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Dieci Lezioni
Fondamentali
di Economia
Ubiratan Jorge Iorio

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Istituto Liberale

Progettazione Alessio Cotroneo

Giovanni Frulio

Traduzione Edson Netto Freitas Amaral

Titolo originale Dez Lições Fundamentais de


Economia Austríaca

Pubblicato da Instituto Ludwig Von Mises Brasil

© 2020 Istituto Liberale - APS

Sito www.istitutoliberale.it

E-mail info@istitutoliberale.it

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Indice

Presentazione................................................................. 5

Prefazione .................................................................... 14

Economia e Istituzioni ................................................ 18

L’Economia, la Scarsità, le Scelte e il Valore ............. 32

Azione, Tempo e Conoscenza .................................... 44

Cosa sono i mercati e come vengono determinati i


prezzi ............................................................................ 54

Gli effetti del controllo dei prezzi .............................. 65

Profitto, perdite e Imprenditorialità .......................... 74

Capitale, interesse e struttura di produzione ........... 88

Il ruolo della competizione....................................... 102

Moneta e Prezzi ......................................................... 112

Banche, banche centrali e cicli economici................ 124

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PRESENTAZIONE
La Scuola Austriaca di Economia, fondata dalla
genialità di Carl Menger e dai suoi insights sulla
teoria del valore, sta purtroppo attraversando un
lungo periodo di marginalizzazione. Né il costante
e prolifico lavoro di Ludwig von Mises negli Stati
Uniti nel Dopoguerra, né il Nobel in Economia
attribuito a Friedrich August von Hayek nel 1974
furono capaci di portare la Scuola Austriaca al
centro del dibattito economico.

Tutto ciò risveglia la curiosità di chi segue il


dibattito economico più da vicino, giacché, se
analizziamo la famosa crisi del 1929, la recente
crisi del 2008 e la crisi che ci si sta prospettando
davanti durante la stesura della presente
presentazione - questa volta con un elemento in
più in grado di aggravarla, il COVID-19 -,
possiamo notare come:

a) nel primo caso, furono i pensatori austriaci


a elaborare la migliore spiegazione
all’instaurarsi della crisi;

b) nel secondo caso, gli stessi austriaci


avevano previsto con ampio anticipo

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l’esplosione della bolla immobiliare;

c) nel terzo caso, sempre qualora le previsioni


vengano confermate, gli austriaci avranno
ancora una volta anticipato una crisi di
enormi proporzioni.

Non dobbiamo però limitarci a quanto concerne le


crisi economiche. Le obiezioni austriache ad
alcune teorie degli anni Venti e Trenta si erano
altresì dimostrate fondate quando, ad esempio,
negli anni Settanta, il mondo si trovò a
fronteggiare il fenomeno della stagflazione:
inflazione elevata e stagnazione economica
concomitanti, una cosa reputata impossibile
secondo la visione keynesiana. Le stesse critiche
risultano valide tutt’oggi e rifiutano in maniera
implacabile le soluzioni facili (e, pertanto,
pericolose) proposte dagli entusiasti sostenitori
della MMT (Modern Monetary Theory).

Di fronte a ciò, è quantomeno strano, almeno a


prima vista, che esista un così esiguo spazio per la
Scuola Austriaca all’interno dei programmi e dei
curricula universitari, tra le istituzioni di governo
e, più in generale, nell’ambito del dibattito
pubblico.

Come si spiega che una scuola di pensiero che è


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stata capace di prevedere e spiegare fenomeni
economici di tale portata e complessità, spesso con
decadi di anticipo, oltre ad aver elaborato
imprescindibili concetti economici per l’analisi
adeguata della realtà che ci circonda, non goda
della dovuta attenzione?

I motivi sono molteplici, ma normalmente sono


legati alla riluttanza da parte dei governi e degli
intellettuali in generale di ammettere che il
proprio lavoro forse non sia tanto essenziale. Mi
spiego meglio: non si tratta di disprezzare il
fondamentale operato egli intellettuali, che nei più
disparati ambiti della scienza hanno condotto e
continuano a condurre l’umanità a distanze mai
prima immaginate.

L’obiezione qui è molto specifica: il mercato non


ha bisogno dell’intervento da parte del governo.

E, inoltre, il mercato non ha bisogno neanche degli


intellettuali e delle loro persistenti manie di
(ri)costruire, pianificare e edificare tutto nel modo
che ritengono migliore, come se competesse a
questa generazione - che si ritiene tanto illuminata
e razionale - il dovere di correggere tutti i mali
delle generazioni precedenti.

Il mercato, di per sé, va avanti, incrementando il


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benessere dell’umanità a ritmi mai visti prima,
nonostante tutti gli attacchi che subisce da parte di
persone che, ingenuamente, non si rendono conto
che oggi vivono meglio di tutti i re de XIX secolo.
È l’ordine spontaneo - causato dalle azioni degli
innumerevoli individui - a generare tutta questa
prosperità, qualcosa che non sarebbe mai stato
possibile se dipendessimo da un ordine imposto
dall’alto attraverso la pianificazione di alcune
decine i burocrati.

La Scuola Austriaca spesso ci dà una lezione di


umiltà, ci insegna a capire quanto la nostra
conoscenza sia limitata e quanto i complessi
problemi sociali che pretendiamo affrontare
oltrepassino la nostra comprensione individuale.
E, oltre a ciò, la Scuola Austriaca ci insegna che
cercare di gestire situazioni di questo genere - cosa
che facciamo nella maggior parte dei casi - ha
come diretta conseguenza quella di aggravarle.
Nelle parole di Hayek: “Il curioso compito
dell’economia è dimostrare agli uomini quanto poco essi
sanno su ciò che credono di pianificare”.

La verità è che insights di questo genere non


risultano graditi a coloro che sono abituati fin da
subito a credere che la soluzione risieda sempre in
una pianificazione via via più dettagliata di ogni e

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qualsiasi attività umana. E che, pertanto, nulla
sarebbe più giusto di continui tentativi di
modellare il mondo nella maniera più adeguata.

Ciò si nota in diverse circostanze, come, ad


esempio, con la Banca Centrale che si mostra al
popolo come se fosse capace di controllare i cicli
economici e garantire la ricchezza perpetua a tassi
fissi d’inflazione annuale; o nel governo, che
sciorina la propria capacità di risolvere complessi
e secolari problemi sociali con misure miopi basate
sulla ridistribuzione di denaro e/o sull’offerta di
servizi “gratuiti”.

La Scuola Austriaca è, dunque, quella sana dose di


pragmatismo, realismo e, perché no, buonsenso, in
un mondo in cui sono tutti estremamente occupati
ad attribuirsi una importanza e una capacità di
rivoluzionare la realtà che sostanzialmente non
possiedono. È il riconoscimento del fatto che
dipendiamo dallo sforzo di innumerevoli
individui e della delicata costruzione di una sorta
di ordine spontaneo che evolve pian piano
affinché abbiamo, tutti i giorni, accesso a una
quantità e a una varietà di beni e servizi che. Luigi
XIV non avrebbe osato neanche immaginare.

Davanti a tutto ciò, riconosco che, dopo la

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sorpresa iniziale, sono stato estremamente felice di
avere la possibilità di lavorare alla pubblicazione
di un libro sulla Scuola Austriaca in Italia, paese in
cui tanto mancano opere del genere.

Soprattutto perché un libro che apre le porte del


pubblico a un nuovo paradigma di pensiero è
sempre molto speciale, come se fosse un raggio di
luce capace di vincere una finestra chiusa,
illuminando e addirittura colorando una stanza
completamente buia. Non è a caso che Ludwig
von Mises ripetesse con frequenza che “le idee e
solo le idee possono illuminare l’oscurità”.

Il libro che meglio si inquadrava nell’obiettivo


dell’Istituto Liberale era l’opera “As 10 Lições
Fundamentais de Economia Austríaca”, tradotto in
italiano come “Dieci Lezioni Fondamentali di
Economia”, dell’economista brasiliano Ubiratan
Jorge Iorio, dell’Instituto Mises Brasil (IMB), che
ha compiuto un lavoro lodevole ed è riconosciuto
internazionalmente nella diffusione del pensiero
austriaco in Brasile.

Questo libro è stato scelto essendo un’opera


esplicitamente introduttiva, con lezioni esposte
nel modo più didattico possibile e basate su
esempi semplici tratti da esperienze di vita reale.

10
Inoltre, il libro ha cura di menzionare una decina
di concetti che sicuramente hanno un’utilità
pratica innegabile per chiunque voglia
avventurarsi nello studio dell’economia.

È un’opera che non ha la pretesa di essere


esaustiva, ovviamente, ma che ha la giusta
ambizione di risvegliare in molti lettori la curiosità
riguardo alla Scuola Austriaca e all’economia in
generale, fornendo loro il dominio di alcuni
concetti basilari per intraprendere questo
meraviglioso cammino.

In alcuni punti vi sono riferimenti espliciti alla


situazione brasiliana, come quando viene trattata
l’esperienza iper-inflazionaria vissuta dal paese tra
gli anni Sessanta e Novanta, o quando in alcuni
esempi si utilizza la moneta (il Real, R$). Nella
misura del possibile, abbiamo cercato di adattare
alcuni esempi alla realtà italiana o di spiegarli in
modo che diventassero intelligibili per il nostro
lettore.

Ad ogni modo, in molti degli esempi e delle


situazioni descritti, se il nome della moneta
venisse cambiato in “Lira” e alcuni numeri fossero
leggermente diversi, probabilmente il nostro
lettore non sarebbe in grado di percepire che si

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tratti della situazione brasiliana piuttosto che
italiana, tale è l’analogia tra le politiche attuate dai
due Paesi nelle ultime decadi.

La predilezione per l’inflazione, per le soluzioni


facili, per il populismo economico e per le miopi
soluzioni a breve termine, purtroppo, non
possiede passaporto, si tratta di problemi che
affliggono tutti, tanto nell’emisfero nord, quanto
nell’emisfero sud.

Spero che leggere questo libro faccia piacere a voi


come a noi ha fatto piacere lavorare alla sua scelta,
alla discussione dei suoi capitoli, alla sua
traduzione e all’opera di revisione. È stato un
lavoro piacevole e ritengo che per un lettore
attento esistano vere perle da poter trarre da
queste semplici e leggere lezioni.

Spero anche che questo rappresenti per voi tutti il


primo passo nel mondo della Scuola Austriaca e
finanche nel mondo del liberalismo in generale. E
spero soprattutto che, a partire da questo primo
passo, vi sentiate stimolati a percorrere la lunga
via della Libertà insieme a noi.

Buona lettura!

Marzo, 2020
12
Edson Netto Freitas Amaral

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PREFAZIONE
Senza dubbio avrai già percepito l’importanza
dell’economia. Essa è quotidianamente presente
nelle nostre vite: quando andiamo al panificio o al
cinema, quando compriamo una maglietta al
centro commerciale, quando vendiamo qualcosa a
qualcuno, quando preleviamo soldi in banca,
quando facciamo un bonifico, etc. Tutte queste
operazioni e, per estensione, tutte le azioni che
realizziamo nel campo dell’economia, vengono
decise, nella grande maggioranza dei casi, in base
a intuizione, esperienza, desideri o preferenze
personali. L’importanza dello studio
dell’economia è enorme, perché, quando
l’economia “va bene”, le persone stanno
migliorando la propria vita ed allo stesso tempo il
Paese, nel linguaggio degli economisti, sta
crescendo. Invece, quando l’economia va male, si
avrà un impoverimento (della persona e/o del
Paese). Ma è importante capire che esiste
un’economia del mondo reale o pratica, che si
svolge a partire dalle azioni di milioni di persone
ogni giorno, e un’economia più teorica, quella
studiata dagli economisti e che si trova nei libri.
Per la Scuola Austriaca di Economia, tuttavia, la
seconda ha senso soltanto nella misura in cui
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riesce a spiegare la prima. Ciò vuol dire che il
ruolo principale dell’economia teorica dev’essere
quello di spiegare l’economia del mondo reale.

È esattamente con questo obiettivo – quello di


aiutarti a capire l’economia quotidiana, di pensarla
in una maniera più articolata – che l’Instituto
Ludwig von Mises Brasil ha ideato le Dieci Lezioni
Fondamentali di Economia Austriaca. Come indica il
nome, si tratta di dieci piccole lezioni sui temi più
rilevanti dell’economia, scritte in modo tale che
coloro che non sono economisti possano avere un
accesso facile e senza complicazioni alle
conoscenze essenziali della Scuola Austriaca di
Economia, che certamente aiuteranno a
comprendere in maniera più approfondita il
mondo dell’Economia.

Al giorno d’oggi nel mondo accade spesso che, nel


corso della propria istruzione e formazione, i
giovani vengano indottrinati con principi quali “i
capitalisti sfruttano i lavoratori” e “gli uomini
d’affari sono degli approfittatori”, ricavandone
una visione distorta della storia dell’uomo. I
giovani di oggi raramente hanno accesso a una
versione più imparziale della storia, che insegni
come le attività degli imprenditori possano
essere importanti e vantaggiose per tutti, creando

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nuovi posti di lavoro e soddisfacendo le esigenze
dei consumatori.

Il corso Dieci Lezioni Fondamentali di Economia


Austriaca ti dimostrerà che, al contrario di quanto
tu possa credere, non devi startene seduto in
attesa che il governo faccia cadere la formula della
tua felicità dal cielo, piuttosto, che debba tu stesso
entrare in azione e prendere in mano le redini
della tua vita.

Il corso è diretto a tutti i “non addetti ai lavori”, a


coloro che non sono economisti e non hanno
seguito corsi di economia durante il proprio
percorso di studi.

Saranno dieci lezioni, scritte in un linguaggio


semplice e accessibile, con indicazioni di letture
aggiuntive per coloro che sono interessati ad
approfondire le tematiche discusse.

La struttura del corso è la seguente:

1. Economia e Istituzioni

2. Cosa sono l’Economia, la Scarsità, le Scelte


e il Valore

3. Azione, Tempo e Incertezza

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4. Cosa sono i Mercati e come vengono
determinati i Prezzi

5. Gli Effetti del controllo dei prezzi

6. Profitto, Perdite e Imprenditorialità

7. Capitale, Interessi e Struttura di


produzione

8. Il ruolo della Competizione

9. Moneta e Prezzi

10. Banche, Banche centrali e Cicli economici

Alla fine del corso, il “diploma” che riceverai non


sarà una pergamena con il tuo nome, bensì una
conoscenza dal valore inestimabile che ti
accompagnerà per tutta la vita: la comprensione di
come funziona l’economia nel mondo reale. Se
corrispondi al profilo a cui è rivolto il corso, ti
invito a leggere e diffondere il libro tra i tuoi
conoscenti.

Maggio, 2013

Ubiratan Jorge Iorio

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PRIMA LEZIONE

ECONOMIA E ISTITUZIONI
Perché dobbiamo iniziare questo corso
dimostrando l’importanza delle istituzioni
nell’economia?

Un esempio: lo sapevi che gli italiani lavorano


fino al 2 Giugno ogni anno per pagare le tasse?1
Lo Stato sostiene che le entrate fiscali vengano
usate, per esempio, per finanziare l’istruzione, la
salute, il sistema giudiziario, la sicurezza pubblica
e le infrastrutture.

Ora rispondiamo onestamente: anche se siamo


obbligati a lavorare praticamente 5 mesi l’anno
esclusivamente per il governo, abbiamo risultati
soddisfacenti riguardanti l’istruzione? Cosa ne
pensiamo della salute pubblica? Il sistema
giudiziario è efficiente, funzionale? Viviamo in
sicurezza? Le nostre strade, i nostri porti, le
ferrovie e i ponti sono sufficienti, efficienti e
affidabili?

1 https://www.money.it/tax-freedom-day-2-giugno-2018-italiani-
liberi- dalle-tasse

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E, principalmente: questi 5 aspetti devono
necessariamente essere appannaggio dello
Stato? Dobbiamo per forza lavorare 5 mesi gratis,
senza poter ricevere i frutti del nostro lavoro,
affidandoci alle “oculate” scelte del governo?

Facciamo un altro esempio: un lavoratore italiano


con uno stipendio mensile netto di 1.350 euro
costa mensilmente 2.357 euro all’impresa (quasi il
doppio di quanto viene pagato)2. Ciò succede
perché ci sono contributi sociali e imposte varie
che gravano sullo stipendio. Il risultato è logico:
invece di assumere due operai, il datore di lavoro
ne assumerà soltanto uno. Alla fine, dunque,
questi oneri fanno sì che ci sia un soffocante livello
di tassazione che a sua volta provoca un aumento
della disoccupazione e, di conseguenza, danneggia
enormemente l’economia.

Quando in economia sottolineiamo l’importanza


delle istituzioni, vogliamo evidenziare come gli atti
economici siano influenzati da fattori politici, etici,
morali, giuridici, psicologici, storici, sociologici,
etc. Quando incontri difficoltà nel comprare un

2
CGIA di Mestre, I dipendenti costano all’impresa quasi
il doppio dello stipendio erogato, 2017.

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prodotto importato, la ragione risiede sempre in
una determinata scelta politica, che ha stabilito un
processo burocratico e/o oneroso; quando ti rifiuti
di comprare un prodotto che sai che è stato
oggetto di furto, è un’imposizione etica, della tua
coscienza, che ti impedisce di farlo; quando firmi
un atto di acquisto di proprietà, lo fai in virtù
dell’esistenza di una legislazione riguardante tale
tema; quando compri una maglietta e decidi di
comprarne un’altra identica, perché credi che la
prima ti abbia portato fortuna, si tratta di una
decisione influenzata da fattori psicologici, e così
via.

Per questo motivo, diversi studiosi della società di


solito le dividono, a fini didattici, in tre grandi
sistemi: il sistema economico, il sistema politico e
il sistema etico-morale-culturale. Il primo è
formato dall'economia, cioè da tutte le transazioni
economiche, dalle più semplici alle più complesse;
il secondo dalla politica, cioè dai partiti, dalla
forma di governo, dalla divisione dei poteri etc. e
il terzo dalle regole morali e dalle caratteristiche
culturali, che finiscono per riflettersi nelle leggi.

Ognuno di questi grandi sistemi cambia in modo


particolare nel tempo e ha regole di condotta,
metodi, standard e obiettivi peculiari e spesso

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contrastanti. È da questo contrasto che scaturisce
l'energia per il progresso e per la correzione delle
distorsioni che alla fine sorgono. Quando uno o
due di questi sistemi non funzionano bene, il resto
può sostenere la vita sociale per qualche tempo,
ma quando tutti e tre presentano gravi problemi,
la società diventa instabile.

È facile capire che, di questi tre sistemi, quello


etico-morale-culturale è il più importante, perché
quando va male, è molto difficile che l'economia e
la politica funzionino correttamente. Per esempio,
una regola morale che dovrebbe prevalere in ogni
società che si rispetti è quella che vieta il furto e la
corruzione. Se questa regola viene disobbedita in
modo generalizzato, è chiaro che i furti e la
corruzione contamineranno l'economia e la
politica e ci sarà il caos nella società.

In Italia, così come in tanti Paesi al mondo, le


istituzioni scoraggiano chi vuole lavorare per
migliorare le proprie condizioni di vita. Anziché
essere un motore della crescita che favorisca la
libera concorrenza, il libero mercato e il progresso,
le istituzioni sono diventate parassitarie, cioè volte
soltanto ad assorbire la ricchezza nazionale per poi
concentrarla nelle mani dei pochi che comandano
lo Stato: i politici e le grandi aziende che danno

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sostegno economico a questi (il cosiddetto crony
capitalism, il corporativismo).

Per tutto ciò, è importante tenere in conto che


l’architettura istituzionale di una società può
favorire o seppellire, fin dalla nascita, lo sviluppo
socioeconomico di una nazione.

Ci sono due modi per affrontare le questioni


sociali. La prima, che possiamo chiamare
costruttivismo (o ingegneria sociale), si basa sull’idea
che la mente e la ragione umana siano capaci, da
sole, di permettere agli uomini di costruire una
“società ideale”. Un esempio di questo tipo di
visione è il socialismo-comunismo, come nei casi
dell’ex URSS, di Cuba, della Corea del Nord e del
Vietnam del Nord. Un altro esempio di
costruttivismo è la Germania Nazista. Come si può
intuire, chi crede che le persone possano costruire
una società ideale deve, per forza, credere pure
che il potere per prendere le decisioni considerate
“giuste” e “migliori” per tutti debba rimanere
nelle mani di pochi. Non è a caso che tutti gli
esempi sopracitati siano di famose e orribili
dittature con forte concentrazione del potere, sia
nelle mani di un partito (come quello comunista o
quello nazional-socialista, che era il nome del
partito nazista) o, anche, di una sola persona.

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La seconda maniera di vedere le questioni sociali
può essere chiamata razionalismo critico:
razionalismo perché riconosce l’uomo come essere
razionale, critico perché riconosce anche che la
nostra mente e la nostra intelligenza sono fallaci,
ovvero che gli uomini sbagliano anche quando
hanno le migliori intenzioni.

Se noi sbagliamo (ad esempio, quando compriamo


una TV di bassa qualità), perché quale motivo
dovremmo supporre che le persone al governo
non sbaglino e loro siano capaci di reggere un
intricato e delicatissimo organismo sociale? Come
potrebbero sapere cos’è meglio per te e per la tua
famiglia più di te stesso? Come possono credere di
poterlo fare e di farlo bene per milioni di persone?

Infatti, diceva Friedman, sottolineando


l’irrazionalità della spesa pubblica, che ci sono
quattro modi per spendere il denaro:

Il primo modo è quando spendi il tuo denaro per


comprare una cosa per te stesso. In questo caso, senza
dubbio, starai attento sia alla qualità sia al prezzo
della merce. Non vuoi certo rimediare una fregatura.

Il secondo modo è quando spendi il tuo denaro, ma per


qualcun altro, quindi per fare un regalo. Starai
abbastanza attento, anche in questo caso, sia al

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prodotto sia al suo costo, perché non vuoi fare una
brutta figura né vuoi svenarti.

Il terzo modo è quando spendi il denaro di qualcun


altro per te stesso. Qui starai bene attento alla qualità,
ma un po’ meno ai prezzi: tanto non paghi tu… Ed è
probabile che ci scappi un pranzo nel miglior
ristorante della città.

Il quarto è quando spendi il denaro di qualcuno per


qualcun altro ancora. È la spesa pubblica, cari miei:
nessun controllo sulla qualità, nessun limite, nessun
argine agli sprechi.

Oltre a non essere infallibili in tutte le decisioni


che prendiamo, c'è un altro fattore che condiziona
queste decisioni, ed è il livello della nostra
conoscenza di tutti i fattori che influenzano le
nostre decisioni. La nostra conoscenza non è mai
perfetta e, inoltre, cambia con il passare del tempo.
Pertanto, qualsiasi decisione possa essere la
migliore alle tre del pomeriggio, potrebbe essere
una pessima decisione due o tre ore dopo. Inoltre,
decidere in merito a qualche azione economica è
sempre una questione personale, molto diversa
dalle decisioni di ingegneria o di chimica. Con
questo, vogliamo che vi rendiate conto che
l'economia, vista come scienza, è una scienza
sociale, non una scienza esatta, che non è soggetta

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a leggi matematiche e non è una scienza naturale,
meccanica e impersonale.

Un altro aspetto che dimostra l’equivoco del


costruttivismo risiede nel fatto che l’economia
riguarda sempre decisioni di individui, decisioni
personali, in quanto gli esseri umani sono,
logicamente, individui. Il costruttivismo vede le
persone come se fossero collettivi astratti (ad
esempio “la società”). Infatti, la società esiste –
caratterizzata dalla somma degli individui che di
essa fanno parte – ma chi prende le decisioni
economiche (o meglio, tutte le decisioni) non è
questa, ma gli individui.

Negli alveari, nei termitai e nei formicai, ogni ape,


termite e formica non “pensa” a sé stessa ma alla
collettività. Tutto quello che fanno è in favore
dell’alveare, del termitaio o del formicaio. La
stessa cosa non succede agli uomini, perché essi,
come di regola generale, pensano innanzitutto ai
propri desideri, poi a quelli della loro famiglia, poi
a quelli degli amici e conoscenti, poi a quelli del
quartiere e così via. La società viene per ultima e,
generalmente, posta come risultato indiretto di
quello che è già stato deciso in base alle
fondamenta precedenti. Il pensiero collettivista
(socialista, comunista, nazional-socialista, etc.),

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dunque, tratta gli esseri umani come se fossero
api, termiti o formiche, senza l’individualità che li
caratterizza e che li nobilita: è, perciò, un sistema
profondamente disumano. Ed è anche per questo,
oltre agli svariati fattori economici (come
l’impossibilità del calcolo economico nel
socialismo), che tale sistema ha fallito in tutti i
Paesi in cui è stato imposto e fallirà sempre, se
verrà imposto nuovamente!

L’esperienza storica, che la Scuola Austriaca


sostiene, dimostra che il principale “ingrediente”
affinché le economie raggiungano il progresso è la
libertà di scelta. Le istituzioni di un Paese saranno
sane soltanto in un ambiente permeato dalla libertà
di scelta. Come vedremo nella seconda lezione, la
nostra vita è piena di scelte fatte fin dalla culla
(quando scegliamo di giocare con il giocattolo blu
anziché con quello rosso), fino alla scelta del corso
universitario, del proprio lavoro, della propria vita
sentimentale etc. Ogni volta che le persone fanno
una scelta, sia nel campo economico (come
comprare una penna) sia negli altri (come decidere
chi votare), esse pensano che, in quel momento,
quella scelta è l’opzione migliore per aumentare la
loro soddisfazione (la scelta ottimale). Maggiore è
la nostra libertà di scelta, maggiore è la possibilità
di essere più soddisfatti, di fare sì che gli altri
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siano soddisfatti e di far progredire l’economia nel
suo insieme.

Quando le telecomunicazioni erano controllate


dallo Stato, c’era soltanto un’azienda telefonica
che operava nella tua città, dovevi aspettare
un’eternità affinché installassero una linea
telefonica nella tua casa, i prezzi erano altissimi e
non avevi neanche la possibilità di reclamare.
Dopo la privatizzazione del settore, la nostra
libertà di scelta è salita considerevolmente, la
competizione tra le aziende è aumentata e non
solo la qualità dei servizi è cresciuta, ma i prezzi si
sono anche ridotti. Oltre a tutto ciò, con l’entrata
di nuove aziende nel mercato, il numero di posti
di lavoro è aumentato enormemente.

Prova a cercare su Google se le persone che vivono


a Cuba hanno accesso ad una linea telefonica (fissa
o mobile). Capisci cosa intendiamo per libertà di
scelta? Non vogliamo certamente fare riferimento a
un concetto astratto che si può trovare soltanto nei
libri, ma a una realtà concreta che porti una serie
di cambiamenti positivi.

Infine, dobbiamo parlare dell'importanza della


proprietà privata per lo sviluppo individuale: se tu
fossi un contadino siberiano ai tempi del

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comunismo e una delle mucche (che erano di
proprietà del governo) stesse per morire di freddo,
difficilmente lasceresti il tuo letto alle due del
mattino per salvarla, perché la mucca non è tua, è
dello Stato. Ma se fosse tua, per prima cosa ti
assicureresti che non soffra il freddo, spendendo
per il riscaldamento, e in secondo luogo lasceresti
certamente il tuo letto per salvarla, in ogni caso.
Sai perché? Semplicemente perché ti appartiene!

Pertanto, la proprietà privata, la libertà di scelta e


l'economia di mercato sono fondamentali per il
miglioramento della vita delle persone e quindi
per uno sviluppo sempre maggiore delle società.
Spiegheremo l'economia di mercato in una delle
prossime lezioni. Per il momento, notiamo solo
che un'economia di mercato è un'economia in cui
prevale la libertà di scelta individuale su come
consumare o come produrre, risparmiare, investire
e, in altre parole, un'economia in cui lo Stato non
esercita il controllo. Questi controlli, come
vedremo a tempo debito, sono sempre malvagi,
contrariamente a quanto vi è stato certamente
insegnato.

Dopo queste osservazioni sull'importanza delle


istituzioni, siamo ora pronti per le nove lezioni
seguenti, in cui cercheremo di mostrare come

28
funziona l'economia del mondo reale.

Poiché l'uomo è nato per essere libero, per vivere


una libertà responsabile, le migliori istituzioni per
stimolare il miglioramento del tenore di vita delle
persone sono la libertà di scelta (l'economia di
mercato) e la proprietà privata.

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SUGGERIMENTI DI LETTURA

▪ Acemoglu, D., Johnson, S., Robinson, J. A.,


Perché le nazioni falliscono. Alle origini di
potenza, prosperità, e povertà

▪ Mises, L., Le 6 Lezioni di Politica Economica.


Riflessioni per oggi e per domani

▪ Bastiat, F., Ciò che si vede e ciò che non si vede

▪ Williams, W., Poverty is Easy to Explain

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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE E
IL DIBATTITO

1. Rifletti se è davvero così importante che,


per aprire un negozio di beni di consumo,
sia necessario ottenere un permesso dal
governo.

2. Credi che una persona che detenga tutto il


potere politico (per esempio, Fidel Castro a
Cuba) possa determinare ciò che è meglio o
peggio per te, in un modo migliore di
quello che decidi tu stesso?

3. Perché l'economia non è una scienza esatta?

4. Perché la libertà di scelta e la proprietà


privata sono così importanti per lo sviluppo
delle economie?

5. Pensa alla differenza tra un'economia


basata sugli individui e un'economia basata
sui "collettivi".

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SECONDA LEZIONE

L’ECONOMIA, LA SCARSITÀ,
LE SCELTE E IL VALORE

Abbiamo tutti obiettivi da raggiungere nelle nostre


vite, alcuni sono più semplici, come comprare un
gelato in centro, altri sono più complessi, come
scegliere la propria professione. Per raggiungere
questi obiettivi (o fini), tutti noi disponiamo di
mezzi e passiamo una parte considerevole del
nostro tempo cercando di capire come utilizzare
questi mezzi in maniera ottimale per raggiungere i
nostri fini. Allo stesso modo, l’economia cerca di
affrontare il rapporto tra fini e mezzi nel miglior
modo possibile.

Facciamo un esempio: supponiamo che tu


disponga di una determinata quantità di denaro e
che questo sia il tuo unico mezzo. Supponiamo
anche che tu abbia, in un determinato giorno, due
obiettivi (o fini), come comprare un nuovo
smartphone e iscriverti ad un corso di lingue. In
questo caso, dovrai per forza fare una scelta: o lo
smartphone o il corso di lingue! Di regola,
facciamo le nostre scelte verificando,
coscientemente o incoscientemente, quale delle
32
alternative ci darà una maggiore soddisfazione in
un determinato momento (che, in genere, è il
momento in cui la scelta viene fatta). Tale
soddisfazione, che deriva dal possesso e/o dall’uso
di un determinato bene, viene chiamata dagli
economisti utilità.

Effettuando la scelta, faremo una valutazione


assegnando un certo valore a ciascuna delle
opzioni e scegliendo quella con il valore più alto.
Tale valutazione è soggettiva, dipende dalle nostre
preferenze e dai nostri gusti personali, sebbene sia
influenzata anche dai prezzi delle alternative e dal
momento nel quale viene operata la scelta.
Supponiamo, a fine esemplificativo, che la tua
squadra di calcio abbia appena vinto la
Champions League e che tu ti trovi allo stadio: in
questo momento, il valore che attribuisci alla
bandiera della tua squadra è molto maggiore di
quanto sarebbe, per esempio, 6 mesi dopo. È per
questo che si dice che il valore è soggettivo e
cambia nel tempo.

Facciamo un altro esempio: per un pianista, il


valore soggettivo di un buon pianoforte è maggiore
del valore che gli attribuisce una persona a cui la
musica non piace, anche se il prezzo del pianoforte
è lo stesso per entrambi. Naturalmente, l’acquisto

33
del pianoforte da parte del pianista dipenderà dai
mezzi di cui dispone (soldi, spazio in casa in cui
sistemarlo, etc.) e dalle alternative o scelte che
dovrà fare (ad esempio, considerando la scarsità
dei mezzi, il nostro pianista potrebbe dover
scegliere tra comprare il piano o ristrutturare la
cucina).

Questo esempio è utile nella comprensione della


differenza tra prezzo e valore. Dunque, se nel primo
esempio la tua scelta è stata quella di comprare un
nuovo smartphone, fatto l’acquisto hai pagato al
negozio un prezzo ma portando a casa un valore.
Insomma, il prezzo è ciò che paghi per un
prodotto che desideri comprare, mentre il valore è
la soddisfazione soggettiva che il prodotto può
darti. Quindi, tale soddisfazione (o valore) è
differente dal prezzo e cambia da persona a
persona, come abbiamo visto negli esempi del
pianoforte e dello smartphone.

Ciò premesso, possiamo andare avanti col nostro


ragionamento: dal momento che ci sono persone
che non riescono a vivere senza uno smartphone e
persone che lo usano molto poco, il valore di uno
smartphone sarà maggiore per le prime – disposte
a pagare un prezzo più alto per averlo – mentre, in
un’ipotesi estrema, il secondo tipo di persone

34
potrebbe addirittura ritenere di non aver proprio
bisogno di un cellulare e, in tale caso, non sarà
disposto a pagare nemmeno un centesimo per
averne uno. Il prezzo è lo stesso, ma il valore che
le persone attribuiscono a un oggetto cambia (a
volte, infatti, il valore è zero per alcuni e
incommensurabile per altri).

Quando alla fine prendiamo una decisione,


scegliendo una tra le varie alternative possibili in
un determinato momento, realizziamo un’azione.
Ogni scelta comporta un’azione corrispondente.
L’economia, dunque, non è altro che lo studio
dell’azione umana, ossia lo studio delle scelte che
gli individui prendono, tenendo conto che i mezzi
e le risorse di cui dispongono non sono mai
sufficienti a soddisfare tutti i propri fini. Tale
fenomeno è conosciuto, nel linguaggio economico,
come scarsità e sta a significare che i mezzi saranno
sempre scarsi se paragonati ai fini, il che vuol dire
che non potremmo mai soddisfare tutti i nostri
desideri, giacché siamo limitati dai mezzi che
possediamo. In sostanza, l’economia è la scienza
che ci permette di comprendere i migliori modi
per affrontare il problema della scarsità.

Maggiore sarà lo sviluppo economico delle


Nazioni e maggiori saranno i mezzi e le risorse a

35
disposizione. Pertanto, le possibilità aumentano ed
anche i fini si moltiplicano, in questo modo il
problema della scarsità non cesserà mai di esistere.
Al giorno d’oggi possediamo molti più mezzi
rispetto ai nostri nonni, ma abbiamo anche più fini
(più necessità e desideri) rispetto a quelli che si
avevano un secolo fa. Dunque, anche se
guadagniamo più dei nostri nonni, abbiamo delle
necessità più costose che non esistevano all’epoca,
come, ad esempio, la TV via cavo, il computer, la
fibra internet, lo smartphone, il microonde, la
automobile, i viaggi in aereo, etc.

In sostanza, vogliamo enfatizzare che il problema


della scarsità ci accompagna da sempre – dalla più
remota Antichità – e continuerà ad accompagnarci.
La moltiplicazione straordinaria di mezzi e risorse
generata dal capitalismo non ha risolto il problema
della scarsità, perché – lo ripetiamo - i fini, i
desideri, le necessità crescono man mano che
aumentano i mezzi e le risorse.

A questo punto apriamo una piccola parentesi:


probabilmente avrai già sentito dire (magari dai
tuoi professori delle superiori) che il capitalismo
ha dato origine a una miseria generalizzata, a
scarsità ed allo sfruttamento di intere nazioni; la
realtà storica (che spesso si omette) ci dice

36
l’opposto. È stato proprio grazie al capitalismo –
con la sua costante promozione della capacità
imprenditoriale delle persone, con il suo
persistente stimolo alle invenzioni, all’efficienza,
alla scoperta di mezzi più economici, più veloci,
più sicuri – che milioni di persone si sono
riscattate dalla povertà estrema a partire della
Rivoluzione Industriale. La miseria è sempre stata
lo status disperato in cui versava la maggior parte
dell’umanità e oggi possiamo dire, per la prima
volta nella storia, che meno del 10% del pianeta si
trova sotto la soglia della povertà estrema.3

Il socialismo, un sistema che tramite l’egemonia


culturale si cerca di ficcare nella vostra testa come
il paradiso in terra, ovunque sia stato impiantato,
ha generato solo povertà, per giunta distribuita tra
tutte le persone. In questo sistema, che attacca la
dignità umana perché tratta le persone come
semplici oggetti (simili alle termiti, alle formiche e
alle api di cui abbiamo parlato nella lezione
precedente), le scelte degli individui sono
abbastanza limitate, quasi inesistenti. Ciò si deve
al fatto che nel socialismo spetta allo Stato il potere
di fare la stragrande maggioranza delle scelte:

3 https://data.worldbank.org/topic/poverty

37
quali saranno i beni prodotti, in quale quantità,
come e per chi verranno prodotti.

In questo schema di organizzazione economica, i


mezzi sono di proprietà dello Stato e agli individui
spetta al massimo soltanto la scelta, tra le poche
alternative che lo Stato lascia loro a disposizione.
In tale sistema, sarebbe opportuno non parlare di
prezzi, bensì di pseudo-prezzi. Questo perché i
prezzi, quelli veri, posso essere determinati
soltanto dal mercato, ossia dall’insieme di piccole
decisioni individuali che alla fine, come
un’orchestra in un ordine spontaneo, arrivano a un
risultato numerico. E il mercato, naturalmente,
esiste soltanto nella misura in cui esiste la
proprietà privata dei mezzi di produzione.

Dal momento che il sistema socialista non


riconosce la proprietà privata quale principio
fondante, in tale sistema non esistono i mercati
propriamente detti, ossia, i prezzi non vengono
determinati dalla moltitudine di decisioni prese da
venditori e compratori che agiscono liberamente.
Infatti, data l’assenza di prezzi in senso stretto, tale
sistema è guidato ciecamente dal governo che si
sostituisce al mercato nel compito di determinare i
pesi in quelle che altrimenti sarebbero libere
transazioni.

38
La nota impossibilità del calcolo economico nel
socialismo ha portato Ludwig von Mises, un grande
economista austriaco, ad affermare
categoricamente, intorno al 1920, che l’URSS
4

aveva un’economia guidata alla cieca e che


sarebbe durata per sei o sette decenni, alla fine dei
quali sarebbe scomparsa crollando come un
castello di carte, come in effetti è accaduto nel
1991. Ciò che valeva per l'Unione Sovietica varrà
per qualsiasi economia che adotterà il sistema
socialista. Possono durare un po', ma il loro
destino è l’autodistruzione. Vuoi forse che l’Italia
intraprenda questa strada?

Come possiamo notare, le libertà individuali sono


piuttosto limitate nei sistemi socialisti e ancora di
più quando i leader di quei sistemi decidono di
porre fine alla proprietà privata dei mezzi di
produzione, come hanno fatto in Unione Sovietica,
Cuba, Corea del Nord, Vietnam del Nord, per
molti anni in Cina (che sta gradualmente
ripristinando i diritti di proprietà) e in altri Paesi
sfortunati.

Nell'esempio dato, i mezzi sono monetari

4 Mises, L., Il calcolo economico nello Stato socialista

39
(denaro), ma sappiamo bene che non tutti i mezzi
o le risorse lo sono. Supponiamo che il tuo scopo
sia quello di partecipare a un concorso che
richieda una quota di iscrizione di 70 euro e un
diploma di scuola secondaria. In questo caso,
supponendo di avere i 70 euro e il diploma
richiesto, questi saranno i due mezzi necessari per
raggiungere il tuo obiettivo, che è quello di
iscriverti al concorso.

Abbiamo quindi acquisito alcuni concetti


fondamentali con cui l'economia si rapporta:
mezzi o risorse, fini, scarsità, utilità, scelte e
valore. Se hai capito ognuno di questi, sei pronto
per conoscere gli altri temi trattati dall’economia.

La definizione più nota di economia la


rappresenta quale scienza che studia come
utilizzare le risorse - che sono sempre scarse - per
raggiungere diversi fini. Si noti che in economia
abbiamo i fini ed anche i mezzi per raggiungerli,
ma l'economia come scienza deve essenzialmente
preoccuparsi dei mezzi. Pertanto, è una scienza
dei mezzi, dove i fini non sono determinati dalle
autorità o dai burocrati, ma dai consumatori;
poiché i consumatori hanno segnalato che
l'economia deve, ad esempio, produrre 80 milioni
di paia di scarpe all'anno, gli economisti si

40
preoccupano di come i mezzi o le risorse debbano
essere utilizzati per raggiungere tale fine.

I principali problemi che l'economia cerca di


risolvere sono: cosa produrre, quanto produrre e come
produrre. Le risposte più appropriate a queste
domande, come vedremo nelle lezioni seguenti, si
possono trovare solo nei mercati, dove le libere
azioni (scelte) di acquirenti e venditori si
incontrano su base volontaria.

41
SUGGERIMENTI DI LETTURA

▪ Infantino, L., L'ordine senza piano. Le ragioni


dell'individualismo metodologico

▪ Ridley, M., Un Ottimista Razionale

▪ Colombatto, E., L' economia che serve

▪ Rothbard, M.N., Che cos’è il Libero Mercato?

42
SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE E
IL DIBATTITO

1. Cosa sono i fini e i mezzi?

2. Qual è il problema della scarsità e quanto è


importante per l'economia?

3. Commentare: "il prezzo è una cosa, il valore


è un'altra".

4. Perché le economie socialiste presentano un


grave problema di calcolo economico?

5. Perché i mercati rispondono alle domande


fondamentali dell'economia (cosa produrre,
quanto produrre e come produrre) meglio
dei pianificatori statali?

43
TERZA LEZIONE

AZIONE, TEMPO E
CONOSCENZA
Nella lezione precedente abbiamo discusso il
concetto di azione e ora possiamo definirlo con
più precisione: l’azione, per la Scuola Austriaca di
Economia, è qualsiasi atto esercitato
volontariamente e con l’obiettivo di aumentare la
soddisfazione di chi lo esercita. Inoltre, nella
lezione precedente, abbiamo anche visto che gli
agenti – ovvero quelli che agiscono, siano essi
consumatori, produttori, investitori, risparmiatori,
esportatori, importatori, etc. – prendono le
decisioni nell’ottica secondo la quale i fini devono
superare i mezzi, ossia, devono tener presente che
le scelte vengono fatte in un ambito dove la legge
costante è quella della scarsità.

Ogni azione nei mercati presuppone che una scelta


venga fatta in un determinato momento e che
l’agente sia in possesso di alcuni mezzi e abbia
l’obiettivo di raggiungere alcuni fini. La teoria
economica presume che tutte le azioni siano
realizzate con l’aspettativa razionale che, nel caso
in cui si raggiunga il resultato desiderato, aumenti
44
la soddisfazione (utilità, nel linguaggio degli
economisti) degli agenti. Nessuno agisce col fine
di peggiorare la propria situazione, questo è ciò
che vogliamo chiarire.

Ora una domanda che può sembrare complicata:


che ne è di una persona che decide di uccidersi
saltando giù da un edificio altissimo? Quella
persona pensa che suicidandosi aumenterà la sua
soddisfazione? La risposta è sì! Perché i suoi
sentimenti soggettivi sono così scossi che pensa
che la morte sia la soluzione migliore. Certo che si
sbaglia, ma nel momento in cui decide di togliersi
la vita non se ne rende conto.

Allo stesso modo, San Francesco d'Assisi, quando


fece distribuire ai poveri i beni del padre, ricco
mercante, fece quell'azione perché pensava,
secondo la sua valutazione soggettiva, che
quell'azione gli avrebbe dato grande
soddisfazione. Il postulato dell'azione umana,
quindi, è universale! Ogni azione viene eseguita
con l'intenzione di aumentare il proprio stato di
soddisfazione.

Proviamo a perfezionare un po’ questo concetto:


ogni azione viene eseguita perché chi la esegue
pensa che la sua soddisfazione aumenterà.

45
Immaginiamo che l’agente abbia considerato i
propri mezzi e i fini che vuole raggiungere e abbia
deciso di mettere in pratica una determinata
azione (ad esempio, acquistare delle scarpe della
marca X). Può succedere che, dopo aver eseguito
tale azione, l’agente percepisca che la qualità del
prodotto non è veramente buona o che avrebbe
potuto pagare un prezzo molto minore per lo
stesso modello in un negozio online. In altre
parole, siccome la nostra conoscenza di tutti i
fattori che devono essere considerati durante
l’esecuzione di una data azione è incompleta, oltre
ad essere ripartita in modo disuguale tra gli
agenti economici, accade che le azioni si
verifichino perlopiù in ambienti di incertezza e,
quindi, sbagliando spesso.

L’economia del mondo reale, pertanto, non è altro


che l’insieme di tutte le azioni – acquisti, vendite,
prestiti, decisioni riguardanti la produzione, il
risparmio, l’investimento, etc. – realizzate sotto
forma di operazioni economiche, che comportano
scelte.

Tuttavia, queste scelte non sono sempre uguali nel


tempo! Immagina di non poter sopportare di
ascoltare musica rap, ma che un bel giorno inizi a
frequentare la figlia di un umile manovale di

46
Senigallia e dirimpettaio, nonché amico, della
famiglia di Fabri Fibra (e del fratello Nesli) ormai
star della città. Il tuo apprezzamento per la musica
"underground" cambia con il tuo approcciarti a
questo genere musicale ed alla percezione dello
stesso da parte del contesto culturale di cui è parte
anche la ragazza che ti ha fatto innamorare. Tu,
influenzato da fattori antieconomici come la
passione, inizi ad acquistare CD e DVD di tutti i
duetti rap e hip hop che trovi nei negozi. Sei mesi
dopo, vi lasciate. Molto probabilmente, butterai
via tutti i CD e i DVD che avevi comprato mentre
eravate innamorati. Quindi la tua scala di valori è
cambiata due volte in pochi mesi. Ciò accade con
la maggior parte dei beni e dei servizi che
dobbiamo valutare nel corso della nostra vita (per
fortuna, perché altrimenti la vita sarebbe più
noiosa).

Il passare del tempo, quindi, tende a influenzare


sensibilmente e in modi imprevisti le nostre scelte.
Il tempo può essere definito come un flusso
permanente e continuo di nuove esperienze: è
come se il nostro bagaglio di conoscenze e relative
interpretazioni fosse conservato in un serbatoio e
il tempo fosse una specie di rubinetto che riversa
nuove conoscenze e nuove interpretazioni in
questo nostro bagaglio, che poi muta in modo
47
permanente; questo influenza le azioni nel tempo.
Ad esempio, se ti piace molto il cioccolato e mangi
due barrette enormi in una volta sola,
probabilmente sentirai dei dolori allo stomaco. La
prossima volta mangerai a malapena una barretta
alla volta.

Infine, dobbiamo considerare che, come ci ha


insegnato il grande economista austriaco Hayek, la
nostra conoscenza (quella necessaria per decidere
le azioni economiche che prenderemo) ha due
caratteristiche: è incompleta ed è diffusa in modo
ineguale tra gli agenti del mercato.

Ora, se le nostre conoscenze sono incomplete,


risultano insufficienti allo scopo di prendere tutte
le decisioni riguardanti una determinata azione
con l’assoluta certezza che esse siano quelle giuste.
Essendo tali conoscenze ripartite in modo
disuguale tra i partecipanti al mercato, allora
alcuni disporranno di informazioni più accurate di
altri e ciò condizionerà la percentuale di errori tra
gli individui. Inoltre, anche se tutti i partecipanti
nel mercato disponessero esattamente delle stesse
informazioni, cioè delle stesse conoscenze, ognuno
di loro interpreterebbe questi dati in maniera
soggettiva perché l’individuo è razionale, ha gusti
e preferenze proprie, valorizza il possesso del

48
denaro in modi differenti ed è influenzato da
diversi fattori esterni, etc. Siamo, insomma, unici.

La conclusione è che ci sarà sempre un livello di


incertezza insito al processo di scelta delle azioni
ottimali, cosa che si nota anche al di fuori del
campo dell’economia. Tale incertezza, che si
palesa nell’aziona umana, non è un’incertezza
misurabile numericamente (come, ad esempio,
quando diciamo che la probabilità che esca “testa”
al lancio di una moneta in aria sarà del 50%). Nel
caso specifico dell’azione umana nei mercati,
trattasi di un’incertezza che chiamiamo incertezza
genuina, perché non possiamo associarle né
numeri né stime. Il corollario dell’incertezza
genuina è l’ignoranza: dobbiamo ammettere che,
per quanto istruiti possiamo essere, saremo
sempre ignoranti di alcune condizioni specifiche
(momentanee o meno) che risulterebbero
importanti affinché la nostra azione non sia
passibile di errori.

Possiamo concludere la nostra lezione di economia


con una definizione più raffinata: l’economia del
mondo reale non è altro che l’insieme di tutte le
azioni – acquisti, vendite, prestiti, decisioni
riguardanti la produzione, il risparmio,
l’investimento, etc. – realizzate sotto forma di

49
transazioni economiche unite alle scelte che
vengono fatte nel corso del tempo, realizzate in un
ambito di incertezza genuina. L’errore, l’incertezza
genuina, l’ignoranza, il fatto che i nostri giudizi di
valore cambino con il passare del tempo e altri
fattori ancora più complessi – e che non si limitano
all’economia stricto sensu – fanno sì che lo studio
dell’economia non sia per niente analogo allo
studio di una qualsiasi scienza naturale. Detto ciò,
bisogna essere cauti quando si usa la matematica
per descrivere un comportamento economico,
giacché l’economia è permeata da un livello di
incertezza a volte incommensurabile: nessun
modello matematico sarà capace di spiegare per
quale ragione hai deciso di comprare una
maglietta della Juve, anziché una dell’Inter.

La Scuola Austriaca rigetta l’uso della matematica


nell’economia perché fa uso del criterio ipotetico-
deduttivo (ossia, non usa il criterio induttivo) e
perché adotta il falsificazionismo. In altre parole, i
pensatori austriaci formulano una teoria in base ad
argomenti logici e ritengono che tale teoria sarà
considerata corretta finché non verrà rifiutata (o
falsificata) dai fatti del mondo reale. È un approccio
assolutamente diverso da quello di altre scuole di
pensiero economico, che si basano su complessi
modelli matematici per (provare a) descrivere il
50
comportamento umano nel mondo reale.

Azione, tempo e conoscenza: ecco l’universo


dell’economia!

51
SUGGERIMENTI DI LETTURA

▪ Mises, L., L’Azione Umana

▪ Butler, E., La Scuola austriaca di economia:


Un'introduzione

▪ Rothbard, M.N., L’Etica della Libertà

▪ Piombini, G., Gagliano, G., Riscoprire la


Scuola Austriaca di economia

52
SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE E
IL DIBATTITO

1. Perché ogni azione è una scelta?

2. La definizione di azione è sempre valida o


ammette eccezioni?

3. Quanto è importante l'incertezza per le


scelte che caratterizzano l'azione?

4. Commentare: "il tempo è conoscenza, il


tempo è esperienza".

5. Definire l'economia secondo i tre concetti


presentati.

53
QUARTA LEZIONE

COSA SONO I MERCATI E


COME VENGONO
DETERMINATI I PREZZI

Per definire i mercati useremo le parole di Ludwig


von Mises, che ha stabilito una definizione
semplice, completa e didattica per descriverli. La
grandezza di questa definizione sta nella sua
semplicità, che dimostra che l'economia è
effettivamente qualcosa di semplice e addirittura
intuitivo, quando si ha l'umiltà di riconoscerlo.

L'economia di mercato è il sistema sociale


basato sulla divisione del lavoro e sulla
proprietà privata dei mezzi di produzione.
Ognuno agisce per conto proprio; ma le azioni di
ognuno cercano di soddisfare sia i propri bisogni che
quelli degli altri. Nell'agire, ognuno serve i suoi
concittadini. D'altra parte, tutti sono serviti da loro.
Ognuno di essi è sia un mezzo che un fine; un fine
ultimo in sé e un mezzo per il raggiungimento dei
propri fini da parte degli altri.

Questo sistema è guidato dal mercato. Il mercato


guida le attività degli individui in modo da

54
soddisfare al meglio le esigenze dei loro simili.
Non c'è né costrizione né coercizione nel
funzionamento del mercato. Lo Stato, l'apparato
sociale di coercizione e costrizione, non interferisce
nelle attività dei cittadini, che sono dirette dal
mercato. Lo Stato usa il suo potere esclusivamente allo
scopo di impedire alle persone di intraprendere azioni
che danneggino la conservazione e il funzionamento
dell'economia di mercato. Protegge la vita, la salute e
la proprietà dell'individuo da aggressioni violente o
fraudolente da parte di malfattori interni e nemici
esterni. Pertanto, lo Stato si limita a creare e
preservare l'ambiente in cui l'economia di mercato
può funzionare in modo sicuro.

Il professor Mises continua:

Il mercato non è un luogo, una cosa, un'entità


collettiva. Il mercato è un processo, guidato
dall'interazione delle azioni dei vari individui
che cooperano sotto il regime della divisione del
lavoro. Le forze che determinano la - sempre variabile
- situazione del mercato sono i giudizi di valore degli
individui e le loro azioni basate su tali giudizi di
valore. La situazione di mercato in un dato momento è
la struttura dei prezzi, cioè l'insieme delle relazioni di
scambio stabilite dall'interazione di chi è disposto a
vendere con chi è disposto ad acquistare. Non c'è
nulla, in relazione al mercato, che non sia umano, che
sia mistico. Il processo di mercato deriva

55
esclusivamente da azioni umane. Ogni fenomeno di
mercato è riconducibile alle scelte specifiche fatte dai
membri della società di mercato.

Il processo di mercato è l'adeguamento delle


azioni individuali dei vari membri della società
alle esigenze della cooperazione reciproca. I
prezzi di mercato informano i produttori su cosa
produrre e in quale quantità. Il mercato è il
punto focale dove convergono e da dove si
irradiano le attività degli individui.

Bene, dopo questi quattro paragrafi sei pronto a


cercare di rispondere a una domanda molto
importante: cosa determina il valore di un bene o
di un servizio nel mercato?

Saranno forse i costi per produrre quel bene o quel


servizio? No, perché una persona può dover
sostenere costi molto elevati per produrre
qualcosa, ma se i consumatori non vogliono
comprarla (nel linguaggio degli economisti: se vi è
la domanda per quella cosa), il suo prezzo e il suo
valore saranno pari a zero.

Dunque, se non sono i costi, saranno le ore di


lavoro impiegate nella produzione del bene o del
servizio? Né l'uno né l'altro, e il motivo è lo stesso!
La produzione di un determinato bene può

56
dipendere da una quantità di lavoro colossale, ma
se nessuno vuole comprare quel bene, esso, di
conseguenza, non avrà alcun valore.

Accidenti, se non sono i costi e non sono le ore


impiegate nella produzione del bene a
determinare il valore di un bene o di un servizio,
allora sarebbe il valore morale? Assolutamente no.
Infatti, basta osservare che ci sono beni e servizi
che non hanno alcun valore morale (sotto l’ottica
sociale standard) e che comunque hanno valori
molto alti sul mercato, anzi, spesso i prodotti
considerati “immorali” possiedono un valore
elevato nel mercato, ciò si deve all’elevata
domanda.

Sarà quindi il valore estetico? La risposta, sempre


per i motivi precedenti, è negativa! Un biglietto
per una partita di calcio può costare molto di più
di un biglietto per assistere a un concerto di
Vivaldi, ad esempio.

In tal caso, sarà la scarsità? Può sembrare di sì, ma


anche in questo caso la risposta è negativa. La
scarsità, non essendo una quantità aritmetica
specifica (o intrinseca) di un determinato bene,
dipende dalla domanda. Sicuramente avete a casa
un disegno che avete fatto da bambini, uno solo.

57
Eppure, tale disegno potrebbe non avere alcun
valore, perché nessuno potrebbe voler comprarlo.

Se non è la scarsità, allora è l'utilità? Ecco, ci


stiamo arrivando, ma questa non è ancora la
risposta giusta! L'utilità di per sé non significa
nulla nel mercato, a meno che non venga
collegata alla domanda. Ci sono cose molto utili,
ma che non possiedono comunque alcun valore
monetario, come l'aria che respiriamo. Infatti, un
vecchio libro di economia può avere un valore
molto alto per me, ma per altre persone può essere
del tutto inutile.

Ecco, come si può già intravedere, dal punto di


vista del mercato ciò che conta non è esattamente
l'utilità oggettiva, ma l'utilità soggettiva, quella
che viene valutata personalmente da ogni singolo
individuo.

Il valore di un bene o di un servizio nel mercato


dipende dalla scelta tra quel bene o servizio e
svariati beni e servizi alternativi. Quando facciamo
delle scelte, cioè quando agiamo, lo facciamo
pensando che quella scelta (o quell'azione) ci darà
una soddisfazione maggiore rispetto ad altre.
Ovvero che l’acquisto di un determinato bene
produrrà una soddisfazione maggiore rispetto

58
all’acquisto degli altri beni alternativi. Ma poiché
le nostre scelte sono individuali e soggettive, sia
perché le nostre conoscenze non sono perfette sia
perché le nostre azioni si svolgono nel tempo e
tendono a incorporare nuove conoscenze,
corriamo sempre il rischio di incorrere in errori.

Siamo comunque arrivati alla risposta che


cercavamo: il valore dipende da una
combinazione tra utilità e scarsità, oppure, nel
linguaggio degli economisti, dipende dall'utilità
marginale, intesa come la soddisfazione fornita
dall'ultima unità di un dato bene in un
determinato momento nel tempo.

Dunque, ad esempio, se si offre, alle tre del


pomeriggio, un vassoio pieno di bicchieri d'acqua
a qualcuno che sta morendo di sete, quella
persona attribuirà al primo bicchiere un valore
maggiore rispetto al secondo, al secondo un valore
maggiore rispetto al terzo, al terzo un valore
maggiore rispetto al quarto e così via.
Supponendo che questa persona beva, alle tre del
pomeriggio, sei bicchieri di fila e rifiuti il settimo,
possiamo dire che il valore del settimo bicchiere,
alle tre del pomeriggio, era pari a zero. Ma se
chiediamo alla stessa persona, cinque ore dopo,
davanti allo stesso vassoio, se vorrebbe bere

59
dell’acqua e lei risponde affermativamente, allora
il valore di quella settima tazza (che ora sarà la
prima) sarà già positivo e maggiore rispetto al
valore dell'ottava (che ora sarà la seconda), il
valore dell'ottava sarà maggiore rispetto al valore
della nona (che ora sarà la terza) e così via.

Vediamo così che il valore dipende da una


combinazione di utilità e scarsità, una
combinazione sintetizzata dal concetto di utilità
marginale, scoperto nel 1871 da Carl Menger
(fondatore della Scuola Austriaca), da William
Stanley Jevons e da Leon Walras. Perché il primo
bicchiere d’acqua possedeva un valore superiore a
quello dei bicchieri successivi a quell'ora? In
parole semplici, perché l’acqua era scarsa, perché
quella persona stava morendo di sete ed anche
perché quel bene era molto utile. Ma bisogna
sottolineare che ogni bicchiere bevuto in più aveva
un'utilità minore (nel margine, di quella unità
aggiuntiva) rispetto al precedente.

E cosa si può dire riguardo ai prezzi? Ci sono


alcuni concetti che pensiamo di aver
padroneggiato ma che, in senso stretto,
conosciamo solo superficialmente. Cosa sono i
prezzi? Nella loro essenza, sono il risultato
dell'azione di individui e gruppi di individui che,

60
agendo intuitivamente nel proprio interesse,
compiono le loro scelte economiche, come
abbiamo già osservato, partendo dal presupposto
che esse sono, a priori, le migliori possibili, tenendo
in considerazione lo stato di conoscenza e le
motivazioni di tali individui (o gruppi di
individui) in ogni specifico momento nel tempo.

Pertanto, tutti i prezzi che conosciamo sono prezzi


passati, semplici fatti della storia economica.
Quando si parla di prezzi attuali, è implicito che si
presupponga - anche inconsapevolmente - che i
prezzi dell'immediato futuro non saranno diversi
da quelli del recente passato. E tutto ciò che
diciamo sui prezzi futuri non è altro che
un'illazione che dipende da una nostra particolare
visione riguardo a eventi ancora incerti. I prezzi,
dunque, sono il risultato dell'azione umana, delle
scelte interattive di milioni di individui sul
mercato, nel tempo e in condizioni di incertezza;
quindi possiamo concepirli come tali solo quando
sono liberamente determinati da questa
interazione e in queste condizioni.

Quando il governo interviene nel processo di


mercato determinando un qualsiasi prezzo, in
realtà ciò che esso stabilisce non è un prezzo
genuino, ma uno pseudo-prezzo, che non riflette il

61
vero valore del rispettivo bene o servizio. Ciò
avviene con la Fed (la Banca Centrale americana),
che controlla il tasso di interesse americano; con il
Partito Comunista, che ha imposto per più di
settant'anni lo stesso “prezzo” per il biglietto della
metropolitana di Mosca; con i congelamenti di
prezzi degli anni '80 e dei primi anni '90 in Brasile,
o con la Petrobras, che fissa artificialmente il
prezzo della benzina e di altri derivati del petrolio.

Prima o poi la realtà viene alla luce e punisce la


menzogna. In questi casi il castigo invariabilmente
prende la forma dell’assenza di un reale
coordinamento economico, dell'inflazione,
dell’aumento della disoccupazione e dei cicli
economici. Questi insegnamenti degli economisti
austriaci, elementari e di logica impeccabile, sono
stati trascurati proprio perché sono semplici ma
portano a vedere l'interventismo statale come quel
che effettivamente è: una pratica di "ingegneria
sociale", sempre sbagliata e perniciosa.

62
SUGGERIMENTI DI LETTURA

▪ Menger, C., Denaro

▪ Mingardi, A., La Verità, vi prego, sul


Neoliberismo

▪ Colombatto, E., L' economia di cui nessuno


parla. Mercati, morale e intervento pubblico

▪ Infantino, L., Metodo e mercato

63
SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE E
IL DIBATTITO

1. Perché diciamo che i mercati guidano le


persone a soddisfare meglio i bisogni dei
loro simili?

2. Che cos’è il processo di mercato?

3. Commentare: "il valore dipende dall'utilità


marginale, una combinazione di utilità e
scarsità".

4. Perché il valore soggettivo cambia con il


passare del tempo?

5. Perché tutti i prezzi che conosciamo sono


prezzi passati?

64
QUINTA LEZIONE

GLI EFFETTI DEL


CONTROLLO DEI PREZZI
Una domanda molto importante è: quanto
dev’essere grande (e di che tipo) la conoscenza da
parte degli agenti economici, affinché si possa
parlare di un perfetto coordinamento e di
equilibrio del mercato tra gli agenti stessi?
Il ruolo del mercato è quello di servire quale
processo attraverso cui, per tentativi, sia le
conoscenze sia le aspettative dei diversi membri
della società diventano gradualmente più
compatibili nel corso del tempo. In ragione di ciò,
vi è l'importanza fondamentale, da un lato, del
sistema dei prezzi, che ha il ruolo di emettere dei
segnali affinché i vari partecipanti al processo di
mercato possano coordinare i loro piani nel tempo
e, dall'altro, della concorrenza, come unico mezzo
affidabile per scoprire informazioni realmente
rilevanti.

Evidentemente, l'ignoranza generata dalla scarsità


di conoscenza - e che si relaziona al processo di
scambio - farà in modo che diversi piani falliscano,
cosicché la tendenza verso un maggior grado di
65
coordinamento dipenderà, da un lato, dalla
capacità di ogni agente di imparare dai propri
errori e, dall'altro, dalla sua capacità di sostituire i
piani precedentemente falliti con piani
progressivamente più corretti.

I prezzi, quindi, sono recepiti dai partecipanti ai


mercati come segnali che indicano se le loro azioni
sono corrette e se possono essere migliorate nel
decorso del tempo. Molti economisti parlano di
prezzi di equilibrio, vale a dire quei prezzi che
teoricamente eguaglierebbero le quantità richieste
e offerte di un bene. Ma la grande verità è che nel
mondo reale non ci sono prezzi di equilibrio,
perché l'economia è dinamica; il passare del
tempo è un fatto a cui non si può sfuggire e
l'incertezza non può essere ignorata.
Pertanto, per la Scuola Austriaca che è
essenzialmente dinamica, non ci sono prezzi di
equilibrio; ciò che esiste sono prezzi che
convergono verso l'equilibrio, in un processo di
apprendimento, di prova ed errore, noto come
processo di mercato, al quale abbiamo già fatto
riferimento nella lezione precedente.

Per vedere come i controlli dei prezzi da parte dei


governi siano dannosi per l’economia,
immaginiamo un qualsiasi mercato (in questo

66
esempio quello brasiliano col il Real quale valuta),
considerando un bene essenziale: il mercato dei
fagioli. Supponiamo che questo mercato sia "in
equilibrio" e che il prezzo sia di X reais per
chilogrammo di fagioli. Supponiamo ora che il
popolo si lamenti giacché il prezzo X è molto alto.
Poiché il fagiolo è un elemento importante nella
culinaria brasiliana, il governo decide di stabilire
un prezzo massimo pari a X - Y, cioè, il governo
decreta che il prezzo massimo al quale il fagiolo
può essere venduto è ora inferiore al prezzo X
originale.

Di notte, al telegiornale, gli uomini di governo


annunciano a tutti: "Il nostro governo pensa ai
poveri; ora tutte le famiglie potranno comprare i
fagioli". L'intenzione può essere buona, ma i
risultati di misure del genere sono sempre
disastrosi. Vediamo.

Il prezzo più basso dei fagioli farà aumentare la


domanda di questo prodotto, perché molte
persone che non potevano comprarlo, pagando il
prezzo precedente (X), ora avranno i mezzi per
farlo. D'altra parte, poiché il prezzo dei fagioli è
sceso e i prezzi dei sostituti dei fagioli (lenticchie,
piselli, soia, etc.) sono rimasti costanti, è evidente
che i fagioli sono diventati relativamente più

67
economici di questi. Dunque, ad esempio, se
prima si potevano acquistare con dieci reais sette
chili di piselli e quattro di fagioli, ora si possono
acquistare con questi dieci reais gli stessi sette chili
di piselli, ma non altri quattro chili di fagioli, bensì
sei. Ciò significa che la domanda di fagioli
aumenterà e la domanda di sostituti dei fagioli
diminuirà. Avremo quindi un eccesso di domanda
di fagioli e un eccesso di offerta in ciascuno dei
mercati di sostituti dei fagioli.

In ragione di ciò, i prezzi dei sostituti dei fagioli


diminuiranno – ed eventualmente aumenteranno i
prezzi dei complementi di fagioli come la salsiccia,
la carne di manzo, etc.) – ma il prezzo dei fagioli,
che dovrebbe aumentare fino a un valore
superiore a quello iniziale X, sempre a causa della
domanda in eccesso, non aumenta perché è
tabulato a X - Y.

Risultato: le buone intenzioni del governo non


sono ancora riuscite a mettere i fagioli nella
pentola dei poveri. Chi vuole comprare i fagioli
ora, o dovrà farlo al mercato svegliandosi all'alba
oppure – cosa più comune in questi casi – dovrà
pagare un "aggio" per ottenere il prodotto. Dal
momento che i poveri non hanno i soldi per

68
pagare un aggio, se ne deduce che rimarranno
comunque senza il prodotto.

Ma non è tutto: col passare del tempo, le cose


peggioreranno per i poveri a causa
dell'interferenza del governo nello stabilire il
prezzo dei fagioli. Dal punto di vista dell'offerta,
cioè dei coltivatori di fagioli, coloro che producono
a costi più elevati (che di solito sono i piccoli
produttori) iniziano a subire perdite, perché il
prezzo fissato dal governo è inferiore ai costi di
produzione. Poiché nessuno lavora sapendo che
avrà delle perdite, questi produttori (e, col tempo,
sempre più produttori) smetteranno di produrre i
fagioli e inizieranno a piantare prodotti i cui
prezzi non sono previamente fissati sotto il valore
di mercato.
Il risultato finale è disastroso: la quantità di fagioli
venduta sul mercato è inferiore a quella iniziale, i
produttori hanno subito perdite e hanno chiuso le
attività, altri hanno iniziato a produrre altri
prodotti, alcuni agricoltori hanno perso il lavoro,
chi vuole consumare fagioli ora deve pagare un
aggio molto più alto e - che disastro! - un numero
maggiore di poveri rispetto all'inizio non sarà in
grado di comprare i benedetti fagioli.

69
La storia del tetto massimo ai prezzi si è ripetuta,
senza alcun cambiamento, per venticinque secoli
da Nabucodonosor di Babilonia passando per
Diocleziano a Roma fino ai leader della
Rivoluzione francese ed ai controlli e
congelamenti dei prezzi che il Brasile ha adottato
tra il 1986 e il 1991.

Nessuno di questi provvedimenti ha funzionato.


Nessuno funzionerà mai! Questo perché i prezzi,
intesi come tali, sono prezzi solo se determinati
volontariamente nei mercati, grazie alla libera
interazione tra compratori e venditori.

Ciò che abbiamo scritto riguardo ai fagioli è valido


per qualsiasi prezzo di beni e servizi: tassi di
interesse, salari, tassi di cambio, margini di
profitto, etc.

Prova, per esempio, a seguire lo stesso


ragionamento che abbiamo fatto per i fagioli con il
tasso di cambio, che è il prezzo della valuta estera
rispetto alla valuta nazionale. Supponiamo che il
governo (nel caso del tasso di cambio, sarebbe la
Banca Centrale) fissi il tasso a un valore superiore
a quello che il mercato determinerebbe in un dato
giorno (una svalutazione artificiale dell’euro
rispetto al dollaro). I risultati: aumento delle
esportazioni, diminuzione delle importazioni,

70
pressione al ribasso del tasso di cambio
(valorizzazione dell’euro rispetto al dollaro),
surplus dei conti con l'estero.

Ora cerca di dedurre cosa accadrebbe se il governo


(o anche la Banca Centrale) dovesse stabilire il
tasso di interesse a un valore inferiore rispetto a
quello di mercato; giungerai alla conclusione che
la domanda di credito salirebbe, l'offerta di credito
diminuirebbe, il risparmio diminuirebbe, gli
investimenti (senza supporto nel risparmio reale)
salirebbero e ci sarebbe una pressione per far salire
il tasso di interesse ma, in ragione della fissazione
statale, ciò non sarebbe possibile.

In breve, in ogni singolo mercato, da Adamo ed


Eva ai nostri discendenti in un futuro remoto, i
prezzi sono effettivamente prezzi solo se sono
determinati dai mercati. Qualsiasi interferenza del
governo nei mercati è un corpo estraneo,
un'aggressione che non può fare altro che causare
danni all’organismo economico.

71
SUGGERIMENTI DI LETTURA

▪ Mises, L., I Fallimenti dello Stato Interventista

▪ Friedman, M., Capitalismo e Libertà

▪ Autori vari, Inflazione e Moneta

72
SUGGERIMENTO PER LA RIFLESSIONE E
IL DIBATTITO

1. Perché diciamo che il sistema dei prezzi


emette dei "segnali" ai partecipanti al
mercato?

2. Cosa sono i prezzi di equilibrio e perché


non possono esistere nel mondo reale?

3. Commentare: "Un passo sicuro per far


emergere l’aggio è quello di fissare un
prezzo inferiore rispetto a quello che il
mercato fisserebbe per un dato bene o
servizio.
4. Perché le politiche di prezzo massimo non
possono funzionare?

5. Immagina ora che il governo stabilisca una


politica di prezzi minimi per un
determinato prodotto agricolo, fissando un
prezzo al di sotto del quale quel prodotto
non può essere venduto. Lo fa per
avvantaggiare i produttori di tale prodotto?
In generale, il governo si impegna ad
acquistare il prodotto da questi produttori a
un prezzo fisso. Chi perderebbe sempre con
queste politiche (che, comunque, sono

73
molto frequenti nell’ambito
dell’agricoltura)?

SESTA LEZIONE

PROFITTO, PERDITE E
IMPRENDITORIALITÀ
Due delle parole più maledette dai socialisti e dai
comunisti sono profitto e imprenditore. Gli
esponenti di tali ideologie, tra cui molti professori
di Storia che di solito hanno una conoscenza
dell'economia piuttosto limitata, ripetono
incessantemente che coloro che riescono a trarre
profitti sono ladri, sfruttatori del popolo e altre
simili sciocchezze; ed allo stesso modo vedono gli
uomini d'affari perché, in fin dei conti, sono questi
che di solito ottengono profitti.

Sappi, però, che coloro che hanno inventato il


computer, quelli che lo hanno perfezionato e
anche coloro che hanno sviluppato e continuano a
sviluppare internet, hanno guadagnato molti
milioni per le loro invenzioni e, se non fosse stato
per questi "ladri” e “sfruttatori", tu e molti milioni
di persone in tutto il mondo non avreste accesso a
molte strutture che hanno reso la vostra vita molto

74
più interessante e ricca rispetto a diversi decenni
fa! Dunque, ogni volta che qualcuno impreca
gratuitamente contro gli uomini d'affari o parla
male dei loro profitti, pensaci e fagli questo
esempio. Ti garantisco che questa persona rimarrà
sconcertata e non avrà argomenti per confutare
tale verità.

I profitti rappresentano la remunerazione degli


uomini d’affari, ovvero quegli imprenditori che,
attraverso le loro azioni nei mercati, creano nuove
informazioni e le trasmettono, coordinano l'azione
degli agenti economici e scoprono opportunità di
profitto. I veri imprenditori devono essere
costantemente in stato di allerta, vigilanza e
attenzione.

Ecco cosa significa dire che gli imprenditori


"coordinano le azioni degli agenti": quando
scoprono di poter acquistare una certa risorsa a
basso costo per rivenderla a un prezzo più alto,
fanno in modo che il comportamento scoordinato
dei proprietari di quella risorsa sia coordinato con
il comportamento di chi ha bisogno di quella
stessa risorsa. Nel farlo, - gli imprenditori - stanno,
appunto, “imprendendo”.
Quanto più forte sarà l'attività degli imprenditori,
tanto maggiori saranno le nuove scoperte di mezzi

75
e fini, creatività e coordinamento, e tanto più
dinamica ed efficiente sarà l'economia.

L'interventismo e l'imprenditorialità sono due


stati contraddittori. Non ammettono le vie di
mezzo, così come non esiste una via di mezzo tra
pioggia e non-pioggia: o piove o non piove; o c'è
imprenditorialità o interventismo. Purtroppo,
pochi se ne rendono conto e la stragrande
maggioranza delle persone, tra cui molti
imprenditori, crede che l'interventismo e
l'imprenditorialità possano coesistere nel fomento
e nella generazione del progresso.
L'imprenditorialità nasce dallo spirito creativo
degli individui, che li porta ad assumersi dei rischi
per generare più ricchezza. Affinché possa
prosperare, essa dipende da quattro attributi:
governo limitato, rispetto dei diritti di proprietà,
leggi ragionevoli e stabili ed economia di
mercato. Più una società si allontana da questi
presupposti, più viene soffocata l'attività
dell'impresa e più viene danneggiata l'economia.
Non a caso non si conosce nessun esempio di
sviluppo economico concreto senza la presenza
degli imprenditori. In questo passaggio si
sottolineano gli effetti dell'interventismo.

76
Possiamo definire l'imprenditorialità (o la
funzione aziendale) come l'attributo individuale
di percezione delle possibilità di profitto o di
guadagno potenzialmente esistenti. Tuttavia,
poiché si tratta di una categoria di azione, essa
può essere vista come un fenomeno aziendale che
mette in evidenza le capacità di percezione,
creazione e coordinamento di ogni agente.
L'imprenditore è l'individuo che si rende conto
che una certa idea potrebbe procurargli dei
guadagni e si sforza per svilupparla nella pratica.
Il fatto che questo individuo sia o meno un
imprenditore (nel senso di essere un direttore o
proprietario di un'azienda), al momento in cui
nasce la sua buona idea, non è quindi rilevante per
noi affinché possa essere definito come
imprenditore.
Uno degli aspetti più importanti del concetto di
imprenditorialità o di funzione aziendale è che
l'imprenditore non è solo il motore di
un'economia di mercato, ma un prodotto
esclusivo dell'economia di mercato. In altre
parole, l'imprenditorialità può esistere solo dove
esiste un'economia di mercato, poiché il processo
di scoperta - che caratterizza i liberi mercati e che
richiede uno stato di sagacia permanente - per
scoprire le esigenze specifiche dei consumatori

77
non può essere sostituito dalla semplice
pianificazione, ovvero tramite computer, incontri
della "società civile", "movimenti sindacali",
"camere di settore" o "soluzioni" politiche varie.

Per farti capire una volta per tutte il ruolo degli


imprenditori, mi prendo la libertà di usare
l'esempio del mio articolo “João, Maria, José,
Interventismo e Imprenditorialità”, pubblicato il 28
Settembre 2010:

Consideriamo due agenti, João e Maria. Ognuno di


loro ha il suo particolare insieme di informazioni che
l'altro non ha. Un osservatore esterno, per esempio,
un terzo agente, può giustamente affermare che esiste
una conoscenza che lui, come osservatore, non ha, e
che si trova dispersa tra João e Maria, il che significa
che João detiene una parte di essa e Maria l'altra parte.
Ci sono casi in cui, per raggiungere un certo obiettivo,
l'agente ha bisogno solo delle sue informazioni
personali, ragione per cui non è bisognoso relazionarsi
con altri agenti.

Ma questi casi sono una minoranza nel mondo reale,


dove la maggior parte delle azioni comporta una
complessità elevata. Per esempio, supponiamo che João
voglia raggiungere un fine FJ, per il quale deve usare
un mezzo MJ che non è a sua disposizione e che,
inoltre, non sa come ottenere. Ammettiamo anche che

78
Maria voglia raggiungere un fine FM, diverso da FJ e
che abbia a sua disposizione una quantità ragionevole
del mezzo MJ che è così utile per João, ma che non è
importante per lei. Tuttavia, Maria non sa che questo
mezzo è importante per João e lui non sa né che Maria
lo possiede né che lei non intende usarlo. Ciò che
accade in questo esempio avviene anche nella maggior
parte delle situazioni reali: il fatto che i fini FJ e FM
siano contraddittori, ovvero che ogni agente cerchi fini
diversi, con intensità diverse e con un relativo insieme
di informazioni (collegate agli agenti stessi e ai mezzi
che possono essere utilizzati da loro). Vi sono
chiaramente un disallineamento e un'assenza di
coordinamento, motivati dalla dispersione delle
conoscenze e che scompariranno solo attraverso
l'esercizio della funzione aziendale (o
dell'imprenditorialità).

Supponiamo ora che un terzo agente - José - percepisca


la situazione di mancanza di coordinamento che è
stata appena descritta e sia disposto ad esercitare
l'imprenditorialità. In altre parole, lui ha capito la
possibilità di guadagno nel caso concreto: basterebbe
cercare Maria, per la quale la risorsa MJ non ha
alcuna utilità, e proporle di venderla per, supponiamo,
R$ 80.000,00. Questo sarebbe senza dubbio un ottimo
affare per Maria, che ha attribuito al mezzo un valore
pari o vicino a zero. Dopo aver comprato MJ da Maria,
José cerca João, che si interessa ad esso per poter
raggiungere la sua fine FJ, e gli propone di
79
vendergliela per, supponiamo, R$ 100.000,00. Si
percepisce innanzitutto che José non ha
necessariamente bisogno di avere delle risorse per
acquistare MJ, gli basterebbe richiedere un prestito i
cui interessi siano convenienti rispetto all'attività che
intende svolgere. In questo modo, José è riuscito ad
ottenere dal nulla - ex nihilo - un profitto puro di R$
20.000,00 dalla risorsa MJ. Di conseguenza, l'azione
imprenditoriale di José ha prodotto tre effetti: 1) ha
creato nuove informazioni, nuove conoscenze; 2) ha
trasmesso queste nuove conoscenze al mercato; 3) ha
insegnato ad altri due agenti come agire in un
processo di dipendenza reciproca.

La creazione imprenditoriale di conoscenza


rappresenta una trasmissione istantanea di queste
informazioni sui mercati. José non solo ha trasmesso a
Maria l'informazione che la risorsa MJ, che lei
possedeva e alla quale non attribuiva alcun valore, era
importante per qualcuno e che non c'era un motivo
razionale per sprecarla, ma ha trasmesso anche a João
l'informazione che questi poteva felicemente
proseguire con l'azione per raggiungere il suo
obiettivo FJ – azione che, ricordiamo, è quasi stata
abbandonata per una creduta mancanza di mezzi
adeguati. L'esempio illustra anche l'importanza del
sistema dei prezzi come un metodo molto efficiente per
la trasmissione di informazioni, che si diffondono in
successione lungo tutto il processo di mercato,
eliminando progressivamente la mancanza di
80
coordinamento. José, che si è reso conto che la risorsa
MJ aveva un valore per João, anche se non aveva alcun
valore per Maria, non ha fatto altro che trasmettere
questa percezione al mercato, agendo come un
imprenditore e meritandosi un profitto.

Notiamo anche che l'insieme delle informazioni


rilevanti è di natura essenzialmente soggettiva, poiché
dipende da quegli agenti imprenditoriali che sono
intuitivamente in grado di scoprirle. Anche quel tipo
di informazione (o di conoscenza) generalmente
considerato "oggettivo", come i prezzi stessi, ad
esempio, è in realtà generato da informazioni
soggettive, come quella che ha portato José a cercare
Maria, a proporle l'acquisto della risorsa MJ e poi a
cercare João e a dirgli che era disposto a venderglielo.

Ma non sono stati solo João, Maria e José ad essere


stati soddisfatti in ragione dell'intraprendenza di
quest'ultimo. Supponiamo che il fine di João fosse
quello di aprire un'officina meccanica in una
determinata via di un quartiere, che il mezzo di cui
aveva bisogno fosse un piccolo terreno, e che Maria
avesse ereditato da una zia un terreno vuoto su quella
stessa strada – ed esso stava comunque generando
delle elevate spese a suo incarico, come, ad esempio, le
svariate tasse che la città le faceva pagare. Maria e
João non si conoscevano, ma ecco che José, conoscendo
i desideri di entrambi, si è accorto di una buona
opportunità di lucro con l’acquisto del terreno di
81
Maria per R$ 80.000,00 (valore che lui già possedeva
in un conto di risparmio) e la rivendita a João per un
valore superiore. Maria ha venduto il terreno a José
per quel valore e José ha potuto rivenderlo a João per
R$ 100.000,00. Ammettiamo, infine, che João, in
possesso del terreno, apra la sua officina meccanica e,
con questo, dia lavoro a cinque persone che fino ad ora
si trovavano disoccupate.

Vediamo quanti individui hanno tratto vantaggio


dall'idea che José è riuscito a portare avanti.
Innanzitutto lo stesso José, che ha guadagnato R$
20.000,00; poi Maria, che, oltre a sbarazzarsi delle
spese col terreno, ha intascato, in termini lordi, R$
80.000,00; in terzo luogo João, che ha potuto
finalmente realizzare il suo desiderio di essere
proprietario di un'officina meccanica, con la
possibilità di trarre profitto dalla sua attività; infine, i
cinque dipendenti della nuova impresa e, ovviamente,
le loro famiglie, che - ammettiamolo - hanno
totalizzato, aggiungendo le mogli e i tre figli di
ciascuno, venti persone. Dunque,
l'imprenditorialità di José alla fine ha giovato a
sé stesso, a Giovanni, a Maria, ai cinque
meccanici e ad altre venti persone, cioè a
ventotto persone.

Ricordiamo che José, per mettere in pratica la sua idea,


non aveva nemmeno bisogno di avere gli R$ 80.000,00
necessari per acquistare il terreno di Maria, gli sarebbe
82
bastato chiedere in prestito questa somma a una Banca
– a condizione che, ovviamente, il totale degli interessi
che avrebbe dovuto pagare per l'operazione risultasse
inferiore rispetto al guadagno ottenuto dalla vendita
del terreno a João. Vediamo, quindi, che
l'imprenditore non deve essere necessariamente
un ricco, ma qualcuno che ha creatività,
inventiva - idee, insomma.

Ecco, se questo accade nel puerile esempio di una


piccola impresa, possiamo immaginare la dimensione
dei benefici proporzionati dalle grandi imprese, che
sono responsabili della generazione di posti di lavoro
per centinaia e migliaia di persone. Tuttavia, la
cultura anti-business insiste invariabilmente
nell'associare le grandi aziende a frodi e accordi
sporchi vari, in cui solo gli "imprenditori" traggono
profitto – il quale deriva sempre dallo "sfruttamento"
degli altri.

Così, José, l'imprenditore iniziale (quello che ha avuto


l'idea), è riuscito a ottenere un profitto lordo di R$
20.000,00. Ma Maria, immediatamente, ha già
guadagnato R$ 80.000,00 e potrà, col tempo,
guadagnare anche di più di José, se riesce a impiegare
bene il proprio denaro. Allo stesso modo, l'attività di
João, che gli è costata R$ 100.000,00 per l'acquisto del
terreno – oltre ai costi delle macchine, dei dipendenti e
della costruzione di un capannone, tra altre cose –,
dopo un certo tempo compenserà i suoi costi fissi e
83
variabili di apertura e manutenzione dell'officina.
L'azione commerciale di José ha prodotto diversi
effetti: ha creato nuove informazioni, le ha trasmesse al
mercato, ha coordinato i piani di João con quelli di
Maria, ha dato lavoro a cinque meccanici, ha favorito
le loro famiglie e ha aumentato la concorrenza nel
settore della meccanica automobilistica, perché ha
creato un'altra azienda e, quindi, ha favorito anche i
proprietari di automobili.

Spero che questo semplice esempio ti abbia aiutato


a capire l'importanza dell'imprenditorialità. Si noti
che, nell'esempio, tutto si è risolto grazie all’azione
coordinatrice iniziale di José, l'imprenditore. Ma se
non fosse così? Se, ad esempio, lui potesse pagare
R$ 80.000,00 per la terra di Maria, ma non potesse
poi rivenderla a João per R$ 100.000,00, bensì solo
per R$ 76.000,00? Ebbene, in questo caso, egli
subirebbe una perdita diretta di R$ 4.000,00
(perdita diretta perché può essere misurata
facilmente) e delle perdite indirette rappresentate
dal tempo che ha perso svolgendo entrambe le
attività (perdite indirette perché non possono
essere calcolate).
La maggior parte delle persone guarda solo ai
profitti realizzati dagli imprenditori, ma si

84
dimentica del fatto che loro, nel loro esercizio
professionale, corrono molti rischi.

Dopo tutte queste osservazioni, spero che ti sia


chiaro che una delle condizioni – probabilmente la
principale – per lo sviluppo di un'economia è la
libertà di intraprendere, senza alcuna interferenza
da parte dello Stato.

Possiamo dunque concludere con le parole di un


campione della logica e della libertà, Ludwig von
Mises:
Quegli imprenditori che si dimostrano incapaci di
produrre, nel modo migliore e più economico
possibile, i beni e i servizi che i consumatori
richiedono con maggiore urgenza, subiranno delle
perdite e saranno alla fine eliminati dalla loro
posizione imprenditoriale. Altri imprenditori che
hanno una maggiore capacità amministrativa e che
sanno meglio servire i consumatori sostituiranno
quelli che hanno fallito.

85
SUGGERIMENTI DI LETTURA

▪ Colombatto, E., Dall’impresa dei neoclassici


all’imprenditore di Kirzner

▪ Kirzner, I., Concorrenza e Imprenditorialità

▪ Hayek, F., Competizione e Conoscenza

86
SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE E
IL DIBATTITO

1. Dare esempi di persone che hanno tratto


profitto dal miglioramento della vita di
molti altri.

2. Come risponderesti a qualcuno che sostiene


che i profitti del capitalismo sono immorali?

3. Qual è la differenza fra imprenditore e


impresario?

4. Qual è il ruolo di coordinamento degli


imprenditori?

5. Perché l'attività degli imprenditori richiede


uno stato di allerta permanente?

87
SETTIMA LEZIONE

CAPITALE, INTERESSE E
STRUTTURA DI PRODUZIONE
Se chiedi a una persona umile e non istruita che
cos'è il capitale, lei può risponderti puntando una
delle tasche dei pantaloni, per indicare che si tratta
di denaro; se chiedi ad alcuni politici
pessimamente istruiti, loro possono risponderti
"[la] capitale è Brasília"5; se chiedi lo stesso a un
economista che si è laureato negli anni ‘50 (e che
non ha mai più studiato la materia), ti dirà
sicuramente che il capitale è l'insieme di macchine,
attrezzature, costruzioni e impianti; se chiedi a un
monetarista, ti darà la definizione di Irving
Fischer: "il capitale è qualsiasi bene che abbia la
capacità di generare un flusso di reddito nel
tempo". E se chiedessi a un economista austriaco
che cos'è il capitale, cosa ti risponderebbe?

Sicuramente inizierebbe la risposta mostrandoti


che il risultato o la ricompensa per produrre un
bene o un servizio richiede sempre uno sforzo

5 Brasília è la capitale del Brasile dal 21 Aprile 1960.

88
per essere raggiunto; e che, perciò, se vuoi
possedere più cose domani devi sacrificare
qualcosa oggi. Questo semplice esempio ti aiuterà
a capire dove vogliamo arrivare.

Immaginiamo che Robinson Crusoe riuscisse a


pescare tre pesci al giorno, in immersione e con le
proprie mani, e che il suo cibo consistesse
esclusivamente nel pesce da lui "prodotto". Finita
ogni giornata, Crusoe li arrostiva e poi li
mangiava. Ora immaginiamo che Crusoe avesse
deciso che invece di mangiare i tre pesci che
catturava ogni giorno, ne avrebbe consumati solo
due, risparmiando così un pesce al giorno. Dopo
due giorni, avrebbe accumulato due pesci, che gli
avrebbero garantito il consumo per un giorno.

Ecco, immaginiamo che lui avesse deciso, dunque,


di passare quel giorno di consumo garantito non a
pescare, ma a costruire una rete grezza. Questa
rete gli avrebbe permesso di catturare, anziché
quei tre pesci giornalieri a cui era abituato, una
dozzina di pesci al giorno – senz’ombra di dubbio
un risultato migliore di quello iniziale. In questo
esempio di sistema economico semplice,
l'astinenza - o il risparmio – consisterebbe in quei
due pesci che lui ha deciso di non mangiare
durante due giorni di fila per poter avere una

89
riserva di pesce che gli permettesse di passare
un'intera giornata a investire, cioè a costruire il
bene capitale: la rete.

In questo esempio, il capitale di Crusoe è


costituito dalla rete che egli, con sacrificio e
sforzo, ha costruito rinunciando al consumo di
un pesce per due giorni consecutivi, in modo da
poter avere dodici pesci al giorno dal quarto
giorno in poi, proprio grazie all’utilizzo della rete.
Attenzione al fatto che lui ha risparmiato durante
il primo e il secondo giorno e che ha investito
soltanto durante il terzo giorno. Ricordati sempre:
per investire, bisogna prima risparmiare!

In generale, un bene capitale, per gli economisti


austriaci, è ciascuna delle fasi intermedie di ogni
processo di azione, soggettivamente considerate
in questo modo dall'agente. In particolare, un
bene capitale è una delle fasi intermedie della serie
in cui si costituisce l'intero processo produttivo
sviluppato dall'agente. Ad esempio, nella
produzione del bene finale "pane", la farina è un
bene intermedio che già possiede un valore
aggiunto e che non è ancora "pronto" per il
consumo finale, ma che viene utilizzato nella
produzione del pane. In questo esempio, nella
nomenclatura austriaca, il pane è un bene di

90
prim’ordine o di consumo finale, mentre la
farina è un bene di secondo ordine e il grano (che
viene utilizzato per produrre la farina) un bene
di terz’ordine. La farina e il grano sono, dunque,
beni capitali.

Nell'articolo La Teoria Austriaca del Capitale,


pubblicato nel sito dell’Instituto Mises Brasil il 9
Agosto 2010 e che è una sintesi del quarto capitolo
del mio libro Azione, Tempo e Conoscenza (IMB, São
Paulo, 2011), c’è scritto che:
Ciò che separa l'agente dal fine che egli desidera è il tempo,
cioè la serie successiva di passi che integrano il suo processo
di azione. È intuitivo che, dal punto di vista prospettico e
soggettivo dell'agente, si tende a ritenere che più lungo è il
periodo di tempo in cui ci si aspetta che un'azione si
materializzi – ossia, maggiore è la complessità delle fasi
successive che la costituiscono - e maggiore è il grado di
incertezza che esiste nell’iter tra l'azione e l’obiettivo
desiderato, tanto maggiore sarà il valore del risultato o
dell’obiettivo dell'azione che si intende realizzare. Se così
non fosse, non si realizzerebbero le azioni che richiedono
molto tempo e che per la loro stessa natura possiedono un
grado maggiore di incertezza, perché si opterebbe sempre per
il "breve” e/o il “sicuro”.

In altre parole, gli esseri umani, in situazioni simili,


desiderano sempre raggiungere i loro obiettivi nel modo più
rapido e meno incerto possibile, e avranno la volontà di

91
rinviare il raggiungimento dei loro scopi solo se -
soggettivamente - penseranno che il rinvio permetterà loro di
raggiungere obiettivi di maggior valore. Questo si chiama
preferenza intertemporale. In altre parole: i beni presenti
sono preferibili ai beni futuri, e, inoltre: il rinvio di una
ricompensa nel presente richiede una ricompensa maggiore
nel futuro.

Nelle economie moderne, con milioni di agenti


economici, nelle quali la complessità dei processi
produttivi è molto più sofisticata di quella
dell'esempio di Robinson Crusoe, il capitalista è
colui che risparmia, cioè è colui che consuma
meno di quanto crea o produce, liberando in
questo modo delle risorse alle fasi più lontane
della struttura produttiva, affinché vengano usate
alla produzione di beni capitali.

L'economista austriaco Eugen von Böhm-Bawerk,


sottolineando l'importanza del tempo nel processo
economico e definendo il capitale come i fattori di
produzione fabbricati, ha sviluppato la teoria del
capitale e dell'interesse. La sua analisi si basava
sull'idea che i mezzi di produzione indiretti (che
egli chiamava roundabout, come la farina
nell'esempio della produzione del pane)
permettono di aumentare la produttività degli
agenti, in termini di maggiori quantità di beni

92
prodotti, sia senza strumenti sia col solo uso di
beni capitali nei loro processi produttivi.

Il tempo di attesa associato all'utilizzo di processi


di produzione indiretta è il fulcro della sua teoria
dell’interesse. La sua argomentazione era che gli
agenti economici danno più valore ai prodotti
attuali che a quelli futuri con caratteristiche
simili, purché non cambino altre circostanze.

In altre parole, ciò significa che le persone hanno


la tendenza a consumare di più nel presente che
nel futuro. Questa affermazione, che chiamiamo
legge della preferenza intertemporale, si deduce
immediatamente dai postulati dell'azione umana
e traduce il fatto che, essendo il tempo un fattore
scarso, l'agente economico cerca di ottenere la
situazione più soddisfacente per sé stesso nel
minor tempo possibile.

Gli agenti economici hanno due possibilità per


quel che riguarda il consumo di ciò che viene
prodotto: consumare nel presente o aspettare per
consumare in futuro, cioè risparmiare. E poiché gli
esseri umani hanno la tendenza a consumare nel
presente, diventa necessario che rinuncino a
questa inclinazione naturale e rimandino il loro
consumo per ricevere una sorta di ricompensa per
l'attesa. Tale ricompensa, detta interesse

93
originario, è definita come la differenza tra i valori
attribuiti allo stesso bene nel presente e nel futuro.

L'ammontare dell'interesse originario tende ad


essere direttamente proporzionale alla
preferenza temporale degli operatori economici,
cioè più essi valorizzano il consumo presente in
relazione al futuro, maggiore dev’essere l'interesse
necessario per indurli a risparmiare, cioè a rinviare
il consumo; inversamente, più essi valorizzano per
il consumo futuro in relazione al presente, minore
dev’essere l'interesse necessario affinché si sentano
motivati a risparmiare. Se, ad esempio, gli agenti
economici sapessero che la fine del mondo
avverrebbe il giorno dopo, il tasso di interesse
tenderebbe all'infinito; se, invece, venissero
informati che non moriranno mai, il tasso di
interesse scenderebbe a livelli molto bassi, vicino
allo zero.

Dunque, quando un creditore presta, per


esempio, R$ 10.000,00 in cambio di R$ 10.300,00
entro un semestre, i due agenti non si scambiano
la stessa cosa: il creditore consegna R$ 10.000,00 al
debitore sotto forma di un bene presente (denaro),
mentre il debitore dà al creditore un bene futuro
(una cambiale), che rappresenta la prospettiva di
ricevere denaro alla fine di sei mesi. A causa della

94
discrepanza tra le valutazioni dello stesso bene
nel presente e nel futuro, il creditore addebita un
premio (nell'esempio, il 3% a semestre) per il
bene corrente, che il debitore si impegna a
pagare.

Il capitale non è una "quantità", è una struttura,


una rete molto complessa che possiede una
dimensione temporale. Torniamo, per esempio,
alla produzione del pane: inizia quando un
contadino pianta i semi di grano. Ci vuole poi del
tempo affinché questi semi germinino, si
trasformino in grano e il grano venga raccolto e
inviato a un mulino. A sua volta, ci vuole anche un
po' di tempo affinché questo grano si trasformi in
farina e venga spedito in un panificio. Una volta in
panetteria, ci vuole anche del tempo affinché
questa farina, insieme ad altri ingredienti, si
trasformi in pane. Queste fasi successive della
produzione dei beni sono ciò che chiamiamo
struttura del capitale o struttura di produzione.

Gli individui, nelle loro scale di valori, tendono ad


attribuire un valore maggiore ai beni presenti che
a quelli futuri, ma la valutazione soggettiva,
naturalmente, varia molto da individuo a
individuo, così come per lo stesso individuo nel
corso della sua vita. Ciò porta a molteplici

95
possibilità di scambio, di cui entrambe le parti
possono beneficiare. Le persone con una bassa
preferenza intertemporale sono disposte a
rinunciare ai beni presenti in cambio di beni futuri
con valori non molto più elevati, consegnando così
i loro beni presenti ad altri che hanno una
preferenza intertemporale più elevata e quindi
valorizzano maggiormente il presente in relazione
al futuro. Questo determina, in ultima analisi, il
prezzo di mercato dei beni presenti rispetto a
quelli futuri. Per la Scuola Austriaca, quindi, il
tasso d’interesse non è altro che il prezzo di
mercato dei bene presenti rispetto ai beni futuri.

Detto ciò, si deduce che il tasso di interesse è il


prezzo determinato nel mercato, che consiste in
una struttura in cui gli offerenti (o i venditori di
beni presenti) sono proprio i risparmiatori, ovvero
tutti quelli relativamente più disposti a rinunciare
al consumo immediato in cambio dell'aspettativa
di ottenere un valore più elevato di beni in futuro;
mentre gli acquirenti (o i venditori di beni
presenti) preferiscono consumare
immediatamente beni e servizi perché la loro
propensione all'astensione (o al risparmio) è
minore.

96
Pertanto, il mercato dei beni presenti e futuri, nel
quale si determina il tasso di interesse, è formato
dall'intera struttura produttiva dell'economia. In
questa struttura, i risparmiatori (o i capitalisti)
rinunciano al consumo immediato e offrono i beni
presenti ai proprietari dei fattori originari di
produzione (lavoro e risorse naturali) e ai
proprietari dei beni capitali. Questo in cambio del
possesso di un valore, presumibilmente più
elevato, di beni di consumo in futuro. Se si
eliminano gli effetti positivi (o negativi) degli utili
(o delle perdite) dell'attività commerciale, la
differenza di valore tende a coincidere con il tasso
d’interesse.

Maggiore è il risparmio, cioè più gli agenti sono


disposti a rinunciare al consumo immediato,
minore sarà il tasso d’interesse ed allo stesso
tempo maggiore sarà la disponibilità dei beni
presenti per aumentare la durata e la complessità
delle fasi del processo produttivo. Inoltre, più è
basso il risparmio, cioè meno gli operatori
economici sono disposti a rinunciare al consumo
immediato dei beni presenti, più alto sarà il tasso
d’interesse del mercato. Pertanto, un alto tasso di
interesse di mercato indica che il risparmio è
scarso in termini relativi; questo è un segno chiaro
agli imprenditori, che in ragione di ciò non

97
dovrebbero estendere le fasi di produzione sotto il
rischio di progressivi scoordinamenti economici.
Dunque, il tasso d’interesse indica alle imprese
quali nuove fasi produttive e/o progetti di
investimento devono intraprendere e quali
devono evitare, per mantenere coordinato il
comportamento di risparmiatori, consumatori e
investitori, evitando che le varie fasi produttive
siano più brevi o più lunghe di quanto
dovrebbero essere.

Capitale e beni capitali sono concetti diversi dal


punto di vista economico. Il capitale è il valore,
calcolato a prezzi di mercato, dei beni capitali; il
tasso d’interesse sarebbe una sorta di fattore di
sconto. Il concetto di capitale per la Scuola
Austriaca è quindi astratto, poiché esso viene
definito come uno strumento di calcolo
economico, ossia, una stima soggettiva dei valori
attesi dei beni capitali per il futuro.

Il capitale, a sua volta, è il mezzo indispensabile


all’aumento del livello di benessere degli individui
ed è il risultato di investimenti che, a loro volta,
sono il risultato di risparmi precedenti (non di
banconote emesse dalla Banca Centrale). Il
benessere aumenta grazie allo sforzo del
risparmio, dato che esso viene poi convertito in

98
investimento. L’investimento, a sua volta, non può
aumentare6 per la semplice volontà di governo,
nonostante le sue fantasie di poterlo manipolare
attraverso lo stabilimento di tassi d’interesse
artificialmente bassi e/o l’emissione di banconote
senza copertura.

6 Al contrario, si riduce.

99
SUGGERIMENTI DI LETTURA

▪ Rothbard, M.N., La Grande Depressione

▪ Menger, C., Scambio, Valore e Capitale

▪ Hayek, F., Produzione e Produttività

100
SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE E
IL DIBATTITO

1. Evidenziare l'importanza del fattore tempo


nella teoria del capitale.

2. Cosa viene prima, il risparmio o


l'investimento?

3. Cosa sono i beni capitali?

4. Cos'è la produzione o la struttura del


capitale?
5. Cosa sono la preferenza temporale e il tasso
d'interesse?

101
OTTAVA LEZIONE

IL RUOLO DELLA
COMPETIZIONE
Immagina di voler comprare delle scarpe in un
negozio di scarpe in un centro commerciale.
Sicuramente impiegheresti del tempo scegliendo il
modello da acquistare, tale è la varietà e la
diversità che incontreresti. Immagina ora che
qualcun altro, con la tua età ed esattamente gli
stessi gusti voglia comprare delle scarpe, ma viva
in Corea del Nord, un Paese comunista.
Sicuramente si troverà davanti un solo modello -
quasi certamente molto brutto - che, se avesse
bisogno di nuove scarpe, dovrà comprare che gli
piaccia o meno ma non solo, sarà fortunato perché
non sempre il negozio avrà il suo numero in
magazzino.

Quale dei due ha avuto un grado maggiore di


soddisfazione, tu o il consumatore nordcoreano?
Questo semplice esempio, che comunque
corrisponde esattamente a quanto accade nel
mondo reale, illustra perfettamente i vantaggi
della concorrenza tra i produttori di un
determinato prodotto. Ovviamente, ciò che

102
abbiamo scritto per le scarpe è valido per qualsiasi
altro prodotto.

Dove c'è concorrenza, dove diverse aziende


devono competere per vedere chi soddisfa di più i
consumatori, tanto per qualità quanto per prezzo,
chi vince sempre sono i consumatori e, di
conseguenza, le aziende che più riescono a
soddisfarli.

Questa è solitamente chiamata sovranità dei


consumatori, che è una delle caratteristiche
principali delle economie di mercato, nelle quali vi
è la libertà di intraprendere e produrre, senza le
rigide catene dello Stato. La sovranità dei
consumatori, quindi, è una conseguenza esclusiva
dell'economia di mercato. In altre parole, se non vi
è l’economia di mercato, ossia se il governo
interferisce nell'economia, il consumatore sarà il
primo ad essere danneggiato, dato che, come
nell’esempio del povero nordcoreano, verrà
immensamente limitato nelle sue scelte. Oggi,
purtroppo, non abbiamo un sistema di vero libero
mercato in nessun Paese del mondo perché gli
interventi e la coercizione dei governi sono
continui e implacabili.
Jeffrey Tucker, nell'articolo “O Comércio, a Benção
da Civilização”, citato nei suggerimenti di lettura

103
alla fine di questa lezione, ci pone la sopracitata
questione nel seguente modo:
Come sarebbe se avessimo il seguente sistema
economico?

Questo sistema inonderebbe il globo di merci gratuite


ogni giorno, non chiedendo nulla in cambio e dando
praticamente tutto a tutti. La maggior parte di ciò che
ha generato consisterebbe in beni gratuiti, e tutti gli
esseri umani viventi ne avrebbero accesso.

Qualsiasi individuo che accumulasse profitti privati lo


farebbe solo perché ha servito gli altri esseri umani con
eccellenza, e un tale sistema farebbe inevitabilmente sì
che questa persona rivelasse le sue idee e i suoi trucchi:
tutte le persone del pianeta conoscerebbero le ragioni
del successo di qualcuno.

Questo sistema, in questo modo, servirebbe tutte le


razze e le classi. Servirebbe l'uomo comune in modo
abbondante e servile e rovescerebbe le élite quando
diventano superbe e arroganti. Sarebbe vantaggioso e
redditizio per tutti includere sempre più persone nel
loro potenziale produttivo e dare a tutti quanti una
parte dei risultati.

Un tale sistema ha un nome. Si chiama libero


mercato. Anche se è diventato molto più evidente
nell'era digitale di oggi, il fatto è che la proliferazione
dei beni gratuiti è sempre stata una delle

104
caratteristiche principali del capitalismo. Il problema è
che la gente raramente ci pensa e ne parla.

Nello stesso articolo, Tucker, una persona che in


tutto quello che fa trasmette il suo benessere nel
vivere, decide di raccontare una storia veritiera
riguardo a un Barber Shop americano per
dimostrare che, anche se oggigiorno il mondo si
trova molto lontano da quella che potremmo
chiamare economia di mercato, esistono ancora
alcuni segni di questo tipo di sistema.
Chi lavora in quel salone taglia i capelli e rade la
barba ai clienti, ovviamente. Ma, oltre a questo, la
casa offre liberamente a chi vi entra (ossia, senza
che debba tagliare i capelli o farsi radere la barba),
tavoli da ping-pong, bersagli per lanciare freccette,
tavoli da biliardo e, sempre gratuitamente, della
birra al balcone.

Una cosa del genere è tutto ciò che i consumatori


hanno sempre desiderato. Cosa ci si dovrebbe
aspettare in un'economia di libero mercato? Beh,
un primo punto è che questo Barber Shop
dovrebbe essere sempre pieno, un vero successo.
Dopo questa notorietà, nuovi Barber Shop che
offrono gli stessi servizi e persino servizi
aggiuntivi nasceranno per lottare per le preferenze
di ogni singolo consumatore. Questi, dunque, si

105
troveranno ancora meglio di prima, perché il loro
potenziale di scelta è aumentato.

Ma cosa succederà al primo Barber Shop, il


pioniere, che aveva un vantaggio competitivo
proprio perché era il primo? È sotto minaccia
perché dovrà ora affrontare la concorrenza di
nuovi imprenditori che stanno copiando e
possibilmente perfezionando la sua idea.
Chiunque può copiare la sua idea originale,
purché il governo non vieti l'apertura di nuovi
negozi con queste caratteristiche. Per mantenere i
suoi consumatori, il primo Barber Shop sarà
costretto a cercare innovazioni che aumentino
ancora di più la loro soddisfazione.
La concorrenza, quindi, è sempre vantaggiosa per
i consumatori e, allo stesso tempo, costringe i
produttori a fare uno sforzo permanente per
servire meglio i loro clienti. Torniamo alle parole
di Tucker:
Ma questo è il mio punto: è impossibile avere successo
sul mercato e non rivelare la "ricetta segreta" del
successo. Se avrai successo, tutti i concorrenti
sapranno alla fine quale formula è stata adottata e la
copieranno. Fortunatamente, non ci sono brevetti o
diritti d'autore su cose come mettere un tavolo da
ping-pong in un Barber Shop; pertanto, il governo
non può impedire la conoscenza e l'apprendimento
106
della concorrenza. Ed è così che funzionerebbero le
cose in un mercato puramente libero, in tutti i settori.
Avere successo significa fornire cose - fornire beni e
servizi ai tuoi clienti (questa è la chiave del guadagno)
e, di conseguenza, rivelare a tutti i concorrenti il
metodo che ti ha fatto avere successo (o che ha portato
al tuo fallimento). L'atto stesso dell'intraprendere -
che tende sempre ad essere un compito liberamente
copiabile - già di per sé trasforma i tuoi metodi in un
oggetto di studio.

I brevetti e i diritti d'autore, quindi, tendono a


ridurre la concorrenza e a danneggiare i
consumatori. Nell'economia internazionale, uno
dei maggiori ostacoli alla concorrenza ed alla
sovranità dei consumatori è il protezionismo.
Questo, sotto l'argomento secondo il quale "la
produzione nazionale deve essere protetta",
rovina, sfrutta e impone gravi perdite sia ai
consumatori stranieri sia, soprattutto, ai
consumatori interni (i cittadini, di solito). Non è
l'economia del Paese a vincere con il
protezionismo, anzi, essa perde in termini di
efficienza e di soddisfazione dei consumatori; solo
alcuni imprenditori (che non si possono chiamare
imprenditori) privilegiati (di solito amici dei
politici che si trovano al potere) e incompetenti –
come indica la parola stessa, incapaci di competere

107
– riescono a sfruttare una situazione del genere.
Questi beneficiari non sarebbero certamente in
grado di rimanere in attività se il mercato fosse
totalmente libero.

Il ruolo della concorrenza, quindi, è molteplice. In


primo luogo, rivela, attraverso il processo di
mercato in cui ci sono permanenti e continue
scoperte, quali attività e quali prodotti il
consumatore preferisce. In secondo luogo, elimina
le aziende che non sono efficienti, ossia, che non
sono in grado di servire adeguatamente i
consumatori. In terzo luogo, è moralmente
superiore ai mercati dove vige il protezionismo,
perché, contrariamente a quanto accade in quei
mercati, premia il merito e la capacità di servire
nel migliore dei modi il consumatore. In quarto
luogo, infine, la concorrenza serve a favorire il
consumatore, contrariamente a quanto molti
pensano.

Se hai compreso il semplice esempio del Barber


Shop innovativo, capirai anche che sono state la
concorrenza e l'imitazione nei mercati liberi a
generare un benessere continuo nelle economie in
cui è esse sono esistite. Dato che la concorrenza e
l'imitazione virtuosa sono caratteristiche esclusive
delle economie di mercato, capirete che più ci

108
avviciniamo alle economie di mercato, maggiore è
il nostro progresso e maggiore è il nostro
benessere!

Suggeriamo vivamente la lettura dell'articolo “La


petizione dei fabbricanti di candele”, di Frédéric
Bastiat, economista francese della prima metà del
XIX secolo. In questo articolo, i produttori di
candele, lampade, candelabri, lanterne, taglierine
di vimini, cancellini per candele e i produttori di
sego, olio, resina, alcol, e in generale tutto ciò che
riguarda l'illuminazione, scrivono una petizione
alla Camera dei Rappresentanti francese per
chiedere una legge che "ordini la chiusura di tutte
le finestre, lucernari, interstizi, persiane,
avvolgibili e occhi di bue, perché non vogliono “la
temibile concorrenza del Sole”.

109
SUGGERIMENTI DI LETTURA

▪ Bastiat, F., La Petizione dei Fabbricanti di


Candele

▪ Hazlitt, H., L’Economia in una Lezione

▪ Salin, P., La Concorrenza

110
SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE E
IL DIBATTITO

1. Ricercare le differenze tra "concorrenza" e


"concorrenza perfetta".

2. Qual è l'importanza dell'imitazione quando


si parliamo della concorrenza e di servire
meglio i consumatori?

3. Elencare i mali delle politiche


protezionistiche.

4. Perché la concorrenza è una caratteristica


esclusiva delle economie di libero mercato?
5. Immagina di dover parlare con un gruppo
di persone senza conoscenze economiche
riguardo al ruolo della concorrenza. Cosa
diresti?

111
NONA LEZIONE

MONETA E PREZZI
Uno dei più grandi progressi di tutti i tempi è
stato senza dubbio l'invenzione della moneta. Sì,
oggi è difficile pensare che le transazioni venissero
effettuate senza denaro, ma nell'antichità più
remota esistevano gli scambi diretti, il baratto: se,
ad esempio, allevavi polli e volevi comprare del
riso, dovevi portare dei polli al mercato e cercare
qualcuno che, allo stesso tempo, fosse interessato
ai tuoi polli e avesse del riso da scambiare con essi.
È facile capire che questo metodo rendeva gli
scambi tremendamente difficili, perché i costi di
transazione erano enormi.

Il passo successivo, centinaia di anni dopo, in un


processo evolutivo chiamato ordine spontaneo –
nel quale le cose vengono scoperte come
conseguenza delle azioni di innumerevoli persone,
ma senza che esse pianifichino in che modo ed
esattamente quale cosa verrà scoperta – fu la
cosiddetta moneta di scambio. Alcune materie
prime, sia perché durevoli, sia perché facili da
trasportare e/o perché accettate in quasi tutti gli
scambi, divennero la valuta dell'epoca. Il sale era
il principale di questi beni. Così, non era più

112
necessario portare i polli al mercato per scambiarli
con il riso, bastava prendere con sé una certa
quantità di sale.

In seguito, sempre nel corso della suddetta


evoluzione spontanea, i metalli preziosi, come
l'oro e l'argento, iniziarono ad essere utilizzati
come moneta, soprattutto dopo l'invenzione del
processo di conio. In seguito, nacque la cosiddetta
nota di banco, un certificato nominativo che
ricevevi dal tuo banchiere e dichiarava che avevi
depositato una certa quantità d'oro che, di
conseguenza, solo tu avevi la legittimità di
riacquisire. Nella fase storica successiva, tali
documenti (da allora “al portatore”) divennero la
carta-moneta. E ciò che oggi chiamiamo moneta o
denaro altro non sono che quei certificati (che nel
tempo sono diventati le banconote) e le monete in
metallo.

Più tardi, quando i banchieri scoprirono che


potevano prestare agli individui parte del denaro
ricevuto in deposito (anche se questo denaro,
come detto, non apparteneva loro), tali prestiti,
che generavano nuovi depositi, divennero ciò che
oggi conosciamo come moneta scritturale.
L'aspetto moderno di questo processo evolutivo è
la cosiddetta moneta elettronica, che consiste nelle

113
carte magnetiche ampiamente utilizzate dalla fine
del XX secolo. Quale sarà il prossimo passo? Per
noi è impossibile dirlo perché, vale la pena
sottolinearlo, il denaro è il prodotto di un
complesso e continuo ordine spontaneo, un
prodotto dell'azione umana, che non si sottomette
ad alcuna pianificazione.

Gli economisti austriaci hanno sempre sostenuto


che gli aumenti della quantità di moneta esistente
non generano benefici per la società,
fondamentalmente perché non alterano i servizi di
scambio che il denaro fornisce; tali aumenti non
fanno altro che diluire il potere d'acquisto di ogni
unità monetaria. Dunque, non vi è alcuna
"necessità sociale" che giustifichi la crescita della
quantità di moneta, neanche l’aumento della
produzione o della popolazione: senza l’emissione
di moneta in tali casi, la gente potrà mantenere
una maggiore proporzione di “denaro” per una
data quantità di moneta, logicamente spendendo
meno, il che aumenterà il potere d'acquisto di quel
denaro. Come scrisse Mises nel capitolo XVII di
"Azione Umana" nel 1948, “[...] la quantità di
denaro disponibile in tutta l'economia è sempre
sufficiente per assicurare a tutti tutto ciò che il
denaro fa e può fare”.

114
L'inflazione, che non va intesa semplicemente
come un continuo e generalizzato aumento dei
prezzi (questo è il suo effetto, non la sua causa) ma
come una progressiva diminuzione del potere
d'acquisto dell'unità monetaria e il corrispondente
aumento dei prezzi, è un metodo attraverso il
quale il governo, il sistema bancario che esso
controlla e i gruppi che esso favorisce
politicamente, acquisiscono la capacità di
espropriare parte della ricchezza di altri gruppi
della società. Pertanto, è più che consigliabile – è,
anzi, fondamentale - che la società, attraverso la
creazione di istituzioni appropriate, impedisca ai
governi e ai politici di definire la quantità di
moneta in un dato Paese, emettendola a loro
piacimento. L'economista Friedrich von Hayek,
uno dei giganti della Scuola Austriaca, ha
pronunciato una frase molto appropriata per
descrivere questo pericolo: “Dare il controllo
della massa monetaria ai politici è come chiedere
a un gatto di occuparsi di un piattino di latte”.

A tal proposito, in passato non erano i governi ad


emettere le monete: esse erano emesse da
banchieri privati e vi era un’immensa
competizione tra loro. In seguito, i governi
scoprirono che sarebbe stato per loro un enorme
vantaggio diventare detentori del monopolio

115
valutario e inventarono la cosiddetta moneta a
corso legale che, per decreto, è la moneta
"ufficiale" di un Paese o di un gruppo di Paesi.

Affrontiamo ora una questione importante e


strettamente collegata alla valuta. Cos'è
l'inflazione? La sua causa primaria, sempre e
ovunque, è una crescita della quantità di moneta e
del credito non coperta da corrispondenti aumenti
della produzione, della produttività e della
popolazione. In realtà, l'inflazione dovrebbe essere
definita più correttamente come questo aumento
dell'offerta di moneta e di credito e non nel modo
che è diventato usuale oggigiorno, ossia come un
continuo e generalizzato aumento dei prezzi.
L'uso della parola "inflazione", con questo secondo
significato, ha generato negli anni molte
interpretazioni sbagliate, producendo diagnosi
errate e terapie disastrose. Ovviamente, le
espansioni monetarie non sono uguali agli
aumenti di prezzo che causano, perché la causa
non è l'effetto.

Inflazione significa semplicemente che, se la


moneta e il credito sono "gonfiati", gli agenti
economici avranno più soldi per acquistare beni e
servizi; se l'offerta di questi ultimi non cresce alla
stessa velocità delle emissioni di denaro - il che è

116
prevedibile, dato che nel mondo reale le
tartarughe non possono tenere il passo delle lepri -
, allora i loro prezzi cresceranno e continueranno a
salire finché ne persisterà la causa.

Come ha affermato il professor Mises, la patata è


più economica del caviale perché la sua offerta è
molto più abbondante. Perché, in un processo
inflazionistico, la moneta e il credito giocano il
ruolo delle patate e, gli altri beni e servizi, quello
del caviale: per acquistare le stesse quantità di
prodotti, saranno necessarie sempre più unità
monetarie, così come per comprare il caviale si
spenderà di più che per comprare le patate. È così
semplice! Se ci sono più euro che circolano senza
copertura da parte di beni fisici, è logico prevedere
che il valore dell’euro sarà minore rispetto a quelli
degli altri beni sul mercato.

Uno degli sbagli più reiterati è ritenere che la


causa dell'inflazione non sia l'eccesso di moneta
e di credito, bensì la scarsità di prodotti. È vero
che un aumento dei prezzi - che non va confuso
con l'inflazione - può essere causato o da
espansioni di moneta e di credito o dalla scarsità
di prodotti, o da entrambi. Il prezzo del grano, ad
esempio, può temporaneamente aumentare a
causa di qualche problema di raccolto, ma non vi

117
è alcun caso, anche nelle economie di guerra, di
aumenti di prezzo diffusi generati dalla scarsità
universale di merci. Nel 1923, nella Germania del
dopoguerra, i prezzi stavano aumentando
astronomicamente e tutti si lamentavano della
scarsità diffusa, ma ondate di stranieri arrivarono
nel Paese per acquistare merci tedesche, perché
molti prezzi erano più bassi in Germania che nei
loro Paesi.

È importante ricordare che esiste l’inflazione, ma


non esiste l’"inflazione alimentare", per intenderci,
della carota, del mais, del pomodoro, della pizza,
del caffè o dell'olio. Per quanto importante sia
nell’economia, nessun prodotto è in grado di
provocare aumenti permanenti nei prezzi di tutti
gli altri beni; tuttavia, in ragione della terribile
abitudine di guardare solo ciò che gli indici
mensili dei prezzi riflettono, è sempre possibile
trovare il “cattivo” del momento, ossia, quel
prezzo che è salito al di sopra della media.

Uscire in una notte fredda senza essere


adeguatamente vestiti di solito causa l'influenza i
cui sintomi - dolori muscolari, prostrazione e
congestione nasale - si manifestano solo due o tre
giorni dopo. Allo stesso modo, l'inflazione nasce
quando c'è un aumento della valuta e del credito

118
non compensato dall’aumento di produzione o
coperto dalla riserva di un metallo prezioso, e
diventa visibile qualche mese dopo, quando tutti i
prezzi iniziano a salire senza sosta.

Le variazioni nella quantità di moneta in


circolazione non sono "neutrali", giacché non
influiscono su tutti i prezzi in maniera uniforme;
essi, dunque, modificano i prezzi relativi e
addirittura la struttura del capitale, come vedremo
nella prossima lezione.

L'idea centrale degli economisti austriaci è che la


nuova moneta entra in un punto specifico del
sistema economico e quindi viene spesa per alcuni
beni e servizi privati, fino a diffondersi
gradualmente in tutto il sistema, allo stesso modo
di come qualsiasi oggetto gettato sulla superficie
di un lago forma dei cerchi concentrici con
diametri progressivamente maggiori, o come
quando il miele viene versato al centro di un
piattino e si diffonde a partire dal piccolo cumulo
che si forma nel punto in cui viene versato
(analogie di Mises e Hayek, rispettivamente). Per
questo, alcuni prezzi cambiano prima e altri
cambiano dopo e, fino a quando il cambiamento
monetario - per esempio, un'espansione del

119
credito – si mantiene, la sua irradiazione ai prezzi
dell’economia persiste.

Dunque, le variazioni nei prezzi relativi, che sono


definiti come il confronto tra tutti i prezzi
considerati due alla volta, producono variazioni
nell'allocazione delle risorse. Quando c'è
un'espansione del credito bancario, supponendo
che non esistano aspettative sull'inflazione futura,
i tassi di interesse inizialmente scendono,
rimanendo al di sotto dei livelli ai quali sarebbero
rimasti se il credito non fosse aumentato. L'effetto
di ciò è che, necessariamente, gli standard generali
di spesa cambieranno: la spesa per investimenti
aumenterà rispetto alla spesa per consumi
correnti. Cosicché l'espansione monetaria provoca
inevitabilmente un disallineamento tra i piani di
risparmio e i piani di investimento del settore
privato. Tale impatto scoordinato della politica
monetaria è essenziale nella visione hayekiana, ma
non viene preso con la dovuta considerazione
dalla teoria macroeconomica convenzionale.

Dato che questo corso è rivolto ai principianti in


economia, non discuteremo alcune delle seguenti
questioni importanti: i governi devono continuare
a detenere il monopolio del denaro? Le banche
centrali dovrebbero esistere davvero? Per

120
incoraggiarti ad approfondire l'affascinante
mondo economico, diciamo che la risposta di
alcuni austriaci (tra i quali includo me stesso) ad
entrambe le domande è: no!

121
SUGGERIMENTI DI LETTURA

▪ Mingardi, A., Dal Sesterzio al Bitcoin

▪ Mingardi, A., L’Intelligenza del Denaro

▪ Mises, L., Politica Economica, cap. 4

▪ North, G., Cosa è il Denaro

▪ Lottieri, C., Denaro e Comunità

122
SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE IL
DIBATTITO
1. Cosa si intende per "ordine spontaneo" e
perché la moneta si adatta a questa
definizione?

2. Quali sono i requisiti per l'accettazione di


una merce come valuta?

3. Commentare: "la moneta è il mezzo di


scambio".

4. Può esserci inflazione in un'economia che


non usa moneta?
5. Definire l'inflazione secondo il punto di
vista della Scuola Austriaca e confrontare
questa definizione con quella che dice che
"l'inflazione è un continuo e generalizzato
aumento dei prezzi".

123
DECIMA LEZIONE

BANCHE, BANCHE CENTRALI


E CICLI ECONOMICI
Sapevi che, se la maggior parte dei titolari di un
conto in una qualsiasi banca, per quanto solida
essa possa essere, decidesse di prelevare denaro
dal proprio conto, non ci sarebbe abbastanza
denaro per tutti nelle casse della banca? E che dal
1970 ci sono state 124 crisi bancarie nel mondo,
senza contare l'Europa?
Le banche commerciali, dal momento che ricevono
depositi in conti correnti che, insieme alla carta
moneta e alle monete metalliche costituiscono ciò
che gli economisti chiamano mezzi di pagamento
o semplicemente moneta, sono propagatori del
credito e moltiplicatori della moneta emessi dalle
banche centrali.

Nel sistema a riserva frazionaria avviene ciò che


Fernando Ulrich, un mio collaboratore, riporta in
un suo articolo sul sistema bancario:

Tuttavia, nell'attuale sistema bancario a riserva


frazionaria, le banche normalmente non prestano il
denaro che è stato depositato. Esse creano invece un

124
nuovo conto corrente (composto esclusivamente da
cifre elettroniche), il cui valore viene poi concesso in
prestito. In questo modo, il bilancio di una banca
mostrerà un totale di 200 dollari sotto forma di
depositi in conto corrente, dei quali 100 dollari
saranno sotto forma di contanti in specie e 100 dollari
in prestiti (con contanti esclusivamente elettronici).
Pertanto, la banca ha il 50% di liquidità (riserve) per
onorare il suo passivo di 200 dollari. Essa dispone
solo di una "frazione" come riserva. Siccome le
banche si rendono conto del fatto che i titolari di un
conto raramente ritirano i loro fondi, esse si sentono
sicure di poter espandere il credito, prestando
quantità di denaro svariate volte superiori a quella
originariamente depositata. Le banche, in questo
modo, creano denaro "ex nihilo". Oppure, come
descritto negli attuali libri di testo di economia,
esse moltiplicano il denaro. Questo è il
"moltiplicatore monetario".
Ulrich prosegue, sempre con linguaggio didattico,
nel suo illuminante articolo:
Pertanto, attraverso la pratica delle riserve
frazionarie, le banche possono emettere passivi a corto
termine, mentre mantengono solo una piccola frazione
di attivi netti a corto termine, anche se la stragrande
maggioranza degli attivi si trova sotto forma di
investimenti a lungo termine. Nel corso della storia,
la maggior parte delle banche non è stata in grado di
sopravvivere a lungo seguendo questa pratica, poiché
125
semplicemente non sono state in grado di ripagare
tutti i loro debiti in natura (in passato, l’oro; nel
presente, le banconote create dalla banca centrale). La
creazione di una banca centrale è stata la logica
conseguenza di questo sistema, una creazione volta a
porre rimedio a questo vulnus.

Fino alla Prima Guerra Mondiale, i governi erano


limitati nella loro capacità di emettere valuta,
perché vigilavano su un sistema basato sul gold
standard nel quale potevano emettere moneta solo
se vi era un corrispettivo aumento delle riserve
auree del Paese. Con la fine della guerra, i governi
di tutto il mondo abbandonarono il gold standard
rimasto in vigore solo negli Stati Uniti fino al 15
Agosto 1971, quando, sotto l'amministrazione
Nixon, l’abbandonarono anch’essi.

Tale abbandono del gold standard risultò molto


grave in quanto responsabile di un aumento
dell'inflazione in tutti i Paesi. Per darti un'idea
della sua gravità, basta ricordare che la Federal
Reserve (la Fed - Banca Centrale americana) è stata
creata nel 1913 e che un dollaro dell'anno 1800
equivaleva a un dollaro del 1913, ma che un
dollaro oggi vale lo 0,03% di un dollaro del 1913!
Non pensi, dunque, che ci sia qualcosa di sbagliato
nell’operato della Fed e delle banche centrali in
generale?

126
E le cose erano diverse in Brasile? In realtà, le cose
sono andate molto peggio! La situazione è del
tutto incredibile: la Banca Centrale brasiliana fu
creata con il decreto 4595 del 31 Dicembre 1964. La
moneta che circolava all'epoca era il Cruzeiro,
creato nel 1942. Il Cruzeiro Novo fu introdotto il 13
Febbraio 1967. Il Cruzeiro, lo standard monetario
dal 1942, aveva perso tre zeri ed era diventato il
Cruzeiro Novo. Pertanto, 7 Cruzeiro = 0,001 Cruzeiros
Novos.

Il Cruzeiro sostituì il Cruzeiro Novo il 15 Maggio


1970 e durò fino al 27 Febbraio 1986.

Il Cruzado, risultato del “Plano Cruzado”, fu


introdotto dal governo Sarney. A partire dal 28
Febbraio 1986, mille Cruzeiros diventarono un
Cruzado. Per introdurre il Cruzado, il governo
approfittò del fatto che vi fossero banconote da

7 [NdT] Il governo brasiliano durante tutto il periodo


iperinflazionario iniziato negli Anni ‘60 e conclusosi nel 1994
spesso eliminava 3 zeri alle monete per evitare situazioni
assurde, come il pane che poteva costare centinaia di
migliaia di Cruzeiros. Con 3 zeri in meno e l’emissione di una
nuova moneta, il cosiddetto Cruzeiro Novo, il pane ritornava
a costare soltanto alcune migliaia nella (nuova) moneta
corrente.

127
10000, 50000 e 100000 Cruzeiros, apponendo su di
loro un timbro con il nuovo nome e il nuovo
valore, sicché 10000 Cruzeiros divennero 10
Cruzados, e così via. Dunque, 1 Cruzeiro del 1986
aveva il valore di 0,001 Cruzado, quindi 1 Cruzeiro
del 1964 – la moneta del periodo in cui era nata la
Banca Centrale brasiliana – era equivalente a
0,000001 Cruzados.
Ma non è tutto: il Cruzado Novo entrò in
circolazione il 15 Gennaio 1989, con la seconda
riforma monetaria del presidente Sarney. La
nuova moneta sostituì il Cruzado, e 1 Cruzado Novo
era equivalente a mille Cruzados, il che significa
che 1 Cruzeiro del 1964 era ora equivalente a
0,00000000001 Cruzados Novos.

Il Cruzeiro fu reintrodotto come standard


monetario per sostituire il Cruzado Novo
nell'ambito del "Plano Collor" nel Marzo 1990,
senza però il già abituale taglio di tre zeri. Allora,
1 Cruzeiro del 1964 equivaleva ora a 0,00000000001
Cruzeiros del 1989.

Il Cruzeiro Real fu introdotto il 1° Agosto 1993,


sostituendo il Cruzeiro: il Cruzeiro Real era
equivalente a mille Cruzeiros del 1991. Questo
significa che 1 Cruzeiro del 1964 valeva ora
0,0000000000000001 Cruzeiros Reais del 1993!

128
Ma pensi che il caos sia finito qui? Niente affatto!
Il 1º Luglio 1994 fu introdotto il Real nell’ambito
del “Plano Real” del governo Itamar Franco. In
primo luogo, fu stabilito un indice parallelo per
l'effetto di transizione, l'Unidade Referencial de Valor
(Unità di Valore di Riferimento, URV). La
conversione dei Cruzados Reais in Reais venne
effettuata mediante la divisione del valore in
Cruzeiros Reais per il valore dell'URV in quella
data, che era di CR$2750,00.

Dunque, il Real del 1994 era equivalente a 2750


Cruzeiros Reais, ossia, 1 Cruzeiro del 1964,
quando fu creata la gloriosa Banca Centrale
brasiliana, equivale a 0,000000000001 diviso per
2.750 Reais!

Non temere, perché la cosa diventa ancora più


spaventosa: non abbiamo considerato l'inflazione
che è avvenuta tra il 1964 e il 1994, bensì solo i
cambiamenti nel valore della valuta, altrimenti
dovremmo comunque dividere quell'ultimo
numero per l'inflazione che è avvenuta in quei 30
anni, che è stata una delle più grandi al mondo!
Letteralmente, da quando è stata creata, la Banca
Centrale brasiliana non ha fatto altro che
distruggere la propria moneta!

129
Parliamo ora della Lira italiana: col Regio Decreto
del 17 Luglio 1861 fu stabilito il corso legale della
Lira italiana, pochi mesi dopo l’Unità d’Italia. Un
euro del 2020 equivale a 0,20 lire del 1861.

Nel 1893, ben 32 anni dopo, venne creata la Banca


d’Italia e un euro equivale a 0,22 lire di quel
momento storico. Un cambiamento molto ridotto,
no? Nel 1925, dopo altri 32 anni, una lira sarebbe
valsa esattamente un euro di oggi.

Il 1999 fu l’ultimo anno in cui la Zecca italiana


poté emettere moneta e si stabilì il tasso di
conversione a 1936,27 lire per un euro. Certo, la
Banca d’Italia è stata piuttosto gentile rispetto alla
Banca Centrale brasiliana, ma è stata ben peggiore
della Federal Reserve americana: una lira del 1999
valeva lo 0.0005% di una lira del 1861!

Perché è così importante che non ci siano disturbi


nella quantità di moneta? La risposta degli
austriaci è che i cicli economici, ossia l'inflazione e
la disoccupazione, sono causati esattamente da
manipolazioni artificiali della moneta e del
credito.

Una nota aggiunta per il lettore italiano: a prima


vista, la richiesta di libertà e concorrenza in
materia di emissione di moneta potrà apparire

130
alquanto sospetta, bisogna perciò specificare che
non è auspicabile in alcun modo un ritorno alla
lira, tanto meno è auspicabile lasciare nelle mani
dei politici italiani il potere di emettere moneta.

L'idea centrale della Teoria Austriaca dei Cicli


Economici (Austrian Business Cycle Theory,
ABCT) è che, quando vi è un'espansione del
credito bancario, supponendo che non esistano
aspettative sull'inflazione futura, i tassi di
interesse inizialmente scendono, rimanendo al di
sotto dei livelli ai quali sarebbero rimasti se il
credito non fosse aumentato. L'effetto di ciò è che,
necessariamente, i modelli di spesa cambieranno:
la spesa per investimenti aumenterà rispetto sia
alla spesa per consumi correnti sia al risparmio.
Pertanto, l'espansione monetaria provoca
necessariamente un'assenza di coordinamento tra i
piani di risparmio e di investimento del settore
privato. Questo impatto scoordinante della
politica monetaria è essenziale nell'ottica austriaca,
ma non viene preso in considerazione dalla teoria
macroeconomica convenzionale.

Ecco, la politica monetaria, giacché modifica i


prezzi relativi, cambia anche i segnali emessi dai
prezzi stessi. Nel caso di un'espansione monetaria,
tali segnali indicano la riduzione dei profitti delle

131
imprese che producono per il consumo corrente e
l'aumento dei profitti derivanti dalla produzione
di beni per il consumo futuro. I tassi di
rendimento delle varie combinazioni di capitale
vengono quindi modificati. I guadagni nelle fasi di
produzione più vicine al consumo diminuiscono,
mentre crescono i guadagni nelle fasi di
produzione più lontane dal consumo; le risorse
non specifiche si spostano dalle prime alle
seconde; la produzione di beni di consumo
diminuisce, mentre cambiano i modelli di
produzione dei beni capitali, col cambiamento del
focus per favorire i beni che si adattano a strutture
produttive più complesse, con più fasi di
produzione rispetto alle precedenti. Affinché
questi investimenti siano completati fino alla fase
dei beni di consumo finale, è necessario che
vengano sottratte maggiori risorse ai consumi, il
che significa che la produzione di beni di ordini
inferiori dovrebbe rimanere in declino fino al
completamento della nuova struttura produttiva.

Il processo descritto causa, diciamo, il suo stesso


capovolgimento: nella misura in cui aumentano i
redditi dei proprietari dei fattori di produzione
(per effetto dell'espansione monetaria), aumenta la
domanda di beni di consumo, il che fa sì che i
prezzi di questi beni, rispetto ai prezzi dei beni più

132
distanti dal consumo, aumentino. Questa
situazione inverte il processo iniziato prima: i
guadagni diminuiscono nelle fasi più lontane del
consumo finale, mentre i guadagni aumentano
nelle fasi più vicine del consumo finale; le risorse
non specifiche tornano indietro; i beni capitali, che
erano stati dimensionati per la precedente
struttura produttiva, ora devono essere
ridimensionati per servire a una struttura basata
su una minore intensità di capitale; si
verificheranno perdite e disoccupazione, che
saranno più forti nei settori che prima erano più
espansi e che ora devono affrontare la
sovrapproduzione.

Le perdite e la disoccupazione generate non sono


altro che la contropartita delle perverse allocazioni
di risorse generate dall'espansione monetaria. In
altre parole, l'espansione monetaria e la recessione
sono inseparabili!

Per la Scuola Austriaca, dunque, la crisi che ha


colpito gli Stati Uniti e l'Europa e che si sta
diffondendo in tutto il mondo è stata causata da
una nota combinazione perversa: banche centrali
che fissano i tassi di interesse a livelli
assurdamente bassi, sempre nel tentativo sbagliato
di mantenere le economie in una crescita

133
artificiale, e spese irresponsabili da parte dei
governi, che hanno finito per generare dei debiti
pubblici sorprendentemente alti. Purtroppo, i
governi hanno "combattuto" questa crisi nel
peggiore dei modi: con le banche centrali che
hanno mantenuto i tassi di interesse vicini allo
zero e i governi che hanno aumentato
considerevolmente le loro spese. Per gli
economisti austriaci - e tutta l'esperienza di oltre
un secolo dimostra che hanno ragione - queste
misure serviranno solo ad alimentare
ulteriormente la crisi.

134
SUGGERIMENTI DI LETTURA
• Hayek, F., La Denazionalizzazione della
Moneta
• Hayek, F., Nazionalismo monetario e stabilità
internazionale
• Rothbard, M.N., Il Mistero dell’Attività
Bancaria
• Rothbard, M.N., Cosa ha fatto lo Stato con i
nostri soldi?

135
SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE E
IL DIBATTITO

1. Cosa si intende per "sistema a riserva


frazionaria"?

2. Quali sono le conseguenze dell'abbandono


del sistema monetario basato sul gold
standard?

3. Prova a spiegare l'affermazione: "i cicli


economici sono causati da perturbazioni
monetarie, anche se si manifestano nel
settore reale delle economie".

4. Perché la politica monetaria modifica i


segnali emessi dai prezzi?

5. Perché l'espansione del credito non è


sostenuta da fenomeni di risparmio e di
recessione inseparabili?

136

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