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LA NEUROPSICOLOGIA:
CORSO ONLINE GRATUITO DI NEUROPSICOLOGIA – Lez 2
corso on-line free
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PROGRAMMA DETTAGLIATO
Lezione n 1 Lezione n 5
La Neuropsicologia La Memoria: Una Visione d'Insieme
Introduzione La valutazione neuropsicologica della memoria
"Neuro-panoramica" storica Batterie globali:
- Wechsler Memory Scale;
Lezione n 2 - Test di Memoria Comportamentale di Rivermead –
TMCR.
La Valutazione Neuropsicologica
Test per la valutazione della Memoria a breve termine:
L'esame neuropsicologico - Test per la valutazione della Memoria a breve termine;
Fasi della valutazione neuropsicologica: - Test di Corsi.
- Definizione del problema;
Test per la valutazione della Memoria a lungo termine:
- Anamnesi;
- Breve racconto 1;
- Colloquio clinico; - Apprendimento di coppie di parole 1;
- Esame neuropsicologico formale. - Apprendimento supra-span verbale - tecnica di
Buschke-Fuld;
Lezione n 3 - Curva di posizione seriale;
- Apprendimento Spaziale Supra-Span;
I Test Neuropsicologici - Test della figura di Rey.
Standardizzazione, punto di riferimento e cut-off
La scelta di un test Funzioni esecutive e lobi frontali
I test: Deficit frontale: un'ipotesi interpretativa
- Test per le funzioni frontali; La valutazione delle funzioni frontali:
- Test di memoria a breve termine; - Trail making Test – TMT;
- Test di memoria a lungo termine; - Wisconsin Card Sorting Test – WCST;
- Test per il linguaggio; - Test della Torre di Londra – TOL.
- Test per le funzioni visuo-spaziali;
- Test per le funzioni attentive; Lezione n 6
- Test per le funzioni intellettive e di ragionamento L'Attenzione
logico;
Attenzione selettiva
- Test per le funzioni prassiche.
Attenzione divisa
Attenzione sostenuta e livelli di attivazione (arousal)
Lezione n 4 La valutazione neuropsicologica dell'attenzione
Test di Valutazione Globale Test attenzione selettiva:
I Test di Valutazione Globale: - Test di Cancellazione di Cifre;
- Mini Mental State Examination - MMSE; - Test di Stroop;
- Milan Overall Dementia Assessment – MODA. - Test di barrage di linee.
Procedure di somministrazione: Test attenzione divisa:
- Continuos Performance Test o CPT;
- I Sezione: orientamenti;
- II Sezione: autonomia nel quotidiano; I disturbi del riconoscimento: Le agnosie
- III Sezione: test neuropsicologici. - Le agnosie visive;
- Agnosie per gli oggetti;
Punteggio - Test di valutazione delle agnosie visive.
Prove Verbali:
Batterie di screening globali per l'agnosia:
- Rievocazione Immediata e Differita delle 15 parole - Birghingham Object Recognition Battery – BORB.
di Rey;
- Fluidita' verbale fonologica; Test sensibili ad un disturbo della discriminazione
- Costruzione di frasi. sensoriale:
- Test di Efron.
Prove Visuo-Spaziali:
Test sensibili ad un disturbo agnosico di tipo
- Matrici Progressive Colorate di Raven;
- Memoria visiva immediata;
appercettivo:
- Test delle figure sovrapposte.
- Copia di disegni a mano libera;
- Copia di disegni con elementi di programmazione; Test sensibili ad un disturbo agnosico di tipo
- Clock Drawing Test – CDT. associativo
Bibliografia
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LA VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA
Nella precedente lezione abbiamo dato un rapido sguardo su quelle che sono state le tappe
storiche più importanti per la nascita e l’evoluzione della Neuropsicologia. Questa affascinante
disciplina si propone, come abbiamo visto, di studiare gli effetti delle lesioni cerebrali sui processi
cognitivi (percezione, attenzione, linguaggio, memoria, ragionamento, ecc.).
Oggi, lo studio e l’approfondimento della Neuropsicologia, nei suoi aspetti teorici e pratici, diventa
sempre più una conditio sine qua non della formazione degli psicologi, in quanto:
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1. demenze in fase iniziale (Alzheimer, degenerazione frontale);
2. encefalopatie da sostanze tossiche (piombo, mercurio, amianto, vernice);
3. vascuolopatie;
4. traumi cranici chiusi lievi e/o gravi.
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L’esame neuropsicologico
L’impostazione dell’esame neuropsicologico dipende anche dallo scopo per cui viene effettuato. Tra
questi, ricordiamo:
• di diagnosi (diagnosi differenziale, di screening)
• a completamento della diagnosi neurologica, supportandone la diagnosi
differenziale;
• fornire al paziente e alla famiglia indicazioni sulle abilità compromesse e su
quelle residue, per poter riadattare in modo congruente le aspettative e gli
obiettivi per il futuro, nonché le strategie di compenso;
• individuare la prognosi clinica generale;
• strutturare il progetto riabilitativo integrato;
• fini assicurativi e legali;
• scopi di ricerca
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Tale valutazione si rivolge:
• al paziente e alla famiglia;
• al medico e all’equipe riabilitativa interdisciplinare;
• ai sevizi di inserimento lavorativo o alla scuola.
L’esame neuropsicologico è previsto per i pazienti che presentano varie patologie, tra cui:
• malattie psichiatriche (depressione, disturbi di personalità, ritardi mentali)
• postumi di stroke ischemico o emorragico;
• sclerosi multipla;
• postumi di trauma cranico;
• postumi di neurochirurgia;
• malattia di Parkinson;
• demenze
• etc.
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Fasi della valutazione neuropsicologica
Benché tale punto faccia strettamente parte della fase anamnestica, ho scelto volutamente di
mantenerlo indipendente per sottolineare un aspetto che, a prima vista, potrà sembrare banale.
Quando arriva un paziente dal neuropsicologo, spesso, non è da solo (questo accade soprattutto
nel contesto ospedaliero, dove si effettuano di frequente valutazioni agli anziani per probabile
decadimento cognitivo). Ma teniamo presente che anche chi accompagna il paziente non viene mai
“da solo”! Infatti, capita che l’accompagnatore arrivi “accompagnato” da una mole di informazioni,
osservazioni, cartelle cliniche con esami strumentali (TAC, RMN etc.) che comincerà, in maniera
caotica e acritica, a mostrarvi uno dopo l’altro, riempiendovi la scrivania e la testa. E qui sta la
vera difficoltà.
Infatti, come uno sciatore in una gara di slalom gigante, dovremo essere capaci di schivare le
informazioni meno rilevanti da quelle più importanti: saper soppesare una data informazione per
decidere, alla fine, se scartarla o tenerla “in gioco” è senza dubbio una delle cose più delicate e
complesse per il neuropsicologo (come del resto per chiunque lavori nel campo clinico), e solo un
approfondito studio e una buona pratica consentiranno di affrontare questo momento con maggior
disinvoltura e professionalità.
Quindi, la prima cosa da fare è individuare il motivo per cui è stato richiesto l’intervento,
al fine di inquadrare al meglio il problema (o il non-problema!) del paziente. Per far ciò, dal primo
momento in cui il paziente entra nella stanza dove vi trovate, e per tutta la durata del percorso
valutativo, occorrono:
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o sistematicità nella valutazione e attenzione nell’osservazione clinica con capacità
di focalizzazione di alcuni aspetti sulla base dell’anamnesi e dell’osservazione
clinica stessa;
o “occhio clinico”, ossia capacità di distinguere ciò che è alterato da ciò che non
alterato, basandosi sull’esperienza clinica;
o capacità di sintesi: inquadrare in un ambito sindromico il quadro clinico.
Anamnesi
In pratica, durante questa fase, vengono raccolte tutte le informazioni sulla vita del
paziente, sulla sua storia clinica, sugli esordi e il decorso del disturbo lamentato, sulla
presenza tra i familiari di disturbi simili (familiarità) etc. Vengono altresì vagliati i risultati
degli esami strumentali (TAC, RMN, etc).
Capire il “quando” e il “come” ci aiuta spesso a capire anche il “perché”, e può altresì aiutarci ad
effettuare una diagnosi differenziale più esatta.
Ricordo che una volta, nell’ambulatorio presso cui lavoravo, un paziente di 64 anni si presentò
lamentando un “serio” problema di memoria iniziato alcuni mesi prima. Ammetto che nella mia
testa si insinuò immediatamente lo spettro di una forma iniziale di demenza, data soprattutto l’età
del soggetto. Ma, dopo aver effettuato l’anamnesi ed un’accurata valutazione testistica, scartai
quella l’ipotesi, optando invece (e fortunatamente per il paziente) per una diagnosi di lieve
depressione. Egli stesso, dopo un’ora di test, cominciò ad aprirsi con me e ammise che stava
iniziando a sentire “l’età dell’anziano”, come la chiamava lui, cioè il momento (65 anni) da cui in
poi, solitamente, un uomo entra ufficialmente a far parte della categoria “anziani”.
Ciò, come spesso capita, lo agitava così tanto da portarlo a sottoporsi quotidianamente ad una
pervicace messa alla prova, con cui tentava di dimostrare a se stesso (e agli altri) di essere
sempre in gamba come quando era giovane. Questo, ovviamente, lo conduceva anche a giudicare
in maniera esponenzialmente drammatica ogni fallimento, e di conseguenza a confermare le sue
paure sulla vecchiaia (“Mio Dio, ieri non mi sono ricordato di portare la spazzatura fuori! Lo vede
dottore, sto cominciando a perdere del tutto la memoria!”).
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Sottolineo tale aspetto per ricordare che vi possono essere molte spiegazioni rispetto un
determinato dato clinico, e che questo, in un modo o nell’altro, deve essere sempre inserito
in un particolare contesto: quello psicologico, comportamentale ed emotivo del paziente.
L’esaminatore dovrà capire non soltanto quando è iniziato il disturbo, ma anche come il disturbo si
è evoluto nel tempo, ovvero se sia andato aggravandosi, magari con la comparsa di ulteriori
difficoltà, o se piuttosto abbia mostrato un progressivo miglioramento. Inoltre, andrebbe sondato
anche se i problemi lamentati si fanno maggiormente presenti in una determinata situazione e/o in
un determinato momento piuttosto che in un altro (la mattina o la sera, quando si è rilassati o
stressati etc.).
Stabilire l’evoluzione del disturbo o dei disturbi, anche in questo caso può fornire indicazioni molto
preziose sul “perché”, ovvero sulle possibili cause.
Il paziente, ad esempio, potrebbe dire di aver cominciato ad accusare il suo disturbo in maniera
improvvisa, quasi come uno scoppio inaspettato: allora, potremmo trovarci di fronte a un possibile
ictus o un T.I.A. (Attacco Ischemico Transitorio) o a conseguenze dovute ad un trauma cranico.
Tendenzialmente (a meno che non vi siano situazioni di particolare gravità), in questi casi il
paziente, attraverso soprattutto un adeguato piano riabilitativo, potrà con il tempo migliorare,
magari anche ricuperando molte delle abilità cognitive e/o comportamentali compromesse
dall’evento infausto accorsogli.
Invece, nel caso di un paziente che presenti un peggioramento continuo nel tempo, con un
insorgere dei disturbi lento e “silente”, e quindi non improvviso come nell’esempio precedente,
potremmo sospettare la presenza di una forma iniziale di demenza, da valutare, ovviamente,
attraverso un’adeguata batteria testistica al fine di “falsificare” (e non confermare!) la nostra
ipotesi iniziale basata sui soli dati anamnestici.
Durante la raccolta dell’anamnesi, come anche durante la fase del colloquio clinico, possiamo
avvalerci della collaborazione del familiare.
È necessario spendere qualche parola in più sul colloquio con il familiare, perché non di rado esso
ci fornisce informazioni davvero molto preziose e vincolanti al fine della scelta dei test da utilizzare
successivamente.
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Il colloquio con i familiari rappresenta il momento di raccolta e di approfondimento delle
informazioni che completano il quadro anamnestico. L’incontro con il familiare e/o con le persone
che vivono con il paziente consente la verifica e la conoscenza più approfondita dei
sintomi cognitivi e comportamentali riferiti e di quelli che talora il paziente omette, per
mancata consapevolezza o perché ritegni di scarsa rilevanza clinica (spesso capita che ometta
certe informazioni per nascondere all’accompagnatore la propria situazione).
L’intervista con il familiare si rende necessaria per molti motivi. Primo fra tutti, come appena
accennato, verificare la correttezza delle informazioni data dal paziente stesso, approfondendo gli
aspetti inerenti i problemi nella vita quotidiana e lavorativa che il disturbo apporta al soggetto.
Inoltre, è utile in quanto può far comprendere ai familiari stessi il tipo di patologia e le eventuali
ipotesi di sviluppo dei deficit cognitivi, al fine di consentire loro di prepararsi agli eventuali
cambiamenti conseguenti lo stato del loro congiunto. Si pensi, ad esempio alle molte difficoltà che
patologie quali demenze, traumi cranici o gravi ictus apportano alla vita dei pazienti e di chi sta
loro intorno.
Un altro motivo da non sottovalutare è che permette di instaurare un’alleanza che garantisca a chi
effettuerà la riabilitazione di lavorare con la collaborazione dei familiari, consentendo di avanzare
migliori prognosi di recupero.
Solitamente, fra le domande che possono essere rivolte al familiare, possiamo ricordare le
seguenti:
1. Ricorda informazioni personali e relative alla propria famiglia? (ad esempio, i nomi dei
propri figli o nipoti)
2. È ripetitivo?
3. Ha difficoltà a trovare le parole (effetto “effetto punta della lingua”)
4. Comprende bene i discorsi?
5. Ha difficoltà a riconoscere oggetti dell’ambiente domestico?
6. Ha difficoltà a riconoscere persone che non vede da tempo o persone familiari?
7. È in grado di utilizzare correttamente li utensili e gli apparecchi domestici?
8. Ha cambiato carattere?
9. Ha mantenuto hobbies e interessi?
10. È interessato a ciò che accade in famiglia?
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È molto importante, durante tutta la fase di anamnesi, vagliare gli aspetti più significativi che
possono influenzare direttamente lo stato cognitivo del soggetto. Le aree più importanti da
esplorare sono:
1. abilità cognitive nel loro contesto quotidiano (linguaggio, memoria, riconoscimento delle
persone e degli spazi etc.);
2. stato dell’umore e comportamento (il paziente è solitamente depresso?)
3. presenza di eventuali fenomeni allucinatori
4. qualità del sonno
5. appetito ed eventuale cambiamenti nel regime alimentare
6. familiarità per alcune patologie (demenze, ictus, depressione etc.).
7. raccolta delle informazioni cliniche neurologiche e delle documentazioni neuroradiologiche
per la definizione del tipo di patologia (vascolare, traumatica, degenerativa) e
dell’eventuale sede ed estensione del danno cerebrale
8. farmaci utilizzati
Colloquio clinico
Questa fase viene eseguita sulle coordinate tracciate durante la valutazione anamnestica:
infatti, il colloquio dovrà mirare ad un’esplorazione delle varie aree cognitive, dando
priorità a quelle identificate, nell’anamnesi, come più critiche.
Sono molte le variabili in gioco. Qui di seguito vengono presentate quelle più importanti che,
solitamente, devono essere sempre prese in considerazione durante un colloquio clinico:
1. stato di coscienza del paziente e capacità di interagire con l’ambiente (il paziente è sveglio
e collaborativo oppure leggermente sonnolento e disattento?);
2. orientamento temporale e orientamento spaziale (la data del giorno, il girono della
settimana, dove si trova etc.);
3. l’orientamento personale (notizie relative alla famiglia o al lavoro);
4. le difficoltà che egli ha sperimentato nella vita di tutti i giorni. È importante, infatti, capire
se i disturbi del paziente hanno un impatto nella vita comune e quali sono i limiti che egli
subisce per effetto del deficit cognitivo lamentato. In questo caso, verranno fatte delle
domande al paziente a proposito del suo disturbo contestualizzato agli ambienti da lui
frequentati. Ad esempio, se ha avuto delle conseguenze sul luogo del lavoro (e che tipo di
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conseguenze), oppure quando era a casa, o durante gli spostamenti (un paziente si recò
presso l’ambulatorio per una visita, dopo che gli era capitato di non ricordare, mentre era
sul bus, a quale fermata dovesse scendere, nonostante fossero più di 30 anni che prendeva
lo stesso mezzo quasi quotidianamente). Nel caso di una difficoltà di memoria, potremmo
chiedere se presenta maggiori difficoltà a ricordare dati personali ed eventi, recenti o
remoti, se ha difficoltà a ricordare nozioni e informazioni, o se ha tendenza a dimenticare
facilmente oggetti o impegni;
5. consapevolezza dei deficit lamentati (soprattutto se a parlarne è chi accompagna il
paziente);
6. già dal colloquio si possono inferire informazioni circa le abilità del paziente a sostenere
una normale conversazione, ovvero le sue abilità di comprensione e produzione del
linguaggio, nonché le caratteristiche dell’eloquio (spontaneo, fluente o rallentato etc.);
7. sarà valutato anche il contenuto del pensiero, l’appropriatezza e la coerenza del
comportamento (presenza o meno di atteggiamenti ostili, aggressività, bizzarrie etc.);
8. stato dell’umore durante il colloquio;
9. benché non rientri proprio nelle nostre competenze di psicologi, sarebbe opportuno anche
valutare l’attività motoria del paziente: il modo in cui egli cammina, le sue posture,
eventuali disordini di movimento etc.
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Solitamente, tale fase viene suddivisa in due ulteriori momenti: uno di screening e uno
successivo di approfondimento.
Durante la fase di screening, che include anche la fase di anamnesi e di colloquio clinico,
l’obiettivo sarà di ottenere un profilo cognitivo generale del soggetto sottoposto alla valutazione,
rilevando quali sono le funzioni cognitive in cui si presenta un decadimento nella prestazione. In
questa fase, l’indagine testistica riguarderà lo screening di molte funzioni neuropsicologiche,
indagate attraverso prove brevi, in modo tale che l’intera valutazione possa concludersi entro circa
un’ora e mezzo .
Solitamente, vengono impiegate batterie di test, ovvero insieme di test neuropsicologici diversi, fra
loro raggruppati e somministrati in sequenza con il chiaro scopo di ricoprire la maggior parte delle
dimensioni del comportamento cognitivo.
La valutazione generale è molto importante perché fornirà le coordinate per definire una eventuale
successiva fase di approfondimento: in pratica, le funzioni cognitive che mostreranno una
prestazione al di sotto della norma saranno poi vagliate in maggior dettaglio e con
prove più mirate successivamente.
Frazionare in due momenti distinti la valutazione testistica consente di evitare il rischio che
subentri un’altra variabile capace di inficiare i risultati, ovvero la stanchezza (sia del paziente, sia
quella del neuropsicologo). Inoltre, potrà servire per analizzare meglio i risultati che emergono
dalla fase di screening e pianificare con maggior accuratezza la fase di approfondimento,
scegliendo i test più indicati da utilizzare per il caso in esame.
Dato che parliamo di “quantizzare” una data prestazione, dobbiamo anche fare i conti con
“l’errore”. In questo senso, come in ogni processo diagnostico (psicologico o medico), vi è sempre
la possibilità di incappare in un errore (falsi positivi o falsi negativi). Quindi, occorrerà ridurre tale
possibilità rispettando alcuni punti importanti.
Prima di tutto, evitare le fonti esterne di variabilità: si raccomanda, pertanto, di valutare il paziente
da solo e in un ambiente quantomeno asettico da rumori e distrazioni. Inoltre (e questo sarà
argomento della prossima lezione), si raccomanda l’utilizzo di test accuratamente standardizzati,
ovvero che dispongano di materiale e istruzioni uniformi, nonché di tarature italiane, ovvero con
valori normativi di riferimento ricavati da campioni italiani.
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La cosa importante è che il confronto tra la prestazione del soggetto e quella della popolazione
normale avvenga tenendo conto dell’età, del sesso e dell’istruzione del soggetto stesso, in quanto
si è ampiamente dimostrato come tali variabili influenzino le prestazioni ai test.
Alla fine dell’esame, potrà essere opportuno dare una valutazione preliminare al paziente,
consapevoli di non essere esaustiva e precisa, non essendo ancora basata sullo scoring dei
punteggi ottenuti. Tale restituzione preliminare ha anche un ulteriore vantaggio: consente di
confrontare la prospettiva (scientifica) del neuropsicologo, con quella (soggettiva) del paziente.
Infatti, chiedere a questi come valuti la propria prestazione, potrebbe fornirci alcune informazioni
sul suo stato di consapevolezza rispetto le proprie difficoltà, confrontando il suo giudizio con la
reale prestazione ottenuta ai test.
Infine, si dovrà provvedere a scrivere una relazione dettagliata sulle informazioni raccolte e sui
risultati ai test. La restituzione dell’esito della valutazione deve contenere tutti gli elementi raccolti,
sia durante le fasi preliminari di raccolta dati, sia durante l’esame neuropsicologico. Ciò è molto
importante soprattutto in prospettiva di un intervento riabilitativo, in quanto la relazione potrebbe
essere utilizzata come riferimento per un confronto con gli esami successivi (follow-up).
Prima di concludere questa lezione e passare a quella dedicata ai test neuropsicologici, credo sia
utile spendere una parola in più sulla formazione dell’esaminatore neuropsicologo.
Innanzitutto, questi dovrebbe avere una buona conoscenza di neuropatologia, comprendente
temi di neuroanatomia e principi di neuropsicologia; inoltre, sarebbe opportuno avesse fatto studi
e approfondimenti di psicologia cognitiva, volti alla conoscenza delle funzioni cognitive e agli
studi sperimentali che hanno consentito di determinarne l’architettura funzionale ed anatomica.
Infine (questo è il punto che preferisco!) sarebbe di gran lunga appropriato (e purtroppo succede
spesso il contrario) che il neuropsicologo avesse dimestichezza anche con la psicologia
clinica e i disturbi psicologici, compresa la conoscenza delle sindromi psichiatriche.
Tutto ciò consentirà senza dubbio a chi conduce la valutazione neuropsicologica di porre i quesiti
più idonei al caso, formulare ipotesi e scartarne di successive, decidere quali elementi mantenere e
quali rigettare, programmare un percorso di valutazione finalizzato, con la possibilità di
aggiustamenti e nuove soluzioni.
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