidere uomini in guerra, pensò, e
adesso mi comporto come una novizia.
«Scopri se il tuo fratellastro sa qualcosa, Florian» sussurrò Godfrey.
«Parlagli. È comunque tuo fratello. Pagalo, se è necessario!»
Florian si avvicinò ad Ash. «Non posso provare a persuaderlo. Sono sta-
to ripudiato.»
«Cosa?» fu l'unica cosa che Ash, ancora tremante a causa della rievoca-
zione, riuscì a replicare. Vide l'uomo di fronte a lei che allungava una ma-
no e sentì Godfrey che stringeva la presa sulle sue spalle.
Le lunghe dita di Florian le aprirono la mano, quindi il chirurgo si slac-
ciò la maglia e infilò la mano di Ash nella scollatura.
Le dita della condottiera si chiusero attorno al seno di una donna. Non
era possibile sbagliarsi.
Lo guardò in volto. Il chirurgo sporco, pragmatico, impassibile che in
quel momento le stringeva la mano con forza era una donna.
«Cosa sta succedendo?» chiese Godfrey.
«Sei una donna?» Ash fissò Florian.
Godfrey rimase a bocca aperta.
«Perché non me l'hai detto?» urlò Ash. «Dovevo saperlo, Cristo! Avresti
potuto mettere tutta la compagnia in pericolo!»
Il paggio Philibert infilò la testa nella tenda e Ash allontanò la mano.
Il ragazzino li fissò tutti e tre. «Ash!»
Ha capito che siamo tesi, pensò Ash. No, è troppo preso da quello che
mi deve dire per accorgersene.
«Non stanno giocando a calcio» strillò il paggio. «Nessuno. Non voglio-
no! Si sono riuniti e dicono che non faranno nulla finché non esci a parla-
re!»
«Arrivo» borbottò Ash. Lanciò un'occhiata a Florian e Godfrey. «Va' a
dire loro che sto arrivando. Veloce.» Philibert corse via. «Non aspetteranno
ancora a lungo. Non adesso. Florian - no - come ti chiami?»
«Floria.»
«Floria...»
«Non capisco» disse Godfrey, visibilmente confuso.
La donna richiuse la maglia. «Mi chiamo Floria del Guiz. Non sono il
fratellastro di Fernando. Lui non ha fratelli. Sono la sorellastra. Solo spac-
ciandomi per un uomo sono riuscita a imparare la professione di chirurgo e
la mia famiglia, sia il ramo burgundo sia quello legato alla famiglia impe-
riale, non ha nessuna intenzione di rivedermi.»
Il prete la fissò attonito. «Sei una donna!»
«Ecco perché ti tengo nel mio libro paga, Godfrey» borbottò Ash. «Il tuo
acume. La tua intelligenza. La rapidità con la quale arrivi subito al cuore
dei fatti.» Diede un'occhiata alla candela segna tempo che ardeva sul tavo-
lino da campo. «È quasi l'Ora Nona 26 . Godfrey, esci e di' una messa da
campo. Ho bisogno di tempo. Sbrigati!»
Il prete fece per uscire e Ash lo afferrò per manica dell'abito. «Non no-
minare Florian. Floria, voglio dire. Fammi guadagnare abbastanza tempo
per organizzarmi.»
Godfrey la fissò per un lungo istante, annuì, quindi uscì dalla tenda.
26
All'interno del testo la giornata viene divisa facendo riferimento al
sistema in vigore nei monasteri. L'Ora Nona è il sesto ufficio, o servizio
del giorno, ed equivale alle tre del pomeriggio. In un monastero la giornata
è divisa in:
Vigilia mezzanotte (spesso anche oltre)
Mattutino 3
Capitolo sorgere del sole (di solito alle 6 del
Ora Terza mattino)
Ora Sesta 9 - 10,30
Ora Nona mezzogiorno
Vespri 15
Completorium tramonto
21
(Il lettore attento dovrebbe notare che tutto ciò viene oltremodo
complicato dall'abitudine medievale di dividere le ore del giorno e della
notte in dodici segmenti di ora, il che significa che in inverno una 'ora' di
oscurità è più lunga di 'un'ora' di luce, e vice versa in estate.)
«Merda...» imprecò Ash.
«Quando devo partire?» le chiese Floria del Guiz.
Ash si premette con forza l'attaccatura del naso e chiuse gli occhi.
«Sono già fortunata se non perdo metà della compagnia.» Aprì gli occhi
e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Hai dormito nella mia tenda. Ti
ho vista vomitare ubriaca. Ti ho vista pisciare!»
«No. Hai solo avuto l'impressione che lo facessi. Mi comporto così da
quando ho tredici anni.» Floria teneva in mano una coppa di vino. «A Sa-
lerno non insegnano agli Ebrei, Libici e alle donne. È da allora che mi ve-
sto da uomo. Padova. Costantinopoli, Iberia. Faccio il dottore militare per-
ché negli eserciti a nessuno importa chi sei. Tu e questi uomini... Cinque
anni! Non avevo mai passato tanto tempo nella stessa unità.»
Ash sporse la testa fuori dalla tenda. «Philibert! Rickard!» sbraitò. «Ve-
nite! Non posso prendere decisioni affrettate, Florian. Floria.»
«Continua con Florian. È molto più sicuro per me.»
Il tono mesto della donna fece quasi sparire la sensazione di stupore di
Ash, che la fissò. «Sono una donna e il mondo si inchina al mio passaggio.
Perché non dovrebbe succedere lo stesso con te?»
«Sei una mercenaria. Una contadina. Una bestia da traino. Non hai una
famiglia ricca e influente alle spalle. Io sono una del Guiz. Rappresento
una minaccia perché sono la più vecchia e potrei ereditare almeno i posse-
dimenti in Borgogna... Alla fine, si riduce tutto a una questione di ricchez-
ze.»
«Forse non ti bruceranno» azzardò Ash, incerta. «Forse ti chiuderanno in
una stanza e ti picchieranno.»
«Non riesco a farmi picchiare senza problemi come fai tu» disse Floria
arcuando un sopracciglio. «Sei così sicura che ti tollereranno. Questa idea
del matrimonio non è una pensata di Federico. Qualcuno deve averglielo
suggerito.»
«Merda. Il matrimonio.» Ash sollevò la spada da terra. «A Colonia ho
sentito dire che l'imperatore ha nominato cavaliere Gustav Schongauer. Ti
ricordi di lui e dei suoi compari due anni fa a Hérincourt? 27 »
«Schongauer? Cavaliere?» Floria, distratta dalla notizia, la fissò torva in
volto. «Erano solo un manipolo di banditi! Ha passato metà dell'autunno a
distruggere le fattorie del Tirolo! Come ha fatto Federico a nominarlo ca-
27
Hérincourt era un piccolo castello che sorgeva sul confine della
Borgogna messo sotto assedio dagli Svizzeri; la campagna terminò con
una battaglia che si svolse il 13 novembre 1474.
valiere?»
«Perché l'autorità legittima o illegittima non esiste. Esiste solo l'autorità,
e basta.» Ash fissò il chirurgo tenendo la spada tra le mani. «Se puoi con-
trollare un gran numero di soldati allora hai autorità e verrai conosciuto e
onorato da quelli che controllano il tutto. Lo stesso vale per me. Solo che
non ci sarà nessun re o nobile che mi farà cavaliere.»
«La cavalleria è un gioco per i ragazzini! Ma dove andremo a finire se
un assassino stupratore può diventare un Grafi»
Ash fece un cenno della mano. «Già, tu sei nobile... Come pensi che na-
scano altri nobili? Gli altri Graf hanno paura di lui. Anche l'imperatore è
spaventato e per questo l'ha fatto diventare uno di loro. Se dovesse diven-
tare un problema gli altri nobili si coalizzeranno contro di lui e lo uccide-
ranno. È stata una mossa per mantenere determinati equilibri.»
Prese la coppa di vino dalle mani di Florian, la svuotò di un fiato e co-
minciò a sentirsi più leggera.
«Sono le leggi della cavalleria» disse Ash, fissando il fondo della coppa.
«Non importa nulla quanto sei generoso, virtuoso o brutale. Se non hai la
forza a sostenerti sarai trattato con disprezzo, ma se invece sei forte, allora
tutti verranno da te piuttosto che da qualcun altro. E il potere deriva dalla
tua abilità nel convincere i soldati a combattere per te. Sì, li devi pagare,
ma c'è dell'altro, devi dare loro titoli, terre e combinare dei buoni matri-
moni. Io non posso farlo, ma ne ho bisogno. Questo matrimonio...»
Ash arrossì improvvisamente. Scrutò il volto di Floria, valutando ciò di
cui era venuta a conoscenza e i segreti del passato che nessuna di loro due
aveva mai tradito. Floria era sempre il Florian con il quale aveva parlato
fino a notte fonda più di una volta.
«A meno che tu non desideri farlo ti prego di non andartene, Florian.»
Sorrise. «Solo perché sei un ottimo chirurgo. E... ci conosciamo da troppo
tempo. Ho sempre avuto fiducia in te come mio veterinario personale. Non
posso cambiare idea adesso»
«Rimarrò» disse la donna, un poco scossa. «Come sistemerai la faccen-
da?»
«Non chiedermelo. Escogiterò qualcosa... Dolce Cristo, non posso spo-
sare quell'uomo!»
Le voci all'esterno cominciarono ad aumentare di volume.
«Cosa gli dirai?»
«Non lo so, ma non aspetteranno ancora. Muoviamoci!»
Philibert e Rickard l'aiutarono a spogliarsi dopodiché cominciarono a in-
filarle i pezzi dell'armatura chiudendo le cinghie, stringendo i lacci con
movimenti rapidi e precisi dettati dalla pratica.
«Devo parlare loro» aggiunse Ash, in tono cinico. «Dopotutto c'è un
buon motivo se l'imperatore del Sacro Romano Impero mi chiama 'capita-
no.' Posso camminare in mezzo a un esercito di uomini armati senza che
nessuno mi dia una pacca sul sedere.»
«E?» la stuzzicò Florian del Guiz.
«'E' cosa?» Ash buttò i guanti dentro l'elmo e lo mise sottobraccio.
«Sarò anche una donna, Ash, ma ti conosco da cinque anni. Devi parlare
con loro perché conti su di loro - e?»
«E... io sono il motivo per il quale non tornano a fare i conciatori, i pa-
stori, i preti o le brave mogliettine. Quindi è meglio che io non li faccia
morire di fame.»
«Proprio così, ragazza» commentò Florian sorridendo.
Ash stava per uscire quando si girò e disse: «Questo è un matrimonio
voluto dall'imperatore, Florian. Sono finita se non mi sposo e che io sia
dannata se non lo farò.»

III

Ash raggiunse lo spiazzo dove era stato piantato il vessillo della compa-
gnia, saltò sopra il cassone di un carro e guardò la folla di persone seduta
sulle balle di fieno, sui barili o in piedi. Tutti la stavano fissando.
«Lasciatemi ricapitolare» esordì con voce chiara e decisa in modo che
tutti potessero sentirla. «Due giorni fa abbiamo combattuto una scherma-
glia contro gli uomini del duca. È stata una mia iniziativa, non si trattava di
un ordine dei nostri datori di lavoro. Un atto sconsiderato, è vero, ma sia-
mo soldati e dobbiamo comportarci così. A volte.»
La voce le si incrinò provocando le risate di alcuni uomini vicino ai bari-
li di birra: Jan-Jacob, Gustav e Pieter, Fiamminghi appartenenti al gruppo
di Paul di Conti.
«Al nostro datore di lavoro rimanevano solo due cose da fare. Poteva
rompere il contratto e noi saremmo andati dritti dal suo avversario, il duca
Carlo di Borgogna.»
«Visto che stanno per firmare la pace forse dovremmo chiedere al duca
Carlo se ci vuole. Quello è sempre in guerra contro qualcuno, gridò Tho-
mas Rochester.»
«Forse non è ancora il momento.» Ash fece una pausa. «Forse ci con-
viene aspettare uno o due giorni finché si sarà dimenticato che l'abbiamo
quasi ucciso!»
Un soldato scoppiò a ridere, seguito a ruota dagli uomini di Van Man-
der. Era un buon segno, perché questi ultimi erano riconosciuti da tutti
come dei veri duri, quindi molto rispettati.
«Ne parleremo dopo» continuò Ash. «A noi non importa nulla di chi sa-
rà il vescovo di Neuss, così se Federico ci dice che dobbiamo togliere le
tende, noi ubbidiamo. Questa era la prima possibilità, ma non è andata
così. Secondo - avrebbe potuto darci del denaro.»
«Sììì!» esultarono due donne arciere (che, solo quando erano fuori porta-
ta d'orecchio, venivano chiamate le 'donne di Geraint.')
Ash, che sentiva il cuore battere all'impazzata, posò una mano sull'elsa
della spada.
«Beh, come tutti voi saprete, non ci ha dato il denaro.»
Un coro di fischi di disapprovazione si levò dai soldati. In fondo alla
calca gli arcieri, i balestrieri, gli archibugieri e gli alabardieri cominciarono
a spingere per avvicinarsi.
«Devo dire una cosa a quelli che hanno preso parte alla schermaglia:
bravi. È stato fantastico. Fantastico.» Fece una pausa a effetto. «Non ho
mai visto uno scontro vinto da un gruppo di soldati che abbiano fatto così
tanti errori in una volta sola!»
Ci fu una risata generale e Ash alzò la voce per indicare i singoli casi.
«Euen Huw, non devi mai scendere da cavallo per spogliare i corpi. Tu,
Paul di Conti, non dovresti cominciare le cariche da lontano per poi arriva-
re sul nemico con il cavallo sfinito! Sono sorpresa che tu non sia dovuto
scendere da cavallo e correre. Per quanto riguarda il fatto di seguire gli
ordini del vostro comandante!» Lasciò calare il brusio. «Vi devo ricordare
di tenere sempre d'occhio il nostro fottuto stendardo...» Si schiarì la gola.
«È vero, dovresti tenerlo d'occhio!» urlò Robert Anselm per aiutarla.
Ci fu una seconda risata generale e Ash si rese conto che il momento di
crisi era passato o quanto meno rinviato.
«Quindi è necessario che tutti noi ci esercitiamo parecchio nelle tattiche
per le schermaglie.» Ash si girò per guardarsi alle spalle. «Quello che ave-
te fatto è stato stupefacente. Potrete raccontarlo ai vostri nipoti. Non era
guerra. Non si vedono mai dei cavalieri che caricano altri cavalieri, perché
ci sono sempre i fottuti arcieri nelle vicinanze! Ah, già, mi dimenticavo
anche degli archibugieri.» Degli sghignazzi si levarono dal gruppo degli
archibugieri. «Cosa sarebbe una battaglia senza il suono allegro del fuoco
di copertura degli archibugi? Niente!»
Un uomo dai capelli rossi, uno degli uomini di Aston, urlò: «Prendi una
fottuta ascia!» I fanti cominciarono a intonare una rumorosa cantilena e gli
artiglieri risposero per le rime. Ash fece un cenno con il capo ad Antonio
Angelotti, che tranquillizzò immediatamente i suoi uomini.
«Qualsiasi cosa sia stata, era comunque fantastica. Purtroppo non ci ha
fatto guadagnare niente. La prossima volta che avremo la possibilità di
piantare una lancia nel culo di Carlo di Borgogna, tornerò al campo e chie-
derò di essere pagata in anticipo.»
Una voce si levò dal fondo. «'Fanculo Federico d'Asburgo!»
«Magari!»
Tutti scoppiarono a ridere.
La brezza le spinse alcune ciocche di capelli sul viso. Ash annusò l'aria
pervasa dall'odore di ottocento uomini sudati radunati in uno spazio ristret-
to, di sterco di cavallo e fumo. Erano tranquilli all'interno del campo, e
nessuno aveva ragione di temere un attacco. Solo pochi mercenari porta-
vano l'elmo e le alabarde erano impilate a dozzine dentro una tenda.
I bambini correvano intorno alla folla cercando un varco per ascoltare.
La maggior parte degli uomini e delle donne che non combattevano, le
prostitute, le lavandaie e i cuochi, si erano seduti sui carri al bordo del
campo per sentire. Eccettuati i soliti individui che giocavano sempre a dadi
oppure dormivano ubriachi fradici dentro una tenda, Ash poteva dire di
aver radunato tutta la compagnia.
Il vedere tutti quei volti conosciuti la indusse a pensare che i suoi uomini
la stavano ascoltando perché volevano sapere cosa fare. Sapeva che la
stragrande maggioranza di quelle persone era dalla sua parte, ma lei si sen-
tiva responsabile per tutti.
Comunque, se a loro non piaceva quello che stava per proporre, poteva-
no andare in un'altra compagnia.
Tutti attendevano che Ash riprendesse a parlare. La sua pausa era durata
troppo a lungo e il nervosismo cominciava a serpeggiare tra la compagnia.
«Molti di voi sono con me da quando tre anni fa fondai la compagnia.
Altri da quando andavo a reclutare uomini per il Grifone d'Oro e la Com-
pagnia del Cinghiale. Guardatevi. Siete un mucchio di pazzi bastardi la cui
unica prospettiva è quella di affrontare un altro mucchio di pazzi bastardi
come voi! Dovete essere pazzi per seguirmi - ma se lo farete» disse, au-
mentando il tono di voce «ne uscirete sempre vivi, pagati e con una cavolo
di reputazione.»
Alzò un braccio prima che il brusio della folla aumentasse di volume. «E
questa volta verremo pagati. Anche se lo faranno con un matrimonio! Sup-
pongo che ci sia una prima volta per tutto.»
Fissò gli ufficiali raggruppati sotto di lei che parlottavano tra loro.
«Negli ultimi giorni ho valutato diverse possibilità. È il mio lavoro, ma è
anche il vostro futuro. Ci siamo sempre riuniti per discutere quali contratti
accettare e quali no. Quindi adesso discuteremo anche di questo matrimo-
nio.»
Le parole le sgorgavano fluide dalla bocca. Non aveva mai avuto pro-
blemi a parlare con i suoi uomini. Ma questa volta dietro tanta fluidità c'era
qualcosa che non andava. Ash si rese conto che aveva stretto i pugni fino a
farsi sbiancare le nocche.
Cosa posso dire? pensò. Che dobbiamo farlo, ma io non posso?
«E dopo che ne avremo discusso» proseguì Ash «allora metteremo la
proposta ai voti.»
«Ai voti?» urlò Geraint ab Morgan. «Stai parlando di un voto vero e
proprio?»
«Democrazia significa fare quello che ti dice il capo!» urlò qualcuno.
«Sì, un vero voto. Perché se accettiamo, allora la compagnia avrà delle
terre e dei guadagni. Ma se non accettiamo l'unica scusa che l'imperatore
Federico potrà accettare sarà che la mia compagnia non vuole!»
Ash non lasciò loro il tempo di pensare e continuò: «Siete stati con me e
con altre compagnie mercenarie che non sono durate una stagione, figu-
riamoci degli anni. Ho sempre fatto in modo di coprirvi le spalle.»
Il sole fece capolino da dietro le nuvole. La luce si rifletté sul piastrone
della corazza di Ash e la donna sembrò avvolta da un alone divino. Quel
fenomeno giungeva così a proposito che Ash lanciò uno sguardo a Go-
dfrey, che si trovava ai piedi del carro stringendo la Croce di Rovi tra le
mani.
Il religioso alzò gli occhi al cielo e sorrise con fare assente, lanciando al
tempo stesso una rapida occhiata alla figura splendente che si trovava sotto
lo stendardo del Leone Azzurro. Un vero miracolo in miniatura.
Ash rimase in silenzio ancora per qualche secondo affinché tutti notasse-
ro quanto era successo e riflettessero sul segno. Me lo posso permettere,
pensò rivolgendosi al cielo, quindi vuol dire che sono buona. Sei dalla mia
parte: davvero...
«Se sposo quell'uomo» continuò Ash «potremo avere un luogo dove tor-
nare in inverno. Avremo dei raccolti, del legname e della lana da vendere.
Potremo smettere di accettare dei contratti suicidi solo per poterci equi-
paggiare alla fine di ogni stagione.»
«E cosa succederà se qualcuno ci offrirà un contratto per combattere
contro l'Imperatore?» domandò un uomo con i capelli sporchi che indossa-
va una giubba verde.
«Sa che siamo mercenari.»
Una donna arciere si fece strada a gomitate. «Ma adesso siamo al suo
servizio e non sarà lo stesso quando avrai sposato uno dei suoi feudatari.»
Alzò la testa per guardare meglio Ash. «Lui si aspetta che tu giuri lealtà al
Sacro Romano Impero, vero, capitano?»
«Se mi avessero chiesto con chi avrei voluto combattere» urlò un archi-
bugiere «mi sarei unito a un esercito feudale.»
«Troppo tardi per i rimpianti» ringhiò Geraint ab Morgan. «È stata fatta
un'offerta. Io voto per le proprietà e per non mandare al diavolo l'imperato-
re.»
«Io penso che potremo continuare a gestirci come al solito» cercò di ras-
sicurarli Ash.
Dalla folla si levò un brusio di disapprovazione. L'arciere, che indossava
una giubba marrone imbottita, un farsetto rosso e le protezioni per le gi-
nocchia, si girò verso i commilitoni. «Non volete proprio darle una possi-
bilità, vero, stronzi? Tu ti sposerai, capitano Ash.»
Ash la riconobbe, era una donna con i capelli lunghi e un nome strano:
Ludmilla Rostovnaya. Portava una manovella per balestre appesa alla cin-
tura. Uno dei balestrieri genovesi, pensò Ash, mentre si appoggiava a una
sponda del carro.
Perché sto cercando di persuaderli a seguirmi? continuò a pensare. Non
posso farlo. Cosa può importare loro di una piccola tenuta bavarese?
Geraint ab Morgan si fece strada fino alla prima fila. Ash vide il suo
sergente degli arcieri fissare Florian e il prete come se stesse chiedendo
loro perché non intervenivano.
«Capo,» urlò Geraint «è dannatamente chiaro che qualcuno ci ha ficcato
in questo guaio perché non gli piacciono i mercenari. Ricordi cosa è suc-
cesso agli Italiani dopo Héricourt?28 Non possiamo inimicarci Federico.
Devi farlo, capitano.»
«Non può!» gli urlò Ludmilla. La compagnia cominciava ad agitarsi
28
Il 24 dicembre 1474 diciotto mercenari italiani che avevano
combattuto per i Burgundi ed erano stati fatti prigionieri dagli Svizzeri
vennero bruciati vivi a Basilea.
perché non tutti riuscivano a seguire la discussione tra i due. La voce della
donna si levò sopra il brusio. «Se lei sposa quell'uomo tutto ciò che le ap-
partiene diventa proprietà del marito. Non succede il contrario! Se lo sposa
questa compagnia diventerà una proprietà della famiglia del Guiz! E i del
Guiz appartengono all'imperatore, che in questo modo avrà a disposizione
una compagnia mercenaria senza dover tirare fuori neanche un quattrino!»
Dalle prime file partì un rapido passaparola per informare quelli più in-
dietro, che non avevano potuto sentire tutto.
Ash fissò Ludmilla. La presenza di una donna nei momenti di crisi le
aveva sempre dato un senso di sicurezza, ma adesso era una donna che la
stava indicando con il braccio teso. «Ci hai pensato a questo particolare,
capo?»
Tutto ciò che le appartiene diventa proprietà del marito...
Fernando è un vassallo di Federico, rifletté Ash, quindi diventeremmo
proprietà di un feudatario. Cristo, questo peggiora le cose!
Perché non ci ho pensato prima?
Perché continui a pensare come un uomo, si disse.
Ash non riusciva a parlare. Avrebbe voluto sedersi per non guardare tutti
i suoi uomini in volto, ma l'armatura la costringeva a mantenere una postu-
ra eretta.
Il brusio cessò. Solo i bambini che correvano e giocavano intorno alla
folla infrangevano il silenzio. Ash lasciò vagare lo sguardo tra i suoi uo-
mini. Ne vide uno che la fissava tenendo un pezzo di carne vicino alla boc-
ca e un altro che lasciava colare a terra il vino da una borraccia. Gli uomini
si erano radunati intorno agli ufficiali per chiedere chiarimenti.
«No» ammise Ash. «Non ci avevo pensato.»
«Quel ragazzo non ti lascerà comandare» le rammentò Robert Anselm.
«Se ti sposi con Fernando del Guiz ti perdiamo.»
«Merda!» disse un soldato. «Non può sposarlo!»
«Ma se fotti l'imperatore lui poi fotte te.» Geraint socchiuse gli occhi
che sembrarono sparire tra le pieghe degli zigomi e fissò Ash.
«Ci sono altri che possono assoldarci» cercò di giustificarsi Ash.
«Sì, certo, sono tutti cugini di secondo grado o qualcosa di simile.» Ge-
raint sputò a terra. «Tutti noi conosciamo i principi della cristianità. Ince-
sto è il loro secondo nome. Finiremo con l'essere assoldati da degli stronzi
che si fanno chiamare 'nobili' solo perché un lord qualsiasi un giorno si è
scopato la loro madre. Possiamo dimenticarci di essere pagati in oro!»
«Possiamo sempre dividerci e andare in altre compagnie» disse un sol-
dato.
«Sì e finire tra le mani di un coglione che ci farà crepare tutti quanti!»
urlò Pieter Tyrrel. «Ash sa quello che fa quando combatte!»
«Peccato che non sappia fare nient'altro!»
Ash girò la testa e cominciò a guardarsi intorno con noncuranza in cerca
della polizia militare e per vedere le espressioni sui volti dei cuochi, delle
lavandaie e delle prostitute. Udì il nitrito di un cavallo. Il cielo venne at-
traversato da una nube di storni che andavano in cerca di un tratto di terre-
no umido per cibarsi dei vermi.
«Non vogliono perderti» la rassicurò Godfrey Maximillian in tono tran-
quillo.
«Perché li ho portati in battaglia con me e ho sempre vinto.» Aveva la
bocca secca. «Ma questa volta ho perso.»
«È un gioco diverso. Adesso devi indossare la gonnella.»
«Nove decimi di loro» borbottò Florian/Floria «non possono mandare
avanti la compagnia come fai tu. Il decimo che pensa di poterlo fare si
sbaglia. Lascia che parlino tra di loro e se ne ricorderanno.»
Ash si irrigidì e annuì. «Vi lascio tempo fino a Complina29 . Ascolterò la
vostra decisione dopo la messa serale di Padre Godfrey.»
Scese dal carro e si allontanò insieme a Florian. Ash notò che il chirurgo
camminava come un uomo, ondeggiando le spalle e non i fianchi. Aveva
sempre il viso così sporco che nessuno faceva caso se avesse la barba fatta.
La donna non disse nulla e Ash gliene fu grata.
Ash si fermò a controllare il fieno e l'avena che erano stati dati ai cavalli.
Gli stallieri raccoglievano anche le erbe per la cucina di Wat Rodway e
quelle mediche per Florian. Controllò anche che le tinozze per l'acqua e
per la sabbia disposte tra le tende fossero piene. Gli incendi divampavano
più facilmente in estate. Imprecò contro una sarta che stava lavorando su
un carro alla luce di una candela e la costrinse a prendere una lampada,
quindi si recò dall'armaiolo per controllare come procedevano i lavori di
riparazione delle alabarde, delle frecce, l'affilatura delle spade e la ribatti-
tura delle corazze ammaccate.
Florian le posò una mano sulla spalla. «Basta, capo, smettila di renderti
fastidiosa!»
«Hai ragione.» Ash lasciò cadere una fila di anelli metallici, fece un
cenno d'assenso all'armaiolo e uscì. Fissò il cielo buio. «Non penso che
quegli stupidi ne sappiano molto più di me di politica. Perché lascio deci-
29
Le nove di sera secondo l'orario monastico.
dere a loro?»
«Perché tu non puoi. O non vuoi. O non hai il coraggio di farlo.»
«Grazie!»
Ash attraversò lo spiazzo centrale del campo facendosi strada tra gli
uomini e le donne seduti a terra, mentre le ultime frasi dei Vespri echeg-
giavano nell'aria.
Raggiunse lo stendardo e si girò verso i suoi uomini. «Allora,» esordì
«cosa avete deciso?»
Geraint ab Morgan si alzò in piedi, apparentemente intimidito dall'atten-
zione che i suoi commilitoni stavano concentrando su di lui in quel mo-
mento. Ash lanciò una rapida occhiata a Robert Anselm. L'ufficiale si tro-
vava nel cono d'ombra di due lanterne e lei non riuscì a scorgere l'espres-
sione del suo viso.
«Abbiamo contato i voti» disse Geraint. «È fatta, Ash. È troppo rischio-
so rifiutare l'offerta dell'imperatore. Vogliamo che ti sposi.»
«Cosa?»
«Abbiamo fiducia in te, capo.» L'uomo si grattò le natiche con un gesto
automatico. «Sappiamo che troverai una scappatoia prima del matrimonio.
Spetta solo a te, capo. Trova un modo di uscirne prima che abbiano termi-
nato i preparativi per il matrimonio. Non possiamo permettere che ti pren-
dano, capitano!»
Ash fissò l'intera compagnia riunita davanti a lei.
«Andate all'inferno tutti quanti!»
Così dicendo si allontanò infuriata.

Se lo sposo, si becca la compagnia.


Era sdraiata sul suo letto da campo con un braccio sotto la testa, intenta
a fissare il soffitto della tenda. Le ombre danzavano all'unisono con la
brezza notturna. Un odore dolce copriva quello del suo sudore. Vide che
qualcuno aveva legato dei mazzi di camomilla ed erbe mediche tra le armi
appese a uno dei pali della tenda. Le teneva lassù perché era fondamentale
che gli attrezzi del suo mestiere, come tutto il resto dell'equipaggiamento,
rimanessero il più possibile fuori dal fango.
Se lo sposo, rifletté, mi unisco a un ragazzo che potrebbe non ricordarsi
di avermi trattata peggio di una prostituta del porto.
Spostò le spalle dal cuscino al materasso di lana nella speranza che fosse
un po' meno duro, ma non servì a molto. L'aria era calda e umida. Sganciò
i fermagli metallici che univano le maniche al farsetto, le sfilò e provò una
sensazione di sollievo.
Cristo Santo! Ci sono dentro fino al collo e rischio di affondare ancora
di più!
Aveva appeso l'armatura al suo sostegno e ora l'osservava riflettere la
luce della lampada. Cominciò a massaggiare i punti indolenziti dalle cin-
ghie e dalle chiusure. Doveva esserci della ruggine tra le piastre dell'arma-
tura, ma la luce era troppo fioca per riuscire a vederla. Doveva dire a Phili
di raschiarla con la sabbia e poi portarla dall'armaiolo per la manutenzione.
Se avesse permesso alla ruggine di attecchire l'armaiolo sarebbe montato
su tutte le furie.
Si massaggiò i muscoli delle cosce. Erano ancora indolenziti dalla ca-
valcata di ritorno.
Le pareti in tela della tenda ondeggiavano mosse dal vento. Le ricorda-
vano un gigantesco animale che respirasse. Di tanto in tanto sentiva delle
voci provenire dall'esterno. Erano le guardie: circa una mezza dozzina di
uomini armati di balestre che tenevano dei mastini al guinzaglio. Il loro
compito era impedire a un eventuale commando burgundo di entrare nel
campo e uccidere il comandante mercenario.
Si tolse gli stivali e li lasciò cadere a terra. Mosse le dita dei piedi e stirò
le caviglie per rilassarsi, quindi allentò i lacci del colletto. A volte era mol-
to consapevole del suo corpo. Avvertiva i muscoli tesi dalla fatica, le ossa,
le dimensioni del suo petto, delle braccia e delle gambe. Estrasse il coltel-
lo, lo girò verso la luce e passò il bordo di un'unghia sul filo per controllare
che non si fosse intaccato. Alcuni coltelli si adattavano a una mano come
se fossero stati costruiti su misura.
«Mi stanno derubando legalmente. Cosa posso fare?» borbottò ad alta
voce, in tono cinico.
«Non è un problema di natura tattica» le rispose la voce che albergava
in lei.
«No, vero?» Infilò il coltello nel fodero, slacciò la cintura, arcuò i fian-
chi e la sfilò con un unico movimento. «Dimmi tutto!»
La fiammella della lampada ondeggiò.
Ash si puntellò su un gomito. Qualcuno era entrato nella tenda e ora at-
tendeva al di là del drappo che divideva il letto dal resto dell'ambiente.
Durante l'estate lei metteva sempre delle tavole di legno sul pavimento
della tenda perché l'umidità lo faceva scricchiolare ogniqualvolta veniva
calpestato e, se i ragazzi dormivano e le guardie erano lontane, il rumore
l'avrebbe svegliata permettendole di non farsi cogliere di sorpresa.
«Sono io» rispose una voce pragmatica dall'altra parte del drappo. Ash
tornò a sdraiarsi e Robert Anselm entrò nella zona notte.
Lei si girò e lo fissò. «Ti hanno mandato perché pensano che tu abbia
qualche probabilità in più di persuadermi?»
«Gli altri mi hanno mandato perché ci sono meno probabilità che tu mi
stacchi la testa.» Si abbandonò pesantemente su uno dei due massicci bauli
di fattura germanica che lei teneva vicino al letto. Entrambi avevano una
serratura che prendeva tutto il coperchio ed erano incatenati al palo più
grosso della tenda.
«Chi sono 'gli altri', esattamente?»
«Godfrey, Florian, Antonio. Ce la siamo giocata a carte e ho perso.»
«Non è vero.» Ash tornò a sdraiarsi sulla schiena. «Non è vero, stron-
zo!»
Robert Anselm rise. La testa pelata gli metteva in risalto gli occhi e le
orecchie. La maglia macchiata spuntava da sotto il farsetto e cominciava a
intravedersi un inizio di pancetta. L'ufficiale aveva un odore dolciastro, un
misto di sudore, aria aperta e fumo. Il volto era incorniciato da una peluria
ispida. Di solito tutti si soffermavano a osservare la testa pelata e le spalle
massicce, ma nessuno notava mai le lunghe ciglia simili a quelle di una
ragazza.
Cominciò a massaggiarle le spalle e Ash arcuò la schiena chiudendo gli
occhi per qualche secondo. Robert Anselm fece scivolare le mani sul petto
e lei li riaprì.
«Non ti piace se ti tocco qui, vero?» Una domanda retorica. «Ma questo
ti piace.» Tornò a spostare le mani sulle spalle.
«Ho imparato da te che è meglio non andare a letto con i propri ufficiali.
Mi ricordo ancora il casino di quell'estate.»
«Perché non ti fai scrivere da qualche parte: Non so nulla e posso sba-
gliare?»
«Non posso sbagliare, c'è sempre qualcuno che potrebbe trarne vantag-
gio.»
«Lo so.»
Le premette i pollici sulle vertebre e un attimo dopo lo schiocco secco di
un muscolo che tornava a posto echeggiò nella tenda. «Stai bene?» le chie-
se, smettendo di massaggiarla.
«Tu cosa dici?»
«Nelle ultime due ore sono venute da me più di centocinquanta persone
chiedendomi di poter parlare con te. Baldina, Harry, Euen, Tobias, Tho-
mas, Pieter. La gente di Matilda, Anna, Ludmilla...»
«Joscelyn van Mander?»
«Non è venuto nessuno dei ragazzi di van Mander.»
«Perfetto!» Ash si tirò su a sedere.
Robert Anselm alzò le mani.
«Joscelyn pensa che il fatto di aver reclutato tredici uomini gli dia più
voce in capitolo di me in questa faccenda! So che avremo dei guai. Potrei
pagare quello che gli devo e spedirlo da Jacobo Rossano in modo che di-
venti un suo problema. Bene, bene.» Alzò entrambe le mani con i palmi
rivolti in avanti, consapevole di fingere. «Va tutto bene. Va tutto bene!»
Ash sapeva bene che la compagnia era una sorta di gigantesco macchi-
nario. Gente che si affrettava intorno ai carri del cuoco, la solita zuppa che
bolliva nei calderoni. Gli uomini sempre pronti in caso d'incendio. Quelli
che portavano i cavalli a brucare sulle sponde dell'Erft. Gli uomini che si
esercitavano con le armi. Altri che giacevano con le prostitute che avevano
in comune. Uomini che si facevano cucire i vestiti dalle mogli (che un
tempo erano state prostitute). Le lanterne, i fuochi da campo, i versi di un
animale ucciso per gioco. Il cielo, le stelle e tutto il resto.
«Sono brava sul campo di battaglia, ma non so nulla di politica.» Lo fis-
sò negli occhi. «Pensavo che li avrei battuti sul loro stesso terreno. Non so
come ho fatto a essere così stupida.»
Anselm le arruffò i capelli con un gesto goffo. «'Fanculo.»
«Sì, 'fanculo a tutti quanti.»
Le sentinelle fermarono due persone, fecero pronunciare loro la parola
d'ordine giornaliera, quindi li lasciarono passare. Ash li sentì parlare. Pur
non sapendo il loro nome, sapeva che si erano lavati di mala voglia, ave-
vano mangiato, avevano fatto affilare le spade, avevano indossato la ma-
glia e un qualche tipo di protezione e avevano cucito il Leone Azzurro sui
loro tabarri. C'erano uomini simili anche nell'accampamento di Federico
III, ma non sarebbero mai stati come i suoi. Per quanto fossero mercenari,
Ash era il collante che li univa.
Ash si alzò in piedi. «Ascolta, voglio parlarti... della famiglia del Guiz.
Dopo mi dirai cosa posso fare, perché io non ne ho la minima idea.»

Quattro giorni più tardi, mentre sia Carlo di Borgogna detto l'Intrepido
che le truppe dell'imperatore Federico III si allontanavano da Neuss po-
nendo fine all'assedio 30 , Ash si trovava nella cattedrale di Colonia.
30
L'edizione della vita di Ash scritta dal del Guiz e stampata dal
La luce del sole penetrava attraverso le vetrate colorate screziando i volti
del migliaio di persone riunite tra le navate. Intorno ai basamenti delle
snelle colonne che si protendevano verso l'alto, dando l'impressione di
essere troppo esili per sorreggere il soffitto, si era accalcato un nutrito
gruppo di nobili che indossavano abiti eleganti e corazze lucidate, sfog-
giando preziosi e armi ingioiellate. L'imperatore aveva voluto che la sua
corte fosse presente al gran completo per celebrare l'evento.
«Sta tardando.» Ash deglutì. «Non ci posso credere. Mi ha piantata!»
«Non può essere. Non sei così fortunata» sibilò Anselm. «Fa qualcosa,
Ash!»
«Cosa? Dimmelo tu! È da quattro giorni che cerchiamo una soluzione e
non siamo venuti a capo di niente. Come puoi pensare che ci riusciamo
adesso?»
Quanti minuti mancavano al momento in cui la sua compagnia sarebbe
passata dalle sue mani a quelle del marito? L'unica cosa che poteva fare
per evitare che accadesse era uscire dal quel luogo da sola. Adesso.
Di fronte a tutta la corte dell'imperatore.
E hanno ragione, pensò Ash. Metà delle famiglie reali della Cristianità
sono sposate con l'altra metà e io non otterrei più un contratto finché le
acque non si fossero calmate. Il che vuol dire non lavorare almeno per un
anno. Non ho abbastanza denaro per sfamare tutti i miei uomini per un
periodo così lungo. Problemi, sempre problemi.
Robert Anselm fissò Padre Godfrey Maximillian. «Potremmo intonare
una preghiera per ricevere una grazia, Padre.»
Il religioso annuì.
«Non che abbia molta importanza, adesso, ma hai scoperto chi mi ha
messa in questo pasticcio?» chiese Ash.
«Sigismondo del Tirolo» rispose Godfrey, tranquillo.
«Dannazione. Sigismondo? Cosa gli - quell'uomo ha la memoria lunga.
L'ha fatto perché abbiamo combattuto contro di lui a Héricourt?»
Godfrey inclinò il capo. «Sigismondo del Tirolo è troppo ricco e l'impe-
ratore non si può permettere il lusso di offenderlo rifiutando un suo consi-
glio. Mi hanno detto che a Sigismondo non piacciono 'le unità mercenarie
con più di cinquanta lance'. Sembra che le trovi una minaccia alla purezza
della guerra.»

Gutemberg, fa datare la fine dell'assedio di Neuss al 27 giugno 1476, ma


ovviamente si tratta del 27 giugno 1475. Comunque, tutte le altre fonti
datano il matrimonio quattro giorni dopo, il 1 luglio 1476.
«Purezza della guerra? Ah, quella esiste solo nei suoi sogni del cavolo.»
Il prete sorrise sornione. «Se ben ricordo gli hai dato una bella lezione.»
«Ero pagata per farlo. Cristo. È ingiusto procurarmi tanti guai per quel-
lo.»
Ash si girò per guardare cosa stava succedendo alle sue spalle. Il fondo
della cattedrale era affollato dai mercanti di Colonia che, pur sfoggiando i
loro abiti migliori, non potevano competere con le divise dei suoi ufficiali,
mentre il gruppo di mercenari disarmati abbigliati in maniera del tutto a-
nonima non attirava certo l'attenzione.
Nessuno di loro faceva battutacce o rideva come succedeva quando
qualcuno del campo si sposava. A parte il fatto di non voler mettere a ri-
schio il loro futuro, Ash si rese conto che i suoi uomini si comportavano in
quel modo perché ora la vedevano come una donna, in una città durante un
periodo di pace, e non come il comandante mercenario dal quale si erano
fatti guidare più di una volta sul campo di battaglia, incuranti del suo ses-
so.
«Cristo» ringhiò Ash, sussurrando. «Vorrei essere nata uomo! Sarei stata
più alta di qualche centimetro e avrei potuto pisciare in piedi - e non sarei
rimasta invischiata in tutto questo letame!»
Robert Anselm trattenne a stento una risata.
Ash cercò Florian per ricevere il suo solito parere scettico, ma il chirur-
go non era tra loro: la donna sotto mentite spoglie era sparita da quattro
giorni. Si era mescolata alla massa di uomini che smontavano il campo
vicino a Neuss (mentre non l'aveva fatto quando avevano piantato il campo
vicino a Colonia, dove, come aveva fatto notare più di un mercenario, c'era
da fare del lavoro pesante.)
«E» aggiunse Ash «potrei indurre Federico a far celebrare questo matri-
monio il giorno di san Simeone...31 Forse potremmo cavarcela con una
promessa fatta a priori? Qualcuno che sale sull'altare e dice che eravamo
sposi promessi fin da bambini.»
«Chi ha voglia di alzarsi e procurarsi un sacco di guai per questa don-
na?» domandò Anselm. «Io no.»
«Io non lo chiederei se...» Ash vide il Vescovo di Colonia che si avvici-
nava a loro e si interruppe immediatamente. «Vostra Grazia.»
«La nostra mesta e gentile sposa.» Il minuto vescovo Stephen allungò le
31
Simeone Salus (morto circa nel 590), è il santo associato ai paria, ed è
considerato in particolare il protettore delle prostitute. Il suo giorno è il 1
luglio.
dita, sfiorò lo stendardo tenuto da Robert Anselm e si piegò in avanti per
leggere la scritta ricamata sotto il Leone. «Cos'è?»
«Geremia, cinquantuno-venti» spiegò Godfrey.
«'Un martello sei stata per me, uno strumento di guerra; con te martella-
vo i popoli, con te annientavo i regni'» borbottò Robert Anselm. «È una
sorta di motto, Vostra Grazia.»
«Come lo trovo appropriato e pio.»
«Cosa sarebbe pio?» sussurrò la voce secca di un nuovo arrivato.
Il vescovo fece un inchino. «Vostra Maestà Imperiale.»
Federico d'Asburgo avanzava zoppicando tra la folla che si era aperta
per lasciarlo passare. Ash notò che si appoggiava a un bastone. Il monarca
fissò padre Godfrey come se lo notasse per la prima volta. «E tu? Cosa ci
fa un uomo di pace in una compagnia di guerrieri? Non va bene. 'Minaccia
la belva dei canneti, il branco dei tori con i vitelli dei popoli si prostri por-
tando verghe d'argento, disperdi i popoli che amano la guerra'32 .»
Godfrey Maximillian si tolse il cappuccio e affrontò, sempre mantenen-
do il dovuto rispetto, l'imperatore. «Ma, Vostra Maestà, i Proverbi cento-
quarantaquattro-uno?»
Dalla gola dell'imperatore sgorgò una risatina secca. «'Sia benedetta dal
Signore la mia forza, che insegna alle mie mani a guerreggiare e alle mia
dita a combattere.' Ah, allora abbiamo un prete istruito.»
«In quanto prete istruito» disse Ash «forse potresti chiedere a Sua Mae-
stà quanto tempo dobbiamo aspettare ancora lo sposo, prima di poter tor-
nare tutti a casa?»
«Aspetta» rispose tranquillo Federico. Nessuno seppe più cosa dire.
Ash avrebbe cominciato a camminare avanti e indietro se solo lo strasci-
co del vestito glielo avesse permesso. Sopra l'altare splendevano le statue
dei Nove Ordini di Angeli: Serafini, Cherubini e i Troni, che erano i più
vicini a Dio. Seguivano i Domini, i Poteri e le Virtù, poi i Principati, gli
Arcangeli e gli Angeli. Il Principato di Colonia era scolpito con le ali spie-
gate e un sorriso ambiguo, intento a stringere tra le mani una rappresenta-
zione della corona di Federico.
A che gioco stava giocando Fernando del Guiz? Possibile che non si
presentasse?
È un cavaliere, dopotutto, pensò Ash. Forse non vorrà sposare una con-
tadina soldato. Cristo, spero che sia proprio così.
Sull'altare di sinistra uno scultore dotato di un certo senso dell'umorismo
32
Salmi 68: 30.
aveva riprodotto il Principe di Questo Mondo nell'atto di offrire una rosa
alla figura nuda della Lussuria. Rospi e serpenti pendevano abbarbicati ai
lembi del mantello 33 . Ash osservò la figura della Lussuria. In quel momen-
to nella cattedrale erano presenti molte donne in pietra e solo cinque in
carne e ossa. Lei e le sue quattro damigelle: Ludmilla (che si era fatta pre-
stare l'abito da festa di una delle sarte), Bianche, Isobel ed Eleanor. Cono-
sceva le ultime tre fin da bambine, quando si prostituivano insieme nella
compagnia del Grifone D'Oro. Ash provò una sorta di soddisfazione nel
vedere che molti nobili di Colonia si erano innervositi nel riconoscere
Bianche, Isobel ed Eleanor.
Se proprio devo andare fino in fondo a questa dannata cerimonia, allora
lo farò a modo mio!
Ash vide l'imperatore che cominciava a conversare con il vescovo. En-
trambi passeggiavano come se fossero in un salone del palazzo imperiale e
non in un luogo sacro.
«Fernando è in ritardo. Non viene!» Si sentì pervadere da un'ondata di
gioia e sollievo. «Beh, vuol dire che lui non è nostro nemico... È stato l'ar-
ciduca Sigismondo a combinare tutto questo. Sigismondo voleva che mi
battessi nel campo della politica, dove non so cosa fare, invece che su
quello di battaglia dove so il fatto mio.»
«Donna, tu hai fatto di tutto per farti dare delle terre da Federico» le ri-
cordò Godfrey, in tono tanto scettico da somigliare a quello di Florian.
«Quell'uomo ha semplicemente sfruttato a suo vantaggio il tuo peccato di
avidità.»
«Non si tratta di un peccato, ma di stupidità.» Ash si trattenne dal guar-
darsi intorno. «Comunque sta andando tutto per il meglio.»
«Sì... anzi, no. È arrivata della gente, fuori.»
«Merda» sibilò Ash, lasciando allibite le prime due file di convitati.
Era in piedi rigida come una statua abbigliata da sposa. I capelli le scen-
devano fino alle ginocchia. Sulla testa spiccava un cerchietto metallico
adornato con una ghirlanda di margherite di campo. Il velo che le copriva
il volto era così fine da lasciar vedere chiaramente le cicatrici sulle guance.
Si udì il suono dei tamburi e dei corni. Ash sentì lo stomaco che le si
chiudeva. Fernando del Guiz e il suo codazzo composto da giovani appar-
tenenti alla nobiltà germanica, con indosso degli abiti che costavano più di
quello che lei aveva guadagnato nei sei anni di battaglie, si affrettarono a
33
Quella statua non esiste più, ma è possibile vederne una simile a
Friburgo. L'opera risale all'anno 1280, circa.
raggiungere il crocefisso.
L'imperatore Federico HI si accomodò nel posto a lui riservato con il suo
seguito. Ash scorse il volto impassibile di Sigismondo del Tirolo.
Quell'uomo non voleva darle la soddisfazione di sorridere di fronte alla sua
disfatta.
La luce che entrava dalle alte finestre illuminava la figura di una statua
in marmo nero posta sull'altare 34 , raffigurante una donna che cavalcava un
toro. Ash alzò lo sguardo disperata e fissò l'enigmatico sorriso della statua
e il vestito ricamato in oro che la ricopriva, mentre i chierichetti entravano
nel coro portando delle candele di cera verde. Sapeva che al suo fianco
c'era qualcuno.
Lanciò una rapida occhiata alla sua destra e vide il giovane Fernando del
Guiz intento a fissare l'altare. Era pettinato e non portava nessun tipo di
copricapo. Per la prima volta poté guardarlo in faccia.
Deve avere al massimo uno o due anni più di me. Pensavo che fosse più
vecchio di me, si disse.
Ora ricordo...
Non era il volto dall'incarnato pallido, con la fronte spavalda e le lentig-
gini sul naso dritto, né i folti capelli biondi tagliati all'altezza delle spalle a
piacerle. Ash osservò le spalle e il corpo robusto, quasi da adulto.
Proprio così. Proprio così...
Si scoprì a pensare di volergli arruffare i capelli. Avvertì il suo profumo.
Allora ero una bambina, ma adesso... pensò. Ash si trovò a fantasticare che
avrebbe voluto slacciargli il farsetto di velluto, che non aveva ormai più
bisogno di imbottiture alle spalle, calarglielo fino alla vita, quindi sbotto-
nargli i pantaloni... Lo squadrò per bene, soffermandosi sul cavallo e sulle
cosce robuste.
Dolce Cristo che sei morto per salvarci! pensò. Questo mi fa bollire il
sangue come quando avevo dodici anni.
«Signora Ash!»
Qualcuno le fece una domanda.
«Sì» rispose lei, con fare assente.
La luce le illuminò il volto. Fernando del Guiz le aveva alzato il velo.
L'uomo aveva gli occhi verdi, scuri come il mare.
«Ora siete marito e moglie» dichiarò il Vescovo di Colonia.
Fernando del Guiz cominciò a parlare e Ash si accorse che il suo alito
34
Una traduzione letterale dal Germanico. Non è mai esistito un altare
simile a Colonia.
puzzava di vino. «Avrei preferito sposare il mio cavallo» disse, in modo
che tutti potessero sentire.
«Ma il tuo cavallo non ti avrebbe voluto» borbottò Robert Anselm.
Qualcuno sussultò, altri risero e uno dei presenti si trattenne dallo scop-
piare a ridere come un ossesso. Ash pensò che doveva essere Joscelyn van
Mander che si trovava in fondo alla cattedrale.
Ash fissava il volto del giovane non sapendo se piangere, ridere o colpi-
re qualcosa, alla ricerca di un'avvisaglia del sorriso complice del quale
l'aveva gratifica a Neuss.
Niente.
Non si rese neanche conto di aver drizzato le spalle e di aver assunto lo
sguardo che usava nel suo campo. «Non parlarmi mai più così.»
«Adesso sei mia moglie e ti parlo come voglio. Se la cosa non ti piace ti
picchierà. È meglio se diventi docile!»
Ash si trattenne a stento dal ridere. «Davvero?»
Fernando del Guiz le passò un dito guantato sul mento e poi sul collo,
quindi lo ritrasse e fece il gesto di annusarlo. «Mi sembra di sentire odore
di... di... di piscio. Sì, proprio così. Piscio...»
«Del Guiz» lo ammonì l'imperatore.
Fernando si girò e si avviò verso l'imperatore e Costanza del Guiz che
piangeva (le dame di corte erano entrate nella cattedrale solo ora che la
cerimonia era finita), ma nessuno si degnò di guardare la sposa che veniva
lasciata sola.
«No» disse Ash, trattenendo Robert Anselm per un braccio. Lanciò an-
che una rapida occhiata al prete. «No. È tutto a posto.»
«Tutto a posto? Non lascerai che ti tratti in questo modo?» Il suo luogo-
tenente voleva andare da Fernando del Guiz e prenderlo a pugni.
«So quello che devo fare. Ho capito tutto!» Ash rafforzò la stretta intor-
no al braccio di Robert. Gli uomini della compagnia avevano cominciato a
borbottare tra di loro.
«Sarò una sposa infelice» disse Ash, tranquilla. «Ma potrei diventare
una vedova molto felice.»

I due uomini sussultarono. Fu una scena quasi comica. Ash continuava a


osservarli. Robert Anselm fece un cenno col capo, soddisfatto, e sulle lab-
bra di Godfrey Maximillian era apparso un sorriso gelido.
«Le vedove ereditano gli averi del marito» ricordò loro Ash.
«È vero...» Robert Anselm annuì. «Meglio non dirlo a Florian. Quel-
l'uomo è suo fratello.»
«Allora le... lui non deve sapere nulla.» Ash non guardò Godfrey. «Non
sarà il primo pupillo della nobiltà germanica a morire a causa di una cadu-
ta da cavallo.»
Ash si fermò un attimo dimenticandosi dei suoi compagni e di quello
che aveva detto per cercare Fernando, che in quel momento stava confor-
tando la madre. Il solo fatto di vedere quel corpo la eccitava.
Non sarà facile, pensò. Non sarà per niente facile.
«Signore. Signori.» Ash controllò che le sue damigelle stessero tenendo
lo strascico e posò le dita sul braccio di Godfrey. «Non ci nasconderemo
negli angoli. Adesso andremo a ringraziare le persone che hanno parteci-
pato al mio matrimonio.»
Aveva lo stomaco chiuso. Sapeva bene la figura che stava facendo: la
giovane sposa con i capelli biondi sciolti e la veletta alzata. Non sapeva di
essere impallidita e che le strisce rosse degli sfregi spiccavano ben visibili
sulla pelle delle guance. Prima salutò gli ufficiali perché con loro si sentiva
più a suo agio. Scambiò qualche parola, scherzò e strinse delle mani.
Qualcuno la fissò con sguardo compassionevole.
Ash non poteva fare a meno di continuare a fissare con ansia la folla in
cerca di Fernando del Guiz. Lo vide parlare con Joscelyn van Mander sotto
una finestra. Il cono di luce lo investiva in pieno dandogli un'aria angelica.
Van Mander le dava le spalle.
«Non ci ha impiegato molto» commentò Ash.
«Ora il contratto di van Mander e dei suoi ragazzi appartiene a del Guiz»
le rammentò Anselm, scrollando le spalle.
Sentì un sussurro alle sue spalle e avvertì lo strascico che cadeva tiran-
dole indietro il collo. Si girò lanciando un'occhiataccia a Bianche e Isobel.
Le due donne stavano fissando il piccolo uomo del meridione che Ash
aveva già visto a Neuss, con un'espressione sul volto che; era un misto di
paura e meraviglia.
«Viene dalle terre Sotto Penitenza!» sussurrò la piccola Eleanor a Bian-
che.
Per Ash era del tutto chiaro il motivo per il quale l'uomo portava un pez-
zo di stoffa nera intorno al collo, pronto all'uso. «Oh, Cristo Verde, sono
poco più che demoni giù in Africa - togliamoci di qua.»
Ash attraversò la navata salutando i nobili minori delle città libere. Non
è da me, pensò Ash, parlare educatamente e amabilmente. Questo non è il
mio mondo. Parlare con l'ambasciatore della Savoia e di Milano e vedere
che sono stupiti di scoprire che una hic mulier 35 può indossare degli abiti
da donna, parlare come loro, e che non ha la coda a punta e le corna.
Cosa sto facendo. Cosa sto facendo?
«Mia signora» disse qualcuno alle sue spalle.
Ash sorrise e si congedò dall'ambasciatore di Milano, un individuo noio-
so e visibilmente spaventato da una donna che aveva ucciso più di un uo-
mo in battaglia e si girò.
La persona che le aveva rivolto la parola era l'abitante del sud. Aveva i
capelli molto chiari e la pelle del volto bruciata dal sole. Indossava una
cotta di maglia sopra una corta tunica bianca e dei pantaloni borchiati dello
stesso colore. Sebbene fosse disarmato era vestito come un guerriero e
questo aiutò Ash a sentirsi più a suo agio.
Le pupille dell'uomo erano ridotte a due spilli a causa della luce che pe-
netrava dalle finestre.
«Arrivate da Tunisi?» azzardò, cercando di parlare una versione rozza
della lingua dell'uomo.
«Da Cartagine» confermò questi, chiamando la città con il nome goti-
co36 . «Ma solo adesso comincio ad abituarmi alla luce.»
«Sono - merda.» Ash si interruppe rapidamente.
Alle spalle del Cartaginese c'era un uomo robusto che Ash giudicò alto
più di due metri. A una prima occhiata era sembrato una statua di granito
rosso con un ovoide privo di lineamenti al posto della testa.
Ma le statue non si muovono.
Si accorse di essere arrossita e avvertì la presenza di Robert Anselm e
Godfrey Maximillian alle sue spalle. «Non avevo mai visto uno di questi
tanto da vicino!» disse Ash.
«I nostri golem? 37 »
35
Termine latino per indicare una donna mascolina.
36
Il testo è incerto in questo punto. Charles Mallory Maximillian parla
di 'Visigoti', i 'nobili Goti'. Tuttavia qui si entra nel campo delle leggende
medievali. Io penso che i 'Visigoti' siano stati menzionati e che tale
menzione debba essere considerata attentamente.
37
Io preferisco questo termine a quello di Vaughan Davies, 'robot', o a
quello usato da Charles Mallory Maximillian, 'uomo di terracotta'.
Questa presenza quasi sovrannaturale è chiaramente uno dei particolari
leggendari che si trovano nella storia di Ash, e non devono essere presi sul
serio, se non per il fatto che riflettono il rammarico provato dagli uomini
del Medio Evo per aver perso tutte le vestigia dell'Età dell'Oro romana.
Schioccò le dita e la creatura fece un passo avanti entrando nel fascio di
luce multicolore che filtrava dalla finestra. L'uomo fissava Ash e i suoi
compagni con lo sguardo divertito di chi era abituato a vedere le reazioni
di stupore alla vista del golem.
Le giunture del collo, delle spalle, dei gomiti, delle ginocchia, delle ca-
viglie erano fatte di ottone. Le dita somigliavano per fattura e capacità di
movimenti ai guanti per le armature costruiti in Germania. Aveva un odore
amarognolo - fango? Doveva pesare molto perché l'andatura era lenta e a
ogni passo un tonfo sordo echeggiava contro le pareti della cattedrale.
«Posso toccarlo?»
«Se lo desiderate, signora.»
Ash allungò una mano e posò i polpastrelli sul petto del golem. La pietra
era fredda. Fece scivolare le dita tracciando il contorno dei pettorali. La
testa della creatura si inclinò verso il basso.
Sull'ovoide privo di lineamenti, cominciarono ad aprirsi due buchi. Ash
si aspettava di vedere il bianco dell'occhio e il colore delle pupille.
Le palpebre finirono di dischiudersi rivelando due occhi pieni di granelli
di sabbia rossa turbinante.
«Da bere» ordinò il Cartaginese.
Il braccio si sollevò senza rumore porgendo un coppa d'oro alla persona
che l'aveva richiesta. Il Cartaginese bevve e la restituì.
«Sì, signora, ci è permesso portare i nostri golem servitori con noi. Seb-
bene ci sia stata più di una discussione sul permettere loro di entrare in una
vostra 'chiesa'.» L'ultima parola era stata pronunciata con un alone di sar-
casmo.
«Somiglia a un demone» disse Ash, continuando a fissare il golem. Sta-
va immaginando una di quelle braccia che si levava per colpire. Dato il
peso del braccio, l'impatto avrebbe avuto un effetto devastante.
«Non lo è. Ma voi siete la sposa!» Le prese la mano e gliela baciò. Ave-
va le labbra secche. «Asturio, signora» si presentò l'uomo, ricorrendo alla
sua lingua natale. «Asturio Lebrija, ambasciatore della Cittadella alla corte
dell'Imperatore. Questi Tedeschi! Non so quanto riuscirò ancora a soppor-
tarli! Voi siete una donna bellissima, signora. Una guerriera. Perché vi
hanno fatta sposare con quel ragazzino?»
«Perché siete qui, ambasciatore?» chiese Ash, stizzita.
«Sono stato mandato da un personaggio molto potente. Ah, adesso capi-
sco.» Asturio Lebrija si grattò i capelli tagliati corti come facevano tutti i
Nordafricani che dovevano indossare l'elmo. «Qui voi siete la benvenuta
quanto lo sono io.»
«Già, quanto una scoreggia in un bagno pubblico»
Lebrija tossì.
«Ambasciatore, io penso che l'imperatore abbia paura del giorno in cui
la vostra gente smetterà di combattere i Turchi e diventerà un problema per
questa parte d'Europa.» Ash vide Godfrey che si spostava per parlare con
uno degli aiutanti di Lebrija e Robert Anselm che continuava a fissare il
golem con gli occhi sbarrati. «O forse perché invidiano le paratie idrauli-
che di Cartagine, l'acqua calda che scorre sotto il pavimento e tutte le ve-
stigia dell'Età dell'Oro.»
«Le fogne, le batterie, le triremi, l'abaco...» Asturio faceva vagare lo
sguardo qua e là. «Oh, noi siamo la Roma rinata. Temete le nostre potenti
legioni!»
«La vostra cavalleria pesante non è malvagia...» Ash si passava una ma-
no sul mento e sulla bocca, ma non riusciva a trattenersi dal sorridere. «O-
ops, ma voi siete un ambasciatore e non mi sono espressa in maniera molto
diplomatica.»
«Ho già incontrato donne guerriere. Ma credo che d'ora in poi vi incon-
trerò a corte piuttosto che sul campo di battaglia.»
Ash sorrise. «Quindi questa luce del nord è troppo forte per voi, amba-
sciatore Asturio, vero?»
«È difficile da paragonare alla luce del Crepuscolo Eterno, ve lo garanti-
sco.»
«Vedi di venire qui e in fretta, Asturio. Dammi una mano con questi fot-
tuti Tedeschi» gli ordinò la voce di un uomo più vecchio, interrompendolo.
Ash sbatté le palpebre sorpresa, rendendosi conto quasi immediatamente
che l'uomo aveva parlato in Visigoto e che solo lei e i suoi uomini l'aveva-
no capito. Lanciò un'occhiataccia a Isobel, Bianche, Euen Huw e Paul di
Conti, che si calmarono immediatamente. Si girò nuovamente verso l'am-
basciatore che la salutò con un vistoso inchino, quindi si unì al suo supe-
riore, seguito dal golem.
«La loro cavalleria pesante non è malvagia» le borbottò Robert Anselm
in un orecchio. «Per non parlare delle loro fottute navi! Sono dieci anni
che non fanno altro che prepararsi alla guerra.»
«Lo so. Secondo me tra breve ci sarà un'altra guerra tra i Turchi e i Visi-
goti per il controllo del Mediterraneo, con scontri tra soldati indisciplinati
e cavalleria leggera senza alcun risultato da nessuna delle due parti. Forse
potrebbe esserci del lavoro per noi, laggiù.»
«Non per 'noi'» le fece notare Anselm, in tono disgustato. «Per Fernando
del Guiz.»
«Non per molto.»
Un attimo dopo la voce di Federico d'Asburgo echeggiò tra le navate.
«Fuori!» urlò l'imperatore.
Il vociare dei vari gruppetti ancora presenti nella cattedrale cessò all'i-
stante. Ash si incamminò verso l'uscita, ma qualcuno le pestò lo strascico
facendola arrestare bruscamente. Si girò e vide Ludmilla che si buttava lo
strascico su un braccio borbottando qualcosa. Ash sghignazzò rivolta alla
Grande Isobel e raggiunse Anselm, che stava facendosi largo tra la folla
per unirsi a Godfrey.
Una volta raggiunto il prete, che si trovava in prima fila, videro due sol-
dati che piegavano le braccia di Asturio Lebrija dietro la schiena costrin-
gendolo a inginocchiarsi sul pavimento, e Sigismondo del Tiralo che ap-
poggiava un roncone alla gola del secondo ambasciatore facendolo ingi-
nocchiare a sua volta e premendogli un ginocchio contro la schiena. Il go-
lem era immobile come le statue dei santi nelle nicchie.
«Daniel de Quesada» sibilò Federico d'Asburgo. La voce dell'imperatore
era ancora venata dal tremore tipico di una persona che, poco abituata a
cedere all'ira, cerca di riguadagnare il controllo. «Posso anche sentirvi dire
che la vostra gente ha fornito alla nostra tantissime nozioni di medicina,
matematica e architettura, ma non lascerò che ci definiate barbari proprio
qui nella nostra cattedrale più antica.»
«Lebrija non ha detto...»
Federico d'Asburgo interruppe l'ambasciatore più anziano. «Chiamare il
mio amico Luigi di Francia 'ragno' e sentirmi descrivere come 'un vecchio
avido!'»
Ash lanciò un'occhiata a Federico, al suo codazzo di nobili visibilmente
agitati e agli ambasciatori visigoti. Era molto più probabile che Asturio
Lebrija si fosse momentaneamente dimenticato della lingua in cui stava
parlando, piuttosto che il vecchio e chiaramente più esperto ambasciatore
avesse deciso di insultare deliberatamente l'imperatore del Sacro Romano
Impero.
«Qualcuno vuole creare un bel po' di confusione, e deliberatamente. Chi
può essere?» chiese Ash, rivolgendosi a Godfrey.
Il prete aggrottò la fronte. «Penso che sia Federico. Non vuole che gli
venga chiesto di prestare aiuto militare ai Visigoti del Nord Africa 38 . Ma
38
Secondo la storia che noi conosciamo le tribù di Visigoti germanici
non vuole che l'ambasciatore senta il suo rifiuto, perché non vuole che
quest'ultimo immagini che lui non ha truppe da inviare perché è troppo
debole. È molto più facile prendere tempo servendosi della scusa di un
'insulto'.»
Ash voleva dire qualcosa per aiutare Asturio Lebrija, il cui volto arrossi-
va mentre le due guardie lo sollevavano, ma non le venne in mente niente
di intelligente.
«Non vi farò decapitare» sbottò l'imperatore, indispettito. «Verrete ri-
spediti a casa, e dite alla Cittadella che la prossima volta dovrà mandare
degli ambasciatori civili!»
Ash lanciò un'occhiata intorno a sé senza neanche rendersi conto che tut-
ta la sua postura era cambiata. Improvvisamente era in stato di allerta e
aveva bilanciato il peso del corpo in modo da essere pronta a colpire in
qualsiasi momento, un comportamento del tutto inusuale per una donna in
abito da sposa. Il golem era immobile alle spalle dei due ambasciatori. Se
quello dovesse muoversi... pensò Ash, mentre le sue dita si chiudevano in
prossimità del fianco come se stessero stringendo l'elsa della spada.
Fernando del Guiz, che fino a quel momento aveva osservato tutta la
scena appoggiato contro una colonna, si drizzò. Ash lo guardò. È proprio
come tutti i giovani cavalieri germanici, pensò tra sé, ma questo è una mi-
niera d'oro.
La luce del sole gli illuminò il volto mentre lui si girava per sghignazza-
re alla battuta di uno dei suoi scudieri. Ash ebbe una fugace visione che
sembrò riscaldare l'atmosfera fredda della cattedrale. Vide un giovane forte
che indossava un'armatura dal disegno aggraziato con la naturalezza di chi
aveva fatto mesi e mesi di vita da campo e gioiva come lei a ogni battaglia.
Perché mi disprezzi quando siamo così uguali? Dovresti capirmi più di
qualsiasi altra donna che avresti potuto sposare!
«Lasciate che sia io a scortare gli ambasciatori, Vostra Maestà Imperia-
le» disse Fernando del Guiz. «Ho appena acquisito delle nuove truppe che
hanno bisogno di un po' di disciplina. Vi prego di affidarmi questo compi-
to e concedermi la vostra fiducia.»
Qualche decimo di secondo dopo Ash ripeté mentalmente 'nuove truppe'
e si rese conto che il marito parlava della sua compagnia. Scambiò un'oc-
chiata torva con Robert Anselm e Godfrey Maximillian, che ricambiarono
con lo stesso sguardo.

non si stabilirono mai nel Nord Africa. Anzi, nel 711 successe il contrario
con l'invasione araba della Spagna visigota.
«Sarà il tuo regalo di nozze, del Guiz» concordò Federico d'Asburgo, as-
sumendo un'espressione velatamente sardonica. «Sarà anche la luna di
miele per te e la tua sposa.» Raccolse lo strascico lungo più di due metri
con l'aiuto dei paggi e, senza voltarsi, disse: «Vescovo Stephen.»
«Sì, Vostra Maestà Imperiale?»
«Esorcizzate questa cosa» ordinò indicando il golem. «E quando avrete
finito ordinate ai carpentieri di ridurla in ghiaia a martellate!»
«Certo, Vostra Maestà Imperiale.»
«Barbari!» esclamò, incredulo, Daniel de Quesada. «Siete solo dei bar-
bari!»
Asturio Lebrija alzò la testa a fatica e disse: «Non mi ero sbagliato, Da-
niel: questi maledetti Franchi39 sono dei bambini che giocano a distruggere
tutto ciò che capita loro tra le mani! Asburgo, voi non avete idea del valore
di...»
I cavalieri che lo tenevano fermo gli fecero sbattere la faccia contro il
pavimento. Il tonfo echeggiò sulle pareti e il soffitto della cattedrale. Ash
fece un passo avanti per avvicinarsi, ma inciampò in un lembo del vestito e
afferrò il braccio di Godfrey per non cadere.
«Lord del Guiz,» disse l'imperatore «scortate questi uomini al porto più
vicino e assicuratevi che salgano su una nave diretta a Cartagine. Voglio
che vivano per portare in patria la loro sventura.»
«Vostra Maestà.» Fernando si inchinò.
«Avrete bisogno di prendere il comando delle vostre nuove truppe. Non
tutte, però. Non tutte. Questi uomini,» Federico d'Asburgo indicò con un
movimento impercettibile del dito gli ufficiali e i soldati di Ash che affol-
lavano il fondo della cattedrale, «ora vi appartengono per diritto feudale,
Mio Lord. Ed essendo la nostra persona vostro signore feudale, apparten-
gono anche a noi. Prenderete solo una parte dei vostri nuovi soldati, e gli
altri rimarranno con noi per espletare alcuni compiti alla loro portata: l'or-
dine non è stato ristabilito del tutto a Neuss e la città non è ancora sicura.»
Ash aprì la bocca, ma Robert Anselm le assestò una gomitata tra le co-
stole senza farsi notare.
«Non può farlo!» sibilò Ash.
«Certo che può. Adesso taci, ragazza.»
Ash era tra Godfrey e Anselm, il vestito cominciava a darle fastidio e
sentiva le ascelle fradice di sudore. I cavalieri, i lord, i mercanti, i vescovi,
39
Un termine usato in questo testo per definire gli abitanti del Nord
Europa.
i preti che facevano parte della corte imperiale si accodarono a Federico
d'Asburgo che usciva dalla cattedrale e il loro vociare si levò fino ai santi
nelle nicchie e al soffitto della chiesa.
«Non può dividerci in questo modo!»
La mano di Godfrey le strinse il gomito. «Non muoverti mai, se non
puoi fare nulla. Ascoltami bene, figliola! Se ti metti a protestare adesso
tutti vedranno quanto poco conti. Aspetta. Aspetta il momento propizio.»
La corte degnò la sposa e il gruppo di soldati della stessa attenzione che
riservavano ai santi della cattedrale: quasi nessuna.
«Non posso lasciarla!» Ash parlò con un tono di voce che poteva essere
udito solo da Anselm e dal prete. «Ho creato questa compagnia dal nulla.
Se aspetto, cominceranno a disertare o si abitueranno a essere comandati
da del Guiz.»
«Lasciali andare. È un loro diritto» la blandì Godfrey, mite. «Forse, non
vorranno più fare i guerrieri.»
Ash e Robert Anselm scossero la testa all'unisono.
«Li conosco.» Ash si passò una mano su una guancia. «Sono a centinaia
di leghe dal cazzo di fattoria o città dove sono nati e non sanno fare altro
che combattere. Sono la mia gente, Godfrey.»
«Adesso sono i soldati di del Guiz. Non hai pensato che questa potrebbe
essere la soluzione migliore per loro, figliola?»
Questa volta fu Robert Anselm a dissentire.
«Conosco questi giovani cavalieri che poggiano il culo su un cavallo da
guerra per la prima volta! Sono dei sacchi pieni di piscio e vento che non
sanno trattenersi in battaglia e non si curano dei loro uomini! Quello non è
altro che uno dei tanti eroici disastri che vanno in giro su due gambe. Ab-
biamo tempo, capitano. È meglio che andiamo via da Colonia.» Anselm
fissò Fernando del Guiz che si allontanava lungo la navata in compagnia di
Joscelyn van Mander senza girarsi a guardare la sua sposa. «Vedremo
quanto ti piacerà la strada, ragazzino di città.»
Merda, pensò Ash.
Non ho più la mia compagnia. La stanno smembrando, io sono sposata a
una persona che mi possiede e non ho alcun modo di imparare i giochi di
corte per far cambiare idea all'imperatore, perché devo scortare un paio di
ambasciatori in disgrazia Cristo solo sa dove...
Ash lanciò un'occhiata all'ala ovest40 della cattedrale, che si trovava oltre
40
Proprio come successe con la navata, anche questa parte venne
lasciata incompleta fino al diciannovesimo secolo.
le porte. «Qual è il porto imperiale più vicino a noi?»
«Genova» disse Godfrey Maximillian.
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ash:
La storia perduto della Borgogna, (Ratcliff, 2001), British Library.

Messaggio: #5 (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash: documenti storici
Data: 02/11/00 ore 20,55
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Pierce cancellati

Mi dispiace disturbarti fuori dall'orario di lavoro, ma 'devo' parlarti ri-


guardo la traduzione di questi documenti.
Ho un ricordo molto bello di quando studiai Ash a scuola e devo dire
che la tua traduzione mette in luce una delle caratteristiche che già allora
mi avevano entusiasmato: Ash è un vero soldato. Sa combattere e, pur es-
sendo analfabeta, possiede un carattere molto complesso. Mi piace quella
donna! Continuo a pensare che una traduzione dei documenti inediti che tu
hai scoperto, unita a una revisione delle traduzioni precedenti, sia una delle
migliori idee commerciali degli ultimi tempi. Sai bene che, sebbene tu non
mi abbia ragguagliata a fondo sul tuo lavoro, ti sto sostenendo con tutte le
mie forze.
Comunque. Queste fonti...
Posso capire gli strani errori di datazione e le leggende medievali. Dopo
tutto era questo il modo in cui quella gente 'percepiva' ciò che accadeva
loro. Quello che abbiamo tra le mani è la prospettiva di una tua nuova teo-
ria sulla storia dell'Europa, è materiale di ottima qualità! - Ma proprio per
questo motivo ogni discrepanza con la storia fino a oggi conosciuta deve
essere comprovata con un lavoro di documentazione inattaccabile. A con-
dizione che le leggende vengano riferite come tali, verrà fuori un ottimo
libro di storia.
*Ma*...
*golem*???!!!
Nell'Europa medievale?!
Cosa devo aspettarmi la prossima volta - zombie e non morti?! Questa è
fantasia.
AIUTO!

— Anna
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Messaggio: #1 (Anna Longman)


Oggetto: Ash: documenti storici
Data: 03/11/00 ore 18,30
Da: Ratcliffe@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli cancellati
Anna

Ecco cosa succede a comunicare tramite e-mail, si dimentica di consul-


tarla! Mi dispiace 'moltissimo' di non averti risposto ieri.
Veniamo ai 'golem'. Mi sto attenendo alla traduzione di Charles Mallory
Maximillian (ho aggiunto un po' dei dati del FRAXINUS). Nel 1890 Mal-
lory parla degli 'uomini di terracotta' che somigliano molto ai servitori ma-
gici creati dal leggendario Rabbino di Praga (non dobbiamo dimenticare
che la traduzione venne fatta nel pieno del revival occultistico che imper-
versava nei salotti vittoriani dell'Europa fin de siècle).
Nel 1930 Vaughan Davies si riferisce ai golem chiamandoli 'robot', un
termine piuttosto inusuale per quei tempi.
Io avevo intenzione di usare il termine 'golem' in questa terza edizione, a
meno che tu non pensi che sia poco storico. So che vuoi rendere questo
libro accessibile a tutte le fasce di lettori.
Comunque, dal punto di vista storico credo che questi 'golem' o 'uomini
di terracotta' siano nati da un misto tra una realtà storica, l'alto livello tec-
nologico raggiunto dagli Arabi nel Medio Evo, e storie di vario genere.
Sarai sicuramente al corrente che gli Arabi non erano solamente inge-
gneri abilissimi, ma avevano costruito fontane, orologi, automi e tantissimi
altri meccanismi molto sofisticati. È ormai assodato che al tempo di al-
Jazari esistevano ottimi mezzi di traino, cambi a segmenti ed epicicli e
pompe. Sia le riproduzioni animate del moto della volta celeste che quelle
del corpo umano erano alimentate dall'acqua. Sebbene nessuna di queste
creazioni potesse spostarsi nello spazio, molti viaggiatori europei di quel
periodo riferirono di 'modelli' mobili di uomini, cavalli e uccelli canterini.
Le mie ricerche mi hanno portato alla conclusione che all'interno dell'o-
pera di del Guiz siano confluite le storie dei viaggiatori e le leggende e-
braiche sul golem. Infatti non c'è nessuna prova storica dell'esistenza di tali
creature magiche.
Se ci fosse stato un 'uomo di terracotta' o un 'servitore' di qualche tipo,
immagino che potesse essere una sorta di veicolo spinto dal vento come i
sofisticati carri dell'epoca, ma allora ci sarebbero volute ruote, strade ben
pavimentate e un conducente umano come per tutti i carri, e sicuramente
non avrebbe assolutamente potuto essere impiegato al coperto. Tu potresti
obiettare, giustamente, che parlando dei golem si estenderebbe fin troppo
una speculazione storica senza alcuna giustificazione. Non è mai stato sco-
perto nulla di simile. È una licenza del cronista.
Mi piacciono i miei 'golem' perché li ritengo parte delle leggende che
fanno da corollario alla vita di Ash e spero che tu me li voglia far tenere.
Comunque, non intendo porre troppa enfasi sugli aspetti 'leggendari' della
vicenda a discapito delle verità storiche contenute nel testo di del Guiz.
Non ho problemi a eliminare i golem nel caso non risultassero confacenti
al taglio del libro.

— Pierce Ratcliff

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Messaggio: #6 (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash: documenti storici
Data: 03/11/00 ore 23,55
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli cancellati
— Pierce

Non saprei riconoscere un cambio a segmenti neanche se mi mordesse!


Ma sono d'accordo con te quando sostieni che questi 'golem' sono il frutto
di qualche leggenda medievale basata su un qualche tipo di realtà. Ogni
studio sulla storia delle donne, degli afro-americani o della classe operaia
ti fa subito capire quanto tutti questi argomenti siano strettamente legati
alla storia convenzionale: perché la storia dell'ingegneria dovrebbe essere
tanto diversa?
Ritengo che sia meglio lasciare fuori le leggende per evitare confusione
con i fatti realmente accaduti.
Oggi una delle mie assistenti ha sollevato alcune riserve riguardo i 'Visi-
goti.' Come facevano a essere ancora in circolazione nel 1476, considerato
che erano una tribù germanica scomparsa con la caduta dell'Impero Roma-
no d'Occidente?
L'altra domanda sono io a porla: non ho fatto studi classici, ma se ben ri-
cordo Cartagine non venne 'fatta sparire dalla faccia della terra' ai tempi
dei Romani? Il tuo manoscritto parla come se al tempo fosse ancora esi-
stente, ma non fa alcuna menzione della cultura araba nel Nord Africa.
Si chiarirà tutto, vero? Presto? TI PREGO?!

— Anna

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Messaggio: #3 (Anna Longman)


Oggetto: Ash: una teoria
Data: 04/11/00 ore 09,02
Da: Ratcliff@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
— Pierce ancellati

Non sapevo che gli editori lavorassero così tanto. Spero che tu non stia
lavorando troppo duramente.
Mi chiedi qualcosa riguardo la mia teoria - molto bene. Molto probabil-
mente non possiamo continuare il nostro rapporto lavorativo senza che
prima ti abbia chiarito alcuni punti. Sopportami ancora per qualche tempo,
così potrò darti le informazioni necessarie.
L'arrivo di quel personaggio che nel testo è chiamato l'ambasciatore dei
'Goti' rappresenta effettivamente un problema, che, tuttavia, credo di aver
risolto e, come tu hai intuito, si tratta del fattore chiave nel mio processo di
rilettura della storia dell'Europa.
Mentre per la presenza dell'ambasciatore alla corte di Federico ho trova-
to dei riferimenti sia nelle CRONACHE DELLA BORGOGNA che nella
corrispondenza tra Filippo de Commines e Luigi XI di Francia, ho trovato
molto arduo scoprire da dove saltassero fuori questi 'Goti' (o, visto che
preferisco la traduzione di Charles Mallory Maximillian, che trovo più
accurata, 'Visigoti': i 'nobili Goti').
La tua collaboratrice sbaglia nell'affermare che le tribù barbariche della
Germania 'scomparvero' visto che vennero assorbite nel gigantesco calde-
rone etnico che era l'Europa dopo la caduta dell'Impero Romano. In Italia,
per esempio, troviamo gli Ostrogoti; i Burgundi nella valle del Reno e i
Visigoti in Iberia (Spagna). Essi continuarono a regnare su questi territori
in alcuni casi anche per secoli.
Tuttavia, Maximillian azzarda l'ipotesi che gli ambasciatori siano Spa-
gnoli. Questa sua affermazione non mi ha mai soddisfatto. La giustifica-
zione logica addotta da CMM è che, a partire dall'ottavo secolo, la Spagna
è divisa tra un'aristocrazia gotica di stampo cavalleresco e le dinastie ara-
biche approdate sulla penisola iberica con l'invasione del 711. Le casate
minori, sia quelle arabe che quelle gotiche, governavano su una grande
massa di contadini iberici e mori. Quindi, Maximillian dice: «Visto che
esistevano dei 'Visigoti' in circolazione fino al tardo quindicesimo secolo,
è probabile che ci fossero anche delle voci riguardo al fatto che sia i Visi-
goti cristiani che i 'Saraceni infedeli' (musulmani) fossero in possesso di
alcune macchine e di parte della tecnologia dell'Impero Romano.»
Gli ultimi Musulmani vennero cacciati del tutto dalla Spagna con la 'Re-
conquista' (1488 - 1492) , quindici anni dopo la morte di Ash. Quindi, è
lecito supporre che l'ambasciatore visigoto alla corte dell'imperatore Fede-
rico provenisse dalla penisola iberica.
Comunque, io stesso trovai molto curioso che i testi sulla vita di Ash di-
cessero chiaramente che i due diplomatici arrivavano da una città che si
trovava sulle coste del Nord Africa. (Ancor più stupefacente perché quelle
zone non appartenevano agli Arabi!)
Vaughan Davies, l'autore della seconda storia della vita di Ash (1939),
basa la SUA teoria sul fatto che i testi si riferiscono agli abitanti del Nord
Europa come 'Franchi' trattando i Visigoti come se fossero i cavalieri sara-
ceni delle leggende arturiane - i 'Saraceni' nascono da un'idea tutta europea
della cultura araba mista ai racconti fatti dai Crociati tornati dalla Terra
Santa. Non penso che Vaughan Davies abbia fatto qualche studio per ri-
solvere il problema.
Adesso passiamo all'altro problema: Cartagine. Cartagine venne fondata
dai Fenici e, come tu mi hai fatto notare, venne rasa al suolo dai Romani
che in seguito costruirono un'altra città nello stesso luogo.
Il fatto più interessante è che, dopo che l'ultimo Imperatore romano ven-
ne deposto nell'anno 476, furono i Vandali a impossessarsi dei territori
romani del Nord Africa e i Vandali, proprio come i Visigoti, erano una
tribù germanica.
Quella che prese possesso delle regioni in questione era una piccola elite
militare che, guidata dal suo primo re, Genserico, voleva godere dei frutti
del grande regno africano. Sebbene i Vandali continuassero a restare in
qualche modo 'germanizzati', Genserico portò con sé una casta sacerdotale
ariana che fece diventare il Latino lingua ufficiale e fece erigere dei bagni
pubblici simili a quelli dei Romani. La Cartagine vandalica tornò a essere
il grande porto di un tempo: Genserico non controllava solo il Mediterra-
neo, ma, a un certo punto del suo regno, saccheggiò Roma.
Come puoi vedere una specie di 'Tunisia gotica' è effettivamente esistita.
L'ultimo re, Gelimero (un usurpatore), perse l'Africa vandalica contro i
Bizantini nel volgere di tre mesi nell'anno 530 (si dice che in seguito si
fosse ritirato in uno dei grandi possedimenti donatigli dai Bizantini). I Bi-
zantini cristiani vennero cacciati dai regni berberi circostanti e dall'Islam
(più che altro per l'uso militare del cammello) nel 630. Da quell'anno in
poi tutte le tracce della cultura gotica vennero fatte sparire da quell'area
dell'Africa, tanto che non ci sono più neanche dei richiami nella lingua.
Secondo te, dove è possibile che sia sopravvissuta la cultura gotico-
germanica dopo il 630?
In Spagna, vicino al Nord Africa, 'con i Visigoti.'
Come ti renderai conto dopo la pubblicazione del mio Ash, tutto il cam-
po di ricerca sulla storia del Nord Europa dovrà essere rivisto.
In breve: intendo dimostrare che fino al tardo quindicesimo secolo sulle
coste dell'Africa del Nord c'era ancora un insediamento di Visigoti.
Che il loro 'ristabilirsi' ebbe luogo molto dopo il Nord Africa vandalico,
dopo la fine del Primo Medio Evo e che il loro periodo di massimo fulgore
militare fu il 1400.
Intendo provare che nell'anno 1476 c'era un insediamento medievale po-
polato dai sopravvissuti delle tribù Vandale che non avevano 'golem' né
'crepuscoli'.
Penso che l'Africa del Nord sia stata oggetto di un'incursione dei discen-
denti iberici dei Visigoti provenienti dalle 'taifa' (confini/misti) spagnole.
Sono arrivato a tali conclusioni dopo la lettura delle descrizioni trovate nei
testi. Nel Fraxinus l'insediamento è chiamato 'Cartagine' perché molto pro-
babilmente doveva sorgere nei pressi del sito dell'antica Cartagine.
Io credo che questo insediamento gotico, influenzato dalla cultura araba
(ci sono moltissimi termini militari usati dagli Arabi nei manoscritti del-
l'Angelotti e di del Guiz) abbia prodotto qualcosa di unico. E io non credo
che la controversia verta sull'esistenza o meno di questo luogo, quanto
(potremmo dire) su quello che fece tale cultura e sul contributo fornito alla
cultura europea come la viviamo oggi.
Forse ci sarà una prefazione o una postfazione, che spiegherà tutte le
implicazione insite nei documenti su Ash, ma non l'ho terminata.
Mi dispiace di essere così vago riguardo tali implicazioni, Anna, ma non
voglio che qualcuno le pubblichi prima di me. Ci sono dei giorni in cui
non posso proprio credere che nessun altro abbia letto il 'Fraxinus' prima di
me e il mio incubo è aprire il GUARDIAN e scoprire che qualcun altro ha
fatto una nuova traduzione. Al momento non ho voglia di mettere in rete la
mia teoria perché chiunque potrebbe scaricarla. Infatti, finché non avrò
tradotto e corretto tutto, nonché scritto la postfazione alla prima stesura,
sono piuttosto riluttante a discutere di questioni editoriali.
Abbi pazienza, ti prego. Dobbiamo lavorare a compartimenti stagni, al-
trimenti mi rideranno tutti in faccia e sarò espulso dal mondo accademico.
Per il momento ti trasmetto un altra parte della traduzione: la seconda
parte della VITA, scritta da del Guiz.

— Pierce

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Messaggio: #12 (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash: una teoria
Data: 03/11/00 ore 14,19 Format dell'indirizzo
Da: e altri dettagli
Longman@
cancellati
— Pierce

Passino i Vandali, ma non riesco a trovare 'nessuna' indicazione nei miei


libri di storia europea o araba sui Visigoti, abitanti del Nord Africa.
Sei SICURO di non esserti sbagliato?
Devo essere onesta e dirti che non abbiamo bisogno di nessuna contro-
versia sull'attendibilità di questo libro. 'Per favore', dammi altri dati entro
oggi, se possibile!

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Messaggio: #19 (Anne longman)
Oggetto: Ash: una teoria
Data: 04/11/00 ore 18,37 Format dell'indirizzo
Da: Ratcliff@ e altri dettagli
cancellati
Anna —

Anch'io, inizialmente, nutrivo i tuoi stessi dubbi. Anche i Vandali erano


scomparsi del tutto dalla Tunisia islamica da nove secoli.
In un primo momento ho pensato che il problema fosse nel modo di pen-
sare medievale. Lascia che ti spieghi. Per loro la storia non era una pro-
gressione, una sequenza di fatti che si susseguivano in un ordine particola-
re. Gli artisti del Cinquecento che fecero luce sulle imprese dei Crociati
fecero indossare ai loro soldati del milleduecento degli abiti del millecin-
quecento. Nello scrivere 'La morte di Artù' (1460) Thomas Mallory mise
addosso ai suoi cavalieri le stesse armature indossate dai soldati nella
Guerra delle Rose e li fece parlare come si parlava nel 146 0. La storia è
'adesso'. La storia è il prototipo morale del momento presente.
Il 'momento presente' dei documenti su Ash è il 1470.
In un primo momento ho creduto che i 'Visigoti' di cui si parlava in que-
sto testo fossero i Turchi.
Ora, possiamo facilmente immaginare quanto fossero 'terrorizzati' i regni
europei quando il vasto impero di Osmanli (la Turchia per te!) assediò e
prese Costantinopoli (1453), la 'più cristiana tra le città'. Per loro quel fatto
rappresentò la fine del mondo. Fino al momento in cui i Turchi Ottomani
non vennero respinti alle porte di Vienna (1600), l'Europa visse per due-
cento anni un periodo di terrore. Tutti temevano l'invasione da est. Fu la
loro Guerra Fredda.
La prima cosa che pensai fu che i cronisti di Ash (solo perchè era un fa-
mosissimo capo mercenario) 'dovevano' averla fatta partecipare a qualche
battaglia contro i Turchi. Temendo l'impero turco essi ne nascosero l'iden-
tità sotto il nome di 'Visigoti'
Come ben saprai, dovrò revisionare anche queste fonti.

Pierce Ratcliff, Ph. D.

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Messaggio: #14 (Pierce Ratcliff)
Oggetto: Ash:
Data: 05/11/00 ore 08,43
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Pierce — cancellati

Non ho la minima idea di come spiegherò al direttore editoriale, per non


parlare delle vendite e del marketing, che i Visigoti sono i Turchi e che
tutta la storia che ci hanno insegnato è un cumulo di menzogne!

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Messaggio: #20 (Anne Longman)


Oggetto: Ash:
Data: 05/11/00 ore 09,18
Da: Ratcliff@
Format dell'indirizzo
Anne — e altri dettagli cancellati

No, no, NON sono Turchi! Ho solo pensato che potessero esserlo. Mi
SBAGLIAVO!
La mia teoria pone un enclave visigoto sulle coste del Nord Africa nel
corso del quindicesimo secolo. La mia opinione è che le prove di questo
fatto siano state occultate sotto il tappeto accademico.
È già successo con molti altri fatti storici. Gli eventi e le persone non so-
lo sono deliberatamente cancellati dalla storia, come succedeva con lo sta-
linismo, ma sembra che vengano dimenticati del tutto quando i tempi sono
contro di loro. La stessa Ash scomparve durante il periodo patriarcale e in
anni più 'illuminati' venne fatta apparire come un 'simbolo', mai coinvolta
negli scontri. Ma questo accadde anche con Giovanna d'Arco, Jeanne de
Montfort, Eleonora d'Aquitania e centinaia di altre donne la cui bassa e-
strazione sociale le costringeva nel dimenticatoio per diversi anni.
Sono sempre stato affascinato dal PROCESSO che fa accadere tutto ciò
- vedi la mia tesi - e dai DETTAGLI che vengono cancellati. Se non fosse
stato per Charles Mallory Maximillian e il suo Ash (che mi venne donato
da una mia bisnonna che a sua volta probabilmente lo ricevette come pre-
mio a scuola) non avrei mai passato vent'anni ad esplorare la storia
'scomparsa'. E ora l'ho trovato. Ho trovato un pezzo di storia 'scomparsa'
abbastanza attendibile da darmi una reputazione.
Devo tutto al 'Fraxinus'. Più lo studio più penso che la sua provenienza
dalla famiglia Wade (il baule dove l'ho trovato si suppone provenga da un
monastero andaluso) sia attendibile. La Spagna medievale è complessa,
lontana e affascinante; e se ci sono stati dei Visigoti superstiti - mischiati
nei vari rami della classe dirigente di origine romano barbarica che al tem-
po governava la penisola iberica - io mi aspetto di trovarne le prove tra le
pagine di questo semisconosciuto manoscritto medievale.
Ovviamente nei manoscritti su Ash ci sono degli errori e delle esagera-
zioni, ma contengono molte verità storiche. È possibile che ci fosse alme-
no un città visigota sulle coste del Nord Africa e che esercitasse un'egemo-
nia militare di un certo peso!

— Pierce

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Messaggio: #18 (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash: una teoria
Data: 05/11/00 ore 16,21
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Pierce — cancellati

Ottimo.
FORSE.
Come è possibile che fatti di una tale importanza siano SCOMPARSI
dalla storia???

— Anna

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Messaggio: #21 (Anne Longman)


Oggetto: Ash:
Data: 06/11/00 ore 04,30
Da: Ratcliff@
Format dell'indirizzo
Anne — e altri dettagli cancellati

Mi scuso per la risposta telefonica. Avevo lasciato il commutatore di


questa linea sul fax. Voglio solo rassicurarti.
È FACILE sparire dalla storia. È successo con la BORGOGNA. Nel
1476 era lo stato più ricco, culturalmente avanzato e meglio organizzato
dal punto di vista militare di tutta l'Europa e Charles Mallory Maximillian
ha avuto ragione nello scrivere, quando nel gennaio del 1477 il loro duca
venne ucciso, NON VENNE SCRITTO PIÙ NULLA SULLA BORGO-
GNA.
Non è del tutto vero, ma anche per le persone più acculturate, i protago-
nisti della storia del nord ovest dell'Europa dopo la caduta dell'Impero
Romano sono la Germania e la Francia, mentre Borgogna è solo il nome di
un vino.
Capisci? Sto cercando di dirti che:
ci volle quasi una generazione per far scomparire del tutto la Borgogna.
Maria, l'unica figlia di Carlo, sposò Massimiliano d'Austria dando origine
agli Asburgo austro-ungarici, casata che regnò fino alla fine della Prima
Guerra Mondiale. Ma il punto è un altro.
Se non sai che la Borgogna è stato uno degli stati più potenti dell'Europa
e che il suo regno è durato per quasi cinquecento anni, beh, se non lo sai,
non lo potrai mai imparare. È come se tutta la nazione fosse stata DI-
MENTICATA nel momento stesso in cui Carlo l'Intrepido morì sul campo
di battaglia di Nancy.
Nessuno ha mai fornito una spiegazione soddisfacente per tale scompar-
sa! Ci sono alcune cose che gli storici non citano.
Io penso sia accaduto qualcosa di simile con l'insediamento dei 'Visigo-
ti'.
È mattino presto, sto straparlando e tu potresti pensare che io sia un idio-
ta.
Ti prego di scusarmi. Sono esausto. Ho prenotato un posto su un aereo
che parte da Heathrow e ho solo un'ora per fare i bagagli, avevo appena
chiamato il taxi quando ho deciso di controllare la segreteria telefonica e
ho trovato il tuo messaggio.
Anna, è successa la cosa più pazzesca che potresti pensare! La mia col-
lega, il Dottor Isobel Napier-Grant, mi ha telefonato. È la responsabile di
una serie di scavi archeologici fuori Tunisi - il GUARDIAN ha pubblicato
diversi articoli sulle sue ultime scoperte - e ha trovato un reperto che po-
trebbe essere uno degli 'uomini di terracotta' descritti da del Guiz!
Lei pensa 'che potrebbe essere' un manufatto tecnologico 'mobile'!!! - di
epoca medievale o post romana. O forse si tratta di una sciocchezza e ba-
sta, qualche strana invenzione dell'epoca vittoriana che è rimasta sotto ter-
ra per un centinaio d'anni.
Tunisi si trova vicina alle rovine della Cartagine descritta dai Romani.
È arrivato il taxi. Se questa cosa funziona ti spedirò un'altra parte della
traduzione. Telefono appena torno dalla Tunisia.
Anna, se i golem sono esistiti veramente, cos'altro può essere vero?
PARTE SECONDA

1 LUGLIO - 22 LUGLIO 1476

Nam sub axe legismus, Hecuba regina41

La chiatta galleggiava sulle acque del Reno. Ash inclinò la testa all'in-
dietro e slacciò la fibbia dell'elmo. «Che ora è?»
«Il tramonto» le rispose Philibert.
L'inizio della mia prima notte di matrimonio, pensò Ash.
Si tolse l'armatura aiutata dai suoi due paggi, quindi fece un sospiro e
stirò le braccia. L'armatura non era pesante appena indossata e dopo dieci
minuti continuava a non pesare nulla, ma ogni volta che veniva tolta sem-
brava di piombo.
Il trasporto sulle chiatte presentava molti problemi: duecento uomini
della compagnia del Leone selezionati da Fernando del Guiz, che aveva
cominciato subito a esercitare il suo diritto matrimoniale, per scortare gli
ambasciatori visigoti da Colonia, attraverso i cantoni svizzeri e i passi al-
pini fino a Genova. Quindi bisognava organizzare duecento uomini, l'equi-
paggiamento, i cavalli e nominare un vice comandante da lasciare alla gui-
da del resto della compagnia; in questo caso lei aveva nominato Angelotti
e Geraint ab Morgan.
Ash udì un lamento soffocato seguito dal tonfo di qualcosa di pesante
che cadeva sul ponte: uno dei suoi uomini aveva ucciso l'ultimo manzo.
Sentì il rumore dei passi, lo sciacquio dell'acqua usata per pulire il ponte
dal sangue che non era colato nei recipienti e il rumore del coltello da ma-
cellaio che scuoiava la bestia.
«Cosa vuoi da mangiare, capo?» gli chiese Rickard, ballonzolando da un
piede all'altro, chiaramente impaziente di tornare sul ponte per unirsi al
resto della compagnia: uomini che giocavano e bevevano e prostitute che
41
'Poiché sotto i mozzi ['Asse' della Rota Fortuna] è scritto, 'Ecate
Regina' -un'interessante citazione dell'autore del manoscritto
dell'Angelotti, secondo il quale nel 'tremendo esempio' medievale della
Caduta dei Re, la regina Ecuba di Troia è stata sostituita da Ecate, la
potente e a volte malvagia dea degli Inferi, della notte e della luna. È
curioso notare che il termine 'Ecuba' in Greco viene tradotto con 'Ecabe'.
se la spassavano per tutta la notte godendosi la lenta discesa lungo il fiu-
me.
«Pane e vino.» Ash fece un gesto brusco. «Li prenderà Phili. Ti farò
chiamare se ho bisogno di qualcosa.»
Philibert le diede un piatto e Ash cominciò a passeggiare avanti e indie-
tro per la piccola cabina masticando pane e bevendo vino con la fronte
corrugata, muovendosi - in ricordo di Costanza nella sua solare Colonia -
non come una donna, ma come un ragazzo dalle gambe lunghe.
«Avevo indetto un incontro con gli ufficiali! Dove diavolo sono?»
«Il mio signore, Fernando, ha detto che si terrà domani mattina.»
«Oh, davvero?» Ash sorrise torva per qualche secondo, poi tornò seria.
«Ha detto: 'non stanotte', e ha fatto commenti pesanti sulla prima notte di
nozze, giusto?»
«No, capo.» Phili sembrava dispiaciuto. «Sono stati i suoi amici. Mat-
thias e Otto. Matthias mi ha dato dei confetti poi mi ha chiesto cosa faces-
se il capitano-puttana. Non gli ho detto nulla. Posso mentire la prossima
volta?»
«Menti quanto vuoi, se ti va.» Ash sorrise con fare cospiratorio nel vede-
re il ghigno compiaciuto che compariva sulle labbra del ragazzino. «Lo
stesso vale anche per Otto, lo scudiero di Fernando. Fa in modo che stia
sempre sulla corda, bambino mio.»
Cosa fa il capitano-puttana...? pensò. Già, cosa faccio?
La vedova, ecco cosa faccio. Mi confesso e faccio penitenza come tutte
le vedove.
«Cristo!» Ash si buttò sul letto della cabina.
Il fasciame della chiatta gemeva sommessamente. L'aria notturna rinfre-
scata dall'acqua del fiume conferiva alla cabina dal tetto telato un'atmosfe-
ra piacevole. Una parte della sua mente registrava il gemito delle gomene,
i cavalli che battevano gli zoccoli, un uomo che chiedeva del vino e un
altro che pregava santa Caterina, e gran parte dei rumori provocati dai due-
cento uomini a bordo delle chiatte che stavano risalendo il fiume per allon-
tanarsi da Colonia.
«Cazzo!»
«Capo?» Philibert alzò gli occhi dal piastrone che stava sabbiando.
«È già abbastanza brutto senza!» Senza che gli uomini abbiano chiaro da
chi debbano prendere ordini: da me o da lui, concluse fra sé; quindi, tor-
nando a parlare ad alta voce disse: «Non ci fare caso.»
Ash si tolse il pantaloni e il farsetto lentamente, senza neanche rendersi
conto che il suo scudiero la stava aiutando. Uno scoppio di risa sul ponte
infranse il silenzio e Ash sussultò senza accorgersene. Una mano le tirò un
lembo della maglia che le scendeva oltre le ginocchia.
«Vuoi che accenda le lanterne, capo?» Phili si sfregò gli occhi con le
nocche.
«Sì.» Ash osservò il paggio che appendeva le lanterne ai ganci. Un atti-
mo dopo una luce giallastra inondò la cabina piena di cuscini di seta, pel-
licce, un letto incassato su un lato e un drappo di tela con i colori della
famiglia del Guiz, il giallo, l'oro e il nero e quelli degli Asburgo, il giallo e
il nero.
I bauli da viaggio di Fernando erano aperti, parte del contenuto era spar-
pagliato per la cabina. Ash fece un inventario mentale di tutto quello che
vedeva: capi di vestiario di vario tipo, una borsa, un corno per calzare le
scarpe, uno spillone da capelli, della cera rossa, filo da calzolaio, una sac-
ca, un cappuccio di velluto rivestito di seta, una cavezza di cuoio dorato,
un rotolo di pergamena, un coltello da tavola con il manico in avorio...
«Vuoi che ti canti qualcosa, capo?»
Ash diede una leggera pacca sul sedere di Philibert. «Certo.»
Il ragazzino si tolse il cappuccio, chiuse gli occhi e cominciò a cantare:

«Il tordo cantava dal fuoco,


'La regina, la regina è il mio flagello'»

«Non quella.» Ash si sedette sul bordo del letto. «E comunque non co-
mincia così, quella strofa è verso la fine. Ma va bene lo stesso. Sei stanco.
Va' a dormire.»
Il ragazzino la fissò. «Io e Rickard vogliamo dormire con te come sem-
pre.»
Ash non aveva più dormito da sola da quando aveva tredici anni.
«No, vai a dormire con gli altri scudieri.»
Il ragazzino corse fuori. Le parole di una canzone molto più esplicita e
sconcia di quella che Philibert aveva cercato di intonare per lei la raggiun-
sero per poi svanire quando il pesante drappo che fungeva da porta tornò a
chiudersi. Probabilmente il piccolo sa anche questa, pensò Ash, ma è da
stamattina che mi cammina intorno trattandomi come se fossi un vetro
veneziano.
Sentì dei passi sul ponte e riconobbe a chi appartenevano. Ebbe un fre-
mito e si sdraiò sul letto.
Fernando del Guiz spostò il drappo berciando qualcosa alle sue spalle e
Matthias, uno dei suoi ben poco nobili amici, come li definiva Ash, scop-
piò a ridere. Fece ricadere il drappo alle sue spalle, chiuse gli occhi e don-
dolò a ritmo con la nave.
Ash rimase sdraiata sul letto.
Nessuno toccò il drappo. Nessuno scudiero, paggio o giovane cavaliere
germanico pieno di boria? pensò lei. Niente scherzi in uso tra l'aristocrazi-
a?
Non li vuoi, vero? Non ti va di mostrare le lenzuola prive del sangue di
una vergine? Non vuoi sentire dire che tua moglie è una puttana.
«Fernando...»
Il cavaliere si sbottonò il farsetto senza maniche e lo fece cadere con uno
scrollone delle spalle. Fernando sorrise. «Devi chiamarmi 'marito'.»
Il sudore gli impastava i capelli biondi sulla fronte. Armeggiò con i lacci
ai fianchi e si tolse la maglia con un gesto brusco, strappandola. Sebbene
non avesse ancora un fisico da adulto Ash pensò che fosse veramente gros-
so. Il petto era quello di un uomo e i muscoli delle cosce erano induriti da
ore e ore passate in sella.
Tirò fuori il membro eretto tenendolo con una mano senza preoccuparsi
di calarsi i pantaloni e usò l'altra mano per issarsi sul letto. La luce della
lanterna conferiva alla pelle di Fernando un colorito dorato. Lei inalò l'o-
dore di maschio e di maglie di lino lasciate ad asciugare all'aperto.
Ash tirò su i lembi della maglia.
Fernando le posò una mano sulla vagina, le sollevò i fianchi con l'altra e
la penetrò con un movimento goffo.
Ash, che era già pronta a quel momento da quando l'aveva sentito cam-
minare sul ponte, lo accolse ed ebbe un fremito come se fosse in preda alla
febbre.
Il volto di Fernando del Guiz era a pochissimi centimetri dal suo. «Bal-
dracca...» le sussurrò quando si accorse che lei era pronta a riceverlo.
Le passò un pollice sulle guance sfregiate, su una vecchia cicatrice alla
base del collo e sul livido nerastro provocatole da un colpo sul piastrone
durante una scaramuccia fuori Neuss. «Hai il corpo di un uomo» borbottò
con voce impastata. Le crollò addosso rendendole difficile respirare. Ash
piantò le dita nelle spalle del marito sentendo il contrasto tra la pelle mor-
bida e la durezza dei muscoli sottostanti: velluto sopra l'acciaio. Poi ab-
bandonò la testa sul cuscino ed emise un gemito gutturale.
Fernando diede due o tre spinte. Ash sentì i muscoli della vagina che si
rilassavano ulteriormente per meglio accogliere il membro del marito.
L'uomo sussultò un paio di volte come un coniglio ferito a morte e il suo
seme caldo si riversò tra le cosce di lei, dopodiché le crollò addosso.
Ash avvertì il forte odore di birra che appestava il fiato dell'uomo.
Il membro le scivolò fuori dalla vagina, molle.
«Sei ubriaco!» gli disse Ash.
«No, ma vorrei esserlo.» La fissò con uno sguardo annebbiato. «Ho
mantenuto fede ai miei doveri. Fatto, signora moglie. Adesso sei mia, la
nostra unione è segnata dal sangue.»
«Non credo» lo interruppe Ash, secca.
Fernando del Guiz cambiò espressione, ma lei non riuscì a capire cosa
provasse in quel momento. Arroganza? Repulsione? Confusione? Un desi-
derio semplice ed egoistico di non essere su quella barca in compagnia di
quella donna problematica che somigliava a un uomo?
Se fosse stato uno dei miei uomini avrei capito subito cosa gli passa per
la testa. Cosa mi succede? si chiese Ash.
Fernando abbassò lo sguardo e vide che sulle lenzuola c'era solo una
macchia di sperma. «Tu sei stata con altri uomini. Speravo che fosse solo
una voce incontrollata e che tu non fossi stata una puttana, come la moglie
del re di Francia. Ma tu non sei vergine.»
Ash si spostò per guardarlo in faccia. «Ho perso la mia verginità all'età
di sei anni» lo informò in tono piatto e leggermente sarcastico. «Avevo
otto anni quando mi violentarono per la prima volta, dopodiché mi guada-
gnai da vivere prostituendomi.» Non vide alcuna comprensione nello
sguardo del marito. «Non sei mai stato con una ragazzina?»
Fernando arrossì. «No!»
«Mai con una bambina di nove o dieci anni? Saresti sorpreso di scoprire
quanti uomini lo fanno. Anche se, a dire il vero, molti di voi non si preoc-
cupano se hanno a che fare con una donna, una bambina, un uomo o una
pecora, basta infilarlo in un posto caldo e umido.»
«Angeli e Ministri di Grazia!» sbottò Fernando. «Taci!»
Ash avvertì qualcosa che fendeva l'aria e alzò istintivamente il braccio
deviando il pugno di lui, che tuttavia la sfiorò su una guancia facendole
scattare la testa indietro.
«Taci, taci, taci...»
«Va bene!»
Ash si allontanò da lui con gli occhi umidi di lacrime. Si allontanò da
quella pelle vellutata e dai quei muscoli d'acciaio che tanto avrebbe voluto
toccare e abbracciare.
«Come hai potuto farlo?» le chiese con il tono amareggiato di una per-
sona tutta privilegi feudali e potere.
«Con molta facilità» rispose Ash con il tono pragmatico, acerbo e venato
di umorismo nero di un comandante. «Ho preferito passare la mia vita da
puttana piuttosto che diventare la vergine che tu vorresti io fossi. Quando
capirai il motivo di questa scelta, allora avremo qualcosa di cui parlare.»
«Parlare? Con una donna?»
Avrebbe anche potuto perdonarlo se avesse usato 'con te', ma il modo in
cui aveva pronunciato la parola 'donna' le aveva fatto arricciare un angolo
della bocca.
«Ti dimentichi chi sono» gli ricordò con un tono privo di umorismo. «Io
sono Ash. Io sono il Leone Azzurro.»
«Lo eri.»
Ash scosse la testa. «Fottimi, allora. Questa è la nostra prima notte di
nozze.»
Pensò di averlo conquistato, arrivò al punto di giurare a se stessa che
Fernando stava per scoppiare a ridere, che stava per rivedere quel ghigno
complice che aveva già visto a Neuss, ma lui si abbandonò sul letto, si
coprì gli occhi con un braccio e cominciò a esclamare: «Christus Impera-
tor! Perché mi hanno fatto unire a costei?»
Ash sedeva a gambe incrociate, del tutto inconsapevole della sua nudità
finché i suoi occhi non ricaddero sul ventre piatto, le cosce robuste e il
sesso del marito e sentì l'eccitazione crescere in lei. Cambiò posizione e
posò una mano sulla vagina per cercare di calmare i bollori.
«Sei una fottuta contadina puttana!» esclamò lui. «Una cagna in calore!
Ho avuto ragione fin dalla prima volta che ti ho incontrata.»
«Oh, dannazione...» Ash arrossì, portò le dita alle guance e si accorse
che anche le orecchie le si erano scaldate. «Non farci caso» si scusò in
tutta fretta.
Fernando afferrò la coperta e si avvolse dentro di essa senza togliere il
braccio dagli occhi. Ash si strinse le caviglie per impedire alle mani di
allungarsi e toccare quella pelle vellutata.
Il marito cominciò a russare. Era scivolato subito in un sonno profondo.
Ash attese ancora qualche attimo, quindi strinse il medaglione con l'effi-
gie di san Giorgio su una faccia e la runa del suo nome sull'altra.
Aveva l'impressione che il suo corpo urlasse.
Non dormiva.
Sì, molto probabilmente lo farò uccidere, pensò.
Non è molto diverso che uccidere sul campo di battaglia, continuò tra sé
e sé. Non mi piace. Voglio solo scoparmelo.
Molte ore dopo, molte più di quelle che potevano essere contate con una
candela segna tempo, Ash vide della luce bordare il drappo che fungeva da
porta. L'alba stava cominciando a illuminare la valle del Reno e il convo-
glio di chiatte.
Cosa faccio? si chiese. Allungò una mano verso la cintura che aveva la-
sciato sopra il farsetto e i pantaloni e afferrò l'elsa del coltello. Passò il
pollice sul pomello sferico, quindi estrasse dal fodero qualche centimetro
di lama grigia e affilata.
Fernando dormiva.
Non aveva pensato di portarsi un paggio, uno scudiero o una guardia.
Non c'era nessuno in grado di dare l'allarme, tanto meno di difenderlo.
C'era qualcosa nell'ignoranza del marito, forse dovuta alla sua incapacità
di arrivare a pensare che una donna potesse uccidere un cavaliere feudale,
e nella sua facilità ad addormentarsi come se fossero una coppia qualun-
que, che la colpì profondamente. Cristo Verde, non ha mai pensato di esse-
re ucciso da una prostituta? si chiese Ash.
Si girò, estrasse del tutto la daga e ne saggiò il filo con il pollice. Era ab-
bastanza affilata perché solo posandogliela sulla gola gli potesse lacerare il
primo strato di pelle senza intaccare la carne.
Dovrei pensare, si disse, che è stata la sua arroganza a ucciderlo, e farla
finita. Un'occasione simile potrebbe non capitare mai più.
No, non riuscirei ad andarmene. Nuda e coperta di sangue: sarebbe fin
troppo facile capire chi è stato.
No. Non è il momento.
So molto bene che una volta fatto, a fait accompli come direbbe Go-
dfrey, i miei ragazzi butterebbero il corpo nel fiume e direbbero a chiun-
que li interrogasse, imperatore incluso, che si è trattato di un incidente di
navigazione.
Ho ancora qualche remora a farlo.
Solo Cristo e la sua pietà sanno perché non voglio ucciderlo.
«Neanche ti conosco» sussurrò.
Fernando del Guiz continuava a dormire con il volto scoperto e vulnera-
bile.
Nessun confronto: nessun compromesso. Compromesso. Cristo, ma non
sono io quella che ha passato metà della sua vita in cerca di compromessi
per fare in modo che ottocento persone potessero lavorare insieme? Non è
necessario che mi dimentichi di avere un cervello solo perché sono in un
letto.
Allora?
Siamo una compagnia che è stata divisa: gli altri sono a Colonia. Se uc-
cidessi Federico qualcuno avrebbe da obiettare - c'è sempre qualcuno che
ha da ridire su qualcosa: per esempio, se fosse per van Mander ci sarebbe
una seconda divisione e lui e i suoi uomini seguirebbero mio marito. A lui
piace del Guiz perché gli piace essere comandato da un uomo che oltre a
essere un nobile è anche un cavaliere. A Van Mander non piacciono le
donne neanche quando combattono bene come me.
È meglio aspettare fino a quando non avremo mollato gli ambasciatori a
Genova e saremo tornati a Colonia.
Genova. Merda.
«Perché l'hai fatto?» gli sussurrò, sdraiandosi al suo fianco. Fernando del
Guiz si girò nel sonno e le diede le spalle.
«Sei uno come Joscelyn, convinto che per quanto possa io fare bene, non
sarà mai abbastanza perché sono una donna? Perché l'unica cosa che non
posso fare è diventare uomo? O forse solo perché non sono una nobildon-
na? Una di voi?»
Il respiro basso di Fernando del Guiz riempiva la cabina.
Dopo qualche secondo il nobile si girò premendosi contro di lei che ri-
mase immobile sotto il corpo muscoloso e sudato del marito. Ash gli spo-
stò una ciocca di capelli dagli occhi con la mano libera.
Non riuscivo a ricordare il suo volto, pensò, ma adesso sì.
Il pensiero la stupì non poco, inducendola ad aprire gli occhi.
«Ho ucciso i miei due primi uomini quando avevo otto anni» gli sussur-
rò per non svegliarlo. «A che età hai ucciso il tuo primo uomo? A quali
battaglie hai preso parte?»
Non posso uccidere un uomo che dorme, pensò.
Non...
Le mancarono le parole. Godfrey o Anselm avrebbero detto pique, ma
entrambi gli uomini erano su altre chiatte e avevano trovato delle occupa-
zioni che li avrebbero tenuti il più distante possibile dalla chiatta di testa,
specialmente durante la prima notte di matrimonio.
Ho bisogno di riflettere, si disse Ash. Devo parlarne con loro.
Comunque, non posso dividere la compagnia, qualunque cosa farò è
meglio che aspetti di tornare in Germania.
Ash tolse un secondo ciuffo di capelli dalla fronte del marito.
Fernando del Guiz si agitò nel sonno. Il letto era così stretto che i corpi
entravano in contatto per forza. Ash cominciò a baciarlo alla base del collo
avvertendo il profumo della sua pelle. Le vertebre gli spuntavano tra le
spalle.
Fernando del Guiz emise un forte sospiro, si girò, l'afferrò per i fianchi e
la trasse contro di lui. Ash premette il seno, il ventre e le cosce contro il
corpo dell'uomo, provocandogli un'erezione. Fernando fece scivolare una
mano fino alla vagina e cominciò ad accarezzarla. La luce dell'alba illumi-
nava il bel volto del cavaliere. È così giovane, pensò Ash.
Il marito la penetrò prima ancora che lei potesse rendersene conto, rima-
se fermo per qualche istante tenendola stretta tra le braccia dopodiché co-
minciò a ondeggiare i fianchi provocandole un orgasmo dolce, ma piace-
volissimo.
Fernando le posò la testa contro la spalla e lei avvertì il solletico delle
ciglia sulla pelle. Le carezzò più volte la schiena. Era un tocco caldo e cau-
to che possedeva una venatura erotica, ma al tempo stesso gentile.
È il primo uomo della mia età che mi tocca con gentilezza, pensò Ash, e
quando aprì gli occhi si scoprì a sorridergli. Fernando cominciò a spingere
con maggiore vigore, venne e tornò a sprofondare nel sonno.
«Cosa?» chiese lei, dopo aver sentito il marito borbottare qualcosa.
Fernando ripeté la frase e tornò a dormire.
«Mi hanno fatto sposare con il cucciolo di un leone» pensò di aver senti-
to Ash.
Delle lacrime di umiliazione brillavano sotto le ciglia dell'uomo.
Ash si svegliò qualche ora dopo, sola nel letto.
Quindici giorni e quindici notti solitarie più tardi, il giorno di san Swi-
thum 42 , arrivarono a una decina di chilometri dalla città di Genova.

II

Ash alzò la ventaglia dell'elmo con un pollice. Il sole si era appena leva-
to sopra l'orizzonte e l'aria era ancora fresca. Intorno a lei gli uomini avan-
zavano a piedi o a cavallo. Il vento le portò l'eco di una canzone. Era la
voce di un pastore e non avrebbe cantato se il posto non fosse stato sicuro
e tranquillo.
42
Festeggiato il 15 luglio; questo è il riferimento per la data di arrivo
della compagnia fuori dalla città di Genova.
Robert Anselm la raggiunse dal fondo della colonna tenendo l'elmo sotto
il braccio. Il sole del meridione gli aveva arrossato la testa calva. Uno de-
gli uomini, un ronconiere, lanciò un fischio e intonò Bei capelli, bei capel-
li, sarai mai mia? nel momento stesso in cui passava Anselm, che lo supe-
rò senza farci caso. Ash sentì le labbra che si contraevano in un sorriso: il
primo dopo giorni.
«Tutto a posto?»
«Ho trovato quattro stronzi addormentati in uno dei carri, stamattina. E-
rano ubriachi fradici. Non si sono presi neanche il disturbo di andare a
dormire da qualche altra parte.» Anselm socchiuse gli occhi per protegger-
si dal sole. «Ho detto al prete di impartire loro una punizione.»
«E i furti?»
«Ci sono state altre lamentale. Tre: Euen Huw, Thomas Rochester e Ge-
raint ab Morgan prima che lasciassimo Colonia.»
«Se Geraint ha ricevuto delle lamentele al riguardo prima che lasciassi-
mo Colonia, come mai non ha preso provvedimenti?»
Ash fissò il suo secondo.
«Come se la sta cavando Geraint Morgan?»
Anselm scrollò le spalle.
«Per Geraint è già difficile rigare dritto da solo, figurati se deve coman-
dare gli altri.»
«Lo sapevamo quando l'abbiamo preso, giusto?» Ash vide la foschia che
si addensava e aggrottò la fronte. «Euen Huw ha garantito per lui...»
«So che venne sbattuto fuori dall'esercito di re Enrico dopo Tewkesbury.
Era al comando di un'unità d'arcieri e venne trovato ubriaco durante lo
scontro. Tornò alla sua famiglia che commerciava lana, ma non riuscì ad
abituarsi a quella vita e finì per fare il mercenario.»
«Non l'abbiamo preso solo perché era un vecchio Lancaster, Roberto.
Deve fare la sua parte come tutti.»
«Geraint non è un Lancaster. Ha combattuto per il conte di Salisbury a
Ludlow a fianco degli York nel cinquantanove» aggiunse Anselm, non
troppo fiducioso che il suo capo fosse a conoscenza delle guerre dinastiche
tra i rosbif.
«Cristo Verde, ha cominciato giovane!»
«Non è il solo...»
«Sì, sì» Ash avvicinò il suo cavallo a quello di Roberto. «Geraint è un
figlio di puttana, ubriacone e violento...»
«È un arciere» disse Anselm, come se le caratteristiche citate da Ash
fossero sottintese in quella definizione.
«... e peggio ancora, è amico di Euen Huw» continuò Ash. «Sul campo
di battaglia non ha pari, ma o si dà una mossa o se ne va. Dannazione. Beh,
almeno l'ho lasciato al comando con Angelotti... Allora, Roberto, il la-
dro?»
Robert Anselm alzò gli occhi al cielo, quindi tornò a fissarla. «L'ho bec-
cato, capitano. È Luke Saddler.»
Ash si ricordava di lui: un ragazzino che non aveva ancora quattordici
anni e vagava per il campo quasi sempre ubriaco con la candela al naso.
Era evitato dagli altri paggi e Philibert le aveva raccontato storie di braccia
piegate dietro la schiena e mani che toccavano in mezzo alle gambe degli
altri ragazzini. «Lo conosco. È il paggio di Aston. Cosa ha preso?»
«Borse, coltelli, la sella di qualcuno, Cristo Santo» sottolineò Anselm.
«Quella ha cercato di venderla. Va avanti e indietro dal magazzino, così mi
dice Brant; ma più che altro si accanisce con l'equipaggiamento personale
dei ragazzi.»
«Questa volta tagliagli le orecchie, Roberto.»
Anselm assunse un'espressione torva.
«Tu, io, Aston, il prete... non possiamo impedirgli di rubare. Quindi...»
Indicò la colonna di uomini sudati che marciava dietro di loro scam-
biandosi invettive.
«Dobbiamo agire. Altrimenti lo faranno loro per noi e probabilmente lo
sodomizzeranno: è un ragazzino carino.»
Frustrata, Ash ricordò il giorno in cui aveva convocato Luke Saddler
nella sua tenda per vedere se il peso del comando potesse avere effetto su
di lui. Il ragazzino, tetro in volto, puzzava di vino e ridacchiava come un
idiota.
«Perché me ne hai parlato?» sbottò Ash, infastidita dalla sensazione di
aver sbagliato tutto. «Luke Saddler non è un mio problema, adesso. Mio
marito è il problema.»
«Come se te ne importasse qualcosa!»
Ash guardò la brigantina43 che indossava, non meno calda del piastrone,
e Robert Anselm rise.
«Come se volessi che fosse del Guiz a preoccuparsi di questa gente...»
43
Forma di armatura corazzata a protezione del torso in uso nella
fanteria dal secolo XIV all'inizio del XVII, composto da una struttura di
lamelle sovrapposte 'a tegole', disposte in fasce verticali e fissate in file
parallele a un supporto di pelle o tela imbottita (N.d.T.).
aggiunse. «Stai impazzendo a stargli dietro, ragazza.»
Ash guardò davanti a sé distinguendo appena le figure di Joscelyn van
Mander e Paul di Conti che cavalcavano con Fernando, e sospirò senza
rendersene conto. L'aria del mattino era pervasa dall'odore del timo che
cresceva sul ciglio della strada e veniva schiacciato sotto le ruote dei carri.
Fernando del Guiz cavalcava davanti ai carri. Era circondato da un
gruppo di giovani e servitori che facevano parte del suo seguito e rideva.
Al suo fianco c'erano un trombettiere e un cavaliere che reggeva lo sten-
dardo della famiglia del Guiz. Il simbolo della compagnia di Ash si trova-
va qualche centinaio di metri più indietro, coperto da uno strato di polvere
biancastra sollevata dai carri.
«Dolce Cristo, sarà lunga tornare a Colonia.»
Ash si aggiustò sulla sella per assecondare i movimenti del cavallo che
ormai aveva soprannominato Bastardo. È agitato perché sente l'odore del
mare, pensò. Genova e la costa sono a quattro o cinque chilometri da qui,
dovremmo arrivare molto prima di mezzogiorno.
La foschia umida schiacciava a terra la polvere sollevata da un gruppo di
cavalieri e da diverse lance a piedi a che avanzavano verso di loro.
«Chi è? Non riesco a riconoscerlo» disse, indicando.
Robert Anselm affiancò la sua cavalcatura a quella di Ash e socchiuse
gli occhi per mettere meglio a fuoco i carri con gli scudi attaccati alle fian-
cate e carichi di uomini armati di balestra e archibugi.
«Anzi no» si contraddisse Ash, prima ancora che Robert potesse rispon-
dere. «È Agnes. O uno dei suoi uomini. No, no, è l'Agnello in persona.»
«Lo vado a prendere.» Anselm premette i talloni contro i fianchi del suo
cavallo, che si lanciò in un trotto sostenuto tra le file dei carri.
Malgrado la foschia faceva troppo caldo per indossare l'armatura. Ash
cavalcava indossando una brigantina blu rivestita di velluto le cui borchie
dorate brillavano insieme all'elsa della spada al suo fianco. Robert Anselm
tornò indietro con il nuovo arrivato e lei spostò il peso all'indietro per fare
rallentare il cavallo.
Lanciò un'occhiata al marito, ma lui non se ne accorse.
«Salve, donna-uomo!»
«Salve, Agnes» rispose Ash. «Fa abbastanza caldo per te?»
L'uomo dai capelli radi indicò con un gesto della mano l'armatura com-
pleta, l'elmo infilato sul pomello della sella e il martello da guerra assicu-
rato alla cintura. «Ci sono stati dei problemi con le Gilde giù a Marsiglia e
lungo la costa. Sai com'è fatta Genova, mura possenti, abitanti con la puz-
za sotto il naso e dozzine di fazioni che combattono l'una contro l'altra per
far eleggere il rispettivo Doge. Ho staccato io stesso la testa a Farinetti
durante una schermaglia la scorsa settimana.»
Inclinò la mano e imitò il colpo. Il volto scarno era bruciato da anni di
campagne in Italia. Sulla sopravveste spiccava il disegno di un agnello
dalla cui testa partivano dei raggi di luce, sotto il quale, ricamata con il filo
nero, c'era la scritta 'Agnus Dei'.44
«Noi siamo stati a Neuss. Ho guidato una carica di cavalleria contro il
duca Carlo di Borgogna.» Ash scrollò le spalle come per dire: 'nulla di
speciale'. «Ma il duca è ancora vivo. Così vanno le cose in guerra.»
L'Agnello sogghignò mostrando i denti rotti e giallastri. «Eccoci qua, al-
lora» continuò con un marcato accento italiano del nord. «Perché non ci
sono spie qui intorno? Mi avete visto quando ormai vi ero addosso! Dove
diavolo erano gli esploratori?»
«Mi hanno detto che non erano necessari» rispose Ash, ironica. «Questo
è un regno pacifico pieno di mercanti e pellegrini che prosperano sotto la
protezione dell'imperatore. Non lo sapevi?»
L'Agnello (Ash si era dimenticata quale fosse il suo vero nome) socchiu-
se le palpebre e fissò l'apice della colonna. «Chi è il cucciolo?»
«Quello che mi sta facendo lavorare» rispose Ash, senza guardare An-
selm.
«Oh. Giusto. È uno di quei datori di lavoro.» Agnus Dei scrollò le spal-
le, gesto piuttosto complicato da fare in armatura, quindi tornò a concen-
trarsi su di lei. «Che iella nera, sto andando a Napoli per imbarcarmi. Vieni
anche tu.»
«No, non posso rompere il contratto. Inoltre, gran parte dei ragazzi sono
ancora a Colonia sotto il comando di Angelotti e Geraint ab Morgan.»
Una smorfia di dispiacere apparve per un attimo sulle labbra dell'Agnel-
lo. «Ah, capisco. Com'era il passo del Brennero? Ho dovuto aspettare tre
giorni per far scendere i carri dei mercanti fino a Genova.»
«Ha nevicato, ma era sgombro. Dimmi tu se deve nevicare nel mezzo di
luglio, Cristo - scusami Agnello. Voglio dire, siamo a metà luglio. Odio
attraversare le Alpi. Fortunatamente non ci è caduto addosso niente, questa
volta. Ti ricordi la valanga del settantadue?»
Ash continuò a parlare del più e del meno consapevole degli sguardi
rabbiosi che Anselm le lanciava in tralice mentre cavalcava al suo fianco.
Di tanto in tanto lasciava vagare gli occhi verso la testa della colonna dove
44
L'Agnello di Dio.
si trovava Fernando. Il marito cavalcava senza l'elmo e il sole faceva
splendere l'abito di seta. Il suono delle voci e il cigolio dei carri echeggiava
monotono intorno a lei. Qualcuno si mise a suonare un piffero.
«Ci incontreremo di nuovo sul campo, Madonna. E Dio voglia che sia-
mo dalla stessa parte!» disse Agnello, per porre fine alla conversazione.
«Dio lo voglia» rispose Ash, ridendo.
L'Agnello si diresse a sud est dove, forse, erano schierate le sue truppe.
«Non gli hai detto che il nostro 'attuale datore di lavoro' è anche tuo ma-
rito» le fece notare Robert Anselm.
«No, non l'ho fatto.»
Un uomo tarchiato con i capelli scuri raggiunse Anselm, si guardò bene
intorno e disse: «Dobbiamo essere vicini a Genova, capo!»
«Credo» rispose Ash a Euen Huw.
«Lo porto a caccia con me.» Il pollice del Gallese carezzò l'elsa della
daga. «Molte persone muoiono per un incidente di caccia. Succede conti-
nuamente.»
«Siamo un convoglio di duecento uomini e venti carri. Avremo spaven-
tato la selvaggina per chilometri. Non ci crederà. Mi dispiace, Euen.»
«Allora domani gli sello io il cavallo. Un pezzo di filo metallico intorno
allo zoccolo, sotto il garretto e... capo, si continua!»
Lo sguardo calcolatore di Ash fissò il marito per valutare quali ufficiali
stavano cavalcando con lui e i suoi scudieri e quali erano invece dalla sua
parte. I primi giorni di viaggio erano stati penosi, poi si erano presentati
problemi in numero sufficiente a tenere occupati tutti, ma ora la situazione
si era stabilizzata.
Non puoi prendertela con loro, pensò Ash. Qualsiasi cosa mi chiedono,
lui mi contraddice con i suoi ordini.
Ma una compagnia divisa non può combattere. Ci farebbero a pezzi co-
me un gregge di pecore.
Un uomo con il volto simile a una patata e un ciuffo di capelli che spun-
tava da sotto il bordo dell'elmo fece affiancare il suo cavallo a quello di
Ash. «Butta giù da cavallo quello stronzetto, Ash» esordì sir Edward A-
ston. «Se continua a farci avanzare senza esploratori rischiamo qualche
brutta sorpresa, e il nostro collo. E ogni volta che ci fermiamo per accam-
parci non fa addestrare i soldati.»
«E se continua a spendere quelle cifre per vino e cibo ogni volta che ci
fermiamo in città, finiremo nei guai» la incalzò Henri Brant, un uomo di
mezza età dal fisico tarchiato. «Ma lo conosce il valore del denaro, quello?
Quando saremo tornati non avrò il coraggio di farmi vedere alle Gilde.
Negli ultimi quindici giorni ha speso più di quello che ho messo da parte
per l'autunno!»
«Hai ragione, Ned. Lo so, Henri.» Ash spostò il peso sulla sella e il suo
cavallo morse il roano di Aston sulla spalla.
Ash assestò un pugno in mezzo alle orecchie di Bastardo e si lanciò al
galoppo. L'aria le rinfrescò il volto.
Giunta vicina al carro nel quale erano tenuti i prigionieri rallentò. Le
grosse ruote rivestite di metallo facevano ondeggiare vistosamente il mez-
zo e i due ambasciatori che erano stati buttati sul fondo del cassone legati
mani e piedi rotolavano sulle tavole seguendo gli scossoni.
«È stato mio marito a ordinare che fossero trattati così?»
Un uomo a cavallo armato di balestra sputò di lato. «Sì» rispose senza
guardarla.
«Liberali.»
«Non posso» rispose il soldato. Qual è la prima regola, ragazza? si ram-
mentò Ash. Mai dare un ordine se sai che non verrà eseguito.
«Liberali quando Fernando ti manderà l'ordine» disse Ash, dando un se-
condo pugno al suo cavallo che stava cercando di dare una spallata a quel-
lo del balestriere. «Cosa che farà» aggiunse. Un lampo maligno le balenò
negli occhi per un attimo. «Tu hai bisogno di una bella galoppata per cal-
marti. Ahi!»
Ash lanciò il cavallo prima al trotto poi al galoppo, passando tra i carri
incurante dei colpi di tosse e delle bestemmie che i soldati le lanciavano
contro per il polverone che stava sollevando. Scorse una dozzina di pen-
nacchi alla testa della colonna.
Il cavallo di Fernando trotterellava davanti a tutti con la testa alta e le
redini pericolosamente molli. Ash notò che il marito aveva dato l'elmo al
suo scudiero, Otto e la lancia a Matthias che non era né un cavaliere né
uno scudiero. Una coda di volpe pendeva attaccata all'asta dello stendardo.
Appena vide il marito ebbe un tuffo al cuore. Era il ritratto di un cavalie-
re. Cavalcava con destrezza e a testa scoperta. Il piastrone dell'armatura
gotica era di ottima fattura. L'umidità si era condensata in goccioline sul
metallo, sul bordo dei guanti e sui capelli biondi.
Non sono mai stata così sventata, pensò Ash, con un pizzico d'invidia.
Ha sempre avuto tutto questo fin da quando è nato. Non ci ha mai neanche
pensato.
«Mio signore.» Il marito girò la testa, il volto era coperto da una sottile
peluria biondiccia, quindi tornò a rivolgersi a Matthias discorrendo con lui
della lunga spada da cavaliere che portava appesa al fianco del suo cavallo.
L'animale scalpitò scocciato, il gruppo si allargò per qualche secondo poi
tornò compatto.
Gli scudieri che circondavano Fernando sembravano riluttanti all'idea di
farla passare. Ash allentò leggermente la presa intorno alle redini di Ba-
stardo, che morse immediatamente il fianco di uno dei cavalli che aveva
vicino.
«Merda!» Il giovane cavaliere tirò le redini e la bestia cominciò a muo-
versi in cerchio.
Ash si infilò nell'apertura e si mise a fianco del marito. «È arrivato un
messaggero. Ci sono stati guai a Marsiglia.»
«Siamo a leghe di distanza da quella città.» Fernando cavalcava reggen-
do una borraccia piena di vino con entrambe le mani. Distese le braccia,
inclinò la borraccia e un fiotto di vino lo centrò in bocca. Il nobile tossì e il
vino color paglia si riversò sul piastrone.
«Hai vinto, Matthias!» Fernando lanciò via la borraccia semi piena che
scoppiò appena toccata terra, dopodiché tirò una manciata di monete. Otto
e un altro paggio lo affiancarono immediatamente e gli sfilarono il piastro-
ne. Il nobile, che continuava a tenere le protezioni per le braccia, estrasse
la daga e tagliò i lacci che chiudevano il giustacuore bagnato, lo tolse e lo
gettò via. «Otto! Fa troppo caldo per l'armatura. Fai montare il mio padi-
glione. Mi cambio.»
Fernando del Guiz cavalcava solo con la maglia di seta che ricadeva sul-
la calzamaglia, la quale metteva in evidenza il profilo del membro. Una
volta sceso da cavallo tutto sarebbe tornato a posto. Ash si assestò sulla
sella.
Avrebbe voluto mettergli una mano in mezzo alle gambe.
Il trombettiere si fermò, portò lo strumento alla bocca e ne fece uscire
uno squillo.
«Ci fermiamo?» disse Ash, sussultando.
Il sorriso di Fernando venne imitato dagli ufficiali di Ash che cavalca-
vano al suo fianco, dai paggi e dai suoi amici nobili. «Io mi fermo. I carri
si fermano. Tu puoi fare quello che vuoi, mia signora moglie.»
«Vuoi dar da bere e da mangiare agli ambasciatori mentre sostiamo?»
«No.» Fernando fermò il cavallo.
Ash rimase in sella a Bastardo guardandosi intorno. La foschia mattutina
si era diradata del tutto rivelando un terreno giallastro e arido dal quale
spuntavano dei cespugli che difficilmente sarebbero stati scambiati per
alberi. Un terreno rialzato a duecento metri da una strada larga. Un paradi-
so per gli esploratori e per i fanti. Anche dei banditi a cavallo avrebbero
potuto attaccarli in quel punto.
Godfrey la raggiunse in groppa al suo cavallo. «Quanto manca a Geno-
va?»
La polvere si era depositata tra le rughe sul volto del prete e gli aveva
imbiancato la barba dando ad Ash un'idea di che aspetto avrebbe avuto
l'amico una volta raggiunti i sessant'anni.
«Sette chilometri? Quindici? Quattro?» Ash si diede un pugno sulla co-
scia. «Sono cieca! Mi ha vietato di mandare gli esploratori e di pagare del-
le guide locali: ha preso questo itinerario segnato per i pellegrini che si
recano in Terra Santa e pensa che sia tutto quello di cui abbiamo bisogno!
È un nobile! Un cavaliere! Nessuno può tendergli un'imboscata! E se quel-
li che abbiamo incontrato non fossero stati gli uomini dell'Agnello? Se
fossero stati banditi?»
Godfrey scosse la testa sorridendo. «Va bene, va bene, è vero,» riprese
Ash «è difficile intravedere la differenza tra l'Agnello e un bandito! Ma,
cosa vuoi, sono fatti così questi mercenari italiani.»
«Una calunnia infondata, forse.» Godfrey tossì, bevve e passò la borrac-
cia ad Ash. «Ci accampiamo due ore dopo che siamo partiti?»
«Il mio signore vuole cambiarsi d'abito.»
«Un'altra volta? Avresti dovuto buttarlo fuori bordo quando eravamo sul
Reno, prima ancora che attraversassimo i cantoni, per non parlare delle
Alpi.»
«Non è un pensiero molto cristiano da parte tua, Godfrey.»
«Matteo dieci, trentaquattro!» 45
«Non penso che Nostro Signore intendesse quello che stai pensando...»
Ash portò la borraccia alle labbra e bevve una sorsata. La birra era calda,
ma servì lo stesso a rinfrescarle un po' la bocca. «Non adesso, Godfrey.
Non è ancora arrivato il momento di chiedere ai miei uomini di schierarsi.
Si creerebbe solo un gran caos. Dobbiamo continuare così almeno finché
non saremo tornati da questo stupido viaggio.»
Il prete annuì lentamente.
«Salgo sulla cima della prossima collina per vedere la situazione» disse
Ash. «Quell'uomo cammina nella nebbia in più di un senso. Godfrey, mo-
45
Matteo 10: 34 'Non pensate che io sia venuto a mettere pace in terra:
io non sono venuto a mettervi la pace, bensì la spada.'
stra un po' di carità cristiana ad Asturio Lebrjia e al suo compagno. Non
penso che il mio caro marito abbia dato loro da mangiare stamattina.»
Godfrey si allontanò.
Jan-Jacob Clovet e Pieter Tyrrel raggiunsero Ash mentre Bastardo trot-
terellava di malavoglia su per la collina. I due Fiamminghi sembravano
quasi identici e puzzavano di vino stantio e sperma. Ash pensò che en-
trambi gli uomini dovevano essersela spassata con una prostituta, forse la
stessa, fino all'alba.
«Capo,» esordì Jan-Jacob «fa qualcosa con quel figlio di puttana.»
«Tutto a tempo debito. Se muovete un dito senza un mio ordine vi in-
chiodo le palle su un asse.»
Normalmente i due Fiamminghi avrebbero riso della battuta, ma questa
volta no. «Quando?» insisté Jan-Jacob.
«Gli altri dicono che non lo ucciderai perché sei cotta. E dicono che non
potevano aspettarsi altro da una donna» aggiunse Pieter.
Ash sapeva che se avesse chiesto i nomi degli altri avrebbe ricevuto del-
le risposte evasive e si limitò a sospirare.
«Ascoltate, ragazzi... abbiamo mai rotto un contratto?»
«No!» risposero i due all'unisono.
«Beh, non si può dire lo stesso per le altre compagnie mercenarie. Noi
veniamo sempre pagati perché non rompiamo mai un contratto per passare
dall'altra parte. La legge è l'unica cosa che abbiamo. Ho firmato un con-
tratto quando ho sposato Fernando e questa è una delle ragioni per le quali
non è facile.»
Spronò Bastardo verso la cima dell'altura.
«Sarebbe bello sperare che Dio lo facesse per me» disse, meditabonda.
«Ci sono giovani nobili avvinazzati che cadono da cavallo e muoiono ogni
giorno, perché non potrebbe succedere anche a lui?»
«Balestra?» suggerì Pieter, battendo una mano sulla custodia che teneva
appesa alla sella.
«No!»
«Scopa bene?»
«Jan-Jacob, almeno per una volta nella tua vita potresti smettere di pen-
sare con quello che hai in mezzo alle gambe, diavolo!»
La brezza finì di diradare gli ultimi scampoli di foschia nel momento
stesso in cui raggiunsero la cima della collina. Il sole splendeva sulle alture
che circondavano la città di Genova e sulle onde del Mediterraneo. Da
quel punto si vedevano chiaramente la costa e il mare.
E una flotta che costellava la baia.
Non erano mercantili.
Navi da guerra.
Vele bianche e insegne nere, pensò Ash, là sotto c'è mezza flotta da
guerra visigota!
Il vento portò il sapore del sale, mentre lei rimase immobile per alcuni
secondi che sembrarono dilatarsi all'infinito. Le prue taglienti come un
coltello delle triremi fendevano la superficie argentea del mare. Il loro nu-
mero era imprecisato, ma Ash valutò a occhio e croce che poteva oscillare
da dieci a trenta navi. In mezzo ai vascelli c'erano circa cinquanta o sessan-
ta quinqueremi e vicino alla spiaggia i mezzi da sbarco dal pescaggio ri-
dotto sparivano dalla sua vista oltre le mura di Genova, circondati da pic-
coli arcobaleni formati dalla luce del sole che attraversava gli spruzzi d'ac-
qua sollevati dalle pale che fungevano da sistema propulsivo46 .
Ash vide il fumo nero che si levava dai tetti dei magazzini del porto e
vide diversi uomini correre lungo le strade tortuose della città.
«Truppe che sbarcano, numero imprecisato, una flotta d'assalto e nessun
vascello alleato a contrastarla; il mio contingente ammonta a duecento
uomini.»
«Ritirati o arrenditi» le rispose la voce nella sua testa.
Ash continuava a fissare la costa a bocca aperta, quasi ignorando il con-
siglio.
«L'Agnello sta per finire in bocca al nemico!» Jan-Jacob indicò, atterri-
to, lo stendardo bianco di Agnus Dei, qualche chilometro più avanti di
loro. Ash fece un rapido calcolo mentale degli uomini che stavano scap-
pando.
«Vado a dare l'allarme» disse Pieter, che stava trattenendo a stento la
cavalla.
«Aspetta» gli ordinò Ash. «Ascoltatemi bene. Jan-Jacob, fa disporre gli
arcieri a cavallo. Di' ad Anselm che li voglio in formazione e armati sotto
46
Questa è un'altra intrusione delle leggende medievali all'interno del
testo. Oltre alla precedente inclusione del nome 'Cartagine', io sospetto che
questo sia solo un oscuro ricordo, preservato in qualche dimenticato
manoscritto monastico, della potenza marinara di Cartagine prima che i
Romani ne distruggessero la flotta nella battaglia navale di Milazzo (263
A.C.) grazie, soprattutto, all'uso dei ponti per l'arrembaggio chiamati:
'corvi'. Non è strano che un cronista medievale abbia inserito tale
anacronismo.
il suo comando! Pieter, di' a Henri Brant che devono abbandonare tutti i
carri e che i passeggeri devono ricevere un'arma e scappare. Ignorate qual-
siasi ordine proveniente da del Guiz e la sua cricca - adesso vado a parlare
a Fernando.»
Galoppò giù dalla collina in direzione del suo stendardo. Vide Rickard
in mezzo agli altri uomini e gli urlò di andare a chiamare Godfrey e gli
ambasciatori stranieri, dopodiché si diresse a rotta di collo verso il punto in
cui stavano erigendo il padiglione di Fernando, che nel frattempo sedeva
sul cavallo parlando allegramente con il suo seguito.
«Fernando!»
«Cosa?» Il nobile si girò sulla sella. Le labbra si piegarono in una smor-
fia colma d'arroganza e Ash si rese conto che il marito non era un uomo
avventato, come aveva pensato fino a quel momento, bensì crudele. Saltò
giù dalla sella e gli afferrò le redini del cavallo in modo che fosse costretto
a prenderla in considerazione.
«Cosa vuoi?» Si grattò in mezzo alle gambe. «Non vedi che aspetto di
vestirmi.»
«Ho bisogno del tuo aiuto.» Ash fece un respiro profondo. «Siamo stati
ingannati. La flotta visigota non sta navigando verso il Cairo contro i Tur-
chi. È qui.»
«Qui?» Fernando la fissò meravigliato.
«Ho contato almeno venti triremi e sessanta fottute quinqueremi! E
mezzi da sbarco.»
«Visigoti?» Il volto di Fernando assunse un'espressione innocente e di-
vertita.
«La flotta! I loro cannoni! L'esercito! È a una lega da qui su quella stra-
da!»
Fernando rimase a bocca aperta. «Cosa diavolo ci fanno i Visigoti qui?»
«Bruciano Genova.»
«Bruciano...»
«Genova! È un contingente d'invasione. Non ho mai visto tante navi in
un posto solo.» Ash staccò un grumo di terra dalle labbra. «Agnello è fini-
to loro in bocca. Stanno combattendo.»
«Combattono?»
«Sì, Ferdie, combattono» disse Matthias parlando in un dialetto del sud
della Germania. «Ricordi. L'addestramento, i tornei, le guerre? Qualcosa di
simile.»
«Guerra» ripeté Fernando.
Il giovane amico di del Guiz finse di guardarlo in cagnesco. «Se la cosa
non ti disturba, mi sono addestrato più di te! Sei sempre stato pigro come
un cinghiale...»
«Mio Lord, marito,» lo interruppe Ash «devi venire a vedere. Andia-
mo!»
Ash montò in sella a Bastardo e lo spronò senza pietà al galoppo, ma il
cavallo la disarcionò a metà collina costringendola a terminare l'ultimo
tratto di corsa. Raggiunse la cima qualche attimo dopo sudata e ansante.
Ash si girò aspettandosi di trovare Fernando alle sue spalle, ma il marito
arrivò qualche minuto dopo con l'armatura indossata alla bell'e meglio e la
maglia che faceva capolino tra le piastre delle protezioni per le braccia.
«Allora? Dove...» La voce gli si strozzò in gola.
Le pendici della collina erano costellate da una folla di uomini in corsa.
Otto, Matthias, Joscelyn van Mander, Ned Aston e Robert Anselm li
raggiunsero un attimo dopo sollevando un nuvolone di polvere e terra e
rimasero ammutoliti. Da Genova si levavano delle alte colonne di fumo
nero.
«Visigoti» dissero all'unisono Fernando del Guiz e Joscelyn van Mander.
«Potevano attaccare noi o i Turchi. Alla fine hanno deciso di prendersela
con noi» commentò Robert Anselm.
«Ascoltate» disse Ash. «Una dozzina di uomini a cavallo possono muo-
versi più velocemente di questa compagnia. Fernando, Mio Lord marito,
torna dall'imperatore per fargli sapere cosa sta succedendo! Prendi de Que-
sada e Lebrija con te come ostaggi! Tu puoi farcela in pochi giorni se ca-
valchi senza sosta.»
Il nobile fissò gli stendardi che si avvicinavano. Alle sue spalle gli uo-
mini del Leone Azzurro formavano una massa di elmetti, bandiere e punte
di lance che sembrava ondeggiare per il calore dell'aria calda. «Perché non
vai tu, capitano!»
Ritta in sella su quella collina polverosa, sudata e con l'odore di cavallo
che gli impregnava gli abiti, Ash ebbe l'impressione di aver stretto in pu-
gno l'elsa della sua spada: era una sensazione di controllo che non aveva
più provato da quando era partita da Colonia.
«Tu non sei un contadino o un mercenario come me» spiegò Ash. «Sei
un nobile. L'imperatore ti darà ascolto.»
«Ha ragione, mio signore» incalzò Anselm, cercando di mostrarsi il più
servile possibile. Roberto non fissò Ash negli occhi, ma lei sapeva bene
quello che stava pensando il suo braccio destro perché ormai lo conosceva
da anni: non lasciare che a questo ragazzino venga in mente di comandare
una carica del tipo 'gloria o morte' contro quelli!
«Ci sono sessanta quinquiremi...» disse Van Mander, stupefatto. «Tren-
tamila uomini.»
Fernando fissò Ash. «Porterò la notizia a mio cugino l'imperatore!» de-
clamò, come se nessuno avesse parlato e l'idea fosse stata sua. «Tu com-
batterai questi bastardi per me! È un ordine.»
Sei mio! pensò Ash, esultante e fissò Joscelyn van Mander che aveva
sentito l'ordine.
Fecero girare i cavalli e cominciarono a scendere giù dalla collina. Il ca-
lore faceva sudare i fianchi delle bestie. La luce del sole dava fastidio ad
Ash.
Indicò a Godfrey Maximillian i due ambasciatori visigoti che avanzava-
no incespicando al suo fianco. «Trova loro un cavallo e incatenali ai polsi.
Vai!»
Ash diede una pacca sul collo di Bastardo. Non riusciva a smettere di ri-
dacchiare. Il castrato girò la testa e le morse una delle protezioni delle ca-
viglie. «Va bene, ti piace la gente, perché allora non vai d'accordo con gli
altri cavalli? Uno di questi giorni finisci in padella. Stai fermo.»
Un oggetto duro le rimbalzò tra le spalle facendo risuonare una delle
piastre metalliche all'interno del brigantino. Ash imprecò. La freccia cadde
a terra.
Fece girare il cavallo con le ginocchia.
In cima alla collina c'era una fila di soldati a cavallo con le divise nere.
Arcieri.
«Fermi!» urlò a Henri Brant e ai suoi uomini che stavano mettendo i car-
ri in cerchio per formare una fortificazione. «Lasciate perdere. Prendete
tutto quello che può essere caricato sui cavalli e filate.»
Si diresse verso il punto in cui Anselm stava organizzando lo schiera-
mento di arcieri a cavallo con Jan-Jacob e Pieter al comando delle due ali.
Piantò le ginocchia con violenza nei fianchi di Bastardo e desiderò con
tutta se stessa di essere in sella a Godluc. Quello stronzo di Fernando, pen-
sò. 'Non portiamo i cavalli da guerra!' ha detto. 'Viaggiamo in pace!' Si
rese conto di aver afferrato la spada, ma non avrebbe saputo dire da quan-
to. Le mani erano protette solo da un paio di guanti di cuoio. Si sentiva
troppo vulnerabile e il pensiero delle lame seghettate dei Visigoti le fece
chiudere lo stomaco. Lanciò un'occhiata alla dozzina di giovani cavalieri
germanici che galoppavano verso l'entroterra come se avessero il diavolo
alle calcagna, quindi tornò a concentrarsi sul nemico.
Diversi manipoli di soldati erano raggruppati intorno agli stendardi e si
avvicinavano lentamente. Il sole si rifletteva su circa un migliaio di lance.
Galoppò indietro fino allo stendardo del Leone Azzurro trovando Ri-
ckard che portava il suo stendardo personale. Raggiunse Robert Anselm e
disse: «Sono a circa un paio di chilometri da qua! Henri, dovete cancellare
le tracce dei cavalli e sparire. Quando raggiungerete la curva che si trova a
un paio di chilometri da qui uscite dalla strada e salite sulle colline. Vi
copriremo le spalle.»
Ash fece girare Bastardo e tornò alla linea di difesa; circa un centinaio di
uomini a cavallo e altrettanti sulle ali con gli archi. «Ho sempre detto che
voi bastardi avreste fatto di tutto per vino, donne e canzoni e il vostro vino
si sta ritirando verso il bosco alle nostre spalle! Tra un minuto lo seguire-
mo anche noi, ma prima faremo capire a questi bastardi del sud che non
devono seguirci. L'abbiamo già fatto e lo rifaremo!»
«Ash!» urlarono gli uomini in coro.
«Gli arcieri su quella altura, muovetevi! Ricordate: non arretriamo fin-
ché lo stendardo non arretra, poi ci ritiriamo veloci! E se sono abbastanza
stupidi da seguirci nella foresta riceveranno tutto ciò che meritano. Arriva-
no!
«Incoccare! Tirare!» sbraitò Euen Huw.
Il sibilo di una freccia fendette l'aria seguito un attimo dopo da altre
duecento. Ash vide un cavaliere visigoto allargare le braccia e cadere dalla
sella con un quadrello nel petto.
Un gruppo di soldati armati di lance cominciò ad arretrare.
«Mantenete le posizioni» urlò Anselm.
Ash vide un altro gruppo di cavalieri visigoti armati di archi corti. «Cir-
ca sessanta uomini che possono tirare da cavallo» borbottò.
«Se si radunano caricali con la cavalleria. Se scappano, ritirati.»
«Chiaro» borbottò Ash. Segnalò al suo stendardo di arretrare e alla com-
pagnia di montare a cavallo. Dopo circa un chilometro a passo di marcia si
accorse che il nemico non li stava seguendo.
«Non mi piace per niente» commentò.
«C'è qualcosa di strano» Robert Anselm si fermò. «Mi aspettavo che
quei bastardi ci attaccassero.»
«Sono in inferiorità numerica. Li avremmo fatti a pezzi.»
«Questo non ha mai impedito ai Visigoti di farsi ammazzare. Sono un
branco di stupidi indisciplinati.»
«Lo so, ma oggi non si comportano come tali.» Ash abbassò leggermen-
te la visiera dell'elmo per riparare gli occhi dalla luce del sole. «Grazie a
Dio il mio maritino mi ha dato ascolto. Per un attimo ho avuto paura che ci
ordinasse di caricare.»
Vide le insegne dei Visigoti stagliarsi contro il cielo in lontananza. Sem-
bravano, ma la distanza poteva trarre in inganno, sormontate da un'aquila
dorata.
Un movimento sotto una di quelle insegne attirò la sua attenzione.
Visto da quella distanza poteva sembrare un uomo dal fisico snello, ma
svettava di una testa buona sopra il gruppo di comandanti. Il sole risplen-
deva sulla pelle color ocra e rame.
Ash osservò il golem che si allontanava verso sud est. Il passo non era
più veloce di quello di un uomo, ma inesorabile. Non c'era roccia o pendio
che potesse farlo rallentare. Quell'essere era più lento di un cavallo, ma
non aveva bisogno di riposarsi o mangiare. Poteva viaggiare sia di notte
che di giorno divorando più di un centinaio di chilometri in ventiquattro
ore.
«Merda» imprecò. «Stanno mandando dei messaggeri. Vuol dire che so-
no sbarcati anche in altri punti.»
Anselm le toccò una spalla e le indicò un secondo golem che si dirigeva
verso nord ovest lungo la costa.
«Nessuno era preparato!» Ash si sistemò sulla sella. «Non hanno solo
ingannato la nostra rete di spie, Robert. L'hanno fatta anche alle banche, ai
preti e ai principi... Che Dio ci aiuti. Non volevano combattere i Turchi.
Non hanno mai voluto farlo...»
«Vogliono noi» borbottò Robert Anselm girando il cavallo. «Questa è
una cazzo d'invasione.»

III

Ash raggiunse la colonna quando ormai la testa stava sparendo oltre le


pendici della collina. Le ruote dei carri avevano smosso la terra e i carri
abbandonati indicavano il punto in cui erano usciti dalla strada. Ash soc-
chiuse gli occhi e si guardò alle spalle. L'aria era sempre più calda. Era
probabile che un fiume scorresse lungo quel fondo valle, ma adesso dove-
va essere in secca.
Robert Anselm, Euen Huw, Joscelyn van Mander, il suo paggio e Henri
Brant si erano radunati sotto lo stendardo.
Ash batté un pugno sulla sella. «Se stanno bruciando Genova vuol dire
che sono pronti a dichiarare guerra alla Savoia, alla Francia, alle città stato
italiane e... all'imperatore... santo Cristo Verde!»
«È impossibile!» replicò van Mander, torvo.
«Sta succedendo. Joscelyn, voglio che tu prenda i tuoi uomini e formi
un'avanguardia. Euen, tu ti occuperai degli arcieri. Robert, tu comanderai i
fanti. I cavalli ce la faranno a stare al passo, Henri?»
Il cuoco, che indossava un'armatura fuori misura, annuì entusiasta. «Ab-
biamo visto quello che c'è dietro di noi. Terranno il passo!»
«Va bene, muoviamoci.»
Ash si rese conto di quanto la brezza fosse stata forte mentre era sulla
piana solo quando raggiunsero una valle laterale, dove il silenzio che aleg-
giava tra i pini era interrotto solo dall'occasionale clangore metallico delle
corazze, dal battito degli zoccoli o dal borbottio degli uomini che avanza-
vano tra i pini illuminati dal sole. I fianchi delle alture che formavano la
valle erano molto boscosi e le pendici erano ricoperte da un fitto strato di
rovi.
In quel momento Ash capì che cosa c'era che non la convinceva. Merda,
pensò, ecco perché non ci hanno attaccati: ci hanno spinti in un'imboscata!
Nel momento stesso in cui aprì la bocca per urlare, una salva di frecce
oscurò l'aria. Alcuni dardi si conficcarono nel corpo di un uomo di van
Mander. Per un secondo sembrò che non fosse successo niente, poi, quan-
do l'eco del sibilo delle frecce si spense un uomo lanciò un urlo. Ci fu un
altro lampo metallico e i dardi si conficcarono nei corpi dei cavalli e degli
uomini. I cavalli nitrirono imbizzarriti e la testa della colonna divenne un
caos di uomini che scendevano dalle loro bestie per cercare di calmarle.
Ash perse il controllo di Bastardo che sgroppò e ricadde su una radice di
pino con sei frecce dal piumaggio nero che gli spuntavano dal collo e dal
petto, rompendosi una zampa posteriore.
Ash scivolò dalla sella di lato per evitare di essere schiacciata. La rapida
occhiata che riuscì a lanciare intorno a sé malgrado stesse cadendo le per-
mise di scorgere i nemici che scagliavano frecce dalle falde della collina.
Un'ennesima salva di dardi si abbatté sulla retroguardia comandata da Ned
Aston falciando un gran numero di uomini e cavalli.
Ash colpì violentemente il tronco di un albero e sentì le piastre della bri-
gantina scricchiolare. Un uomo, che reggeva il suo stendardo in mano,
l'aiutò ad alzarsi.
Il suo cavallo continuava a nitrire dal dolore. Ash gli si avvicinò e gli ta-
gliò la vena del collo.
La valle era piena di cavalli imbizzarriti e spaventati. Una cavalla corse
verso la pianura, ma venne abbattuta da una freccia.
Ogni uscita era bloccata.
Ash si nascose a ridosso di un pino resinoso guardandosi intorno colma
di disperazione. Più di una dozzina di uomini si rotolavano a terra, gli altri
cercavano di guidare i cavalli verso un riparo inesistente. Le frecce dalle
punte rinforzate penetravano le carni e spuntavano dai carichi buttati fret-
tolosamente sulle schiene dei muli.
La strada davanti a loro era bloccata. Sei uomini di van Mander cerca-
vano di trascinare il loro capo al riparo nel letto secco del fiume. Ma quei
pochi centimetri di terra non potevano schermarli da dardi muniti di punte
affilate come rasoi.
La Grande Isobel stava tirando le redini di un mulo quando spalancò le
braccia e crollò seduta a cassetta. Un'asta di legno spessa quanto il pollice
di un uomo le aveva trapassato la guancia per spuntare da dietro il cranio.
Vomito e sangue imbrattarono il corpetto della donna.
Ash abbassò la ventaglia. Ragazza, pensò fredda e pragmatica, non sei
così speciale da non poter finire a pezzi in una stupida imboscata in mezzo
a delle colline senza nome. Non possiamo usare gli arcieri, non possiamo
contrattaccare. È come tirare a un pesce in un barile, siamo morti.
No, non ancora.
Era così semplice che non ebbe bisogno di ricorrere all'aiuto nella sua
testa. Afferrò il braccio dell'uomo che reggeva lo stendardo. L'idea era
ormai completa, chiara e semplice.
«Tu, tu e tu; venite con me, adesso!»
Corse così veloce che distanziò gli scudieri. Sentì il sibilo dell'ennesima
salva di frecce e si acquattò dietro un mulo.
«Tirate fuori le torce!» urlò, rivolta a Henri Brant. L'uomo la guardava a
bocca aperta. «Prendi quelle cazzo di torce, adesso! Trova Pieter!»
Rickard condusse da lei Pieter Tyrrel e i tre si acquattarono dietro un
mulo. Il ragazzino reggeva lo stendardo con le mani protette dai guanti di
un'armatura. L'aria puzzava di sterco, sangue e resina.
«Prendi queste, Pieter.» Ash infilò la mano nel suo zaino per prendere la
pietra focaia e l'acciarino indicando al tempo stesso a Henri Brant le torce
con un cenno del mento. L'uomo capì immediatamente, estrasse il coltello
e recise la corda che legava il fascio. «Prendi queste e sei uomini. Cavalca
su per la valle come se avessi il diavolo alle calcagna - cerca di farla sem-
brare una fuga. Raggiungi la cima delle colline e dai fuoco ai pini trasci-
nando le torce dietro i cavalli. Appena avrai appiccato l'incendio taglia
verso nord ovest. Se non riusciamo a incontrarci, allora aspettaci al Bren-
nero. Tutto chiaro?»
«Il fuoco? Cristo, capo, vuoi dare fuoco alla foresta?»
«Sì! Vai!»
Sfregò l'acciarino contro la pietra focaia dando vita a una fiammella.
«Fatto!» Pieter Tyrrel si girò e, continuando a rimanere acquattato, urlò
una mezza dozzina di nomi.
Ash si inerpicò su per il pendio. Un freccia visigota si piantò nell'albero
creando una pioggia di schegge. Lei si acquattò e vide che alcuni fram-
menti di legno si erano conficcati nella stoffa della brigantina. Le suole
degli stivali da cavallerizza scivolavano sul tappeto di aghi di pino che
ricopriva il terreno. Si lasciò cadere a fianco di Robert Anselm che aveva
trovato riparo dietro un pino semiabbattuto. «Prepara i ragazzi per l'attac-
co. Andiamo quando do l'ordine.»
«Quello è un cacchio di pendio! Ci faranno a pezzi!»
Ash si diede un'occhiata intorno e vide i suoi uomini che indossavano
solamente i brigantini e gli stivali da cavallerizzo sopra le protezioni per le
gambe. Erano tutti armati di lance e quelle armi sarebbero state pratica-
mente inutili in mezzo agli alberi. I soldati si girarono a fissarla. Ash soc-
chiuse gli occhi e prese a guardare le pendici che partivano dal letto del
fiume asciutto. Non possono correre su per quel pendio, pensò, è troppo
ripido. Dovrebbero usare una mano per tenere l'arma e l'altra per puntellar-
si a terra, senza contare che ci sono pochissimi alberi per ripararsi. Gli
uomini sarebbero esausti prima ancora di ricevere la copertura da qua sot-
to.
«Attaccherete sotto la copertura degli archi e degli archibugi. Quegli
stronzi saranno troppo impegnati per vedervi arrivare!» Era una menzogna
e lo sapeva. «Aspetta il mio segnale, Robert.»
Ash sfoderò la spada e cominciò a correre in terreno aperto con il fodero
che le batteva contro la gamba. Qualcuno lanciò un grido da in cima alla
valle. Una nuvola di polvere si sollevò da terra e Ash inciampò in una
freccia che si era piantata a terra fino alle piume, ma riuscì a ripararsi lo
stesso dietro una fila di muli.
«Va bene!» Ash scivolò a fianco di Euen Huw, il capitano degli arcieri.
«Olio, stracci e marmitte. Cercate di usare le frecce incendiarie.»
«Non abbiamo portato le frecce adatte!» urlò Henri Brant. Ash rimase
sorpresa di trovarlo ancora al suo fianco. «Non ci aspettavamo un assedio,
quindi non le abbiamo portate.»
Ash calò il braccio sulle spalle dell'uomo. «Non importa! Fate del vostro
meglio. Con un po' di fortuna non ne avremo bisogno. Come stai a muni-
zioni, Euen?»
«Poche palle per gli archibugi, ma ho molte frecce e quadrelle. Non pos-
siamo stare qua, capo. Ci faranno a pezzi!»
Un uomo con indosso la divisa del Leone Azzurro corse giù dal pendio
urlando e giunto sul letto del fiume scivolò. Una dozzina di frecce lo colpi-
rono alle gambe facendolo crollare a terra. Si girò e un attimo dopo comin-
ciò a contorcersi urlando: una freccia gli aveva trapassato il volto.
«Continuate a tirare! Il più veloce che potete. Fate faticare quei bastardi
lassù!» Afferrò Euen Huw per un braccio. «Resistete ancora per cinque
minuti e siate pronti a montare a cavallo appena vi do il segnale.»
Ash mise una mano sulla daga con l'intenzione di finire il moribondo sul
letto del fiume. Una figura con la testa coperta da un cappuccio la superò
di corsa. Perché porta il cappuccio? si domandò Ash, che si trovava a metà
strada tra i suoi uomini e gli alberi. In quel momento riconobbe la falcata.
Merda, è Florian!
Lanciò un'occhiata alle sue spalle e vide il chirurgo che posava il braccio
dell'uomo sulle sue spalle trascinandolo dietro un tronco d'albero sul quale
si abbatté una pioggia di frecce.
Avanti, Pieter! Ancora due minuti e dovrò attaccare, altrimenti ci massa-
creranno qui dove ci troviamo.
Sentì la gola che raschiava.
Una vampata di fuoco si levò nel cielo.
Ash tossì, si asciugò gli occhi che lacrimavano e guardò la cima dell'al-
tura. Una colonna di fumo nero si levava tra gli alberi e un attimo dopo le
fiamme avvamparono con un boato tra i rami, le foglie morte a terra e il
sottobosco.
Vide per un attimo un uomo che puntava l'arco ricurvo e una nuvola di
frecce nere che oscurava il cielo.
Le fiamme distrussero in pochi istanti la linea di alberi in cima all'altura,
da dove cominciarono a sentirsi i nitriti terrorizzati dei cavalli.
Grazie a Dio, pensò, non devo mandare i miei uomini su per quel pendi-
o.
«Andiamo!» La sua voce si levò imperiosa e acuta sopra i lamenti dei
muli, le urla dei feriti e gli ultimi colpi degli archibugi.
Prese il portatore dello stendardo per un braccio e lo spinse verso l'uscita
della valle.
«Monta a cavallo! Vai! Veloce!»
Nella valle regnava il caos più totale: uomini che correvano ai cavalli, il
tonfo delle frecce, le urla di Ash, il nitrito dei cavalli e dei muli, Robert
Anselm che ordinava ai suoi uomini di raggrupparsi intorno allo stendardo,
Euen Huw che riversava un fiume di bestemmie in gallese e italiano contro
i suoi arcieri, padre Maximillian che tirava i muli da carico. Su uno di essi
c'era il corpo di Henri Brant con due frecce piantate tra le costole sotto il
braccio destro.
Un urlo distrasse Ash. Due uomini con la divisa nera uscirono allo sco-
perto lanciandosi alla carica verso di lei. «Tirate!» urlò Ash e un attimo
dopo una dozzina di frecce trapassarono i corpi dei due Visigoti. Uno crol-
lò a terra morto all'istante. L'altro scivolò sulla schiena rompendosi una
gamba e morì un attimo dopo.
Philibert le portò un cavallo, Ash ne afferrò le redini, balzò in sella e lo
spronò verso l'uscita della valle, consapevole che anche i portatori degli
stendardi stavano correndo ai loro cavalli. Gli arcieri a cavallo la superaro-
no al galoppo incitati da Euen, una ventina di questi portavano dei feriti o
dei morti di traverso sulla sella. Un attimo dopo passarono altri uomini. Le
donne, Floria del Guiz e Godfrey trascinavano i muli sui quali avevano
sistemato i feriti, incuranti delle masserizie che cadevano a terra.
«Cosa diavolo ci fai qua?» urlò Ash, rivolta a Florian. «Pensavo che fos-
si rimasto a Colonia.»
Il chirurgo, che teneva un braccio sulla schiena di un ferito in groppa a
un mulo, le sorrise. «Ci deve essere sempre qualcuno a tenerti d'occhio!»
Il grosso del suo contingente, circa centocinquanta uomini, la superò ur-
lando; Ash rallentò per aspettare il porta bandiera e un'altra mezza dozzina
di cavalieri. Il fumo denso le faceva lacrimare gli occhi. Si asciugò il volto
con il guanto. La cima dell'altura era un inferno. Le fiamme lambivano
ormai le cime dei pini che erano cresciuti altissimi per ricevere meglio la
luce del sole.
Un uomo in fiamme sbucò dalla foresta, crollò a terra e scivolò lungo il
pendio fermandosi a pochi metri da Ash. La pelle annerita e bruciata ribol-
liva.
Alle spalle di Ash il fondo valle era costellato di cadaveri, carri distrutti
ed equipaggiamenti abbandonati. Il caldo le imperlò il volto di sudore e lei
si asciugò nuovamente usando il dorso del guanto.
«VIA!» urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Il cavallo compì un
giro su se stesso, quindi si lanciò nella scia dei duecento uomini che fuggi-
vano lungo il corso del fiume in secca. C'era puzzo di fumo ovunque.
Un cervo balzò fuori dal limitare del bosco e attraversò di corsa lo schie-
ramento di arcieri a cavallo, mentre l'aria sopra gli alberi era lacerata dalle
grida dei gufi, delle poiane e dei gheppi.
Ash tossì. La vista cominciava a schiarirsi.
A un centinaio di metri da lei il terreno prendeva a salire.
Un debole vento dal nord le rinfrescò il viso.
Il fuoco consumava la foresta alle sue spalle.
Raggiunse Robert Anselm ed Euen Huw che continuavano a incitare i
loro uomini a scappare.
«Continuiamo a seguire il letto del fiume» urlò esultante Ash, malgrado
il frastuono dei cavalli lanciati al galoppo. «Non dobbiamo fermarci per
nessun motivo al mondo. Se il vento cambia siamo fottuti tutti quanti.»
Anselm indicò con il pollice il pendio di fronte a loro e il corpo di un
uomo. «Non siamo stati i primi a passare di qua. Sembra che tuo marito
abbia avuto la stessa idea.»
In quel cadavere c'era qualcosa che spinse Ash a controllare. Si sporse in
fuori per guardare tra gli zoccoli e vide il corpo di un uomo appoggiato
contro un pino. Dalla posizione in cui si trovava era chiaro che si era rotto
la schiena. Il volto era ridotto a un grumo informe di sangue rappreso,
quindi era impossibile stabilire il colore della pelle o dei capelli. Riconob-
be un simbolo sui vestiti che fino a poche ore prima dovevano essere stati
bianchi.
«È Asturio Lebrija.» Ash tornò dritta per stabilizzare il cavallo che era
ormai quasi allo stremo.
«Forse il giovane del Guiz non ce l'ha fatta.» La voce di Anselm era ve-
nata da un sinistro compiacimento. «Può darsi che ci siano pattuglie di
Visigoti ovunque. Non vorranno far sapere subito che è in corso un'inva-
sione.»
Il roano che montava scartò nel sentire lo scoppiettio delle fiamme. Ash
lo fermò e si lasciò superare dagli ultimi due uomini di van Mander. I ca-
valli scivolavano sugli aghi secchi che ricoprivano il terreno e l'aria puzza-
va di pece e resina.
Ce l'ho fatta! Li ho tirati fuori e non posso abbandonarli adesso!
Possono ancora beccarci prima che raggiungiamo le montagne. Possia-
mo trovare i passi chiusi anche in questa stagione e se questo cacchio di
vento cambia finiamo tutti fritti.
«Continuate in questa direzione e fa' in modo che nessuno si impantani!
Fa' in modo che continuino a salire sulle colline. Voglio che ci togliamo
dalla linea del fuoco in fretta.»
Robert Anselm si allontanò ancor prima che lei avesse finito di parlare.
Ash guardò il fondo valle. Tutto sembrava perdere di drammaticità da
quel punto di vista: le spirali di fumo nero che si alzavano a solleticare il
cielo e il balenare discontinuo delle fiamme. Il fuoco avrebbe distrutto
tutta la vegetazione delle colline. Ormai era inarrestabile e Ash ne era pie-
namente conscia. L'incendio avrebbe distrutto gli uliveti e le vigne. Molte
famiglie di contadini avrebbero maledetto il suo nome insieme ai cacciato-
ri, ai pastori e a tutte le persone che traevano di che vivere da quella val-
le...
Aveva il corpo indolenzito. La brigantina e gli stivali puzzavano di san-
gue di cavallo. Cercò di vedere se dalla costa erano partiti altri golem.
Le aquile di metallo brillavano in lontananza, mentre il fumo che si le-
vava da Genova nascondeva il resto del paesaggio.
Un arciere a cavallo la superò. Aveva il sangue che gli colava dal polso.
Era l'ultimo dei suoi uomini.
«Jan-Jacob!» Ash lo raggiunse, afferrò il cavallo per le redini e l'uomo
crollò contro il collo della bestia. Ash raggiunse la retroguardia della co-
lonna tenendosi bassa per evitare i rami dei pini.
Alle sue spalle il Nord Africa aveva cominciato l'invasione dell'Europa.

IV

Sette giorni dopo Ash si trovava sullo spiazzo di fronte al padiglione


dell'imperatore, circondata dalle guardie. Alle sue spalle, distanziati di un
paio di metri, c'erano i suoi ufficiali, il mastro artigliere, il chirurgo e il
prete.
Le bandiere imperiali garrivano al vento.
L'odore di resina di pino che si levava dalle gradinate costruite nei pressi
del padiglione di Federico la fece rabbrividire. Il clangore del metallo con-
tro il metallo risuonò oltre le barriere dietro le quali si svolgeva il torneo.
Anche se gli scontri di quel genere erano sufficienti a storpiare a vita un
uomo, venivano relegati nella categoria dei giochi.
Lasciò vagare lo sguardo sugli uomini che formavano il seguito dell'im-
peratore. Molti nobili germanici, alcuni rappresentanti della Lega di Co-
stanza, qualche Francese e dei Burgundi, ma non c'erano ambasciatori di
Milano, della Savoia o di uno dei regni a sud delle Alpi.
Non c'era neanche Fernando del Guiz.
«Quella seduta di spalle sulla sinistra è Costanza, la mia matrigna» la in-
formò Floria del Guiz con un sussurro.
Ash spostò lo sguardo sui posti riservati alle donne e vide Costanza del
Guiz, ma non il figlio. La donna sedeva da sola. «Perfetto. Facciamola
finita. Voglio scambiare due parole con quella donna...»
Le spade si incrociarono nuovamente e Ash provò un brivido colmo d'a-
spettativa che le chiuse lo stomaco.
Il vento lambiva il suo volto e costeggiava le colline verdeggianti per poi
calare verso le bianche mura di Colonia che racchiudevano i tetti blu delle
case e i campanili delle chiese. C'erano dei cavalli sulla strada e in lonta-
nanza scorgeva dei contadini con il capo coperto da cappelli di paglia a
tesa larga che abbattevano dei castagni per costruire recinti.
Quante possibilità avrebbero avuto quegli uomini di falciare il grano
quell'anno?
Ash tornò a concentrasi sulla figura di Federico d'Asburgo, imperatore
del Sacro Romano Impero che ascoltava uno dei suoi consiglieri. Termina-
to il rapporto l'imperatore aggrottò la fronte.
«Avresti dovuto sconfiggerli, Ash!» La voce dell'imperatore era abba-
stanza alta perché potessero sentirla tutti i presenti. «Erano solo truppe di
schiavi provenienti dalla terra della pietra e del crepuscolo!»
«Ma...»
«Come fai a definirti condottiero mercenario se non sei in grado di scon-
figgere degli esploratori?»
«Ma...!»
«Avevo un'opinione migliore di te. Ma non è mai saggio fidarsi di una
donna! Ne risponderà tuo marito!»
«Ma... Oh, 'fanculo! Voi pensate che vi abbia fatto fare una brutta figu-
ra.» Ash incrociò le braccia e fissò l'imperatore dritto negli occhi. Poteva
sentire Robert Anselm che si agitava dietro di lei senza bisogno di girarsi a
guardarlo. Anche il volto di Joscelyn van Mander si era rabbuiato, ma po-
teva essere un'espressione dovuta al dolore alla gamba.
«Perdonatemi se non sono impressionata. Ho appena ricevuto un rappor-
to sulle perdite che ho subito. Ho quattordici feriti nell'ospedale della città.
Due hanno subito mutilazioni tanto gravi che dovrò metterli a riposo. Sono
morti dieci dei miei uomini. Ned Aston è ferito gravemente.» Si fermò,
rendendosi conto che stava uscendo dal seminato. «Sono stata sui campi di
battaglia fin da bambina e questa non è una guerra qualunque. Non è nean-
che brutta come le altre. È...»
«Tutte scuse!» sbottò Federico.
«No.» Ash fece un passo avanti e le guardie del corpo dell'imperatore si
misero in allerta. «I Visigoti non hanno mai combattuto così!» Indicò i
capitani di Federico. «Chiedete a chiunque abbia combattuto nel sud. Io
credo che avessero degli squadroni di cavalleria che pattugliavano la costa
e l'entroterra per circa quaranta o cinquanta chilometri. Ci hanno fatto pas-
sare. Hanno fatto passare anche l'Agnello. In questo modo impediscono
alle notizie di uscire! Hanno anticipato tutte le nostre mosse. Non è il loro
solito modo di combattere, sono troppo disciplinati per essere delle truppe
composte di schiavi e contadini!»
Ash posò la mano sinistra sul fodero. «Ho sentito notizie provenienti dal
monastero del Gottardo. Si pensa che i Visigoti abbiano un nuovo genera-
le, ma nessuno sa nulla. Nel sud regna il caos più completo! Ci abbiamo
impiegato sette giorni per tornare. Sono già arrivati i messaggeri? C'è qual-
che notizia da oltre le Alpi?»
L'imperatore Federico alzò la coppa di vino e la ignorò.
Il monarca sedeva sul suo scranno dorato in mezzo a un manipolo di
uomini con indosso abiti di velluto decorati con inserti di pelliccia e donne
in lunghe tuniche di broccato. I più distanti continuavano a fissare il torneo
con sguardi colmi d'avidità, i più vicini non staccavano gli occhi dall'impe-
ratore, pronti a ridere o ad aggrottare la fronte a seconda dell'umore di Fe-
derico. Il padiglione imperiale era sormontato da una riproduzione di una
grossa aquila nera: il simbolo araldico dell'imperatore.
«Come possono tenere un cazzo di torneo con un cacchio d'esercito alla
porta? Cristo!» borbottò Robert Anselm, sfruttando il brusio che si levava
tra i servitori impegnati a lavorare sotto il padiglione.
«Pensano di essere al sicuro finché i Visigoti non avranno superato le
Alpi.»
Florian del Guiz tornò dal giro che aveva fatto tra i nobili e le posò una
mano sulla spalla. «Non ho visto Fernando e nessuno ne vuole parlare.
Sono tutti muti come tombe.»
«Merda!» Ash lanciò un'occhiata di sottecchi alla sorella di Fernando e
notò che anche lei aveva le lentiggini sul viso, solo che i lineamenti del
suo volto avevano perso la freschezza della gioventù. Se in questa compa-
gnia c'è qualcuno che somiglia a una donna travestita da uomo, pensò Ash,
quello è proprio Angelotti e non Florian. Antonio è troppo bello per essere
vero.
«Puoi trovare qualcuno che mi possa dire se mio marito è tornato a Co-
lonia?» domandò Ash, rivolgendosi a Godfrey Maximillian.
Il prete spinse in fuori le labbra. «Non sono riuscito a trovare nessuno
che abbia parlato con lui dopo che ha lasciato il rifugio sul passo del San
Bernardo insieme ai suoi uomini.»
«Cosa diavolo sta facendo? Non ditemelo: ha incontrato un'altra pattu-
glia di Visigoti e ha avuto la grande idea di sconfiggere l'esercito invasore
da solo...»
«Che impeto» borbottò Anselm, d'accordo.
«Non è morto. Non sono così fortunata. Beh, almeno ho ottenuto di
nuovo il comando.»
«'De facto'47 » bofonchiò Godfrey.
Ash spostò il peso da una gamba all'altra. Il fatto che stessero servendo
da mangiare e da bere era studiato apposta per farla aspettare in piedi. For-
se Federico stava pensando a quale punizione infliggerle per la sconfitta
subita. «Stiamo giocando e basta!»
«Cristo Santo, Madonna,» borbottò Angelotti «ma questo uomo sa cosa
sta succedendo?»
«Vostra Maestà Imperiale!» Ash attese che Federico si degnasse di fis-
sarla. «I Visigoti hanno mandato dei messaggeri. Ho visto degli uomini di
terracotta dirigersi a ovest verso Marsiglia e a sud est verso Firenze. Avrei
mandato degli uomini a bloccarli se non fossi caduta nell'imboscata. Pen-
sate veramente che gli invasori si limiteranno a conquistare Genova, Mar-
siglia e la Savoia?»
L'imperatore sbatté le palpebre colpito da tanta rudezza. «È vero, lady
del Guiz, ho ricevuto ben poche notizie dal sud da quando è stato chiuso il
passo del Gottardo. Anche i miei banchieri non sanno dirmi molto. Lo
stesso vale per i miei vescovi. Tu penserai che non hanno i loro informato-
ri... Ma tu? Come hai potuto tornare e dirmi così poco?» La indicò con un
dito. «Saresti dovuta rimanere e osservare per più tempo!»
«Se l'avessi fatto ora potreste raggiungermi solo con le preghiere!»
Ash valutò di essere a un passo dall'arresto, ma i suoi pensieri tornavano
sempre a Pieter Tyrrel in una stanza dell'ospizio di Colonia con dieci luigi
d'oro e il mignolo, l'anulare e il medio della mano sinistra amputati. A Phi-
libert, scomparso una notte sul Gottardo, a Ned Aston che era morto e a
47
Latino: 'di fatto', contrapposto a de jure, 'per diritto di legge'.
Isobel, della quale non restava neanche il corpo per farle un funerale.
Aspettò il momento giusto e riprese a parlare con cautela.
«Vostra Maestà, oggi mi sono recata dal vescovo.» Osservò l'espressio-
ne interrogativa apparsa sul volto di Federico. «Chiedete ai vostri avvocati
e ai preti, Vostra Maestà. Mio marito mi ha abbandonata senza consumare
il matrimonio.»
Floria represse un grugnito.
L'imperatore si rivolse a Floria del Guiz. «È vero, mastro chirurgo?»
«Vero come il fatto che esisto e mi trovo di fronte a voi, Vostra Maestà»
rispose immediatamente Floria, senza, almeno apparentemente, provare
disagio.
«Quindi ho chiesto che il matrimonio venga annullato» incalzò Ash.
«Non sono più legata da nessun obbligo feudale, Vostra Maestà Imperiale.
E il contratto che avevo stipulato con voi è rescisso dal momento in cui le
truppe borgognone si sono ritirate da Neuss.»
Il vescovo Stefano si inclinò di lato e sussurrò qualcosa nell'orecchio
dell'imperatore. Ash osservò i lineamenti di Federico che si indurivano.
«Beh» disse Ash, con la sicurezza di un capitano con ottocento uomini
da poter schierare in campo. «Fatemi un'offerta e io la sottoporrò ai miei
uomini. Penso che la Compagnia del Leone. E con paghe ottime.»
«Mer-da...» sussurrò Anselm.
Sapeva di aver appena commesso una bravata. Giochi politici, cavalcate
estenuanti e cibo pessimo, le battaglie e le morti inutili dell'ultimo mese
non potevano essere ripagate parlando come un servitore maleducato, ma
almeno si era sfogata.
Antonio Angelotti rise. Van Mander le diede una pacca sul piastrone.
Ash ignorò le attenzioni dei due uomini continuando a concentrarsi su Fe-
derico per godersi la vista dell'imperatore preso alla sprovvista. Sentì il
sospiro di Godfrey Maximillian e sorrise raggiante, all'indirizzo dell'impe-
ratore. Non ebbe il coraggio di aggiungere: 'Voi vi dimenticate che non vi
apparteniamo. Siamo mercenari', ma lasciò che il concetto permeasse di sé
l'espressione del suo viso.
«Cristo Verde» borbottò il prete. «Non ti basta avere Sigismondo del Ti-
ralo come nemico, adesso vuoi anche l'imperatore!»
Ash chiuse le mani guantate intorno alle protezioni dei gomiti. «Non ot-
terremo più nessun contratto dai Tedeschi, lo sai bene anche tu. Ho detto a
Geraint di cominciare a smontare il campo. Andremo in Francia. Non ri-
marremo senza lavoro di questi tempi.»
Il tono brutale e incurante della sua voce era dovuto in parte al dolore
per i morti e gli storpi e in parte alla gioia selvaggia e viscerale che prova-
va per il semplice fatto di essere ancora viva.
Prese il prete a braccetto. «Suvvia, Godfrey. È il nostro lavoro, ricordi?»
«Sarà il nostro lavoro se non ti rinchiudono in una segreta di Colonia...»
Godfrey Maximillian si interruppe improvvisamente.
Un gruppo di preti si fece strada tra la folla e in mezzo al gruppo di reli-
giosi, Ash scorse una testa pelata che le fece provare una sensazione molto
spiacevole...
Gli uomini cominciarono a spingersi, il capitano delle guardie del corpo
di Federico urlò una minaccia che servì a creare uno spazio di fronte al-
l'imperatore. Sei preti provenienti dal rifugio sul passo del San Bernardo si
inchinarono davanti al monarca.
«Quello è Quesada» disse Ash, aggrottando la fronte. «L'ambasciatore
visigoto.»
«Cosa ci fa qui?» Godfrey sembrava stranamente agitato.
«Solo Cristo lo sa. Se lui è qui, dov'è Fernando? A che gioco sta giocan-
do mio marito? Daniel de Quesada... Ecco la testa di un uomo che sta per
tornare a casa in un cesto.» Controllò automaticamente la posizione dei
suoi uomini: Anselm, van Mander e Angelotti indossavano l'armatura ed
erano armati, Rickard reggeva lo stendardo, Floria e Godfrey erano disar-
mati. «È proprio conciato male... cosa diavolo gli sarà successo?»
L'ambasciatore era in ginocchio di fronte a Federico d'Asburgo e i suoi
principi. La testa pelata e le guance erano macchiate di sangue rappreso e
qualcuno gli aveva strappato la barba con violenza. Il suo sguardo vagava
qua e là e quando si posò su di lei sembrò non riconoscerla.
Ash si inquietò. Non è una guerra qualunque. Non è neanche brutta co-
me le altre - cos'è, allora? pensò, frustrata. Perché sono preoccupata? Mi
sono tirata fuori da questi intrighi politici. Siamo conciati male, ma la
compagnia ha già subito perdite in passato; ce la caveremo anche questa
volta. Ho vinto. Si tratta solo di affari come al solito; qual è il problema?
Ash era in piedi sotto il sole cocente, al limitare dell'ombra prodotta dal
padiglione del torneo. Il rumore delle lance spezzate e le ovazioni della
folla echeggiarono nell'aria. Una folata di vento portò con sé l'odore della
pioggia in avvicinamento.
Il Visigoto girò la testa e cominciò a squadrare i cortigiani. Ash vide il
sudore imperlargli il capo e quando parlò si espresse con il tono febbrile ed
eccitato di un uomo che si aspetta di morire entro pochi minuti.
«Uccidetemi!» invitò de Quesada, rivolgendosi all'imperatore. «Perché
non farlo? Ho portato a termine la mia missione.»
Parlava in un tedesco fluido.
«Noi eravamo la menzogna che serviva a tenervi occupati. Il signore, il
califfo-re Teodorico ha mandato altri ambasciatori alle corti di Savoia,
Genova, Firenze, Venezia, Basilea e Parigi dando a tutti le stesse istruzio-
ni.»
«Cos'è successo a mio marito?» chiese Ash nel suo cartaginese collo-
quiale. «Quando ti sei separato da Fernando del Guiz?»
Ash poté leggere sul volto dell'imperatore quanto fosse stata imperdona-
bile e irrilevante la sua interruzione, e si mise in allerta, pronta a subire
l'ira del monarca o ad ascoltare la risposta di Daniel de Quesada.
«Mastro del Guiz ha deciso di liberarmi nel momento in cui ha giurato
fedeltà al nostro califfo-re Teodorico» rispose de Quesada, tranquillo.
«Fernando? Lui, che giura di essere leale a...?» Ash lo fissò attonita.
«Al Califfo dei Visigoti!»
Ash, che in quel momento non sapeva se ridere o piangere, udì Robert
Anselm alle sue spalle che scoppiava a ridere di gusto.
De Quesada parlava fissando l'imperatore, pronunciando ogni parola con
malizia. «Incontrammo una divisione del nostro esercito a sud del passo
del Gottardo. Erano dodici uomini contro mille duecento. A del Guiz ven-
ne permesso di restare in vita con il pieno possesso del suo titolo e delle
sue ricchezze, a patto che giurasse fedeltà a noi.»
«Non l'avrebbe mai fatto!» protestò Ash. «Voglio dire, non l'avrebbe...»
Non riusciva più a trovare le parole. «È un cavaliere. Sono falsità. Voci. È
una tattica del nemico.»
Né l'ambasciatore né l'imperatore le diedero ascolto.
«Tu non hai nessun diritto di concedere delle ricchezze che sono mie,
Visigoto!» Federico d'Asburgo si girò sullo scranno. «Mettete sotto seque-
stro tutti i beni e le ricchezze della famiglia del giovane» ringhiò «per tra-
dimento.»
Uno dei preti che avevano portato fin lì l'ambasciatore si schiarì la gola.
«Abbiamo trovato questo uomo, Quesada, che vagava sperduto nella neve,
Vostra Maestà Imperiale. Non riusciva a dire nessun altro nome se non il
vostro. Pensavamo di compiere un atto di carità nel portarlo qui. Perdonate
il nostro errore.»
«Se hanno incontrato i Visigoti, come mai vagava nella neve?» borbottò
Ash rivolgendosi a Godfrey.
Il prete allargò le braccia e scrollò le spalle. «Dio solo lo sa, figliola!»
«Bene, allora fammi sapere appena ti dirà qualcosa!»
Le labbra dell'imperatore si piegarono in una smorfia di disgusto nei
confronti di Daniel de Quesada. «È ovvio che quest'uomo è pazzo. Cosa
può saperne di del Guiz? Siamo stati precipitosi - il sequestro è revocato.
Sta solo farneticando: sono menzogne costruite ad arte. Padri, vi prego di
tenerlo confinato nel convento del vostro ordine in città. Esorcizzatelo, fate
uscire il demonio da lui. Vediamo come va a finire questa guerra: egli sarà
il nostro prigioniero, non il loro ambasciatore.»
«Non è una guerra!» urlò Daniel de Quesada. «Se solo voi sapeste vi ar-
rendereste adesso, non si tratterà di qualche schermaglia! Perderete il con-
to dei morti! In questo momento le città italiane stanno imparando la le-
zione...»
Una delle guardie del corpo dell'imperatore si mise alle spalle di de Que-
sada e gli posò la lama di una daga vecchia e intaccata, ma ancora validis-
sima, contro la gola.
«Sapete cosa state affrontando?» farfugliò l'ambasciatore. «Vent'anni!
Vent'anni di preparativi!»
L'imperatore Federico rise. «Bene, bene, bene, non abbiamo niente con-
tro di voi. Le vostre battaglie contro i mercenari non sono più affar mio.»
Gratificò Ash con un sorrisetto secco, ripagandola con gli interessi di
quanto gli aveva detto poco prima.
«Voi vi definite 'Sacro Romano Impero'» continuò de Quesada. «Ma in
realtà non siete neanche l'ombra dello Scranno Vuoto48 . Per quanto riguar-
da le città italiane le abbiamo depredate per l'oro e nient'altro. Perché do-
vremmo voler sottomettere i contadini tra Basilea, Colonia, Parigi e Gra-
nada? Se avessimo voluto degli schiavi, la flotta turca a Cipro sarebbe già
in fiamme.»
Federico d'Asburgo fece cenno ai nobili di calmarsi. «Ricorda che sei
circondato da stranieri, per non dire nemici. Forse ti comporti così perché
sei un pazzo?»
«Non vogliamo il vostro Sacro Romano Impero» disse de Quesada
scrollando le spalle. «Ma lo prenderemo. Prenderemo tutto ciò che si trova
tra noi e la più grande delle ricchezze.»
Gli occhi dell'ambasciatore si posarono sugli ospiti burgundi. Ash pensò
48
Il contesto mi porta a sospettare che l'ambasciatore si riferisse alla
città di Roma, forse al trono papale, lo scranno di Pietro? Si tratta di un
riferimento oscuro.
che stessero ancora festeggiando la pace di Neuss. Quesada si concentrò
sul volto di un uomo che lei conosceva bene: Olivier de la Marche, il capi-
tano delle guardie del duca Carlo di Borgogna.
«Prima prenderemo tutto ciò che si trova tra di noi e il ducato di Borgo-
gna» sussurrò de Quesada. «Poi prenderemo la Borgogna stessa.»
Il più ricco di tutti i principati d'Europa. Ash ricordava che qualcuno
una volta le aveva detto quella frase. Fece vagare lo sguardo dall'ambascia-
tore visigoto alla rappresentanza del duca di Borgogna, nella quale rico-
nobbe più di un volto. Olivier de la Marche, un uomo robusto che indossa-
va una divisa rossa e blu, rise di gusto con la sua voce abituata a farsi sen-
tire sopra il trambusto infernale della battaglia. Una serie di risatine si le-
varono dagli uomini tutti armature lucidate, vestiti lussuosi, spade con po-
melli d'oro, volti sbarbati e fiduciosi come a voler rendere tangibile la for-
za dei veri cavalieri, che affiancavano il capitano. Ash provò un momenta-
neo impulso di simpatia nei confronti di Daniel de Quesada.
«Il mio duca ha recentemente conquistato la Lorena 49 » lo blandì Olivier
de la Marche, in tono amabile. «Per non parlare delle sconfitte inflitte al
nostro re di Francia.» Molto diplomaticamente evitò di guardare Federico
d'Asburgo e menzionare Neuss. «Il nostro esercito è invidiato in tutta la
cristianità. Metteteci alla prova, signore. Metteteci alla prova. Vi prometto
un caldo benvenuto.»
«E io vi prometto un saluto gelido.» Gli occhi di Daniel de Quesada era-
no lucidi. Ash mise la mano sulla spada senza neanche rendersene conto.
Tutto il corpo di quell'uomo sembrava comunicare qualcosa di sbagliato,
come se avesse abbandonato ogni sorta di freno inibitorio. Solo i fanatici e
gli assassini si comportavano in quel modo. Ash lanciò una rapida occhiata
al padiglione del torneo, al simbolo dell'imperatore, alle guardie, ai suoi
ufficiali...
Daniel de Quesada urlò.
Aveva spalancato del tutto la bocca e le corde vocali gli sporgevano dal
collo. L'urlo coprì le ovazioni della folla finché non ebbe ridotto tutti al
silenzio. Ash sentì Godfrey che afferrava la croce che portava sul petto e
avvertì i capelli che le si rizzavano alla base della nuca come mossi da una
ventata gelida. Quesada continuava a urlare in preda a una rabbia incon-
trollata.
Silenzio.
L'ambasciatore visigoto abbassò la testa fissando la folla davanti a sé
49
Nel 1475.
con occhi infuocati e iniettati di sangue. Le guance avevano ripreso a san-
guinare.
«Conquisteremo la Cristianità» sussurrò, adirato. «Prenderemo le vostre
città. Tutte. E prenderemo anche te, Borgogna, anche te... ora che tutto è
cominciato ho il permesso di mostrarvi un segno.»
Qualcosa indusse Ash ad alzare lo sguardo.
Un attimo dopo si rese conto che stava seguendo gli occhi dell'ambascia-
tore visigoto, che fissavano il cielo con sguardo estatico.
Daniel de Quesada teneva lo sguardo fisso sul sole di mezzogiorno.
«Merda!» Gli occhi di Ash si colmarono di lacrime e si sfregò il viso
con una mano per asciugarli.
Non vedeva più nulla: era cieca.
«Cristo!» urlò. Altre urla echeggiarono per il campo. Si strofinò gli oc-
chi freneticamente. Non riusciva a vedere nulla... nulla...
Ash rimase immobile per un attimo, coprendosi gli occhi con i palmi
delle mani. Oscurità. Il nulla. Premette con maggiore forza. Sentì le pupille
che si muovevano contro il tessuto del guanto. Tolse le mani. Oscurità. Il
nulla.
Sentì del bagnato: lacrime o sangue? Non sentiva dolore...
Qualcuno la urtò violentemente e lei afferrò un braccio: qualcuno urlava
e lei non riusciva a distinguere le parole, poi:
«Il sole! Il sole!»
Ash era inginocchiata, senza guanti, con le mani premute contro il terre-
no secco. Un corpo era appoggiato contro il suo e lei si aggrappò a quel-
l'individuo in cerca di sicurezza.
«Il sole... è sparito» sussurrò una vocina che Ash impiegò qualche atti-
mo prima di attribuire a Robert Anselm.
Alzò la testa.
Incominciò a intravedere qualcosa. Erano delle luci deboli. Dei puntini
distanti che si stagliavano all'orizzonte.
Abbassò gli occhi e riuscì a distinguere il contorno delle mani. Alzò
nuovamente lo sguardo e vide delle costellazioni a lei sconosciute.
Tutto era immerso nell'oscurità.
«Ha fatto sparire il sole» sussurrò Ash.
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ash: La storia perduta
della Borgogna (Ratcliff, 2001), British Library.

Messaggio: #19 (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash:
Data: 06/11/00 ore 10,10
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Pierce — cancellati

HA FATTO SPARIRE IL *SOLE*???


E tu dove sei?

— Anna

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Messaggio: #19 (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash:
Data: 06/11/00 ore 10,10
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli cancellati
Anne —

Sono confinato in una stanza di un hotel a Tunisi. Uno dei giovani assi-
stenti di Isobel Napier-Grant mi sta spiegando come scaricare e spedire e-
mail attraverso le linee telefoniche della Tunisia e ti assicuro che, come
potrai immaginare, non è facile come sembra. Il camion si recherà al sito
solo stanotte con il favore delle tenebre. Gli archeologi diventano dei veri
fanatici quando si tratta di sicurezza, ma se Isobel ha veramente trovato
quello che dice non mi sento di biasimarla.
Quando mi disse che sarebbe venuta fin qua, io speravo che potesse tro-
vare delle prove per sostenere la mia tesi ma, mai e poi mai mi sarei aspet-
tato QUESTO!
'Ha fatto sparire il sole'. Certo. Da quello che ho scoperto, tra il 1475 e il
1476 non c'è stata nessuna eclisse visibile. L'unica a cui riesco a pensare è
quella del 25 febbraio 1476, a Pskov, ma siamo in Russia! Comunque, è
molto probabile che i cronisti l'abbiano usata come una sorta di licenza
poetica per rendere il tutto più drammatico. Anch'io ho fatto lo stesso.

— Pierce

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Messaggio: #20 (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash: sfondo storico della vicenda
Data: 06/11/00 ore 18,44
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Anne — cancellati

INSOMMA!!! Ho controllato, Pierce. Le uniche guerre che si sono svol-


te tra il 1476 e il 1477, sono legate al tentativo del duca Carlo l'Intrepido di
Borgogna di conquistare la Lorena e di unire il suo 'Regno Intermedio'
all'Europa. Poi c'è la sua sconfitta a opera degli Svizzeri a Nancy e la sua
morte. Ci sono state le solite guerre tra le città stato italiane, ma non c'è
*niente* che riguardi il Nord Africa!
E non dirmi che questa è una concezione eurocentrica della storia! Non
trovi che un'invasione dell'Italia e della Svizzera sarebbe un fatto un po'
troppo ECLATANTE per farlo passare inosservato?
*Te lo ripeto, Pierce, COS'È QUESTA STORIA DELL' INVASIONE
VISIGOTA???!!! *

— Anna

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Messaggio: #23 (Anna Longman)


Oggetto: Ash:
Data: 06/11/00 ore 19,07 Format dell'indirizzo
Da: Longman@ e altri dettagli
cancellati
Anne —
Ti avevo detto che quanto contenuto nel FRAXINUS avrebbe ridimen-
sionato la storia come oggi la conosciamo.
Molto bene:
È mia intenzione dimostrare che un insediamento visigoto del Nord A-
frica in un certo momento della storia (AD 1475 - AD 1477) invase mili-
tarmente il sud dell'Europa.
Sosterrò anche che l'interesse per quella incursione si perse nel panico
suscitato dalla morte in battaglia di Carlo l'Intrepido (1477). Credo che
bisognasse aspettarselo.
Non trovi che questo fatto sia stato ignorato a causa dello strapotere di
una classe accademica di storici bianchi e maschi, che non poteva concepi-
re che il dominio dell'Europa Occidentale fosse stato messo in pericolo
dall'Africa? E che una cultura fatta di meticci potesse provarsi militarmen-
te superiore alla Cristianità Occidentale di origine Caucasica?

— Pierce

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Messaggio: #23 (Anne Longman)


Oggetto: Ash: sfondo storico della vicenda
Data: 06/11/00 ore 19,36
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli cancellati
Pierce —

Il problema continua a essere che il testo cita un'invasione dell'Europa


Occidentale nel 1476, quando neanche i Turchi RIUSCIRONO MAI A
INVADERE L'EUROPA!!! So quello che mi risponderai: secondo la tua
teoria, Ash ha combattuto contro i Visigoti dell'Africa del Nord. PERCHÉ
QUESTO FATTO NON È MENZIONATO NEI MIEI LIBRI DI STO-
RIA?

— Anna

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Messaggio: #24 (Anne Longman)
Oggetto: Visigoti
Data: 07/11/00 ore 17,234
Da: Ngrant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Anne — cancellati

Sono nel sito!


Il dottor Napier-Grant mi sta gentilmente permettendo di usare il suo PC
satellitare. Ho così tanto da dire che non posso aspettare di raggiungere un
telefono, senza contare che le linee telefoniche di quaggiù sono tremende.
Isobel (scusa, è il dottor N-G, nel caso lo avessi dimenticato) Isobel mi
dice che posso farti qualche anticipazione, ma non vuole che trapeli nulla,
perché se qualcun altro dovesse leggere questo messaggio si troverebbe
con tutti gli archeologi tra qui e il polo nord davanti al sito. Per non parlare
di quelli che stanno già ronzando qua intorno da qualche giorno.
So che non dovrei dirlo, ma si tratta di qualcosa di caldo e fumante e gli
unici momenti in cui possiamo sopportarlo è quando siamo fuori dagli
scavi - dei quali, ovviamente, *non* ti dirò l'ubicazione!! Ti basti sapere
che si trovano molto vicini alla costa settentrionale di questa regione della
Tunisia. (Vedo delle montagne a sud che mi fanno pensare al ghiaccio, al
freddo e a luoghi in cui non devi stare sotto una tenda dall'una fino alle
cinque del pomeriggio!) So che sentire tutto questo ti darà fastidio, ma non
posso dirti quello che ti piacerebbe ascoltare e se non parlo scoppio.
Isobel mi ha detto che visto che stiamo per pubblicare il libro *posso*
riferirti qualcosa. Isobel è una donna fantastica. Ci conosciamo dai tempi
di Oxford e lei è l'ultima persona che ritengo possa eccitarsi quando non è
il caso. Basta guardare il taglio di capelli corto e le scarpe che porta. (No,
non l'abbiamo mai fatto. Io volevo. Ma Isobel non è certo una che capisce
al volo.) Da quando sono arrivato qui, ventiquattro ore fa, l'ho vista andare
avanti e indietro per il sito come una scolaretta! *Potremmo* trovarci di
fronte ad altri diari di Hitler, ma non credo.
Cosa abbiamo trovato? (No, 'trovato' è inesatto, visto che è tutta opera di
Isobel e del suo fantastico team.)
I golem.
Sono proprio come li descrive il testo. 'I golem messaggeri'. Uno è inte-
gro, l'altro a pezzi. Ti ricordi quando ti parlavo dell'alto grado di specializ-
zazione raggiunto dall'ingegneria araba nel Medio Evo? Le fontane musi-
cali, gli uccelli meccanici che battevano le ali e tutti quegli oggetti di sva-
go dell'epoca post-romana? Molto bene:
I manoscritti sulla vita di Ash si riferiscono agli 'uomini di terracotta',
'robot', 'golem', come a riproduzioni meccaniche dell'uomo. È ovvio che si
tratta di una stupidaggine bella e buona. Prova a immaginare qualcuno che
costruisce un robot nel quindicesimo secolo! Al limite si poteva pensare a
oggetti di carattere ornamentale, forse. *Solo* forse. Voglio dire, se puoi
costruire un uccello metallico in grado di cantare che, come spiegano tutti i
trattati di ingegneria romana, funzionava idraulicamente o pneumatica-
mente, ma non chiedermi altro perché non sono un ingegnere, allora, sup-
pongo che sia possibile costruire un modello metallico di un uomo. Rugge-
ro Bacone fece qualcosa di simile con la sua Testa d'Ottone. Non riesco a
capire perché qualcuno dovesse prendersi tale disturbo.
Questo era quanto pensavo fino a ventiquattro ore fa. Allora andavo di
fretta: dovevo prendere un aereo per Tunisi ed essere scarrozzato su una
stramaledetta jeep fino al 'campo' degli archeologi e farmi condurre sul sito
a piedi da Isobel. Ci sono soldati a guardia del campo con tanto di kala-
shnikov e jeep, ma non sembrano molto allerta. Penso che sia un dono del
governo per tenere lontani i curiosi. Credo che a Isobel vada bene così.
Una visita dei militari al sito è l'ultima cosa che vogliamo. Potrebbero di-
struggere degli oggetti che hanno più di cinquecento anni.
Sì, per Isobel risalgono a cinquecento anni fa. È sicura che siano rimasti
sepolti per tanto tempo e credo che sia una teoria più che attendibile. Non
mi trovo di fronte alla stramberia di epoca vittoriana che credevo di trova-
re. Questi sono i 'golem messaggeri' citati nei testi su Ash: riproduzioni a
grandezza naturale in pietra di un uomo (Isobel sostiene che quello integro
è fatto di marmo italiano) complete di articolazioni del ginocchio, delle
spalle, delle braccia, delle mani, dei gomiti e delle anche. Del secondo
sono rimaste solo le giunture metalliche. *Sono i golem*!
Confesso di non riuscire a comprendere tutto ciò che si dicono Isobel e il
suo team: per essere più preciso, non comprendo i dettagli tecnici. C'è un
*gran* chiasso per cercare di capire se essi appartengono alla cultura araba
medievale o a quella europea. Il marmo è italiano, ma la pietra di Carrara
venne largamente esportata in tutta la Cristianità, come ho cercato di far
notare. Ho dato a Isobel la mia copia della traduzione sottolineando che la
cultura 'visigota' di cui faccio menzione nel testo *non* è solo gotico-
iberica, ma piuttosto un misto di cultura visigota, spagnola e araba.
Sono arrivato a questo punto, ma non ti ho riferito la scoperta più impor-
tante. Tu sarai sicuramente seduta a Londra intenta a leggere questo mes-
saggio pensando: 'E allora? Avevano degli uomini meccanici e degli uccel-
li meccanici, cosa importa?'
Isobel mi ha permesso di esaminare con molta cautela il golem rimasto
integro. Quello che ti dirò ora non deve trapelare finché lei non pubbliche-
rà le sue scoperte. Ci sono resti di tessuto tra le giunture metalliche. E non
è tutto.
Ci sono resti di tessuto *sotto* i piedi!
La pietra che costituisce la pianta del piede e il calcagno è consumata
come se questo golem fosse stato in grado di camminare. Camminare.
Come un uomo, come te e me, un uomo meccanico di pietra e ottone che
*cammina*.
Ciò che ho toccato, toccato, Anna!, corrisponde a quello che nei testi su
Ash viene descritto come l'uomo di terracotta dei Visigoti.
Sono *veri*.
Devo lasciare il PC a Isobel perché ne ha urgente bisogno. Ti contatterò
prima possibile. Ti invio l'altra parte della traduzione allegata a questo file.
Non affossare il mio libro!! Potremmo avere tra le mani più di quanto chi-
unque possa pensare.
*Quali* Visigoti? HA!

— Pierce

——————————————————————————————

Messaggio: #28 (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash: progetti relativi ai media
Data: 07/11/00 ore 18,17
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Pierce — cancellati

— Pierce

Voglio parlare con il dottor Napier-Grant e persuaderla che voi due do-
vete lavorare in tandem a partire da ORA. Il mio Media Director, Jonathan
Stanley, è *molto* favorevole a una collaborazione tra te e il dottor Na-
pier-Grant. Sembra una di quelle inglesi eccentriche che di tanto in tanto
appaiono sul piccolo schermo. Intravedo la possibilità di una serie televisi-
va per lei, poi c'è la tua traduzione di 'Ash', senza parlare di quello che
potreste fare insieme - che ne dici di un diario della spedizione? Pensi di
poter scrivere il testo per un documentario sulla spedizione? Le possibilità
sono *infinite*!
Sono certo che si possa raggiungere un accordo. Di solito non dico que-
ste cose ai miei autori accademici, ma ti consiglio di *trovarti un agente*!
Hai bisogno di qualcuno che sappia trattare per i diritti sui film e le tra-
smissioni televisive, per non parlare dei diritti sulla traduzione del libro.
È vero che abbiamo un testo che per metà si basa su leggende medievali
e per metà su fatti storici (l'eclissi!) e che sono stupita dal fatto che un e-
vento della portata di un'invasione sia stato omesso dai libri di storia. Co-
me si MUOVEVANO i golem? Ma non vedo niente di tutto ciò come una
barriera al successo editoriale. Parla con il dottor Napier-Grant dell'idea di
un progetto in comune e rispondi appena puoi!

Con affetto, Anna.


PARTE TERZA

22 LUGLIO - 10 AGOSTO AD 1476

'Come un Uomo Dovrebbe Armarsi'50

Quaranta torce ardevano al vento sotto un cielo nero come l'inchiostro


malgrado fosse pieno giorno.
La folla di persone si aprì di fronte ad Ash mentre raggiungeva al galop-
po il centro del campo eretto fuori dalle mura di Colonia. Arrestò brusca-
mente Godluc tirando le redini. Il silenzio regnava supremo, interrotto solo
dallo schiocco delle bandiere che garrivano al vento. Le fiamme delle torce
illuminavano i volti pallidi dei mercenari. «Geraint! Euen! Thomas!»
I suoi ufficiali la raggiunsero immediatamente, pronti a ripetere le sue
parole a beneficio dei soldati che si erano radunati dietro di loro. Dalla
folla cominciarono a levarsi diverse domande.
«Ascoltate,» disse Ash, con voce ferma «non avete nulla da temere.»
In circostanze normali in quel momento il cielo avrebbe dovuto essere
azzurro come in una comune giornata di metà luglio, e non un vuoto buio.
Il sole era scomparso.
«Io sono qua. Godfrey è qua ed è un prete. Non siete dannati e non siete
in pericolo. Se lo fossimo io sarei già scappata!»
La folla, un mare di volti impauriti, non pose nessuna domanda. La luce
delle torce tremava sugli elmi, sulle armi e sulle armature che fasciavano i
corpi.
«Forse stiamo subendo lo stesso destino delle Terre Sotto Penitenza,»
continuò Ash «ma Angelotti è stato a Cartagine e sa cos'è il Crepuscolo
eterno. Vi posso assicurare che laggiù se la cavano benissimo e voi non
permetterete a un mucchio di teste fasciate di dare fastidio al Leone!»
Non ci furono ovazioni, ma qualcuno cominciò a borbottare parolacce e
nessuno pronunciò la parola 'diserzione': almeno cominciavano a reagire.
«Perfetto» disse in tono frettoloso. «Ci muoviamo. Leviamo le tende.
50
Titolo di un trattato molto popolare nel 1450 che contiene le istruzioni
su come un uomo dovrebbe indossare un'armatura quando non combatte a
cavallo: 'Come un uomo debba essere adeguatamente armato quando
combatte a piedi.'
Avete già smontato un campo di notte e sapete come si fa. Voglio che tutto
sia pronto e caricato per partire ai Vespri51 .»
Malgrado la scarsa luce, Ash riuscì a scorgere la mano che si alzava dal-
la folla. Si inclinò in avanti per capire chi fosse. Era Henri Brant che usava
Rickard come sostegno. «Henri?»
«Perché ce ne andiamo? E dove?» Il giovane paggio di Ash dovette ripe-
tere la domanda ad alta voce perché la voce dell'uomo, ancora molto inde-
bolito dalle ferite, era troppo fioca.
«Adesso ve lo dico.» Tornò a sedersi sulla sella controllando la folla da-
vanti a sé, prendendo nota di chi stava sgattaiolando, di chi stava comin-
ciando a fare i bagagli e dei volti familiari che mancavano.
«Tutti voi sapete che mio marito è Fernando del Guiz. Beh, sembra che
sia passato dalla parte del nemico.»
«Davvero?» urlò un soldato.
Ash, che ricordava ancora bene Costanza che veniva fatta allontanare
dal trambusto scoppiato al torneo e che esitava a dire alla nuora di origini
contadine che i nobili sapevano dove fosse suo marito, alzò la voce per
farsi sentire da tutti.
«Sì, è vero.
«Per una ragione che non mi è ancora chiara» continuò, malgrado il vo-
ciare suscitato dalla conferma «Fernando del Guiz ha giurato fedeltà al
Califfo dei Visigoti.»
Lasciò che i suoi uomini si sfogassero, quindi riprese a parlare. «I suoi
possedimenti si trovano nel sud in Bavaria, in un posto chiamato Gui-
zburg. Beh, non sono più suoi. L'imperatore li ha messi sotto sequestro.
Tuttavia continuano a rimanere i miei possedimenti. I nostri. Ecco dove
andremo. Andremo a sud a prenderci quello che ci spetta, dopodiché af-
fronteremo questa oscurità al sicuro dietro le mura del nostro castello!»
Nei dieci minuti che seguirono l'aria risuonò di domande urlate, di liti
personali trascinate nella discussione e della voce di Ash che urlava a
squarciagola, riuscendo finalmente a ristabilire l'ordine.
«Cristo, ragazza» le borbottò Robert Anselm in un orecchio sporgendosi
dalla sella. «Se smontiamo il campo ci sarà un bel casino.»
«È vero, sarà un bel caos» concordò Ash, torva. «Ma o facciamo così o
rischiamo che gli uomini comincino a fuggire diventando dei profughi. C'è
il rischio che la compagnia si sfasci. Fernando non c'entra nulla, sto solo
cercando di dare loro qualcosa da fare. Qualcosa, non importa cosa!»
51
Le sei del pomeriggio.
L'oscurità che la sovrastava non aveva nessuna intenzione di cedere il
passo all'alba o al crepuscolo.
«Fare qualcosa» sentenziò Ash «è sempre meglio che non fare niente.
Anche se questa fosse la fine del mondo... Io sto tenendo la mia gente uni-
ta.»

II

Il rintocco delle campane di Guizburg raggiunse Ash coprendo momen-


taneamente il suono intermittente dei cannoni. Quattro rintocchi. Quattro
ore dopo quello che avrebbe dovuto essere stato un mezzogiorno.
«Non è un'eclisse» commentò Antonio Angelotti senza alzare la testa,
rimanendo seduto all'altro capo di un tavolino da campo. «Comunque,
Madonna, un'eclissi dura al massimo qualche ora. Non dodici giorni.»
Sul ripiano c'erano le tavole delle efemeridi e dei fogli pieni di calcoli.
Ash posò un gomito sul tavolo e appoggiò il mento sulla mano. Godfrey
Maximillian camminava su e giù per la stanza facendo scricchiolare le
tavole del pavimento. La luce delle candele ebbe un sussulto. Ash guardò
fuori dalla finestra sperando di avvertire una folata di vento, il freddo umi-
do dell'alba, il canto interminabile degli uccelli e, soprattutto, la sensazione
di freschezza, di inizio che dava il sole nascente. Niente. Solo oscurità.
La testa di Joscelyn van Mander fece capolino tra le due guardie che
sorvegliavano la porta. «Non vogliono ascoltare l'araldo, capitano, e conti-
nuano a sparare! La guarnigione non ha neanche il coraggio di ammettere
che tuo marito è dentro il mastio.»
Antonio Angelotti si inclinò all'indietro sollevando parzialmente la se-
dia. «Si vede che conoscono il proverbio, Madonna: 'un castello che parla
e una donna che ascolta verranno entrambi conquistati.'»
«Hanno issato lo stendardo della sua casata e le insegne dei Visigoti. È
la dentro» fece notare Ash. «Mandate un araldo ogni ora e continuate a
rispondere al fuoco! Joscelyn, voglio entrare e in fretta.»
Mentre van Mander usciva, Ash aggiunse: «È sempre meglio stare qua
fuori. Finché conteniamo del Guiz, che è un traditore, l'imperatore è con-
tento. Inoltre abbiamo la possibilità di mettere alla prova l'esercito visigo-
to...»
Si alzò e si avvicinò con passo deciso alla finestra. Le schegge dei colpi
di cannone avevano scrostato l'intonaco vicino al davanzale mettendo a
nudo il muro sottostante. Lo ripareremo facilmente, pensò Ash toccando la
pietra. «Angeli, non è possibile che tu abbia sbagliato i calcoli.»
«No, perché nulla di quanto è successo coincide con le descrizioni del
fenomeno.» Angelotti grattò il colletto della maglia dimenticandosi che
teneva in mano la penna e macchiando la stoffa. Il mastro artigliere italia-
no guardò infastidito le dita sporche d'inchiostro. «Non c'è stata penombra,
nessun raffreddamento graduale del disco solare, nessun segno di nervosi-
smo da parte delle bestie. Solo una repentina scomparsa della luce.»
Angelotti portava degli occhiali per leggere e mentre socchiudeva gli
occhi, Ash notò le rughe tra le sopracciglia. Ecco come sarà il suo volto tra
dieci anni, pensò lei, quando la pelle non sarà più tesa e i suoi capelli
biondo grano saranno diventati grigi.
«E Jan mi ha detto che prima che succedesse i cavalli erano tranquilli»
concluse.
«Una volta il sole si oscurò, quando ero in Italia.» disse Robert Anselm,
entrando nella stanza dopo aver salito gli ultimi gradini con passo pesante.
«La sua luce si indebolì, ma i cavalli avevano cominciato ad agitarsi quat-
tro ore prima» terminò, togliendosi il cappuccio.
Ash allargò le braccia. «Cos'altro può essere se non un'eclisse?»
«Il regno dei cieli è in tumulto...» sentenziò Godfrey Maximillian senza
smettere di camminare nervosamente su e giù per la stanza. Tra le mani
stringeva un libro dalla copertina rossa e blu: Ash avrebbe potuto leggere il
titolo se solo avesse avuto il tempo di mettere insieme le singole sillabe. Il
prete si fermò vicino a una candela, aprì la copertina e cominciò a sfogliare
le pagine rapidamente. Ash provò ammirazione, ma anche disprezzo per
quell'uomo che aveva passato gran parte della sua vita a imparare a legge-
re.
«E allora? Edward Conte di Marzo vide tre soli sul campo di Mortimer's
Cross prima della battaglia. Rappresentavano la Trinità.»
Robert Anselm esitò come suo solito nel sentire nominare lo York che
sedeva sul trono d'Inghilterra in quel periodo. «Tutti sanno che a sud regna
un crepuscolo eterno e nessuno ci può fare niente. Lo stesso vale per quan-
to sta succedendo qui. Ora dobbiamo combattere una guerra!»
Angelotti si tolse gli occhiali. La montatura di osso aveva lasciato dei
segni rossi sul naso. «Non posso distruggere quelle mura in mezza giorna-
ta.» La sua voce perse d'impeto nel pronunciare l'ultima parola.
Ash si sporse dalla finestra e avvertì una strana tensione nell'aria. Il calo-
re di quel crepuscolo eterno stava diminuendo, doveva essere tardo pome-
riggio. La città immersa nell'oscurità era praticamente invisibile. Le fiam-
me dei fuochi che ardevano nella piazza del mercato balenavano contro le
mura della casa.
Ash non alzò gli occhi al cielo per fissare quel mare buio e impenetrabi-
le, ma rivolse la sua attenzione al mastio.
I falò ai piedi della fortezza proiettavano le ombre dei suoi uomini con-
tro le pietre delle mura. Le finestre allungate sembravano gli occhi dell'o-
scurità. Le imponenti mura del mastio si innalzavano dalla cima di un'altu-
ra rocciosa perdendosi poi nell'oscurità. La strada che portava al cancello
principale correva a ridosso di uno dei muri dai quali i difensori avevano
riversato di tutto addosso ai suoi uomini. Ash non si era aspettata che di-
sponessero di una simile potenza di fuoco.
Fernando era là dentro. Asserragliato in qualche stanza tra quelle mura.
Riusciva a immaginare le arcate, i pavimenti in legno dei piani inferiori
sui quali i soldati avevano disteso le coperte per dormire, i cavalieri e gli
ufficiali al quarto piano; forse Fernando era nel salone con le armi a porta-
ta di mano, circondato da mercanti, amici e cani...
Siamo a meno di un miglio di distanza, ma a lui non importa niente di
me, pensò. Perché? Perché l'hai fatto? Cosa ti ha spinto ad agire in questo
modo?
«Non voglio che il castello sia danneggiato al punto da non poterlo di-
fendere quando saremo dentro» ammonì Ash.
Tutti gli uomini che si trovavano nelle strade intorno al mastio avevano
il simbolo del Leone Azzurro cucito sulla schiena delle giubbe. La mag-
gior parte delle persone disarmate: bambini, prostitute e altre donne, ave-
vano preso dei pezzi di stoffa azzurra e li avevano attaccati ai vestiti. Non
c'era traccia dei cittadini che si erano rinchiusi nelle chiese a cantare. Il
campanile che si trovava all'altro lato della piazza batté il quarto.
Desiderava ardentemente di poter vedere della luce, era come se avesse
sete di luce.
«Pensavo che potesse finire con l'alba» disse. «Un'alba. Una qualsiasi.»
Angelotti spostò il foglio sul quale aveva disegnato i simboli di Mercu-
rio e Marte; erano calcoli balistici. «Questa è nuova.»
L'artigliere si stirò. La sua bellezza e la sua forza facevano venire in
mente ad Ash un leone. La giubba imbottita che indossava si stava scucen-
do all'altezza delle spalle. Il petto e le maniche della maglia erano costella-
ti di piccoli buchi dai contorni anneriti causati dalle scintille dei cannoni.
Robert Anselm si appoggiò sulla spalla del mastro artigliere, studiò gli
appunti dopodiché cominciò a discutere a bassa voce con l'Italiano batten-
do più volte il pugno sul tavolo.
Ash osservò Robert e provò un'improvvisa sensazione di fragilità: lui e
Angelotti erano uomini molto forti e robusti e adesso che avevano alzato le
voci, le loro parole echeggiavano contro le pareti della stanza. Sentiva che
ogni volta che si confrontava con loro, una parte di lei tornava a essere la
quattordicenne con indosso il suo primo piastrone decente che cercava
Anselm tra i fuochi da campo dopo la battaglia di Tewkesbury e gli chie-
deva di trovargli degli uomini per formare una compagnia. Glielo aveva
chiesto al buio perché non avrebbe potuto sopportare un rifiuto in pieno
giorno. Aveva quindi passato diverse ore a chiedersi se quel cenno gentile
del capo era stato dettato dall'ubriachezza o dalla cortesia. Poi, un'ora pri-
ma dell'alba, Anselm si era presentato con una cinquantina di uomini in-
freddoliti, ma ben equipaggiati. Ash aveva fatto scrivere immediatamente i
loro nomi sul libro paga da Godfrey e aveva zittito le loro incertezze e i
commenti ironici con il cibo che aveva fatto preparare da Wat Rodway. I
rapporti che si intrecciano tra i comandanti e gli ufficiali sono come la tela
di un ragno.
«Perché cazzo non torna il sole...?» Ash si sporse ulteriormente dalla fi-
nestra. Le bombarde e i trabocchetti di Angelotti avevano appena scalfito
le mura della fortezza. Il fumo la fece tossire e si allontanò dal davanzale.
«Gli esploratori sono tornati» disse Robert Anselm in tono laconico.
«Colonia è in fiamme. L'incendio è incontrollabile. Dicono che sia colpa
della peste. La corte è sparita. Ho ricevuto circa una trentina di rapporti
diversi su quello che sta facendo Federico d'Asburgo. Gli uomini di Euen
hanno trovato un paio di viandanti provenienti da Berna. Nessuno dei passi
delle Alpi è agibile, per via dei Visigoti come per il brutto tempo.»
Godfrey Maximillian smise di passeggiare e alzò gli occhi dal libro. «Gli
uomini trovati da Euen facevano parte di una processione che da Berna
voleva raggiungere il santuario dell'abbazia di Santa Walburga. Guardate
le loro schiene. Quelle lacerazioni sono dovute alla frusta. Si flagellavano
nella speranza di far tornare il sole.»
L'unica cosa che rendeva simili Robert Anselm e Godfrey Maximillian
era forse il tono di voce. Ash sentiva che negli ultimi tempi riusciva a giu-
dicare con maggiore consapevolezza la mascolinità di un uomo. Prima di
sposarsi aveva passato un lungo periodo di astinenza dal sesso e forse era
stato proprio il giacere con il marito ad acuire la sua sensibilità a un punto
che lei non avrebbe mai pensato raggiungibile. Ora poteva percepire delle
differenze che erano dovute più alla fisicità che ai pregiudizi.
«Vado di nuovo da Quesada» disse Ash, rivolgendosi ad Anselm, quin-
di, mentre il suo luogotenente scendeva le scale con passo deciso, si girò
verso Godfrey e chiese: «Se non è un'eclisse allora quale genere di miraco-
lo oscuro potrebbe essere?»
Il prete si fermò vicino al tavolo come se avesse trovato dei punti in co-
mune tra gli appunti astrologici di Angelotti e le sue letture bibliche. «Non
si sono viste stelle cadenti e la luna non è diventata rosso sangue. Escludo
categoricamente che sia stato il fumo del Pozzo Infernale a oscurare il so-
le. Non si tratta della fine del mondo, il giorno in cui il sole si oscurerà,
perché un terzo dell'astro non è andato in frantumi, né sono apparsi i Cava-
lieri dell'Apocalisse o sono stati infranti i Sigilli 52 .»
«No, so anch'io che non sono le tribolazioni prima del Giorno del Giudi-
zio,» insisté Ash «ma se fosse una punizione, un giudizio, un miracolo
malvagio?»
«Un giudizio? Per cosa? I principi della Cristianità sono malvagi, ma
non più delle generazioni che li hanno preceduti. La gente comune è vena-
le, debole, facilona e penitente, niente è cambiato. Le nazioni53 sono in
subbuglio, ma non abbiamo mai vissuto nell'Età dell'Oro.» Le spesse dita
del prete seguivano i contorni delle lettere maiuscole miniate e delle im-
magini dei santi circondate da piccoli santuari illuminati. «Non lo so.»
«Allora è meglio che cominci a pregare per ottenere una risposta!»
«Va bene.» Chiuse il libro tenendo il segno con un dito. «Come posso
esserti utile se non ti porto l'aiuto di Dio? Tutto quello che posso fare è
52
Apocalisse 6: 12: 'Poi vidi, quando egli ebbe aperto il sesto suggello:
ed ecco che si fece un gran tremuoto, e il sole divenne nero, come un sacco
di perlo; e la luna divenne tutta come sangue.'
Apocalisse 9: 2: 'Ed egli aperse il pozzo dell'abisso e di quel pozzo salì
un fumo somigliante a un fumo di una gran fornace ardente: e' l sole e
l'aria scurò per lo fumo del pozzo.'
Apocalisse 8: 12: 'Poi sarà il quarto Angelo, e la terza parte del sole fu
percossa, e la terza parte della luna e la terza parte delle stelle: sì che la
parte loro scurò: e la terza parte del giorno non luceva né la notte
simigliamente.' Matteo 24: 29: 'Hor, subito dopo l'afflition di quei giorni, il
sole scurerà e la luna non darà il suo splendore, e le stelle caderanno dal
cielo e le potenze de' cieli saranno scrollate.'
53
Luca 21: 25: 'Poi appresso, vi saranno segni nel sole e nella luna e
nelle stelle: ed in terra, angoscia delle genti con ismarrimento:
rimbombando il mare, e '1 fiotto.'
cercare di carpirlo dai Vangeli e il più delle volte mi sbaglio.»
«Ti hanno ordinato prete e questo è più che sufficiente per me. Lo sai.»
Ash aveva parlato in tono crudele. «Prega affinché ci venga concessa la
grazia.»
«Va bene.»
Qualcuno urlò delle minacce al piano inferiore e dei passi echeggiarono
sulle scale.
Ash si guardò intorno e andò a sedersi su una sedia da campo. Lo sten-
dardo del Leone Azzurro campeggiava alle sue spalle. Aveva lasciato l'el-
mo, i guanti e il fodero con la spada sul tavolo di fronte a lei. Il prete pre-
gava in un angolo il Cristo Verde davanti una piccola pala d'altare, mentre
il mastro artigliere faceva i calcoli per la polvere dei cannoni. Era tutto
studiato alla perfezione. Ash sentì Floria del Guiz che faceva entrare Da-
niel de Quesada nella stanza, ma alzò gli occhi solo dopo una trentina di
secondi dal loro arrivo.
«Sappiate, capitano, che interpreto questo assedio come un'aggressione
all'esercito del Califfo-Re» esordì de Quesada. Era la prima volta che par-
lava in maniera razionale da giorni.
Ash attese che l'eco della voce si spegnesse nel silenzio. Le spesse mura
dell'abitazione attutivano il rombo dei cannoni. Si rivolse quindi all'amba-
sciatore.
«Voglio che il rappresentante del Califfo sappia che Fernando del Guiz è
mio marito» gli rammentò in tono mite «e che tutte le sue proprietà sono
state poste sotto sequestro e che io sto agendo nel tentativo di recuperare
ciò che mi appartiene, visto che mio marito ne è stato privato dall'impera-
tore Federico in persona.»
Daniel de Quesada aveva le guance coperte di croste e lo sguardo vacuo.
«Quindi» riprese l'ambasciatore, con un certo sforzo «voi state assediando
il castello di proprietà di vostro marito, che ora è un suddito del Califfo-Re
Teodorico, solo perché egli si è asserragliato tra quelle mura e non perché
volete aggredire la mia gente, giusto?»
«Perché dovrei avercela con voi? Queste sono le mie terre.» Ash si spor-
se in avanti e intrecciò le mani sul tavolo. «Sono un mercenario. Il mondo
è impazzito e io voglio che la mia compagnia sia al sicuro all'interno di
solide mura di pietra. Dopo penserò da chi farmi assoldare.»
Malgrado Floria avesse somministrato a de Quesada degli oppiacei per
calmarlo e in quel momento gli tenesse una mano sul braccio, l'ambascia-
tore era ancora preda di un nervosismo febbrile. I pantaloni e il farsetto che
gli avevano dato, come anche il cappello, non gli si confacevano.
«Non possiamo perdere» disse de Quesada.
«Ho l'abitudine di trovarmi sempre dalla parte del vincitore.» La risposta
era abbastanza ambigua da lasciare adito a sottintesi. «Ti farò scortare dal-
la tua gente, ambasciatore» disse Ash, ricorrendo a un tono più informale.
«Pensavo di essere un prigioniero!»
«Non sono Federico né un suo suddito.» Ash lo congedò con un cenno
del capo. «Aspetta un attimo, Florian. Voglio chiederti un paio di cose.»
Daniel de Quesada si guardò intorno, attraversò lo sconnesso pavimento
di legno come se stesse camminando sul ponte di una nave che beccheg-
giava vistosamente, esitò qualche attimo quando passò di fronte alla porta,
quindi si accomodò all'angolo opposto della stanza.
Ash si alzò in piedi e servì del vino a Floria. «Quanto è pazzo, quello?»
chiese al chirurgo, ricorrendo all'inglese, un idioma che molto probabil-
mente il diplomatico visigoto non conosceva. «Cosa gli posso chiedere
riguardo l'oscurità?»
«Non lo so!» Il chirurgo si sedette con una natica sul tavolo, lasciando
penzolare una gamba nel vuoto. «Forse sono abituati a vedere i loro amba-
sciatori tornare in questo stato, visto che li mandano in giro ad annunciare
portenti divini. Forse è ancora sano, ma non posso prometterti che rimarrà
tale se cominci a fargli domande.»
«Devo sapere.» Fece cenno all'ambasciatore di avvicinarsi e questi ubbi-
dì. «Volevo solo chiederti ancora una cosa, mastro ambasciatore. Vorrei
sapere quando torneremo a vedere la luce.»
«La luce?»
«Quando il sole tornerà a sorgere? Quando questa oscurità avrà fine?»
«Il sole...» Daniel de Quesada rabbrividì e non si girò a guardare la fine-
stra. «C'è la nebbia?»
«Come faccio a saperlo? È nero come il tuo cappello là fuori!» Ash so-
spirò. È ovvio che mi devo scordare delle risposte sensate da costui, pensò.
«No, mastro ambasciatore. È buio. Non c'è la nebbia» terminò ad alta vo-
ce.
De Quesada si cinse il petto con le braccia. Qualcosa nell'espressione
della sua bocca fece rabbrividire Ash: un adulto nel pieno possesso delle
sue facoltà mentali non aveva quell'aspetto.
«Ci siamo separati. Quasi in cima - c'era la nebbia. Io salivo.» Il cartagi-
nese dell'ambasciatore era appena comprensibile. «Su, su, su. Una strada
tortuosa. La neve. Il ghiaccio. Sono salito per un'eternità, alla fine striscia-
vo. Poi arrivò un grande vento e il cielo divenne porpora. Porpora e tutti i
picchi erano così alti... Montagne. Io mi trascinavo. C'era solo l'aria. Le
rocce mi facevano sanguinare le mani...»
«Sta parlando del passo del Gottardo. È là che l'hanno trovato i monaci»
disse Ash, ricordando con dolore il cielo azzurro e l'aria tanto fresca da
fare male ai polmoni.
Floria appoggiò una mano sul braccio dell'uomo. «Torniamo in inferme-
ria, ambasciatore.»
Daniel de Quesada fissò Ash.
«Poi venne - la nebbia.» Mosse le mani come se volesse aprire una ten-
da.
«Era sgombro un mese fa quando l'abbiamo attraversato con Fernando.
C'era ancora neve sulle rocce, ma la strada era pulita. So dove devono a-
verti trovato, ambasciatore. Sono stata anch'io in quel punto. È uno stra-
piombo alto più di duemila metri ai piedi del quale è possibile vedere l'Ita-
lia.»
Il cigolio dei carri, i cavalli stanchi per la salita, il fiato condensato dei
soldati, e lei, Ash, con il freddo che le penetrava dalle suole degli stivali,
intenta a osservare la parete rocciosa che precipitava a capofitto verso i
piedi della montagna. Le era sembrato sciocco definire parete il versante
sud del passo, le montagne che si ergevano intorno a esso per chilometri e
chilometri formavano una sorta di semicerchio.
Per non parlare dello strapiombo di più di due chilometri.
Rocce acuminate, muschio, ghiaccio e tanto di quel vuoto che la sola vi-
sta faceva vacillare la mente.
«Se uno dovesse cadere da lassù toccherebbe il terreno solo ai piedi del-
la montagna» terminò tranquilla.
«Giù dritto!» esclamò de Quesada. I suoi occhi ebbero un guizzo di vita-
lità. «Mi sono trovato a fissare la strada sotto di me che serpeggiava lungo
la parete. E il lago alla base della montagna? Da quella distanza non era
più grosso di un'unghia delle mie dita.»
Ash ricordava bene la paura che aveva provato durante tutta la lunga e
interminabile discesa dal passo e come, una volta terminata, avessero sco-
perto che il lago non era in pianura, ma si trovava incastonato tra i primi
contrafforti delle Alpi.
«La nebbia scomparve e io guardai in basso.»
Nella stanza era calato un silenzio di tomba. Dopo un minuto, Ash si re-
se conto che non avrebbero più saputo nulla da de Quesada, il quale conti-
nuava a fissare con sguardo vacuo le ombre contro le pareti.
«Sapevo che c'erano persone che si bendavano gli occhi per non impaz-
zire quando attraversavano i passi alpini54 ,» disse Angelotti, mentre Floria
consegnava de Quesada nelle mani di un suo aiutante, «ma non credevo
che ne avrei mai visto uno.»
«Penso che ora tu l'abbia visto» commentò Ash, cinica, fissando de Que-
sada con sguardo torvo. «Beh, tirarlo fuori dal casino di Colonia nella spe-
ranza che ci potesse essere di qualche aiuto non è stata una delle mie idee
migliori. Speravo che mi servisse a negoziare con del Guiz una volta arri-
vati qua.»
«Quello se lo sono portato via le fate» le fece notare Floria. «Secondo il
mio parere medico non è l'uomo più adatto a ricoprire l'incarico di araldo.»
«Non me ne frega niente se è rincoglionito» ringhiò Ash. «Voglio delle
risposte. Quest'oscurità non mi piace per niente.»
«Sai dirmi a chi piace?» le domandò Floria, in tono retorico. «Vuoi sa-
pere quanti uomini hanno avuto attacchi di mal di pancia da codardia, ul-
timamente?»
«No. Perché credi che li tenga occupati con un assedio? Sono abituati a
scavare le gallerie per le mine e a sparare con i cannoni, per loro sono atti-
vità rassicuranti, conosciute... Ecco perché ho mandato degli uomini di
casa in casa a sequestrare delle provviste - se devono proprio saccheggiare
questa città è meglio che lo facciano in maniera organizzata.»
Il cinismo insito in quell'ultima frase fece sorridere il chirurgo e Ash sa-
peva che sarebbe stato così. C'era così poca differenza tra Floria e 'Florian',
anche nella galanteria con la quale la donna si offriva di versarle del vino.
«Non è diverso da un attacco notturno» continuò Ash, rifiutando il vino
«che, come anche il buon Dio sa, è maledettamente complicato, ma possi-
bile. Voglio che quel castello venga aperto dal tradimento e non da una
nostra irruzione. A proposito,» l'agitazione dovuta al fallimento con Que-
sada la spingeva ad agire «vieni a dare un'occhiata a questo. Angelotti!»
Lasciarono la stanza in compagnia dell'artigliere e prima di uscire Ash
lanciò un'ultima occhiata alle spalle curve di Godfrey intento a pregare.
Una volta usciti dalla casa rimasero fermi per qualche istante per abituare
gli occhi all'oscurità che ammantava le strade.
Il fabbro della città era stato preso dagli armaioli della compagnia, un
gruppo di uomini sudati, dalle mani perennemente sporche, con i capelli
54
Un fatto ampiamente documentato in tutte le cronache di viaggiatori
del quindicesimo secolo che hanno attraversato i passi delle Alpi.
dritti, che indossavano sempre un grembiule di cuoio senza maglia ed era-
no mezzi sordi a causa del rumore dei martelli. Fecero tranquillamente
strada ad Ash, al chirurgo e alla sua scorta, una mezza dozzina di uomini e
cani. Lei sapeva bene che essi consideravano tutti i comandanti meschini.
L'ultimo progetto era il benvenuto poiché era inusuale.
«Una trancia lunga tre metri?» chiese Floria, studiando le grosse mani-
glie di ferro.
«Vanno bene le lame?» Il capo fabbro, Dickon Stour, terminava sempre
le frasi con una venatura dubbiosa, anche quando non parlava nella sua
lingua nativa, l'inglese. «Sopporteranno la pressione e taglieranno il fer-
ro?»
«E queste sono le scale» disse Ash. Indicò un massiccio palo di legno
costellato di pioli, in cima al quale erano stati inseriti dei ganci metallici.
«Sto per mandare degli uomini con la corazza rivestita di panni neri a ta-
gliare le sbarre del cancello posteriore dall'interno. Direi di notte, ma...»
scrollò le spalle e sghignazzò. «Guerrieri invisibili...»
«Tu sei pazza. Quelli sono pazzi. Voglio parlarti!» Floria indicò silen-
ziosamente la strada. Ash strinse le mani, diede delle pacche sulle spalle
agli uomini e uscì con la scorta. Angelotti si mise a parlare di metallurgia.
Ash trovò il chirurgo poco distante dalla forgia intento a fissare il castel-
lo che si ergeva sull'altura.
Floria camminava con passo veloce. «Lo farai veramente?»
«L'abbiamo già fatto. Due anni fa, a - dov'era?» Ash rifletté. «Da qual-
che parte nel sud della Francia?»
«Quello là dentro è mio fratello.» La voce della donna aveva un che di
mascolino, un registro roco che non abbandonava mai, poco importava se
in quel momento il comandante della scorta potesse sentirla o no. «D'ac-
cordo, non lo vedo da quando aveva dieci anni. Va bene, era un marmoc-
chio imprudente e ora è una merda di uomo, ma il sangue è sempre sangue.
È la mia famiglia.»
«Famiglia. Già. Dimmi quanto mi curo della famiglia.»
«Cosa?» esordì Floria.
«Cosa? Darò ordine di prenderlo prigioniero e non ucciderlo? Lo lascerò
scappare affinché torni con degli uomini per riprendersi ciò che ritiene
suo? Lo farò uccidere? Cosa?»
«Tutto quello che hai detto.»
«Mi sembra tutto irreale.» Già, continuò Ash tra sé, mi sembra irreale
credere che quando avevo il suo corpo dentro di me qualcuno poteva pian-
targli una freccia in gola, aprirgli lo stomacò con un roncone o che, sotto
mio ordine, ponesse fine alla sua esistenza con un colpo di daga.
«Dannazione ragazza, non puoi andare avanti ignorando quanto è suc-
cesso! Te lo sei scopato. È tuo marito. Siete carne della stessa carne agli
occhi di Dio.»
«È strano sentire una persona che non crede in Dio parlare in questo
modo.» Ash poteva vedere l'espressione agitata del chirurgo. «Florian, non
andrò a denunciarti al vescovo. I soldati o credono ciecamente o non lo
fanno, e nella compagnia ce ne sono di tutti e due i tipi.»
La donna continuava a camminare ondeggiando le spalle come se fosse
un maschio e fece un gesto irritato quando uno dei cannoni d'assedio di
Angelotti sparò un colpo. «Sei sposata!»
«Avremo abbastanza tempo per decidere cosa fare di Fernando e della
sua guarnigione quando l'avremo stanato dal castello.» Ash scosse la testa
come se in qualche maniera volesse allontanare l'oscurità opprimente e
innaturale che le attanagliava la mente.
Raggiunsero nuovamente la casa che usava come comando e Ash disse
ai soldati di dare un braciere e del cibo ai suoi uomini sulle strade, quindi
salì le scale seguita da Floria e giunta in cima alla rampa si trovò nel mez-
zo della piccola folla che nel frattempo si era radunata nella stanza.
«Zitti.»
Tutti ubbidirono.
C'erano Joscelyn van Mander, il cui volto rosso spiccava sotto l'elmo lu-
cido, due dei suoi uomini, Robert Anselm, Godfrey, che aveva smesso di
pregare, Daniel de Quesada e un nuovo arrivato che indossava un tunica
bianca, dei pantaloni e un usbergo di maglia metallica. Non portava armi.
Era un Visigoto e sulle spalle c'erano i segni del suo grado. Ash ricorda-
va bene il significato di quei simboli dalle campagne in Iberia: era un
Qa'id, un ufficiale posto al comando di circa un migliaio di uomini. Equi-
valeva più o meno a uno dei suoi ufficiali superiori.
«Allora?» disse lei, sedendosi dietro il tavolo. Rickard comparve quasi
magicamente e le versò una coppa di vino molto annacquato. Ash si mise a
parlare nel dialetto che aveva imparato dai soldati tunisini senza neanche
rendersene conto: per lei ormai era naturale chiamare 'arquebusier' un ar-
chibugiere quando era in Francia, e der Axst o lanza l'alabarda se stava
parlando con un tedesco o con Angelotti. «Cosa vuoi, Qa'id?»
«Capitano.» Il Visigoto si toccò la fronte con le dita. «Ho incontrato il
mio connazionale de Quesada e la vostra scorta lungo la strada. Egli ha
deciso di tornare con me e parlarvi. Io vi porto delle notizie.»
Il soldato visigoto, poco più alto di Rickard, aveva gli occhi azzurri e in
lui c'era qualcosa di familiare.
«Il cognome della tua famiglia è Lebrija, giusto?» domandò Ash.
«Sì» rispose l'ufficiale, stupito.
«Dimmi. Quali notizie mi porti?»
«Verranno anche altri messaggeri appartenenti al tuo popolo.»
Ash lanciò una rapida occhiata a Robert Anselm. «Sì,» confermò l'uffi-
ciale «li ho incontrati. Stavo andando per la mia strada quando è arrivato
Joscelyn.»
«Tu potresti avere l'onore di dirmelo» disse Ash, rivolgendosi al qa'id.
Odiava ricevere delle notizie, impreparata. Odiava non essere riuscita a
ottenere quei preziosi minuti di anticipo che avrebbe avuto se Robert fosse
stato il primo a parlarle. Visto che Joscelyn van Mander sembrava molto
preoccupato, Ash decise di tornare a parlare in tedesco. «Cosa è succes-
so?»
«Federico d'Asburgo è sceso a patti.»
«Merda» borbottò Floria e quella fu l'unica voce che si levò nel silenzio.
«Cosa significa, capitano?» chiese van Mander.
«Penso voglia dire che il Sacro Romano Impero si è arreso.» Ash intrec-
ciò le dita davanti a sé. «E cosa dice il tuo messaggero, mastro Anselm?»
«Federico si è arreso e tutto ciò che si trova tra il mare e il Reno è a di-
sposizione dei Visigoti. Hanno bruciato Venezia. Le chiese, le case, i ma-
gazzini, le navi, i ponti sui canali, la basilica di san Marco, il palazzo dei
Dogi, tutto. Milioni e milioni di ducati ridotti in cenere.»
Il silenzio divenne palpabile: i mercenari erano stupefatti dall'entità della
perdita e i due Visigoti mostravano la fiducia silenziosa che veniva asso-
ciata a una forza in grado di portare una distruzione simile.
Federico d'Asburgo deve aver sentito quello che è successo a Venezia,
pensò Ash, stupefatta. Nella sua mente echeggiava la voce acuta del mo-
narca del Sacro Romano Impero che diceva: «Ho deciso di non rischiare le
Germanie.» Il suo sguardo tornò a posarsi frettolosamente sul soldato visi-
goto, il cugino di Asturio Lebrija, e comprese quanto stava succedendo.
L'impero si è arreso e noi ci troviamo dalla parte sbagliata della barricata,
pensò. Era l'incubo di ogni mercenario.
«Suppongo» disse «che un distaccamento dell'esercito visigoto stia ve-
nendo qua per aiutare Fernando, giusto?»
I suoi piani dovevano essere modificati. Non si trattava più di mettersi al
sicuro dietro le mura del castello. Ora la sua compagnia si trovava a metà
strada tra l'esercito visigoto e i cavalieri e i cannoni di Fernando del Guiz
dentro il castello.
«Certo» confermò Daniel de Quesada. «Noi aiutiamo sempre i nostri al-
leati.»
«Certo» fece eco il fratello o cugino di Lebrija.
Quesada non gli ha ancora detto nulla della morte del suo parente, pensò
Ash, o forse non sa nulla neanche lui. Decise di stare zitta per evitare di
finire in altri guai.
«Sarei molto contenta di parlare con il vostro capitano quando arriverà»
affermò Ash. Diede un'occhiata di sguincio ai suoi capitani e vide che tra-
evano conforto dalla sua tranquillità.
«Il nostro comandante arriverà qua entro domani» disse il soldato visi-
goto. «È molto ansioso di parlare con voi. La famosa Ash. Ecco perché sta
venendo.»
Sole scomparso o no, pensò Ash, non perderò tempo a domandarmi cosa
fare. Qualunque cosa stia succedendo, succede adesso.
Quindi, sole scomparso o no, Giorno del Giudizio o no - tutto ciò non ha
nulla a che fare con me - se sto con la mia compagnia, saremo abbastanza
forti da superare anche questa prova. La filosofia non è un mio problema.
«Bene» disse. «Sarà meglio che incontri il vostro comandante e apra del-
le trattative.»

Rickard le presentò Bertrand, un probabile fratellastro di Philibert. Era


un ragazzino di tredici anni un po' troppo grassottello per la sua età. Insie-
me, aiutarono Ash a indossare l'armatura e misero a Godluc la bardatura
migliore. I ragazzini avevano gli occhi cerchiati. Non dormivano da troppo
tempo. Si erano svegliati un'ora prima dell'alba, anche se ormai erano
giorni che Guizburg non veniva rischiarata dalla luce del sole.
«Da quello che ho sentito» disse Godfrey Maximillian «il nome del loro
capitano corrisponde a quello del suo grado. Lei viene chiamata Faris55 .
55
Questa dovrebbe essere una traduzione errata da parte di del Guiz del
termine Saraceno. In arabo, Faris significa 'cavaliere', ma indica il
cavaliere come titolo nobiliare e non il comandante dell'esercito.
Comunque ho scelto di usare faris come valida alternativa al manoscritto
dell'Angelotti, nel quale veniva usato il termine musulmano al-sayyid,
'condottiero' o 'capo', poiché il termine già esiste nella storia dell'Europa -
vedi Rodrigo de Vivar: 'El Cid'.
Significa capitano-generale, comandante supremo dell'esercito o qualcosa
di simile.»
«'Lei viene chiamata?' Sono guidati da una donna?» In quel momento
Ash ricordò Asturio Lebrija che le diceva di aver già visto una donna guer-
riero sottolineando la frase con quel senso dell'umorismo che sembrava del
tutto assente nel cugino, Sancho (Godfrey aveva scoperto il suo nome).
«Ed è qua? Il capo di tutta questa dannata invasione?»
«È sulla strada per Innsbruck.»
«Merda...»
Godfrey si avvicinò alla porta. «Carracci, il capo vuole sentire quello
che hai da dire» chiamò, sporgendosi nella stanza attigua.
Un uomo con capelli di un biondo intensissimo e le guance rosse entrò
nella stanza e fece un inchino. Aveva ridotto al minimo il suo equipaggia-
mento da fante per poter camminare più velocemente. «Sono stato nella
tenda del loro comandante! È una donna, capo. È una donna che comanda
il loro esercito; e sai come hanno fatto a farla diventare così brava? Ha una
di quelle Teste di Ottone. È quella che pensa per lei durante le battaglie.
Dicono che lei è in grado di sentirne la voce! La sente parlare!»
«È ovvio che la senta parlare, visto che è una Testa di Ottone56 !»
«No, capo. Non la porta con sé. La sente nella sua testa, come quando
Dio parla con un prete.»
Ash fissò il soldato.
«È come se ci fosse la voce di un santo che le dicesse come combattere.
Ecco perché una donna è riuscita a batterci.» Carracci smise di parlare im-
provvisamente, scrollò le spalle e sorrise, mesto. «Oops, scusami, capo!»
La sente come se fosse la voce di un santo.
Ash fu percorsa da un brivido gelido e sentì lo stomaco che si chiudeva.
Era conscia di avere lo sguardo perso nel vuoto. Si inumidì le labbra.
«Niente, niente...»
Era ovvio che Carracci non aveva sentito la diceria sul fatto che lei udis-
se le voci dei santi. Era una storia messa in giro dai soldati che erano con
lei da parecchi anni.
Sente la voce dei santi questa Faris? O forse pensa che sia un pettego-
lezzo utile? Finire bruciata come strega non è il modo per...
56
Francis Roger Bacon (c. 1241 - 1292) fu uno dei primi scienziati
nonché l'inventore europeo della polvere da sparo. Era molto popolare
perché si supponeva fosse un mago e si diceva che avesse inventato delle
teste meccaniche in grado di parlare, che vennero poi distrutte.
«Grazie, Carracci» aggiunse, in tono assente. «Unisciti alla scorta. Parti-
remo tra cinque minuti.»
Mentre il soldato usciva, Ash si girò verso Godfrey. È difficile sentirsi
vulnerabile quando si è dentro un'armatura. Cercò di dimenticare le parole
del soldato e cominciò a camminare per la stanza sentendo che la fiducia le
tornava a ogni passo. Si fermò un attimo a guardare dalla finestra i fuochi
che illuminavano Guizburg.
«Penso che tu abbia ragione, Godfrey. Credo che ci offriranno un con-
tratto.»
«Ho parlato con diversi viaggiatori che venivano dai monasteri su questo
versante delle Alpi. Come ti ho detto, è impossibile fare una stima esatta
del loro numero, ma c'è almeno un altro esercito che sta combattendo in
Iberia.»
«Dicono che sente le voci. Non lo trovi bizzarro?»
«È una diceria che può tornare utile.»
«Non lo sapevo!»
«I santi sono una cosa» disse Godfrey. «Dire che una voce miracolosa
sgorga dalla gola di una macchina è un'altra. Potrebbero pensare che lei è
un demone. Forse lo è veramente.»
«Già.»
«Ash...»
«Non abbiamo tempo per preoccuparci di questa storia, giusto?» Si voltò
verso Godfrey fulminandolo con una occhiataccia. «Giusto?»
Il prete la fissò calmo, ma non annuì.
«Se i Visigoti ci fanno un'offerta dobbiamo decidere in fretta» disse Ash.
«Fernando e i suoi uomini non aspettano altro che poterci prendere tra il
martello e l'incudine. A quel punto abbasserebbero il ponte levatoio e noi
saremmo presi nel mezzo. Yippeee» disse torva, quindi sorrise al prete.
«Non pensi che a Fernando verrebbe un bel mal di pancia se fossimo dalla
sua stessa parte? Noi siamo mercenari, lui rimane un traditore e io conti-
nuo a considerare quel castello mio.»
«Non contare i tuoi castelli prima di uno scontro.»
«Sembra un proverbio, non pensi?» Ash assunse un'aria più seria. «Sia-
mo tra il martello e l'incudine. Speriamo che i Visigoti trovino più vantag-
gioso ingaggiarci piuttosto che farci sparire. Altrimenti avrei fatto meglio a
decidere di andare via. Quello che ci sarà tra poco rischia di diventare un
incontro molto breve e sanguinoso.»
La grossa mano del prete si posò sulla sua spalla sinistra. «Mi hanno det-
to che il sangue è scorso a fiumi quando hanno combattuto contro le Gilde
vicino al lago di Lucerna. È probabile che i comandanti visigoti vogliano
ingaggiare qualsiasi contingente mercenario che incontrano, specialmente
quelli che hanno una buona conoscenza del territorio.»
«Così possono schierarci in prima linea e farci morire al posto dei loro
uomini. So come vanno le cose.» Si muoveva con cautela. Era molto facile
farsi male quando si indossava un'armatura. Fissò Godfrey.
«È notevole come ci si abitua alle cose. Una settimana, dieci giorni... La
domanda che uno si pone è: 'Cos'altro sparirà dopo il sole? Cosa può suc-
cedere ancora?'» Ash si inginocchiò con movimenti impacciati. «Benedi-
cimi. Vorrei essere nella Grazia di Dio in questo momento.»
La voce profonda del prete intonò una benedizione.
«Vieni con me» disse lei, nel momento stesso in cui Godfrey finiva,
quindi si alzò e scese le scale seguita dal prete.
Ash montò a cavallo e si mise in marcia lungo le strade della città segui-
ta dagli ufficiali e dalla scorta. Fermò Godluc per far passare una proces-
sione che bloccava la strada. C'erano uomini e donne, mercanti e artigiani,
che piangevano con le vesti strappate e i volti coperti di cenere. Dei ragaz-
zini camminavano a piedi nudi reggendo sulle spalle insanguinate un'im-
magine della Vergine attorniata dalle candele. I preti della città li flagella-
vano con le fruste. Ash si tolse l'elmo e attese che la processione di peni-
tenti fosse passata.
«Andiamo!» ordinò, appena le fu possibile farsi sentire.
Uscirono dai cancelli di Guizburg illuminati dai falò e incrociarono al-
cuni dei suoi uomini che tornavano dalle foreste con un carico di rami di
pino che avrebbero usato per fare delle torce. Vide che gli aghi erano rico-
perti da uno strato argenteo. Gelo. A luglio.
Le pale del mulino immerse parzialmente nel guado erano immobili.
Ash vide delle vacche che pascolavano senza sapere se qualcuno sarebbe
andato a mungerle. Il cinguettio incerto dei passeri echeggiava dall'alto dei
tetti. Neanche loro sapevano se era il caso di dormire o continuare a deli-
mitare il territorio con il loro richiamo. L'atmosfera era opprimente e prima
ancora di scorgere le migliaia di fiaccole che ardevano a fondo valle e le
aquile di metallo, Ash era già immersa in un bagno di sudore.
«Non ho mai combattuto contro i Visigoti, come sono?» chiese Joscelyn
van Mander. Nei suoi occhi aleggiava lo sguardo di chi voleva essere ras-
sicurato.
Ash appoggiò la lancia contro l'avambraccio. La coda di volpe che fun-
geva da pennacchio sul suo elmo penzolava inerte. Godluc agitava la coda
intrecciata con foglie di quercia e dei campanelli. «Angelotti?»
L'artigliere si fece avanti. Sull'armatura spiccava un medaglione con l'ef-
figie di santa Barbara. «Quando ero con il Lord-Amir Cilderico ponemmo
fine a una ribellione. Io avevo il comando degli archibugieri inglesi. I Vi-
sigoti sono predoni. Karr wa farr. attacchi ripetuti e ritirate. Mordi e fuggi,
taglia le linee di rifornimento del nemico, rendi impossibili i guadi, metti
sotto assedio una città per uno, due o tre anni, poi conquistala con un assal-
to violento. Non ho mai sentito che si fossero impegnati in battaglie cam-
pali. Hanno cambiato tattica.»
«Mi sembra ovvio» rispose van Mander, il cui fiato puzzava di birra.
Ash si girò sulla sella per controllare la colonna. Oltre il suo stato mag-
giore, aveva portato Euen Huw e i suoi uomini; Jan-Jacob Clovet e trenta
arcieri, dieci uomini della banda di van Mander e Henri Brant che, pur
essendo ancora in via di guarigione, aveva ricevuto il compito di organiz-
zare il piccolo corteo di persone disarmate che reggevano le torce.
«Avresti dovuto lasciare che aprissi una breccia nel mastio di Guizburg
con le mie bombarde. Sarebbe stato molto più difficile stanarci da là den-
tro» disse Angelotti.
«Cerca di non vederlo come una pila di macerie qualunque, ma come la
nostra pila di macerie. Mi piacerebbe prenderlo integro!»
Ash cavalcava tranquilla, lungo la strada fiancheggiata da campi ben
coltivati e recinti per il bestiame. I suoi esploratori le avevano fatto dei
rapporti dettagliati sulla disposizione dei Visigoti. Una cosa è essere in-
formati della presenza di una divisione composta da circa otto o novemila
uomini più i carri accampati lungo la strada per Innsbruck, un'altra cosa è
vedere centomila torce, sentire i nitriti dei cavalli impastoiati, le urla delle
guardie, le tende e i carri sistemati lungo il perimetro del campo per pro-
teggerlo; ovvero, un esercito vero e proprio.
Ash raggiunse l'incrocio previsto per l'incontro e fermò il cavallo. Il suo
seguito indossava l'armatura completa e le cavalcature erano state bardate
di tutto punto. I balestrieri tenevano le armi fuori dalle custodie e le qua-
drelle a portata di mano.
«Siamo arrivati» disse, cercando di vedere qualcosa nell'oscurità.
Un cavaliere che portava un pennacchio bianco uscì dall'accampamento
visigoto. Ash riconobbe quasi subito l'armatura di fattura milanese e i ca-
pelli neri che spuntavano da sotto l'elmo. «È Agnes!»
«Sporco bastardo! C'era da scommetterci che l'Agnello si sarebbe fatto
ingaggiare» ringhiò Robert Anselm.
«Deve aver firmato il contratto nel mezzo di una cazzo di battaglia.»
Ash scosse la testa. «Non trovi che siano stupendi, questi mercenari italia-
ni?»
Si incontrarono alla luce delle torce. L'Agnello sollevò lentamente la vi-
siera dell'elmo. «Ti sei preparata a una rapida ritirata, giusto?»
«A meno che l'intero esercito visigoto non decida di attaccarci, vorrem-
mo riuscire a tornare dentro i cancelli della città.» Ash infilò la lancia nel
suo alloggiamento sulla sella per avere le mani libere. «Non penso che il
tuo capo voglia toglierci Guizburg, sempre che non voglia sedersi di fronte
a un piccolo castello bavarese per le prossime dodici settimane.»
«Forse» rispose l'Agnello, ambiguo.
«Di' al tuo capo che non siamo molto ansiosi di entrare nel suo campo,
ma se vuole venire fin qui, siamo più che disposti a negoziare.»
«Queste erano le parole che volevo sentire.» L'Agnello girò il cavallo,
alzò la lancia e fece cadere a terra il pennacchio bianco. Un nutrito mani-
polo di soldati a cavallo, una quarantina circa, uscì dal campo. Erano anco-
ra troppo lontani e il buio era troppo denso per permettere di distinguere il
tipo d'armamento.
«Quanti soldi ti hanno dato in più per venire da me?»
«Quanti bastano. Ma mi hanno detto che tu tratti bene gli ostaggi.» Una
smorfia galante apparve sulle labbra del mercenario: le convinzioni reli-
giosi di Agnus Dei non si estendevano solo al celibato. Ash rispose al sor-
riso pensando a Daniel de Quesada e Sancho Lebrija trattenuti a Guizburg
fino al suo ritorno.
«A parte Milano, nessuna delle altre città stato italiane ha resistito» ag-
giunse Agnello, ignorando l'improvvisa fiumana di imprecazioni che sca-
turì dalla bocca di Angelotti «e in Svizzera solo Berna non è ancora caduta
in mano loro.»
«Hanno fottuto gli Svizzeri?» domando Ash, stupita. «Le loro linee di ri-
fornimento scendono fino al Mediterraneo al punto da poter approvvigio-
nare un'armata simile sul campo e permetterle di continuare a spingersi a
nord e tenere i territori conquistati?»
Era molto scorretto cercare di carpire informazioni in quel modo, visto
che le sue fonti le avevano riferito le stesse cose. Ash si concentrò sui sol-
dati che si avvicinavano.
«Penso che vent'anni di preparativi siano serviti a qualcosa, Madonna
Ash» le borbottò Agnello.
«Vent'anni! Mi riesce difficile immaginare dei preparativi tanto lunghi.
Hanno cominciato nell'anno in cui sono nata.» Aveva fatto capire apposta
la sua età. Agnello aveva da poco superato i trent'anni. Così giovane e così
famosa, pensò Ash. Meglio non essere troppo fiduciosi, concluse, conti-
nuando a osservare i cavalieri che risalivano la china. Una folata di vento
spazzò i campi facendo ondeggiare i pini lontani. Ash aveva l'impressione
di essere in sella a un cavallo focoso difficile da domare e di riuscire a te-
nerlo a bada, era una sensazione quasi fisica, piacevole.
«Dolce Cristo,» mormorò, quasi rivolta a se stessa «è l'Armageddon.
Tutto cambia. La Cristianità viene rivoltata come un guanto. Chi sarà il
contadino adesso?»
«O il mercante, o il lord?» Agnello tirò le redini. «Questo è l'unico affa-
re a cui vale la pena di partecipare, mia cara.»
«Davvero? So solo combattere.» I due si fissarono e per un momento si
capirono molto chiaramente. «Combatti fino a trent'anni poi muori, così ti
ordino» continuò Ash. «Rimani in comando fino a che non sarai vecchio,
quaranta o più anni, poi muori. È il gioco dei principi» concluse, indicando
Guizburg con la mano guantata.
«Mmm?» L'Agnello si girò sulla sella per guardarla meglio. «Ho sentito,
cara, che metà dei tuoi problemi sono dovuti al fatto che vuoi delle terre e
un titolo. Per quanto mi riguarda...» Sospirò con un certo disprezzo. «Ho
investito i guadagni delle due ultime campagne nella lana inglese.»
«Investito?»
«E sono anche padrone di una tintoria a Bruges. È molto comodo.»
Ash si rese conto di essere rimasta a bocca aperta e la chiuse.
«Chi ha bisogno della terra?» concluse Agnus Dei.
«Uh... capisco.» Ash riportò l'attenzione sui Visigoti. «È due settimane
che stai con loro. Come sono?»
Il mercenario italiano toccò il simbolo dell'Agnello che portava sulla di-
visa. «Hai la possibilità di scegliere, Madonna? Chieditelo e dopo saprai se
la mia risposta è importante.»
«Quella è brava.» Ash osservò la processione illuminata dalle torce che
si approssimava. Ora erano abbastanza vicini da cominciare a distinguere
l'avanguardia: quattro uomini in sella a dei muli che tenevano in grembo
degli oggetti ottagonali. C'era qualcosa che non andava nelle dimensioni
delle teste e dei corpi e dopo qualche metro ancora, Ash si rese conto che
erano dei nani intenti a suonare dei tamburi. Il suono fece abbassare le
orecchie di Godluc.
«Ci ha presi a calci in culo a Genova» disse Ash, di getto. «Tu credi a
quella storia della macchina di ottone? L'hai vista?»
«No. I suoi uomini dicono che la testa di ottone, che loro definiscono 'il
suo golem di pietra', non si trova qui, ma a Cartagine.»
«Non può usarlo per ricevere informazioni sul campo nel corso di una
battaglia. Cosa usa? Messaggi? Staffette a cavallo? Piccioni viaggiatori?
No, non funziona.»
«Ma i suoi uomini sostengono che lei la sente nel momento stesso in cui
la testa parla nella Cittadella, a Cartagine.» Fece una pausa. «Non lo so
Madonna. Dicono che è una donna, quindi può essere così brava solo se
sente le voci.»
Il commento finale di Agnello risultò piuttosto caustico. Ash lo ignorò.
Era troppo impegnata a capire come potesse svolgersi la comunicazione tra
il generale visigoto e i suoi capi che si trovavano a migliaia di chilometri
di distanza, e in tempo reale.
«Un golem di pietra...» disse Ash, centellinando le parole. «Sentire la
voce di Nostro Signore è una cosa, ma sentire la voce di una macchina...»
«Probabilmente sono solo dicerie» sbottò l'Agnello. «La metà delle cose
che loro dicono di avere in Nord Africa non esistono, sono solo manoscrit-
ti e ricordi dei loro nonni. Questa donna è nuova e comanda l'esercito. È
ovvio che ci siano un sacco di storie ridicole su di lei. Va sempre a finire
così.»
L'Agnello era indubbiamente nervoso. Ash lanciò una rapida occhiata a
Robert Anselm, Geraint ab Morgan e Angelotti: tutti i suoi ufficiali erano
allerta. Poteva essere un negoziato come un'imboscata, ma dovevano anda-
re fino in fondo per scoprirlo. Spostò lo sguardo sul prete che stava osser-
vando il corteo di torce che si avvicinava.
«Prega per noi» gli ordinò.
Il religioso afferrò la croce e cominciò a salmodiare a bassa voce.
Ash vide spuntare altre torce in mezzo al corteo ormai sempre più vici-
no. C'erano anche degli uomini a piedi. Robert Anselm pronunciò uno
scongiuro. I portatori delle torce erano fatti di terracotta e ottone. La luce
delle fiamme danzava sulla superficie rossa e ocra dei golem.
«Carino» ammise Ash. «Anch'io userei tutto quello che ho a disposizio-
ne per impressionare un potenziale nemico.»
I cavalieri visigoti avanzavano in mezzo a due schiere di golem. Le loro
cavalcature, bestie basse e robuste nelle cui vene scorreva il sangue del
deserto, avevano i finimenti di cuoio dorato. Le staffe, gli anelli e i morsi
erano stati lucidati. Le bestie avevano un odore speziato, diverso da quello
dei cavalli da guerra europei. Godluc cominciò ad agitarsi e Ash afferrò
saldamente le redini. Ci devono essere delle cavalle là in mezzo, pensò. Le
ombre davano fastidio al cavallo di Godfrey e Ash fece cenno a un arciere
di smontare e tenerlo per le briglie in modo che il prete potesse continuare
a pregare indisturbato.
Dietro i cavalieri visigoti giunsero lo stendardo nero e l'aquila dorata. Il
cavallo del porta bandiera era bardato pesantemente. Ash sorrise. Aveva
portato lo stendardo in più di una battaglia e aveva capito cosa intendeva
dire la sua voce interna quando definiva la bandiera come un magnete che
attira il fuoco. Un poeta con indosso tanto di armatura recitava dei versi
che lei non riuscì a comprendere, ma la sua presenza non la stupì perché
aveva già visto quel genere di artisti portati al seguito delle truppe a Tuni-
si: era un cantador e aveva il compito di tenere alto il morale.
«Che gran casino. Mi chiedo se non stiano cercando di impressionarci»
Ash sedeva sulla sella con le gambe dritte mantenendo il baricentro poco
sotto i fianchi. Fece un movimento impercettibile per bloccare Godluc. I
Visigoti si fermarono accompagnati dal clangore metallico delle armi...
Ash prese a studiarli con attenzione. Portavano una divisa bianca sotto la
quale si intravedeva un usbergo di anelli metallici calato sopra un'armatura
imbottita. La testa era protetta da un elmo aperto sul viso. I Visigoti co-
minciarono a parlare tra di loro e alcuni indicarono apertamente i mercena-
ri europei.
«No» disse Ash ad alta voce in modo che tutti potessero sentirla. «Non
ci hanno impressionati. Inoltre non ci sono capre in queste montagne. Né
maschi né femmine.»
Qualcuno rise, altri bestemmiarono, altri ancora si agitarono nel sentire
quelle parole. Geraint ab Morgan si batté una mano sulla coscia. Un cava-
liere visigoto che si trovava sotto lo stendardo parlò agli uomini che aveva
di fianco quindi cominciò ad avanzare.
Ash fece un cenno e Euen Huw portò la tromba alla bocca traendone tre
note chiare. Ash avanzava seguita dai suoi sei ufficiali: Anselm, Geraint e
Joscelyn van Mander indossavano la loro armatura di fabbricazione mila-
nese tirata a lucido; Angelotti aveva il piastrone milanese e le protezioni
per le gambe gotiche; Godfrey, che continuava a pregare con gli occhi
chiusi, indossava la sua tonaca migliore e Floria del Guiz, che non somi-
gliava certo a una donna, ma con sommo rammarico di Ash, neanche a un
soldato portava una brigantina e un elmo da arciere.
«Io sono Ash» si presentò, dopo che l'eco della tromba si fu spento. «A-
gnus Dei mi ha detto che sei interessata a metterci sotto contratto.»
Ash non riusciva a distinguere il volto del comandante visigoto.
La donna indossava elmo e schinieri. Il piastrone, una sorta di giubba
fatta di piastre metalliche sulla quale spiccavano un centinaio di teste di
chiodi dorate a forma di fiore, era ricoperto di velluto. Sotto di esso c'era
una maglia di anelli metallici che scendeva a protezione delle cosce. Ash
suppose che il semicerchio metallico vicino alla gola fosse una specie di
gorgiera e notò anche l'elsa trilobata della spada, le ghiere dorate del fode-
ro della spada e della daga, il cinturone decorato con inserti in oro e il
mantello a scacchi bianchi e blu bordato di vaio57 . Compì un rapido calco-
lo dell'ammontare in denaro dell'abbigliamento del comandante visigoto e
rimase stupita. Malgrado la situazione, era contenta di trovarsi di fronte a
un'altra donna che, come lei, comandava dei soldati e proveniva da una
nazione abbastanza lontana da non rappresentare un concorrente.
«Saresti disposta a combattere contro i Burgundi?» La donna parlava te-
desco con un marcato accento cartaginese. Era chiaro che volesse farsi
capire anche dagli uomini di Ash che non parlavano la sua lingua.
«Combattere contro i Burgundi? Non per scelta. Sono dei duri, quelli.
Veri bastardi.» Ash scrollò le spalle. «Non rischio la mia compagnia se
non ho un buon motivo.»
«Tu sei 'Ash'. La jund 58 » La donna fece avanzare ulteriormente il caval-
lo entrando nel cono di luce proiettato dalle torce al seguito di Ash. Indos-
sava un elmo con il paranaso e le protezioni per le guance. Una sciarpa
nera le copriva gran parte del volto. Ash poteva scorgere ben pochi dettagli
di quel volto, ma quello che vide fu sufficiente a farle capire che la donna
di fronte a lei era giovane. Mio Dio! pensò. Non è più vecchia di me!
Quel fatto servì a spiegare in parte il nervosismo di Agnello: un malizio-
so desiderio di vedere quelle due stranezze al femminile, come sicuramen-
te le considerava, che si incontravano. Ash rassicurò immediatamente il
comandante visigoto.
«Faris» disse Ash. «Generale. Fai un'offerta. Ho cercato di combattere
sempre dalla parte dei Burgundi quando ne ho avuto la possibilità, ma,
comunque, possiamo tenere loro testa.»
«Un mio alleato è in quella città.»
57
Schiena e pancia della pelliccia dello scoiattolo europeo.
58
Termine arabo per indicare un mercenario che combatte per denaro o
per ottenere delle terre.
«È mio marito e credo che questo mi dia il diritto di accampare alcune
pretese.»
«Devi togliere l'assedio. Fa parte del contratto.»
«Ah, ah. Corriamo un po' troppo. Prima devo consultare i miei uomini.»
C'era qualcosa che la disturbava nella voce del generale visigoto. Si sareb-
be avvicinata volentieri per guardarla meglio, ma la luce che balenava sul-
le punte delle frecce incoccate con noncuranza negli archi dei Visigoti e la
vista dei suoi uomini che tenevano le lance in mano piuttosto che nell'ap-
posito alloggiamento della sella, la indussero a rimanere ferma. Le armi
avevano una vita propria, una loro tensione; Ash sapeva bene quanti cava-
lieri visigoti la stessero tenendo d'occhio in quel momento, valutando al
tempo stesso l'esatta distanza di tiro. Poteva sentire quella connessione
invisibile.
«Quando rivedremo il sole, Faris?» chiese, al solo scopo di guadagnare
uno o due minuti.
«Quando lo riterremo opportuno» rispose la giovane donna di fronte a
lei, calma.
Ash aveva l'impressione che fosse una menzogna: lei ne aveva dette pa-
recchie in pubblico e ormai aveva imparato a riconoscerle. Allora non lo
sai neanche tu, vero? pensò. Il Califfo di Cartagine non dice tutto al suo
generale. Gli uomini di terracotta che reggevano le torce avevano formato
un semicerchio intorno al generale.
«Qual è la tua offerta?»
«Sessantamila ducati per tutta la durata della guerra.»
Sessantamila
Le sembrò di udire Robert Anselm che pensava: Se quella stronza ha
soldi da buttare non ti mettere a discutere!
Ash aprì il cinghiette dell'elmo e se lo sfilò per prendere altro tempo e
far capire ai suoi uomini di rimanere tranquilli o almeno di non fare nulla
finché i Visigoti non avessero lasciato capire chiaramente che stavano per
attaccare.
Agnello si sfilò un guanto.
Ash lasciò che la chioma sudata per la lunga permanenza sotto l'elmo le
scendesse lungo le spalle. Dopo un lungo istante di esitazione, il generale
visigoto sfilò a sua volta l'elmo e si tolse la sciarpa.
Uno dei cavalieri visigoti imprecò violentemente. Il suo cavallo si im-
pennò e andò a urtare violentemente l'uomo al suo fianco. L'improvviso
coro di urla costrinse Ash ad aumentare la presa intorno alle redini di Go-
dluc. Godfrey Maximillian aprì gli occhi.
«Gesù Cristo!» esclamò il prete.
La giovane faris fece avanzare il cavallo di un passo e rimase a fissare
Ash. Le ombre provocate dalle torce danzavano sulla cascata di capelli
quasi bianchi che le scendevano lungo le spalle.
Le sopracciglia scure, fini e definite incombevano sugli occhi scuri. Ma
fu la bocca che fece sussultare Ash. Ho visto quella bocca centinaia e cen-
tinaia di volte nello specchio, pensò. La donna di fronte a lei aveva il suo
stesso fisico robusto e snello e, anche se lei non ci aveva ancora fatto caso,
sedeva in sella come lei.
Tornò a fissare il viso della Visigota.
Non era sfregiato.
Se avesse visto anche le cicatrici si sarebbe buttata giù dalla sella e a-
vrebbe premuto il volto a terra pregando il Cristo affinché la salvasse dalla
follia, dai demoni e da qualsiasi creatura fosse sbucata dal Pozzo infernale.
Ma le guance della donna era integre.
Il volto del generale visigoto era privo d'espressione.
Ecco l'aspetto che avrei senza gli sfregi, pensò Ash, proprio mentre sia i
cavalieri europei che quelli nord africani si avvicinavano per guardare me-
glio.
Niente sfregi, continuò a pensare.
Ma, per il resto, siamo uguali come due gocce d'acqua, siamo gemelle.

III

La faris alzò un braccio e disse qualcosa in tono secco, ma parlò troppo


velocemente e Ash non capì nulla.
«Ti manderò uno dei miei qa'id con un contratto!» aggiunse il generale
visigoto. Fece girare il cavallo con un movimento del corpo e si lanciò al
galoppo verso il campo, imitata un attimo dopo dal suo seguito che si al-
lontanò in mezzo al rullo dei tamburi e al clangore metallico delle armi e
delle corazze.
«Torniamo in città» ordinò Ash, roca. In quanti l'avranno vista? pensò.
Qualche uomo vicino a me che ha avuto una trentina di secondi per scor-
gere un volto nel buio. Le voci cominceranno a girare molto presto. «An-
diamo.»

Nei cinque giorni che seguirono l'incontro, Ash parlò almeno con due o
tre persone alla volta. Sempre.
Godfrey le portò il contratto stilato dai Visigoti affinché lo controllasse e
firmasse. Era scritto in ottimo latino. Firmò mentre riprendeva Gustav e i
suoi fanti per aver tentato un ultimo assalto al castello di Guizburg, con-
tando al tempo stesso le nuove cavalcature e i sacchi d'avena insieme a
Henri Brant e ascoltando le lamentele degli archibugieri per la polvere da
sparo che scarseggiava e quelle di Florian - Floria - riguardo i feriti che
guarivano e quelli che peggioravano. Entro mezzanotte aveva consultato
ogni unità della sua compagnia e tutti gli uomini avevano accettato i ter-
mini del contratto.
«Ci muoviamo stanotte» annunciò Ash. Tale decisione era dettata in par-
te dal fatto che almeno di notte c'era un po' di luce, visto che l'ultimo quar-
to di luna era ancora visibile nel cielo, e in parte perché agli uomini non
piaceva cavalcare sotto la cappa di buio innaturale che oscurava il cielo
durante il giorno. Inoltre, secondo Ash, era molto più sicuro dormire du-
rante il giorno e muoversi di notte. Spostare un campo di ottocento uomini
più i carri era già abbastanza duro sotto il sole.
Non rimase mai sola, neanche per un secondo.
Si avvolse in un velo impenetrabile di autorità. Nessuno fece domande.
Ash aveva l'impressione di essere una sonnambula.
Si risvegliò da quello stato di apparente dormiveglia cinque giorni dopo
sentendosi del tutto esausta.

Ash si svegliò di scatto. Si era appisolata con la fronte premuta contro il


collo della cavalla. Era perfettamente cosciente che la stava strigliando e
che aveva appena parlato, ma cosa aveva detto?
Alzò la testa e vide Rickard. Il ragazzo aveva un'aria molto stanca.
Lady la toccò con il naso umido sbuffando. Ash si raddrizzò e carezzò i
fianchi snelli e caldi della bestia. La cavalla emise un nitrito compiaciuto e
premette con delicatezza la spalla contro Ash. La segatura sparsa a terra
puzzava di sterco.
Ash abbassò gli occhi. Gli stivali alti da cavallerizza erano legati alla
gonna del farsetto per tenerli su ed erano sporchi di fango e letame fino
alle ginocchia.
«La vita gloriosa di un mercenario. Se avessi voluto passare la mia vita
immersa nello sterco avrei scelto di fare la contadina. Almeno non devi
spostare la fattoria ogni giorno di trenta chilometri. Perché sono finita nel-
lo sterco fino al culo?»
«Non lo so, capo.» Era la tipica osservazione retorica che poteva essere
scambiata come un'espressione di arguzia; ma sembrava che Rickard fosse
stato colto alla sprovvista. Era ovvio che fino a pochi istanti prima non
stavano parlando di quello.
«Arriverà qua tra una quindicina di giorni» concluse il paggio.
Il suo corpo era stanco, escoriato e caldo. Le lanterne proiettavano la lu-
ce sulle pareti di tela della stalla e sulla mangiatoia piena d'avena di Lady.
Era una luce dolce e piacevole, in quelle prime ore del mattino.
Ma se me ne vado, pensò. Non vedrò spuntare l'alba.
Ash sentì la voce dei soldati e l'uggiolio dei cani. Non aveva attraversato
il campo senza scorta. Non sono così fuori dalla Grazia di Dio, allora. A-
veva avuto l'impressione di essere tornata in quel momento da un lungo
viaggio.
«Quindici giorni» ripeté. Il bel ragazzino la stava fissando. La maglia
era sempre più della sua misura e il volto, ormai più scarno e simile a quel-
lo di un uomo, aveva ormai perso la paciosità dell'infanzia. Ash gli sorrise
in maniera rassicurante. «Bene, ascolta, Rickard, finisci di addestrare Ber-
trand. Fallo diventare un bravo paggio e dopo chiederò a Roberto di pren-
derti come scudiero. È arrivato il momento di cominciare l'addestramen-
to.»
Il ragazzino non disse nulla, ma il suo volto si illuminò.
Ash cominciò a rendersi conto dei suoi muscoli che si rilassavano come
succedeva alla fine di ogni sforzo fisico, del calore dell'abito imbottito che
indossava sotto la brigantina e della sonnolenza che non serviva solo a far
crescere il desiderio sessuale. Improvvisamente le sovvenne un ricordo
chiaro e nitido, quasi palpabile: il profilo dei fianchi e delle spalle di Fer-
nando del Guiz, la sua pelle calda sotto le dita e l'ondeggiare del suo pene
eretto dentro di lei.
«Merda!»
Rickard sussultò. «Mastro Angelotti vuole parlarti» disse.
Lady premette il muso contro Ash e lei glielo accarezzò senza neanche
rendersene conto. «Dov'è?»
«Fuori.»
«Lo ricevo subito. Di' a tutti che per la prossima ora sono occupata.»
Aveva viaggiato per cinque giorni in quella sorta di stato catatonico. Era
passata vicino a ripide pareti rocciose spruzzate di neve. Non aveva idea di
dove si stavano dirigendo. Giorni di boscaglie fredde, erica, erbe alpine e
sassi che rotolavano negli strapiombi. Giorni illuminati solo dalla luce
della luna che si rifletteva sui laghi, sulle strade tortuose, sui torrenti. Ora,
se ci fosse stato il sole lei avrebbe potuto guardare lontano e vedere i cam-
pi e i piccoli castelli che sorgevano in cima alle colline.
L'oscurità era tale che non si vedeva quasi nulla.
«Capo» la salutò Antonio Angelotti, interrompendo una discussione con
le sue guardie del corpo. L'artigliere indossava un voluminoso mantello di
lana rossa, un capo di vestiario che solitamente non si usava in pieno ago-
sto. Lo scricchiolio che Ash sentiva sotto gli stivali non era erba secca, ma
ghiaccio.
Il cerchio difensivo di carri interno e quello esterno erano pieni di armi
tenute al riparo dietro a dei pavesi grossi come le porte di una chiesa. I falò
ardevano nel centro del campo dove gli uomini si riunivano per dormire e,
dietro suo ordine, anche qualche metro oltre il perimetro difensivo esterno,
per illuminare la campagna circostante e impedire che i fuochi da campo
disegnassero le ombre dei suoi uomini offrendo un bersaglio a eventuali
arcieri o archibugieri di passaggio. Sapeva che il campo visigoto distava
un paio di chilometri dal loro perché vedeva il bagliore dei fuochi e sentiva
l'eco delle canzoni intonate dai soldati in preda al vino o all'ardore marzia-
le.
«Andiamo.» Attraversò la zona riservata agli artiglieri parlando solo di
argomenti strettamente legati alla loro professione, ma quando Ash e l'uo-
mo incredibilmente bello che camminava al suo fianco entrarono nella sua
tenda, lei seppe che il suo silenzio su quello che era successo qualche gior-
no prima stava per finire.
«Rickard, rintraccia padre Godfrey e Florian e falli venire qui.» Si chinò
ed entrò nella tenda, attese che gli occhi si abituassero alla penombra,
quindi si sedette sul baule nel quale era contenuta abbastanza polvere da
sparo da spedire all'inferno lei e gli artiglieri fermi fuori dalla tenda. «Cosa
mi dovevi dire?»
Angelotti si appoggiò contro il bordo del suo tavolo da campo e un fo-
glio di carta coperto di calcoli scivolò a terra. Riesce sempre a essere ag-
graziato in ogni situazione, pensò Ash, ma non riesce a non sembrare im-
barazzato.
«Allora io sono una bastarda Africana, invece di essere una bastarda del-
le Fiandre, dell'Inghilterra o della Borgogna» esordì Ash, tranquilla. «Ha
qualche importanza per te?»
L'artigliere scrollò appena le spalle. «Dipende solo da quale famiglia
nobile arrivi la nostra Faris e quanto loro possano trovare imbarazzante la
tua esistenza. No, in ogni caso sei una bastarda di cui la tua famiglia do-
vrebbe essere orgogliosa. Cosa importa?»
«Org...?» si interruppe Ash, ansimando. Le bruciava il petto. Scivolò
lungo un lato del baule e una volta toccata terra cominciò a ridere a crepa-
pelle al punto di far cigolare le lamelle della brigantina con il movimento
delle costole. «Oh, Angelo! Niente meno. 'Orgogliosi'. Che complimento!
Tu... no, niente.»
Si asciugò gli occhi dalle lacrime e tornò a sedersi sul baule. «Tu sai
molte cose sui Visigoti, vero, mastro artigliere?»
«Ho imparato la matematica nel Nord Africa.» Sembrava che Angelotti
le stesse studiando l'espressione del viso.
«Quanto tempo hai passato laggiù?»
L'artigliere socchiuse le palpebre. Angelotti aveva il volto simile a quel-
lo delle icone bizantine. La luce delle candele e i giochi d'ombra davano
l'impressione che la giovinezza si fosse posata su quei lineamenti come
una pellicola bianca sulla superficie di una piuma.
«Fui preso all'età di dodici anni.» Aprì gli occhi. «I Turchi mi tolsero da
una galera vicino a Napoli, ma la loro nave da guerra venne catturata dai
Visigoti. Ho passato tre anni a Cartagine.»
Ash non aveva il coraggio di chiedere più di quanto Angelotti fosse di-
sposto a dire. In quel momento le aveva confidato più notizie sul suo pas-
sato di quanto avesse fatto da quando si conoscevano. Si chiese se al mo-
mento della sua cattura non avesse maledetto il fatto di essere tanto bello.
«L'ho imparata a letto» disse Angelotti, tranquillo, facendole capire che
sapeva quello che le stava passando per la testa. «Con uno dei loro amir59 .
Uno dei magi, uno scienziato. Lord-amir Cilderico. Fu lui a insegnarmi la
balistica, la navigazione e l'astrologia.»
Ash era abituata a vedere Angelotti sempre lindo e pulito, un vero e pro-
prio miracolo visto il fango e la polvere presenti in ogni campo, e, soprat-
tutto, molto riservato. Quanto ha bisogno di farmi parlare per dirmi queste
cose, pensò Ash.
«Roberto potrebbe avere ragione, questo potrebbe essere il loro crepu-
scolo che si... espande» disse lei, parlando in fretta. «Godfrey lo definireb-
be un contagio infernale.»
59
'Amir' o 'emir': termine arabo che indica 'lord' o 'signore'. Non sono
riuscito a trovare nessun elemento che li accomuni ai magi della Persia
(uomini sacri o maghi) nel testo dell'Angelotti, quindi la parola scienziato
venne aggiunta da qualcun altro.
«No, anche lui rispetta gli amir tanto quanto me.»
«Cos'è che vuoi dirmi?»
Angelotti si tolse il mantello e lo lasciò cadere sul tavolo. «I miei arti-
glieri sono in subbuglio. Non gli va che tu abbia tolto l'assedio a Guizburg.
Dicono che l'hai fatto perché del Guiz è tuo marito e perché non sei più
nelle grazie della dea Fortuna.»
«O Fortuna!» rise Ash. «Volubile come una donna. È questo che dicono,
giusto? Andrò a parlare loro. Pagali di più. So perché sono inquieti. Ave-
vano scavato una galleria fin quasi ai cancelli del castello. So che non a-
spettavano altro che mandarlo in pezzi...!»
«Ecco perché si sentono truffati.» Angelotti sembrava estremamente sol-
levato. «Per me va bene se parli con i miei uomini... perfetto.»
«C'è dell'altro?»
«La tua voce è quella che sente anche lei?»
Dicono che un colpo non molto forte ma assestato nel posto giusto sia in
grado di rompere un vaso di porcellana e Ash ebbe l'impressione di sentire
il corpo che si crepava velocemente. Scattò in piedi.
«Vuoi sapere se il mio santo è solo un'invenzione? Se il Leone è una di-
ceria? Se parlo con un demone? Dicono che sento la voce di una macchina
come lei? Non lo so.» Ash riprese fiato e allentò la presa intorno all'elsa
della spada. Aveva stretto la mano al punto di farsi sbiancare le nocche.
«Può fare veramente quello che dicono? È veramente in grado di ascoltare
la voce di un marchingegno che si trova dall'altra parte del mare? Tu sei
stato là, parla!»
«Poterebbe essere una voce. Una menzogna.»
«Non lo so!» Ash aprì la mano lentamente. In subbuglio o meno, gli ar-
tiglieri stavano festeggiando un santo oscuro60 e qualcuno aveva intonato
una canzone molto volgare che parlava di un toro scambiato per una vacca.
Ash si rese conto che il toro della canzone era chiamato Fernando e solle-
vò un sopracciglio. Forse non hanno così voglia di andarsene, pensò.
«Gli uomini del faris stanno costruendo delle torri di osservazione lungo
tutta la strada» disse Angelotti ad alta voce per cercare di coprire il coro
dei suoi uomini.
«Stanno inchiodando questa nazione.» Ash si chiese da che parte stesse-
60
Secondo i miei calcoli era il 9 agosto, la festa dedicata a re Osward di
Northumbria. nato nel 605 circa, morto nel 642 a Masefeth. San Osward
pregò per le anime dei caduti in battaglia con lui. Il culto di questo santo
soldato era piuttosto popolare nella Germania del sud e in Italia.
ro loro ed ebbe un momento di panico, ma le paure scomparvero appena le
tornarono alla mente i ricordi degli ultimi giorni. «Io credo che vogliano
incoronare il loro viceré ad Aachen.» 61
«Il tempo è brutto. Mi hai detto che dovevano stabilirsi in un punto più
vicino e avevi ragione, Madonna.»
Ash udì il latrato dei cani e il benvenuto caloroso delle guardie. Un atti-
mo dopo Godfrey Maximillian entrò nella tenda togliendosi la giubba di
pecora, seguito a ruota da Floria. Il chirurgo fece un cenno e Bertrand creò
spazio nella tenda, vi posò un braciere e aggiunse altri carboni ardenti,
dopodiché, ubbidendo a un cenno di Angelotti, cominciò a servire birra e
pane vecchio di due giorni muovendosi goffamente tra i presenti. Termina-
ta l'operazione uscì dalla tenda.
«Odio le brutte prediche.» Godfrey si sedette su un altro baule. «Stavo
leggendo l'Esodo, capitolo dieci, verso ventidue, quando Mosé oscura il
cielo dell'Egitto. Qualcuno che conosceva il passo salta su e mi chiede
come mai in Egitto durò tre giorni e qua la cosa va avanti da tre settima-
ne.»
Il prete bevve e si asciugò la barba. Ash valutò la distanza tra il braciere
e i vari bauli e otri pieni di polvere da sparo. Deve essere quella giusta,
pensò. Non aveva molta fiducia nella scarsa attenzione con la quale Ange-
lotti trattava gli esplosivi.
Floria si scaldò le mani sul braciere. «Roberto sta per arrivare.»
Ash si rese conto che era un incontro combinato senza il suo consenso. E
scommetto che hanno aspettato cinque giorni per farlo. Diede un morso al
suo pezzo di pane e prese a masticare, pensierosa.
La voce di Anselm risuonò fuori dalla tenda e un attimo dopo anche l'uf-
ficiale era all'interno. «Non posso restare, devo andare a dare il cambio alle
guardie per stanotte - o per oggi.» Vide Ash e si tolse il cappello di velluto.
La luce della candela brillava sulla testa pelata e sul simbolo del Leone
cucito sul cappello. «Sei tornata, allora.»
Il fatto bizzarro fu che nessuno lo riprese per quello che aveva detto.
Tutti si girarono a fissarla.
«Dov'è Agnus?» chiese improvvisamente Ash. «Dov'è l'Agnello?»
«È accampato un paio di chilometri a nord est rispetto a noi, con cin-
quanta lance.» Robert Anselm spostò il fodero della sua spada e si mise a
fianco di Floria. Si muoverebbe in maniera del tutto diversa, pensò im-
61
II luogo in cui veniva incoronato ogni imperatore del Sacro Romano
Impero dai tempi di Ottone il grande.
provvisamente Ash, se sapesse che Florian non è un uomo.
«Agnello lo sapeva» ringhiò Ash. «Bastardo! Deve averlo saputo dal
primo momento in cui l'ha vista. E mi ha lasciata andare senza avvertir-
mi!»
«Lo stesso vale per il loro generale» le fece notare Godfrey.
«E quella non l'ha ancora impiccato?»
«Mi hanno detto che ha dichiarato di non essersi mai reso conto di quan-
to vi somigliaste. Sembra che la faris gli creda.»
«Merda.» Ash si sedette sul bordo del tavolino a fianco di Angelotti.
«Gli mando Rickard con un messaggio di sfida.»
«Non tutti sanno quello che ha fatto, ammesso che l'abbia fatto apposta.
Il suo è un peccato d'omissione e basta.» Godfrey si leccò il burro dalla
punta delle dita continuando a fissarla. «Non è necessario.»
«Lo devo sfidare comunque» borbottò Ash. Incrociò le braccia. «Sentite.
Quella non è il mio doppio etereo né io sono il suo demone. Sono solo lo
scarto di qualche famiglia di amir. Solo Cristo sa quante volte la compa-
gnia del Grifone d'Oro ha combattuto sull'altra sponda del Mediterraneo
vent'anni fa. Sarò una sua cugina bastarda di secondo grado o qualcosa di
simile.»
Alzò la testa e vide Angelotti e Anselm che si scambiavano un'occhiata
che non riuscì a interpretare. Floria armeggiava intorno alle braci con un
attizzatoio e Godfrey beveva.
«C'è qualcosa che dovremmo dirle.» Godfrey si pulì la bocca con la ma-
no e fissò i presenti. «Riguardo la nostra completa fiducia nelle sue capaci-
tà di capitano.»
«Allora parla, diavolo di un prete» bofonchiò Robert Anselm.
La tenda fu pervasa da un silenzio carico d'aspettativa.
Nel frattempo gli uomini fuori dalla tenda cantarono le ultime due strofe
della canzone nella quale il toro veniva preso dalla vacca.
Ash si accorse dell'occhiata di Anselm e, non sapendo se arrabbiarsi o
scoppiare a ridere, cominciò a sogghignare nel vedere che anche Robert si
trovava nella sua stessa situazione.
«Non ho sentito nulla» disse Ash, allegra.
Angelotti alzò gli occhi dal tavolino. «Tutto a posto, Madonna. Ho scrit-
to tutto nel caso te ne dimenticassi!»
Godfrey Maximillian sparpagliò briciole per tutta la tenda.
«Voglio creare una nuova compagnia» annunciò Ash, mettendo fine allo
scherzo, e rimase stupita quando Floria, che fino a quel momento era rima-
sta zitta, disse: «Va bene, se non hai fiducia in noi.»
Ash vide il risultato dei suoi cinque giorni di 'assenza' nell'espressione di
Floria. «Mi fido di voi.»
«Speravo che lo dicessi.»
Ash la punzecchiò con un dito. «Tu, Godfrey e Angelotti verrete con
me.»
«Dove?» domandò Florian.
Ash prese a tamburellare con le dita sul fodero. «Il generale visigoto non
può incoronare il suo viceré ad Aachen, troppo lontana. Stiamo dirigendoci
a ovest. Ha intenzione di raggiungere la città più vicina, ovvero, Basilea.»
«Una mossa saggia!» commentò Godfrey, eccitato. «Conferma il suo
controllo sulla Lega e sul sud della Germania. Aachen può anche aspettare.
Scusami. Continua, figliola.»
«Sto per andare a Basilea. Vi spiegherò il motivo tra un minuto. Robert,
ti affido il comando temporaneo della compagnia. Voglio che tu costruisca
un campo fortificato cinque chilometri fuori della città. Scegli il lato ovest.
Puoi far erigere il mio padiglione e tirare fuori i tavoli, i tappeti e l'argente-
ria, nel caso avessimo visite.»
Anselm aggrottò la fronte. «Siamo abituati al fatto che ti assenti per di-
scutere i termini di un contratto. Ma questo l'abbiamo già firmato.»
«Lo so. Lo so. Non ho intenzione di cambiarlo.»
«Non ci siamo mai comportati in questo modo prima.»
«Adesso sì.»
Ash allargò le braccia, si alzò, scrutò velocemente i volti dei presenti
soffermandosi qualche secondo di più su Floria. Ci sono molte storie in
questa tenda, pensò. E non tutte sono note. Accantonò il problema. L'a-
vrebbe risolto in un altro momento.
«Voglio parlare con il generale.» Ash esitò. Quindi riprese a parlare ri-
volgendosi singolarmente a ognuno dei suoi uomini.
«Godfrey, voglio che tu parli con i tuoi contatti nei monasteri. Florian,
parla con i medici visigoti. Angelotti, tu conosci la matematica e i loro
artiglieri, va' e ubriacati con loro. Voglio sapere tutto di quella donna! Vo-
glio sapere cosa mangia a colazione, cosa ci fa il suo esercito in Europa, a
quale famiglia appartiene e se veramente sente le voci. Voglio anche sape-
re se ha idea di quello che è successo al sole.»
Fuori, la luna che tramontava annunciava l'arrivo di un altro giorno privo
di luce.
«Roberto. Mentre sarò tra le mura di Basilea» disse Ash «me la dovrò
vedere con la stessa minaccia che c'è qua fuori.»

Mentre entrava nella città di Basilea, Ash riusciva solo a pensare che il
faris aveva il suo stesso volto. Sono orfana, non c'è nessuno al mondo che
mi assomigli, ma io e lei siamo due gocce d'acqua. Le devo parlare.
Vorrei che ci fosse la luce!
Le urla dei soldati e il tonfo degli zoccoli dei cavalli da guerra echeggia-
vano nelle vie di Basilea. I cittadini si spostavano frettolosamente per met-
tersi al coperto. Dalle finestre più di una persona la ricoprì di insulti. Put-
tana, stronza e traditrice erano tra i più comuni.
«Nessuno ama i mercenari» disse Ash, fingendosi dispiaciuta. Rickard
rise di gusto, mentre i suoi uomini presero a pavoneggiarsi.
Su molte porte era stata inchiodata una croce. Le chiese erano piene e
Ash incrociò più di una processione di uomini che si flagellavano. Il pa-
lazzo del comune era chiuso, ma sul tetto del piccolo palazzo delle corpo-
razioni sventolavano le bandiere nere.
Ash riuscì a salire la stretta rampa di scale malgrado l'armatura. Le armi
le erano d'impaccio. Mano a mano che si avvicinavano alla stanza in cima
alla rampa il rumore delle voci diventava sempre più forte: un misto di
tedesco svizzero, fiammingo, italiano e latino del Nord Africa. Il consiglio
d'occupazione del faris: questo voleva dire che lei doveva trovarsi nelle
vicinanze.
«Prendi.» Ash passò l'elmo umido di sudore a Rickard.
La stanza in cui entrarono era simile a tante altre in cui era stata. Le fi-
nestre erano incastonate nella pietra del muro e i loro vetri ovali permette-
vano di vedere la strada sottostante e le case a quattro piani dall'altra parte
del vicolo bagnate dalla pioggia. Dei puntini bianchi cadevano nel raggio
di luce delle lanterne nelle case di fronte e delle torce che illuminavano i
soldati in strada. I ripidi tetti spioventi si stagliavano contro il cielo nero.
La stanza puzzava a causa di un centinaio di candele di sego. Guardò la
candela segna tempo e vide che era passato mezzogiorno.
«Ash» tirò fuori un pezzo di cuoio sul quale era impresso il suo simbolo.
«Condottiero del faris.»
Le due guardie la fecero passare. Ash si sedette al tavolo e gli uomini
della scorta si fermarono alle sue spalle. Era tranquilla per quanto riguar-
dava il suo campo. Sapeva che Robert Anselm era in grado di trattare con
Joscelyn van Mander e Paul di Conti, che avrebbe dato retta agli ufficiali
che comandavano le unità minori e, se fosse stato necessario, sarebbe stato
in grado di guidare la compagnia all'attacco. Una rapida occhiata le permi-
se di prendere nota dei presenti alla riunione: c'erano gli Europei e i Visi-
goti, ma non il faris.
«Dobbiamo organizzare l'incoronazione. Mi rivolgo a tutti voi per la
procedura» disse un Visigoto che Ash riconobbe come un amir.
Un Visigoto in borghese cominciò a leggere con attenzione un mano-
scritto europeo. «Appena l'arcivescovo avrà posto la corona sulla testa del
re, allora questi dovrà offrire la sua spada a Dio posandola sull'altare... Il
duca più meritevole tra i presenti alla cerimonia... dovrà presentarla sguai-
nata al re... 62 »
Non è quello che volevo fare, pensò Ash. Come faccio a parlare al loro
generale?
Si grattò la nuca, poi si fermò perché non voleva attirare l'attenzione sul
pezzo di cuoio della gorgiera morsicato dai topi.
«Perché dovremmo incoronare il nostro viceré con una cerimonia paga-
na?» domandò un qa'id. «Neanche i loro re e i loro imperatori riescono a
ottenere la lealtà dei propri sudditi, quindi, non vedo perché dovremmo
attenerci ai loro usi.»
Uno degli individui che si trovava al fondo del tavolo, un uomo con i
capelli biondi tagliati corti alla maniera dei soldati visigoti alzò la testa e
Ash si trovò faccia a faccia con Fernando del Guiz.
«Ah, niente di personale, del Guiz» aggiunse lo stesso ufficiale. «Sarai
anche un traditore, ma, dopotutto, sei il nostro traditore!»
Un'ondata di umorismo macabro attraversò la tavolata, ma l'amir riportò
immediatamente l'ordine senza riuscire a fare a meno di lanciare un'oc-
chiata interrogativa a Fernando.
Fernando del Guiz sorrise. La sua espressione era aperta, generosa e pa-
lesemente complice con l'ufficiale visigoto: come se anche Fernando si
stesse divertendo per lo scherzo ai suoi danni.
Era la stessa espressione che aveva fuori dalla tenda dell'imperatore a
Neuss.
Ash vide che il marito aveva la fronte imperlata di sudore.
Non era certo un simbolo di forza di carattere. Tutt'altro.
«Cazzo!» urlò Ash.
«'E il re sarà...'» Un uomo dai capelli bianchi che indossava una tonaca
62
È una procedura simile a quella illustrata nel manoscritto
'Sull'ordinazione di un Cavaliere' del quindicesimo secolo, intitolato 'Il
modo e la forma di incoronazione dei re e delle regine in Inghilterra.'
dello stesso colore dei capelli ornata con degli anelli metallici intorno al
colletto, alzò gli occhi dal manoscritto che stava leggendo. «Scusatemi,
frau?»
«Cazzo!» Ash balzò in avanti posando una mano sul tavolo. Fernando
del Guiz la fissava freddo e impassibile. Indossava un usbergo sopra una
tunica bianca con i gradi di qa'id sulle spalle. In quel momento le sue lab-
bra diventarono bianche. Ash lo fissò negli occhi ed ebbe l'impressione di
ricevere un pugno nelle costole.
«Sei solo un fottuto traditore!»
La lama della spada era già uscita dal fodero e i muscoli si erano contrat-
ti, prima ancora di riuscire a formulare un pensiero cosciente. Sentì il cor-
po che si preparava ad assorbire l'impatto della punta che penetrava nel
volto scoperto di del Guiz. Nel corso di tutta la sua vita Ash aveva sempre
pensato che la forza bruta alle volte potesse risolvere dei problemi per i
quali pensare era tempo sprecato.
Un attimo prima che estraesse la spada, Agnus Dei, che si trovava dietro
l'amir, scrollò le spalle come per dire: 'Donne!' «Risolvi le tue questioni
private in un altro momento, Madonna!» aggiunse ad alta voce.
Ash lanciò un'occhiata alla sua scorta. I sei uomini continuavano a rima-
nere impassibili in volto, ma pronti a ritirarsi. Solo Rickard si stava mor-
dendo le unghie, atterrito dal silenzio.
Fernando del Guiz la fissava privo d'espressione. Si sentiva al sicuro e
protetto dai suoi nuovi alleati.
«E sia» disse Ash, sedendosi. Tutti i presenti allentarono la stretta intor-
no all'elsa delle spade. «Risolverò le mie questioni private più tardi. Que-
sto vale anche per te, Agnello.»
«Forse i mercenari non dovrebbero prendere parte a questo incontro,
condottieri» fece notare il Lord-amir, secco.
«Credo proprio di no.» Ash posò le mani sul bordo del tavolo di quercia.
«Ho bisogno di parlare con il faris.»
«Lei è nel municipio.»
Era la fine di ogni bega tra mercenari e Ash l'apprezzò. Si alzò in piedi e
gratificò Agnus Dei di un sorriso. Anche il mercenario italiano si stava
alzando per abbandonare la sala insieme ai suoi uomini. Ash si strinse nel
mantello per ripararsi dal nevischio. «Tutti i mercenari in strada...»
Quella frase avrebbe indotto Agnello a combattere o a ridere.
L'uomo aggrottò la fronte. «Quanto ti paga, Madonna?»
«Più di te. Qualunque sia la cifra, scommetto che è più alta di quella che
passa a te.»
«Hai più lance» affermò Agnello, tranquillo, mentre si infilava i guanti.
Ash mise l'elmo, si diresse nel punto in cui Rickard teneva le redini di
Godluc e montò velocemente in sella. I ferri di un cavallo da guerra scivo-
lavano sulla strada pavimentata tanto quanto i suoi stivali. Il fatto di essere
tornata calma in maniera così repentina la disorientava.
«Antonio Angelotti te l'ha detto?» la chiamò Agnello. «Hanno bruciato
anche Milano. L'hanno rasa al suolo.»
L'odore del pelo umido di cavallo pervadeva l'aria.
«Tu non vieni da Milano, Agnello?»
«I mercenari non hanno patria, Madonna, lo sai anche tu.»
«Alcuni di noi ci provano, ad averne una.» Ripensò alle mura frantumate
di Guizburg e al mastio che era ancora intatto. È in quella piccola stanza e
vorrei che fosse morto, si disse.
«Chi ha lasciato che le 'gemelle' si incontrassero senza avvertire nessuna
delle due?» gli chiese.
Agnello rise, cinico. «Pensi che sarei ancora vivo se il faris pensasse che
è colpa mia?»
«Ma c'è anche Fernando.»
Il mercenario italiano la gratificò di uno sguardo che sembrava dirle:
'Ma non capisci proprio nulla, bambina mia.'
«E se ti pagassi per uccidere mio marito?» chiese improvvisamente Ash.
«Sono un soldato, non un assassino.!»
«Ho sempre saputo che avevi dei principi, Agnello, se solo sapessi dove
trovarli!» Così dicendo, Ash scoppiò a ridere, continuando a tenere d'oc-
chio il mercenario perché l'espressione del suo volto dava chiaramente a
intendere che lo scherzo non gli era piaciuto.
«Comunque, sta per diventare il braccio destro del faris.» Agnus Dei si
toccò il simbolo sul vestito e l'espressione del suo volto si ammorbidì. «Sa-
rà Dio a giudicarlo, Madonna. Pensi di essere il suo unico nemico dopo il
tradimento che ha compiuto? Il Giudizio Divino calerà su di lui.»
«Mi piacerebbe arrivare prima» sentenziò Ash, sogghignando, mentre
fissava Agnus Dei e i suoi uomini che salivano a cavallo. Il rumore degli
zoccoli e delle voci echeggiava contro i muri delle case. Brutta strada per
combattere, pensò Ash, quindi affondò il mento nella gorgiera e borbottò,
giusto a scopo informativo e per la prima volta da Genova: «Sei cavalieri
contro sette armati di martelli da guerra, spade e asce. Terreno pessimo.»
Si fermò e abbassò la ventaglia dell'elmo per nascondere il volto, girò il
cavallo e lo spronò al galoppo lungo quel vicolo scivoloso, seguita imme-
diatamente dai suoi uomini. Le urla di Agnello furono coperte dal tonfo
degli zoccoli sul porfido.
No! Non ho detto nulla! Non voglio sentire!
Era preda di una paura irrazionale e non voleva capirne il motivo.
È solo il santo che sentivo fin da bambina: perché...
Non voglio sentire la mia voce.
Fece rallentare Godluc e guidò la sua scorta lungo un dedalo di stradine
scarsamente illuminate. Il campanile suonò le due di pomeriggio.
«So dove trovare il chirurgo» disse a Thomas Rochester. L'uomo annuì e
si mise in testa al gruppo insieme a un altro. Due balestrieri le si affianca-
rono e gli ultimi due chiusero il gruppo. Il selciato della strada lasciò il
posto al fango ghiacciato.
Le case su ambo i lati del vicolo avevano le finestre oscurate dalle tende,
dietro le quali era possibile intravedere il bagliore fioco delle lanterne. Una
macchia nera attraversò il suo campo visivo e Godluc ne seguì la traiettoria
con la testa. Sono pipistrelli, comprese Ash. Sono usciti dai loro nidi a
caccia di insetti.
Qualcosa scricchiolò sotto gli zoccoli del cavallo.
Un tappeto di insetti morti ricoperto da un sottilissimo strato di ghiaccio
ammantava la strada.
C'erano centinaia di migliaia di api, vespe e calabroni. Godluc continuò
ad avanzare schiacciando corpi e ali.
«Là.» Ash indicò una casa di tre piani con una fila di finestre sporgenti.
Rochester annusò l'aria. La ventaglia nascondeva gran parte del volto del
piccolo inglese, ma quando cominciò a studiare la casa, Ash fu sicura che
sulle labbra dell'uomo fosse apparso un sorrisetto compiaciuto. Le finestre
erano illuminate da un centinaio di lanterne, qualcuno cantava e qualcun
altro suonava il liuto con grande arte. Nel centro della strada c'erano tre o
quattro uomini con il mal di stomaco. I bordelli facevano sempre buoni
affari durante le crisi.
«Aspettatemi qui.» Ash scese di sella. La luce della casa si rifletté sul-
l'armatura. «E quando dico qui, intendo in questo stesso punto. Quando
torno non voglio scoprire che qualcuno di voi è sparito durante la mia as-
senza!»
«No, capo!» Rochester sogghignò.
I due buttafuori la videro arrivare e la lasciarono passare. Non c'era nien-
te di nuovo in un cavaliere con la voce da ragazzino o in un soldato che
entrava in un bordello. Con un paio di domande e due monete spese per
comprare il silenzio, riuscì a trovare la stanza nella quale si era appartato
un chirurgo biondo dall'accento burgundo. Ash salì la scala con passo de-
ciso, bussò alla porta ed entrò.
Una donna era sdraiata sul lettino in un angolo della stanza. I seni le
sporgevano dal corpetto slacciato e aveva la camicia da notte tirata su fino
alle cosce. Il mento era piccolo e carnoso e i capelli erano tinti di biondo.
Aveva un'età indefinita, tra i sedici e i trent'anni.
La stanza odorava di sesso.
C'era uno liuto a fianco della prostituta. Sul pavimento c'era una candela
e un vassoio con del pane. Floria del Guiz sedeva sul letto con la schiena
appoggiata al muro. Un capezzolo marrone spuntava da sotto la maglia.
Ash fissava la prostituta che carezzava il collo di Floria.
«È un peccato?» le chiese la ragazza. «Vero, sir? Ma anche la fornica-
zione è un peccato e io ho fornicato con moltissimi uomini. Sono come dei
tori in un campo con i loro grossi affari. Lei è gentile e forte con me.»
«Sssh. Margaret.» Floria si inclinò in avanti e la baciò sulla bocca. «De-
vo andare. Posso tornare a trovarti?»
«Quando avrai i soldi.» Negli occhi della prostituta sembrò balenare un
lampo. «Mamma Astrid non ti farebbe passare senza. E vieni vestita da
uomo. Non voglio diventare legna da ardere per i fuochi della chiesa.»
Floria fissò Ash e roteò gli occhi. «Questa è Margaret Schmidt. Le sue
dita sono molto abili nel... suonare il liuto.»
Ash diede le spalle alle due donne che finivano di vestirsi e cominciò a
camminare su e giù per la stanza facendo scricchiolare le tavole del pavi-
mento. Una voce profonda e maschile urlò qualcosa dall'androne, mentre
da un'altra stanza giunse l'eco di false grida di piacere.
«Non mi sono mai prostituita con un'altra donna!» disse Ash, girandosi.
«Sono andata con gli uomini. Ma mai con gli animali o le donne! Come
puoi farlo?» '
«Anche se si fa passare per un uomo è una donna!» borbottò Margaret.
Floria finì di allacciare il mantello e si girò verso la ragazza. «Lei ha un
gran cuore. Se hai voglia di vivere viaggiando, puoi unirti alla nostra com-
pagnia: ce ne sono di peggiori.»
Ash voleva urlare, ma vide l'espressione sul volto della prostituta e deci-
se di stare zitta.
Margaret si grattò il mento. «Vivere in mezzo ai soldati, non la conside-
ro una vita. E dai retta a lei, o lui, non posso venire con te, giusto?»
«Non lo so, dolcezza. Non sono mai stata con una donna» commentò
Ash.
«Torna prima di ripartire e ti darò una risposta.» Calma, Margaret
Schimdt prese il liuto, il piatto e li posò sul ripiano di un mobile. «Cosa
state aspettando? Mamma avrà sicuramente mandato qualcun altro. Sbriga-
tevi a uscire altrimenti vi farà pagare il doppio.»
Ash non attese di vedere il bacio tra le due donne. Le prostitute non ba-
ciano, pensò. Io non ho mai...
Si girò e scese giù per la scala stretta passando davanti alle stanze. Alcu-
ne porte aperte le permisero di farsi un'idea delle attività in corso in quel
momento nel bordello. C'erano degli uomini impegnati in partite a dadi,
altri bevevano e altri ancora copulavano con le prostitute. Raggiunta la fine
della rampa, Ash si girò di scatto rischiando di dare una gomitata al chi-
rurgo. «Cosa pensavi di fare? Avresti dovuto parlare con gli altri medici
per cercare notizie!»
«Cosa ti fa pensare che non l'abbia fatto?»
L'alta donna controllò il cinturone, il borsellino dei soldi e la daga con
un gesto automatico della mano, continuando a stringere una bottiglia di
cuoio nell'altra.
«Proprio qui ho trovato uno dei medici personali del cugino primo del
califfo Teodorico. Era sbronzo marcio e mi ha detto in confidenza che il
califfo ha il cancro. Gli restano pochissimi mesi di vita.»
Ash la osservava dritta negli occhi. Sembrava che non stesse ascoltando.
«Che faccia!» Floria rise e bevve.
«Cristo, Florian, ti scopi le donne!»
«Non c'è niente di sbagliato in Florian che si scopa le donne.» Tirò su il
cappuccio. «Non sarebbe molto più sconveniente se cercassi di scoparmi
un uomo?»
«Pensavo che avessi pagato una stanza e il tempo della ragazza perché
faceva parte della messa in scena!»
L'espressione di Floria si ammorbidì, diede un buffetto sulla guancia ad
Ash, e si mise le muffole per proteggere le mani dal freddo della strada.
«Cristo santo. 'Non fare la stronza priva d'umorismo', come direbbe il no-
stro buon Roberto.'»
Ash sospirò rumorosamente. «Ma tu sei una donna che va con un'altra
donna!»
«La cosa non ti disturba con Angelotti.»
«Ma lui è...»
«Un uomo che va con un uomo?» concluse Floria. Ash sentiva le labbra
che tremavano. «Sant'Iddio, Ash!»
Una donna anziana con il volto scarno incorniciato da una cuffia sbucò
dalle cucine. «Voi due state cercando una donna o siete solo dei perdigior-
no? Chiedo scusa, si. cavaliere. Tutte le nostre ragazze sono pulitissime,
vero, dottore?»
«Proprio così.» Floria spinse Ash verso la porta. «Tornerò con il mio si-
gnore quando avrà sbrigato alcune faccende.»
La strada era molto buia e il bagliore vivido delle fiaccole tenute da
Thomas Rochester e gli altri uomini la accecarono per un attimo, non per-
mettendole di vedere il volto del ragazzino che portava il cavallo a Floria.
Ash montò in sella.
Aprì la bocca come per urlare, ma poi si rese conto che non sapeva cosa
dire. Floria non era affatto contrita e la stava fissando dritto negli occhi.
«Godfrey sarà già tornato» disse Ash, mentre premeva i talloni sui fian-
chi di Godluc per segnalargli di mettersi in marcia. «E la faris sarà arriva-
ta. Andiamo.»
La testa del cavallo di Floria scattò verso l'alto. Un gufo bianco era pla-
nato a pochi centimetri dal cappello del chirurgo, chiaramente disorientato.
«Guarda.» Floria indicò.
Ash alzò lo sguardo e fissò i tetti delle case.
Non aveva mai notato che il cielo estivo fosse pieno di vita perché non si
era mai soffermata ad osservarlo. Ora i tetti e i davanzali delle case erano
pieni di uccelli: piccioni, corvi, cornacchie e tordi gonfiavano il piumaggio
nella speranza di ripararsi dal gelo innaturale. I passeri condividevano i
tetti con i falchi pellegrini e le poiane in quella che sembrava una tregua
alquanto improbabile. Una sorta di mormorio di disappunto si levava dai
tetti, mentre le tegole e le travi cominciavano a ricoprirsi di uno strato di
guano bianco.
Sopra i volatili il cielo continuava a essere nero come la pece.

Malgrado ci fosse un'ordinanza dei Visigoti che limitava il numero di


uomini per una scorta a sei, il municipio di Basilea era stipato. L'aria puz-
zava di sego, dei resti di un grande banchetto e del sudore di circa due o
trecento persone che attendevano di rivolgere le loro richieste al viceré.
Il generale visigoto non era presente.
«Merda!» imprecò Ash. «Dov'è quella donna?»
L'aria viziata lambiva il soffitto a volta dal quale pendevano le bandiere
dell'impero e dei cantoni. Ash lasciò vagare lo sguardo tra il gruppo di
Europei, quindi si concentrò su quello, decisamente più numeroso, dei
Nordafricani: c'erano soldati semplici, arif, qa'id, ma nessuna traccia del
faris.
Ash abbassò leggermente la ventaglia in modo da far vedere solo la boc-
ca e il naso. La chioma argentea era nascosta sotto l'elmo. Quando indos-
sava l'armatura completa era molto difficile scambiarla per una donna,
tanto meno per la gemella del generale visigoto.
Intorno alla stanza c'era un cordone di golem. Ash si sollevò in punta di
piedi e vide i golem alle spalle del viceré, che, con sua somma sorpresa, si
dimostrò essere Daniel de Quesada. L'ex ambasciatore teneva in mano una
testa di ottone che consultava di tanto in tanto.
Floria prese del vino da uno dei servitori che passavano di gran fretta.
«Come si può chiamare questo gruppo di persone? Orso, cigno, toro, uni-
corno e martora... È un bestiario!»
Un rapido esame dei simboli sugli abiti degli astanti permise ad Ash di
capire che erano presenti le delegazioni da Berna, Zurigo, Neuchâtel, Solo-
thurn, Friburgo e Aargau... gran parte dei Lord della Confederazione sviz-
zera, o come si facevano chiamare i Lord nella Lega di Costanza, avevano
tutti il volto inespressivo. Le conversazioni erano condotte in tedesco della
Svizzera, italiano, tedesco, ma la più importante, quella tenuta quasi urlan-
do intorno al tavolo principale, era in cartaginese, o, quando gli amir o i
qa'id si ricordavano dell'etichetta, anche se la loro posizione di conquista-
tori non glielo imponeva, in latino del Nord Africa.
Dove la cerco, adesso? si chiese Ash.
Thomas Rochester la raggiunse facendosi largo tra un gruppo di civili.
Gli avvocati e i funzionari di Basilea si fecero da parte senza neanche pen-
sare, come succede quando si vede passare un uomo in armatura, ignoran-
dolo al tempo stesso.
«È stata al campo e ti cercava» la informò l'uomo parlando a bassa voce.
«Cosa?»
«Il capitano Anselm ha mandato un messaggero. Il faris sta tornando.»
Ash si dovette costringere a non chiudere la mano intorno all'elsa della
spada, perché in una sala affollata quel gesto poteva essere facilmente ma-
le interpretato. «Anselm ha detto perché è venuta da noi?»
«Per parlare con uno dei suoi jund.» Thomas sogghignò. «Siamo abba-
stanza importanti da farla scomodare.»
«E io sono le tette di sant'Agata!» Ash provò un disgusto improvviso e
osservò la folla intorno a Daniel de Quesada che non sembrava diminuire
affatto. Il volto dell'ambasciatore era ancora segnato dalle cicatrici, lo
sguardo si spostava rapidamente per la sala e quando uno dei cani che sta-
va annusando la segatura uggiolò, il corpo dell'uomo sussultò in maniera
incontrollata.
«Chi è il suo burattinaio?» disse Ash, esprimendo ad alta voce un pen-
siero. «E quella è venuta solo per darmi un'occhiata fuori da Guizburg?
Forse. E adesso è andata al campo. Un bel disturbo solo per andare a dare
un'occhiata a un probabile parente bastardo nato in una compagnia di mer-
cenari vent'anni fa.»
Antonio Angelotti, sudato e barcollante, apparve al suo fianco. «Capo.
Torno al campo. È vero. Dieci giorni fa hanno sconfitto gli Svizzeri.»
Sapere che doveva essere successo era una cosa, ma sentirselo confer-
mare era un discorso ben diverso. «Sant'Iddio. Hai trovato qualcuno che ha
partecipato alla battaglia?» chiese Ash.
«Non ancora, ma so che hanno manovrato con maggiore abilità rispetto
agli Svizzeri.»
«Ho capito perché tutti stanno leccando il culo del re-califfo. Adesso si
spiegano i banchetti. Figlio di puttana. Mi chiedo se Quesada dicesse il
vero quando parlava di dichiarare guerra alla Borgogna.» Prese Angelotti
per una spalla e lo scosse rudemente. «Va bene, torna al campo, sei pieno
come un otre.»
Mentre il mastro artigliere usciva, Ash vide Godfrey Maximillian che
entrava nella sala e cominciava a guardarsi intorno in cerca delle insegne
del Leone Azzurro.
Il prete rivolse un inchino ad Ash, quindi lanciò una rapida occhiata a
Floria del Guiz.
«Odio quello sguardo» disse il chirurgo in tono aspro. «Mi guardi così
ogni volta che mi devi rivolgere la parola. Non mordo, Godfrey. Da quanto
mi conosci, Cristo?»
Floria aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi. I capelli tagliati corti
le stavano dritti in testa a causa dell'umidità. Un paio di servitori le passa-
rono vicino dandole una rapida occhiata. Chissà cosa vedono? si chiese
Ash. Un uomo, questo è poco ma sicuro. Non un soldato perché non porta
la spada, ma dai vestiti è chiaro che è un professionista di qualche tipo.
Inoltre devono pensare che sia al servizio di qualche Lord visto che porta
un simbolo cucito sulla tesa del cappello.
«Calmati! Ho già abbastanza problemi.»
«E io no? Sono una donna, cazzo!»
Aveva alzato troppo la voce. Ash fece cenno a Thomas Rochester e a
Michael, uno dei balestrieri, di avvicinarsi.
«Portatelo fuori, è ubriaco.»
«Va bene, capo.»
«Perché tutto deve cambiare?» domandò Floria liberando le braccia con
uno strattone dalla presa dei due uomini. Senza farsi notare, Thomas Ro-
chester diede un pugno nella schiena del chirurgo e mentre questi si piega-
va leggermente in avanti per il dolore, lo afferrò al volo e lo portò fuori
aiutato da Michael.
«Merda.» Ash aggrottò la fronte. «Non volevo che lo picchiassero...»
«Non avresti avuto nulla in contrario se non avessi saputo che è una
donna» le fece notare Godfrey, che nel frattempo aveva afferrato la croce
che portava al petto. Aveva tirato su il cappuccio della tunica e quindi non
era possibile scorgere chiaramente la sua espressione.
«Aspetteremo il ritorno del faris» affermò Ash, decisa. «Che notizie mi
porti?»
«Quello è il capo della gilda degli orafi.» Godfrey indicò, inclinando
leggermente la testa. «Laggiù, quello che parla al de Medici.»
Lo sguardo di Ash vagò lungo il tavolo nella direzione indicata finché
non si soffermò su un uomo che portava una cuffia di lana nera dal cui
bordo spuntavano dei ciuffi di capelli grigi. Stava sussurrando qualcosa
all'orecchio di un altro uomo che indossava un abito di fattura italiana. Il
de Medici aveva il volto pallido.
«Hanno distrutto Firenze solo per ribadire un concetto.» Ash scosse la
testa. «Lo stesso vale per Venezia. Vogliono farci sapere che non hanno
bisogno dei soldi, delle armi e dei cannoni. Gli bastano quelli che arrivano
dall'Africa... Penso che ci riescano.»
«È importante?» Un uomo che indossava un abito da studioso si inchinò
davanti ad Ash e quando si raddrizzò, sussultò e aggrottò la fronte nel sen-
tire la voce di una donna.
«Sir, voi siete?» si intromise Godfrey.
«Sono, anzi ero, l'astrologo di corte dell'imperatore Federico.»
«Sei stato licenziato, giusto?» chiese Ash in tono cinico, continuando a
lasciare vagare lo sguardo per la sala.
«Dio ha fatto sparire il sole» disse l'astrologo. «Dama Venere, la stella
del mattino, può essere ancora vista in certe ore, così sappiamo che il gior-
no è prossimo, ma i cieli continuano a rimanere scuri e vuoti. Questa è la
seconda venuta del Cristo: il suo giudizio ci attende. Non ho vissuto come
dovevo. Vorreste accogliere la mia confessione, padre?»
Godfrey attese che Ash desse il benestare, quindi si appartò con l'uomo
in un angolo tranquillo della sala. L'astrologo si inginocchiò, dopo qualche
minuto il prete posò le mani sulla sua fronte in segno di perdono, quindi lo
congedò e tornò da Ash.
«Sembra che i Turchi abbiano pagato delle spie per sapere cosa sta suc-
cedendo. Dovrebbero essercene anche in questa sala» aggiunse Godfrey.
«Il mio astrologo sa chi sono e dice che i Turchi si sentono molto solleva-
ti.»
«Sollevati?»
«I Visigoti si sono accaniti sull'Europa Occidentale e li hanno lasciati in
pace.»
«Se dovessero decidere di dirigersi a ovest allora anche i Turchi sareb-
bero costretti ad affrontare i Visigoti piuttosto che l'Europa cristiana. Co-
munque» aggiunse Ash «sono sicura che il Sultano Mehmet ora si senta
molto sollevato, visto che per anni ha creduto che i preparativi fatti dai
Visigoti fossero mirati a un'invasione del suo impero!»
Ash vide alcuni ambasciatori della Savoia e della Francia. Sebbene i due
regni non fossero stati ancora toccati, essi erano là per capire quale sarebbe
stato il prossimo bersaglio degli invasori.
«Odio le città» disse Ash, con aria assente. «Sono troppo a rischio di in-
cendi. Qui si può comprare olio e stracci praticamente ovunque e ridurre
tutto in cenere nel giro di un paio di giorni.»
Attese che il prete facesse qualche commento sulla sua irritabilità, ma
non successe. «Parliamo come se non dovessimo più rivedere il sole» disse
Godfrey.
Ash rimase in silenzio.
«Fa sempre più freddo. Sono passato vicino a dei campi mentre venivo
qua. Il grano e le vigne sono bruciati dal gelo. Presto ci sarà una grande
carestia... Forse mi sbagliavo. Siamo davvero al giorno del giudizio. La
carestia e la pestilenza stanno arrivando, la morte e la guerra ci sono già.
Dovremmo preoccuparci dello stato della nostra anima e non passare il
tempo a razzolare tra le rovine.»
«Voglio il generale visigoto» rispose Ash, ignorandolo. «Anche lei mi
sta cercando.»
«Sì.» Godfrey esitò nel vedere Ash che continuava a sorvegliare la folla.
«Non stai per mandarmi via da qui, vero, figliola?»
«Me ne vado anch'io» sulle labbra di Ash apparve l'ombra di un sorriso.
«Prendi Florian con te e fatti scortare al campo da Josse e Michael. Rima-
nete con Roberto finché non vi farò chiamare. Non ti si arruffano i capelli
a stare qua? Vai.»
Una delle cose che succedono quando si ha l'abitudine di dare ordini è
che gli altri prendono l'abitudine di ubbidire. Ash intravide l'espressione
preoccupata del prete malgrado il cappuccio.
Sono rimasta con soli quattro uomini, concluse Ash, Adesso vedremo
chi è la stronza inaffidabile.
Posso rimanere in fondo alla sala senza che nessuno mi dia un panno e
un catino per lavarmi le mani, per non parlare di uno dei piatti stranieri che
si trovano sulle tavole. Potrei anche aspettare, concluse Ash, che i lecca-
piedi intorno a Daniel de Quesada perdano il loro ardore, ma potrebbero
volerci dei giorni. Settimane, forse.
Osservò i rappresentanti della Savoia e della Francia che si radunavano
ansiosamente intorno al viceré.
«Vorrei avere a disposizione le spie dei Francesi o i banchieri Fiammin-
ghi.» Si girò verso Thomas Rochester. «Guido, Simon, andate alla dispen-
sa, vedete cosa riuscite a sapere. Francis e tu, Thomas, venite con me. Ap-
pena le cose si mettono male corriamo dritti filati da Anselm, chiaro?»
Rochester la fissò, dubbioso. «Ma, capo, questo è un inganno.»
«Lo so. Dovremmo andare via adesso, ma... si può godere di qualche
privilegio nell'essere la figlia bastarda di una famiglia di faris. Potremmo
guadagnarci qualcosa.» Ash scosse la testa. «Voglio sapere.»
Camminò lungo la sala per qualche tempo. Prese a contrattare con un
mercante per rimpiazzare i muli e le attrezzature che aveva perduto fuori
Genova, ma la cifra richiesta per i carri, per non parlare di quella per i ca-
valli già domati e addestrati, la lasciò di stucco. Alle volte sono dell'idea
che rubare è meglio che comprare, pensò Ash.
Un piccolo manipolo di servitori si affrettò a cambiare le candele con-
sumate e le lanterne spente. Ash si premette contro il muro per farli passa-
re, urtando qualcuno con il fodero della spada.
«Chiedo scusa...» Si girò e si trovò faccia a faccia con Fernando del
Guiz. «Figlio di puttana!»
«Come sta la mamma?» chiese il nobile, mesto.
Cerca di farmi ridere, pensò, mentre una sorta di ringhio le appariva sul-
le labbra.
La vista di Fernando del Guiz con indosso una cotta e una divisa visigo-
ta la lasciò senza parole per qualche attimo.
«Cristo che si fotte l'imperatore! Cosa vuoi?» sbottò Ash. Nello stesso
istante vide Thomas Rochester che finalmente si era accordato con il mer-
cante e si voltava a fissarla con un'aria interrogativa: Ash scosse la testa.
«Fernando - no: cosa? Cosa? Cos'hai da dirmi?»
«Sei molto arrabbiata» le fece notare lui. Il nobile le parlava continuan-
do a osservare la folla riunita nella sala, ma quando abbassò gli occhi il
suo sguardo sembrò impalarla. «Cosa avrei da dire a una contadina?»
«Giusto, giusto. Il fatto di essere un nobile non ti impedisce di schierarti
dalla parte dei Visigoti, vero? Sei un traditore. Pensavo che fosse una
menzogna.» La rabbia che bruciava in lei venne estinta da uno sguardo del
nobile e Ash rimase silenziosa per una manciata di secondi.
Fernando del Guiz cominciò a girarsi.
«Perché?» domandò Ash.
«Perché?»
«Tu - continui a non capire. Sei un nobile. Anche se ti avessero preso
prigioniero avrebbero pagato il riscatto per riaverti. O ti avrebbero messo
al sicuro in qualche castello. Diavolo, avevi una scorta armata con te, sare-
sti potuto scappare.»
«Da un esercito?» le chiese, divertito.
Ash sbarrò la strada a Fernando posandogli un braccio contro il petto. Se
voleva passare doveva spingerla via. «Non sei incappato in un esercito.
Quella è solo una voce. Godfrey ha scoperto la verità. Ti sei trovato di
fronte a una pattuglia di otto uomini - otto uomini. Non hai neanche cerca-
to di combattere. Ti sei arreso e basta.»
«La mia pelle vale molto di più della tua stima per me» rispose il nobile,
in tono ironico. «Non pensavo che ti importasse qualcosa di me, mia si-
gnora moglie.»
«A me non...! Beh, comunque ti sei guadagnato un posto in questa corte.
Adesso sei con i vincitori.» Indicò gli astanti. «Subdolo. E ti era stata data
una possibilità. Ma dovevo ricordare che i nobili che circondano l'impera-
tore sono tutti politicanti.»
«Non è stato!» Fernando la fulminò con un'occhiataccia.
«Non è stato cosa?» chiese Ash, tranquilla.
«Non è stato un tradimento politico!» Il volto del nobile assunse un'e-
spressione bizzarra. «Hanno ucciso Matthias! Gli hanno piantato una lan-
cia nello stomaco e lui è caduto a terra urlando! Hanno ucciso Otto con
una quadrella e tre dei cavalli...»
Ash si sforzò di tenere la voce bassa.
«Cristo Santo, Fernando,» lo interruppe con un sussurro sprezzante «tu
non sei come quello stronzo di Matthias. Ti avevano dato una possibilità. E
cosa mi dici del tuo equipaggiamento tanto carino? Indossavi un'armatura
completa, Cristo! Dovevi affrontare dei contadini visigoti vestiti con delle
tuniche! Non ci hai neanche provato!»
«Non potevo!»
Ash fissò l'espressione franca che era apparsa sul volto del marito.
«Non potevo» ripeté Fernando con un sorriso che lo fece sembrare più
vecchio e appesantito. «Me la sono fatta sotto, sono caduto da cavallo e ho
implorato il sergente di non uccidermi. Gli ho dato l'ambasciatore in cam-
bio della mia vita.»
«Tu...»
«Ho avuto paura e ho ceduto» ammise Fernando.
Ash continuava a fissarlo. «Cristo.»
«Non mi sento in colpa.» Fernando si passò una mano sul volto. «E tu?»
«Io...» Ash esitò. Tolse il braccio. «Non lo so. Niente. Suppongo. Sono
un mercenario, non sono uno dei tuoi servitori o il tuo re. Non sono io
quella che hai tradito.»
«Non riesci a digerirlo, vero?» Fernando del Guiz non fece nulla per al-
lontanarsi. «C'erano degli uomini con le balestre. Le quadrelle avevano
delle punte d'acciaio spesse come il mio pollice. Ne ho vista una piantarsi
nell'occhio di Otto e fargli esplodere il cranio. Matthias si teneva le viscere
in mano. C'erano dei soldati con le stesse lance che io ho usato per sventra-
re gli animali durante le cacce, e che volevano fare lo stesso con me. Ero
circondato da pazzi.»
«Soldati» lo corresse Ash, senza neanche pensare, quindi scosse la testa,
meravigliata. «Tutti se la fanno sotto quando si tratta di combattere. An-
ch'io. È successo anche a quell'uomo, Thomas Rochester, e lo stesso vale
per la maggior parte dei miei soldati. Questo è un fatto che omettono sem-
pre nelle cronache. Ma, diavolo, non devi arrenderti quando c'è una possi-
bilità di combattere!»
«Tu non capisci.»
L'espressione intensa del suo volto lo fece sembrare più vecchio. Sono
stata a letto con te, pensò improvvisamente Ash, ma non ti conosco affatto.
«Tu hai il coraggio» continuò Fernando «che io pensavo di avere fino a
quel momento. Ho partecipato ai tornei, a guerre... simulate. Ma è diver-
so.»
«Certo che lo è.» Ash lo guardava senza capire dove volesse andare a
parare.
Si fissarono a lungo in silenzio.
«Vuoi dirmi che ti sei comportato così perché sei un codardo?»
Fernando del Guiz si girò e si allontanò. La luce mutevole delle candele
non le permise di scorgere l'espressione del volto.
Ash aprì la bocca per richiamarlo, ma, non sapendo cos'altro aggiungere,
la richiuse.
Il rintocco delle campane che annunciavano le quattro del pomeriggio
echeggiò sopra il brusio che pervadeva la sala.
«Abbiamo aspettato fin troppo.» Fece un cenno a Rochester e si dimen-
ticò di del Guiz. «Non so dove sia il faris, ma è chiaro che non verrà qui.
Raduna i ragazzi.»
Thomas Rochester trovò un uomo nelle cucine, uno nelle stalle e un al-
tro ancora nel letto di una delle cameriere. Ash mandò Guido a prendere i
cavalli, quindi uscì dalla sala accompagnata da Rochester e Francis, un
balestriere alto e robusto che aveva l'aria di chi non ha bisogno della ma-
novella per caricare la sua arma: forse poteva farlo con i denti. Il cielo era
sempre nero. I nitriti dei cavalli e il battito degli zoccoli sul selciato non
potevano coprire il silenzio che sembrava precipitare dal cielo.
Francis si fece il segno della croce. «Spero nella venuta del Cristo. Sono
le tribolazioni che mi fanno paura, non il Giudizio universale.»
Ash si accorse che sulla protezione del braccio c'erano dei puntini aran-
cione. Il nevischio si era sciolto al caldo della sala e aveva fatto comparire
la ruggine. Borbottò una sfilza di imprecazioni e strofinò l'armatura con
una mano guantata mentre aspettava i cavalli.
«Capitano!» la chiamò un uomo in un latino dal forte accento visigoto.
Ash alzò gli occhi e vide un arif, un comandante di quaranta soldati, con
venti uomini alle sue spalle. Le spade erano fuori dai foderi. Ash fece un
passo indietro, estrasse la sua spada e urlò un ordine a Thomas Rochester.
Sei o sette uomini dotati di usbergo e cotta le piombarono addosso alle
spalle schiacciandola a terra.
Ash batté la fronte contro l'imbottitura della visiera. Si girò di scatto e ti-
rò un pugno alla cieca colpendo qualcosa. Un urlo echeggiò nella via. An-
che l'armatura è un'arma. Piegò il gomito e piantò il puntale che spuntava
dalla piastra di protezione nella carne di uno degli assalitori.
Si dimenò come un'ossessa cercando di piegare le gambe per paura di un
fendente dietro il ginocchio. Due uomini le bloccarono le braccia e urlaro-
no qualcosa. Un attimo dopo altri tre corpi si premettero violentemente
contro il suo, inchiodandola a terra.
Non mi vogliono uccidere.
Non riusciva a sollevare la testa dal fondo stradale coperto di paglia e
insetti morti. Sentì un impatto e un urlo a circa un centinaio di metri da lei.
Avrei dovuto prendere una scorta più nutrita. O mandare via Rochester...
Aumentò la stretta intorno all'elsa della spada, quindi chiuse il pugno si-
nistro facendo sporgere una delle piastre che ricoprivano il guanto e sferrò
un colpo contro quello che le sembrava il volto di un uomo.
Non successe nulla.
Un tallone le premette la mano destra intrappolandole le dita tra l'elsa
della spada e le piastre metalliche dei guanti dell'armatura. L'uomo vi cari-
cò sopra tutto il suo peso schiacciandole l'estremità contro il selciato.
Ash urlò e aprì la mano. Qualcuno allontanò la spada con un calcio.
La punta di una daga scivolò in una fessura della ventaglia e si fermò a
pochissimi centimetri dal suo occhio.

IV

La luna al tramonto bagnava con la sua luce fioca il castello di Basilea e,


più lontano, fuori dalle mura della città, le cime coperte di neve delle Alpi.
I contorni dell'hortus conclusus brillavano a causa del ghiaccio. Ghiac-
cio in piena estate! pensò Ash, prima di ripiombare nel vuoto. Il gorgoglio
di una fontana la risvegliò e udì il clangore metallico di molti uomini in
armatura che camminavano.
Mi hanno tolto la spada, ma ho ancora addosso l'armatura. È chiaro che
intendono trattarmi con un certo riguardo, concluse. Non credo che voglia-
no uccidermi.
«Cosa cacchio sta succedendo?» chiese Ash. La guardia non rispose.
Il piccolo giardino era circondato da una siepe ottagonale. Il prato rasato
scendeva fino a una fontana il cui getto ricadeva nella vasca di marmo.
L'aria era pervasa dall'odore delle erbe. Ash identificò quello del rosmari-
no, del trifoglio e delle rose morte. Sono appassite a causa del freddo e
stanno imputridendo sul gambo, suppose, mentre continuava a camminare
in mezzo alle guardie.
In fondo al prato vide una donna in piedi dietro un tavolo coperto di car-
te. Dietro di lei c'erano tre figure di pietra che tenevano delle torce. Ash
osservò un rivolo di pece bollente che correva lungo il fusto della torcia e
colava sul braccio di un golem senza che questi battesse ciglio.
Le fiamme delle torce illuminavano i capelli argentei della giovane Vi-
sigota.
Ash scivolò sul sottile strato di ghiaccio che ricopriva il vialetto, riprese
l'equilibrio e fissò il faris. Quello è il mio volto, pensò.
È così che mi vedono gli altri?
Pensavo di essere più alta.
«Sei il mio datore di lavoro, Cristo» protestò Ash ad alta voce. «Non era
affatto necessario. Io stessa ti stavo cercando. Bastava parlare e sarei venu-
ta! Perché tutto questo?»
«Perché posso» rispose il generale, alzando gli occhi dalle carte.
Ash annuì pensierosa. Si avvicinò e giunta a un paio di metri dal tavolo,
un arif la fermò allungando un braccio. Ash fece per estrarre la spada, un
gesto automatico in quelle situazioni, ma la sua mano si chiuse intorno al
nulla, quindi decise di immobilizzarsi e tenersi pronta a tutto. «Ascoltami,
generale, sei il comandante di tutta l'invasione, questa dimostrazione di
forza l'ho trovata del tutto inutile.»
Il faris arricciò la bocca in una specie di ghigno. «L'ho creduto necessa-
rio, dato che penso che tu sia piuttosto simile a me.»
Smise di scrivere, si sedette posando una testa d'ottone sulle carte per
impedire che la brezza notturna le facesse volare via, quindi fissò Ash.
«È vero, siamo molto simili» rispose Ash, tranquilla. «Hai voluto sotto-
lineare un concetto. Perfetto. Tutto chiaro, nessun dubbio al riguardo, ma,
adesso: dove sono Thomas Rochester e gli altri miei uomini? Sono feriti o
li hai fatti uccidere?»
«Non crederai che te lo dica? Lo saprai solo quando sarai abbastanza
preoccupata da volermi parlare apertamente.»
Ash la osservò sollevare un sopracciglio: anche lei faceva così in circo-
stanze simili. Ormai aveva la netta sensazione di guardarsi allo specchio e
per un attimo prese in seria considerazione l'idea di trovarsi di fronte a un
demone.
«Stanno bene, ma sono prigionieri» aggiunse il faris. «Mi hanno parlato
benissimo della tua compagnia.»
Il sollievo che provò nel ricevere quelle notizie rischiò di farla venire
meno e per un attimo le si annebbiò la vista.
«Penso che ti divertirai a leggere questo.» Il faris le porse un foglio con
un sigillo di ceralacca. «Mi è stato inviato dal parlamento di Parigi. Mi
chiedono di andare a casa perché sono uno scandalo.»
«Per cosa?» ringhiò Ash.
«Leggi. È divertente.»
Ash fece un passo avanti e allungò una mano. Gli arif si tesero pronti a
intervenire. Portava ancora i guanti dell'armatura. Appena toccò la carta
avvertì l'odore della sua gemella, un misto di sudore e spezie tipico dei
soldati visigoti, che le fece tremare la mano. La vista le si annebbiò nuo-
vamente e si affrettò a fissare il foglio di carta. «Leggi» disse alla gemella.
«'Poiché, per non aver ricevuto il battesimo, non siete stata mondata del
peccato originale, non siete stata sottoposta a nessuno dei sacramenti e non
vi è stato dato il nome di nessuna santa; vi ingiungiamo, perentori, di tor-
nare da dove siete venuta;'» lesse il faris ad alta voce «'non vogliamo che
le nostre regine e le vedove dei nostri nobili abbiano a che fare con una
concubina impura. Né vogliamo che le nostre vergini pure, le nostre mogli
fedeli e le nostre vedove leali siano corrotte dalla presenza di un individuo
che non può essere altro che una sgualdrina di strada o una moglie lasciva:
quindi non entrate nelle nostre terre con i vostri eserciti.'»
«Oh, mio Dio! 'Sgualdrina di strada'!»
L'altra donna rise di gusto. Anch'io rido in quel modo? si chiese Ash.
«È il ragno63 » borbottò Ash, divertita. «Autentico?»
«Certo.»
Ash alzò lo sguardo.
«Di chi sono la bastarda?» chiese Ash.
Il generale visigoto schioccò le dita e disse rapidamente qualcosa in car-
taginese. Uno degli uomini mise uno sgabello di fronte al tavolo e tutte le
guardie arretrarono disponendosi lungo il perimetro della siepe.
Se adesso fossi veramente da sola, potrei essere scambiata per la regina
di Cartagine, pensò Ash.
Si crogiolò per qualche istante nell'idea di colpire la sua gemella (anche
se concepita per proteggere il corpo, l'armatura era sempre un'arma), ma si
ridimensionò rapidamente. Lasciò vagare lo sguardo per cercare di coglie-
re il bagliore delle punte delle quadrelle o delle frecce illuminate dalla luce
delle torce. L'aria fresca della sera le carezzava il volto.
«Questo posto mi ricorda i giardini della Cittadella dove sono cresciuta»
esordì il faris. «I nostri giardini sono molto più luminosi di questi, è ovvio.
Usiamo degli specchi per convogliare la luce.»
Ash si leccò le labbra per cercare di inumidirle. Il punto del giardino in
63
Luigi XI di Francia. I suoi contemporanei lo definirono il 're ragno' a
causa del suo amore per l'intrigo.
cui si trovava era stato ideato per garantire la riservatezza delle chiacchiere
tra le dame di corte; infatti le siepi facevano trapelare ben pochi suoni dal-
l'esterno. Il fatto che il buio del cielo fosse quello naturale della notte e che
i soldati fossero arretrati di qualche metro la fece sentire più a suo agio.
Lentamente stava cominciando a comportarsi come il comandante di una
compagnia mercenaria e non come una ragazza spaventata.
«Sei battezzata?» chiese Ash.
«Certo. Secondo il rito di quella che voi chiamate l'eresia ariana.» Il ge-
nerale allungò un mano. «Siediti, Ash.»
Il fatto di sentire il proprio nome pronunciato quasi dalla sua stessa vo-
ce, ma con un accento visigoto, le fece rizzare i capelli sulla nuca.
Tolse l'elmo e lo posò con gesti lenti e studiati sul tavolo, quindi sollevò
l'ultima parte della maglia di anelli metallici e si sedette sullo sgabello. Il
piastrone frontale e quello dorsale le imponevano una postura dritta e fiera.
«Non è questo il modo per ottenere l'aiuto dei tuoi sottoposti» disse con
aria assente, mentre si calmava. «No davvero, generale!»
La donna di fronte a lei sorrise. Aveva la pelle chiara, solo il volto era
abbronzato, segno che non portava mai un elmo con la ventaglia. Le mani
avevano le unghie ben curate. Anche se l'armatura conferiva a tutti un a-
spetto tozzo, Ash intuì che quella donna doveva avere più o meno la sua
stessa corporatura e per un attimo venne travolta dall'idea di trovarsi di
fronte una persona praticamente identica a lei.
«Voglio vedere Thomas Rochester» disse.
Il faris alzò leggermente la voce e un cancello si aprì. Un soldato sollevò
per qualche attimo una lampada illuminando il mercenario inglese che, a
parte qualche livido ed escoriazione sul volto, sembrava stare bene. Il can-
cello venne richiuso.
«Contenta?»
«Non posso dire di essere proprio felice... Oh, merda!» esclamò Ash.
«Non mi aspetto di piacerti!»
«No» concordò la donna, arricciando gli angoli delle labbra come se
stesse per ridere. «No. Neanch'io mi aspetto di piacere all'altro jund, il tuo
amico, né a tuo marito.»
«Agnello non è un mio amico» si limitò a rispondere, evitando accura-
tamente di affrontare l'argomento Fernando del Guiz. Cominciò a provare
una sensazione familiare. Si trattava di un formicolio che la pervadeva
ogni volta che doveva rinegoziare un accordo buono con gente che era
sempre più potente di lei (altrimenti non sarebbe ricorsa all'aiuto dei mer-
cenari); era un gioco di equilibri, bisognava sapere cosa dire e cosa lascia-
re non detto.
«Come ti sei procurata quegli sfregi?» le domandò il generale. «In batta-
glia?»
Non si tratta di negoziare, pensò Ash. È curiosità pura e semplice. Bene,
una debolezza che può tornarmi utile.
«Quando ero bambina apparve un santo sotto forma di leone.» Ash si
toccò le guance, un gesto che non faceva spesso. «Mi marchiò con i suoi
artigli, facendo vedere a tutti che sarei diventata una leonessa sul campo di
battaglia.»
«Anche tu? Anch'io ho iniziato l'addestramento giovanissima.»
«Di chi sono il bastardo?» domandò nuovamente Ash.
«Di nessuno.»
«Di ness...?»
Il generale visigoto sembrava apprezzare di averla presa alla sprovvista.
Dovremmo essere in grado di capirci a vicenda molto bene, pensò Ash. Ma
è veramente così? Come faccio a saperlo? Potrei anche sbagliarmi.
«Cosa vuol dire: 'nessuno'?» continuò. «Vuoi dire che sono una figlia
legittima? Qual è la mia famiglia?»
«Nessuna.»
La donna la fissò con i suoi occhi scuri e Ash non vi notò nessuna trac-
cia di malizia. Il faris appoggiò le braccia sul tavolo, si inclinò in avanti e
la luce delle torce le illuminò il volto.
«Non sei più legittima di me» le spiegò il generale. «Io sono figlia di
schiavi.»
E allora? pensò Ash. La rivelazione l'aveva scossa a tal punto che non
era riuscita a pensare ad altro. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma
non sapeva cosa.
«Chiunque fossero i miei genitori,» continuò il faris «erano degli schiavi
a Cartagine. I Turchi hanno i Giannizzeri, bambini cristiani sottratti alle
loro famiglie e cresciuti per diventare dei guerrieri fanatici. Mio - padre -
fece qualcosa di simile. Spero che tu non ti aspetti qualcosa di meglio. Mi
dispiace.»
Ash si rese conto che la sua gemella era sincera e smise di pensare a
come portare avanti una trattativa e ai sotterfugi da impiegare. «Non capi-
sco.»
«E perché dovresti? Suppongo che l'amir Leofric non sarebbe contento
di sapere che sto per dirti alcune cose. La sua famiglia ha cercato di alleva-
re un faris da generazioni. Io sono il loro successo. Tu devi essere...»
«Uno scarto» tagliò corto Ash. «È questo che volevi dire?»
Il cuore le batteva all'impazzata e trattenne il respiro. Voleva sentirla
smentire la sua ultima affermazione. Il generale prese un caraffa di vino,
riempì due coppe di legno e ne passò una ad Ash, che l'afferrò con le mani
tremanti. Non sentì nessuna smentita.
«Un piano di allevamento?» ripeté Ash. «Hai detto di avere un padre!»
aggiunse, secca.
«L'amir Leofric. No. Ho preso l'abitudine di chiamarlo in quel modo...
ma non è il mio vero padre, è ovvio. Non si abbasserebbe mai a ingravida-
re una schiava.»
«Non me ne frega niente, per me può anche fottersi un asino» rispose
Ash in tono brutale. «È per questo motivo che volevi vedermi, giusto? Ec-
co perché sei venuta fino a Guizburg anche se stai dirigendo un cacchio di
guerra, vero? L'hai fatto perché sono tua - sorella?»
«Sorella, sorellastra, cugina, chi lo sa? Sei qualcosa. Guardami!» Il ge-
nerale visigoto scrollò le spalle e quando alzò la coppa Ash vide che anche
la sua mano stava tremando. «Non credo che mio padre - questo Lord-amir
Leofric - capirebbe mai perché dovevo incontrarti.»
«Leofric.» Ash fissò con sguardo vuoto la gemella e cominciò a rovista-
re tra i suoi ricordi. «È uno degli amir della corte del califfo-re, giusto? È
un uomo molto potente.»
Il faris sorrise. «La casata dei Leofric è stata legata a filo doppio a quella
dei califfi-re fin dalla notte dei tempi. Siamo stati noi a fornire i messagge-
ri golem e, adesso, un faris.»
«Cos'è successo alle... hai detto che eravamo in tante. Si tratta di un pia-
no. Cosa è successo alle altre come noi? Quante...»
«Suppongo che nel corso degli anni ce ne siano state centinaia. Non ho
mai chiesto.»
«Non hai mai chiesto?» domandò Ash, incredula. Svuotò la coppa senza
accorgersi se il vino era buono o no. «Non c'è nulla di strano per te, vero?»
«No, non ci trovo nulla di strano, ma suppongo che possa sembrarlo se
non sei cresciuta in un certo ambiente.»
«Cosa è successo a quelli che non erano come te?»
«Se non erano in grado di parlare con la macchina64 di solito venivano
64
Nel testo originale viene impiegato il termine latino 'fabricato' che
significa una struttura fatta dagli uomini, ma non necessariamente una
macchina come la intendiamo oggi.
uccisi. Comunque anche se erano in grado di parlare con la macchina c'era
sempre il rischio che potessero impazzire. Non hai idea di quanto mi senta
fortunata per non essere impazzita quando ero bambina.»
Ne sei così sicura? fu il primo pensiero di Ash, poi cominciò a valutare
il significato di quanto aveva appena sentito. «Uccisi?» ripeté, annichilita.
Prima che la gemella potesse rispondere comprese a pieno il significato
della seconda parte della frase.
«Cosa vuoi dire con: 'in grado di parlare con la macchina'? Quale 'mac-
china'?»
Il faris strinse la coppa tra le mani.
«Non mi dire che non hai mai sentito parlare del Golem di Pietra?» in-
dagò la donna in tono sardonico. Ash ebbe il sospetto che la stesse pren-
dendo in giro. «Perché pensi che abbia lasciato circolare quella voce? Vo-
glio che i miei nemici siano terrorizzati all'idea di combattermi. Voglio che
tutti sappiano che in patria ho una grande macchina da guerra 65 con la qua-
le posso parlare ogni volta che mi aggrada. Anche nel mezzo di una batta-
glia, se necessario. Anzi, specialmente nel mezzo di una battaglia.»
Ti sei scoperta, finalmente, pensò Ash. Ecco perché sono qui.
Non perché ti somiglio.
Non perché forse siamo parenti.
Lei sente le voci e vuole sapere se lo stesso succede anche a me.
E cosa se ne può fare di questa verità?
Anche se sapeva che le sue conclusioni potevano essere affrettate, il pa-
nico e l'incertezza le fecero battere il cuore a tal punto che fu felice di in-
dossare la gorgiera, altrimenti la gemella avrebbe potuto scorgere il rifles-
so del suo battito cardiaco nelle pulsazioni della gola.
L'unica sua risorsa in quel momento era comportarsi come aveva sempre
fatto fin dall'età di otto anni ogni volta che si era trovata in situazioni simi-
li: tagliare il legame tra lei e le sue paure e far finta di niente. «Sì, ho senti-
to quella diceria» rispose in tono noncurante. «Ma è solo una voce. Mi
hanno detto che a Cartagine c'è una specie di Testa di Ottone o qualcosa di
65
Il testo latino dell'Angelotti, nella sua breve e oscura menzione di
questo episodio, parla di una machina rei militaris, una 'macchina tattica', e
di una fabricari res militaris', '(qualcosa) fatto per (creato) per la tattica'. Il
'Fraxinus me fecit' parla di una computare ars imperatoria, o, in un
bizzarro misto di latino e greco, di un computare strategoi, 'un computatore
dell'arte dell'imperare' o 'della strategia'. In inglese moderno può essere
tradotto come un 'computer tattico'.
simile. È una testa, giusto?»
«Hai visto gli uomini di terracotta? Lei è il nonno, il loro progenitore. Il
Golem di Pietra. Ma» specificò il generale «la distruzione degli eserciti
italiani e svizzeri non è una semplice 'voce'.»
«Gli Italiani! So che avete raso al suolo Milano solo per impedire i ri-
fornimenti di armature. So tutto: sono stata l'apprendista di un armaiolo
milanese. Tuttavia, devo ammettere che con gli Svizzeri avete fatto un bel
lavoro. Ma perché non dovresti essere brava, visto che sei uguale a me?»
Si bloccò e desiderò di essersi morsa la lingua.
«Sì, sei brava» ammise il faris in tono piatto. «Mi hanno detto che anche
tu senti delle 'voci'.»
«No» disse Ash. «È una bugia bella e buona.» Cercò di ridere. «Chi cre-
di che sia? La Pulzella?66 E adesso cosa mi dirai? Che sono vergine!»
«Niente voci? Si tratta solo di una menzogna utile?» suggerì il generale
in tono mite.
«Beh, è sempre difficile negarlo per me, giusto? Più Divina posso sem-
brare, meglio è.» Ash cercò di essere il più convincente possibile, fingendo
di vergognarsi per essere stata scoperta a raccontare fandonie.
La donna si toccò una tempia. «Comunque, io sono in contatto con la
nostra macchina tattica. La sento. Qua.»
Ash fissò la donna intensamente. Si rese conto di dar l'impressione di
non credere a una parola di quello che sentiva e do considerare il suo inter-
locutore un pazzo. Il suono delle chiacchiere tra i soldati visigoti era appe-
na percettibile. Ash si avvinghiò a ciò che poteva sentire e vedere come se
la sua sanità mentale dipendesse da quelle azioni. Se sono stata allevata
come lei e anche lei sente le voci da una macchina tattica, allora ho scoper-
to la fonte della mia voce, pensò.
No!
Ash sì passò una mano sul labbro superiore e il fiato si condensò sul
guanto. Sentiva che stava per vomitare, aveva l'impressione di essersi al-
lontanata da se stessa. Vide la coppa di vino che tremava e si rovesciava
riversando il contenuto sul tavolo e sulle carte.
Il faris imprecò, scattò in piedi, chiamò qualcuno e ribaltò il tavolo in un
unico movimento. Quattro o cinque ragazzini corsero nel giardino, raccol-
sero i documenti, pulirono il tavolo e asciugarono il vino che era colato
sull'usbergo del generale. Ash fissava la scena con lo sguardo perso nel
nulla.
66
Giovanna d'Arco (AD 1412 - 1431).
Schiavi allevati come soldati, stava pensando. È quello che mi sta dicen-
do? E io non sarei altro che uno scarto che per qualche strano motivo non è
stato ucciso. Oh, Gesù, e io che ho sempre disprezzato gli schiavi...
E la mia voce non è...
Non è cosa?
Non è il Leone? Non è un santo?
Non è un demone?
Cristo, mio dolce salvatore, questo è peggio dei demoni.
Ash chiuse la mano sinistra a pugno facendo sì che la piastra del guanto
premesse contro il palmo della mano. Voleva sentire del dolore per non
svenire. «Mi dispiace. Ero a stomaco vuoto e il vino mi ha dato alla testa.»
Non lo sai, continuava a pensare. Non sai se sentite la stessa cosa.
Ash fissò la mano nel punto in cui la piastra aveva lasciato una striscia
rossa.
L'ultima cosa che voglio in questo momento è continuare a parlare con
questa donna.
Mi chiedo cosa succederebbe se mi limitassi a dirle che anch'io sento
una voce che mi suggerisce la tattica da impiegare in battaglia.
E poi?
Se non conosco la risposta è meglio che non faccia nessuna domanda!
In quei momenti le succedeva spesso di stupirsi del modo in cui il tempo
sembrava rallentare quando la vita veniva scossa in un modo o nell'altro.
Una coppa di vino in un giardino durante una notte di agosto, era un even-
to che veniva dimenticato in fretta. Ora stava registrando tutto, dalle gam-
be dello sgabello che sparivano tra l'erba, lo scorrere delle piastre metalli-
che mentre allungava la mano per prendere la bottiglia di vino, fino al lun-
go e intenso momento prima che i servi finissero di ripulire il generale
visigoto e questi tornasse a concentrare la sua attenzione su di lei.
«È vero» ammise il faris. «Io parlo con una macchina da guerra. I miei
uomini la chiamano il Golem di Pietra. Non è di pietra né si muove come
questi...» Indicò i golem che reggevano le torce con uno scrollone delle
spalle. «... Ma a loro piace quel nome.»
Ash posò la bottiglia con cautela. Meglio che non le dica che anch'io
sento la voce finché non so come potrebbe andare a finire, pensò.
E finché non avrò avuto il tempo di parlarne con Godfrey, Florian e Ro-
berto...
Merda, non posso! Loro pensano che io sia una bastarda, come posso di-
re loro che sono figlia di schiavi?
«A cosa servirebbe una macchina simile?» chiese Ash. «Potrei portarmi
la mia copia di Vegezio67 sul campo e leggerla, ma non mi aiuterebbe a
vincere.»
«Ma se fosse sempre con te, vivo, e tu potessi chiedere consiglio a Ve-
gezio in persona, non pensi che allora potresti vincere?» La donna abbassò
lo sguardo e grattò via qualcosa dalla cotta. «Finirà per arrugginire. Questo
maledetto paese è troppo umido.»
Le torce sibilavano e scoppiettavano in mano ai golem, che rimanevano
immobili come statue. Un filo di fumo che odorava di pino si levava verso
il cielo. L'ultimo quarto di luna stava scomparendo oltre il bordo delle sie-
pi. Ash si sentiva tutta indolenzita. L'arresto era stato piuttosto violento. Il
vino cominciava a fare effetto. Se non sto attenta, pensò, mentre comincia-
va a ondeggiare sullo sgabello, rischio di dirle la verità senza neanche ren-
dermene conto. E poi?
«Sorelle» disse con voce impastata. Lo sgabello scivolò in avanti e Ash
si alzò posando una mano sulla spalla del generale per non cadere a terra.
«Cristo, donna, potremmo essere gemelle! Quanti anni hai?»
«Diciannove.»
Dalla bocca di Ash scaturì una risata tremante. «Beccata. Se sapessi
l'anno in cui sono nata te lo direi volentieri. Devo avere tra i diciotto e i
vent'anni. Forse siamo gemelle. Cosa ne pensi?»
«Mio padre incrociava i vari gruppi di schiavi. Penso che tutte abbiamo
lo stesso aspetto.» Il faris aggrottò la fronte e toccò la guancia di Ash. «Ho
visto qualcun altra di noi quando ero bambina, ma sono tutte impazzite.»
«Impazzite!» Ash sentì una vampata di calore e si accorse di essere ar-
rossita. «Cosa pensi che possa dire alla gente? Cosa devo dire faris? Che a
Cartagine c'è un Lord-amir pazzo che si diverte a incrociare gli schiavi
come se fossero animali e che io sono il risultato di uno di quegli esperi-
menti?»
«Potrebbe sempre essere una coincidenza» cercò di rassicurarla il gene-
rale. «Forse ci sono delle probabilità...»
«Oh, al diavolo, donna! Siamo gemelle!»
Ash fissò gli occhi della ragazza che si trovavano alla stessa altezza dei
suoi, poi si concentrò sulla curva delle labbra, sulla forma del naso e del
mento: era una donna straniera dai capelli chiari, la pelle abbronzata e una
67
De Rei Militari, scritto dal romano Vegezio, divenne il manuale
d'addestramento alla guerra lungo tutto il tardo Medio evo e il primo
Rinascimento.
voce che lei pensava fosse simile alla sua, o almeno credeva che agli altri
potesse fare lo stesso effetto.
«Vorrei non averlo saputo» disse Ash, secca. «Se è vero, allora vuol dire
che non sono una persona. Sono un animale. Uno scarto. Posso essere
comprata o venduta da chiunque senza avere voce in capitolo perché così è
stabilito dalla legge. Anche tu sei come una bestia da tiro. La cosa non ti
preoccupa?»
«Non mi hai detto niente di nuovo.»
Quella frase pose fine a ogni speculazione. Ash strinse la spalla della
gemella con una mano e si allontanò. Barcollava, ma riusciva ancora a
rimanere dritta. Le alte siepi dell'hortus conclusus la allontanavano dal
mondo e Ash rabbrividì malgrado l'armatura fosse imbottita.
«Non importa per chi combatto» disse. «Ho firmato un contratto con te e
suppongo che questo non sia abbastanza per romperlo, sempre che anche
gli altri miei uomini stiano bene. Sai già che sono brava anche se non
quanto il tuo 'Golem di Pietra'.»
Aveva mentito male, se fosse stata in una recita non avrebbe ingannato
nessuno, ma Ash sentiva che non poteva fermarsi, quindi continuò.
«So che avete raso al suolo una mezza dozzina delle città commerciali
più importanti dell'Italia, so che avete spazzato via gli Svizzeri e così fa-
cendo avete spaventato Federico e i Tedeschi al punto da costringerli ad
arrendersi. So anche che il sultano di Costantinopoli non si aspetta dei
problemi da voi perché il vostro esercito serve per conquistare questa parte
d'Europa.»
Fissò il volto del generale per vedere se tradiva qualche emozione, ma i
lineamenti del faris immersi nel chiaroscuro creato dalle torce rimasero del
tutto impassibili.
«Anzi, per conquistare la Borgogna, almeno così ha detto Daniel de
Quesada, ma io credo che volesse intendere anche la Francia. E poi? Chi
altro? I rosbif? Finirete per essere troppo sparpagliati anche se siete in tan-
ti. So quello che faccio, perché lo faccio da sempre, lasciami in pace. Chia-
ro? E un giorno, quando non sarò più sotto contratto con te, farò in modo
che il tuo Lord-amir Leofric sappia esattamente cosa ne penso del suo al-
levamento di bastardi.»
... E questo vale per tutti, concluse mentalmente Ash. Quanto siamo u-
guali? È in grado di capire quando mento? Per quello che ne so tutti po-
trebbero prendere quello che ho detto per una spacconata, figuriamoci una
sorella che non sapevo di avere.
Cazzo. Una sorella.
Il generale prese la testa d'ottone da terra, la pulì e la rimise sul tavolino
accanto all'elmo di Ash. «Mi piacerebbe tenerla come mio luogotenente.»
Ash aprì la bocca per rispondere, poi si rese conto che il faris aveva det-
to 'tenerla' e non 'tenerti'. Il fatto che avesse parlato in quel modo e che
avesse lo sguardo come appannato le provocarono una fitta allo stomaco.
Non stava parlando con lei.
Cadde in preda al panico.
Ash fece due passi all'indietro, scivolò sull'erba gelata, rimase in piedi
per miracolo, ma colpì il bordo della fontana con la schiena. Il piastrone
dorsale scricchiolò e sentì un sapore metallico in bocca. Cominciò ad ar-
rossire come un peperone, come se fosse stata scoperta a fare sesso in un
luogo pubblico. Non è vero, non lo è mai stato! pensò. Non avrei mai pen-
sato di vedere qualcun altro che lo faceva!
I golem la fissavano da in fondo al prato. Il più vicino ad Ash aveva una
ragnatela che partiva dal braccio e terminava su una siepe. La giuntura del
gomito era coperta da un sottile strato di ghiaccio. Ash fissò il volto ovoi-
dale della macchina.
«Ma vorrei usare lei e la sua compagnia adesso, non dopo» protestò il
faris.
Non sta parlando con me, si disse Ash. Si sta rivolgendo alla voce.
«Abbiamo un contratto» bofonchiò Ash. «Dobbiamo combattere per te.
Gli accordi sono questi!»
Il generale incrociò le braccia sul petto continuando a fissare le costella-
zioni che splendevano sopra Basilea. «Se è un ordine, allora non mi resta
che ubbidire.»
«Non ci credo che senti le voci! Sei solo una fottuta pagana! È tutta una
messa in scena!» Cercò di raggiungere la donna, ma scivolò nuovamente e
finì carponi. «Mi stai fregando! Non è vero!»
Stava continuando a protestare in maniera sconnessa perché non voleva
sentire la sua voce interna per paura che la sua gemella potesse accorger-
sene.
Il flusso continuo delle sue parole e la concentrazione che si era imposta
per non sentire la voce, non le permisero di seguire tutto il dialogo che la
faris stava conducendo con il nulla.
«La manderò a sud con la prossima galera.»
«No!» Ash si alzò in piedi con cautela.
Il generale visigoto abbassò lo sguardo.
«Mio padre Leofric vuole vederti» disse. «Tra una settimana sarai a Car-
tagine. Non ci vorrà molto, sarai di ritorno prima che il sole sia entrato
nella Vergine68 . Saremo un po' più a nord, ma io posso continuare a usare
la tua compagnia. Rimanderò i tuoi uomini al campo.»
«Baise mon cul!69 » sbottò Ash.
Si era trattato di un riflesso puro e semplice: come a nove anni aveva
giocato a fare la mascotte del campo, ora che ne aveva diciannove giocava
a fare il capitano mercenario che bluffava. Sentiva la testa che le girava.
«Non era previsto nel contratto! Se porti i miei uomini sul campo ti co-
sterà parecchio. E se vuoi mandarmi fino in Nord Africa nel bel mezzo di
una guerra...» Ash cercò di scrollare le spalle. «Anche questo non era pre-
visto dal contratto.»
E appena mi togli gli occhi di dosso, io me ne vado, pensò.
Il generale visigoto prese l'elmo di Ash dal tavolo e vi passò sopra una
mano, quindi batté le nocche contro il metallo con aria pensierosa e chiuse
la visiera.
«Darò alcuni di questi ai miei uomini.» Accennò un sorriso. «Ho fatto
radere al suolo Milano solo dopo averla svuotata.»
«Non c'è niente di meglio delle armature milanesi. Anche quelle degli
Asburgo non sono male, ma non penso che tu abbia lasciato molte fonderie
nel sud della Germania.» Ash si riprese l'elmo. «Fammi sapere quando
vuoi che mi imbarchi. Sono al campo.»
Per un secondo ebbe l'impressione di avercela fatta. Pensava che le sa-
rebbe stato permesso di uscire dal giardino, attraversare la città e rinchiu-
dersi nel suo campo in mezzo a ottocento uomini armati fino ai denti, per
poi poter dire ai Visigoti di andare in quello che la loro religione ariana
considerava l'inferno.
«Cosa devo fare con una persona che mio padre vuole vedere, ma che
non credo rimanga a disposizione se la lascio andare?» chiese il faris a
voce alta.
Ash non disse nulla, ma in lei scattò qualcosa. Era come un riflesso con-
dizionato e un attimo dopo si ritrovò ad ascoltare passivamente una voce
che le era fin troppo familiare.
«Privala delle armi e dell'armatura. Tienila sotto stretta sorveglianza.
Falla scortare immediatamente alla nave più vicina.»

68
Il 24 agosto.
69
Francese: 'baciami il culo'.
V

Un nazir 70 e i suoi uomini la presero in consegna e la condussero fuori


dai giardini del castello fino a un edificio di tre piani che Ash riconobbe,
grazie alle indicazioni dei suoi esploratori, come il quartiere generale dei
Visigoti a Basilea.
Oltre il frontone dell'edificio le stelle venivano lentamente inghiottite
dall'oscurità. L'alba era vicina.
Ash non fece nessun tentativo di fuggire. La maggior parte dei soldati
che la stavano scortando era giovani quanto lei e possedevano dei corpi
snelli e muscolosi. Guardò i loro volti mentre la facevano entrare nel quar-
tier generale e concluse che se non fosse stato per le divise visigote avreb-
bero potuto essere tranquillamente scambiati per membri della sua compa-
gnia.
«Va bene, va bene!» disse Ash fermandosi. «I quasi quattro marchi che
ho nel mio borsellino vi garantiranno una bella bevuta e dopo potrete dirmi
come stanno i miei uomini» concluse, sfoderando un sorriso.
I due soldati che la trattenevano la lasciarono andare e Ash cominciò a
cercare il borsellino con le mani che le tremavano. Il nazir, che doveva
avere più o meno la sua stessa età, disse: «Puttana mercenaria.»
Ash non ci fece caso. Beh dovevo essere così o come il doppio del no-
stro capo! Comunque mi trattano come un demone...
«Fottuta sgualdrina franca» aggiunse71 .
Delle guardie e dei servitori con candelabri entrarono nella stanza. Ash
sentì una mano che le tirava la cintura e seppe con certezza che non avreb-
be mai più trovato il suo borsellino. Qualcuno urlò degli ordini in cartagi-
nese e lei venne spinta verso il retro della casa attraverso stanze piene di
uomini armati fino ai denti, giù per un corridoio dal pavimento in pietra
fino a una piccola stanza con una porta di quercia spessa due centimetri e
chiusa con una pesante sbarra. C'era solo una finestra larga una trentina di
centimetri.
Due paggi visigoti la fissarono con aria solenne facendole capire che e-
70
'Nazir': comandante di una squadra di otto uomini, l'equivalente di un
moderno caporale. Era probabilmente subordinato a un 'arif: un
sottufficiale che comandava un plotone di quaranta individui menzionato
poco sopra.
71
'Franco' è il termine con il quale gli Arabi di quel periodo indicavano
gli abitanti del Nord Europa.
rano venuti ad aiutarla a togliersi l'armatura. Ash non protestò e quando
ebbero finito fece richiesta di una tunica o qualcosa di simile, ma non servì
a nulla.
La porta di quercia si chiuse e sentì il rumore della sbarra che veniva fat-
ta scivolare nella sua sede.
Una candela colava cera sul candelabro posato a terra.
Cominciò a esaminare la stanza camminando a piedi nudi sul pavimento
freddo. La stanza era spoglia, non c'erano né un tavolo né un letto e la fi-
nestra aveva le sbarre.
«Stronzi!» Sapeva che se avesse dato un calcio alla porta si sarebbe fatta
male, quindi la percosse con il palmo della mano. «Fatemi vedere i miei
uomini!»
La sua voce echeggiò contro le pareti.
«Fatemi uscire, coglioni!»
La porta era talmente spessa che una guardia, ammesso che l'avessero
lasciata, non avrebbe potuto sentirla. Usò lo stesso tono di voce che impie-
gava sul campo di battaglia per dare gli ordini.
«Succhiacazzi! Posso pagare il riscatto, Cristo! Fatemi mandare un mes-
saggio.»
Silenzio.
Ash stirò le braccia sopra la testa e massaggiò i punti dove la corazza le
aveva irritato la pelle. Le mancavano così tanto la spada e le sue protezioni
metalliche che aveva l'impressione di sentirsele ancora addosso. Arretrò e
si sedette sul pavimento a fianco della candela lasciandosi scivolare con la
schiena contro la parete.
Le mani le formicolavano. Aveva l'impressione che il sangue fosse di-
ventato freddo come l'acqua di un ruscello di montagna. Strofinò le mani.
Una parte della sua mente continuava a dirle che non era vero, che quella
non era la vita reale. Sei un soldato di scarto, ecco tutto, pensò. È solo una
coincidenza. Forse tuo padre era un nazir visigoto qualunque che ha com-
battuto per il Grifone d'Oro e tua madre era una puttana. Ecco tutto: niente
di straordinario. Sei solo uguale al faris.
La parte stupefatta della sua mente continuava a ripeterle che anche il
generale sentiva la voce.
«All'inferno» sbottò Ash ad alta voce. «Non può tenermi prigioniera. Ho
un cacchio di contratto con quella donna. Cristo Verde. Non andrò a Car-
tagine. Possono anche...»
Non voleva pensarci. Cercò di farsene una ragione: presto l'avrebbero
portata in Nord Africa, ma non ci riuscì, i suoi pensieri la conducevano
sempre altrove impedendole di concentrarsi su quell'eventualità. È come
cercare di radunare le anguille in branco, pensò Ash, ridacchiando.
Forse il Leone non era mai venuto. No, quello era successo, era stato il
prete a fare il miracolo.
Forse non mi è successo nulla quel giorno.
Forse ho raccontato la storia della cappella a modo mio così tante volte
che ho finito per crederci.
Aveva freddo. Si rannicchiò e mise le mani sotto le braccia per scaldarle.
La faris era stata allevata per ascoltare una macchina tattica.
È la mia stessa voce.
E io cosa sono? Una sorella? Una cugina? Qualcosa? Gemelle.
Sono solo qualcosa che hanno scartato dal loro progetto.
E tutto quello che faccio è... origliare.
Che sia proprio così? Uno scarto che sta fuori dalla porta intenta ad ori-
gliare le risposte da una macchina da guerra e a usarle per piccole e brutali
guerre che il potente impero visigoto non nota nemmeno...
Volevano un faris, ma anche lei è una schiava.
Rimase seduta da sola senza cibo e acqua, intenta a osservare il fumo
della candela che, simile all'inchiostro spruzzato da una seppia, si levava
nell'aria per confondersi con le ombre che popolavano il soffitto. Il battito
del suo cuore sembrava scandire i minuti e le ore.
Ash si cinse le ginocchia con le braccia e vi seppellì la testa. Sentiva
qualcosa di umido e caldo sulla pelle del viso. Dopo una ferita sul campo
si cade preda di una sorta di stordimento. Anche se alle volte ci vuole pa-
recchio tempo prima che succeda, tale reazione è inevitabile. Ora stava
cominciando a provarlo e sapeva bene che Fernando del Guiz non sarebbe
mai corso a liberarla da quella stanza angusta.
Si asciugò il naso con la manica. Il pagamento di un riscatto, un atto di
pietà o la violenza non l'avrebbero fatta uscire di prigione; almeno, non per
il momento.
Aveva annullato il matrimonio impostole dall'imperatore e lui se n'era
liberato alla prima occasione.
Le faceva male il petto. Stava per mettersi a piangere, ma non se lo con-
cesse. Alzò il volto e fissò la candela.
La presenza di Fernando nella sala del municipio prima della mia cattura
non è stata una coincidenza, pensò. Era per confermare dov'ero. Per loro.
Per lei.
Beh, l'hai avuto, te lo sei scopato: hai ottenuto quello che volevi e ora sai
che è un gran codardo. Qual è il problema?
Non volevo solo scoparmelo.
Dimenticalo.
La candela si ridusse a un moncherino.
Sono in prigione.
Questo non è un romanzo di Artù o Peredur. Non sto per scalare i muri,
sconfiggere i soldati a mani nude e cavalcare sotto il sole splendente. La
prima cosa che infliggono ai prigionieri di guerra è il dolore, poi vengono
le torture, infine un funerale senza i sacramenti e una tomba senza nome.
Sono nella loro città. Sono i padroni di tutto.
Sentì un disturbo al basso ventre. Posò le braccia sulle ginocchia e tornò
ad adagiarvi la testa.
Probabilmente si aspettano un tentativo di salvataggio da parte della mia
compagnia. Presto. Un attacco condotto senza i cavalli da guerra perché
non vanno bene in queste strade.
Meglio che stia calma.
Il suono più assordante che avesse mai sentito fece tremare la casa.
Si paralizzò e un attimo dopo si buttò sul pavimento riconoscendo im-
mediatamente il rumore. Cannoni.
I nostri!
Il cuore le balzò in gola e gli occhi le si riempirono di lacrime. Avrebbe
potuto baciare i piedi dei suoi soldati. Udì un secondo boato e il tonfo del-
l'esplosione echeggiò contro il tetto.
Per un lungo istante le sembrò di essere tornata in una di quelle gole tra
le montagne dove il rumore dei torrenti è così forte da coprire il suono
della voce, poi l'oscurità e la polvere vennero maculate dalle fiamme delle
torce tenute dai mercenari che si facevano strada tra le macerie e i corpi
dei soldati.
La polvere cominciò a posarsi a terra. La parete della sua prigione che
affacciava sull'esterno era scomparsa.
Una grossa trave si spezzò e cadde come un albero abbattuto. Pezzi di
intonaco le sporcarono il volto.
Fuori dalla breccia c'erano due carri e due cannoncini posati a terra con
le bocche ancora fumanti. Ash socchiuse gli occhi e vide Angelotti che si
avvicinava a lei a grandi passi con un sorriso stampato sulle labbra.
«Abbiamo distrutto il muro! Vieni!» le urlò.
L'ultima fila di case della città formava con i suoi muri una parte della
cinta difensiva, quindi gli uomini di Ash oltre a liberarla dalla prigione
avevano aperto un vistoso varco nelle difese dell'abitato.
Oltre le mura c'erano i campi, le colline e i suoi uomini che si muoveva-
no gridando il suo nome sia come grido di battaglia sia per farsi riconosce-
re. Ash avanzò incespicando tra le macerie. Il boato dell'esplosione l'aveva
intontita, le fischiavano le orecchie e aveva qualche problema d'equilibrio.
Rickard le tirò una manica del vestito tenendo i finimenti di Godluc
nell'altra. Ash afferrò le redini e premette per un attimo il volto contro i
fianchi del cavallo. Una quadrella colpì la parete sollevando una pioggia di
frammenti. Una fiumana di uomini vestiti di bianco stava avanzando tra le
macerie.
Ash balzò in sella a Godluc. Il vestito che indossava non l'avrebbe pro-
tetta come la sua armatura. Un uomo le saltò addosso, la afferrò per la vita
e la tirò giù da cavallo.
Non sentì nessun colpo.
Era successo qualcosa.
Quello che vedeva davanti ai suoi occhi non era lo stendardo del Leone
Azzurro, ma qualcosa di piatto e dorato. Sentì il gelo che le pervadeva il
corpo.
C'erano dei piedi su entrambi i lati del suo corpo e delle caviglie rivestite
con delle piastre di metallo. Erano di fattura europea, non visigota. Un
lampo le balenò davanti agli occhi e qualche attimo dopo qualcosa di umi-
do le colò sulla guancia. Un urlo atterrito la assordò; era il grido di un uo-
mo devastato in un istante dal fendente di una spada, che vedeva la sua
vita riversarsi sui detriti intorno a lui. Udì un altro uomo urlare: «Mio Dio,
mio Dio, no, no...» e poi «Cristo, cos'ho fatto. Cos'ho fatto, Cristo, fa ma-
le» e altre urla ancora.
Floria imprecava in lontananza. La donna le fu subito vicino e prese a
tastarle il cranio. Ash non ne sentiva più una parte. «Non ha l'elmo né
l'armatura...»
Un altra voce maschile disse «Portala fuori dal casino...»
Ash si sentiva cosciente anche se non poteva ricordare quello che era
successo un attimo primo. I cavalli da guerra lanciati al galoppo, le salve
degli archibugieri e la corsa sotto la luna.. Era stata legata a una barella,
ma quanto tempo prima era successo? Stava urlando. Anche gli altri urla-
vano. Qualcuno la stava caricando su un carro in mezzo a un convoglio
che viaggiava lungo una strada fangosa.
Una benda sugli occhi le impedì di vedere la luna. Tutto intorno a lei i
carri si muovevano trainati dai buoi e il ragliare dei muli si mischiava con
gli ordini e il rivolo di olio caldo che le colava lungo la fronte: Godfrey
Maximillian aveva indossato la cappa verde e le stava impartendo l'Estre-
ma Unzione.
Era troppo. Lasciò che tutto scivolasse via da lei: gli uomini armati, il
campo che veniva smontato e tutti gli altri rumori.
Floria le teneva la testa tra le dita sporche. Ash vide delle macchie di
grasso che le sporcavano i polsini della camicia.
«Non ti muovere» le ordinò il chirurgo. «Rimani immobile!»
Ash inclinò la testa di lato, vomitò, lanciò un urlo, quindi cercò di rima-
nere il più possibile ferma malgrado il dolore alla testa. Si sentiva preda di
una strana forma di stordimento. Osservò Godfrey inginocchiato al suo
fianco che pregava con gli occhi aperti.
Il tempo era diventato solo vomito, dolore, i sobbalzi del carro sulla
strada sconnessa, la luce della luna, il giorno sempre buio, la luna coperta
dalle nuvole, l'oscurità e la notte.
Si risvegliò senza sapere se erano passate ore o giorni dalla sua libera-
zione e scoprì di versare in uno stato sognante che comunque le permette-
va di avere un contatto con il mondo esterno. Udì un borbottio diffuso se-
guito da un'esclamazione che passava di bocca in bocca per tutta la com-
pagnia. Qualcuno stava gridando. Godfrey si tenne a una delle sponde del
carro e sporse la testa fuori. Rickard sedeva a cassetta.
Finalmente Ash riuscì a distinguere un nome. Borgogna. Il più potente
tra i regni, ripeté mentalmente. Aveva rivelato la sua intenzione di recarsi
in Borgogna a Robert Anselm, subito prima di entrare a Basilea.
Udì il suono delle trombe.
Qualcosa brillò davanti ai suoi occhi. Sono alle porte del purgatorio,
pensò Ash. La luce inondò l'interno del carro illuminando le venature del
legno e fece risaltare il volto di Floria del Guiz che armeggiava con le ma-
ni tra i contenitori d'erbe mediche, i divaricatori, i bisturi e le seghe che
teneva nella sua borsa di chirurgo.
Non era la luminosità stentorea della luna. Era una luce gialla e forte.
Ash cercò di muoversi, ma emise un lamento e sentì la bocca che le si
riempiva di saliva. La grossa mano di un uomo le premette sul petto facen-
dola sdraiare. La luce le permise di vedere lo sporco tra le pieghe della
pelle. Godfrey non la stava guardando in volto.
Una luce calda brillava sulla pelle rosea e sulla barba del prete e poté
vedere nei suoi occhi il riflesso di quella luminosità crescente.
Improvvisamente qualcosa separò la barella dal fondo del carro. Vide
un'ombra calare sul suo corpo. La luce splendeva sulla coperta che le av-
volgeva le gambe e sobbalzava a ritmo con il carro. Era un raggio di sole.
Cercò di alzare la testa, ma non ci riuscì. Poteva muovere solo gli occhi.
Dal retro spalancato del carro erano visibili una miriade di colori.
Sentì gli occhi che le si riempivano di lacrime. Riuscì a mettere a fuoco
un collina lontana sulla quale spiccavano le mura bianche di una città forti-
ficata. Il profumo delle rose, del miele e l'afrore pungente dello sterco di
vacca la raggiunsero e le pervasero le narici.
Il sole.
Fu colta da un'ondata di nausea e vomitò riversando un rivolo di liquido
maleodorante sul mento. Il dolore che provava per la frattura al cranio le
fece lacrimare nuovamente gli occhi. Sebbene agonizzante e terrorizzata
dal dolore, riusciva solo a pensare al sole che stava vedendo.
Uomini induriti da dieci anni di massacri sui campi di battaglia si getta-
rono in ginocchio a battere il terreno con le mani seppellendo il volto nel-
l'erba umida. Donne che non facevano differenza tra cucire una ferita e un
vestito li imitarono. I cavalieri balzarono giù dalle selle. Erano tutti a terra
immersi nella luce calda del sole e cantavano: 'Deo gratias, Deo adiuvan-
te, Deo gratias72 !'

72
Latino: 'Grazie Dio', 'con l'aiuto di Dio'.
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ask: La storia perduta
della Borgogna (Ratcliff, 2001), British, Library.

Messaggio: #47 (Anna Longman)


Oggetto: Ash: scoperte archeologiche
Data: 09/11/00 ore 00,03
Da: Ngrant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Anna — ancellati

Prima di tutto voglio scusarmi per essere sparito per due giorni. Qui so-
no sembrati poco più che minuti! Sono successe un mucchio di cose e c'è
una troupe televisiva che sta cercando di entrare. Grazie all'aiuto delle au-
torità locali. Il dottor Isobel ha creato un formidabile cordone di sicurezza
intorno al sito. È probabile che tu non abbia visto niente di tutto ciò in te-
levisione. Se fossi in Isobel non sarei così felice di avere tutti questi soldati
che ronzano intorno al sito. Quando penso a quello che potrebbero distrug-
gere inavvertitamente mi si gela il sangue nelle vene e non solo in senso
figurato.
Prima di continuare *devo* scusarmi per le cose che ho scritto giovedì
riguardo il dottor Napier-Grant. Io e Isobel siamo amici da molti anni, ma
c'è sempre una certa distanza tra noi. Temo che il mio entusiasmo riguardo
le scoperte mi abbia ridotto a un idiota farneticante. Spero che tu consideri
tutto ciò che ho scritto come confidenziale.
Non dispongo delle conoscenze tecniche che Isobel ha nel campo del-
l'archeologia, ma lei vuole che rimanga e le fornisca notizie storiche sul
tardo quindicesimo secolo. Lei è una specialista del periodo classico e quei
manufatti risalgono al Medio Evo. Il golem 'messaggero' è stato esaminato
con strumenti avanzatissimi e posso assicurarti, Anna, che questa cosa un
tempo camminava.
Non so dirti *come*, però.
Non abbiamo trovato ancora una fonte propulsiva o qualcosa che gli
somigli. Isobel e la sua squadra sono perplessi. Lei non può credere che la
descrizione dei golem riportata negli scritti su Ash sia solo una coinciden-
za o una favola medievale. Non ci vuole proprio credere.
Anch'io sono confuso. In un certo senso non avremmo dovuto trovare
quello che abbiamo scoperto in questo luogo. Certo, ho tra le mani la pro-
va di un insediamento tardo gotico sulla costa del Nord Africa, ma ho
sempre saputo che i riferimenti a Cartagine riportati sui manoscritti non
erano solo una licenza poetica. NON C'È CARTAGINE! Dopo le guerre
puniche, Roma cancellò Cartagine dalla faccia della terra. Cartagine e i
Cartaginesi smisero di esistere nell'anno 146 AC. Il successivo insedia-
mento romano che sorgeva sullo stesso punto, chiamato dai Romani stessi
Cartagine, venne distrutto dalle invasioni dei Vandali, dei Bizantini e degli
Arabi nell'ultima parte del settimo secolo DC e le rovine che ora si trovano
fuori Tunisi sono solo una bella attrazione turistica.
'Delenda est Cartago' come usava dire Catone durante le sedute del Se-
nato romano ogni volta che gli si presentava l'occasione: 'Cartagine deve
essere distrutta'. E così fu. Due generazioni dopo che l'armata cartaginese
guidata da Annibale era stata spazzata via da Scipione a Zama, Roma ave-
va deportato gli abitanti di Cartagine, dopodiché aveva demolito la città,
fatto arare il terreno per poi ricoprirlo di sale affinché non potesse crescer-
vi più nulla - un po' eccessivo, forse, ma a quel punto della nostra storia si
trattava di avere un impero romano o un impero cartaginese e i Romani, in
quanto vincitori, fecero in modo di non avere più problemi da quella zona.
La storia cancella tutto. Fino a dieci anni fa non eravamo certi che le ro-
vine che si trovavano sulla costa vicino a Tunisi fossero quelle di Cartagi-
ne! Io devo supporre che la spedizione visigota giunta dall'Iberia si fermò,
proprio come i Romani prima di loro, in un luogo chiamato Cartagine che
si trovava a una distanza ragionevole dal sito originale. Se questo è succes-
so solo nell'Alto Medio Evo, allora è probabile che ci siano dei riferimenti
nelle cronache del tempo e io intendo vagliare con molta attenzione le fon-
ti islamiche in cerca di prove.
La mia teoria rimane la stessa. E ora ho una prova inconfutabile della
sua veridicità!

— Pierce

——————————————————————————————

Messaggio: #48 (Anna Longman)


Oggetto: Ash: progetti per i media
Data: 09/11/00 ore 00,27
Da: Nagrat@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli ancellati
Anna —
Scusa, ho dimenticato di controllare la posta!
Isobel ha appena scaricato la tua e-mail e ha trovato molto interessante
la tua proposta ed è rimasta molto compiaciuta di come la descrivi. Ha
detto: 'Questa donna mi fa somigliare a Margaret Rutherford!' Hai ragione,
malgrado abbia solo quarantuno anni e una predilezione per le commedie
in bianco e nero *somiglia* a Margaret Rutherford. (Fortunatamente per
noi, Isobel è più chic.)
Stiamo decidendo cosa è meglio fare, data una certa tensione tra l'effetto
riduttivo che la televisione esercita sulla ricerca scientifica e l'indubbia
pubblicità per l'archeologia e la letteratura. E, se posso essere onesto, stia-
mo discutendo dell'attrazione che la pubblicità esercita su di me. Non vor-
rei perdere i miei quindici minuti di gloria, per niente al mondo. Special-
mente se penso che qualcun altro mi pagherebbe per il privilegio. Credo
che riceverò un compenso di qualche tipo, giusto?
Isobel desidera considerare le possibilità e consultarsi con il suo team.
Dovrei essere in grado di scriverti qualcosa già tra qualche ora. Ora che
riesco a capire come funziona INTERNET ti spedisco la prossima sezione
di 'Ash'. Leggila, mentre noi continuiamo a cercare.

— Pierce

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Messaggio: #49 (Anna Longman) Forse un messaggio?


Oggetto: Ash: progetti. – Copia mancante
Data: 02/11/00 ore 20,55
Da: Longmant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Ms Longman — cancellati

Provo una certa riluttanza a parlare con il suo comitato editoriale in tele-
conferenza. Le linee telefoniche non sono buone e ho i miei seri dubbi che
siano sicure. Le verrò a parlare di persona appena potrò allontanarmi dal
sito. Le sarei grata se potesse mettermi in contatto con un'associazione di
agenti letterari o televisivi, ammesso che ne esista una. La mia Università è
in grado di entrare nelle trattative.
Non vedo nessuna ragione per la quale non dovremmo raggiungere un
accordo. Il metraggio della nostra squadra addetta alle riprese è stato spe-
dito per via digitale al mio dipartimento all'università di.......... e lo stanno
analizzando. Le suggerisco di mettersi in contatto con il mio dirigente di
dipartimento, Stephen Abawi, per accordarvi su come usare i filmati e per
pubblicizzare il lavoro del dottor Ratcliff.
Seguendo un suggeriemento del dottor Ratcliff, sto incoraggiando il
team addetto alle riprese a filmare anche ciò che 'circonda' la nostra sco-
perta archeologica. Intendo parlare di come la vivono i singoli componenti
della spedizione. Non sarà una sezione molto lunga perché i soldati di
guardia non amano farsi riprendere neanche dietro un piccolo compenso in
denaro. Comunque sono d'accordo con il dottor Ratcliff che quel materiale
sarà comunque utile per un documentario su quanto è successo qua.
È possibile che io e il dottor Ratcliff collaboriamo alla stesura di un testo
per il documentario. Sto pensando di usare delle citazioni dal vecchio ma-
teriale edito su Ash. Conosce l'edizione del 1890 di Charles Mallory Ma-
ximillian?

... la grande ruota medievale della Fortuna è sempre in movimento; la


dea Fortuna è sempre all'opera per sollevare un uomo dalla povertà, inco-
ronarlo re e scagliarlo nella follia e nell'oscurità che albergano sotto la ruo-
ta, ovvero la morte e l'oblio. Nel 1477, la Borgogna sparisce dalla storia e
dai ricordi sul campo di Nancy. Giace fredda e immota come il cadavere
gelato di Carlo l'Intrepido, uno dei più fulgidi principi della Cristianità, il
cui corpo decapitato era stato straziato e martoriato a tal punto che i nemici
pensarono per due giorni che fosse quello di un contadino soldato. Ricor-
diamo un regno d'oro. Tuttavia, la ruota della storia gira, e il passato si
perde...
Qui sulla costa della Tunisia la Ruota ha ripreso a girare.

— Salve. Napier-Grant

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Messaggio: #63 (Pirce Ratcliff)


Oggetto: Ash: documenti
Data: 10/11/00 ore 13,55
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli ancellati
Pierce —

Ringrazia il dottor Napier-Grant per la sua e-mail.


Le tue notizie riguardo il golem messaggero sono stupefacenti. Non so
neanche bene come usarle. Te lo dico perché non sono sicura su cosa far-
ne.
Voi avete trovato il golem.
Io ho perso il manoscritto dell'Angelotti.

— Anna

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Messaggio: #50 (Longman)


Oggetto: Ash:
Data: 10/11/00 ore 14,38
Da: Ngrant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Anna — cancellati

Non capisco. Come hai fatto a PERDERE il testo dell'Angelotti? È cu-


stodito in una delle quattro maggiori collezioni di libri al mondo! Spiegati
meglio!

— Pierce

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Messaggio: #66 (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash:
Data: 10/11/00 ore 14,51
Da: Longmant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Pierce — cancellati
No. Non è scomparso.
Volevo controllare di persona le notizie sull'invasione dimenticata di cui
parli.
Se non fossi a Tunisi con il dottor Grant - e se quello che avete trovato
non fosse un golem - avrei già bocciato il tuo libro. Davvero. NON ESI-
STE NESSUN MANOSCRITTO DELL'ANGELOTTI!
Il problema non è rappresentato da un'invasione dell'Europa da parte dei
Visigoti spazzata sotto il tappeto della storia.
Il PROBLEMA è che volevo consultare il manoscritto dell'Angelotti di
persona e ho telefonato al Metropolitan Mueseum of Art e al Glasgow Mu-
seum.
Quest'ultimo non ha più una copia latina del manoscritto attribuito ad
'Antonio Angelotti'.
Sia la British Library che il Metropolitan Museum ora lo classificano tra
le Letteratura Romanza del Medio Evo. È un ROMANZO, Pierce!
COSA STA SUCCEDENDO?

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Messaggio: #54 (Longman)


Oggetto: Ash/Agelotti
Data: 10/11/00 ore 16,11
Da: Ngrant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Anna — cancellati

Ho contattato Bernard al Glasgow Museum. Mi ha detto che non sa dove


sia il testo dell'Angelotti, non lo tengono più tra gli scaffali o 'forse' l'hanno
prestato a qualche altra istituzione. Mi ha chiesto come mai volevo studia-
re un testo tanto inutile per gli storici visto che è considerato un FALSO
che risale al diciassettesimo secolo.
Non so cosa stia succedendo!
Sia Charles Mallory Maximillian che Vaughan Davies non hanno dubbi
sulla veridicità del manoscritto! Nel 1890 e nel 193 9 era catalogato come
documento del quindicesimo secolo. E quando l'ho consultato era ancora
nel CATALOGO sotto quella voce! Non mi è mai successo niente di simi-
le nel corso della mia carriera accademica! Non possono averlo riclassifi-
cato negli ultimi sei mesi!
Non sono riuscito a trovare qualcuno che volesse parlarmi e non posso
andare via di qui. Se esco dal sito non potrei più rientrare. Devi occuparti
tu di questa storia. Per il nostro libro.

— Pierce

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Messaggio: #69 (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash, testi
Data: 10/11/00 ore 16,55
Da: Longmant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Pierce — cancellati

Cos'altro ci aspetta, Pierce? Uno dei manoscritti che citi è un falso e i


golem sono veri?
Cercherò di fare il possibile. Non riesco a capire.
Dammi una lista di documenti da controllare.
Capisco che gli storici vittoriani non fossero rigorosi come quelli mo-
derni. In quel periodo hanno falsificato più di un manoscritto. Ma ci sono
state due edizioni precedenti prima della tua: possibile che anche Vaughan
Davies si sia fatto ingannare?

— Anna

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Messaggio: #50 (Anna Longman)


Oggetto: Ash, testi
Data: 13/11/00 ore 00,45
Da: Ngrant@
Format dell'indirizzo
Anna — e altri dettagli cancellati

Sono d'accordo con te sul fatto che Vaughan Davies dovrebbe essere sta-
to in grado di scoprire se i documenti erano falsi. Tu sei abbastanza gentile
da non dirlo, quindi devo farlo io.
Quella che segue è una lista dei principali documenti su cui ho lavorato.
Sono tutti autentici:

Il WINCHESTER CODEX, 1495 circa, traduzione in inglese


da un testo originale in latino (1480?). Infanzia di Ash.

La vita di del Guiz, 1516 circa, ritirato, epurato e pubblicato


nuovamente nel 1518. Originale tedesco. Più una versione di
Ortense Mancini, diciassettesimo secolo circa, un'opera tea-
trale, che l'autrice dice di aver tradotto da un manoscritto in
latino del sedicesimo secolo di cui non esistono tracce. Copre
la vita di Ash dal 1472 al 1477.

Il CARTULARIO del monastero di santa Herlaine, 1480 cir-


ca, tradotto dal francese. Breve menzione di Ash come novi-
zia dal 1467 circa al 1498.

'PSEUDO-GODFREY', 1478 (?), un testo germanico di dub-


bio valore, trovato a Colonia nel 1963; la carta e l'inchiostro
sono originali, ma forse è un apocrifo del tempo che cercava
di sfruttare la popolarità del ciclo di Ash. Copre la vita di Ash
dal 1467 al 1477.

Il manoscritto dell'ANGELOTTI, Milano, 1487, posto alla fi-


ne di un trattato sulle armi appartenuto alla famiglia Missa-
glia. Copre la vita di Ash dal 1473 al 1477.

*FRAXINUS ME FECIT', forse è una autobiografia di Ash,


quindi deve essere stata scritta non più tardi del 1477; se si
tratta' invece di una biografia, tra il 1477 e il 1481 (?). Copre
il periodo che va dall'estate del 1475 (6?) all'autunno 1476.

Due edizioni del materiale su Ash sono:

Charles Mallory Maximillian (ed.) ASH: LA VITA DI UN


CAPITANO MERCENARIO DEL MEDIO EVO, J Dent &
Son, London, 1890, ristampato 1892, 1893, 1896, 1905.
Traduzione dei documenti che ho appena menzionato -
tranne lo 'Pseudo-Godfrey' (e, chiaramente, il - 'Fraxinus').
CMM ha incluso un poema del - diciassettesimo secolo scrit-
to da Lord Rochester - probabilmente basato su un episodio
della vita di - Ash, ma delle ricerche fatte in seguito hanno -
dimostrato che probabilmente quell'evento non è mai - acca-
duto. CMM era titolare della cattedra di storia a - Oxford in
quel periodo, quindi è possibile che abbia - avuto accesso a
un gran numero di testi.

Vaughan Davies (ed.), ASH: UNA BIOGRAFIA DEL


QUINDICESIMO SECOLO, Victor Gollancz Ltd, 1939. Mai
ristampato a causa della scomparsa delle matrici.
Stessi documenti presenti nell'opera di CMM. Si - diceva
che ne esistesse un'edizione pirata in formato - tascabile
stampato dalla Starshine Press di San - Francisco (1968), ma
io non l'ho mai vista.
Questa edizione originale del 1939 esiste, anche se - in-
completa, solo alla British Library. Il - magazzino - dell'edi-
tore venne distrutto da un bombardamento - durante la guerra
che bruciò le scorte di libri e - diede un taglio alla carriera di
Vaughan Davies come - scrittore. Non sempre tutti i libri di
storia sono - scritti da un uomo con tali credenziali - scientifi-
che e storiche.

Questo è tutto quello che ho a disposizione, penso che ci possano essere


un paio di conferme nella letteratura moderna, ma non ho con me quei
dati.
Ho appena completato la traduzione di una sezione del materiale di del
Guiz/Angelotti e te la spedisco in allegato.
Isobel insiste nel farmi finire immediatamente il 'Fraxinus me fecit' per
lei e vuole che sia una traduzione molto meticolosa. Io penso che lo sia,
ma solo lei può confermarmelo.
Contattami al più presto. NON SO COSA STIA SUCCEDENDO. Sono
stato un accademico per vent'anni: non credo di aver commesso un errore -
o una serie di errori - di tale portata.
— Pierce

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Messaggio: #73 (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash, documentazione
Data: 13/11/00 ore 22,03
Da: Longmant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Pierce — cancellati

Ho preso un giorno di ferie e mi sono chiusa nella British Library. Non


volevo dare troppe spiegazioni in ufficio visto che il tuo libro è stato mes-
so tra le novità del catalogo primaverile.
Ho avuto dei gravi problemi.
Non riesco a trovare alcuni dei documenti di cui parli. Lo Pseudo Go-
dfrey e il. Cartolario (il registro, credo) del monastero di santa Herlaine. A
dire il vero non ho trovato neanche una traccia di quel monastero.
Ho trovato alcune parti della vita di Ash scritta da del Guiz, ma non ti
piacerà leggere quanto segue.
Nel 1890 era classificato sotto la voce 'Storia del tardo Medio Evo'.
Charles Mallory Maximillian era chiaramente tranquillo quando fece la
sua traduzione, ma nel 1939 il testo in latino venne classificato nuovamen-
te, ma sotto la voce 'Letteratura Romanza' insieme ai Nibelunghi! Ho tro-
vato un riferimento alla tua edizione americana di Vaughan Davies del
1968 che contiene parte del manoscritto di del Guiz e tutto viene classifi-
cato sotto la voce 'Romanzi'! E per guanto riguarda la British Library, non
ne hanno neanche una copia.
E non hanno neanche una copia del manoscritto di Angelotti.
Da quello che ho capito nel 1890 pensarono che questo materiale fosse
originale; nei tardi anni trenta scoprirono che era una raccolta di falsi, ma
Vaughan Davies decise di ignorare tali scoperte. Quello che mi chiedo e
non capisco, Pierce, è perché anche TU hai deciso di ignorarle?
Andrò a parlarne con il direttore generale, a meno che tu non mi dia una
spiegazione convincente.

— Anna Longman
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Messaggio: #730 (Anna Longman)


Oggetto: Ash, scoperte archeologiche
Data: 13/11/00 ore 00,45
Da: Ngrant@
Format dell'indirizzo
Anna — e altri dettagli cancellati

Non ho ignorato niente.


Quando ho consultato quei documenti alla British Library, due mesi fa,
erano classificati sotto la voce 'Storia Medievale'. Non c'era NIENTE che
facesse supporre che fossero altro.
Ti prego di non fare nessun gesto avventato.
Se quei documenti sono inaffidabili come mai abbiamo trovato delle
PROVE ARCHEOLOGICHE che dicono il contrario?!

— Pierce
PARTE QUARTA

13 AGOSTO - 17 AGOSTO AD 1476

Il Giardino della Guerra

Il corpo della ragazza giaceva su un materasso imbottito di piume d'oca.


Era impossibile dire se il giaciglio era troppo morbido o se era lei che non
vi era abituata. La ragazza era in stato di incoscienza. Di tanto in tanto
dondolava la testa. Il cranio era stato rasato sopra l'orecchio sinistro, ma
una fine peluria stava cominciando a ricrescere.
L'avevano legata al telaio del letto per impedirle di muoversi. Sembrava
agitata e febbricitante. Qualcuno le aveva lavato e intrecciato i capelli in
modo che non diventassero una massa sudaticcia e inestricabile.
A volte sentiva una voce che imprecava per scacciare i diavoli, altre vol-
te un litigio a bassa voce tra donne. Qualcuno le versò sulla fronte dell'olio
che le colò sul naso e su una guancia sfregiata. Quando sollevarono le len-
zuola di lino vide che metà del suo corpo era ricoperta di escoriazioni. Il
polso e la caviglia destri erano fasciati con una benda imbevuta di una pol-
tiglia curativa.
Qualcuno la lavò con l'acqua presa da un catino d'argento.
Le api volavano per la stanza e si posavano sui fiori tenuti sul davanzale.
Il verso basso e ritmico delle colombe echeggiava fuori dalla finestra.
Mentre la giravano per finire di lavarla vide una di queste con il capo e il
becco avvolti da un'aureola di luce e gli occhi dorati: lo Spirito Santo al-
bergava nella piccionaia insieme alle altre colombe. Poi sentì un forte bru-
ciore e urlò. La legarono nuovamente al letto e le voci intorno a lei riprese-
ro a litigare.
C'era sempre la luce.
All'inizio era un pallore roseo che filtrava attraverso le imposte e cresce-
va di intensità fino a diventare giallo brillante con il passare del tempo. La
luce si rifletteva sull'acqua contenuta nella brocca posata sul baule e scre-
ziava il soffitto bianco.
Una volta sentì un'ala che la carezzava. Le piume erano bianche e rigide
come quelle dei cigni, ma con le punte dorate come quelle riprodotte nei
manoscritti. Due persone discutevano vicino a lei degli angeli e degli altri
spiriti dell'aria che sono i diavoli o forse antichi dèi pagani indeboliti dalla
mancanza di adoratori.
Vide oltre il soffitto della cella una serie di cerchi concentrici ognuno
dei quali era bordato di volti e ali. Dietro le figure dei santi spiccavano
altri cerchi dorati e sottili come il graffio di un coltello. Erano le aureole,
calde come il metallo che colava dalla fornace di un fabbro. Cercò l'imma-
gine del Leone, ma non la trovò.
La stanza era illuminata da una luce dorata. Prese a tremare e delle mani
risollevarono la coperta. Un volto dai lineamenti duri e la pelle chiara si
avvicinò al suo. I capelli erano biondi e corti.
Ash non riusciva a parlare.
Qualcuno le versò in bocca dell'acqua che finì in parte sulle lenzuola e in
parte nella gola riarsa. Sentì una fitta di dolore. Aveva male a un braccio e
a una gamba, la mano sana sussultò afferrando la cinghia che la tratteneva
al letto.
Delle dita la liberarono. Si tastò il corpo fin dove riusciva da quella po-
sizione. Era di nuovo integra. La testa le doleva ancora. Si toccò la guancia
e provò una fitta di dolore. Sondò l'interno della bocca con la lingua e sco-
prì di essersi rotta due denti posteriori.
«Thomas...»
«Thomas Rochester e gli altri sono vivi, ragazza.»
Le diedero da bere altra acqua ma in questa erano state disciolte delle
erbe e lei, volente o nolente, dovette inghiottire. Cercò di resistere al sonno
finché non rivide la luce che tornava a far capolino tra le imposte.
Ricordava un'oscurità che sembrava non finire mai, un cielo nero, la not-
te eterna, il terreno che gelava come in inverno anche se erano nel pieno
della stagione del raccolto.
«Ci seguiranno.»
«Zitta...»
Si addormentò improvvisamente, quasi senza rendersene conto.
«Non mi porteranno a Cartagine!» biascicò prima di sprofondare in un
sonno profondo.

II

Si svegliò calda e sudata. Un incubo scivolò via da lei come un'onda che
si ritira dalla battigia. Ash aprì gli occhi e il delirio si tramutò in consape-
volezza.
Merda! pensò. Quanto tempo sono stata così? Quanto tempo ci vorrà
prima che il faris mi insegua o mandi una squadra a rapirmi?
«Sei stata calpestata da un cavallo» le spiegò la voce di Floria del Guiz.
«Facciamo tanto per la gloria della battaglia...» Ash cercò di mettere a
fuoco la vista. «Seppellita a causa di uno scherzo tra soldati73 »
«Stupida idiota.»
Il telaio del letto scricchiolò sotto il peso del chirurgo che si sedeva e
Ash sentì il suo corpo che veniva sollevato da un paio di braccia calde e
robuste. Pensò di sentire un altro corpo contro il suo poi si rese conto che i
seni che premevano contro la sua guancia erano quelli di Floria, che la
donna chirurgo la stava cullando e che il suo corpo era debolissimo.
La voce tranquilla di Florian le ronzava nell'orecchio, ma Ash percepì le
parole più attraverso le vibrazioni trasmesse al suo corpo che direttamente
dalla voce. «Suppongo che tu voglia sapere in che condizioni di trovi, giu-
sto? Sei il capo.»
«No...»
«Giusto.»
Dovresti lavarti, pensò Ash sentendo l'odore del sudore che impregnava
gli abiti del chirurgo. Abbandonò la testa contro il petto di Florian e la
cella cominciò a ondeggiare. «Oh, merda...»
Il peso dei due corpi abbracciati aveva infossato il materasso. Ash alzò
gli occhi al soffitto e seguì la traiettoria di un'ape che ronzava nella stanza.
L'abbraccio del chirurgo era il benvenuto.
«Sei molle come una palla di sterco» le disse la voce roca del medico.
«E non posso fare di più.»
Ash udì un coro di donne che cantava in lontananza. La piccola stanza
era pervasa dal profumo della lavanda. Deve crescere qua vicino, pensò.
Non c'era niente di suo nella stanza.
«Dov'è la mia cacchio di spada? E l'armatura!»
«Ah, questa è la ragazza che conosco!»
Ash fissò Floria. «So che morirò prima di raggiungere i trent'anni. Non
possiamo essere tutti Colleoni74 o Hawkwood75 . Quanto ci sono andata
73
Hoc futui quam lude militorum. Cito la traduzione idiosincratica di
Vaughan Davies dal Latino rozzo del testo.
74
Bartolomeo Colleoni (1403 -1475) era morto l'anno prima. Un famoso
condottiero che i Veneziani assoldarono più volte a partire dal 1455, visse
fino all'età di settantadue anni conservando il grado di generale delle forze
veneziane e scoraggiò la Serenissima ad andare a nord delle Alpi dal suo
vicina?»
«Non penso che il cranio sia rotto... l'ho ricucito e ho pronunciato gli in-
cantesimi del caso. Se ascolti i miei consigli rimarrai a letto per tre setti-
mane. Se succedesse sarebbe la prima volta in cinque anni che mi dai a-
scolto!» Il chirurgo l'abbracciò con più forza. «Non posso fare altro per te,
davvero. Riposa.»
«A quante leghe distiamo da Basilea?» chiese Ash. «Cosa è successo al-
la mia compagnia?»
Floria del Guiz sospirò.
«Perché non sei come tutti gli altri miei pazienti e cominci con chieder-
mi: 'dove sono?' Sei in un convento fuori Digione, in Borgogna, e la com-
pagnia è accampata a circa un chilometro in quella direzione.» Il lungo
dito della donna fendette l'aria davanti al naso di Ash indicando fuori dalla
finestra.
«Digione?» Ash strabuzzò gli occhi. «Ma siamo lontanissimi dai canto-
ni. Siamo dall'altra parte del France-Comté. Mio Dio. Digione... Tu sei una
fottuta Burgunda, Florian, aiutami. Conosci il posto?»
«Dovrei.» La risposta di Floria sembrava piuttosto acida. Si sedette. «Ho
una zia che vive a sei leghe da qui. Zia Jeanne dovrebbe essere a corte in-
sieme al duca.»
«Il duca Carlo è qua?»
«Oh è qua con tutto l'esercito e i mercenari. I prati fuori la città sono co-
perti di tende!» Florian scrollò le spalle. «Suppongo che sia venuto diret-
tamente qui dopo l'assedio di Neuss. Questa è la capitale meridionale del
regno.»
«I Visigoti hanno attaccato la Borgogna? Come procede l'invasione?»
«Come faccio a saperlo visto che sono stata tutto il tempo qui a curarti,
stupida stronza!»
Il disprezzo che il chirurgo aveva per le questioni familiari fece sorridere
Ash. «Non si parla così al tuo capo.»
Floria si girò in modo che potessero guardarsi in faccia. «Io lo faccio
quando mi pare e piace, hai capito 'stupida stronza di un capo'?»

castello di Malpaga, perché temeva che in sua assenza Milano avrebbe


attaccato Venezia! Quelli che volevavano veramente incontrarlo, per
esempio re Edoardo IV di Inghilterra nel 1474, dovevano andare da lui.
75
Sir John Hawkwood, famoso mercenario inglese comandate della
Compagnia Bianca (1363 -1375), prestò un lungo e profiquo servizio in
Italia e morì vecchio nel 1394.
«Così va meglio. Cavolo.» Ash cercò di sedersi, ma ricadde all'indietro
con una smorfia di dolore. «Che razza di chirurgo sei? Sono mezza mor-
ta.»
«Posso mettere in sesto l'altra metà quando vuoi...»
Floria le tastò la fronte con il palmo della mano ed emise una sorta di
grugnito preoccupato.
«Ogni giorno tre quarti degli uomini vengono in pellegrinaggio fin qua
per cercare di parlarti» aggiunse il medico. «Cos'hanno? Non riescono a
riconoscere un convento neanche quando lo vedono? Non riescono a pulir-
si il culo da soli senza che ci sia tu a dire loro come fare?»
«Sono soldati.» Ash premette le mani contro il materasso per cercare di
alzarsi di nuovo. «Merda! Sei hai detto loro che non posso riceverli perché
ho il cranio rotto...»
«Non ho detto niente. Questo è un convento e loro sono uomini.» Floria
sorrise sorniona. «Le sorelle non li fanno entrare.»
«Cristo! Penseranno che sia moribonda o già morta! Andranno a cercarsi
un altro capitano prima ancora che tu possa dire condotta! 76 »
«Non credo.»
Floria emise un lungo sospiro, si alzò dal letto, le sollevò il dorso e le
mise dei cuscini sotto le spalle e la testa. Ash si morse le labbra per evitare
di vomitare.
«Non credi? Perché?»
«Oh, tu sei un eroe.» Floria sghignazzò e si avvicinò alla finestra della
cella. La luce del giorno mise in evidenza gli occhi cerchiati e le rughe
intorno alla bocca. «Tu sei la Leonessa! Li hai salvati dai Visigoti, li hai
portati via da Basilea e li hai guidati fino in Borgogna, gli uomini credono
che tu sia fantastica!»
«Cosa?»
«Joscelyn van Mander aveva gli occhi umidi. L'ho sempre detto che voi
soldati siete dei dannati sentimentali.»
«Diavolo.» Ash sentì il cuscino che cedeva sotto il suo peso ed ebbe un
capogiro. «Non avevo nessun diritto di andare a Basilea in cerca del faris,
ho messo in pericolo i miei uomini. Mi ha fottuta, Florian. Gli altri devono
saperlo.»
«Attenta, che se metti il naso fuori di qui lanceranno petali di rosa sul
tuo cammino, ma è anche vero che se oggi provi a scendere dal letto è
molto probabile che ti seppelliamo entro domani.»
76
Il 'contratto' italiano dal quale deriva la parola condottiero.
«Un eroe!»
«Non l'hai notato?» Il chirurgo indicò il cielo. «Il sole. Li hai riportati
dove splende il sole.»
«Li ho portati...» Ash non riuscì a terminare la frase. «Quando è tornato
il sole? Prima che raggiungessimo la Borgogna?»
«È ricomparso appena abbiamo attraversato il confine.» Floria aggrottò
la fronte. «Credo che tu non mi abbia capito. Il sole splende solo su questo
regno. Solo sulla Borgogna. Il resto dell'Europa continua a essere immerso
nel buio.»
Ash si leccò le labbra. Le sentiva secche.
No, non può essere. Non solo qui!
Ash spinse via la scodella piena d'acqua che il chirurgo stava cercando
di portarle alle labbra, quindi la prese con le mani e ne sorseggiò il conte-
nuto aggrottando la fronte a sua volta.
Hanno fatto riapparire il sole, ma solo in Borgogna. Perché solo qua?
A meno che il Crepuscolo Eterno si espanda fino...
Fino a dove le armate della terra Sotto Penitenza riescono a invadere.
No, come potrebbe essere?
Forse il Crepuscolo Eterno non ha ancora raggiunto le regioni del nord
come la Francia e la parte bassa dell'Inghilterra. Merda, ho bisogno di par-
lare con qualcuno!
«Se i ragazzi pensano che sono stata io a tirarli fuori dai guai, e solo il
Cristo Verde sa cosa li ha indotti a farlo» continuò Ash, dando voce ai suoi
pensieri «a me va bene. Più stanno dalla mia parte, meglio è. Dannazione,
Florian, tu sei borgognone, vero? Quante possibilità abbiamo di ottenere
un contratto qua, visto che non molto tempo fa ho cercato di uccidere il
duca?»
Ash abbozzò un sorriso.
«La tua zia Jeanne potrebbe introdurci a corte?»
Florian assunse un'espressione severa.
«Meglio che parli con Robert Anselm entro oggi» le rammentò. «Proba-
bilmente tu non morirai se non lo fai, ma lui sì.»
Ash batté le palpebre e per un attimo la sua attenzione fu distolta dal
pensiero dei Visigoti. «Robert? Perché?»
«Chi pensi ti abbia calpestato a Basilea.?»
«Oh, merda.»
Florian annuì. «È seduto fuori dai cancelli del convento. Lo so perché ha
dormito là.»
«Da quanto tempo sono qua?»
«Tre giorni.»
«Da quanto tempo è là fuori? Non dirmelo. Tre giorni.» Prese la testa tra
le mani e sussultò dal dolore non appena le dita sfiorarono la ferita. Si fre-
gò gli occhi e si rese conto di indossare solo una maglia e di avere bisogno
di un vaso da notte. «Chi è che manda avanti la compagnia, allora?»
«Geraint-il-Gallese-bastardo.» Floria strabuzzò gli occhi. «O almeno gli
altri credono che sia quello il suo nome. Lavora in coppia con padre Go-
dfrey. Sembra che abbiano tutto sotto controllo.»
«Davvero! Mio Dio! Allora è meglio che mi sbrighi a riprendere il co-
mando se non voglio che il Leone Azzurro si trasformi nella compagnia di
Geraint ab Morgan mentre sono seduta con il culo in un letto dentro un
convento!» Ash strofinò i palmi delle mani contro il volto. «Hai ragione. È
meglio che mi alzi. Mi sento come se il cavallo stesse continuando a calpe-
starmi. Vedrò Roberto e anche la padrona di questo posto. Voglio vestir-
mi.»
«E visto che i tuoi uomini non possono entrare ti aspetti che io faccia le
veci del tuo paggio, giusto?» chiese Floria, in tono ironico.
«Potresti anche imparare a fare il paggio visto che come chirurgo fai
schifo.»
Floria del Guiz scoppiò in una risata aperta e liberatoria, molto diversa
dal suo solito sghignazzo controllato e si batté una pacca sulla coscia. «Sei
una puttana ingrata!»
«Nessuno ama una donna onesta.» Un ricordo le fece affiorare un sorri-
setto scontento sulla bocca. «O forse sono solo una sgualdrina di strada.»
«Una cosa?»
«Non farci caso. Cristo, adesso sono ben lontana da lì.»
E intendo mantenere sempre il massimo della distanza tra me e il faris.
Va bene, per il momento siamo abbastanza lontani e posso tranquilliz-
zarmi. Cosa faccio adesso? Non so nulla di quello che è successo ultima-
mente!
Ash spostò con fatica le gambe e si sedette sul bordo del letto. Il sangue
cominciò a martellarle le tempie con tanta violenza da non farle più udire
le colombe che tubavano fuori dalla finestra. Ondeggiò vistosamente.
«Povero Robert. Doveva proprio essere lui. Trovami una sedia o uno
sgabello. Non voglio che mi veda conciata come se dopo di lui dovessi
ricevere il Sinistro Mietitore!» Ash si interruppe per un attimo. «Questo è
un convento, giusto? Non dovrò mettermi l'abito?77 »
Florian rise di nuovo e si diresse verso un baule carezzandole la testa
mentre le passava accanto, con un gesto gentile e colmo d'affetto: Ash se
ne accorse appena.
«Ho mandato Rickard a prendere la tua roba. La sorella non mi avrebbe
permesso di portare una spada entro i confini del convento, ma» Floria tirò
fuori una maglia, un farsetto e dei pantaloni «ho fatto prendere quello ver-
de e oro e un vestito di velluto. Il capo è contento?»
«Il capo è più che contento.»
Finito il rituale fastidioso dei bisogni nel vaso da notte, Ash si fece aiu-
tare a vestirsi e cominciò a trovare meno imbarazzante avere una donna
come paggio. «Perché in tutti questi anni ti ho pagata come chirurgo»
chiese ridendo «quando...»
Vide entrare una suora e si interruppe.
«Sorella?»
La donna posò le mani sui fianchi. Era di corporatura robusta e indossa-
va un abito da monaca. L'unica parte del corpo in mostra era il viso. «Sono
Sorella Simeon» si presentò con voce grave. «Torna a letto, ragazza.»
Ash fece scivolare un braccio dentro la manica del farsetto e si appoggiò
allo schienale dello sgabello mentre Floria le stringeva i lacci dietro le
spalle. Parlò come una persona che non vedesse girare la stanza intorno a
sé.
«Prima di tutto, Sorella, sto per ricevere il mio secondo in comando.»
«Non penso, figliola.» La Sorella strinse con forza le labbra. «Gli uomi-
ni non sono ammessi all'interno del convento e tu non sei ancora in grado
di uscire.»
Ash sentì Floria che si alzava.
«Permettetegli di entrare per qualche minuto, Soeur Simeon» intervenne
il chirurgo. «Dopo tutto voi mi avete permesso di entrare e io so cosa è
importante per la salute del mio paziente. Buon Dio, donna, sono un chi-
rurgo!»
«Buon Dio, sei anche una donna» ribatté secca la suora. «Perché pensi
che ti abbia lasciata entrare?»
Ash sghignazzò nel sentire lo sbuffo appena percettibile che fuoriuscì
dalla bocca di Floria.
«Questo fatto, Soeur, è del tutto confidenziale. So che posso fidarmi di
una donna di Dio.» Ash posò le mani all'interno delle cosce e cercò di as-
77
Nel testo originale veniva usata la parola 'tunica'.
sumere una postura che la facesse sembrare il più sicura possibile. «Fate
entrare Robert Anselm in segreto, se dovete, ma fatelo entrare. Farò il più
in fretta possibile.»
La Sorella, il cui vestito da suora le conferiva un'età indefinita che pote-
va essere compresa tra i trenta e i sessant'anni, socchiuse gli occhi e sondò
la cella e il suo occupante malato. «Sei stata abituata a fare di testa tua per
parecchio tempo, vero, ma fille?»
«Oh, sì, Sorella Simeon. È troppo tardi per porvi rimedio.»
«Cinque minuti» concesse la religiosa, torva. «Una delle petites soeurs
assisterà all'incontro per decenza. Vado a organizzare una preghiera.»
La porta della cella si chiuse alle spalle della donna.
Ash fischiò. «Però! Quella è nata per fare il colonnello di un reggimen-
to! 78 »
«Senti chi parla.» Floria del Guiz tornò nuovamente a rovistare nel baule
e un attimo dopo tirò fuori un paio di stivaletti, si inginocchiò davanti ad
Ash e glieli infilò. Ash osservò la testa bionda del chirurgo, allungò una
mano come se volesse toccarla, ma all'ultimo momento ci ripensò e la ri-
trasse.
«Ho tutti i capelli annodati» disse. «Vorresti pettinarmi?»
La donna prese un pettine di corno dalla sua borsa, le liberò la treccia e
cominciò a pettinarla. Ash avvertì i colpi delicati del pettine e i leggeri ma
dolorosi strattoni che servivano a districare i nodi che si formavano alla
fine di ogni ciocca. La testa cominciò a pulsarle dolorosamente. Chiuse gli
occhi e si godette il calore del sole e la brezza estiva che le lambivano il
viso. Prima di tutto, pensò, devo trovare un modo per far sopravvivere la
compagnia in Borgogna. Come stiamo tirando avanti? Cristo, mi sento così
male.
Il pettine smise di muoversi. Floria le toccò una guancia umida di pianto.
«Fa male? Succede con le ferite alla testa. Potrei tagliarti i capelli.»
«No.»
«Va bene, va bene... non mi uccidere!»
Passò altro tempo.
Floria prese a parlare con qualcuno che era entrato nella stanza. Ash aprì
gli occhi e vide un'altra suora che indossava un abito verde e bianco. La
novizia la fissò negli occhi e le si avvicinò porgendole una scodella piena
78
Nel testo originale veniva usato il termine 'triari' (veterano delle
legioni), ma un vocabolo moderno permette una comprensione più
immediata.
d'acqua.
«Io ti conosco.» Ash aggrottò la fronte. «È difficile dire chi sei con i ca-
pelli nascosti, ma ti ho già vista, vero?»
Floria, che stava guardando fuori dalla finestra, ridacchiò.
«Schmidt» si presentò la suora. «Margaret Schmidt.»
Ash arrossì. «Sei una suora?» disse con voce flebile, ma incredula.
«Adesso sì.»
Floria attraversò la stanza, carezzò le spalle della donna e tastò la fronte
di Ash. «Siamo a Digione, capo. Sei nel convento delle filles de joie che
sono diventate filles de pénitence79 .»
Ash fissò la suora che fino a poco tempo prima aveva fatto la prostituta a
Basilea. «Oh.»
Fece uno sforzo e disse: «Se dovessi cambiare idea prima di prendere i
voti definitivamente, Margaret, sappi che sarai la benvenuta nella compa-
gnia. Diciamo come assistente chirurgo.»
Ash si accorse che sul volto di Floria era apparsa un'espressione che era
un misto di stupore, cinismo, disagio, ma, più di tutto, sorpresa. Ash scrol-
lò le spalle, avvertì un formicolio al cranio e portò una mano alla testa.
La donna che un tempo viveva a Basilea fece un inchino. «Non prenderò
nessuna decisione finché non avrò capito cosa vuol dire vivere come una
suora, signora. Fino a questo momento è molto diverso dalla casa di piace-
re.»
Qualcuno bussò alla porta.
«Fuori» disse Ash. «Voglio parlare con Robert da sola.»
Chiuse gli occhi per un attimo e provò una sensazione riposante, la-
sciando che la porta si aprisse e chiudesse senza il suo aiuto. Oltre la ferita
alla testa, il danno che considerava più grave era la debolezza che provava
in quel momento. Sapeva bene che sarebbe passato molto tempo prima che
potesse ristabilirsi del tutto.
Cosa sono? Il faris dice che sono solo immondizia. Sono paragonabile a
un vitello maschio che viene ucciso perché non può dare latte.
Però senti la voce.
E allora? È solo una testa di ottone che si trova in Nord Africa; una...
una macchina che sputa Vegezio e Tacito e tutti gli altri classici sulla guer-
ra? È solo una... una biblioteca? Niente di più che un archivio di tattiche al
quale basta chiedere?
79
L'esistenza di un convento simile è comprovata anche da documenti
contemporanei.
Ash si trattenne dallo sghignazzare per non ricominciare a lacrimare.
Cristo Santo, e io ho messo la mia vita in mano a quella cosa! Quanto
volte ho letto dei pezzi del De Rei Militari e ho pensato, no, è impossibile
applicare queste tattiche in simili circostanze e alla fine che cosa ho ascol-
tato per tutti questi anni?
Ash provò un forte istinto di parlare e fare quelle domande alla sua voce,
ma decise di aprire gli occhi per trattenersi.
Robert Anselm era in piedi di fronte a lei.
Il robusto mercenario era senza armatura e indossava un paio di pantalo-
ni rattoppati alle ginocchia e una maglia sopra il farsetto: le pieghe della
lana blu facevano capire che aveva dormito all'aperto con i vestiti addosso
per diverse notti. Il fodero della daga, legato allo stesso laccio dal quale
pendeva il borsellino del denaro, era vuoto.
«Uhh...» Robert Anselm portò improvvisamente una mano alla testa, si
tolse il cappello e prese a girarlo e rigirarlo tra le mani, premendo con le
dita il simbolo della sua compagnia cucito sul velluto. Abbassò gli occhi.
«Ci siamo accampati? Siamo al sicuro?» gli domandò Ash. «Com'è la si-
tuazione? Chi è il Lord locale che comanda in nome del duca?»
«Uh.» Robert Anselm scrollò le spalle.
Ash alzò la testa per guardarlo meglio e la sentì formicolare. L'uomo
cadde in ginocchio di fronte a lei con la testa bassa e le braccia posate sulle
ginocchia della donna. Ash si ritrovò a fissare il cranio quasi calvo del suo
attendente.
Potrei dirti che sei un fottuto idiota, pensò Ash. Potrei picchiarti. Potrei
chiederti cosa pensavi di fare lasciando la compagnia abbandonata a se
stessa.
Il suo stomaco la avvertì con un gorgoglio che aveva fame. Pane, vino e
un mezzo cervo, grazie... continuò a pensare. Ash alzò una mano per ripa-
rarsi gli occhi dal sole che cominciava a diventare troppo forte. L'aria era
più calda. Doveva essere quasi mezzogiorno.
«Non hai mai saputo di quello che ho fatto a Tewkesbury, vero?» gli
chiese.
Anselm alzò la testa. Aveva il visto sporco e stanco. Si grattò il collo.
«Cosa?»
«Tewkesbury.»
«No.» Anselm cominciò a rilassare le spalle e si puntellò su un ginoc-
chio. «Non vidi nulla perché ero sull'altro lato dello schieramento. Alla
fine ti ho vista sanguinante e avvolta nello stendardo.»
Già, colavo sangue. Rammentò la sensazione del tessuto che le graffiava
la pelle e l'esaltazione di tenere in mano un'alabarda: una lama tagliente
quanto un rasoio montata in cima a un'asta di quasi due metri e accoppiata
a una scure che lacerava il metallo e le carni con la stessa facilità di un'a-
scia per spaccare la legna.
«Funzionò» disse misurando le parole. «Sapevo che dovevo fare qualco-
sa per farmi notare. Ero troppo giovane per comandare, ma se avessi aspet-
tato di fare qualcosa di eclatante a sedici o diciassette anni, non avrebbe
avuto lo stesso peso. Così decisi di prendere e tenere lo stendardo dei Lan-
caster sul Prato Insanguinato.» Abbassò lo sguardo per fissare il volto an-
gosciato di Robert Anselm.
«Ho fatto uccidere due dei miei migliori amici per quel gesto» disse
Ash. «Richard e Crow. Ci conoscevamo da anni. Sono stati seppelliti in
qualche punto su quella collina nella fossa comune che la Rosa Bianca
fece scavare dopo la battaglia. Mi hai calpestata per sbaglio. Uccidere del-
le persone che conosciamo e venire uccisi fa parte del nostro mestiere. E
non mi dire che è dannatamente stupido. Non ci sono modi intelligenti di
essere uccisi!»
«Sto invecchiando!» urlò Anselm.
Ash rimase a bocca aperta.
«Sai come mi chiamano quelle piccole merde là fuori? Vecchio! Ecco
come mi chiamano!» continuò a urlare Robert. «Ho il doppio dei tuoi anni
e sto diventando troppo vecchio per tutto questo! Ecco perché è successo!»
«All'inferno.» Gli prese le mani tremanti tra le sue cercando di stringerle
per confortarlo, ma si accorse che aveva meno forza di quanto si fosse a-
spettata. «Non fare lo stupido!»
L'uomo liberò le mani. Ash ebbe un capogiro e si afferrò allo sgabello.
La porta della cella si aprì violentemente e sbatté contro la parete. Floria
del Guiz fece irruzione nella stanza urlando e afferrò il braccio di Anselm,
che si liberò con uno strattone e spinse via il chirurgo con violenza...
Ash aveva portato le mani alla testa per cercare di non sentire i rumori
che le stavano provocando un gran dolore. «Adesso basta» ordinò, peren-
toria, togliendosi le mani dalle orecchie. Fece un respiro profondo e alzò la
testa.
Margaret Schmidt era in piedi sulla porta e di tanto in tanto lanciava del-
le occhiate colme d'ansia al corridoio. Floria aveva stretto entrambe le ma-
ni intorno al braccio di Anselm e cercava di trascinarlo fuori. Il mercenario
stava in piedi piantato a terra con un'espressione sul viso che ricordava
quella di un toro infuriato. Ci vorrebbero almeno sei uomini per portarlo
fuori di qui, pensò Ash.
«Tu, vai dalla Superiora e dille che non è successo nulla. Tu» indicò
Floria «lascialo andare; tu...» fu il turno di Robert Anselm «... chiudi quel-
la fottuta bocca e fammi parlare.» Attese qualche secondo. «Grazie.»
«Vado» accettò Floria, provando un certo disgusto per il suo stesso im-
barazzo. «Falle avere una ricaduta e ti castro» disse, rivolgendosi a Robert.
Floria uscì chiudendo la porta e bloccando la visuale a Margaret
Schmidt e a un certo numero di suore che si erano riunite fuori dalla cella,
attratte dal trambusto che aveva interrotto la monotonia della vita in con-
vento.
«Adesso che ti sei sfogato ti senti meglio?» gli chiese Ash, tranquilla.
Il robusto mercenario annuì, mite, e prese a fissare il pavimento.
«Hai dormito veramente sui gradini del convento?»
Robert Anselm scrollò appena le spalle.
«Quest'anno compio quarant'anni e ho due scelte» disse, rivolgendosi
apparentemente al pavimento. «Uscire dal gioco e rimanere vivo o conti-
nuare. Stare sotto il comando di una donna o creare una mia compagnia.
Cristo, donna, comincio a sentirmi vecchio e ti prego, non dirmi che Col-
leoni è sceso in battaglia fino all'età di settant'anni!»
Ash chiuse la bocca. «Beh... era proprio quello che stavo per dire. Mi hai
detto che sei stato qua fuori, giusto? Ubriaco?»
«Sì.»
«Bene, bene, bello stronzo. Ho bisogno di te, Robert. Se vuoi crearti una
tua compagnia questo è un altro discorso, ma non lascerai la mia solo per-
ché ti sei spaventato. Chiaro?»
Robert Anselm prese la mano tesa. «Ash...»
«Portami a letto altrimenti rischio di vomitare di nuovo. Cristo Santo,
odio le ferite alla testa. Non andrai via, Robert. A volte penso che non riu-
scirei a mandare avanti la baracca senza di te.» Gli strinse la mano e si alzò
dallo sgabello. Barcollava vistosamente.
«Già, hai ragione,» borbottò Robert, sarcastico «sei un povera donna de-
bole e indifesa.» La prese in braccio e la adagiò sul letto. «Non avrai più
fiducia in me dopo quello che è successo. Dirai che ne hai ancora, ma non
sarà vero.»
Ash si rilassò sul materasso. Il soffitto cominciò a girare e lei inghiottì la
saliva. Il fatto di essere nuovamente distesa le procurò una piacevolissima
sensazione di sollievo che le fece chiudere gli occhi ed esalare un lungo
respiro.
«Va bene, hai ragione. Non avrò fiducia in te per un certo tempo. Poi
tutto tornerà come prima. Ci conosciamo troppo bene. Come ti ha detto lei:
'vattene e ti castro'. Siamo nella merda fino al collo ed è necessario uscirne
il più velocemente possibile.»
Robert la sistemò bene nel letto, non era la prima volta che accudiva un
ferito. Ash aprì gli occhi. Robert si sedette sul bordo del lettino, la fissò
per qualche secondo dopodiché aggrottò la fronte. «'Come ti ha detto lei'?»
«No, hai ragione, non è stata la suora a parlare. È stato lui, Florian.»
«Mmm» disse Robert Anselm in tono assente. Il mercenario sedeva con
le braccia larghe puntellandosi con le mani e sembrava occupare tutto lo
spazio a disposizione nella cella. Quell'atteggiamento era così tipico di
Anselm che Ash sorrise.
«È tutto chiaro, vero?» disse Ash. «Torna e prendi la guida della compa-
gnia. Se funziona vuol dire che non hanno perso fiducia in te. Appena sarò
in grado di camminare senza cadere dopo un paio di passi, verrò al campo
per vedere cosa fare. Non abbiamo molto tempo.»
Robert si alzò dal letto e lei si sentì improvvisamente priva di speranza.
Aveva male alla testa. «Siamo scappati come degli stronzi e non abbia-
mo un contratto in questo ducato. Sbaglia qualcosa e i ragazzi comince-
ranno a disertare a decine entro domani... e se mi fotti la compagnia, ti
stacco le palle» sbottò Ash, debole.
Robert Anselm la fissò. «Terrò tutto sotto controllo, ma la prossima vol-
ta» disse, mentre si avviava verso la porta «mettiti un elmo, donna!»
Ash fece un gestaccio. «Allora portamene uno, la prossima volta!»
Robert Anselm si fermò sulla soglia. «Cosa ti ha detto il faris?»
Ash venne travolta dalla paura. Sorrise, falsa. «Non adesso! Dopo. Man-
dami quello stronzo di Godfrey, voglio parlargli!»
Quella che fino a pochi attimi prima era stata una lieve pulsazione nella
testa divenne così intensa da farle lacrimare gli occhi. Notò appena la sco-
della che le veniva portata alle labbra. Ingollò avidamente la bevanda a
base di vino ed erbe, quindi si sdraiò pregando finché, sempre troppo tardi,
cadde in un sonno profondo che divenne molto disturbato nel volgere di
un'ora.
Il dolore la tormentava. Era sudata e sofferente. Cercava di rimanere il
più possibile immobile, imprecando contro Floria ogni volta che le si avvi-
cinava. Quando vide che la luce diventava più fioca avvertì anche un calo
dal dolore alla testa. Una voce maschile le ripeteva in continuazione quan-
do era sera, il tramonto, la notte, o quando il cielo era rischiarato dalla luce
della luna. Ash aveva l'impressione di essere sdraiata su un letto di carboni
ardenti con il dolore che piantava le fauci nella sua testa. Si ficcò il pugno
in bocca stringendo al punto di farsi sanguinare le nocche. Quando cedette
e cominciò a urlare, quando il dolore fu troppo forte, si sentì scagliare in
un luogo che riconobbe; un luogo che le dava fortissimi sensazioni fisiche,
un luogo dove si sentiva completamente impotente e non riusciva a spiega-
re nulla. Provò delle sensazioni fuggenti come un attimo, dimenticandole
l'attimo dopo; le riconosceva come ricordi, ma non sapeva quale ne fosse
l'oggetto.
«Leone...» L'implorazione le si strozzava in gola riducendosi a un sus-
surro. «Vicino a Santa Gawaine. Vicino alla Cappella.»
Niente.
«Zitta, bambina.» La voce era dolce, ma non riuscì a distinguere se fosse
di uomo o di donna. «Zitta, zitta.»
«Sei una fottuta macchina? Rispondi! Golem...»
«Non è un problema consono. Non ne conosco la soluzione.»
La voce nella sua anima era fredda come sempre. In essa non c'era nulla
del predatore o del santo.
Il dolore investì ogni cellula del suo corpo. «Merda!» sussurrò.
«Dalle ancora quell'intruglio. Non morirà» disse la voce di Robert An-
selm. «Cristo, uomo, sbrigati!»
«Perché non lo fai tu? Sempre che tu ci riesca!» ribatté secca la voce di
Florian.
«Non intendevo dire che...»
«Taci allora. Non la sto perdendo.»

III

Doveva aver dormito, ma se ne rese conto solo dopo qualche tempo.


La luce che precedeva l'alba aveva ridotto la finestra a un quadrato gri-
gio. Ash emise un lamento. Aveva le mani madide di sudore e le lenzuola
del letto puzzavano. Mosse una spalla, sentì la lana che le grattava la
guancia e si accorse che l'avevano messa distesa quando era ancora vestita,
limitandosi ad allentare i lacci del farsetto. Ogni movimento, anche il più
impercettibile, le provocava delle fitte di dolore lancinanti.
«Se fa male vuol dire che sto migliorando» disse.
«Cosa?» Un'ombra si alzò e si piegò su di lei. L'alba illuminò il volto di
Floria del Guiz. «Hai detto qualcosa?»
«Ho detto che sto migliorando perché comincio a sentire il male.» Ash si
accorse di essere senza fiato. Floria le portò la ciotola alle labbra e lei bev-
ve riversando metà del contenuto sulle lenzuola.
Ash udì un rumore bizzarro poi comprese che stavano bussando alla por-
ta, che un attimo dopo si aprì prima ancora che Floria potesse alzarsi. Il
nuovo arrivato teneva in mano una lanterna con il parafiamma perforato.
Ash fece un respiro e sentì una fitta alla testa. Aprì lentamente gli occhi e
fissò la porta.
«Oh, sei tu» borbottò Ash, riconoscendo il nuovo arrivato. «Non so di
cosa si possa lamentare la Sorella - questo fottuto convento è pieno di uo-
mini.»
«Sono un prete, figliola» le fece notare Godfrey Maximillian in tono mi-
te.
«Buon Dio, sono così malata?»
«Non ora.» Floria le posò una mano sulla spalla. Ash soffocò un urlo.
«Ieri ti sei sforzata troppo» aggiunse il chirurgo. «Cosa che non succederà
oggi. Questa è la parte lunga e noiosa. La parte che non ti è mai piaciuta.
La parte nella quale il capo cerca di alzarsi anche se non deve. Ricordi?»
«Sì. Ricordo.» Ash fece un sorriso in risposta a quello del chirurgo. «Ma
mi sto annoiando.»
Il chirurgo socchiuse gli occhi e sul suo volto apparve un'espressione ta-
le da indurre Ash a temere che se non fosse stata gravemente ferita avreb-
be ricevuto un ceffone dietro le orecchie.
«Ti ho portato un visitatore» le disse Godfrey. Il chirurgo lo fissò in ca-
gnesco alzando un dito. «So quello che sto facendo. Lei è molto ansiosa di
incontrare Ash, ma è arrivata al convento stamattina. Le ho detto che a-
vrebbe potuto parlare con il capitano solo per pochi minuti.»
Floria cominciò a parlare con il prete e ad esporre il suo scetticismo. La
luce sempre più intensa illuminò il prete barbuto e l'uomo laconico che in
realtà era una donna. Ash ascoltava.
«Sono sempre io, Flo..., figliola. Un tempo credevi che avessi una certa
abilità nella mia arte» disse Godfrey Maximillian.
«Fare il prete non è un'arte,» borbottò il chirurgo «è una truffa ai danni
dei creduloni. Va bene. Fa' entrare il visitatore.»
Ash non fece nessun tentativo di alzarsi e Floria posò la lanterna a terra
per non darle fastidio. Un corvo gracchiò fuori dalla finestra. Un tordo gli
rispose seguito da un fringuello e nel volgere di pochi attimi il cinguettio
di una miriade di uccelli echeggiò nell'aria. Ash sentiva la testa che le pul-
sava dolorosamente.
«Fottuti uccelli canterini!» si lamentò.
«Capitano» disse la voce chiara di una donna. Ash riconobbe il suono
prodotto dallo sfregamento delle piastre di un'armatura e il cigolio di una
maglia di anelli metallici in movimento.
Alzò gli occhi e vide una donna di circa trentacinque anni a fianco del
letto. Indossava un'armatura bianca forgiata a Milano. Al suo fianco pen-
deva una spada dal pomello sferico e sotto il braccio teneva un elmo piu-
mato. Era una figura dalla quale emanava una certa autorità.
«Siediti» la invitò Ash, schiarendosi la gola.
«Mi chiamo Onorata Rodiani, capitano 80 . Il tuo prete mi ha detto che
non devo stancarti.» La donna si tolse i guanti dell'armatura e si avvicinò
allo sgabello sull'altro lato del letto. Il dito medio e il mignolo della mano
destra erano malandati, segno evidente che erano stati rotti e rimessi a po-
sto più volte.
La donna si sedette tenendo il busto eretto e la testa dritta in modo da far
spuntare il mento dalla gorgiera e poterlo girare per controllare che il fode-
ro della spada non raschiasse la parete della cella. Soddisfatta della posi-
zione, si girò e sorrise. «Non mi perdo mai l'occasione di incontrare un'al-
tra donna guerriera.»
«Rodiani?» Ash socchiuse gli occhi malgrado il dolore alla testa. «Ho
sentito parlare di te. Vieni da Castelleone. Eri una pittrice, vero?»
La donna portò una mano al volto e Ash impiegò qualche attimo prima
di capire che doveva parlare più forte perché la sua ospite aveva messo la
mano a conca vicino all'orecchio. La guancia della condottiera era sporca
di nero. Era diventata sorda a causa del fuoco delle artiglierie.
«Una pittrice?» ripeté Ash.
«Sì, prima di diventare mercenaria facevo la pittrice» confermò con un
sorriso Onorata Rodiani. «Fu allora che uccisi il primo uomo. Ero a Cre-
mona e stavo dipingendo un affresco per il Tiranno. Qualcuno cercò di
stuprarmi. Dopo averlo ucciso decisi che mi piaceva di più combattere che
dipingere.»
Ash sorrise come faceva ogni volta che udiva una storia creata per essere
80
Onorata Rodiani è stata incorporata in questo testo in base alla
convinzione che molto probabilmente le due donne dovevano essersi
incontrare. Infatti, si sa che la Rodiani morì dopo una lunga carriera come
mercenaria difendendo la propria città natale, Castelleone, nel 1472.
data in pasto alla gente. Non è così facile, pensò. I lineamenti del volto
della mercenaria facevano capire che in vecchiaia sarebbero diventati ca-
denti. Sempre che tu ci arrivi, continuò a pensare Ash, mentre allungava
una mano. «Posso vederlo?»
«Sì.» Onorata Rodiani le passò l'elmo.
Ash lo prese in mano e il solo sforzo di tenerlo sollevato le causò un for-
te dolore alla testa. Passò un dito sulle cinghie, i rivetti e sul contorno a T
dell'apertura. «Ti piacciono questi? Io non sono mai riuscita a vedere nien-
te! Vedo che gli hai fatto mettere dei rivetti a testa di rosa.»
La donna carezzò il pomello della spada. «Mi piacciono i rivetti di otto-
ne sull'elmo perché rimangono più lucidi.»
Ash le restituì l'elmo. «E gli avambracci milanesi? Io ho sempre usato
armature germaniche.»
«Ti piacciono le armature gotiche?»
«Riesco a muovere meglio le braccia. Per il resto sono tutte scanalature
e spigoli - no. È un'armatura con troppi fronzoli.»
Giunse uno sbuffo dal punto in cui Floria e Godfrey stavano parlando a
bassa voce. Ash li fulminò con un'occhiata.
«Vuoi vedere la mia spada?» le chiese Onorata Rodiani. «Vorrei poterti
far vedere il mio cavallo da guerra, ma devo partire stamattina per la guer-
ra in Francia.»
La donna si alzò in piedi ed estrasse l'arma. Il sibilo del metallo che sci-
vola fuori dal fodero echeggiò nella stanza. Ash riuscì a puntellarsi sui
gomiti, si appoggiò con la schiena contro la testiera del letto e allungò le
mani verso l'elsa ignorando il dolore che le faceva lacrimare gli occhi.
Francia? pensò Ash. Ma sì, i Visigoti hanno più rifornimenti di quanto io
abbia mai visto in vita mia e non si fermeranno certo adesso. Dopo gli
Svizzeri e i Tedeschi... la Francia non è così male.
Il faris si è equipaggiato per una crociata su vasta scala.
«Quante lance hai?» Ash menò un fendente con l'arma e la lama lunga
quasi un metro scivolò nell'aria come l'olio sull'acqua. Era come se fosse
viva e la sensazione di tenere tra le mani un oggetto simile le dava la forza
di resistere al dolore.
«Venti» disse la donna. «Giusto?»
«Vedo che l'hai fatta affilare.»
«Sì, così non devo stare con il fiato sul collo dell'armaiolo per farlo lavo-
rare bene!»
«Ah, mai fidarsi degli armaioli.» Ash abbassò la lama e la fissò per tutta
la lunghezza con occhio esperto. Vide il volto sorridente di Godfrey Ma-
ximillian. «Cosa c'è?»
«Niente. Niente...»
«Allora procurami del vino! Non vorrai che pensino che siamo un bran-
co di cafoni da queste parti?»
Floria del Guiz prese sottobraccio il prete. «Andiamo a prendere il vino,
capo» borbottò. «Torneremo in un batter d'occhio.»
Ash ruotò la lama puntandola verso l'alto e lasciando che un raggio di
sole si rifrangesse sull'acciaio tirato a lucido. Notò che vicino all'elsa un
taglio della spada era leggermente incurvato. Avevano limato una tacca.
Un uomo avrebbe potuto farsi la barba con quella spada.
«Mi piace l'elsa» commentò Ash. «Cos'è? Filo di rame sopra il velluto?»
«Filo d'oro.»
Il prete disse qualcosa al chirurgo che Ash non riuscì a capire, ma vide
Floria che scuoteva la testa sghignazzando. Abbassò la spada e la posò
sulla mano sinistra.
«Tende un po' verso il basso... anche a me piacciono le lame pesanti.
Scommetto che è molto tagliente.» Alzò la testa fissando Floria e Godfrey
in cagnesco. «Cosa c'è?»
«Vi lasciamo sole, figliola. Madonna Rodiani» Godfrey fece un inchino.
Alle sue spalle, Floria rideva per un motivo che Ash non riusciva a capire,
ma che era certa fosse meglio sapere. Anche Godfrey le sorrideva. «Io e
Florian ce ne andiamo subito.»
Ash ebbe l'impressione che Floria stesse mormorando: «Tutti se ne an-
drebbero! Mio Dio, queste due potrebbero annoiare l'intera Europa...»
«Voi» li rimproverò Ash «state interrompendo una discussione tra pro-
fessionisti. Sparite! E mentre andate a prendere il vino portate anche qual-
cosa da mangiare. Diavolo, sembra che non vi ricordiate più che sono feri-
ta.»
Era bellissimo poter dimenticare l'esercito al confine, l'incubo vissuto a
Basilea anche solo per qualche minuto.
«Non si può combattere la battaglia nella tua testa ogni ora del giorno, o
si rischia di non poter vincere quando è il momento.» Ash rise e decise di
rimandare ogni decisione.
«Rimani per colazione, Madonna Onorata? Mentre mangiamo vorrei un
tuo parere su una cosa che ho letto sul libro di Vegezio. Egli dice che è
necessario affondare la spada perché cinquanta centimetri di lama nello
stomaco sono sempre fatali, ma il tuo uomo non cade immediatamente e
ha il tempo di ucciderti. Io uso spesso i fendenti, che sono più lenti, è vero,
ma staccano di netto la testa e di solito non ho più problemi con l'avversa-
rio. Tu cosa preferisci?»

Non aveva paura delle ferite.


Sebbene sapesse di gente che era andata in giro con una ferita alla testa
per giorni, per poi cadere morta senza nessuna ragione apparente (malgra-
do il medico li avesse curati), e pur avendo subito la perdita di due denti
posteriori, Ash giunse alla conclusione che non sarebbe morta quel giorno
e fece di tutto per dimenticare la ferita. Era solo una delle tante.
Questo la lasciò senza nulla a cui pensare.
Ash posò i gomiti sul davanzale della finestra osservando la confusione
che regnava in cortile nel giorno dedicato al bucato. Il puzzo dell'aro le
riempì le narici dandole una sensazione di pace che la fece sorridere mesta.
Qualcuno entrò nella cella, ma Ash non si girò perché aveva riconosciu-
to il passo. Godfrey Maximillian si avvicinò alla finestra. Notò che stava
guardando verso l'alto con aria riflessiva proprio come aveva fatto Florian,
Roberto e la piccola Margaret. Aveva le guance scottate.
«Flori... Florian dice che stai abbastanza bene per parlare di lavoro.»
«Lo stai già facendo! Lei lo fa già, vero? È bello sentirlo dire da lei» dis-
se Ash.
Un passero le atterrò sul palmo e cominciò a mangiare le briciole arruf-
fando le piume e fissandola al tempo stesso con gli occhi privi di pupille.
«Suppongo che abbiamo rotto de facto il contratto con i Visigoti» esordì
Ash. «Con il suo comportamento il faris ha annullato ogni accordo che
aveva stipulato con me. Credo che sceglierò di stare con chi rimarrà neu-
trale.»
«Vorrei che fosse tanto semplice» commentò Godfrey.
Il becco duro del passero le pungolava il palmo.
Ash alzò la testa per fissare il prete. «So che non basterà tenersi fuori
dalla mischia. I Visigoti stanno marciando verso nord.»
«Sono arrivati fino ad Auxonne.» Godfrey scrollò le spalle. «Ho le mie
fonti. Noi siamo passati da Auxonne quando siamo scappati da Basilea. È
a circa una settantina di chilometri da qui.»
«Settanta chilometri!» La mano di Ash fu scossa da un tremito e il pas-
sero si lanciò in volo volteggiando sopra il cortile pieno di donne. Le voci
delle suore e lo sciabordio dell'acqua nelle tinozze giungeva fino alla stan-
za.
«Ciò... mi ricorda che devo fare qualcosa. La domanda è: cosa? Prima di
tutto devo pensare alla compagnia. Devo rimettere in riga i ragazzi...»
Un'ombra passò sul tetto d'ardesia. Ash alzò gli occhi e vide un martin
pescatore. Oltre le mura del convento e i campi vedeva i tetti bianchi e
azzurri della città illuminati dal sole pomeridiano.
«Ti devo chiedere una cosa, Godfrey. Tu sei il mio dotto 81 . Puoi pren-
derla come una confessione. Posso guidarli in combattimento se non posso
più fidarmi della mia voce?»
Uno sguardo all'espressione preoccupata del prete era più che sufficien-
te.
«Ah, sì» Ash annuì. «Il faris ha una macchina da guerra, una machina
rei militaris. Ho visto che le parlava e dovunque fosse, Cartagine o nelle
vicinanze, non era nello stesso posto dove si trovava lei. Ma lei la sentiva
e... anch'io la sentivo. È la mia voce, Godfrey. È il Leone.»
Aveva la voce salda, ma rischiava di scoppiare in lacrime da un momen-
to all'altro.
«Figliola!» Il prete la prese per le spalle. «Oh, mia cara figliola!»
«Posso sopportarlo. Fu un miracolo vero e proprio, la Bestia era vera,
ma i bambini immaginano molte cose. Forse non ero neanche presente, e
ho sentito gli uomini che ne parlavano. Forse ho inventato di aver visto il
leone quando ho cominciato a sentire le voci.» Ash si liberò dalla presa. «I
Visigoti staranno più attenti, adesso. Prima non avevano nessun motivo di
pensare che qualcuno potesse usare la macchina. Adesso... potrebbero es-
sere in grado di impedirmi di usarla. Potrebbero farla mentire. Dirmi di
fare la cosa sbagliata e farci uccidere tutti...»
«Cristo sull'Albero!» esclamò Godfrey, sconvolto.
«È tutta la mattina che ci penso.» Ash sorrise, non le rimaneva altro da
fare per cercare di tirarsi su. «Anche tu capisci il problema.»
«Capisco che sarebbe saggio non dire niente a nessuno. Quanto mi hai
detto è Sotto l'Albero.» Godfrey fece il segno della croce. «Gli uomini al
campo sono agitati. Il morale può crescere o crollare, non so. Puoi combat-
tere senza l'aiuto della voce, figliola?»
Il sole si rifrangeva contro le mura del convento. Una ventata d'aria cal-
da portò l'odore del timo, del rosmarino, del cerfoglio e dell'aro dall'orto
officinale. Ash fissò il prete con sguardo inespressivo.
«Ho sempre saputo che prima o poi avrei dovuto scoprirlo. Ecco perché
81
Prete: la maggior parte delle persone che avevano studiato erano preti,
allora.
durante la battaglia di Tewkesbury non feci mai ricorso alla voce per tutto
il giorno. Se dovevo guidare degli uomini in un combattimento dove pote-
vano venire uccisi, non volevo che dipendesse da qualche dannato santo o
da un qualunque Leone-nato-da-una-Vergine, volevo che dipendesse da
me e basta.»
Dalla bocca di Godfrey scaturì un suono soffocato. Ash, interdetta, fissò
il prete barbuto. L'espressione dell'uomo era in bilico tra il riso e un'esplo-
sione di pianto.
«Cristo e la Santa Madre!» esclamò il prete.
«Cosa c'è, Godfrey?»
«Non volevi che dipendesse da qualche 'dannato santo'!» scoppiò in una
risata tanto fragorosa da far alzare la testa ad alcune suore inducendole a
osservare la finestra con gli occhi socchiusi a causa del sole.
«Non vedo cosa ci sia...»
«No» la interruppe Godfrey, asciugandosi gli occhi. «Credo che tu non
capisca proprio.» Le sorrise, caloroso.
«I miracoli non sono abbastanza per te. Tu devi essere certa di poterli fa-
re con le tue mani.»
«Sì, quando sono responsabile della vita dei miei uomini.» Ash esitò. «È
successo cinque o sei anni fa. Ora non so cosa potrei fare senza la voce.
Tutto quello che so è che non mi posso più fidare di lei.»
«Ash.»
Alzò gli occhi e incontrò lo sguardo serio del prete.
Il religioso indicò la città. «Il duca Carlo è a Digione. Si è stabilito là
con la sua corte da quando si è ritirato da Neuss.»
«Me l'ha detto anche Florian. Credevo che fosse andato più a nord. A
Bruges.»
«Il duca è qui insieme alla corte, all'esercito.» Godfrey le posò una mano
sulla spalla. «E altri mercenari.»
Ash si rese conto che quella che aveva preso come una continuazione
delle mura di Digione non era altro che un vastissimo accampamento. Cen-
tinaia di tende. Migliaia. Il bagliore delle armi e delle armature. Le attività
degli uomini, i cavalli, gli stendardi troppo distanti per capire a chi appar-
tenessero. Ash suppose che ci fossero le compagnie di Rossano, di Mon-
forte e i soldati del duca Carlo sotto il comando di Olivier de la Marche.
«Là fuori tu hai ottocento uomini che appartengono al Leone Azzurro,
per non parlare dei carri. Gli uomini non parlano d'altro» aggiunse il prete,
torvo. «Sanno tutti che hai avuto un colloquio con il faris. Di conseguenza
ci sono molte persone che sono ansiose di parlare con te una volta che ti
sarai ripresa e sarai uscita di qua.»
«Merda. Merda!»
«E non so quanto tempo ancora saranno disposte ad aspettare.»

IV

Il mattino dopo il calore sembrava ammantare gli alberi con una foschia
bluastra. Il cielo aveva un colorito grigio polvere. Ash camminava con le
maniche del vestito arrotolate, lungo la strada bordata da margherite e
piante di prezzemolo che portava al suo campo, un chilometro circa dal
convento. Si avvicinò di soppiatto passando attraverso un boschetto di
betulle e percorrendo la zona in cui erano state impastoiate le capre e le
vacche della compagnia.
Ash grattò uno dei pavesi di vimini attaccati a un carro non lontano dal
cancello principale e prese nota mentalmente di ricordare a Geraint che la
distanza tra un picchetto e l'altra era sbagliata.
«Non dovrei essere in grado di farlo...»
Fissò il campo oltre i carri, i larghi corridoi tra le tende per impedire il
dilagare degli incendi e gli uomini del Leone, per lo più intenti a mangiare
il porridge intorno ai fuochi dalle loro scodelle di legno.
Va bene, pensò, cos'è cambiato? Cosa c'è di diverso? Chi...
«Ash!»
Ash inclinò la testa all'indietro facendosi ombra con una mano per vede-
re meglio chi si trovava sul carro. Il caldo le fece arricciare la pelle delle
guance e del naso. «Bianche? Sei tu?»
Due gambe bianche balzarono giù dal carro e la donna abbracciò Ash
con le lacrime agli occhi. L'impeto dell'ex prostituta dai capelli biondi fu
tale da spingerla indietro.
«Whoa! Tranquilla, ragazza! Sono tornata, ma non vorrai uccidermi
prima che sia entrata.»
«Merda!» esclamò Bianche felice. Il sole evidenziava lo sporco delle
guance. «Pensavamo che stessi per morire. Pensavano che avremmo dovu-
to continuare a sopportare il Gallese bastardo. Henri! Jan-Jacob! Venite!»
Ash si issò oltre la barra del carro e saltò sulla paglia che ricopriva il ter-
reno del campo non lontano dalle tende dei cavalieri, poi si raddrizzò ri-
trovandosi tra le braccia di Henri Brant e Jan-Jacob Clovet: quest'ultimo
cercava di allacciarsi i pantaloni con una mano mentre con l'altra le dava
delle pacche sulla schiena. Baldina, la figlia di Bianche, una donna dai
capelli rossi, si abbassò la gonna con calma e si alzò dalla paglia sopra la
quale stava occupandosi dei due soldati.
«Sei tornata capo?» le chiese con voce roca.
Ash scompigliò i capelli rosso fuoco della prostituta. «No, sto per sposa-
re il duca Carlo di Borgogna. Dopo passeremo tutta la vita a mangiare fino
a scoppiare e a scopare su materassi di piume d'oca.»
«È giusto» approvò Baldina, divertita. «Ti renderemo vedova, così po-
trai farlo. Sempre che quel cazzo moscio che ti sei sposata sia ancora vi-
vo.»
Ash non riuscì a rispondere perché Euen Huw l'abbracciò ricoprendola
di una fiumana di complimenti e lamentele in gallese. Nel volgere di qual-
che attimo il gruppo intorno a lei cominciò a farsi sempre più numeroso.
Musicisti, lavandaie, prostitute, stallieri, cuochi e arcieri, tutti volevano
parlarle e pian piano cominciarono a portarla verso il centro del campo
come era nelle sue intenzioni.
Thomas Rochester le buttò le braccia al collo con le lacrime agli occhi,
imitato da metà degli inglesi.
«I soliti rosbif sentimentali.» Ash gli batté la schiena. Josse e Michael si
strinsero a lei.
Quindici minuti dopo stava stringendo la mano di Joscelyn van Mander,
malgrado il dolore alla testa l'avesse quasi accecata. Anche il Fiammingo
aveva gli occhi lucidi.
«Sia lode a Cristo!» bofonchiò il lanciere. Si guardò intorno per osserva-
re il gruppo sempre più numeroso di soldati che cominciavano a sgomitare
per raggiungere Ash. «Sei viva! Sia lode a Cristo!»
«Non per molto» disse Ash sotto voce. Cercò di liberare le mani. Posò
un braccio sulla spalla di Euen Huw e strinse la mano di Baldina che le
stava tamponando il volto con un lembo della gonna.
«Ho parlato in favore della compagnia con il visconte, abbiamo avuto
dei problemi a fare entrare i cavalieri in città» le disse Joscelyn van Man-
der in tono confidenziale e a voce bassa.
Oh, pensò Ash, sei andato a parlare in favore della compagnia? Ma senti
questo.
«Sistemerò tutto io» disse Ash, illuminandosi in volto.
Sorrise alle persone che la circondavano.
«È il capo!»
«È tornata!»
«Allora - dov'è Geraint-il-Gallese-bastardo?» indagò Ash, divertita.
Geraint ab Morgan si fece spazio tra la folla in mezzo a una pioggia di
risate. Il robusto Gallese si stava infilando la maglia nel dietro dei pantalo-
ni e quando vide Ash nel mezzo di una folla di ammiratori deliranti i suoi
occhi azzurri iniettati di sangue ebbero un guizzo.
Geraint le cadde davanti in ginocchio, allargando le braccia. «È tutto tu-
o, capo!»
Ash sorrise nel sentire la venatura di sollievo nella voce dell'uomo. Il
Gallese era davvero contento di vederla. «Sei sicuro di non volere il mio
lavoro?»
Sapeva bene cosa avrebbe risposto l'uomo di fronte a lei. Ash aveva de-
ciso di entrare dal campo senza passare dal cancello centrale perché voleva
farsi vedere per prima dal personale non militare che componeva la sua
compagnia, persone che non erano interessate in alcun modo alle lotte per
il comando. La gioia genuina di quelle persone si era trasmessa immedia-
tamente anche agli altri uomini e ai cavalieri rimanenti ai quali, visto il
voltafaccia repentino di van Mander, non restava altro che dimenticare le
ambizioni che avevano coltivato, le promozioni e le degradazioni non au-
torizzate ed esultare per l'arrivo del vero condottiero.
«Riprenditi il tuo fottuto lavoro, capo» disse Geraint parlando in gallese.
«Portatrice di luce!» urlò qualcuno alle sue spalle. «Leonessa!» aggiunse
qualcun altro. Ash pensò di aver riconosciuto la voce di Jan Jacob Clovet.
«Ascoltate!» Ash alzò entrambe le mani per ottenere silenzio. I servizi
del campo potevano aspettare per un'ora. «Sono qua, sono tornata e sto per
andare alla cappella. Chiunque voglia ringraziare Dio per essere stato libe-
rato dall'oscurità mi segua!»
Non riuscì a farsi sentire per un minuto abbondante. Improvvisamente si
fermò, diede una pacca sulla schiena di Euen Huw e indicò con l'altra ma-
no. Almeno quattrocento persone si diressero verso il cancello principale
del campo guidate da Ash che rispondeva alle domande, chiedeva notizie e
si congratulava con i feriti che stavano guarendo.
Ash camminava su per la collina seguita dai suoi uomini, facendo loro
strada verso la cappella dedicata al culto di Mitra82 che si trovava ovvia-
82
Sono del tutto d'accordo con la supposizione di Vaughan Davies che si
trova nel suo libro del 1939, quindi non mi resta altro che citarlo
direttamente: 'Il grandissimo numero di religioni praticate nel
quindicesimo secolo non ha nessuna somiglianza con la pratica del
Cristianesimo moderno. Un'epoca più stabile, un'epoca meno bisognosa di
mente al di fuori dei territori conventuali.
Le chiome rigogliose degli alberi splendevano al sole. Ash fece un lungo
respiro rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse rimasta
stupita dal caldo e dalla luce. Abbassò lo sguardo e fissò l'entrata della
cappella davanti alla quale si trovavano Floria, Godfrey, Angelotti e Ro-
bert: fece un cenno lievissimo con il capo e gli ufficiali si rilassarono.
Floria le andò incontro insieme a Godfrey. Angelotti si inchinò e Robert
si fece da parte.
Ash lanciò un'occhiata interrogativa ai due uomini.
C'erano anche dei preti di fronte all'entrata del piccolo tempio. Ash prese
Floria e Godfrey sotto braccio. I soldati alle sue spalle cominciarono a
inginocchiarsi posando le armi e togliendosi i cappelli e gli elmi, ben sa-
pendo che non sarebbero potuti entrare in quel luogo sacro. Tutti ridevano
e parlavano ad alta voce. Dei giovani preti del culto di Mitra si allontana-
rono dal tempio e si diressero verso la folla in modo da potere officiare un
rito anche per loro.
Ash entrò nel tempio sempre a braccetto di Godfrey, abbassando la testa
per non picchiare contro l'architrave e passando dall'odore di foresta secca
che regnava all'esterno a quello di terra umida che permeava il corridoio.
«Allora? Cosa ti hanno detto a corte? Il duca vuole combattere?»
«Ho sentito delle voci, ma niente di affidabile. Sicuramente non può i-
gnorare un esercito a settanta chilometri dai confini del suo regno, ma...
Ma non ho mai visto tanta magnificenza!» esclamò Godfrey. «Devono
esserci almeno trecento libri nella sua biblioteca!»
«Oh, libri. Certo, certo.» Ash strinse la mano intorno al braccio del prete
mentre scendeva l'ultimo gradino ed entrava nella cappella di Mitra. I raggi
del sole penetravano tra le travi creando i più strani giochi di luce e ombra
all'interno della caverna. Il pavimento a mosaico riproduceva i Cammina-
tori Orgogliosi e Le Piogge d'Aprile. «Cosa pensi che me ne possa impor-

protezione divina della nostra, può permettersi delle religioni caricatura


che noi definiremmo tranquillamente blasfeme. Queste rappresentazioni
scurrili (che si trovano solo nel manoscritto dell'Angelotti) sono pura satira
degna di Rabelais e devono essere considerate alla stessa stregua dei
racconti nei quali gli Ebrei venivano descritti come avvelenatori di pozzi e
rapitori di bambini. Tutto il brano, con i suoi riferimenti, è una satira
contro il papato che intorno al 1470 non era certo un esempio di
rettitudine; ed è un sentore di quello che nel secolo a seguire diventerà la
Riforma.'
tare dei libri del duca Carlo, Godfrey?»
«No, non credo che te ne possa importare qualcosa, almeno non al mo-
mento.» Inclinò la testa di lato, sorridendo. «Ma ha i salteri più belli che
abbia mai visto. Uno è illustrato niente meno che da Rogier van der We-
yden. Ha anche una copia della Chanson du Geste, bambina - Tristano,
Artù. Jacques de Lalaing...»
«Oh, ma non mi dire! Davvero?»
Godfrey rise. «Davvero» rispose imitando il tono di Ash.
«Ecco cosa non va nella guerra» disse Ash, mentre si inginocchiavano
davanti all'altare del Toro.
«Eh? Cosa c'è che non va? Jacques de Lalaing è la guerra?» mormorò
Godfrey, interdetto. «Buon Dio, figliola, quell'uomo è morto da trent'an-
ni.»
«No.» Ash gli diede un buffetto amichevole. Il prete che si trovava sul-
l'altare la gratificò di un'occhiataccia 83 . Si rese conto di essere più entusia-
sta del suo ritorno alla compagnia di quanto avesse previsto e abbassò la
voce accorgendosi del brusio provocato dai soldati alle sue spalle. «Voglio
dire che quello che gli è successo è la cosa che non va nella guerra. Un
cavaliere perfetto, ha vinto tutti i tornei per anni e ha preso parte a tutte le
battaglie più importanti. Un vero guerriero, un cavaliere. Difese un guado
armato di lancia 84 e cosa gli successe?»
Godfrey dovette fare uno sforzo di memoria. «È stato ucciso durante uno
degli assedi di Ghent, giusto?»
«Già, da una palla di cannone.»
La scodella piena di sangue cominciò a passare tra i presenti. Ash bevve,
chinò il capo per ricevere la benedizione e recitò la frase di rito: «Ringra-
zio per la mia guarigione e dedicherò la mia vita a continuare la battaglia
della Luce contro l'Oscurità.» A mano a mano che la scodella passava il
numero di persone presenti nella cappella continuava ad aumentare. «Ca-
pisci quello che voglio dire, Godfrey. Un esempio di virtù cavalleresca e
cosa gli è successo? Qualche dannato artigliere gli ha staccato la testa dal
collo con una cannonata!»
Godfrey Maximillian l'aiutò ad alzarsi e Ash accettò di buon grado.
«Non che abbia mai pensato che la guerra abbia un senso» aggiunse,
secca. «Perché Robert e Angelotti mi evitano, Godfrey?»
83
Le donne e i soldati semplici non avevano permesso di essere presenti
ai misteri mitraici.
84
Anno Domini 1450.
«Davvero?»
Ash si trattenne dal rispondere male.. Conclusa la benedizione attese che
i ragazzini che indossavano le tuniche bianche e verdi finissero di cantare,
quindi uscì dal tempio in mezzo a due ali di soldati e si incamminò per il
bosco scacciando gli insetti con gesti decisi delle mani. Tutti i suoi uomini
volevano parlare con lei.
«I cavalli hanno bisogno di movimento!» disse il maniscalco.
«Venti carcasse di maiale e ne devo scartare nove» si lamentò Wat Ro-
dway.
«Gli arcieri di Huw si sono attaccati con i miei uomini!» le disse Carrac-
ci, un sergente italiano.
«Dannati artiglieri italiani,» sbottò Euen Huw «volevano fregare i miei
ragazzi!»
«Ho perso metà della mia polvere a Basilea» si lagnò una delle donne
archibugiere.
Ash si fermò, rimanendo immobile come una statua.
«Aspettate.»
Bertrand, il suo nuovo paggio, le passò il cappello di velluto. Sentì lo
sbuffare dei cavalli e guardò nella direzione dalla quale era giunto il suo-
no. Oltre gli alberi e i rovi qualcuno stava strigliando dei cavalli da guerra.
«Dopo» ordinò.
Un gruppo di uomini erano in piedi all'ombra degli alberi. Non riusciva
a capire bene a quale casata appartenessero perché scorgeva appena il sim-
bolo riprodotto sulla bandiera che pendeva inerte contro l'asta. Socchiuse
gli occhi e riuscì a distinguere un motivo a scacchi rossi e gialli bordati di
bianco, un muggine85 e, da quella distanza non ne era molto sicura, delle
croci o delle daghe. Le divise dei soldati erano bianche e rosso porpora.
Una mano la prese sotto un braccio e la allontanò dal gruppo che le si
era formato intorno guidandola per parecchi metri lungo il sentiero. «Ho
trovato un contratto» le disse Robert Anselm, tenendo gli occhi bassi. «A-
desso incontrerai il tuo nuovo capo.»
«Un nuovo capo?» Ash si bloccò nuovamente sul posto.
Non aveva abbastanza forza per fermare Anselm, ma l'inglese le lasciò
andare il braccio e le cadde in ginocchio davanti.
Un secondo uomo si inginocchiò sul tappeto di foglie secche: era Henri
Brant. Antonio Angelotti lo imitò senza battere ciglio. Ash fissò l'addetto
85
Non si tratta del pesce. In araldica il muggine è una stella a cinque
punte.
ai rifornimenti, il suo secondo in comando e il mastro artigliere. «Scusate
un attimo, il nuovo cosa? E da quando?» domandò, portando le mani ai
fianchi.
Anselm e Angelotti si scambiarono una rapida occhiata.
«Da due giorni?» azzardò Robert Anselm.
«È un nuovo datore di lavoro» esordì Henri Brant. «Nessuno voleva
farmi credito a Digione. L'esercito al confine ha fatto salire i prezzi. E non
posso approvvigionare i cavalli e gli uomini con quello che ci ha lasciato
Federico!»
Ash fissò Henri e notò che tendeva a piegarsi leggermente verso destra
quando si inginocchiava. «Alzati, idiota. Vorresti dirmi che nessun mer-
cante voleva darti il cibo se la compagnia non aveva un regolare contratto
con qualcuno?»
Henri Brant si alzò annuendo.
Proprio mentre la notizia che l'ultimo nostro datore di lavoro erano i Vi-
sigoti... Chiunque sia stato, pensò Ash, non ha perso tempo a fare la sua
mossa.
Ash batté il tacco dello stivale sulle foglie. «Roberto.»
I due uomini inginocchiati di fronte a lei non avrebbero potuto essere più
dissimili: Anselm indossava ancora il farsetto di lana blu e aveva il volto
non rasato; Angelotti aveva i capelli biondi che gli ricadevano sulle spalle
e la maglia senza neanche una macchia. L'unica cosa che li accomunava in
quel momento ero lo sguardo carico d'apprensione.
«Mi hai detto di prendere il comando della compagnia e l'ho fatto» si
giustificò Robert, scrollando le spalle. «Abbiamo bisogno di soldi e questo
è un buon contratto...»
«Con un uomo che già conosciamo.» Stranamente Angelotti cominciò a
incespicare sulle parole. «Che Roberto conosce, conosceva, cioè... voglio
dire... conosceva il padre, ecco...»
«Cristo, non vorrai dirmi che è un altro dei tuoi maledetti goddams86 !»
Ash lo fulminò con un'occhiata. «Quello è un posto dove non voglio pro-
prio tornare! Solo pioggia e barbari. Questa volta ti inchiodo le orecchie al
palo, Roberto.»
«È qua. Meglio se lo incontri.» Robert Anselm si alzò districando il fo-
dero da un cespuglio di rovi. Angelotti si drizzò a sua volta.
86
Insieme a rosbif, goddam era un'altro dei soprannomi affibbiati agli
inglesi. Si suppone che a quel tempo la gente comune fosse molto
sboccata.
«È uno dei tuoi fottuti, Lancaster, vero? Oh, dolce Cristo! E alla fine di
tutto vuoi che vada a combattere re Edoardo d'Inghilterra per buttarlo giù
dal trono. Non credo proprio.» Ash si rese conto di un'implicazione legata
a quel contratto e improvvisamente si interruppe. Se accettassi mi troverei
a centinaia di leghe di distanza dal faris e dal suo esercito, pensò. Senza
contare che in mezzo c'è anche un bel tratto di Mare del Nord. Forse c'è
del buono in tutto questo. Se vado in Inghilterra il peggio che mi può capi-
tare è morire sul campo di battaglia. Chi lo sa cosa potrebbero farmi a Car-
tagine se scoprissero mai che sono in grado di sentire - no!
«Chi sono quelli in bianco e rosso porpora?» borbottò, iniziando al tem-
po stesso a cercare nel suo archivio mentale per ricordarsi chi fossero i
Lancaster esiliati dagli York.
Robert Anselm tossì. «John de Vere. Il conte di Oxford.»
Ash prese la spada dalle mani di Bertrand e la assicurò al fianco con fare
assente. Il sole si screziò sul cuoio consumato del fodero. Il suo farsetto
verde e argento aveva sempre un bell'aspetto malgrado non fosse stato
lavato e spazzolato da quasi una settimana.
«Il cazzo di conte della fottuta Oxford, sembra che io valga dieci scellini
all'anno. Grazie, Robert. Grazie.» Scosse i fianchi per sistemare la spada e
fissò intensamente il suo luogotenente. «Tu hai combattuto per la sua casa-
ta, giusto?»
«Per suo padre e per suo fratello maggiore, poi con lui dal '71» confermò
Robert, a disagio. «Ho preso quello che c'era. Dice di aver bisogno di una
scorta.»
Ash cercò Godfrey con gli occhi e lo vide impegnato a parlare con un
soldato del Conte di Oxford. Non era il momento adatto per avvicinarsi al
prete e chiedergli come mai un Lancaster si trovasse alla corte di Carlo di
Borgogna, cosa volesse da un contingente mercenario armato di tutto pun-
to e cosa ne pensasse dell'esercito visigoto a pochi chilometri da loro!
«Suo padre, il tuo vecchio capo, è morto in battaglia, giusto?»
«No. Suo padre e Sir Aubrey - lo zio - sono stati giustiziati.»
«Evviva» esultò Ash, torva. «Adesso vengo assoldata da un nobile che
ha i suoi beni sotto sequestro, perché è così, vero?»
«Sta arrivando, Madonna» si intromise Antonio Angelotti.
Drizzò le spalle senza neanche rendersene conto. Gli insetti continuava-
no a ronzare tra gli alberi, infastidendola. Un cavallo sbuffò. Il tintinnio
delle maglie di anelli metallici sotto le livree dei de Vere annunciò l'avvi-
cinarsi dei soldati. Molti dei volti erano scottati dal sole. Ash sospettò che
la scorta fosse composta da uomini che ultimamente avevano dato dei pro-
blemi a qualche sergente. Non riusciva a vedere bene l'uomo al centro del-
lo schieramento, tuttavia si tolse il cappello e si inginocchiò imitata dai
suoi ufficiali, mentre la scorta si apriva per far passare il nobile.
«Mio Conte» disse Ash.
Era consapevole che tutti i suoi uomini riuniti fuori della cappella la sta-
vano osservando ed era contenta che non potessero sentirla. Il terreno era
duro e provò una fitta alla testa. «Signora, capitano» disse una voce dal
marcato accento inglese. Ash alzò lo sguardo.
L'uomo poteva avere un'età compresa tra i trenta e i cinquantacinque an-
ni: aveva dei bei capelli, gli occhi azzurri e il volto di chi era abituato a
stare all'aperto. Indossava alti stivali da cavallerizzo che quasi toccavano i
lembi inferiori di uno sbiadito farsetto di lino. Si avvicinò a lei allungando
una mano. Aveva i polsi gracili. Il conte la sollevò senza alcuno sforzo,
facendo svanire tutti i dubbi che Ash poteva avere sulla sua forza fisica.
Ash si sfregò le mani per pulirle e gratificò il nobile con un'occhiata sa-
gace. Il panciotto era di fattura italiana, non così barbarico come aveva
temuto e sembrava che fosse stato indossato per tutto il giorno durante la
caccia. Al fianco del nobile pendeva una daga. Ash si trattenne dall'espri-
mere ad alta voce il suo parere sulla pazzia degli Inglesi.
«Siamo al vostro comando, mio Conte» disse Ash, evitando di aggiunge-
re: 'almeno così mi hanno detto.'
«Vi siete ripresa, signora?»
«Sì, mio signore.»
«I vostri ufficiali mi hanno parlato della forza della vostra compagnia.
Voglio vedere come la comandate.» Il conte di Oxford si girò e si diresse
verso il cavallo. Ash borbottò un rapido comando ad Anselm, che si dires-
se rapidamente verso il campo, mentre lei seguiva de Vere. Il fatto che il
conte non le avesse detto di seguirlo e che lei avesse ubbidito lo stesso
perché così doveva essere la divertì e la impressionò allo stesso tempo.
Ash trovò il suo paggio con il cavallo al limitare del bosco. Montò in
sella senza problemi e dovette trattenere Godluc dal lanciarsi al galoppo,
facendolo invece affiancare al castrato del conte di Oxford.
«Siete una donna piuttosto insolita» disse il nobile e sorrise. Gli manca-
va un dente laterale. Sui polsi spiccavano delle cicatrici che sparivano sot-
to il polsino della manica e sulla guancia si intravedeva uno sfregio provo-
cato da una freccia.
«I vostri uomini mi sembrano molto fedeli a voi. Siete una vergine pro-
stituta?»
Ash rischiò di scoppiare a ridere nel sentire la traduzione inglese del
termine pulzella. «Non vedo come la cosa vi possa interessare, sir» rispo-
se, divertita.
«Avete ragione.» Si sporse dalla sella e le offrì nuovamente la mano.
«John de Vere. Potete chiamarmi 'Vostra Grazia' o 'Mio Lord'.»
Maniere da campo e non da corte, pensò Ash. Bene. È sempre meglio
quando uno di questi sa qualcosa della vita militare. Devo aver incontrato
il padre di questo tizio perché il suo volto non mi è nuovo.
Gli strinse la mano. La presa era forte.
Rimandiamo le domande a dopo, continuò a pensare Ash. Finché non
avrò il tempo di pensare alle risposte.
«Cosa volete che faccia con i miei uomini, Vostra Grazia?»
«Prima di tutto, sono qui per fare una richiesta a Carlo di Borgogna. Se
egli dovesse rifiutarla, voi sarete la mia scorta fino ai confini e in Inghilter-
ra. Vi pagherò una volta arrivati a Londra.»
«Quante probabilità ci sono di un rifiuto?» chiese Ash, pensierosa. «Vo-
stra Grazia vuole che il Leone Azzurro combatta contro tutto l'esercito
burgundo? Forse posso condurvi fino al porto sulla Manica, ma non voglio
perdere tutti i miei uomini nell'impresa, cosa che sicuramente succedereb-
be.»
John de Vere si girò verso di lei. Il grosso cavallo del nobile aveva un
che di fiero e lo sguardo spiritato, ma il suo padrone lo guidava con piglio
sicuro. Per Ash quelli erano indizi che le permisero di classificare imme-
diatamente l'uomo al suo fianco: un soldato.
«Sono qui per cercare un pretendente Lancaster al trono d'Inghilterra»
spiegò, quasi timoroso. «Henry, sempre sia lode alla sua memoria, è stato
assassinato e suo figlio è morto sul campo di Tewksebury 87 . Gli York non
sono così sicuri del trono che hanno conquistato. Un erede legittimo po-
trebbe detronizzarli.»
Ash aveva preso parte alle guerre dinastiche dei rosbif cinque anni prima
e da allora non aveva saputo quasi più nulla di quello che succedeva tra le
casate dei nobili d'oltre Manica. Lanciò un'occhiata piuttosto confusa a de
Vere.
87
4 maggio 1471: il principe Edoardo, l'unico figlio ed erede di re
Enrico VI, muore in battaglia contro Edoardo di York (in seguito re
Edoardo IV di Inghilterra) sul campo di Tewkesbury. Enrico VI morì
pochissimo tempo dopo in circostanze molto sospette.
«Sì. So che il duca Carlo ha sposato una delle sorelle di Edoardo di
York» disse, tranquilla.
«Edoardo di York che al momento è Edoardo quarto, re d'Inghilterra, per
volontà divina.
«Re usurpatore» si affrettò ad aggiungere con voce colma d'autorità.
«Quindi, se ho capito bene, voi siete qui, alla corte di un principe che ha
sposato la sorella dell'attuale re d'Inghilterra, una York, per cercare un pre-
tendente Lancaster al trono d'Inghilterra, che abbia voglia di invadere l'In-
ghilterra e combattere per riprendersi ciò che gli spetta?»
Ash si inclinò leggermente all'indietro per frenare l'impeto di Godluc,
che avrebbe voluto lanciarsi al galoppo sulla distesa d'erba verde nella
quale stavano cavalcando. Per un minuto non fissò il conte di Oxford e
quando tornò a farlo non era più sicura che l'uomo stesse ancora sorriden-
do.
«Ricordatemi di rinegoziare il nostro contratto se si dovesse arrivare a
tanto, Vostra Grazia. Sono piuttosto sicura che Robert Anselm non abbia
firmato anche per questo.»
Anche se non desidera altro, pensò. Dannazione, Robert! Non ha mai
smesso di pensare alle guerre dinastiche del suo paese, ma non mi trascine-
rà in quel casino!
Non che non voglia essere lontana miglia e miglia da qui...
«Non pensate al mio progetto come a una follia, capitano» disse il conte
di Oxford. «Altrimenti comincerò anch'io a credere che sia una follia as-
sumere una compagnia mercenaria guidata da una donna in aggiunta alle
mie truppe regolari.»
Ash cominciò a pensare che sotto quella scorza di soldato inglese, John
de Vere, conte di Oxford, potesse essere incauto quanto un cavaliere di
quindici anni alla prima campagna. E pazzo come un cane con le palle in
fiamme, concluse. Robert, Angelotti, siete nei guai fino al collo.
«Voi venite da sud, Capitano, ed eravate al servizio del comandate visi-
goto. Cosa potete dirmi? Sempre rispettando i termini della vostra condot-
ta!»
Eccola qua, pensò Ash. Ed è solo la prima. Questa sì che è una domanda
interessante, non solo se a rivolgerla è un conte inglese pazzo che si dà il
caso sia il mio datore di lavoro...
«Allora?» chiese de Vere.
Ash fissò la scorta guidata da Thomas Rochester che reggeva lo stendar-
do della compagnia. I suoi uomini si erano mischiati con quelli del conte.
Il resto della sua compagnia, arcieri, ronconieri e cavalieri, si stava diri-
gendo al campo in compagnia degli ufficiali.
«Sì, Vostra Grazia.» Ash socchiuse gli occhi e fissò la colonna alle loro
spalle, che da quel punto d'osservazione sembrava immobile: una foresta
di alabarde, lance che ondeggiavano dolcemente e una moltitudine di elmi
d'acciaio e lame di ronconi che brillavano al sole burgundo.
«Se desiderate ispezionare la mia compagnia ho del vino nella mia ten-
da. Penserò a cosa posso dirvi senza tradire il mio ex datore di lavoro.»
Esitò per un attimo, quindi chiese: «Cosa volete sapere?»
Il nobile non sembrò offendersi e lei si era comportata in maniera abba-
stanza irrispettosa da provocarlo. Adesso vediamo dove vuole arrivare,
pensò Ash, e attese tenendo le redini tra le mani e il corpo rilassato per
seguire l'andatura ondeggiante di Godluc.
«Dichiaro che da quando sono arrivato qua ho dovuto cambiare i miei
piani.» John de Vere era passato a parlare il francese borgognone. «Con
questa Crociata a sud che si sta srotolando su tutta la Cristianità come un
tappeto e il mio signore principe di Borgogna e il re di Francia che litigano
invece di unirsi, ho pensato che la causa dei Lancaster può attendere, per
ora. A cosa servirebbe avere un Lancaster per poi ritrovarsi con delle gale-
re nere che risalgono il Tamigi?»
Ash fece in modo di far rallentare e arretrare la sua cavalcatura per poter
osservare il volto dell'Inglese. Il nobile aveva socchiuso gli occhi per pro-
teggerli dal sole, ma non stava fissando né lei né la rigogliosa campagna
che li circondava.
«Questi Visigoti sono in gamba» disse il conte di Oxford. «Disuniti co-
me siamo ci conquisteranno sicuramente, ma se anche dovessimo unirci
sarebbe lo stesso una guerra bruttissima. Senza contare i Turchi a est che si
avventerebbero su di noi per impossessarsi di quello che resta.» Strinse le
redini al punto di farsi sbiancare le nocche delle dita. La testa del cavallo
scattò all'indietro. «Buono!»
«Vostra Grazia mi ha ingaggiata perché sono stata là?»
«Sì.» L'Inglese riportò il cavallo sotto controllo e fissò Ash. «Mia signo-
ra, voi siete l'unico soldato che abbia trovato qui in Borgogna che sia stato
in contatto con i Visigoti. Parlerò con i vostri ufficiali e in particolare con
il vostro mastro artigliere. Prima voglio sentire tutti i dettagli possibili sul-
le armi che portano e il loro modo di combattere. Poi voi mi parlerete delle
voci che li precedono. Come questa insulsaggine del cielo privo di sole
sopra le Germanie.»
«È vero.»
Il conte di Oxford la fissò a lungo.
«È vero, mio signore.» Ash scoprì che sapendolo in esilio era più portata
a rivolgersi a quell'uomo con il suo titolo. «Ero là, mio signore, e li ho visti
far sparire il sole. Solo da quando siamo arrivati qui...»
Agitò la mano indicando i campi verdi, i torrenti, i carri, le tende del suo
campo, le acque brillanti del fiume Suzon e i tetti di Digione che splende-
vano come specchi sotto il sole estivo.
«...solo allora abbiamo rivisto il sole.»
Il nobile fermò il cavallo. «Sul vostro onore?»
«Sul mio onore, come se si trattasse di un contratto.» L'onestà con la
quale aveva parlato stupì la stessa Ash. Mise le redini sotto il braccio e tirò
su le maniche della maglia. La pelle sì era già arrossata, ma lei era conten-
ta, non ne avrebbe avuto mai abbastanza del sole, non le importava nulla di
scottarsi.
«Il sole splende ancora sulla Francia e l'Inghilterra?»
«Sì» rispose semplicemente John de Vere.
Godluc lasciava ciondolare la testa. Il sudore gli imperlava i fianchi. Ash
lanciò un'occhiata esperta al punto in cui erano stati impastoiati i cavalli
(nella parte del campo vicino agli alberi e al fiume) e valutò se fossero
calmi e all'ombra. I cavalli da guerra erano separati dagli altri cavalli.
Una figura uscì di corsa dal campo e Ash la guardò correre verso Tho-
mas Rochester e poi verso di lei.
«E quella macchina da guerra di cui parlano?» le chiese il conte, fissan-
do la figura in corsa. «L'avete vista?»
«Non ho visto nessuna macchina» rispose Ash, cauta. La figura era Ri-
ckard.
«Vi dirò tutto quello che so» disse, decisa. «Mi avete ingaggiata per
quello che so, Vostra Grazia» aggiunse, divertita. «I miei uomini e io vi
diremo la verità.»
«È chiaro che sarete leali con me quanto lo siete stati con l'ultimo che vi
ha ingaggiati» sottolineò il conte.
«Non meno leali» Ash lo corresse, e spronò Godluc verso Rickard.
Il ragazzino si fermò e si inclinò in avanti stringendosi le cosce, quindi
dopo qualche attimo si raddrizzò e le passò una pergamena.
«Cos'è?» chiese afferrando il rotolo.
Il ragazzino si leccò le labbra secche. «Una convocazione del duca di
Borgogna» disse ansimando.
V

Ash si accorse che il cuore aveva cominciato a batterle più forte, che la
bocca si stava seccando e che aveva un'urgente bisogno di andare nelle
latrine da campo. Strinse con forza l'invito del duca di Borgogna.
«Quando?» chiese. Non voleva farsi vedere intenta a sillabare ogni paro-
la della pergamena davanti a un nuovo datore di lavoro. Vide il volto ar-
rossato di Rickard e gli passò la borraccia.
Il paggio bevve, si versò dell'acqua sulla testa per poi scuoterla violen-
temente. «La quinta ora dopo mezzogiorno. È quasi mezzogiorno, capo!»
Ash sorrise per rassicurarlo. «Vai a chiamare Anselm, Angelotti, Geraint
Morgan e padre Godfrey: corri!»
Aveva la voce incrinata.
Si drizzò sulla sella e vide Anselm e Angelotti che uscivano dal campo.
Il ragazzino li superò entrambi di corsa mentre i due camminavano con
passo deciso verso di lei e il conte di Oxford.
«Eccoli che tornano - i miei due ragazzi candidi come un giglio» com-
mentò a bassa voce. In quale casino mi hai ficcata, Robert? pensò. «Conte
di Oxford, il mio signore sarebbe così gentile da accettare la mia ospitali-
tà?»
L'inglese si affiancò ad Ash fissando il campo del Leone Azzurro che in
quel momento aveva l'aspetto di un nido d'api preso a calci da un mulo. «Il
conte di Oxenford 88 » mormorò l'uomo con un sorrisetto stampato sulle
labbra «farebbe meglio a tornare tra un'ora in modo che i vostri uomini
possano mettersi in ordine.»
«No» rispose Ash, torva. Il suo sguardo era fisso sui due ufficiali sempre
più vicini. «Siete il mio capo, mio signore. Spetta solo a voi darmi il per-
messo di rispondere a questa chiamata e presentarmi davanti al duca. E se
vado dovete spiegarmi cosa dire e fare. Ora è come. se avesse convocato
voi.»
Il nobile sollevò le sopracciglia.
«Certo, certo, mia signora. Potete andare. Devo decidere cosa potete di-
re. Sfortunatamente sembra che vi abbia privato dell'opportunità di ottene-
re un contratto più ricco di quello che vi posso offrire, visto che le mie

88
Era uno dei nomi con il quale al tempo veniva chiamata la città di
Oxford.
terre sono nelle mani di Riccardo di Gloucester89 »
E quanto ci pagherai? pensò Ash. Non un centesimo in più di quanto po-
trebbe offrire Carlo il Téméraire 90 . Questo è poco ma sicuro. Merda.
«Rimanete a pranzo da noi, mio signore. Dovete darmi degli ordini. An-
che il vostro seguito è invitato.» Ash prese fiato. «Intendo far fare un ap-
pello in modo da potervi comunicare la nostra forza esatta. Probabilmente
mastro Anselm vi ha detto che abbiamo lasciato Basilea di gran carriera.
Avete fatto un buon affare. Mio signore.»
«La povertà è un padrone peggiore di quanto possa esserlo io, signora.»
Ash diede un'occhiata al farsetto e pensò a cosa significasse avere i pro-
pri beni posti sotto sequestro ed essere mandati in esilio. «Lo spero» bor-
bottò sotto voce. «Scusatemi, Vostra Grazia!»
Mentre gli uomini del seguito raggiungevano il conte, Ash spronò Go-
dluc verso i suoi ufficiali conscia del fatto che Floria stava correndo al suo
fianco. Cominciava ad aver mal di testa. Si fermò di fronte alle figure an-
simanti di Robert Anselm e Angelotti e di Geraint ab Morgan, che nel frat-
tempo li aveva raggiunti. Guardò il campo e si rese conto che versava nel
caos più totale.
«Cristo sull'Albero!»
La situazione era peggiore di quello che sembrava a prima vista. Gli
uomini giacevano sdraiati intorno ai fuochi spenti intenti a bere. Le lance e
le alabarde erano state impilate alla meno peggio e sembrava dovessero
cadere da un momento all'altro. Dei soldati a torso nudo spostavano delle
pentole annerite dal fumo. Le prostitute sedute sui carri mangiavano mele
e ridevano sguaiate. La vista del patetico tentativo dei lancieri di Euen
Huw di montare di guardia la fece imbestialire ulteriormente. I bambini
giocavano troppo vicini ai cavalli e il muro formato dai carri scendeva fino
al fiume riducendosi a un guazzabuglio di ripari improvvisati fatti per lo
più di coperte tese sopra due bastoni. Nessuno aveva cercato di rispettare
le regole contro gli incendi o aveva provato a organizzare una difesa degna
di questo nome...
89
Sette anni dopo le vicende narrate nei libri sulla vita di Ash, Riccardo
di Gloucester è incoronato re d'Inghilterra, come Riccardo HI (1483 -
1485).
90
Il duca Carlo di Borgogna, come i suoi predecessori - Filippo l'Ardito,
Giovanni il Senzapaura e Filippo il Buono - era conosciuto con il suo
cognome. Téméraire venne tradotto in seguito in modo da sembrare 'Carlo
il Temerario'.
«Geraint!»
«Sì, capo?»
Ash fulminò il balestriere gallese che stava suonando un flauto in do se-
duto su un carro, con i pantaloni slacciati e una cuffia sporca sulla testa.
«Cosa pensi che sia tutto questo? Rimetti in quadro questo casino prima
che Oxford ci licenzi! O i Visigoti ci piombino addosso e ci prendano a
calci in culo! Muoviti!»
Il sergente gallese era abituato a sentirsi urlare addosso, ma il tono di
voce di Ash lo fece girare immediatamente sul posto e lo indusse ad attra-
versare il campo con passo deciso sbraitando ordini a ogni squadra di uo-
mini che incontrava. Ash, ritta sulla sella, lo osservò con i pugni piantati
sui fianchi.
«Per quanto ti riguarda» disse rivolgendosi ad Anselm senza abbassare
la testa. «Sei con il culo a terra. Dimentica di mangiare con il tuo signore.
Quando saremo usciti dalla mia tenda voglio che questo campo risponda in
tutto e per tutto a una delle descrizioni fatte da Vegezio e che questi cial-
troni abbiano l'aspetto di soldati, altrimenti sei fuori gioco. Chiaro?»
«Sì, capo.»
«Era solo una fottuta domanda retorica, Robert. Fai l'appello, voglio sa-
pere chi abbiamo perso e chi abbiamo guadagnato. Una volta che sono a
posto falli esercitare un po' con le armi. La metà degli uomini è sdraiata a
terra sbronza marcia, ma la cosa finisce, adesso. Voglio avere una scorta
degna di questo nome quando entrerò nel palazzo del duca Carlo!»
Anselm sbiancò in volto.
«Hai un'ora» ringhiò Ash. «Muoviti!»
Florian fece una profonda risata. «Il capo abbaia e tutti scattano.»
«Non mi chiamano la vecchia scure da battaglia per niente!»
«Allora lo sapevi! Non ne sono mai stata sicura.»
Ash fissò Anselm che correva verso il campo. Sapeva bene che la paura
che stava provando in quel momento era dovuta a due fattori. Il primo era
lo stato di abbandono in cui versava il campo. Il secondo era il fatto di
dover entrare nella prima corte d'Europa. Tuttavia c'era una vocina dentro
di lei che esultava esclamando: «Dio, quanto mi piace questo lavoro!»
«Rimani qua, Antonio. Voglio che tu faccia vedere all'Inglese i tuoi can-
noni. Tienimelo lontano per un'ora. Non ho mai visto un lord che non fosse
interessato all'artiglieria. Dov'è Henri?»
L'addetto ai rifornimenti si avvicinò al cavallo zoppicando, aiutato da
Bianche.
«Henri, sto per accogliere un conte inglese e il suo seguito nella mia
tenda. Fa' stendere uno strato di segatura pulita, tira fuori l'argenteria e
facciamo in modo che il cibo sia decente, chiaro? Vediamo se riusciamo a
imbandire una tavola degna di un conte.»
«Con quello che cucina Wat, capo?» L'espressione terrorizzata di Henry
cambiò dopo qualche secondo. «Ah, già, sono Inglesi. Non sanno niente
della buona cucina e non potrebbe importagliene di meno. Dammi un'ora.»
«Concessa! Vai, Angelotti!»
Girò Godluc esercitando una leggera pressione con un ginocchio e tornò
lentamente verso il conte. La bandiera del nobile continuava a penzolare
inerte per la mancanza di brezza. I soldati avevano il volto madido di sudo-
re. Ogni maledetto contadino, pensò Ash, a quest'ora si sta riparando dal
sole per uscire solo a tardo pomeriggio. Ogni mercante di Digione è tra
quattro mura di pietra intento ad ascoltare i musicisti e scommetto che an-
che il Duca sta facendo la siesta. E a noi cosa danno?
Meno di cinque ore per prepararci.
«Capitano» urlò de Vere.
Ash lo raggiunse.
Il conte di Oxford indicò i cavalieri al suo seguito. «Questi sono i miei
fratelli, Thomas, George e Richard; e il mio buon amico visconte Beau-
mont.»
I fratelli del nobile dovevano aver superato da poco la ventina; il viscon-
te era di qualche anno più vecchio. Tutti avevano i capelli lunghi fino alle
spalle. Le armature e le spade erano simili.
Quello che sembrava il più giovane dei fratelli de Vere si drizzò sulla
sella e parlò in un inglese dell'East Anglia: «È una sfrontata, John! Si veste
come un uomo. Non abbiamo bisogno di una come lei per buttare giù dal
trono Edoardo!»
Un altro fratello socchiuse gli occhi e disse: «Guardate che faccia! Cosa
importa chi è!»
Ash sedeva in sella al suo cavallo da guerra squadrando tranquillamente
i quattro fratelli. Si girò verso il visconte Beaumont. «Adesso capisco per-
ché tutti parlano in un certo modo dell'educazione degli Inglesi» gli disse
nell'inglese che aveva imparato durante le campagne in quel paese. «Non
avete nulla da aggiungere, visconte?»
Il nobile alzò le mani come se volesse arrendersi. Negli occhi c'era un'e-
spressione di chiaro apprezzamento. «Niente, signora!» Gli mancava uno
dei denti davanti e la voce aveva un che di flautato.
«Mi dispiace che Dickon 91 sia stato tanto scortese.» John de Vere fece
un inchino, quindi, apparentemente fiducioso nella capacità di Ash di sa-
persela cavare, disse: «Sono sicura che sapete benissimo come affrontare
questa situazione, capitano.»
«Ma è una donna debole!» esclamò Richard de Vere, stupefatto. «Cosa
sai fare?» ringhiò, rivolgendosi ad Ash.
«Capisco... Voi pensate che il mio signore non mi abbia ingaggiato per
la mia abilità» rispose Ash, secca. «Voi pensate che mi ha ingaggiata solo
per farmi delle domande sul generale visigoto e l'invasione e siete convinti
che sia Robert Anselm a dare gli ordini sul campo. Mi sbaglio, forse?»
Uno dei fratelli de Vere, Tom o George, disse: «Il duca Carlo deve esse-
re della stessa opinione. Sei una donna, cos'altro sai fare se non parlare?»
«Questo è mio fratello George, signora» lo presentò educatamente il du-
ca di Oxford.
Ash si avvicinò al fratello più giovane. «Vi dirò io cosa so fare, mastro
de Vere. Posso ragionare, parlare, fare il mio lavoro e combattere. Ma se
un uomo non crede che io possa comandare o pensa che sia debole o non
vuole rimanere a terra dopo uno scontro leale, cosa che di solito succede
con le reclute, o pensa che l'unico modo per rispondere alle donne sia uno
stupro... allora posso anche ucciderlo.»
Il giovane de Vere arrossì dal collo alla punta dei capelli, in parte per
l'imbarazzo e in parte perché, almeno così pensò Ash, si era reso conto che
le sue parole rispondevano alla verità.
«Rimarreste molto sorpreso di scoprire quanti guai vi siete risparmiato.»
Rise e abbandonò per un attimo l'etichetta. «Non ho bisogno di convincerti
che non sono una nullità, dolcezza. Devo solo combattere i nemici di tuo
fratello abbastanza bene da rimanere in vita ed essere pagata.»
Dickon de Vere si irrigidì sulla sella. Ash si girò verso il conte di O-
xford.
«Non devo piacere loro, mio signore. Solo che non voglio essere consi-
derata come la figlia di Eva.»
Il visconte Beaumont borbottò qualcosa in inglese. Aveva parlato troppo
velocemente e lei non riuscì a capirlo, ma il più giovane dei fratelli arrossì
ulteriormente e scoppiò a ridere e il conte si passò una mano sulla bocca,
molto probabilmente per nascondere un sorriso. Solo i due fratelli di mez-
zo continuavano a fissarla in cagnesco.
91
'Dickon' è un diminutivo affettuoso in uso tra gli Inglesi per indicare il
nome 'Richard'.
Ash socchiuse gli occhi per ripararsi dal sole. Il sudore le impastava i
capelli sotto il cappello di velluto. L'odore di cuoio dei finimenti e quello
del cavallo le diede un senso di sicurezza.
«È tempo che mi diate i primi ordini, mio signore» gli disse, allegra.
«Questa è la mia compagnia, conte. Ottanta lance. Mi piacerebbe sapere
una cosa. Siamo troppo grossi per una scorta e troppo piccoli per essere un
esercito, quindi come mai ci avete ingaggiati?»
«Dopo, signora. A pranzo. C'è ancora abbastanza tempo prima che vi re-
chiate dal duca.»
Ash stava per insistere, quando vide Godfrey davanti ai cancelli del
campo che finiva di parlare con due uomini vestiti alla meno peggio e una
donna che indossava un abito verde e si dirigeva a grandi passi verso di lei.
«Credo che il mio prete voglia parlarmi. Sarebbe così gentile da seguire
mastro Angelotti? Egli sarà ben contento di mostrarvi i nostri pezzi d'arti-
glieria. Sono all'ombra...» Indicò gli alberi vicino al fiume.
Osservò l'espressione di de Vere e si rese conto che il nobile aveva capi-
to che si trattava di uno stratagemma, ma, essendo abituato a tali cortesie,
accettò di buon grado.
Ash si alzò sulla sella e fece un inchino, mentre Angelotti prendeva le
redini del cavallo del conte e lo guidava verso il campo.
«Godfrey?»
«Sì, figliola?»
«Seguimi! Dimmi tutto quello che sai della situazione a Digione mentre
ispeziono il campo. Tutto! Non ho idea di cosa sta succedendo a corte e tra
quattro ore devo presentarmi davanti al duca!»

La tenda di Ash era piena di servitori che entravano e uscivano, prepara-


vano la tavola e spargevano un nuovo strato di segatura. Ash si appartò
dietro un paravento e cominciò a vestirsi in fretta e furia per presentarsi di
fronte al duca.
«È la Borgogna, Florian! Non si può avere di meglio!»
Floria del Guiz sedeva a gambe incrociate su un baule, tranquilla. «Non
sai nemmeno se combatterai con il Duca, visto che Robert-il-conte-pazzo
potrebbe portarci Dio solo sa dove.»
«De Vere vuole combattere i Visigoti.» Ash alzò un braccio senza ren-
dersi conto che Rickard e Bertrand stavano cercando di abbottonarle i pol-
sini del farsetto. Le maniche si gonfiavano all'altezza delle spalle.
Bertrand emise un singhiozzo e Ash si dimenò.
«Non potrò apparire al mio meglio - quella stronza mi ha preso l'armatu-
ra!»
Il chirurgo bevve da una coppa di vino tolta a uno dei servitori di Henri
Brant. «Ah, indossa quello che vuoi! È solo un duca.»
«Solo un - 'fanculo, Florian!»
«Ci sono abituato.» La donna si asciugò il sudore dal volto. «Non hai
preso l'armatura?»
«Fottiti!» Ash non poteva spiegare a Floria cosa si provasse a indossare
un'armatura. Uno si sentiva come Dio! Non voglio far sfigurare la compa-
gnia davanti a quei fottuti Burgundi, pensò Ash.
«Era un'armatura completa! Ho dovuto risparmiare per due anni!»
Un quarto d'ora dopo ogni baule era stato svuotato e Bertrand era in la-
crime al pensiero di dovere rimettere tutto a posto. Ash aveva indossato
delle protezioni per le gambe di fattura germanica, schinieri milanesi e un
brigantino di velluto azzurro con le borchie e una placca di metallo fine-
mente lavorata che arrivava fino allo sterno.
«Oh, merda» disse. «Oh, merda, sto per avere un'udienza con Carlo di
Borgogna, merda, merda...»
«Non pensi di prendere la cosa un po' troppo sul serio?»
«Loro vedranno quello che sono. E sono piuttosto preoccupata al riguar-
do...» Ash aprì uno specchietto rotondo e cercò di guardarsi. Bertrand le
tirò i capelli con il pettine. Ash imprecò, gli lanciò addossò una bottiglia e
coprì la ferita al cranio con una lunga ciocca di capelli bianchi. Il sole le
aveva brunito appena le guance facendo risaltare ancora di più gli sfregi.
La degenza l'aveva fatta dimagrire e il volto aveva perso un po' di rotondi-
tà, ma per il resto quello che la stava fissando dallo specchio era sempre il
suo viso.
Non preoccuparti dell'armatura, pensò, non guarderanno se ce l'hai o no.
Floria scese dal baule osservando Ash, che dava ordini ai suoi ufficiali e
li congedava, con un sorrisetto sardonico stampato sulle labbra. «Andrai a
corte con i capelli schiacciati? Ormai sei una donna sposata.»
Ash rispose al chirurgo con la frase che aveva ideato mentre giaceva a
letto malata. «Il mio matrimonio è stato una frode. Giuro su Dio che sono
la stessa che ero prima di sposarmi.»
Floria produsse un verso scurrile e prolungato. «No, capo! Non provarci
neanche a dirlo là dentro, altrimenti rischieresti di far ridere anche Carlo di
Borgogna.»
«Non credi che valga la pena di provarci?»
«No. Credimi. No.»
Ash rimase ferma qualche istante per permettere a Bertrand di assicurar-
le la spada al fianco. Le piastre metalliche del brigantino cigolavano a ogni
respiro.
«E cosa dirai al nostro nobile duca riguardo il tuo incontro con il genera-
le visigoto?» le chiese Floria. «Più di quello che hai detto a me? Cristo,
donna, pensi che sia possibile che io tradisca la tua fiducia? Siamo sem-
pre...»
«Siamo?» la interruppe Ash.
«... Io, Godfrey e Robert... Quanto tempo pensi di farci aspettare anco-
ra?» Floria passò un pollice sul bordo di una delle coppe d'argento fissan-
dola con gli occhi lucidi. «Cosa ti è successo? Cosa ti ha detto? Sai che il
tuo silenzio è assordante.»
«Sì» rispose Ash in tono piatto, non volendo reagire alle provocazioni
della donna. «Ci sto pensando. Non serve a niente servirvi un piatto cotto
solo a metà. Potrebbe influenzare il futuro della compagnia e il mio.
Quando avrò tutto chiaro convocherò gli ufficiali per spiegare loro la si-
tuazione. Nel frattempo abbiamo a che fare con il più grande duca di tutto
l'Occidente e con un conte inglese completamente pazzo.»
Un paio di ordini secchi e il padiglione esterno venne riordinato in un
batter d'occhio. Terminata l'operazione tolsero i pannelli di tela laterali
lasciando entrare farfalle, libellule e altri insetti. Il vento fresco carezzava
il volto di Ash.
Lanciò una rapida occhiata alla tavola imbandita. Sopra la tovaglia gialla
erano stati disposti i piatti d'argento tirati a lucido. Un manipolo di uomini
della squadra di van Mander formava un picchetto d'onore e di guardia
intorno all'area centrale del campo. Tre delle donne suonavano un'aria ita-
liana con dei flauti dolci. Henri e Bianche cantavano con trasporto.
Ash gli lanciò un'occhiata e l'addetto ai rifornimenti si pulì il volto ar-
rossato con la manica e annuì. Un attimo dopo Ash colse un lampo biondo
vicino alla tenda e si rese conto che Angelotti stava riportando il conte al
campo.
Vide che John de Vere registrava con un certo stupore la presenza di
Bianche come cameriera e di Ludmilla e Katherine armate di balestra a
guardia della tenda di comando.
«Ci sono molte donne nel vostro campo, signora» sottolineò il nobile.
«Certo. Sono solita giustiziare gli stupratori.»
La risposta fece sussultare il visconte di Beaumont che cambiò d'espres-
sione, mentre il conte di Oxford annuì pensieroso. Ash presentò Godfrey
Maximillian e Floria del Guiz. Il nobile si rivolse al chirurgo parlando al
maschile.
«Sedetevi, prego» disse in tono formale lasciando che i servitori li faces-
sero accomodare a seconda del loro grado. Ash stessa cedette il posto di
capo tavola a John de Vere. La musica cessò.
Ash si accomodò a sua volta e cominciò a pensare che i Visigoti aveva-
no avuto altri sei giorni per avanzare e che avrebbe fatto meglio a compor-
tarsi bene una volta giunta davanti al duca Carlo.
«Bene, bene» disse Ash, mentre Bianche e le altre donne servivano la
prima portata. «Ora mi ricordo. Ho già sentito parlare di voi. Voi siete quel
Lord Oxford!»
Il conte emise un verso che dopo un secondo Ash riconobbe come una
risata. «'Quel Lord Oxford'.»
«Vi avevano rinchiuso a Hammes!»
Floria alzò gli occhi dal piatto. «Hammes?»
«È una fortezza» la informò Ash, quindi arrossì e cominciò a servire
personalmente John de Vere. «Si trova fuori Calais. Ha il fossato e tutto il
resto... Si pensa che sia un castello dal quale è impossibile scappare!»
Il conte di Oxford allungò una mano e diede una pacca affettuosa sulla
spalla del visconte Beaumont. «E così sarebbe stato se non fosse per
quest'uomo, Dickon, George e Tom. Però vi sbagliate su una cosa, signora.
Non sono scappato. Sono andato via.»
«Andato via?»
«Sì, portando con me il capo carceriere, Thomas Blount, come alleato.
Abbiamo lasciato sua moglie a dirigere il castello finché non sarò tornato
con delle truppe dei Lancaster92 .» John de Vere sorrise. «Padrona Blount è
una donna che anche voi trovereste formidabile. Potrei tornare tra dieci
anni a Hammes e scoprire che il castello è ancora nostro, non ho dubbi al
riguardo!»
«Il mio signore di Oxenford è famoso. Ha invaso l'Inghilterra due volte»
disse Ash rivolta a Floria, cercando di reprimere un sorriso. «La prima
volta con gli eserciti di Margherita d'Angiò e re Enrico. La seconda volta
da solo.»
92
Questi eventi successero esattamente come vengono narrati, ma circa
otto anni dopo, nel 1484. Durante il periodo coperto da questi testi il conte
di Oxford rimase prigioniero nel castello di Hammes. Sospetto che il
cronista abbia aggiunto Oxford al testo solo dopo il 1486.
«Da solo!» Floria del Guiz fissò incredula il duca. «Dovete scusare i
modi del mio capo, mio signore di Oxford. Alle volte è maleducata.»
«Non ero del tutto solo» protestò il conte. «Avevo ottanta uomini.»
Floria del Guiz si aggiustò sulla sedia e fissò il nobile sorridendo. «Ot-
tanta uomini93 per invadere l'Inghilterra. Capisco...»
«Il mio signore prese il monte Michael in Cornovaglia» disse Ash «e lo
tenne per... un anno, giusto?»
«Non proprio. Dal settembre del '73 al febbraio del '74.» Il conte fissò i
suoi fratelli che parlavano tranquilli tra di loro ad alta voce, «Avevo degli
uomini fedeli con me, ma a un certo punto non ricevemmo più alcun aiuto
dalla Francia 94 .»
«Dopodiché, Hammes.» Ash scrollò le spalle. «Per quel Lord di Oxford.
È chiaro.»
«Ma la terza volta riuscirò a mettere un uomo migliore sul trono di Edo-
ardo95 .» Si appoggiò allo schienale della sedia in quercia e aggiunse in
tono deciso: «Sono il tredicesimo conte di una dinastia che risale ai tempi
del duca Guglielmo, un'era tanto lontana dove esistevano lord e cancellieri
del regno d'Inghilterra. Ma, visto che sono in esilio e non sono più vicino a
un re Lancaster di quanto voi siate vicina a Papa Giovanni, signora, e visto
che dobbiamo affrontare questi Visigoti, allora sono 'quel Lord Oxford.'»
Alzò il calice in direzione di Ash.
Lode agli dèi! Poiché questo è il più grande conte-soldato d'Inghilter-
ra... La mente di Ash continuava a galoppare a briglia sciolta, mentre lei
sorseggiava il vino rosso. «Voi avete riconciliato Warwick il Creatore di
Re con la regina Margaret96 . Buon Dio!... Mi dispiace dirlo, mio signore,
ma al tempo combattevo per il vostro nemico. Ci siamo scontrati sul cam-
po di Baraet nel '71. Niente di personale. Si tratta solo di affari.»
«Lo so. E ora, signora, passiamo ai nostri, di affari» disse de Vere, sec-
93
Alcune fonti parlano di quattrocento.
94
Il fatto risponde a verità. Re Edoardo d'Inghilterra offrì il perdono ai
soldati, ma solo la vita al conte di Oxford e ai fratelli. Oxford venne
incarcerato ad Hammes poco tempo dopo.
95
Nel 1485 riuscì nell'impresa vincendo la battaglia di Bosworth per
Henry Tudor. Oxford mise sul trono Enrico VII (1485 - 1509). Sul fatto
che fosse stato un re migliore del precedente il dibattito è ancora aperto.
96
Richard Neville, conte di Warwick, e Margherita d'Angiò, figlia di
Enrico VI d'Inghilterra, furono nemici implacabili per quindici anni. Nel
1471 John de Vere riuscì a far siglare loro una pace.
co.
«Certo, mio signore.» Ash osservò la scena che si svolgeva oltre il padi-
glione. Il brigantino che indossava non era pesantissimo, ma il caldo la
stava stancando e sentiva che la testa aveva ripreso a pulsare.
Osservò il pendio erboso che si trovava tra le tende degli uomini di Ge-
raint e di van Mander. Un lampo azzurro attirò la sua attenzione e vide
Robert Anselm a petto nudo che faceva addestrare i soldati con la spada e
la lancia. I ragazzi portavano l'acqua agli uomini. L'urlo roco di Geraint ab
Morgan echeggiava sopra il tonfo delle frecce che colpivano i bersagli di
paglia.
Lasciamo che si addestrino al caldo, pensò Ash. Domani saranno più di-
sciplinati. È tempo che questo posto cominci a somigliare a un campo mi-
litare... Stavano iniziando a pensare di non essere più una compagnia mili-
tare. Mi domando quanti sono rintanati nei bordelli di Digione.
La candela segna tempo marcava le tre del pomeriggio. Ignorò il gorgo-
glio allo stomaco e prese una coppa di vino annacquato. «Posso chiamare
gli ufficiali, mio signore?»
«Sì. Adesso.»
Ash si girò verso Rickard che attendeva dietro la sua sedia tenendole la
spada.
«Il duca Carlo ama la guerra» esordì inaspettatamente Floria del Guiz.
«Adesso vorrà attaccare l'esercito visigoto.»
«Lo spazzeranno via» rispose Ash, torva, mentre Rickard parlava a bas-
sa voce con uno dei ragazzini che fungeva da paggio. I servitori, i paggi,
gli uomini di guardia con i cani al guinzaglio assicuravano una certa tran-
quillità nell'area intorno alla tenda del comandante. Ash appoggiò un go-
mito sul tavolo ignorando le macchie sulla tovaglia e fissò John de Vere.
«Avete ragione, mio conte. I principi europei si devono unire altrimenti
non avranno nessuna possibilità di sconfiggere i Visigoti. Non c'è dubbio
al riguardo. Devono sapere già quello che è successo in Italia e in Germa-
nia, ma credo che non riescano a concepire che possa accadere anche a
loro.»
Robert Anselm entrò nella tenda coperto di sudore, seguito un attimo
dopo da Angelotti e Geraint. Ash fece loro cenno di avvicinarsi al tavolo e
il visconte Beaumont e i fratelli de Vere si sporsero in avanti per ascoltare
meglio.
«Ufficiali a rapporto» spiegò Ash, allontanando il piatto. «Dovrete abi-
tuarvi, Vostra Grazia. È sempre meglio controllare le cose due volte.»
E ti servirà a capire chi siamo veramente... pensò Ash, in modo che non
ci siano dubbi su chi stai assoldando!
Geraint, Anselm e Angelotti si sedettero a tavola: il capitano degli arcie-
ri fissava i resti del cibo con sguardo famelico.
«Abbiamo ricostruito il perimetro.» Robert Anselm allungò un braccio,
prese un pezzo di formaggio dal piatto di Ash, cominciò a masticarlo con
vigore e disse: «Geraint?»
«Ha ragione, capo.» Geraint ab Morgan lanciò ai fratelli Oxford un'oc-
chiata cauta. «Ho fatto erigere le tende dei vostri uomini sul lato del fiume,
Vostra Grazia.»
Ash si asciugò la fronte. «Bene. Dov'è Joscelyn? Di solito è sempre nelle
vicinanze quando si tratta di fare rapporto.»
«Oh, è alle tende dei nuovi arrivati e sta dando loro il benvenuto a nome
del Leone.»
Il capitano degli arcieri aveva parlato con tono innocente e quando vide
che Bertrand, solo dopo un cenno di Ash, stava cominciando a servire il
vino, alzò gli occhi ed emise una sorta di grugnito di soddisfazione. Robert
Anselm fissò Ash.
«Dovevi proprio mettere insieme tutti i Fiamminghi?» borbottò Ash tra
sé e sé.
A giudicare dai simboli sulle bandiere, Ash poteva dire con assoluta si-
curezza che gran parte della zona più interna del campo era formata dalle
tende dei Fiamminghi. Il resto del campo era come al solito un misto pro-
miscuo di nazionalità.
Ash annuì assente, lasciando vagare lo sguardo sulle donne che stavano
dirigendosi verso i cancelli del campo, molto probabilmente per andare a
Digione.
«Per ora va bene» commentò. «Ma finché siamo qui voglio un doppio
perimetro di guardie a partire da oggi. Non voglio che gli uomini di Mon-
forte o i Burgundi vengano a romperci le scatole e non voglio neanche che
i nostri uomini entrino ed escano quando vogliono per andare a ubriacarsi.
Fateli andare in città a piccoli gruppi. Non più di venti alla volta. Cerchia-
mo di ridurre al minimo i pretesti per le risse.»
«Certo, capitano» rispose Robert Anselm, sogghignando.
«Questo vale anche per i capi squadra, sia chiaro.» Ash squadrò gli uffi-
ciali intorno al tavolo. «Cosa ne pensano gli uomini del contratto con gli
Inglesi?»
Godfrey Maximillian si asciugò il sudore con un rapido gesto della ma-
no e, dopo aver lanciato uno sguardo di scusa ad Anselm, disse: «Gli uo-
mini avrebbero preferito che fossi stata tu in persona a portare avanti le
trattative, capitano. Penso che stiano aspettando di capire da che parte sta-
rai.»
«Geraint?»
«Sai come sono fatti gli arcieri, capo» disse il Gallese in tono dimesso.
«Per una volta combattono per qualcuno che si pensa sia più sboccato di
loro! Non intendevo offendere, Vostra Grazia.»
John de Vere lanciò un'occhiata torva al capitano degli arcieri, ma non
commentò.
«Nessun dissenso?» insisté Ash.
«Beh... la squadra di Huw dice che avremmo dovuto provare a stringere
un altro contratto con i Visigoti» confessò Geraint, senza curarsi di O-
xford. «Anch'io la penso come loro, capo» continuò. «Gli eserciti inferiori
di numero al nemico non vincono mai e quello del duca è di parecchio
inferiore. C'è solo un modo per essere pagati: stare dalla parte dei vincito-
ri.»
Ash lanciò un'occhiata interrogativa ad Angelotti.
«Conosci gli artiglieri» esordì il mastro artigliere. «Mostraci qualcosa
contro cui sparare e saremo tutti felici. Non vedo la metà dei miei uomini
da due giorni perché sono spariti nel campo dei Burgundi a studiare le loro
artiglierie.»
«I Visigoti non hanno molta artiglieria» gli fece notare Geraint. «Non
credo che piacerebbero ai tuoi ragazzi.»
Angelotti si permise un sorriso. «C'è sempre qualcosa da dire quando ci
si trova dalla stessa parte dei cannoni.»
«E i soldati?» Ash si rivolse a Robert Anselm.
«Ho parlato con circa la metà di loro. Carracci e gli Italiani, gli Inglesi e
quelli dell'est sono contenti per il contratto. Ai Francesi non va molto a
genio di trovarsi dalla stessa parte dei Burgundi, ma lo sopporteranno.
Pensano tutti che devono farla pagare alle teste di tela per Basilea.»
«Ho dato un'occhiata al baule» sbuffò Ash. «Ci devono dei soldi!»
«Li infilzeremo, ma a tempo debito» continuò Anselm, mentre l'espres-
sione del volto passava da divertita a corrucciata. «Non so cosa dire per i
Fiamminghi. Non sono riuscito a parlare con di Conti e gli altri, ho scam-
biato qualche parola con van Mander, ma lui dice che deve dare degli or-
dini.»
«Uh, huh. Va bene, continuiamo» disse Ash, comprendendo a pieno la
preoccupazione di Anselm.
«Queste lance che non sono d'accordo rappresentano un problema, capi-
tano?» chiese John de Vere, intervenendo per la prima volta nella conver-
sazione.
«Nessun problema. Ci sarà qualche cambiamento.»
Ash fissò de Vere dritto negli occhi e qualcosa nella sua espressione
convinse il nobile del fatto che avrebbe risolto il problema. «Bene, arran-
giatevi come sapete, capitano.»
«Perfetto, cosa abbiamo adesso...?» domandò Ash lasciando cadere l'ar-
gomento.
Digione si trovava a qualche chilometro dal campo. Oltre il limitare del
bosco i pendii verde e marrone splendevano sotto il sole. Lo sguardo di
Ash si spostò sull'astro cercando di capire se il Sole in Leone stava ancora
brillando con la stessa intensità del giorno prima.
«Allora,» disse «il punto è cosa fare.»
Ash lanciò un'occhiata a Oxford e si scoprì intenta a punzecchiare con la
punta del coltello la patina annerita che aveva avvolto la bistecca e la fo-
caccia al formaggio. Dei frammenti le caddero sul vestito. «È come vi ho
detto poco fa, mio signore. Questa compagnia è un po' troppo grossa per
essere una scorta, ma non siamo assolutamente in grado di fronteggiare
l'esercito burgundo, tanto meno quello visigoto.»
Il conte inglese sorrise in un modo che fece sussultare gli ufficiali di
Ash.
«Così... ho pensato, Vostra Grazia...» Ash agitò un pollice oltre la spalla
indicando il pendio in cima al quale spiccava il tetto del convento «... e
lassù ho avuto parecchio tempo per farlo, e mi è venuta un'idea che vorrei
sottoporre al duca. La domanda è: anche voi avete avuto la mia stessa idea
mezza cotta?»
Robert Anselm si passò una mano sul volto per nascondere un ghigno;
Geraint Morgan farfugliò qualcosa. Angelotti fissò Ash con gli occhi soc-
chiusi che gli donavano un'aria ambigua.
«Mezza cotta?» indagò il conte di Oxford, mite.
«'Folle', se preferite.» L'eccitazione per quanto stava per dire le rese pos-
sibile non sentire per qualche attimo il dolore alla testa. Si sporse sul tavo-
lo. «Non attaccheremo l'esercito visigoto, giusto? Ci vorrebbero tutti gli
uomini del duca Carlo e qualcun altro! Ma che bisogno avremmo di attac-
carli a testa bassa?»
De Vere annuì. «Un'incursione.»
Ash piantò il coltello nel tavolo. «Esatto! Un'incursione per staccare la
loro testa... un gruppo formato da, diciamo, settanta o ottanta lance: otto-
cento uomini. Più grosso di una scorta, ma abbastanza piccolo da muoversi
velocemente e allontanarsi dai guai nel caso incontrasse il loro esercito. E
quelli saremmo noi, giusto?»
Oxford si inclinò leggermente all'indietro facendo cigolare l'armatura. I
suoi tre fratelli lo fissarono intensamente.
«Non è un'idea folle» commentò il conte d'Oxford.
«È folle quanto una delle altre imprese che abbiamo compiuto insieme,
John» balbettò il visconte Beaumont.
«E di quale utilità sarebbe per la causa dei Lancaster?» si intromise il
più giovane dei fratelli de Vere.
«Tranquillo! Teppistello.» Il conte di Oxford diede una pacca sulla spal-
la a Beaumont e scompigliò i capelli di Dickon. Il volto bruciato dal sole
del nobile aveva un'espressione vivace quando si voltò a fissare Ash.
«Esatto, signora» confermò. «Abbiamo pensato la stessa cosa. Un'incur-
sione per uccidere il comandante, il generale. Il loro faris.»
Per un momento Ash smise di vedere il campo bruciato dal sole della
Borgogna e tornò al giardino gelato di Basilea dove aveva incontrato la sua
gemella.
«No.»
Per la prima volta da quando si erano conosciuti Ash vide che sul volto
del nobile era apparsa un'espressione stupita.
«Non il loro comandante» ripeté Ash, pragmatica. «Non qui in Europa.
Credetemi quando vi dico che il faris se lo aspetta. Sa benissimo che ogni
principe nemico vorrebbe la sua testa in cima a una picca e per questo è
ben sorvegliata. È circondata da dodicimila soldati. Attaccarla adesso è
impossibile.»
Ash fissò i volti intorno al tavolo e tornò a concentrarsi su de Vere. «No,
mio signore - ho detto che era un'idea folle per un buon motivo. Voglio
attaccare Cartagine.»
«Cartagine?» tuonò Oxford.
Ash scrollò le spalle. «Scommetto che non se lo aspettano.»
«Per delle ottime ragioni!» esclamò uno dei fratelli de Vere.
«Cartagine!» sussurrò Godfrey Maximillian, stupefatto.
Angelotti mormorò qualcosa nell'orecchio di Robert Anselm. Floria era
immobile come un cane da caccia che abbia annusato il sangue e fissava
Ash con un'espressione sul volto che era un misto di stupore e disprezzo.
«Signora, avete intenzione di chiedere a Carlo di Borgogna di pagarvi
per attaccare il califfo-re a Cartagine?» le chiese John de Vere con lo stes-
so tono di voce carico di scetticismo che lei aveva usato quando poco pri-
ma l'aveva sentito parlare dei suoi progetti per la casata dei Lancaster.
Ash fece un respiro profondo, si appoggiò allo schienale della sedia
scaldato dal sole e allungò la coppa per farsela riempire da Bertrand.
«Dobbiamo considerare due fattori, Vostra Grazia. Uno: il loro califfo-
re, Teodorico, è malato, sta morendo. Ho avuto queste notizie da fonti at-
tendibili.» Incrociò rapidamente lo sguardo con Floria e Godfrey. «Un re-
califfo morto sarebbe molto utile! Un morto di quell'importanza lo è sem-
pre! Se dovesse scoppiare una lotta intestina per la successione non credo
che l'esercito continuerebbe l'invasione verso nord e forse potrebbe venire
richiamato in Nord Africa. Sarebbero costretti a fermarsi a causa dell'in-
verno e non attraverserebbero il confine.»
«Adesso capisco perché volevate parlare con Carlo, signora.» Il conte
aveva un'aria pensierosa.
Dickon de Vere farfugliò qualcosa. «Sei impazzita?» le domandò Floria
del Guiz, sfruttando il vociare degli inglesi.
«De Vere è un soldato e non pensa che sia una follia. Almeno non del
tutto» si corresse.
«È un'idea disperata.» Robert Anselm aggrottò la fronte, rifletté per
qualche attimo quindi si asciugò il sudore sulla testa e disse: «Disperata,
ma non stupida.»
«Cartagine» ripeté Angelotti a bassa voce con un'espressione inintelligi-
bile sul volto. La cosa preoccupò Ash perché voleva sapere con certezza
da che parte sarebbe stato l'artigliere italiano.
«E?» la pungolò Godfrey Maximillian.
«E...» spinse via la sedia e si alzò in piedi. I Lord inglesi erano tanto im-
pegnati a discutere tra di loro che non si accorsero di lei, mentre i suoi uf-
ficiali non la persero di vista neanche un istante. John de Vere batteva il
pugno sul tavolo.
Ash percepì la sfiducia crescente nei suoi uomini, ma fu la sola a farlo
perché ormai li conosceva da anni. I fratelli de Vere non si erano accorti di
nulla, ma per lei era chiara come il sole.
«Hai intenzione di dirci quello che ti passa per la testa adesso, capo?» le
chiese Geraint ab Morgan.
«Se il califfo-re muore potremo tirare il fiato» disse Ash rivolgendosi ai
suoi ufficiali.
Quando vide lo sguardo incredulo negli occhi di Godfrey Maximillian
non riuscì più a trattenersi e si allontanò dal tavolo. Si appoggiò a uno dei
pali della tenda e prese a osservare la luce che si rifletteva e frammentava
in migliaia di scintille sulle armi e le corazze.
Rimase ferma per qualche tempo, quindi tornò indietro.
«D'accordo, hai ragione. Non il re-califfo.» Posò una mano sulla spalla
di Robert Anselm e la strinse. «Anche se sarebbe un punto a nostro favo-
re.»
Lasciò vagare lo sguardo sul volto di Godfrey che si carezzava la barba,
su quello di Floria, su quello di Angelotti che fissava la scena con un'e-
spressione solenne degna di un'icona bizantina e infine sul viso perplesso
di Geraint.
Beuamont disse qualcosa in inglese, ma parlò troppo rapidamente per
farsi capire.
«Giusto» rispose Oxford e si girò nuovamente verso Ash. «Signora, voi
avete parlato di due fattori da considerare: qual è il secondo?»
Ash fece un cenno a Henri Brant che fece uscire immediatamente i paggi
dalla tenda. Un comando secco echeggiò nell'aria e il cerchio di guardie si
allontanò di qualche metro. Sorrise tra sé e sé scuotendo la testa. Comun-
que, pensò, le voci cominceranno a girare prima di stasera.
«Il secondo fattore» disse, tornando seria «è il Golem di Pietra.»
Ash si sporse sul tavolo fissando il nobile e i suoi ufficiali. «La machina
rei militaris, la macchina tattica. Ecco quello che voglio distruggere.»
Ash fissò il prete prima di riprendere a parlare e lo vide sbattere le pal-
pebre perplesso, con la fronte corrugata in un'espressione che poteva esse-
re di paura o di preoccupazione.
«Sei sicura...» iniziò il religioso.
Ash gli fece cenno di tacere e vide l'occhiata che Floria del Guiz lanciò
al prete.
«Sappiamo che il faris sente una voce» disse Ash, tranquilla. «Tutti voi
avete sentito le dicerie che corrono sul Golem di Pietra dei Visigoti. Le
parla direttamente da Cartagine e le dice come vincere le battaglie. Ecco
perché dobbiamo distruggerlo. Il califfo-re non è l'obiettivo più importan-
te. Voglio fare a pezzi quella macchina. Voglio far scomparire quel danna-
to 'Golem di Pietra' dalla faccia della terra. Farlo tacere per sempre!»
Un picchio cominciò a martellare uno degli alberi che cresceva sulla riva
del fiume. Il suono echeggiò nell'aria più secco e nitido di quelli provocati
dagli uomini che si stavano addestrando con le spade. Oltre il fiume la luce
del sole rendeva il paesaggio uniforme.
«In che misura la loro forza dipende da quella macchina e dall'abilità dei
generali al comando del faris? Tale perdita sarebbe veramente così grave
per lei?» chiese il visconte Beaumont.
«Ho sentito di tutto da quando sono sbarcato a Calais, ma il 'Golem di
Pietra'? Anche se fosse solo una diceria è una di quelle voci che valgono
quanto un esercito» si intromise John de Vere prima che Ash potesse ri-
spondere.
«Ma se è solo una diceria» gli fece notare suo fratello George «non può
essere distrutta. Sarebbe come cercare di tagliare il fumo con una spada.»
«E dove si troverebbe? Sempre che esista. A Cartagine, o con il loro ge-
nerale donna? Può essere ovunque. Chi ne conosce con certezza l'ubica-
zione?»
Ash sentì che il picchio aveva smesso di lavorare. Oltre le tende e la pa-
lizzata vide i ragazzi che si addestravano con le fionde.
«Se la macchina fosse al suo seguito, l'avremmo saputo» spiegò Ash.
«Non è con lei, quindi vuol dire che è da qualche altra parte, ovvero nel
cuore dell'impero visigoto, sorvegliata da un numero incredibile di guar-
die. Ecco perché può essere solo nella loro capitale.» Ash fece una pausa e
sogghignò. «Proprio la città che avevo intenzione di razziare.»
«'Se'» disse, laconico, il conte di Oxford.
«Una cosa talmente unica può essere solo in quel luogo, Vostra Grazia.
Riuscite a immaginare il califfo-re che la tiene fuori dalla città? Comunque
possiamo procurarci le informazioni che ci servono. Godfrey è in contatto
con i de Medici in esilio. Si può ricavare qualunque informazione da una
banca.»
«Di solito li ho sempre trovati piuttosto restii a cooperare con un Lanca-
ster in esilio. Spero che il vostro prete abbia più fortuna» commentò John
de Vere.
«L'invasione è guidata dal faris. Quella donna è d'importanza vitale per
tutta l'operazione, ma voi non riuscireste mai a raggiungerla. Quella donna
è convinta a sua volta che la macchina sia d'importanza vitale per tutta
l'invasione. Potete pensarla come volete» disse Ash tornando a sedersi «ma
lei è convinta che sia stata la macchina a spiegarle come battere gli Italiani,
i Tedeschi e gli Svizzeri.»
Porse il bicchiere, poi, ricordandosi di aver fatto uscire tutti i paggi, lo
posò sul tavolo. Allungò un braccio, prese la brocca, si versò una dose
generosa di vino annacquato e ne bevve una lunga sorsata, consapevole
che il suo volto doveva essere rosso quanto quello di Anselm e Oxford.
Riuscirò a cavarmela anche questa volta con poco, senza dovermi sbot-
tonare troppo? si chiese Ash.
«Siete molto ansiosa di andare a morire» le fece notare Oxford, tranquil-
lo.
«Sono molto ansiosa di combattere, vivere e venire pagata. Ho pochis-
simo denaro e...» Ash indicò con un dito la città e i campi degli altri mer-
cenari che sorgevano vicino alla confluenza dei due fiumi «... ci sono un
mucchio di altri posti dove i miei ragazzi possono guadagnarsi da vivere.
Abbiamo bisogno di combattere. Ci hanno preso a calci in culo a Basilea e
abbiamo bisogno di rispondere.»
«Una battaglia contro qualcosa che potrebbe essere una diceria, un fan-
tasma... niente?» insisté il nobile.
No, questa volta non me la cavo con poco, concluse Ash.
«E va bene» si arrese Ash. Fece roteare il vino che era rimasto nella
coppa e alzò gli occhi per incontrare lo sguardo di sfida di de Vere. «Se
voglio portare a termine il mio piano devo avere un'autorità che mi suppor-
ti con il denaro. E voi non mi darete né il denaro né l'autorità a meno che
non siate convinto. È inutile negarlo, le cose vanno in questo modo, Vostra
Grazia.»
Godfrey Maximillian toccò la Croce di Rovi. Ash capì immediatamente
quello che passava nella testa del religioso dall'espressione del suo volto e
si meravigliò del fatto che anche gli altri non se ne fossero accorti. Solo la
presenza del conte di Oxford stava impedendo al prete di chiederle ad alta
voce se per caso aveva intenzione di dire che anche lei aveva sentito una
voce fin da quando era bambina.
«Capitano» esordì il giovane Dickon de Vere prendendo tutti alla sprov-
vista. «È vero quello che dicono i vostri uomini riguardo al fatto che anche
voi sentite le voci proprio come la vergine francese?»
L'occhiataccia del fratello maggiore lo fece zittire e arrossire.
«Sì» confermò Ash. «È vero.»
Gli inglesi cominciarono a discutere ad alta voce i loro punti di vista
contrastanti e Ash nascose il volto per un attimo tra le mani.
E se distruggendo il Golem di Pietra morissi anch'io? si chiese.
«Guardatemi, Vostra Grazia» lo invitò Ash. Il conte la accontentò e lei
riprese: «Io e il faris abbiamo lo stesso viso. Siamo praticamente gemelle.»
«Siete un bastardo della sua famiglia?» Oxford arcuò le sopracciglia.
«Sì, suppongo che sia possibile. Dovrebbe essere preoccupante?»
«Per dieci anni ho pensato di sentire la voce di un Leone.» Ash si fece il
segno della croce senza neanche rendersene conto. Per un attimo i suoi
occhi scivolarono sull'espressione pensierosa di Robert Anselm, sul volto
inespressivo ed enigmatico di Angelotti, sull'espressione confusa di Ge-
raint, quindi incrociarono l'occhiataccia di Floria e lo sguardo indagatore
del conte.
«Per dieci anni ho sentito la voce del Leone che mi parlava nel mezzo
della battaglia. Ecco perché vengo chiamata la 'Leonessa'.» Sulla bocca di
Ash apparve un sorriso obliquo. «Ci sono già state delle campagne causate
da santi che dicevano di sentire la voce di Dio, non è un fatto così raro.»
Risero tutti.
Ash si concentrò sul conte.
«Questa è una cosa che ho sempre cercato di tenere il più possibile se-
greta, ma anche voi sapete bene come sono i campi» disse Ash. «Mio si-
gnore, so che il faris sente una voce. L'ho sentita parlargli. Non ho mai
sentito un Leone, ma la loro macchina da guerra. Lei può sentirla perché è
stata allevata per farlo e io la sento perché in un certo senso siamo sorella-
stre.»
Oxford la fissò e andò dritto al punto. «E loro lo sanno, signora?»
«Oh, se lo sanno» rispose torva. Tornò a sedersi e posò le mani sull'ar-
matura. «Ecco perché a Basilea mi hanno imprigionata.»
Oxford schioccò le dita come per dire: «Ma certo!»
«Se la voce è dalla parte di quella donna, voi potete ancora combattere?»
chiese Dickon de Vere in tono candido.
L'effetto della domanda era visibile anche sui volti dei suoi ufficiali. Sul-
le labbra di Ash apparve un sorrisetto.
«Non so se posso combattere,» affermò, rispondendo al giovane nobile
«ma posso provarvi che si tratta della stessa voce, della stessa macchina.
Se non lo fosse,» concentrò lo sguardo su John de Vere «non sarebbero
stati tanto ansiosi di imprigionarmi per portarmi a Cartagine e interrogar-
mi.»
Uno sbuffo di vento portò l'odore dell'erba umida, del fiume, del sudore
e del puzzo del campo. Ash allungò le mani e strinse una spalla di Godfrey
e un braccio di Floria.
«Cartagine mi vuole» affermò. «Non scapperò. Ho ottocento uomini con
me e questa volta li porterò da loro.»
Aveva gli occhi lucidi. Era una donna brillante, chiara e tagliente come
una lama, con un sorriso che atterriva. Lo stesso che sfoderava in battaglia
e che spaventava i nemici perché era sereno, il sorriso di una persona a cui
andava bene qualsiasi cosa.
«Mi vogliono a Cartagine? Allora andrò a Cartagine!»
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ash: La storia perduta
della Borgogna (Ratcliff, 2001), British Library.

Messaggio: #135 (Anna Longman)


Oggetto: Ash.i
Data: 15/11/00 ore 07,16
Da: Ngrant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Anna — ancellati

Scusa, ma non ho dormito perché sono stato collegato tutta la notte con
delle università in diverse parti del mondo.
Hai ragione. È successo con tutti i manoscritti. Il CARTULARIO di St.
Herlaine è scomparso del tutto. Esiste una copia dello Pseudo-Godfrey
nella galleria dei falsi al V&A. Il testo dell'Angelotti e quello di del Guiz
sono considerati romanzi medievali, leggende. Sono stati tolti dai docu-
menti medievali dopo gli anni '30!
Da quello che ho potuto scaricare, i testi sono rimasti invariati. L'unica
cosa che è cambiata è la loro CLASSIFICAZIONE, da storia a romanzi.
Ti posso solo chiedere di credermi quando ti dico che non sono un truf-
fatore.
— Pierce

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Messaggio: #80 (Pirce Ratcliff)


Oggetto: Ash: documenti storici
Data: 10/11/00 ore 13,55
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli ancellati
Pierce —

Ti credo. Ho fiducia in te.


Abbiamo controllato le fonti storiche prima di firmare il contratto. Sei
onesto, Pierce. Ma anche gli onesti prendono degli abbagli.
Mandami qualcosa sulle scoperte del dottor Napier-Grant. Scaricami
delle immagini, ho bisogno di qualcosa da mostrare al MD o tutto va al
diavolo!

— Anna

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Messaggio: #136 (Anna Longman)


Oggetto: Ash: Scoperte archeologiche
Data: 15/11/00 ore 10,17
Da: Ngrant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Anna — ancellati

Isobel non ha la minima intenzione di mettere delle foto del sito o dei
golem su Internet. Dice che sarebbero di dominio pubblico in tutto il mon-
do in meno di mezz'ora.
Suo figlio, John Monkham, tornerà dalla Tunisia la prossima settimana.
Sono riuscita a persuadere Isobel a usarlo come corriere. Porterà delle co-
pie delle foto fatte ai golem; ma rimarranno sempre in suo possesso. Isobel
ti autorizza a mostrarle al tuo MD prima che John torni al sito.
È il massimo che posso fare.

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Messaggio: #81 (Pirce Ratcliff)


Oggetto: Ash: scoperte acheologiche
Data: 10/11/00 ore 10,30
Da: Longman@

Pierce —

Da' a John Monkman il numero di telefono, gli andrò incontro all'aero-


porto.
Anche se muoio dalla voglia di vedere questi goletti, so che dovrò atten-
dere ancora un po'. Mentre aspetto vorrei sapere se hai qualche spiegazione
per quello che sta succedendo.
— Anna

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Messaggio: #136 (Anna Longman)


Oggetto: Ash: testie
Data: 16/11/00 ore 11,49
Da: Ngrant@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli
Anna — ancellati

Francamente, no. Non ho la MINIMA idea del motivo per il quale quegli
scritti sono stati classificati sotto la categoria 'Narrativa'. Ho esaurito tutte
le spiegazioni possibili.
Comunque HO un'idea. Io penso che c'entri la filosofia. Si tratta del Ra-
soio di Occam - se la più semplice delle spiegazioni per ogni evento è pro-
babilmente quella vera, potrebbe essere che la RICLASSIFICAZIONE dei
testi su 'Ash' sia stata un errore? Sai come vanno le cose con i database on
line; se una delle università dovesse decidere che quel documento è un
falso si produrrebbe un 'effetto cascata' che coinvolgerebbe tutte le univer-
sità collegate in rete. E il documento si perderebbe o verrebbe mal classifi-
cato.
Ho passato una notte insonne con questo pensiero come mia unica con-
solazione. Ho verificato. Purtroppo stamattina, svegliato dal rumore ormai
familiare dei camion che arrivavano al sito, mi sono reso conto di aver
lavorato troppo con la fantasia. È impossibile che si sia verificato un effet-
to cascata tra i database perché non avrebbe influito su quelle biblioteche
che non sono collegate in rete. No, non ho nessuna idea di quello che sta
succedendo. Quando sono riuscito ad avere accesso alla sezione
'manoscritti' della British Library, i documenti che ho consultato erano
semplicemente classificati sotto la voce 'Storia Medievale'.
Non so spiegare come mai, a quanto pare, questi documenti siano stati
riclassificati negli anni trenta.
Non so che cosa stia succedendo, ma so che corriamo il rischio di vedere
Ash scomparire come una bolla di sapone dalla storia per essere relegata
nell'immaginario popolare diventando un personaggio la cui veridicità sto-
rica sarà pari (se non inferiore) a quella di re Artù o Lancillotto. Tuttavia,
ero e rimango convinto che abbiamo a che fare con essere umano in carne
e ossa, sotto la concrescenza del tempo.
Inoltre, ciò che mi rende veramente perplesso è che quanto è stato ritro-
vato in questo sito non solo avvalla la mia teoria di una cultura visigota nel
Nord Africa, ma anche gli aspetti più STRANI di quella cultura come la
padronanza della tecnologia post-romana nove secoli dopo. Se pensavo
che l'idea dei Visigoti in questa zona dell'Africa potesse essere improbabi-
le, ero addirittura sicuro che la loro tecnologia fosse mitologia pura! E
invece eccola qua!
Non riusciamo ancora a capirne il funzionamento.
È abbastanza per farmi pensare a Vaughan Davies. Forse non sai guanto
suona strana la sua introduzione ad ASH: UNA BIOGRAFIA. È qualcosa
che si tende a ignorare a causa dell'alto grado culturale dello scrittore e
dell'accuratezza delle sue traduzioni.
Riguardo alle 'concrescenze' sui vari testi sostiene che la difficoltà non
erano i miti cresciuti intorno ad Ash, ma il fatto che era lei stessa a disse-
minarli.
Ti copio la parte più interessante:

(...) L'ipotesi che io {Vaughan Davies} trovo più accettabile è che nella
storia di 'Ash', o in quella che si suppone tale, lo storico si trovò di fronte,
tra le altre cose, al prototipo della leggenda della Pulzella, Giovanna da
Domremy, che la storia ci ha tramandato con il nome di Giovanna d'Arco.
Questa teoria può sembrare in contrasto con la ragione. Le vicende di
Ash si svolgono chiaramente nel terzo quarto del quindicesimo secolo. È
impossibile datare i manoscritti a un periodo precedente al 1470. Giovanna
d'Arco fu messa al rogo nel 1431. Accettare il fatto che Ash sia una prefi-
gurazione di Giovanna come archetipo della donna-guerriero è una follia
pura e semplice poiché Giovanna visse prima di lei.
Comunque, io credo che sia stata la leggenda di Ash, redentrice della sua
terra, ad essere accollata alla rapida carriera della giovane francese che, è
necessario ricordarlo, divenne soldato a diciassette anni e morì a dicianno-
ve dopo avere cacciato gli Inglesi dalla Francia, e non la storia di Giovan-
na a diventare il ciclo di 'Ash'. Il lettore si chiederà come sia successo.
La spiegazione è piuttosto semplice. Se le narrazioni non risalivano al
tardo, bensì al primo Medio Evo, allora le riproduzioni nel 1480 possono
averle portate alla conoscenza di tutti. Con l'invenzione della stampa, gli
autori si limitarono semplicemente a riscrivere le loro narrazioni in termini
più moderni. In quel periodo riprodurre, per esempio, scene dalla Bibbia o
dalla letteratura classica, adattandole agli usi e ai costumi del quindicesimo
secolo era un'operazione piuttosto comune.
In questo caso, comunque, ci sì può chiedere come mai non esistessero
manoscritti sulla vita di Ash prima del 1470.
Come possiamo spiegarlo?
Io credo fermamente che le storie su Ash non siano frutto di invenzioni,
che siano storia e che interessino non solo la nostra storia.
Sono convinto che la Borgogna sia effettivamente 'scomparsa'. Quando
dico scomparsa non voglio dire che ci fu un calo d'interesse riguardo quel
regno, cosa a cui avrebbe potuto porre rimedio uno storico diligente, ma
intendo dire che ne venne cancellata ogni traccia. Quello che rimane nei
nostri libri è solo un'ombra.
Ma tale scomparsa molto probabilmente lasciò una traccia nell'inconscio
collettivo dell'Europa: e uno dei risultati fu un'oscura contadina francese.
Sono più che consapevole che quanto ho affermato richiederebbe la cre-
azione spontanea della documentazione su Giovanna d'Arco.
Accettando questa realtà si comincia a capire come si sono svolti vera-
mente i fatti, a partire da alcuni frammenti sulla scomparsa della Borgogna
conosciuta da Ash. Frammenti che si spingono avanti e indietro nel tempo,
impalati lungo lo scorrere della storia e che per sopravvivere presero una
'connotazione locale' creando dozzine di leggende. La storia di questa pri-
ma Borgogna ci circonda ancora.
È ovvio che la mia teoria si può smontare, ma io la considero valida e
razionale; (...)
Sono sempre stato attratto da questa teoria stravagante - l'idea che la
Borgogna scomparve dalla storia dopo il 1477, come effettivamente suc-
cesse, ma che possiamo trovarne tracce tramite le vicende di altri perso-
naggi storici: nelle azioni di uomini o donne. Il ritratto della Borgogna si fa
strada nella storia come una sorta di rompicapo che può diventare visibile
per coloro che hanno voglia di guardare.
È ovvio che non si tratta di una teoria nel senso stretto del termine. Da-
vies dice chiaramente che è una sua 'credenza'. Era solo un accademico che
si divertiva a speculare su un argomento basandosi sul concetto di 'Borgo-
gna perduta' espresso da Charles Mallory Maximillian per portarlo poi a
una conclusione logica.
Il problema è che questa è solo metà della sua introduzione di 'ASH:
UNA BIOGRAFIA.' La teoria è incompleta - quali sono le basì razionali
sulle quali l'ha enunciata? Non abbiamo nessuna idea di quale fosse la teo-
ria di Vaughan Davies. Ho consultato l'edizione economica del libro di
Davies, pubblicata durante la guerra, custodita nella British Library e, co-
me ben sai, sembra che non ci siano altre copie esistenti di questa seconda
edizione. (Presumo che le scorte siano state distrutte dopo il bombarda-
mento del 1940.) Dopo sei anni di ricerche approfondite non sono riuscito
a trovarne nessuna copia integrale.
Se ti metti a cercare delle prove su questa teoria potresti cominciare a
pensare che il professore fosse un eccentrico. Comunque, è meglio non
liquidarlo così su due piedi. Nel 1930 non erano molte le persone che ave-
vano un dottorato in storia, uno in fisica e la cattedra a Cambridge. Molto
probabilmente era fortemente interessato alla teoria fisica dei mondi paral-
leli. Posso capire come mai: in un certo senso, la storia è come, un univer-
so fisico, e, se dobbiamo credere agli scienziati, allora è tutto fuorché con-
creta.
Si sa così *poco*. E io, come altri miei colleghi storici, cerchiamo di
scrivere la storia partendo da quel poco. Nelle università insegnano che la
gente si sposava a una certa età, che molte donne morivano di parto, che
molti facevano un particolare apprendistato, che i mulini ad acqua segna-
rono l'inizio della 'rivoluzione industriale del Medio Evo' - ma se qualcuno
chiedesse a uno storico cosa successe a una persona in quel tal giorno, al-
lora non saprebbe rispondere. *Facciamo congetture.*
C'è spazio per moltissime cose nelle pieghe della storia.
Se non avessi *toccato* il golem con le mie mani mi sarei arreso e avrei
abbandonato il progetto (non ho bisogno di vedere rovinate la mia reputa-
zione accademica e la possibilità di pubblicare).
Comunque, quello che sto per dire è una sorta di avviso. In seguito alla
pressante insistenza di Isobel sto continuando la traduzione del nucleo di
questo libro - il documento al quale qualcuno, diversi anni dopo, aggiunse
una frase buffa, 'Fraxinus me fecit': 'Fui fatto da Ash'. Essendo Ash prati-
camente analfabeta è molto probabile che questo documento sia stato det-
tato a un monaco o a uno scriba, quindi non possiamo sapere cosa sia stato
aggiunto e cosa sia stato omesso. Detto questo credo che il documento sia
veritiero. Colma il vuoto tra la presenza di Ash all'assedio di Neuss e quel-
la in Borgogna negli ultimi mesi del 1476 e la sua morte a Nancy il 5 gen-
naio 1477. Risolve il problema conosciuto da tutti come quello 'dell'estate
mancante.'
Sono arrivato al punto nel quale si fa maggiore luce sulla permanenza di
Ash a Digione già descritta negli scritti di Angelotti e del Guiz. Tradurla
ora, con un golem a pochi metri da me, nella tenda accanto, dall'altra parte
di una parete di tela, fa sorgere in me una domanda. Una domanda molto
seria che quando me la sono posta tempo fa mi era sembrata uno scherzo.
Se i golem messaggeri sono veri, cos'altro lo è?

— Pierce

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Messaggio: (Pierce Ratcliff)


Oggetto: Ash: documenti storici
Data: 16/11/00 ore 24,08
Da: Longman@ Format dell'indirizzo
e altri dettagli ancellati
Pierce —

Se 'l'Angelotti' e il resto degli altri manoscritti non sono veri, cos'altro


c'è di falso?

— Anna
QUINTA PARTE

17 AGOSTO - 21 AGOSTO AD 1476

Il campo di battaglia

Il frastuono prodotto dai mulini ad acqua aleggiava sulla città di Digio-


ne.
Il sole splendeva sui fiori gialli. Le matasse dei viticci si avvinghiavano
al terreno marrone. I contadini lavoravano nei campì. Ash fece superare a
Godluc una lunga fila di carri trainati dai buoi e imboccò il ponte che por-
tava a Digione nel momento stesso in cui le campane battevano le cinque
meno un quarto del pomeriggio.
Bertrand le infilò i guanti imbottiti e arretrò nuovamente a fianco di Ri-
ckard. I due paggi correvano dietro al drappello avvolti nella nuvola di
polvere sollevata dai cavalli. Ash si allontanò dagli uomini della compa-
gnia che aveva mandato in esplorazione e tornò il più velocemente possibi-
le da John de Vere per fare rapporto.
«Mio signore, Oxford.» Ash alzò la voce e sollevò appena la testa. I vari
odori che permeavano l'aria, sudore, sterco di cavallo, alghe e pietra surri-
scaldata, le fecero rizzare i capelli sulla nuca. Alzò la visiera per rinfre-
scarsi il viso con la brezza proveniente dal fiume che fungeva anche da
fossato naturale per la città.
«Ho ricevuto un rapporto sullo schieramento visigoto fuori di Auxonne»
esordì il conte. «Sono circa dodicimila uomini.»
Ash confermò la notizia con un cenno del capo. «Lo stesso numero che
si trovava fuori Basilea. Non so a quanto ammontino gli altri due contin-
genti. Dovrebbero essere uguali, forse più grandi. Uno si trova sui territori
di Venezia per spaventare i Turchi e impedirgli di muoversi, l'altro è in
Navarra. Nessuno dei due ci può raggiungere velocemente. Ci impieghe-
rebbero più di un mese anche se avanzassero a marce forzate tutti i giorni.»
La ruota di un mulino girava rapidamente permeando l'aria con un odore
di bruciato e una nebbiolina dorata. Le maglie di anelli metallici delle
guardie al cancello e gli abiti della gente che lo attraversava in entrata e in
uscita erano di ottima fattura. Digione è una miniera d'oro, pensò Ash per
cercare di rilassarsi.
«Ecco la nostra scorta» annunciò John de Vere lasciando al tempo stesso
che suo fratello George lo superasse per andare a parlare con i nove o dieci
cavalieri burgundi in corazza completa che li aspettavano per condurli a
palazzo.
De Vere si girò verso Ash. «Avete pensato, signora, che sua grazia il du-
ca di Borgogna potrebbe offrirvi un contratto? Io non posso finanziare
questa incursione a Cartagine.»
«Ma tra noi c'è già un contratto» rispose Ash, in tono tranquillo. «Mi
state dicendo di trovare qualche pretesto per non tenere fede alla mia paro-
la - che non ho dato personalmente - con un conte inglese in esilio, perché
il ricchissimo duca di Borgogna vuole la mia compagnia...?»
John de Vere la fissò con aria risoluta.
«La Borgogna è un regno ricco» rispose in tono piatto. «Io sono un Lan-
caster. Forse sono l'ultima possibilità data alla mia fazione e al momento,
mia signora, sono al comando di tre fratelli e quarantasette uomini. Ho
abbastanza denaro da sostentarli ancora per sei settimane. Questo fatto non
fa pendere l'ago della bilancia dalla mia parte visto che il duca di Borgo-
gna è abbastanza ricco da potersi comprare tutta l'Inghilterra, se volesse...»
«Voi siete il mio lord, non prenderei in considerazione un'offerta da par-
te dei Burgundi neanche per un minuto» disse Ash con lo stesso tono di
voce del nobile.
«In quanto capitano mercenario la vostra merce più preziosa è la parola
e la reputazione.»
«Non ditelo ai miei ragazzi. Devo ancora trovare il modo di far accettare
loro l'idea di Cartagine...» bofonchiò Ash.
George de Vere stava prendendo gli ultimi accordi con i cavalieri della
scorta per decidere chi dovesse marciare davanti e altre questioni gerarchi-
che. La pavimentazione delle strade faceva dolere gli zoccoli di Godluc e
Ash gli posò una mano sul collo per rassicurarlo. Il cavallo nitrì e rizzò la
testa di scatto: aveva voglia di mettersi in mostra davanti agli abitanti di
Digione. Intorno a loro le mura bianche e i tetti azzurri della città brillava-
no sotto il sole.
Ash parlò ad alta voce per farsi udire sopra il frastuono dei mulini.
«Questo luogo sembra uscito dal mio breviario, mio signore.»
«La stessa cosa vale per voi e per me, signora!»
«Dannazione. Lo sapevo che avrei sentito la mancanza della corazza...»
George de Vere si girò e fece loro cenno di avanzare. Ash si affiancò al
conte di Oxford che, sorridente, si andò a posizionare tra i cavalieri bur-
gundi. Si avviarono con calma. Sebbene i cavalieri della scorta portassero
le insegne rosse del duca Carlo, il drappello si aprì la strada con una certa
fatica tra i gruppetti di apprendisti fuori dei laboratori, le donne che com-
pravano al mercato e i carri che andavano avanti e indietro dai mulini. Ash
alzò la ventaglia dell'elmo e sorrise di rimando ai commenti e ai saluti dei
cittadini.
«Thomas!» sibilò.
Thomas Rochester piantò i talloni nei fianchi del castrato e si riunì rapi-
damente al gruppo. Una ragazza sporta da una finestra al secondo piano di
una casa lo osservò allontanarsi.
«Calmati, ragazzo.»
«Sì, capo!» Fece una pausa. «Non c'è tempo per un po' di divertimen-
to?»
«Non per te...» disse Ash, quindi esercitò una leggera pressione sui fian-
chi del cavallo e si portò alla sinistra del conte di Oxford.
«Pensavo che non avreste mai rotto una condotta, signora. Tuttavia, ve-
do che ci state pensando.»
«No, io...»
«Invece sì. Perché?»
Ash non rispose immediatamente al nobile. Non si sentiva in soggezio-
ne, ma non voleva farsi udire dai cavalieri burgundi. Si diede un'occhiata
sospettosa intorno e sussurrò: «Sono la prima a dire che dovremmo fare
un'incursione a Cartagine, ma questo non significa che la cosa non mi spa-
venti! Ricordo bene l'esercito di Carlo di Borgogna fuori delle mura di
Neuss: ventimila uomini ben addestrati, con armi e viveri di ottima qualità.
Devo dire che se mi fosse dato di scegliere, preferirei avere quei ventimila
uomini tra me e il califfo-re piuttosto che quarantasette soldati e i vostri
fratelli! La cosa vi sorprende?»
«Solo gli stupidi non hanno paura, signora.»
Arrivarono in un punto in cui il baccano provocato dai mulini era tale da
rendere impossibile una conversazione a bassa voce. Digione si ergeva
sulla lingua di terra simile alla punta di una freccia formata dalla confluen-
za tra i fiumi Suzon e Ouche. Ash cavalcava lungo le sponde del fiume che
in quel punto scorreva all'interno della cinta muraria. Osservò le pale dei
mulini che brillavano alla luce del sole a causa del sottilissimo velo d'ac-
qua che le ricopriva. Il fiume aveva un colore nerastro e sembrava avere la
stessa consistenza di una lastra di vetro. Ash avvertiva il richiamo esercita-
to dall'acqua.
Superarono il mulino più vicino.
Non potendo parlare, Ash si limitò a studiare le strade che stavano cal-
cando. Alcuni uomini con i pantaloni rivoltati fino quasi alle ginocchia
erano intenti a fissare al mozzo la ruota di un carro. Videro il manipolo, si
fecero da parte e si tolsero i cappelli di paglia. Ash notò che il gesto non
era stato né rapido né timoroso. Un membro della scorta fermò il cavallo e
si mise a parlare con uno degli uomini.
Ash vide di sfuggita che poco più avanti la strada si allargava per poi
sfociare in una piazza triangolare circondata da palazzi sui quali spiccava-
no delle vetrate bellissime e colorate. I fiumi passavano su entrambi i lati
della piazza che era stata costruita proprio in prossimità della confluenza
dei due corsi d'acqua. Le guardie che si trovavano sulle alte mura si spor-
sero dai bastioni osservando la scena con interesse. Erano puliti, ben arma-
ti e dai loro volti si capiva che nessuno di loro aveva patito la fame da lun-
go tempo.
«Dovete capire, Vostra Grazia» disse Ash «che si sta spargendo la dice-
ria che io sento le voci, che non le sento, che il Leone Azzurro è ancora
sotto contratto con i Visigoti perché io sono la sorella del faris e un sacco
di altre stupidaggini del genere.»
«Voi non volete abbandonarmi?» le chiese de Vere fissandola dritta ne-
gli occhi.
«Non ne ho la minima intenzione.»
«Gli obblighi di un contratto funzionano a doppio senso, signora.»
Il tono di voce indurito dal campo di battaglia di de Vere non diede
un'enfasi particolare alla frase, ma Ash non riuscì a rispondere con il suo
solito cinismo. Il sole l'abbagliava.
Cercò di assumere un tono il più risoluto possibile e disse: «Il loro gene-
rale, il faris, è nata da una famiglia di schiavi. Lei non fa nulla per nascon-
derlo. Io... le somiglio come una goccia d'acqua. Cosa sono, quindi?»
«Una persona coraggiosa» rispose il nobile, gentilmente.
La fissò negli occhi, ma lei distolse lo sguardo.
«Visto che» continuò il conte di Oxford «il vostro modo per nascondervi
da quella donna è propormi di attaccare la loro capitale. Una simile inizia-
tiva potrebbe farmi dubitare della vostra fedeltà nei miei confronti, ma non
è così. In ogni modo i pensieri sono per loro stessa natura delle astrazioni.
Speriamo che il duca sia d'accordo.»
«Se non dovesse esserlo» disse Ash fissando i cavalieri della scorta «c'è
ben poco che possiamo fare. Siamo cotti e panati. Quello è un uomo molto
ricco e potente. Il suo esercito si trova appena fuori delle mura della città.
Guardiamo in faccia la verità, due ordini e io divento il suo comandante
mercenario, non il vostro.»
«Ho delle responsabilità nei confronti dei miei fratelli e nei confronti dei
miei parenti acquisiti 97 ! E per qualcuno che ho preso sotto la mia protezio-
ne» sbottò il nobile.
«Non tutti la pensano così a riguardo di una condotta...» Ash tirò le redi-
ni in modo da rallentare e poter guardare in volto il suo datore di lavoro.
«Ma per voi è diverso, giusto?»
Ash lo fissò e in quel momento il suo sospetto che la gente avrebbe se-
guito John de Vere anche nella più folle delle imprese chiedendosi solo in
seguito, quando era ormai troppo tardi, il motivo di tale decisione, trovò
una conferma.
Fece un respiro profondo. Si sentiva strana con indosso la brigantina.
Aveva l'impressione che le andasse stretta. Godluc dilatò le grosse narici e
sbuffò sonoramente. Ash spostò il peso all'indietro senza neanche pensarci
per fermare il cavallo e capire cosa lo preoccupasse.
A circa duecento metri da loro, una fila di papere uscì dall'acqua e attra-
versò la strada. I piccoli anatroccoli preceduti dalla mamma si diressero
verso il mulino che si trovava sulla riva dell'altro fiume.
Dodici cavalieri burgundi, un conte inglese con i fratelli al seguito, un
visconte e un capitano mercenario donna con tanto di scorta si fermarono e
attesero che le nove papere fossero passate.
Ash si sporse dalla sella per rivolgersi a John de Vere, ma in quel mo-
mento la sua attenzione fu attratta dalle bianche mura gotiche, dai tetti di
ardesia blu, dalle torri e dagli spalti sui quali garrivano centinaia di bandie-
re del palazzo ducale di Digione.
«Bene, signora» disse il conte, accennando un sorriso. «La corte bur-
gunda non ha rivali in tutta la Cristianità. Vediamo cosa pensa di fare il
duca della mia pulzella e delle sue voci.»
Ash scese da cavallo e fu accolta da Godfrey Maximillian che la seguì
insieme con Thomas Rochester e gli altri uomini della scorta.
Il palazzo era una costruzione imponente che la lasciò senza parole. Le
colonne alte e sottili incorniciavano le lunghe finestre che terminavano a
sesto acuto. Tutta la pietra era di colore bianco e biscotto. Sembra che tutto
97
Per parenti acquisiti di un potente signore feudale si intendevano i
signori alle sue dipendenze mantenuti nella sua tenuta, altri signori feudali
che erano i suoi alleati politici.
il palazzo sia stato decorato con il miele, pensò Ash nel vedere i riflessi
provocati dalla luce del sole sulle pareti.
Chiuse la bocca e seguì John de Vere. Udì uno squillo di tromba e una
voce che pronunciava i loro nomi e il loro livello nella scala sociale. La
voce dell'araldo era abbastanza forte da far vibrare le bandiere che pende-
vano ai lati della sala. Un centinaio di volti si girarono a fissarla.
I presenti erano tutti vestiti in blu.
Lanciò una rapida occhiata alle tonalità zaffiro, acquamarina, blu reale,
indaco e blu, alle signore eleganti e al lungo abito color azzurro acqua in-
dossato da Margherita di York. Ash continuava a rimanere nella scia del
conte di Oxford e provava la netta sensazione che le sue gambe si stessero
muovendo spinte da una volontà propria. Godfrey le si avvicinò.
«Ci sono dei Visigoti» le sussurrò all'orecchio.
«Cosa?»
«Sono una delegazione di ambasciatori, ma non è chiaro a nessuno quale
sia il loro rango vero e proprio.»
«Proprio qua? A Digione?»
«Sono arrivati a mezzogiorno, o almeno così mi hanno detto.»
«Chi sono?»
Il prete lanciò una rapida occhiata alla folla. «Non sono riuscito a sapere
i loro nomi.»
Ash aggrottò la fronte e smise di osservare la profusione di spille tempe-
state di gioielli appuntate sui copricapo delle donne, le collane d'oro e d'ar-
gento al collo dei nobili, le piastre di rame cucite sui farsetti dei cavalieri
più giovani e gli abiti quasi trasparenti delle nobildonne.
«I nomi, Godfrey! Non dirmi che non li sai. Hai una rete di informatori
molto efficiente in questa città. Chi sono?»
Il prete rallentò in modo da rimanere indietro e Ash non chiese altro al-
trimenti avrebbe attirato troppo l'attenzione. Strinse un pugno e per un at-
timo che sembrò durare un'eternità il suo unico pensiero fu quello di voler
colpire il religioso.
«Vostra Grazia era al corrente della presenza di una delegazione di am-
basciatori visigoti in questa corte?» domandò Ash rivolgendosi al nobile
inglese senza guardarlo in volto.
«Per le palle di Dio!»
«Devo prenderlo come un no, giusto?»
La scorta continuò a guidarli lungo la sala. Ash non era dell'umore giu-
sto per apprezzare i quadri all'interno delle nicchie ricavate nelle pareti o
gli arazzi sui quali erano state raffigurare epiche battute di caccia. Sopra il
salone le finestre ogivali e i gruppi di colonne lasciavano intravedere i tetti
del palazzo ducale e i pinnacoli di pietra bianco-oro che si innalzavano
verso il cielo.
Delle colombe passarono davanti ai vetri. Ash abbassò lo sguardo e si
fermò di scatto. Dickon de Vere la urtò. Entrambe le scorte si aprirono per
lasciare passare i fratelli de Vere in modo che potessero affiancarsi al con-
te di Oxford. Godfrey continuava a rimanere in disparte. L'espressione del
volto era calma e i suoi occhi, come quelli dei nobili e degli altri uomini di
chiesa presenti nella sala, non lasciavano trapelare nulla.
Ash continuava a guardarsi intorno in cerca dei Visigoti, ma non vide
nessuno.
John de Vere si inginocchiò imitato dai fratelli e da Ash.
Sul trono ducale sedeva un uomo dall'aria giovanile. Il nobile indossava
un farsetto e teneva la testa leggermente inclinata di lato per conferire con
l'uomo al suo fianco. Ash fissò quel volto dall'espressione tetra, i capelli
lunghi fino alle spalle e si rese conto che doveva trovarsi al cospetto di
Carlo, duca di Borgogna, vassallo di Luigi XI, il più splendido dei re 98 .
«Un giorno infausto, allora?» esordì tranquillo il duca, come se non si
preoccupasse per nulla di farsi sentire.
«No, sire.» L'uomo al suo fianco fece un inchino. Indossava un abito
lungo con le maniche arrotolate e teneva tra le braccia un fascio di carte
sulle quali spiccavano dei diagrammi di ruote e quadrati. «Diciamo che ci
potrebbe essere l'opportunità di raddrizzare un antico torto.»
Il duca gli fece cenno di allontanarsi e concentrò la sua attenzione sugli
inglesi inginocchiati di fronte a lui. Indossava un abito bianco che, colore a
parte, spiccava per la semplicità del taglio. Deve rappresentare una virtù,
pensò Ash, Nobiltà, Cavalleria o Castità, forse. Mi chiedo se anche noi
siamo così.
«Mio signore di Oxenford» disse il duca in tono piacevole.
«Sire.» De Vere si alzò in piedi. «Ho l'onore di presentarvi il mio capi-
tano mercenario che Vostra Grazia aveva desiderio di vedere. Ash.»
«Sire.» Ash si alzò in piedi. Alle sue spalle Thomas Rochester ed Euen
Huw reggevano lo stendardo del Leone Azzurro e Godfrey stringeva un
salterio. Ash si lisciò i capelli sul lato sinistro del volto per coprire la cica-
trice ancora in via di guarigione.
98
Nato a Digione nel 1433, all'epoca dei fatti narrati il duca Carlo aveva
quarantatré anni.
L'uomo relativamente giovane che si trovava sul trono, doveva avere
circa una trentina d'anni, si sporse in avanti posando un braccio sul brac-
ciolo e fissò Ash con i profondi occhi neri. Un debole accenno di colore gli
comparve sulle guance pallide. «Voi avete cercato di uccidermi!»
Ash intuì che quello non era il momento giusto per sorridere. Non sem-
brava che il Valois che ora sedeva sul trono di Borgogna fosse un uomo
facile da affascinare, quindi continuò a mantenere un'espressione seria,
umile, rispettosa e rimase in silenzio.
«Vi siete procurato un guerriero degno di nota, de Vere» si congratulò il
duca, quindi distolse lo sguardo dal condottiero mercenario e si rivolse
brevemente alla donna al suo fianco. Ash aveva notato che la moglie del
nobile non aveva tolto gli occhi di dosso al conte di Oxford neanche per un
istante.
«Forse» esordì Margherita di York, parlando ad alta voce «è giunto il
momento che quest'uomo ci dica il motivo della sua visita, sire.»
«Avete ragione, mia signora.» Il duca fece un rapido cenno a due consi-
glieri, conferì con loro per qualche attimo e tornò a fissare il gruppo di
fronte a lui.
Ash valutò rapidamente quanto costasse la semplicità del duca: i bottoni
dell'abito erano dei diamanti e il filo delle cuciture sembrava essere d'oro...
Quell'uomo spiccava come un fiocco di neve in quel mare di blu. L'elsa
della daga era d'oro e tempestata di perle.
«È nostra intenzione scoprire» disse il duca «cosa sapete di questo faris,
signora Ash.»
Ash deglutì e cercò di parlare in un tono di voce che fosse udibile in tut-
to il salone. «Per il momento quello che sanno tutti, sire. Quella donna è al
comando di tre eserciti, uno dei quali si trova al confine meridionale di
questo regno. Combatte ispirata da una voce che lei sostiene provenire da
una Testa di Ottone o un Golem di Pietra che si trova dall'altra parte del
Mediterraneo, a Cartagine» spiegò Ash. Aveva una certa difficoltà a rima-
nere lucida sotto lo sguardo di Carlo. «Io stessa l'ho vista parlare con quel-
la macchina. Per quanto riguarda il resto: i Goti hanno bruciato Venezia,
Milano e Firenze perché non ne avevano bisogno. Hanno un flusso di ri-
fornimenti via nave apparentemente interminabile che attraversa in conti-
nuazione il Mediterraneo.»
«Questo faris sa cosa sia l'onore? È una sorta di Bradamante99 ?» chiese
99
Leggendaria donna guerriero di cui parla l'Ariosto nel suo Orlando
Furioso (1516).
il duca Carlo.
Ash decise che era giunto il momento di mostrare il lato meno formale
del suo carattere. «Bradamante non mi avrebbe mai rubato la mia armatura
migliore per tenersela, sire!» rispose in tono piuttosto amareggiato.
Un'ondata di tenue ilarità sembrò dilagare per la corte, ma il tutto si
spense nell'attimo stesso in cui i presenti si accorsero che il duca non stava
sorridendo. Ash sostenne lo sguardo del nobile, che, vista la bruttezza del
viso e il colore degli occhi non poteva essere altro che un Valois, e aggiun-
se: «Per quanto riguarda i cavalieri, sire, non mi sembra che il punto di
forza del loro esercito sia la cavalleria pesante. Hanno una cavalleria me-
dia, un grandissimo numero di fanti e i golem.»
Il duca Carlo lanciò un'occhiata a Olivier de la Marche che fece un cen-
no con il capo ad Ash e scese dalla predella sulla quale si trovava. Il duca
gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Il militare annuì, si inginocchiò, baciò la
mano del suo sovrano e uscì dalla sala a grandi passi.
«Questi uomini privi di onore che vengono dal Sud» disse Carlo, rivol-
gendosi anche ai presenti «hanno osato privare del sole noi Cristiani per
farci piombare nel Crepuscolo Eterno che oscura le loro terre. Essi non
hanno espiato il peccato dello Scranno Vuoto. Noi non siamo mondi dal
peccato! Ma non meritiamo di essere privati del sole che è il Figlio.»
Ash decifrò quella frase dopo aver lanciato un'occhiata a Godfrey e an-
nuì.
«Quindi..» il duca si interruppe a causa del brusio insistente della moglie
che sedeva al suo fianco su un trono più piccolo. Ci fu uno scambio di opi-
nioni breve e piuttosto secco. «Se servirà a farvi sentire più tranquilla, allo-
ra potete chiedere» disse il duca di Valois dopo aver gratificato la moglie
con uno sguardo magnanimo. «De Vere!» chiamò. «Lady Margaret deside-
ra parlarvi.»
«Questa sarebbe la prima volta che succede!» commentò sottovoce, Ge-
orge de Vere che si trovava poco dietro Ash.
Dickon represse una risatina.
La nobildonna inglese fissò de Vere, i suoi fratelli e Beaumont, ignoran-
do Ash, il prete e lo stendardo. «Perché siete venuto qua, Oxford? Sapete
bene di non essere il benvenuto. Mio fratello, re Edoardo, vi odia. Perché
mi avete seguita fin qua?»
«Non ho seguito voi, signora.» John de Vere parlò in tono secco senza
rivolgersi alla donna con il suo titolo nobiliare. «Sono venuto per vostro
marito. Devo fargli una domanda ma, dato che c'è un esercito al confine, la
domanda può aspettare.»
«No! Parlerete adesso!»
Ash, conscia del fatto che ci fossero molte questioni in gioco in quel
momento, pensò che Margherita di York non doveva essere una donna
solitamente così impetuosa. Ci deve essere qualcosa che le rode dentro,
concluse.
«Non è il momento» tagliò corto il duca di Oxford.
Carlo di Borgogna si inclinò in avanti aggrottando la fronte. «Se la mia
duchessa pone una domanda, vuol dire che è il momento di rispondere, de
Vere. La cortesia è una delle virtù dei cavalieri.»
Ash lanciò una rapida occhiata a de Vere. L'Inglese strinse per un attimo
le labbra poi l'espressione del volto si rilassò e abbozzò un sorriso.
«Parlerò, visto che è desiderio di vostro marito. Sua grazia re Enrico VI
è morto senza lasciare nessun erede diretto100 . Sono venuto a chiedere al
primo discendente dei Lancaster di attrezzare un esercito e tornare in patria
in modo che in Inghilterra ci sia un re legittimo invece che vostro fratello.»
E io che credevo di essere priva di tatto, pensò Ash.
Ash sfruttò il trambusto creato dalla dichiarazione per girarsi rapidamen-
te e valutare la distanza che la separava dalle porte e dalle guardie.
Grandioso, pensò. Il faris mi ha messo in prigione. Sono arrivata qua,
stipulo una condotta con de Vere e lui ci fa imprigionare tutti. Non volevo
che andasse a finire così!
Il suono di uno strappo echeggiò nell'aria: Margherita di York aveva
stretto il velo del suo vestito con tanta forza da lacerarlo. «Mio fratello
Edoardo è un grande re!»
«Vostro fratello Edoardo ha fatto sbudellare mio fratello Aubrey, dopo-
diché, mentre era ancora in vita, gli ha strappato il pene e glielo ha brucia-
to davanti agli occhi. Tipica esecuzione yorkista. Vostro fratello ha fatto
tagliare la testa di mio padre senza avere il minimo appoggio della legge
inglese visto che non ha alcun diritto di sedere su quel trono!» tuonò il
conte di Oxford facendo sobbalzare Ash.
«Il trono d'Inghilterra ci spetta di diritto» replicò Margherita scattando in
piedi.
100
Enrico VI e Margherita d'Angiò ebbero un solo figlio, Edoardo che fu
ucciso nella battaglia di Tewkesbury. Ogni pretesa al trono d'Inghilterra da
parte di un Lancaster doveva essere fatta solo appellandosi a un parente
alla lontana (Enrico Tudor, il cui nonno gallese sposò la vedova di re
Enrico V). Nel frattempo Edoardo IV, uno York, sedeva sul trono.
«Ma il vostro diritto non è altrettanto legittimo quanto quello di vostro
marito!»
Il silenzio calò sulla sala come un colpo di spada. Ash si rese conto che
stava trattenendo il respiro. I fratelli de Vere osservavano la folla impettiti
e con le mani posate sui foderi. Il conte di Oxford fissò per qualche attimo
ancora la donna sul trono con uno sguardo degno di un uccello predatore,
quindi si concentrò su Carlo e inclinò leggermente la testa in segno di salu-
to.
«Voi dovreste sapere, sire, che essendo il pronipote di John di Guant e
Bianche dei Lancaster in questo momento siete l'unico Lancaster che possa
accampare dei diritti sul trono d'Inghilterra 101 .»
Siamo morti, pensò Ash, mentre stringeva le mani dietro la schiena per
impedirsi di toccare la spada che portava al fianco.
Siamo fatti, continuò a pensare. Siamo belli che morti. Cristo, Oxford
non potresti tenere la bocca chiusa quando qualcuno ti chiede di dire la
verità?
«Se la cosa non funziona possiamo sempre invadere la Cornovaglia...»
disse Ash senza quasi rendersene conto.
L'istante di silenzio che seguì fu abbastanza lungo da mozzarle il fiato. Il
duca Carlo accennò un sorriso e la sala scoppiò in una risata generale.
«Nobile duca» incalzò Ash «il Delfino di Francia ha avuto la sua Pulzel-
la. Mi dispiace di non poter essere altrettanto per voi, ma dopotutto sono
una donna sposata. Tuttavia spero di essere anch'io nelle grazie di Dio co-
me è stato per Giovanna. Se voi mi darete non delle truppe, ma un finan-
ziamento allora cercherò di fare quello che lei ha fatto per la Francia. Uc-
ciderò i vostri nemici, sire.»
«E cosa potrebbero fare le vostre settantuno lance per la Borgogna, si-
gnora?» chiese il duca.
Ash arcuò un sopracciglio: neanche Anselm era riuscito a darle un com-
puto tanto esatto delle loro forze. Continuò a tenere la testa alta consape-
vole del fatto che in quel momento poteva contare solo sull'espressione del
suo volto e che se avesse indossato l'armatura completa avrebbe fatto una
figura migliore. «Sarebbe meglio non parlarne davanti a tutti, sire.»
Il duca di Borgogna batté le mani e il suono delle trombe echeggiò nella
sala. Le dame che sedevano ai lati della sala si alzarono e furono accom-
101
Infatti, Carlo registrò la sua richiesta formale di ascendere al trono di
Inghilterra nel 1471, cinque anni prima di questo incontro, ma la cosa non
ebbe alcun seguito.
pagnate all'uscita dai loro cavalieri. Ash, Godfrey e i fratelli de Vere furo-
no fatti entrare in una stanzetta laterale.
Qualche minuto dopo Carlo di Borgogna li raggiunse in compagnia di
una manciata di consiglieri.
«Avete sconvolto la regina di Bruges» disse, rivolgendosi a Oxford.
Ash guardò stupita i due nobili.
«Mia moglie è il governatore di quella città e di tanto in tanto è chiamata
regina» spiegò il duca di Valois accomodandosi su una sedia. Si era sbot-
tonato parte del vestito rivelando la maglia dorata sottostante. «Non le pia-
cete per niente, mio caro conte di Oxford.»
«Mi sarei stupito del contrario» disse Oxford. «Siete stato voi a costrin-
germi a parlare.»
«È vero.» Il duca si concentrò su Ash. «Mi avete portato una folle inte-
ressante. È giovane» aggiunse.
«So comandare, sire» Ash, che non sapeva se coprirsi la testa, come fa-
ceva ogni donna rispettabile, o scoprirla come facevano gli uomini, decise
di rimanere a testa nuda e stringere il cappello in mano. «Voi avete l'eser-
cito migliore di tutta la Cristianità. Mandatemi a fare quello che non fareb-
be mai un esercito - mandatemi a strappare il cuore dell'invasione visigo-
ta.»
«E dove si troverebbe questo cuore?»
«A Cartagine» rispose Ash.
«Non è folle, sire» intercesse Oxford. «È solo audace.»
Le pareti della stanza erano ricoperte di arazzi sui quali spiccava l'im-
magine di un cervo maschio, il simbolo della casa regnante burgunda. La
bestia bianca e dorata era in un bosco inseguita dagli adoratori e dai cac-
ciatori. Ash si spostò per sottrarsi al caldo sole del tardo pomeriggio e vide
che tra le corna del cervo spiccava una croce verde.
«Voi siete un uomo onesto e un buon soldato» commentò il duca di
Borgogna mentre un paggio serviva una coppa di vino prima a lui poi al
conte di Oxford. «Altrimenti sospetterei di un trucco dei Lancaster.»
«Io sono astuto solo sul campo di battaglia» replicò l'Inglese. Ash avver-
tì un certo divertimento nel tono di voce del suo datore di lavoro.
«Abbiamo le prove che questo Golem di Pietra si trovi veramente al di
là del mare e parli con questo faris?»
«Io credo di sì, sire.»
«Dovrebbe bastare.»
Quante cose dipendono da questo uomo, pensò improvvisamente Ash.
Questo ragazzone brutto dai capelli neri che ha ventimila uomini e più
artiglieria dei Visigoti. Dipende tutto da lui.
«Io ho lo stesso sangue del faris» disse Ash.
«Così mi hanno detto i miei consiglieri. Inoltre» aggiunse il nobile «mi
hanno riferito che la somiglianza tra voi è davvero notevole. Siete stata
mandata da Dio o dal diavolo?»
«A questo può rispondervi il mio prete, sire.»
Ash fece un cenno della mano e Godfrey Maximillian avanzò. «Nel cor-
so degli ultimi otto anni questa donna ha seguito la messa, preso la comu-
nione e si è confessata da me, Vostra Grazia.»
«Pur essendo un principe» disse il duca di Borgogna «non posso zittire
le voci. Si comincia a dire che la voce del generale visigoto proviene da un
meccanismo infernale dal quale non possiamo difenderci. Non so per
quanto tempo ancora il nome del vostro condottiero sarà tenuto al di fuori
di tutto ciò, lord Oxford.»
«Può darsi che il faris non sappia che lei...» de Vere esitò in cerca della
parola giusta. «Che lei origlia. Non possiamo sperare che le cose rimanga-
no così. Ha già cercato questa ragazza per interrogarla. Dobbiamo agire il
più in fretta possibile. È questione di settimane, di giorni, se siamo sfortu-
nati, sire.»
«Siete disposto a far cadere la faccenda della successione?»
«Per il momento la metterò da parte, sire. Prima dobbiamo affrontare il
pericolo che viene da sud.»
«Fuori tutti» ordinò il duca senza voltarsi.
Trenta secondi dopo nella stanza erano rimasti solo Ash, Godfrey, Ma-
ximillian, Oxford e i suoi fratelli.
«Non siamo quello che vorremmo essere, de Vere» disse Carlo di Bor-
gogna.
Una folata di vento portò nella stanza l'odore del fieno e delle rose.
«Se avessi a disposizione gli armaioli di Milano per forgiarmi la miglio-
re delle armature» continuò il duca «e se potessi, signori, vi assicuro che
mi armerei come si addice a un uomo, mi parerei dinanzi a quell'esercito di
predoni e sconfiggerei in duello il loro campione, così la faccenda sarebbe
conclusa una volta per tutte. Ma in questo mondo decadente tale onore e
cavalleria non esistono più.»
«Si risparmierebbero un mucchio di morti» commentò Ash in tono piat-
to. «Sire» aggiunse un attimo dopo, apparentemente soprappensiero.
«Succederebbe lo stesso con un'incursione a Cartagine» incalzò de Vere.
«Una volta tagliata la testa il corpo non serve più a nulla.»
«Voi conoscete l'esatta ubicazione del Golem di Pietra? Sempre che sia
a Cartagine.»
«Possiamo sempre scoprirlo, sire» fece notare Godfrey Maximillian.
«Con duecento corone d'oro posso procurarvi le notizie in brevissimo tem-
po.»
Carlo di Borgogna si concentrò su de Vere. «Parlate.»
Oxford si rivolse al duca usando il linguaggio telegrafico e conciso dei
militari. Ash non interruppe perché sapeva che per essere accettato un pia-
no doveva essere esposto da un uomo e se questi era uno dei famosi co-
mandanti d'Europa era ancora meglio.
Vide con la coda dell'occhio Godfrey che si rilassava. Il prete era con-
tento che lei avesse tenuto la bocca chiusa.
Chi sono i Visigoti della delegazione? pensò Ash. Perché non me lo di-
ci?
Il prete fissava attonito gli arazzi della stanza. Ash non poteva parlargli
in nessun modo. Fissò il cielo oltre la finestra e desiderò essere all'aria
aperta.
«No» disse il duca di Borgogna.
«Fate come credete meglio» tuonò John de Vere. «Denti di Dio, uomo -
Vostra Grazia. A cosa ci può servire una battaglia? A cosa ci può servire
una vittoria se il cuore del nemico rimane intatto?»
Il duca tornò a sedersi eretto e fece cenno a John de Vere di allontanarsi.
«Sono determinato a combattere i Visigoti e presto. I miei astrologi mi
hanno consigliato di farlo prima che il sole esca dal Leone. Il ventuno di
agosto è la festa di san Sidonio e quello sarebbe un buon auspicio.»
Ash notò lo sguardo del duca che si posava su Godfrey, il quale, dopo
aver assunto un'espressione consona alla situazione, si affrettò a spiegare.
«Direi che è un giorno perfetto, sire. È giunto il momento di vendicare
Sidonio Apollinare uno dei primi santi cristiani martirizzato dai Visigoti.»
«Anch'io la penso così» replicò il duca, soddisfatto. «Ho cominciato a
prepararmi fin dal mio ritorno da Neuss.»
«Ma...» Ash si morse un labbro.
«Capitano?»
«Volevo dire, sire» riprese Ash, riluttante «che secondo me neanche l'e-
sercito burgundo può sconfiggere l'esercito al confine per non parlare dei
rinforzi che arrivano giornalmente dal Nord Africa. Anche se voi vi allea-
ste con l'imperatore Federico e re Luigi...»
Ash si zittì immediatamente. Era abituata a cogliere sui volti delle per-
sone le espressioni che davano a intendere che non era saggio continuare
oltre sull'argomento e l'aver menzionato Luigi XI aveva fatto apparire tale
espressione sul volto di Carlo di Borgogna.
«Non raccoglierete il denaro per finanziare un attacco a Cartagine?»
chiese il conte di Oxford.
«No. Secondo me non è saggio. È un'impresa destinata al fallimento.
Combatteremo qua e vinceremo.» Fissò Ash e lei si sentì improvvisamente
a disagio. «Capitano Ash» riprese il nobile «ci sono dei Visigoti a corte.
Sono arrivati stamattina in veste di ambasciatori. Hanno molte pretese o
richieste umili come le definiscono loro. Una di queste vi riguarda. Hanno
visto lo stendardo della vostra compagnia fuori della città e mi chiedono di
consegnarvi a loro.»
Gli occhi scuri del regnante erano inchiodati su di lei. La costernazione
che serpeggiò tra i giovani de Vere sembrò farle capire che la delegazione
era arrivata a palazzo in gran segreto.
Un segreto che non durerà a lungo, pensò Ash. «I Visigoti hanno infran-
to la loro condotta quando mi hanno imprigionata» proclamò ad alta voce
«ma non credo di potervi resistere se voleste consegnarmi a loro, sire. Non
potrei fermare l'esercito burgundo.»
Il duca ruotò con aria grave gli anelli che portava alle dita e non rispose.
La notizia dell'arrivo dei Visigoti aveva scosso Ash. «Cosa avete inten-
zione di fare con me, sire?» chiese. «Ripenserete all'idea di un'incursione
contro Cartagine?»
«Pondererò entrambi gli argomenti» promise il duca. «Devo parlare con
de la Marche e i miei consiglieri. Saprete tutto entro... domani.»
Dannazione, ancora ventiquattro ore d'attesa, pensò Ash.
Il duca si alzò ponendo fine all'udienza.
«Sono un principe» disse. «Siete nella mia corte e se vi capitasse di in-
contrare qualcuno di quegli uomini proveniente da Cartagine e i loro allea-
ti rinnegati, state tranquilla che nessuno di loro potrà farvi del male.»
Ash non lasciò trapelare il suo scetticismo. «Grazie sire.»
Ma tornerò al mio campo il più velocemente possibile, concluse tra sé.
L'espressione del duca si incupì notevolmente.
«Capitano Ash, in quanto schiava bastarda di una casata visigota voi sie-
te legalmente una loro proprietà. Essi non vi reclamano come loro capitano
o prigioniero, ma come proprietà. Tale reclamo è legittimo e del tutto lega-
le.»
II

Ash e i suoi uomini si fermarono alla fine di una rampa di scale. Aveva-
no distanziato il conte di Oxford e i suoi fratelli, ignorato l'etichetta di cor-
te ed eseguito i saluti di rito in maniera meccanica. La scoperta di poter
essere venduta e comprata come una merce l'aveva scossa profondamente.
Il duca mi cederà sicuramente, pensò Ash. È una mossa politica. O, se
non si tratterà di politica, lo farà per rispettare la legge, visto che è la legge
a tenere lontana l'anarchia dal suo regno...
Il Vespro echeggiò per tutto il palazzo.
Forse ho bisogno di pregare.
Si chiese quale fosse la cappella più vicina, si rivolse a Godfrey e non si
accorse delle persone che stavano andando loro incontro. «Capo...» l'av-
verti Thomas Rochester fingendo di tossire.
La luce che penetrava dalle piccole finestre si rifletteva sul pavimento e
sui muri coperti di calce bianca illuminando a giorno l'intera stanza. Non
era un posto dove era facile passare inosservati.
I Visigoti la videro e cominciarono a rallentare.
«Come vorrei che vi avessero lasciato portare i cani» mormorò Ash.
«Una bella muta di mastini tornerebbe molto utile in questo momento...»
«Adesso vedremo se la pace del duca è duratura o se dovremo prendere
qualcuno a calci in culo, capo» commentò cupo Thomas Rochester.
Ash lanciò una rapida occhiata alle guardie presenti nel locale e comin-
ciò a sorridere. «Ehi, ragazzi. Siamo noi quelli che sono a casa qua, non
quei fottuti Goti.»
«Hai ragione, capo» convenne Euen Huw sghignazzando.
«Spacchiamo loro il cranio con una cazzo di alabarda» suggerì uno degli
uomini della lancia di Rochester.
«Non fate niente a meno che sia io a dirlo. Chiaro?»
«Sì, capo» risposero i suoi uomini in tono riluttante.
Ash era consapevole della presenza di Thomas ed Euen alle sue spalle. Il
primo uomo che componeva il gruppo allungò il passo andandole incontro.
Era Sancho Lebrija.
«Qa'id» lo salutò prontamente Ash.
«Jund.»
L'uomo alto e robusto alle spalle di Lebrija era Agnus Dei. L'agnello,
che indossava un'armatura milanese, sorrise. I denti ingialliti spiccarono
sulla barba nera.
«Madonna» la salutò. «Che brutta ferita.»
Ash, che aveva ancora il cappello in mano, si toccò il taglio alla testa
con un gesto automatico.
«Ash...» le sussurrò Godfrey in un orecchio per cercare di metterla in
guardia.
La delegazione era scortata da quattro o cinque soldati. Appena il picco-
lo manipolo si fermò, Ash poté scorgere il giovane in mezzo che portava
l'elmo sotto il braccio e lo riconobbe immediatamente.
«... È chiaro!» sussurrò Godfrey in tono vendicativo. «Non poteva essere
altrimenti! Lui può aver pagato qualche ciambellano per sapere quando e
con chi Carlo avrebbe parlato.»
Fernando del Guiz.
«Guarda chi è arrivato» disse Ash ad alta voce. «Non è questa la piccola
merda che ha detto al faris dove mi trovavo quando ero a Basilea? Euen,
Thomas: ricordatevi questa faccia. Molto presto dovrete romperla.»
Fernando sembrò ignorarla. Agnus Dei disse qualcosa all'orecchio di
Lebrija e il Visigoto emise una sorta di risata.
Agnello continuava a sorridere.
«Spero che tu abbia fatto un bel viaggio da Basilea a qua.»
«È stato veloce.» Ash non staccava gli occhi di dosso a Fernando. «Stai
attento anche tu, Agnus. Un giorno potrebbero rubarti la tua armatura mi-
gliore se non stai attento!»
«Il faris vuole conferire ancora con voi» disse Sancho Lebrija, rigido.
Cosa diresti se sapessi che anch'io sono molto ansiosa di parlare di nuo-
vo con lei? pensò Ash concentrandosi sugli occhi chiari dell'ambasciatore,
che non erano neanche lontanamente affascinanti come quelli del suo de-
funto cugino.
Una sorella, una sorellastra, una gemella.
«Allora speriamo in una tregua» disse ad alta voce in modo da farsi sen-
tire dai vari intriganti che alloggiavano in ogni corte. «La guerra è meglio
quando non si combatte. Ogni vecchio soldato lo sa - vero, Agnus?»
Sulla bocca del mercenario apparve un sorriso ironico. Alle sue spalle i
soldati visigoti non fecero nessuna mossa ostile. Ash riconobbe l'udqa102
della scorta e cercò il nazir che l'aveva portata via dai giardini di Basilea. Il
visigoto la stava guardando male da sotto l'elmo.
102
L'uqda era uno stendardo portato da un nazir al comando di otto
uomini.
Sul locale era calato un silenzio carico di tensione.
Sancho Lebrija si girò parzialmente, fulminò con un'occhiataccia Fer-
nando del Guiz, quindi tornò a rivolgersi ad Ash. «Tuo marito vorrebbe
parlarti, jund.»
«Davvero?» domandò Ash, scettica. «Non mi sembra che voglia farlo.»
Il qa'id appoggiò una mano sulla schiena del cavaliere tedesco e lo spin-
se avanti con decisione. «Certo che vuole farlo.»
Fernando del Guiz indossava la divisa bianca e la maglia di anelli metal-
lici tipica dei Visigoti. Non dovevano essere passati più di dieci giorni da
quando l'aveva visto a Basilea. Il pensiero la scosse parecchio perché in
quel breve lasso di tempo erano successe un sacco di cose. Il volto era più
smunto e i capelli biondi erano stati tagliati corti e non gli ricadevano più
fluenti sulle spalle muscolose come quando l'aveva incontrato a Neuss.
Ash lasciò vagare lo sguardo sulle mani forti.
L'odore del marito fece breccia in lei in un attimo: quell'aroma le ricordò
il caldo delle lenzuola di lino, la morbidezza della pelle del suo petto, della
pancia e delle cosce, le spinte del suo membro eretto dentro di lei. Sentì i
capezzoli che si inturgidivano, la gola che si seccava e le guance che arros-
sivano. Avrebbe voluto carezzare quel volto, ma strinse il pugno e rimase
immobile.
«Meglio se parliamo» borbottò Fernando del Guiz, senza guardarla in
volto.
«Stronzo!» lo insultò Thomas Rochester.
«Andiamo via» disse Godfrey Maximillian tirandola per un braccio.
Ash non si mosse di un centimetro continuando a studiare l'espressione
inintelligibile di Sancho Lebrija e quella maliziosa dell'Agnello. «No»
borbottò a sua volta. «Voglio parlare con del Guiz. Devo dire un paio di
cose a questo uomo!»
«Non farlo, figliola» la scongiurò Godfrey.
Sfuggì alla presa del prete senza sforzo e indicò un punto della stanza a
qualche metro dal gruppo. «Andiamo in ufficio, maritino mio. Thomas,
Euen, sapete cosa fare.»
Attraversò la stanza e si fermò in un punto in cui la luce rossa e blu che
penetrava da una finestra colorata screziava il pavimento sotto un vecchio
stendardo che i Burgundi avevano usato in una delle guerre contro i Fran-
cesi. Erano abbastanza lontani per non essere ascoltati né dalla delegazione
visigota né dalle guardie del duca Carlo.
Se dovesse provare a farmi del male siamo abbastanza in vista e tutti
possono vedere, però vale anche il contrario.
Si affrettò a togliersi i guanti, posò la mano sulla spada e attese.
Fernando del Guiz si allontanò da Lebrija e si diresse verso di lei. Il ru-
more prodotto dagli stivali che battevano sul pavimento consumato echeg-
giò contro le pareti. Il calore del tardo pomeriggio giustificava il velo di
sudore che gli imperlava il volto.
«Allora?» lo pungolò Ash. «Cosa hai da dirmi?»
«Io?» Fernando del Guiz la fissò dritta negli occhi. «Non è stata una mia
idea!»
«Smettila di farmi perdere tempo» gli intimò, parlando in tono autorita-
rio senza neanche rendersene conto. Ash vedeva che Fernando stava lan-
ciando delle rapide occhiate a Lebrija che si trovava alle sue spalle.
«È tutto così goffo...» disse Fernando dopo qualche attimo.
«Goffo!»
Fernando posò una mano sul braccio di Ash. Un gesto che la colse alla
sprovvista e attrasse la sua attenzione sulle unghie ben curate, la pelle
morbida e la peluria bionda che ricopriva il polso.
«Andiamo a parlare da qualche altra parte. Da soli.» Fernando le carezzò
una guancia.
«Perché?» Ash mise la mano sopra di quella di Fernando. Era partita con
l'intenzione di strappargliela via, invece intrecciò le dita con quelle del
marito. Il calore di quella mano era più che benvenuto.
«Cosa vuoi, Fernando?»
«Voglio solo parlare» spiegò abbassando la voce. «Non farò nulla che tu
non voglia io faccia.»
«Questa l'ho già sentita.»
Fissò il volto del marito e pensò di vedere ancora il giovane nobile dal
portamento fiero che andava a caccia con i falchi e i cani circondato da
amici e parenti, senza dover lavorare per permettersi i cavalli e il vino,
senza dover scegliere se cambiare i ferri al cavallo o comprare le scarpe.
Ora aveva il viso un po' smunto, ma quell'uomo continuava a rimanere una
miniera d'oro.
Il contatto con il marito la faceva tremare. Aprì la sua mano, si allontanò
e in quell'istante sentì freddo. Portò la sua mano con un gesto disinvolto
alla guancia. Voleva conservare ancora per qualche attimo la sensazione
della pelle di Fernando del Guiz contro la sua.
«Dai, smettila.» Scettica, Ash serrò le labbra. Sentì un tremore allo sto-
maco e non seppe dire se si trattasse di nausea, dolore o piacere. «Non
posso crederci. Stai cercando di sedurmi?»
«Sì.»
«Perché?»
«Perché è più facile.»
Ash rimase a bocca aperta senza sapere cosa rispondere. Si sentiva ol-
traggiata. «Sei - cosa vorrebbe dire: 'perché è più facile'? Più facile di co-
sa?»
«Di rifiutare il faris e i suoi ufficiali.» La voce di Fernando del Guiz a-
veva perso ogni venatura di umorismo. «Dicono che una bella scopata po-
trebbe farti tornare nelle loro mani, perché non farlo, allora?»
«'Una bella scopata...'?» sbraitò Ash.
Agnus Dei posò una mano sul braccio di Sancho Lebrija per trattenerlo.
Entrambi gli uomini li stavano fissando in cagnesco. Era ovvio che avesse-
ro sentito l'ultima frase. Ash vide con la coda dell'occhio Godfrey che,
pallido in volto, faceva un passo verso di lei.
«Sedurmi?» ripeté Ash. «Fernando... è ridicolo!»
«Hai ragione, è ridicolo, ma cosa mi suggeriresti di fare con una mezza
dozzina di pazzi assassini armati fino ai denti che mi sorvegliano mentre
parlo con te?» Era più alto di lei di una quindicina di centimetri e la fissava
tenendo il capo chino. «Grazie a te, in questo momento sono considerato il
pappone del faris. Il minimo che puoi fare è non scoppiare a ridere.»
«Co...» Ash non riuscì a terminare la frase, l'onestà di quella dichiara-
zione l'aveva lasciata senza parole. «Il pappone del faris?»
«Questo è l'ultimo posto in cui vorrei essere!» urlò Fernando. «Voglio
solo tornare a Guizburg e rintanarmi nel castello finché questa fottuta
guerra condotta da un branco di folli non finirà. Ma loro mi hanno fatto
sposare con te, giusto? E dopo si scopre che sei in qualche modo imparen-
tata con il faris. Secondo te quando i Visigoti l'hanno scoperto a chi pensi
si siano rivolti credendo che quella persona sapesse tutto sul comandante
mercenario chiamato Ash? A me. Chi credi che loro pensino possa in-
fluenzarti? Io.» Riprese fiato. «Non me ne importa nulla della politica.
Non voglio far parte della famiglia del faris. Non voglio stare nella corte
visigota. Non voglio stare qua. Sono qua perché pensano che io sia una
valida fonte di informazioni su di te! Io voglio solo tornare nella fottuta
Bavaria!»
Fernando del Guiz terminò ansimando con la saliva che faceva capolino
dagli angoli della bocca. Ash si rese conto che il marito aveva parlato in
Tedesco e che i suoi due accompagnatori, Agnus Dei e Lebrija, non ave-
vano capito nulla a causa della velocità della tirata.
«Cristo» disse Ash. «Sono impressionata.»
«Sono qua solo per te!»
Il disprezzo e la furia che venavano la voce di Fernando del Guiz aveva-
no indotto Euen Huw e Thomas Rochester a posare la mano sull'elsa della
spada e osservare il loro comandante con la coda dell' occhio per capire se
fosse stato il caso di intervenire. Ash notò che Godfrey aveva stretto i pu-
gni al punto di farli sbiancare.
«Pensavo che volessi entrare nelle grazie del faris» affermò Ash, con to-
no mite. «Credevo che ti fossi fatto catturare per crearti una posizione al-
l'interno della corte visigota.»
«Non voglio un posto a corte!» si infuriò Fernando.
«Certo, certo» rispose Ash, in tono sarcastico. «Ecco perché in questo
momento sei a Guizburg e non di fronte a me! Come dire che non sei al
fianco di Lebrija per ottenere dei vantaggi politici o perché sei stato pro-
mosso.»
Il nobile prese fiato e la fulminò con un'occhiata carica di rabbia. «Ades-
so ti dirò perché sono qua. Il faris avrebbe fatto piantare la mia testa in
cima a una lancia molto volentieri come monito per i nobili minori della
Germania. Non l'ha fatto perché le ho dato un'occhiata da vicino e le ho
detto che aveva una gemella.»
«Sei stato tu a dirglielo.»
«Suppongo che essere il marito di una visigota bastarda sia molto me-
glio che essere sposato con una puttana francese che fa il soldato.»
«Sei stato tu?»
«Tu pensi che io sia un cavaliere uscito dalle cronache. Beh, mi dispiace
deluderti, ma non è così. Quando mi hanno puntato contro le lance mi sono
reso conto che ero solo un altro uomo con un titolo al quale erano stati
intestati alcuni acri di terra che si trovava di fronte degli uomini con un'a-
quila cucita sugli abiti. Non avevo nessun valore. Non ero degno di nota.
Non ero differente dagli altri come me che avevano massacrato a Genova,
a Marsiglia o nelle altre città.»
Ash lo fissò in volto e per un attimo ebbe l'impressione di veder balenare
nella sua espressione il ricordo di quel trauma. «Roberto mi disse che eri
uno di quegli stupidi ragazzetti con la testa piena di ideali del tipo morte o
gloria. Si è sbagliato, vero? Hai dato un'occhiata alla gloria e hai deciso
che era meglio salvare la pelle!»
Fernando la fissò. «Dolce Gesù. Ti vergogni di me!»
Dal tono di voce sembrava che il nobile si stesse prendendo in giro da
solo.
«Non l'hai detto al tuo amico Agnello. O sì? Gliel'hai detto? Perché non
gli dici come mai non hai combattuto contro i Visigoti a Genova? Voi era-
vate in duecento e loro solo in trentamila.»
Aveva azzardato quel numero senza neanche rendersene conto. Arrossì
in volto e aggiunse: «Agnello ha negoziato una condotta perché è il suo
mestiere. Anch'io faccio quel mestiere, mentre tu ti sei cagato sotto e ti sei
inginocchiato a implorare pietà...»
Fernando del Guiz le serrò una spalla con la mano, lei gliela afferrò e
cercò di toglierla, ma non ci riuscì e cominciò a tremare. Una parte di lei
non voleva perdere quel contatto.
«Sei stata fu a mandarmi via! Sei stata tu a consegnarmi a loro.»
«Stai cercando di incolparmi per quanto è successo? Ehi. Io volevo tor-
nare al comando della mia unità. Non volevo che tu ordinassi alle mie lan-
ce di intraprendere una battaglia persa in partenza.» Ash sbuffò. «Non cre-
di che ci sia una certa ironia in tutto ciò? Avrei dovuto lasciarti dare un
ordine. Sicuramente avresti gridato: 'Scappiamo veloci come degli stron-
zi!'»
Fernando del Guiz arrossì mettendo in evidenza le efelidi che gli chiaz-
zavano il volto.
«E ci saresti riuscito!» urlò Ash. «Non sarebbe stato difficile. Su dritto
per le colline e poi al sicuro tra le montagne. Si erano appena attestati sulla
costa non avevano intenzione di dare la caccia a dodici uomini a cavallo!»
La rabbia non ha bisogno di essere tradotta per essere capita. Nel mo-
mento in cui Fernando arretrò di un passo, una tunica verde si parò tra lui e
la moglie. Ash afferrò Godfrey Maximillian e lo spinse via, nonostante il
religioso fosse grosso il doppio di lei.
«BASTA!» sbraitò Ash.
Un attimo dopo Thomas ed Euen erano alle sue spalle con le mani sulle
spade. Ash vide che gli uomini di Lebrija avevano cominciato ad avvici-
narsi con passo deciso e distese le mani in avanti con le dita ben aperte e
visibili.
«Va bene! Adesso è troppo! Distanziatevi!» tuonò un soldato burgundo,
un capitano, forse. «C'è una tregua in corso! In nome di Dio, non estraete
le armi in questo luogo!»
I Visigoti si fermarono incerti sul da farsi. Un cavaliere burgundo fermo
vicino alla porta assunse la posizione di combattimento. Ash agitò un pol-
lice e con la vista periferica vide Thomas, Euen e il riluttante Godfrey che
arretravano nuovamente. Continuò a fissare Fernando.
«Ash...» disse il marito tradendo un certo nervosismo «... quando tu sei
prudente si tratta di cautela; quando cambi parte per schierarti con il più
forte, sono affari. Sai cosa sia la paura?» Esitò per un attimo, quindi ag-
giunse: «Pensavo che potessi capirlo. Mi sono comportato in quel modo
perché avevo paura di essere ucciso.»
Aveva parlato in tono tranquillo marcando le parole con un'enfasi paca-
ta. Ash aprì la bocca per replicare, ma un attimo dopo la richiuse. Lo fissò
e vide che le mani stavano stringendo l'elmo con tanta forza che le nocche
erano sbiancate.
«L'ho vista in faccia - il faris» disse Fernando. «E ora sono vivo perché
ho detto a una puttana cartaginese che aveva una cugina bastarda nell'eser-
cito franco. Ero troppo spaventato per non dirglielo.»
«Saresti potuto scappare» insistette Ash. «Diavolo, almeno avresti potu-
to provarci!»
«No, non potevo.»
Il pallore del volto di Fernando del Guiz fece comprendere ad Ash che
quell'uomo stava ancora subendo gli effetti di un trauma da combattimen-
to. Non è mai sceso in battaglia, ma è comunque traumatizzato, pensò.
«Non te la prendere troppo» gli disse ad alta voce, in tono tranquillo.
«Infatti.» Replicò Fernando fissandola in volto.
«Cosa?»
«Non me la prendo.»
«Ma...»
«Se lo facessi» disse Fernando «dovrei pensare che i folli come te sono
nel giusto. In quei momenti ho capito tutto. Tu e quelli come te siete com-
pletamente pazzi. Ve ne andate in giro a uccidere la gente e a farvi uccide-
re e per voi non c'è nulla di sbagliato in tutto ciò.»
«Hai fatto qualcosa quando hanno ucciso Otto, Matthias e gli altri tuoi
compagni? Sei almeno riuscito a dire qualcosa?»
«No.»
Ash lo fissò dritto negli occhi.
«No» rispose Fernando. «Non ho pronunciato neanche una parola.»
Se fosse stato un altro lei gli avrebbe detto che quella era la guerra, un
affare di merda, d'accordo, ma il mondo andava così e che qualsiasi cosa
avesse detto in quei momenti non sarebbe servito a nulla.
«Qual è il problema?» lo punzecchiò. «Pisciare addosso a una ragazzina
di dodici anni è più nel tuo stile?»
«Forse non l'avrei fatto se avessi capito quanto sei pericolosa.» Fernando
del Guiz cambiò espressione. «Sei una donna malvagia. Una macellaia
psicopatica.»
«Non essere ridicolo, per favore. Sono un soldato.»
«Perché secondo te i soldati possono essere altro?» ribatté pronto Fer-
nando.
«Forse è come dici tu» rispose Ash. «Ma si tratta della guerra.»
«Beh, io non voglio più avere nulla a che fare con la guerra. Mai più.»
Fernando del Guiz la gratificò con un sorriso mesto. «Vuoi sapere la verità
pura e semplice? Non voglio avere nessuna parte in tutto ciò. Se avessi
possibilità di scegliere, tornerei a Guizburg, tirerei su il ponte levatoio e
uscirei dal castello solo alla fine di questa dannata guerra lasciando il tutto
alle puttane assetate di sangue come te.»
Sono stata a letto con questo uomo, pensò Ash, meravigliandosi della di-
stanza tra loro. E se adesso me lo richiedesse...
«Posso suggerire di uscire?» Ash agganciò la cintura con le mani. Il cuo-
io azzurro era decorato con delle borchie a forma di testa di leone. Non era
certo una cintura che si addiceva a una donna. «A seduzione andiamo piut-
tosto male.»
«Già.» Fernando lanciò un'occhiata a Sancho Lebrija alle sue spalle.
Sembrava che il giovane nobile tedesco si sentisse terribilmente imbaraz-
zato all'idea che qualcuno potesse assistere al suo tentativo fallito di sedur-
re la moglie errante. «Ultimamente il mio stato di servizio non è il massi-
mo.»
Ha l'aria stanca, pensò Ash. Un impeto di simpatia nei confronti del ma-
rito distrusse il castello di rabbia che aveva costruito pazientemente fino ad
allora.
No, si riprese, molto meglio se continuo a odiarlo.
«Il tuo stato si servizio è perfetto. L'ultima cosa che hai fatto è stato tra-
dirmi. Perché non sei venuto a trovarmi quando mi hanno messa in prigio-
ne a Basilea?» gli domandò.
«Perché avrei dovuto farlo?» rispose Fernando del Guiz in tono piatto.
Ash lo colpì.
Era stato più forte di lei. Non era riuscita a controllarsi. Non aveva e-
stratto la spada per non essere infilzata da una delle guardie del duca, ma,
soprattutto, perché un attimo prima di agire aveva avuto una visione fuga-
ce ma nitidissima del volto di Fernando del Guiz insanguinato a causa di
una vistosa ferita al cranio.
Quell'immagine le aveva provocato un senso di nausea. Non per il fatto
di uccidere un uomo, quello faceva parte del suo mestiere, ma per il sem-
plice pensiero di far del male a quel corpo, quel corpo che lei aveva carez-
zato con le sue mani.
Lo aveva colpito con un pugno in faccia dopodiché aveva serrato la ma-
no sotto l'ascella imprecando sonoramente e fissando al tempo stesso Fer-
nando che ondeggiava con gli occhi spalancati per lo stupore. Non si trat-
tava di rabbia. Era solo sconvolto dall'idea che una donna avesse osato
picchiarlo.
Ash udì dietro di lei il rumore dei piedi contro il pavimento, il clangore
delle corazze, il fondo delle lance che battevano a terra e gli uomini pronti
a entrare in azione.
Fernando del Guiz non si mosse.
Un piccolo segno rosso cominciava a gonfiarsi sotto il labbro. Il giovane
nobile tedesco ansimava pesantemente, rosso in volto.
Ash continuò a guardarlo flettendo le dita che pulsavano.
Qualcuno, un visigoto non uno dei suoi uomini, proruppe in una roca ri-
sata.
Ash fissò il volto del marito e qualcosa di simile alla pietà, ammesso che
la pietà possa bruciare e tagliare allo stesso modo dell'odio e porti all'asso-
luta incapacità di reggere la vergogna e il dolore di un altro, penetrò in lei
come una lama affilata.
Sussultò e si passò una mano tra i capelli toccando i punti della ferita e
sentì nuovamente l'odore del marito sulla sua pelle.
«Cristo.» Ebbe una sorta di conato di vomito. Trattenne le lacrime sbat-
tendo furiosamente le palpebre, rizzò la testa e disse. «Euen! Thomas! Go-
dfrey! Andiamo!»
Si allontanò velocemente seguita dai suoi uomini. Passò vicina ad Agnus
Dei a Sancho Lebrija e ai soldati visigoti ignorandoli e si diresse verso le
grandi porte di quercia senza voltarsi; non voleva vedere l'espressione di
Fernando del Guiz in quel momento.

Uscì dal palazzo ducale e si incamminò per Digione senza una direzione
precisa. Superò degli uomini della sua compagnia ignorandoli deliberata-
mente. Qualcuno la chiamò, ma lei non si fermò e cominciò a salire dei
larghi gradini di pietra che la portarono in cima ai massicci spalti che cir-
condavano la città.
Si fermò per riprendere fiato e, sebbene la sua mente fosse concentrata
su altre questioni, prese a osservare le difese di Digione che incombevano
sulle strade piene di gente. Gli uomini della scorta la raggiunsero.
«Merda!»
Ash si sedette sui merli e prese a contemplare i campi oltre le mura. In
lontananza i contadini con i pantaloni tirati su fino alle ginocchia erano
intenti a caricare balle di fieno sui carri tirati dai buoi. Ora che il sole era
meno caldo riuscivano a lavorare più alacremente.
«Va tutto bene, figliola?» Godfrey Maximillian la raggiunse ansimando.
«Cristo sull'Albero, quel dannato codardo, figlio di puttana!» Sentiva il
cuore che le batteva all'impazzata e le mani che formicolavano. «Fottuti
Visigoti! E io dovrei essere consegnata a quelli? Non se ne parla nemme-
no!»
«Cristo, capo, calmati!» le suggerì Thomas Rochester, rosso in volto.
«Fa troppo caldo per correre in questo modo» commentò Euen Huw sfi-
landosi l'elmo mentre si issava sui merli per godersi la brezza del tardo
pomeriggio, fissando al tempo stesso il campo dell'esercito burgundo.
«Dobbiamo preoccuparci anche di quel ragazzo, giusto?»
Ash lanciò loro una rapida occhiata. «Ho ventiquattro ore per decidere
se attendere il verdetto del duca o fare armi e bagagli e andare...»
Gli uomini risero. C'era del trambusto ai piedi delle mura. Una decina di
metri più in basso alcuni uomini del Leone Azzurro stavano nuotando
nell'acqua cristallina del fossato con i cani del campo che abbaiavano loro
contro. Ash vide una prostituta che spingeva il secondo di Euen Huw, Tho-
mas Morgan, in acqua dal ponte che dava accesso a Digione. Il tonfo e-
cheggiò nell'aria calda.
«Ecco il duca Carlo.» Ash indicò un gruppo di cavalieri che uscivano
dalla città in direzione dei boschi. Erano tutti abbigliati con abiti eleganti e
alcuni di loro avevano dei falchi posati sugli avambracci. Il gruppo era
accompagnato da un piccolo manipolo di suonatori la cui musica arrivava
fino alle mura. «Viene da pensare che non abbia nulla di cui preoccuparsi!
Beh, forse è così visto che probabilmente mi consegnerà ai Visigoti.»
«Posso parlarti da solo, capitano?» le chiese Godfrey Maximillian.
«Certo! Perché no?» Ash fissò Thomas Rochester ed Euen Huw. «Pausa,
ragazzi. Ho visto una locanda ai piedi della scalinata. Ci troviamo là.»
«Con i Visigoti in città, capo?» le domandò Rochester, torvo in volto.
«Con metà dell'esercito di Carlo che pattuglia le strade?»
Il cavaliere inglese scrollò le spalle, scambiò un'occhiata con Euen Huw
e insieme scesero le scale seguiti dagli altri uomini della scorta. Ash sape-
va bene che non sarebbero andati oltre l'ultimo gradino della rampa.
«Allora?» Si sporse dalla merlatura per offrire il volto alla brezza fresca.
Alzò un ginocchio e vi posò sopra un gomito. Le dita le tremavano ancora
leggermente e osservò la sua mano destra con un certo stupore. «Cosa ti
preoccupa, Godfrey?»
«Ho altre notizie.» Il prete guardava fisso davanti a sé. «Questo 'padre'
del faris, Leofric, è uno dei nobili più importanti di Cartagine. Molto pro-
babilmente vive nella Cittadella stessa. Il resto sono solo voci prive di fon-
damento. Non ho nessuna idea dell'aspetto che può avere questo 'Golem di
Pietra'. Purtroppo non sono riuscito a sapere altro. E tu?»
C'era qualcosa nel tono di voce del prete che la preoccupava. Ash alzò lo
sguardo e batté una mano sullo spazio tra due merli per invitarlo a sedersi.
Godfrey Maximillian rimase in piedi.
«Siediti» lo invitò Ash. «Cosa ti preoccupa?»
«Non posso ottenere altre informazioni senza denaro. Quando ha inten-
zione di pagarci lord Oxford?»
«Non si tratta di quello, Godfrey. Cosa succede?»
«Perché quell'uomo è ancora vivo?» tuonò il prete.
Gli uomini che stavano facendo il bagno nel fossato si girarono. Ash
sussultò e si girò verso l'interno degli spalti. «Chi, Godfrey?»
«Perché quell'uomo è ancora vivo?» ripeté il religioso, con un sussurro
deciso.
«Dolce Cristo!» Ash batté le palpebre e si stropicciò un occhio con il
palmo della mano. «Parli di Fernando, vero?»
Il prete si asciugò il volto sudato.
«Cosa sta succedendo, Godfrey? È uno scherzo o qualcosa di simile.
Non ucciderò un uomo a sangue freddo.»
Godfrey cominciò a camminare avanti e indietro senza neanche guardar-
la. «Potresti farlo uccidere!»
«Certo. Ma perché dovrei? Domani partiranno e ci sono molte probabili-
tà che io non lo riveda più.» Ash posò una mano su Godfrey per fermarlo,
ma lui la ignorò. Il tessuto ruvido della tunica del prete le sfiorò le dita. Lei
sentiva ancora l'odore di Fernando su di sé e lo inalò. Improvvisamente
alzò lo sguardo e fissò l'omone con la barba. Non è vecchio, pensò. Non ho
mai pensato a Godfrey come a un giovane, ma non è neanche vecchio.
Il religioso si fermò di fronte a lei. La luce che inondava gli spalti confe-
riva alla barba castana del prete dei riflessi fulvi. Gli occhi sembravano
avere un'espressione addolorata, ma Ash pensò che fosse un effetto del
sole calante.
«Che importanza ha, Godfrey? Uno di questi giorni ci sarà una battaglia
e mi diranno che sono vedova» cercò di rassicurarlo Ash.
«Ha importanza se domani il duca ti consegnerà nelle mani di tuo mari-
to!»
«Lebrija non ha abbastanza uomini da costringermi a seguirlo. Per quan-
to riguarda il duca Carlo...» Ash posò le mani sul bordo della merlatura e
saltò sugli spalti. «Cagarmi addosso a morte per tutta la notte non mi servi-
rà a sapere cosa sta decidendo il duca! Quindi, ti ripeto: cosa importa?»
«Importa eccome!»
Ash studiò il volto del prete. Non sono stata molto con te da quando
siamo scappati da Basilea, pensò e fece un sorriso per scusarsi. In quel
momento si rese conto che l'uomo aveva un'aria sciupata. I lati della bocca
erano segnati da piccole rughe e alcuni capelli bianchi avevano cominciato
a striare la chioma castana.
«Ehi» gli disse, tranquilla. «Sono io, ricordi? Racconta. Cosa succede,
Godfrey?»
«Piccola...»
Gli prese le mani. «Sei un mio buon amico e non devi aver paura di dir-
mi qualcosa di brutto.» Lo fissò negli occhi e aumentò la stretta. «Va bene,
non sono nata libera. Credo che qualcuno a Cartagine possa accampare dei
diritti di proprietà su di me.»
Fece un sorriso contrito, ma Godfrey non rispose e continuò a fissarla
come se fosse la prima volta che si incontravano.
«Capisco.» Ash sentì il battito del cuore che aumentava. «A te importa.
Dannazione, Godfrey! Pensavo che fossimo tutti uguali agli occhi di Dio.»
«Cosa ne sai tu?» urlò improvvisamente il prete. Aveva gli occhi lucidi.
«Cosa ne sai, Ash? Tu non credi in nostro Signore! Tu credi nella tua spa-
da, nel tuo cavallo, nei tuoi uomini che paghi per combattere e in tuo mari-
to che vorresti ti infilzasse con il suo uccello. Non credi in Dio o nella gra-
zia divina e non l'hai mai fatto!»
«Cos...» Ash rimase senza parole e non poté fare altro che guardare.
«Ti ho osservata quando eri con lui! Ti ha toccata - tu l'hai toccato, gli
hai permesso di toccarti - volevi che lo facesse...»
«Cosa te ne importa?» Ash scattò in piedi. «Sono affari tuoi, per caso?
Sei un cavolo di prete, cosa nei sai tu di come si fotte?»
«Puttana!» sbraitò Godfrey.
«Verginello!» replicò Ash.
«Sì!» sbottò. «Sì. Ma quale altra scelta avevo?»
Ash ansimava e fissava l'uomo di fronte a lei. Il volto di Godfrey sembrò
deformarsi e dalle sue labbra uscì uno strano verso. Attonita, Ash lo fissò
scoppiare a piangere come solo gli uomini piangono, in maniera profonda,
viscerale. Allungò una mano e gli sfiorò la guancia.
«Ho lasciato tutto per te» sussurrò Godfrey. «Ti ho seguita per mezza
Cristianità. Ti ho amata fin dalla prima volta che ti ho vista. Me lo ricordo
benissimo, come se fosse successo ieri. Tu con indosso l'abito da novizia e
la Sorella che ti sculaccia a sangue. Una mocciosa spaventata dai capelli
bianchi.»
«Oh, merda, ti voglio bene, Godfrey. Sai che è così.» Ash gli afferrò le
mani e gliele strinse con vigore. «Sei il mio più vecchio amico. Sei sempre
con me. Ho fiducia in te. E sai che ti voglio bene.»
Lo stringeva con forza come se dovesse salvare un uomo che stava an-
negando, come se aumentando la presa al massimo potesse sottrarlo alla
sua angoscia. Lo sforzo le aveva sbiancato le mani. Lo scosse delicatamen-
te cercando di guardarlo in volto.
Godfrey Maximillian si liberò dalle mani di Ash e gliele strinse.
«Non posso sopportare di vederti con lui.» Aveva la voce rotta dal pian-
to. «Non posso sopportare di sapere che sei sposata con quello, che sei
un'unica carne...»
Ash provò a sottrarsi alla presa, ma non ci riuscì.
«Posso sopportare le tue fornicazioni saltuarie» disse. «Ti confessi con
me e ti assolvo, non vogliono dire niente. Senza contare che sono state
poche. Ma il talamo nuziale - e il modo in cui lo guardi...»
Ash sussultò. «Ma Fernando...»
«Fanculo a Fernando del Guiz!» tuonò Godfrey.
Ash lo fissò rimanendo in silenzio.
«Non ti amo come dovrebbe fare un prete.» Godfrey la fissò negli occhi.
«Ho preso i voti prima di incontrarti. Se potessi vi rinuncerei immediata-
mente. Se potessi violare il mio voto di celibato lo farei.»
Ash provò uno stretta allo stomaco e si liberò dalla presa. «Sono stata
stupida.»
«Ti amo come un uomo. Oh, Ash...»
«Godfrey...» si interruppe. Non sapeva più cosa dire, sapeva solo che il
mondo le stava crollando intorno. «Cristo, questa è una decisione che non
voglio prendere! Non sei un prete qualunque, non posso buttarti fuori a
calci in culo e assumere un altro. Sei con me fin dall'inizio - addirittura
prima ancora di Roberto. Sant'Iddio, dovevi proprio dirmelo adesso!»
«Non sono in stato di grazia! Io dico messa tutti giorni pur sapendo che
lo vorrei vedere morto!» Godfrey cominciò ad aggrovigliare il cordone che
portava al fianco tra le dita.
«Sei un mio amico, mio fratello, mio padre. Godfrey... Sai che io non...»
Ash si interruppe per trovare le parole giuste.
«Non mi vuoi» concluse per lei Godfrey, con un'espressione che sembrò
sgretolargli il volto.
«No! Voglio dire - non voglio - non desidero - oh, merda, Godfrey!» Il
prete si mise a correre verso gli scalini e lei cercò di fermarlo. «Godfrey!
Godfrey!» urlò.
Il prete era corso giù dalle scale alla massima velocità che poteva per-
mettergli la sua mole e si era incamminato per le strade di Digione. Ash si
fermò a guardare l'uomo robusto con indosso la tonaca che si faceva strada
tra le donne con i cesti, i soldati, i cani e i bambini che giocavano a palla.
«Godfrey...»
Ash notò, come aveva previsto, che sia Rochester sia Huw non erano
molto distanti dagli ultimi gradini della scalinata. Il piccolo gallese aveva
una pinta di qualcosa, mentre Thomas Rochester stava dando una moneta
al ragazzino della locanda che aveva portato loro da bere e mangiare.
«Oh, merda, Godfrey...»
Mentre Ash pensava se fosse il caso di inseguire Godfrey vide una testa
bionda in fondo alla scalinata.
Le sembrò che il cuore avesse smesso di battere. Rochester alzò la testa,
disse qualcosa e fece passare l'uomo che dopo pochi gradini si rivelò esse-
re Floria del Guiz e non suo fratello Fernando.

III

Ash borbottò un'imprecazione e tornò con passo ciondolante verso la


merlatura.
Una mezza luna pallida spiccava bassa sull'orizzonte azzurro del cielo
pomeridiano. Un carro entrò cigolando a Digione e Ash si sporse per os-
servarlo meglio. I fasci di spighe di grano che riempivano il cassone erano
carichi di chicchi e lei si scoprì a pensare ai mulini all'altro capo della città,
ai raccolti e ai territori che a meno di cento chilometri da quella città erano
spazzati da un rigido inverno malgrado fossero in pieno agosto.
Floria la raggiunse. «Quel folle di un prete a momenti mi faceva cadere
dai gradini! Dove stava andando Godfrey?»
«Non lo so!»
Ash si accorse che il suo tono di voce angosciato aveva sorpreso la don-
na. «Non lo so» ripeté con calma.
«Ha saltato i Vespri.»
«Vuoi qualcosa?» chiese Ash. «Adesso che sei ricomparsa vorresti dirmi
quale cavolo di parente stai cercando di evitare questa volta? Ne ho già
avuto abbastanza di quello che è successo a Colonia! A cosa diavolo mi
serve un chirurgo se non è mai nelle vicinanze?»
Floria arcuò le sopracciglia. «Pensavo di poter avvicinare mia zia Jean-
ne, ma devo farlo con una certa cautela. Sono passati cinque anni dall'ulti-
ma volta che ci siamo viste, quindi potrebbe rimanere un po' scossa dalla
mia visita, anche se sa che mi vesto da uomo quando viaggio.»
L'alta donna scosse la testa e sottolineò le ultime parole con una venatu-
ra sardonica.
«Non mi piace costringere le persone a capire delle questioni che sono al
di fuori della loro portata.»
Ash lanciò una rapida occhiata alla brigantina e ai pantaloni da uomo
che aveva indosso. «Mentre io lo faccio, è questo che vuoi dirmi?»
«Whoa!» esclamò Floria allungando le mani. «Va bene, smettila e vai a
addestrarti. Sant'Iddio vai a colpire qualcosa, dopo ti sentirai meglio!»
Ash proruppe in una risata tremante e sentì che cominciava a rilassarsi.
Una folata di aria fresca le carezzò il volto provocandole una sensazione
piacevole. Spostò la spada perché sentiva il bisogno di grattarsi una gamba
nel punto in cui il fodero batteva contro i pantaloni. «Sei felice di essere
tornata in Borgogna, vero?»
Floria accennò un sorriso e Ash non riuscì a capire cosa si nascondesse
dietro quell'espressione.
«Non del tutto» rispose il chirurgo. «Io penso che il faris sia pazzo come
un cane rabbioso. Mi sembra un'ottima idea quella di farsi proteggere dal-
l'esercito più potente del mondo, sempre che riesca a tenermi lontana da
quell'individuo. Comunque, sono abbastanza felice di essere tornata.»
«Qua c'è la tua famiglia.» Ash fissò la luna che si alzava sempre di più
nel cielo. Il color oro che aveva sfumato le nuvole fino a pochi attimi pri-
ma stava cedendo il passo al rosa. Strinse i pugni e distese le braccia. La
brigantina che le fasciava il corpo le faceva provare una sensazione fami-
liare e rassicurante. «Non che quella famiglia sia una benedizione del cie-
lo... Cristo, Florian! Fino a questo momento ho sentito Fernando dirmi che
vuole il mio magnifico corpo. Godfrey dare fuori di testa e il duca Carlo
che non sa se consegnarmi o no ai Visigoti!»
«Che non sa cosa?»
«Non lo sapevi?» Ash scrollò le spalle e si girò verso la donna che si era
appoggiata a un merlo con un'espressione interrogativa dipinta sul volto.
«Il faris ha mandato una delegazione alla corte del duca. E tra le altre face-
zie quali la dichiarazione di guerra a noi o alla Francia, lei, il faris, vuole
che io sia restituita perché sarei una sua schiava.»
«Stronzate» ribatté Floria, colma di fiducia.
«La legge potrebbe darle ragione.»
«Non quando gli avvocati della mia famiglia avranno visto la documen-
tazione. Dammi una copia della condotta. La porterò dagli avvocati di zia
Jeanne.»
Ash notò che il chirurgo aveva evitato accuratamente di pronunciare la
parola schiava e disse: «Ti importerebbe qualcosa se io non fossi una figlia
legittima?»
«Mi stupirei molto se lo fossi.»
Ash stava per mettersi a ridere, ma si trattenne, lanciò una rapida occhia-
ta a Floria del Guiz e si leccò le labbra. «E se non fossi nata da genitori
liberi?»
Silenzio.
«Vedi che importa» disse Ash. «I bastardi puri e semplici vanno bene
finché sono figli di nobili o almeno di cavalieri. Ma se si nasce da schiavi
allora cambia tutto. Diventi una proprietà. Molto probabilmente la tua fa-
miglia compra e vende donne come me, Florian.»
La donna rimase impassibile. «È probabile. C'è qualche prova che tua
madre fosse una schiava?»
«No, non c'è nessuna prova» Ash abbassò lo sguardo. Passò un dito sul
pomello della spada raschiando le tacche con l'unghia. «Solo che adesso
c'è un mucchio di gente che sa come vengono usati gli schiavi a Cartagine.
Servono per dare alla luce soldati. Per far nascere un generale. E, come
Fernando si è divertito a farmi notare, quelli che non soddisfano le loro
aspettative vengono buttati nella spazzatura.»
«Ma è come se selezionassero del bestiame» sbottò Floria. continuando
a sfoderare la sua solita noncuranza.
«Non credo che agli uomini della compagnia possa importare qualcosa»
continuò Ash. «Continueranno a vedermi come una donna anche se mia
madre era una schiava. Finché riuscirò a farli uscire sani e salvi da una
battaglia potrei anche essere la puttana di Belzebù in carne e ossa per quel-
lo che a loro può importare!»
E quando sapranno che non sento la voce di un santo o di un Leone Az-
zurro e che in verità origlio quello che viene detto a qualcun altro? Si chie-
se tra sé e sé. La voce di una macchina? Che sono solo un errore, uno scar-
to del progetto che ha portato alla nascita del faris? Cosa succederà? Sarà
diverso? La loro fiducia nei miei confronti è sempre stata sottile come un
filo.
Sentì un peso sulle spalle, alzò la testa e vide che Floria del Guiz vi ave-
va posato sopra un braccio.
«Non tornerai nelle mani dei Visigoti» la rassicurò Floria. «Ascolta, c'è
la parola di quella donna contro la tua...»
«Fanculo, Florian, è la mia gemella e sa di essere nata da schiavi. Cos'al-
tro posso essere io?»
La donna sollevò una mano e le carezzò la guancia con le dita ruvide.
«Non importa. Rimani qua. Zia Jeanne aveva degli amici a corte e proba-
bilmente ne ha ancora, è nel suo stile. Farò in modo che tu non venga
mandata da nessuna parte.»
Ash scrollò le spalle a disagio. La brezza era calata e anche gli spalti e-
rano diventati caldi come il resto della città. Udirono le canzoni degli u-
briachi nella taverna ai piedi della scalinata e il rumore delle lance che
battevano contro l'assito del ponte durante il cambio della guardia.
«Non importa.» Floria girò la testa di Ash costringendola a guardarla.
«A me non importa!»
Le dita del chirurgo le premettero la mascella. Ash era abbastanza vicina
da sentire l'alito dolce della donna, vedere lo sporco tra le rughe vicino agli
occhi e il bagliore che in quel momento balenava nelle iridi castano-verdi.
Sulle labbra di Floria apparve un sorriso furbo, quindi mollò la mascella
di Ash e le passò un dito su una cicatrice.
«Non preoccuparti, capo.»
Ash fece un sospiro e si rilassò contro Florian, quindi le diede una pacca
sulle spalle e disse: «Hai ragione! Fanculo, hai proprio ragione. Andiamo.»
«Dove?»
«Ho deciso» annunciò Ash, sogghignando. «Torniamo al campo e be-
viamo fino a cadere sotto il tavolo. È un ordine.»
«Ottima idea!»
Raggiunsero la scorta ai piedi della scalinata e si avviarono verso il can-
cello meridionale della città.
Ash camminava a braccetto del chirurgo che a un certo punto della stra-
da si paralizzò improvvisamente. Gli uomini di Thomas ed Euen portarono
le mani sulle armi e si fecero avanti.
«Dovevo immaginare che se il moccioso di Costanza era in giro dovevi
esserci anche tu. Dov'è il tuo fratellastro?» domandò una donna attempata,
in tono glaciale.
La nuova arrivata, che indossava un lungo abito marrone con un soggolo
bianco, stringeva una borsa tra le mani. I vestiti, tutti molto costosi, erano
di seta ricamata e il colletto della maglia che spuntava sotto l'abito era di
lana. L'unica parte visibile di quel corpo era il volto sudato, paffuto, con il
doppio mento sul quale spiccava un naso camuso.
Gli occhi verdi avevano ancora un'aria giovanile.
«Sei tornata per portare altra onta alla tua famiglia?» domandò nuova-
mente. «Mi hai sentita? Dov'è mio nipote Fernando?»
Ash sospirò. «No. Adesso, no...» borbottò.
Florian arretrò di un passo.
«Chi è il vecchio pipistrello?» domandò un ronconiere della scorta.
«Fernando del Guiz si trova nel palazzo del duca, signora» si intromise
Ash, anticipando Floria nella risposta. «Penso che lo troverete in compa-
gnia dei Visigoti!»
«L'ho chiesto a te, abominio?»
La donna aveva parlato con noncuranza.
Gli uomini del Leone Azzurro cominciarono a guardarsi intorno. Non
c'erano soldati nelle vicinanze e la donna anche se nobile, era uscita priva
di scorta. Qualcuno cominciò a sghignazzare. Uno degli arcieri estrasse la
daga e qualcun altro le diede della puttana.
«Vuoi che ci occupiamo della vecchia troia, capo?» domandò Euen Huw
ad alta voce. «È vecchia e brutta, ma Thomas si scopa qualsiasi cosa abbia
due gambe, vero?»
«Sempre meglio di te, bastardo di un Gallese. Almeno io non mi scopo
qualsiasi cosa abbia quattro gambe.»
I mercenari, uomini robusti con tanto di armature indosso, cominciarono
a muoversi e a portare le mani sui coltelli. «Fermi!» ordinò Ash mettendo
al tempo stesso una mano sulla spalla di Florian.
La vecchia socchiuse gli occhi per osservare meglio Ash che stava dan-
do le spalle al sole che si rifletteva sui tetti delle case. «Non ho paura dei
tuoi furfanti armati.»
«Allora siete molto stupida» replicò Ash, calma. «Questi uomini non ci
penserebbero due volte a uccidervi.»
La donna sussultò. «Siamo sotto la protezione della pace del duca! La
chiesa vieta l'omicidio!»
Ash sapeva quanto rapidamente quella donna avrebbe potuto finire sul
selciato con gli abiti strappati brutalmente e le gambe aperte. Fu quella
consapevolezza che la spinse a parlare in tono gentile.
«Noi uccidiamo per vivere e alla fine diventa un'abitudine. Potrebbero
uccidervi per le scarpe per non parlare del borsellino o più semplicemente
per divertimento. Thomas, Euen, credo che il nome di questa donna sia -
Jeanne? - e che sia in qualche modo imparentata con il nostro chirurgo.
Giù le mani. Chiaro?»
«Sì, capo...»
«E non fare quella faccia!»
«Merda, capo» ribatté Thomas Rochester. «Cerca di capire! Sono alla
disperazione!»
I mercenari sembravano occupare tutta la strada e parlavano ad alta vo-
ce. «Non potete rintanarvi in un bordello con una scorta di luigi d'oro?»
disse Ash. «Questa è tua zia, Florian?»
Florian fissò l'anziana nobile con sguardo impassibile e disse: «È la so-
rella di mio padre Filippo. Capitano Ash, posso presentarti mademoiselle
Jeanne Châlon...»
«No» rispose Ash, sincera. «Non puoi. Non adesso. Per oggi ne ho avuto
abbastanza!»
La vecchia si fece largo tra i soldati dimentica di quanto era successo
qualche attimo prima, afferrò il farsetto di Florian e lo scosse due volte con
la mano tremante.
Ash, come anche Thomas ed Euen assistettero alla scena, una vecchia
piccola e grassa che umiliava il loro chirurgo, un giovane alto, forte e
sporco, e questi che rimaneva immobile a fissarla impotente.
«È meglio che la portiamo via» propose Thomas Rochester rivolgendosi
a Florian «se non vuoi che le facciamo male. Dove abita?»
«Le insegneremo un po' di educazione strada facendo.» Euen Huw rin-
foderò la daga e afferrò la donna per un gomito. Appena avvertì la stretta
del mercenario, Jeanne Châlon sbiancò in volto, sussultò e crollò contro il
Gallese.
«Lasciala.» Ash piantò gli occhi addosso al Gallese finché non lo vide
rilassarsi.
«Fatemi vedere! Zia Jeanne!» Floria del Guiz afferrò il gomito della
donna. «Dannazione! Vedrai la prossima volta che capiti nella mia tenda,
Euen Huw...»
L'ufficiale gallese spostò la presa consapevole del fatto che la donna
gravava ancora contro il suo petto. Pur essendo ancora mezza svenuta Je-
anne Châlon si girò e gli diede uno schiaffo con la mano libera. Euen Huw
cercò si sorreggerla senza cingerla alla vita o ai fianchi abbondanti, ac-
compagnandola come meglio poteva mentre scivolava sul selciato. «Caz-
zo, Florian» grugnì «sbrigati a liberarti di questa vecchia vacca! Tutti ab-
biamo una famiglia a casa, giusto? Ecco perché siamo qua!»
«Dolce Cristo impalato!» Ash spinse via i suoi uomini senza tante ceri-
monie rompendo il cerchio soffocante che si era formato intorno alla zia di
Florian. «È una nobile, sant'Iddio! Ficcatevi nella testa che se dovesse suc-
cederle qualcosa il duca potrebbe farci cacciare da Digione! Inoltre è anche
la zia del mio cazzo di marito!»
«Davvero?» chiese Euen, dubbioso.
«Davvero.»
«Merda. Lui è con i suoi amici Visigoti, adesso. Non che ne avesse bi-
sogno, visto che ora è rimasto con le pezze al culo.»
«Buoni» sbottò Ash continuando a fissare Jeanne Châlon.
Florian tolse dalla testa della zia la cuffietta bianca con un gesto deciso.
La vecchia sbatté leggermente le palpebre e un ciuffo di capelli grigi le
ricadde sulla fronte. La carnagione sudata cominciò a riprendere colorito.
«Acqua!» ordinò Florian senza alzare la testa, stringendo la mano della
parente. Thomas Rochester le passò velocemente la sua borraccia.
«Va tutto bene?»
«Nessuno ci ha visti.»
«Merda, ho l'impressione che stiano arrivando dei Burgundi!»
Ash fece un cenno che fece cessare ogni commento. «Ricau, Michael
andate all'imbocco della strada e fate in modo che non entri nessuno. Allo-
ra, Florian? È morta o cosa?»
«È fin troppo vestita per questo caldo, l'avete fatta cagare sotto dalla pa-
ura ed è svenuta» borbottò il chirurgo. «Riuscirai a cacciarmi in qualche
altro guaio?»
Malgrado la donna avesse parlato in tono caustico, Ash aveva percepito
la vena d'agitazione che le faceva tremare la voce in maniera impercettibi-
le.
«Non ti preoccupare, metterò tutto a posto» la rassicurò Ash, anche se
non aveva la minima idea di cosa potesse fare per mettere a posto quel
disastro. Vide che il suo tono aveva calmato il chirurgo che probabilmente
non si era accorto della sua mancanza di risorse.
«Alzatela» aggiunse Ash. «Simon, vai a prendere del vino. Corri.»
Ci volle qualche minuto prima che il paggio di Euen tornasse dalla lo-
canda e nel frattempo i mercenari tornarono a rendersi conto di essere in
una città affollata con un esercito accampato fuori dalle mura e comincia-
rono ad agitarsi. Ash osservò i loro volti e ascoltò i commenti, mentre ri-
maneva inginocchiata a fianco di Florian.
«Io ti ho cresciuta» disse la vecchia con voce impastata. Aprì gli occhi e
fissò Florian. «Cosa sono stata per te? Niente di più di una nutrice? Tu, che
piangevi sempre per la morte di tua mamma! Come hai saputo ringraziar-
mi?»
«Siediti, zia.» La voce di Floria era decisa. Le mise un braccio dietro la
schiena e l'aiutò ad accomodarsi. «Bevi.»
La donna sedeva sul selciato senza neanche rendersi conto di essere a
gambe aperte. Sbatté le palpebre per proteggersi dalla luce del sole e scor-
se le gambe degli uomini che la circondavano. Florian le aprì le labbra e le
versò in bocca del vino.
«Se riesce a farti la predica allora vuol dire che sta bene e vivrà» com-
mentò Ash, torva. «Andiamo, Florian. Togliamoci di qua.»
Prese un braccio del chirurgo per tirarlo su, ma Florian si divincolò dalla
presa.
«Lascia che ti aiuti, zia...»
«Toglimi le mani di dosso!»
«Ho detto che andiamo via» ripeté Ash in un tono carico d'urgenza.
Jeanne Châlon trattenne un urlo, raccolse la cuffietta dalla strada e la si-
stemò alla meno peggio sui capelli grigi. «Vigliacchi!»
I soldati risero. Ash li ignorò fissando Florian in cagnesco.
«Sei un abominio schifoso! L'ho sempre saputo! Anche quando avevi
tredici anni e seducesti quella ragazzina...»
Le altre parole della vecchia vennero seppellite dai commenti scurrili dei
soldati. Thomas Rochester diede una pacca sonora sulle spalle del chirur-
go. «Tredici anni, eh? Piccolo sporco bastardo!»
Florian incurvò la bocca in un sorriso privo d'umorismo. «Lizette» spie-
gò controvoglia. «Sì, proprio lei. Suo padre ci teneva i cani. Capelli neri e
ricci... proprio una bella ragazzina.»
«È un vero donnaiolo il nostro chirurgo!» commentò ridendo uno dei ba-
lestrieri.
«... Basta!» urlò Jeanne Châlon.
Ash si inclinò in avanti e tirò su Florian senza fare tanti complimenti.
«Smettila di discutere. Andiamo.»
La donna seduta sul selciato cominciò a urlare come un'ossessa prima
ancora che il chirurgo avesse fatto un passo. I soldati che la circondavano
si zittirono all'istante.
«Basta con questa vile messa in scena. Dio non ti perdonerà mai, piccola
puttana, piccolo abominio!» Jeanne Châlon ansimava vistosamente fissan-
do la nipote con gli occhi umidi di pianto. «Perché tollerate la sua presen-
za? Non sapete che lei vi farà dannare tutti quanti, che vi inquina solo per
il fatto di essere tra voi? Perché altrimenti non potrebbe tornare a casa sua?
Siete ciechi? Guardatela!»
Il volti di Euen, Thomas e dei ronconieri spostarono gli sguardi su Ash
poi su Florian che a sua volta si mise a fissare Ash.
«Va bene, adesso è troppo» disse Ash, sperando di poter trarre vantaggio
dalla confusione che regnava in quel momento nel vicolo. «Andiamo.»
Thomas fissò Florian. «Chi è la 'lei' di cui sta parlando, uomo?»
Ash si riempì i polmoni. «In formazione...»
Jeanne Châlon fu scossa da un tremito, quindi si alzò in piedi da sola.
Ansimava vistosamente, allungò una mano e afferrò il corsetto di Euen
Huw.
«Sei cieco?»
La nobile si girò verso Florian.
«Guardatela! Non riuscite a vedere chi è veramente? È una puttana, un
abominio. Lei si veste con abiti da uomo, ma è una donna...»
«Cazzo» imprecò Ash a bassa voce, senza neanche rendersene conto.
«Dio mi è testimone» urlò mademoisselle Châlon «lei è mia nipote e an-
che la mia fonte di vergogna.»
Sulle labbra di Floria del Guiz apparve un sorriso tirato. «Mi ricordo che
dopo la faccenda con Lizette mi minacciasti di chiudermi in un convento»
disse in tono assente. «Ho sempre pensato che fosse una soluzione abba-
stanza illogica. Grazie, zia. Dove sarei senza di te?»
I mercenari avevano cominciato a scambiarsi dei commenti fra di loro.
Ash sgranò un rosario di oscenità a voce bassa. «Va bene, in formazione e
andiamo via. Veloci.»
Gli uomini si erano raggruppati nuovamente intorno a Floria e a sua zia,
come se non esistesse altro al mondo. Le ombre di alcune colombe in volo
passarono sul gruppo. Il silenzio che aleggiava nella strada era rotto solo
dal rumore dei mulini.
«Dove sarei senza di te?» ripeté Florian. Ingollò un lungo sorso di vino
dalla fiasca portata dal paggio di Euen, quindi si pulì la bocca con una ma-
nica. «Sei stata tu a cacciarmi. È difficile passare per un uomo, studiare
con gli uomini. Sarei tornata indietro da Salerno dopo la prima settimana,
se avessi avuto una casa dove tornare. Ma non l'ho fatto, così sono diventa-
ta un chirurgo. Sei stata tu, zia, a farmi diventare quello che sono.»
«Sei una creatura del diavolo» disse Jeanne Châlon. «Tu andasti a letto
con quella ragazzina, Lizette, come un uomo» continuò in tono glaciale.
Sui volti degli uomini era apparsa un'espressione tra il disgustato e lo
stupefatto.
«Avrei potuto farti bruciare» continuò la vecchia. «Ti ho tenuta tra le
braccia quando eri una bambina. Ho pregato per non vederti mai più. Per-
ché sei tornata? Non potevi rimanere lontana da qua?»
«C'era qualcosa...» disse Floria. La voce aveva perso la sua solita infles-
sione roca e suonava più simile a quella di una donna «... c'era qualcosa
che volevo chiederti da sempre, zia. Hai pagato per farmi liberare dalle
prigioni dell'abate di Roma, quando avrei dovuto essere bruciata per aver
amato un'ebrea. Avresti potuto riscattare anche lei, zia? Avresti potuto
riscattare anche la vita di Ester?»
Gli uomini riportarono l'attenzione su Jeanne Châlon.
«Avrei potuto, ma non ho voluto. Era un'ebrea!» La donna sudava co-
piosamente e nel frattempo, senza farsi notare, nascose il borsellino dei
soldi spostandolo con un piede sotto le gonne. Distolse lo sguardo dalla
nipote e per la prima volta sembrò rendersi conto di avere degli spettatori.
«Era un'ebrea!» ripeté ad alta voce la nobile burgunda.
«Bene... sono stata a Parigi, Costantinopoli, Bokara, in Spagna e ad A-
lessandria.» La voce del chirurgo era colma di disprezzo: ormai aveva per-
so ogni speranza. In quel momento Ash si rese conto che Floria aveva atte-
so a lungo quell'incontro, ma non era andato come lei se l'era aspettato.
«Non ho mai incontrato nessuno che potessi disprezzare quanto te, zia.»
«E si veste come un uomo!» urlò la nobildonna burgunda.
«Ha ragione capo» ringhiò Thomas Rochester «e nessuno l'ha ancora
bruciata.»
Ash si rese conto che la situazione era comunque in equilibrio, era un
momento cristallizzato nel tempo. Non sanno cosa pensare, si disse. Flo-
rian è una donna - ma la Châlon non è una di noi...
Si accorse del segnale di Ricau. Un certo numero di operai dei mulini
stavano per entrare nella strada.
«Filippo non avrebbe mai dovuto metterti al mondo!» urlò la donna.
«Per questo peccato sta soffrendo in Purgatorio!»
Floria del Guiz si girò di scatto e diede un pugno in faccia alla zia.
Rochester, Euen Huw, Katherine e il giovane Simon esultarono.
Mademoiselle Châlon cadde a terra gridando: «Au secours103 !»
«Va bene» disse Ash continuando a fissare i cittadini di Digione che si
avvicinavano «è arrivato il momento di andare: portiamo via il chirurgo.»
Nessuno esitò, il manipolo di soldati si chiuse intorno al medico, quindi
si incamminò verso i cancelli della città con passo deciso e nessuno osò
sbarrare loro la strada.
«Se qualcuno dovesse chiedere» disse Ash, rivolgendosi a Jeanne Châ-
lon «il mio chirurgo è in arresto sotto la custodia del prete e sto decidendo
quale sanzione disciplinare adottare a suo carico.»
La vecchia singhiozzò portando una mano alla bocca.
Ash corse dietro ai suoi uomini e lanciò un'occhiata all'ultimo sole che
spariva dietro i tetti di Digione. Perché siamo venuti in Borgogna? pensò.
E cosa mi dirà il duca?

IV

«Perché quando succede un casino io devo essere sempre nelle vicinan-


ze104 ?» si chiese Ash sottovoce.
«Credo che si tratti solo di fortuna, capo...» rispose Thomas Rochester,
scrollando le spalle.
Ash trattenne una risata e si affiancò a Floria del Guiz. Sopra di loro il
cielo cominciava a perdere colore e si intravedevano i puntini bianchi che
formavano le costellazioni di Orione e Cassiopea. L'oro del sole morente
bordava i tetti di Digione.
I corvi gracchiarono nel vedere il gruppo che si avvicinava al perimetro
difensivo del campo e si levarono in volo sbattendo le ali.
«Non lasciare il campo per nessun motivo al mondo, mastro chirurgo» le
ordinò Ash, calma.
Il sole calante conferiva al farsetto e ai pantaloni di Floria una tonalità
calda e le tingeva i capelli di rosso oro. La donna, che stava camminando
103
Francese: aiuto (N.d.T.).
104
Nel testo originale: 'fortuna imperatrix mundi'.
con le braccia strette intorno al petto, alzò la testa.
«Non ti preoccupare.» Ash le diede una pacca sulla spalla. «Se dovesse
arrivare la milizia cittadina ci penso io. Rimani nella tua tenda per stanot-
te.»
La donna abbassò la testa e riprese a camminare senza fissare i soldati.
Gli uomini e le donne della scorta parlavano tranquillamente tra loro te-
nendo le armi sulle spalle e le mani sui foderi per non farli ballonzolare
troppo. Ash ascoltò i discorsi. Qualcuno parlava dell'esercito burgundo
accampato fuori della città, alcuni stavano organizzando delle bevute con
gli amici mercenari delle altre compagnie impegnate in quella campagna,
ma nessuno parlava del chirurgo.
Ash prese una decisione.
Non dirò nulla. Tutto dipende da Carlo. Tra qualche ora potremmo avere
dei problemi più grossi di un chirurgo donna...
I muri della città erano ormai avvolti dalle ombre e i margini dei tetti a-
vevano assunto delle sfumature rossastre. L'umidità cominciava a bagnare
i muri e il fieno nei campi. Una vacca muggì e un branco di cani prese ad
abbaiare e uggiolare. Il tramonto portò un piacevole venticello fresco.
Ash vide che davanti al cancello del campo si era riunito un gruppetto
dei suoi uomini. Avevano i volti rossi e sghignazzavano nel tentativo di
controllare l'eccitazione.
«Cosa è successo questa volta?» domandò, sospirando rassegnata.
Due quindicenni tutti muscoli e gambe furono spinti davanti a lei dal
centro della piccola folla. Avevano entrambi i capelli lunghi e a giudicare
dalla somiglianza del volto dovevano essere fratelli. Appartenevano alla
lancia di Euen Huw.
«Tydder» disse Ash, ricordandosi il nome.
«Capo...» borbottò il ragazzo.
Il fratello gli diede una gomitata al costato. «Zitto!»
Entrambi avevano la maglia e il farsetto arrotolati giù fino alla vita. I
petti erano rossi e i pantaloni erano tenuti su a stento dal cinturone della
daga. Ash stava per infuriarsi quando notò che uno dei due rotoli di vestiti
era più spesso dell'altro e lo indicò senza dire nulla.
Il giovane afferrò il pezzo di stoffa che aveva nascosto tra i suoi abiti e
lo srotolò tenendolo tra le grosse mani. Era una bandiera rossa e blu di
circa due metri di grandezza sulla quale spiccavano due corvi e altrettante
croci.
Ash avvertì un lieve trambusto alle sue spalle e qualcuno che rideva:
l'atmosfera era carica d'attesa.
«Questa, mi sembrerebbe proprio una bandiera, vero?» esordì. Non ave-
va nessuna intenzione di privare i suoi uomini dello spettacolo pregustato
fino a quel momento.
Il ragazzo che teneva la bandiera annuì e l'altro fratello ridacchiò.
«Lo stendardo personale di Cola di Monforte?» indagò Ash.
«Proprio quello, capo!» disse un terzo fratello, arrossendo.
Ash cominciò a sorridere.
Floria, che si trovava alle sue spalle, ruppe il silenzio che era sceso sul
campo. «Cristo su un palo, come lo spiegherai?»
Ash vide l'espressione atterrita del chirurgo e rise di gusto.
«Oh, io non dovrò spiegare un bel niente» rispose Ash divertita. «Non è
compito mio. Infatti... spetta a voi due... Mark e Thomas, giusto? E al gio-
vane Simon. Adesso ascolterete il mio suggerimento: Euen Huw e la sua
lancia... Carracci, Thomas Rochester...» Ash indicò una dozzina di uomini
«farete un bel pacchetto di questa bandiera, vi presenterete al cancello del
campo di Monforte e restituirete lo stendardo a mastro Cola in persona con
i nostri omaggi.»
«Cosa?» esclamò Floria.
«Perdere la propria bandiera può essere un fatto molto imbarazzante. A
noi è capitato di averla trovata da qualche parte» continuò Ash «e l'abbia-
mo subito riportata da loro nel caso fossero preoccupati...»
Una cascata di risate sommerse l'ultima parte della frase.
Gli uomini della lancia indicata andarono a cercare le loro armature mi-
gliori per recarsi al campo di Monforte come era stato loro ordinato. «E
come spiegheranno di essere incappati accidentalmente nella bandiera?»
chiese Florian.
«Questo non chiederlo a me.» Ash scosse la testa, ridacchiando. «Ricor-
dami di dire a Geraint di raddoppiare le guardie lungo il perimetro e intor-
no allo stendardo del Leone. Credo che ci saranno altre di queste...»
«... stronzate!» ringhiò Floria. «Sono solo delle perdite di tempo! Giochi
da ragazzini.»
Ash fissò Ludmilla Rostovnaya e la sua compagna di lancia, Katherine,
che mettevano gli archibugi in spalla per andare a comporre parte del pic-
chetto d'onore che doveva andare a restituire la bandiera.
«Se vogliono giocare a ruba bandiera che facciano pure. Sia il duca de-
cida di finanziare la mia impresa, sia decida di scendere in battaglia contro
i Visigoti, entro qualche giorno molti di loro potrebbero essere nella tua
tenda o sottoterra e loro lo sanno.» Fece l'occhiolino a Florian. «Diavolo,
se pensi che questo sia male, dovresti vederli dopo che hanno vinto una
battaglia...!»
La donna sembrò essere sul punto di rispondere, ma uno dei suoi assi-
stenti, un diacono, le fece cenno dalla tenda del chirurgo e lei si allontanò
da Ash dopo averla salutata con un brusco cenno del campo.
Ash la lasciò andare.
«Se dovessimo ricevere una visita dalla milizia cittadina» disse al capi-
tano che comandava le guardie al cancello «mandami a chiamare immedia-
tamente e non farli entrare per nessuno motivo, chiaro?»
«Certo, capo. Siamo di nuovo nei guai?»
«Ne sentirai parlare presto. In questo campo tutti sentono tutto...»
«Già, sembra di essere in un cazzo di villaggio» concordò l'ufficiale, un
grosso Bretone con le spalle da contadino.
Mi chiedo cosa pensino che sia più scandaloso, pensò Ash. Che gli av-
vocati del duca sono convinti che io sia una proprietà dei visigoti o che il
nostro cavolo di dottore sia una donna?
«Notte, Jean.»
«Notte, capo.»
Ash si diresse a grandi passi verso la sua tenda. Ora che erano all'interno
del campo la scorta si era sciolta e Ash camminava circondata da una mez-
za dozzina di mastini uggiolanti che saltavano intorno a lei. Geraint ab
Morgan le andò incontro per ricevere la parola d'ordine per la notte, Ange-
lotti le fece rapporto cammin facendo sulle riparazioni delle artiglierie (si
era rotta una stanga del cannone a organo chiamato la Vendetta di Santa
Barbara) e Henri Brant le domandò del denaro. Tutte queste incombenze
le fecero raggiungere il suo padiglione, che si trovava ormai a pochi metri
da lei, dopo circa mezz'ora da quando aveva lasciato i cancelli. Dentro la
tenda Bertrand era intento a sabbiare l'armatura sotto la direzione impa-
ziente di Rickard. Ash si tolse la brigantina, ne annusò le ascelle, passò il
comando ad Anselm, fischiò ai cani e si diresse verso il fiume per una nuo-
tata accompagnata da Rickard.
«Non mi devo preoccupare di Florian.» Grattò il grosso collo del masti-
no annusando l'odore del cane. «Chiunque avesse dei problemi a essere
comandato da una donna non si unirebbe alla mia compagnia, giusto?»
Rickard sembrava confuso e Bonniau, un grosso e robusto mastino,
sbuffò sonoramente.
Raggiunsero la sponda del fiume e Ash si spogliò completamente. I ma-
stini si sedettero sulla riva e poggiarono le grosse teste sulle zampe. Uno
dei cani, Brifault, una femmina pezzata, annusò gli abiti inzuppati di sudo-
re e le scarpe.
«Ho portato la fionda» disse Rickard.
Ash sapeva bene che nessuna volpe, puzzola o topo era al sicuro se si
avvicinavano alla spazzatura del campo. Era stato un colpo di fionda del
paggio a procurarle la coda di volpe che portava sull'elmo.
«Voglio che rimanga qua con i cani, anche se siamo nel campo.»
Ash entrò in acqua e si immerse. L'acqua fredda la ghermì e sembrò ti-
rarla verso il fondo. Si alzò ansimando, dopodiché si diresse sorridendo
verso una piccola ansa dove l'acqua era più tranquilla.
«Capo?» disse Rickard.
«Sì.» Ash immerse nuovamente la testa sott'acqua e i suoi capelli si agi-
tarono mossi dalla corrente. Si alzò in piedi e la chioma le ricadde fino alle
ginocchia brillando alla luce del sole morente. Strofinò le scottature dovute
al sole e i punti in cui la pelle si era arrossata. «Lo sai anche tu che se non
mangio, mi lavo e dormo, questo campo non può funzionare alla perfezio-
ne... cosa succede?»
Non riuscì a scorgere i lineamenti del ragazzino, ma il tono di voce non
lasciava dubbi. «Sento del rumore.»
Ash aggrottò la fronte. «Metti il guinzaglio ai cani.»
Uscì dall'acqua e spostò i capelli dalle orecchie. Sentiva le gambe pesan-
ti. Dal campo echeggiavano i suoni della gente indaffarata intorno ai fuo-
chi e i canti degli ubriachi. Non c'era nulla di strano.
«Cos'hai sentito?» Prese la maglia e cominciò a usarla come asciugama-
no.
«Ecco!»
«Merda!» imprecò Ash e si diresse verso il campo. Quello che aveva u-
dito pochi attimi prima non era il solito baccano provocato dagli ubriachi,
era un suono troppo aspro. Si vestì di fretta e furia senza terminare di a-
sciugarsi, afferrò la spada con una mano, i guinzagli dei mastini con l'altra
e si avviò verso il campo con i vestiti che le si appiccicavano alla pelle e
Rickard alle calcagna.
«È il dottore!» esclamò il ragazzino.
Una folla di uomini urlanti si era riunita nella luce del crepuscolo.
Ash arrivò sul posto e prese a farsi strada tra la folla nel momento stesso
in cui i pali cadevano sradicando i picchetti e le corde e i teli si affloscia-
vano.
Un bagliore giallastro spiccò nitido nell'oscurità crescente. Qualcuno a-
veva incendiato la tenda.
«FUOCO!» urlò Rickard.
«Bisogna contenerlo!» ordinò Ash. Si fiondò in mezzo alla folla senza
pensare, tenendo i guinzagli dei mastini con entrambe le mani. «Cosa cac-
chio stai facendo, Anhelt! Pieter, Jean, Henri...» riconobbe diversi volti
nella folla. «- indietro e andate a chiamare gli addetti agli incendi! Prende-
te i secchi e buttate sabbia sulla tenda.»
Si rese conto di avere Rickard alle sue spalle che cercava di estrarre la
spada consumata. Qualcuno li urtò violentemente. I cani ringhiarono e si
lanciarono in avanti. «Bonniau! Brifualt!» urlò Ash, lasciando loro un po'
di guinzaglio.
Gli uomini arretrarono di fronte ai mastini liberando uno spazio intorno
alla tenda crollata. Una figura stava cercando di uscire da sotto il cumulo
di stoffa - Floria?
«Fermi!» urlò Ash.
«PUTTANA!» gridò un ronconiere all'indirizzo della tenda crollata.
«Uccidiamo la troia!»
«Va a letto con le donne!»
«Puttana pervertita!»
«Scopiamolo e dopo uccidiamolo!»
«Scopiamola e uccidiamola!»
Ash intravide gli uomini con i secchi d'acqua e le torce tra gli spazi che
si aprivano e chiudevano nella folla. Il calore delle fiamme le scaldava la
schiena. Dei frammenti di tela annerita volteggiavano nell'aria superando-
la.
«Spegnete il fuoco prima che si propaghi al resto del campo!» urlò Ash
a squarciagola.
«Trasciniamola fuori dalla tenda e scopiamola» urlò un uomo: era Josse.
«Fottuto chirurgo! Tagliamole la figa!» riprese a urlare dopo aver sputato.
«Tira fuori Florian dalla tenda: muoviti» disse Ash, rivolgendosi al suo
paggio e fece qualche passo tenendo i mastini davanti a sé.
In quel momento si rese conto che la maggior parte dei presenti erano
membri delle lance fiamminghe e provò una certa sorpresa nel vedere che
in mezzo a loro c'era anche Wat Rodway con in mano un coltellaccio da
macellaio. Tutti urlavano rossi in volto e l'odore della birra permeava l'a-
ria. Stavano per cedere a un eccesso di violenza incontrollata.
Non si limiteranno a urlare e a spaccare qualcosa, pensò Ash.
Merda!
Non dovrei stare di fronte a questi pazzi. Questi mi passano sopra senza
pensarci due volte. La mia autorità è bella che andata.
Josse si fece avanti e allungò una mano per spostare bruscamente la
donna con i capelli lunghi fino alle cosce che gli si parava d'innanzi e av-
vicinò l'altra all'elsa della sua arma.
Quell'uomo era un balestriere fiammingo e un secondo dopo Ash si ri-
cordò che aveva partecipato alla sua liberazione da Basilea e che era stato
uno dei primi a salutarla quando era tornata al campo.
Ash mollò i guinzagli.
«Merda!» urlò Josse.
I sei cani smisero di abbaiare all'istante e balzarono in avanti: un uomo
arretrò con un mastino che gli mordeva il braccio, altri due caddero a terra
con le bestie attaccate alla gola.
Si levò un coro di imprecazioni e urla seguito da un guaito: qualcuno
doveva aver ucciso un mastino.
«INDIETRO E POSATE LE ARMI!» urlò Ash. Era ricorsa al tono di
voce che impiegava in battaglia.
Sentì qualcuno che parlava dietro di lei: erano Florian e Rickard e alcuni
degli assistenti del chirurgo. Non pensò neanche per un attimo di distoglie-
re l'attenzione dagli uomini davanti a lei. I feriti venivano tirati via dallo
spiazzo e la folla cresceva sempre di più. Molti uomini protestavano. Die-
tro di lei il crepitio delle fiamme aumentava d'intensità.
«Brifault!»
Il mastino tornò da lei. Ash si accorse che lo scenario era cambiato: la
folla non era più una massa di persone che avrebbero potuto spostarla sen-
za neanche vederla per via della confusione, ma uomini protetti dalle ma-
glie di anelli metallici, armati e con delle torce in mano. Uno di questi,
Josse, aveva estratto la spada e la stava affrontando.
Ash sapeva bene che la realtà nasceva da ciò che stabiliva il consenso
generale, sentì di non essere più padrona della situazione: era passata da
condottiero di un'unità mercenaria che esercitava il suo comando per con-
cessione di tutti i suoi uomini a semplice ragazza che si trovava da sola in
un campo, di notte, circondata da uomini che erano più grossi e vecchi di
lei, armati e ubriachi.
«Rivolta armata nel campo, trenta uomini...» borbottò automaticamente
Ash.
«Ristabilire il comando e il controllo...»
«Chi cazzo ti credi di essere!» urlò Josse, sputacchiando. La voce del-
l'uomo tuonò nell'aria. «Sei morta.» L'uomo la fissò in cagnesco e alzò la
spada.
I riflessi di un combattente scattano immediatamente quando vedono u-
n'arma in movimento.
Ash afferrò il fodero con la sinistra e l'elsa con la destra estraendo la
spada con un unico movimento. Josse aveva alzato la spada in un attimo.
La luce delle torce balenò sulla lama prima che questa cominciasse a cala-
re. Ash intercettò l'arma del fiammingo con la sua, la deviò facendola
scendere a terra con tanta forza che l'impatto sollevò una nuvoletta di pol-
vere, quindi la bloccò con un piede e calò la spada sulla gola scoperta del-
l'uomo.
«Merda...» sussurrarono quasi all'unisono i presenti.
Ash sentì qualcosa di umido sulle mani e ritrasse l'arma. Josse portò en-
trambe le mani alla trachea recisa e cadde sulla paglia schiacciata. Scalciò
per un'ultima volta, le sue interiora si rilassarono, un ultimo rantolo sem-
brò fuoriuscire direttamente dalla gola tagliata poi giacque immobile.
Gli uomini che si trovavano dietro spingevano per avanzare urlando,
mentre quelli che avevano assistito alla scena si zittirono.
«Merda» ripeté Pieter Tyrrel, quindi alzò gli occhi velati dall'alcol e fis-
sò Ash. «Merda, gente.»
«Sapeva bene di non dover estrarre la spada» commentò uno dei ronco-
nieri.
Un gruppo di uomini in corazza completa sotto il comando di Anselm
comparve sulla scena. Ash vide il suo luogotenente che si apriva un varco
tra la folla che in quel momento stimò essere, nonostante l'oscurità, di cin-
quanta o sessanta persone.
«Ben fatto.» Ash annuì in direzione di Anselm. «Fai seppellire... que-
st'uomo.»
Diede la schiena ai suoi uomini deliberatamente lasciando che fosse An-
selm a mettere a posto tutto, passò la mano guantata sul pomello della spa-
da macchiato di sangue per pulirlo e la rinfoderò. I mastini le si avvicina-
rono.
Rickard e Florian del Guiz la fissavano in piedi tra i resti anneriti della
tenda. Entrambi avevano la stessa espressione sul volto.
«Stava per ucciderti!» protestò Rickard. Il ragazzino che, fermo a gambe
divaricate e testa bassa, sembrava voler imitare una delle posture tipiche di
Anselm, osservava gli uomini che si allontanavano con un misto di spac-
coneria e paura. «Come hanno potuto? Tu sei il capo!»
«Sono dei duri. E se sono ubriachi non hanno nessun capo.»
«Ma tu li hai fermati.»
Ash scrollò le spalle e prese i guinzagli. Carezzò il muso di Bonniau
riempiendosi le dita tremanti di bava.
Floria si allontanò da ciò che rimaneva della sua tenda e dei suoi stru-
menti chirurgici. Aveva una manica del farsetto strappata e un labbro san-
guinante. Qualcuno doveva averla picchiata prima di dare fuoco al suo
padiglione.
«Va tutto bene?»
«Stronzi!» Florian fissò gli uomini che trascinavano via il corpo di Josse
avvolto in una coperta. «Quante volte li ho avuti sotto il mio bisturi? Come
hanno potuto farmi questo?»
«Sei ferita?» insistette Ash.
Florian si fissò le mani tremanti. «Dovevi proprio ucciderlo?»
«Sì. Loro mi seguono perché posso uccidere senza pensarci due volte
senza alcun tipo di rimorso.» Ash sollevò il mento del chirurgo e studiò le
escoriazioni.
La pelle della donna era segnata da alcune ditate nere nei punti in cui
l'avevano afferrata.
«Vai a chiamare uno dei diaconi, Rickard. Non ho nessuna remora a uc-
cidere. Se ne avessi sarei già finita dalla prima volta in cui una trentina di
bastardi armati si presentarono davanti alla mia tenda dicendomi: 'I soldi
del baule sono nostri, sparisci, bambina'. Non trovi?»
«Sei folle.» Florian tornò a fissare ciò che rimaneva della tenda e una la-
crima le rigò la guancia. «Siete tutti dei pazzi fottuti! Non c'è differenza tra
un maniaco e un soldato!»
«Sì, sono pazza, ma sono dalla tua parte» commentò Ash in tono asciut-
to.
Vide arrivare il diacono con una lanterna e gli disse: «Fate dormire il
dottore nella cappella da campo. Padre Godfrey è tornato?»
«No, capitano.»
«Va bene. Datele da mangiare e tenetela d'occhio. Non penso che le ab-
biano fatto troppo male.» Vide Robert Anselm che tornava verso di lei
preceduto dal clangore metallico dell'armatura che indossava. «Voglio che
Florian sia segregato nella cappella da campo e sia sorvegliato» ripeté,
rivolgendosi al suo luogotenente.
«Consideralo fatto.» Anselm impartì gli ordini ai suoi uomini, quindi si
girò verso Ash e le chiese: «Cosa diavolo è successo, ragazza?»
«È stato un errore.»
Ash fissò la paglia schiacciata e macchiata di sangue. Non molto, ma vi-
sibile alla luce delle lanterne. L'odore della tela e delle erbe mediche bru-
ciate riempiva l'aria della notte.
«Non potevi disarmarlo» disse Thomas Rochester, che si trovava alle
spalle di Robert. «Pesava il doppio di te. Avevi solo una possibilità e l'hai
sfruttata.»
Robert Anselm fissò il chirurgo che si allontanava. «Lui - lei è una don-
na e va con le donne?»
«Sì.»
«E tu lo sapevi?» Ash esitò per qualche attimo. Robert sputò sulla pa-
glia, imprecò a bassa voce e la fissò con gli occhi privi d'espressione. «Hai
combinato un bel casino.»
«Già. Josse era bravo sul campo. Avevo un fottuto bisogno di lui.» Ash
aggrottò la fronte. «Ho bisogno di tutti gli uomini migliori! Se avessi sapu-
to che le cose sarebbero finite così, mi sarei comportata altrimenti.»
«Merda» imprecò nuovamente Anselm.
«Sono d'accordo.»
«Pulite tutto» ordinò Anselm agli uomini che si stavano avvicinando.
Ash camminò a fianco del suo luogotenente, mentre i soldati si occupava-
no di rimettere in ordine l'area in cui fino a poco prima era sorta la tenda
del chirurgo.
«Devo indire una riunione per parlare con loro?» si chiese Ash, pensan-
do ad alta voce. «O devo aspettare fino a domattina quando avranno le idee
più chiare? Ho ancora un chirurgo di cui loro si fidano?»
«È con noi da cinque anni» disse Anselm stuzzicando un filo di fieno
con lo stivale. «Metà di loro sono stati rimessi insieme nella sua tenda. Da'
loro una possibilità di lavorare e vedrai che avrai ancora un dottore. La
prima volta che qualcuno si farà del male correrà da lei di gran carriera.»
«E quelli che non lo faranno?»
Ash vide il padrone del pennacchio che aveva svettato dietro la folla per
quasi tutto il tempo del trambusto e assunse un'espressione tetra.
«Mastro van Mander» lo chiamò. «Vorrei scambiare un paio di paroline
con te.»
Joscelyn van Mander, Paul di Conti e altri cinque o sei comandanti di
lancia fiamminghi si fecero strada nella confusione. Van Mander era palli-
do in volto.
«Perché hai permesso che i tuoi uomini facessero tutto questo casino?»
«Non sono riuscito a fermarli, capitano» si giustificò il fiammingo. Si
tolse l'elmo e arrossì in volto. L'alito puzzava di vino.
«Non potevi fermarli? Tu sei il loro ufficiale!»
«Io comando solo perché loro me lo permettono. Lo stesso vale per tutti
noi. Siamo una compagnia mercenaria, capitano Ash. Come potevo fer-
marli? Ci hanno detto che il chirurgo è un diavolo, un demone; una creatu-
ra pervertita e lussuriosa; un'offesa per il genere umano...»
Ash arcuò un sopracciglio. «È una donna: e allora?»
«È una donna che è andata a letto con altre donne, che le ha conosciute
carnalmente!» La voce dell'ufficiale aveva assunto un tono oltraggiato.
«Anche se io potrei arrivare a tollerarlo perché lui, lei è il tuo chirurgo e tu
sei il comandante...»
«Basta» tagliò corto Ash. «Il tuo dovere era quello di controllare i tuoi
uomini e non sei stato all'altezza del tuo compito.»
«Come potevo controllare il loro disgusto?» sbottò l'uomo. L'odore della
birra aleggiò nell'aria per qualche attimo. «Non prendertela con me, capi-
tano. Lei è il tuo chirurgo.»
«Torna alla tua tenda. Domani mattina ti farò sapere la sanzione.»
Ash osservò il comandante che si allontanava ignorando per il momento
gli altri comandanti con lui, prendendo nota però nel momento in cui si
girava di chi lo seguiva e di chi prendeva parte all'opera di pulizia.
«Dannazione!» imprecò Ash.
«Siamo nei casini» commentò Anselm flemmatico.
«Sì, come se non ne avessi già abbastanza.» Ash lisciò una manica della
maglia. «Forse dovrei essere ansiosa di essere consegnata ai Visigoti... a
questo punto potrebbe essere solo un miglioramento!»
Robert Anselm ignorò il suo sfogo come al solito.
«Domani mattina voglio fare delle indagini. Voglio fermare tutto prima
di perdere il controllo.» Quando alzò la testa vide che Anselm la stava fis-
sando. «E mi piacerebbe sapere se qualcuno della lancia di van Mander ha
origliato un qualsiasi 'commento casuale' di Joscelyn prima del casino.»
«La cosa non mi sorprenderebbe.»
«Meglio che vada a controllare Florian.»
«Senti, per quanto riguarda Josse.» Robert Anselm si fermò. «Perché
dopo non passi nella mia tenda e ti fai una coppa di vino?»
Ash scosse la testa. «No.»
«Potremmo brindare alla memoria di Josse.»
«Già.» Ash sospirò grata ad Anselm per la sua comprensione e sorrise.
«Va tutto bene. Non preoccuparti per me, Roberto. Non ho bisogno del
vino. Dormirò.»

Il mattino dopo il paesaggio era avvolto da una nebbia fitta e umida. An-
che all'interno del palazzo si erano formate delle gocce d'acqua. La nebbio-
lina che permeava la sala delle udienze si tinse di rosso al sorgere del sole.
Ash, ferma a fianco del conte di Oxford, era contenta di quel fresco mat-
tutino. A de Vere e i suoi fratelli era stato dato un posto poco distante dal
trono ducale e da quella posizione Ash poteva osservare la corte burgunda,
i dignitari stranieri e la delegazione visigota.
Ai rintocchi delle campane il coro cominciò a cantare l'inno del mattino.
Ash si tolse il cappello e si inginocchiò sul pavimento di marmo bianco.
«Non ho la minima idea di quale possa essere la decisione del duca» le
disse John de Vere al termine dell'inno. «Io sono uno straniero qua, signo-
ra.»
«Avrei potuto stringere un contratto con quell'uomo» sussurrò Ash.
«Già» ammise il conte di Oxford.
«Già.»
Si guardarono negli occhi, scrollarono le spalle con un sorrisetto sulle
labbra e si alzarono in piedi nel momento stesso in cui il duca Carlo di
Borgogna si sedette sul trono.
Ash si guardò intorno aspettandosi di trovare Godfrey al suo fianco che
le sussurrava all'orecchio i suoi preziosi consigli, ma rimase delusa. Questa
volta c'era Robert Anselm. Godfrey Maximillian sembrava sparito nel nul-
la.
Robert crede che Godfrey abbia passato la notte a Digione, pensò Ash,
ma anche lui si sta chiedendo dove sia finito. Lo capisco dalla sua espres-
sione e io non so cosa dire. Dove cavolo sei andato, Godfrey?
Tornerai?
«Al diavolo» aggiunse, credendo di parlare sottovoce, ma, a giudicare
dallo sguardo interdetto di de Vere doveva aver fatto l'esatto opposto.
Il nobile inglese sfruttò i discorsi del ciambellano e del cancelliere del
duca per conferire con Ash. «Non preoccupatevi, signora. Se dovesse suc-
cedere, troverò il modo di tenervi qua, lontana dalle grinfie dei Visigoti.»
«Come?»
L'Inglese sorrise fiducioso, apparentemente divertito dal tono caustico
della donna. «Penserò a qualcosa. Lo faccio spesso.»
«Vi fa male pensare troppo... mio signore.» Ash sembrò appiccicare il ti-
tolo alla fine della frase. Alzò la testa e prese a osservare la folla intorno a
lei.
L'argento e il blu, il rosso e l'oro, lo scarlatto e il bianco dei complicati
stemmi araldici della Borgogna e della Francia erano ovunque. Lo sguardo
di Ash si posò sui nobili raggruppati negli angoli della sala o su quelli in-
torno ai camini. C'erano mercanti vestiti con abiti di seta, dozzine di paggi
con le giubbe bianche a sbuffo e preti con le tuniche verdi e marroni. I
servitori si muovevano rapidamente tra i vari gruppi. Il fresco del mattino
rendeva le voci più nitide, ma, notò Ash, venate di un tono solenne, greve
e riverente.
Dove sei Godfrey, ho bisogno di te.
Cominciò a origliare in cerca di notizie utili: uno vicino a lei esaltava le
virtù dei cani da caccia femmina, due cavalieri discutevano di un torneo e
una grossa donna con indosso un abito italiano parlava del maiale in gela-
tina di miele.
L'unica conversazione politica che riuscì a sentire fu quella tra l'amba-
sciatore francese e Filippo di Commines105 : i due stavano parlando di al-
cuni duchi francesi che non conosceva.
Allora dove sono tutti questi intrighi di corte? si chiese. Forse non ho bi-
sogno di Godfrey per conoscere i dettagli, non qua, almeno.
Ma io ho bisogno di lui.
Ash si girò per assicurarsi che Joscelyn van Mander non fosse solo pre-
sente, ma anche sobrio e abbastanza sottomesso e che i suoi uomini indos-
sassero le giubbe della compagnia sopra le armature lucide, per quanto
potevano esserlo dopo una fuga di qualche centinaio di chilometri in pieno
inverno. Antonio Angelotti e Robert Anselm erano al suo fianco. Robert
stava chiacchierando educatamente con uno dei fratelli de Vere e non notò
la sua occhiata. Angelotti le sorrise e lei gli fece cenno di mettersi davanti
al gruppo. Almeno facciamo una bella figura, pensò Ash.
Un lieve trambusto in fondo alla sala attirò la sua attenzione.
Ash resistette all'impulso di alzarsi in punta di piedi. Vide uno stendardo
che svettava sull'uscio dalle grandi porte di quercia e udì il latino cartagi-
nese parlato dai Visigoti. Portò automaticamente una mano sulla spada
come per rassicurarsi. Rimase in quella posizione e spostò il peso sui tal-
105
Filippo di Commines o Commynes (1447 - 1511), storico e politico.
Fu il primo a servire i Burgundi per poi tradirli a favore della Francia.
Divenne consigliere di Luigi XI quattro anni prima nell'AD 1472.
loni, mentre il ciambellano e i suoi servitori annunciavano e facevano en-
trare Sancho Lebrija, Agnus Dei e Fernando del Guiz.
Lo sfarzo della corte ducale sembrò avere un certo effetto su Fernando
del Guiz che portò le mani tremanti dietro la schiena. La presenza fisica
del marito le seccò immediatamente la gola e la confuse, ma ormai era una
reazione alla quale si era abituata. Ciò che la confuse e la stupì veramente
fu il dolore che provò nel vederlo vittima degli eventi, opportunista e isola-
to da se stesso.
Al suo fianco il conte di Oxford assunse un portamento eretto. Ash uscì
dal suo sognare a occhi aperti, ma impiegò qualche secondo prima di riu-
scire a concentrarsi sulla voce del duca. La nebbia delle prime ore del mat-
tino aleggiava ancora nell'aria, avvolgendo i presenti in una sorta di coper-
ta umida. I raggi del sole cominciavano a penetrare dalle finestre poste a
oriente riscaldando il volto di Oxford che stava ascoltando un commento
di Robert Anselm. La luce dell'astro infuocò la bellezza italiana di Ange-
lotti donando alle armature di Jan-Jacob Clovet e Paul di Conti un'aria an-
tica che li fece somigliare a due angeli usciti da un dipinto di Mynheer van
Eyck, intenti a sognare l'eternità al cospetto di Dio.
Ash avvertì una stretta al cuore. La sensazione della loro permanenza in
aggiunta agli affari terreni scomparve. Fu colta da una sensazione di fragi-
lità come se i suoi compagni fossero imperdibili e a rischio allo stesso
tempo.
Il sole continuava a levarsi sull'orizzonte. La luce cambiò d'angolazione
portando via quella sensazione. Ash girò il capo verso il duca nel momento
stesso in cui diceva: «Mastro Lebrija, ho ponderato la vostra richiesta con i
miei consiglieri. Voi ci chiedete una tregua.»
Sancho Lebrija fece un inchino rigido e formale. «Esatto, mio signore e
principe di Borgogna.»
Il volto lugubre del duca era quasi del tutto nascosto dal cappello, dal
colletto a sbuffo e dalle collane d'oro che portava al petto: una ierofania
che era l'immagine della regalità. Improvvisamente il regnante si chinò in
avanti e Ash vide in lui l'uomo ricco e potente, appassionato di artiglieria,
che passava più mesi possibili sul campo.
«La vostra tregua è una menzogna» disse chiaramente il duca Carlo.
La sala fu pervasa da un forte brusio. Ash si girò e zittì i suoi uomini con
un gesto, quindi si sporse in avanti per meglio ascoltare le parole del duca.
«Vi siete fermati ad Auxonne non per domandare una tregua, ma per
spiare le mie terre e ricevere i rinforzi. Sostate ai nostri confini avvolti
nell'oscurità, armati di tutto punto con le atrocità dell'estate alle vostre
spalle e venite a chiedere la pace - ci chiedete di arrenderci in nome di non
si sa cosa. No» negò perentorio Carlo di Borgogna. «Se ci fosse rimasto
anche solo un uomo della mia gente a difendere queste terre egli direbbe la
stessa cosa, direbbe che noi siamo nel giusto e dove c'è giustizia c'è anche
Dio. Noi vinceremo poiché Egli sarà al nostro fianco in battaglia.»
Ash represse il commento cinico che solitamente avrebbe rivolto a Ro-
bert Anselm. Il suo luogotenente si era tolto il cappello e stava osservando
con gli occhi sbarrati il fulgore del duca circondato dai vescovi, dai cardi-
nali e dai preti.
La voce del nobile tornò a echeggiare contro le volte della sala. «La giu-
stizia può anche cadere in letargo, ma non marcisce nella terra come i cor-
pi degli uomini, o arrugginisce come i tesori di questo mondo. Essa rimane
immutata nel tempo. La vostra è una guerra ingiusta. Preferisco morire
sulla terra governata da mio padre e dal padre di mio padre prima ancora di
lui, piuttosto che firmare una pace con voi. Tutti coloro che vivono in Bor-
gogna, non importa se poveri, contadini o profughi, difenderanno questa
terra con tutti i loro mezzi e le preghiere che potranno innalzare a Dio.»
L'ambasciatore francese si fece avanti e Ash vide che aveva stretto l'elsa
della spada.
«Mio duca» disse, quindi lanciò un'occhiata a Filippo di Commines che
si trovava ancora tra la folla e continuò, «cugino del nostro re di Valois,
quelli che ho appena udito sono dei sofismi. Sono parole per giustificare
un tradimento.»
Nessuno ribatté. Ash aveva la bocca secca e lo stomaco chiuso.
Il nobile francese assunse un'espressione tetra. «Con questa minaccia voi
sperate di far sembrare la Borgogna uno stato pericoloso da attaccare in
modo che il nemico si rivolga contro le terre di re Luigi! È questa la vostra
strategia? Voi sperate che il faris, questa meretrice, si sfianchi a combatte-
re per dei mesi contro di noi per poi sconfiggerla e prendervi quello che
rimane della Francia. Dov'è finito il tuo voto di lealtà al tuo sovrano, Carlo
di Borgogna?»
Già, dov'è finito? pensò ironica, Ash.
«Il vostro re» disse Carlo di Borgogna «si ricorderà che io in persona ho
bombardato Parigi 106 . Se volessi il suo regno me lo prenderei e voi ora non
parlereste.»
Ash si rese conto che i ciambellani e gli altri funzionari di corte si stava-
106
1465.
no avvicinando all'ambasciatore, mentre il duca tornava a rivolgere la sua
attenzione a Sancho Lebrija.
«Non accetterò la vostra richiesta» sentenziò Carlo ih tono deciso.
«La vostra affermazione equivale a una dichiarazione di guerra» gli fece
notare il qa'id visigoto.
Ash lanciò un'occhiata a Olivier de la Marche e notò che il robusto co-
mandante dell'esercito burgundo sorrideva pienamente soddisfatto.
«Avevamo detto che ci serviva una battaglia» ringhiò Robert Anselm al-
l'orecchio di Ash.
«Già, credo che ne avremo una molto prima di quanto ti aspettavi.» Ash
fissava Sancho Lebrija per non guardare il marito. «Non mi consegneranno
ai Visigoti.»
L'occhiata di Anselm valse più di cento parole. Era come se le avesse
detto: «Cerca di essere realista, ragazza! Non hai scelta.»
«No» rispose Ash, tranquilla «non capisci. Io non andrò con loro nean-
che se ci vanno di mezzo tutta la corte, l'esercito di Carlo e Oxford. Attra-
verserò il Mediterraneo solo in compagnia di ottocento uomini armati di
tutto punto.»
Anselm assunse l'aria di qualcuno che stava pensando intensamente. «Se
dovesse essere necessario ti tireremo fuori noi» borbottò improvvisamente
qualche attimo dopo.
Tu lo faresti anche, pensò Ash, ma non sono altrettanto sicura di van
Mander. Si avvicinò al conte di Oxford che nel frattempo era stato convo-
cato dal ciambellano del duca.
«Sire?» disse il nobile in tono mite.
«Io non sono il vostro signore legittimo» esordì Carlo di Borgogna spor-
gendosi in avanti, ignorando deliberatamente la delegazione visigota «ma
credo che sarete contento di schierarvi insieme alla vostra compagnia sotto
le nostre insegne quando ci recheremo ad Auxonne.»
Merda, imprecò mentalmente Ash. Al diavolo l'incursione.
«Facciamo da noi» mormorò ad Anselm.
«Se paghi!»
«Non posso pagare niente. I commercianti di Digione ci fanno credito
solo perché siamo al soldo di Oxford.»
Angelotti fece un commento scurrile in italiano a voce abbastanza alta
da attrarre l'attenzione di Agnus Dei.
«Ne sarò onorato» accettò cortesemente il conte di Oxford. «Sire.»
Sancho Lebrija si fece avanti. «Principe di Borgogna, prima ancora della
guerra c'è la legge. Il nostro generale ha chiesto che le sia restituita una sua
proprietà, una schiava che si trova in questa sala.» Il dito guantato indicò
Ash. «La casata dei Leofric reclama il possesso di quella donna. I suoi
genitori erano schiavi» ripeté. «Quella donna è una proprietà della casata
dei Leofric.»
Ash respirò profondamente, inalando l'odore dolce della segatura e dei
petali di fiori che ricoprivano il pavimento della sala. L'apprensione le
provocò uno strano senso di vertigine, ma riuscì a controllarsi. Alzò gli
occhi per fissare il duca burgundo.
«Mi consegnerà, ne sono sicura» mormorò all'indirizzo di Anselm e An-
gelotti.
Per la seconda volta da quando si erano incontrati Ash vide un sorrisetto
apparire sulle labbra di Carlo di Borgogna.
«Ash» chiamò.
Lei fece un passo avanti per affiancarsi a Oxford e scoprì con sommo
stupore di avere le gambe molli.
«Ho sempre assoldato mercenari con gran piacere» affermò grave il du-
ca. «Per nessuna ragione al mondo permetterei a un comandante esperto e
capace di abbandonare le mie forze. Tuttavia, in questo caso, non sono io
quello che detiene il vostro contratto. Siete al servizio di un lord inglese
sul quale le leggi della Borgogna non hanno alcun effetto.»
«Non potrei mai andare contro i desideri del primo principe d'Europa, si-
re» incalzò prontamente John de Vere. «Voi avete richiesto la mia presen-
za sul campo di battaglia...»
«Sento il suono dei soldi che passano di mano in mano» borbottò Ash.
Dovette sforzarsi per non sorridere.
«Avete chiamato in causa la giustizia» la voce di Sancho Lebrija tuonò
nella sala. «Avete parlato della giustizia, principe di Borgogna. 'La giusti-
zia può anche cadere in letargo, ma non marcisce'.»
Il conte di Oxford cambiò postura mettendo Ash in allarme. Lei conti-
nuò a mostrarsi sicura di sé, consapevole che i suoi soldati stavano facendo
vagare lo sguardo da lei al duca Carlo, al Visigoto e di nuovo su di lei.
«Quali sono le vostre obiezioni?» domandò il duca.
«La giustizia non cade in letargo. Il diritto, la legge, sono dalla nostra
parte.» Il sole illuminò la figura dell'ambasciatore obbligandolo a socchiu-
dere gli occhi e fece brillare gli anelli metallici delle corazze leggere e le
else delle spade consumate dall'uso degli uomini della scorta.
«State ricorrendo a un espediente di bassa lega, principe di Borgogna.
Voi state sfidando la legge solo perché desiderate avere qualche centinaio
di uomini in più dalla vostra parte. Questa è cupidigia, non diritto. È un
atto degno di un despota e non ha nulla a che fare con la legge.»
L'ambasciatore esitò per qualche attimo. Fernando del Guiz gli suggerì
qualcosa all'orecchio ed egli annuì.
«Nessuno vi può biasimare, principe, quando dite che la guerra contro di
noi è giusta. Ma dov'è la vostra giustizia, se voi la mettete da parte quando
più vi aggrada? La donna appartiene alla casata dei Leofric. Voi, come
ormai anche tutti i presenti, saprete che ella ha lo stesso volto del mio ge-
nerale. Non potete negare che sia figlia degli stessi genitori. Non potete
negare che sia una schiava.»
Lebrija si interruppe fissando il duca. Il nobile non proferì parola e il Vi-
sigoto terminò:
«In quanto schiava non ha il diritto di firmare una condotta, quindi non
importa sotto di chi sta servendo in questo momento.»
Sulla bocca di Oxford apparve una smorfia amara. Aggrottò la fronte
senza parlare con l'aria di chi stesse pensando a una soluzione in fretta e
furia.
«Lo farà» sussurrò Ash ai due uomini al suo fianco. Anselm sudava co-
piosamente e teneva la testa bassa con fare aggressivo, mentre Angelotti
aveva posato la mano sulla daga con un gesto carico di grazia letale. «For-
se non lo farà per ottenere un vantaggio politico - forse è diverso da Fede-
rico - ma ascolterà sicuramente le parole di Lebrija. Mi consegnerà a loro
per non trasgredire la legge.»
Dietro di lei i suoi uomini cominciarono ad allargarsi leggermente, alcu-
ni di loro valutarono a quanto distavano dalle porte e dove si trovavano le
guardie.
«Avete qualche idea?» aggiunse Ash, rivolgendosi a Oxford.
Il conte la fissò in cagnesco. «Datemi un minuto!»
Uno squillo di chiarina echeggiò chiaro e cristallino nella sala delle u-
dienze. Un manipolo di cavalieri in corazza completa e armati di asce da
guerra entrò dalla porta e si posizionò lungo le pareti. Ash vide de la Mar-
che che approvava con un cenno del capo.
«Cosa farà il vostro faris alla donna di nome Ash, una volta riavuta?»
domandò Carlo di Borgogna dall'alto del suo trono.
«Cosa farà?» ripeté Lebrija, colto alla sprovvista dalla domanda.
«Esatto! Cosa ne sarà di lei?» Il duca poggiò le mani in grembo, quindi
in tono leggermente pomposo aggiunse: «Vedete, è mia opinione che le
farete del male.»
«Farle del male? No, mio principe, no.» L'espressione di Lebrija era
quella di un uomo che sapeva di non essere convincente. «La cosa non vi
deve preoccupare, principe. La donna di nome Ash è una schiava. È come
se mi chiedeste se ho intenzione di far del male al mio cavallo quando
scendo in battaglia.»
Alcuni soldati della scorta di Lebrija sghignazzarono.
«Cosa ne sarà di lei?»
«La cosa non vi deve preoccupare, principe. Voi dovete attenervi alla
legge. E la legge stabilisce che lei è nostra.»
«Fatto sicuramente accertato» concordò Carlo di Borgogna.
La frustrazione degli uomini di Ash era quasi tangibile. Fissavano i sol-
dati burgundi intorno alla sala con occhiate ferali, imprecando a bassa vo-
ce. Tutti i loro disaccordi erano stati messi da parte per il momento. An-
selm disse qualcosa per trattenere Angelotti.
«No» sbottò l'Italiano. «Sono stato schiavo di uno dei loro amir. Farò
tutto ciò che è in mio potere per impedire che ti portino con loro, madon-
na.»
«Mastro artigliere, zitto!» ringhiò Anselm.
Ash fissò Agnus Dei che dava una pacca sulla schiena di Sancho Lebrija
per congratularsi. Dietro il mercenario italiano, Fernando del Guiz ascoltò
il commento di un uomo della scorta e rise di gusto reclinando il capo al-
l'indietro.
Ash prese una decisione.
«Sarò molto contenta di uccidere tutti i Visigoti presenti.» Aveva parlato
in modo da farsi sentire da Anselm, Angelotti, van Mander, Oxford e i suoi
fratelli. «Sono in nove. Uccidiamoli adesso. Dobbiamo essere veloci, do-
podiché gettiamo a terra le armi e lasciamo che il duca ci dichiari fuorileg-
ge. Se quelli moriranno ci sbatteranno fuori della Borgogna, ma non sare-
mo consegnati.»
«Facciamolo.» Anselm fece un passo avanti seguito dagli uomini del
Leone. Ash udì van Mander che borbottava qualcosa in tono allarmato
riguardo alle guardie. Avremo delle perdite, è ovvio, pensò. Carracci im-
precava eccitato, mentre Euen Huw e Rochester avevano portato le mani
sulle armi sghignazzando soddisfatti.
«Aspettate!» ordinò il conte di Oxford.
Uno squillo di chiarina echeggiò nell'aria e il duca Carlo di Borgogna si
alzò in piedi come se nella sala non ci fosse un gruppo di mercenari a soli
dieci metri dal suo trono e i soldati armati fino ai denti non si fossero mos-
si perché Olivier de la Marche aveva ordinato loro di stare immobili con
un segnale brusco.
«No. Non vi consegnerò la donna di nome Ash» dichiarò il duca.
«Ma è nostra per legge» ribatté Lebrija, visibilmente oltraggiato.
«È vero. Tuttavia, non ve la consegnerò.»
Ash si rese appena conto della mano di Anselm che le stringeva con for-
za un braccio.
«Cosa?» sussurrò. «Cos'ha appena detto?»
Il duca diede un'occhiata ai suoi consiglieri, ai legali, ai suoi sudditi. Un
velo di soddisfazione calò sul suo volto quando Olivier de la Marche si
inchinò profondamente e indicò gli uomini armati nella sala.
«Comunque, se tenterete di portarla via con la forza, faremo tutto ciò
che è in nostro potere per impedirvelo.»
«Siete un folle, principe.»
«Mi pigliasse un colpo se non ha ragione» commentò Ash a bassa voce.
De Vere scoppiò a ridere di gusto e diede una pacca sulla spalla di Ash
con la stessa forza che usava con i suoi fratelli. Lei fu molto contenta di
aver indossato la brigantina perché l'impatto fece scricchiolare le piastre
metalliche.
Gli uomini di Ash esultarono e il duca Carlo si rivolse alla delegazione
visigota.
«È mio desiderio che la donna di nome Ash rimanga nella mia corte. E
così sarà.»
«Ma state infrangendo la legge» esclamò Sancho Lebrija come se la
persona che aveva davanti non fosse il principe più potente della Cristiani-
tà, ma un paggio recalcitrante.
«Sì, lo so. Portate questo messaggio ai vostri padroni - al vostro faris: io
continuerò a infrangere la legge ogni volta che questa si dimostrerà sba-
gliata. L'Onore» continuò affettato e nuovamente un po' pomposo «è al di
sopra della Legge. L'onore e la cavalleria ci impongono di difendere i de-
boli. Sarebbe moralmente sbagliato consegnarvi la donna quando ogni
uomo presente in sala sa bene che voi la massacrerete.»
Sancho Lebrija lo fissò stupefatto.
«Non ci capisco niente.» Ash scuoteva la testa attonita. «Quale vantag-
gio può trarne il duca da questa mossa?»
«Nessuno» le spiegò il conte di Oxford, serrando le mani dietro la schie-
na come se anche lui non le avesse posate sulle armi un attimo prima. Le
lanciò un'occhiata furba. «Assolutamente nessuno, signora. Nessun van-
taggio politico. La sua azione non può essere difesa in alcun modo.»
Ash ignorò la gioia dei suoi uomini e fissò la delegazione visigota che
veniva scortata fuori della sala, quindi spostò l'attenzione sul trono e sul
duca.
«Non ci capisco niente» disse.

Ash raggiunse la sua tenda per la strada lunga, fermandosi di fuoco in


fuoco per parlare con un centinaio di giovani che bevevano e parlavano dei
loro successi con le donne e della loro bravura con l'arco lungo o il ronco-
ne.
«È guerra» diceva loro, contenta. Ascoltava quello che avevano da dire
bevendo una pinta di birra qua, mangiando un piatto di patate là, per ascol-
tare i commenti eccitati dei suoi uomini. Voleva sapere cosa ne pensavano
della guerra, del chirurgo e della morte di Josse.
Prestò particolare attenzione alle opinioni di quella parte del campo dove
si erano accampate le dodici o tredici lance di Joscelyn van Mander.
Arrivata alla tenda controllò quali erano gli ufficiali presenti alla riunio-
ne. Aggrottò leggermente la fronte e uscì di nuovo, formò una scorta di sei
uomini presi da una lancia inglese e si incamminò con tanto di cani per il
campo.
«Di Conti» chiamò. Paul di Conti saltò fuori della tenda con un largo
sorriso sul volto arrossato dal sole e si inginocchiò di fronte a lei. «Non ho
visto né te né i tuoi comandanti di lancia alla riunione nella mia tenda.
Infila il culo in una corazza e raggiungimi.»
Il savoiardo sorrise nuovamente e disse: «Sieur Joscelyn ha detto che
verrà a sentire al posto nostro. A me e agli altri non importa. Sieur Jo-
scelyn ci dirà tutto ciò di cui avremo bisogno.»
E di Conti non è neanche Fiammingo, pensò Ash sorridendo.
Il ghigno del mercenario si affievolì. «Così non ci schiacciamo nella tua
tenda come acciughe in un barile, capo!» aggiunse.
«Anch'io credo che questo risparmi alla metà di voi di trovarsi seduta in
grembo a me! Va bene.» Ash si girò di scatto e tornò verso il centro del
campo con passo deciso.
Era così concentrata a pensare che non si accorse dell'uomo alto e robu-
sto dai capelli scuri che la stava seguendo da un certo tempo. La sua pelle
continuava a rimanere pallida malgrado fosse stata esposta al sole della
Borgogna e gli spessi sandali schiacciavano gli steli di fieno sotto i piedi.
Ash si girò e fissò l'uomo alto quasi due metri. Uno dei cani gli uggiolò
contro ed egli si spostò di lato.
«Tu sei... Faversham» ricordò Ash.
«Richard Faversham» confermò l'Inglese.
«Sei l'assistente di Godfrey.» Non era riuscita a trovare la traduzione del
termine in inglese.
«Diacono. Volete che dica messa fino al ritorno di Godfrey?» le chiese
Richard Faversham in tono solenne.
L'Inglese doveva essere poco più vecchio di lei e sudava copiosamente.
Su una guancia spiccava il tatuaggio di una croce blu. Intorno al collo ave-
va diverse medagliette di santi. Una delle immagini più ricorrenti era quel-
la di santa Barbara107 .
«Sì. Ha dato l'incarico a te quando è tornato da Digione?» chiese Ash in-
crociando le dita dietro la schiena.
Il diacono sorrise benevolo. «No, capo. Faccio le mie scuse a nome di
padre Godfrey per il suo comportamento scortese. Quando incontra un
malato o un povero si ferma finché non ha posto rimedio alle sue tribola-
zioni.»
Ash si fermò di colpo. «Scortese? Godfrey?»
Richard Faversham socchiuse gli occhi per proteggersi dal sole. «Mastro
Godfrey» continuò con voce sicura «verrà sicuramente santificato, un
giorno. Non rifiuta il Pane e il Vino Divino neanche al più infame dei ron-
conieri o alla più laida delle prostitute. L'ho visto accudire un bambino
malato per quaranta ore di fila. Una volta fece lo stesso con un cane. Di-
venterà un santo una volta morto.»
«Beh, al momento ho bisogno di lui sulla terra!» riuscì a rispondere Ash.
«Se dovessi vederlo digli che il suo capo ha bisogno di lui, adesso, nel
frattempo vai pure a preparare la messa.»
Tornò alla sua tenda fermandosi a scambiare poche parole con John de
Vere e Olivier de la Marche che si era recato in visita al campo ospite del
conte inglese, quindi si piazzò sotto lo stendardo del Leone Azzurro e con-
vocò i suoi ufficiali.
107
Santa Barbara, una santa romana che in principio aveva il compito di
proteggere contro i fulmini, venne adottata come santa patrona degli
artiglieri presumibilmente basandosi sul fatto che un'esplosione è uguale a
un'altra.
Geraint arrivò barcollando con i pantaloni mezzi slacciati, Robert An-
selm lo raggiunse poco dopo con indosso solo il piastrone della corazza.
Arrivò anche Angelotti. Come fa a essere sempre così lindo e perfetto? si
domandò Ash nel vedere il farsetto di seta bianca indossato dall'artigliere.
Joscelyn van Mander fu l'ultimo.
Ash alzò un mano, Euen Huw portò la tromba alla bocca e dallo stru-
mento scaturì uno squillo. La riunione stava cominciando. Ash non rimase
troppo sorpresa di vedere che gli uomini si precipitavano nello spiazzo
senza farsi troppo pregare. A volte, pensò Ash, le voci di quello che sto per
fare cominciano a girare per il campo prima ancora che io ci abbia pensa-
to...
«Va bene!» Ash cacciò una gallina da un barile, vi saltò sopra e portò le
mani sui fianchi. Lo stendardo penzolava sopra di lei contro il palo. Fece
vagare lo sguardo sulle persone che si stavano radunando.
«Signori» esordì. Il tono di voce non era altissimo perché voleva che
stessero zitti. «Signori... e uso questo termine liberamente... sarete contenti
di sapere che siamo di nuovo in guerra.»
Un misto di piacere e delusione pervase la folla.
Ash non sapeva che impressione poteva fare il sorriso che aveva stampa-
to sul volto, non si rendeva conto che le dava un'espressione radiosa. Esso
diffondeva intorno a lei, specialmente prima di una battaglia, la sua certez-
za assoluta (forse inconscia) che in quel momento il mondo stava girando
per il verso giusto.
«Stiamo per combattere contro i Visigoti» disse. «In parte perché ci pia-
ce il sole della Borgogna! In parte perché il mio signore conte di Oxford ci
paga per farlo. Ma, soprattutto» aggiunse con enfasi «soprattutto stiamo
per combattere contro quella puttana visigota perché rivoglio indietro la
mia armatura!»
Le risate e le ovazioni fecero tremare il terreno. Ash allungò le braccia
sopra la testa e ottenne il silenzio.
«E Cartagine?» chiese Bianche da uno dei carri.
Cosa dicevo delle voci, pensò Ash.
«Quella può aspettare!» dichiarò sghignazzando. «Tra tre o quattro gior-
ni combatteremo contro le teste di tela. Riceverete un anticipo. I vostri
compiti per il resto del giorno sono quelli di ubriacarvi e scopare due volte
ogni puttana di Digione! Non...» L'ovazione della folla le impedì di conti-
nuare e la fece sorridere soddisfatta. «Stanotte non ci deve essere neanche
un uomo del Leone Azzurro sobrio, chiaro! Non voglio vederne neanche
uno!»
«Non c'è pericolo, capo!» urlò una voce dal marcato accento gallese.
Ash arcuò un sopracciglio e fissò Geraint ab Morgan. «Ho parlato anche
degli ufficiali? Non credo.»
Un coro di ottocento voci maschili manifestarono il loro dissenso. Ash
sentì l'adrenalina che le saliva in corpo.
«Va bene! Ho detto, va bene! Zitti!» Ash riprese fiato. «Così va meglio.
Andate a ubriacarvi e a divertirvi. Tutti! Quelli che torneranno dovranno
far credere alle teste di tela di essere finite nel fottuto inferno.» Batté la
mano sul palo dello stendardo. «Ricordatevi ragazzi. Non voglio che mo-
riate per la vostra bandiera - voglio che facciate morire i Visigoti per la
loro!»
La folla esultò e cominciò a diradarsi. Ash si girò sul barile. «Mynheer
van Mander!»
Tutti si fermarono. Joscelyn van Mander uscì dal gruppo degli ufficiali
con passo incerto e si guardò intorno. Ash lo vide lanciare delle occhiate a
Paul di Conti e a una mezza dozzina di altri comandanti di lancia fiam-
minghi.
«Vieni.» Gli fece cenno di venire avanti con insistenza e appena gli fu
vicino si chinò in avanti, gli strinse la mano con vigore, si girò verso gli
altri e alzò le braccia del cavaliere fiammingo insieme alle sue. «Sto per
fare una cosa che non ho mai fatto prima!» annunciò. Si inclinò in avanti e
baciò van Mander sulla guancia ruvida.
I commenti caustici e pepati echeggiarono immediatamente nell'aria. I
soldati che avevano cominciato ad andarsene tornarono sui loro passi po-
nendo domande ai compagni.
«Va bene!» Ash si girò continuando a stringere le mani dell'ufficiale.
«Voglio che tutti sappiano che ho un debito nei confronti di questo uomo!
Adesso! Egli ha fatto molto per il Leone Azzurro. Il fatto è che non ho più
nulla da insegnargli!»
Gli uomini delle lance fiamminghe esultarono colmi d'orgoglio battendo
i pugni sui piastroni delle corazze. Erano raggianti. Sulla faccia di van
Mander era apparsa un'espressione che era una via di mezzo tra l'orgoglio
e l'apprensione. Ash si trattenne dallo scoppiare in una torva risata. Ve-
diamo come te la cavi adesso, bello mio... pensò.
Sfruttò il momento d'esaltazione dei Fiamminghi per vedere le reazioni
di Paul di Conti, degli altri ufficiali e studiare l'espressione di van Mander.
Adesso i tuoi ufficiali non prendono più ordini da me, ma da te, pensò
Ash. Quindi non più i miei ufficiali...
Quindi non ha più nessun motivo per rimanere nel mio campo.
«Sir Joscelyn» disse Ash in tono formale e ad alta voce «giunge sempre
il tempo in cui l'apprendista e il viaggiatore devono lasciare il loro mae-
stro. Ti ho insegnato tutto quello che sapevo. Non è più necessario che ti
comandi. È ora che tu guidi una tua compagnia.»
Valutò l'impatto che la sua dichiarazione aveva avuto sulla folla e, a
giudicare dal brusio che si era levato, lo trovò soddisfacente. «Joscelyn, ci
sono venti lance, duecento Fiamminghi che ti seguiranno. Io ho dato vita al
Leone Azzurro con lo stesso numero di uomini.»
«Ma non voglio andarmene dal Leone Azzurro» borbottò van Mander.
Ash sorrise.
Certo che non vuoi. Preferisci stare all'interno della compagnia con un
bel numero di uomini al tuo servizio e cercare di mettermi i bastoni tra le
ruote. Ecco perché hai sempre voluto un capo debole: ti tieni il potere e
scarichi le responsabilità.
Da solo hai pochi uomini e nessuna influenza sulle persone. Sei finito.
Ne ho abbastanza di questa compagnia dentro la compagnia. Ne ho abba-
stanza di persone o cose inaffidabili... Golem di Pietra incluso. Tra quattro
giorni dobbiamo andare in battaglia e non voglio una compagnia disunita...
«Non andrò via» dichiarò van Mander aggrottando la fronte.
«Ho parlato con il mio signore, il conte di Oxford e Olivier de la Mar-
che, il Campione del duca di Borgogna.»
Fece una pausa per lasciare che quei nomi penetrassero nelle menti dei
soldati.
«Se lo desideri, sir Joscelyn, il mio signore Oxford è disposto a firmare
un contratto anche con te. O, se vuoi essere assunto alle stesse condizioni
di Cola di Monforte e dei suoi uomini» - vide che dei nomi così famosi
facevano un certo effetto sui Fiamminghi e van Mander - «allora potresti
farti assumere direttamente da Carlo di Borgogna.»
I Fiamminghi esultarono. Ash si diede una rapida occhiata intorno e capì
immediatamente quali sarebbero stati i Fiamminghi che sarebbero rientrati
di soppiatto nel campo del Leone Azzurro la notte stessa sotto falso nome
e quali ronconieri inglesi avrebbero cominciato a parlare un Vallone fluen-
te sotto il comando diretto di Olivier de la Marche.
Ash spostò il peso sui talloni. Il barile era stabile sotto i suoi piedi. La-
sciò che l'aria calda le carezzasse il volto e spostò il colletto della maglia
con un dito per arieggiare il collo. Joscelyn van Mander la fissava con la
bocca chiusa. Ash poteva bene immaginare le parole che l'uomo stava trat-
tenendo, che doveva trattenere altrimenti il tutto sarebbe finito in una sce-
nata pubblica.
Cosa che non cambierebbe la mia decisione, pensò Ash. Lui e le sue
lance devono andarsene. Osservò la folla davanti a lei e il suo occhio e-
sperto valutò immediatamente l'entità della separazione.
Meglio avere cinquecento uomini fidati che ottocento inaffidabili, con-
cluse.
Qualcuno le tirò un lembo del farsetto. Ash abbassò lo sguardo e vide
Richard Faversham.
«Proporrei una propiziatoria in favore della nuova compagnia dei cava-
lieri fiamminghi» disse il diacono.
Ash osservò per un attimo l'espressione da ragazzino di Faversham. «Sì.
Buona idea.»
Alzò un pugno per chiedere silenzio, lo ottenne e annunciò la proposta
del prete a tutti i presenti. La sua attenzione continuava a essere incentrata
su van Mander che si era appartato con i suoi ufficiali. Controllò con la
coda dell'occhio dove si trovavano la sua scorta, i cani, Anselm, Geraint e
Angelotti, che avevano assistito a tutto il discorso impassibili. Non scorge-
va da nessuna parte i volti familiari di Florian de Lacey e Godfrey Maxi-
millian.
Merda! imprecò mentalmente e si girò. Paul di Conti aveva attaccato
sull'asta di un roncone uno dei primi stendardi appartenuti a van Mander:
la nave e la mezza luna. Lo stendardo venne sollevato e i duecento uomini
che Ash aveva valutato in precedenza avrebbero lasciato la sua compagnia,
cominciarono a radunarsi intorno all'asta.
«Prima di lasciare il campo» disse Ash «parteciperemo alla messa e pre-
gheremo per le vostre e le nostre anime. E pregheremo di incontrarci di
nuovo tra quattro giorni sul campo di battaglia con l'esercito visigoto di-
strutto ai nostri piedi.»
Il diacono cominciò a impartire le istruzioni per preparare il rito. Ash
saltò giù dal barile e si trovò a faccia a faccia con John de Vere.
Il conte aveva appena terminato di conferire con Olivier de la Marche.
«Porto notizie fresche, capitano. Le spie del duca hanno detto che le linee
dei Visigoti si sono estese fino al loro limite e che è possibile troncare le
loro linee di rifornimento. Ci sono truppe turche a meno di quaranta chi-
lometri da qua.»
«I Turchi?» Ash fissò l'Inglese che, compito, la guardò di rimando con
un bagliore colmo d'eccitazione negli occhi azzurri e mormorò: «Seicento
unità appartenenti alla cavalleria del sultano.»
«Turchi. Cazzo.» Ash fece due passi in avanti e si girò con lo sguardo
perso nel nulla intenta a pensare, incurante delle persone che si affaccen-
davano intorno a lei. «No! Ha senso! Anch'io farei la stessa cosa se fossi
nel sultano. Aspettare che i Cartaginesi ingaggino una battaglia, tagliare i
loro rifornimenti e poi avventarmi su ciò che rimane... Il duca Carlo sarà
poi così contento di avere l'esercito turco alla porta il giorno dopo che a-
vremo sconfitto i Visigoti?»
«È ansioso di partire con l'esercito e sta richiamando i preti» disse il
conte in tono grave.
Ash fece il segno della croce.
«Per quanto riguarda il resto» aggiunse de Vere «il grosso dell'esercito si
muoverà oggi e domani: noi partiremo con il resto dei mercenari dopodo-
mani. Lasciamo un campo base qua e preparatevi a una marcia forzata. Ora
vedremo, signora, se siete un bravo comandante anche senza l'aiuto dei
santi.»

Le ventiquattr'ore successive passarono nel caos più completo che gli uf-
ficiali del Leone Azzurro gestirono grazie alla loro esperienza. Sia Ash che
i suoi uomini non dormirono per più di due ore.
Cumuli di nuvole gialle si ammassavano a ovest striate dai lampi. Il cal-
do umido aumentò notevolmente. Gli uomini con indosso le armature si
grattavano in continuazione imprecando. Scoppiò anche una rissa durante
l'operazione di carico dei cavalli da trasporto. Ash era ovunque. Ascoltava
tre, quattro, cinque persone contemporaneamente, controllando al tempo
stesso armi e vettovagliamento, occupandosi dei preti e delle guardie ai
cancelli.
Tenne la riunione finale nella tenda che fungeva da armeria. Era un luo-
go che puzzava di carbone, fumo e fuliggine. L'aria era pervasa dal clango-
re metallico dei martelli che si abbattevano sulle punte delle frecce.
«Cristo Verde!» imprecò Robert Anselm, asciugandosi la fronte sudata.
«Perché non piove?»
«Preferiresti marciare sotto la pioggia? Siamo fortunati!»
L'approssimarsi della tempesta faceva pulsare la testa di Ash.
Dickon Stour chiuse l'ultima cinghia che bloccava lo schiniere sulle ca-
viglie e lei piegò la gamba a novanta gradi.
«No, mi taglia il retro del ginocchio» disse Ash. L'armiere provò ad al-
lentare le cinghie. «Lascia perdere: ho gli stivali. Indosserò solo le prote-
zioni superiori delle gambe.»
«Ti ho preparato un piastrone.» Dickon Stour si girò e glielo porse con
le mani sporche di fuliggine. «Devo modificare i fori per le braccia?»
Non c'era tempo per forgiare una nuova armatura. Ash si girò, l'armiere
le infilò il piastrone senza chiudere le cinghie e lei tese le braccia in avanti
come se stesse maneggiando la spada. Il movimento fece salire i bordi del
piastrone contro l'interno delle braccia. «Troppo largo. Taglialo ancora.
Non importa se non smussi i bordi, voglio qualcosa che posso indossare
per quattro ore e che sia in grado di proteggermi dalle frecce.»
L'armiere emise un grugnito deluso.
«Gli uomini del duca sono partiti?»
«All'alba» urlò Geraint ab Morgan per farsi udire sopra il baccano pro-
dotto dai martelli.
Durante quelle ultime ore quasi ventimila uomini erano partiti per i con-
fini meridionali del regno e ci avrebbero impiegato diversi giorni per co-
prire i sessanta chilometri fino ad Auxonne. Il terreno intorno a Digione
era diventato una distesa di terra rivoltata e calpestata. I magazzini della
città erano stati svuotati per approvvigionare le truppe.
I tuoni echeggiavano nel cielo. Il rombo era udibile nonostante il fra-
stuono nella tenda. Ash pensò brevemente alla strada che portava a sud.
Una manciata di chilometri da percorrere lungo la valle del fiume poi la
città sarebbe scomparsa alle loro spalle, dopodiché avrebbero trovato solo
qualche fattoria, dei villaggi eretti nelle radure della foresta e le grandi
distese dei pascoli vuoti o dei terreni incolti. Un mondo vuoto.
«Partiamo tra due ore.»

Più si avvicinavano al Sud, più il clima diventava rigido.


In serata si trovavano a circa venti chilometri da Digione. Ash raggiunse
la cima di una collina e vide delle colonne di fumo levarsi dai campi.
«Cosa succede?» chiese rivolgendosi a Rickard che l'aveva seguita di
corsa.
«Stanno cercando di salvare le viti!»
«Le viti?»
«Ho chiesto a uno del posto e mi ha detto che la scorsa notte c'è stata
una gelata. Hanno acceso dei falò tra i filari per impedire che gelino, altri-
menti tutta la vendemmia andrebbe perduta.»
Due o tre uomini erano usciti dalla colonna e si stavano dirigendo verso
di lei: forse c'era bisogno di altri ordini. Ash lanciò un'ultima occhiata alle
pendici delle colline sulle quali crescevano le vigne e ai contadini che cer-
cavano di salvarle.
«Dannazione, niente vino» disse. Si girò e vide che Rickard aveva quat-
tro o cinque conigli appesi alla cintura.
«Sarà una brutta annata» disse il conte di Oxford, affiancandosi ad Ash.
«Dirò ai ragazzi che stiamo combattendo per la vendemmia e vedrete
come prenderanno i Visigoti a calci in culo!»
Il nobile inglese socchiuse gli occhi e osservò la campagna a sud. Il
campanile di una chiesa segnalava la presenza di un piccolo villaggio, per
il resto c'erano solamente foreste e terreni incolti. La larga fascia d'erba
calpestata e costellata di rifiuti e sterco di cavallo indicava chiaramente la
strada per Auxonne.
«Almeno non corriamo il rischio di perderci» azzardò Ash.
«Un contingente di ventimila uomini è difficile da gestire, signora.»
«Sono più dei Visigoti.»
A mano a mano che il cielo imbruniva a est era possibile scorgere a sud
un'ombra che non spariva mai, neanche in pieno giorno.
«Così, quello sarebbe il Crepuscolo Eterno» disse il conte di Oxford.
«Più ci avviciniamo e più diventa evidente.»

Alla vigilia del ventuno agosto, la compagnia del Leone Azzurro si era
accampata al limitare di un bosco a circa cinque chilometri a ovest di Au-
xonne. Ash passò tra i ripari improvvisati e si avvicinò agli uomini inco-
lonnati per la cena stando molto attenta a sembrare serena e allegra.
Henri Brant le si avvicinò in compagnia del capo stalliere e chiese: «La
battaglia è dopodomani mattina, giusto? Devo cominciare a nutrire i caval-
li da guerra in modo particolare?»
Pur essendo addestrato un cavallo da guerra rimaneva comunque un er-
bivoro che aveva bisogno di essere nutrito per rimanere in forze, altrimenti
bastava un'ora di combattimento per sfiancarlo irrimediabilmente.
Il cielo color porpora era appena visibile tra le foglie delle querce e l'aria
umida rendeva la pelle appiccicosa. Ash si asciugò il viso. «Calcola che i
cavalli dovranno combattere dall'alba fino alle nove. Comincia a dare loro
il cibo speciale.»
«Sì, capo.»
Thomas Rochester e la scorta si erano fermati sotto gli alberi a parlare
con Bianche e altre donne. Nessuno che mi fa domande! pensò Ash. Stupe-
facente! Fece un lungo sospiro.
Merda, preferisco in momenti in cui ho tanto da fare che non ho tempo
per pensare.
C'è sempre qualcosa da fare.
«Non mi allontano di molto» disse all'uomo della scorta che le era più
vicino. «Di' a Rochester che sono nella tenda del medico.»
Il padiglione di Floria si trovava a pochi metri da lei. Ash scavalcò le
corde e i tiranti legati intorno al tronco di un albero e alle radici che spun-
tavano dal terreno, mentre dal cielo cadevano le prime gocce di pioggia.
«Capo?» chiese il diacono Faversham uscendo dalla tenda.
Ash nascose la sua apprensione e chiese: «Il mastro chirurgo è dentro?»
«Sì» rispose l'Inglese senza scomporsi.
Ash annuì in segno di saluto ed entrò. Come aveva temuto la tenda non
era vuota: sui lettini c'erano una mezza dozzina di uomini che smisero di
parlare ad alta voce tra di loro appena la videro, dopodiché, passato qual-
che attimo, ripresero la conversazione, ma a voce più bassa.
«Ci stiamo muovendo troppo in fretta» si lamentò Floria del Guiz senza
sollevare gli occhi dal braccio fratturato che stava bendando. «Nel mio
studio, capo.»
Ash scambiò qualche parola con i feriti: due fratture a un piede mentre
caricavano una cassa di spade su un cavallo, una bruciatura, un ubriaco che
era caduto sulla propria daga ferendosi, quindi li superò e spostò la tenda
che separava l'area riservata al chirurgo dal resto del padiglione.
La pioggia tamburellava sul tetto della tenda. Ash usò la pietra focaia
per accendere il moncone di una candela e le lanterne. Il chirurgo la rag-
giunse nel momento stesso in cui lei terminava l'operazione e si sedette
emettendo una sorta di grugnito.
«Vedo che i feriti continuano a venire da te» esordì Ash andando dritta
al punto.
Floria alzò la testa e una ciocca di capelli le scivolò via dalla fronte. «Ci
sono stati diciannove feriti negli ultimi due giorni. Viene da pensare che
nessuno di loro abbia mai cercato di picchiarmi!»
Il chirurgo giunse le mani facendo combaciare le punte delle dita.
«Sai cosa è successo, Ash? Hanno deciso di non pensarci, almeno per il
momento. Forse quando saranno feriti non si preoccuperanno molto di chi
li sta ricucendo o forse sì.»
Floria lanciò un'occhiata severa ad Ash.
«Non mi trattano né come un uomo né come una donna. Come un eunu-
co, forse. Un animale castrato.»
Ash prese uno sgabello e si sedette. Entrò uno degli assistenti, servì loro
del vino e portò a Floria un mantello leggero per proteggersi dall'aria fred-
da.
«Domani ci sarà la battaglia» disse Ash, cauta. «Adesso sono tutti trop-
po impegnati nei preparativi. La maggior parte dei piantagrane sono andati
via con van Mander. Gli altri possono decidere di linciarti o farsi salvare la
vita da te quando saranno feriti. Non c'è che dire: abbiamo bisogno di que-
sta battaglia per un mucchio di motivi.»
La donna chirurgo sbuffò e prese la coppa di vino. «Ne abbiamo bisogno
veramente, Ash? Abbiamo veramente bisogno che questi giovani vengano
mutilati o trapassati dalle frecce?»
«È la guerra» rispose Ash, impassibile.
«Lo so. Potrei sempre lavorare da qualche altra parte. Le città appestate.
I lazzaretti. Curare i bambini ebrei che i medici cristiani si rifiutano di toc-
care.» Le ombre che le lampade proiettavano sul volto di Floria del Guiz le
conferivano un'espressione impietosa. «Forse domani varrà la pena di
combattere.»
«Non è l'ultima battaglia di Artù» disse Ash, cinica. «Non è Camlann.
Anche se li battiamo quelli non fanno i bagagli e tornano a casa. Vincere
una battaglia non ti fa vincere una guerra. Non importa se domani cancel-
leremo l'esercito del faris dalla faccia della terra.»
«Cosa succede, allora?»
«Noi siamo in vantaggio di due a uno. Avrei preferito un vantaggio di
tre a uno, ma li batteremo. L'esercito di Carlo è il migliore di tutta la Cri-
stianità.»
In quel momento si ricordò che il faris aveva sconfitto gli Svizzeri, ma
non disse nulla.
«Forse uccideremo il faris, forse no. Comunque se la sconfiggiamo il
suo esercito ne risulterà notevolmente decimato e le avremo fatto perdere
lo slancio. È come recita il detto: 'Una volta battuti, possono essere sconfit-
ti'.»
«E poi?»
«E poi ci sono gli altri due eserciti cartaginesi.» Ash sogghignò. «Molto
probabilmente rivolgeranno le loro attenzioni a un bersaglio più semplice -
la Francia forse - oppure si fermeranno per l'inverno o si scontreranno con
l'esercito del sultano. L'ultima opzione sarebbe quella ideale. Non sarebbe
più un problema della Borgogna o di Oxford e lui potrebbe tornare alle sue
guerre tra goddams.»
«E tu ti faresti pagare dal sultano?»
«Con chiunque tranne che con quella donna» confermò Ash.
«Vuoi parlarle ancora, vero?» azzardò Florian.
«Posso cavarmela anche senza i suggerimenti di una macchina in testa.
Combatto dall'età di dodici anni» si difese Ash, infastidita dall'acume del
chirurgo. «Cosa importa in termini pratici? Cosa può dirmi quella donna
che io non sappia già, Florian?»
«Come e perché sei nata?»
«Cosa importa! Io sono nata nei campi» disse Ash «come un animale.
Non sai nulla di cosa significhi. Sono sempre stata tra i carri dei riforni-
menti, non li ho mai fatti affondare o depredare dai soldati. L'unico mo-
mento in cui si moriva di fame era quando tutti morivano di fame.»
«Ma il faris è tua...» Floria fece una pausa interrogativa. «Sorella.»
«Forse» rispose Ash in tono ironico. «È pazza, Florian. Sedeva tranquil-
la e beata e mi diceva che suo padre faceva generare figli maschi per l'ac-
coppiamento e femmine per procreare. Mi diceva che i figli venivano fatti
accoppiare con i genitori. Generazioni che hanno vissuto nel peccato
dell'incesto. Cristo, vorrei che Godfrey fosse qua.»
«È una cosa che succede in ogni villaggio.»
«Ma non in maniera tanto...» Ash non riuscì a pronunciare la parola si-
stematica.
«I loro scienziati hanno insegnato alla Cristianità la maggior parte delle
tecniche mediche che ho imparato» disse Floria «e Angelotti ha appreso la
balistica da un amir.»
«E allora?»
«E allora la tua machina rei militaris non è un marchingegno demonia-
co.» Floria scosse la testa. «Godfrey non ha mai detto che era un peccato,
giusto? Sarebbe triste se non potessi più usarla, ma, non preoccuparti, tutti
sanno che sei capace di massacrare anche senza l'aiuto di quell'aggeggio.»
«Mmm»
«È vero che Godfrey ha lasciato la compagnia?» chiese Floria in tono
secco.
«Non - lo so. Sono giorni che non lo vedo. Da quando abbiamo lasciato
Digione.»
«Faversham mi ha detto di averlo visto in compagnia dei Visigoti.»
«I Visigoti? Con la delegazione?»
«Parlava con Sancho Lebrija.» Quando vide che Ash non diceva nulla,
aggiunse: «Non riesco capire come mai Godfrey sia andato con loro. Cosa
è successo tra te e lui?»
«Se potessi dirtelo, lo farei.» Ash si alzò in piedi e cominciò a cammina-
re su e giù nervosamente. «La milizia cittadina non si è fatta vedere al
campo» disse, cambiando deliberatamente argomento. «Mademoiselle
Châlon deve aver tenuto la bocca chiusa.»
«Certo che l'ha fatto» sbottò Floria. «Se non l'avesse fatto avrebbe dovu-
to ammettere che ero sua nipote. Non lo farà. Finché rimango lontana da
Digione sono abbastanza al sicuro. Basta che non le chieda nulla.»
«Continui a pensare di essere Burgunda, vero?» comprese Ash.
«Certo.»
Ash fissò il chirurgo dritto negli occhi e vide che aveva un'espressione
strana, di nessuno di loro si poteva dire che avesse una nazionalità. Sorrise.
«Non penso a me stessa come a una Cartaginese. Non dopo tutto questo
tempo. Ho sempre pensato di essere uno dei tanti bastardi della Cristiani-
tà.»
Floria ridacchiò di gusto e versò altro vino.
«La guerra non ha nazionalità» decretò. «La guerra è un patrimonio del
mondo intero. Avanti, mia piccola amazzone scarlatta. Bevi.»
Là donna si alzò barcollando, si mise a fianco di Ash, le appoggiò una
mano sulla spalla e con l'altra le porse la coppa.
«Non ti ho ancora detto grazie per averli fermati» disse.
Ash scrollò leggermente le spalle, appoggiandosi contro Floria.
«Beh, grazie lo stesso.» Florian inclinò la testa e posò le labbra su quelle
di Ash dandole un bacio rapido e leggero.
«Cristo!» Ash scattò allontanandosi da quello che sembrava essere l'ab-
braccio di una donna. «Cristo!»
«Cosa?»
Ash si passò il dorso di una mano sulla bocca. «Cristo!»
«Cosa?»
Ash non si rese neanche conto dell'espressione cinica e tesa che aveva
assunto. Aveva l'impressione che davanti ai suoi occhi ci fosse qualcosa di
diverso dal chirurgo della compagnia.
«Non sono la tua piccola Margaret Schmidt! Cos'era? Pensavi di sedur-
mi come credeva tuo fratello?»
Floria del Guiz si alzò lentamente. Stava per dire qualcosa, ma si fermò
e parlò in tono controllato. «Stai dicendo un sacco di stupidaggini, Ash. E
lascia fuori mio fratello da quanto è successo!»
«Tutti vogliono qualcosa.» Ash scosse la testa e abbandonò le braccia
lungo i fianchi. Sopra la sua testa la pioggia faceva tremare il telo della
tenda.
Floria del Guiz allungò una mano per toccarla, poi rifletté che forse era
meglio trattenersi. «Ah.» Il chirurgo si fissò i piedi per qualche secondo,
quindi rialzò la testa e disse: «Non seduco le amiche.»
Ash la fissava in silenzio.
«Un giorno» aggiunse Floria «ti racconterò di quando a tredici anni sono
stata buttata fuori di casa e sono andata a Salerno vestita da uomo, perché
avevo sentito che là le donne potevano studiare. Beh, mi sbagliavo. Le
cose erano molto cambiate dai giorni di Trotula108 . E ti dirò perché Jeanne
Châlon che è solo la mia madre putativa non mi vuole vedere. Sei a pezzi,
capo. Avanti!» Floria fece un ghigno furbo. «Su, Ash. Onestamente.»
Il tono irriverente del chirurgo fece arrossire Ash che sospirò sollevata e
scrollò le spalle per sembrare disinvolta. «Hai ragione, Floria, sono state
delle giornate molto dure per tutti. Mi dispiace. Ho detto una cosa molto
stupida.»
«Mmm - hmm.» Floria arcuò un sopracciglio. «Dai, dimmi.»
Ash si girò verso l'entrata della tenda. I fuochi da campo dell'esercito
burgundo brillavano nell'oscurità e nel cielo splendeva il disco argenteo
della luna.
Circa due giorni prima del primo quarto, pensò, stimando automatica-
mente il rigonfiamento del suo profilo. Sono passate poche settimane.
«Cristo, sono successe così tante cose! Adesso siamo a metà agosto, giu-
sto? E la schermaglia di Neuss è avvenuta a metà giugno. Due mesi. Dia-
volo, sono solo sei settimane che mi sono sposata...»
«Sette» precisò Floria alle sue spalle. «Altro vino?»
Ash vide la luna che si sfocava.
«Capo?»
Ash si girò, lanciò un'occhiata alle tavole anatomiche appese nella tenda,
al sorriso tranquillo di Floria e tutto divenne improvvisamente chiaro e
netto. Uno si sente così solo quando è scosso o sta combattendo, pensò.
«Ho avuto le perdite quando ero ferita, Floria?» domandò.
108
Trotula di Salerno fu un medico donna dell'undicesimo secolo che tra
i vari trattati medici scrisse il Passionibus mulierum curandorum (Le
malattie veneree). Era considerata una delle più alte autorità in campo
medico del Medioevo. A Salerno studiarono altre 'mulieres Salernitanae'
(donne medico), ma nel quindicesimo secolo tale usanza era finita.
Floria del Guiz scosse la testa e aggrottò la fronte. «No. Ho controllato e
non c'era nessuna perdita di sangue. Non era quel genere di ferita.»
Ash scosse la testa.
«Cristo!» esclamò. «Non quel genere di sangue. Il sangue mensile. Sono
due mesi che non lo perdo. Sono incinta.»

VI

Le due donne si fissarono.


«Non hai preso delle precauzioni?» le domandò Floria.
«Certo che le ho prese! Credi che sia una stupida? Baldina mi ha dato un
amuleto. Un regalo di nozze. L'ho tenuto in un sacchettino al collo le due
volte che... ogni volta.» Ash avvertì la fronte che si imperlava di sudore e
la ferita che pulsava.
Vide Floria del Guiz che la fissava: non sapeva che la donna stava ve-
dendo una ragazza in pantaloni e farsetto, spada al fianco, i guanti infilati
nella cintura. Una figura che se non fosse stata per la cascata di capelli e il
volto che in quel momento aveva l'espressione di una bambina di dodici
anni poteva essere scambiata tranquillamente per un uomo.
«Hai usato un amuleto» ripeté Floria in tono piatto e basso per paura che
qualcuno stesse origliando. «Non hai usato una spugna, una vescica di
maiale o delle erbe. Hai usato un amuleto.»
«Ha sempre funzionato!»
«Grazie a Cristo io non mi devo preoccupare di questi inconvenienti!
Non toccherei un uomo neanche se...» Floria fece tre o quattro passi avanti
e indietro con le braccia strette intorno al corpo, quindi si fermò di fronte
ad Ash. «Ti senti male?»
«Pensavo che fossero i postumi della ferita alla testa.»
«Il seno è turgido?»
Ash rifletté un attimo. «Credo di sì.»
«A quale quarto di luna ti vengono le perdite?»
«Negli ultimi anni è sempre stato all'ultimo.»
«Quando è successo l'ultima volta?»
Ash aggrottò la fronte e tornò a pensare. «Poco prima di Neuss. Il sole
era ancora in Gemelli.»
«Devo visitarti. Comunque, sei incinta» sentenziò Floria in tono brutale.
«Devi darmi qualcosa!»
«Cosa?»
Ash allungò una mano alle sue spalle, toccò lo sgabello e si sedette si-
stemando il fodero in modo che non la intralciasse. Chiuse i pugni sulla
pancia, quindi afferrò l'elsa della spada. «Devi darmi qualcosa per sbaraz-
zarmi del bambino.»
La donna chirurgo lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Il vento face-
va ondeggiare il cordame della tenda e la lanterna appesa al piolo. Floria
socchiuse gli occhi per osservare il volto di Ash. «Non ci hai pensato.»
«L'ho fatto!» rispose Ash, terrorizzata. Strinse spasmodicamente l'elsa e
fissò il pomello come per ribadire a se stessa che era ancora lei e che non
era cambiato nulla. Cercò di sentire le sensazioni all'interno del suo corpo,
di avvertire delle differenze, ma non carpì nulla. Niente che le potesse far
capire che un feto stava crescendo in lei.
«Posso darti delle erbe e del vino per calmarti» disse Floria.
Il tono professionale del chirurgo fece infuriare Ash che scattò in piedi.
«Non mi faccio trattare come una puttana di strada qualunque! Non avrò il
bambino.»
«Eccome se l'avrai.» Floria del Guiz la afferrò per un braccio.
«No. Dovrai eliminarlo.» Ash si liberò dalla stretta. «E non dirmi che
non esiste un intervento per farlo. Quando crescevo sui carri, se una donna
rimaneva incinta e il chirurgo pensava che la gravidanza sarebbe stata fata-
le per la madre asportava il feto.»
«No. Ho fatto un giuramento» ribatté Floria, in tono adirato. «Ricordi la
tua condotta? Bene, questa è la mia: 'Mai procurare un aborto'. Per nessu-
no!»
«Vuoi sapere cosa pensa di te la tua confraternita di dottori, adesso che
conoscono la tua vera identità? Pensa che non hai il diritto di pronunciare
un giuramento!» Ash fece uscire qualche centimetro di lama dal fodero
quindi la rinfoderò violentemente. «Non avrò il figlio di quell'uomo!»
«Allora sei sicura che sia il suo?»
Ash assestò un violento schiaffo sulla guancia del chirurgo. «Sì, lo è!»
urlò.
Il volto sporco di Floria si contrasse in una smorfia che Ash non riuscì a
interpretare. «È un figlio legittimo. Cristo, Ash. Potrebbe essere mio nipo-
te! Non puoi chiedermi di ucciderlo.»
«Non si è mosso, non scalcia, non è niente!» Ash la fulminò con un'oc-
chiataccia. «Non mi capisci, vero? Ascolta: non avrò questo bambino. Se
non vuoi farmi abortire, troverò qualcuno che lo voglia fare, ma, io non
avrò questo bambino.»
«No? Ti ricrederai. Abbi fiducia.» Floria scosse la testa. Del moccio le
colò del naso e lei si passò la manica sul volto lasciando una striscia di
pelle pulita, dopodiché rise e disse: «Non lo vuoi, vero? Non lo vuoi per-
ché è suo e non puoi tenere le mani lontano da lui?»
Ash socchiuse la bocca, ma non disse nulla. Stava cercando una risposta
e improvvisamente ebbe la visione di un bambino di circa tre anni con gli
occhi verdi e i capelli biondi. Un bambino che correva per il campo, cade-
va da cavallo, si tagliava con le armi, si ammalava di febbre e forse moriva
di stenti qualche anno dopo: un bambino che avrebbe avuto gli stessi line-
amenti di Fernando del Guiz e lo stesso umorismo di Floria.
«Sei gelosa» disse fissando il chirurgo dritto negli occhi.
«Tu pensi che io voglia un bambino.»
«Sì! E non potrai mai averlo.» Pur essendo cosciente che stava per dire
qualcosa di imperdonabile Ash si abbandonò lo stesso a un sarcasmo ta-
gliente come un rasoio: «Cosa farai? Metterai incinta Margaret Schmidt?
Un nipote o una nipotina è il massimo a cui puoi aspirare.»
«È vero.»
«Uh.» Ash, che si era aspettata di dover fronteggiare uno scoppio d'ira,
rimase confusa dalla reazione di Floria. «Mi dispiace di aver parlato in
quel modo, ma ho ragione, vero?»
«Gelosa?» Floria la fissò con un'espressione che avrebbe potuto essere
sarcastica, sollevata, tradita o tutte e tre le cose insieme. «Gelosa, perché
non voglio liberarti di un figlio? Donna, non voglio vederti morire dissan-
guata o di febbre puerperale, no, Cristo Santo, devi avere quel bambino.
Non morirai. Sei forte come un fottuto contadino. Molto probabilmente il
giorno dopo il parto sarai nuovamente in sella al cavallo. Capisci che libe-
rarsi di un bambino è pericoloso?»
«Un campo di battaglia non è un luogo sicuro!» le fece notare Ash in to-
no aspro. «Ascolta, non andrò da un dottore in città perché li ritengo solo
un branco di bastardi succhia soldi, inoltre non ho neanche il tempo. Non
voglio prendere i rimedi che usano sui carri a meno che non sia costretta.
Mi fido di te perché mi hai rimessa insieme ogni volta che qualcuno mi
staccava un pezzo!»
«Santa Maddalena! Sei stupida? Potresti morire?!»
«Credi di impressionarmi? È un'eventualità con la quale convivo ogni
giorno e domani devo combattere.»
Floria del Guiz aprì la bocca e la richiuse.
«Non costringermi a ordinartelo» disse Ash, amareggiata.
«Un ordine?» Gli occhi le lacrimavano ancora per lo schiaffo ricevuto
poco prima. «E cosa farai se non voglio farti abortire? Mi sbatterai fuori
dalla compagnia? Dovrai farlo, comunque» disse Floria senza guardarla in
volto.
«No, Florian. Cristo!»
Il chirurgo le afferrò nuovamente un braccio. «Non sono 'Florian'. Mi
chiamo 'Floria'. Sono una donna e amo le donne!»
«Lo so» rispose Ash, infastidita. «Senti, io...»
«Tu non sai niente!» Floria mollò la presa, abbassò la testa per qualche
attimo, quindi la rialzò. «Non ne hai la minima idea e non dirmi che non è
vero. Cosa dovrei fare quando la gente perde il senno perché sono andata a
letto con una donna? Cosa? Non posso combatterli. Non potrei fare loro
del male neanche se lo volessi! Devo fingere di essere qualcosa che non
sono. Cosa dovrei fare se qualcuno decidesse di bruciarmi perché amo le
donne e pratico la medicina?»
Ash non seppe rispondere.
Floria del Guiz alzò le mani in modo che i palmi fossero illuminati dalle
lanterne.
Ash osservò le cicatrici sulle dita del chirurgo. Conosceva bene quei se-
gni.
«Sono bruciature» spiegò Floria. «Sono vecchie. Me le feci nel tentativo
di prendere - di prendere qualcosa da un fuoco, quando era troppo tardi.
Visto che non potevo averla viva con me, volevo un suo ricordo.» Floria si
passò le mani sul volto inumidendo i capelli con le lacrime e il sudore.
«Un uomo ti ha pisciato addosso e tu pensi di sapere tutto? Taci. Te lo
ripeto: non sai niente! Non ti sei mai sentita indifesa nella tua vita!»
Le parole echeggiarono nell'aria. Ash udì le guardie fuori della tenda che
si agitavano e uscì per tranquillizzarle.
«Così adesso avrai un bambino» continuò Floria, brusca. «Benvenuta
nel mondo delle donne!»
«Floria!» protestò Ash.
«Forse» la interruppe il chirurgo «non avresti dovuto essere tanto ansio-
sa di scoparti mio fratello!»
Ash non riusciva a guardarla in faccia. Aveva l'impressione di essere sta-
ta presa a calci nello stomaco e non riusciva a pensare in maniera lucida.
Non sapeva cosa rispondere.
«Ho sempre fatto di tutto per te, ma questo, no!» Floria alzò la voce. «E
non stare lì seduta senza dire niente! Parla!»
Ash la fissava in silenzio, cercò di dire qualcosa, quindi abbassò la testa
per fissare la segatura gettata a terra. Non poteva reggere lo sguardo adira-
to della donna.
Dovrei dirlo a Fernando, pensò.
Ma se è un figlio me lo porterà via.
Comunque, non posso averlo.
Più di una donna è scesa in battaglia incinta.
Già, e più di una donna ha preso la febbre puerperale dopo il parto ed è
morta senza che il chirurgo potesse fare qualcosa.
No, no avrò il bambino perché è di Fernando, decise.
«Ash!» ringhiò Floria.
Ash la ignorò.
Molto cautamente cominciò a prendere in considerazione l'idea di porta-
re a termine la gravidanza.
Non è poi un periodo così lungo, pensò. Mesi. Però siamo in un brutto
momento. Almeno se non fossimo in guerra... beh ci sono state altre donne
che hanno combattuto nelle mie condizioni. Mi seguiranno comunque.
Farò in modo che lo facciano.
L'intensità della paura che provava all'idea che il suo corpo cambiasse
senza che lei potesse controllare la situazione e l'enormità di quella realtà
la lasciarono stupita. Ma una volta nato? continuò a pensare. Ash provò a
immaginarsi un bambino o una bambina anche se sapeva che stava so-
gnando a occhi aperti.
Almeno avrò un consanguineo. Qualcuno che mi somiglia.
Un brivido gelato le fece rizzare i capelli sulla nuca.
C'è già qualcuno che ti somiglia, si disse. Siamo uguali.
E chi lo sa cosa metterò al mondo? Uno scemo del villaggio deforme?
Cristo e tutti i santi, no! Non voglio dare alla luce un mostro.
Sono passati poco più di quaranta giorni... Devo sbarazzarmene adesso
prima che cominci a muoversi.
Prima che abbia un'anima.
La voce di Floria interruppe i suoi pensieri.
«Sono fuori. Cosa devo fare? Aspettarti in eterno? Rimanere qua seduta
finché quegli stronzi la fuori non avranno deciso se un dottore donna che
ama le donne va bene per loro? Tieniti la tua dannata compagnia.»
Floria si avviò verso l'uscita della tenda.
«Per quanto riguarda il bambino, quello è un problema tuo, Ash. Risol-
vilo da sola. Non hai bisogno di me. Ash non ha bisogno di nessuno! Io
sarò con i chirurghi del duca dove potrò mettere in pratica i miei studi.»

Ash raggiunse il campo di battaglia insieme agli altri comandanti poco


prima dell'alba, quando c'era già abbastanza luce per camminare senza
correre il rischio di inciampare.
L'aria le carezzava il volto e la condensa che si era formata sulla venta-
glia dell'elmo odorava di ruggine e armeria. Gli stivali scivolavano sulle
foglie bagnate e rischiò di cadere addosso al conte di Oxford che si trovava
in fondo al gruppo di ufficiali del duca. Si erano riuniti sulla strada che da
Digione portava ad Auxonne.
«I Visigoti sono sempre in posizione? Qual è il piano del duca?» chiese
Ash, tranquilla.
«Sì, sono ancora in posizione. Il duca li ingaggerà fuori Auxonne» rias-
sunse velocemente Oxford. «Gli esploratori» aggiunse «hanno visto i loro
fuochi da campo a circa due chilometri da qua lungo la strada principale.
Noi, signora, saremo sull'ala sinistra dello schieramento insieme agli altri
mercenari.»
«Non si fida, vero? Altrimenti ci avrebbe posizionati sulla destra, dove i
combattimenti sono più violenti109 .» Ash aggiustò una delle fibbie dell'ar-
matura: anche se aveva fatto praticare un buco in più le protezioni delle
gambe continuavano a essere scomode. «Potremo provare almeno a incu-
nearci nelle linee avversarie per uccidere il faris?»
«Il duca dice di no: ci saranno sicuramente dei sosia da battaglia sul
campo110 .»
I contorni delle spalle degli ufficiali si muovevano nell'oscurità. Alla lo-
ro sinistra la strada curvava bruscamente a est allontanandosi dal pendio
che bloccava la valle del fiume a sud. Gli uomini uscivano dalla strada e si
addentravano nei pascoli sulla collina di fronte a loro. Il cielo cominciava
a rischiararsi. Ash si rese conto che c'erano anche i fratelli de Vere, si
guardò alle spalle e vide Anselm e Angelotti.
«Va bene» insistette Ash, mentre seguiva Oxford «forse dovremmo sta-
narla più volte! Fatemi organizzare una squadra, mio signore. Scendiamo
lungo il fianco della battaglia con un centinaio di uomini. Entriamo e u-
sciamo in un batter d'occhio ed è fatta.»
109
Visto che la maggior parte dei soldati erano destri, le battaglie corpo
a corpo tendevano a ruotare in senso anti orario.
110
Persone che indossavano la stessa armatura e le stesse insegne del
comandante.
«Il duca ha chiesto che io porti la vostra compagnia sul campo sotto il
suo stendardo» le ricordò Oxford. «Faremo come ci è stato ordinato e spe-
riamo che per stasera non sia più necessario organizzare un'incursione a
Cartagine.»
Il terreno cominciava a salire. La rugiada le macchiava gli stivali e la
punta del fodero. La pioggia era cessata. L'aria era limpida e fredda.
«Mio signore, le mie fonti...» i contatti di Godfrey ora facevano rapporto
direttamente a lei «... mi hanno detto che i Visigoti continuano a ricevere
rifornimenti nonostante l'oscurità. Dovremmo cogliere l'occasione» sugge-
rì Ash. «Alcuni dei carri sono trainati dai golem. Forse sono alla dispera-
zione!»
«Sappiamo che le loro linee sono troppo estese» rispose de Vere, torvo.
Ash raggiunse la cima dell'altura e scrutò l'oscurità.
Un gruppo di colline si protendeva nella valle del fiume. Essi si trovava-
no su un poggio a ovest. Alla loro destra c'era un bosco molto antico e fit-
to. Gli esploratori avevano detto che era impraticabile. Il tappeto di foglie
morte era talmente insidioso che i soldati avrebbero potuto avanzare solo
per qualche metro.
Questo dovrebbe portarci a nord rispetto al loro campo, pensò Ash. Mi
chiedo se gli araldi sono già scesi. Beh, almeno siamo riusciti a trovarci
tutti...! Abbiamo corso il rischio di cavalcare in questa desolazione per
giorni.
La tentazione di chiedere alla voce nella sua mente l'esatta ubicazione
del comandante nemico era quasi irresistibile.
Cosa mi risponderebbe la machina rei militaris? si chiese. Mi mentireb-
be? Sarebbe in grado di riconoscermi?
Non serve a nulla chiederselo. Comportati come se sapessi tutto. È la co-
sa più sicura da fare.
Ash scese lungo il pendio dietro i comandanti del duca di Borgogna,
consapevole del fatto che il nobile si era recato su quella collina per capire
se era adatta ai fanti e agli artiglieri. Ash non era impressionata più di tan-
to. Gli ufficiali parlavano tra di loro rapidamente.
Raggiunse le pendici dell'altura con le caviglie doloranti. Notò immedia-
tamente che il terreno era fangoso e che un muro di canne e cespugli le
impediva di osservare l'alba. Che sia una palude? si chiese. Su questo lato
del fiume?
La luce grigiastra che precedeva l'alba non accennava ad aumentare d'in-
tensità.
Il profilo nero di una foresta si stagliava contro l'orizzonte. Il suono di
una campana, forse quella dell'abbazia di Auxonne, echeggiò nell'aria. E se
anche il nemico sta esplorando il territorio e ci incontriamo? si domandò
Ash.
Gli ufficiali del duca si spostarono. Cola di Monforte disse qualcosa in
tono tranquillo ma lei riuscì solo a udire le parole 'strozzatura perfetta'.
Tornarono indietro in direzione est e si ritrovarono sulla strada che costeg-
giava il fiume. La terra battuta rese i movimenti più facili. Ash lanciò
un'occhiata al ripido pendio a est che incombeva sulla strada per Digione.
Se ci piazziamo lassù saremo sempre sulla sinistra dello schieramento,
valutò mentalmente Ash. È un punto perfetto. Se dovessero cercare di su-
perare la strada, noi piombiamo loro addosso alle spalle. Se cercassero di
affiancarci e salire su per la collina... Non so come se la caverà l'esercito
burgundo, ma noi faremo la nostra bella figura.
A meno che non si stiano preparando al combattimento e ci arrivino ad-
dosso da quel pendio a sud...
«Signori» disse il duca Carlo di Borgogna. «Torniamo al campo. Adesso
è tutto chiaro. Combatteremo al sorgere del sole. Sidonio ci aiuterà!»
Una decisione, evviva, esultò Ash tra sé e sé.
«Ragazzi» disse.
«Capo?» Robert Anselm, Antonio Angelotti e Geraint ab Morgan com-
parvero immediatamente al suo fianco.
Il conte di Oxford impartì degli ordini rapidi e concisi. Dickon, George e
Tom de Vere si affrettarono a raggiungere le loro posizioni. John de Vere
disse qualcosa al visconte Beaumont che rise di gusto. Il gruppo era perva-
so da una sorta di elettricità: tutti sapevano che quel giorno sarebbero mor-
ti oppure sarebbero sopravvissuti alla battaglia guadagnando onore, denaro
e la vita.
«Dio mi perdoni se ti ho mai offeso» disse Ash in tono formale e allungò
le braccia per abbracciare Robert Anselm. L'Inglese la strinse a sé quindi
arretrò di qualche passo fino al limitare della strada.
«Io ti perdono, così come spero di essere perdonato, nel nome di Dio.
Stiamo per andare, vero?» domandò Robert Anselm.
Ash strinse l'avambraccio di Angelotti e diede una pacca sulla spalla a
Geraint.
«Andiamo» disse con gli occhi lucidi. «Questo è il lavoro per il quale il
Leone Azzurro è pagato. Buttarsi nella mischia.»
Terminò la sua ispezione personale e, anche se non era molto sicuro
camminare a quella velocità con così poca luce, si avviò verso il campo
con passo deciso. Raggiunse il conte di Oxford e indicò il duca di Borgo-
gna.
«Mio conte, se lui non vuole che prendiamo il faris..., vorrei consultarmi
con voi riguardo il piano di battaglia. Ho un'idea.»
«Le tre parole più terribili di una lingua. Una donna che dice: 'Ho
un'idea'» commentò ironico George de Vere che si trovava alle spalle di
Ash.
«Oh, no» lo smentì Ash rivolgendogli un sorriso dolce. «Ci sono due pa-
role che sono ancor più spaventose. Il capo che dice: 'mi annoio'. Chiedete-
lo a Flo... al mio chirurgo.»
John de Vere sembrò sogghignare.
«Abbiamo la superiorità numerica» spiegò Ash. «Non penso che i Tur-
chi si schiereranno dalla nostra parte. Sono qua in veste di osservatori. Noi
abbiamo i cannoni. Dovremmo vincere, ma i Visigoti hanno battuto gli
Svizzeri e nessuno è sopravvissuto per dirci cosa è successo. Solo delle
voci: 'Diavoli sbucati fuori dai sulfurei pozzi dell'inferno...'»
«E?» la pungolò il conte di Oxford.
«Guardate il cielo, mio signore» lo invitò Ash. «Oggi ci sarà poco sole.
Combatteremo all'ombra dell'oscurità che si trascinano dietro. Farà freddo.
Sarà come combattere in inverno.»
Ash strinse il pugno e piantò le unghie nel palmo della mano senza farsi
vedere.
«Dovremmo parlare con i nostri preti.» Ash indicò la Croce di Rovi che
pendeva dal collo del conte. «Ho un'idea. È tempo che Dio operi un mira-
colo per noi, Vostra Grazia.»

Due ore dopo Ash era a fianco di Godluc. Bertrand teneva le redini del
cavallo e Rickard le portava l'elmo e la lancia. Si era fatta prestare le pro-
tezioni per le gambe da un uomo al seguito di de Vere, ma non le andav