In principio il Governo italiano intervenne a regolamentare la qualità delle farine usate per la produzione
del pane. In seguito, stabilì leggi sempre più severe per controllare la produzione e il consumo di beni
alimentari, specialmente di quelli “di lusso”, come lo zucchero e la carne. Dal 1917 si ricorse al
razionamento, cioè alla limitazione degli acquisti effettuata attraverso una distribuzione controllata dei
generi alimentari, attraverso una apposita tessera (la tessera annonaria). Anche la carne bovina diviene
presto merce rara. La necessità di rifornire l’esercito costringe i civili a ridurre i consumi. Crescono
naturalmente i prezzi, con ricadute pesanti su tutto il settore: gli allevatori, attratti dalla possibilità di
altissimi guadagni, mandano al macello anche animali destinati alla produzione di latte ed al lavoro. Si cerca
perciò di limitarne il consumo e si confida nell’importazione della carne congelata proveniente
dall’Argentina. Fame, denutrizione, penuria alimentare furono una tragedia nella tragedia del secondo
conflitto mondiale. Mai nella storia dei conflitti armati tante popolazioni soffrirono in modo così
drammatico la scarsità di cibo e mai ci furono così tante morti per fame. La crisi alimentare più drammatica
riguardò la Russia, dove sia gli abitanti delle città, spesso sotto assedio come a Leningrado e Stalingrado, sia
i contadini delle zone rurali patirono la fame in modo spaventoso.
I costi della guerra furono per l’Italia molto elevati. La situazione economica era in grande difficoltà, in
primo luogo a causa delle enormi spese sostenute dallo stato. L’aumento della quantità di moneta emessa
per fronteggiare il costo della guerra provocò una svalutazione della lira e a essa si accompagnò l’ inflazione
La guerra rappresentò anche uno slancio nello sviluppo industriale, particolarmente nella siderurgia, nella
meccanica e nella chimica. Si aprì perciò una fase di lotte sociali che videro protagonisti contadini e operai.
In una prima fase, l’atteggiamento del governo fu tollerante verso le lotte rivendicative dei lavoratori, nel
tentativo di non inasprire lo scontro sociale. Gli scioperi conseguirono così risultati importanti.
Nell’industria fu conquistata la giornata lavorativa di 8 ore e furono ottenuti aumenti salariali.
. Anche i ceti medi erano attraversati da un forte disagio. E con il passare del tempo gli stipendi dei
dipendenti pubblici rimasero stabili. L’andamento delle trattative di pace contribuì ad aumentare queste
tendenze, diffondendo nel paese il mito della “vittoria mutilata”. L’episodio più clamoroso fu l’occupazione
di Fiume, in Istria, da parte di un contingente di militari ed ex militari, guidato da Gabriele d’Annunzio. La
questione fiumana fu risolta da Giolitti, il quale firmò con la Iugoslavia il trattato di Rapallo, che assegnava
all’Italia l’Istria e alla Iugoslavia la Dalmazia e faceva di Fiume uno stato libero indipendente sotto la tutela
della Società delle nazioni. Biennio rosso
L’ingresso delle masse popolari nella vita politica trovò espressione, sul piano elettorale, nell’avanzamento
del Partito socialista e nel successo del Partito popolare italiano, fondato dal sacerdote Luigi Sturzo. Il
partito popolare si presentava come un partito di ispirazione cattolica. Queste elezioni segnarono una
svolta decisiva nell’immediato dopoguerra; esse furono le prime a svolgersi con il sistema proporzionale; il
maggior numero di suffragi andò al Partito socialista.
La compattezza del socialismo italiano era però minata dai contrasti e dalle divisioni interni al partito.
Quest’ultimo era guidato dalla componente rivoluzionaria di Serrati, chiamata massimalista perché
proponeva la rivoluzione socialista.
Una prova evidente di tale debolezza si ebbe nell’autunno del 1920 in occasione dell’occupazione delle
fabbriche.
Gli industriali pretendevano un intervento della forza pubblica per stroncare un’agitazione giudicata pre-
rivoluzionaria, ma Giolitti obiettò che un intervento dell’esercito avrebbe condotto alla tragedia e che era
meglio puntare a un compromesso. In poche settimane la lotta si concluse con un accordo tra imprenditori
e sindacato, mediatore il governo, che prevedeva consistenti aumenti salariali e una futura (e mai
realizzata) partecipazione dei lavoratori al controllo delle aziende. Inoltre, l’occupazione delle fabbriche
intensificò nei ceti medi la paura per una rivoluzione socialista che in realtà era sempre più lontana dal
realizzarsi e favorì l’orientamento di questi ceti verso una soluzione reazionaria della crisi italiana che avrà
come protagonista il movimento fascista.