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intorno al 1230 sotto il regno di Federico II, il quale fu un ispiratore per questo movimento letterario. La
forma letteraria principale di questa “scuola” è la canzone, la quale riprende anche la tradizione provenzale.
Si sviluppa nello stesso periodo una nuova forma metrica: il sonetto, dovuta probabilmente al poeta
Giacomo da Lentini, e caratteristica della letteratura non solo del ‘200 ma di tutta la storia della letteratura
successiva.
La lingua utilizzata dai poeti della scuola Siciliana è un dialetto siciliano formalizzato e raffinato, adattabile
alla traduzione in altri dialetti, e ad amalgamare al suo interno altri dialetti, modi di dire più popolari, colti,
latini o provenzali. La maggior parte dei testi della scuola siciliana sono andati persi ma sono arrivate a noi
le traduzioni nella lingua toscana, a dimostrazione della malleabilità della lingua siciliana, facile da traslare
in altre lingue e contesti. Non convinto di questo era Dante, il quale all’interno del trattato “De Vulgari
Eloquentia” ritiene che nessun dialetto e nessun volgare tra quelli comuni in Italia, fosse adatto o “illustre”
per le forme letterarie. Da qui, continua il suo trattato spiegando quali sono le caratteristiche che il volgare
illustre dovrebbe avere per poter essere applicato alle varie forme letterarie, in primis per la poesia e la
canzone. La descrizione del volgare illustre che si dovrebbe sviluppare in Italia è perfettamente adiacente al
volgare che utilizzerà Dante per le sue ultime opere più importanti, caratterizzate da una lirica alta,
allegorica e filosofica. Ad esemplarci questa teoria è il “Convivio”, un saggio risalente ai suoi primi anni in
esilio (1304 circa), in cui il poeta difende il volgare da chi lo ritiene inferiore al latino. Entrambe le opere
sopra citate sono rimaste incompiute, un probabile segno di un cambiamento di opinione da parte
dell’autore, o forse per dedicare più tempo alla creazione della sua opera più importante la “Divina
Commedia”. Quest’ultima è un poema allegorico in terzine endecasillabe legati da rime incatenate e scritto
in volgare fiorentino, in cui si esprime al massimo il plurilinguismo dell’autore sia a livello di stili e generi
letterari, sia a livello di lingua facendo uso del latino e del volgare, ma anche a livello di tono e lessico.