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riporta alla luce un evento importantissimo del IV secolo a.C., sto parlando della grande difesa del
filosofo al suo processo intentato precisamente nel 399 a.C., quando Atene era sotto il dominio di
un governo “democratico” capitanato da Anito e Trasibulo.
Il preciso atto di accusa emanato ufficialmente e per il quale fu intentato a Socrate un processo di
tale portata, implicando la pena di morte, è come ci riferisce bene Platone: «Socrate è colpevole di
corrompere i giovani e di non credere in quegli dei in cui crede la Città e di introdurre nuove
divinità».
Questo atto di accusa portò a compiere la celebrazione del processo pubblicamente poiché esso
non era di carattere privato ma era considerato un atto di offesa contro la città medesima,
dobbiamo tener presente che all’epoca le questioni riguardanti gli dei e i culti religiosi erano di
competenza dello Stato. Ebbene in verità Socrate realmente non credeva e respingeva gli dei della
tradizione mitologica principalmente per due motivazioni, di conseguenza nella misura in cui
Socrate comunicava con i suoi discepoli tutto questo, che non rientrava in alcun modo nel credo
religioso della Città, gli si imputava di corrompere i giovani e coloro che lo frequentavano.
Le effettive ragioni per cui Socrate venne trascinato in tribunale furono tutt’altro che religiose,
infatti la questione religiosa fu un mascheramento dei veri motivi, e quindi di una vera e propria
congiura contro il filosofo.
Possiamo individuare due tipi diversi di accusatori:
Vecchi accusatori: essi sono i primi che verranno chiamati in causa nel primo discorso di
difesa di Socrate. Loro non sono quelli che hanno intentato il processo ma quelli che hanno
avanzato i presupposti dal quale esso è nato, infatti sono accusati di aver diffamato il
grande filosofo creandogli una immagine sbagliata che purtroppo si diffuse. In particolare
hanno etichettato il pensiero di Socrate con quello dei Naturalisti e dei Sofisti, per tale
motivo si è creduto che egli sconvolgesse, con la sua sapienza, le comuni opinioni degli
uomini, come per esempio l’esistenza del dio Sole e della dea Luna, affermando che sono
pietra e terra. C’è ancora un’altra accusa che vede Socrate come qualcuno che educa
uomini esigendo denaro, all’epoca questa pratica era ancora ritenuta ostile e disonorante.
Difesa vecchi accusatori:
Socrate a queste accuse si difese con grande calma e abilità, esponendo le sue ragioni,
dimostrandole con prove coerenti al caso. Per questo motivo il nostro filosofo difendendosi
mette subito in luce cardini importanti per confutare l’imputazione.
Socrate dice di essersi sempre discostato dal considerarsi naturalista o sofista ma non
perché biasima la ricerca di chi attua queste filosofie ma semplicemente perché non fanno
parte della sua ricerca e di conseguenza non ne ha conoscenze. A testimoniare ciò c’è la
moltitudine di persone che hanno ascoltato le sue orazioni dove non ha menzionato né
toccato argomenti simili. Inoltre Socrate più volte nel corso del primo discorso di difesa
chiarisce che egli stesso non si è mai considerato sapiente, ma ha sempre espresso di
possedere una sapienza umana ben cosciente della propria fragilità, proprio per questa sua
consapevolezza differente dalla superbia dei suoi contemporanei che fu nominato
dall’oracolo di Delfi come il “più sapiente”. Purtroppo i suoi contemporanei non recepirono
la vera essenza delle parole del dio di Delfi e di conseguenza nacque l’odio di tutti coloro
che furono confutati.
Socrate alla fine del suo primo discorso preme far capire un messaggio ai cittadini ateniesi che non
riguarda più le accuse infieritegli contro ma più che altro si attiene alla sua missione che fino ad
allora cercò di portare a avanti e che forse a breve sarebbe dovuta interrompersi. Il filosofo ci dice
che egli è stato posto da Dio affianco della città con lo scopo di filosofare e di esortare con esami o
prove o ancora tramite la comunicazione con i suoi concittadini per dimostrare che l’uomo si
preoccupa troppo di ciò che ha e troppo poco di ciò che è. Per essere realmente sè stesso l’uomo
non deve occuparsi in prevalenza del suo corpo, del potere e delle ricchezze; ma appunto della sua
anima, perché da essa dipende tutto ciò che nella vita vale. Il concetto di anima e quello della sua
cura infatti è il cardine del socratismo.
Nello spiegare il motivo per il quale Atene aveva bisogno ancora di lui e delle sue lezioni di vita che
professava, Socrate propone una metafora che paragona il suo legame con Atene ad un tafano e
un cavallo di razza, che proprio per la sua grandezza è un po’ pigro e ha bisogno di venir punto
dall’animale. In modo analogo Dio ha messo Socrate al fianco della città, ossia come uno che,
pungola, persegue, rimprovera a uno a uno i cittadini per non farli cadere nel grande sonno della
superficialità.
È l’integrità morale ad impedire a Socrate di prendere parte attivamente alla vita politica. Sin da
bambino, infatti, il filosofo ammette di non essere mai stato in grado di prendere decisioni di cui
non fosse stato fermamente convinto – ed è un atteggiamento questo – che il mondo della politica
non contempla.
Rivolgendosi al popolo ateniese, Socrate spiega come nella Città molte cose siano ingiuste e di
come risulti difficile operare per il bene e la legalità, quando anche la folla non vuole essere
ragionevole. Proprio in questa occasione prende in riferimento gli avvenimenti, realmente
accaduti, di quando i cittadini ateniesi volevano giudicare in massa i dieci strateghi per non aver
raccolto i superstiti della battaglia navale. Erano consapevoli di non seguire la legge, eppure in un
modo o nell’altro coloro che la osservavano – tra cui lo stesso Socrate in qualità di membro del
Consiglio – correvano il rischio di arresto e anche di morte.
Per questo motivo, il filosofo si definisce inadatto alla politica; perché semplicemente non avrebbe
mai scelto la strada più comoda a discapito di quella giusta. A costo della sua stessa vita.