Sei sulla pagina 1di 3

Marco 16, 15-20

Gesù disse loro: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura"

Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con
loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano"

La Chiesa, fin dalla comparsa dei primi media, la radio, prima, la televisione poi, ha
adottato questi nuovi sistemi per far giungere la Messa ad un numero maggiore di
fedeli. Storiche sono le prime riprese del 1954 a Milano.

È un programma che non ha bisogno di essere pubblicizzato, in quanto ha un bacino di


utenti potenziali che supera – nell’insieme – il miliardo di persone; inoltre il pubblico
interessato è presente un po’ dappertutto ed è fortemente motivato – soprattutto nella
sua componente anziana – a sintonizzarsi su questo programma la domenica mattina.
C’è infatti un’agenzia capillarmente diffusa, la chiesa, che ricorda ai suoi fedeli
l’obbligatorietà della messa domenicale in modo così efficace da renderne significativa
anche la trasmissione televisiva. Al programma la Chiesa crede fortemente: per la sua
realizzazione mette a disposizione uomini, ambienti e mezzi in termini di piena
gratuità: in questo modo essa si garantisce una diffusa visibilità nel mondo dei media e
mantiene un contatto con le persone che non hanno la possibilità di unirsi fisicamente
alla comunità locale.

La preparazione della celebrazione è demandata alle comunità ospiti, cui è lasciata


ampia libertà di proposta, ma non l’ultima parola, che rimane del sacerdote-regista. Le
comunità conoscono con notevole anticipo la data di una possibile trasmissione. Essa
rimane tale fino a una decina di giorni prima, quando viene effettuato il sopralluogo
tecnico, che verifica la concreta realizzabilità. Tutto questo rende concitata la fase finale
della preparazione.

Dal punto di vista ‘registico’ la regola d’oro è questa: La messa è la messa. La Tv non
deve fare altro che mettersi nelle migliori condizioni per riprenderla e per riproporla ai
telespettatori. Si lavora sulla base di una rapida scaletta concordata e provata con i vari
operatori: non è una sceneggiatura definita in ogni particolare e distribuita a tutti i
tecnici interessati, dove i compiti e i movimenti di ogni soggetto coinvolto (dai
cameraman, al celebrante, ai lettori, al direttore del coro, all’ultimo ministrante) sono
minuziosamente programmati, secondo dopo secondo. Il regista utilizza soltanto
immagini girate all’interno della chiesa; a questo scopo predispone un’opportuna
illuminazione di quadri, statue, forme architettoniche e altro, in modo da potervi
ricorrere con piena libertà; a volte queste immagini vengono girate in antecedenza e
restano a disposizione del regista. Salvo rare eccezioni, non vengono utilizzate
immagini di altra provenienza.

In linea di principio la trasmissione dovrebbe essere destinata agli ammalati e a coloro


che per varie ragioni non possono muoversi da casa. I telespettatori ammalati e anziani,
di solito, vengono ricordati nelle parole introduttive del celebrante e nella preghiera dei
fedeli.

Il programma è seguito da un pubblico così numeroso da costituire un record assoluto:


a livello mondiale non c’è una messa televisiva, che abbia un ascolto più alto e stabile
nel tempo. Negli anni Novanta la media (nel periodo ottobre – maggio) era di 2 milioni
di spettatori con uno share che superava il 35% . Dal momento che i dati Auditel non
tengono conto delle comunità (comunità religiose, carceri, ospedali, tutti ambienti dove
la messa è seguita), va fatto notare che i numeri indicati sbagliano per difetto.

C’è anche un altro dato molto interessante da prendere in esame. L’Auditel calcola
anche il numero di contatti, il numero cioè delle persone che si sintonizzano sul
programma soltanto per un breve tempo: nel periodo preso in considerazione la media
è di quasi 4 milioni di contatti per ogni messa (il calcolo è stato fatto senza mettere nel
conto le celebrazioni papali). Si tratta di cifre che dovrebbero imporre una seria
riflessione, tanto più se questi dati vengono confrontati con il numero delle persone che
in Italia vanno a messa di domenica (circa 10 milioni). La messa televisiva dunque –
almeno per un breve istante – raggiunge un pubblico che è la metà delle presenze
domenicali.

Per quanto riguarda il comportamento del pubblico (come segue la trasmissione) e la


sua tipologia, c’è a disposizione una ricerca motivazionale, commissionata dalla Rai e
dalla CEI nel 1991. Tutti coloro che seguono la trasmissione hanno un’idea molto alta
della messa (è la ragione per cui accendono il televisore a quell’ora) e si dicono
consapevoli della grande differenza che c’è tra il seguire la trasmissione e l’essere
presenti alla celebrazione. Nel concreto poi i ricercatori hanno individuato tre gruppi.

– Il gruppo dei malati e degli anziani. Sono una minoranza del campione, persone sole e
molto pie; che seguono la trasmissione, cercando di ricreare nel loro ambiente le
condizioni di una vera partecipazione all’eucaristia.

– Il gruppo dei tiepidi. Sono la maggioranza; amano la trasmissione perché la trovano


un modo comodo di vivere la propria dimensione religiosa, senza troppi disagi, senza il
peso di doversi preparare e uscire. Sono più attenti al messaggio che emerge dalla
trasmissione che non al rito. Lo seguono in modo distratto, svolgendo altre attività,
come una colonna sonora di sottofondo.

– Il gruppo degli esteti e degli esigenti. Il terzo gruppo – una piccola minoranza –
guarda il programma perché lo trova bello e interessante, migliore di ciò che la
comunità locale è in grado di offrire. Costoro preferiscono la televisione alla parrocchia.

La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti sta preparando un


opuscolo sulla Santa Messa, rivolto sia ai sacerdoti, per assisterli nella celebrazione, sia
ai fedeli, per aiutarli a partecipare correttamente alla stessa. Lo ha annunciato ieri il
cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione vaticana, durante una
conferenza nell'Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, sul tema La Liturgia
cattolica a partire dal Vaticano II: continuità ed evoluzione.

Riflettendo sulla Liturgia non si possono dimenticare le parole del documento conciliare
secondo cui "Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nella Liturgia. Egli è
presente nel sacrificio della Messa e nella persona del ministro - ‘offrendosi ora per il
ministero dei sacerdoti, come si offrì prima sulla croce’ - sia soprattutto sotto le specie
eucaristiche ". Scopo della liturgia è dunque “il culto di Dio e la salvezza degli uomini”
che, ha detto il cardinale, non è “una nostra creazione, ma la fonte e il culmine della
Chiesa”.

Il porporato ha criticato, inoltre, gli “abusi” esistenti verso la Liturgia, come la sua
“spettacolarizzazione”, lodando invece quei momenti di silenzio che sono “l'azione" che
“permettono al sacerdote e ai fedeli di comunicare con Gesù Cristo” e che riducono la
“predominanza della parola”, che spesso si trasforma “in protagonismo del sacerdote
celebrante”. In tal senso, l'atteggiamento da seguire è quello di Giovanni il Battista “che
si eclissa per dare spazio al Messia".

Potrebbero piacerti anche