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TERAPIA
DELLE MALATTIE
SPIRITUALI
Un'introduzione alla tradizione ascetica
della Chiesa ortodossa
~
SAN PAOLO
Titolo originale dell'opera:
ThérCipeutique des maladies ~irztuelles. Une introduction
à la tradition ascétique de l'Eglise orthodoxe
© Les Éditions du Cerf, Paris 199i
Discorso contro gli Ariani, I, 54. GREGORIO NAZIANZENO, Poesie dogmatiche, X, 5-9. BASILIO
DI CESAREA, citato da GREGORIO NAZIANZENO, Discorsi, XLIII, 48. GREGORIO DI NISSA, Discorso
catech._etico, xxv. CIRILLO D'ALESSANDRIA, Il Cristo è uno, se 97, p. 328.
2 E questo uno dei principali temi dell'opera di san Massimo il Confessore. Vedi il nostro
studio: La divinisation de l'homme selon saint Maxime le Confesseur, Paris 1996, pp. 83-123.
Su qw::sto tema nei suoi predecessori, vedi ibid., pp. 20-59.
3 A l'image età /,a ressembhnce de Dieu, Paris 1967, pp. 95-108.
5
La comprensione della redenzione in termini di riscatto trova sicu-
ramente il suo fondamento nelle Sacre Scritture e, in particolare,
nelle lettere di san Paolo. Ma ciò non deve· farci dimenticare che, co-
me fa notare Vladimir Lossky, <<in generale, nei Padri come nelle Scrit-
ture, troviamo molte immagini per esprimere il mistero della nostra
salvezza compiuta dal Cristo. Così, nel Vangelo, il Buon Pastore è
un'immagine "bucolica" dell'opera del Cristo; l'uomo forte, vinto da
qualcuno più forte di lui alza le sue armi e distrugge il suo dominio,
è un'immagine bellica che ritorna spesso nei Padri e nella liturgia: il
Cristo vittorioso su Satana, che spezza le porte dell'inferno e fa della
croce la sua bandiera. Un'immagine medica, quella della natura ma-
lata guarita dall'antidoto della salvezza; un'immagine che si potrebbe
chiamare "diplomatica" - quella della scaltrezza divina che sventa l' a-
stuzia del demonio, ecc.»4 • Certo, «l'immagine impiegata molto spes-
so, attinta da san Paolo nell'Antico Testamento, è tratta dall' ambitò
delle relazioni giuridiche>>, ma «assunta in questo senso particolare, la
redenzione è un'immagine giuridica dell'opera del Cristo, accanto a
molte altre immagini possibili»; «impiegando il termine redenzione
[. .. ],nel senso di un termine generico che indica l'opera salvifica del
Cristo in tutta la sua ampiezza, non bisogna dimenticare che questa
espressione giuridica ha un carattere figurato: il Cristo è redentore al-
lo stesso titolo che è un guerriero vittorioso sulla morte, un sacrifica-
tore perfetto, ecc.»5• L'esclusivo uso dell'immagine del riscatto e la sua
comprensione in un senso troppo stretto manifesta subito le sue in-
sufficienze e porta anche a inconseguenze teologiche, come ha parti-
colarmente sottolineato san Gregorio Nazianzeno6 •
Uno dei nostri intenti, in quest'opera, è quello di mostrare tutta
l'importanza che riveste nella tradizione ortodossa ciò che Vladimir
Lossky chiama <<immagine medica>>. Se i Padri, come vedremo, ne han-
no fatto un uso così frequente nei loro insegnamenti, se la si ritrova in
moltissimi testi liturgici in uso nella Chiesa ortodossa come nel testo
del rituale della maggior parte dei suoi sacramenti, se molti Concili
l'hanno inserita nei loro canoni, in breve se essa è accolta da tutta la
Tradizione, è perché essa costituisce, noi lo dimostreremo, una ma-
niera particolarmente adeguata di rappresentare il modo della nostra
salvezza, con un valore almeno equivalente a quello del riscatto.
6
Questa immagine possiede, peraltro, un fondamento scritturistico
particolannente solido. Il Redentore è anche il Salvatore; se noi siamo
riscattati, siamo anche salvati: ora si dimentica troppo spesso che il
verbo sOim (salvare), frequentemente usato nel Nuovo Testamento, si-
gnifica, non solo <<liberare» o «trarre fuori da un pericolo», ma an-
che «guarire», e che il termine soterfa (salvezza) indica non solo la li-
berazione, ma anche la guarigione7 • Il nome stesso di Gesù significa
<<Jhwh salva>> (cfr. Mt 1,21; At 4,12), in altre parole, dunque: «guari-
sce>>. E il Cristo presenta se stesso, molto direttamente, come un me-
dico (cfr. Mt 8,16-17; 9,12; Mc2,17; Lc4,1823). Del resto, è cometa-
le che spesso i profeti lo annunciano (cfr. Is 53 ,5; Sal 102,3) e che gli
evangelisti lo caratterizzano (cfr. Mt 8,16-17); la stessa parabola evan-
gelica del Buon Samaritano può essere a buon diritto considerata co-
me una rappresentazione del Cristo Medico8 • Durante la sua vita ter-
rena, infine, diversi suoi contemporanei andarono da lui come verso
un medico9 •
I Padri, quasi unanimemente, e fin dai primi secoli, gli attribui-
ranno in modo corrente il nome di Medico, aggiungendovi spesso i
qualificativi di «grande>>, «celeste>>, «supremo», precisando inoltre, se-
condo il contesto: «dei corpi>>, «delle anime>>, più frequentemente «del-
le anime e dei corpi», sottolineando che è tutto l'uomo che egli è ve-
nuto a guarire. Questa definizione appare al centro stesso della litur-
gia di san Giovanni Crisostomo e nella maggior parte delle formule
sacramentali. La si ritrova costantemente in quasi tutti i servizi litur-
gici della Chiesa ortodossa e in molte formule di preghiera.
7 Si può sottolineare che questo duplice significato si ritrova in copto, e ai nostri giorni n:el-
7
tenza degli uomini dell'Antica Alleanza a trovare un rimedio ai loro
mali, tanto questi sono gravi; ricordano, altresì, la loro invocazione a
Dio lungo le generazioni e la risposta favorevole di Dio che ha volu-
to l'Incarnazione del Verbo l'unico, perché Dio, in grado di compie-
re la guarigione che essi attendevano.
È così che in questi momenti diversi, l'opera salvifica di Dio-uo-
mo appare come il processo della guarigione, nella sua persona, del-
l'intera umanità che egli ha assunto e della restituzione all'umanità del-
lo stato di salute spirituale che essa ha in origine conosciuto. In que-
sto modo, il Cristo ha portato alla perlezione della deili.cazione la natura
· umana così restaurata.
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uomo decaduto e diviene un <<Uomo nuovo»; si spoglia dell' <<Uomo
vecchio» e si «riveste del Cristo»; attualizza lo scambio che il battesi-
mo ha potenzialmente realizzato in lui della natura decaduta con la
natura restaurata e deificata in Cristo.
La salvezza operata dal Cristo essendo concepita dalla Tradizione
come guarigione della natura umana malata nonché come restaura-
zione della salute primordiale, è logico che l'ascesi, per mezzo della
quale l'uomo fa sua questa grazia, venga altresì considerata come un
processo di guarigione dell'uomo e del suo ritorno alla salute.
Si è colpiti, leggendo i Padri, nel constatare che questi, senza ec-
cezione e molto frequentemente, ricorrono a categorie mediche per
descrivere le diverse modalità dell'ascesi, al punto tale che questa è
sembrata poter essere sistematicamente presentata come una terapia
perfettamente elaborata, definendosi peraltro l'ascesi stessa, al pari
della medicina, come un'arte nel senso antico di <<tecnica» (questo del
resto è un altro significato del termine greco askesis), e anche, secon-
do un'espressione divenuta tradizionale, come «l'arte delle arti e la
scienza delle scienze». Gli insegnamenti patristici presentano, altresì,
l'ascesi usando le categorie della lotta, del combattimento (athlesis e
ag6n, che hanno questo significato oltre quello di «sforzo» e di «alle-
namento», apparendo spesso come degli equivalenti di askesis): ma noi
possiamo osservare, senza pretendere di ricondurre queste ultime
categorie alle precedenti, che esse ne sono complementari, poiché la
medicina ha lo scopo di attaccarsi alle cause delle malattie, di lottare
contro le malattie, e di vincerle, utilizzando l'attuazione di una strate-
gia e l'impiego di un arsenale terapeutico, ecc.
9
tie in quanto spirituali non sono apparenti come le malattie fisiche o
le malattie mentali. Ed è a questo livello che la simbologia gioca un
ruolo indispensabile.
È nostro intento, però, in questa ricerca, dimostrare come l' asceti-
ca ortodossa presenti una descrizione molto dettagliata della condi-
zione di malattia dell'uomo decaduto, descrizione che costituisce,
sul piano spirituale in cui essa si situa, una vera semiologia e anche, in
ragione del suo carattere sistematico e coerente, un'autentica nosolo-
gia medica. Questo appare in particolare nella classificazione e nella
descrizione delle passioni (della loro natura, ·delle loro cause e degli
effetti) che i Padri indicano costantemente ed esplicitamente come
«malattie spirituali>>: il termine pathos, che significa «malattia>>, porta
già in sé questa connotazione.
Una tale nosologia è necessaria per considerare in modo efficace la
terapia e ottenere la guarigione, cose che costituiscono lo scopo del-
1' ascesi. Ci proponiamo di mostrare, quindi, che è in modo del tutto
sistematico e metodico che l'ascetica ortodossa presenta questa tera-
pia, il che la fa apparire come una vera medicina spirituale dell'uo-
mo totale. Vedremo, del resto, che colcìro che si dedicano ali' ascesi so-
no solitamente indicati nei testi patristici come terapeuti; terapeuti
di se stessi innanzitutto, poi, quando sono progrediti sulla via dell' a-
scesi e sufficientemente esperti, di coloro che vengono a chiedere lo-
ro l'aiuto per guarire dalle malattie proprie: è così che nei testi patri-
stici, i Padri spirituali sono abitualmente chiamati «medici».
Tuttavia, se la definizione della terapia spirituale presuppone una
precisa conoscenza delle malattie e delle loro cause, questa stessa co-
noscenza esige che si abbia una nozione precisa di ciò che è la malat-
tia dell'uomo, poiché la nozione di malattia non acquista il suo senso
se non in rapporto a questa. La terapia, in quanto mira al ristabilimento
o all'acquisizione della salute, suppone anche che questa sia .chiara-
mente definita. Ecco perché inizieremo col presentare la concezione
patristica di salute dell'uomo, concezione che ci guiderà lungo tutta la
nostra ricerca.
La nozione che lantropologia ortodossa ha della salute dell'uomo
è indissociabile da quella di una natura umana ideale posseduta dal-.
l'Adamo originale e, dovendo essere condotta da lui; nella sinergia tra
la sua libera volontà e la grazia divina, alla sua perfezione, quella del-
la deificazione. Ciò vuol dire che la natura umana ha un senso, che si
trova nelle sue diverse componenti: essa è naturalmente orientata ver-
so Dio ed ha come destino di trovare in lui il proprio compimento.
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Mostreremo come, secondo l'antropologia ascetica ortodossa, l'uomo
è in uno stato di salute quando realizza il suo destino e quando le
sue facoltà si esercitano conformemente a questa finalità naturale, e
come il peccato, concepito quale separazione da Dio, allontanando
l'uomo da questo fine che gli è essenziale, instaura in lui uno stato mul-
tiforme di malattia, che si caratterizza particolarmente con l'uso per-
verso, contro natura, di tutte le sue facoltà. Vedremo, perciò, come l'a-
scesi teantropica per mezzo della quale l'uomo si converte ontologi-
camente, costituisce una vera terapia in quanto essa gli permette di
riallontanarsi da questo stato patologico contro natura e di recupera-
re la salute della sua natura originale nel ritornare verso Dio.
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PARTE PRIMA
PREMESSE ANTROPOLOGICHE
SALUTE ORIGINALE
E ORIGINE DELLE MALATTIE
I
15
creazione, non consiste solo nella semplice capacità, conferitagli dal-
le sue facoltà, di unirsi a Dio: Adamo fu creato realizzando già, in qual-
che misura, la somiglianza a Dio che aveva l'incombenza di portare a
compimento. Fin dall'origine, egli era rivolto verso Dio5 e possede-
va, nella sua stessa natura, creata a immagine di Dio, tutte le virtù. San
Gregorio di Nissa scrive: <<È ad immagine di Dio che l'uomo è stato
creato, il che equivale a dire: [Dio] ha reso la natura umana partecipe
di ogni bene. [ ... ] C'è in noi, dunque, ogni sorta di bene, ogni virtù,
ogni sapienza e tutto ciò che si può pensare di meglio»6 • San Doro-
teo di Gaza insegna la stessa cosa: «Dio ha fatto l'uomo a sua imma-
gine, cioè [. .. ] rivestito di ogni virtù.>>7 • In san Giovanni Damasceno
si legge: «Dio ha fatto l'uomo [ .. .] adorno di ogni virtù e ricco di ogni
bene»8• Anche san Massimo annota: «Le virtù sono inerenti all'anima
a motivo della creazione»9•
È, dunque, per natura che l'uomo è virtuoso: «Per natura posse-
diamo le virtù che ci sono state date da Dio. Creando l'uomo, Dio le
ha poste in lui>>; <<Dio, dunque, ci ha dato le virtù con la materia>>, pre-
cisa san Doroteo di Gaza10 • «La virtù è connaturale all'anima», os-
serva sant'Isacco il Siro 11 • «Le virtù sono naturali nell'uomo», scrive
ancora san Giovanni Damasceno 12 •
I Padri, nel sottolineare particolarmente il fatto che le virtù sono
inerenti alla stessa natura dell'uomo e non qualità che gli saranno, in
un modo o nell'altro, date in aggiunta, hanno tuttavia a questo riguardo
una concezione dinamica: le virtù non sono date all'uomo piena-
mente compiute; esse appartengono alla sua natura solo in quanto è
nella sua finalità realizzarle, in quanto esse costituiscono il compimento
e la perfezione di questa natura, ma la loro realizzazione suppone la
partecipazione attiva dell'uomo al disegno di Dio, la collaborazione di
tutte le sue facoltà alla volontà divina, la libera apertura del suo esse-
re totale alla grazia di Dio. L'uomo è stato creato con la possibilità di
realizzare queste virtù e iniziandone già la realizzazione. Egli le pos-
5 Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE, Ambigua, 48, PG 91; 1361A; Questioni a Talassio, 40, PG
90, 396A.
6 La creazione dell'uomo, Iv, PG 44, 13('iCD. Cfr. ibid., 184B.
7 Istruzioni spirituali, l, 1.
8 Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 12.
9 Disputa con Pirro, PG 91, 309C. Cfr. Centurie sulla carità, III, 27. Vedi anche ANTONIO
EREMITA, Lettere, I, 1. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, III, 90.
10 Istruzioni spirituali, XJI, 134.
11 Discorsi ascetici, 83.
12 Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 14.
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sedeva in germe13 , ma doveva farle crescere per portarle al loro com-
pimento. E in questo senso che i Padri interpretarono il comanda-
mento divino dato ad Adamo ed Eva: «Siate fecondi e moltiplicatevi»
(Gn 1,28). Ed è per questo che essi dicono che, in paradiso, <<l'uomo
era molto piccolo, perché era bambino e doveva, sviluppandosi, giun-
gere allo stato adulto» 14 • Per manifestare questo carattere dinamico
dell'acquisizione delle virtù e della deificazione, la maggior parte dei
Padri, a differenza di san Gregorio di Nissa, distingue l'immagine e la
somiglianza. In base a questa distinzione, l'immagine di Dio nell'uo-
mo definisce l'insieme delle possibilità di realizzare la somiglianza, la
potenzialità della somiglianza a Dio, mentre la somiglianza è costitui-
ta dal compimento dell'immagine; consiste cioè nel fiorire di questa
conforme alla sua natura integrale; sta nella realizzazione della sua per-
fezione. Mentre l'immagine è attuale, la somiglianza è virtuale, essa
si realizzerà attraverso la libera partecipazione dell'uomo alla grazia
deificante di Dio. Ecco ciò che afferma san Basilio Magno: «"Creia-
mo l'uomo a nostra immagine e somiglianza": noi possediamo l'una
per creazione, acquisteremo l'altra per mezzo della volontà. Nella pri-
ma struttura, ci è dato di essere nati ad immagine di Dio; per mezzo
della volontà si forma in noi l'essere a somiglianza di Dio. Ciò che pro-
viene dalla volontà, la nostra natura lo possiede in potenza, ma è agen-
do che noi ce lo procuriamo. Se creandoci il Signore non avesse pre-
so in anticipo la precauzione di dire ''creiamo" e "a somiglianza", se
non ci avesse gratificati con la potenza di divenire a somiglianza, con
le nostre capacità non avremmo mai attinto la somiglianza a Dio. Ma
ecco che egli ci ha creati capaci in potenza di somigliare a lui. Do-
nandoci la potenza di somigliare a Dio, ha permesso che fossimo gli
artefici della somiglianza a Dio, affinché ci giunga la ricompensa del
nostro lavoro, affinché non fossimo come quegli oggetti usciti dalla
mano del pittore, oggetti inerti, perché il risultato della nostra somi-
. glianza non vada a lode di un altro. Infatti, quando tu vedi il ritratto
esattamente conforme al modello, tu non lodi il ritratto, ma ammiri
il pittore. Così, dunque, affinché sia io oggetto d'ammirazione e non
un altro, egli mi ha lasciato il compito di diventare a somiglianza di
Dio. Infatti, per mezzo dell'immagine, io possiedo l'essere razionale,
13 Cfr. per esempio GREGORIO DI NAZIANZo, Discorsi, II, 17; EVAGRIO PONTICO, Centurie
gnostiche, I, 39.
14 Cfo IRENEO DI LIONE, Dimostrazione della predicazione apostolica, 12; Contro le eresie,
IV; 38, 1-2. TEOFILO D'ANTIOCHIA, A Autolico, II, 25. MACARIO D'EGITTO, Capitoli parafrasati,
50; MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, Prologo, PG 90, 257D.
17
e divento a somiglianza divenendo cristiano»15 , San Gregorio Nazian-
zeno afferma, in maniera simile, la necessaria partecipazione dell'uo-
mo ali' acquisizione del dono che Dio gli ha fatto. Egli scrive così: «L' a-
nima avrà l'oggetto della sua speranza come prezzo della sua virtù, e
non solo come dono di Dio. E proprio in ciò che occorre portare la
bontà al suo culmine come se il bene fosse anche nostra proprietà. Un
bene che non è solo un seme affidato alla natura, ma che è anche l' og-
getto di una cultura che dipende.dalla no.stra volontà>>16 •
I Padri che distinguono tra l'immagine e la somiglianza ricollegano
le virtù alla somiglianza17 , volendo così dii.nastrare che queste devono
rivelarsi e svilupparsi dinamicamente attraverso la partecipazione at-
tiva e la costante collaborazione dell'uomo alla grazia deificante della
Santissima Trinità. Non si potrà, tuttavia, far corrispondere la distin-
zione immagine-somiglianza a una distinzione natura-sovranatura, in
cui la somiglianza sarebbe una sovranatura che si aggiungerebbe,
per grazia di Dio, a una natura che potrebbe essere cçmcepita indi-
pendentemente da essa e che costituirebbe l'immagine. E naturale nel-
l'uomo, secondo i Padri, non solo l'immagine, ma anche la somiglianza:
è nella natura stessa dell'uomo somigliare a Dio; è nella stessa natura
dell'immagine condurre a termine la sua perfezione nella realizzazio-
ne della sua somiglianza, e l'µomo è stato creato, lo ripetiamo, per rea-
lizzare già naturalmente questa somiglianza per mezzo della virtù del-
l'immagine. La somiglianza non è un'aggiunta a una natura che po-
trebbe esistere normalmente indipendentemente da essa, ma uno
sviluppo della natura data nell'immagine. L'uomo, attraverso l'im-
magine di Dio che è in lui, è naturalmente, sebbene virtualmente, per-
fetto18 ed è naturalmente capace di realizzare tale virtualità, di assi-
milarsi a Dio, perché tale è la finalità normale della sua esistenza, il
normale destino della sua stessa natura. È questo il senso dei coman-
damenti divini: «Siate fecondi e moltiplicatevi>> (Gn 1,28); «Siate san-
ti per me, perché santo sono io» (Lv 20,26); «Siate perfetti, come per-
fetto è il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,48). Poss.iamo dunque di-
re, in senso dinamico, che l'uomo è naturalmente deiforme19 •
SIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 25; Centurie sulla teologia e l'economia, I, 13. DO-
ROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XII, 134. NICETA STETATOS; Centurie, III, 8; 11.
18 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Omelie sul Cantico dei Cantici, XV.
19 Cfr. V. LOSSKY, Théologie mystique de l'Église d'Orient, Paris 1944, pp. 96-97. M. LOT-Bo-
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La somiglianza con Dio, se era stata data in potenza e si trovava
spontaneamente abbozzata nell'immagine, supponeva, per essere com-
piuta nella sua perfezione, che Adamo stesso volesse realizzarla inte-
gralmente. Frutto della collaborazione della volontà umana con la gra-
zia di Dio, essa non poteva essere che opera teantropica, realizzazio-
ne comune di Dio e dell'uomo volto verso di lui. L'uomo, infatti, in
virtù della perfezione che Dio aveva voluto per lui e iscritto nella sua
immagine in lui, possedeva una libertà totale che gli consentiva di unir-
si a Dio, ma anche di rifiutare di collaborate con lui per realizzare il
suo disegn.o2°. Tuttavia, Dio gli aveva dato un ordine (cfr. Gn 2,16-17)
per aiutarlo a usare bene la sua libertà. Questa si manifestava in tutta
la perfezione della sua natura originaria, nella sua vera finalità, fino a
che si realizzava nella scelta costante e unica di Dio. Attraverso que-
sta scelta stabilmente mantenuta con il libero arbitrio, Adamo si con-
servava nel bene in cui era stato creato e se l'appropriava sempre più.
In questo stato primordiale, in cui realizzava la finalità vera della
sua natura, Adamo pregava Dio continuamente, lodando e glorificando
sempre il suo Creatore21, conformemente alla volontà di quest'ultimo22 •
Coltivando con la sua anima pensieri divini e nutrendosi di essi23 ,
egli viveva in permanenza nella contemplazione di Dia24 • Riconoscendo
la presenza dell'energia divina nelle creature, egli si elevava per mez-
zo di queste al Creatore25 e le elevava a sua volta verso Dio, lui che
ne era stato costituito re, realizzando così la sua funzione di <<mediato-
re tra Dio e la materia>>26, compiendo la missione che gli era stata asse-
gnata da Dio di unire il mondo sensibile al mondo intelligibile, di «riu-
nire per mezzo dell'amore la natura creata con la natura increata fa-
cendole apparire nell'unità e nell'identità>>27 • Vedendo Dio continua-
mente in ogni essere, egli lo vedeva anche in se stesso, perché la purez-
za della sua anima gli permetteva di contemplarvelo come in uno spec-
chia28. Egli poteva anche godere della visione di Dio a faccia a faccia29 •
2°Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 12.
21 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, I, 1. GIOVANNI DAMASCENO, loc. cit., 11; 30.
22 GIOVANN1 DAMASCENo, loc. cit., 11.
25 Cfr. ibid., 30.
24 Cfr. ATANASIO D'ALEsSANDRIA, Contro i pagani, 2.
25 Cfr. GIOVf\NNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 30.
26 GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 30. Cfr. 12. GREGORIO
19
«Non essendovi nulla che gli impedisse di conoscere il divino, scrive
sant' Atanasio di Alessandria, la sua purezza gli permetteva di con-
templare continuamente l'immagine del Padre, il Verbo di Dio»30 . Ada-
mo in questo stato «dimorava in Dio che dimorava in lui»31 . Così, tut-
ti i Padri ci presentano il primo uomo che intrattiene con Dio relazioni
di familiarità (parresia) e il libro della Genesi ce lo mostra mentre con-
versa ogni giorno con lui, in tutta libertà, nel paradiso. Circondato dal-
la grazia divina32 , viveva in uno stato permanente di intenso godimento
spirituale: i Padri ricordano costantemente la dolcezza, le delizie, la
gioia, la felicità, la fortuna unite alla sua contemplazione33 e derivanti
da questa relazione stretta con Dio che gli consentiva di partecipare
alla stessa beatitudine della vita divina. L'uomo, afferma sant' Atana-
sio di Alessandria, viveva allora «la sua vera vita>>34 , cioè quella per la
quale egli è stato creato, quella che costituisce la finalità normale
della sua vera natura..
Poiché Adamo unificava se stesso e unificava tutti gli altri esseri.in
lui attraverso la continua contemplazione in ogni cosa di Dio Uno, non
vi erano affatto allora divisioni né nello stesso uomo, né tra l'uomo e
i suoi simili35 , né tra l'uomo e gli altri esseri, né tra gli esseri stessi. Re-
gnava la pace in tutti e in tutto. L'uomo conduceva in paradiso una vi-
ta «senza tristezza, né dolore, né preoccupazioni»36; «possedendo i do-
ni di Dio e la potenza propria proveniente dal Verbo del Padre, [ ... ]
egli viveva una vita senza inquietu<lini>>37 ; «non doveva temere nessu-
na malattia interiore: nella sua carne una perfetta salute, nella sua ani-
ma una serenità perfetta>>38 ; <<febbre, àgitazione, follia irrazionale e avi-
dità delle viscere, nulla di tutto questo esisteva: la vita era per lui
senza amarezza e l'esistenza senza tristezza>>39•
Nel paradiso, l'uomo aveva <<facoltà sane e stabili, nel loro stato na-
turale»40 e, mantenendosi nello stato naturale in cui era stato creato,
stato di unione permanente con Dio, egli possedeva l'integrità di que-
°Contro i pagani, 2.
3
31 GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 11.
32 Ibid.
33 Cfr. ibid., 30. ATANASIO D'ALEssANDRIA, Sull'Incarnazione del Verbo, 3; Contro i pagani,
2. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, I, 1.
34 Sull'Incarnazione del Verbo, 3.
35 Eva che rappresenta sia la sposa di Adamo che il suo prossimo.
36 ATANASIO D'ALEsSANDRIA, Sull'Incarnazione del Verbo, 3.
37 ID., Contro i pagani, 2.
38 AGOSTINO D'IPPONA, La città di Dio, XIV, 26.
39 SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XXV, 92-94.
40 ISAIA DI SCETE, Asceticon, Il, 2.
20
ste facoltà41 • «Un tempo, afferma san Gregorio di Nissa, il genere uma-
no così come lo si può concepire godeva della salute, perché gli ele-
menti - voglio dire i moti dell'anima - erano equilibrati secondo le leg-
gi della virtù>>42 •
Lo stato paradisiaco, in cui l'uomo viveva secondo la sua natura pri-
mordiale, appariva così come uno stato di salute, in cui l'uomo igno-
rava ogni forma di malattia sia nell'anima che nel corpo, e in cui egli
conduceva una vita totalmente normale, poiché conforme alla sua na-
tura e alla finalità vera di essa.
21
namente reintegrata nella sua natura originale e l'uomo ritrova la pos-
sibilità di realizzare la perfezione alla quale il Creatore lo ha destina-
to. Il Cristo, divenuto perfettamente uomo senza smettere di essere
Dio, restituisce alla natura umana, attraverso l'unione con essa della
sua natura divina nella sua Persona, la pienezza e l'integrità della sua
perfezione originaria condotta al suo compimento. È allora, per mez-
zo di Dio stesso nella Per.sana del suo Figlio, che si realizza imme-
diatamente e si rivela a tutti il destino ultimo dell'umanità, la perfe-
zione della natura umana unita intimamente e totalmente a Dio. Ada-
mo era solo <<figura del futuro» (Rm 5,14), perché egli è venuto meno
al suo destino finale: il Cristo manifesta il compimento della promes-
sa, la porta alla sua perfezione. «Solo il Salvatore è il primo ad avere
realizzato l'uomo autentico e perfetto», scrive san Nicola Cabasilas46 •
Immagine del Dio invisibile (cfr. Col 1,15), «irraggiamento della glo-
ria e impronta della sua sostanza>> (Eb 1,3) nella quale abita corpo-
ralmente la pienezza della divinità (efr. Col 2,9), Cristo rivela il senso
profondo della creazione dell'uomo a immagine e somiglianza di Dio:
nella sua natura umana si manifesta la natura divina legata ad essa sen-
za separazione né confusione. Egli è il modello visibile e compiuto del-
l'Uomo Nuovo (cfr. E/2,5), nel quale l'umanità decaduta è chiamata
a rinnovarsi, del quale ogni uomo è invitato a riprodurre l'immagine
(Rm 8,29) e ad acquisire la somiglianza47 • Egli affermerà con la sua du-
plice natura di Dio-uomo che l'uomo è destinato ad essere uomo-dio:
«Dio si è fatto uomo affinché l'uomo possa divenire dio», proclama-
no i Padri48 • In Cristo, Dio presenta se stesso all'uomo come norma
della sua perfezione e del suo destino; egli gli mostra con evidenza che
la sua natura è teantropica; gli rivela che l'uomo non è perfetto se non
unito a Dio - poiché nella Persona del Cristo è attraverso l'unione
alla natura divina che la natura umana è resa perfetta -, e che .è solo
attraverso I'assimilazione al Cristo che l'uomo può realizzare in se stes-
so tale perfezione teantropica. L'uomo non è veramente uomo se
non essendo dio in Cristo. ·
Il Cristo è chiamato secondo Adamo non in quanto egli porterà al-
l'uomo un'altra natura e un altro destino diversi da quelli assegnati
carnazione del Verbo, 54. GREGORIO DI NAZIANZO, Poesie dogmatiche, X, 5-9. GREGORIO DI N!S·
SA, Discorso catechetico, 25; 27. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, V, 56-58. NICOLA
CABASILAS, La vita in Cristo, VI, 64.
22
al primo Adamo, ma in quanto viene a compiere lui stesso quello
che Adamo per sua colpa non ha realizzato49 • I Padri affermano che
è ad immagine stessa del Logos, del Verbo di Dio, che Adamo è sta-
to creato50 , e che il mistero stesso della creazione dell'uomo ad imma-
gine del Logos si riallaccia al mistero dell'adozione filiale dell'uomo
con Dio nel suo Figlio. Non vi è per l'uomo, fin dalla sua creazione,
che un solo fine naturale: la somiglianza al Cristo, norma del compi-
mento della sua natura, pienamente e chiaramente rivelata nell'In-
carnazione del Figlio. L'uomo è stato creato come essere <<logico» Uo-
gik6s) cioè razionale, ma più fondamentalmente come un essere cri-
stologico; logik6s nei Padri significava conforme al Logos, al Verbo di
Dio. E.i Padri arrivano ad affermare che l'uomo è stato creato non so-
lo ad immagine del Logos incarnato, del Cristo Dio e uomo, e che
esso ha fin dalla sua creazione come suo destln.o, per sua stessa natuc
ra, il tendere con tutto il suo essere ad assimilarsi attivamente al Cri-
sto51. San Nicola Cabasilas scrive: «La natura umana è stata creata
fin dall'origine in vista dell'Uomo Nuovo, l'intelligenza e il desiderio
dell'uomo sono stati creati per il Cristo: abbiamo ricevuto l'intelligenza
per conoscere il Cristo, il desiderio perché fossimo attratti verso di lui
e la memoria per portarlo in noi. Questo tanto più in quanto egli ha
fatto da modello per la nostra creazione. Infatti, non è il vecchio Ada-
mo che è stato figura (parddeigma) del Nuovo, ma il Nuovo dell'anti-
co (cfr. Rm 5,14). Noi, che lo riconosciamo come nostro antenato, con-
sideriamo il primo Adamo l'archetipo della natura umana; ma per Co-
lui che ha davanti agli occhi tutti gli esseri, prima ancora che questi
esistessero, l'antenato hon è che l'imitazione del nuovo Adamo. Egli
è stato creato a immagine e somiglianza di quest'ultimo»52 . San Ni-
cola Cabasilas potrà perciò scrivere: «L'uomo tende verso il Cristo non
solo a causa della divinità di Nostro Signore, ma anche a causa di que-
st'altra natura [quella umana] che egli possiede>>53 . San Gregorio Pa-
lamas insegna allo stesso modo: «Già la formazione stessa dell'uomo
fin dall'origine, creata ad immagine di Dio, è stata in vista del Cristo,
23
affinché l'uomo potesse a tempo debito comprendere in sé l'Archeti-
po; allo stesso modo, il comando in paradiso è stato dato per questo
motivo»54 •
Il Cristo si rivela così, da sempre, il principio e il termine (cfr. lCor
8,6; Ap 22,13) della natura umana e in essa di ogni creatura, come
afferma in particolare san Massimo il Confessore, che, a proposito del-
l'unione nella Persona del Cristo. della natura divina e della natura
umana, scrive: «Ecco il fine beato in vista del quale ogni cosa fu co-
stituita. Ecco il progetto che Dio concepì prima della stessa creazione
degli esseri [. .. ]. A questo fine Dio creò le essenze degli esseri. Così
la ricapitolazione in Dio di ogni creatura si rivela come il termine sia
dell'azione provvidenziale di Dio sia degli esseri che ne beneficiano.
Il Verbo, Dio per essenza, si fece uomo e divenne l'annunciatore di
questa volontà divina. Fece apparire il. fondo più intimo dell'amore
del Padre e fece vedere in lui il fine per il quale tutte le creature fu-
rono create. D'altronde, è per il Cristo, in altri termini per il mistero
eristico, che il tempo e ciò che esso contiene ricevettero il loro inizio
e la loro fine>>55 • Queste affermazioni, per quanto riguarda l'uomo, con-
cordano con l'insegnamento di san Paolo: il Padre «ci elesse in lui pri-
ma della creazione del mondo, perché fossimo santi e irreprensibili
davanti a lui nell'amore, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi,
tramite Gesù Cristo» (E/1,4-5) e «coloro che da sempre egli ha fatto
oggetto delle sue premure, li ha anche predeterminati ad essere confor-
mi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra mol-
ti fratelli» (Rm 8,29); così il Cristo potrà divenire «tutto in tutti»
(Col 3,11).
Nella Persona del Cristo si esprimono, dunque, totalmente il prin-
cipio e il termine della natura dell'uomo, apparendo chiaramente il
suo essere autentico e il suo vero destino. L'immagine di Dio, oscu-
rata nell'umanità dal peccato di Adamo, è rimanifestata in Colui che
è senza peccato, con maggior fulgore di quanto essa non fosse in Ada-
mo prima della sua caduta: poiché in Cristo l'immagine di Dio si ri-
vela nella sua perfezione compiuta, totalmente attualizzata dalla rea-
lizzazione totale della somiglianza dell'uomo con Dio che si compie
nella sua Persona per mezzo dell'unione della natura divina alla natu-
ra umana. L'immagine e la somiglianza di Dio nell'uomo sono mani-
festate dal suo stesso Creatore, il Logos di Dio fatto carne, egli stesso
54 Omelia sull'Epifania.
55 Questioni a Talassio, 60, PG 90, 621AB.
24
immagine perfetta del Padre, tali e quali egli le ha volute fin dall'ori-
gine, nel loro compimento totale e definitivo. In Adamo appariva so-
lo l'immagine del Modello; in Cristo si mostra il Modello stesso; nel-
la Persona del Cristo, il Modello si unisce all'immagine - senza confon-
dersi con essa e senza esserne mai più separato - e la restaura e la
conduce alla sua perfezione attraverso questa stessa unione. Sant'Ire-
neo così scrive a proposito di questa manifestazione splendente del-
l'immagine e della somiglianza, e di questa rivelazione dell'uomo-dio
nel Dio-uomo: <<La verità di tutto questo apparve quando il Verbo di
Dio si fece uomo, rendendosi simile all'uomo e rendendo l'uomo si-
mile a lui, perché, per mezzo della somiglianza con il Figlio, l'uomo
divenisse prezioso agli occhi del Padre. Nei tempi antichi, infatti, si di-
ceva che l'uomo era stato fatto a immagine di Dio, ma tutto questo
non appariva, perché il Verbo era ancora invisibile, Verbo divino, a
immagine del quale l'uomo era stato fatto: peraltro, è per questo
motivo che la somiglianza si era facilmente perduta. Ma, quando il Ver-
bo di Dio si fece carne, confermò l'una e l'altra; egli fece apparire l'im-
magine in tutta la sua verità, divenendo egli stesso ciò che era la sua
immagine e ristabilì la somiglianza in maniera stabile, rendendo l'uo-
mo completamente simile al Padre invisibile per mezzo del Verbo, d' al-
lora in poi visibile»56 •
Nel Cristo è, così, rivelato chiaramente all'uomo l'archetipo della
sua vera natura, il modello che fin dalla sua creazione e per la sua stes-
sa natura è destinato a compiere57, «essendo il Cristo, fa notare san Ni-
cola Cabasilas, il solo e il primo ad aver realizzato l'uomo autentico e
perfetto quanto al comportamento, alla vita e sotto ogni aspetto»58 •
Schiudere il proprio essere, realizzarsi, vivere in conformità con la sua
natura, ma anche vivere in modo perfetto, consiste perciò, chiaramente,
per l'uomo nel somigliare al Cristo, nell'assimilarsi a lui e nel divenire
dio in lui59 • Solo nell'unione al Cristo l'uomo trova la pienezza del suo
essere, l'integrità e l'integralità della sua natura, il senso vero, primo e
ultimo del suo destino, la perfezione della sua attività e della sua vita
intera. Solo in Cristo l'uomo può essere se stesso, può essere piena-
uniti a lui [. .. ], questi divengono anche dio per adozione, simili al Figlio di Dio. Quale meravi-
glia! Il Padre li rive5te del loro primo vestito, di quel mantello di cui il Signore era rivestito
prima della fondazione del mondo, perché è detto: "Voi tutti che siete stati battezzati in Cri-
sto, siete stati rivestiti del Cristo"» (Trattati etici, IV, 586-592).
25
mente uomo e realizzare la propria vera natura in tutte le sue dimen-
sioni.: «Il Figlio, afferma san Massimo, restituisce la natura a se stes-
sa»60; e san Gregorio Nazianzeno aggiunge: «Attraverso il Cristo vie-
ne restaurata l'integrità della nostra natura>>.
Infatti l'uomo è per natura, nella sua origine, nella struttura del suo
essere e nel suo destino, un essere cristologico e teocentrico: solo
volgendosi verso Dio egli diviene veramente uomc61; solo unendosi to-
talmente al Cristo, egli può essere realmente uomo (6ntOs dnthropos
secondo l'espressione di san Gregorio di Nissa), e diremo uomo nor-
male (poiché normalmente uomo), e trovarsi in uno stato di piena
salute: <<l'assimilazione al Cristo, cioè la salute e la perfezione dell'a-
nima>>, scrive san Gregorio Palamas62 •
Al di fuori del Cristo, l'uomo non è né veramente né pienamente
uomo; egli è al di qua della sua natura, vive amputato di una parte di
se stesso, rimane in uno stato di alienazione, come dimostreremo in
seguito. Solo divenendo Dio per mezzo dell'adozione filiale in Cristo,
l'uomo diviene uomo integrale, uomo perfetto, si dimostra adeguato
. alla sua autentica natura: infatti, non è di natura umana perfetta se non
in unione con la natura divina, cosa che troviamo compiuta nella Per-
sona del Cristo e che ogni uomo può realizzare per assimilazione ap-
punto al Cristo. L'uomo, lo ripetiamo, è per natura teantropico: se egli
non è uomo-Dio a somiglianza del Dio-uomo, non è nemmeno uomo;
l'uomo definito in se stesso, indipendentemente dalla sua relazione a
Dio, inscritta nella sua stessa natura, è un essere non-umano; non vi
è natura umana pura: o l'uomo è uomo-dio o non è.
Così le Sacre Scritture e la Tradizione paragonano spesso lo stato
dell'uomo, che non si è ancora conformato al Cristo, che non ha an-
cora attualizzato pienamente le potenzialità della sua natura attraver-
so la realizzazione della somiglianza a Dio, a uno stato di infanzia. L'u-
nione progressiva al Cristo è definita come uno stato di crescita, e il
compimento di tale unione nella sua perfezione è paragonato allo sta-
to adulto, chiamato anche stato di uomo completo o di uomo perfet-
to. San Paolo si esprime così a questo riguardo: «La costruzione del
Corpo di Cristo, fino a che arriviamo tutti all'unità della fede e della
conoscenza del Figlio di Dio, all'uomo perfetto, a quello sviluppo che
realizza la pienezza del Cristo, affinché non siamo più dei bambini [. . .]
26
vivendo invece la verità nell'amore, cresciamo sotto ogni aspetto in co-
lui che è il capo, Cristo» (E/ 4,12-15) 63 • E consiglia: «Siate uomini>>
(lCor 16,13). Anche san Simeone il Nuovo Teologo, usando la stessa
immagirie, scrive che colui che progredisce sulla via dell'unione al Cri-
sto, «ogni giorno persegue la sua crescita spirituale, eliminando ogni
traccia d'infantilismo e progredendo verso la perfezione compiuta del-
l'uomo. Ecco perché, secondo la misura della sua età [spirituale], egli
vede cambiare le facoltà e le operazioni della sua aiiima e guadagna in
virilità [adulta] e in vigore»64 •
Così, l'uomo è chiamato a divenire perfetto ad immagine e somi-
glianza del Cristo (cfr. Col 1,28; Eb 10,14; 12,2; 12,23; Gc 1,4), in lui
e per lui («siate perfetti» Mt 5,48), e a divenire in questo modo par-
tecipe della natura divina (di;. 2Pt 1,4). «Coloro che da sempre egli ha
fatto oggetto delle sue premure, li ha anche predeterminati ad essere
conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito
tra molti fratelli>> (Rm 8,29). <<Per noi, scrive Clemente d'Alessandria,
[il.Cristo] è l'immagine senza macchia; con tutte le nostre forze, oc-
corre sforzarsi di rendere la nostra immagine simile a lui>>65 • Sant'Ire-
neo aggiunge: <<È divenendo imitatori delle sue azioni ed esecutori del-
le sue parole che noi siamo in comunione con lui e per questo noi sia-
mo nuovamente creati, riceviamo da colui che è perfetto da prima di
ogni creazione la crescita, da colui che solo è buono ed eccellente, la
somiglianza con lui stesso»66 • Quanto a sant'Isacco il Siro, egli fa no-
tare che «i nostri Padri [. ..] per giungere alla perfezione e alla somi-
glianza [con Dio] non smettono di accogliere in se stessi, totalmente,
la vita del Signore Gesù Cristo»67 •
27
siste la realizzazione della somiglianza. In Cristo si rivelano I' archeti-
po, il principio e il termine stesso di ogni virtù. Le virtù date alla na-
tura dell'uomo al momento della creazione e sviluppate con la sua li-
bera partecipazione alla grazia deificante di Dio, appaiono, fin da quel
momento, solo partecipazione a quelle del Cristo, come afferma san
Massimo il Confessore: «Se lessenza della virtù in ogni uomo è sen-
za dubbio il Verbo di Dio (perché l'essenza - o la realtà - di tutte le
virtù, è Nostro Signore Gesù Cristo stesso, come è scritto: Egli è sta-
to fatto per noi e giustizia e santificazione e redenzione [dr. lCor 1,30],
queste cose essendo evidentemente dette di lui in modo categorico, in
quanto egli è la Sapienza stessa e la Giustizia e la Santità), ogni uomo
che partecipa alla virtù secondo un comportamento dato partecipa,
senza contestazione alcuna, di Dio, l'Essenza delle virtù, in quanto egli
ha con volontà sincera coltivato il seme naturale del bene e reso il ter-
mine identico al principio ed il principio identico al termine, o piut-
tosto ha mostrato l'identità reale dell'inizio e del termine, in perfetto
accordo con Dio; infatti, l'inizio e il termine di ogni cosa sono il di-
segno di Dio su tale cosa: egli è l'inizio in quanto ali' essere aggiunge
il bene naturale, per partecipazione; egli è il termine in quanto, se-
condo questa partecipazione, attraverso una decisione del libero ar-
bitrio, l'uomo termina la lodevole corsa che conduce a tale partecipa-
zione, corsa grazie alla quale egli diviene dio ricevendo da Dio di es-
sere dio, perché al bene naturale secondo l'immagine, egli ha aggiunto
per mezzo della libera volontà la somiglianza costituita attraverso le
virtù, operante, secondo lorientamento della natura, il ritorno al suo
principio e all'intimità con lui>>69 •
Nella creazione e nella deificazione, il Figlio di Dio gioca un ruolo
particolare e fondamentale. Il disegno di Dio sull'uomo si rivela e si
compie nel.mondo in quanto <<mistero di Cristo» (E/3,4; Col l,27; 2,2;
4,3; lTm 3,16). Ma nel mistero di Cristo si rivela e si compie il mi-
stero dell'economia trinitaria. La creazione dell'uomo e la sua deifi-
cazione sembrano essere opera comune della santa e vivificante Tri-
nità, opera della volontà benevola del Padre (cfr. Ef l,5.9; Mt 11,26;
Ap 4,11) che compie ipostaticamente e auturgicamente (autourghikos)7°
il Figlio (cfr. Eb 10,7; Gv 1,3.4.34; 5,30) e alla quale coopera lo Spiri-
to Santo che vivifica, santifica, conduce alla perfezione (dr. Gn l,2; Le
1,35; At 2,4-38; 2Cor 13,13; Ef 1,3-14; Tt 3,4-6; lCor 6,11; 12,3-13;
28
2Cor 3-6). Così ogni Persona divina della Santissima Trinità apporta
alla realizzazione dell'economia divina il suo contributo particolare,
partecipa e coopera secondo la sua ipostasi specifica, mal' opera di cia-
scuna di esse è costantemente legata a quella delle altre due nel com-
pimento della volontà comune. La creazione dell'uomo (come quella
del mondo) ai Padri sembrava, così, avere la sua fonte nel gran con-
siglio preeterno della santa e consostanziale Trinità. I Padri e tutta la
tradizione ecdesiale vedevano nel plurale della formula <<Facciamo
l'uomo a norma della nostra immagine, come nostra somiglianza>> (Gn
1,26), un'espressione del carattere trinitario della creazione dell'uo-
mo. È ugualmente il Gran Consiglio Trinitario che ha voluto che l'uo-
mo divenisse partecipe della vita eterna e beata della divina Trinità.
Così i Padri affermano che l'uomo è creato a immagine del Figlio di
Dio: infatti, afferma san Cirillo d'Alessandria, «poiché dovremo es-
sere chiamati a essere figli di Dio, ci è tanto più necessario divenire a
immagine del Figlio perché l'impronta della filiazione ci sia utile>>71 ; in
lui egli è, infatti, creato a immagine della Trinità: «Se l'uomo è creato
ad immagine del Figlio», scrive ancora san Cirillo, «sarà anche in que-
sto caso a immagine di Dio, perché in lui risplendono le caratteristi-
che di tutta la Trinità consostanziale, perché la divinità è una per na-
tura nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo»72 • Il Cristo «è l'im-
magine del Dio invisibile>> (Col 1,15), l'irraggiamento della gloria e
l'impronta della sostanza del Padre (cfr. Eb 1,3). Il Figlio, per mezzo
della sua Incarnazione, fa conoscere il Padre (cfr. Mt 11,27; Gv 8,19;
.14,6-7.9). E in Cristo, è all'immagine perfetta del Padre che l'uomo è
invitato a conformarsi: «Sarete perfetti, come perfetto è il Padre vo-
stro che è nei cieli>> (Mt 5,48); «Siate misericordiosi come Dio, vo-
stro Padre, è misericordioso» (Le 6,36). Ogni dono che l'uomo rice-
ve, ogni perfezione, ogni virtù alla quale egli partecipa in Cristo ha la
sua fonte nel Padre: «Ogni donazione buona e ogni dono perfetto vie-
ne dall'alto, discendendo dal Padre delle luci» (Gc 1,16-17). Così il
Cristo, in lui, ci unisce al Padre. Ma egli ci unisce anche allo Spirito
Santo, perché è in seno alla stessa vita trinitaria che il Cristo ci vuole
introdurre chiamandoci ad essere «partecipi della natura divina>> (2Pt
1,4). E le virtù (chiamate anche perfezioni, grazie, energie), per mez-.
zo delle quali avviene questa partecipazione, sono la gloria, la luce,
la grazia, le energie, le perfezioni, le virtù comuni a tutte le Persone
29
della Trinità (cfr. 2Cor 13,13 ). È così che i Padri possono riferirle tan-
to al Padre, come alla loro fonte, tanto al Figlio, come a colui che le
manifesta ipostaticamente e vi fa partecipare gli uomini che hanno fe-
de in lui, e tanto allo Spirito Santo in quanto egli ne è il portatore e il
donatore. E i Padri alcune volte le chiamano luce o gloria del Padre,
altre volte grazia, luce o gloria del Figlio, altre volte ancora grazia del-
lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo, in quanto portatore e donatore di
queste grazie, virtù, o energie increate, talvolta ne riceve il nome ed è
chiamato così: Spirito di Grazia, Spirito di Sapienza, Spirito di For-
tezza, Spirito di Gloria, Spirito di Conoscenza, Spirito &Timore di
Dio, Spirito di Verità (cfr. Is 42,1-4; 61,1; Mt 12,18; Gv 14,17; 15,26;
Ef 1,17; Eb 2,4; Gal 5,22; 2Tm 1,7; lPt 4,14; ecc.). Anche il profeta
Isaia e l'Apocalisse parlano dello Spirito al plurale: i sette spiriti divi-
ni (cfr. Is 11,1-3; Ap l,4; 3,1; 4,5; 5,6), ciò che, secondo i Padri, indi-
ca le energie o grazie dello Spirito Santo73 • Ecco perché si può dire an-
che, come fa san Macario l'Egiziano, che l'uomo è stato creato «ad im-
magine dello Spirito>>74, affermazione che unisce l'insegnamento di
sant'Irenec75 a quello dei primi Padri, che vedono lo Spirito Santo nel
soffio di vita immesso nell'uomo al momento della sua creazione
(cfr. Gn 2,7).
L'attribuzione delle stesse virtù dell'uomo al Cristo e allo Spirito
Santo rivela che esse sono energie comuni alle tre Persone della divi-
na Trinità, ma anche nella creazione e nella deificazione dell'uomo, il
Figlio e lo Spirito cooperano strettamente nella realizzazione della vo-
lontà del Padre, che è nello stesso tempo la loro volontà. Sant'Ireneo
dice che il Figlio e lo Spirito sono le «m.ani del Padre»76 • Così l'uomo
e tutte le cose sono state create per mezzo del Figlio (cfr. Gv 1,3), ma
nello Spirito: «Il Padre ha creato ogni cosa per mezzo del Verbo nel-
lo Spirito, scrive sant'Atanasio d'Alessandria, perché là dove è il Ver-
bo, vi è anche lo Spirito, e ciò che produce il Padre riceve la sua esi-
stenza per mezzo del Verbo nello Spirito Santo»77 • Secondo la volontà
del Padre, l'azione del Figlio è quella di donare 1'essere alle creature,
e l'azione dello Spirito è quella di perfezionarle78 • Ogni virtù nell'uo-
stinzione, 33.
74 Omelie (Coli. III), XXVI, 7, 2. Cfr. Omelie (Coli. Il), XLVI, 5-6.
75 Dio, dice, <<ha deposto nell'anima le esigenze della virtù, il giudizio, la scienza, la ragione,
la fede, l'amore e tutti gli altri doni che sono immagini dello Spirito» (Contro le eresie, V, 6, 1).
-16 Ibid.
77 Lettere a Serapione, III, 5.
78 BASILIO DI CESAREA, Sullo Spirito Santo, XVI, 38.
30
mo riceve così il suo essere dal Figlio, ma
è vivificata, santificata,
perfezionata per mezzo dello Spirito Santo a nome del Padre. Così,
l'immagine e la somiglianza di Dio nell'uomo è voluta dal Padre,
realizzata dal Figlio, compiuta nello Spirito Santo e da lui portata a
perfezione. L'opera è compiuta dal Cristo nella sua Incarnazione con
la collaborazione dello Spirito Santo79 • Il Cristo permette all'uomo, che
si volge verso di lui, di ricevere lo Spirito Santo, e lo Spirito unisce
l'uomo al Cristo, e per mezzo di lui al Padre. Lo Spirito comunica a
ogni membro del Corpo del Cristo la pien<:;zza della divinità. È per
mezzo di lui che l'uomo realizza in Cristo la somiglianza con Dic8° per-
ché è attraverso di lui che si comunica e si compie ogni dono (1 Cor
12,11) e ogni virtù. Egli è, afferma san Basilio, «la fonte di santifica-
ziohe»81. È lui che mostra al credente <<l'immagine dell'Invisibile» e,
<<nella beata contemplazione dell'immagine», l'indicibile bellezza del-
l'Archetipo»82. Per mezzo di lui, <<i proficienti divengono perfetti»83 •
È lui che deifica84 l'uomo, rendendolo conforme al Cristo e in lui al
Padre. <<Egli è la nostra perfezione>>, scrive san Gregorio Nazianzeno85 .
Solo nello Spirito Santo, dunque, l'uomo può realizzare l' Archeti-
po della sua natura, cioè assimilarsi al Cristo. Perché il Cristo viva in
lui, occorre che lo Spirito viva in lui,· che egli divenga pneumatoforo.
L'acquisizione della somiglianza al Cristo e l'acquisizione dello Spiri-
to Santo vanno di pari passo e si condizionano reciprocamente. È
vivendo in Cristo che il cristiano riceve lo Spirito inviato dal Padre a
nome del Figlio (dr. Gv 14,26), ed è vivendo nello Spirito che egli si
unisce al Cristo attraverso la partecrpazione alle virtù del Cristo, do-
ni dello Spirito.
Perché l'uomo raggiunga la perfezione del suo essere in Cristo, rea-
lizzi integralmente la sua natura di cui questi è la norma, il principio
e il termine, e così trovi la sua salvezza, la sua vera vita e la sua totale
salute, deve vivere secondo lo Spirito, condurre un'esistenza spirituale.
L'uomo è stato creato come spirito, anima e corpo, perché egli vi
accolga lo Spirito e sia così completamente spiritualizzato, viva in tut-
sguardo sul Figlio, e in questi, come in un'immagine, contempla il Padre» (Lettere, CCXXVI).
83 Sullo Spirito Santo, !oc. cit.
84 Cfr. GREGORIO DI NAZlANZO, Discorsi, XXXI, 29, PG 36, 159BC. CIRILLO D'ALESSANDRIA,
31
to il suo essere nello Spirito. Solo assolvendo a questo compito, l'uo-
mo realizza il suo destino, vive conformemente alla sua vera natura:
<<L'uomo vero che è in noi è l'uomo spirituale», scrive Clemente d' A-
lessandria86. L'uomo non è pienamente uomo e non vive realmente
se non vive nello Spirito, altrimenti egli è un uomo incompleto, im-
perfetto, e tutto il suo essere è come morto. Sant'Ireneo lo afferma con
particolare chiarezza: <<L'Apostolo dice: "Annunziamo una sapienza a
quelli che sono perfetti" (1Cor 2,6). Con il nome di "perfetti", egli in-
dica coloro che hanno ncevuto lo Spirito di Dio [ ... ].Questi uomi-
ni, lApostolo li chiama anche "spirituali"; spirituali, essi lo sono per
una partecipazione dello Spirito[ ... ]. Quando lo Spirito, unendosi al-
1' anima, si è integrato ali' opera modellata, grazie a questa effusione
dello Spirito viene a essere realizzato l'uomo spirituale e perfetto, pro-
prio quello che è stato fatto a immagine e somiglianza di Dio. Quan-
do, al contrario, lo Spirito viene a mancare all'anima, un tale uomo,
rimanendo in tutta verità psichico e carnale, sarà imperfetto, posse-
dendo sì l'immagine di Dio nell'opera modellata, ma non avendo ri-
cevuto la somiglianza per mezzo dello Spirito [. .. ].Infatti, la carne
modellata solo su se stessa non è l'uomo perfetto: essa è il corpo del-
l'uomo, quindi solo una parte dell'uomo. L'anima da sola non è l'uo-
mo: infatti, essa non è che l'anima dell'uomo, dunque una parte del-
l'uomo. Neanche lo spirito è l'uomo: gli si dà il nome di spirito, non
quello di uomo. Ed è laggregazione e l'unione di tutte queste cose che
costituisce l'uomo perfetto. Ecco perché l'Apostolo, indicando se stes-
so, ha chiaramente definito l'uomo perfetto e spirituale, beneficiario
della salvezza, quando dice nella sua prima lettera ai Tessalonicesi:
"Che il Dio della pace vi santifichi in inodo che voi siate pienamente
compiuti, che il vostro essere integrale - cioè il vostro spirito, la vo-
stra anima e il vostro corpo - sia conservato irreprensibile per l' av-
vento del Signore Gesù" [. .. ].Sono dunque perfetti coloro che, con-
temporaneamente, possiedono lo Spirito di Dio dimorante sempre con
loro, e si mantengono irreprensibili nelle loro anim~ e nel loro cor-
po, cioè conservano la fede verso Dio e la giustizia verso il prossimo»87 •
«Coloro dunque che possiedono la caparra dello Spirito e che, lungi
dall'asservirle alle bramosie della carne, si sottomettono allo Spirito
e vivono in tutto secondo la ragione, l'Apostolo li chiama a buon di-
ritto "spirituali", poiché lo Spirito di Dio abita in loro»88 ed «è la no-
32
stra ipostasi, cioè il composto di anima e di corpo, che; ricevendo lo
Spirito di Dio, costituisce l'uomo spirituale»89 • «Tre cose costituisco-
no l'uomo perfetto: la carne, l'anima e lo spirito»90• «Coloro che te-
mono Dio, che credono all'avvento del suo Figlio e che, con la fede,
accolgono nel loro cuore lo Spirito di Dio, costorq saranno giusta-
mente chiamati uomini "puri", "spirituali" e "viventi per Dio", per-
ché essi hanno lo Spirito del Padre che purifica l'uomo e lo eleva alla
vita di Dio»91 • <<Ed è da queste due cose che è fatto l'uomo vivente: vi-
vente grazie alla partecipazione dello Spirito, uomo per la sostàilZa del-
la carne»92 • «Senza lo Spirito di Dio, dunque, la carne è morta, priva-
·ta della vita, incapace di ereditare il regno di Dio [ ... ].Ma là dove è
lo Spirito del Padre, là è l'uomo vivente; la carne, posseduta in eredità
dallo Spirito, dimentica ciò che essa è per acquisire la qualità dello Spi-
rito e divenire conforme al Verbo di Dio»93 •
Come, secondo san Gregorio Palamas, la salute e la perfezione del-
1'anima sono l'assimilazione al Cristo94 , così per san Simeone il Nuo-
vo Teologo, da un altro punto di vista, che va di pari passo con il
precedente, per l'anima la salute è la venuta e la presenza in essa del-
lo Spirito Santo: «Quando egli viene, poiché scaccia ogni malattia e
ogni infermità nell'anima, è chiamato salvezza, perché ci concede la
salute dell' anima>>95 •
89 Ibid.
90 Ibid.; 9, L
91 Ibid., 9, 2.
92 Ibid.
9' Ibid., 9, 3.
9• Triadi, Il, 1, 42.
95 Trattati etici, VII, 359-361.
96 Apologetico, XVII, 6.
97 Sull'anima, 35.
33
modo: «Cercare Dio e servirlo rimane sempre per l'uomo una ricer-
ca naturalb>98 • L'anima è portata naturalmente a conoscere e a rico-
noscere Dio; è questo il suo stato normale, il segno della sall;lte, co-
me afferma Tertulliano: «I.; anima[ ... ] quando torna a se stessa, come
nell'uscire dall'ubriachezza o dal sonno, o da qualche malattia, e quan-
do essa è nel suo stato normale di salute, chiama Dio con questo so-
lo Nome, perché è il nome proprio del vero Dio»99 • La partecipazione
alla vita beata della Santissima Trinità è la normale finalità della na-
tura e della vita umana. Sant'Antonio scrive a questo proposito: <<I;amo-
re che io ho per voi mi fa supplicare Dio di condurvi a considerare
l'invisibile come vostra eredità. Certamente, figli miei, questo non su-
pera la nostra natura, ma normalmente la investe di dignità regale» 100 •
Lo stato normale per l'uomo è quello di essere con tutto il suo essere
totalmente unito a Dio: Adamo è stato creato per realizzare questo, e
il Cristo ricorderà all'uomo smarrito che il comandamento più gran-
de è per lui, se vuole ritrovare la sua vera natura: «Amerai il Signore
tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la
tua mente e con tutta la tua forza» (Mc 12,30; Mt 22,37; cfr. Dt 6,5).
Appare così che è volgendo verso Dio tutte le proprie facoltà, per unir-
si a lui attraverso di esse, che l'uomo ne fa un uso normale, confor-
me alla loro natura.
È proprio questo che costituisce nell'uomo le virtù. Per questo mo-
tivo san Basilio scrive: «Abbiamo ricevuto da Dio la tendenza natura-
le a fare ciò che egli comanda [ ... ] . È nell'usare [ ... ] convenientemente ·
queste forze che noi viviamo santamente nella virtù [. .. ].Tale è, di
conseguenza, la definizione della virtù che Dio esige da noi: l'uso re-
sponsabile di queste facoltà secondo l'ordine del Signore»101 • In altri
termini, condurre una vita virtuosa consiste per l'uomo nel vivere in
conformità con la propria natura, cioè nel fare di tutte le sue facoltà
l'uso per il quale esse sono state create: orientarsi verso Dio e realiz-
zare la sua somiglianza. L'identità tra lo stato di natura -la condizio-
ne dell'Adamo primordiale e la condizione dell'uomo restaurato in
Cristo - e lo stato di virtù è costantemente affermato dai Padri: «Per
numerose che siano le virtù che noi mettiamo in pratica, le mettiamo
in pratica in conformità con la natura», scrive Evagria1°2 • «Quando ri-
98 Lettere, V, 4.
99 Apologetico, XVII, 5.
100 Loc. cit.
101 Regole lunghe, 2.
102 Grande lettera a Melania l'Anziana, II.
34
maniamo nella natura, siamo nella virtù», nota san Giovanni Dama-
sceno103. E sant'Isacco il Siro dice la stessa cosa esplicitamente; cioè
che la virtù è lo stato naturale dell'anima104. San Doroteo di Gaza di-
mostra ugualmente che le virtù «permettono di riprendersi e di ri-
tornare allo stato di natura attraverso la pratica dei santi comanda-
menti di Cristo»105 , e Giovanni il Solitario dice che quando l'uomo si
volge verso la sua anima attraverso le virtù «egli sta nell'ordine della
sua natura integrale>>106.
La stessa cosa viene affermata dai Padri quando dicono che è a que-
sto stato di virtù che corrisponde per l'uomo la vera salute: la virtù è
la vera salute naturale dell'anima, scrive san Doroteo di Gaza107 , così
come san Basilio Magno 108 , Evagrio 109 , e san Massimo il Confessore che
precisa: «Ciò che la salute è per il corpo vivente, la virtù è per l'ani-
ma>>J10. Sant'Isacco il Siro nota similmente: «La virtù è naturalmente
la salute dell' anima>>111 • Si può anche dire che la virtù per l'anima è più
che la salute per il corpo, perché, afferma san Basilio Magno, «le virtù
hanno molto maggiori affinità con l'anima che la salute con il corpo»112•
m Loc. cit.
m Cfr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 3, 15.
114 Capitoli teologici, gnostici e pratici, II, 3.
115 Protreptico, X, 100, 3.
116 Ibid.
35
trovano la pienezza della loro salute. «Ciò che la salute [è] per il {'.Or-
po vivente, [. .. ] la conoscenza [lo è] per lo spirito», osserva san Mas-
simo117. «Quando la natura razionale riceverà la contemplazione che
la riguarda, allora anche tutta la potenza dello spirito sarà sana»,
scrive nello stesso senso Evagrio 118, che considera la conoscenza spiri-
tuale anche come <<la salute dell'anima.>>119 • San Talassio ripete: «La sa-
lute dell'anima, è la conoscenza.>>120 •
Questa contemplazione al suo primo grado è quella delle ragioni
(l6goi) spirituali delle creature, che i Padri chiamano «contemplazio-
ne naturale» (physzkè thearia). Se questa dà all'uomo una vera cono-
scenza degli esseri e soprattutto lo eleva fino al loro Autore, essa non
resta tuttavia che una conoscenza indiretta di Dio.
È nella .conoscenza/contemplazione di Dio stesso, che è un dono di
Dio e si compie per mezzo dello Spirito, che l'uomo raggiunge il gra-
do più alto di perfezione al quale egli è per natura chiamato, poiché è
in questa conoscenza, o piuttosto in questa <<Visione» di Dio, che si
realizza nella luce della grazia increata, che è pienamente deificato.
36
II
aspetto a immagine dclla divinità doveva possedere nella sua natura una volontà libera e indi-
pendente, affinché la partecipazicme ai vantaggi divini fosse la ricompensa della sua virtù» (Di-
scorso catechetico, V).
5 BASILIO DI CESAREA, loc. cit.
37
de di un altro»6 • «Occorreva perciò - scrive san Giovanni Damasce-
no - che l'uomo fosse innanzitutto messo alla prova: né provato né
tentato, l'uomo non è degno di alcun rispetto>/. «Una volta messo
alla prova», osserva san Gregorio Nazianzeno, l'anima <<possederà l'og-
getto della sua speranza come prezzo della sua virtù e non solo come
un dono di Dio»8 •
Tutti i Padri insistono sul fatto che Adamo è stato creato comple-
tamente buono-da Dio. Nel paradiso terrestre, nella sua condizione
naturale, l'uomo viveva integralmente nel Bene9 : non solo egli non
commetteva il male, ma lo ignorava, anche perché la tentazione gli da-
va la conoscenza non del male stesso, ma solo della sua possibilità, ap-
parendo la conoscenza stessa del male come conseguenza del peccato
(Gn 3,22) non già come suo principio. Nel paradiso, il male esisteva
solo nel serpente, incarnazione di Satana, e questo non poteva rag-
giungere in alcun modo la creazione fintanto che Adamo ne rimane-
va il re (cfr. Gn 1,28-30) 10; egli non possedeva alcun potere sul primo
uomo, non potendo fare altra cosa se non quella di tentarlo, rimanendo
questa tentazione senza alcuna conseguenza fintanto che questi rifiu-
tava di acconsentirvi11 •
Il diavolo diceva ad Adamo e a Eva: <<Diventerete come dèi>> (cfr.
Gn 3,5), ed è proprio ili questo che consisteva la tentazione12 • Adamo
era sicuramente destinato da Dio a diventare dio, ma per partecipa-
zione a Dio stesso, in lui e per lui. Ciò che il serpente proponeva ad
Adamo ed Eva, era di diventare «come dèi (os theol)» (Gn 3,5), cioè
altri dèi, indipendentemente da Dio, ossia di essere dèi senza Dio. Ada"
mo cedendo alla suggestione del Maligno, volle così farsi Dio da se
stesso, autodeificarsi: è in questo che consistette il suo peccato 13 • Que-
st'affermazione di assoluta autonomia, questa volontà di superare Dio
e prendere il suo posto o di erigersi come un altro Dio di fronte a
lui, costituiva una negazione, un rifiuto di Dio. La partecipazione di
Adamo alla vita divina supponeva, lo abbiamo già detto, la collabora-
6 Ibid_
7 Loc_ cit.
8 Discorso, Il, 17. Cfr. Poesie, I, Il, 9_
9 Cfr. per esempio GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, XII, 2. GIOVANNI DAMASCENO, Erpo-
38
zione della sua volontà libera: allontanandosi da Dio, egli si privò del-
la grazia14 che costituiva la vera vita della sùa natura. Dio aveva detto
ad Adamo e a Eva del frutto dell'albero che stava nella parte interna
del giardino: «Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, per
non morirne» (Gn 3,3); al contrano, il serpente aveva promesso: «Voi
non morirete affatto!» (Gn 3,4). Nelle conseguenze del peccato si ri-
vela il carattere menzognero della promessa diabolica: essendosi stac-
cato dalla Fonte di ogni vita, l'uomo cade nella morte: morte futura
del suo corpo (mentre quest'ultimo era stato creato potenzialmente
incorruttibile) e morte immediata della sua anima15 • «Con il peccato,
scrive san Giovanni Damasceno, la morte è entrata nel mondo come
una bestia feroce e selvaggia, sconvolgendo la vita umana»16 • E san
Gregorio Palamas aggiunge: <<Dopo la trasgressione dei nostri ante-
nati in paradiso [. .. ],il peccato subentrò nella vita; quanto a noi sia-
mo morti e, prima della morte corporea, noi subimmo la morte del-
l'anima, cioè la separazione dell'anima da Dio»17 •
Allontanandosi dal Principio del proprio essere come di ogni es-
sere, l'uomo cade nel non-essere: <<Privato del pensiero di Dio e vol-
gendosi verso il nulla (perché il male è il non-essere e il bene è l'esse-
re), gli uomini sono così per sempre privati dell'essere», scrive sant'A-
tanasio d'Alessandria18 •
Da questo allontanamento, per l'uomo, deriva ogni male: per que-
sto motivo egli perde tutti i beni divini dei quali già partecipava, e che
per natura era chiamato a possedere in pienezza. Infatti, «è da Dio che
tutto ciò che è buono trae la sua bontà: pertanto, chi si allontana da
lui va verso il male», annota san Giovanni Damasceno 19 • Allontanan-
dosi da Dio, negandolo e ignorandolo, l'uomo si allontana dalla sua
natura autentica e dal suo vero fine, che è quello di assimilarsi a Dio
attraverso lo Spirito, sconvolge tutte le sue facoltà naturalmente orien-
tate verso Dio, e fa così deviare le tendenze impresse nella sua natu-
ra20. Ne derivano, in tutto il suo essere che smette di essere rivolto ver-
s9 il suo scopo normale, attraverso la sua anima e il suo corpo che non
realizzano più la loro condizione naturale di unione con Dio, i disor-
39
clini più gravi. San Massimo riassume così in cosa consiste questa ca-
duta dell'uomo: «Colui che si allontana dal proprio principio mentre
è una particella di Dio a motivo della virtù che è in lui secondo la cau-
sa che gli è stata data, è portato irrazionalmente (paral6gos) verso il
non-essere; a ragione si dice che è decaduto, poiché non si muove
secondo il suo principio e la sua causa secondo la quale, nella quale,
e per la quale egli è giunto all'esistenza; ~ in un equilibrio instabile e
in un disordine spaventoso dell'anima e del corpo; egli diviene l' au-
tore del decadimento della causa inerente e sempre identica a se stes-
sa, verso il peggio attraverso una deviazione cui ha acconsentito.
Partendo, si dice che cade dall'alto, poiché avendo il potere di dirige-
re il cammino della sua anima irresistibilmente verso Dio, egli ha vo-
lontariamente scambiato il meglio e l'essere per il peggio e il non-es-
sere»21.
È sempre in rapporto alla natura costitutiva dell'uomo, al suo do-
ver-essere teantropico, che i Padri definiscono il male e il peccato. È
un male e costituisce un peccato ogni azione che allontana l'uomo
da Dio e dal suo divenire dio Ga deificazione alla quale l'uomo è per
natura chiamato), in altri termini, ogni azione per la quale l'uomo al-
lontana le sue facoltà dal loro fine naturale. <<Agire male, scrive Dio-
nigi l'Areopagita, è uscire dalla buona via, contraddire la propria ve-
ra intenzione, la propria natura, la propria causa, il proprio principio,
il proprio fine, la propria definizione, la propria volontà, in breve, la
propria stessa essenza>>22 • «Non è nell'essenza delle creature che si tro-
va il male, ma nel loro movimento falso e irrazionale», scrive da par-
te sua san Massimo23 • «Si potrebbe dire, annota ancora, che il male
non è altra cosa se non la mancanza di dirigere verso il loro fine le
facoltà poste nella natura. O ancora, il male è un movimento irrazio-
nale delle facoltà naturali che le conduce, secondo un giudizio sba-
gliato, ad altra cosa che non il loro vero fine. Io intendo per "fine"
l'Autore di ogni creatura verso il quale tendono, in virtù della loro stes-
sa natura, tutti gli esseri»24 . Nell'allontanare l'uomo da Dio, il pecca-
to stabilisce le sue facoltà in uno stato contro natura, e priva il suo es-
sere intero dell'Essere e del Bene: è in questo stato che, per l'uomo,
consiste il male. <<Il male non è altra cosa se non la privazione del be-
40
ne e il cammino che devia dal secondo-natura verso il contro-natura»,
scrive san Giovanni Damasceno25 • «Tutto ciò che Dio ha fatto è mol-
to buono, tutto ciò che persiste così come è stato creato è molto buo-
no. Ciò che si separa volontariamente dal naturale e va contro natura
diviene cattivo. Tutto ciò che serve.e obbedisce al Creatore è secondo
la natura. Quando una creatura, volontariamente, si ribella e disob-
bedisce al suo Creatore, stabilisce il male in se stessa. Infatti il vizio
[ ... ] è la deviazione volontaria del secondo-[natura] verso il contro-
natura; è il peccato»26 •
Dire che a motivo del peccato l'uomo è posto in uno stato contro
natura, vuol dire che allontanandosi da Dio egli si allontana da se stes-
so, vive a fianco di ciò che egli è fondamentalmente, non conduce la
vita per la quale è fatto e pensa e agisce al contrario in un modo estra-
neo alla sua vera condizione. In altre parole, l'uomo vive allora in uno
stato di alienazione. <<Mentre noi apparteniamo a Dio per la nostra
stessa natura», scrive sant'Ireneo, l'apostasia «ci ha alienati contro la
nostra natura (alienavit nos contra naturam)»27 • San Macario Magno
constata lo stesso stato di alienazione, pur esprimendosi in un altro
modo: «Dopo che Adamo ha trasgredito il comandamento,[ ... ] egli
si ritrova come una ·seconda anima a fianco dell' anima.>>28 • E sant'A-
tanasio constata che l'anima dimenticando, nel suo peccato, che essa
è a immagine di Dio, e non vedendo più il Verbo a somiglianza del
quale essa è stata fatta, esce da se stessa29 •
Allontanandosi da Dio, l'uomo si priva da se stesso della condi-
zione divina alla quale era stato promesso, e come dice in modo sor-
prendente Clemente d'Alessandria, si lascia precipitare nella condi-
zione di uoma3°. Egli cade anche in uno stato infra-umano, perché, lo
abbiamo visto, la vera umanità esiste solo nella divino-umanità: l'uo-
mo non può essere veramente uomo che in Dio, che nell'essere uomo-
dio nello Spirito, a somiglianza del Cristo. Così i Padri paragonano
spesso la condizione dell'uomo caduto a quella degli animali31 • San
25 Esposizione esatta della fede ortodossa, IV, 20.
26 Ibid. Cfr. Il, 30. DOROTEO DI GAZA scrive ugualmente: «Decaduto dal suo stato naturale
[l'uomo] si trovava nello stato contro natura» (Istruzioni spirituali, I, 1). Vedi anche ATANASIO
D'ALESSANDRIA, Contro i pagani, 4.
27 Contro le eresie, V, 1, L
28 Omelie (Coll. Il), XV, 35.
29 Contro i pagani, 8.
30 Protreptico, IX, 83, 2.
31 Vedere per esempio: SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, XIII, 67-68. Cateche-
41
Gregorio di Nissa per esempio dice: <<L'uomo, avendo deposto la for-
ma divina, è divenuto una bestia selvaggia a immagine della natura ani-
male>>32. E san Massimo osserva che l'uomo si è «"assimilato alle be-
stie senza ragione" (Sa! 49[48],13), cercando, volendo e operando in
tutto come loro, e superandole anche in irrazionalità, avendo cambiato
la sua ragione naturale del secondo natura in contro natura>>3 3 •
Poiché l'uomo ha allontanato da Dio il suo spirito, quest'ultimo si
trova privato della vita divina. Egli si sconfessa34 , in uno stato di tor-
pore (cfr. Is 29,10; Rm 11,8) e di oscurità35 ,.ed è come morto. L'uomo
arriva così fino a perdere ogni nozione della sua funzione spirituale.
Amputato di questa, che costituiva la dimensione essenziale del suo
essere, per mezzo della quale egli dava luce, vita, senso e coesione a
tutte le sue facoltà, e che gli permettevano anche di crescere in Dio,
l'uomo si ritrova improvvisamente ridotto a una infima parte di se stes-
so, non dispone più che di una debolissima parte delle sue possibilità.
Da uomo totale quale egli era - spiriruale, psichico, corporeo-, l'uo-
mo si ritrova a non essere più che psichico (1Cor 2,14; Gd 19) e cor-
poreo. Smette, allora, nella struttura stessa del suo essere e nell' ordi-
ne delle sue facoltà, di essere uomo integrale, per non essere più che
un centesimo o un millesimo d'uomo (paragone che rende l'immagi-
ne ma che in effetti non ha nessun significato, perché è in verità l'in-
finito che l'uomo scambia per rivestire la condizione molto limitata di
uomo decaduto). In ogni caso, egli diviene uomo incompleto. Sant'I-
reneo sottolinea: «Quando lo Spirito viene meno ali' anima, un tale uo-
mo che rimane in tutta verità psichico e carnale, sarà imperfetto»36 •
È ormai in un mondo ridotto, stretto e anche apparentemente chiu-
so che l'uomo vive, conducendo un'esistenza rinchiusa nella dimen-
sione del suo essere decaduto. La sua anima e il suo corpo, smetten-
do di ricevere la loro vera vita (quella divina, che lo Spirito Santo co-
municava loro) muoiono spiritualmente. Sant'Ireneo scrive ancora a
questo proposito: <Sre cose costituiscono l'uomo perfetto: la carne,
l'anima e lo Spirito. Una di esse salva e forma, ossia lo Spirito [ ... ].
si, XXVIII, 418-419. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 10. GRE-
GORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità, IV, 5. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II,
52. NICETA SlETATOS, /;anima, 34. Vedi anche: Sal 48,1321. MACARIO D'EGmo, Omelie (Coli.
ID), Vill, 3, 1-5.
32 Omelie sul Cantico dei Cantici, Vill, GNO VI, p. 251.
42
Coloro che non hanno l'elemento che salva e forma in vista della vita,
costoro si vedranno a buon diritto chiamare "carne e sangue", poiché
essi non hanno lo Spirito di Dio in loro. Ecco perché, tra l'altro, essi
sono detti "morti" per il Signore: "Lascia, disse, che i morti seppelli-
scano i loro morti" (Le 9,60), perché essi non hanno lo Spirito che
vivifica l'uomo»37 • Partendo da un altro punto di vista, san Gregorio
Palamas giunge alla stessa conclusione relativamente a questa conse-
guenza del peccato: «Quando l'anima lascia il corpo e si separa da es-
so, il corpo muore; allo stesso modo, quando Dio lascia l'anima e si
separa da essa, l'anima muore»38• L'uomo così decaduto, proprio quan-
do egli crede di vivere, e pensa anche di vivere talvolta intensamente,
vive in verità come un morto, è un morto vivente. San Simeone il Nuo-
vo Teologo descrive in questo modo tale condizione degli uomini ca-
duti così come essa appare a colui che è dotato di discernimento spi-
rituale, ma di cui coloro che la subiscono non hanno coscienza: <<l mor-
ti, tra loro, non possono né vedersi, né compiangersi l'un l'altro; no.
Sono i viventi che, nel veçlerli, gemono. Perché essi vedono una stra-
na meraviglia, uomini colpiti dalla morte che vivono, ossia che cam-
minano, dei ciechi che credono di vedere e veri sordi che s'immagi-
nano di sentire: essi vivono, vedono e sentono al modo delle bestie; es-
si pensano come insensati nella loro coscienza inconsciente, nella loro
vita di cadaveri, perché è possibile vivere senza vivere, è possibile guar-
dare senza vedere e sentire senza ascoltare»39 •
A motivo del suo peccato, l'uomo si vota a ogni sorta di male, di
miserie e di sventure40 che non appartengono essenzialmente alla sua
natura e che non lo toccano fin quando egli vive in conformità ad es-
sa, ma che non appaiono se non come conseguenze della sua colpa e
costituiscono il suo castigo. Nella perdita del centro spirituale del suo
essere, nella dislocazione della sua anima41 , nella perdita delle sue for-
ze essenziali42 , nello sconvolgimento, nella perversione, nel -danneg-
giamento di tutte le sue facoltà, e nello stato di malattia e· di soffe-
renza che questo instaura, consiste principalmente questo castigo. Ciò
non è affatto inflitto da Dio, ma deriva naturalmente e necessariamente
"Ibid_, 9, 1.
;s Omelie, 16. Sulla morte spirituale come conseguenza del peccato, vedi anche MACARIO
D'EGITTO, Omelie (Coli. ID), XVJII, 1, 3.
39 Inni, 44, 214-231.
4° Cfr. IRENEO DI LIONE, Dimostrazione della predicazione apostolica, 17. TEOFILO D'ANTIO-
CHIA, Ad Autolico, Il, 25- SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, I, 2; XIlI, 39-73.
41 Cfr. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. ID), XXIV, 3.
42 Ibid_
43
dalla caduta43 , e allorquando Dio annuncia ad Adamo e a Eva i mali
che deriveranno dalla loro trasgressione (cfr. Gn 3,16-19), egli non li
produce, ma non fa altro che predirli e descriverli. L'uomo, constata
il salmista, <<Un pozzo ha intagliato ed ha scavato ed è caduto nella fos-
sa che faceva. Ricade la sua nequizia sulla sua testa e sul suo capo la
sua violenza discende» (Sal 7,16-17). «La natura, scrive san Massi-
mo, punisce coloro che cercano di violentarla nella misura in cui essi
si dedicano a un modo di vivere contro natura; essi non hanno più a
loro disposizione tutte le forze della natura così come essa stessa le
aveva donate loro; eccoli dunque diminuiti nella loro integrità e così
castigari.>>44 • A motivo del peccato, la natura umana, constata ancora
san Massimo, <<implacabilmente fa guerra contro se steSSa>>45 , ed è da
diversi punti di vista che possiamo dire che ciò equivale per l'uomo
a un vero suicidio46 •
Che l'uomo porti un così grave pregiudizio alla sua natura47 e agi-
sca così contro i suoi interessi più fondamentali48 fino a mutilarsi da
sé e a immergere tutto il suo essere nel dolore, nel non-essere e nella
morte, allontanandosi dalla pienezza di vita e di gioia perfetta che gli
offriva la sua condizione originaria: ciò è con tutta evidenza la.follia,.
costatano i Padri. San Doroteo di Gaza scrive così: <<Perché siamo ca-
duti in questa miseria? Non è a causa[. ..] della nostra follia (aponoia)?
[... ] Perché questo? L'uomo non è stato creato nella pienezza del be-
nessere, della gioia, del riposo e della gloria? Non era in paradiso?- Gli
era stato ordinato "non fare questo", ed egli l'ha fatto [ ... ], "L'uomo
è folle (mifros), dice Dio, egli non sa essere felice"»49 •
Se i Padri considerano così il peccato stesso come un atto di follia, es-
si considerano ugualmente uno stato di follia lo stato di peccato nel qua-
le vive l'umanità decaduta5°. In questo essi seguono spesso le Sacre Scrit-
43 Sant'Ireneo precisa: <<A tutti coloro che si separano da lui, [Dio] infligge la separazione
che essi stessi hanno scelto. Ora, la separazione da Dio, è la morte; la separazione dalla luce, le
tenebre; la separazione da Dio, è la perdita di tutti i beni provenienti da lui. Coloro, dunque,
che per la loro apostasia hanno perduto tutto quello che abbiamo detto, sono immersi in tutti i
castighi: non che Dio li preceda per castigarli, ma il castigo li segue per il fatto stesso che essi so-
no privati di ogni bene» (Contro le eresie, V, Il, 2). Cfr. CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Il Pedago-
go, I, VIII, 69, 1.
44 Ambigua, Prologo.
45 Commento del Padre nostro, PG 90, 880A.
46 Cfr: GREGORIO DI NISSA, Discorso catechetico, VIII.
44
ture (dr. Pro 5,23; 9,4.6.13-18; 12,23; Qo 10,1-3) e particolarmente san
Paolo che scrive a riguardo di coloro che sono lontani da Dio: «l loro
ragionamenti divennero vuoti e la loro coscienza stolta si ottenebrò.
Ritenendosi sapienti, divennero sciocchi (emardnthessan)» (Rm 1,21-22).
I Padri utilizzano molto spesso delle categorie mediche per indi-
care il peccato ancestrale e le sue conseguenze: questo, essi afferma-
no, costituisce una malattia molto. grave che colpisce tutto l'essere del-
l'uomo e lo priva della sua salute originale. San Gregorio di Nissa do-
po aver ricordato che «una volta il genere umano [. .. ] godeva della
salute>>, ricorda il momento della caduta e constata: <<A partire da qui
questa malattia mortale che è il peccato si installò nella natura uma-
na>Y1. San Nicola Cabasilas scrive allo stesso modo: <<li giorno in cui
Adamo, consegnandosi allo spirito maligno, si è allontanato dal suo
Maestro, la sua anima ha perduto la salute e il benessere; fin da allo-
ra anche il corpo è andato di pari passo con l'anima e ha subito la stes-
sa sorte: esso è degenerato con lei>>52 • San Cirillo d'Alessandria si espri-
. me allo stesso modo: «La natura cadde malata di peccato per la di-
sobbedienza di uno solo»53 ; «in Adamo, la natura dell'uomo cadde
malata di corruzione»54 • Questa malattia e questa degenerazione, lo
vediamo ancora oggi, consistono essenzialmente in ciò che tutte le fa-
coltà dell'uomo che erano fatte per rivolgersi a Dio e unirlo a lui, a
causa del peccato si sono allontanate da questo fine che è loro natu-
rale e ormai funzionano contro natura, si muovono e si smarriscono
in direzioni opposte a quella del loro vero fine55 , agendo così in modo
umano raggiunto dalla follia (memen6s)», e particolannente «coloro che>>, al momento della ve-
nuta del Cristo, «a causa della malattia della loro anima e del disordine (ékstasis) della loro ra-
gione naturale erano ancora nemici[. . .] di Dio» (Contro Celso, N, 19). Clemente d'Alessandria
ricorda <<l'irrazionalità (ap6noia)» e <<la follia (tinoia) degli uomini» che rifiutano Dio (Protrep-
tico, IX, 83, 1 e 84, 1). A sua volta, san Barsanufio così si esprime: «La follia ha generato la di-
sobbedienza, e la disobbedienza la ferita. E dopo la ferita la stessa follia ha generato la negli-
genza>> (Lettere, 64). Vedi anche: MACARIO n'EGITIO, Capitoli parafrasati, 50. GIOVANNI CRI-
SOSTOMO, Commento a san Matteo, IX, 6; Omelie sui demoni, I, 6; Il, 3. ATANASIO D' ALEsSANDRIA,
Contro i pagani, 4. TALASSIO, Centurie, I, 52. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 26; 30; 44; 80;
81. EsrCHIO DIBATOS, Capitoli sulla vigilanza, 192. GIOVANNI CARPAZIO, Capitoli di esortazione,
57. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 5; IIl, 85; Catechesi, VI,
32-33; XV, 48-53. NICETA STETATOS, Centurie, II, 6; IIl, 58; 59; 61. Altri riferimenti saranno da-
ti nel prossimo capitolo, nel quale vedremo che questi termini (mania, moria, afrosjne, tinoia,
alogia, ecc.) sono frequentemente applicati agli atteggiamenti idolatrici degli uomini che si sono
allontanati dal vero Dio.
51 Omelia sul Padre nostro, N, 2.
52 La vita in Cristo, II, 38.
53 Commento alla lettera ai Romani, PG 74, 789.
54 Ibid.
55 Cfr. ATANASIO D'ALESSANDRIA, Contro i pagani, 4. GREGORIO DI NISSA, Omelie sul Padre
nostro, IV, 2.
45
disordinato, irrazionale, assurdo, insensato, folle. «Quando Dio si ri-
tira>>, osserva san Giovanni Crisostomo, tutto viene sconvolto»56 • E san
Gregorio di Nissa afferma esplicitamentè che nell'usare contro natu-
ra le facoltà della sua anima, l'uomo è dtopos5 7 , cioè ~travagante, as-
surdo, insensato e all6kotos5 8, cioè di un'altra natura, estranea e stra-
niera (possiamo arrivare a tradurre questo termine con «alienato»), a
tal punto, egli scrive, «che nessuno potrebbe esprimere come merite-
rebbe la sua assurdità>>59; «infatti è come se un soldato, equipaggian-
dosi a rovescio, portasse il suo elmo a rovescio ~ punto da nascondersi
il viso e da lasciare il pennacchio inclinarsi all'indietro, è come se met~
tesse i piedi nella corazza, adattasse i gambali al petto, prendesse ciò
che è a sinistra sul costato destro e gettasse l'armamento di destra sul
costato sinistro». «I mali che patirà verosimilmente in guerra questo
fante, conclude Gregorio, sono così quelli di cui patirà verosimilmen-
te durante la sua vita colui che ha introdotto la confusione nel suo giu-
dizio e invertito l'uso delle facoltà della sua anima.>~60 •
46
rn
PATOLOGIA DELL'UOMO DECADUTO
' Triadi, II, 17. Parlano ugualmente dell' «intelligenza malata»: ISACCO IL SIRO, Discorsi
ascetici, 30. EsICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 26.
2 Questioni a Talassio, Prologo. Cfr. ibid., 52: <<Eravamo malati d'ignoranza come non si
doveva>>.
' Centurie sulla carità, VI, 46.
4 Capitoli gnostici, II, 8.
5 TALASSIO, Centurie, Il, 2. Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, II, 8. .
6 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 59, PG 90, 604B; Centurie sulla carità,
Iv, 15; 44. ISACCO IL SIR.O, Discorsi ascetici, 84. NICETA STETATOS, Centurie, ID, 12.
7 EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, Il, 15. .
47.
simo precisa: «Il cattivo uso della facoltà razionale è l'ignoranza e la
demenza (aphrosjne)» 8 •
Mentre l'anima umana «è stata fatta per vedere Dio e per essere
illuminata da lui>>9 , a causa del peccato essa in realtà si è pervertita, si
è allontanata da Dio e dalle realtà spirituali per orientarsi verso realtà
sensibili e per considerare solo queste10 •
Il peccato dell'uomo, tuttavia, non consiste nel considerare le realtà
sensibili. Dio gli ha dato l'intelligenza non solo affinché egli tenda al-
la conoscenza di Dio stesso, ma anche perché egli conosca le creature
sensibili e intelligibili11 • Prima della sua caduta Adamo dunque le co-
nosceva, ma le conosceva solo da un punto di vista spirituale. Egli con-
templava naturalmente ciò che i Padri chiamano le loro <~ragioni>> spi-
rituali (l6goi); in altri termini, egli le percepiva nelle rispettive relazio-
ni con il Creatore, le conosceva come aventi in lui il loro principio e il
loro fine; egli le vedeva tutte in Dio, come se esse ricevessero da Dio
il loro essere e le loro qualità, e vedeva in esse Dio presente con le sue
energie. Difatti, come sottolinea san Massimo, «il mondo intero ap-
pare impresso misteriosamente nel sensibile in alcune forme simboli-
che, per coloro che sanno vedere, e il mondo sensibile tutto intero è
in modo conoscibile contenuto nell'intelligibile e semplificato dall'in-
telligenza nei l6goi. Il mondo è nell'intelligibile attraverso i suoi l6goi
e questo è in quello attraverso le sue impronte. E la loro realtà è come
se fosse una ruota in una ruota secondo l'espressione impiegata dal-
l'ammirevole e grande veggente Ezechiele (cfr. 1,16), quando parla, mi
sembra, dei due mondi. Le sue perfezioni visibili si vedono a partire
dalla creazione, grazie alle opere che le rendono visibili all'intelligen-
za. Così parla il divino Apostolo (Rm 1,20). E se le cose non apparenti
si contemplano attraverso quelle apparenti, come è scritto, a mag-
gior ragione, attraverso le non-apparenti, coloro che si dedicano alla
contemplazione spirituale avranno l'intelligenza di ciò che appare. Di-
fatti, la visione simbolica delle cose intelligibili per mezzo di quelle vi-
sibili è scienza spirituale e intelligenza delle visibili per mezzo di quel-
le invisibili» 12 •
Adamo, dice san Massimo, era anche destinato, al termine della sua
crescita spirituale a considerare le creature dal punto di vista di Dio
48
stesso, ad attingere da esse <<Una conoscenza e un'informazione simili
a quella di Dio, perché, grazie alla deificazione della sua intelligenza e
alla tramutazione dei suoi sensi, l'uomo non sarebbe stato un sempli-
ce uomo, ma un dio»13 • L'uomo allora avrebbe potuto dire con il sag-
gio Salomone: «Egli mi ha dato la vera conoscenza delle cose, per com-
prendere il sistema dell'universo e la forza degli elementi, il principio,
la fine e la metà dei tempi, [ ... ] la natura degli animali [.. .]; il potere
degli spiriti e i ragionamenti degli uomini, le varietà delle piante e le
virtù delle radici; quanto è nascosto e manifesto ho conosciuto, per-
ché la Sapienza, artefice di tutto, mi ha ammaestrato» (Sap 7,17-21).
Il peccato e il male, a questo livello, hanno significato, per Adamo
e per coloro che sono divenuti suoi imitatori, ignorare Dio e consi-
derare gli esseri indipendentemente da lui, cioè considerarli non più
spiritualmente nella realtà intelligibile che vi si esprime secondo le
energie divine che vi si rivelano, ma carnalmente, nella loro sola ap-
parenza sensibile 14. L'albero della conoscenza del bene e del male, di
cui parla il libro della Genesi (cfr. 2,9), e che Dio proibisce ad Adamo
dl toccare, pena la morte (cfr. 3 ,3), rappresenta, dice san Massimo, la
creazione visibile15 : «Contemplata spiritualmente, essa è l'albero del-
la conoscenza del bene; considerata sotto il suo aspetto materiale, è
l'albero della conoscenza del male. Essa diviene, infatti, un maestro
che insegna le passioni e conduce ali' oblio di Dio coloro che hanno
.solo rapporti corporei>>16• Dio, vietando all'uomo di mangiare del frut-
to dell'albero, gli aveva indicato il pericolo che vi era ad entrare in que-
sta seconda forma di conoscenza che fino ad allora ignorava: egli do-
veva innanzitutto crescere nella conoscenza del suo Creatore, dopo di
che solo lui avrebbe potuto gioire senza danno della creazione visibi-
le17. Ma Adamo ha anticipato il processo e, a motivo del suo stato in-
fantile, si è dimostrato incapace di assumerè tale creazione spiritual-
mente ed è caduto nel peccato.
Per mezzo del peccato, gli occhi spirituali di Adamo si chiudono, e
al loro posto si aprono gli occhi della carne. Infatti <<Vi sono, nota Ori-
gene, due tipi di occhi: gli uni si aprirono attraverso il peccato, gli altri
servivano ad Adamo e a Eva per vedere prima che questi si aprissero»18•
49
Ricordando questi occhi carnali, cioè questo modo carnale di vedere la
realtà, la Scrittura afferma: <<Si aprirono allora gli occhi di ambedue e
conobbero che erano nudi; perciò cucirono delle foglie di fico e se ne
fecero delle cinture» (Gn 3 ,7). Adamo ed Eva si videro allora nudi, pre-
cisa in seguito il testo (ibid.), e sant' Atanasio commenta in questo mo-
do: «Essi conobbero che erano nudi perché erano stati privati della con-
templazione di Dio e perché avevano volto i loro pensieri nella dire-
zione opposta>>19 • Parimenti, san Simeone nota questa deviazione della
conoscenza primordiale dell'uomo e la sua decadenza: <<Al posto della
conoscenza divina e spirituale, [l'uomo] ricevette la conoscenza car-
nale. Infatti, gli occhi della sua anima accecata, decaduta dalla vita im-
mortale, si mise a guardare con gli occhi del corpo>>2°.
Va osservato che non è l'apertura degli occhi della carne che pro-
voca la chiusura degli occhi spirituali, bensì l'inverso: è per mezzo del-
l'ignoranza di Dio che, cessando di esistere la ·conoscenza secondo Dio,
prende il suo posto la conoscenza secondo la carne: «Il male, precisa
san Massimo, è l'ignoranza dell'Autore benefico delle creature. È que-
sta ignoranza che ha, per un verso, ristretto lo spirito e, per un altro,
ha aperto ampiamente la via ai sensi, allontanando completamente
l'uomo dalla conoscenza divina per riempire la sua esistenza della
conoscenza appassionata delle cose sensibili>>2 1• San Simeone il Nuo-
vo Teologo afferma: «Se egli non fosse prima caduto dalla conoscen-
za e dalla contemplazione di Dio, egli non sarebbe pervenuto a que-
sta conoscenza>>22 . Questo può spiegarsi con il fatto che l'intelligen-
za, cessando di conoscere Dio e, in modo generale, le realtà spirituali
o intelligibili, nondimeno resta portata a conoscere qualcosa, perché
essa continua secondo le esigenze della sua natura ad essere in movi-
mento23: essa prende fin dall'inizio come oggetto le realtà sensibili (più
precisamente gli esseri considerati esclusivamente nella loro apparen-
za sensibile), che sono le uniche ormai a poter essere percepite da
essa, poiché detta intelligenza ha negato, rifiutato o dimenticato le
altre, come dimostra san Massimo: «Ogni intelligenza umana sviata e
che si discosta dal suo movimento naturale, è mossa dalle passioni, dai
sensi e dalle cose sensibili, poiché anch'essa non ha più dove portar-
19 Contro i pagani, 3.
2° Catechesi, XV, 14-15. Cfr. Trattati etici, XIll, 54-56.
21 Loc. cit.
22 Catechesi, XV, 22-24.
23 Cfr. NICETA STETATOS, Del!'anima, 42; 48; 55. ATANASIO D' ALEsSANDRIA, Contro i pagani, 4.
50
si, una volta venuto a mancare il movimento che conduce naturalmente
verso Dio»24 •
Quando nel loro stato originale le facoltà cognitive dell'uomo ri-
cevevano dallo Spirito la loro luce, e conoscevano così secondo la lo-
ro natura e secondo la natura stessa degli esseri, allontanandosi da Dio,
è ai sensi che onnai saranno subordinate, e da essi riceveranno ogni
infonnazione: «Divenuto trasgressore e ignorante di Dio, l'uomo mi-
se tutta la sua potenza intellettuale nella sensazione», scrive san Si-
meone il Nuovo Teologo25 • L'intelligenza dell'uomo fin da allora è
asservita a questo mondo26 •
· :Uintelligenza si lascia condurre non solo dalle sensazioni, ma anche
da tutti i desideri passionali che appaiono nell'anima come effetto del-
l'ignoranza, la quale è, affenna san Marco l'Eremita, <<la causa di tut-
ti i vizi»27 , insieme ali' oblio di Dio e alla negligenza ne! suoi riguardi28 •
Questi tre atteggiamenti negativi, che sono indissociabili e si sosten-
gono mutuamente29 , sono considerati da san Marco l'Eremita (e, nel-
la sua scia, da Giovanni Damasceno )30 come «i tre giganti potenti del
diavolo»3 1, le «passioni più profonde e più interiori all'anima>>-3 2 , gra-
zie alle quali «il resto delle passioni maliziose agiscono insinuandosi,
vivendo e trovando la loro forza nelle anime>>-3 3 .
La conoscenza umana è, così, in stato di peccato, abbandonata al-
le passioni, determinata da esse nel suo principio e nel suo fine3 4 • Que-
ste passioni, infatti, «catturano l'intelligenza>>-35 • A motivo dell'igno-
ranza, della negligenza e dell'oblio di Dio e anche della sua sottomis-
sione a tutte le altre passioni, l'intelligenza si oscura36, diviene cieca37 ,
viene fuorviata38 , immerge l'anima neJl'oscurità e pone tutto l'uomo in
un mondo di tenebre3 9 • Catturata dalla sensazione, essa diviene per di
'' Cfr. ANTONIO L'EREMITA, Lettere, V, 1. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli
51
più pesante e spessa40 • Essa diviene del tutto incapace di un giusto di-
scernimento41 e di vera conoscenza 42 • San Giovanni Crisostomo os-
serva: «Come coloro che sono nelle tenebre ignorano la natura delle
cose, allo stesso modo coloro che vivono nel peccato non distinguono
le cose: essi corrono verso delle ombre come se fossero la realtà»43 .
Sant'Isacco sottolinea, da parte sua, che le passioni distruggono la
salute naturale dell'intelligenza fino a renderla incapace di ogni co-
noscenza spirituale: <<Come il senso corporeo, quando viene messo sul-
la via del vizio per una ragione o per l'altra, è privato della visione, co-
sì l'intelligenza che è nella natura non è sana, la conoscenza non agi-
sce in essa»44 • Anche san S:iineone il Nuovo Teologo esclama: <<Quali·
siano le cose visibili, o mio Dio, non posso dirlo [ .. .],siamo tutti ca-
duti nella vanità, incapaci di un giudizio vero sugli esseri»45 . Essendosi
<<lasciato prendere dalla conoscenza mondana>>, l'uomo non può «sfug-
gire alle trappole dell'errore», ed egli produce «pensieri malati», os-
serva sant'Isacco46 •
L'uomo acquisisce, allora, una conoscenza più vicina a quella de-
gli animali che a quella di un uomo vero. <<Poiché egli ha commesso
un errore contro il Logos, l'uomo è considerato naturalmente priva-
to di l6gos [cioè della ragione], e assimilato alle bestie», scrive Cle-
mente d'Alessandria47 • E san Niceta Stetatos dice ugualmente dell'uomo
caduto: <<Egli è mosso contro natura e non razionalmente (ou logikos),
vive contrariamente alla ragione, asservito alle sensazioni contrarie al-
la sua dignità; [ ... ]e per avere perduto l'attività naturale dell'intelli-
genza, egli è assimilato agli esseri senza ragione a causa di questa con-
Efesini, XIII, 1. MARco L'EREMITA, A Nicola, 10; 12. L'affermazione che, a motivo del peccato,
l'uomo è entrato nelle tenebre, è frequente nella Sacra Scrittura: Is 9,1; Mt 4,16; Le l,79;
11,34-36; Gv l,5; 3,19; 8,12; 12,35; 12,46; At 26,18; Rm 1,21; 2,19; 13,12; E/ 4,18; 5,8; 5,11; Col
1,13; lTs 5,4; lPt 2,9.
4 °Cfr. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, Iv, 5; XI, 2, 2; Discorso catechetico, 8. ISACCO IL
SIRO, Discorsi ascetici, 26. EVAGRIO, Trattato sulla preghiera, 50. ORIGENE, Commento a Gio-
vanni, Il, VII, 57. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, fil, 56. GIOVANNI CASSIANO,
Conferenze, IX, 5; 6.
4 ' Cfr. GIOVANNI CRisosrOMO, Commento a san Giovanni, V, 4. lsACCO IL SIRO, Discorsi asce-
Scala, XV, 83. DOROTEO DI GAZA, Lettere, 2. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulle Calende, 3;
Commento al Salmo 142, 3;.0melia su 1 Corinzi, XI, 4; Omelia sulla lettera agli Efesini, XIII, l;
Commento a san Giovanni, V, 4. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, VII, 46.
4; Commento al Salmo 142, 3.
44 Discorsi ascetici, 69.
45 Inni, rv, 68-70.
46 Discorsi ascetici, 19.
41 Il Pedagogo, I, xm, 101, 3-102,1.
52
dotta, perché la ragione in lui è morta, e perché la parte meno razio-
mùe dell'anima ha prevalso grazie a questa condotta»48 •
Quando smette di vedere Dio negli esseri e gli esseri in Dio, l'uomo
perde la nozione del loro principio e del loro fine comune, smette di
coglierli nella loro unità fondamentale. Egli ne acquisisce allora una
conoscenza parziale, divisa, composita49 • E se egli tende a riunificare la
sua conoscenza, può farlo solo per mezzo degli artifici prodotti dalla
sua ragione: questa, non essendo più informata spiritualmente, non ha
in effetti più altra risorsa se non quella di fondare il suo esercizio su
principi arbitrari che definisce essa stessa, o su intuizioni sensibili che
non presentaho più alcun carattere di obiettività, nella misura in cui
sono relative alla percezione deformata dell'uomo decaduto.
L'alienazione dell'intelligenza nella sensazione corrisponde al gra-
do più basso della caduta dello spirito fuori della conoscenza di Dio
e della contemplazione naturale. Il suo esercizio nell'attività razionale
divenuta autonoma è una tappa intermedia5°, ma che costituisce ugual"
mente per l'uomo una forma di alienazione della sua intelligenza51 •
L'uomo caduto, molto spesso, riconosce solo l'uso razionale della
sua intelligenza, e può arrivare fino a considerarla come l'unico modo
di conoscenza autentica; persino possibile. Abbandonandosi a se stes-
so, l'uomo conosce allora ciò che i Padri chiamano la «prigionia dei
pensieri», che può andare da forme di pensiero più empiriche e più
disorganizzate fino a costruzioni più elaborate di pensiero astratto.
Immergendosi nella sensazione, ma anche nell'attività della ragio-
ne dispiegando una riflessione autonoma di carattere astratto, l'intel-
ligenza si volge verso <<l'esteriore». Non è solo da Dio che essa sepa-
ra allora l'uomo, ma anche da se stesso. È ciò che i Padri indicano co-
me la separazione dello spirito e del cuore. L'intelligenza, nel suo stato
naturale, è unita al cuore, il quale, in termini scritturistici e patristici
indica «l'uomo interiore», il centro ontologico dell'uomo e la radice
di tutte le sue facoltà. Quando egli esercita l'attività contemplativa che
corrisponde alla sua natura, lo spirito ha un movimento circolare52 ; ri-
48 Sull'anima, 34.
49 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, Prologo, PG 90, 253C.
5°Cfr. ELIA Ecmco, Capitoli gnostici, l-2: <<L'intelligenza è ora nell'ambito della fonte dei
pensieri, ora nell'ambito dei ragionamenti, ora nell'ambito dei sensi>>; <<l'intelligenza che non è
alla fonte dei pensieri è totalmente nei ragionamenti. E se essa è nei ragionamenti, non è alla fon-
te dei pensieri. Entrata nei sensi, essa è al centro di tutte le cose>>.
51 Cfr. ibid., 4; 7.
52 Cfr. DIONIGI L'AREOPAGITA, Sui Nomi divini, Iv, 9. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 5. NI-
CODEMO L'AGIORITA, Enchiridion, 10.
53
mane all'interno del cuore e non si espande al di fuori53 , ma «rientra
in se stesso e attraverso se stesso si eleva verso Dio»54 . Abbandonan-
do la sua attività contemplativa, l'intelligenza, non muovendosi più cir-
colannente ma in linea retta.55, esce dal cuore, dunque dal centro spi-
rituale dell'uomo e si diffonde all'esterno in una attività discorsiva nel-
la quale essa si disperde e ~i divide56 e rende l'uomo esteriore a se stesso
e a Dia57.
L'intelligenza, in questo stato, è in una condizione di costante di-
strazione58, non smette di fluttuare, erra e vaga qua e là.59 e conosce uno
stato d'agitazione permanente60 all'opposto dello stato di calma profon-
do (hesychia) che caratterizzava la sua attività contemplativa. I suoi
pensieri, prima concentrati e unificati, si dispiegano e scorrono, mol-
teplici e diversi, in un flusso incessante, divenendo confusi e instabi-
li61, si dividono62 e si disperdono63 , sfuggendo da ogni parte64, e con es-
si trascinano e dividono tutto l'essere dell'uomo. San Massimo può co-
sì ricordare <<la dispersione dell'anima secondo le forme esteriori
dall'apparenza di cose sensibili»65 , perché l'anima diviene molteplice
a immagine di una molteplicità sensibile che ha paradossalmente crea-
ta da se stessa, e che è un'illusione che proviene dal fatto che essa si
è resa incapace di percepire l'unità oggettiva degli esseri per la sua
ignoranza della presenza in essi delle energie del Dio Uno.
Dalla separazione dello spirito e del cuore, vera schizofrenia spiri-
tuale nel senso etimologico del termine poiché essa divide (schizei) il
cuore (phrén) dell'uomo, risulta la divisione di tutta l'anima. A moti-
vo dell'intelligenza che si disperde e si divide nella molteplicità dei
pensieri che essa produce e delle sensazioni che segue, tutte le facoltà,
tirate di· qua e di là, e per di più titillate dalla molteplicità delle pas-
sioni; si esercitano in sensi molteplici e spesso divergenti che fanno
dell'uomo un essere diviso a tutti i livelli.
53 Ibid.
54 BASILIO DI CEsAREA, Lettere, Il, 2. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 5.
55 Cfr. ibid.
56 BASILIO DI CEsAREA, loc. cit. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 23.
51 Cfr. NICODEMO LAGIORITA, Enchirùiion, 10.
58 Vedi, tra gli altri, MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. III), XXV, 5, 4.
59 Cfr. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coll. Il), IV, 4. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 68.
60 Cfr. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 19; 23; 24; 25.
61 MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), XXXI, 6.
62 Cfr. NICETA STETATOS, Centurie, III, 19.
63 Cfr. ibid., 2; 6.
64 MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), VI, 3.
65 Mistagogia, XXIII, PG 91, 697C.
54
L'ignoranza di Dio, lo si può notare, si rivela avere per l'uomo mol-
teplici effetti patologici conformi all'importanza fondamentale che ri-
vestiva per lui la conoscenza di Dio, tanto che san Marco l'Eremita
considera tale ignoranza come «la madre e la nutrice di tutti i mali»66 •
E san Niceta Stetatos riassume così qualcuno dei suoi effetti: «L'i-
gnoranza è una calamità e più che una calamità. Essa è veramente la
tenebra palpabile (cfr. Es 10,21). Essa oscura le anime nelle quali si
trova. Essa divide profondamente il pensiero e impedisce ali' anima di
unirsi a Dio. Quanto si unisce a essa è disordine e sragione, perché es-
sa rende l'uomo completamente irrazionale e insensibile[. .. ]. Quan-
do essa si spande e s'ispessisce, diviene per l'anima, che le è sottomessa,
un baratro infernale in cui sono tutti i tormenti, tutti i dolori, tutte le
tristezze, tutti i gemiti»67 •
«Il male non viene da Dio, non è in Dio, non esisteva all'inizio» 68 •
Dio non ha creato il male. Tutti gli esseri erano ali' origine intera-
mente buoni e vivevano totalmente nel bene. Adamo, lo abbiamo vi-
sto, all'inizio era esente da ogni male. Certamente il male esisteva in
paradiso nella persona del Serpente, del diavolo, ma questo male non
affliggeva l'uomo né la creazione e il diavolo stesso era stato creato
buono da Dio., ed è per sua libera volontà che egli è decaduto dalla
sua condizione originaria di arcangelo ed è divenuto cattivo69 • Il ma-
le, dicono i Padri, è un'invenzione: <<lnvenzione del diavolo, della sua
libertà>/0, prima di tutto; in secondo luogo, invenzione dell'uomo che
fu sedotto da Satana a segUire la sua stessa strada, cioè ad allontanar-
si come lui da Dia7 1• «Questa disgrazia che domina ora l'umanità, scri-
ve san Gregorio di Nissa, è l'uomo che, deviato da un inganno, l'ha
55
volontariamente attirata, ed è divenuto egli stesso inventore della ma-
lizia72 e non scopritore di una malizia creata da Dio[. ..]; è l'uomo che
e
in un certo modo è divenuto creatore artefice del male>>73 • Così il ma-
le è una creazione non di Dio, ma del diavolo e dell'uomo che colla-
bora con lui; è un prodotto della volontà diabolica e della volontà uma-
na74, il che non sarebbe accaduto se il diavolo non si fosse allontanato
di anche: Omelie sull'Ecclesiaste, VIII, 3; Omelie sul Cantico dei Cantici, II, PG 44, 796D.
74 Cfr. BASILIO DI CESAREA, Omelie sull'Hexaemeron, II, 4.
75 Contro i pagani, 4. Cfr. ibid., 7; 8; Sull'Incarnazione del Verbo, 4; 5.
76 Cfr. ATANASIO D'ALESSANDRIA, Contro i pagani, 7. MAsswo IL CONFESSORE, Questioni a
Talassio, Prologo, PG 90, 253AB. BASILIO DI CESAREA, Omelie sull'Hexaemeron, II, 4-5. GRE-
GORIO DI NISSA, Sulla verginità, XII, 2. DIONIGI L'AlIBoPAGITA, Sui Nomi divini, IV, 19-35.
77 Sull'Incarnazione del Verbo, 4.
56
no messi a concepire e a immaginare cose che non esistono»78 • Essen-
do Dio l'unico essere che veramente e assolutamente è, come egli stes-
so rivela a Mosè: <<lo sono colui che sono» (Es 3,14), l'uomo che vive
al di fuori di lui non può conoscere altro che il nulla. <<.Allontanato dal
bene, scrive tra l'altro sant'Atanasio, e dimenticando che essa è ad im-
magine di Dio buono, la potenza che è [nell'anima] non vede più il
Dio Verbo, a somiglianza del quale essa è stata fatta; uscendo da se
stessa, non pensa e non immagina altro se non il nulla>>7 9 • Infatti, non
percependo più né l'immagine di Dio che è in essa e che fondamen-
talmente la costituisce, né le «ragioni>> spirituali delle creature, l'uo-
mo percepisce solo una vuota realtà. Conoscendosi e conoscendo gli
esseri al di fuori di Dio, egli conosce nel nulla. Vedendo la creazione
come se Dio ne fosse assente, mentre egli è «presente ovunque e riem-
pie tutto», egli delira, e manifesta la sua follia: colui che nel suo cuo-
re ha detto: «Non c'è Dio» è insensato, dice il salmista (Sa! 13,1). An-
.che se, «dopo la creazione del mondo, Dio manifestò ad essi le sue
proprietà invisibili, come la sua eterna potenza e la sua divinità, che si
rendono visibili all'intelligenza mediante le opere da lui fatte» (Rm
1,20), l'uomo, avendo chiuso gli occhi del suo spirito, ignora tutto an-
che quando crede di conoscere, prendendo come realtà il nulla che
ormai si offre alla conoscenza della sua intelligenza offuscata: <<Quan-
do il sole brilla e illumina tutta la terra con la sua luce, scrive sant'A-
tanasio, se un uomo si tappasse gli occhi immaginandosi che è nell'o-
scurità mentre l'oscurità non esiste, e poi camminasse a caso come er-
rando nell'oscurità, cadendo continuamente e andandosene verso· il
precipizio, egli penserà che non fa giorno, ma che è buio, credereb-
be di guardare ma non vedrà nulla. Così l'anima umana, tappandosi
gli occhi che le permettono di vedere Dio, ha concepito il male, e muo-
vendovisi, essa crederà di fare qualcosa mentre non fa nulla, perché
immagina solo il nulla. Essa non è rimasta quale è stata fatta, ma si mo-
stra così come se si fosse impastata da sola. Infatti, essa è stata fatta
per vedere Dio e per essere illuminata da lui; ma anziché Dio, ella ri-
cerca le cose corruttibili e le tenebre>>80 •
È, altresì, in un'altra maniera che la conoscenza dell'uomo diviene,
per il peccato, delirante. Allontanandosi da Dio, l'uomo giunge a con-
siderare le creature in se stesse, indipendentemente dal loro Creatore,
7• Contro i pagani, 7.
79 Ibid., 8.
80 Ibid., 7. Si troverà una comparazione analoga in GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, XII, 2.
57
perché crede che l'universo esista da se stesso. Ora, questo-modo di
conoscere non è che immaginazione, illusione81 , delirio: perché tutto
ciò che è, è opera di Dio e per Dio; ogni essere trae il suo senso, il suo
valore e la sua stessa realtà da Dio, principio e fine, alfa e omega di
ogni creatura. Ogni essere è per essenza relativo a Dio, e percepirlo al
di fuori di questa relazione, significa non conoscerlo così come egli è
realmente, ma al contrario così come egli non è. Il mondo che l'uomo
percepisce al di fuori di Dio non è che un fantasma, una finzione, il
prodotto di un certo tipo di delirio. Per questo sant' Atanasio scrive
a proposito di coloro che prendono in considerazione le opere senza
considerare Colui che le ha fatte: «Folli e ciechi! Come potrebbero as-
solutamente conoscere un edificio, una nave, una lira, se non vi fosse
un carpentiere per costruire la nave, un architetto per costruire un edi-
ficio, un artista per fabbricare la lira? Colui che pensasse così sarebbe
folle al di là di ogni follia; allo stesso modo, non mi sembra che ab-
biano uno spirito sano coloro che non riconoscono Dio, che non ado-
rano il Verbo, il Salvatore di tutti, Nostro Signore Gesù Cristo che per
mezzo del Padre ordina tutto, contiene tutto e provvede a tutto»82 •
Avendo perduto il senso della relazione degli esseri con Dio, quin-
di del loro carattere relativo, l'uomo ne fa inevitabilmente degli asso-
luti, ed essi occupano allora nel suo spirito il posto del Dio che egli ha
negato83 • Il culto delle creature rimpiazza così nell'uomo decaduto l'a-
dorazione del Creatore. L'idolatria non consiste solo nelle forme reli-
giose organizzate che essa spesso ha assunto, in cui alcune creature so-
no esplicitamente definite come dèi, ma in ogni atteggiamento del-
l'uomo di fronte a un essere in cui questo è preso come fine e si vede
conferire un senso ed un valore in se stesso, anziché questi gli siano ri-
conosciuti in Dio; e anche in ogni attività, in ogni sforzo consacrato
a un essere preso in se stesso, anziché essere consacrati a Dio attra-
verso di lui. Vi è atteggiamento idolatrico riguardo a un essere ogni
volta che questo smette di essere trasparente verso Dio, di rivelare Dio,
in altri termini, ogni volta che l'uomo smette di percepire le sue· <<ra-
gioni» spirituali, di <<leggervi» le energie divine presenti in lui e che
definiscono la sua vera natura. Questo essere allora nasconde Dio in-
81 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Vita di Mosè, Il, 203. San MACARIO D'EGITTO nota che «dopo
la trasgressione di Adamo, l'intelligenza è fissata e illusa in questo mondo» (Omelie [Coli_ Il],
XXIV, I).
82 Contro i pagani, 47. Cfr. ANTONIO L'EREMITA: «Essi in seguito alla loro follia non cono-
scevano Dio, non gli rendevano grazie come al loro Creatore>> (Lettere, V, 3 ).
83 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, Prologo, PG 90, 257B.
58
vece di manifestarlo, si chiude in qualche modo in sé invece di servi-
re da piedistallo all'uomo per elevarsi fino al suo Creatore. È allora al-
!' oggetto stesso, ridotto al nulla per la sua ignoranza, che l'uomo at-
tribuisce gli onori che avrebbe dovuto, con la sua mediazione, ren-
dere a Dio. San Paolo considera come una manifestazione di follia
latteggiamento degli uomini che agiscono così: <<l loro ragionamenti
divennero vuoti e la loro coscienza stolta si ottenebrò. Ritenendosi sa-
pienti, divennero sciocchi, e scambiarono la gloria di Dio incorrutti-
bile con le sembianze di uomo corruttibile, di volatili, di quadrupe-
di, di serpenti>> (Rm 1,21-23). Sulla scia dell'Apostolo, i Padri sono
unanimi nel vedere nell'idolatria una forma di follia spirituale. Ad
esempio, sant'Atanasio scrive: «Gli uomini nella loro follia disprezza-
rono il dono fatto loro, si allontanarono da Dio e sporcarono tal-
mente la loro allima, che non solo essi dimenticarono l'idea di Dio, ma
essi si forgiarono altri dèi al suo posto. Essi si fecero degli idoli al
posto della verità, e preferirono il nulla al vero Dio, adorando la crea-
tura al posto del Creatore»84 • «Gli uomini, scrive ancora altrove, aven-
do appreso ad immaginare il male che non esiste, si sono, nello stes-
so modo, anche formati degli dèi che non esistono [... ]. Nella loro fol-
lia [... ] dimenticando il pensiero e la conoscenza di Dio, non avendo
che una ragione accecata o piuttosto una sragione, essi si sono rap-
presentati come divinità le cose apparenti, glorificando la creatura al
posto del Creatore [cfr. Rm 1,25] e divinizzando le opere, piuttosto
che colui che è la causa, il demiurgo e il Maestro, Dio»85 • E più avan-
ti annota ancora: «Mentre nulla sussiste al di fuori [del Verbo]: il
cielo e la terra e tutti gli esseri che essi contengono dipendono da
lui, tuttavia gli uomini, nella loro follia hanno respinto la conoscenza
e la devozione nei suoi riguardi, e hanno onorato ciò che non è al
posto di ciò che è, e in luogo di Dio, che~ realmente, essi hanno di-
vinizzato il nulla adorando la creatura al posto del Creatore, ed è qui
la follia»86 •
bra, che riempie una vita consacrata di tale ardore per il culto della materia>> (Protreptico, X, 99,
1). Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO: <<Lasciando da parte il Creatore, [essi] hanno adorato il cielo
stesso, questo avvenne a causa della loro imbecillità e della loro demenza>> (Omelie sui demoni,
I, 6). E nel modo del tutto corrente che le forme idolatriche del paganesimo sono considerate
dai Padri come forme di follia. Vedi tra l'altro: Costituzioni apostoliche, V, 15, 3. CLEMENTE D' A-
LESSANDRIA, Protreptico, X, 96, 4; Storia dei monaci d'Egitto, Vita di Simeone il Vecchio, 2. TEO-
DORETO DI CIRO, Storia dei monaci di Siria, I, 4; VI, 4; Discorso sulla Provvidenza, Il, 580A.
59
Adorando le creature al posto del Creatore, gli uomini hanno scam-
biato la verità di Dio con la menzogna (dr. Rm l,25). Ignorando Dio
che è la Verità (cfr. Gv 1,9.17; 8,32; 14,17; 15,26; 16,13; Ef 4,21; lGv
5,6), l'uomo si priva di ogfii possibilità di una conoscenza vera. Non
cogliendo più la realtà con il suo spirito nello Spirito, vede ogni cosa
attraverso il filtro deformante del peccato e delle passioni; egli acqui-
sisce così, lo si è già detto, una falsa intelligenza; <<i peccatori, scrive
Origene, non vedono con gli occhi buoni, ma con quelli della "filo-
sofia [intelligenza della carne]" (Col 2,8)»87 , e per mezzo dei quali l'uo-
mo credendo di vedere, è in realtà cieco (cfr. Is 6,9-10; Gv 9,39; 2Cor
4,4). L'uomo decaduto vive così in un mondo falso, irreale, creato per
lui; del quale ignora il vero significato degli esseri e non percepisce più
i veri rapporti che esisto.no tra loro. Questa confusione, peraltro, è ac-
cresciuta dall'azione del diavolo, padre della menzogna (cfr. Gv 8,44),
che, come osserva san Giovanili Crisostomo, <<turba così infelicemen-
te il nostro spirito, e fa errare il nostro giudizio sul vero apprezzamento
delle cose»88 • San Giovanni Crisostomo vede in tutto questo una
forma di follia, nei riguardi degli uomini peccatori: <<Essi sono real-
mente insensati[...], poiché non hanno mai imparato a conoscere la
vera natura delle cose»89 •
L'uomo decaduto, lo si è detto, per la sua conoscenza divenuta car-
nale, giudica queste cose solo secondo la loro apparenza sensibile, igno-
rando ciò che esse sono per se stesse, nella loro essenza intelligibile.
Egli ha davanti alla sua intelligenza come uri velo che gli impedisce di
cogliere ciò che è al di là dei fenomeni, cioè delle cose tali e quali es-
se appaiono ai sensi; tale velo lo immerge costantemente nell'illusio-
ne. «Il velo, nota san Massimo, è l'illusione prodotta dai sensi che
fissa l'attenzione dell'anima sulle apparenze superficiali degli oggetti
sensibili, e che sbarra il passaggio a quelle intelligibili>>90 • L'uomo, pren-
dendo per vero essere ciò che gli appare, introduce la confusione più
totale nella sua percezione della realtà; egli scambia il falso per il vero
e il vero per il falso, il male per il bene e il bene per il male91 • Egli con-
sidera ciò che è meno reale (l'apparenza), come il più reale, e ciò che
è maggiormente reale (la realtà spirituale, intelligibile e divina) come
ciò che lo è di meno o anche come ciò che non lo è affatto. L'uomo
60
decaduto ha così una visione completamente rovesciata del reale;
egli conosce un mondo a rovescio: manifestazione evidente del suo de-
lirio. «Essi sono più stupidi degli asini, scrive Giovanni Crisostomo,
poiché' ritengono incerte alcune cose che sono più chiare di quelle che
vediamo con i nostri occhi>>92 • «Se non volete credere che ciò che è più
chiaro», egli aggiunge volendo rimettere i peccatori, ai quali si rivol-
ge, sulla strada della conoscenza vera, <<dovete credere piuttosto alle
cose invisibili che a quelle che vedete con i vostri occhi. Ciò che sem-
bra un paradosso, è nondimeno una_verità»93 • Quanto a san Maca-
rio, egli sottolinea il ruolo dell'azione demoniaca in questa confusio-
ne e illusione: «A causa de)la trasgressione del comandamento, [l'ani-
ma è] divenuta lo zimbello di tutte le potenze avverse. Infatti, esse
l'hanno fatta uscire dal suo buon senso, hanno intorpidito l'intelligenza
delle cose celesti al punto [... ] che essa crede che ciò lo sia stato sin
dall' inizio»94 •
Avendo perduto la conoscenza vera della realtà che possedeva
nello Spirito, e nondimeno avendo bisogno di conoscere, l'uomo de-
caduto la sostituirà non con un'altra sola conoscenza, ma con cono-
scenze di ogni sorta, corrispondenti alle molteplici apparenze nelle
quali egli ormai si muove. San Marco l'Eremita nota, così, che l'igno-
ranza e l'oblio di Dio «ottenebrano l'anima di una orribile e instabile
curiosità>>95 • Ma le conoscenze che ne risultano sono parziali, instabi-
li, diverse, ossia opposte, proprio come le realtà fenomeniche alle qua-
li esse si applicano. L'uomo, in queste conoscenze sostitutive, è limi-
tato a classificare le apparenze delle cose, non avendo queste appa-
renze esse stesse alcuna obiettività, poiché sono definite attraverso
l'intelligenza decaduta e deformata del loro osservatore. La conoscenza
razionale che cerca di unificare la conoscenza, superando i rischi
della percezione sensibile, non può farlo, lo si è detto, se non artifi-
cialmente, in virtù di convenzioni che essa si dà da se stessa come
base e che, dunque, le sono completamente relative96• Le diverse co-
noscenze dell'uomo decaduto sono solo proiezioni illusorie della sua
conoscenza decaduta97 e, laddove una obiettività o una verità sembra
"Ibid.
94 Omelie (Coli. Il), XLV, 5. Cfr. 1.
95 A Nicola, 10.
96 Cfr. Archimandrita SOPHRONY, Starets Silouane, Paris et Sisteron 1973, p. 99. I: episte-
mologia contemporanea riconosce, del resto, che la scienza non conosce la realtà tale quale es-
sa è.
w Filosoficamente, è la concezione <<idealista» della conoscenza che ha ragione, in quanto .es-
61
essere raggiunta (come nella conoscenza scientifica), tale obiettività e
verità si riducono di fatto ali' accordo provvisorio delle coscienze ope-
ranti lo stesso tipo di proiezione e accordantesi in qualche modo nel-
la loro comune decadenza. Tale proiezione può, peraltro, variare a se-
conda dei valori ai quali si riferiscono queste coscienze e degli scopi
che esse perseguono. Le conoscenze scientifiche stesse non sono neu-
tre, ma, come sottolinea san Gregorio Palamas (che in questo raggiunge
le riflessioni epistemologiche più moderne), sono relative «all'inten-
zione di coloro che le usano», «appaiono secondo il pensiero di co-
loro che le usano e prendono facilmente la forma che dà loro il pun-
to di vista di quelli che le possiedono»98 • .
Questo è tanto più vero in quanto le conoscenze dell'uomo deca-
duto si costituiscono non solo per colmare il vuoto dell'intelletto la-
sciato dalla perdita della conoscenza spirituale, ma ancor più nel fine
di soddisfare bisogni molto spesso materiali, la maggior parte dei qua-
li è definita dalle stesse passioni. «Quando la conoscenza segue il de-
siderio della carne, scrive Isacco, prende su di essa la ricchezza, la
vanagloria, l'ornamento, il conforto del corpo, si attatca alla sapien-
za razionale che si adatta al governo del mondo e non smette di in-
ventare, rinnovare le tecniche e le scienze, sostiene tutto ciò che co-
rona il corpo in questo mondo visibile»99 •
Se queste diverse forme di conoscenza possono dare all'uomo l'il-
lusione di conoscere veramente e possono colmare il vuoto che egli
prova, pertanto non gli sono di alcuna utilità fondamentale, perché
non gli servono affatto a realizzare il suo vero destino; esse non con-
tribuiscono in alcun modo alla _sua deificazione. La conoscenza car-
nale, afferma sant'Isacco, «è chiamata conoscenza nuda, perché è spo-
gliata di ogni preoccupazione per Dio e isterilisce l'intelligenza pri-
vandola della ragione, fintanto che è dominata dal corpo. Essa non si
occupa che di questo mondo»100 • Non dicendo nulla su Dio, non dice
nulla di essenziale sull'uomo né sugli esseri della creazione di cui es-
sa ha l'incarico spirituale. «Questo modo di conoscere», afferma san
Simeone il Nuovo Teologo, «è in realtà l'ignoranza di tutto ciò che è
buono»101 •
sa descrive, pur senza esserne cosciente, le condizioni di conoscenza dell'uomo decaduto. Solo
in Dio l'uomo può acquisire una conoscenza perfettamente adeguata al suo oggetto.
98 Triadi, L 1, 6. .
99 Discorsi ascetici, 63.
100 Ibid., 63.
101 Catechesi, XV, 20-21.
62
2. Patologia del desiderio e del godimento
L'uomo è stato creato per unirsi a Dio. La facoltà del desiderio [ap-
petito, potenza o facoltà concupiscibile] (epithymfa, epithymetik6n,
epithymetikè dynamis) è stata posta nella natura dell'uomo affinché
egli possa desiderare Dio, tendere ed elevarsi verso di lui, e unirsi a
lui102 • È in ciò l'uso normale di questa facoltà, conforme alla natura di
questa103 , e che contribuisce a costituire il suo stato di salute104 . <<L'oc-
chio è stato creato per la luce, lorecchio per i suoni, ogni cosa per il
suo fine, e il desiderio dell'anima per slanciarsi verso il Cristo», af-
ferma san Nicola Cabasilas 105 • «Il Cristo, nostro Dio, è il fine di ogni
desiderio», afferma uguàhnente san Simeone il Nuovo Teologa106 • Unir-
si a Dio è per l'uomo, conformemente alla finalità della sua natura stes-
sa, ciò che vi è di più desiderabile: «la pienezza del desiderabile, scri-
ve san Basilio, è quella di divenire Dio» 107 •
Ad ogni desiderio è legato un piacere; dall'orientamento naturale
del suo desiderio di Dio, l'uomo riceve un intenso godimento spiri-
tuale108. «Nell'organizzare la natura umana, ci insegna san Massimo,
Dio dotò il suo spirito di una potenza di piacere che lo rendeva ca-
pace di godere ineffabilmente di lui»109 . Tale «piacere (edoni> divino
102 È importante sottolineare, nel quadro della nostra dimostrazione, che la maggior patte dei
Padri greci non riservano il termine epithumia ai desideri sensibili e non esitano ad utilizzarlo
per indicare il desiderio dell'uomo per Dio (oltre a Massimo il Confessore, vedi tra gli altri, Tuo-
OORETO DI Cmo, Terapia delle malattie elleniche, V, 77). Non esitano neppure ad applicare il ter-
mine éros all'amore dell'uomo per Dio (cfr. DIONIGI L'AREOPAGITA, Sui Nomi divini, IV, 12). Es-
si usano ugualmente il termine edoné per indicare sia il godimento spirituale che il piacere sen-
sibile: è in particolare il caso di Massimo il Confessore (vedi tra gli altri: Quindici capitoli, 14;
Questioni a Talassio, l; 55; 58;). Vedi anche: ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 23. NICETA STE-
TAJ'OS, Centurie, I, 68. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 24. ·
1°' Cfr. Esiano DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 126. DIONIGI L'AREOPAGITA, Sui Nomi di-
vini, rv; 16. MAssIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, Prologo; 49. ISAIA DI SCETE, Asceti-
con, II, 5. NICETA STETAJ'OS, Centurie, I, 16.
104 NrcETA STETATOS, Centurie, I, 15.
105 La vita in Cristo, II, 90.
106 Catechesi, XX, 24-26.
107 Sullo Spirito Santo, IX, 29.
natura umana, san Macario d'Egitto scrive: è «come se essa ordinasse a[ll']anima di vivere nel-
la sua divinità, di raggiungere la vita immortale, di godere il piacere incorruttibile e la gloria inef-
fabile» (Capitoli para/rasati, 61).
63
e beato»110 costituisce per l'uomo la gioia più alta, perché dalla sua par-
tecipazione alla vita di Dio in.finito, l'uomo trae un godimento infini-
to - è quanto il Cristo chiama <<la gioia piena>> (Gv 15,ll)m -, che egli
non potrebbe raggiungere in nessun' altro modo, perché ogni ogget-
to al di fuori cli Dio, essendo finito, non potrebbe portare che una gioia
parziale e limitata112 • Per questo, così san Massimo annota: «Non vi è
che una sola felicità, la vita comune dell'anima con il Verbo»113 ; «l'u-
nico piacere è l'accesso alle cose clivine»114 •
Adamo nel suo stato originale che, lo ricordiamo, costituisce per
tutta l'umanità lo stato normale, non desiderava null'altro che Dio
«orientasse verso di lui tutta la sua capacità d' amare»115 e che rice-
vesse da lui ogni piacere, ogni gioia, ogni felicità. Dio era per l'uomo
l'unica fonte di godimento: «Egli trovava le sue delizie solo nel Si-
gnore», afferma san Gregorio cli Nissa 116 ; non godeva affatto, in pa-
radiso, di beni mescolati, precisa altrove, ma «il beneficio unico del
godimento concesso [all'uomo, era] il vero Bene stesso»117 • In altri ter-
mini, l'uomo, nel suo stato primordiale non conosceva alcun piacere
sensibile. «Il Verbo cli Dio, che ha creato la natura umana, non ha isti-
tuito con essa il piacere sensibile», fa notare san Massimo 118•
Il diavolo, geloso119 del godimento spirituale al quale l'uomo era de-
stinato, gli suggeri. allora cli allontanare da Dio il suo desiderio e di orien-
tarlo in una direzione dalla quale Dio, mediante il comandamento
che gli aveva dato, lo aveva messo in guardia. <<Il diavolo, spiega san
Massimo, con un inganno, ha convinto l'uomo di far passare il desi-
derio del suo animo da ciò che era permesso a ciò che era proibito e di
volgersi verso la trasgressione del comando di Dio»120 • L'uomo fu ten-
tato dal Serpente di godere di altri piaceri a lui ancora sconosciuti ma
110 GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, V. Massimo il Confessore chiama ugualmente edoné
<<la gioia dell'anima a propusito della virtù>> (Questioni a Talassio, 58, scolio 22).
m Cfr. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, Il, 92.
112 Cfr. IsACCO IL Smo, Discorsi ascetici, 38.
64
più immediatamente e facilmente accessibili121 dei godimenti spiritua-
li verso i quali la sua natura lo faceva tendere, ma ai quali egli ancora
non accedeva che parzialmente; il loro possesso perfetto non doveva
essere ottenuto che al termine della sua crescita spirituale. Questi pia-
ceri, che il Maligno propose all'uomo, erano legati al desiderio di realtà
sensibili che l'uomo nel suo stato originale ignorava in quanto tali.
Adamo era destinato a godere delle stesse realtà sensibili (cfr. Gn
2,16) 122 , ma a gioirne spiritualmente, cioè in Dio, per mezzo delle lo-
ro «ragioni>> spirituali, dei loro l6goi. San Massimo ci insegna che Dio,
nel creare Adamo come <<la creatura ultima, una specie di laboratorio
in cui tutto si concentra>>, lo ha introdotto <<provvidenzialmente tra gli
esseri come legame naturale tra gli estremi» della creazione, donan-
dogli la possibilità di possedere <<naturalmente, nella sua situazione
mediana, ogni facoltà di unificazione grazie alla relazione delle sue par-
ti con tutti gli estremi>>. Dio allora gli aveva dato come compito di «ren-
dere manifesto il grande mistero del piano divino, nel condurre ar-
moniosamente a buon fine l'unificazione reciproca degli estremi tra
gli esseri, dai più vicini ai più lontani, e dai minori ai più eccelsi, at-
traverso una tensione la cui conclusione culminerà in Dio»123 • Egli ave-
va chiaramente come compito, per mezzo della conoscenza e della con-
templazione dei l6goi delle creature e attraverso l'amore, di unificare
la creazione sensibile e di unire le sensibili e le intelligibili124 •
Ma Adamo, facendo cattivo uso della sua libertà, si è allontanato da
questo compito che doveva alla fine unirlo a Dio e unire tutta la crea-
zione in lui; egli ha così pervertito la sua natura; egli, afferma san Mas-
simo, si è <<messo in movimento contro la sua natura, di sua iniziativa
e follemente (anoé!Os), facendo un cattivo uso della facoltà naturale,
che gli era stata affidata nella sua costituzione in vista dell'unificazio-
. ne dei separati, per operare piuttosto la separazione degli uniti» 125 •
Adamo si è chiaramente messo a considerare e a desiderare le crea-
ture e a volerne godere in esse stesse, e per lui stesso, egoisticamente,
cioè al di fuori di Dio, in altre parole e come dice san Massimo, a vo-
lersi «impadronire delle cose di Dio senza Dio e prima di Dio e non
secondo Dio»126 • Così, al desiderio e al piacere spirituali conformi al-
65
la sua natura, egli ha sostituito un desiderio e un piacere carnale con-
tro natura127 • «Un piacere introdotto con l'inganno fu l'inizio della ca-
duta», scrive san Gregorio di Nissa 128 • E san Cirillo di Scitopoli ag-
giunge: «Alla bellezza intelligibile Adamo preferì ciò che era apparso
dilettevole ai suoi occhi carnali>>129• Spiegando questo modo di proce-
dere, san Massimo constata: <<ll desiderio, attraverso la dolcezza del
piacere dei sensi, allontana lo-spirito della percezione divina dagli in-
telligibili che gli è connaturale»130 •
Cessando di desiderare e di amare Dio, l'uomo viene preso da un
amore carnale per se stesso (che i Padri e in particolare san Massimo
chiamano filautia [philautia]) così come per la realtà sensibile, traen-
do da se stesso ormai e da questa, principalmente attraverso i suoi sen-
si e quindi il suo corpo, ogni godimento e ogni piacere131 • «Gli uomi-
ni, scrive sant' Atanasio, trascurando le realtà superiori e mostrando-
si lenti ad afferrarle, cercheranno piuttosto quelle che sono a loro
più vicine. Ora, ciò che è più vicino, sono il corpo e i sensi: così gli uo-
mini allontanarono il loro spirito dagli intelligibili e si misero a con-
siderare se stessi. Considerando se stessi, attaccandosi ai propri cor-
pi e alle altre cose sensibili, ingannandosi, per così dire, nella loro cau-
sa, giunsero a desiderare se stessi, preferendo il proprio bene alla
contemplazione delle realtà divine» 132 •
66
tuisce una perversione, uno snaturamento 134, o una malattia di que-
sta facoltà, che colpiscono, lo vedremo, tutta la natura dell'uomo.
Infatti, ricorda san Massimo, <<il male è la mancanza nel dirigere ver-
so il fine l'azione delle facoltà innate. Non è altro che questo. O an-
cora: il male è il movimento irrazionale delle facoltà naturali verso
un'altra cosa diversa dal fine, secondo un giudizio errato. Io chiamo
fine la Causa degli esseri, verso il quale ogni cosa si porta per un de-
siderio naturale»135 • Correlativamente, il piacere sensibile appare co-
me <<l'energia dell'anima contro natura», piacere che, afferma san Mas-
simo, <<per formarsi non può avere altra origine se non la rinuncia del-
1'anima, quando questa si scarica delle cose secondo la natura»136 • È
per questo che i Padri spesso parlano della «malattia del piacere» e
considerano l'amore del piacere (philedonfa) come una delle prime e
più importanti malattie spirituali dell'uomo decaduto137 •
67
rio e la filautia, si accrescono correlativamente, si condizionano reci-
procamente e si rafforzano mutuamente: <<Più l'uomo andava verso le
cose sensibili attraverso i suoi soli mezzi, più l'opprimeva l'ignoranza
di Dio; più era soggiogato dall'ignoranza di Dio, più si abbandonava
al godimento delle cose materiali conosciute empiricamente; più egli
s'impregnava di questo godimento, più eccitava la filautia che ne era
la conseguenza; più coltivava la filautia, più inventava molteplici mo-
di per ottenere il piacere, frutto e scopo dell'amore di sé»139 •
139Ibid., Prologo.
140Ibid. Cfr. MARco L'EREMITA, La legg,e spirituale, 102. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso uti-
le all'anima. TEOGNOSTO, Sull'azione e la contemplazione, 4.
141 Ibid.
142 Cfr. TEODORETO DI CIRO, Terapia delle malattie elleniche, V, 77.
68
I desideri sensibili, che appaiono nell'uomo decaduto e peccatore,
nella loro natura profonda non sono altro che questo stesso deside-
rio che, distolto dal suo normale fine divino, si è orientato contro na-
tura e reinvestito nella realtà sensibile dividendosi nella sua moltepli-
cità.
Tutti i desideri dell'uomo decaduto appaiono così costituiti dalla
decadenza e dal reinvestimento patologico del desiderio naturale e ori-
ginario di Dio, attraverso il suo allontanamento contro natura, attra-
verso la sua perversione; essi ne sono dei surrogati, così il piacere sen-
sibile che l'uomo ottiene per mezzo di essi non è che un simulacro e
una contraffazione del godimento spirituale e del vero bene143 • Molti
insegnamenti patristici documentano questa concezione144 • La rela-
zione alla carne, scrive san Massimo, «divide l'amore che dobbiamo a
Dio solo»145 • Origene, indicando le due direzioni divergenti che può
prendere l'unica facoltà erotica che è nell'uomo, scrive più precisa-
mente: «Uno dei movimenti dell'anima è l'amore. Noi ne usiamo per
amare bene quando amiamo la sapienza e la verità; ma quando il no-
stro amore si abbassa a cose meno buone, è la carne e il sangue che
amiamo» 146 • Abba Isaia, in maniera più precisa, afferma: «Vi è nello
spirito il desiderio conforme alla natura, fonte di carità e a causa del-
la quale Daniele è chiamato "uomo di desideri" (cfr. Dn 9,23). Que-
sto desiderio, il nemico lo ha trasformato in desiderio vergognoso, che
ci porta a bramare tutto ciò che è impuro» 147 • San Gregorio di Nissa
si mostra del tutto esplicito quando ricorda coloro che «dopo aver ca-
povolto ogni loro potenza di desiderio e deviato lo slancia148 del loro
pensiero dalle realtà divine verso gli oggetti bassi e materiali, apriro-
no alle passioni tutto il campo del loro interno, al punto da cessare
ogni movimento verso le realtà dell'alto, e a veder disseccare com-
pletamente il desiderio [di Dio, delle realtà spirituali], il cui corso
rovesciato si è diretto verso le passioni»149• San Gregorio di Nissa al-
trove parla anche dell'uomo che, «rubando l'amore dovuto a Dio so-
' 43 <<Né l'amore né la gioia possono essere suscitati dai beni di questo mondo, i quali non so-
no altro che contraffazioni, ciò che sembra buono è solo iJn simulacro del bene>>, scrive Nicola
Cabasilas (La vita in Cristo, II, 91). -
' 44 In particolare la si troverà in GREGORIO DI NISSA (Sulla verginità, V; VI, 2; IX, l; XI, 3;
XVIII, 3) e in MAsSIMO IL CONFESSORE (Centurie sulla carità, m, 71; Questioni a Talassio, 49;
Commento del Padre nostro, PG 90, 896C).
145 Ambigua, 10, PG 91, 1144B.
' 46 Omelie sul Cantico dei Cantici, II, 1. Vedi anche Omelie sulla Genesi, I, 17.
147 Asceticon, Il, 5.
148 Ormé, che possiamo anche tradurre con <<impulso» o «desiderio».
69
lo, lo sperpera in passioni umane»150. Egli scrive ancora: «Superando
come bassi ed effimeri tutti gli oggetti che attirano i desideri degli uo-
mini, che sono ritenuti belli e dunque ritenuti degni di zelo e di fa-
vore, non dobbiamo sperperare in alcuno di essi la nostra potenza di
desiderio»151 .
Una caratteristica essenziale della facoltà di desiderio, che testimo-
nia che il desiderio dell'uomo è fondamentalmente unico, è quella che
saprà dividersi tra Dio e la realtà sensibile. «Uno stesso cuore, scrive
san Giovanni Crisostomo, non può bastare a più passioni. Una pas-
sione scaccia l'altra, ed essendo divisa, diviene più debole: la passione
dominante attrae tutto a sé»152 . A sua volta, Isacco il Siro annota: <<Nes-
suno può possedere insieme l'amore di Dio e il desiderio del mon-
do»153. <<La nostra potenza di desiderio, afferma più precisamente san
Gregorio di Nissa, nòn è di tale natura che possa nello stesso tempo
servire le voluttà corporee e il matrimonio spirituale»154• «I:occhio, in-
fatti, egli spiega, non ha la capacità di vedere simultaneamente due co-
se, a meno di applicarsi di volta in volta e separatamente a ciascuno
degli oggetti visibili; neanche la lingua potrà essere al servizio di idio-
mi diversi, pronunciando nello stesso tempo parole ebraiche e paro-
le greche; l'udito non ascolterà simultaneainente un racconto di avve-
nimenti e un insegnamento didattico»155 • È opportuno qui ricordare
l'insegnamento di san Paolo stesso: «La carne infatti ha desideri con-
tro lo Spirito, lo Spirito a sua volta contro la carne, poiché questi
due elementi sono contrapposti vicendevolmente, cosicché voi non fa-
te ciò che vorreste>> (Gal 5,17). Possiamo così applicare a questo con-
testo la parola del Cristo: <<Nessuno può servire a due padroni; poiché
od odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e tra-
scurerà l'altro» (Mt 6,24; Le 16,13).
Così, nell'investire il suo desiderio in un campo, l'uomo per questo
fatto stesso lo allontana automaticamente dall'altro. <<La cura dell'uno
trascina necessariamente la separazione dall'altro», constata san Gre-
gorio di Nissa156. Perciò, piùl'uomo desidera e ama gli oggetti sensi-
bili, meno desidera e ama Dio. «Da cosa deriva che il nostro amore
150 Ibid., 2.
151 Ibid., XI, 3.
m Commento a san Giovanni, II, 5.
153 Discorsi ascetici, 4. Cfr. 44.
154 Sulla verginità, XX, 3.
"' Ibid 2
156 Ibzi' .
70
per Gesù Cristo è così debole, si chiede san Giovanni Crisostomo, se
non dal fatto che noi esauriamo tutta la forza della nostra anima in va-
ne passioni?»15:. Colui che non desidera affatto Dio, necessariamente
desidera gli esseri sensibili e ama il mondo 158 : «Colui che non sa cam-
minare sulla via spirituale [...] concentra tutti i suoi sforzi sulla carne»,
osserva san Massimo 159 • E san Gregorio Palamas constata che l'uomo
che non ama Dio con tutta la sua anima e con tutto il suo cuore «vol-
teggia attraverso questo mondo ed esaurisce in favore di questo tutto
o quasi tutto l'amore di cui la sua anima~ capace»160 • Al contrario, co-
lui che desidera e ama Dio veramente non saprà desiderare nessun og-
getto sensibile né provare desideri passionali, perché egli investe in
Dio e nelle realtà spirituali tutta la potenza del suo desiderio. «Cam-
minate sotto l'influsso dello Spirito e allora, non eseguirete le bramo-
sie della carne» insegna l'apostolo san Paolo (Gal 5,16), e san Diado-
co di Foticea domanda: «In colui che si nutre dell'amore divino,
quale desiderio dei beni di questo mondo rimarrà?»161 • «In coloro che
hanno elevato il loro spirito verso Dio ed esaltato la loro anima attra-
verso la passione di Dio, [la carne] non possiede più desideri contra-
ri allo spirito», afferma nello stesso senso san Gregorio Palamas 162 • San
Simeone il Nuovo Teologo, da parte sua, scrive: «L'anima unita a
Dio per mezzo dell'amore non potrà essere trascinata dai piaceri e da-
gli appetiti del corpo, né verso alcun altro desiderio per alcunché di
visibile e anche d'invisibile, sia oggetto, sia passione, perché il dolce
amore di Dio tiene legato lo slancio del suo cuore, o per meglio dire,
ogni inclinazione della sua volontà. E questa, una volta unita al suo
Creatore, come dunque può essa bruciare di febbre per le cose del cor-
po o realizzare, per poco che sia, i propri desideri? In nessun modo» 163 •
71
che dunque, se egli ritira il suo desiderio dall'oggetto sul quale era por-
tato fino ad allora, prova immediatamente il bisogno di dargliene un
altra1 64• San Niceta Stetatos spiega: «Poiché l'anima p~r natura è mo-
bile, è soggetta al cambiamento; se trascura l'assiduità alle cose divi-
ne, essa cade allora nelle preoccupazioni te:rrene» 165 • È lo stesso ar-
gomento che utilizza sant'Atanasio quando descrive la caduta origi-
nale dell'uomo: <<L'anima, egli scrive, è mobile per sua natura, e anche
se essa è distolta dal bene, non smette di essere in movimento. Essa,
dunque, si muove ma non più verso la virtù né per vedere Dio: vol-
gendo il suo pensiero a ciò che non è, trasforma la potenza che è in es-
sa e se ne serve per volgersi verso i desideri che ha immagillato, poi-
ché essa è stata creata indipendente. Può essere incline verso il bene,
ma pure si allontana dal bene, e, allontanandosi dal bene, pensa a
cose del tutto opposte, perché essa non può assolutamente smettere
di essere in movimento, essendo per natura, come ho appena detto,
molto mobile»166 •
164 Cfr. 0RIGENE, Omelie sui Numeri, XX, 2. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, VI, 2.
165 J;anima 48 Cfr 41
i
166 Contro pagani,"4 . .
167 Lettere, 366.
168 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, XVITI, 2; 3.
169 Ibid., 3.
72
non lo dirige più conformemente verso la sua natura170 , agisce contro
natura. Nell'affidare alla sensibilità la sua potenza naturale di deside-
rio, l'uomo «si trovò orientato, contrariamente alla sua natura, verso
il sensibile per mezzo del piacere che agiva in lui», spiega san Massi-
mo171. E san Niceta Stetatos scrive: «Se egli desidera i doni di Dio sta-
bili che rimangono per sempre, [. .. ] allora l'uomo è mosso secondo
natura>>; «se egli nutre desideri portati verso la materia, volti verso il
fugace, senza durata [... ],allora egli è mosso contro natura e non ra-
ziÒnalmente»172. Non razionalmente, cioè contrariamente alla ragione
(l6gos) che in ultima analisi è, secondo la prospettiva patristica, confor-
mità al Logos, al Verbo. In altri termini, distogliendo il suo desiderio
dal Cristo, l'uomo sragiona, si comporta in maniera insensata, folle173 .
È per questo che san Massimo, a proposito del desiderio dell'uomo
distolto dal suo scopo divino, parla dello «slancio contro natura che
getta nel sensibile lo spirito in follia» 174 .
Il desiderio rivoltato fa vivere l'uomo in un mondo a rovescio, in
cui i valori sono capovolti, in cui le cose hanno perso il loro ordine au-
tentico e le vere proporzioni: <<infatti, esso rende gli esseri che sono
grazie alla Causa e Natura unica, la sola desiderabile[ ... ], più deside-
rabile di questa», e <<per questo rende la carne più apprezzabile dello
spirito, e il godimento di ciò che è visibile più gradevole della gloria e
del fulgore dell'intelligenza.>>175; l'uomo teme e respinge le cose desi-
derabili, mentre consacra ogni sua cura alle cose indesiderabili176, con-
stata san Massimo. L'uomo decaduto si mette così a vivere in pieno
delirio.
Tanto più che, nel perdere il senso del vero Dio, egli giunge, nel
nuovo orientamento del suo desiderio e nella scoperta di nuovi godi-
menti, ad assolutizzare i desideri e i piaceri sensibili, e attraverso essi
i loro oggetti, che egli pone così al posto di Dio, come spiega san Mas-
simo: «Abbandonato alle sole emozioni dei sensi sull'esempio delle
bestie prive d'intelligenza, l'uomo allontanato dalla bellezza spiritua-
le e divina, trova attraverso l'esperienza della parte esteriore e corpo-
110 Ibid.
m Questioni a Talassio, 61.
172 !:anima, 33; 34.
173 Ecco perché Giovanni Crisostomo potrà dire: «Noi che abbiamo affidato i nostri cuori
non ali' amore insensato, ma al più nobile, al più elevato degli amori» (Sulla compunzione, I, 2).
174 Questioni a Talassio, 61.
73
rea della sua natura, una creazione che egli eleva al posto di Dio,
perché essa risponde meglio ai bisogni del suo corpo» 177 • L'uomo al-
lora si fa delle realtà sensibili una moltitudine di falsi dèi, di idoli, che
sono della stessa natura dei suoi desideri perversi e a loro misura.
In queste relazioni con le creature, l'uomo non ha più come scopo
Dio, ma il proprio piacere, e non ha altra norma se non i propri desi-
deri sensibili. Egli non considera né tratta più gli esseri relativamente
al loro l6goi, alle loro «ragioni spirituali>>, ma relativamente al grado
del suo desiderio nei loro riguardi, ed è dall'intensità del piacere che
può trarre da essi che definisce la loro importanza e misura il loro
valore. Il mondo diviene, così, per l'uomo una proiezione fantasma-
tica dei suoi desideri, le creature mezzi per soddisfare le sue passio-
ni, strumenti del godimento sensibile. Le relazioni dell'uomo con tut-
ti gli esseri della creazione e con gli stessi suoi simili vengono così a
trovarsi degenerate, poiché questi, perdendo ai suoi occhi il loro va-
lore spirituale, si vedono ridotti a oggetti di godimento dati in pasto
alle sue molteplici passioni. I rapporti tra gli esseri umani divengono
in fondo rapporti da oggetto a oggetto, affidati ai capricci dei desi-
deri e dei piaceri sensibili.
Mosso dal suo desiderio pervertito, l'uomo s'inganna costantemente
nella definizione e. nella ricerca del suo bene, e del bene in generale.
Desiderando Dio, l'uomo desiderava il vero Bene, e giudicava tutto
esclusivamente in funzione di lui. Non conoscendo e non desideran-
do che Dio, egli rigettava il male. A causa del peccato, egli gusta il frut-
to dell'albero della conoscenza del bene e del male: per il suo desi-
derio del godimento sensibile, egli lascia il Bene assoluto e unico per
fare l'esperienza del male e inaugurare un modo di esistenza in cui il
bene e il male per lui arrivano a confondersi. Egli «accumula in sé,
scrive san Massimo, una conoscenza confusa del bene e del male, pro-
dotta per esperienza esclusiva dei sensi.>>178 • Il male, nella coscienza del-
l'uomo decaduto, non è più considerato come tale, ma è spesso scam-
biato per il bene. Nello stato di caduta, è il piacere che diviene il cri-
terio del bene: la conoscenza del bene e del male, che gli uomini
acquistano con il loro peccato, non indica più la vera conoscenza né
il discernimento che essi avevano quando conoscevano il vero Bene
e rifiutavano il male, ma piuttosto, come fa notare san Gregorio di Nis-
sa, <<UD.a disposizione interiore di fronte a ciò che a [loro] è gradevo-
177 Ibid.
178 Ibid.
74
le»179 • L'uomo può così indicare e ricercare come bene ciò che gli è
gradito per la sola ragione che questo gli è gradito, anche quando que-
sto gli è obiettivamente nocivo, e fuggire come male ciò che gli è obiet-
tivamente un bene per la sola ragione che ciò gli causa, sul piano
della sensibilità, un disappunto. Bene e male sono così definiti sog-
gettivamente a partire dal desiderio sensibile e in funzione del piace-
re ricercato, e l'uomo opera continuamente una confusione tra ciò che
gli appare, relativamente al suo desiderio decaduto, essere il bene, e il
bene reale e vero. A questo proposito così scrive san Gregorio Pala-
mas: «l__;uomo, afferrato e condotto dai desideri cattivi, tende verso ciò
che gli sembra bello e manifesta con le sue azioni che ignora ciò che è
il vero Bello; l'uomo posseduto da una collera mal posta lotta per ciò
che gli sembra essere il Bene; ogni uomo, senza eccezione di alcuno,
se è attaccato a una cattiva vita, si vota a ciò che gli appare come Mi-
gliore, e non a ciò che lo è realmente>>180 • L'espressione usata dalla Scrit-
tura di «conoscenza del bene e del male» per indicare l' atteggiamen-
to nuovo che l'uomo acquista con il suo peccato non significa altro,
secondo san Gregorio di Nissa, che questa confusione del falso be-
ne, verso il quale si volge il desiderio sensibile, con il vero bene: «Da-
to che, dunque, la maggior parte delle persone, egli scrive, pone il be-
ne in ciò che affascina i sensi e che una stessa parola indica il bene rea-
le e il bene apparente, il desiderio, che va verso il male come se fosse
un bene, è chiamato dalla Scrittura la "conoscenza del bene e del ma-
le", volendo dire con ·questo termine "conoscenza" tale disposizione
interiore e tale mescolanza» 181 •
Questo stato in cui l'uomo confonde il male con il bene, e scam-
bia l'uno per l'altro, può essere considerato come un vero stato di de-
lirio, cosa che nota a suo modo sant'Atanasio: «Vedendo che il pia-
cere era un bene per lei, l'anima nel suo errore, abusò del nome del
bene, e pensò che il piacere era il bene assoluto e vero: proprio come
un uomo che, colpito da demenza, reclama una spada per colpire quel-
li che incontra e crede che questo sia saggezza» 182 • San Gregorio di
Nissa afferma frequentemente che l'uomo a questo punto è vittima di
una illusione183 • Le cose che per noi sono l'occasione del male «all'i-
183 Gregorio di Nissa impiega varie volte il termine apdte nelle sue Omelie sull'Ecclesiaste. Nel
trattatato Sulla verginità (XIIl, 1), egli parla delle «illusioni del gusto e della vista>>.
75
nizio sembrano desiderabili e sono cercate come un bene a causa di
un inganno», egli scrive184 • Il «male, nelle sue profondità, tiene la mor-
te come una trappola nascosta, ma ricorrendo all'inganno fa appari-
re tin'immagine di bene», aggiunge ancora il santo autore 185 • Di que-
sta illusione, egli spiega, il diavolo è l'ispiratore: «Accadde che l'intel-
ligenza, indotta in errore nel suo desiderio del vero bene, fosse sviata
verso ciò che non è; ingannata dal promotore e consigliere del vizio,
essa si lasciò persuadere che il bene era tutto l'opposto del bene>>186 • Il
Maligno si presenta come un incantatore che strega letteralmente l'uo-
mo consenziente, <<facendo brillare la grazia esteriore delle apparenze
e, come un ciarlatano, affascina il nostro gusto per qualche piacere dei
sensi>>187 •
L'uom~, sotto il dominio di questa illusione, si pone in un mondo
di apparenze, non vedendo e non considerando che la realtà sensibi-
le come la sola che gli indica il suo desiderio decaduto, e crede che
non esista il bene al di fuori di questa. <<L'anima, scrive sant'Atanasio,
pone il suo piacere nelle passioni del corpo e nei soli beni presenti;
guardando le loro apparenze, crede che non esista altro se non quel-
lo che si vede, e che solo le cose passeggere e corporee siano il bene>>188 •
Questa riduzione della realtà a una parte di se stessa, e la visione fal-
sata che ne risulta, appare anche come uno stato delirante introdotto
dal decadimento del desiderio, tanto più che l'uomo, nel desiderare
gli esseri secondo la loro apparenza sensibile e al di fuori di Dio, e nel
pretendere di goderne in loro stessi, desidera e gode di un fantasma,
si attacca a qualcosa che non ha un'esistenza reale, come abbiamo già
dimostrato.
76
causa della loro corruzione»191 . I.:uomo decaduto, con i suoi desideri
contro natura, si autodistrugge. «Gli uomini, come dei selvaggi, divo-
rano la loro stessa natura», constata san Massima1 92 . Per il piacere sen-
sibile, l'uomo avvelena se stesso, nota altrove 193 . <<L'anima è strozzata
dal fuoco dei piaceri del corpo», afferma da parte sua san Marco l'E-
remita194.
Quanto a san Gregorio di Nissa, egli afferma che <<l'impulso che
trascina verso il male gli esseri viventi è una malattia della nostra na-
tura>>195. Infatti, allontanando il suo desiderio da Dio ·e abbandonan-
dosi ai desideri sensibili, l'uomo non perverte e rende malata solo la
stessa potenza di desiderio, ma introduce il turbamento in tutto il suo
essere, in particolare facendo funzionare tutte le sue facoltà a rovescio,
in modo disordinato, sregolato. Dedicando tutte le sue cure alle cose
indesiderabili, l'uomo, sottolinea san Massimo, «altera le facoltà del
suo animo, che segue le cose deperibili senza discernimento e senza
avere coscienza della sua perdizione in seguito al totale accecamento
nei riguardi della verità>> 196.
Uno dei turbamenti più notevoli che l'uomo deve subire è la con-
fusione delle sue facoltà. San Massimo pensa così che il vitello d'oro,
che simboleggia la realtà sensibile eretta a idolo, rappresenta nello stes-
so tempo <<la mescolanza e la confusione delle facoltà naturali tra lo-
ro»; o piuttosto, egli dice, «è una congiunzione passionale e stolta, che
determina lo stolto scompiglio delle passioni contro natura>> 197 .
Gli effetti del capovolgimento del desiderio si fanno sentire in-
nanzitutto sull'intelligenza. Abbiamo esaminato la sua patologia nel
capitolo precedente. Notiamo qui solo che, accecata dal piacere 198 , e
ingannata da esso 199 , l'intelligenza non esercita più la sua funzione na-
turale di conoscenza, di contemplazione e di discernimento200 , nem-
meno quella, che gli è ugualmente naturale, di governo della potenza
di desiderio; al contrario, lasciandosi catturare da questa201 , essa si po-
78
Foticea, si ricorda subito del male, perché in seguito alla disobbedienza
di Adamo, il suo ricordo è scisso come in un doppio pensiero»207 •
In maniera generale, l'uomo, preso dai desideri e dai piaceri sensi-
bili, vi si aliena completamente. «Coloro che si abbandonano ai pia-
ceri sensibili e corruttibili esauriscono tutto il desiderio della loro ani-
ma nella carne e divengono così interamente carne», scrive san Gre-
gorio Palamas208 • Perciò, essi ne subiscono i limiti e le vicissitudini. «La
potenza del peccato [. ..], attraverso il piacere, trascina realmente l' a-
nima verso la miseria della carne così vicina>>, nota san Massimo209 •
Dall'assoggettamento alla carne per mezzo del piacere nell'uomo so-
praggiungono la corruzione e la morte210 • «Ingannati all'inizio dall'il-
lusione del piacere noi abbiamo preferito la morte alla vita>>; <<il pia-
cere è la madre della morte», dice ancora san Massima2 11 •
Da spirituale che egli era nella sua natura originale, l'uomo, per la
perversione del suo desiderio, -fa di se stesso un essere psichico, car-
nale, e perdendo la caratteristica della sua natura essenziale212 ,'si ren-
de simile agli animali213 ; <<l'istinto brutale e irrazionale, spingendoli al-
l'impurità, rende gli uomini dimentichi della natura umana>>214 ; <<l' a-
nima si china verso i piaceri del corpo come le bestie sul loro foraggio>>2 15•
79
decisamente, ha come conseguenza il dolore», osserva san Massima2 18•
Non è solo del dolore fisico che l'uomo fa esperienza, ma anche e
soprattutto di una sofferenza psichica e morale che prende la forma
della tristezza. «La tristezza (lypi) dell'anima è la fine del piacere dei
sensi, perché la tristezza dell'anima è suscitata dal piacere», nota lo
scoliaste delle Questioni a Talassio219 • Nel volgere allo stesso tempo la
sua facoltà di desiderio e _l'intelligenza verso il sensibile e nell'inve-
stirvela, l'uomo dà a questa un oggetto che non corrisponde più alla
sua finalità e non è più proporzionato alla sua natura. «L'intelligen-
za, scrive san Massimo, agisce contrariamente alla sua natura quando
si attacca al superficiale, cioè al sensibile e al corporeo; d'allora in
poi essa diviene generatrice di tristezza dell'anima, fustigata e senza
tregua dalla sferza della coscienza»220 •
Ma questa tristezza proviene altresì dal fatto che l'oggetto del desi-
derio e il piacere ottenuti sono completamente sproporzionati alla na-
tura della facoltà di desiderio e al suo godimento al quale essa è de-
stinata. Abbiamo visto che il desiderio dell'uomo è stato creato in vista
di Dio. <<La nostra capacità di desiderio è stata adattata e proporzionata
all'immensità di questo oggetto dei nostri desideri», precisa san Ni-
cola Cabasilas221 • Dio, egli scrive, «ha adattato se stesso e la nostra ani-
ma, e la nostra potenza di desiderio, e tutto il nostro essere»=; «è in
funzione del Cristo che è stato creato il cuore umano, come un im-
menso scrigno, vasto assai per contenere Dio stesso»m. Allo stesso mo-
do, lo abbiamo visto, l'uomo aveva per natura una capacità di gode-
re proporzionata ai beni divini che gli erano stati promessi. Avendo al-
lontanato da Dio la sua potenza di desiderio per orientarla verso gli
oggetti sensibili, egli non offre più a questa che oggetti finiti, parzia-
li, limitati, relativi. Continuando, tuttavia, a desiderare l'infinito e l' as-
soluto, perché a motivo della caduta la sua facoltà di desiderio non ha
cambiato natura ma solo orientamento e testa proporzionata al suo
oggetto divino originario e normale, l'uomo inevitabilmente è votato
all'insoddisfazione. Nessuna realtà di questo mondo, necessariamen-
te finita, è in grado di rispondere al desiderio infinito di infinito che è
in lui. <<La nostra capacità di desiderio [.. .],noi constatiamo che nel-
80
la natura nulla la colma, ma tutto è insufficiente rispetto ad essa>>, ri-
leva san Nicola Cabasilas224 • Al desiderio infinito di godimento che esi-
ste nell'uomo come appartenente alla sua stessa natura, non corri-
spondono più che piaceri limitati e caduchi, piaceri che appena con-
sumati lasciano in lui un vuoto doloroso. «Nulla quaggiù ci sazia, nulla
appaga i nostri desideri, siamo sempre assetati, come se non raggiun-
gessimo mai l'oggetto delle nostre aspirazioni. Poiché l'anima umana
ha sete d'infinito, come potrà bastarle il mondo che passa? Ciò è quan-
to il Salvatore fa intendere alla Samaritana: "Colui che beve di que-
st'acqua, avrà ancora sete" (Gv 4,13)»225 .
Deluso dopo la soddisfazione di ogni suo de~;iderio sensibile, con-
tinuando a risentire nel più profondo di se stesso una mancanza, una
inadeguatezza tra la realtà raggiunta e le sue aspirazioni fondamenta-
li (che egli risente senza tuttavia conoscerne il senso vero), corre da un
oggetto ali' altro, esaurisce una dopo l'altra le diverse sfere di questo
mondo, senza mai trovare un termine definitivo alla sua ricerca. «Qua-
li che siano i beni di cui siamo favoriti, constata san Nicola Cabasi-
las, quand'anche si possedessero tutti i beni di questo mondo, si por-
ta lo sguardo più lontano, e, attraverso i beni presenti, s'inseguono i
beni assenti; in breve, nulla appaga il nostro desiderio, nulla placa la
nostra sete di gioia, nulla sazia pienamente la nostra capacità di gioi-
re»226. L'uomo decaduto vive, così, in uno stato di frustrazione per-
manente, di insoddisfazione ontologica perpetua. Anche se la soddi-
sfazione di qualche desiderio gli dà di tanto in tanto, per un istante,
l'illusione di aver trovato quello che cercava, l'oggetto di desiderio,
che egli per un momento aveva scambiato per un assoluto, finisce per
rivelarglisi nei suoi limiti e nel suo carattere relativo; e si scopre tutto
il vuoto che lo separa dall'assoluto vero. Allora si fa più intensa nel suo
cuore la tristezza, espressione della sua inquietudine dinanzi a que-
sto vuoto che egli awerte, manifestazione della frustrazione profonda
che egli prova. Egli crede di poter porre rimedio a questa frustrazio-
ne attraverso la stessa frustrazione che, per la verità, ne è la causa:
invece di riconoscere che questo vuoto che egli awerte dentro è quel-
lo dell'assenza di Dio in lui, e che di conseguenza solo Dio è capace
di colmare (cfr. Gv 4,14), egli vuole vedervi un richiamo al possesso
e al godimento di nuovi oggetti sensibili che, egli crede sempre, po-
81
tranno soddisfarlo. Per evitare il dolore che segue ogni piacere e per
mettere fine alla frustrazione profonda del suo desiderio d'infinito go-
dimento, l'uomo decaduto persevera incessantemente, nella sua corsa
sfrenata dei desideri, alla ricerca di nuovi piaceri, colleziona e mole
tiplica i piaceri per tentare di ricostituire la totalità, la continuità e I'as-
solutezza di cui egli conserva la nostalgia, credendo, nella sua illusio-
ne, di trovare l'ìnfinito nell'indefinito. Ricordando la relazione tra il
dolore e il piacere nella sensibilità dell'uomo decaduto, san Massimo
scrive: <<Poiché il piacere scompare con i mezzi che lo producono e
poiché all'esperienza del piacere segue sempre la sofferenza, l'uomo
andava tanto più vioientemente verso il piacere quanto più tentava
di evitare la sofferenza. Con questa tattica pensava di poter separare
l'uno dall'altro e conservare per sé solo il piacere, legato all'amore di
sé (philautia), e totalmente liberato dal dolore. Ma, sotto l'effetto
della passione, ignorava che è naturalmente impossibile che il piacere
vada mai senza il dolore. Difatti la pena che genera il dolore è stata
mescolata al piacere, anche se quelli che lo provano sembrano di-
menticarlo, dal momento che, sotto l'effetto della passione, prevale il
piacere»227 • Sforzandosi di evitare il dolore attraverso la ripetizione e
la moltiplicazione dei piaceri, osserva san Massimo, l'uomo al con-
trario accresce solo la sua sofferenza: «In un certo modo, infatti, noi
aumentiamo, la pena che, secondo la natura, ci vota al dolore, nello
sforzarci di lenire questo dolore con il piacere. Volendo sfuggire alla
sensazione del dolore, fuggiamo verso il piacere, quando cerchiamo
di alleviare la natura oppressa dalla violenza del dolore. Ma, nello sfor-
zarci di attutire attraverso il piacere i movimenti del dolore, confer~
miamo inoltre l'appoggio che questi movimenti hanno dato al piace-
re, incapaci come siamo di avere in noi il piacere libero dal dolore e
dalle pene»228 •
Detto altrimenti e paradossalmente, l'uomo partito alla ricerca del
piacere non trova sempre, alla fine, che il dolore sotto tutte le forme.
San Massimo sottolinea più volte che l'uomo, nella sua ricerca di go-
dimento, inevitabilmente fallisce nel suo scopo, e ciò fino al punto
da non poter nemmeno godere, come avrebbe voluto, della sensazio-
ne stessa229 • Il tentativo dell'uomo di trovare la felicità al di fuori di
Dio fin dall'inizio era destinato all'insuccesso, necessariamente, per-
82
ché esso corrisponde in realtà a una impossibilità, come sottolinea san
Massimo: «Il tentativo di possedere indipendentemente da Dio, di pre-
ferire a Dio, non secondo la volontà di Dio, i doni di Dio, era una
cosa impossibile»230 •
Ci si può domandare, perciò, come Adamo, e coloro che lo hanno
imitato, abbiano potuto scambiare la beatitudine divina, alla quale la
loro natura stessa li destinava, per i piaceri incommensurabilmente in-
feriori che essi potevano trarre dalla realtà sensibile, con tutte le con-
seguenze negative che questo comportava. Dopo aver messo a con-
fronto i beni sensibili e i beni spirituali, san Giovanni Crisostomo non
può non vedere che una manifestazione di follia nell'atteggiamento
che consiste nel preferire i primi ai secondi: «Il piacere, egli scrive, non
è che un godimento effimero. Sì, il piacere si dilegua rapidamente, e
noi non potremmo fissarlo neanche per un istante. Difatti talè è il
destino delle cose umane e sensibili. Appena le possediamo esse ci
sfuggono[ ... ]. Non ci offrono nulla di solido né di sicuro; nulla di sta-
bile e di permanente. Esse scorrono via più rapidamente dell'acqua
dei fiumi e lasciano vuoti e indigenti tutti coloro che le ricercano con
forte zelo. Al contrario, i beni spirituali ci presentano uri carattere del
tutto diverso. Essi sono solidi, sicuri, costanti ed eterni. [Non è] dun-
que una strana follia scambiare un godimento passeggero con beni im-
mutabili, piaceri momentanei con una felicità immortale, e voluttà fri-
vole e pàsseggere con una felicità vera ed etema?»231 •
3. Patologia dell'aggressività
230 Ibid.
231 Omelie sulla Genesi, I, 4.
83
di lottare contro il male, più precisamente di respingere gli attacchi
dei demoni, di combattere le tentazioni, di rifiutare e di distruggere i
cattivi pensieri che i suoi nemici spirituali gli suggeriscono232 • Adamo
ed Eva, nel paradiso, furono tentati dal diavolo. Essi si servirono di
questa facoltà per custodire il comando che Dio aveva loro dato, in al-
tri termini, per mantenersi sulla via sulla quale Dio li aveva posti nel
crearli, per rimanere uniti a Dio e crescere in lui spiritualmente. Per
mezzo di questa facoltà, che Dio aveva posto nella loro anima, essi po-
tevano opporsi alla tentazione, respingere le suggestioni del Maligno
ed evitare così di cadere nel male. «È come un'arma, dice san Diado-
co di Foticea, che il Creatore ha dato alla nostra natura la collera mi-
tigata»233. Se Eva se ne fosse servita contro il Serpente, non sarebbe
stata dominata dal piacere passionale234 . Anche sant'Esichio di Batos
nota che questa facoltà «ci è stata data da Dio come un'armatura e co-
me un arco»235 , ed egli parla della messa in opera «in maniera giusta,
secondo la natura [dell']elemento irascibile contro [. .. ] Satana, il
Serpente>>236• San Gregorio di Nissa scrive più precisamente: <<ln quan-
to all'aggressività (thym6s), alla collera (orgé), all'odio (mfsos), occor-
re che queste potenze veglino alla porta come cani da guardia con il
solo scopo di resistere al peccato, che esse usino la loro forza natura-
le contro il ladro, contro il nemico che s'intrufola all'interno perché si
perda il tesoro divino e viene al fine di rubare, uccidere e distrugge-
re»237. San Niceta Stetatos nota allo stesso modo: «Se il desiderio e la
ragione tendono secondo la natura verso il divino, la collera è per es-
se un'arma di giustizia contro il serpente che mormora solo nella co-
scienza e le suggerisce di prendere la sua parte dei piaceri della car-
ne>/38. <<La natura della potenza irascibile dell'anima (thym_6s)», pre-
cisa lo stesso Evagrio, «è quella di combattere i demoni>>239 ; <<l'uso che
dobbiamo fare della parte irascibile è quello di: combattere il Serpente
con odio»240 . <<L'aggressività (thym6s) buona è una facoltà dell'anima
idonea a distruggere i cattivi pensieri>>, nota altrove241 •
232 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Pensieri, 17. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 62. Esr-
84
Per mezzo di questa facoltà usata conformemente alla sua natura
originale, l'uomo spirituale, allontanando tutti gli ostacoli, si può man-
tenere, senza deviare, sulla via dell'unione con Dio. L'anima, scrive san
·Massimo, «si serve della potenza irascibile per difendere con amore
loggetto delle sue ricerche»·242 ; di qui il consiglio: «La nostra ragione
si metta in movimento per cercare Dio e [.. .] la potenza dell' aggres-
sività lotti per conservarla>>243 •
Grazie all'azione della potenza irascibile, l'uomo può, in modo par-
ticolare, conservare il suo desiderio sempre teso verso Dio, impeden-
dogli di volgersi verso le realtà sensibili in cui la tentazione cerca di
trascinarlo. A questo proposito così scrive san Macario: «Quando si
sollevano le passioni, le persone sensate non le ascoltano, ma si irri-
tano contro i cattivi desideri e dichiarano loro guerra>>244 • Questo at-
teggiamento è nell'uomo spirituale una disposizione necessaria e abi-
tuale, constata san Diadoco di F oticea245 , il quale afferma che la col-
lera per questa ragione, in quest'uso normale che corrisponde alla sua
natura, rende il servizio più grande all' anima246• L'insegnamento di san
Giovanni Cassiano è in questa stessa linea247 •
Grazie alla lotta che l'uomo spirituale conduce con l'aiuto della sua
potenza· irascibile, o aggressiva, egli può conservarsi puro spiritual-
mente: «Vi è nello spirito la collera conforme alla natura, scrive Abba
Isaia, e, senza collera, non vi sarebbe nessuna purezza nell'uomo se
egli non si irritasse contro tutto ciò che il nemico semina in lui>>248 •
La potenza irascibile risulta particolarmente utile nella preghiera,
quando, per giungere a una contemplazione pura, l'uomo deve re-
spingere tutti i pensieri che cercano di allontanarlo da Dio. A questo
proposito così scrive Evagrio: «Quando sei tentato, non pregare pri-
ma di aver rivolto con collera qualche parola a colui che ti opprime.
Se tu dici qualcosa con collera ai pensieri, tu confondi e fai scompa-
rire le rappresentazioni suggerite dagli avversari>>249 •
Con la sua aggressività ben utilizzata, l'uomo, resistendo da ogni
parte alla prova della tentazione, rivela la misura e il vero valore del
suo attaccamento a Dio. «Vi è nello spirito l'odio conforme alla na-
85
tura, e senza odio per l'inimicizia, l'onore non si rivela ali' anima>>, scri-
ve Abba Isaia250 •
86
de la forma di una collera virtuosa, saggia e santa, quella di cui il sal-
mista raccomanda di fare uso quando dice: «Montate in collera, ma
non peccate» (Sal 4,5). Quando l'uomo usa così questa facoltà, confor-
memente alla natura e alla finalità normale di questa, egli è sensato259
e «cammina rettamente»260 •
A motivo del peccato, tuttavia, l'uomo perverte questa facoltà, di-
stogliendola da quest'uso normale e buono per fame un uso contro
natura261 e irrazionale262 • È così che questa facoltà si ammala: <<La fa-
coltà aggressiva (thym6s) impura è una potenza dell'anima malata>>,
scrive Evagria263 •
Invece di combattere per ottenere e conservare i beni spirituali, es-
sa lotta in realtà ormai solo per ottenere e conservare i pseudo-beni
sensibili verso i quali l'uomo ha rivolto la sua intelligenza e ai quali egli
ha fissato il suo desiderio264 • Essa si pone completamente al servizio
dei desideri sensibili che animano l'uomo decaduta2 65 , e si dedica al-
la ricerca e alla conservazione del piacere che vi si ricollega. I Padri
spesso alludono alla realizzazione fondamentale che esiste tra l' ag-
gressività e il piacere. San Doroteo di Gaza, per esempio, afferma che
la collera ha come causa «particolarmente l'amore del piacere
(philedonfa)»266 • Nell'uomo decaduto, l'aggressività conserva la sua
funzione di lotta per il piacere poiché, come dice Evagrio, la sua na-
tura «è quella di lottare in vista del piacere, qualùnque esso sia>>, ma
l'uomo si era allontanato dai beni divini ed essendosi così privato del
godimento spirituale, allora è il piacere sensibile, carnale, che essa si
attiva a raggiungere e a salvaguardare.
Abbiamo visto che l'esperienza del piacere sensibile è seguita ine-
vitabilmente da quella del dolore fisico, ma anche e soprattutto psi-
cologico e morale. È così che nell'uomo decaduto la potenza irasci-
.bile è utilizzata non solo per lottare in vista di ottenere e di preserva-
re il piacere, ma anche per fuggire questo dolore267 , per evitare più
generalmente ogni piacere e ogni sofferenza268 •
87
La realizzazione di questa finalità contro natura implica una seconda
forma di perversione della potenza irascibile. Cessando di usarla per
combattere i demoni e le loro tentazioni poiché ormai egli acconsen-
te alle loro suggestioni e compie la loro volontà, l'uomo la rivolge con-
tro i suoi simili nella misura in cui vede in essi sia degli ostacoli alla
realizzazione dei suoi desideri sensibili e al conseguimento dei piace-
ri ai quali mirano, sia delle cause di sofferenza relativamente all'amo-
re egoista che porta a se stesso. <<Abbiamo preferito le cose materiali
e profane al comandamento dell'amore, e, perché noi vi siamo attac-
cati, lottiamo contro gli uomini, quando dovremmo preferire l'amo-
re per tutti gli uomini a tutte le cose visibili», spiega san Massimo269
che incrimina principalmente la filautia, la quale «per ottenere un po'
di piacere, ci incita gli uni contro gli altri come dei selvaggi>>270 • Quan-
to a Evagrio, egli insiste sul ruolo istigatore giocato dai demoni. A que-
sto proposito, egli scrive, «ci trascinano verso i desideri del mondo e
costringono la parte irascibile a combattere gli uomini andando con-
tro la sua natura>>271 •
I Padri sono unanimi nel sottolineare, inoltre, il carattere contro na-
tura e irrazionale di quest'uso della potenza irascibile che corrispon-
de a una vera perversione di questa facoltà, distolta dalla sua finalità
naturale e normale e rivolta verso uno scopo che le è contrario. È in
questi stessi termini che si esprime Evagrio quando consiglia: «Non
distogliere l'uso che tu fai della potenza irascibile fino a fame un uso
contro natura nell'irritarti contro tuo fratello» 272 • «La natura ha im-
presso in noi i moti della collera perché ce ne servissimo contro il ser-
pente infernale nostro nemico e noi ce ne serviamo contro i nostri fra-
telli>>, constata con amarezza san Giovanni Climaco273 • E Abba Isaia
osserva: «La collera conforme alla natura [...] per noi si è mutata in
collera contro il prossimo per tutti i moventi irrazionali e vani>>274 ; «l' o-·
dio conforme alla natura [.. .] per noi è stato rivolto contro natura; es-
so ci fa odiare e disprezzare il prossimo»275 • Anche sant'Esichio di Ba-
tos parla della «collera diretta contro natura verso gli uomini>>276 • San
Niceta Stetatos, dopo aver fatto notare che <<Se l'uomo arma la sua col-
m A Eulogio, IO.
273 La Scala, XXVI, 141.
274 Asceticon, II, 7.
275 Ibid., 8.
276 Capitoli sulla vigilanza, 136.
88
lera solo contro l'antico serpente allora egli è mosso secondo la sua na-
tura>>zn, afferma anche il carattere anti-naturale del nuovo orienta~
mento che il peccato imprime a questo movimento dell'anima e pro-
clama ugualmente il suo carattere irrazionale: «Se [l'uomo] arma la
sua collera contro i suoi simili [ ... ], allora egli è mosso non razional-
mente (ou logikos), ma egli vive contrariamente alla ragione (awfi5s)»m,
cioè, ancora, in maniera insensata, folle.
Ancora più folle è l'uso della potenza irascibile che l'uomo può
fare contro Dio. Quando questa era stata posta nella sua natura affin-
ché egli potesse lottare contro tutto ciò che cerca di allontanarlo da
Dio, per il peccato egli giunge fino a fame un uso inverso, servendo-
sene contro tutto ciò che può avvicinarlo a Dio, talvolta arrivando a
volgerla contro Dio stesso. Così san Barsanufio fa notare: <<lnvece del-
l'odio secondo Dio, quello che odia il male,. [il diavolo] non ha get-
tato in noi l'odio perverso che odia il bene e Dio stesso?»279•
Possiamo ora notare che lo stesso principio di economia che noi ab-
biamo messo in evidenza a proposito della potenza di desiderio vale
per la potenza aggressiva: vi è nell'uomo una sola facoltà irascibile, su-
scettibile di due usi, più precisamente di due orientamenti contrad-
dittori e incompatibili. È così che san Gregorio di Nissa nota a que-
sto proposito: «La natura umana, in ogni modo, opta tra due dire-
zioni contrarie»280 • Parimenti Evagrio constata che è nella <<natura
dell'elemento irascibile [.. .] lottare in vista del piacere qualunque es-
so sia»281 • Ma, lo abbiamo dimostrato, uno dei suoi orientamenti cor-
risponde alla sua finalità naturale, è normale e costituisce la sua salu-
te, l'altro la distoglie dalla sua finalità normale, la fa agire contro la sua
natura e costituisce la sua malattia.
m 1-:anima, 33.
278 Ibid., 34.
279 Lettere, 97.
280 Omelie sulle beatitudini, II, 3.
281 Trattato pratico sulla vita monastica, 24.
89
natura o secondo natura. Quando il desiderio e la ragione si muovo-
no secondo la natura verso il divino, la potenza aggressiva è in ciascuno
un'arma di giustizia solo contro il Serpente che insinua e propone di
prendere parte ai piaceri della carne e di godere della gloria degli
uomini. Ma quando il desiderio e la ragione si allontanano dal loro
movimento naturale, quando essi snaturano le loro potenze, quando
dalla considerazione delle cose divine essi si portano verso le cose uma-
ne, la potenza aggressiva è un'arma d'ingiustizia che serve iJ_ peccato.
Allora con tale arma il desiderio e la ragione combattono e attaccano
coloro che cercano di rovesciare le loro pulsioni e le loro cupidigie»282 •
282Centurie, I, 16.
ru Cfr. GREGORIO DI N!SSA,La creazione dell'uomo, XVI, PG 44, 184B; Discorso catechetico,
5; 30. BASILlO DI CESAREA, Omelia: Dio non è l'autore del male. GIOVANNI DAMASCENO,-Espo-
sizione esatta della fede orodossa, II, 12; 25. MAsSIMO IL CONFESSORE, Disputa con Pirro,-PG
91, 324D. TALASSIO, Centurie, Il, 16. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coll. II), XV, 23; 25; 40. IRE-
NEO DI LIONE, Contro le eresie, rv, 37, 1; 4.
284 CIRILLO n'ALEsSANDRIA, Glaphyra sulla Genesi, PG 69, 24C. GIOVANNI DAMASCENO, Espo-
90
ma san Gregorio di Nissa, l'uomo è deiforme, perché l'indipendenza
e l'autonomia sono tipiche della beatitudine divina>>287 • <<È per mezzo
della libertà che l'uomo è uguale a Dio (is6theos)», egli arriva a scri-
vere288. Queste ultime affermazioni indicano che è essenzialmente per
mezzo della sua libertà che l'uomo è a immagine di Dio; tali afferma-
zioni non sono in contraddizione con la concezione tradizionale, se-
condo cui è per mezzo del suo spirito che l'uomo è a immagine di Dio:
la libertà è, infatti, una facoltà dello spirito stesso. La volontà (thélesis),
osserva san Massimo, «è volontà dell'anima spirituale»289; il movimento
libero caratterizza la natura della vita della natura spirituale290. E san
Gregorio di Nissa osserva allo stesso modo che «la libertà di scelta
(proairesis), facoltà esente da schiavitù e libera, [è] fondata sull'indi-
pendenza della nostra intelligenza»291 .
Creando l'uomo libero, Dio voleva che il bene acquisito dall'uomo,
che si sarebbe unito a lui per mezzo della realizzazione della somi-
glianza; fosse veramente suo. Dio, insegna san Gregorio Nazianzeno,
«ha onorato l'uomo nel conferirgli la libertà affinché il bene appar-
tenga proprio a colui che lo sceglie, non meno che a colui che pose
le primizie del bene nella sua natura»292 . Ali' obiezione comune che Dio
non avrebbe dovuto creare gli uomini liberi affinché essi non potes-
sero cadere nel male, sant'Ireneo risponde: <<ln una tale ipotesi[. .. ],
la comunione con Dio sarebbe stata senza valore e non vi sarebbe sta-
to nulla di desiderabile nel bene da essi acquisito senza movimento né
preoccupazione né applicazione da parte loro e sarebbe sorto auto-
maticamente e senza sforzo»; nel possedere <<il bene automaticamen-
te e non per libera scelta, [. .. ] essi non avrebbero compreso neanche
l'eccellenza del bene e non avrebbero potuto gioirne»293 . San Macario,
da parte sua, fa notare: «Se tu non gli attribuisci una natura dotata
di libertà, tu rendi l'uomo del tutto indegno di lode. In verità, ciò che
è buono ~d eccellente per natura non è degno di lode[. .. ]. In realtà,
non è degno di lode[ .. .] il bene che non proviene da l,llla libera scel-
ta»294: E san Gregorio di Nissa scrive: «Ciò che è stato creato in tutto
a immagine della divinità doveva possedere nella sua natura una vo-
91
lontà libera e indipendente, affinché la partecipazione ai vantaggi di-
vini fosse la ricompensa della sua virtù>>295 • L'uomo non avrebbe po-
tuto veramente diventare Dio se gli fosse mancata una delle caratte-
ristiche essenziali della natura divina: la libertà, e d'altra parte, non sa-
rebbe realmente virtuoso se le virtù gli fossero state in qualche modo
imposte, se non le avesse acquisite per mezzo della libera apertura del-
la sua volontà alla grazia santificante di Dio. <<Là dove vi è necessità,
nota san Giovanni Damasceno, non potrebbe esserci virtù»296 •
Nel normale stato della sua creazione, la libertà (eleutherfa) consi-
ste per l'uomo nel non essere determinato che da sé, cioè nell'agire se-
condo la sua natura. «La libertà è identità e conformità con la natu-
ra», scrive san Gregorio di Nissa297 • San Massimo afferma, allo stesso
modo, che essa consiste per l'uomo nell'accordare la sua disposizione
del volere personale, o <<Volontà gnomica>> (thélema gni5mik6n), con la
sua volontà naturale (thélema physik6n), la quale tende verso il Bene
e al compimento della natura in Dio, suo principio e fine2 98 • La libertà,
detto altrimenti, consiste per ciascuno nel fare costantemente la scel-
ta del Bene, nell'optare sempre per Dio. .
Abbiamo mostrato come la natura dell'uomo è quella di tendere
verso Dio al fine di divenire dio. È, dunque, nel mantenere tutte le sue
facoltà, conformemente alla loro natura, orientate verso Dio, e nel rea-
lizzare la somiglianza al Logos, che l'uomo può essere veramente se
stesso, agire conformemente alla sua natura, non essere determinato
da nulla di esteriore o di estrarieo a se stesso. Nelle virtù, lo abbiamo
altresì mostrato, sta la vera natura dell'uomo; è attraverso le virtù
che egli compie in sé l'immagine di Dio, realizzando così la somiglianza.
Nel vivere secondo le virtù, l'uomo non solo conduce una vita in cui
egli è se stesso, agisce secondo ciò che egli è, è mosso dalla sua natu-
ra senza essere condotto da nulla di esteriore o di estraneo che s'im-
pone a lui o condiziona il suo volere, ma agisce altresì in conformità
con Dio stesso, partecipa della sua volontà sovrana e della sua libertà
assoluta. L'uomo unito a Dio attraverso la sua virtù, essendo così
deificato, è libero della libertà di Dio: è <<la libertà della gloria dei fi-
gli di Dio» di cui parla san Paolo (Rm 8,21).
San Gregorio di Nissa insegna, così, che in questi ·tre principi che
Discorso catechetico, 5.
295
PG 91, 396C. Ambigua, 10, PG 91, 1116B; Commento del Padre nostro, PG 90, 880A; 905A.
92
s'implicano reciprocamente e significano in fondo la stessa cosa: so-
miglianza a Dio, vita nella virtù e conformità alla propria natura, per
l'uomo risiede la vera libertà. «La libertà, egli scrive, è la somiglianza
con ciò che è senza padrone, con il sovrano, somiglianza che ci è sta-
. ta donata da Dio in origine. Ora, da una parte, poiché la libertà è l'i-
dentità con la propria natura e la conformità con, essa, ne consegue
che tutto ciò che è libero si unisce con il suo simile. Ma, dall'altra par-
te, poiché la virtù è senza padrone, ne segue ugualmente che in essa
risiede la libertà, perché la libertà è senza padrone. Ora, poiché lana-
tura divina è fonte di ogni virtù, in Dio si uniscono coloro che si sono
purificati dal male affinché Dio sia tutto in tutti»299 •
Conformandosi, dunque, ai comandamenti divini che gli indicano
come crescere nelle virtù e come unirsi sempre più strettamente a Dio,
l'uomo può realizzare la sua libertà in tutta la sua perfezione. È per
questo che san Marco l'Eremita chiama i comandamenti «comanda-
menti di libertà>>, «opera di libertà>> o, sulla scia di san Giacomo (Gc
2,12), «legge della libertà>>3°0; ed è per lo stesso motivo che sant'Ago-
stino può scrivere: «Non vi è che una vera libertà: quella dei beati e di
coloro che aderiscono alla legge divina>>301 • Tutto questo segue l'inse-
gnamento del Cristo Gesù: «Se rimanete nella mia parola, [. .. ] cono-
scerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31).
<<La libertà è la volontà di un'anima razionale pronta a muoversi
verso il suo oggetto», afferma san Diadoco di Foticea3°2 • Questa libertà
era quella di Adamo nel paradiso. La sua volontà realizzava il suo sco-
po naturale che è quello di tendere verso il ineglia3°3 e si portava spon-
taneamente verso il bene in un movimento senza turbamenti304 • Co-
noscendo il vero bene e non volendo conoscere che quello, l'uomo
vi si dirigeva senza esitazione; egli non valutava il bene e il male, il pro
e il contro, il migliore e il meno buono. Sapendo dov'è il bene vero e
rifiutando assolutamente il male, egli non scelse nel senso abituale di
questo termine, non esaminava più alcuna possibilità, non rifletteva:
si portava spontaneamente verso il bene, realizzando in quest'uso del-
la sua libertà la somiglianza con il suo archetipo divino perché, scri-
ve san Giovanni Damasceno, «occorre sapere che in Dio si può par-
93
lare di intenzione ma non propriamente di scelta. Dio non riflette; la
riflessione spetta all'ignoranza e non si riflette quando si conosce»305 •
Ad Adamo, nel suo stato d'innocenza, poteva applicarsi ciò che dice
il profeta Isaia: «Prima di conoscere, l'adolescente rigetterà il male e
sceglierà il bene; perché prima che l'adolescente sappia ciò che è be-
ne e ciò che è male, egli rigetterà il male per sciegliere il bene» (cfr.
Is 7,15-16).
Adamo era stato creat-o da Dio in via di deificazione e tendente co-
sì spontaneamente verso il bene. È liberamente che egli si manteneva
in questa via, perché aveva, oltre a questa possibilità «di rimanere
nel bene e di progredirvi, sostenuto dalla grazia divina>?", anche quel-
la «di lasciare il bene, andando verso il male nel separarsi da Dio,
per scelta deliberata.>>306 , «era capace di cedere all'assalto di Satana o
di non cedervi e ne aveva la facoltà>>307 • Tuttavia, Dio gli aveva dato,
contemporaneamente a questa libertà, la conoscenza del suo buon uso
e della sua funzione normale. Gli aveva indicato il mezzo per eserci-
tarla in tutta la sua perfezione attraverso il comando di non mangia-
re del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male (cfr.
Gn 2,17). «Sapendo, scrive sant'Atanasio, che la volontà dell'uomo
poteva essere incline nei due sensi, egli lo prevenne e gli impose una
legge, fortificò la grazia che gli aveva dato»308 .
L'uomo era, tuttavia, costantemente tentato dal diavolo di fare del-
la sua libertà un uso diverso da quello che Dio, volendo che egli fos-
se realmente libero e che conoscesse il vero bene nel compimento in-
tegrale di se stesso e nello sviluppo perfetto della sua natura, gli ave-
va indicato. La tentazione, fintanto che Adamo non vi cedeva, aveva
del resto un ruolo positivo: essa permetteva che la deificazione fosse
voluta realmente dall'uomo e che questi manifestasse così il suo vero
valore. «Occorreva che l'uomo fosse innanzitutto messo alla prova>>,
scrive san Giovanni Damasceno. «Né messo alla prova, né tentato,
l'uomo non è degno ad alcun titolo. Condotto alla perfezione per mez-
zo della tentazione nel rispetto del comando di Dio, avrebbe cono-
sciuto l'incorruttibilità a prezzo della sua virtù>>309 • Nella tentazione la
libertà si rivela veramente come tale, poiché, da un lato, vi si rivelano
MARCO L'EREMITA, Il battesimo, 22. Cfr. IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, IV, 37, 2. MA-
307
CARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), XV, 25; 36; 40; XXVII, 10; 11.
308 Sull'incarnazione del Verbo, 3.
309 Esposizione esatta della fede ortodossa, Il, 30.
94
le altre sue possibilità, e dall'altro, la volontà vi è messa alla prova e
mostra qual è la misura dell'attaccamento a Dio, attraverso la forza del
rifiuto che essa oppone a tutto quanto cerca di allontanarla da lui.
L'uomo, malgrado tutti i beni che Dio gli offriva, cedette alla ten-
tazione diabolica. Utilizzò il suo libero arbitrio allontanandosi da Dio,
prendendo parte al male che gli suggeriva il Maligno, introducendolo
in sé e nella creazione.
Tutti i Padri insistono sul fatto che il male, nell'uomo ma anche nel
mondo, è un prodotto del cattivo uso della libertà dell'uomo; il male
è stato concepito, immaginato, inventato, creato e poi realizzato da
una cattiva scelta del libero arbitrio dell'uomo, della sua volontà per-
sonale o, secondo la terminologia di san Massimo, «gnomico»310 • <<Non
esiste il male al di fuori di una scelta», afferma san Gregorio di Nis-
sa.311; «è la libera scelta che dà la consistenza [al male]»312 ; è l'uso col-
pevole del nostro libero arbitrio che «ha generato gli slanci verso il
male», egli afferma ancora313 ; <<la responsabilità dei mali ricade, dun-
que, sulla nostra imprudenza che ha scelto il peggio invece del me-
glio»314. Sant'Antonio constata, ugualmente, a proposito dei mali che
colpiscono l'uomo decaduto: «Così tutto ciò che è al di fuori della no-
stra natura proviene dal nostro libero arbitrio»315 •
Allontanandosi da Dio, Adamo cessa di possedere una libertà si-
mile a quella del suo archetipo divino. Egli non è più libero della li-
bertà di Dio. La promessa del Serpente si realizza: egli è come Dio;
acquista, infatti, una forma di libertà che gli permette di determinar-
si riferendosi solo a se stesso e gli dà l'impressione che è assolutamente
autonomo, che basta a se stesso e può definirsi secondo una misura
propria. Per mezzo di questa libertà, egli fa di se stesso un dio che vuo-
le essere totalmente indipendente dal vero Dio. Ma così l'uomo s'il-
lude profondamente. La libertà che la caduta lascia silssistere è, infatti,
una libertà che lo perde316 proprio quando egli crede di trovare per
mezzo di essa il suo sviluppo. Per mezzo di questa libertà decaduta,
egli è come Dio, ma non dio, mentre, al contrario, la sua libertà ori-
310 Oltre i riferimenti dati infra, vedi MARco L'EREMITA, Il battesimo, 22.
311 Sulla verginità, XII, 2. Cfr. Discorso catechetico, 7.
;u Discorso catechetico, 5.
313 Omelie sul!'Ecclesiaste, vm, 3. Cfr. BASILIO DI CESAREA, Omelia: Dio non è il creatore del
male.
314 ID., Discorso catechetico, V.
315 Lettere, 5 bis.
316 Cfr. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. m, XV, 23.
95
ginale orientata verso Dio gli permetteva di divenire veramente dio
per grazia. L'uomo, nel suo peccato, fa un uso patologico della libertà
che gli era stata data per volgersi volontariamente verso Dio: la sua
anima, dice sant' Atanasio, «non sa che essa non è stata creata sem-
plicemente per muoversi, ma per muoversi verso il termine che gli oc-
corre; ed è da questo che siamo avvertiti dalla parola dell'Apostolo:
"Tutto mi è lecito, ma non tutto giova" (lCor 6,12)>>3 17 •
San Massimo mostra che l'uomo, a·motivo del peccato, dissocia e
mette in disaccordo il suo libero arbitrio, la sua <<Volontà gnomica»,
dalla sua volontà naturale, e che per ciò stesso si allontana dalla sua
natura318 ; si allontana con tutte le facoltà del suo essere da una vita
conforme alla sua natura per condurre una vita contro natura; si al-
lontana dal Bene per entrare in tutte le forme del male e così si auto-
distrugge. «Quando all'inizio il diavolo seduttore[. ..] ingannò l'uomo
con la seduzione del piacere, egli separò la nostra volontà da Dio e da-
gli altri. Distruggendo la rettitudine della nostra volontà egli ha, in que-
sto modo, diviso la natura e l'ha lacerata in una moltitudine di opi-
nioni e di immaginazioni; egli ha, nel corso del tempo, elevato a legge
la ricerca e la scoperta di ogni sorta di male,· assistito in questo dalle
nostre potenze; e affinché il male resti in tutti gli uomini, il diavolo
lo colloca in essi su questa opposizione inconciliabile della volontà che
gli aveva permesso di persuadere insidiosamente l'uomo di allonta-
narsi una volta dal movimento della sua natura»319 • Vincolato dal suo
libero arbitrio contro la sua natura sulla via del male, l'uomo è per-
ciò trascinato da esso, come fa notare san Gregorio di Nissa: «Se la
creatura agisce secondo natura, il cambiamento [in essa] avviene in-
cessantemente nel senso del meglio; ma se essa si è allontanata dalla
diritta via, è trascinata verso lo.stato opposto da un movimento inin-
terrotto»320.
Quando nel suo stato primitivo Adamo non voleva conoscere altro
che Dio e vivere solo per somigliare a lui, il suo libero arbitrio, lo ab-
biamo visto, si accordava con la sua volontà naturale, non si allonta-
nava dalla norma o l6gos della sua natura, si orientava spontaneamente
verso il Bene. Nell'acquistare, per mezzo del suo peccato, la cono-
scenza del bene e del male, l'esercizio del suo libero arbitrio smette di
317Contro i pagani, 4.
318Cfr. Commento del Padre nostro, PG 90, 880A; 893B; 905A; Questioni a Talassio, 42; Let-
tere, Z.
319 Lettere 2
320 Discor;o ~scetico, VIII.
96
essere semplice, si dispiega in discussioni incerte e si perde nella
dualità confusa del bene e del male. Offuscato dalle passioni, ingan-
nato dalla sua immaginazione, l'uomo, infatti, non riconosce più im-
mediatamente il bene; confondendo il bene e il male, scambiando spes-
so il male per il bene e il bene per il male, egli è sottomesso nelle sue
scelte al rischio costante d'ingannarsi321 •
Questa libertà deliberativa è una forma alterata della libertà che
l'uomo possedeva ali' origine nella sua unione con Dio. Essa ne è, al-
tresì, la negazione, poiché l'uomo decaduto, avendola dissociata dal-
la volontà naturale tendente verso il bene, la utilizza per compiere il
male e così la fa servire, paradossalmente, al suo stesso assoggetta-
mento. Essendosi allontanato dalla propria naturl}, l'uomo non è più
mosso da sé ma da ciò che gli è estraneo; egli è posto contro natura,
cioè verso il male. ·
Per l'uso perverso della sua libertà, l'uomo diviene schiavo del pec-
cato (dr. Gv 8,34; 2Pt 2,19; Rm 6,20; Is 61,1; Rm 6,6.17; 8,21; Gal 5,1),
prigioniero dei desideri e dei piaceri sensibili verso i quali egli si è vol-
to (Tt 3,3; Rm 6,19), asservito a false divinità che egli si è fatto delle
creature (Gal 4,3.8-9). I Padri non cessano di dimostrare come l'uo-
mo decaduto, anche quando crede di essere libero o di liberarsi, sia
infatti schiavo. <<La fine di questa libertà intempestiva è una dura schia-
vitù», nota sant'Isacco il Siro322 • L'uomo decaduto vive, infatti, in-
chiodato alla carne323 , è dominato dalla legge di questa324 , è asservito
ai suoi sensi325 , subisce la tirannia dei suoi desideri3 26 , è assoggettato al-
la ricerca del godimento e al timore della sofferenza327 , è il servo dei
suoi vizi328 , in breve, è lo schiavo delle sue passioni329 • Queste eserci-
tano su di lui una vera tirannia di cui la sua anima è prigioniera330 • In
questo stato, l'uomo non è più se stesso. Egli vive totalmente in di-
ti prima, è molto frequente nei Padri. La ritroveremo molte volte nel capitolo seguente. Vedi per
esempio: MAsswo IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 12. SWEONE IL Nuovo TEOLO-
GO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 78. NICETA STETATOS, I.:anima, 57; Centurie, III, 75.
DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, I, 122. CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Stromata, II, 144, 3.
GIUSTINO, Apologia prima, 53.
33 °Cfr. GrovANNI CLwAco, La Scala, XXVII, 42.
97
pendenza dalle passioni che il suo peccato ha introdotte in lui. Mos-
so da queste tendenze estranee alla sua natura originale ed essenzia-
le, l'uomo è alienato. Non è più lui precisamente parlando che agisce,
ma la legge del peccato che abita in lui (Rm 7,17.20.23).
Schiavo delle sue passioni, l'uomo lo è anche del diavolo e dei de-
moni. Non solo egli è influenzato, ma anche dominato e schiacciato
dalla tirannia del Maligno331 • Sant'Isacco osserva che «colui che non
sottomette a Dio la sua volontà si sottomette al suo avversario»332 • San
Macario descrive così questa duplice schiavitù che l'uomo subisce da
parte delle passioni e delle potenze del male: «Dopo la caduta e l' e-
spulsione dal paradiso terrestre, l'uomo è incatenato da una duplice
serie di legami. Gli uni vengono dalla vita stessa, dagli intrighi che le
passioni comportano, dall'amore per tutte le cose visibili. AJl'intemo,
l'anima è avviluppata, circuita, incarcerata dagli spiriti malefici che
la mantengono nelle tenebre»333 • Evidentemente, vi è una relazione di-
retta tra queste due serie di legami: è perché l'uomo vive nel male che
le potenze demoniache hanno su di lui un tale potere; per le sue pas-
sioni, egli si apre a tali potenze, le fa vivere in sé334 •
In questo stato, non rimane più gran cosa della libertà primitiva del-
l'uomo. Quando in Dio e nella virtù, l'uomo muoveva se stesso se-
condo la sua natura e partecipava della sovrana volontà di Dio, essen-
dosi allontanato da questi e vivendo contro natura, non è più veramente
egli stesso che agisce ma una natura estranea che ha preso possesso di
lui, quella appunto costituita dalle passioni, che hanno, a causa del pec-
cato, ricoperto la sua vera natura, la tiranneggiano e la condizionano.
La memoria è stata data all'uomo fin dal momento della sua crea-
zione, affinché, per mezzo di essa, egli possa ricordarsi continua-
mente di Dio ed essere così unito a lui permanentemente con il suo
spirito e il suo cuore. «Abbiamo ricevuto la memoria per portare il
Cristo in noi», scrive san Nicola Cabasilas335 • Il ricordo di Dio appa-
riva così all'uomo come una norma. A questo proposito così scrive san
98
Macario: «Occorre che il cristiano abbia sempre il ricordo di Dio»336 •
E san Gregorio Nazianzeno: «Dobbiamo ricordarci di Dio molto
più frequentemente dei nostri respiri; e, se si può dire, non dobbiamo
fare null'altro che questo»337 •
Il ricordo di Dio implica, a un primo livello, il ricordo dei coman-
damenti per mezzo dei quali l'uomo si unisce a lui nel compiere la sua
volontà: ricordo del comandamento dato da Dio nel paradiso ad Ada-
mo ed Eva338; ricordo dei comandamenti del Cristo all'uomo restau-
rato dal Verbo incarnato339• Questo implica, pertanto, «la memoria del-
le virtù>>, la quale non lascia spazio alcuno alle passioni340 •
Come indicato da quest'ultimo punto, il «ricordo di Dio (mnéme
theou)», è anche il ricordo dei benefici di Dio341 , attraverso cui si
rende grazie a lui. San Marco l'Eremita vi insiste particolarmente: <<Ec-
co, egli scrive, ciò che dev'essere il punto di partenza di una condot-
ta vantaggiosa secondo Dio: occorre ripassare sempre nella memoria
e conservare in un'incessante meditazione il ricordo della bontà di Dio
che ha organizzato il corso della tua vita secondo il suo disegno, dei
suoi benefici che mirano alla salvezza della tua anima; non lasciar oscu-
rare la memoria dal vizio, fonte d'indifferenza, né perdere il ricordo
della moltitudine e dell'importanza delle sue grazie e, di conseguen-
za, non trascorrere il resto del tempo senza profitto, nell'ingratitudi-
ne. Difatti, questo ricordo incessante esercita il cuore a mo' di un pun-
giglione: lo spinge in ogni momento alla confessione, all'umiltà, al ren-
dimento di grazie con un'anima macerata, a un grande zelo verso il
bene, per offrire in cambio un modo di vita, dei costumi profittevoli
e ogni virtù secondo Dio»; colui che «non lascia cadere nell'oblio ta-
li benefici [. ..] si orienta verso la buonissima ascesi della virtù e verso
ogni opera di giustizia con un ardore sempre sostenuto e sempre di-
sposto ad eseguire la volontà di Dio»342 •
Questa forma di «ricordo di Dio» sfocia naturalmente nella sua for-
ma principale, quella della preghiera continua che i Padri indicano
abitualmente con questa espressione343 • Questa, sottolinea san Diado-
' 36Omelie (Coll m, Xl.ID, 3, Cfr. BASD.JO DI CESAREA, Lettere, XXII; Regole lunghe, 5. ORI-
GENE, Omelie sui Numeri, XXIV, 2.
m Discorsi, XXVII, 4.
;;s Cfr. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 56.
" 9 Ibzd.
}4() e&. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 56.
"''Vedi anche BASILIO DI CESAREA, Regole brevi, 294.
' 42 A Nicola 2
34' Vedi a q~~to riguardo, I. HAusHERR, Noms du Christ et voies d' oraison, Roma 1960,
99
co di Foticea, è per lo spirito che «esige da noi un'opera che deve sod-
disfare il suo bisogno di attività>>, <<l'unica occupazione che risponde
interamente al suo scopo»344 . Essa costituisce nello stesso tempo <<la
sua propria attività»345 , la sola attività che corrisponde alla sua natura.
«La preghiera fa esercitare all'intelligenza l'attività che le è propria>>,
nota Evagrio346 , che sottolinea ancora: «La preghiera è l'attività che
presiede all'intelligenza, o in altre parole, all'impiego migliore e ade-
guato di questa»347 . Adamo, che, nel paradiso, «viveva nella preghie-
ra>>348, praticava questa memoria ininterrotta di Dio349 . Ugualmente i
santi, che reintegrano in Cristo la condizione primaria di Adamo e «si
avvicinano alla perfezione, hanno continuamente nel cuore il ricordo
del Signore GesÙ»350 .
Per mezzo di questa memoria continua di Dio l'uomo può, infatti,
conformemente alla finalità della sua natura, unirsi a lui. «L'unione
spirituale è la memoria allo stato puro», scrive sant'Isacco il Siro351 .
Attraverso il ricordo di Dio, l'uomo è fortificato nella custodia e
nella pratica dei comandamenti; egli può, in altri termini, preservarsi
dalle passioni e far crescere in sé le virtù352 .
Il ricordo di Dio è, in modo particolare, la condizione dell'amore
di Dio353 , che esso ricordo ha la proprietà di suscitare e di far cresce-
re354, andando sempre di pari passo con l'amore355 . Ciò è vero, in pri-
mo luogo, nella sua forma più compiuta, che è quella della preghiera
continua, ma anche del ricordo dei benefici di Dio. È così che san Mar-
co l'Eremita consiglia: «Conserva davanti agli occhi i beni ricevuti dal-
la tua nascita fino a ora, sia corporali sia spirituali, medita su di essi e
ripetili, secondo quanto è scritto: "Non tenere in oblio nessuno dei
pp. 156s. e H. J. SI!BEN, <<Mnèmè TheoU>>, in Dictionnaire de spiritualité, X, 1980, coli. 1407-
M~ .
344 Cento capitoli gnostici, 59 .
.,., Ibid., 61.
346 La preghiera, 83.
m Ibid., 84.
' 48 DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, I, 1.. Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esat-
ta della fede ortodossa, II, 11.
><• Cfr. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 56. GREGORIO IL SINAITA, Capitoli,
60-61.
;>o DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 88.
m Discorsi ascetici, L
351 Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 33.
100
suoi benefici" (Sai 103 [102],2), affinché essi ti portino ad amare Dio
prontamente e facilmente [. .. ] perché, spontaneamente, al ricordo di
questi benefici e ancor più sotto un impulso proveniente dall'alto, il
.tuo cuore sia ferito d'amore e di desiderio>>356•
Il ricordo continuo di Dio nella preghiera costituisce così per l'uo-
mo la chiave d'accesso alla contemplazione che, scrive sant'Isacco,
«trova in lui la materia sulla quale gli è dato di basarsi»357 • San Calli-
sto II il Patriarca dice allo stesso modo che esso «fa riflettere nello spi-
rito purificato i raggi divini»358 • La memoria accompagna l'attività d~l
lo spirito fino ai gradi più alti della vita spirituale359 • Ed è altresì «nel-
la sua memoria», afferma sant'Isacco, che l'uomo «è rapito più in alto
della natura» nella conoscenza/visione di Dio che lo Spirito gli co-
munica360.
Per mezzo della memoria di Dio, l'uomo conserva Dio all'interno
del suo spirito361 e lo fa dimorare nel suo cuore. «Ciò significa allog-
giare Dio, scrive san Basilio, avere, per mezzo del ricordo, il suo Dio
stabilito in sé. Così noi diventiamo il tempio di Dio fin quando le preoc-
cupazioni terrene non interrompono la continuità di questo ricordo>Y 62•
Per questo stesso motivo, il ricordo di Dio è per l'uomo che lo pos-
siede la fonte di una gioia intensa3 63 , <<fa nascere nell'anima un'indici-
bile felicità>>364 , come dice il salmista: <<Penso a Dio e sono nella gioia>>
(cfr. Sal77[76],4).
Per mezzo del ricordo permanente di Dio, l'uomo pensa «alla sola
cosa necessaria>> e conduce un'esistenza tutta centrata su Dio, confor-
memente alla finalità della sua natura. 'In altre parole, la memoria di
Dio implica l'oblio del mondo365 , l'assenza di ogni ricordo sensibile e
mondano366 • Implica ugualmente per l'uomo l'oblio di sé. L'uomo spi-
rituale, scrive sant'Isacco, «dimentica se stesso. Non si ricorda affatto
di questo secolo; non smette di meditare e di concepire quanto_ rive-
356 Ibid 6
m Dis;~rsf ascetici, L Questo punto sarà esaminato dettagliatamente nella VI parte, capito-
lo 3, 5.
358 Capitoli, 3.
m Cfr. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 33.
360 Ibid., 65.
361 CTr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 23.
362 Lettere, II, 4.
363 Cfr. ELIA ECDICO, Capitoli gnostici, 12. DIADOCO DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici, 60.
364 CALLISTO Il, Capitoli, 3.
365 Cfr. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 56. BASIIJO DI CESAREA, Regole lunghe, 6.
366 Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 8 e 10. MARco L'EREMITA, Su coloro che pensano di
101
la la grandezza di Dio». Egli ha una «memoria legata al genere di vi-
ta che conduce [ ... ]; non pensa alle cose di questo mondo, non se ne
ricorda»367 . «Quando la memoria di Dio ha fatto dell'anima il suo
pascolo, essa cancella ogni altro ricordo», continua a dire ancora sant'I-
sacco in sintesi368 •
La memoria dell'uomo, essendo totalmente occupata nel, ricordo di
Dio, è, nello stato originario e normale della natura umana interamente
unificata, semplice e omogenea369 . Tutti i pensieri dell'uomo vi si con-
centrano verso ciò che costituisce per il suo spirito l'unico oggetto d' at-
tenzione. Nel ricordo di Dio, osserva san Giovanni Cassiano, l'uomo
«fissa tutta la sua attenzione verso un fine unico verso il quale [egli]
fa attivamente convergere tutti i pensieri che si levano [... ]nel suo spi-
rito»370. La memoria appare allora stabile e immobile371 , e conosce la
calma372 •
Essendo la memoria totalmente occupata dal ricordo di Dio e quin-
di «spogliata di ogni forma e di ogni figura>>, <<il cuore è puro»373 .
Grazie alla memoria di Dio, l'uomo si preserva da pensieri estranei
che gli suggerisce il Maligno374 . Essa esclude ogni pensiero cattivo375
e non consente che alcuna disposizione al male si manifesti376 . Essa co-
stituisce un'arma contro i demoni377 , permettendo all'uomo non solo
di non essere raggiunto dai loro attacchi, ma anche di dominarli e di
allontanarli378 .
102
esclusivamente, in conformità alla finalità della propria natura, al ri-
cordo di Dio e del Bene, essendo per ciò stesso dimentica di ogni realtà
sensibile e di ogni male, a causa del peccato diviene al contrario, con-
tro la propria natura, oblio di Dio e del Bene, e ricordo del male e del-
le realtà sensibili380 •
Questa malattia della memoria colpisce naturalmente lo spirito che
è suo organo: nella misura in cui esso ha dimenticato Dio, si ritrova
alienato in un'attività che gli è estranea e conosce l'asfissia e la morte
spirituali. È così che sant'Isacco scrive: «Ciò che accade al pesce quan-
do ~ fuori dell'acqua così accade anche allo spirito quando è fuori del-
la memoria di Dio e si disperde nella memoria del mondo>Y 81 • Tutte le
facoltà che ne dipendono direttamente subiscono simihnente gli ef-
fetti patologici della malattia della memoria. Per questo san Massimo
considera che l'oblio di Dio e del bene è, con l'ignoranza, la princi-
pale passione/malattia della parte razionale dell' anima382 •
L'oblio di Dio gioca nella caduta dell'uomo, assieme all'ignoranza
di Dio con la quale esso va di pari passo, un ruolo centrale. Per que-
sto san Gregorio Palamas vede nell'abbandono della <<memoria e del-
la contemplazione di Dio» l'essenza del peccato ancestrale383 • E san
Marco l'Eremita nota: «La scrittura dice: "Inferi e abisso sono davanti
al Signore" (Pro 15,11). Essa vuole parlare dell'ignoranza del cuore e
dell'oblio. È l'ignoranza che è l'inferno, e l'oblio la perdizione3 84 , e tut-
te e due uccidono l'uomo spiritualmente385 • San Marco l'Eremita, e
sulla sua scia san Giovanni Damasceno, considerano, già lo abbiamo
messo in evidenza, che l'oblio (léthe) è, con l'ignoranza (dgnoia) e la
negligenza spirituale (rhathymia) uno dei <<tre giganti del diavolo», dai
quali procedono tutte le passioni e tutti i mali che colpiscono l'uomo
decaduto386 • San Marco l'Eremita descrive così queste tre malattie spi-
rituali fondamentali e indissociabili, le loro relazioni e i loro effetti:
«Sono questi tre giganti estranei, potenti e forti che tu devi conside-
rare; su di essi poggia tutta la potenza del nostro temibile nemico spi-
rituale [... ]. Quelli che consideriamo come i potenti giganti del Mal-
;"' Questa duplice polarità della memoria che si esercita «secondo natur~> o «contro natu-
rà>> è ricordata proprio da sant'IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 65.
;si Discorsi ascetici, 43.
382 Cfr. Centurie sulla carità, I, 68. Cfr. anche, Questioni a Talassio, Prologo: «1? oblio dei
103
vagio sono l'ignoranza, la madre di tutti i mali, l'oblio, sua sorella, suo
socio e suo aiuto, la negligenza, che tesse nell'anima un abito e un
velo tenebroso di nuvole nere; essa consolida e fortifica le altre due,
fornisce loro consistenza introducendo il male allo stato endemico e
radicandolo nell'anima particolarmente noncurante. Il resto delle pas-
sioni cresce e si fortifica grazie alla negligenza, ali' oblio e all'ignoran-
za. Esse si sostengono mutuamente e non possono stare le une senza
le altre. La potenza delle forze nemiche si manifesta attraverso di es-
se, come il vigore dei principi del male; attraverso di esse tutta l' ar-
mata degli spiriti di malizia s'insinua, si afferma e può reàlizzare i pro-
pri disegni>>387 •
Abbiamo visto che è difficile determinare nel processo della cadu-
ta ciò che è primario: se è la seduzione del piacere sensibile che tra-
scina l'uomo ad ignorare e a dimenticare Dio, o se al contrario è l'i-
gnoranza e l'oblio di Dio che lo porta a rivolgersi verso la realtà sen-
sibile. Vi è, lo abbiamo sottolineato, una dialettica di questi due
atteggiamenti, che giustifica che si metta avanti ora l'uno, ora l'altro.
Ad esempio, san Diadoco di Foticea privilegia la prima soluzione:
sedotti dal piacere sensibile, Adamo ed Eva dimenticano Dio. «Che la
vista, il gusto e tutti gli altri sensi, quando ne usiamo fuori misura, dis-
sipino la memoria del cuore, la prima Eva ce lo insegna: infatti, fin-
tanto che ella non ebbe guardato con piacere l'albero proibito, si ri-
cordava coscenziosamente del precetto divino. Questo perché ella era
ancora come al riparo sotto le ali dell'amore divino [. .. ]. Ma quando,
con piacere, ella ebbe visto l'albero, quando lo ebbe toccato con ar-
dente desiderio, e poi ebbe gustato il suo frutto con intenso piacere
[. ..],ella diede tutto il suo desiderio-al godimento del presente, coin-
volgendo Adamo nella sua colpa per la dolce apparenza del frutto.
D'allora in poi, lo spirito umano non poté più che con pena ricor-
darsi di Dio e dei suoi comandamenti>>388 • Altri Padri propongono il
processo inverso. Un apoftegma riferisce: «Gli Anziani dicevano: "Le
potenze di Satana che precedono ogni colpa sono triplici: l'oblio, la
negligenza, e il desiderio. Infatti, ogni volta che sopraggiunge l'oblio,
questo genera la negligenza, dalla negligenza procede il desiderio, e
il desiderio fa cadere l'uomo>>389 • Sant'Esichio di Batos dice allo stes-
so modo: <<Dall'oblio noi cadiamo nella negligenza, e dalla negligenza
104
nei [. ..] desideri fuori posto»390 . E, a sua volta, san Macario: «Lo spi-
rito che rifiuta il ricordo di Dio soccombe sia alla collera, sia alla con-
cupiscenza»391. San Marco l'Eremita è molto più esplicito a questo
riguardo quando scrive in modo particolare: «Tutti coloro che di-
menticano Dio divengono voluttuosi»392 .
Avendo dimenticato Dio, la memoria si divide e si disperde, e vie-
ne invasa e occupata da molteplici pensieri relativi alle cose del mon-
do sensibile verso il quale l'uomo si è volto. <<ll principio e la causa dei
pensieri, scrive san Gregorio il Sinaita, è, in seguito alla trasgressione,
l'esplosione della memoria semplice e omogenea. Nel divenire com-
posta e diversa da semplice e omogenea qual era, ella ha perduto il ri-
cordo di Dio e ha corrotto le sue potenze»393 . Questa malattia della
memoria ha evidentemente delle ripercussioni su tutte le facoltà del-
1' anima. Lo spirito, precedentemente occupato dal solo pensiero di
Dio, ora si trova incessantemente attraversato dal flusso dei ricordi
mondani che abbondano sempre più.
La memoria diviene, infatti, per l'uomo, insieme all'immaginazione,
la pricipale via attraverso la quale i pensieri estranei penetrano nel
suo cuore e occupano il suo spirito, una delle principali fonti «dei pen-
sieri che Qo] alienan0>>3 94 . È dalla memoria che l'uomo riceve la mag-
gior parte delle rappresentazioni che costituiscono per lui altrettante
suggestioni/tentazioni. È soprattutto essa che fornisce al suo spirito
«pensieri semplici>> che richiamano il suo attaccamento passionale395 .
San Massimo insegna: «Tre vie danno accesso nello spirito ai pensieri
passionali: la sensazione, la costituzione fisica, la memoria [ ... ]. La me-
moria, quando fa rinascere il ricordo degli oggetti che ci appassiona-
no, suggerisce parimenti allo spirito pensieri passionali>>396 . Ma spesso
la memoria fornisce direttamente pensieri passionali397 , come sottoli-
nea san Talassio che vede in questa facoltà la principale fonte di quel-
li, e i più temibili tra loro: «Vi sono tre cose attraverso cui tu ricevi i.
pensieri passionali: i sensi, la memoria e la costituzione del corpo. I pen-
sieri più spiacevoli sono quelli che provengono dalla memoria>>398 . La
105
memoria produce particolarmente tali pensieri perché essa conserva i
ricordi delle colpe precedenti e i segni delle passioni precedentemen-
te stabilite'99, e soprattutto quelli del piacere che era a loro legato400 , il .
che dà alle sue rappresentazioni un forte potere di seduzione401 • Allo-
ra spesso la memoria è attivata ed eccitata dai demoni che cercano in
particolare di ricondurla a quei ricordi402 •
Per tutti questi motivi, la memoria diviene nell'uomo decaduto una
delle cause principali per mezzo delle quali le passioni sono suscitate
e trattenute403 • Ecco perché sant'Isacco vede in essa la sede delle pas-
sioni, il luogo in cui possiamo trovarle tutte404 •
È così che il «ricordo del male (mné'tne tou kakou)» diviene nel-
l'uomo decaduto una abituale disposizione (éxis) 405 • Il ricordo del ma-
le si sostituisce, in gradi diversi, al ricordo del bene, l'unico, all'origi-
ne, che occupava la memoria; per il fatto di non potervisi sostituire
completamente, gli la~cia un posto più o meno ridotto.
Tutto ciò ha, in ogni caso, come .effetto quello d'introdurre nella
memoria un'altra divisione che essa ignorava in origine, quella di scin-
derla in due parti, come dice san Diadoco di Foticea: «Dopo che uno
scivolamento del nostro spirito lo ha messo in uno stato di doppia
scienza, è obbligato allora, anche se egli non vuole, ad avere nello stes-
so istante pensieri buoni e cattivi [... ]. A misura, infatti, che egli si af-
fretta a concepire il bene, immediatamente si ricorda del male, per-
ché, in seguito alla disobbedienza di Adamo, il ricordo dell'uomo si
viene a trovare scisso in un duplice pensiero»406 •
Ricordo del bene e ricordo del male non si avvicinano solamente,
essi si mescolano, contribuendo ad accrescere la confusione che la me-
moria e l'intelligenza ricevono già dai molteplici e diversi pensieri che
li investono407 •
399 Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 33. Evagrio Pontico osserva: «Se abbiamo dei ri-
cordi passionali di una cosa, è perché ne abbiamo accolto prima gli oggetti con passione e, in·
versamente, di tutti gli oggetti che accogliamo con passione avremo anche dei ricordi passio-
nali>> (Trattato pratico sulla vita monastica, 34).
400 Cfr. DIADOCO DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici, 93. MAss!MO IL CONFESSORE, Centurie
106
Anche se l'uomo decaduto è, come afferma sant'.Esichio di Batos,
«coperto da un abisso d'oblio»408 , il ricordo di Dio e del bene, dopo
la colpa di Adamo non è reso impossibile, ma diviene più difficile.
«D'allora in avanti, scrive san Diadoco di Foticea, lo spirito umano
non può se non con pena ricordarsi di Dio e dei suoi comandamen-
ti»409. <<La disobbedienza, scrive allo stesso modo san Gregorio il Si-
naita, ha falsato i rapporti della memoria semplice con il bene; essa ha
corrotto le sue potenze e indebolito la sua attrazione naturale verso la
virtù>>410 . Infatti, come abbiamo già visto, lo spirito dell'uomo è inve-
stito e occupato da una molteplicità di ricordi di oggetti di questo mon-
do e di pensieri, passionali o meno, ma in ogni caso estranei a Dio. Ta-
li ricordi arrivano allo spirito dell'uomo a motivo del suo attaccamento
a questo mondo, ma anche in ragione dell'azione dei demoni che cer-
cano, particolarmente, attraverso questo mezzo, di tenerlo lontano da
Dio411 . In ogni caso, in realtà, questi ricordi mondani escludono il ri-
cordo di Dio. Il principio di economia messo in evidenza a proposi-
to delle facoltà precedentemente studiate vale anche per la memoria:
più essa si ricorda di Dio meno si ricorda di questo mondo; inversa-
mente, più essa si ricorda di questo mondo, meno si ricorda di Dio.
6. Patologia dell'immaginazione
me sottolinea in particolare Evagrio: <<ll demonio, egli scrive, è terribilmente geloso dell'uomo
che prega e impiega tutti i mezzi per far fallire il suo scopo. Così non smette di ravvivare attra·
verso la memoria il pensiero degli oggetti» (La preghiera, 46. Cfr. 44; 45; 68). Altrove, egli spie-
ga più a lungo: «Quando i demoni ti vedono pieno di ardore per la vera preghiera, ti suggeri-
scono il pensiero di certi oggerti che essi fanno apparire come necessari; e poi ben presto so-
vreccitano il ricordo che vi si ricollega, spingendo l'intelligenza alla loro ricerca; poi, visto che
que5ta non li trova, si-rattrista molto e si dispiace. Allora, al momento della preghiera, i demo-
ni le ricordano gli oggetti delle sue ricerche e dei suoi ricordi, affinché l'intelligenza, fiaccata
da queste cose familiari, non raggiunga la preghiera fruttuosa>> (ibid., 10).
412 Cfr. NICETA STETATOS, Uanima, 37.
413 Cfr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, II, 3, 59.
414 Cfr. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 69.
107
legata alla sensazione415 e al sensibile416 . Essa trasforma in immagini
le sensazioni e consente all'uomo di avere, sotto forma di immagine,
una rappresentazione di ciò che egli percepisce417 . Gli permette al-
tresì, insieme alla memoria, di rappresentarsi i ricordi che sussistono
di quanto egli ha percepito418 .
Oltre a essere la facoltà di trasformare delle percezioni in immagi-
ni corrispondenti e di riprodurle quando la memoria se ne ricorda,
l'immaginazione è altresì la capacità di produrre, associando più im-
magini prese nella totalità o in parte, nuove immagini.
L'immaginazione può, così, assumere la triplice forma di un'imma-
ginazione produttrice, di una immaginazione riproduttrice, e di una
immaginazione creatrice419 , fondandosi ciascuna sulla precedente. Sot-
to le sue due ultime forme, in condizioni particolari del sonno, essa
produce i sogni420 .
415 Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 17. NICETA STE·
dell'uomo, la quale spesso fa intervenire la ragione più che l'immaginazione propriamente det-
ta. Noi qui considereremo solo l'immaginazione in senso str~o, cioè la capacità di produrre im-
magini.
420 Cfr. GREGORIO DI NISSA, La creazione dell'uomo, XIII, PG 44, 168B.
421 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Ambigua, 45, PG 91, 1353C.
422 CALUSTO e IGNAZIO XAN°fOPULO, Centuria, 64.
423 Così san Massimo il Confessore constata che quando l'anima è <<in buona salute, allora
le immagini>> le appaiono «semplici e senza alcun turbamento» (Centurie sulla carità, I, 89).
Più avanti, egli parla di questa impassibilità di fronte alle immagini delle cose (ibid., 91).
424 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 49.
108
rimanendo trasparenti ai l6goi (o ragioni spirituali) degli esseri e alle
energie divine immediatamente percepite e contemplate dallo spirito
di Adamo nella sua rappresentazione delle creature e che gli serviva-
no a lodare Dio nella sua creazione e a unire a lui questa, secondo il
suo disegno426 . L'uomo nel suo stato originale disponeva, così, di una
«immaginazione buona>>427 , «volgendo al bene>> i movimenti di que-
sta428, nella misura in cui egli utilizzava le immagini delle creature per
elevarsi e per elevare queste ultime verso il loro Creatore.
-Da questa <<immaginazione buona>> derivavano nel suo sonno i «so-
gni buoni»429. Essendo l'uomo impassibile, questi sogni si caratteriz-
zavano per la loro purezza, erano costituiti da immagini o da combi-
nazioni di immagini «semplici>>, che testimoniavano la salute della sua
anima, come osserva san Massimo: «Quando l'anima inizia a sentirsi
in buona salute, allora le immagini, durante il sonno, cominciano ad
apparirgli semplici e senz~ turbamenti>>430 . Nel quadro della contem-
plazione naturale, questi sogni prendevano per di più la forma di vi-
sioni431, d'insiemi stabili e nettamente strutturati e ordinati di imma-
gini432, ispirati da Dio e forniti di un significato spirituale definito, ta-
li da elevare l'uomo a Dio, a motivo del loro carattere simbolico, fin
nel sonno. Come san Massimo per i sogni «semplici>>, così san Dia-
doco di Foticea fa notare che tali sogni testimoniano la salute dell' a-
nima: <<l sogni che appaiono all'anima nell'amore di Dio sono sicura-
mente indizi di un'anima sana>>433 .
sulla carità, III, 49. DIONIGI l:AREOPAGITA, Sui Nomi divini, I, 5, PG 3, 593A.
là di ogni pensiero», scrive lo scoliaste di Dionigi l' Areopagita435 • La
crescita spirituale dell'uomo implicava, dunque, il superamento di que-
sta immaginazione buona, e nello stesso tempo, il superamento del
mondo sensibile. L'atteggiamento del primo uomo di fronte all'im-
maginazione corrispondeva a quella che descrivono san Callisto e sant'I-
gnazio Xantopulo [Xanthopoulos] ricordando coloro che, rinnovati
dal Cristo, hanno ricuperato la condizione primordiale dell'umanità e
s'incamminano, sulla stessa via del primo Adamo, verso la perfezio-
ne alla quale Dio ha destinato l'uomo creandolo: «Coloro che.hanno
progredito con il tempo rigettano ogni immaginazione, sia la buona
come la cattiva. Essi le allontanano. Come la cera fonde al fuoco, essi
le riducono in cenere e le consumano attraverso la preghiera pura, at-
traverso la liberazione e lo spogliamento dello spirito da ogni figura,
dal momento che essi tendono semplicemente verso Dio, e [... ] che
l'accolgono e si uniscono a lui nell'unità al di là delle forme»436 • L'u-
nione con Dio nella contemplazione è possibile, infatti, come vedre-
mo più precisamente in seguito, solo nella preghiera pura, cioè pre-
supponendo, da un lato, l'impassibilità, e dall'altro, l'assenza di ogni
rappresentazione quale che sia, di ogni pensiero e in primo luogo di
ogni immaginazione437 che si riferisca non solo a cose sensibili e/o um~
ne438, ma anche a Dio stesso439 .
A questo livello di contemplazione, l'immaginazione cessa di eser-
citarsi anche nel sonno. L'uomo viene a trovarsi unito strettamente a
Dio permanentemente, e nel suo sonno stesso il suo spirito è sveglio.
Ai sogni si sostituiscono le visioni divine. «Colui che è illuminato dal-
.lo Spirito Santo [... ] vede in realtà e in spirito, o che stia sveglio o
che dorma, questi beni che l'occhio non ha visto, e che l'orecchio non
ha udito, che non sono entrati nel cuore dell'uomo, e che gli stessi an-
geli desiderano intravedere», scrive san Simeone il Nuovo Teolo-
go440. Tuttavia, queste visioni non sono più immagini e non mettono
to al salmo 140, éd. Pitra, p. 348. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVIII, 45.
439 Cfr. Apoftegmi, 181, 10. .CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 73. BASJLIO DI CE-
110
più in gioco l'immaginazione441 , ma sono prodotte nello spirito (nous)
-dell'uomo perfetto dallo Spirito Santo stesso442 :.ecco perché <<non bi-
sogna chiamar[li] sogni, ma più propriamente visioni e contempla-
zioni>>443 •
in movimento, spesso si forma immagini vane riguardo alle cose che non esistono».
111
mostra una cosa per un'altra, prendendosi gioco delle speranze dei
suoi pii ammiratori, nel camuffarsi sotto l'inganno delle apparenze>>446 •
Ma è anche con le immagini del mondo sensibile, che la sua imma-
ginazione in combutta con la sua memoria gli rappresenta, che l'uo-
mo decaduto ingombra il suo spirito da cui ha escluso Dio. Attaccato
passionalmente al mondo sensibile, ma a un mondo sensibile chiuso
su se stesso e che non svela più ai suoi occhi nulla del suo Creatore,
l'uomo decaduto si lascia completamente possedere da esso. Le im-
magini che egli ha del mondo sensibile nella sua percezione, o i suoi
ricordi, non sono più come lo erano nell'Adamo primordiale, traspa-
renti alle energie divine, non gli ricordano più Dio, né lo elevano più
verso di lui, ma sono interamente opache. In balia degli oggetti ri-
dotti alla loro dimensione sensibile, l'uomo ha lo spirito continuamente
abitato o attraversato dalla folla dei loro pensieri e delle loro imma-
gini. Ciò avviene non solo nello stato di veglia, ma anche nel sonno,
durante il quale è invaso dalle immaginazioni dei sogni447 •
Lungi dal rimanere, secondo la sua natura, una facoltà di conoscenza
annessa, l'immaginazione, in collegamento con la memoria stessa per-
vertita, domina lo spirito che essa trascina al suo seguito448 e aliena449 •
E così lo «spirito vagabonda da fantasmi a fantasmi, che si dissolvono
gli uni negli altri»450 • L'immaginazione prende possesso dell'anima, in-
vestendola di molti modi. «Questo perché, scrivono san Callisto e
sant'Ignazio Xantopulo, i divini Padri parlano di essa e contro di essa
in molti modi. Come il Dedalo del mito, questa immaginazione ha nu-
merose forme, e come l'idra, ha molte teste. [. ..] È per mezzo di essa
che attraversano e passano gli infami uccisori che si uniscono e si me-
scolano ali' anima, che fanno di essa un nido di calabroni, una dimo-
ra di pensieri sterili e passionali>>451 • In questo modo, non solo ·essa «si
oppone con tutta la sua forza alla preghiera pura»452 , ma ancor più es-
sa non lascia alcun posto nell'anima al pensiero e al ricordo di Dio che
normalmente dovrebbero occuparla. San Barsanufio paragona l' ani-
ma, nel suo stato normale, cioè quando essa è tutta occupata dal ri-
112
cordo di Dio, a un quadro già dipinto dove nessuna forma né alcuna
figura, alcuna immagine, possono più trovarvi posto453 • Nello stato di
decadenza dell'uomo avviene l'inverso: il quadro è interamente riem-
pito dalle figure e dalle forme imposte dall'immaginazione e non la-
scia più sussistere alcuno spazio libero per il pensiero di Dio.
Nella vita interiore dell'uomo decaduto, l'immaginazione occupa
un posto tanto più grande e gioca un ruolo tanto più malefico quan-
to più essa si esercita in stretta relazione con le passioni. «Oggi, os-
serva san Massimo, l'uomo nel suo movimento è posseduto dall'im-
maginazione irrazionale delle passioni»454 • Da un lato, l'immaginazio-
ne suscita le passioni, offrendo ad esse i supporti sui quali esse possono
esercitarsi e svilupparsi455 • Dall'altro lato e soprattutto, le passioni
suscitano l'attività e le produzioni dell'immaginazione: nutrendosi pri-
ma di tutto dell'immaginario456 , esse inducono quest'ultimo a gene-
rare immagini (vecchie e nuove) che corrispondono loro e offrono lo-
ro il piacere che esse ricercano457 • San
Massimo fa notare: «Come lo
spirito di un uomo affamato immagina il pane e quello di un uomo as-
setato immagina l'acqua, così lo spirito di colui che è ghiotto immagi-
na ogni sorta di nutrimento, lo spirito di colui che ama il piacere im-
magina le forme femminili, lo spirito del vanitoso immagina gli onori
che provengono dagli uomini, lo spirito dell'astioso immagina come
vendicarsi di colui che lo ha offeso, lo spirito del geloso immagina co-
me far del male a colui che invidia, e così via per tutte le altre passio-
ni»45s.
SIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 59; Centurie sulla carità, Il, 56. DIADOCO DI FOTICEA,
Cento capitoli gnostici, 49.
456 Cfr. !SACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 8.
457 Cfr. ibid.
458 Centurie sulla carità, II, 68; 69; 85.
459 Istituzioni cenobitiche, VI, 11.
113
in funzione delle disposizioni del corpo460 e dell' anima461 , e in que-
st'ultimo caso, sia come raccolta di residui mnemonici molto spesso
legati alle occupazioni e alle preoccupazioni dello stato di veglia pre-
cedente462, sia come mezzi per soddisfare i desideri della potenza con-
cupiscibile, sia, relativamente alla potenza irascibile, in risposta alla
sua collera o alla sua paura se si tratta di incubi. Anche san Simeone
il Nuovo Teologo nota che «ciò che occupa l'anima ed entra in essa
allo stato di veglia ritiene anche la sua immaginazione e il suo pen-
siero durante il sonno»463 . San Niceta Stetatos fa notare che, nei sogni,
<<le immaginazioni dello spirito corrispondono alla disposizione del-
l'uomo interiore e alle sue preoccupazioni»464 . E san Massimo preci-
sa: «Quando la concupiscenza (epthymia) è eccitata, lo spirito vede in
sogno ciò che costituisce la materia del piacere. Quando è l'irascibi-
lità (thym6s), vede ciò che provoca la paura>>465 • San Simeone il Nuo-
vo Teologo scrive allo stesso modo: «Quando la parte concupiscibile
dell'anima (epithymetik6n) è spinta verso le passioni, gli abbracci, le
voluttà e i godimenti della vita, l'anima percepisce le stesse cose nei
suoi sogni. Se la parte irascibile (thymik6n) la fa arrabbiare contro i
suoi simili, essa non sogna che irruzioni di fiere, battaglie e mischie di
serpenti e discute con i suoi avversari come davanti a un tribunale. Se
è la parte razionale (logistik6n) che è esaltata dalla cenodossia o dal-
l'orgoglio, l'anima s'immagina di avere le ali e volare nell'aria, di tro-
neggiare su seggio elevato, o di camminare alla testa di un popolo da-
vanti a un corteo di vetture»466 • San Niceta Stetatos precisa ancora me-
glio questa descrizione della relazione tra i sogni e le diverse passioni:
«Se si tiene l'anima nell'amore della materia e del piacere, si ricerca
con l'immaginazione il possesso delle cose, il conforto e il denaro, le
forme femminili, gli abbracci appassionati, si sporca la tunica e s'in-
sudicia la carne. Se si ha l'anima avida e avara, si vede l'oro dovunque,
lo si esige, si abusa degli interessi, lo si raccoglie in uno scrigno, ma
si manca di compassione e si è condannati. Se si ha l'anima collerica e
gelosa, si è perseguitati dalle fiere e dai serpenti velenosi, e si è preda
degli spaventi e della paura. Se si ha l'anima gonfia di vanagloria, ci si
114
vede acclamati, circondati dal popolo, s'immaginano troni di potere e
di autorità. Si considera che si ha ciò che ancora non è, o almeno che
lo si avrà, e si è sempre ali' erta. Se si ha l'anima orgogliosa e piena di
presunzione, ci.si vede portati dalle vetture più brillanti. Si possono
avere persino delle ali e volare nell'aria. E tutti tremano di fronte alla
grandezza di questo p6tere>>467 • I sogni rivelano così con la loro pre-
senza e con la loro forma la natura e la forza delle passioni dalle qua-
li scaturiscono468 , e perciò manifestano che l'anima è malata, e persi-
no di quali m.alattie e in quale di alcune sue parti essa è più partico-
larmente colpita, come fa notare Evagrio: «Quando nelle immaginazioni
del sorino, i demoni, attaccandosi alla parte concupiscibile, ci fanno
vedere radUni di amici, banchetti di parenti, cori di donne e altri spet-
tacoli simili generatori di piacere; ci fanno così vedere che noi acco-
gliamo queste immagini con sollecitudine, ed è proprio in questa par-
te che siamo malati e che la passione vi è forte. Quando, d'altra par-
te, essi turbano la parie irascibile, obbligandoci a seguire vie scoscese,
facendo sorgere uomini armati, bestie velenose o carnivore, e noi sia-
mo terrificati· davanti a queste strade, e, perseguitati da queste bestie
e da questi uomini, fuggiamo, allora prendiamoci cura della parte ira-
scibile>>469 •
115
no egli stesso ha mai create, e che in qualche modo s'impongono al
suo spirito474 • Tali immagini hanno per scopo di far commettere al-
l'uomo nuove colpe o di trascinarlo su cattive strade che non ha an-
cora percorse. In tutti i casi, per i demoni si tratta di fuorviare l'uomo
e di mantenerlo lontano da Dio.
Le immaginazioni sembrano la principale forma che assumono le
suggestioni demoniache che spingono l'uomo al peccato475 : se i pen-
sieri (logismo{) spesso sono associati alle immaginazioni nei testi asce-
tici, quelli si riducono spesso di fatto a queste, o hanno in esse la lo-
ro origine. Perciò, l'immaginazione appare come la prillcipale porta
d'ingresso nell'anima di tali suggestioni. «Essa è come un ponte sul
quale passano i demoni, i santi lo hanno detto», notano san Callisto
e sant'lgnazio Xantopulo476• E sant'Esichio di Batos scrive: «l demo-
ni ci spingono sempre a peccare con l'immaginazione ingannevole>>477 ;
«Satana senza l'immaginazione non può suscitare pensieri e presen-
tarli allo spirito per ingannarlo»478 •
L'immaginazione, in ogni caso, appare come lo strumento princi-
pale dell'azione demoniaca sull'anima umana, nello stato di veglia, o
nel sonno: per mezzo di essa i demoni tormentano l'uomo479 , cercan-
do non solo, come abbiamo visto, di spingerlo a peccare e di risve-
gliare o eccitare le sue passioni, ma anche di turbarlo in molti modi480 ,
di suscitare particolarmente in lui tristezza e ansietà481 , d'ingannarlo482
e di fuorviarlo in illusioni diverse483 , e persino di asservirlo484 • Sant'E-
sichio di Batos fa giocare all'immaginazione persino un ruolo di pri-
mo piano nella caduta dell'uomo: <<È così che [Satana] ha separato
Adamo da Dio, dandogli la possibilità d'immaginare che aveva la di-
gnità divina. Ed è così che il nemico mentitore e scaltro continua a in-
gannare i peccatori»485•
dre e vide delle donne, disse a suo padre: "Abba, queste sono le persone che vengono verso di
me di notte a Scete" [...]. E il vegliardo si stupì dcl fatto che i demoni nel deserto gli mostras-
sero immagini di donne>>.
474 I Padri sottolineano che è così che spesso si spiega la creazione artistica.
475 Vedi per esempio EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 67.
476 Centuria 64
477 Capitoli ;uli. vigilanza, 118.
478 Ibid 14
479 Cfr. .BAR5ANUFIO, Lettere, 118.
48°Cfr. ibid., 10; 70; Apoftegmi, II, 22. MACARIO n'EGITIO, Omelie (Coli. Il), LI, 3.
481 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 70.
482 Cfr. ibid., 78. Esra-rro DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 6; 14.
483 Cfr. DIADOCO.DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 38.
484 Cfr. GIUSTINO, Apologia prima, 14.
116
Fin dalla sua creazione Adamo era tentato dal Maligno e, dunque,
conosceva queste suggestioni demoniache esercitate per mezzo del-
l'immaginazione. Prima del peccato, egli rifiutava tuttavia di prestar-
vi attenzione, di entrare in dialogo con esse e a fortiori di essere con-
senziente. Ignorava così ogni «immaginazione cattiva»486, essendo la
sua immaginazione inattiva riguardo al male. L'uomo decaduto, al con-
trario, si apre a queste suggestioni, facendole sue, ne nutre l'immagi-
nazione, facendo nascere e sviluppando così la cattiva immaginazio-
ne, che abbiamo descritta precedentemente, rendendosi allora pie-
namente accessibile ali' attività demoniaca e ai suoi effetti.
I Padri sottolineano, altresì, la responsabilità dell'uomo487 nella per-
versione della sua immaginazione che ne costituisce la malattia: pro-
prio perché non è rimasto fedele al comandamento divino, non è ri-
masto attento a Dio solo, non ha preservato il suo cuore da ogni pen-
siero estraneo, in breve, perché non è rimasto sobrio e vigilante
(neptik6s), l'uomo ha fatto dell'immaginazione, che gli era stata data
come un ponte verso Dio, «un ponte sul quale passano i demoni>>.
Fintanto che l'uomo decaduto non ritrova questa vigilanza che ca-
ratterizza la sua natura nello stato di perfezione e di salute, il suo cuo-
re resta aperto alle cattive suggestioni che il nemico gli insinua attra-
verso il canale dell'immaginazione, egli si lascia invadere, di giorno co-
me di notte, dalle immagini che trascinano il suo spirito alla deriva e
lo alienano, portandolo e tenendolo lontano da Dio.
Fintanto che l'uomo immagina ciò che lo allontana da Dio, mani-
festa con questo che, non solo la sua immaginazione, ma anche la
sua anima è completamente malata.
117
seguenza il suo corpo così come la sua anima488 , ed ha per missione
quella di compierne interamente la somiglianza, e come fine quello di
essere interamente deificato. La vita virtuosa, sottolineano i Padri, è
una vita alla quale il corpo partecipa. Non solo vi sono delle «virtù ·
corporali>>, ma il corpo partecipa alla maggior parte delle virtù del-
1' anima. Alcuni carismi dello Spirito, fa notare san Gregorio Palamas,
«agiscono con la mediazione del corpo»4S9 • Il corpo, in maniera ge-
nerale, per mezzo delle sue facoltà ed energie, <<partecipa anch'esso al-
la santificazione>>490 • Agendo in collaborazione con l'anima e sotto la
sua direzione, esso riceve da questa la grazia dello Spirito. Il corpo è
chiamato ad essere deificato con l' anima491 • «Come, scrive san Maca-
rio, Dio ha creato il cielo e la terra perché l'uomo li abiti, così ha crea-
to il corpo e l'anima dell'uomo affinché essi siano sua dimora, affin-
ché egli abiti e riposi nel corpo come nella propria casa, avendo come
sposa piena di bellezza l'anima diletta»492 • Sottolineando l'unità fon-
damentale del composto umano, l'unità dell'anima e del corpo nella
persona umana e il loro comune destino, san Gregorio Palamas scri-
ve: «Qual è la gioia, qual è il movimento del corpo che non sono un' at-
tività comune all'anima e al corpo? [. .. ] Esistono, infatti, delle passio-
ni beate, attività comuni che non inchiodano lo Spirito alla carne,
ma che attirano la carne fino a una dignità prossima a quella dello Spi-
rito e la obbligano, anch'essa, a volgersi verso l'alto. Quali sono? So-
no le attività spirituali che non vengono dal corpo all'intelligenza
[.. .] ma discendono dall'intelligenza nel corpo, per trasformarlo in me-
glio e deificarlo per mezzo di queste azioni e di queste passioni[ ... ].
Negli uomini spirituali, la grazia dello Spirito,. trasmessa al corpo at-
traverso la mediazione dell'anima, dà anche ad esso l'esperienza del-
le cose divine e gli permette di provare la stessa passione dell'anima
che possiede l'esperienza divina; quest'anima, poiché prova la passio-
ne. delle cose divine, senza dubbio possiede una parte appassionata,
degna di lode e divina[ ... ]. Quando essa persegue questa attività bea-
ta, deifica anche il corpo; il corpo allora non si muove, spinto dalle
488 Cfr. lRENEo DI LIONE, Contro le eresie, V, 6, 1; 16, 1; Dimostrazione della predicazione apo-
stolica, 11; 32; 97. GREGORIO PALAMAS, Prosopopea, PG 150, 1361C. Ciò deriva dall'afferma-
zione patristica corrente che l'uomo è stato creato a immagine di Dio-uomo.
489 Triadi, Il, 2, 13. .
490 GREGORIO PALAMAS, Omelie, 12, PG 150, 153C.
491 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla teologia e sull'economia, Il, 88. GREGORIO
PALAMAS, Triadi, III, 3, 12. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), Iv, 34; XV, 38.
492 Omelie (Coli. Il), XLIX, 4.
118 .
passioni corporee e materiali, [. ..] ma ritorna su se stesso, rigetta ogni
relazione con le cose cattive e ispira egli stesso la sua deificazione e
una deificazione inalienabile»493 •
119
creazione, riconosceva con il suo spirito, nella percezione di ciascu-
no di essi, i loro l6goi o ragioni spirituali. La sua percezione sensibile
era così subordinata alla contemplazione naturale (theiirfa physiké). In
questo modo, egli faceva di tutte le facoltà che intervengono nella per-
cezione sensibile e, in primo luogo, di tutti i sensi, un uso normale, sa-
no, conforme alla loro finalità naturale; per questo egli conservava l' a-
nima pura, come indica san Massimo assegnando lo stesso compito al-
l'uomo restaurato in Cristo: «Si conserva l'anima senza macchia per
l'amore secondo Dio [. .. ] se si insegna ai sensi a percepire [ ... ] il mon-
do visibile e tutte le cose che esso contiene, perché essi trasmettono
ali' anima la grandezza delle ragioni (l6goi). che sono al centro delle co-
se»495. San Niceta Stetatos scrive nella stessa prospettiva: «Quando
lo spirito perviene alle cose soprannaturali, i sensi rimangono secon-
do la natura. Essi si aprono alle cause fuori da ogni passione. Non cer-
cano che le loro ragioni (l6goi) e le rispettive nature. Essi discernono
senza errore le loro energie e le loro qualità. Non sono colpiti, né so-
no portati verso di esse contro natura»496 •
Altrove san Niceta Stetatos insegna che in «tutte le azioni ramifi-
cate nei sensi, la vista, l'udito, l'odorato, il gusto, il tatto, questi sono
mossi secondo la natura se comportano il meglio»497 • E i Padri ricor-
dano ali' occorrenza qual è questo uso normale, conforme alla natu-
ra, dei sensi. Sant' Atanasio precisa, così, che «il corpo ha gli occhi
allo scopo di vedere la creazione e conoscere il suo Creatore nell' or-
dine armonioso di essa»498 • Anche san Giovanni Crisostomo scrive:
«Gli occhi vi sono stati dati affinché, di fronte alla creazione, rendia-
te gloria al Signore>>499 ; o ancora: <<L'occhio è fatto per celebrare il Crea-
. tore nel vedere le creature di Dìo»500 • E san Serapione di Thmuis ri-
corda nella stessà prospettiva501 queste parole che il salmista rivolge a
Dio: «Sollevo gli occhi verso di te che abiti nei cieli. Ecco: come gli
occhi dei servi sono rivolti verso i loro padroni, [ ... ] così i nostri occhi
sono rivolti al Signore, nostro Dio» (Sa! 123 [122],1-2). Allo stesso mo-
do, le orecchie sono state create affinché l'uomo possa «ascoltare le
divine parole e le leggi di Dio»502 e affinché egli possa ascoltare Dio in
120
tutti i suoni del mondo. Ugualmente, l'odorato è stato concepito af-
finché esso senta in ogni essere <<il profumo di Cristo» (2Cor 2,15) 503 ,
il gusto affinché in ogni alimento possa «gustare e vedere come è buo-
no il Signore» (Sal 34[33],9), e il tatto affinché tocchi in tutte le cose
il Verbo di Dio (cfr. lGv 1,1). In breve, la finalità dei sensi è quella
di contribuire a unire a Dio le creature sensibili, conformemente al
compito che Dio ha assegnato all'uomo nel crearlc504 • Ecco perché san
Niceta Stetatos scrive: «Dotati di sensi, dobbiamo percepire bene le
cose sensibili, attraverso la loro bellezza elevarci verso il Creatore, e
ricondurre a lui la conoscenza irreprensibile delle cose»505 •
Utilizzando i suoi sensi e subordinandoli al suo spirito nel con-
templare le ragioni spirituali degli esseri, Adamo aveva di questi
una percezione obiettiva, li conosceva nella loro vera natura, discer-
neva senza errore, come afferma san Niceta Stetatos, le loro energie
e qualità506 •
Adamo ed Eva, prima del loro peccato, percepivano la realtà in mo-
do identico, poiché tutte le loro facoltà e tutti i loro sensi erano inte-
ramente accordati al Dio uno, e percepivano ogni cosa secondo lui.
Come i sensi, così tutti gli organi del corpo dell'uomo e il suo stato
paradisiaco si esercitavano secondo la loro natura e la loro vera fina-
lità che è quella di agire secondo Dio e di operare in vista della deifi-
cazione. Allo stesso modo devono esercitarsi nell'uomo rinnovato in
Cristo, ciò che fa dire all'Apostolo: «Vi esorto, in nome della miseri-
cordia di Dio, a offrire i vostri corpi come un sacrificio vivente, san-
to e gradito a Dio» (Rm 12,1).
Nell'essere umano così come voluto da Dio, le mani hanno la fun-
zione di compiere in Dio le azioni necessarie, di servire la volontà di-
vina, di agire per la giustizia, e in particolare di tendersi verso lui nel-
la preghiera507 • Allo stesso modo, i piedi hanno la funzione normale di
permettere all'uomo di andare per servire Dio e compiere il bene508 • In
quanto alla lingua, ha la finalità di pronunciare parole di verità e quel-
121
la di cantare costantemente la gloria del Creatore. Ogni organo del cor-
po agisce in modo normale e sano quando tutto ciò si esercita in Dio,
si muove per Dio: il cùore servendo da centro alla preghiera e nel bat-
tere per Dio nell'orazione; i polmoni nel ritmare questa...
In breve, il corpo è spiritualmente sano quando tende verso Dio at-
traverso tutte le sue attività e così diviene il tempio dello Spirito San-
to (1Cor 6,19), quando i suoi sensi sono in «buon ordine»509 , quando
tutti i suoi organi sono mezzi per condurre una vita virtuosa, sono vie
di contemplazione e strumenti dell\mione con Dio.
della necessità per lo spirito dell'uomo decaduto «di aver sedato i sensi e di averli guariti dalla
malattia» (ibid., 30). Nel Discorso 1, egli parla della <<malattia delle sensazioni>>.
512 Omelie (Coll. Il), Il, 2.
m Cfr. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 53.
514 Cfr. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 23. _
515 È così che Niceta Stetatos parla della <<Schiavitù dei sensi>> (Centurie, I, 20).
122
spirituali. È in questo senso che sant'Isacco il Siro parla della <<ma-
lattia delle sensazioni.>>516 •
Anziché servire Dio e compiere la sua volontà, i sensi e gli organi
fisici dell'uomo decaduto entrano al servizio dei suoi desideri carna-
li, gli servono a compiere il peccato e a trattenere le sue passioni.5 17 •
Egli li utilizza in primo luogo per ottenere la voluttà sensibile che egli
ricerca. Così egli si serve dei suoi occhi «in maniera perversa>>518 per
fornire alla sua cupidigia oggetti sensibili e godere di questi con lo
sguardo. Utilizza le sue orecchie, ugualmente «in maniera perversa>>5 19,
per ascoltare le parole cattive e per goderne, per prestare attenzione
alle parole vane e per divertirvi il suo spirito. Il gusto entra al servi-
zio della passione della gastrimargia. L'odorato è «rivolto verso la va-
rietà dei profumi erotici»520 • L'organo del tatto serve a molte passioni.
Lontane da Dio, le facoltà cognitive smettono di interpretare secondo
lo Spirito il dato sensibile. Non percependo più negli esseri le energie
divine che definiscono la loro autentica natura, l'uomo decaduto
non ne ha più una giusta percezione, obiettiva, cioè conforme alla
loro stessa realtà, adeguata a ciò che essi veramente sono. «Quasi
tutto ciò che noi vediamo, lo vediamo diversamente da quello che
è», constata sant' Ambrogio521 • L'uomo percepisce gli esseri in funzio-
ne dei suoi desideri sensibili, li situa e li ordina, dà loro senso e valo-
re, in funzione delle sue passioni. Allora la percezione diviene sogget-
tiva e variabile in quanto non si accorda più con la realtà stessa degli
oggetti sui quali essa si porta, ma costituisce una proiezione della co-
scienza decaduta di ciascuno, e cambia secondo la forma, la riparti-
zione e il grado dei suoi desideri passionali. Il fatto che, malgrado que-
ste differenze, tutti gli uomini possono essere considerati grosso mo-
do come coloro che percepiscono attraverso i sensi la realtà più o meno
nella stessa maniera, non significa affatto che la loro percezione sia
obiettiva, ma manifesta semplicemente l'accordo delle soggettività che
condividono un decadimento comune, l'unicità fondamentale delle
deformazioni subite dalla facoltà percettiva degli eredi di Adamo.
Gli organi del corpo, dal peccato, sono allo stesso modo distolti dal-
la loro finalità originale, dalla loro normale funzione, e agiscono pa-
123
tologicamente. Nel descrivere le conseguenze del peccato ancestrale,
sant' Atanasio spiega come lanima fece agire a rovescio tutte le fun-
zioni corporee: «Così essa mise in movimento le mani verso lo scopo
opposto, facendo loro commettem l'omicidio»; distolse gli organi ses-
suali <<Verso l'adulterio invece della procreazione Ìegittima; quanto al-
la lingua, le fece pronunciare, anziché parole di benedizione, maledi-
zioni, ingiurie, falsi giuramenti>>522 ; le mani, ancora una volta, le fece
colpire e derubare gli uomini, nostri simili523 ; i piedi, essa li rivolse «ver-
so l'agilità per versare sangue (Sal 13,3 )524 , lo stomaco verso l'ebbrez-
za e una sazietà inappagata>>525 • San Giovanni Crisostomo scrive allo
stesso modo: «Guardiamo le nostre membra: anch'esse saranno cau-
sa della nostra rovina, se non vi facciamo attenzione; questo non av-
verrà per il fatto della loro natura, ma della nostra negligenza»526 •
Esercitandosi così contro natura, i sensi e gli organi fisici agiscono
in modo insensato, folle. San Niceta Stetatos parla della «sragione»
dei sensi527 • E sant'Atanasio scrive, sottolineando il coinvolgimento del-
1'anima in questo deviamento: «Se un corridore salendo a cavallo nel-
lo stadio dimenticasse lo scopo per cui deve correre e si allontanasse
per spingere semplicemente il suo cavallo per quanto egli può - e lo
può fintanto che lo vuole-, e a volte si lanciasse sui passanti, talvolta
si gettasse nei precipizi, lasciandosi condurre dalla rapidità del suo ca-
vallo, pensando che a correre così non mancherà il suo scopo, così [fa-
rebbe] l'anima che si allontanasse dalla via che conduce a Dio, e spin-
gesse le membra del corpo al di fuori della via debita, o piuttosto si la-
sciasse spingere con esse»528 •
522 Contro i pagani, 5. Vedi anche Pro 6, 17. GIOVANNI CRrsoSTOMO, loc. cit.
52' L'autore dei Proverbi parla anche «delle mani che versano sangue innocente» (Pro 6,
17). Cfr. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), II, 2.
524 I Proverbi ricordano, in modo più generale, i «piedi solleciti a correre al male» (Pro 6,18).
124
PARTE SECONDA
NOSOGRAFIA, SEMIOLOGIA
E PATOGENESI
DELLE MALATTIE SPIRITUALI
LE PASSIONI
I
Distogliendo da Dio le diverse facoltà della sua anima e del suo cor-
po e orientandole verso la realtà sensibile per ricercarvi il piacere, l'uo-
mo fa nascere in sé le passioni (pdthe), chiamate anche vizi (kakiai).
Queste, affermano unanimemente i Padri, non fanno parte della na-
tura dell'uoma1. «Esse non sono state incluse nell'immagine di Dio»,
ricorda san Basilia2. <<Le passioni non sono state create all'inizio con
la natura, altrimenti farebbero parte della sua definizione», scrive
san Massimo3 • Esse sono, afferma san Niceta Stetatos, «assolutamen-
te estranee, per nulla appartenenti alla natura dell'anima>>4 • Sant'Isac-
co il Siro osserva allo stesso modo: «Le passioni vengono ad aggiun-
gersi [ .. .].Difatti l'anima è naturalmente impassibile[. .. ]. Noi cre-
diamo che Dio abbia fatto l'uomo a sua immagine: impassibile[. .. ].
Quando, dunque, [l'anima] si lascia andare ai movimenti passionali,
essa è dichiaratamente al di fuori della sua natura. Ciò è quanto han-
no affermato i padri adottivi della Chiesa. Le passioni sono entrate nel-
1' anima in seguito, e non è giusto dire che esse sono ciò che è pro-
prio dell' aninia, mentre invece è l'anima a essere guidata dalle passio-
ni. È chiaro, dunque, che lanima è guidata da ciò che le è esterno e
non da ciò che le è proprio»5• <<Lo stato contro natura dell' [anima] è
il movimento passionale. Ciò è quanto afferma il divino e grande Ba-
silio. Quando l'anima è nel suo stato naturale, essa conduce la sua vi-
ta verso l'alto. Quando essa è al di fuori della sua natura, viene a tro-
varsi in basso sulla terra. Quando essa è in alto, si scopre impassibi-
1 Oltre ai riferimenti dati sopra vedi: DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XI, 134. GIO-
VANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, rv, 20. EVAGRIO PONTICO, Lettere,
18. ANTONIO L'EREMITA, Lettere, 5; 5 bis.
2 Omelie sulla formazione del!'uomo, I, 8.
' Questioni a Talassio, 1.
4 I.:anima, 69.
5 Discorsi ascetici, 82.
127
le. Ma quando la natura è al di fuori del suo proprio ordine, allora le
passioni sono in essa»6 • Altrove, lo stesso san Basilio scrive, usando un
lessico medico, come si noterà: «È chiaro che la salute esiste nella
natura prima dell'irruzione della malattia. Se è proprio così - ed è la
verità stessa -, la virtù è nell'anima naturalmente. Quanto avviene in
seguito è al di fuori della sua natura [. ..] . Dal momento che è a tutti
noto che la purezza è connaturale all'anima, occorre affermare che [le
passioni] non esistono naturalmente. Difatti la malattia è seconda, vie-
ne dopo la salute»7 • Quest'ultimo passaggio segue molto da vicino
un'osservazione di Evagrio: «Se la malattia è seconda in rapporto al-
la salute, è evidente che anche la malizia è seconda in rapporto alla
virtù>>8 • San Giovanni Climaco, da parte sua, afferma: «Non vi è, a mo-
tivo della sua stessa natura, né vizio né passione nella natura [del-
l'uomo]; Dio, infatti, non è il creatore delle passioni>>9; «Dio non è
né l'autore né il creatore del male; s'ingannano coloro che affermano
che De] passioni sono connaturali all'anima» 10 •
Le passioni appaiono, perciò, come il prodotto di una invenzione
dell'uomo stesso, in conseguenta del peccato ancestrale. San Maca-
rio insegna: è «per la disobbedienza del primo uomo [che] abbiamo
ricevuto in noi un elemento estraneo alla nostra natura, la malizia del-
le passioni; passato nell'abitudine e nella predisposizione inveterata,
esso è divenuto come nostra natura>>11 • San Massimo scrive ugualmente:
«lo affermo, per averlo appreso dal grande Gregorio di Nissa, che le
passioni sono state introdotte e come innestate nella parte irraziona-
le dell'anima a causa della caduta fuori della perfezione. È a motivo di
tale caduta che invece di portare l'immagine beata e divina, fin dal mo-
mento della trasgressione l'uomo lia iniziato a rassomigliare chiara-
mente e visibilmente agli animali senza ragione» 12 • Le passioni sono,
in altri termini, l'effetto di un cattivo uso del libero arbitrio dell'uo-
mo, il frutto della sua volontà personale dissociata dalla sua volontà
naturale in armonia con quella di Dio. A questo proposito così scri-
ve sant'Isacco: «Le passioni vengono dunque ad aggiungersi, e la cau-
sa di questa aggiunta è nell'anima stessa>>13 • San Giovanni Damasceno
6 lbid., 83.
7 Ibid.
8 Capitoli gnostici, I, 41.
128
precisa: «Tutto ciò che Dio ha fatto è molto buono, tutto ciò che
permane come egli lo ha creato è molto buono. Ciò che si separa vo-
lontariamente dal naturale e va contro natura diviene cattivo. Tutto
ciò che serve e obbedisce al Creatore è secondo la natura. Quando una
creatura,volontariamente, si rivolta contro e disobbedisce al suo Crea-
tore, costruisce il male in se stessa»14 •
Solo le virtù, lo abbiamo dimostrato, appartengono alla natura del-
l'uomo, ed è allontanandosi dalle virtù che questi introduce in sé le
passioni, di modo che queste ultime debbono essere in primo luogo
definite negativamente come l'assenza, la mancanza delle virtù corri-
spondondenti, le quali costituiscono la somiglianza di Dio nell'uomo.
San Doroteo di Gaza spiega così: «Abbiamo bandito da noi le virtù
e introdotto al loro posto le passioni [ ... ]. Avviene naturalmente che
·noi possediamo le virtù che ci sono state date da Dio. Nel creare l'uo-
mo, Dio le ha messe in lui secondo la parola: "Facciamo l'uomo a no-
stra immagine e a nostra somiglianza" (Gn 1,26) [...]; "a nostra so-
miglianza", cioè secondo la virtù [ ... ]. Dio, dunque, con la natura d
ha donato le virtù. Le passioni, però, non sono naturali: non hanno né
essere, né sostanza, somigliano alle tenebre che non esistono per se
stesse, ma[...] esistono solo per la privazione della luce 15 • Allonta-
nandosi dalle virtù per amore del piacere, l'anima ha provocato la na-
scita delle passioni, poi le ha consolidate in sé»16 • San Giovanni Da-
masceno afferma la stessa cosa: «Il male non è nient'altro che l' allon-
tanamento dal bene così come la tenebra è l'assenza di luce. Ciò significa
che se noi, uomini, rimaniamo nel nostro stato naturale, allora siamo
nella virtù, ma se noi ci allontaniamo dallo stato naturale, giungiamo
a uno stato contro natura (parà phjsin), vale a dire ai vizi>>17 •
Le virtù costituiscono, lo abbiamo visto, nel funzionamento secon-
do la loro natura, o in altre parole, secondo la finalità che Dio ha loro
assegnato nel creare la natura umana, delle facoltà, potenze o tenden-
ze dell'uomo. Esse corrispondono all'uso e al significato normali era-
zionali (logik6s) di queste facoltà, che sono, lo abbiamo visto, quelli di
orientare e di elevare l'uomo verso Dio; logik6s del resto, per i Padri,
significa conforme al Logos, all'immagine e alla somiglianza con cui
l'uomo è stato creato. Le passioni sono costituite, al contrario, dal fun-
zionamento contro natura (cioè distolte dalla loro finalità naturale e
129
normale, cioè da Dio) delle facoltà dell'anima e degli organi del cor-
po18, dalla loro deviazione, dalla loro perversione, dal cattivo uso (pard-
chresis). San Giovanni Damasceno definisce, così, le passioni come una
«deviazione volontaria da secondo-natura a contro-natura» 19. Anche
san Niceta Stetatos ritiene che le «passioni dell'anima [siano] susci-
tate dalle potenze che vanno contro la sua natura>>20 . San Giovanni Cli-
maco scrive allo stesso modo: «Siamo noi stessi che abbiamo cam-
biato in passioni le qualità costitutive della nostra natura»21 . San Ta-
lassio parla ugualmente della trasformazione delle virtù in vizi22 • E san
Basilio Magno spiega: <<Abbiamo ricevuto da Dio la tendenza natu-
rale a fare ciò che egli comanda[ ... ]. Nell'usare convenientemente e
legalmente queste forze noi viviamo santamente nella virtù; nel di-
stoglierle dal loro fine, noi siamo, al contrario, portati verso il male.
Tale è, infatti, la definizione del vizio: l'uso, cattivo e contrario ai co-
mandamenti del Signore, delle facoltà che Dio ci ha donate per il be-
ne, e tale, di conseguenza, è la definizione della virtù che Dio esige da
noi: l'uso coscienzioso di queste facoltà secondo lordine del Signo-
re»23. San Gregorio Palamas insegna ugualmente che <<il cattivo uso
delle potenze dell'anima genera passioni detestabili>>24 • E san Massi-
mo, che afferma spesso il carattere contro natura delle passioni25 , pre-
cisa allo stesso modo: «Nulla di ciò che è, è cattivo, ma solo il cattivo
uso, a causa della negligenza del nostro spirito nel coltivarsi secondo
natura>>26 ; <<il peccato in ogni cosa, è il cattivo uso»27 ; «nella misura in
cui noi usiamo male le potenze della nostra anima: concupiscibile, ira-
18 È così che i Padri distinguono generalmente tra le «passioni dell'anima» e «le passioni del
corpo» (vedi EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 35; 36. MASSIMO IL CON-
FESSORE, Centurie sulla carità, I, 64. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 8_ GIOVANNI DAMASCE-
NO, Discorso utile all'anima. ELIA Ecrnco, Capitoli gnostici, 122). Tuttavia, le passioni del corpo
hanno, come vedremo, il loro principio nell'anima, e quindi un certo numero di passioni im-
plicano tanto l'anima che il corpo. Ogni passione, d'altra parte, implica in qualche misura la to-
talità delle facoltà dell'anima (intellig=a, volontà, memoria, desiderio, irascibilità, immagina-
zione, ecc.). Benché in senso stretto le passioni colpiscano essenzialmente <<la parte passionale
dell'anima>>, costituita dalla facoltà di desiderio e dalla facoltà irascibile che sono le pot=e pas-.
sionali (pathetikaì dyntimeis), i Padri spesso parlano anche delle passioni della «parte razionale
dell'anima>>, la quale include l'intellig=a o spirito (nous).
19 Esposizione esatta della fede ortodossa, rv, 20.
2° Centurie, I, 37.
21 La Scala, XXVI, 141.
22 Cfr_ Centurie, I, 89.
23 Regole lunghe, 2.
24 Triadi, II, 2, 19.
25 Gr. Centurie sulla carità, II, 16; Questioni a Talassio, 55. Lo scoliaste di quest'opera parla
abitualmente di <<passioni contro natura>> (ibid. 39, scolio 4 e 9; 51, scolio 4).
26 Centurie sulla carità, ID, 4.
27 Ibid., 86.
130
scibile e razionale, i vizi s'installano in essa>>28• Anche su questo pun-
to vi è un insegnamento di Evagrio. Questi, che constata che i vizi
distruggono <<le attività naturali dell'anima>>29 , spiega più dettagliata-
mente: «Se tutta la malizia è generata dall'intelligenza, dalla potenza
irascibile, e dalla potenza concupiscibile, e se, queste potenze, ci è pos-
sibile usarle bene o male, è evidente dunque che attraverso l'uso
contro natura di queste parti [dell'anima] ci giungono i mali. E se è
così, non vi è nulla che è stato creato da Dio che sia cattivo»30 • Ori-
gene ugualmente constata: «Tutti i movimenti dell'anima, Dio, l'Au-
tore di tutte le cose le ha create per il bene. Ma in pratica, accade
che gli oggetti buoni ci conducono al peccato, perché noi li usiamo
male»31 . E così che san Massimo può far notare che al diavolo, «che
ha concentrato la lotta contro la virtù e la conoscenza>>, è sufficiente
<<Scombussolare l'anima per mezzo delle potenze che sono in essa», in-
citando l'uomo a pervertire il loro uso, ad invertire il significato del lo-
ro esercizio32 .
Poiché le passioni sono costituite per l'allontanamento delle facoltà
dal loro scopo divino normale e per l'uso contro natura di queste in
vista del conseguimento del piacere sensibile, esse sono movimenti sre-
goiati e irrazionali dell'anima: «La passione», scrive san Massimo, «è
un movimento dell'anima contro natura, in seguito a un amore irra-
zionale o a un'avversione irriflessiva per un oggetto sensibile qualun-
que»33 ·.
Per questo motivo, ma anche a causa di tutti gli altri turbamenti che
le sono inerenti e i numerosi sregolamenti che esse producono all'a-
nima, le passioni possono a giusto titolo essere considerate come for-
me di follia. Sant' Atanasio d'Alessandria parla così di <<Uomini cadu-
ti nella follia delle passioni»34 . San Giovanni ·Crisostomo afferma: «I
vizi non sono che follia>>35 ; altrove spiega: «Ogni passione funesta ge-
nerata nella nostra anima produce in noi una sorta di ubriachezza [. ..]
e offusca.la nostra ragione. Perché l'ubriachezza non è null'altro che
la deviazione dello spirito dalle sue vie naturali, la deviazione dei ra-
28 Ibid., 3.
29 Capitoli'gnostici, IV, 22.
30 Ibid., III, 59.
31 Omelie sul Cantico dei Cantici, II, L Vedi anche GREGORIO DI NISSA, La creazione del-
131
gionamenti e la perdita della coscienza>>%. Già l'Ecdesiaste scriveva:
<<Mi detti a riflettere per riconoscere il male come follia (aphrosyneJ»
(Qo 7,25). Frequentemente, i Padri presentano la vita nel peccato e le
passioni come uno stato di follia37 •
Ancora più frequentemente, usano il termine malattia per indica-
re le passioni e i peccati abituali che ne derivano. Il termine greco
pathos che indica la passione, ha la radice in comune con i termini
pdthe e p_dthema che significano «malattia>>; l'accostamento tra queste
nozioni è praticamente sempre implicito, ma molte volte i Padri lo sta-
biliscono esplicitamente; «Praticando il male, scrive per esempio san
Doroteo di Gaza, prendiamo un'abitudine strana e contro natura, con-
traiamo una sorta di malattia cronica>>38 • Le passioni sono «le malattie
dell'anima (psyches n6soi)», afferma più nettamente Clemente d'Ales-
sandria39. Sant'Ammona le descrive allo stesso modo40 • San Niceta Ste-
tatos parla della «malattia delle passioni»41, come anche san Macario42 •
<<L'anima, questi scrive, è caduta dopo la trasgressione del comanda-
mento, nella malattia delle passioni>>43 ; Dio «sa a quali mali l'anima sia
sottomessa, come sia impedita a compiere le opere della vita e come
sia divenuta preda della malattia opprimente delle passioni disono-
ranri>>44. Evagrio definisce <<la malizia>>, opposta alla virtù e ritenuta di
conseguenza come l'insieme delle passioni, «malattia dell'anima>>45 •
San Massimo insegna: «Ciò che la salute e la malattia sono per il cor-
po del vivente[...], la virtù e il vizio Do sono] in rapporto all'anima»46•
E sant'Isacco il Siro scrive allo stesso modo: «Avviene per le cose
36 Catechesi battesimali, V, 4_ Cfr 5; 6; Omelie sui demoni, I, 7; Commento a san Matteo, IX,
97; 98; 201; 250. TEODORETO DI CIRO, Discorso sulla Provvidenza, I, PG 83, 560A. ERMA, Il
Pastore, Similitudini, VI, 5, 3; IX, 22, 3. GIOVANNI CRISOSTOMO, Catechesi battesimali, VI, 22.
GIUSTINO, Dialogo, 95. METODIO D'OLIMPO, Il Banchetto, V, 5_ SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO,
Catechesi, XV, 48; 53; Inni, XX, 126-127. NICETA STETATOS, Centurie, I, 34.
38 Istruzioni spirituali, XI, 122. Cfr. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 463.
cato».
44 Ibid., XXVI, 3, 4. Le passioni appaiono considerate anche come malattie in: Capitoli pa-.
ra/rasati, 41; 100; Omelie (Coli. ill), VII, 7, 2; Omelie (Coli. II), N, 26-27; Lill, 11.
45 Capitoli gnostici, I, 41. Cfr. BASILIO DI CESAREA, Omelie sull'Hexaemeron, IX, 4: <<ll male
132
dell'anima ciò che avviene per le cose del corpo. Se, dunque, la virtù
è naturalmente la salute dell'anima, le passioni ne sono la malattia>>47 •
«Se l'anima non si purifica dalle passioni, non guarisce dalle malattie
del peccato», egli aggiunge48. «Vì sono molte malattie nell'anima», scri-
ve Origene prima di elencare, a titolo di esempio, differenti passioni49 •
Tutti questi esempi riportati finora sono solo alcuni tra quelli che ve-
dremo nell'esaminare ogni passione5°.
133
termina, che il vizio particolare riceve la sua denominazione»51 • In que-
sto testo, che possiamo considerare rappresentativo del modo di ve-
dere dei Padri, la passione appare chiaramente concepita e definita co-
me malattia non in modo allegorico o semplicemente per dare un'im-
magine, e neanche in virtù di una semplice comparazione, ma, come
precisa lo stesso san Giovanni Cassiano, a motivo dell'analogia vera,
ontologica, che esiste tra le affezioni del corpo e quelle dell'anima, e
che autorizza a parlare delle une e delle altre in termini medici iden-
tici. Nella maggior parte dei casi in cui vedremo i Padri usare, per de-
scrivere le passioni, il vocabolario abitualmente applicato alla patolo-
gia del corpo, dovremo sapere che non si tratta di figure retoriche, ma
di un modo di esprimersi perfettamente adeguato alla realtà che essi
vogliono descrivere, ossia di un modo preciso e diretto per dire le co-
se così come sono. L'analogia che vige tra i due ordini di realtà per-
metterà all'inizio di descrivere le affezioni somatiche in termini riser-
vati, eventualmente, alle malattie dell'anima; e se è attraverso il voca-
bolario della patologia corporea che i mali dell'anima sono generalmente
presentati, è più facile andare dal visibile all'invisibile che non l'in-
verso, particolarmente quando si tratta d'istruire coloro che hanno po-
ca familiarità con le realtà spirituali.
Molte passioni/malattie possono colpire l'anima dell'uomo deca-
duto, in corrispondenza ai movimenti patologici di cui sono suscetti-
bili le sue diverse facoltà, potendo per di più alcuni di questi movi-
menti combinarsi tra loro. San Giovanni Cassiano offre così questa
classificazione per illustrare le sue argomentazioni sopra citate: «Se
la peste viziosa infetta la parte razionale, genera la cenodossia52 , l'e-
saltazione, lorgoglio, la presunzione, la durezza, leresia. Se ferisce la
parte irascibile, essa partorisce il furore, l'impazienza, la tristezza,
l'acedia, la pusillanimità, la crudeltà. Se corrompe la parte concupi-
scibile, produce la gastrimargia53 , l'impurità, l'amore del denaro, l' a-
varizia, desideri perniciosi e terreni>>54 • San Giovanni Damasceno,.che
utilizza, nel suo Discorso utile al!'anima, lo stesso principio di classi-
ficazione, fornisce una lista più dettagliata55 • In un altro punto dello
stesso Discorso, presenta un catalogo ancora più lungo sulla base del-
la distinzione delle passioni dell'anima e delle passioni del corpo: <<Le
134
passioni dell'anima sono l'oblio, la negligenza e l'ignoranza, questi tre
vizi attraverso cui l'occhio dell'anima - l'intelligenza - accecato è
sottomesso a tutte le passioni, che sono l'empietà, la falsa opinione,
cioè ogni eresia, la bestemmia, la frenesia, la collera, l'acredine, l'im-
peto d'ira, l'odio per gli uomini, il rancore, la calunnia, la condanna,
la tristezza irrazionale, la paura, la viltà, la disputa, la rivalità, la gelo-
sia, la varutà, l'orgoglio, l'ipocrisia, la menzogna, l'infedeltà, l'avidità,
l'amore per le creature, le inclinazioni passionali, il possesso delle
cose terrene, l' acedia, la bassezza d' arumo, l'ingratitudine, la mormo-
razioµe, l'alienazione, la presunzione, l'arroganza, la millanteria, l' a-
more del potere, il desiderio di piacere agli uomini, l'astuzia, l'impu-
denza, l'insensibilità, ladulazione, l'ipocrisia, la dissimulazione, la dop-
piezza, il consenso che la parte passionale dell'anima dà ai peccati, la
pratica continua di questi peccati, la dispersione dei pensieri, la fi-
lautia [. ..],l'amore per il denaro [. .. ],la malignità e la cattiveria. Le
passioni del corpo sono la golosità, l'ingordigia, l'ubriachezza [. ..],la
lussuria, l'adulterio, l'impudicizia, l'impurità, il godimento, l'amore di
ogni sorta di piaceri, la corruzione dei bambini, [...] le cattive brame
e tutte le passioni infami contro natura; il furto, il sacrilegio, il bri-
gantaggio, l'omicidio e ogni licenza e godimento delle volontà della
carne per confortare sempre più il corpo; gli oracoli, i sortilegi, i pre-
sagi, gli aruspìci, lamore dello sfarzo, la frivolezza, l'indolenza, [. ..]
l'ozio deplorevole, le distrazioni, i giochi d'azzardo, il cattivo uso pas-
sionale dei piaceri del mondo, la vita che ama il corpo»56 • Quanto a
san Massimo il Confessore, adottando completamente la classificazione
stabilita sulla base delle tre funzioni principali dell'anima, elabora pa-
rallelamente una classificazione delle passioni in altre tre categorie:
quelle che derivano dalla ricerca del piacere, quelle che provengono
dall'evitare la sofferenza e, inEne, quelle che sono nate dalla congiun-
zione di queste due tendenze. «Nel cercare di ottenere il piacere e di
evitare la sofferenza, egli scrive, l'uomo inventa forme diverse e nu-
merose di passioni corruttrici, per esempio se per il piacere si coltiva
l'amore di sé (philautia), si suscitano in sé la golosità, l'orgoglio, la va-
nità, la presunzione, lavarizia, l'avidità, la tirannia, l'arroganza, l' o-
stentazione, la crudeltà, il furore, il sentimento di superiorità, la te-
stardaggine, il disprezzo degli altri, l'ingiuria, l'empietà, i costumi li-
cenziosi, la prodigalità, la depravazione, la frivolezza, la millanteria,
l'indolenza, l'insulto, l'oltraggio, la prolissità, il pettegolezzo, l' asce-
56 Ibid.
135
nità, e altri vizi di questo genere. Ma se l'amore di sé (phila,utfa) è schiac-
ciato dalla sofferenza, questo fa nascere la collera, l'invidia, l'odio, l' o-
stilità, il rancore, l'oltraggio, la maldicenza, la calunnia, la tristezza,
la disperazione, lo sconforto, la falsa accusa della Provvidenza divina,
la noncuranza, la negligenza, lo scoraggiamento, la prostrazione, la pu-
sill:mimità, la lamentela, la malinconia, l'acredine, la gelosia, e tutti gli
altri vizi dovuti alla privazione del piacere. La mescolanza sofferenza-
piacere, che genera la malevolenza e la cattiveria, fa nascere in noi
l'ipocrisia, l'ironia, l'astuzia, la dissimulazione, l'adulazione, la com-
piacenza, e tutti gli altri vizi nati da questo miscuglio»57 • «Mi è im-
possibile», aggiunge san Massimo, «elencare tutti questi vizi ed esa-
minare le forme sotto le quali essi appaiono>Y8: questa lista, dunque, .
malgrado la sua lunghezza è solo parziale, proprio come quella di
san Giovanni Damasceno citata precedentemente; essa offre solo
una semplice idea dell'immensa folla di passioni che possono colpire
l'uomo decaduto.
Tra queste diverse malattie spirjtuali ce ne sono, tuttavia, alcune che
sono più fondamentali di altre, più generali, e generiche (genik0tatoi) 59 ;
quest'ultimo termine significa che esse contengono in qualche modo
e generano tutte le altre6°.
Le principali passioni sono otto. Evagrio ne dà il seguente elenco:
«In tutto sono otto i pensieri generici che comprendono tutti i pen-
sieri: il primo è quello çlella gastrimargia (gastrimargia), poi viene quel-
lo della lussuria (porneia), il terzo è quello della filargiria (philargyria) 61 ,
il quarto è quello della tristezza (lype), il quinto quello della collera
(orgé), il sesto quello dell'acedia (akedfa), il settimo quello della ce-
nodossia (kenodoxia), l'ottavo quello dell'orgoglio (yperephanfa)»62 •
Quest'elenco fissato da Evagrio è divenuto tradizionale nell'ascetica
ortodossa63 •.
bitiche, V, 1. GIOVANNI CilMAco, La Scala, XXVII, 43, :XX, l; XXVI, 2; 33. GREGORIO MAGNO,
Moralia su Giobbe, XXXI, 45. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utile all'anima. Nn.o SORSKY,
Regola, V. Sull'origine di questa classificazione vedi I. HAUSHERR, <<l: origine de la théorie orien-
tale de huit péchés capitaux», in Orientalia christiana, XXX, 3, 1933, pp. 164-175, ripreso in
Études de spititualité orientale, Roma 1969, pp. 11-22.
136
Le otto passioni generiche corrispondono alle sette nazioni da
vincere oltre l'Egitto già vinto, di cui parla il Deuteronomio (7,1) 64 • Tal-
volta, i Padri uniscono in un solo vizio l'orgoglio e la cenodossia,
ammettendo per questo fatto solo sette passioni65 , passioni che corri-
spondono allora ai sette demoni di cui parla il Vangelo (cfr. Mt 12,45;
Mc 16,9; Le 8,2; 11,26) 66 • ·
Ali' origine di queste otto passioni principali e di tutti gli altri vizi
·che ne derivano, si trova la filautia (philautia) o amore egoistico di sé.
Tutte le passioni derivano dalla filautia67 , ma questa causa in primo
luogo tre passioni fondamentali che precedono e generano le altre
cinque delle otto principali, poi tutte le altre: sono la gastrimargia, la
filargiria e la cenodossia68 • «La filautia, l'ho ripetuto più volte, scrive
san Massimo, è all'origine di tutti i pensieri passionali. Da essana-
scono, infatti, i tre vizi generici della cupidigia: gastrimargia, filargi-
ria, cenodossia»69 • Tutto ciò corrisponde all'insegnamento di Evagrio:
«Dei demoni che si oppongono alla praxis70 , i primi a farci guerra so"
no quelli che hanno l'incarico degli appetiti della gastrimargia, quel-
·Ii che suggeriscono la filargiria e quelli che invitano alla gloria uma-
na. Tutti gli altri vengono dopo»71 • «Ecco perché, fa notare, il dia-
volo insinuò questi tre pensieri al Salvatore, invitandolo prima di tutto
a cambiare le pietre in pane, in secondo luogo promettendogli il mon-
do se si fosse prostrato ad adorarlo, in terzo luogo dicendogli che sa-
rebbe stato glorificato se lo avesse ascoltato»72 • Queste tre passioni
primordiali sono in qualche modo le più immediate, quelle che ap-
paiono in primo luogo e sono le più diffuse tra gli uomini. Queste so-
no anche quelle che aprono la porta a tutte le altre: «Nulla cade sot-
to il potere di un demonio se non è stato all'inizio ferito da questi tre
capifila», osserva Evagrio73 • Vedremo, del resto fintanto che l'uomo
non li ha vinti, non può essere liberato dalle altre passioni; al con-
lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 71. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utile all'anima. ESICHIO DI
BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 202. NICETA STETATOS, Centurie, Il, 6.
68 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Il, 56; m, 56. TALASSIO, Centurie,
III, 87-90. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, l; XXVI, 2; 33; 93.
69 Centurie sulla carità, ID, 56. Vedi anche TALASSIO, Centurie, ID, 87.
70 Questo termine, lo vedremo, indica tradizionalmente la vita ascetica.
71 Sui diversi pensieri della malvagità, L
72 Ibid.
73 Loc. cit.
137
trario, quando egli li ha vinti, può facilmente eliminare le passioni che
rimangond4 •
Queste tre passioni principali hanno tre discendenti immediati, ci
insegna san Massimo: «Dalia gastrimargia nasce la lussuria, dalla fi-
largiria la pleonessia75 , dalla cenodossia nasce l' orgoglio»76 . Tutte le al-
tre passioni vengono indifferentemente da tutte queste77 •
Segnaliamo, tuttavia, che quest'ordine di produzione non ha un va-
lore assoluto, ma è solo indicativo di ciò che avviene generalmente, e
che tale passione conduce a talaltra col favorirla anziché col causarla,
in senso vero e proprio. Se è vero, d'altra parte, che una passione apre
la porta a un'altra (per esempio la gastrimargia alla lussuria), essa non
è l'unico fattore che la favorisce.
In linea generale, la classificazione delle passioni che abbiamo
presentato non potrà essere limitativa ed esclusiva, come abbiamo già
fatto notare, e non deve in alcun caso essere compresa in modo rigi-
do e scolastico. D'altronde, i Padri offrono, talvoltà parallelamente,
elenchi di diverse passioni secondo le circostanze del loro insegna-
mento78. Tali classificazioni non hanno valore assoluto, ma costitui-
scono, ai fini dell'insegnamento spirituale e della pratica ascetica, stru-
menti comodi. Noi stessi ricorreremo a tali classificazioni in quanto ci
permettono una comprensione più agevole delle cose e un approccio
più semplice di una realtà complessa e multiforme.
D'altra parte, è evidente che i tipi di filiazione tra le passioni, che
abbiamo mostrato, indicano solo tendenze generali e non escludono
altri modi di generazione né altri generi di relazioni. Abitualmente i
Padri insegnano anche che le passioni sono tutte in relazione le une
alle altre, s'implicano e si rafforzano mutuamente, affermando che ogni
passione genera tutte le altre79 . San Marco l'Eremita scrive: «Non d
deve sembrare strano l'essere attratti con violenza non solo dai pen-
sieri che amiamo, ma anche da quelli che odiamo; nella misura in cui
vi è una cattiva affinità tra essi, le suggestioni cooperano ai nostri de-
NI CLIMACO, La Scala, XXII, 5. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, IlI, 56. MACARIO
D'EGITTO, Omelie (Coll. Il), XL, L MARCO L'EREMITA, La legge spirituale, 96.
138
sideri e reciprocamente; quando un pensiero si è attardato in colui che
lo accarezza, esso lo fa passare alla fine al seguente, cosicché è guida-
to alla stessa maniera dal secondo, senza che vi presti attenzione, in-
trodotto a forza per la sua relazione con il primo»80 • San Gregorio di
Nissa insiste ancor più a lungo su questa interdipendenza d~e pas-
sioni che fa sì che esse si richiamino tra loro: <<Questi mali, per così di-
re, si tengono l'un l'altro, tanto che uno succede ali' altro, mentre
l'ultimo, trascinato da una certa necessità di natura, entra inevitabil-
mente con esso, come avviene per una catena quando si tira l' estre-
mità: non è possibile che l'ultimo degli anelli rimanga immobile, ma
quello che si trova alla fine della catena si muove con il primo, poiché
il movimento si propaga progressivamente e in maniera continua, a
partire dall'inizio, attraverso gli anelli intermedi. Così avviene per le
passioni umane: esse si tengono legate e unite le une alle altre, e quan-
do una prende il sopravvento, la carovana degli altri mali entra nel-
1'anima>>81.
Occorre notare, peraltro, che l'ordine nel quale si presentano e si
generano le passioni varia a seconda delle persone. Così, osserva san
Giovanni Cassiano, «le otto passioni principali insieme fanno la guer-
ra al genere umano, ma i loro attacchi non si presentano nello stesso
modo in tutti indistintamente»82 • «Qui è lo spirito della lussuria che
ha il primo posto, là domina la collera. La cenodossia rivendica lo scet-
tro in questi; in quello l'orgoglio detiene la sovranità. E, benché cia-
scuno di noi subisca gli assalti di tutti, non è nella stessa maniera né
secondo lo stesso ordine che ne siamo tormentati>>83 •
Come qui indica san Giovanni Cassiano, sarebbe illusorio per l'uo-
mo decaduto credersi esente dalle passioni, o anche solo da tale o ta-
laltra. Se qualche passione sembra non essere in noi, è perché essa non
ci appare o non s_i manifesta in quel momento; nondimeno essa esi-
ste in un certo grado nell'anima e può manifestarsi in ogni istante nel
caso che si offrano le circostanze.
In ogni caso, vi è nell'anima un'economia delle passioni tale che
quando una passione esiste con poca intensità e sembra persino as-
sente, la sua mancanza relativa è compensata dal più grande svilup-
po di una o di molte altre. Possiamo così constatare a contrario che al-
80 Il battesimo, 13.
81 Sulla verginità, rv, 5.
82 Conferenze, V, 13.
83 Ibid.
139
cune persone nelle quali tale o talaltra passione è particolarmente svi-
luppata sono pressoché esenti da altre passioni o almeno queste non
le abitano che in grado lieve84 • Talvolta,' la semplice attività intensa di
coloro che sono presi dagli affari e dalle occupazioni mondane basta
in genere a far scomparire in essi certe passioni; questo tuttavia è ve-
ro solo provvisoriamente perché le possiamo vedere riapparire non
appena questa attività perde d'intensità. San Giovanni Climaco cita
un esempio di questo processo che ha potuto egli stesso osservare:
<<l-Io visto molte persone viventi nel mondo sfuggire alla tirannia dei
desideri carnali per il semplice fatto delle cure, delle preoccupazioni,
delle conversazioni e delle veglie dedite agli affari terreni; ma una vol-
ta entrati nella vita monastica e liberi da ogni preoccupazione, essi si
sono lasciati lamentosamente corrompere dall'ardore del corpo»85 •
Tra le diverse passioni, la cenodossia e l'orgoglio possiedono al più
alto grado la capacità di far scomparue altre passioni, prendendone il
loro posto. Così la cenodossia, in certi casi, appare come il nemico del-
la gastrimargia86 ; essa spesso scaccia i pensieri di acedia e di tristezza87
ma anche la collera88 e la lussuria89 • Anche l'orgoglio ha il potere di
scacciare dall'anima tutte le altre passioni e di occuparvi da solo tutto
il posto90, questo perché esso è il principio di tutte e in qualche mo-
do le contiene tutte sinteticamente. L'uomo orgoglioso può così sem-
brare esente da tutte le passioni tranne che dall'orgoglio. Tuttavia l' or-
goglio non può essere rimpiazzato da alcun' altra passione e sussiste in
ogni uomo che non ne è stato liberato da Dio. «Accade talvolta, scri-
ve san Giovanni Climaco, che le passioni si allontanino da alcuni fe-
deli, e anche da alcuni infedeli salvo una sola [l'orgoglio]; e questo è
lasciato loro come il più grande di tutti i mali che, da solo, riempie il
posto di tutti gli altri>>91 •
84 San Barsanufio si mostra <<Stupefatto e sorpreso nel vedere come le persone del mondo che
hanno la passione del guadagno o della guerra>> si mostrino esenti dalla passione del timore (Let-
tere, 149).
85 La Scala, II, 12.
86 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XIv, 10.
140
no all'uomo _prima di tutto come pensieri, che si traducano o meno in
seguito in azioni. <<Non si peccherebbe mai con l'azione se non si pec-
casse prima con il pensiero», osserva san Massimo 92 ; «è il cattivo uso
dei pensieri che ha come conseguenza il cattivo uso delle cose», egli fa
ancora notare93 • Le passioni, anche quando sembrano provenire dal cor-
po, in verità hanno la loro origine nei pensieri dell'anima. Tutto «quel-
lo che generalmente ci si immagina che il corpo ricerchi, scrive san Si-
meone il Nuovo Teologo, non è il corpo mal' anima che, per suo mez-
zo, ricerca questo»94 • Questi pensieri, attraverso cui si esprimono in
primo luogo le passioni, possono tuttavia, come vedremo in seguito, es-
sere in un primo momento inconsci e si rivelano solo a certe condizioni.
Inoltre, le passioni sono frequentemente chiamate dai Padri «spiri-
ti maligni», «spiriti cattivi>> o «spiriti malvagi», perché esse sono ispi-
rate e alimentate dai demoni e manifestano il loro grande influsso sul-
1' anima dell'uomo. Ogni tipo di pensiero o di passione ha, peraltro,
secondo i Padri, un demone corrispondente. Per ogni passione, i de-
moni possiedono in un certo modo l'anima e il corpo dell'uomo ed
esercitano su di essi un potere tirannico.
Le passioni sono anche indicate come «carne» (sdrx) o «mondo»
(k6smos). Sant'Isacco il Siro scrive a questo proposito: «Il mondo
costituisce il nome globale che indica tutte le singole passioni. Quan-
do vogliamo indicare globalmente le passioni, le chiamiamo "mondo".
Ma quando vogliamo indicare uno per uno i nomi propri, le chia-
miamo passioni>>95 • Come il termine «carne» nel vocabolario paolino96
e patristico non indica generalmente il corpo (soma) ma le passioni che
riguardano l'anima e il corpo come pure i soli pansieri passionali
dell'anima, così il termine «mondo» usato in questo contesto non in-
dica la creazione bensì <<la condotta carnale e la preoccupazione del-
la carne»97 • È quest'ultimo significato del termine «mondo» che tro-
viamo in questo passo di san Giovanni: «Non amate il mondo, né
ciò che vi è nel mondo. Poiché tutto ciò che vi è nel mondo: la con-
cupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, lo sfarzo della
ricchezza non è dal Padre, ma dal mondo» (lGv 2,15-16) 98 •
141
Le passioni generano riell' anima ogni sorta di disordini, di scon-
volgimenti, di scompigli. «Non appena una sola passione arriva a tur-
bare l'ordine, scrive san Gregorio Magno, ve n'è subito un'altra pron-
ta a causare danni. È in modo quanto mai pertinente che la Scrittura
(cfr. Is 34,14) afferma che i capi esortano e l'esercito lancia grida: dal
momento che, in realtà, i principali vizi, sotto un qualunque pretesto,
si sono incrostati nell'anima ingannata, l'innumerevole folla di quelli
che li seguono trascina quest'anima in ogni sorta di follie e la agita con
un clamore che possiamo definire bestiale»99 ; <<l'anima sventurata che
si è lasciata avvincere, non fosse che per una sola volta da questi vizi
principali sotto i colpi dei peccati che si moltiplicano, diviene folle e
si ritrova devastata con ferocia bestiale», dice ancora Gregorio 100 •
Le passioni producono, allora, nell'anima uno stato di sofferenza
analogo a quello che possono produrre nel corpo le malattie fisiche.
San Doroteo di Gaza scrive a questo riguardo: «Se qualcuno si trova
ad avere un corpo melanconico, mal equilibrato, non è questo squili-
brio che lo brucia, lo agita incessantemente e tormenta la sua vita? La
stessa cosa per I' anima soggetta alle passioni: non smette di essere tor-
turata, la sventurata, dalla sua abitudine viziosa» 101 • San Giovanni Cri-
sostomo afferma persino che <<l'anima soffre più per i peccati di quan-
to il corpo per le infermità»102 •
Per guarire l'uomo dalle malattie che costituiscono le passioni,
per liberarlo dalla follia che queste generano e sollevarlo dalle soffe-
renze che esse provocano, come pure d'altronde per preservarlo, è pri-
ma di tutto indispensabile conoscerle bene. «Se non si sono prima de-
scritte le varie forme di una malattia, se non si sono prima inventa-
riate la sua origine e le sue cause, non si potranno applicare ai malati
i trattamenti adatti né permettere ai sani di conservarsi in buona
salute», afferma san Giovanni Cassiano 103 , Da parte sua, Giovanni
Crisostomo fa notare che <<la Scrittura non si limita a far conoscere
[l']errore [di qualcuno], ma lo istruisce allo stesso tempo sul motivo
che lo ha condotto a peccare: se essa si comporta in questo modo, è
allo scopo di garantire la salute a coloro che stanno bene contro il ri-
schio di simili cadute. È così che agiscono i medici che vi,sitano gli am-
142
malati: anche prima di esaminare il male, essi ne cercano la causa, al
fine di reprimere il male fin dall'inizio»104 •
«Mai le malattie potranno essere guarite, né trovati i rimedi ai fa-
stidi della salute se prima non si sono cercate, in rma investigazione
minuziosa, le loro origini e le loro cause», scrive ancora san Giovan- ·
ni Cassiano105 • San Giovanni Climaco afferma allo stesso modo: «Con-
siglio a coloro che sono malati di cercare con cura molto precisa il me-
todo che devono seguire per curarsi. Ora il primo prmto del tratta-
mento sta nel riconoscere la causa della propria malattia; quando si
sarà trovata questa, infatti, i malati riceveranno dalla Provvidenza di
Dio e dai loro medici spirituali il rimedio efficace»106 • San Simeone il
Nuovo Teologo insegna allo stesso modo: <<ll monaco non deve solo
conoscere e comprendere le modificazioni e le trasformazioni che
avvengono nella sua anima, ma anche le cause: quale può essere la
loro natura, da dove esse provengono» 107 •
Questo studio minuzioso delle cause e delle origini delle passioni
ha, d'altronde, per se stesso un valore terapeutico. San Giovanni Cas-
siano riferisce che alcrme persone sono state guarite dalle loro malat-
tie spirituali per il semplice fatto di aver ascoltato i Padri spirituali spie-
gare le diverse cause, forme e manifestazioni delle passioni/malattie,
e presentare i rimedi capaci a porvi fine. «Gli Anziani, scrive, hanno
l'abitudine di esporre tutto questo nelle loro conferenze, e ancor
più, nell'istruzione ai giovani. Molto spesso noi ne riconoscevamo al-
cuni elementi in noi, mentre gli Anziani ne facevano l'esposizione com-
pleta[...], e noi eravamo guariti apprendendo, senza proferire parola,
rimedi, e allo stesso tempo, le cause dei vizi che ci minacciavano»108 •
La descrizione minuziosa e metodica delle passioni fatta dai Padri
si presenta come una vera nosologia e un'autentica semiologia medi-
ca, destinate innanzitutto all'elaborazione metodica, rigorosa ed effi-
cace della terapia delle malattie spirituali. Tale terapia incomincia, co-
me abbiamo or ora visto, con la descrizione, in quanto questa consente
all'uomo di situarsi, di conoscere e di comprendere i movimenti del-
la sua anima, di scoprire il loro significato profondo, e di prendere già
le distanze di fronte al male che lo colpisce o rischia di colpirlo, di non
essere più determinato ciecamente da meccanismi che egli ignora, che
143
lo turbano e lo fanno soffrire. Del resto, non sono solo le malattie
apparenti e facilmente curabili che i Padri descrivono, bensì anche
quelle che, presenti nel cuore, rimangono nascoste a quelli il cui di-
scernimento spirituale non è penetrante, e quelle che esistono solo in
germe ma rischiano di svilupparsi se non vi si fa attenzione. Questa
nosologia e questa semiologia qui hanno ancora una funzione tera-
peutica ma anche, e più in generale, profilattica. San Giovanni Cas-
siano spiega a questo proposito: «Come il medico più sperimentato
generalmente non si accontenta di guarire le malattie presenti, ma, nel-
la sua saggia esperienza precorre le malattie future e le previene con
prescrizioni e rimedi salutari, così questi autentici medici dell'anima,
distruggendo in anticipo nella conferenza spirituale, come mediante
un celeste antidoto, le malattie del cuore prima che esse appaiano, e
non consentendo che si sviluppino nello spirito dei giovani, svelano
loro la causa delle passioni che li minacciano e i rimedi che danno
loro la salute>>109•
144
II
LAFILAUTIA
1 Questa passione è ricordata da quasi tutti i Padri (san Paolo stesso adopera il t=ine <<fi-
lautico (philautoi)» [2Tm 3,2]). Ma, senza dubbio, è san Massimo il Confessore che gli attri-
buisce un posto importante, a tal punto che I. Hausherr è partito da esso per studiare l'insie-
me della spiritualità massimiana (Philautie. De la tendresse pour soi à la charité selon Saint Mmci-
me le Confesseur, Roma 1952).
2 Cfr. TALASSIO, Centurie, II, 4.
; Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 59; ill, 8; 56; 57; 59; Questioni a Ta-
hssio, Prologo; Lettere, 2, PG 91, 397 A, D. TALASSIO, Centurie, II, 1; 4; m, 79; 86; 87. EVAGRIO
PONTICO, Sentenze, 59-60. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utile all'anima. Eslano DI BATOS,
C,apitoli sulla vigilanza, 202. NICETA STETATOS, Centurie, I, 28; II, 6. lsACCO IL SIRO, Discorsi asce-
tici, 71. TEODORO DI EDESSA, Cento capitoli, 65. DoROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, lettera
di commiato, 2.
4 Centurie sulla carità, II, 59. Cfr. m, 56. TALASSIO, Centurie, m, 87-88.
5 Cfr. MASsIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talasszo, Prologo, PG 90, 260CD, che oppone
145
sue inclinazioni passionali>/. Qui per corpo s'intende non tanto lo stes-
so composto somatico, così com'è stato creato da Dio all'origine,
sottomesso ali' anima e spiritualizzato, i cui organi erano orientati ver-
so Dio, quanto piuttosto il corpo decaduto al quale l'anima si subor-
dina; attraverso i suoi sensi e le sue membra, esso diviene l'organo pri-
mario della conoscenza e del godimento del mondo considerato da llll
punto di vista esclusivamente sensibile, cioè indipendentemente da
Dio. In altre parole, il corpo qui indica ciò che l'Apostolo e la tradi-
zione chiamano generalmente carne (sdnc). Ecco perché san Teodoro
di Edessa definisce la filautia come «disposizione passionale», e come
«soddisfazione concessa alle volontà carnali>>8. San Niceta Stetatos scri-
ve allo stesso modo: gli psichici, «dominati dalla filautia [.. .] pongono
ogni cura nella salute e nel godimento della came>>9 • Più avanti, egli
sottolinea chiaraniente la portata generale di questa passione: «La fi-
lautia è l'amore insensato del corpo. Conduce [... ] ad amare se stessi,
ad amare la propria anima, ad amare il proprio corpo» 10 •
San Massimo spiega questo processo, che condu~e l'uomo dall'i-
gnoranza di Dio alla filautia e dalla filautia alle passioni, in questi
termini: «Questa ignoranza [. ..] allontanò completamente l'uomo dal-
la conoscenza. divina per riempire la sua esistenza con la conoscenza
passionale delle cose sensibili. Abbandonato così liberamente alle
sole emozioni dei sensi come le bestie sprovviste d'intelligenza, l'uo-
mo, allontanato dalla bellezza spirituale e divina, trova, attraverso
l'esperienza della parte esteriore e corporea della sua natura, una crea-
zione che egli innalza al posto di Dio, perché essa corrisponde meglio
ai bisogni del suo corpo. Visto che il corpo è.della stessa natur-a della
creazione elevata al posto del Creatore, l'uomo copre il proprio cor-
po d'amore e di molte cure. Infatti, non si può adorare la creazione se
non curando il proprio corpo [... ].Votato alla servitù corruttrice del
suo corpo e imprigionato dalla filautia, l'uomo incessantemente lascia
che in lui si sviluppino le passioni del godimento e della sofferenza»11 •
La filautia appare, infatti, fondamentalmente legata al piacere: essa
è ricerca del godimento sensibile, carnale, ricerca che, lo abbiamo vi-
rie, II, 4. TEODORO DI EoESSA, Cento capitoli, 93. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utile all'ani-
ma. NICETA STETATOS, Centurie, I, 28. -
7 GIOVANNI DAMASCENO, loc. cit.
8 Cento capitoli, 96.
9 Centurie, II, ·6.
10 Ibid., I, 28.
11 Questioni a Talassio, Prologo.
146
sto, è determinante nel processo della caduta dell'uomo, in relazione
con l'ignoranza di Dio che la rafforza e che essa rafforza a sua volta.
San Massimo spiega: <<Più l'uomo andava verso le cose sensibili, at-
traverso i suoi soli sensi, più l'ignoranza di Dio lo opprimeva; più egli
era soggiogato dall'ignoranza di Dio, più si abbandonava al godimen-
to delle cose mateijali conosciute attraverso l'esperienza; più s'imbe-
veva di questo godimento, più eccitava la sua filautia che ne era la con-
seguenza; più coltivava la filautia, più inventava molteplici mezzi per
ottenere il piacere, frutto e scopo della filautia>>12 • Simultaneamente al-
la ricerca incessante e multiforme del godimento, la filautia spingeva
l'uomo a evitare il dolore che inevitabilmente segue al piacere 13 • Dal-
la reazione a questa duplice tendenza, secondo san Massimo, nasco-
no tutte le passioni 14 • Avendo già ricordato precedentemente que-
st'ultimo punto, esamineremo qui di seguito solo gli altri effetti pato-
logici della filautia, che san Niceta Stetatos considera sia in ragione
delle sue conseguenze che della sua natura, come un «male immenso»15 •
12 Ibid.
13 Ibid.
14 Ibid.
15 Centurie, I, 28. .
16 Citato da I. HAUSHERR, Philautie... , o. c., p. 26.
17 Questioni a Talasszo, Prefazione.
18 Cfr. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 12.
19 Lettere, 25, PG 91, 613D.
147
malattie, turbamenti, lacerazioni, sofferenze di ogni genere. Vivendo
nella filautia e nel suo corteo di passioni, <<gli uomini>>, afferma san Mas-
simo, «onorano la causa stessa dell'annientamento della loro esistenza
e perseguono essi stessi, senza saperlo, la causa della loro corruzione
[. .. ].Gli uomini come fiere distruggono la loro stessa natuni»2°.
«Oh la filautià, universale odiatrice!» scrivono Evagrio21 , san Teo-
doro di Edessa22 e san Giovanni Damasceno23 : odiatrice di Dio, di
sé, ma anche del prossimo24 •
L'amore di Dio e di sé in Dio, implica per l'uomo l'amore del suo
prossimo (dr. lGv 5,1), portatore come lui dell'immagine di Dio, chia-
mato come lui ad essere figlio di Dio per adozione e dio per grazia;
ogni uomo è per lui un simile e un fratello nel quale ritrova Dio e si
ritrova o almeno ritrova un altro membro dello stesso corpo, un'altra
parte dell'unica natura umana. Ignorando Dio per mezzo della filau-
tia, l'uomo non può più amare veramente il suo prossimo, perché non
gli appare più ciò che fonda questo amore: egli non percepisce più il
legame trascendente che unisce gli uomini tra loro e con se stesso. Il
filautico, per la sua sragione (alogfa, cioè per la sua non percezione del
Logos, principio di unità di ciò che è distante25 e, allo stesso tempo,
per mezzo della sua separazione dal Logos) provoca la divisione di ciò
che è unito. È così che la filautia è ali' origine di «questa divisione
che regna ancora oggi nell.a natura>>26• A causa di essa, <<la natura uma-
na si sbriciola in mille pezzi>>, afferma san Massimo il Confessore27 , che
aggiunge: «È la filautia che ci ha allontanati a tradimento [. ..] da Dio
e dagli altri; [. .. ] è essa che divise la natura unica in numerose parti»28 .
Separandosi dagli altri per la filautia, l'uomo strappa le proprie mem-
bra29. Ora, fa notare san Giovanni Crisostomo, «strappare le proprie
membra, è l'azione di un furioso e di un folle>>3°. ·
Non percependo più nel suo prossimo ciò che costituisce la sua
realtà profonda, e cessando di essergli unito spiritualmente, il filauti-
20 Ibid.
21 Se-,ztenze, PG 40, 1269A.
22 Cento capitoli, 93.
29 Cfr. GIOVANNI CRJsosTOMO, Commento a san Giovanni, XLVIII, 3. Vedi anche Rm 12,5;
lCor 12,20.
;o Ibid.
148
cosi priva di ogni autentica relazione con lui. È allora che s'instaura-
no tra gli uomini rapporti superficiali in cui regna la non conoscenza
reciproca, perfino l'ignoranza reciproca, l'insensibilità degli uni nei
confronti degli altri e l'assenza di vera comunicazione, fin nelle situa-
zioni di prossimità obiettiva, come quelle della cellula familiare. Per il
filautico, gli altri uomini non sono il prossimo, fratelli e figli dello stes-
so Padre che condividono in Dio la stessa natura, ma estranei (dr. Col
1,21) e anche peggio: rivali e nemici (cfr. ibid.).
Ma è così perché il filautico ricerca prima di ogni altra cosa il pro-
prio piacere per mezzo di molteplici passioni che la filautia genera, per-
ché questa si oppone ali' amore del prossimo e conduce a odiarlo.
Anziché mirare al vantaggio e al bene altrui, il filautico ricerca l' affer-
mazione di se stesso e il proprio interesse. Allora, molto spesso il suo
prossimo è per lui un semplice mezzo per ottenere i piaceri che vuole
raggiungere e così il prossimo viene da lui ridotto al rango di oggetto.
Può anche essere per lui un concorrente, un rivale nell' affermazio-
ne di se stesso e nella ricerca del r.iacere; in questo caso egli dirige ver-
so di lui tutta la sua aggressività. È la filautia, dice san Massimo, «che,
per l'amore del piacere fece volgere gli uni contro gli altri la nostra po-
tenza di collera inferocita»31 • «La filautia, ·osserva ancora san Massimo,
«rese bestiale la più ammansita delle nature e divise l'umanità, essen-
zialmente una, in numerose parti antagoniste o -1' espressione non è
peggiore - reciprocamente distruttrici»32 • Anche in questo risiede la
divisione della natura umana ricordata prima; come fa notare lo stes-
so santo: <<La filautia degli uomini [ .. .] li ha aizzati gli uni contro gli al-
tri [. .. ], di qui la divisione della natura unica in molte parti»33 •
Là dove vi è l'amore di Dio, «Cristo è tutto in tutti» (Col 3,11) «e
non.c'è più greco o giudeo, circonciso o incirconciso, barbaro o scita,
schiavo o libero» (ibid.), <<né uomo né donna» (Gal 3,28). Là dove re-
gna la filautia, al contrario, non si vedono che opposizioni, divisioni,
rivalità, invidia, gelosia, discordie, inimicizie, litigi, aggressività, tutte
manifestazioni che sono i frutti di questa passione, proprio come la
non socievolezza34 , l'ingiustizia35 , lo sfruttamento di alcuni da parte di
altri.3 6 e anche gli omicidi37 e le guerre38 •
;i Lettere 27
» Questi;ni ~ Talassio, 40, PG 90, 397C.
33 Lettere, 3, PG 91, 4080,.
34 Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Sacra parallelq, 13, PG 96, 420D.
35 Ibid. I
36 Cfr. TEODORETO DI CIRO, Discorso sulla Provvidenza, 7, PG 83, 669D-676B.
37 Cfr. MAsswo IL CONFESSORE, Commento del Padre nostro, PG 90, 893A.
38 Cfr. CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Il Pedagogo, m, Il, 13, 4.
149
La filautia appare, così, patogena su molti livelli ed è considerata
dai Padri, tanto nella sua natura che negli effetti, come indizio di un
uomo divenuto insensato39 e come se essa stessa fosse insensata40 , e
profondamente irrazionale41 •
Questi effetti patogeni sono dovuti al fatto che essa stessa è una ma-
lattia42. Tale malattia consiste nell'inversione contro natura di una ten-
denza naturale dell'uomo: l'amore di sé virtuoso43 legato indissolu-
bilmente all'amore di Dio e all'amore del prossimo. A questo riguar-
do così scrive san Massimo: «Per mezzo della filautia, [. .. ] il diavolo ci
ha decisamente separati da Dio e gli uni dagli altri: egli ha contorto
ciò che era dritto, ha in questo modo diviso la natura>>44 •
Nelle pagine che seguono prenderemo in esame le principali ma-
lattie generate da questa malattia primaria e fondamentale.
"PIETRO DAMASCENO, Libro, Esordio, Philokalia ton ieron neptikon, t. 3, p. 14: <<L'insensa-
to (aphron) è filautico».
4 °Cfr. NICETA S1ETATOS, Centurie, I, 28: <<La filautia è l'amore insensato del corpo».
41 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Il, 59. GIOVANNI DAMASCENO, Sacra
appare implicitamente.
44 Lettere, 2, PG 91, 396D.
150
m
LA GASTRIMARGIA
1 È Doroteo di Gaza che fa questa distinzione. Egli chiama laimargfa la prima forma, gastri-
margfa propriamente detta la seconda forma (Istruzioni spirituali, XV, 161). Giovanni Cassiano
aggiunge un'altra forma che egli pone al primo posto (Conferenze, V, 11; Istituzioni cenobiti-
che, V, 23 ): il desiderio di anticipare il momento del pasto. Quanto a Gre.gorio Magno, egli di-
stingue cinque modi di manifestazione della gastrimargia (Moralia su Giobbe, XXX, 18), il pri-
mo corrisponde alla prima forma citata da Giovanni Cassiano, e le altre quattro possono esse-
re ripartite tra le due grandi categorie distinte da Doroteo.
2 Cfr GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XIV, 30.
151
loro che hanno il torto di nutrire troppo bene la loro carne [. ..] , si
preoccuppato di se stessi e non di essa>>~.
Non è l'idea che il nutrimento sia in sé impuro e cattivo o che la
funzione stessa della nutrizione comporti qualche male che fa consi-
derare la gastrimargia come una passione; difatti, come dice il Cri-
sto, <<non ciò che entra nella bocca contamina l'uomo» (Mt 15,11), e
come ci insegna l'Apostolo, «ogni cosa creata da Dio è buona, e nien-
te è da spregiare, qualora venga preso con animo grato» (lTm 4,4).
Detestare gli alimenti per se stessi, come cose cattive, sarebbe <<Un abo-
minio e pura diavoleria>>, precisa san Diadoco di Foticea7 , che aggiunge:
«Mangiare e bere rendendo grazie a Dio di tutto ciò che ci si serve o
ci si miscela non si oppone affatto alla regola della scienza, perché "tut-
to è buono" (cfr. Gn 1,31)»8 . ·
152
corpo, per conservare o ritrovare la sua salute, ma fa del nutrimento
e della funzione nutritiva, che è in lui, un uso contro natura quando
egli ne fa un mezzo di piacere13 •
La gastrimargia non consiste, dunque, nel desiderio dello stesso nu-
trimento, ma nel desiderio del piacere che si può provare nel consu-
marlo. Ecco perché l'abuso che costituisce la passione non consiste so-
lo nel nutrirsi al di là di ciò che è strettamente necessario ai bisogni
del corpo, ma anche nel ricercare il piaç:ere in queste stesse cose ne-
cessane.
Per mezzo della passione della gastrimargia, l'uomo compie il ma-
le, perché ricercando la voluttà nel nutrimento, egli fa passare il de-
siderio del cibo e del piacere che prova nel consumarlo davanti al
desiderio di Dio, e nell'abbandonarsi a questo piacere carnale si al-
lontana e si priva del godimento dei beni spirituali che sono superio-
ri a quello.
L'atteggiamento gastrimargico in fondo è idolatrico: gli uomini che
si abbandonano a esso «hanno il loro ventre come dio», afferma san
Paolo (cfr. Fil 3,19). <<ll ventre è un dio sensibile per coloro che sono
schiavi del loro stomaco», annota sulla sua scia san Gregorio Palamas 14 •
Per la gastrimargia, infatti, l'uomo sacrifica al suo ventre e alla sua boc-
ca invece di sacrificare a Dio. Egli fa del senso del gusto e delle sue
funzioni nutritive il centro del suo essere, l'essenziale di se stesso, e in
qualche modo si riduce a essi. Egli fa del nutrimento un importante
oggetto di preoccupazione, persino quasi esclusivo in alcuni casi,
·trascurando ciò che in primo luogo e quasi esclusivamente dovrebbe
interessarlo e occuparlo. È al nutrimento che egli rende il culto do~
vuto solo a Dio, è su di esso che pone e riconduce i suoi desideri di
rui solo Dio dovrebbe essere l'oggetto. D'altra parte, attraverso la pas-
sione della gastrimargia, il nutrimento acquista un valore per se stes-
so e serve al piacere sensibile anziché essere considerato come un
dono di Dio e di servire alla glorificazione di Colui che l'ha creato. An-
che in questo consiste l'allontanamento dalla sua finalità naturale
che è quella di rendere grazie a Dio. Il Cristo stesso rivela questa fi-
nalità e ci dà l'esempio dell'atteggiamento normale quando egli rende
grazie al Padre prima di distribuire il cibo a coloro che lo circonda-
no (cfr. Mt 15,36; Mc 8,6; Gv 6,11; 6,23 ). San Paolo afferma chiara-
13 Cfr. GREGORIO MAGNO, loc. cit. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, V, 7; 8; 14.
DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XV, 162.
14 Triadi, Il, 3, 6.
153
mente che Dio ha creato gli alimenti perché vengano presi con animo
grato (cfr. lTm 4,3), consigliando di conseguenza: «Sia dunque che
mangiate, sia che beviate o qualsiasi cosa facciate, fate tutto per la glo-
ria di Dio» (lCor 10,31). La gastrimargia costituisce una vera perver-
sione di questa finalità essenziale del nutrimento che è quella di esse-
re consumato eucaristicamente, poiché in questa passione l'uomo, an-
ziché godere di tali alimenti in Dio e di godere di Dio attraverso di
essi, vuole godere degli alimenti per se stessi, al di fuori di Dio. Per
mezzo loro erige una barriera tra se stesso e Dio, anziché usarli come
supporto per elevarsi a lui.
Nel rendere grazie a Dio per il cibo che gli concede, l'uomo santi-
fica se stesso, e santifica particolarmente le funzioni della nutrizione
che sono in lui; egli si nutre così di Dio e nello stesso tempo di pane,
ed il suo nutrimento diviene così per lui doppiamente fonte di vita.
Egli santifica gli alimenti che prende (cfr. lTm 4,5) e, allo stesso tem"
po, attraverso di essi, il cosmo che lo unisce a Dio, secondo la volontà
da lui manifestata al primo uomo. La gastrimargia, al contrario, se-
para da Dio l'uomo e in lui le creature. Gli alimenti, anziché rivelare
Dio (sant'Isacco parla di «colui che ha visto il Signore nel suo nutri-
mento» )15, anziché essere trasparenti alle sue energie e sei-vite alla glo-
rificazione di Dio e alla deificazione dell'uomo, divengono, a motivo
del peccato dell'uomo, per lui stesso e per il mondo, un ostacolo al-
l'incontro con Dio. Cessando di essere fonte di vita, poiché essi non
sono più uniti alla sorgente della Vita per la perdita della loro finac
lità spirituale nell'uso perverso chè ne fa l'uomo, essi divengono per
lui principio di morte anche quando egli crede di assicurarsi la vita per
loro mezzo 16 •
Alla luce di queste digressioni teologiche e antropologiche; la pas-
sione della gastrimargia appare meno banale di come sarebbe potuta
sembrare a prima vista. Alcuni Padri giungono, del resto, fino a ve-
dere in essa la fonte stessa del peccato originale17 • Infatti, mangiando
il frutto dell'albero che Dio aveva proibito di toccare, Adamo volle go-
dere al di fuori di Dio di questo alimento che, in realtà, simboleggia e
rappresenta tutto il mondo sensibile18• La gastrimargia, in questo fon-
damento originale, manifesta chiaramente che essa opera una rottura,
154
una separazione dell'uomo da Dio, e significa la perdita della comu-
nione divina per l'uomo e, in lui, per l'intero cosmo. La gravità di que-
sta passione si rivela ancora di più nel fatto che essa è una delle tre ten -
tazioni che Satana presenta al Cristo nel deserto (cfr. Mt 4,3). Resi-
stendogli, il Cristo, nuovo Adamo, ristabilisce tra l'umanità e Dio e,
quindi, tra il cosmo e la divinità, la comunione che il primo Adamo
aveva rotto. Nell'opporre al diavolo che <<l'uomo non vive di solo pa-
ne, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio», il Cristo restitui-
sce all'uomo. il suo vero centro. Egli non dice che l'uomo non si nutre
di pane, ma mostra la relazione necessaria che questi deve intratte-
nere con il Verbo. Denuncia le dissociazioni e l'idolatria che il pec-
cato aveva instaurato e ne guarisce la natura umana che ne è la vitti-
ma. Libera, infine, l'umanità dalla tirannia che il diavolo, per mezzo
di queste passioni, gli faceva subire dopo la colpa originale.
La gastrimargia, attraverso tutti gli aspetti che abbiamo ricordato,
e in particolare per il motivo che essa costituisce una perversione del-
l'uso naturale e normale del cibo, è definita dai Padri come malattia 19 •
San Giovanni Cassiano per esempio dice a proposito delle tre forme
di questa passione che egli ha descritte: «Vi sono tre focolai di ma-
lattie dell'anima tanto temibili quanto numerose»20 • Si comprende an-
che come essa possa essere considerata da loro una forma di follia21 •
San Doroteo di Gaza prende, peraltro, come argomento supplemen-
tare l'origine stessa degli appellativi di <<laimargia» e «gastrimargia>>:
<<Margainein significa negli autori pagani "essere fuori di sé" e l'in-
sensato viene definito mdrgos. Quando a qualcuno capita questa ma-
lattia (n6sos) e questa follia (mania) di volersi riempire il ventre, la chia-
mano gastrimargia (gastrimargia), cioè "follia del ventre". Quando si
tratta solo del piacere della bocca la chiamano "laimargia" (laimargia),
cioè "follia della bocca"»22 •
Malattia e follia, la gastrimargia non lo è solo per gli atteggiamenti
che essa rivela quanto ai suoi fondamenti; essa lo è anche in ragione
delle sue numerose conseguenze patologiche, e ciò a più livelli.
Oltre a tiranneggiare l'uomo, lo sottomette al desiderio e al piace-
re di mangiare, lo rende indisponibile a Dio e lo allontana dal suo cen-
tro; la gastrimargia ha, quindi, per la vita della sua anima numerosi ef-
19 DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XV, 161. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, VI, 11.
20 Loc. cit.
21 Cfr. TEOOORETO DI CIRO, Discorso sulla Provvidenza, VI, PG 83, 656CD. MASswo IL CON-
FESSORE, Centurie sulla carità, Il, 59.
22 Istruzioni spirituali, XV, 61.
fetti indesiderabili e, nello stesso tempo, mette in pericolo la salute del
suo corpo23 •
I santi asceti sottolineano, prima di ogni cosa, che l'eccesso di cibo
o di bevande (qualunque esse siano) priva lo spirito di energia24 e di vi-
vacità25, lo appesantisce26 , lo immerge in uno stato di oscurità27 , di tor-
pore e di sonno28 , conseguenze che si ripercuotono su tutta l'anima.
«Appesantito dai molti cibi, il corpo rende lo spirito (nous) debole (dei//Js
[termine che significa anche: timido, floscio]) e pigro (dyskinetos [ter-
mine che significa anche: difficile a muoversi, lento])», nota san Dia-
doco di Foticea29 • Un tale stato rende difficile il suo volo verso le realtà
spirituali, impedisce di condurre come si deve la lotta ascetica, rende
difficoltosa la preghiera30 , genera la negligenza31 , e indebolisce molto
l'uomo. Sant'Isacco scrive che allora <<egli ha perso la metà della sua po-
tenza, tanto che si può ben dire [. .. ] che, prima di andare al combatti-
mento, è già sottomesso senza aver lottato. È vinto dalla volontà rilas-
sata della carne, senza che i suoi nemici si siano dati la minima pena>>32•
Una tale disposizione ha anche per effetto quello di trascinare
verso il basso tutte le sue facoltà, orientando in primo luogo i suoi de-
sideri verso preoccupazioni carnali. Tutte le passioni, e questa in
p·articolare, fa notare san Massimo, «inçatenano lo spirito agli ogget-
ti materiali, lo portano al livello della terra come farebbe una pietra
molto pesante che pesasse su di lui, pur essendo egli per natura più
leggero e più vivo del fuoco!» 33 • San Gregorio di Nissa, da parte sua,
ricorda <<l'uomo dal pensiero appesantito che guarda in basso», e con-
stata a suo riguardo: «Non vivendo che per il ventre e per ciò che fa
seguito al ventre, si ritrova lontano dalla vita di Dio»34 •
In questa situazione, l'intelligenza, appesantita e soffocata, perde la
sua capacità di discernimento35 o almeno questa si ritrova alterata e di-
minuita. Il bisogno di mangiare e l'assopimento che ne consegue im-
70. BASILIO DI CESAREA, Omelie sul digiuno, 1. ISACCO IL SIR.O, Discorsi ascetici, 26.
27 lsACCO IL SIR.O, Discorsi ascetici, 26.
28 lbid.
29 Cento capitoli gnostici, 45.
3° Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 50. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 26.
31 Cfr. ISACCO IL SIR.o, Discorsi ascetici, 34.
32 Ibid., 69.
33 Centurie sulla carità, III, 56.
34 Sulla verginità, N, 5. Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 26.
35 GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, V, 6; ISACCO IL SIR.o, Discorsi ascetici, 26; 69.
156
pediscono in particolare all'uomo di considerare le cose semplici
della fede, fa notare Abba Poemen36 ; i suoi giudizi perdono la loro
finezza; diviene incapace di un pensiero perspicace; il suo spirito,
nota san Giovanni Cassiano, «è come inebriato, [e] diviene vacillan-
te e instabile»37 •
L'abuso di cibo e di bevande provoca anche, osservano i Padri, <<il
turbamento dei pensieri.>>38, il quale insudicia l'anima39• Una moltitudi-
ne di pensieri passionali (logismoi) compaiono neff anima e vengono a
macchiare e a offuscare lo spirito40 • Sant'Isacco dice che l'effetto del-
1'abuso di cibo «è quello di sregolare l'intelligenza che divaga ovunque
[...]: sono le immaginazioni impure [. .. ] nella sozzura dei fantasmi e nel-
la stravaganza delle immagini piene di cupidigia che attraversa l'ani-
ma e vi compie quello che vuole.con ogni impurità»41 • Il <<Ventre trop-
po pieno, dice ancora, fa del cuore una quadruplice porta di fantasmi
deliranti»42 • Così egli consiglia: <<Non appesantire il tuo ventre per non
annegare nella confusione la tua intelligenza, per non essere tormen-
tato dalla distrazione [. .. ],per non offuscare la tua anima, per non
turbare i tuoi pensieri»43 • E san Gregorio di Nissa spiega che <<i piace-
ri del mangiare e del bere, che portano a ingozzarsi di alimenti, per la
mancanza di misura, producono, necessariamente, nel corpo due mali
indipendenti dalla nostra volontà, in quanto la sazietà molto spesso ge-
nera nell'uomo tali passioni. Perché dunque il nostro corpo rimanga
estremamente calmo e non sia turbato da nessun movimento passionale
che nasca dalla sazietà, occorre vegliare affinché non sia il piacere ma
l'utilità a definire in ogni caso la misura di una condotta temperante»44•
La gastrimargia apre così inevitabilmente la porta a una folla di pas-
sioni e le sviluppa45 • Ecco perché i Padri sono portati a considerarla
come la madre di tutte le passioni46 e la fonte di tutti i mali47 • Così san
157
Giovanni Climaco redige una lunga lista dei germogli di questa pas-
sione, a cui fa dire in una prosopopea: «Il mio primogenito è il servo
della lussuria; dopo di lui viene per secondo l'indurimento del cuo-
re, e il terzo è il sonno. Da me procedono un mare di pensieri, fiotti
di sozzure, un abisso d'impurità insospettate e innumerevoli. I miei fi-
gli sono la pigrizia, il pettegolezzo, l'impertinenza, la burla, la buffo-
neria, lo spirito di contraddizione, la rigidità, l'ostinazione, l'insensi-
bilità, la schiavitù, lo spirito di sufficienza, la temerarietà, la millante-
ria, tutte cose che trascinano al loro seguito l'impurità della preghiera,
il turbinio dei pensieri e, spesso, disgrazie improvvise e inaspettate, al-
le quali è strettamente legata la disperazione, il più nefasto dei miei
germogli»48 • Lo stesso santo annota, peraltro49, che questa passione ha
anche l'effetto di prosciugare le sante lacrime della penitenza di cui
vedremo ulteriormente tutta l'importanza. Ma la passione, che la ga-
strimargia introduce principalmente e più immediatamente, è la lus-
suria, come si è già potuto intravvedere dai testi prima citati.5°.
158
N
LA LUSSURIA
cabolo tutte le forme di passioni sessuali. Il termine itiùiano <<lussuria>> - come il corrisponden-
te francese luxure - ci sembra, in mancanza di meglio, il più adeguato per tradurre questa no-
zione, che i dizionari moderni definiscono «ricerca, o brama sfrenata, dei piaceri sessuali».
2 Esposizione esatta della fede ortodossa, IV, 20. Cfr. Il, 12; 20.
3 Omelie sulla Genesi, XVIII, 4. Cfr. Sulla verginità, 14. Si troverà lo stesso insegnamento
in lRENEODI LIONE, Dimostrazione della predicazione apostolica, 14; 17. GREGORIO DI NISSA, La
creazione dell'uomo, XVII. CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi, XII, 5. ATANASIO D'ALESSAN-
DRIA, Commento al Salmo 50, 7. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 56. GIOVANNI DA-
MASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, Il, 12; 20; rv, 20. SIMEONE IL Nuovo TEOLO-
GO, Catechesi, XXV, 92-108, ecc. I Padri affermano che se gli uomini fossero rimasti nel loro sta-
to primordiale, Dio li avrebbe moltiplicati secondo un modo non sessuale (vedi MAsSIMO IL
CONFESSORE, Questioni e difficoltà, I, 3; Ambigua, 41, PG 91, 1309A). Creando gli uomini,
Dio li ha dotati di organi sessuali, in previsione delle necessità derivanti dalla caduta, di cui
.egli aveva la prescienza, benché questa non fosse predeterminata, e anche perché la verginità
non fosse loro itnposta per natura, ma risultasse da una scelta personale, la quale doveva darle
forza e valore (vedi GIOVANNI CRISOSTOMO, Sulla verginità, 17; Omelie sulla Genesi, XVII!, 4).
159
ginità rimane la norma della perfezione. Tuttavia, a motivo della mol-
tiplicazione dell'umanità nella nuova condizione in cui ora essa si tro-
va, per questa ragione è benedetto da Dio (cfr. Gn 9,7) l'uso della ses-
sualità nel quadro del matrimonio che non è affatto condannabile. I
Padri, seguendo l'esempio del Cristo che benedice con la sua pre-
senza le nozze di Cana, nonché l'insegnamento dell'Apostolo (cfr.
Eb 13,4; lCor 7,28), ne riconoscono la totale legittimità e ne procla-
mano anche il. valore4, considerando che la sessualità è chiamata alla
stessa santificazione come tutte le altre funzioni dell'esistenza umana.
Nell'ambito del matrimonio, la passione della lussuria non consi-
ste, dunque, nell'uso della funzione sessuale, ma nel suo uso perver-
so, abusivo. La nozione di abuso, che troviamo spesso negli insegna-
menti dei Padri, non ha un significato quantitativo ma qualitativo: es-
sa significa qui come altrove, un cattivo uso della funzione in questione,
una perversione, un uso contrario alla sua finalità naturale e, per que-
sto, contro natura e anormale, in altre parole patologico. San Massi-
mo, in maniera più precisa, così scrive a proposito di questa e altre
passioni: <<Nulla, di ciò che è, è cattivo, ma lo è solo il cattivo uso (pard-
chresis) in seguito alla negligenza del nostro spirito nel coltivarsi se-
condo natura>>5 • Sant'Isacco il Siro, quando ricorda la passione della
lussuria, sviluppa un concetto simile, e di conseguenza sottolinea la re-
sponsabilità dell'uomo nel controllo dei suoi movimenti naturali:
«Quando un uomo è mosso dalla cupidigia [ ... ] , non è la potenza
naturale che lo forza a uscire dai limiti naturali e ad allontanarsi dal
suo dovere. Ciò che lo fa uscire è quanto aggiungiamo alla natura
per soddisfare la nostra volontà, perché tutto ciò che Dio ha fatto, lo
ha fatto nella bellezza e nella misura. Se guardiamo correttamente la
misura che ci è impartita nelle cose che portiamo per natura, i movi-
menti naturali non possono spingerci a uscire dalla via. Il corpo non
agisce veramente se non nel buon ordine»6 •
Vi è abuso, o più esattamente cattivo uso, quando l'uomo usa la sua
sessualità avendo di mira solo il piacere che vi si rapporta, quando egli
fa del piacere la finalità della sua attività in questo ambita7. Una tale
visione è perversa e patologica per diverse ragioni.
4 Vedi per esempio: GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, VII. GREGORIO NAZIANZENO, Di·
scorso, XXXVII, 9. GIOVANNI CRISOSTOMO, Sulla verginità, 8; 9; 10; 25; Omelie su Ozia, ill, 3;
Omelie sulla Genesi, XXI, 4; Omelia sul matrimonio, I, 2. Il Concilio di Gangres (IV secolo) nel
IV Canone condanna «ogni disprezzo dei rapporti coniugali>>.
5 Centurie sulla carità, m, 4. Cfu II, 17.
6 Ibid. .
7 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 17.
160
Innanzitutto, essa nega una delle finalità principali della :h.mzione
sessuale, la più apparente e che è inscritta nella sua stessa natura: quel-
la della procreazione8 • Per questo san Massimo osserva, in modo ge-
nerale, che <<il vizio (kakia) è nel falso giudizio sulle rappresentazioni
e seguito dal cattivo uso delle cose», e che, per esempio, <<per le rela-
zioni con le donne, la regola del giudizio è che esse siano ordinate al-
la procreazione. Se dunque si mira al piacere, si giudica male, eri-
gendo a bene ciò che non lo è affatto, e, conseguenza necessaria, si
abusa della donna nell'unirsi a le.i>>9 •
Questa finalità, tuttavia, per essenziale che sia, non è la sola10 né la
più importante 11 . Nella specie umana, la procreazione può sembrare
più il risultato naturale dell'unione sessuale che non il fine stesso 12. L'u-
nione sessuale è, in primo luogo, uno dei modi dell'unione tra l'uomo
e la donna; essa è una delle manifestazioni del loro amore reciproco;
traduce questo amore su un certo piano del loro essere, quello del cor-
po13. È l'amore che costituisce la prima finalità dell'unione sessuale,
così come i molteplici benefici spirituali che l'uomo può trarre da que-
sto in seno al matrimonio insieme agli altri modi di unione coniuga-
le14. Occorre, tuttavia, precisare che l'amore coniugale è visto, nella
prospettiva cristiana, come l'unione di due persone - cioè di due es-
seri concepiti nella loro integralità, da un lato, e nella loro natura
spirituale.dall'altro - in Cristo e in vista del Regno, unione sigillata
quanto a misura e a scopo dalla grazia dello Spirito conferito dal sa-
cramento del matrimonio. Questo concetto subordina l'unione ses-
suale, come tutti gli altri modi di unione degli sposi, alla dimensione
8 Cfr. CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Il Pedagogo, II, X, 83, l; 92, 2; Stromata, II, 143, 3; 144;
III, 72, 1. BASILIO DI ANCIRA, Sulla verginità, 38. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XV,
162. GIOVANNI CR:rsOSTOMO, Commento a san Matteo, XVII, l; Omelie sul matrimonio, I, 3; Sul-
la verginità, 19. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 27.
9 Centurie sulla carità, II, 17.
10 CTr. BASIUO DI ANCIRA, Sulla verginità, 38. BASILIO DI CESAREA, Omelia sulla martire Giu-
litta, 5, PG 31, 248; Esortazione alla rinuncia e alla perfezione spirituale, 2, PG 31, 629. GIOVANNI
CRISOSTOMO, Sulla verginità, 9; 19; 25; 26; 34; Omelie su Ozia, III, 3; Omelie sulla Genesi, XXI,
4; Omelie sul matrimonio, I, 2; 3; III, 5.
11 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul matrimonio, I, 3; Sulla verginità, 19. Notiamo che
161
spirituale del loro essere e del loro amore15 • L'unione sessuale deve, co-
sì, essere preceduta ontologicamente dall'unione spirituale che le con-
ferisce senso e valore. Ed è solo a questo titolo che può essere rispet-
tata la.sua finalità come quella della natura degli esseri che essa met-
te in relazione 16•
Quando l'unione sessuale è vissuta indipendentemente dal suo con-
testo spirituale e avviene solo in vista del piacere sensibile che pro-
cura, inevitabilmente essa mutila l'uomo, pervertendo profondamen-
te l'ordine normale del suo rapporto con Dio, con se stesso e con il
suo prossrmo.
ta nelle Sacre Scritture come anche negli scritti patristici. È questa che ispira il Cantico dei
Cantici tanto per fare un celebre esempio.
162
puramente carnale, ripiegato su se stesso, opaco a ogni trascendenza.
Il piacere visto come fine in sé diviene per l'uomo un assoluto che
esclude Dio e ne prende il suo posto. Per mezzo della lussuria, l'uo-
mo fa della voluttà un idolo.
2) Di conseguenza, l'uomo non vede più il centro del suo essere nel-
l'immagine di Dio di cui è portatore, ma nelle sue funzioni sessuali.
Egli in qualche modo si dedica a queste, proprio come colui che, do-
minato dalla passione della ·gastrimargia dedica se stesso, lo abbiamo
visto, alle sue funzioni gustative e digestive. L'uomo viene, così, a
trovarsi decentrato e vive al di fuori di se stesso; è alienato. Non es-
sendo, come dovrebbe, subordinata ali' amore spirituale, la funzione
sessuale viene a occupare nell'uomo un posto smisurato, persino esclu-
sivo, e sostituisce ali' amore il desiderio bruto e istintivo.
L'uomo mette, così, come fa notare san Basilio di Ancira, la sua ani-
ma dietro al suo corpo: «l corpi, alla ricerca del piacere, totalmente
presi da esso, uniscono le anime che sono in loro per metterle al ser-
vizio della passione che li agita, [e] le anime [vanno] così a rimor-
chio dei vizi della carne»19 •
L'ordine delle facoltà umane viene, quindi, sconvolto e un profon-
do squilibrio s'instaura nell'essere nella misura in cui l'intelligenza,
la volontà e l'affettività cessano di essere al servizio dello spirito, di es-
sere informate e ordinate da questo, per mettersi al servizio del desi-
derio sessuale alla ricerca del piacere. L'uomo, governato dall'istinto,
diventa simile ali' animale20 •
A causa della lussuria, molte funzioni fisiche si allontanano dalla lo-
ro normale finalità per divenire strumenti del piacere sessuale. Il
se:n,so della vista, che nell'esercizio di questa passione gioca un ruolo
fondamentale, offre a questo riguardo un esempio particolarmente
istruttivo21 • San Giovanni Cassiano mostra chiaramente come il carat-
tere patologico in questi casi derivi da un uso contro natura, da una
perversione dell' eserciZio della facoltà percettiva: «È malato e dan-
neggiato dal tratto del desiderio sessuale il cuore che guarda con con-
cupiscenza, falsando il dono della vista, concesso dal Creatore, nel far-
lo servire alle sue cattive aZioni»22 •
163
Si può dire che il corpo nella sua totalità viene a trovarsi distolto
dalla sua finalità naturale sotto l'effetto della lussuria. Il corpo del-
l'uomo, ricordiamolo, è chiamato, come l'anima e con essa, a unirsi a
Dio per mezzo della virtù e ad e;ssere santificato, deificato, glorificato,
e a manifestare fin da questo mondo la gloria di Dio e le primizie del
Regno per la presenza trasfigurante dello Spirito in lui. «Non sapete,
dice san Paolo, che il vostro corpo è santuario dello Spirito Santo che
è in voi, che avete da Dio? Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!»
(lCor 6,19-20). È chiaro, secondo l'insegnamento dell'Apostolo, che
il corpo ha per finalità naturale, normale, quella di essere consacrato
a Dio, di glorificare Dio, e quella di essere pneumatoforo; proprio co~.
me l'anima alla quale egli è unito. D'altra parte, affermando che <<il
corpo non è per l'impudicizia» (lCor 6,13 ), san Paolo manifesta chia-
ramente che l'uomo ne fa un uso contro natura e anormale quando lo
affida a questa passione. Riducendo il proprio corpo a strumento di
piacere sessuale, l'uomo rinnega la sua dimensione spirituale e il suo
destino trascendente, disprezza l'immagine di Dio secondo cui è fat-
to, e diviene così «dimentico della natura umana»23 • Profana ciò che
per natura è sacro e deiforme, egli «viola il tempio di Dio»24 , fa del
tempio dello Spirito Santo e di un luogo di preghiera un covo di bri-
ganti, trasforma in meretrice (cfr. 1Cor 6,15)25 colui che con l'anima
è chiamato ad essere sposa del Cristo nella Chiesa e nel matrimonio
che è un'icona di questa26 . L'uomo, nella lussuria, ignora la volontà
di Dio quanto all'uso del suo corpo (cfr. 1Ts 4,3-7): così «egli pecca
contro il proprio corpo» (lCor 6,18) e «disprezza Dio» stesso (lTs 4,8).
Per il fatto che la lussuria porta l'uomo a rinnegare la propria na-
tura e a rinnegare Colui che dà essere, senso e vita, essa può essere
considerata come una fonte di morte per tutto l' essere27 .
Le precedenti considerazioni sul corpo, tuttavia, non debbono far-
ci dimenticare che esso non interviene sempre nella passione della lus-
suria, o non interviene frequentemente se non in secondo luogo. La
sessualità umana è psichica prima di essere fisica. «La cupidigia che si
compie nel corpo non viene dal corpo», fa notare Clemente d' Ales-
sandria28. Il corpo, molto spesso, è condotto a peccare partendo da un
164
desiderio che è nato nel cuore (cfr. Mc 7,21) e si è sviluppato fino ad
implicare il passaggio ali' atto fisico. La «cupidigia del cuore» sembra
contenere già in germe tutta la passione ed è persino capace di espri-
. mere già pienamente questa (cfr. Mt 5,28 )29 • E se è vero che in alcuni
casi il desiderio può essere suscitato nell'anima da impulsi fisici30, si
può considerare che è ancora l'anima che conserva l'iniziativa, nella
misura in cui essa dispone di un potere di accettare che questi im-
pulsi si sviluppino o, al contrario, di rifiutare di dar loro seguito31 • Qua-
lunque ne sia la causa, occorre sottolineare che la passione della lus-
suria può esercitarsi nel pensiero32 , per il godimento di rappresenta-
zioni, e più precisamente di immagini. «Come, scrive san Massimo, il
corpo ha per mondo le cose, così lo spirito ha per mondo il pensie-
ro. E come il corpo commette il peccato di fornicazione con il corpo
di una dorina, così lo spirito pecca con la rappresentazione che si fa
della donna e del suo corpo, perché nell'immaginazione egli vede l'im-
magine del suo corpo unito all'immagine del corpo della donna [. .. ].
.Ali'azione, che il corpo esercita concretamente sul mondo delle cose,
corrisponde l'azione dello spirito sul mondo delle rappresentazioni»33 •
Quando le sue rappresentazioni non sono fomite dai sensi o dalla me-
moria, esse possono essere forgiate dall'immaginazione sotto la spin-
ta del desiderio34 • Questo può anche dar luogo, per la forza di un de-
siderio particolarmente potente, ma anche per una ispirazione diretta
dei demoni, a vere allucinazioni. Il demone della lussuria, fa notare
Evagrio, <<fa dire all'anima certe parole e sentirne la risposta, proprio
come se l'oggetto fosse visibile e presente»35 • Così la lussuria fa vive-
re colui in cui essa risiede in un mondo di spettri e di fantasmi36 , lo im-
merge in un universo irreale, lo consegna al delirio e alle forze de-
moniache.
L'amore è apertura ali' altro e libero dono di sé. Ciascuna delle
. 32 Vedi per esempio: Apoftegmi, N 178. MACARIO D'EGITTO, Capitoli parafrasati, 116. NICE-
TA STETATOS, Centurie, II, 17.
33 Centurie sulla carità, III, 53.
34 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Antirreticos. Raccolta di testi biblici contro i demoni tentatori, Il, 21;
165
due persone che questo unisce si dona all'altra e la riceve in cambio.
In questa comunione, ciascuno si arricchisce e s'illumina in tutta la di-
mensione del suo essere e fino all'infinità divina nella misura in cui,
come si è già detto, l'amore è alimentato dalla grazia e trova la sua ff
nalità nel Regno. La lussuria, al contrario, è un atteggiamento filauti,
co, rivela un amore egoista di sé. Ripiega su se stesso colui che essa
possiede e lo chiude totalmente all'altro. Impedisce ogni scambio poi-
ché, sotto il suo influsso il passionale mira solo al proprio interesse,
non dà nulla all'altro e vuole ricevere unicamente da lui, ma questo
solo se risponde al suo desiderio passionale. Ciò che ottiene, egli lo
considera più come conclusione del proprio desiderio che come do-
no dell'altro: il passionale dona l'altro a se stesso; l'altro non è per lui
che un semplice intermediario tra sé e se stesso. La lussuria così im-
prigiona l'uomo nel suo io, più precisamente e ristrettamente, nel mon-
do confinato e chiuso della sua sessualità carnale, dei suoi istinti e
dei suoi fantasmi, e lo chiude totalmente ai mondi infiniti dell'amore
e dello spirito.
37 Lettere CCCLXVI.
38 Istituzioni cenobitiche, VI, 12.
39 Ibid.
"'Ibid.
41 Ibid., VI, 3, l; 16.
42 Vita di Mosè, II, 301.
43 Omelie su 2 Corinzi, VIII, 6.
" Omelie sulla penitenza, VI, 2. Sulla lussuria considerata come una malattia, vedi anche NICE-
TA STETATOS, Centurie, II, 17.
45 Omelia: Non bisogna attaccarsi alle cose di questo secolo, 4, PG 31, 548.
167
ve: «Colui che ne è colpito [. ..] sembra aver perso la ragicme e sem-
brerebbe fuori di sé, perpetuamente inebriato di desiderio per le crea-
ture»46. Lo stesso dice anche: «Il demone della lussuria spesso oscura
a tal punto la ragione che dovrebbe regnare sulle nostre azioni, che
ci persuade di fare alla presenza degli uomini stessi ciò che potreb-
bero fare dei folli e insensati.>>47 • San Giovanni Crisostomo si preoc-
cupa di dimostrare come questa passione sconvolge la ragione del-
l'uomo, oscura, agita, devasta e ossessiona la sua anima: «Come le nu-
vole e la nebbia avvolgono gli occhi del corpo, così quando la passione
impura s'impadronisce dell'anima, le toglie la facoltà di prevedere, non
le permette di vedere nulla al di là dell'oggetto presente [. .. ];ma ti-
ranneggiata da queste tentazioni, l'anima è facilmente soggiogata dal
peccato; [ ... ] essa non ha più che un solo oggetto davanti agli occhi,
nello spirito, nel pensiero [... ]. E come i ciechi, in piedi, ali' aria aper-
ta e a mezzogiorno, non ricevono affatto la luce del sole, poìché i lo-
ro occhi sono chiusi, così gli sventurati in preda a questa malattia chiu-
dono i loro orecchi ai numerosi e salutari insegnamenti che risuonano
intorno a essi»48 • Lo stesso santo, in un altro punto, definisce lavo-
luttà, presa di mira dalla lussuria, <<madre della follia»49 •
"'Ibid., 83.
••Omelie su 1 Corinzi, XI, 4. Cfr. 3.
49 Trattato della compunzione, I, 7.
50 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su 1 Corinzi, XXXVII, 4.
51 Ibid.
168
mento di frustrazione accompagnato da ansietà e, talvolta, anche da
angoscia. Rinnovando il piacere, sotto l'effetto della sua passione, egli
crede di poter rimediare a questo stato di sofferenza. Così il deside-
rio, appena soddisfatto, nasce di nuovo con la sua parte d'inquietudi-
ne. Questa inquietudine è tanto più grande quanto più l'esercizio del-
la passione trattiene e rafforza la potenza del desiderio che l'esprime,
nello stesso tempo che accresce l'importanza concessa al piacere;
tutto ciò rende più dolorose, da un lato, le difficoltà inevitabilmente
incontrate a rinnovare la soddisfazione del desiderio tante volte quan-
te la passione esige, e dall'altro lato, la delusione che risulta dal diva-
rio tra ciò che il passionale attende dal piacere e ciò che questo ap-
porta in realtà52 •
3) Un oscuramento dello spirito, dell'intelligenù, della coscien-
za53 e una perdita di giudizio54 •
Oltre a questi tre principali effetti, tale passione ha come conseguenza
l'intorpidimento dello spirito55 e l'appesantimento dell'anima56 • Essa
esercita su colui che essa possiede una vera tirannia.57 , più di tutte le al-
tre passioni, in ragione della sua straordinaria potenza. «Tra le nume-
rose passioni che assediano il cuore umano, non ve ne è alcuna che ab-
bia contro di noi una forza paragonabile a quella della frenesia della
voluttà», scrive san Gregorio di Nissa58 . Per questo motivo, essa è
«un nemico difficile da combattere e da respingere»59 , ma lo è anche
a causa della sorprendente rapidità d'azione del demone che l'ispira60 •
Come tutte le altre passioni, essa distrugge le virtù61 • Correlativa-
mente, genera nell'anima ogni sorta di atteggiamenti viziosi e in parti-
.colare l'assenza di timore di Dio62 , l'orrore della preghiera63 , l'amore di
sé64, l'insensibilità65 , l'attaccamento a questo mondo66, la disperazione67 •
169
Notiamo, per terminare, che la passione della lussuria è favorita nel-
la sua nascita, nella sua sussistenza o nel suo sViluppo, principalmen-
te da tre tipi di comportamenti passionali: I'orgoglio68 e la vanagloria69;
il giudizio del prossimo70 ; l'abbondanza di nutrimento71 e di sonno72 •
68 Apoftegmi, N 592124. CIRILLO DI Scrrorou, Vita di Sabba, XLIX (139). GIOVANNI Cu-
MACO, La Scala, XV, 53. GIOVANNI CAssIANO, Istituzioni cenobitiche, VI, 1, 18. lsACCO IL SIR.O,
Discorsi ascetici, 34.
69 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XV, 79. Apoftegmi, loc. cit.
°Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XV, 53. Apoftegmi, loc. cit. BARSANUFIO, Lettere, 240.
1
170
V
LA FILARGIRIA E LA PLEONESSIA
171
proposito, che <<nulla è cattivo tra le creature di Dio»4 , che la passio-
ne è dovuta al cattivo uso che facciamo delle potenze della nostra ani-
ma5, e, nella circostanza, dalla facoltà concupiscibile6 • Così, scrive san
Massimo, ciò che è un ·male, «non sono le ricchezze, mal' avarizia [. ..].
Nulla, di ciò che è, è cattivo, ma solo il cattivo uso (pardchresis), in se-
glrito alla negligenza del nostro spirito nel coltivarsi secondo la natura>/.
È questo cattivo uso della facoltà concupiscibile, ma anche di tutte
le altre facoltà che esse implicano, che costituisce fondamentalmente
il carattere patologico della filargiria e della pleonessia.
Ma questo cattivo uso non si definisce solo relativamente ai beni
materiali. Si definisce, più fondamentalmente, in relazione a Dio, e im- .
plica anche le relazioni dell'uomo con se stesso e con il prossimo.
172
fatti essa volge verso se stessa il pensiero di colui che ama, e lo sottrae·
al dolcissimo amore di GesÙ>>10 •
È così che nella vita dell'avaro e dell'avido, il denaro e le diverse
forme di ricchezza occupano il posto dovuto a Dio e divengono per
essi veri idoli. «La cupidigia è una idolatria>>, <<il cupido è un idolatra>>,
afferma san Paolo (cfr. Col 3,5; E/5,5), e sulla sua scia i·Padri 11 • Co-
lui che è vittima di queste passioni, certo, non si rende conto del suo
atteggiamento idolatrico, e se è vero che da un punto di vista esterio-
re e formale non adora le ricchezze come gli idolatri adorano i loro
idoli nel quadro di un culto costituito, in fondo egli ha lo stesso at-
teggiamento12: infatti concede loro la stessa importanza, ossia la stes-
sa sacralità, dà prova nei loro riguardi della stessa attenzione, porta lo-
ro lo stesso rispetto, manifesta la stessa venerazione, e anche se non
offre loro sacrifici materiali, consacra loro molto di più spendendo per
esse ogni sua energia, tutte le sue forze e tutto il suo tempo; immola
loro la sua anima13 •
La filargiria e la pleonessia, anche se non sono sufficientemente svi-
luppate da escludere totalmente Dio, rivelano una mancanza di fede
e di speranza in lui. Da un lato, nel suo atteggiamento, l'uomo dimo-
stra che «egli spera più nel suo denaro che in Dio»14 e si preoccupa di
acquisire beni fidandosi solo di se stesso, mentre Dio ne provvede a
coloro che chiedono con fede (cfr. Mt 6,31-34). D'altra parte, l'uo-
mo pretende con questo di prevedere e assicurare, quindi in qualche
modo di dominare un futuro che, in realtà, non gli appartiene, ed ela-
bora progetti vani anziché rimettersi completamente alla volontà di-
. vina (cfr. Le 12,16-21). Allora cessa di vedere in Dio il suo unico soc-
cÒrritore e, di conseguenza, non invoca il suo aiuto; e, per un altro ver-
so, si dà un'illusoria impressione d'indipendenza e di dominio assoluto
della sua esistenza. Così egli si separa da Dio.
10 Ibid., 56.
11 GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, VII, 7, 5. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, X'JI,
2. NICETA STETATOS, Centurie, Il, 55.
u Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Giovanni, LXV, 3.
B Ibid.
14 MASsIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, ill, 18.
173
teriali alla propria anima15 • Preoccupato di conservare i beni che sono
in suo possesso e di acquisirne di nuovi, non si prende nessuna cura
di questa e non si preoccupa della sua salvezza. Egli trascura, afferma
san Giovanni Cassiano, <<la figura e l'immagine di Dio che dovrebbe
conservare immacolata in se stesso nel rendere culto a Dio»16 : «Non
si può infatti amare nello stesso tempo la propria anima e il denaro»17•
Impegnato ad accrescere e custodire una ricchezza materiale, non può
sviluppare le sue potenzialità spirituali e realizzare la pienezza della
sua natura, e conservare così se stesso nnchiuso nei limiti del mondo
decaduto. Quand'anche egli creda di arricchirsi veramente, di con-
quistare la sua libertà e assicurarsi da vivere ammassando tesori sulla
terra (cfr. Mt 6,19), egli inchioda e cede a questo mondo e alla «car-
ne>> tutto il suo essere e la sua esistenza, perché là dove è il tesoro del-
l'uomo, là è il suo cuore (cfr. Mt6,21). Egli così volge le spalle alle uni-
che vere ricchezze (cfr. Mt 6,20) che provengono da Dio, si priva dei
tesori e della vita del Regno (ibid.), votandosi infatti alla povertà spi-
rituale e perdendo la sua vita invece di guadagnarla (cfr. Mt 16,25).
Anche quando pensa· di trovare la gioia nel piacere che prova nel-
1'acquisire e possedere, egli si condanna all'insoddisfazione e, alla fi-
ne, all'infelicità, perché questo piacere è instabile, imperfetto, passeg-
gero e presto o tardi avrà fine (cfr. Mt 6,19; Le 12,16-20); ma soprat-
tutto tale piacere prende il posto delle gioie spirituali, incompara-
bilmente superiori e le sole in grado di soddisfare pienamente l'uomo,
che per contro è privato della beatitudine eterna.
Appare così chiaramente che, a causa della filargiria e della pleo-
nessia, l'uomo, come dice san Giovanni Crisostomo, in diversi modi
si rende «nemico di se stesso»13 •
rv, 1. BASILIO DI CESAREA, Omelie contro la ricchezza, VI, 7; Omelie contro i ricchi, Vll, -5.
GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, 'XV, 19. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Salmo
4, 2. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, IX, 101-102; 206-213.
174
non gli appartengono a:ffatto»20 e priva il suo prossimo del denaro o
delle cose che egli possiede più di lui21 • Così san Giovanni Crisostomo
può proclamare che «i ricchi e gli avari sono in un certo senso dei la-
dri.>>22, e san Basilio li considera senza mezzi termini come depreda-
tori e usurpatori23 • In realtà, tutti gli uomini sono uguali: hanno tutti
la stessa natura, tutti sono fatti a immagine di Dio, tutti sono salvati
dal Cristo24 • Il Creatore ha dato i beni di questo mondo in parti ugua-
li a tutti gli uomini, senza alcuna eccezione, affinché essi ne godano
tutti in ugual moda25 • Il fatto che alcuni acquistino e possiedano più
di altri va contro l'uguaglianza voluta da Dio nella ripartizione dei be-
ni, e instaura uno stato anti-naturale e anormale. Un tale stato non esi-
steva ali' origine26 ; è comparso come conseguenza del peccato origina-
le27; si è conservato e sviluppato grazie alle passioni e, in particolare, a
quelle della filargiria e della pleonessia28 • In verità, tutti possono usa-
re e godere delle cose, ma «non tutti possono esserne proprietatÌ.>>29 •
«Occorre usare la ricchezza nell'amministrazione e non nel godi-
mento», scrive san Basilio30 •
La ricchezza, sottolineano i Padri, è destinata ad essere condivisa,
ripartita equamente31 • L'avaro e l'avido non rispettano questa fina-
lità, il primo nel cercare e accumulare i beni in vista del suo godimento
unicamente personale, il secondo nel conservare egoisticamente il de-
naro. Tutti e due, così facendo, «trasgrediscono il limite normale»32 ,
perché pensano più a se stessi che al prossimo33 e contravvengono al
precetto fondamentale della carità: «Amerai il prossimo tuo come te
stesso»34 • «È impossibile, scrive Evagrio, che la carità coesista in qual-
povero, 2. GREGORIO DI NAZIANZO, !oc. cit. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, IX, 92ss.
26 Cfr. GREGORIO DI NAZIANZo, Zoe. cit.
TI Ibid.
28 Ibid.
29 SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, IX, 95-97.
30 Omelie contro i ricchi, VII, 3. Cfr. GREGORIO DI NAZIANZO, Discorsi, XXVI, 11.
31 Cfr. GIOVANNI CRlsOSTOMO, Omelie sulla Genesi, XXXV, 5. Per questo motivo i Padri con-
tinuano a invitare i ricchi a condividere le loro ricchezze, vedi per esempio: GREGORIO DINA-
ZIANZO, Discorsi, X[\7: 26. GREGORIO DI NISSA, Sull'amore dei poveri, I, 7. BASILIO DI CESAREA,
Omelie contro i ricchi, VII, 3. MA.Reo L'EREMITA, Sulla penitenza, V.
32 BASILIO DI CESAREA, Regole brevi, 48.
33 Ibid. Vedi anche MA.Reo L'EREMITA, Sulla penitenza, V. NICETA STETATOS, Centurie, I, 14.
34 Cfr. BASILIO DI CESAREA, Regole brevi, 48. NICETA STETATOS, Centurie, I, 14.
175
cuno con le ricchezze»35 . L'avaro e l'avido, mirando permanente-
mente a un godimento egoistico non hanno più in vista il prossimo,
cessano di considerarlo come un loro pari e un fratello. Essi rigettano
colui che condivide la loro nati.Ira, nota sant'Ambrogio36 ; escludono e
frustrano il loro prossimo della dignità che Dio gli conferisce e gli ri-
fiutano il rango di loro associato, sottolinea san Giovanni Crisostomd7•
La filargiria e la pleonessia distruggono anche la carità, sconvolgo-
no le relazioni con gli altri e conducono colui che da esse è abitato a
non vedere altro nel prossimo se non un ostacolo alla conservazione
delle ricchezze possedute o un mezzo per acquisirne di nuove. Ecco
perché san Giovanni Crisostomo sottolinea che «la filargiria ci attira
l'odio universale» e «ci fa detestare da tutti, dalle vittime dell'ingiu-
stizia e da quelli stessi che le nostre ingiustizie non hanno calpesta-
to»38. Il filargiro suscita l'odio, ma è egli stesso, sotto l'effetto della sua
passione, ad essere pieno di odio nei riguardi degli altri. Quando
non generano l'insensibilità di fronte al prossimo39 , la filargiria e la
pleonessia generano l'avversione per gli altri uomini40 e rendono an-
che colui che esse possiedono impietoso41 e crudele42 • Esse provocano
continuamente contestazioni e dispute43 . <<Nelle ricchezze, sottolinea
san Giovanni Crisostomo, vi sono solo motivi d'afflizione, divisioni,
liti, trappole, odii, paure»44 • È la filargiria, scrive san Giovanni Climac
co, «che produce gli odii, le invidie, i risentimenti, le ingiurie, le cru-
deltà e gli omicidi>>45 . Questa passione è anche fonte di guerre46 • Quan-
to alla pleonessia, san Gregorio di Nissa fa notare che essa scatena
«o la collera contro i propri pari, o il disprezzo degli inferiori, o l'in-
vidia di ciò che ci supera; ora l'invidia si accompagna all'ipocrisia, que-
sta all'asprezza, quest'ultima alla misantropia>>47 • Filargiria e pleones-
sia possono giungere a rendere l'uomo completamente crudele48 e a
gilanza, 59.
47 Sulla verginità, IV, 5.
48 GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, V, 16.
176
farlo somigliare a un animale selvaggio e feroce49 • In coloro che da que-
ste passioni si lasciano profondamente invadere «tutto accade come
se essi cambiassero natura, perdendo tutti i tratti della loro specie per
mutarsi in mostri>>, scrive san Gregorio di Nissa.5°.
49 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla I Corinzi, IX, 4; Commento a san Matteo, XX-
VIII, 5; Commento a san Giovanni, LXV, 3; Discorso: A chi non nuoce__ _
50 Sul!'amore dei poveri, 2.
51 Cfr. GIOVANNI CRisosroMo, Commento a san Matteo, IX, 6; LII, 6; Omelie sul tradimen-
to di Giuda; Omelie sulla I Corinzi, XI, 4; Discorso: A chi non nuoce ... («Questa grave malat-
tia,[ ... ] questa malatòa che rigetta ogni rimedio e attacca tutte le anime>>); Commento a san Gio-
vanni, LXV, 3; Omelie sulla I Corinzi, XXIII, 5; 6. BASILIO DI CEsAREA, Lettere, CLXXXVIII,
14; Omelie contro le ricchezze, VI, 2. GIOVANNI CAssIANO, Istituzioni cenobitiche, VII, 2, 14; Con-
ferenze, IX, 5. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XVI, 1. NICETA STETATOS, Centurie, II, 55. NIL
SORSKY, Regola, V. -
52 Omelie sulla 1 Corinzi, XI, 4.
53 Istituzioni cenobitiche, VII, 2.
54 Regola, V.
55 Cfr. GIOVANNI CRISOSfOMO, Consolazioni a Stagira, Il, 3; Omelie sulla 1 Corinzi, XXIII, 5;
Commento a san Matteo, LII, 6; LXXXI, 3-4; Discorm: A chi non nuoce... ; SIMEONE IL Nuovo
TuoLOGO, Catechesi, IX, 227 _TEOOORETO DI CrRo, Discorso sulla Provvidenza, VI, PG 83, 656CD.
ANDREA DI CRETA, Grande canone penitenziale. BASILIO DI CESAREA, Omelie contro i n"cchi, VII,
3; Omelie sul Salmo 14, II, 3. -
177
de, non solo si esercita indefinitamente, ma si accresce sempre più a
misura della sua manifestazione e della sua realizzazione56 • Per san Gio-
vanni Crisostomo, filargiria e pleonessia sono una «bulimia dell' ani-
ma>>: «Non vi è, egli scrive, malattia più crudele di questa fame in-
cessante che i medici chiamano bulimia; pur mangiando a iosa, nulla
viene a calmarla. Trasportate una tale malattia del corpo all'anima; co-
sa c'è di più spaventoso? Ora la bulimia dell'anima è l'avarizia; più
s'ingozza di alimenti, più essa desidera. Essa estende sempre più i suoi
desideri al di là di quanto essa possiede»57 • Tale insaziabilità raggiun-
ge, tra l'altro, sia i poveri che i ricchi58 • Sottomessi a questa passione,
i poveri invidiano i ricchi, ma i ricchi invidiano quelli che sono anco-
ra più ricchi di loro, perché, come osserva sant' Ambrogio, «ogni es-
sere che possiede in abbondanza si ritiene sempre troppo povero>>'9•
In questa insaziabilità si rivela il carattere tirannico della filargiria e
della pleonessia che rendono l'uomo schiavo dei beni che possiede60,
lo legano alle ricchezze che egli possiede o brama, lo trascinano in una
corsa senza fine alla ricerca di nuove acquisizioni, subordinando tut-
te le sue facoltà ai loro scopi e ai loro oggetti61 e l'assoggettano al de-
monio più di tutte le altre passioni62 • Filargiria e pleonessia privano
l'uomo della sua libertà, letteralmente lo alienano.
Il desiderio sempre inappagato di possedere di più, ma anche quel-
lo di conservare ciò che si ha, provocano nell'anima, per tutte le ra-
gioni ricordate sopra, un turbinio continuo, disagi e sconvolgimenti
permanenti. Per coloro che sono colpiti dalla filargiria e dalla pleo~
nessia, «non c'è mai tranquillità, mai sicurezza per l'anima[. ..]; né la
notte né il giorno porta loro l'acquietamento [ ... ];essi sono tormen-
tati da ogni parte», afferma san Giovanni Crisostoma63 •
La filargiria e la pleonessia, prima di tutto, generano nell'anima uno
stato di paura, di ansia e persino d'angoscia. San Gregorio Magno de-
scrive così lo stato interiore dell'avaro e dell'avido: «Quando egli ha
56 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XV, 19. GIOVANNI CRisoSTOMO, Omelie sul-
la Genesi, XXII. BASILIO DI CESAREA, Omelie contro la ricchezza, VI, 5; Omelie contro i ricchi,
VII, 5. AMBROGIO DI MILANO, Nabot il povero, 50; 4.
" Omelie sulla 2 Timoteo, VII, 2.
58 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Discorso: A chi non nuoce...
59 Nabot il povero, 50.
60 «Gli avari sono schiavi dei loro beni>>, osserva Giovanni Crisostomo (Commento a san Mat-
la, XVI, 1.
63 Commento al Salmo 142, 4. Cfr. Commento a san Matteo, LXXXIII, 3.
178
abbracciato un mucchio di cose nella sua avarizia, la sua stessa con-
gestione lo opprime. Quando la sua unica ansia è quella di cercare e
conservare ciò che ha accumulato, questa sazietà lo angoscia. Il primo
dolore che egli prova è il fastidio per tutte le domande che gli pone
il suo desiderio smodato: come ottenere ciò che si augura? [. .. ]. Una
volta poi soddisfatti questi desideri, insorge un altro dolore: l'inquie-
tudine di preservare tutto ciò che con tanta pena egli ha acquisito64 •
Egli è, dunque, esattamente oppresso da ogni sorta di dolori che so-
no per quaggiù il castigo della sua cupidigia e la preoccupazione di
conservare ciò che possiede»65 • San Giovanni Crisostomo descrive
allo stesso modo gli uomini sottomessi a queste passioni: <<Essi sono
sempre nell'agitazione e la loro anima non ha riposo. La premura di
possedere ciò che ancora non hanno fa che considerino nulla quello
che hanno già. Da un lato, tramano nell'apprensione di perdere ciò
che già hanno accumulato e, dall'altro, lavorano per possedere altre
cose, il che vuol dire nuovi motivi di paura.>>66 • L'ansia dell'avaro può
anche dipendere dalla costante volontà di acquistare o di vendere a
miglior prezzo, dalla convinzione di aver fatto cattivi affari, dalla pau-
ra di non veder stimare ciò che possiede al prezzo che egli gli attri-
buisce ... Essa può evidentemente anche essere conseguente alla per-
dita involontaria dei beni ai quali egli è attaccato.
Ali' ansia si aggiunge un altro effetto patologico fondamentale: latri-
stezza, lo stato depressivo dell'anima. Questo stato risulta molto spes-
so dalla frustrazione del desiderio di possedere di più, dal sentimento
relativo di non avere abbastanza, o anche dall'idea che si rischia di per-
dere ciò che si possiede, come dall'effettiva perdita delle cose. Poiché,
lo abbiamo visto, il desiderio di acquisire non conosce mai una sod-
disfazione definitiva:, la tristezza legata al suo inappagamento è con-
tinua, così come quella che prova l'avaro quando teme di essere spo-
gliato, nella misura in cui il rischio di perdere ciò che possiede è per-
manente. Così, scrive san Giovanni Climaco, «come il mare non è mai
senza flutti e senza onde, allo stesso modo l'avaro non è mai senza tri-
stezza>>67 •
Così in modo generale, il ricco è lontano dal trarre dalle cose che
possiede tutto il potere che si potrebbe credere. «Dov'è il piacere e
64 «Il ricco, anche quando non sperimenta alcuna perdita, ha paura di sperimentarla>>, os-
serva nello stesso senso Giovanni Crisostomo (Omelie sulla lettera ai Romani, XXIv, 4).
65 Moralia su Giobbe, "XV, 19.
66 Commento a san Matteo, LXXXI, 4.
67 La Scala, "XVI, 21.
179
il riposo dello spirito che si trova nelle ricchezze?», si chiede san Gio-
vanni Crisostomo. «Per me, egli risponde, vi confesso che io vi trovo
solo motivi d'afflizione e di miseria [...] e un dispiacere che non dà af-
fatto riposo»68 • L'avaro, egli constata altrove, «è tutti i giorni schiac-
ciato da nuove inquietudini e protesta che la vita gli è pesante»69 • Egli
è «incapace di godere di ciò che ama>>. «Non solo gli avari si privano
della gioia di ciò che hanno e di ciò che non osano usare a loro piaci-
mento, ma anche di quello di cui non sono mai sazi e hanno sempre
sete: vi può essere qualcosa di più penoso?»70 • «L'attaccamento che
[i filargiri] hanno per le loro ricchezze, egli afferma, non è la prova
della soddisfazione che essi provano, ma della malattia e della srego-
latezza del loro spirito>>7 1•
L'ansia e la tristezza dell'avaro possono chiaramente tradursi in una
patologia a un tempo somatica e psichica72 •
La filargiria e la pleonessia generano e manifestano anche altri di-
sturbi, di cui alcuni in particolare colpiscono la visione che l'uomo ha
della realtà e delle relazioni che egli intrattiene con questa.
La filargiria, come tutte le altre passioni, ottenebra l'anima e oscu-
ra l'intelligenza7'. «L'avaro vive nelle tenebre e diffonde una spessa
notte sul mondo [che egli vede]»74 ; per lui, <<la visione dell'anima è
spenta», constata san Giovanni Crisostoma75, che afferma anche: «L'a-
varizia è un terribile flagello: chiude gli occhi, tappa le orecchie di co-
lui che ne è posseduto»76 • Di conseguenza, l'avaro ha una visione
della realtà totalmente falsata: <<L'avarizia è una specie di notte _che
oscura tutte le cose, o piuttosto le fa vedere diverse da come sono», fa
ancora notare san Giovanni Crisostomo77 , che altrove afferma che la
filargiria genera «il delirio»78 •
Questa visione delirante della realtà si manifesta, in primo luogo,
nel modo di considerare il prossimo. Quest'ultimo, infatti, cessa di es-
sere percepito nella sua vera realtà di persona a immagine di Dio;
per essere considerato esclusivamente attraverso il prisma dell'inte-
180
rèsse, per ritrovarsi ridotto a un mezzo di arricchimento, a un valore
finanziario, in breve, in ogni caso, a un oggetto. L'avarizia non per-
mette a colui che ne è posseduto di avere nessuna attenzione, nessu-
na considerazione per chicchessia, osserva san Giovanni Crisostoma79 •
«Per l'avaro, gli uomini non sono uomini», egli afferma80 •
Il carattere delirante della percezione che lavaro ha della realtà si
manifesta anche nel modo di considerare gli stessi oggetti della ric-
cliezza. Colui che si attacca ai diversi beni materiali che costituisco-
no le ricchezze accorda, infatti, a questi un'importanza e un valore che
eccedono quelli che hanno in realtà e, di conseguenza, presta loro
un'attenzione che per la verità questi non meritano. Per esempio,
l'oro o le pietre preziose, spesso i Padri ricordano, non sono che sem-
plici sassi, cose terrene81 , ed è per una sorta d'illusione e di delirio che
gli uomini possono annettere loro un altro valore e considerarli in un
altro modo. Lo stesso vale per tutte le altre ricchezze. Al contrario,
ci mostra san Simeone il Nuovo Teologo, «colui che ha sia preserva-
to fin dall'inizio, sia ricordato e recuperato l'immagine e la somiglian-
za [con Dio], ha ricevuto anche la facoltà di vedere tutto secondo na-
tura. Egli vede tutte le cose tali e quali sono per natura [. .. ].Vede
foro e, lu:ngi dall'attaccarsi al suo splendore, pensa che questa mate-
ria proviene dalla terra e non è che polvere o pietra, che non potrà mai
cambiarsi in altra cosa. Egli vede l'argento, la perla, tutte le pietre pre-
ziose, e lungi dall'avere i sensi catturati dal loro riverbero, non vede in
tutto questo che pietre come le altre, e tutto, allo stesso titolo, gli sem-
bra melma. Vede abiti di lusso e, lungi dall'ammirarne i ricami, con-
sidera che sono escrementi di bachi ed ha pietà di coloro che prova-
no piacere e li ricercano come cose preziose»82 •
L'uomo attaccato alle ricchezze delira anche per quanto annette lo-
ro, di fatto, un valore assoluto, le considera come se esse fossero du-
rature, addirittura eterne, mentre sono tutte periture, distruttibili (cfr.
Mt 6,19-20; Gc 5 ,3 )83 • Lasciandosi ingannare, accecato dal piacere sen-
sibile che si attacca alla loro passione, il filargiro e l'avido vivono da
sempre nell'ignoranza dei veri beni, delle ricchezze autenticamente as-
solute ed eterne. «Malgrado tutta la sua precarietà, noi ci aggrappia-
181
mo alla prosperità di quaggiù con una tale frenesia, e ci lasciamo il-
ludere da queste gioie ingannevoli al punto da non poter immagina-
re nulla di più forte né di più grande se non i beni temporali», fa no-
tare san Gregorio Nazianzeno84 • «I nostri beni qui, egli ricorda, sono
fugaci e passeggeri e, come nel gioco dei dadi, essi passano di mano
in mano senza che noi possediamo qualcosa realmente» 85 . E, richia-
mando l'uomo a una visione sana, afferma: «Chi fuggirà questi beni
futili? Chi guarderà ai beni presenti come a beni caduchi? Chi di,
stinguerà la realtà dall'apparenza? Chi saprà distinguere l'inganno dal-
laverità?»86. L'avaro appare, così, come colui che baratta il presente
con l'eterno, il deperibile con l'immortale, il visibile con l'invisibile87,
i veri beni del Regno, il tesoro celeste (dr. Mt 6,20; Le 12,33-34) con
i beni illusori, le false ricchezze di questo mondo. «Sono veramente
miserabili>>, scrive a proposito dei filargiri san Giovanni Crisostomo,
«[coloro che vogliono] scambiare il cielo con un po' di terra e di
fango: essi sono simili a un re che, avendo scambiato il suo regno
con un letamaio, si gloria di questo scambio, come se questo letame
valesse di più della sua corona>>88 . E altrove sottolinea a proposito di
quelli che sono colpiti dalla stessa passione: «Coloro che vivono nel-
le tenebre della irrazionalità non riconoscono più la vera natura delle
cose, essi si rotolano nella immondizia, e il letame non appare loro più
come letame; posseduti dall'avarizia, sono insensibili al cattivo odore
che quella emana>>89 . Egli nota ancora che l'avaro è vittima di un'illu-
sione, allo stesso modo di colui che, nell'oscurità, scambia una corda
per un serpente e i suoi amici per nemici. È chiaro che per lui è un ve-
ro delirio che la filargiria genera.
La follia, del resto, è nella paura che l'avaro prova all'idea di per-
dere quanto possiede, come nella tristezza che l'accompagna. Queste,
infatti, non sono oggettivamente motivate, ma provengono dalle fal-
se credenze che hanno la loro fonte unicamente nell'anima sregolata
del passionale, così come mostra san Giovanni Crisostomo: «Molti uo-
mini giudicano male le cose di quaggiù, così essi cadono nello sco-
raggiamento. È per questo che i folli si spaventano di ciò che non ha
nulla di spaventoso, temono cose che spesso non esistono affatto e fug-
182
gono davanti alle ombre. Assomiglia a loro chi teme una perdita di de-
naro. Questo timore, infatti, non è imputabile alla natura ma alla vo-
lontà. Se in questo vi fosse un vero motivo d'afflizione, tutti quelli che
hanno delle perdite di denaro dovrebbero essere infelici: ma se la stes-
sa disawentura non produce in noi la stessa sventura, ne consegue che
il principio dell'afflizione non è affatto nella natura delle cose, ma nel-
la grossolanità dei nostri pensieri»90 •
Il delirio si ritrova anche in un altro tratto patologico della filargi-
ria: il carattere ossessivo91 e quasi allucinatorio che essa attribuisce al
denaro e alle ricchezze materiali nello spirito di colui che essa abita.
Costui, infatti, ossessionato continuamente dal pensiero dei beni che
possiede o cerca di possedere, vede tutto attraverso di essi e deforma
così la realtà che percepisce. «Dovunque, dice san Basilio ali' avaro,
non vedi che il tuo oro, lo immagini dovunque. L'oro ossessiona i tuoi
sogni la notte e ti abita di giorno. I folli non vedono il mondo reale,
ma le allucinazioni del loro cervello annebbiato. Allo stesso modo, il
tuo animo, preda della sua idea fissa, vede tutto oro, tutto argen-
to»92. San Giovanni Crisostomo nota, in senso analogo, che l'uomo
colpito dalla filargiria e dalla pleonessia, sotto l'effetto del suo insa-
ziabile desiderio, arriva fino a volere le cose che non esistono, e si por-
ta in un mondo fantasmatico e allucinatorio93 •
Il carattere patologico della filargiria e della pleonessia si rivela
anche nelle molteplici passioni/malattie che esse generano. Sulla scia
di san Paolo (cfr. lTm 6,10), i Padri affermano che la filargiria è la ra-
dice e la madre di tutti i mali94 • Così san Niceta Stetatos si chiede: «Se
questa malattia è un male tale da avere ricevuto il nome di seconda
idolatria, quale vizio non scaturirà dall'anima che da sola si procura
tale malattia?»95 •
Filargiria e pleonessia, lo abbiamo dimostrato, distruggono la ca-
rità: esse generano per ciò stesso tutte le passioni che le sono contra-
rie: insensibilità, avversione, odio, inimicizia, risentimento, spirito di
90 Loc. cit.
91 Cfr. BASILIO DI CESAREA, Omelie contro la ricchezza, VII, 1.
92 Ibid., VI, 1.
93 Cfr. Omelie su 1 Corinzi, VII, 2. Vedi anche ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 8.
94 GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, LIII, 4; Commento a san Giovanni,
XL, 4; LXIX, l; Omelie sulla 1 Corinzi, XXIII, 5. GIOVANNI Mosco, Il prato spirituale, 152. EVA-
GRIO PONTICO, Sui diversi pensieri della malvagità, 1, PG 79, 1200. GIOVANNI CASSIANO, Istitu-
zioni cenobitiche, VII, 2; 11. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XV, 19. TALASSIO, Centu-
rie, I, 34. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utile all'anima. NIL SORSKY, Regola, V.
" Centurie, II, 55.
183
contestazione e lite, crimini, ecc. Abbiamo visto anche che esse pro-
ducono la paura e la tristezza. Occorre osservare che possono anche
generare nell'anima la collera% e diverse forme di violenza97 , ma anche
la pigrizia98 , l'orgoglio 99 , la vanità100 , e quanto accompagna queste due
ultime passioni: la sicurezza di sé101 , lo spirito di superiorità 102 , il di-
sprezzo del prossimo 103 , l'irriverenza104 , l'insolenza, l'arroganza105 •
Per terminare, segnaliamo ciò che favorisce lo sviluppo della filar-
giria e della pleonessia. San Massimo d insegna: «La filargiria ha tre
cause: il piacere, la vanagloria e la mancanza di fede. Quest'ultima è
più grave delle altre due»106 • Quanto a san Giovanni Crisostomo, egli
offre le seguenti ragioni: «Voler prevalere sugli altri nel possesso dei
beni carnali non ha altro principio se non l'indebolimento della carità;
la cupidigia non ha altra fonte se non quella dell'orgoglio, dell'odio e
del disprezzo degli uomini»107 •
96 Cfr. GIOVANNI CAsSIANO, Conferenze, V, 10. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, IV; 5.
ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 59. NICETA STETATOS, J;anima, 56. GIOVANNI CLI·
MACO, La Scala, XVI, 21.
"'Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XXXI, 45. EsICHIO DI BATOS, Capitoli sulla
vigilanza, 59.
98 GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Salmo 9, l; 11; Omelie sulla 1 Corinzi, XXIII, 5.
184
VI
LA TRISTEZZA
185
simo scrive a tale proposito: «Negli uomini ferventi, anche le passio-'
ni divengono buone quando [...] le assumono per acquistare le cose
del cielo. La stessa cosa avviene quando [ ... ]facciamo della tristezza
il pentimento che ci corregge dal male presente»9 •
La seconda forma di tristezza, che è l'oggetto della presente ricer-.
ca, è, al contrario, una passione, una malattia dell'anima, costituita dal
cattivo uso della tristezza precedentemente ricordata. Anziché utiliz-
zare la tristezza per piangere i propri peccati, per affliggersi del suo al-
lontanamento da Dio e della perdita dei beni spirituali, l'uomo, al con-
trario, l'usa per piangere la perdita dei beni sensibili1°, si affligge di
non aver potuto soddisfare tale desiderio od ottenete tale piacere at~
teso, o anche di aver subito tale dispiacere nei rapporti con i suoi si-
mili. Egli fa, dunque, della tristezza un uso contro natura, cioè anor·
male 11 • Ciò è quanto constata san Giovanni Crisostomo: «Non è af-
fatto l'avversità ma solo il peccato che deve provocare la tristezza. Ma
l'uomo capovolge quest'ordine e confonde i tempi: moltiplica dunque
i suoi peccati e non ne recepisce alcun dolo,re, e quando egli riceve non
importa quale dispiacere, si scoraggia.>>12 • E così che la tristezza divie-
ne <<Una passione non meno grave e spiacevole dell,a collera e della voc
luttà e porta agli stessi risultati, dal momento che non la usiamo af-
fatto secondo le regole della ragione e della prudenza.>>13 •
I.:uomo manifesta, in questa passione, un comportamento doppiac
mente patologico: da un lato, perché non si affligge, come invece do-
vrebbe continuamente fare, per quanto in verità costituisce una si-
tuazione affliggente - il suo stato di decadenza, di peccato, di malat-
tia -; e dall'altro, egli si rattrista a proposito di oggetti, di stati, di
situazioni, ecc., che non lo meritano realmente14 • La facoltà di affli-
zione di cui l'uomo dispone non solo non gli serve, come Dio aveva
voluto facendogliene dono, per prendere le distanze dal suo stato di
peccato, ma al contrario viene utilizzata fuori tempo, in modo assur-
do e insensato in rapporto alla sua naturale finalità, a manifestare il
suo attaccamento al mondo, e paradossalmente entra al servizio del
peccato.
186
La tristezza (lypeJ appare come uno stato dell'anima fatto, oltre ciò
che questo termine può indicare, di scoraggiamento 15 , di astenia16 , di
pesantezza e di dolore psichico, d'abbattimento 17 , di sgomento18 , d'op-
pressione19, di depressione20, accompagnato frequentemente da ansia
o anche da angoscia21 .
Questo stato può avere molteplici cause, ma esso è sempre costi-
tuito da una reazione patologica della facoltà irascibile e/o dalla fa-
coltà concupiscibile dell'anima, ed è essenzialmente legato alla con-
cupiscenza o/e alla collera. «La tristezza, spiega Evagrio, soprag-
giunge talvolta per una frustrazione dei desideri (stéresis ton epithymi6n),
talvolta essa è anche una conseguenza della collera.>>22 • Ma essa può an-
che essere prodotta nell'anima da un'azione diretta dei demoni, o
ancora vi può nascere senza un motivo apparente. Esamineremo in
particolare queste diverse eziologie.
19 Ibid.
2°Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, IX, 1.
21 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, V, 67.
22 Trattato pratico sulla vita monastica, X.
23 Gli otto spiriti della malvagità, 11, PG 79, 1156D.
24 Istituzioni cenobitiche, IX, 4.
25 Conferenze, V, 11.
26 EVAGRIO PONTICO, Gli otto spiriti della malvagità, 11, PG 79, 1156D.
27 Loc. cit.
28 Trattato pratico sulla vita monastica, 19.
29 Cfr. Questioni a Talassio, 58, PG 90, 593A.
30 Centurie, I, 75.
187
sottolinea il fatto che il piacere sensibile è inevitabilmente seguito
dal dolore, essendo quest'ultimo molto spesso più psichico che fisico,
ossia, detto altrimenti, prende la forma della tristezza. Ecco perché san
Massimo dice che la tristezza «è la fine del piacere sensibile»31 •
Poiché detta tristezza è il risultato della frustrazione di un deside-
rio carnale (nel senso ampio del termine) e del piacere che vi si ricol-
lega, essa manifesta in colui che essa affligge un attaccamento ai beni
sensibili, ai valori di questo mondo. Ecco perché Evagrio sottolinea
che essa è legata a tutte le passioni nella misura in cui esse implicano
la cupidigia32 e scrive: «È impossibile respingere questo nemico se ab-
biamo un attaccamento passionale per ·questo o quel bene terreno»33 •
San Doroteo di Gaza scrive allo stesso modo: «Colui che non disprezza
ogni cosa materiale [ ... ] non può [. .. ] liberarsi della tristezza»34 • E
san Giovanni Climaco osserva: «L'uomo che è arrivato a detestare il
mondo è sfuggito alla tristezza. Ma colui che è attaccato a una qual-
siasi cosa visibile non è ancora liberato dalla tristezza. Difatti come
non rattristarsi se si è privati di ciò che si ama?»35 • Lo stesso autore
fa notare ancora: «Se qualcuno crede di non avere nessun attaccamento
a qualcosa e, nondimeno, avverte una certa tristezza nel suo cuore
quando ne viene privato, non vi è assolutamente un'illusione più
perfetta né più sicura della sua>>' 6 •
Così vediamo spesso la tristezza provocata dalla perdita di un bene
sensibile37 , da un qualunque danno che si subisce su questo stesso pia-
no38. L'attaccamento passionale dell'uomo alla sua vita terrena e a ciò
che essa comporta di soddisfacente per le sue passioni può anche far
nascere la tristezza nella prova o il pensiero di tutto ciò che può met-
terla in pericolo: la malattia39, tutti i mali ai quali si trova esposto40, la
morte41 •
La tristezza può anche essere suscitata dalla voglia di qualche bene
materiale o morale posseduto da altri42 •
188
La tristezza può anche avere come causa una delusione nella ri-
cerca di onori, e quindi sembra necessariamente legata alla cenodossia43 •
Notiamo, inoltre, che la tristezza può non essere provocata dalla
frustrazione di un desiderio particolare, che si riferisce a un oggetto
ben determinato: essa può essere legata a una insoddisfazione gene-
rale, a un senso di frustrazione globale che si riferisce all'intera esi-
stenza e rivela che i desideri profondi e fondamentali della persona
(del cui vero significato questa non ha necessariamente una coscienza
chiara) non sono soddisfatti.
43 Cfr. IsAcco IL SIRO, Discorsi ascetici, 1. EVAGRIO PONTICO, Gli otto spiriti della malvagità,
XII, PG 79, 1158B. .
44 Gli otto spiriti della malvagità, 11, PG 79, 1156BC. Cfr. Trattato pratico sulla vita mona-
189
la segue. Essa presenta una reazione dell'io frustrato nel desiderio di
affermazione di se stesso (in ciò questa seconda eziologia si collega al,
la prima) e considerato meno di quanto egli si reputi49 • Il rancore, al
quale spesso si riallaccia la tristezza, è d'altronde il risentimento del-
1' orgoglio ferito, e la collera, fonte della stessa passione, esprime fre-
quentemente una volontà di riaffermazione, di rivalutazione, di rias-'
sicurazione dell'io di fronte a se stesso e agli altri: La tristezza si rive·
la, allora, essere l'espressione del sentimento di fallimento o d'impotenza·
che prova l'io in questo tentativo di riabilitazione di sé.
190
profonda oscurità, e si sforza di rapirti i pensieri che potrebbero ras-
sicurarti contro te stesso. Ma trovando allora la tua anima sola, egli
la schiaccia con colpi e piaghe»54 •
L'irruzione di un sentimento di tristezza nell'anima è, tra laltro, uno
degli effetti più immediati dell'azione diabolica. «I pensieri che ven-
gono dai demoni sono prima di tutto torbidi e mescolati a tristezza>>,
nota san Barsanufio55 • E si può inversamente dire che ogni stato di tri-
stezza nell'anima è in tutte le circostanze il segno di un'azione demo-
niaca. «Tutto quello che si fa con turbamento e tristezza viene dai de-
moni», dice ancora il Grande Anziano56 •
54 Ibid., II, 1.
"Lettere, 124. Cfr. 70.
56 Ibid., 433.
"' Omelie sulle statue, I, 3.
58 Consolazioni a Stagira, II, L Cfr. ill, 13.
191
siste all'intervento diretto del diavolo, il quale non fa altro che ap-
profittare della situazione per sviluppare la passione.
59 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVI, 72. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli
SORSKY, Regola, V.
63 Moralia su Giobbe, XXXI, 45.
64 Lo si nota in Stagira, lamico di san Giovanni Crisostomo, che è ossessionato da idee sui-
cide, ed è sul punto di uccidersi (cfr. Consolazioni a Stagira, I, 1 e 2; II, 1).
192
caso esso non è la sola causa, volendo insistere ancora di più sulla re-
sponsabilità dell'uomo stesso: «Questi pensieri funesti, scrive a Sta-
gira, non-provengono solo dal demonio, ma molto più dalla tua ma-
linconia. Sì, questa oscura tristezza li provoca ben più che lo spirito
cattivo, e forse essa ne è l'unica causa. È certo, infatti, che molti, al
di fuori di questa ossessione diabolica, provano questa mania di sui-
cidio in seguito a violente sofferenze»65 • «Una profonda tristezza, di-
ce ancora, anche senza il concorso del demonio, genera i mali più gran-
di [. .. ]. È sotto la pressione di un oscuro abbattimento che alcuni scia-
gurati si appendono a una corda, si trapassano co~ un pugnale, si
buttano nell'acqua, ricorrono a ogni altro genere di morte violenta.
Quelli stessi nei quali si rivela l'azione dello spirito cattivo devono ac-
cusare, per la loro perdita, meno lui che non la tirannia e l'eccesso del-
le loro sciagure>>66•
sulle statue, XVIII, 3; Consolazioni a Stagira, III, 14. EVAGRIO PONTICO, Gli otto spiriti della mal-
vagità, 12, PG 79, 1158B; _1158C. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 19.
68 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Esortazioni a Teodoro, l, 1 («Questo genere di malattia»).
69 Commento a san Giovanni, LXXVIII, 1. Egli dice anche che è una ferita, una piaga del-
!'anima (Omelie sulle statue, VI).
70 Apoftegmi, serie alfabetica, Sindetico, 21.
71 Istituzioni cenobitiche, IX, 1. Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Consolazioni a Stagira, I, 1.
193
Gli effetti patologici della tristezza sono importanti e temibili. <<La
tristezza ne ha perduti molti», constata l'Ecclesiastico (Sir 30,23 ), San
Giovanni Crisostomo non esita a dire: «Una profonda tristezza ci è
ben più nociva di tutti gli attacchi dello spirito cattivo»72 :
Non solo «la tristezza è un ostacolo a tutti i beni>>73, ma essa intro-
duce nell'anima molti mali. San Nilo Sorsky la considera anche co-
me «la radice di ogni male»74 .
Oltre al fatto che essa genera quasi inevitabilmente la disperazio-
ne con le sue gravi conseguenze, se la si lascia sviluppare, tale passio-
ne produce fin dalle sue prime manifestazioni atteggiamenti passionali
come l' acredine75 , la cattiveria76 , il rancore77 , l' amarezza78 , il risenti-
menta79 (che, lo abbiamo visto, lo genera, ma che essa accresce a sua
volta), l'impazienza80 . Per questo fatto, essa turba gravemente le rela-
zioni dell'uomo con il suo prossima81 .
Notiamo ancora che, come tutte le altre passioni, la tristezza.riem-
pie l'anima di oscurità82 , ricoprendo in primo luogo lo spirito di tene-
bre, accecando l'intelligenza, e riducendo considerevolmente la sua fa-
coltà di discernimento83 • Uno dei suoi effetti specifici è quello di ap-
pesantire l' anima84 • Essa produce, tra l'altro, in tutto l'uomo uno stato
di astenia e di tiepidezza85 , lo rende pusillanime86 e paralizza la sua at-
tività87. Quest'ultimo effetto si rivela particolarmente grave sul piano
·spirituale in cui priva l'uomo di tutto il suo dinamismo, ostacola i suoi
sforzi ascetici, «scompiglia la preghiera>>88, soprattutto quando questa
segue a una colpa89 .
194
VII
L'ACEDIA
195
sa alcuna, trova ogni cosa insulsa e insipida, non sì aspetta più nulla
di nulla 12 •
L'acedia rende, allora, l'uomo instabile nel suo animo e nel suo cor-
po13. Le sue facoltà divengono incostanti; il suo spirito, incapace di fis-
sarsi; va da un oggetto all'altro. Soprattutto quando egli è solo, non
sopporta più di rimanere nel luogo in cui si trova: la passione lo spin-
ge a uscirne 14 , a spostarsi, ad andare in uno o in diversi altri luoghi.
Talvolta, egli si mette ad errare e a vagabondare15 • In maniera gene-
rale, egli ricerca a ogni costo contatti con altri16 • Tali contatti non so-
no obiettivamente indispensabili ma indotti dalla passione: egli ne sen-
te il bisogno e trova dei «buoni» pretesti per giustificarli1'.. Così stabi-
lisce e intrattiene relazioni spesso futili che alimenta con discorsi vani18
in cui egli manifesta generalmente una vana curiosità19 •
Può accadere chel' acedia ispiri, a colui che vi è soggetto, un' av-
versione intensa e permanente per il luogo in cui risiede20 , che gli dia
motivazioni per esserne scontento e lo porti a credere che starebbe
meglio altròve21 • «Egli allora è portato a desiderare altri luoghi in cui
potrà trovare più facilmente ciò di cui ha bisogno»22 • L'acedia può an-
che condurlo a fuggire dalle sue attività, particolarmente dal suo la-
voro, di cui essa lo rende insoddisfatto23, e lo conduce allora a ricer-
carne altri, facendogli credere che questi saranno più interessanti e
lo renderanno più felice ...
Tutti questi stati che si ricollegano all'acedia sono accompagnati da
inquietudine o ansia, che è, oltre il disgusto, un carattere fondamen-
tale di questa passione24 •
Il demone dell' acedia si attacca soprattutto a coloro che si dedica-
Istituzioni cenobitiche, X, 6.
16 Istituzioni cenobitiche, X, 2 (3 ).
17 Ibid.
18 Conferenze, V, 16.
19 Ibid.
2 ° Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 12; Antirretico, VI, 26. GIO-
cenobitiche, V, 1; X, l; Conferenze, V, 2). Cfr. anche: Conferenze, V, 16; xxrv, 5; Istituzioni ce-
nobitiche, X, 2 (3).
196
no alla vita spirituale: esso cerca cli allontanarli dalle vie dello Spiri-
to, d'impedire in diversi modi le attività che una tale vita comporta
e, particolarmente, di nuocere alla regolarità e alla costanza della di-
sciplina ascetica cli cui ha bisogno25 , cli rompere il silenzio e la stabi-
lità che la favoriscono26 • Per questo, san Giovanni Crisostomo la pre-
senta come <<Un rilassamento dell'anima, un lasciarsi andare dello spi-
rito, la negligenza dell' ascesi.>>27 • Essa rende lo spirituale <<muto e senza
coraggio per tutto il lavoro che deve fare su cli lui, gli impedisce cli sof-
fermarvisi e cli applicarvisi.>>28 • Sotto l'influsso cli questa passione, il suo
spirito «diviene ozioso e incapace cli ogni attività spirituale»29 ; diviene
indifferente a tutta l'opera cli Dia3°, cessa cli desiderare i beni futu-
ri31, giunge perfino a disprezzare i beni spirituali32 . Tutti i Padri ve-
dono nell' aceclia uno dei principali ostacoli alla preghiera33 . San Gio-
vanni Climaco la definisce come «un languore nella salmodia, una de-
bolezza nella preghiera»34 • <<ll demone dell' acedia si attacca abitualmente
soprattutto a coloro che sono avanti nella preghiera o che vi sono as-
sidui>>, nota san Simeone il Nuovo Teologo35 • E molti sottolineano che
è soprattutto nell'ora della preghiera che essa genera il torpore nell' a-
nima e nel corpo e spinge l'uomo al sonno: «Quando non è l'ora del-
la salmodia, l' acedia non compare. E quando l'ufficio è terminato, i
nostri occhi si riaprono», scrive san Giovanni Climaco36 • Ma «quando
arriva il tempo dell'ufficio e della preghiera, [questo demone] inizia
di nuovo a renderci il corpo pesante. E quando preghiamo, c'immer-
ge nel sonno, e con degli sbadigli che ci suscita nel frattempo, c'im-
pedisce cli pronunciare alcuni versetti per intero», constata ancora Gio-
vanni Climaca37 •
Se è vero che l' aceclia colpisce proprio coloro che si sforzano cli sot-
tomettersi a una disciplina spirituale regolare, che riducono per que-
sto motivo allo stretto necessario le loro attività esterne e i loro spo-
25 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 66; 71.
26 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, X, 3.
n La Scala, XIII, 2.
28 GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, X, 2 (1).
29 Ibid., (3). .
30 lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 26.
197
stamenti, o anche ricercano il silenzio e la solitudine, è altrettanto
vero che più l'uomo si regola spiritualmente e si isola per dedicarsi nel
silenzio alla preghiera che l'unisce a Dio, più egli è attaccato da que-
sta passione particolarmente temuta dagli eremiti. Per di più, essa non
lascia in pace nemmeno coloro che vivono al di fuori di ogni disci"
plina o anche di ogni attività spirituale. È sotto altre forme che essa se
la prende con essi, come fa notare sant'Isacco il Siro: a «coloro che
conducono la loro vita nelle opere del corpo», «giunge un'altra ace-
dia, che è visibile agli occhi di tutti>>38 • Questa acedia prende la for-
ma di un senso, spesso oscuro e confuso, d'insoddisfazione, di di-
sgusto, di noia, di stanchezza, rispetto a essi stessi, dell' esistenza39 , del
loro ambiente, del luogo in cui risiedono, del loro lavoro o anche di
una qualunque altra attività40• Essi sono, altresì, colpiti da una inquie-
tudine senza ragione, da un'ansia generalizzata, o da un'angoscia
episodica o continua. Generalmente essi si ritrovano presi, correlati-
vamente, da uno stato di torpore, da un appesantimento psichico e fi-
sico, da un affaticamento generale e costante provato senza un moti-
vo particolare, da una sonnolenza periodica o permanente dell' ani-
ma e del corpo. Spesso, parallelamente, e per scongiurare in qualche
modo i suoi stati penosi, l' acedia li spinge a molteplici attività, a spo-
stamenti non indispensabili, a frequentazioni inutili, e a tutto ciò per
cui sembra loro di poter sfuggire all'angoscia e alla noia, di fuggire la
solitudine e di colmare l'insoddisfazione che avvertono. Spesso, quan-
do essi vogliono o credono così di sentirsi soddisfatti e ritrovare se stes-
si, in realtà non fanno altro che allontanarsi da se stessi e dal loro do-
ver-essere spirituale, dalla loro natura e dal vero destino, e per ciò stes-
so da ogni soddisfazione piena e intera.
Per coloro che conducono una vita ascetica, gli attacchi di questo
demone, le manifestazioni di queste passioni, raggiungono il loro mas-
simo d'intensità verso mezzogiorno. «È soprattutto all'incirca verso
l'ora sesta41 , scrive san Giovanni Cassiano, che [questo avversario] tur-
ba [i solitari] eccitando a ore fisse, come una febbre che ritorna pe-
riodicamente, la loro anima malata con gli ardori che essa vi accen-
de. Qualcuno tra gli anziani dichiara che è questo il "dell).one di mez-
198
zodì" di cui parla il salmo 91 (90)»42 • Tra questi anziani, occorre cita-
re Evagrio, il quale afferma: «Il demone dell' acedia, chiamato anche
~demone di mezzogiorno [meridiano]", attacca il monaco verso l' o-
ra quarta43 e assedia la sua anima fino all'ora ottava44»45 •
42 Istituzioni cenobitiche, X, 1.
"Ore 10.
44 Ore 14.
45 Trattato pratico sulla vita monastica, 12. Nel capitolo 3 6, Evagrio usa solo questa espres-
LOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 71. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 57.
199
re le verità essenziali. «È veramente assopita riguardo a ogni contem-
plazione delle virtù e a ogni visione dei sensi spirituali l'anima che è
stata ferita da questo turbamento», constata san Giovanni Cassiano55 •
La conseguenza più grave è che l'uomo è, a causa di questa passione,
distolto e tenuto lontano dalla conoscenza di Dia56 •
I Padri constatano, altresì, che l' acedia, che costituisce un rilassa-
mento dell'anima57 e·un lasciarsi andare dello spirita58 , genera il vuo-
to nell'anima59, porta l'uomo a una negligenza generalizzata60, lo ren-
de debole61 • Unita alla tristezza, essa l'accresce62 , e allora può facil-
mente condurre alla disperazione63 • Da ess:i possono anche procedere
pensieri blasfemi64 e idee folli contro il Creatore65 • Essa ha, come altre
conseguenze conosciute, quella di distruggere la compunzione, e di
rendere irritabili66 • Da essa ancora, dice sant'Isacco, «proviene lo
spirito di smarrimento; che è l'origine di mille tentazioni»67 •
A differenza di altre passioni principali, l'acedia non genera alcuna
passione particolare perché essa le produce quasi tutte. «Questo de-
mone non è seguito immediatamente da nessun altro», afferma Eva-
grio68, che altrove spiega: <<li pensiero di acedia non è seguito da nes-
sun altro pensiero, prima perché esso permane, poi perché esso ha
in sé quasi tutti i pensieri>>69 • San Massimo il Confessore dice ugual-
mente che l' acedia «mette scompiglio in quasi tutte le passioni>>7°. San
Barsanufio afferma in modo più generale che <<lo spirito d' acedia ge-
nera ogni male»71 • San Giovanni Climaco nota, di conseguenza, che
<<l'acedia, per·il monaco, è una morte che lo chiude da ogni lato»72 , e
san Simeone il Nuovo Teologo conclude, allo stesso modo, che essa
200
«è la morte dell'anima e dello spirito»73 • E aggiunge: «Se Dio lascias-
se [questo demone] impiegare tutta la sua forza contro di noi, senza
dubbio nessun asceta si salverebbe»74 •
Così, davanti ali' ampiezza di questi effetti, i Padri affermano che
l'acedia è la più pesante, la più opprimente di tutte le passioni75, <<la
più grave delle otto»76 , che <<non c'è passione peggiore di essa>>77 ; ad-
dirittura sant'Isacco dice che essa <<fa assaporare l'inferno» ali' anima78 .
La patologia dell' acedia non può essere considerata, alla pari delle
passioni precedentemente esaminate, come costituita dalla perver-
sione dell'uso di una facoltà particolare. San Massimo fa notare che
essa le implica tutte: «Tutte le altre passioni colpiscono nell'anima
sia la parte irascibile, sia quella concupiscibile, sia anche la parte ra-
zionale [ ... ]. L' acedia, da parte sua, se la prende con tutte le facoltà
dell'anima>>79 • Ma, d'altra parte, essa non è costituita dal loro uso con-
tro natura, non avendo nella natura alcun fondamento positivo: Eva-
grio osserva che è conforme alla natura (katà phjsin) non averla affat-
to80. In qualche modo, essa è l'intorpidimento e l'inattivazione, da
un lato, e la distrazione, dall'altro, di tutte le facoltà che contribui-
scono alla vita spirituale dell'uomo. San Talassio esprime bene questo
aspetto nella sua dualità quando la definisce come «la negligenza
dell'anima>>. In una certa misura, essa potrebbe essere considerata co-
me costituita dall'assenza di <<Zelo» spirituale dato dallo Spirito sia al
primo uomo sia all'uomo rinnovato in Cristo, affinché essi compiano
con fervore il loro impegno spirituale.
201
VIII
LA COLLERA
1 Al capitolo 3, 3.
2Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 24. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, VIIl,
21;22.
3 Apoftegmi, serie alfabetica, Sindetico, 23.
202
Ciò che la tradizione ascetica pone sotto il nome di «collera>> non
consiste solO in queste manifestazioni violente, esteriorizzate, che or-
dinariamente poniamo sotto il suo nome e che generalmente sono epi-
sodiche e colpiscono particolarmente alcuni individui dal tempera-
mento detto collerico: i Padri la concepiscono come una passione svi-
luppata come le altre, e radunano ugualmente sotto questo termine
tutte le forme di aggressività, esteriori o interiori, esplicite o nasco-
ste, grossolane o sottili, di cui l'uomo è capace, e che hanno in modo
generale il prossimo come oggetto. Così, accanto a ciò che abitual-
mente chiamiamo collera, e che costituisce la manifestazione più este-
riore, visibile e violenta di questa, la forma acuta della passione dove
<<il thym6s scoppia e si dispiega>>4 i Padri.5 distinguono principalmen-
te: il risentimento (menis) - che è una «collera trattenuta>>, che dura
sotto una forma più interiorizzata e più nascosta, e che ha come fon-
damento il ricordo di un'offesa, di una umiliazione, d'ingiustizie su-
bite-, il rancore (mnesikakia), l'odio (misos, k6tos), e così tutte le for-
me di rancore, di ostilità, di animosità, d'inimicizia, in breve, di cat-
tiveria. Il cattivo umòre, l'acredine, le forme più o meno sviluppate
d'irritazione (oxycholia) e le manifestazioni d'impazienza, già fanno
parte di questa passione6. Allo stesso modo, vi si ricollegano l'indi-
gnazione e le beffe, gli scherni e l'ironia riguardo alle persone. Vi si
possono collegare anche i sensi, benché poco sviluppati, di malevo-
lenza, dai più grossolani - che si traducono nella cattiveria e nella
volontà aperta di nuocere -, ai più sottili, che possono consistere, da
un lato, nel rallegrarsi (anche per un solo momento) di un male o di
una delusione che colpisce il prossimo, e dall'altro, nel non affligger-
si delle pene che gli sopraggiungono, o persino a non gioire della sua
felicità7 • A proposito di questi sentimenti spesso molto sottili, molto
interiori e non percepiti da colui in cui essi allignano, le forme estre-
me di violenza, come le diverse rivalità8 , lotte, aggressioni, combatti-
menti e perfino crimini9 o guerre, possono anche derivare dalla pas-
teo, XVI, 6.
203
sione della collera nel senso ampio in cui l'intende la tradizic;me asce-
tica. Vediamo, dunque, che essa include una vastissima gamma di sta-
ti e di reazioni umane, e si comprende come possa essere presente nel-
l'uomo decaduto quasi permanentemente allo stesso titolo 'delle altre
passioni.
204
Il piacere sensibile è correlativo al desiderio. sensibile. Il desiderio
dei beni sensibili e l'attaccamento a questi sono, dunque, cause del tut-
to fondamentali della collera. Nondimeno, ciò permette di compren-
dere quest'altra affermazione di Evagrio: «Sopprimo desideri per esclu-
dere i pretesti della collera» 18 • Lo stesso Evagrio scrive altrove: «Tu
non ammetterai mai la cupidigia, perché è essa che fornisce materia
alla collera» 19 • Sant'Isacco il Siro scrive allo stesso modo: «Se ci at-
tacchiamo alle cose sensibili (queste cose che suscitano l'aggressività
contro natura) [. ..] noi cambiamo [...] la dolcezza naturale in rudez-
za>>20. In tutto questo possiamo cogliere un eco dell'insegnamento di
san Giacomo: <<Donde provengono le guerre e le battaglie tra di voi?
Non provengono forse dalle vostre bramosie di piacere, che si com-
battono tra loro nelle vostre membra?» (Gc 4, 1).
Per amore dei beni materiali e dei piaceri che gli procurano, e
perché li preferisce ai beni e alle gioie spirituali, l'uomo cade nella pas-
sione della collera, così come afferma chiaramente san Massimo: <<Ab-
biamo preferito le cose materiali e profane al comandamento dell' a-
more e, poiché vi siamo attaccati, lottiamo contro gli uomini mentre
dovremmo preferire l'amore per tutti a tutte le cose visibili e persino
al nostro corpo»21 • Lo stesso autore spiega ancora: «Per il fatto che sia-
mo presi dall'amore delle cose materiali e dall'attrazione del piacere e
preferiamo tutto questo al comandamento dell'amore, non siamo ca-
paci di amare coloro che ci odiano; piuttosto ci capita di opporci a co-
loro che ci amano, a causa di queste stesse cose>>22.
L'amore delle cose sensibili e dei relativi piaceri si manifesta in mo-
do diversificato, lo abbiamo visto, nelle passioni. Vi sono, secondo una
concezione ascetica classica, tre grandi categorie di passioni o tre ge-
neri principali di attaccamenti alla realtà sensibile, categorie che pos-
sono costituire per l'uomo pretesti per la collera23 , se egli viene pri-
vato del piacere che questi gli procurano, o è minacciato di perderli,
o è impedito a raggiungerli: l'attaccamento al nutrimento (passione
della gastrimargia)24 ; l'attaccamento al denaro, alle ricchezze e più in
18 Ibid., 99.
19 La preghiera, 27.
20 Discorsi ascetici", 27-: ·
21 Libro ascetico, 7.
22 Ibid., 8.
23 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Dei diversi pensieri della malvagità, 1; Lettere, 39;Antirretico, Col-
205
generale agli oggetti materiali (passione della filargiria e della pleo-
nessia)25; l'attaccamento a se stesso (passione della cenodossia26 e
dell'orgoglio )27 • ·
Tuttavia, queste finora esposte non sono che le fonti più importan-
ti e più frequenti e diffuse: la collera può avere numerosissime cause
difficili da circoscrivere in modo semplice, come afferma san Giovanni
Climaco nell'esprimersi, una volta ancora, con un linguaggio di me-
dicina spirituale: <<La febbre del corpo è sempre della stessa natura,
ma il suo calore è lontano dall'avere sempre la stessa origine, può pro-
cedere da molteplici cause. Allo stesso modo, il ribollimento della col-
lera e i suoi movimenti, come senza dubbio quelli delle nostre altre
passioni, possono avere cause e origini diverse. È per questo che è im-
possibile prescrivere una regola unica a loro riguardo. Consiglierei
piuttosto a ciascuno di quelli che ne sono ammalati di ricercare con
grandissima cura il metodo da seguire per curarsi. Il primo punto
del trattamento è quello di conoscere la causa della malattia; quando
questa sarà trovata, infatti, i malati riceveranno dalla provvidenza di
Dio e dai loro medici spirituali il rimedio efficace»28 •
Oltre alle passioni precedentemente citate, occorre altresì presen-
tare tra le cause principali la passione della lussuria29 e leccesso di ri-
poso concesso al corpo30 • Quest'ultima eziologia si può comprendere
allo stesso modo di quella che costituisce l'intemperanza: nel riposa-
re, come nel nutrire troppo il corpo, si fornisce a questo un capitale
di energia che potrà facilmente essere usato per fortificare la potenza
aggressiva, o irascibile, dell'anima, nello stesso tempo che si allenta
lattenzione dello spirito e la tensione della volontà che la controllano
e la dominano. Questa, tuttavia, ·non è che una ragione fra le altre.
Tra tutte le fonti della collera che abbiamo messo in evidenza, è cer-
to che la cenodossia e l'orgoglio costituiscono la più fondamentale3 1•
San Marco l'Eremita scrive riguardo all'odio: «Questa malattia col-
pisce quelli che perseguono la preminenza negli onori»32 • E in ma-
25 Cfr. EVAGRIO PONTICO, loc. cit. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIII, 36; XXVI, 33. DO-
ROTEO DI GAZA, loc. cit. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 75; III, 20; IV, 4L
26 EVAGRIO PONTICO, loc. cit. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIII, 36. DOROTEO DI GAZA,
Istruzioni spirituali, X, 108. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 20; IV, 4 L
27 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVI, 33.
28 La Scala, VIII, 35.
29 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIII, 36.
30 DOROTEO DI GAZA, Sentenze, 3.
31 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIII, 36; XXII, 1.
32 Sulla penitenza, III.
206
niera più generale riguardo alla collera: <<L'orgoglio soprattutto la con-
solida e la fortifica.>>33 • Quando l'uomo è ferito nel suo amor proprio,
quando si sente umiliato, offeso, non considerato (particolarmente
in rapporto all'immagine vantaggiosa che egli ha di se stesso e che egli
attende che gli altri gli riconoscano), egli si rivolge alle diverse forme
di collera. Benché ciò sembri essere la causa esteriore della collera e
motivarla veramente, non è, in realtà, che il rivelatore o il catalizzato-
re di una collera che procede direttamente dal soggetto stesso, dal suo
orgoglio. «Non sono le parole che ci feriscono, nota per esempio san
Basilio, è il nostro orgoglio che ci fa ribellare e la buona opinione
che abbiamo di noi stessi»34 • Una prova a contrario ne è che l'umile ri-
mane pacifico e dolce anche quando è aggredito con violenza. Per la
collera, il rancore, il desiderio di vendetta, l'uomo cerca allora di ri-
stabilire di fronte a colui che lo ha offeso ed umiliato, e anche di fron-
te a se stesso, l'immagine di se stesso alla quale si è attaccato, e che egli
sente deprezzata.
Queste ultime considerazioni non sono affatto in disaccordo con
quanto abbiamo detto precedentemente sull'importanza del ruolo che
il piacere gioca nella collera: l'uomo, come vedremo in seguito, trae
dalla cenodossia e dall'orgoglio un certo godimento che è minacciato,
sminuito e anche soppresso per le offese e le umiliazioni di ogni sor-
ta. La collera appare, dunque, qui, molto chiaramente, ancora una vol-
ta come una reazione di ribellione davanti alla perdita di un piacere,
ma ancora più spesso come una reazione di difesa per conservare il
piacere minacciato o per ritrovare il piacere perduto.
''A Nicola, 8.
><Omelie, 10, Sulla collera.
35 Oltre alle citazioni che seguono, vedi: GIOVANNI CAsSIANO, Istituzioni cenobitiche, VIII, 2;
·6. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Salmo 123, 1; Commento a san Giovanni, V, 5; XLVIII,
3; Commento a san Matteo, X, 6; LX, 1. MARco L'EREMITA, Sulla penitenza, IlI.
36 Omelie sugli Atti, XXXI, 4.
37 Oltre alle citazioni che seguono, vedi: ERMA, Il Pastore, Precetto, V, 2, 4. METODIO DI OLIM-
PO, Il banchetto, V, 5. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Salmo 123, 1; Omelie sugli Atti,
XXXI, 4. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, V, 45.
207
differenza>>, afferma san Giovanni Crisostomo38• «L'uomo in collera
somiglia moltissimo a un folle», dice ancora39 • <<La collera è una fol-
lia momentanea>>, osserva a sua volta san Basilio40 •
È evidentemente nelle sue manifestazioni acute e violente, e parti-
colarmente quando essa assume la forma del furore, che la collera me-
rita maggiormente di essere considerata come una sorta di follia. San
Giovanni Climaco non esita a qualificarla come epilessia spirituale41 •
San Gregorio Magno, presentando un quadro più preciso di questa
passione nelle manifestazioni parossistiche, fa apparire nettamente che
queste permettono di assimilarla a una forma di follia: <<Punto dal pun-
golo della collera, il cuore palpita, il corpo trema, la lingua balbetta, il
fuoco sale al viso, gli occhi scintillano: l'uomo diviene irriconoscibile
a quelli che lo conoscono. La bocca proferisce dei suoni, ma l'intelli-
genza non sa più ciò che dice. In cosa dunque un uomo che non è più
cosciente di ciò che dice, differisce da un folle in trance? Così accade
spesso che la collera discenda fino nei polsi e insorga con una violen-
za che è la misura stessa della sua insensatezza. Lo spirito non è più
capace di alcun controllo, perché è divenuto il giocattolo di una po-
tenza che gli è estranea, e se la rabbia agisce sulle sue membra all' e-
sterno facendo loro sopportare dei colpi, è perché interiormente es-
sa tiene prigioniera l'anima che dovrebbe esserne la padrona»42 • I
Padri mostrano spesso nello stesso senso in cosa colui che è preso da
queste forme violente di collera assomigli a un posseduto43 ; possia-
mo ricordare, in questo caso, il legame diretto che essi vedono peral-
tro tra alcune forme agitate di follia e la possessione diabolica.
Se la collera assomiglia e persino s'identifica con alcune forme di
follia e di possessione, è perché si ritrova sia in queste come in quelle
un gran numero di sintomi del tutto simili. Esaminiamo in dettaglio
questa patologia che si rivela in modo particolarmente netto nelle for-
me più violente di collera, ma si ritrova anche in gradi diversi nelle al-
tre manifestazioni di questa.
Sul piano del corpo, la collera, nelle sue manifestazioni acute, pro-
voca un'agitazione caratteristica, facilmente percepibile all'esterno.
san Giovanni, XLVIII, 3. EVAGRIO PONTICO, Lettere, 56; Capitoli gnostici, ill, 34.
208
San Giovanni Crisostomo44 , ma soprattutto san Basilio45 , ce ne dan-
no una descrizione tipica, analoga a quella presentata da san Grego-
. rio Magno di cui abbiamo proposto prima lunghi brani. All'interno
del corpo, la collera si traduce attraverso turbe fisiologiche46• Le sue
forme represse e croniche implicano anche tali disordini47 • Tutti que-
sti disordini, che sconvolgono il funzionamento abituale del corpo,
sferrano dei colpi alla sua salute. San Giovanni Crisostomo lo fa no-
tare: «La collera corrompe il corpo»48 ; <<ne ho conosciuti molti che la
collera ha reso malati»49 • Quanto a san Giovanni Climaco, egli con-
stata le conseguenze che questa passione può avere sulle condotte nu-
trizionali, generando sia un'anoressia che una bulimia50 •
Ma è soprattutto nell'anima che la collera produce dei turbamenti
che permettono di considerarla come una grave malattia dell'anima
e come una forma di follia. «La collera, più delle altre passioni, ha l' a~
· bitudine di turbare e sconvolgere l'anima>>, osserva san Diadoco di Fo-
ticea51, e sulla sua scia san Giovanni Climaco52 . La collera, scrive a sua
volta san Gregorio Magno, <<turba l'anima e, per così dire, la lacera e
la trancia>>53 , «getta in essa la confusione>>54• «Essa devasta tutta anima,
la pone nella confusione», nota san Marco l'Eremita55 . «Essa rovina
l'anima», «essa sconvolge da cima a fondo il suo normale stato», di-
ce ugualmente san Giovanni Crisostomo56 , che afferma altresì che ren-
de lanima deforme57, «attaccando ciò che ha di più sano, corrompendo
ciò che essa ha di più puro»58 •
I turbamenti generati nell'anima dalla passione della collera. sono
209
molti. Essa turba innanzitutto l'uso della ragione al punto che sembra
escluderla59 . «L'aggressività distrugge tirannicamente l'esercizio della
ragione e fa uscire il pensiero dalla legge della natura>>, scrive san Mas-
simo60. «Questa passione bandisce la ragione, interdice all'uomo l'uso
del ragionamento», nota da parte sua san Basilio61 •
«Essendo allora la [sua] ragione seppellita nell'ubriachezza e nelle
tenebre»62 , l'uomo diviene incapace di giudicare correttamente le co-
se63. Per questo così scrive san Giovanni Cassiano: «Fintanto che la
collera occupa il nostro cuore e acceca il nostro occhio interiore, noi
non possiamo giudicare con discernimento[ ... ]. Non possiamo più es-
sere capaci di ottenere la vera luce spirituale, poiché, dice la Scrittu-
ra, "s'è spento nel dolore il mio occhio" (Sal 30[31],10); noi non sa-
remo nemmeno capaci di ottenere la maturità del giudizio [. ..],per-
ché "chi è pronto all'ira commette ogni stoltezza" (Pro 14,17)»64 •
«Niente turba la chiarezza dell'intelligenza, niente offusca la pene-
trazione dello spirito come la collera», constata ugualmente san Gio-
vanni Crisostomo65 .
" Cfr. BASIUO DI CESAREA, Omelie, IO, Sulla collera. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sugli
Atti, VI, 4. San Gregorio Nazianzeno parla del.la «collera insensata che sconvolge la ragione>>
(Discorsi, XXV, 7).
60 Commento del Padre nostro, PG 90, 888C.
61 Omelie, 10, Sulla collera.
62 GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Giovanni, IV, 5. MARCO L'EREMITA, A Nicola, 8.
63 Ibid.
64 Istituzioni cenobitiche, VIlI, 1.
65 Trattato sul sacerdnzio, III, 14.
66 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, V, 45.
67 Cfr. ibid.
210
la in modo raziona!~; si direbbe che essi non abbiano più né senso
né giudizio [. .. ];la collera li soggioga»68 • Lo stesso santo scrive an-
che, comparando la collera all'ubriachezza che egli ha detto che non
essere altro che «la deviazione dello spirito al di fuori delle sue vie na-
turali, la deviazione del ragionamento, la perdita della coscienza»69 :
«ID cosa coloro che sono in collera e quelli che sono ebbri di furore
sono in una situazione meno grave di quelli che sono ubriachi di vi-
no? Essi, infatti, dànno prova di una tale smoderatezza quando si sca-
tenano contro tutti, senza controllare le parole, senza più saper di-
stinguere le persone. Così come i folli (main6menoi) e i frenetici si get-
tano nei precipizi senza rendersene conto, così coloro che sono in
collera o assaliti dal furore>>70 • San Basilio nota, come san Giovanni
Crisostoma71, che, sotto l'effetto della collera, l'uomo cessa di rispet-
tare i valori più fondamentali sia in se stesso che negli altri, arrivan-
do persino ad ignorare il suo prossimo e non curando i suoi interessi
più elementari72• Il delirio generato dalla collera ha anche come ef-
fetto quello di modificare la proporzione delle cose che l'uomo per-
cepisce: gli avvenimenti non sono più percepiti né vissuti secondo le
loro vere dimensioni, ma sono, per alcuni, smisuratamente e ingiusta-
mente ingranditi, mentre per altri, contemporaneamente, sono occul-
tati o essi vedono la loro importanza diminuita73 •
Un altro aspetto patologico essenziale che pennette di assimilare la
collera a una forma di follia o a uno stato di possessione è l'aliena-
zione che ne deriva: colui che è vittima di questa passione non si con-
trolla più, non sembra più agire sotto la guida del suo spirito e sotto
l'impulso della propria volontà, ma si ritrova determinato a pensare
e ad agire sotto la pressione di una forza esterna a se stesso, la cui
padronanza sembra sfuggirgli completamente, forza che tiranneggia
la sua anima e il suo corpo74 • L'uomo diviene letteralmente il giocat-
tolo della propria passione75 • •
Una tale alienazione, tuttavia, non è legata solo alle forme violente
della collera: la si può anche constatare nelle manifestazioni di ran-
211
core o cli sordo odio, in cui tutte le facoltà dell'uomo sono concentrate
sull'oggetto contro il quale si esercitano questi modi della passione,
e in cui il soggetto è come determinato a ricordarsi permanentemen-
te dell'offesa ricevuta e a definirè o ridefinire costantemente i mezzi
per venclicarsene76 • Anche nei casi in cui la collera non è che una sem-
plice irritazione, l'uomo nel suo comportamento sembra determina-
to da tina forza esterna e che in parte gli sfugge, quello che, per esem-
pio, egli riconosce quando dice cli essere «cli cattivo umore>>.
Infine, un ultimo sintomo patologico, essenziale nella collera, è quel-
lo dell'agitazione psicomotoria che lo caratterizza in gradi cliversi77 e
lo avvicina, anche, a molte manifestazioni cli follia e a stati cli posses-
sione diabolica. Il comportamento dell'uomo, che ne è vittima, di-
viene confuso, disordinato: costui si dedica alle azioni più strane, azio-
ni che egli sconfesserà nel suo stato normale. «Coloro che si lasciano
sorprendere dalla collera sono capaci cli ogni sorta cli disordini e di
impeti d'ira», constata san Basilio; «è impossibile raccontare tutte le
stravaganze che fa un uomo in questo stato; egli corre senza ordine e
senza una meta>>, «si precipita e corre con impetuosità>>, «egli attacca
tutti quelli che incontra>/8 •
212
r.:uomo, sotto l'influsso dei suoi atteggiamenti passionali non ha più
pace, ma si trova immerso in uno stato di pena e d'inquietudine per-
manente86. «Un furioso non può godere la pace; colui che ha un ne-
mico e che conserva contro di lui odio non godrà mai», afferma san
Giovanni Crisostomo87 • <<L'uomo agitato», dice ancora, «si rende de-
gno di mille supplizi: perpetuamente agitato da pensieri tumultuosi,
notte e giorno nel turbamento e nelle angosce dell'anima, soffre quag-
giù tormenti anticipatori dell'infemo»88•
Sul piano più fondamentale, quello della relazione dell'uomo con
Dio, la passione della collera rivela di avere effetti particolarmente no-
civi. In primo luogo, essa separa l'uomo da Dio89 . Essa non si oppo-
. ne solo alla «collera onorevole», di cui prende il posto; c'è un'altra
virtù importante, naturale all'anima90 , che essa viene a colpire91 e di-
struggere92: la dolcezza, forma della carità, per mezzo della quale, in
particolare, l'uomo somiglia a Dio. Così, scrive san Gregorio Magno,
<<il peccato di collera, annichilendo la dolcezza della nostra anima, vi
corrompe la somiglianza con l'immagine divina>>93 . In altri termini, que-
sto significa che lo Spirito Santo cessa di rimanere nell'uomo94 , lo spi-
rito demoniaco richiamato dall'atteggiamento dell'uomo ne prende
il suo posto95 . Privato dello Spirito che le conferiva particolarmente
ordine e unità, l'anima viene a trovarsi disorganizzata e divisa: «Non
appena l'anima viene privata dello Spirito Santo, osserva san Grego-
rio Magno, si vede trascinata in una evidente follia, e dispersa dal-
l'intimo dei suoi pensieri fino nelle sue espressioni più superficiali»96 •
Lo stesso santo aveva notato precedentemente che «quando la colle-
ra viene a colpire la dolcezza dell'anima, essa la turba, e, per così di-
re, la lacera e la fa a pezzi, in modo da dividerla contro se stessa»97 •
Una volta che si è ritirato lo Spirito Santo che la illuminava, l'anima si
ritrova improvvisamente immersa nelle tenebre98 • Innanzitutto sono
93 Loc. cit.
94 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIII, 18. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, V, 45.
GIOVANNI CAssIANO, Istituzioni cenobitiche, VIII, 12. BASILIO DI CESAREA, !oc. cit.
95 GIOVANNI CAsSIANO, loc. cit. BASILIO DI CESAREA, loc. cit.
213
gli occhi del cuore che si ritrovano offuscati99 : i'uomo allora si allon-
tana dalla vera scienza100. «Dio priva dell'irraggiamento della sua co-
noscenza lo spirito che la collera ottenebra con la sua confusione>>, no-
ta san Gregorio Magno 101 . Lo spirito è incapace di contemplazio-
ne102. «Quale che sia la sua causa, il movimento della collera, nel suo
ribollimento, acceca gli occhi del cuore e vi introduce la "trave" mor-
tale di una malattia più grave, impedendole di contemplare il sole di
giustizia», scrive san Giovanni Cassiano103 • Ed Evagrio: «Come quel-
li che hanno la vista malata e guardando il sole sono impacciati dalle
lacrime e vedono nell'aria delle allucinazioni, così l'intelligenza (nous),
quando è turbata dalla collera, è incapace di scrutare attraverso la con-
templazione spirituale, ma essa vede come una nube posata sugli og-
getti che cerca di guardare»104. Più precisamente, l'uomo diviene in-
capace di percepire la presenza del Cristo in sé1 05 •
Ne segue, secondo quanto detto finora, che la collera costituisce un
ostacolo alla preghiera106, che, afferma Evagrio, è proprio «un germo-
glio della dolcezza e dell'assenza della collera>>107 . «Opprimendo lo sta-
to di preghiera» 108 , la collera distrugge la salvezza dell'anima legata a
quello, e impedisce all'uomo di condurre la vita per la quale è stato
fatto. .·.
Quando la collera sviluppa e rafforza l'aggressività cattiva 109 , s'in-
debolisce altrettanto l'aggressività virtuosa data all'uomo per lottare
contro il male. La forza dell'anima perde la conoscenza della lotta spi-
rituale110 e allora si ritrova paralizzata111 • L'anima diviene impotente112
e ogni sforzo di ricostruzione per lei si rivela difficile113 •
99 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIII, 26. GIOVANNI CASSIANO, loc.. cit. EVAGRIO PONTICO,
m Ibid.
113 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 47.
214
Tutte queste conseguenze, aggiunte a quelle descritte precedente-
mente, sono catastrofiche per l'uomo: la collera, in definitiva, com-
porta la sua morte spirituale 114 , dato che essa scaccia da lui tutte le
virtù115 e distrugge in primo luogo la carità116 • Conformemente alla sua
normale finalità, cessando di distruggere i pensieri demoniaci, «essa
distrugge allo stesso modo i pensieri buoni che sono in noi»117 •
Essa genera correlativamente una folla di passioni. Tra le pr:inci~
pali, citiamo la tristezza118 , l'acedia119, la pusillanimità120 e l'orgoglio121 •
114 Cfr. Gb 5,2. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, N, 75. GREGORIO MAGNO,
215
IX
IL TIMORE
1 Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 15; 12.
2 Cfr. ibid., II, 12.
; Cfr. ATANASIO D' ALEsSANDRIA, Contro i pagani, 3.
4 Stromata, II, 8, 40.
5 GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 23.
6 MASSIMO IL CONFESSORE, Disputa con Pirro, PG 91, 297CD.
7 Ibid.
216
timore secondo natura, egli aggiunge, è la potenza di attaccarsi al-
1'essere secondo la repulsione [di ciò che tende a distruggerlo]»8 • Que-
sto timore, dice anche san Giovanni Damasceno, «è repulsione per
tutto quello che distrugge»9 ; essa corrisponde, potremmo dire, all'i-
stinto di conservazione10, all'istinto vitale, alla tendenza innata che ab-
biamo a perseverare nell'essere e a perpetuare la nostra esistenza.
Essa si manifesta soprattutto come timore della morte, tendenza na-
turale dal momento che il Creatore ci ha donato la vita perché la con-
servassimo11 e dal momento che la corruzione e la morte costituisco-
no fenomeni antinaturali.
b) La seconda forma è quella del «timore di Dio», che nel suo
grado più elementare è il timore del castigo divino 12 e nel grado più
elevato è quello del timore di essere separato da Dio 13 • Questa se-
conda forma di timore è legata naturalmente alla precedente: l'uomo
attaccato al suo essere e alla sua vita e che teme di perdere tali beni,
se conosce la loro vera natura, non può che temere di essere separa-
to da Dio che ne è il principio e la fine, la sorgente e il senso. Ancor
più che la vita biologica, l'uomo cosciente della sua realtà fondamen-
tale teme di perdere la vita in Dio. È così che nell'uomo spirituale il
timore della morte è eclissato dal timore di Dio, cioè dal timore di tut-
to ciò che può separarlo da Dio, ossia del peccato e del Maligno che
causano la morte dell'anima (cfr. Mt 10,28; Le 12,5), l'unica morte che
sia veramente da temere poiché essa toglie definitivamente ogni vita,
mentre la morte biologica separa solo temporaneamente l'anima dal
corpo e ne distrugge solo la forma terrena e corrotta dell'esistenza.
Il primo tipo di timore, che abbiamo presentato sotto le sue due
forme, costituisce una virtù14 che Adamo possedeva nel suo stato ori-
ginario. Adamo, infatti, era destinato a divenire immortale per grazia,
ma poteva morire per il suo libero arbitrio se si fosse opposto, a cau-
sa di questo, alla volontà di Dio 15 • È così che Dio disse ad Adamo e a
8 Ibid., 297C.
9 Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 23.
IO Ibid.
11 Ibid.
12 Cfr. MAsswo IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 1, PG 90, 269B.
u Clemente d'Alessandria, per esempio, scrive: «Il timore di Dio è esente da passione, per-
ché ciò che si teme non è Dio, ma essere separati da Dio» (Stromata, II, 8, 40). Non si può non
considerare che questa è la virtù che Adamo possedeva nel suo stato originario, perché egli era
animato dall'amore, e come dice san Giovanni, <<il perfetto amore scaccia il timore» (1 Gv 4,18).
Cfr. !SACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 38.
14 Cfr. MAsswo IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, I, PG 90, 269B.
15 Vedi per esempio: ATANASIO D'.Al.EssANDRIA, Sull'Incarnazione del Verbo, 4. GREGORIO PA-
LAMAS, Omelie, 29, PG 150, 369C; 31, PG 150, 388D.
217
Eva: «Dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi man-
giarne, perché, nel giorno in cui tu te ne cibassi, dovrai certamente
morire» (Gn 2,17). Il timore (sia di morire che di essere separato da
Dio) era uno dei mezzi offerti da Dio all'uomo per aiutarlo a custo-
dire il suo comandamento e a preservarsi dagli effetti della sua tra-
sgressione.
riale.
20 La Scala, XX, 9.
218
dita dei piaceri sensibili che la vita consente di godere in questo mon-
do. Questa relazione essenziale della passione del timore alla vita se-
condo questo mondo, alla vita carnalmente concepita e vissuta, è va-
lorizzata frequentemente dall'insegnamento dei Padri. Sant'Isacco scri-
ve a questo proposito: «Quando [l'uomo] rimane nella conoscenza e
nella vita del corpo, egli teme la morte»21 • Un apoftegma afferma: <<Do-
mandarono a un Anziano: "Perché ho paura quando cammino nel de-
serto?". Ed egli rispose: "Perché tu sei ancora vivo!"»22 • E un altro:
«Un fratello domandò a un Anziano: "Perché il timore s'impadroni-
sce di me quando mi capita di uscire da solo di notte?". L'Anziano ri-
spose: "Perché la vita di questo mondo per te ha ancora valore"»23 •
Mentre il primo tipo di timore è «secondo natura>>24 , questo secondo
tipo di timore, che è una passione cattiva, è «contro natura (parà
pbjsin)»25 e «irrazionale (pardlogos)»26 • Essa proviene dal fatto che l'uo-
mo ha allontanato la duplice finalità naturale e normale dal timore che
l'univa al suo vero essere e a Dio, per farlo divenire timore di perde-
re il suo essere decaduto, di essere separato dal mondo sensibile, di
perdere la vita passionale e il piacere che vi si ricollega. Anziché te-
mere ciò che minaccia il suo essere e, soprattutto il suo essere spiri-
tuale, l'uomo teme tutto ciò che mette in pericolo la sua esistenza sen-
sibile e le gioie che ne trae.
219
essa: <ilio avuto paura perché io sono nudo», confessa Adamo dopo
il suo peccato (Gn 3,10).
Come tutte le altre passioni, il timore appare agli occhi dei Padri
come una malattia29, per la fondamentale ragione che ora abbiamo pre-
sentato (vale a dire la perversione di una disposizione naturale virtuosa
in una passione contro natura), ma anche a causa di tutti i turbamen-
ti che lo costituiscono e che esso genera.
Prima di tutto, il timore rivela una relazione patologica dell'uomo
con Dio. Temendo di perdere qualche bene di questo mondo e qual-
che piacere sensibile invece di temere di perdere Dio e così di perde-
re se stesso, l'uomo si allontana da Dio, fonte della sua vita, princi-
pio e fine dell'essere, senso della sua esistenza, e pone il centro delle
sue preoccupazioni nella realtà sensibile che per lui diviene l' Assolu-
to. Tutto il processo del peccato originale, lo si può notare, si ritrova
in questo atteggiamento, con, evidentemente, tutte le sue conseguenze.
Ma Dio, nel timore, non è solo dimenticato come principio e fine
dell'essere e della vita, come senso e centro dell'esistenza: egli è anche
negato, ignorato, rifiutato nell'azione provvidenziale e nella prote-
zione benevola che egli esercita nei riguardi di ogni essere. Il timore
rivela l'illusione che l'uomo ha di essere affidato a se stesso, di non po-
ter o di non dover contare che sulle proprie forze, di essere privato
dell'aiuto di Dio. «Chiesero a un Anziano: "Perché ho paura cammi-
nando nel deserto?". Egli disse: "Perché tu credi di essere solo, e non
vedi che c'è Dio con te''>» 0 • L'insegnamento del Cristo stesso denun-
cia questa illusione nel ricordare all'uomo che Dio si prende cura di
lui continuamente (cfr. Mt 10,29-31; Le 12,6-7). Così, il timore, lo se-
gna con la mancanza di fede nella Provvidenza divina: «Perché siete
paurosi? Non avete ancora fede?», disse il Cristo ai suoi discepoli im-
pauriti da una tempesta (Mc 4,36-40).
Il timore, inoltre, rivela una mancanza di fede nei beni spirituali,
perché se l'uomo fosse attaccato ad essi, temerebbe solo di perdere
questi: «L'unico dolore, scrive san Massimo, è la perdita delle cose di-
vine»31. Infatti, questi beni sono i soli ad avere per l'uomo un valore
assoluto ed un'importanza vitale. L'uomo che si affida a Dio, dive-
nendo partecipe della risurrezione del Cristo e della vita divina, non
220
deve più temere per la sua anima o per il suo corpo nessun danno,
nemmeno la morte che uccide provvisoriamente il corpo ma non può
fare nulla di più (cfr. Mt 10,28; Le 12,4). Colui che si unisce a Dio tro-
va in lui tutti i beni e non teme di essere spogliato di alcun bene sen-
sibile.
Temere significa non avere fede nei beni spirituali, che sono gli uni-
ci valori reali, e allo stesso tempo accordare una vana fede ai beni sen-
sibili la cui realtà è illusoria, beni che passano come il fiore del prato,
beni che sono tesori che la ruggine e la tignola consumano e i ladri ru-
bano (cfr. Mt 6,19; Le 12,33). L'uomo, presto o tardi, a motivo del
loro carattere passeggero o a causa della propria morte, li perderà, co-
sì come il piacere che è legato al loro possesso, piacere che peraltro,
lo abbiamo visto, è esso stesso ben poca cosa in confronto al godi-
mento dei beni del Regno. Proprio perché l'uomo decaduto si sbaglia
sulla vera realtà degli oggetti e dei piaceri sensibili ai quali egli è at-
taccato, può essere preda del timore: se ne conoscesse la natura, la lo-
ro perdita gli sarebbe indifferente.
Un'altra ragione per la quale il timore appare come un atteggia-
mento insensato è la sua totale inutilità. Con il timore l'uomo non può
impedire che gli capiti qualunque cosa, né può evitare il pericolo o
la privazione che egli teme, supposto che essi gli debbano accadere
realmente: «Chi di voi, dice il Cristo, per quanto si dia da fare, è ca-
pace di aggiungere un solo cubito alla propria statura?» (Mt 6).7). San
Giovanni Damasceno, al timore e alla preoccupazione inefficaci che il
Cristo condanna con le sue parole, oppone la spensieratezza efficace
di colui che si rimette per ogni cosa alla Provvidenza divina3 2 •
Il carattere patologico del timore appare anche nella parte più o me-
no importante dell'immaginario che generalmente essa comporta. At-
traverso la sua immaginazione, l'uomo deforma la realtà, le attribuisce
una dimensione che questa non ha, ingrandendo per esempio i peri-
coli, o credendo imminente la perdita di qualche oggettc33 • Ma l'im-
maginazione si rappresenta così delle realtà che non esistono: costruisce,
anticipa e fa ammettere come sicuri, nel presente o in un futuro pros-
simo, avvenimenti che non esistono e di cui nessun motivo obiettivo
permette di assicurare la realizzazione. San Giovanni Climaco può co-
sì dare questa definizione del timore: «Il timore è una falsa preveg-
genza e una vana apprensione di pericoli immaginari»34 • E aggiunge,
221
sottolineando come il timore rimetta in questione le cose più sicure in
nome di ciò che teme,~ il ruolo che vi prende l'immaginazione: «Il ti-
more è una privazione di ogni sicurezza nelle stesse cose più sicure»35 •
Deformazione della realtà, non percezione di ciò che è, percezione
di una realtà inesistente: questi sono i tratti che definiscono il delirio.
Il timore rivela sempre che, nel modo in cui il reale è percepito e vis-
suto, l'immaginazione ha superato le altre facoltà e impone loro le sue
rappresentazioni. «Lo spavento viene da un'immaginazione troppo
potente», osserva san Giovanni Damasceno36 • Quando la paura o lo
spavento, benché comportino molto spesso una forte dose d'im:ma-
ginazione, sono parzialmente motivati obiettivamente, la maggior par-
te delle forme del timore, e particolarmente l'ansia e l'angoscia, si ca-
ratterizzano per un'assenza di ragioni obiettive che possano fondar-
le, per l'influsso dell'irrazionale su colui che ne è il soggetto37 • Le facoltà
che permetterebbero all'uomo di considerare le cose e gli avvenimen-
ti secondo le loro proporzioni sono, nel timore, come soffocate. «Il ti-
more», sottolinea l'autore del libro della Sapienza, «non è altro che
l'abbandono degli aiuti del ragionamento» (Sap 17,12).
Il timore, alla sua nascita e nel suo sviluppo, può essere suscitato
o favorito da diverse passioni. In primo luogo, esso è legato ali' orgo-
glio. Sant'Isacco il Siro osserva: «Colui che manca di umiltà è privo di
perfezione. E colui che è privo di perfezione ha sempre paura.>>38 • E
san Giovanni Climaco scrive: «L'anima schiava dell'orgoglio è schia-
va della pusillanimità; piena di fiducia vana in se stessa, si spaventa del
minimo rumore e dell'ombra stessa delle creature»39 •
Il timore è anche legato, molto chiaramente, alla passione della viltà,
come ricorda san Simeone il Nuovo Teologo40 •
Il timore, in generale, può nascere da uno stato di peccato, secon-
do l'insegnamento dell'Apostolo: «Tribolazioni e angustie cadranno
su ciascun essere umano che attua il male» (Rm 2,9). San Giovanni
Crisostomo fa notare: «Colui che vive nel peccato è nel timore per-
petuo; e come coloro che sono in cammino, in una notte oscura in cui
la luna non brilla, tremano sempre anche se non vi è nessuno a cau-
35 Ibid.
36 Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 15.
37 Ibid., III, 23.
38 Discorsi ascetici, 21.
39 La Scala, XX, 4.
4 °Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 72.
222
sare il loro allarme, così i peccatori diffidano continuamente anche
quando non sarà fatto loro nessun rimprovero. Ma il rimorso della co-
scienza fa sì che tutto li spaventi, tutto è loro sospetto, per loro tutto
è pieno di timore e di terrore, anche se non vi è nulla che li inquieti»41 •
Queste considerazioni non sembra che debbano applicarsi solo a co-
loro che, pretendendo di vivere secondo i comandamenti o almeno co-
noscendoli, li hanno trasgrediti e, di conseguenza, subiscono i rim-
proveri della loro coscienza, ma anche a coloro che, vivendo al di fuo-
ri della fede e nell'ignoranza dei suoi precetti, hanno tuttavia qualche
vago senso del loro stato di peccato. Sembra anche che il potere che
ha lo stato di peccato di suscitare il timore sotto forma di ansia e d' àn-
goscia sia tanto più forte quanto più il soggetto non ha preso chiara-
mente coscienza della sua colpa. Ricordando «questo timore che l' a-
nima prova della propria perversità>>, san Diadoco di Foticea consi-
glia al cristiano di badare a confessare anche le sue colpe involontarie,
quelle di cui non ha coscienza innanzitutto, perché, egli scrive, «Se non
confessiamo come dovremmo queste colpe [che ci sfuggono], sco~
priremo in noi un sordo timore»42 •
Il timore, come le altre passioni, è direttamente legato all'azione dei
demòni: essi contribuiscono alla comparsa del timore43 ; e approfitta-
no ampiamente della sua esistenza perché il timore costituisce un
terreno particolarmente favorevole alla loro attività: nel timore hanno
un alleato, nota san Diadoco, ricordando particolarmente il timore le-
gato al peccato44 •
La pusillanimità
44 Loc. cit.
45 GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 15.
223
sceno come <<il timore di compiere un' azione»46• È un atteggiamento
di debolezza, di mancanza di coraggio di fronte a un dovere da com-
piere. Essa, tuttavia, si distingue dalla viltà. Piuttosto è timidezza.
I Padri la considerano una malattia: Origene la fa figurare nella li-
sta delle passioni che egli stes.so chiama «malattie dell'anima»47 , e un
apoftegma riferisce: «Un fratello venne a far visita ad Abba Vittore l' e-
sicasta alla laura di Elusa e gli disse: "Cosa debbo fare, Padre, per-
ché sono preda della pusillanimità?". Il Vegliardo rispose: "È una ma-
lattia dell'anima"»48 •
Poiché appartiene alla potenza irascibile dell'anima (thym6s) la pu-
sillanimità ne è una malattia: «Se la peste del vizio infetta la parte
irascibile, questa genera [tra l'altro] la pusillanimità>>, insegna san Gio-
vanni Cassiano49 •
Questa passione dai Padri viene anche assimilata a una forma di fol-
lia: è il caso per esempio di san Giovanni Crisostomo50 che si riferi-
sce a questa affermazione del libro dei Proverbi (14,29): «Chi è pusil-
lanime mostra stoltezza>>.
Come tutte le altre passioni, la pusillanimità rivela particolarmen-
te il suo carattere patologico nel fatto che essa è un atteggiamento
innaturale, che non corrisponde allo stato normativo nel quale l'uomo
è stato creato da Dio. Ecco quanto insegna san Paolo a tale riguardo:
<<lddio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di fortezza, di amo-
re e di saggezza» (2Tm 1,7), essendo in particolare la fortezza la virtù
di cui la pusillanimità costituisce la mancanza. Mentre la fortezza è tra
i doni essenziali dello Spirito costitutivi dell'immagine di Dio destinati
a conseguire il loro pieno compimento nell'acquisizione della somi-
glianza al Cristo, la pusillanimità ne è la negazione. Essa è apparsa nel~
l'uomo come conseguenza del peccato ed è estranea alla sua vera na-
tura; ecco perché san Barsanufio consiglia a uno dei suoi figli spiri-
tuali: <<Di' alla pusillanimità: "Io ti sono estraneo"»51 •
La pusillanimità in ogni caso è, come il timore, il segno di una man-
canza di fede52 • Mostrarsi pusillanime è non fidarsi dell'aiuto divino,
non fidarsi della forza dello Spirito che sostiene costantemente colui
46 Ibid.
47 Omelie sui Numeri, XXVII, 12.
48 Apoftegmi, J 750.
49 Conferenze, :xxrv, 15. Vedi anche MAss1Mo IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Il, 70.
50 Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXII, 3.
51 Lettere, 31.
52 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XX, l; 2.
224
che invoca Dio. Unito a Dio e assistito dalla sua grazia, contando quin-
di sulla forza divina,Tuorno non deve temere di affrontare alcunché.
Secondo l'insegnamento del Cristo, se ha fede assoluta in Dio, egli è
capace di spostare le montagne.
Poiché spesso è dominato dalla sua immaginazione, l'uomo terne di
agire. La relazione della pusillanimità con l'immaginario, come nel ca-
so del timore, è spesso sottolineata dai Padri. L'immaginazione, anche
in questo caso, deforma la realtà, presenta come difficile, temibile o
impossibile l'azione da compiere quando obiettivamente non è poi ta-
le. Il soggetto della pusillanimità è vittima· di un'illusione e, si po-
trebbe dire, anche di un delirio. «La pusillanimità, osserva san Gio-
vanni Climaco, ci fa temere e aspettare mali che non vanno né temu-
ti né attesi»53 • E Abba Vittore, sulla scia di quanto da lui affermato
precedentemente a riguardo della pusillanimità come malattia, scrive:
«Infatti, come coloro che hanno gli occhi malati credono di vedere più
luce quando soffrono di più, mentre coloro che hanno gli occhi sani
credono di vederne poca, così i pusillanimi sono presto sconvolti da
una piccola prova e s'immaginano che questa sia una prova grande»54 •
La pusillanimità può apparire come un atteggiamento infantile che
si è fissato e continua a persistere in modo anormale nell'adulto: «La
pusillanimità, scrive san Giovanni Climaco, è una disposizione pue-
rile, in un'anima che non è più giovane»55 .
Essa è essenzialmente legata alla passione della cenodossia56 , al pun-
to tale che possiamo affermare che «tutti coloro che sono pusillanimi
sono vanitosi»57 •
La pusillanimità aliena l'uomo, esercitando su di lui un dominio po-
tente58. È particolarmente temibile perché blocca il dinamismo del-
l'uomo, frena i suoi slanci verso quanto può avere di migliore, rallen-
ta o persino paralizza la sua attività, inibisce in molte circostanze l' e-
sercizio delle sue facoltà. Ciò si rivela particolarmente grave quando
si tratta dell'attività spirituale. È chiaro che il diavolo ha un particola-
re interesse nel suscitare e nell'insinuare questa passione che turba I' a-
nima e le impedisce di compiere ciò per cui è stata fatta5 9 •
53 Ibid., XX, 2.
54 Loc. cit.
55 La Scala, XX, 2.
56 Ibid.
225
X
LA CENODOSSIA
1 Conferenze, V, 11.
2 Ibid.
' GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, VIII, 43-44.
4 Cfr. Gv 5,44; ITs 2,6. BASILlO DI CESAREA, Regole brevi, 36. Apoftegmi, N 479. GIOVANNI
226
il portamento, la prestanza11 , e tutto ciò che contribuisce a dargli
una bella apparenza (abiti12 , profumi, gioielli13 , ecc.).
Egli può anche gloriarsi e aspettarsi la considerazione per la sua abi-
lità manuale o il suo savoirfaire in questo o quel campo 14 •
La cenodossia, inoltre, porta l'uomo a esaltarsi e a farsi ammirare
per le ricchezze e i beni materiali che ha potuto accumulare. La ce-
nodossia, in questo modo, può costituire un motore della passione del-
la filargiria, potendo quest'ultima, in cambio, portare l'uomo alla ce-
nodossia. San Massimo scrive a questo riguardo: «Cenodossia e filar-
giria si generano l'un l'altra. Il vanitoso accumula il denaro; il ricco è
vanitoso»15 • Il piacere del lusso e del fasto appare legato alle due pas-
sioni: suscitato dalla cenodossia1·6 e supponendo la filargiria, esso le ac-
cresce a sua volta quando è soddisfatto.
· Spesso l'uomo è spinto dalla cenodossia anche quando vuole rag-
giungere una situazione e un rango sociale elevati17 •
Questa passione lo lega, altresì, al potere sotto tutte le sue forme 18 ,
e frequentemente è la causa della sua ricerca; essa allora è l'alleato e il
motore delle due passioni che i Padri chiamano «amore del potere»
(jilarchia) 19 e «spirito di dominio». È chiaro che colui che ha il pote-
re e che è posseduto dalla cenodossia cerca di essere ammirato e lo-
dato, ma si sforza costantemente anche di piacere per trattenere e far
crescere questa ammirazione allo scopo di conservare il potere, le pre-
rogative che vi si ricollegano, e i vantaggi che egli ne trae.
Su un piano più sottile, in quanto esso si situa meno nel campo del-
le apparenze e della materialità delle precedenti benché sia quasi al-
trettanto esteso, la cenodossia per colui che ne è il soggetto consiste
nel mostrarsi fiero delle sue qualità intellettuali (della sua intelligenza,
della sua immaginazione, della sua memoria, ecc., ma anche della
sua conoscenza o del suo sapere, della padronanza del linguaggio, del-
la capacità di parlare o scrivere bene, ecc.) 20 e nel cercare per questo
11 MAssIMO IL CoNFESSORE, Centurie sulla carità, III, 84. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, 4.
u DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, Il, 32. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, 4; 5.
13 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, 4.
14 DoROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, II, 32. GIOVANNI CRISOSTOMO, Sulla vanagloria, 13.
15. Centurie sulla carità, m, 83.
16 JEAN LE SourAIRE,"Dialogue sur l'time et les passions des hommes, éd. Hausherr, p. 54.
17 MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, ill, 84. Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni
XXI, 31.
227
l'attenzione, l'ammirazione e le lodi degli altri. Sembra che l' ambizio-
ne nel campo intellettuale e culturale come anche nel campo politico
o finanziario21 sia molto spesso urt prodotto della cenodossia.
228
que e di attaccare l'uomo da diversi lati, la rendono particolarmente
difficile da percepire31 e da combattere32 • In realtà, tutto può costi-
tuire per l'uomo un soggetto di vanità. A questo riguardo, Evagrio si
stupisce dell'abilità dei demoni di approfittare di questa situazione3 3
di cui egli fornisce esempi caratteristici34 , come anche san Giovanni
Cassiano35 e san Giovanni Climaco. «Gli anziani, scrive san Giovan-
ni Cassiano, hanno graziosamente descritto la natura di questa malat-
tia paragonandola a una cipolla: quando le si toglie una pelle, se neri-
trova subito un'altra, e per tante che se ne tolgono, altrettante se ne
ritrovano»36 • E san Giovanni Climaco spiega: «Il sole brilla per tutti
allo stesso modo, e la vanagloria trova gioia per tutte le nostre attività.
Per esempio, traggo vanità dal mio digiuno, poi, quando lo sospen-
do per non essere notato, mi glorio della mia prudenza. Quando por-
to abiti belli, sono vinto dalla vanagloria, e quando ne indosso di po-
veri, ne traggo ancora vanità. Quando parlo sono vinto da essa, e quan-
do sono in silenzio, ancora essa mi domina. È come quelle trappole a
tre punte; in qualunque modo tu le getti, rimane sempre dritta una
delle punte»37 • Allora, constata Evagrio, «è difficile sfuggire alla va-
nità, perché per quanto faccia per sbarazzartene diventa per te una
nuova fonte di vanità>>38 • La sottigliezza della cenodossia è tale che può
portare l'uomo, paradossalmente, a mostrarsi zelante nell'ascesi3 9 , a
combattere alcune passioni40 e a praticare alcune virtù41 , come a otte-
nere alcuni doni42 • Occorre, tuttavia, aggiungere che ogni ascesi fatta
sotto l'impulso della cenodossia si rivela vana e definitiva43 , così come
le virtù praticate in questo modo sono illusorie44 e solo apparenti i do-
ni ottenuti45 : così vediamo uomini raggiungere risultati spirituali sor-
prendenti nel tempo in cui si dedicano ali' ascesi sotto la spinta della
229
cenodossia, ma penare miseramente e inaridirsi quando sono posti nel-
le condizioni in cui questa passione che li ispirava non può più esse-
re esercitata46 • Inoltre, i beni, così acquisiti, non solo non hanno nes-
sun valore davanti a Dio, ma sono anche «simili alle ingiustizie», co-
me sottolinea san Macario47 , che ricorda questa parola del salmista:
«Egli ha disperso le ossa di coloro che vogliono piacere agli uomirii»
(Sal 52[53],6)48 •
Come da tutte le passioni, l'uomo trae dalla cenodossia un certo
piacere49 che lo lega fortemente ad essa e per il conseguimento del qua-
le è pronto a tutto, paradossalmente anche a soffrire'0 • A causa di que-
sto piacere spesso potente che mantiene la sua filautia51 , l'uomo si de-
dica alla vanagloria52 •
"'Omelie (Coli. II), V, 10; Capitoli parafrasati, 56. Cfr. Omelie (Coll II), LIV, 2.
48 Vedi anche AMMONA, Lettera, m, 1-2.
49 Cfr. GIOVANNI CR!sOSTOMO, Sulla vanagloria, 13. MAR.CO LEREMITA, A Nicola, 3.
5° Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Consolazioni a Stagira, II, 3.
51 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, Prologo.
51 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, IV, 5.
" Cfr. GIOVANNI CAsSJANO, Istituzioni cenobitiche, XI, 4. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centu-
rie sulla teologia e l'economia, I, 27; Questioni a Talassio, 56, Scolio 8. GIOVANNI CRISOSTOMO,
Commento a san Matteo, XIX, 1. GREGORIO DI NAZIANZO, Discorsi, II, 51. GIOVANNI CLIMACO,
La Scala, XXV, 22. 0RIGENE, La preghiera, 19. AMMONA, Lettera, XII, 5.
54 Cfr. ERMA, Il Pastore, Similimdini, VII, 4. GIOVANNI CRISOSTOMO, Consolazioni a Stagira,
II, 3; Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXI, l; Commento a san Matteo, ID, 5; IV, 10; Sulla vana-
gloria, 8; 16. MAssJMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 59. GREGORIO DI NISSA, Sulla
verginità, Iv, 2. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, Vill, 43. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO,
Catechesi, XVII, 85. JEAN LE SOLITAIRE, Dialogue sur l'Jme et les passions des hommes, éd. Hau-
sherr, p. 51.
55 Sulla vanagloria, 10.
56 Commento al Salmo 130.
57 Sulla vanagloria, 2.
230
a un esercizio «contro natura>>. Dio ha dato alla natura dell'uomo la
possibilità di tendere verso la gloria: ma è la gloria divina che eta de-
stinato a ottenere attraverso la sua unione con Dio, non la gloria uma-
na che la passione ricerca, e che la tradizione chiama <<Vantarsi se-
condo la carne» (cfr. 2Cor 11,18). «Non è la gloria che è male, bensì
la vanagloria», scrive san Massimo. Quest'ultimo afferma qui la stes-
sa cosa per le altre passioni, ossia che ciò che è cattivo, «è il cattivo
uso,·conseguenza della negligenza del nostro spirito a coltivarsi se-
condo natura»·58, dopo aver affermàto che «nella misura in cui noi usia~
mo male le potenze della nostra anima i vizi s'installano in essa.>>59• San
Giovanni Climaco insegna allo stesso modo: «Naturalmente la no-.
stra anima nutre amore peda gloria, ma tale amore dev'essere rivol-
to alla gloria del cielo e non a quella della terra.>> 60 • Questa distinzio-
ne tra le due forme di gloria, quella che proviene da Dio e quella che
proviene dagli uomini, si ritrova in molti testi in cui si tratta della ce-
nodossia61. La troviamo illustrata nel vangelo di san Giovanni (cfr. Gv
12,43 ); san Paolo vi si riferisce implicitamente quando dice di gloriarsi
in Gesù Cristo pur mettendo in guardia contro il pericolo che vi sa-
rebbe nel gloriarsi al di fuori di Dio (cfr. Fil 3,3; Gal 6,14). San Gio-
vanni Climaco precisa chiaramente: «Vi è una gloria che viene da Dio,
secondo la parola della Scrittura: "Glorificherò coloro che mi glorifi-
cano", dice il Signore (lRe [1Sam]2,30). Vi è una gloria che provie-
ne solo dalla malizia artificiosa del demonio»62 • «Chi si gloria, si glori
nel Signore», ripete per due volte l'apostolo Paolo (lCor 1,31; 2Cor
10,17). La gloria che l'uomo riceve da Dio per partecipazione alla sua
gloria nell'unione al Cristo, è la sola che, scrive Origene, «ne merita
veramente il nome»63 . È la sola ad essere reale, vera, assoluta, eterna.
D'altra parte, è la sola che corrisponde alla finalità della natura uma-
na e che sia a misura della grandezza che Dio ha voluto conferire al-
l'uomo. Essa è, afferma san Giovanni Crisostomo, <<la gloria propria
della dignità dell'uomo»64 •
Essendosi allontanato da Dio a causa del peccato, l'uomo allo stes-
so momento ha smesso di tendere verso questa gloria alla quale la sua
231
natura lo destina. Nel continuare naturalmente ad avere desiderio di
gloria, egli allora si è rivolto al mondo sensibile per cercare di soddi-
sfare questa tendenza che è in lui. Nella gloria del mondo, «secondo
la carne», egli trova dei succedanei della gloria celeste e spirituale che
ha perso di vista. <<Dopo aver perduto la gloria propria della dignità
deU'uomo, egli cerca ovunque una gloria spregevole e degna del mas-
simo disprezzo», scrive san Giovanni Crisostomo65 • La ricerca della
gloria del mondo appare, così, come il modo con cui l'uomo compensa
miseramente in sé lassenza della gloria celeste e di ciò che, unendo-
lo a Dio, lo rende partecipe di questa gloria divina, ossia le virtù. San
Doroteo di Gaza scrive a questo proposito: «Coloro che desiderano
ia gloria somigliano a un uomo nudo che cerca incessantemente un
brandello di stoffa, o non importa cosa, per coprire la sua indecenza.
Così colui che è denudato delle virtù cerca la gloria degli uomini>>66~
La cenodossia, appare dunque, tutto sommato, costituita da una per-
versione, da un allontanamento patologico della tendenza naturale del-
l'uomo verso la glorificazione, e come un comportamento patologico
della sostituzione conseguente a una frustrazione ontologica. Il fatto
che ancora una volta si tratta di una stessa tendenza orientata in due
sensi opposti e non di due tendenze di diversa essenza che possono
coesistere indipendentemente l'una dall'altra, risulta chiaramente dal-
le molteplici affermazioni dei Padri. Questi, infatti, continuamente os-
servano che la ricerca della gloria celeste e quella della vanagloria so-
no antagoniste e si escludono tra loro, poiché lo sviluppo dell'una si
traduce in un indebolimento dell'altra67 • .
•5 Ibid.
66 Istruzioni spirituali, Il, 35.
67 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, Ricapitolazione, 35; XXI, 29; 31. GREGORIO MAGNO,
Moralia su Giobbe, VIII, 43. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 5. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO,
Catechesi, XVII, 87-89. Apoftegmi, XV, 21; cfr. VIII, 18. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, Iv,
2. 0RIGENE, La preghiera, 19. AMMONA, Istruzioni, III, 5. TEOGNOSTÒ, Sull'azione e la contem·
plazione, 1.
68 Questioni a Talassio, 64, PG 90, 716B.
232
dossia e dall'orgoglio, «nutre verso la natura l'avversione alienante con
.la quale essa manipola contro natura, attraverso un cattivo uso, tutte
le cose della natura»69 •
69 Ibid.
7°Cfr. NICETA STETATOS, Centurie, I, 14.
71 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, 28.
72 Ibid., 6.
73 Omelie (Coli. ID), XXI, 3, 2.
74 Dialogue sur l'ame et les passions des hommes, éd. Hausherr, p. 52.
75 Cfr. NICETA STETATOS, Centurie, I, 14.
233
zione; e poiché essi non si dedicano a meditare queste cose, sono
sorpresi dall'amore per la lode reciproca, soprattutto perché l'uomo
non riflette abbastanza per dirsi: quale prezzo ha questa vanità che
m'imprigiona, al punto che la vista degli uomini mi sia preferibile a
quella di Dio, e che io sia avido dei loro elogi e non degli elogi di Dio,
come se la gloria che proviene da essi fosse superiore alla gloria che
proviene dal Maestro universale, come se ritenessi l'onore degli uo-
mini equivalente ali' onore degli angeli>>76• Il nome stesso della ceno-
dossia indica il suo carattere vano, futile, fragile, fugace, superficiale,
proprio come quello del mondo la cui figura passa (cfr. lCor 7,31), do-
ve essa attinge ciò che l'alimenta e che i Padri, sulla scia del profeta
Isaia, paragonano al fiore del campo (cfr. Is 40,6-7), a un sogno e a
ogni sorta di altre realtà senza durata né consistenza. <<Perché, si chie-
de san Giovanni Crisostomo, corri dietro a un'ombra invece di sce-
gliere la verità? Perché tu cerchi ciò che perisce, e non ciò che rima-
ne? [. ..] Abbap.dona il fumo, la pura ombra, l'erba vile, le ragnatele.
Impossibile trovare una parola che esprima chiaramente questa mise-
revole inconsistenza»77 • «Le cose umane, egli dice ancora, non sono
che cenere e polvere; una polvere che il vento disperde; un'ombra, un
fumo; è la foglia che è il giocattolo del vento, è un fiore, un sogno,
un rumore che passa, un' l}ura leggera che svanisce nel nulla; è la piu-
ma inconsistente che vola, l'acqua che scorre, è meno di tutto que-
sto»78. Lo stesso Crisostomo continua a sottolineare, in rapporto con
le sue constatazioni, il carattere patologico dell'attaccamento a vane
realtà carnali. «La gloria è un nome e nient'altro che un nome [. ..].
Qual è dunque l'uomo insensato che si attacca a nomi senza realtà, a
fantasmi che bisognerà fuggire? [. .. ] Così il profeta geme di vedere
tanta irrazionalità nella nostra vita. Simile a un uomo che, vedendo
qualcuno fuggire la luce e cercare le tenebre, gli dirà: "Perché fai que-
sta follia?", ancora il profeta ci domanda: "Perché prediligi la vanità
e cerchi la menzogna?" »79 .
La cenodossia sembra includere una visione delirante della realtà
poiché, sotto il suo influsso, l'uomo smette di concedere realtà, valo-
re e importanza a ciò che ne ha per conferirne a ciò che ne è sprovvi-
sto; la sua visione del mondo è sconvolta, rovesciata; il suo spirito er-
234
ra nell'apprezzamento delle cose, in modo che egli sembra colpito dal-
la follia: «Colui che è colpito da questa passione perde, per così dire,
la lucidità delle percezioni e non è meno colpito dei folli», constata
san Giovanni Crisostomo80. Questa percezione delirante della realtà
sotto l'effetto della cenodossia appare frequentemente nella realtà più
quotidiana e sotto forme spesso grossolane. San Massimo osserva, per
esempio, che «agli occhi dei genitori passionali, bambini deformi fino
al ridicolo sono fra tutti i più belli e ben fatti. Così a un'intelligenza
sciocca, le sue trovate, anche quando queste battono tutti i record del-
la balordaggine, sembrano le più fini del mondo»81 •
Questo non è vero solo per la prima specie della cenodossia. Anche
nella seconda, l'uomo manifesta una conoscenza delirante, soprattut-
to di sé. «La vanagloria, scrive san Giovanni.Climaco, è una passione
ingannevole che ci rappresenta diversamente da come siamo»82 • Per
essa, infatti, l'uomo si attribuisce delle qualità e delle virtù che non
possiede e non vede i difetti e le passioni che in realtà gli sono pro-
pri83. Ma egli s'illude anche quando si gloria delle virtù che possiede
veramente. Da un lato, infatti, si considera come sorgente e proprie-
tario di queste virtù, mentre queste sono un dono di Dio e fonda-
mentalmente appartengono a lui84 • Dall'altro lato, come sottolinea san
Giovanni Climaca85 , allorché l'uomo si gloria delle sue virtù, cessa di
essere virtuoso, e così si vanta di ciò che non possiede più.
La cenodossia vota colui che essa possiede a ogni sorta di male. Co-
loro che agiscono con lo scopo di essere glorificati dagli uomini han-
no già ricevuto la loro ricompensa, afferma il Cristo (cfr. Mt 6,2), il
quale rivolge anche questo ammonimento: «Guai a voi, quando tutti
gli uomini diranno bene di voi>> (Le 6,26). «Dio ha disperso le ossa
di coloro che piacciono agli uomini», dice il salmista (Sal 52[53],6).
«Sia in questa vita, sia nell'altra, sciagure e sofferenze seguono la ce-
nodossia», scrive san Massimo86 • San Giovanni Crisostomo evidenzia
che «il desiderio di onori è la fonte dei mali più grandi»87 • E, a pro-
posito della ricerca dei primi posti sotto l'influsso della cenodossia,
82 La Scala, XXI, 2.
8i Cfr. ibid.
84 Questo punto di vista sarà sviluppato nel capitolo 11, dedicato all'orgoglio.
85 La Scala, XXI, 10.
86 Centurie sulla carità, II, 65.
f<I Commento a san Matteo, LXII.
235
egli osserva: «Questa passione è stranamente pericolosa>>88 • Quanto a
san Diadoco di Foticea, fa notare che i demoni prendono soprattut-
to l'amore della gloria come occasione della loro perversità e che a cau-
sa di questa «essi saltano nell'anima come da una finestra oscura e la .
devastano»89 •
Questa passione distrugge la pace interiore90 , mettendo agitazione
nell'anima in diversi modi. <<Essa introduce, osserva sant'Isacco, l' a-
gitazione continua e la confusione dei pensieri»91 • E san Marco l'Ere-
mita nota: «Fin da quando percepisci un pensiero che ti fa balenare la
gloria umana, sappi che essa ti prepara la confusione»92 •
Essa rende l'uomo prima di tutto preoccupato di ottenere l'am-
mirazione e le lodi che desidera. Riempie così la sua anima di una
preoccupazione costante e lo porta a un'agitazione spesso febbrile e
ansiosa. Tale preoccupazione si moltiplica quando non arriva a essere
soddisfatta. Frequentemente accade che il vanitoso non solo non ri-
ceve dagli altri l'attenzione e l'ammirazione da lui pregustate, ma in-
contra anche il risultato contrario. La cenodossia, nota san Giovanni
Climaco, «spesso procura l'umiliazione anziché l' onore»93 • E san Mar-
co l'Eremita fa notare: «Quando vedi qualcuno schiacciato dal di-
sprezzo, sappi che egli è pieno di pensieri di vanagloria>>94 • Al posto
delle lodi attese, egli non suscita nel migliore dei casi che l'indiffe-
renza; ancor peggio, si attira l'odio, provoca l'invidia e la gelosia, fa
nascere critiche e sarcasmi, soprattutto quando la sua vanità si mani-
festa nelle sue parole o traspare nei suoi atteggiamenti. Così san Gio-
vanni Crisostomo rivolge questo avvertimento ai suoi uditori: <<Fac-
ciamo attenzione, fratelli miei, di non parlare favorevolmente di noi
stessi, poiché questa vanità ci rende odiosi agli uomini e abominevoli
davanti a Dio»95 • Una tale situazione non può mancare di generare nel-
l'uomo tristezza96 e angoscia, perché, da una parte, esso è frustrato dal
piacere atteso dalla passione, e dall'altra parte, deve far fronte ali' ag-
gressività del suo ambiente, soffre per la perdita di relazioni armoniose
con questo, e deve preoccuparsi della ricerca più difficile di altri mez-
88 Ibid., LXV, 4.
89 Cento capitoli gnostici, 96.
90 Apoftegmi, VIII, 6.
91 Discorsi ascetici, 23.
92 La legge spirituale, 92.
93 La Sca!.a, XXI, 24.
94 Su coloro che pensano di essere giustificati per le opere, 118.
95 Commento a san Matteo, III, 5.
96 Cfr. ISACCO IL Smo, Discorsi ascetici, I, 5.
236
zi che lo facciano ben figurare al fine di rimpiazzare quelli che han-
no fallito:
Sotto l'influsso della cenodossia, l'uomo perde la sua autonomia e
si rende schiavo non solo della passione stessa, ma di tutti quelli di cui
essa ha bisogno per nutrirsi. San Giovanni Crisostomo sottolinea il ca-
rattere particolarmente tirannico di questa passione che egli conside-
ra come <<l'ultima e la più miserabile delle servitù»97 , e che giunge a
dominare le anime più grandi98 • Come ogni altra passione, sottomette
l'uomo ai suoi desideri carnali specifici e al piacere che le è legato, ma
essa rende l'uomo anche dipendente dal riguardo e dalla considera-
zione degli altri e schiavo di coloro ai quali egli cerca di piacere per-
ché si aspetta le loro lodi. «Infelice me, scrive san Giovanni il Solita-
rio: Dio mi ha creato libero, e su di me pesa il dominio di molta gen-
te, poiché sono schiavo di tutti per il desiderio di piacere a tutti» 99 •
La cenodossia ha come ulteriore effetto pericoloso e temibile quel-
lo di immergere l'uomo in un mondo di fantasmi. Sant'Isacco il Siro
osserva che coloro che si lasciano «guidare dalla vanità [ .. .] perdono
la ragione» 100 • Sotto la sua ispirazione, infatti, l'uomo s'immagina di
avere ogni sorta di qualità, virtù, meriti, beni, ecc., s'immagina di
trovarsi in situazioni che gli valgono considerazioni e.lodi. «La ceno-
dossia, osserva sant'Isacco, inventa e immagina dei personaggi, e por-
ta a desiderare e a progettare>>101 • Ciò ha come prima conseguenza pa-
tologica quella di staccare l'uomo dalla realtà che vive, di allontanare
la sua attenzione da ciò che lo circonda, di rallentare la sua attività nei
suoi compiti più essenziali e di paralizzare il suo dinamismo vitale fi-
no a porre la sua anima in uno stato di intorpidimento. Questi tratti
patologici sono così ricordati da san Giovanni Cassiano: «L'anima
infelice, caduta in un profondo torpore, è talmente spinta dalla ce-
nodossia che, sedotta dalla dolcezza di questi pensieri e oppressa dal-
le immagini, non può più in genere nemmeno essere attenta a ciò
che avviene davanti a lei e ai suoi fratelli, mentre trova il suo piacere
ad attaccarsi, come se queste fossero vere, alle cose che ha sognato nel-
la divagazione dello spirito pur rimanendo sveglia»102 • Questo susse-
guirsi di fantasie può essere ali' origine, se è mantenuto e sviluppato,
237
di folate di vento deliranti acute o· di. allucinazioni. Evagrio constata:
<<La cenod~ssia è l'origine delle illusioni dello spirito»103 . Lo spiritua-
le deve particolarmente temere questa via d'uscita, allorché dà libero
corso a questa passione e offre così un terreno favorevole al demone
della vanagloria che ha per abitudine quella di attaccare fortemente
nel momento della preghiera: «Una volta, scrive Evagrio, che l'intelli-
genza è giunta alla preghiera pura e vera, i demoni non arrivano più a
essa dalla sinistra, ma dalla destra. Le rappresentano una visione illu-
soria di Dio in qualche immagine piacevole per i sensi, in modo da far-
le credere che ha raggiunto perfettamente lo scopo della preghiera.
Ora questa, diceva un ammirevole gnostico, è l'opera della passione
della cenodossia»104 . Questa passione, spiega egli altrove, «spinge l'in-
telligenza a tentare di circoscrivere la divinità in alcune immagini e for-
me>>105: i demoni vengono incontro a questa tendenza e vi rispondono
affinché colui che ha avuto la sfortuna di lasciarla sviluppare in sé si
smarrisca. Palladio, nella sua Storia Lausiaca, cita l'esempio di un mo-
naco divenuto folle sotto l'ispirazione della vanagloria: «Il suo giudi-
zio, egli scrive, era alterato dal disordine della cenodossia»106 •
Sul piano spirituale, gli effetti patologici della cenodossia sono an-
che molto estesf Essa introduce la morte spirituale dell'uomo 107 . Ac-
ceca il suo spirito 108, lo turba 109 , e riduce considerevolmente la sua co-
noscenza110.
Distrugge tutte le virtù che l'uomo ha acquisite111 e rende totalmente
inutili tutti gli sforzi ascetici112 • A causa sua, fa notare san Massimo,
molte cose buone in se stesse cessano di esserlo 113 • L'ascesi e le virtù
che essa mira a sviluppare hanno infatti come funzione quella di uni-
re l'uomo a Dio e di renderlo finalmente partecipe della gloria divina.
Per la cenodossia, l'uomo le allontana da questa finalità normale per
farle servire alla propria gloria, per suscitare una glorificazione che
VANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, III, 5. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. III), XXI,
3, 2.
Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, 2; 7; 8.
112 .
m Centurie sulla carità, II, 35. Vedi anche Questioni a Talassio, 56, PG 90, 580B.
238
proviene dagli uomini o da se stesso e non da Dio come dovrebbe
essere. Questa perdita dei frutti dell'ascesi e delle virtù, oltre a costi-
tuire in sé una catastrofe spiritualie, ha come conseguenza inevitabile
quella di generare nell'anima uno stato di sofferenza: questa, privata
dei suoi beni più preziosi e del godimento spirituale che essa ne trar-
rebbe, si ritrova vuota, smarrita, si riempie di turbamento e di in-
quietudine, e si vede votata a una insoddisfazione permanente. Di-
fatti, se il piacere che si collega alla cenodossia può per qualche tem-
po colmare l'anima, non potrà per molto conservare questo potere, in
ragione, lo abbiamo detto, del suo carattere parziale, fugace, irreale,
come gli oggetti carnali dei quali si nutre, e alla fine immerge l'anima
nella delusione e nell'amarezza. «La cenodossia, scrive san Giovanni
Cassiano, è un nutrimento che lusinga l'anima per un certo tempo, ma
poi la rende vuota, senza virtù e nuda, lasciandola sterile e priva di tut-
ti i frutti spirituali, in modo che non solo essa distrugge il merito di
penitenze considerevoli, ma procura anche supplizi più grandD> 114 •
Distruggendo le virtù acquisite, la cenodossia innanzitutto fa (ri)ap-
parire nell'anima le corrispondenti115 passioni e in seguito apre la por-
ta a tutte le altre passioni 116 • I Padri, lo abbiamo visto, la annoverano
tra le tre passioni generiche, che sono la fonte di tutte le altre. San Mar-
co l'Eremita la definisce «radice dei cattivi desideri» 117 , «causa di
tutti i vizi» 118 , «madre del male» 119 , e insegna che essa «conduce na-
turalmente alla schiavitù del peccato» 120 • Essa introduce prima di
tutto l'orgoglio 121 : essa ne è il precursore 122 , l'inizio 123 , la madre124 , co-
me di tutte le passioni che le sono legate: la bestemmia125 , il giudizio 126
e il disprezzo degli altri127 , lo spirito di dominio e l'amore del potere,
l'indurimento del cuore128 , la disobbedienza 129 • Essa genera anche la
13. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 61. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 23.
122 GIOVANNI CUMACO, La Scala, XXI, 2.
123 Ibid., 1.
124 Ibid., XXII, 2.
125 Cfr. MARCO L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le opere, 80.
126 Cfr. MARco L'EREMITA, La legge spirituale, 123.
127 ]EAN LE SOLITAIRE, Dialogue sur l'dme et les passions des hommes, éd. Hausherr, p. 52.
128 Apoftegmi,"VIII, 6. ·
129 GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, 15. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, VIII, 43.
239
collera130 e tutti i suoi satelliti: l'odio 131 , il rancore132 , la gelosia133 , le di-
scordie134, le discussioni135. Da essa provengono anche: la menzogna136,
l'ipocrisia 137 , le parole vane 138, la pusillanimità139 , la lussuria140 , la filar-
giria e la pleonessia141 , e, come abbiamo già sottolineato, la tristezza142.
Per terminare, notiamo che i demoni giocano un ruolo molto atti-
vo nella nascita e nello sviluppo della cenodossia143 . Tutto ciò che si
accompagna alla vanagloria proviene dal demonio, insegna san Gio-
vanni di Gaza144. E san Barsanufio afferma che i demoni favoriscono
questa passione allo scopo di far perire l'anima145 . Se non l'introdu-
cono, in ogni caso approfittano della sua nascita o della sua presenza
nell'anima per dedicarsi attraverso di essa alla loro attività distruttric
ce146. <<È soprattutto l'amore della gloria che i demoni prendono come
occasione della loro malignità; attraverso questa saltano nelle anime
come da una finestra oscura e la devastano», scrive san Diadoco di Fo-
ticea147. Colui che accetta in sé questa passione compie così la volontà
del diavolo 148 per divenirne alla fine schiavo e giocattolo. «Colui che
ama essere glorificato dagli uomini [ ...] dedica la sua anima ai suoi ne-
mici, e questi la dedicano a molti mali e se ne impadroniscono», os-
serva Abba Isaia149.
°
13 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, 24. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. II), V,
10. MARCO L'EREMITA, La legge spirituale, 106. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 5. EsICHIO DI
BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 59.
m Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 7. ESICHIO DI BATOS, /oc. cit., 59.
JEAN LE SOLITAIRE, !oc. cit.
132 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, 23.
lll JEAN LE SOLITAIRE, loc. cit., p. 52.
134 GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XXXI, 45.
135 Ibid. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, V, 16.
136 Apoftegmi, XV, 21. TALASSIO, Centurie, I, 19.
137 GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XXXI, 45. TALASSIO, Centurie, I, 19.
138 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, Xl, 8. GIOVANNI CAsSIANO, Conferenze, V, 16.
139 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XX, 1; 2.
°
14 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 13. ISACCO IL SIRO, Discorsi
ascetici, 23.
141 MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 83.
142 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 13. lsACCO IL SIRO, Discorsi
ascetici, 1.
143 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, III, 39; XXI, Il; XVII, 18-20; 27; 34. NICETA STETA·
240
L'ORGOGLIO
1 Come fa notare san GIOVANNI CLJMACO (La Scala, XXI, 1), che cita per esempio Grego-
rio Magilo.
'Ibid., cfr. 35; 45.
' Cfr. ibid., XXXII, 31. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, m, 56.
4 Conferenze, V, 10.
5 Lettere, 460.
'La Scala, XXI, 1.
7 È il punto di vista soprattutto di Gregorio Magno (vedi per esempio, Moralia su Giobbe,
XXXI,45).
241
l'orgoglio appare la prima di tutte le passioni, che genera in primo luo-
go la cenodossia e instaura, per questa ragione, con essa legami privi-
legiati e stretti.
Se a un certo livello il limite tra la cenodossia e l'orgoglio appare in-
definito, questo livello è essenzialmente quello in cui avviene - qua-
lunque sia il senso in cui lo si considera - il passaggio dall'una di que-
ste passioni all'altra; per il resto, ciascuna possiede alcuni tratti spe-
cifici che ora andremo a definire per l'orgoglio, come abbiamo fatto
per la cenodossia.
ginità, Iv, 2). Vedi anche BASILIO DI CESAREA, Regola breve, 35. GIOVANNI CRISOSTOMO, Ome-
lie sulla 2 Tessalonicesi, I, 2.
13 BASILIO DI CESAREA, loc. cit., 55. MASSTh!O IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 84.
14 Cfr. MASSTh!O IL CONFESSORE, loc. cit. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, II, 32.
15 MAssrMo IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 84. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giob-
be, XXXIV, 23.
16 GREGORIO MAGNO, loc. cit.
242
mo. Lo guarda dall'alta17 , lo disprezza18 e giunge fino «a non fare al-
cun caso di lui, come se questi non fosse nessuno»19 , atteggiamenti che
costituiscono un altro tratto fondamentale di questa prima forma di
orgoglio.
L'orgoglio spinge l'uomo a misurarsi con il suo prossima2° e, prima
di affermare la sua superiorità in rapporto a lui, ad affermare ciò che
lo distingue, a credersi fondamentalmente diverso. L'archetipo di que-
sto atteggiamento ci è presentato nel Vangelo con l'esempio del fari-
seo che dice: <<lo non sono come gli altri uomini[. ..], e neppure come
questo pubblicano» (Le 18,11). L'uomo, a causa dell'orgoglio, prova
il bisogno di confrontarsi21 , di stabilire gerarchie, prima di conclude-
re la sua superiorità, assoluta o relativf!, in tale o talaltro campo, cioè
in tutti quelli che egli si rappresenta. Per questo, è portato partico-
larmente a giudicare con sfavore il suo prossimo22 e a criticare quasi
sistematicamente il suo modo di pensare e di vivere23 •
Questa forma di orgoglio si traduce in un certo numero di atteg-
giamenti che contribuiscono, anch'essi, a ·definirla. La persona orgo-
gliosa, nota san Basilio, <<fa.sfoggio di ciò che ha e si sforza di sembrare
più cli quanto sia in realtà»24 • In questa occasione come in altre, egli si
mostra arrogante25 , infatuato e contento di sé26 , pieno cli sicurezza27 e
di fiducia in se stessa28 • A ciò s'aggiunge, spesso, la pretesa di sapere
tutto29 e la sicurezza, quasi costante, di avere ragione30 ; da ciò pro-
vengono la mania di giustificarsi31 , lo spirito di contraddizione32 (pur
esse caratteristiche di questa passione), nonché la volontà d'insegna-
"DoROTEO DI GAZA, Istruzio.ni spirituali, I, 10. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 333. GIOVAN-
NI CUMAco, La Scala, IV, 53.
32 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXII, 6. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici,
243
re33 e di comandare34 • L'orgoglio rende colui che ne è colpito cieco ai
propri difetti35 , gli fa rifiutare a priori ogni critica e odiare ogni rim-
provero e ogni correzione36 , e gli rende intollerabile ricevere comandi
e doversi sottomettere a chicchessia37 • Tale passione si rivela anche in
una certa aggressività: talvolta, è l'ironia che ne è lespressione, ma an-
che l'acredine nelle·risposte alle domande degli altri38, il silenzio ri-
spettato in alcune circostanze39 , un'animosità generale40, il desiderio di
oltraggiare il prossimo e la facilità nel farlo41 • Questa aggressività si ma-
nifesta regolarmente in risposta alle minime critiche rivolte dagli altri42 •
VI, 45.
45 Cfr. Apoftegmi, N 558; XVII, 32. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XII, 4. GIO-
VANNI CLIMACO, La Scala, XXII, 12; XXVI, 45. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su Ozia, III, 3;
Commento a san Matteo, XV, 2; LXV, 6; Commento a san Giovanni, IX, 2; XVI, 4.
46 GIOVANNI CASSIAI'\10, Istituzioni cenobitiche, XII, 4-5. MACARIO D'EGITIO, Capitoli para-
frasati, 86, 115; Omelie (Coli. III), I, 3, 4; Omelie (Coll. Il), XXVII, 6. GIOVANNI CRISOSTOMO,
Commento a san Matteo, XV, 2; LXV, 6; Commento a san Giovanni, IX, 2. DOROTEO DI GAZA,
Istruzioni spirituali, I, 8. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXII, 31.
244
pria, nel fare di sé un centro assoluto e nell'affermare in ogni cosa la
propria superiorità. San Giovanni Cassiano spiega così il peccato e la
caduta di Satana: «Costui ha creduto di ricevere dalla potenza della
sua natura e non dalla generosità divina lo splendore della sapienza e
la bellezza delle virtù di cui la grazia del creatore l'aveva ornato. In-
fatuato da questa ragione, come se non avesse bisogno del soccorso
divino per perseverare in questa purezza, egli si ritenne simile a Dio,
pretendendo che, come Dio, non avesse bisogno di nessuno; ripose fi-
ducia nella capacità del suo libero arbitrio, nel credere di potersi pro-
curare così in abbondanza quanto esige la perfezione nella virtù e la
beatitudine eterna. Solo questo pensiero fu la causa della sua cadu-
ta»47. Lo stesso santo cita48 questo versetto del salmista: «Ecco l'uomo
che non pose Dio qual suo rifugio, ma mise la sua fiducia nell' ab-
bondanza delle sue ricchezze, cercando asilo nei suoi averi» (Sa!
52[51],9). Ricorda, inoltre, che il peccato è consistito per l'uomo nel
cedere alla tentazione diabolica che prometteva: «Voi diventerete co-
me Dio»49 . «Immaginandosi di divenire Dio, perse la condizione che
possedeva>>, nota san Giovanni Crisostomo50 , il quale fa notare che
questo stesso peccato si perpetua in seguito all'influsso del diavolo
in tutti gli uomini che adottano un atteggiamento orgoglioso: «Que-
sto angelo orgoglioso li fa cadere poi nella stessa empietà ingannan-
doli coh l'illusione che essi diverranno simili a Dio»51 •
L'orgoglio si presenta, dunque, come una negazione o un rifiuto
di Dio52 , che talvolta può, come nel caso di Satana, assumere nell'uo-
mo la forma di una rivolta aperta53 , ma si manifesta molto spesso in
modo meno eclatante come «un rifiuto dell'aiuto divino e la presun-
tuosa fiducia nelle proprie forze»54 • L'orgoglioso rifiuta di considera-
re che Dio è l'autore della sua natura, il principio e la fine del suo es-
sere, e anche la fonte di tutte le qualità e di tutti i beni che egli pos-
siede, per poi attribuirseli55 •
Per la maggior parte del tempo, è quest'ultima forma che assume
245
tale passione nello spirituale; essa ha la tendenza ad attaccare parti-
colarmente l'uomo spirituale56 , al quale fa credere che è lui stesso la.
fonte delle proprie virtù e la causa delle.sue buone op.ere, portando~:
lo correlativamente a non riconoscere l'aiuto di Dio57 • La seconda for-
ma d'orgoglio, scrive san Doroteo, consiste «nell'attribuire le buone
opere a se stessi e non a Dio»58 • Troviamo lo stesso insegnamento in
Evagrio59 e in san Massimo 60 • Secondo quest'ultimo, l'orgoglioso è co·
lui «che si gonfia dei beni dati da Dio, come se questi provenissero
dalle proprie azioni giuste »61 • Diamo prova di orgoglio, dice ancora,
se pensiamo «che possedere la virtù e la conoscenza è un fatto nostro,
secondo nattira, e non ci viene dalla grazia.>>62 • Detto in altre parole, lo
spirituale si dimostra orgoglioso se rappresenta le proprie virtù come
espressione del proprio valore e prodotto dei suoi meriti, mentre esse
non sono altro che la partecipazione alle perfezioni divine e sono un
dono dello Spirito; è come se egli s'immaginasse, sotto l'effetto di que-
sta passione, che ha ottenuto con le sue sole forze la vittoria sulle pas-
sioni che stanno in lui, mentre la vittoria viene da Dio63 •
Comprendiamo allora perché i Padri notano che questa seconda
forma di orgoglio «attacca soprattutto coloro che hanno tratto profit~·
to in qualche virtù»64 e appare con maggior veemenza quando gli al-
tri vizi sono estirpati65 • San Giovanni Crisostomo giunge perfino a
dire: «Gli altri mali provengono in noi dalla nostra negligenza, men-
tre, questo male, lo contraiamo facendo il bene»66 • Allora l'orgoglio da
solo occuperà nell'anima il posto di tutte le passioni vinte67 •
· Non è solo nella situazione in cui le passioni sono state combattu-
te e annientate che l'orgoglio può rimpiazzarle, ma anche quando, per
una qualsiasi ragione, esse sonnecchiano o si nascondono senza tutta-
via smettere di esistere o di essere sminuite se non apparentemente.
246
Ecco perché san Massimo nota che «quando le passioni sonnecchia-
no, l'orgoglio sorge, sia da cause inconsce, sia da un attacco subdolo
dei demoni»68 , e san Giovanni Climaco precisa, ricordando la stessa
passione: <<Accade che tutte le passioni si ritraggono da alcuni fedeli,
e anche da alcuni infedeli, salvo una sola; e questa gli viene lasciata co-
me il più grande di tutti i mali che, da solo, rimpiazza tutti gli al-
ttD>69.
Già da queste considerazioni, dunque, notiamo che, se la seconda
forma d'orgoglio minaccia particolarmente gli spirituali, avremmo tor-
to di credere che questa risparmi gli altri uomini. Se essa spesso si fa
notare meno in questi, è perché essa è diffusa in tutto il loro essere, e
consiste infatti nel mantenere il loro stato di separazione da Dio. Vi-
vere al di fuori di Dio, condurre un'esistenza totalmente autonoma,
indipendente da lui e affermarsi come unico principio e fine della pro-
pria esistenza, è una manifestazione di questo orgoglio fondamentale
che perpetua il peccato ancestrale. Ogni uomo, fin tanto che vive al di
fuori di Dio, Lo ignora o Lo dimentica anche se per poco tempo,
implicitamente Lo nega e prende il suo posto dando prova così del-
1'orgoglio che lo abita. L'uomo, possiamo dire, si rivela orgoglioso a
un certo grado fintanto che rimane in uno stato di relativa separazio-
ne da Dio; solo il santo che ha realizzato l'unione totale a Dio e gli è
totalmente trasparente, sfugge a questa passione, mentre tutti gli al-
tri uomini ne restano vittime, anche se lo ignorano o lo negano: «Cre-
dere che non si è orgogliosi è una delle più chiare manifestazioni che
lo si è», fa notare san Giovanni Climaca7°.
247
te a Dio, e viceversa73 • È chiaro, d'altra parte, che la prima forma di
orgoglio ha origine e fondamento nella seconda. Se l'uomo infatti ele-
va, stima e ammira se stesso, è perché non riconosce che le qualità,
le virtù e tutti i beni che può possedere e che crede di avere da se stes-
so, gli vengono invece da Dio. Se egli abbassa gli altri, in parte è per
la stessa ragione: disprezzare gli altri perché non hanno saputo ben
agire, per esempio, come san Massimo74 constata, equivale ad attri-
buire le buone azioni alle proprie forze invece di rapportarle a Dio.
Credersi superiore agli altri, cercare di superarli, porsi in cima o rite-
nersi il centro in ogni circostanza, ·attribuirsi ogni qualità e virtù o al-
meno alcune a un grado elevato, equivale d'altra parte, per l'orgoglioso,
all' autodeificarsi, a far di sé un piccolo dio, e a prendere così il posto
dell'unico vero Dio che è l'assoluto vero, il sommo e il centro, il prin-
cipio è la fine, il significato e il valore di ogni cosa, la fonte e il fon-
damento di ogni bene, di ogni qualità o virtù, principio di ogni per-
fezione. Proprio perché egli fa di se stesso un assoluto, l'orgoglioso
non ammette rivali, non sopporta raffronti che siano a suo svantaggio,
teme tutto ciò che può contraddire la stima che egli ha di sé. È altre-
sì per questo motivo e per ben affermare davanti a se stesso e davan-
ti agli altri la superiorità che si attribuisce, che egli critica impietosa-
mente e sistematicamente il prossimo, lo disprezza, lo sminuisce. Di
fronte a tutto ciò che può, secondo lui, rimettere in causa questa su-
periorità egli si mostra aspro e aggressivo, volendo a ogni costo pro-
teggere l'immagine vantaggiosa che egli ha e vuole dare di se stesso.
Se disprezza il suo prossimo e lo sminuisce, è anche perché nega Dio
mettendosi al suo posto, e per questo nega l'immagine di Dio nei suoi
simili che fa di ciascuno un figlio di Dio in potenza e gli conferisce per
partecipazione la dignità e la superiorità di Dio stesso. È perché egli
cessa di venerare il suo· prossimo come essere a immagine di Dio, e
dunque di venerare Dio in lui, che egli è portato, secondo le parole di
san Doroteo, «a non far caso di lui come se fosse un nulla»75 • È per"
ché l'orgoglioso ha fede nelle proprie forze invece di avere fiducia nel-
la grazia divina e riconoscere che senza di essa non può nulla, e per-
ché, d'altra parte, egli afferma la sua assoluta autonomia, rifiutando di
vedere in Dio il suo. principio e il fine, è per questo che egli si mostra
pieno d'arroganza e di sufficienza. Sostituendo e opponendo la sua
248
volontà a quella di Dio e facendo di essa un assoluto, si comprende
come egli pretenda di comandare e si rifiuti di obbedire o di sotto-
mettersi a chicchessia. È anche perché egli non riconosce nel Cristo
l'archetipo della sua natura, ma prende se stesso come norma e riferi-
mento in tutto, che egli si fa misura di ogni cosa, pretende di giudi-
care tutto e sapere tutto, si crede sapiente, vuole avere ragione, ha la
pretesa d'insegnare e non sopporta di essere contraddetto. Ecco per-
ché, generalmente, l'orgoglioso è vuoto di Dio ed è pieno di sé.
76 Il termine è usato per esempio da: GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XI, 10 (3 );
cit., 3.
81 Omelie sulla 1 Timoteo, XVII, 1.
82 Oltre i riferimenti dari infra vedi ERMA, Il Pastore, Similitudini, IX, 2; 3. BARSANUFIO, Let-
tere, 424. GIOVANNI C:uMAco, La Scala, XX, 1. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 34; 62. ELIA Ec-
DICO, Antologia, 37.
83 Istruzioni spirituali, I, 8.
84 Commento a san Giovanni, XXVI, 4. Giovanni Crisostomo usa spesso la parola ap6noia,
che significa sragione, per indicare l'orgoglio. Vedi per esempio: Commento a Isaia, ID, 6; Ca-
techesi battesimali, V, 4. A. WENGER (in: GIOVANNI C:RlsOSTOMO, Otto catechesi battesimali, SC
n. 50 bis, nota 3, p. 202) scrive anche: <<Crisostomo dà abitualmente come sinonimo di ap6noia
il termine di yperephania [. . .]. E Field ha ragione di scrivere: "ap6noia, superbia, arrogantia. Hoc
sensu semper, ni fallar, apud Chrysostomum occurit" (PG 58, 924)».
249
Lo stesso santo nota ancora che «colui che è preso da questa passio-
ne non è meno colpito dei folli (mainoménoi)» 85 •
85 Catechesi battesimali, V, 6.
86 Su questa elevazione vedi MAssIMO IL CONFESSORE, Ambigua, 41, PG 91, 1305A-1308B..
87 Cfr. MAssIMo IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 64, PG 90, 716B.
88 Ibid., 52, PG 90, 493C.
250
Il carattere patologico dell'orgoglio contiene anche altre caratteri-
stiche. Alla base di tutte le forme di questa passione, vi è, sottolinea-
no i Padri, un'ignoranza. «Non è la conoscenza che conduce alla
vertigine dell'orgoglio, ma l'ignoranza», afferma san Giovanni Criso-
stomo89. Questa ignoranza è evidentemente in primo luogo ignoranza
di Dio. <<ll principio dell'orgoglio, è quello di misconoscere il Signo-
re>>, leggiamo nell'Ecclesiastico (Sir 10,12), insegnamento che san Gio-
vanni Crisostomo cita varie volte90 • Questa ignoranza originaria ge-
. nera nell'orgoglioso una percezione delirante della realtà. Il primo dan-
no che subisce colui che è sottomesso ali' orgoglio «è quello di essere
accecato e di perdere la rettitudine del suo giudizio», constata san Gre-
gorio Magno91 . E san Giovanni Crisostomo afferma, allo stesso modo,
· che «colui che è colpito da questa passione perde, per così dire, la
lucidità delle percezioni»92 •
È innanzitutto una conoscenza delirante di se stesso che questa pas-
sione dà all'uomo. L'orgolioso, infatti, si eleva, si afferma superiore, si
crede di essere qualcosa o qualcuno e pensa di avere questa o quella
qualità, mentre al difuori di Dio l'uomo «non è che terra»93 e non ha
che «beni>> eminentemente fragili, provvisori, destinati a scomparire,
fondamentalmente irreali. <<Perché si esalta chi è terra e cenere? An-
cora in vita vomita gli intestini», si domanda, stupito, il Siracide (Sir
10,9). E san Giovanni Crisostomo afferma in senso analogo: «Colui
che si eleva per cose che non hanno nulla di reale, che gonfia il suo
cuore per un'ombra, per il fiore dell'erba (dr. lPt 1,24) [. ..]non è il
più ridicolo di tutti gli uomini? Simile a un povero che, soffrendo la
fame continuamente, si gloriasse d'aver avuto una volta durante la not-
te un sogno piacevole»94 •
Questo delirio dell'orgoglioso nella conoscenza che ha di sé appa-
re con evidenza quando si attribuisce infatti qualità che non possiede
e quando si rivela a tutti un divario stridente tra ciò che pensa di sé e
la realtà. San Giovanni Climaco nota questo divario in una definizione
che dà di questa passione: <<L'orgoglio è un'estrema povertà dell'anima
che s'immagina di essere ricca, e scambia le sue tenebre per luce»95 •
251
Ma anche quando l'uomo si eleva per qualità che possiede real-
mente, egli delira nell'attribuirle a se stesso mentre queste gli vengo-
no da Dio e non le possiede se non per partecipazione alle perfezio-
ni di Dio. «Che cosa possiedi, domanda san Paolo, che non l'abbia ri-
cevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi
ricevuto?» (1Cor4,7) 96 • Quando fa qualcosa di buono, l'uomo in qual-
che modo non è che un intermediario e non deve, per questo moti-
vo, concepire un' elevazione97 • Ciò non è vero solo per le buone azio-
ni che egli può di sé compiere, ma anche per ogni buona disposizio-
ne, per ogni qualità o virtù che egli può avere, perché come abbiamo
dimostrato, esse gli sono state conferite dal suo Creatore ed è solo per
la grazia divina che queste possono svilupparsi. Nell'attribuirle a se
stesso, l'orgoglioso aggrava il suo delirio poiché infatti, implicita-
mente, egli si ritiene Dio. «Tu aumenti la tua condanna nell'osare at-
tribuirti ciò per cui dovresti piuttosto rendere grazie a Dio», scrive san
Barsanufio98 • E san Giovanni Climaco sottolinea la follia di un tale at~
teggiamento: «È vergognoso gloriarsi di un ornamento che non ci ap-
partiene; ma è la più grande follia far mostra dei doni di Dio»99 •
La vera conoscenza di sé consiste, per l'uomo, nel sapere che non
ha nulla da sé, indipendentemente da Dio. È in questo senso che san
Giovanni Crisostomo dice che «nessuno si conosce più perfettamen-
te se non colui che crede di essere un nulla>> 100 • L'orgoglioso che, in
tutti i modi che abbiamo presentati, pensa di essere da se stesso qual-
cosa e ne concepisce un'elevazione, dà prova della più totale ignoranza
di sé, cosa che fa dire a san Giovanni Crisostomo che <<l'orgoglioso è
sconosciuto a se stesso» 101 • Abbiamo visto che a questo proposito si
può arrivare fino a dire veramente che l'orgoglioso delira o in ogni ca-
so, come dice lo stesso san Paolo, s'illude: «Se uno pensa di essere
qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso» (Gal 6,3). Ignoran-
do ciò che egli è e percependo in modo delirante la sua realtà, l' or-
goglioso non potrà avere che una conoscenza falsata degli altri esseri102•
L'orgoglioso, innanzitutto, disconosce il prossimo. Abbiamo avu-
to l'occasione di dire prima che, se egli abbassa il prossimo e lo di-
252
sprezza, è perché ignora la sua grandezza e la sua dignità di creatura
a immagine di Dio, e non lo riconosce come suo fratello in Cristo. I
suoi rapporti con lui perciò vengono ad essere turbati in molti modi.
l:ri particolare, anziché elevare suo fratello in Dio, eleva se stesso, e ri-
duce suo fratello a un mezzo della propria glorificazione o a uno spec-
chio che gli riflette non l'immagine di Dio, ma la sua immagine, quel-
la che a1meno egli si fa di sé e si aspetta che gliela si rinvii. D'altra par-
te, anziché viver l'altro come prossimo in Dio, di considerarlo in lui
come un simile e come un fratello, l'orgoglioso cerca di distinguersi,
di affermare la sua singolarità e la sua superiorità in un modo di rela-
zione che assume la forma della opposizione. Ogni uomo, è vero, è
unico, è una persona distinta dalle altre, cioè ha un. modo proprio di
realizzare la natura umana e di manifestare l'immagine divina103 , ed è
chiamato a sviluppare carismi propri104 ; vi sono così differenze tra gli
uomini, alcuni dei quali manifestano più qualità e doni degli altri.
Tali differenze, tuttavia, trovano in Dio la loro unità fondamentale (cfr.
lCor 12,4-6.11). Nell'ambito di sani rapporti, l'unicità di ogni perso-
na si afferma in relazione con quella degli altri non sotto la forma di
una opposizione bensì di una complementarità, in vista dell'utilità co-
mune (dr. 1Cor 12,7) nell'unità della comunità umana, il cui archeti-
po è la Chiesa, corpo del Cristo. Ogni membro ha la sua funzione, la
sua utilità, la sua importanza e non può pretendere di far a meno de-
gli altri (1Cor 12,21). Nessuno è disprezzabile e di minor valore o di-
gnità, e quelli che hanno il minor numero di qualità o di doni sono i
più considerevoli (cfr. 1Cor 12,22-25). L'orgoglioso, anziché utilizza-
rei propri carismi per aiutare le membra del corpo che ne sono sprov-
viste, entrando così con esse in una realtà unitiva di complementarità
vissuta in Dio in un sentimento di umiltà e di fraternità, distoglie que-
sti doni dalla finalità normale e li usa egoisticamente per affermare la
sua singolarità in opposizione al prossimo e per porsi in cima a una
gerarchia in cui riduce gli altri ad essere i gradini più bassi privi di va-
lore. Le differenze e anche le ineguaglianze, invece di essere abolite in
Dio nell'unità del corpo, sono al contrario evidenziate. Il prossimo di-
viene un rivale. L'orgoglio qui si rivela come causa di separazione e di-
visione, fattore di perturbazione delle relazioni tra gli uomini, e di con-
seguenza fonte di mali innumerevoli.
Reso incapace dall'orgoglio di volgersi verso Dio e di aprirsi vera-
103 Cfr. V. LossKY, À l'image età la ressemblance de Dieu, Paris 1967, pp. 109s.
104 Cfr. lCor 12.
253
mente al prossimo, l'uomo si ripiega su se stesso, si rinchiude nel ri-
stretto universo del suo io che egli esalta. In tutte le sue reazioni, egli
rimane prigioniero di se stesso. L'orgoglio allora costituisce una nega-
zione della carità, e dunque istituisce la distruzione di tutti i rapporti
armoniosi che questa permette con Dio e, in questi, con se stesso e il
prossimo. L'orgoglioso capovolge la capacità d'amore che Dio ha da-
to all'uomo affinché egli si unisca a lui, allontanandola dalla sua fina-.
lità normale per volgerla verso se stesso. L'orgoglioso ama il suo io e
non ama che questo. L'orgoglio, lo si vede, qui è assimilato alla filautia.
105 Trattato pratico sulla vita monastica, 14. Vedi anche: GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su
p.47, 13-17.
109 Ibid., 17-19.
254
phrenon a causa del loro orgoglio 110 • Un altro apoftegma riferisce an-
che il caso di un monaco che «sotto l'effetto del gonfi~ento dell' or-
goglio, fu preso da uno spirito di Pitone»m. La Storia Lausiaca pre-
senta anche due casi simili: quello di due monaci, Valente112 ed Ero-
ne113, che, essendo prima caduti nell'orgoglio, sotto l'effetto di questa
passione si sono messi a delirare. Sappiamo, d'altra parte, che la pas-
sione dell'orgoglio costituisce un terreno particolarmente favorevole
alle azioni che il diavolo intraprende per far smarrire gli spirituali con
false apparizioni, che hanno l'aspetto di vere allucinazioni. San Gio-
vanni Climaco, nel capitolo della Scala in cui tratta dell'orgoglio, ri-
corda questa situazione: «Quando il demonio ha costruito la sua di-
mora nell'anima di coloro che sono divenuti suoi schiavi, appare lo-
ro come· in sogno, oppure quando questi sono svegli, appare sotto
l'immagine di un angelo di luce o sotto quella di un martire; allora sve-
la loro. alcuni segreti, e apparentemente concede qualche grazia straor-
dinaria affinché questi poveri miserabili, essendo così ingannati, per-
dano completamente la ragione»114•
L'orgoglio ha numerosi altri effetti patologici. Esso è, dicono i Pa-
dri, la fonte iniziale di tutti i mali che avvengono all'uomo 115 • «Tutte le
cose cattive ci avvengono a causa del nostro orgoglio», spiega un
·Anziano116 • «I.: orgoglio è la causa delle malattie più gravi», dice da par-
te sua san Giovanni Cassiano 117 • «Il diluvio dei mali che inonda tutta
la terra non ha altra fonte se non l'orgoglio», afferma san Giovanni
Crisostomo 118 , che altrove dice che, a causa di questa passione, la vi-
ta dell'uomo «è accompagnata da tanti dolori e miserie»119 •
Nel rendere l'uomo estraneo a Dio120, l'orgoglio lo priva dell'aiuto
e dei beni divini121 • Gli fa perdere la conoscenza spirituale122 , poi tut-
te le virtù che esso possedeva. «L'orgoglio, scrive san Gregorio Ma-
255
gno, non si accontenta mai di distruggere una sola virtù; esso si erge
contro tutte le parti dell'anima e la corrompe allo stesso modo di una .
malattia contagiosa e generalizzata che corrompe tutto il corpo»123 • <<È
una malattia infettiva e generalizzata che non si limita a contaminare
un solo membro, ma provoca la distruzione di tutto il corpo», scrive
san Giovanni Cassiano 124 , il quale nota ancora che l'orgoglio «distrugge
non solo come fanno gli altri vizi soltanto la virtù che gli è contraria,
cioè l'umiltà, ma le distrugge tutte nello stesso tempo»125 . Quanto a
san Giovanni Crisostomo, sottolinea nello stesso senso che «questo vi-
zio è sufficiente per guastare tutto ciò che vi è di buono in un'anima»126•
E san Giovanni Climaco osserva che «come le tenebre sono incom-
patibili con la luce, così lorgoglio non si può conciliare con le virtù>>127•
È evidente che, nel fare ciò, lorgoglio apre la porta a tutte le pas-
sioni128. L'insegnamento secondo cui l'orgoglio è il «principio»129, <<la
radice, la fonte e il padre di ogni peccato»130, è costantemente presente
in tutta la tradizione. <<L'orgoglio è il male culminante dell'uomo e la
radice e la fonte di tutti i peccati del mondo», afferma san Giovanni
Crisostomo 131 • «I sette vizi principali sono i germogli fuoriusciti diret-
tamente da questa radice corrotta>>, scrive san Gregorio Magno 132 • E
san Giovanni Cassiano osserva: «Quantunque questa malattia sia l'ul-
tima e venga alla fine della lista dei vizi, per la sua origine nel tempo,
essa occupa il primo posto»133 •
Se possiamo dire che l'orgoglio è la causa di tutte le passioni, non-
dimeno occorre sottolineare che ve ne sono alcune che gli sono più vi-
cine e che esso genera più particolarmente, specialmente la collera134,
uG Commento a san Giovanni, XVI, 4. Cfr. Omelie su Ozia, III, l; Omelie su 2 Tessalonicesi,
I,2.
m La Scala, XXII, 26. Cfr. 13, 24.
128 Cfr. MA.ssIMo IL CONFESSORE, Questioni a Talasszo, 52, PG 90, 493A. AMMoNA, Istruzio·
ni, IV, 28. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici; gnostici e pratici, I, 75. NICETA
STETATOS, Centun·e, I, 84.
129 Sir 10,13.
" 0 GIOVANNI CrusosroMO, Commento a san Giovanni, IX, 2. Giovanni Climaco lafferma in-
direttamente (vedi La Scala, XXII, 4).
131 Commento a san Matteo, XV, 2.
132 Moralia su Giobbe, XXXI, 45. Cfr. xx:rv, 23.
133 Istituzioni cenobitiche, XII, L Cfr. 6.
134 GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XXXIV; 45. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità,
256
l'odio 135 , e ogni forma d'aggressività136, la durezza di cuore137 , il giu-
dizio del prossim.0 138, la maldicenza e la calunnia139 , l'ipocrisia140, latri-
stezza141, l'invidia142 , la gelosia143 , la cupidigia144 , la lussuria145 , e come
abbiamo già sottolineato, la cenodossia146.
Questa passione è per lanima una fonte continua di sofferenza147 .
Diverse ragioni possono spiegare ciò. L'orgoglioso può soffrire del di-
vario tra ciò che crede o vuole essere e ciò che sente di essere real-
mente. Può soffrire altresì di veder minacciate o smentite l'immagine
lusinghiera che esso ha o vuole dare di se stesso, o la superiorità che
afferma in rapporto agli altri. Si mostra anche eternamente insoddi-
sfatto nell'esaltazione che ricerca, perché mai potrà raggiungere la vet-
ta e la sua pretesa non conosce fine 148 .
L'orgoglio distrugge così la pace interiore149 , e immerge l'uomo in
uno stato di agitazione permanente. Ciò avviene soprattutto per il fat-
to che l'uomo, di fronte ai suoi simili, raggiunge quasi sempre un ef-
fetto contrario a quello che si aspettava: invece di considerazione, mol-
to spesso egli raccoglie disprezzo e sarcasmi150. <<Accade a colui che è
posseduto da questa passione tutto il contrario di ciò che desidera>>,
nota san Giovanni Crisostomo. «Egli ha un'alta considerazione di sé.
Vuole essere onorato da tutti; al contrario egli è disprezzato da tutti
L.J. Sono tutti suoi nemici; non ha nessuno che lo sostenga.>>151 .
Il timore che questi ha di veder contestata e disprezzata l'immagi-
ne presuntuosa che ha di sé può inoltre renderlo diffidente, suscetti-
145 GIOVANNI CAssIANO, Istituzioni cenobitiche, XII, 22. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XV,
257
bile, sensibile e far nascere e sviluppare in lui il sentimento di perse-
cuzione152, e turbare in quest'altro modo i suoi rapporti con il prossi-
mo153. Questa suscettibilità lo spinge ancor più a mostrarsi aggressi-
vo a sua volta di fronte a coloro che lo criticano o che egli suppone
che lo facciano 154 .
L'orgoglio non solo è una fonte frequente di conflitti con gli altri,
ma anche la causa che alimenta e impedisce di riarmonizzare le rela-
zioni compromesse. L'orgoglio, quando non impedisce a colui che
ne è dominato di riconoscere dentro di sé i propri torti, lo trattienè
dal confessarli pubblicamente e dal chiedere perdono a colui che è sta-
to leso155 . Questo atteggiamento si manifesta, peraltro, sia di fronte a
Dio che al prossimo: l'orgoglio, sottolineano i Padri, porta l'uomo a
non vedere i suoi peccati, a dimenticarli156, e dunque a conservarli157 ,
e perpetua così lo stato di separazione da Dio. L'orgoglioso, al con-
trario, non dimentica le offese degli altri nei suoi riguardi, e nutre
nel suo cuore un risentimento che diffonde nell'animo un turbamen-
to doloroso e malsano.
Per terminare, ricordiamo che il diavolo nella genesi158 e nello svi-
luppo della malattia dell'orgoglio gioca un ruolo di primo piano. Que-
sta passione offre a tutte le forme della sua azione un terreno parti-
colarmente favorevole: essa è, dice san Giovanni Climaco, <<il sostegno
dei demoni>>159. Nell'orgoglio, l'uomo si mostra posseduto dal diavo-
lo molto più che nelle altre passioni, a tal punto che il diavolo, poiché
domina completamente la sua anima, può permettersi peraltro di la-
sciarlo in pace. L'orgoglioso, scrive san Giovanni Climaco, <<non ha bi-
sogno del demonio, perché egli è divenuto da se stesso un demone e
un nemico» 160, e san Giovanni Crisostomo arriva a dire che l'orgo-
glio <<fa dell'uomo un demone»161 . Precedentemente, abbiamo nota-
to che è attraverso l'orgoglio che Satana e molti angeli sono divenuti
rispettivamente diavolo e demoni.
258
XII
·1 MARco L'EREMITA, Sull'unione ipostatica, 18. Cfr. GREGORIO PALAMAS, Omelie, 52.
2 Cfr. GREGORIO DI NISSA, La creazione dell'uomo, XVI, PG 44, 185B; XXII, 204CD. GRE-
GORIO PALAMAS, Omelie, 5, PG 150, 64-65.
3 Cfr. MAssrMo IL CONFFSSORE, Questioni a Talassio, 21, PG 90, 312B-313A; 61, 628C; 632A.
GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 30. GREGORIO PALAMAS, Ome-
lie, 5, PG 150, 64B. TEODORETO DI CIRO, Commento alla lettera ai Romani, PG 80, 1245A.
4 Omelie sulle beatitudini, VI, 5. Cfr. MAsswo IL CONFESSORE, Questioni a Talassico, 61, PG
90, 632A.
5 Omelie, 54. Cfr. 43.
259
Tuttavia, sottolineano i Padri orientali6 , gli uomini non ereditano lo
stesso peccato di Adamo, essendo questo peccato la sua colpa perso-
nale. È in questo senso che l'Apostolo dice che «a causa della colpa di
uno solo si ebbe in tutti gli uomini una condanna» (Rm 5,18), che «per
la caduta di uno i molti morirono» (Rm 5,15), e che <<la morte esercitò
il suo dominio [.. .] anche su coloro che non peccarono con una tra-
sgressione simile a quella di Adamo» (Rm 5,14). E quando l'Aposto-
lo dice che «a causa della disobbedienza di un solo uomo, i molti fu-
rono costituiti peccatori» (Rm 5,19), quest'ultima espressione indica
le conseguenze del peccato di Adamo e non il suo peccato7 • San Ci-
rillo d'Alessandria scrive in questo senso: <<La natura si ammalò di pec-
cato per la disobbedienza di uno solo, cioè Adamo. Così la moltitu-
dine fu costituita peccatrice: non perché abbia condiviso l'errore di
Adamo - essa ancora non esisteva-, ma perché condivideva la sua na-
tura caduta sotto la legge del peccato»8 • E san Marco l'Eremita affer-
ma molto chiaramente: «Noi non abbiamo ereditato la trasgressione,
poiché Adamo stesso non l'ha commessa per necessità, bensì volon-
tariamente, ma abbiamo ereditato la morte9 , necessariamente, poiché
essa ha dominato su di lui per necessità e ha anche regnato su coloro
che non avevano peccato a somiglianza di Adamo»10 ; «abbiamo dun-
que ereditato solo la morte di Adanio» 11 •
In altre parole, la trasgressione o il peccato in atto (amartia) è sem-
pre personale, lo è per il fatto del libero arbitrio individuale, e la na-
tura non lo eredita12 • Ecco perché i Padri orientali riconoscono che gli
uomini, prima ancora della venuta del Cristo avevano la possibilità
di non peccare, come testimoniano i numerosi giusti dell'Antico Te-
stamento13.
È solo nella misura in cui i discendenti di Adamo hanno essi stessi
sensibilmente sui punti evocati in questo capitolo. Su quest'argomento vedi J. MEYENDORFF, Ini-
tiation à la théologie byzantine, Paris 1975, pp. 192-198;J. S. ROMANIDIS, Il peccato ancestrale,
Atene 1957 (in greco).
7 Vedi il commento di san GIOVANNI CrusoSTOMO, Omelie sulla lettera ai Romani, X, 2; 3.
Occorre notare che san Paolo usa un'espressione simile quando dice del Cristo «che non co-
nobbe peccato», che Dio <<lo fece peccato per noi» (2Cor 5,21).
8 Commento alla lettera ai Romani, PG 74, 789. Cfr. TEOFILAITO DI BULGARIA, Commento
alla lettera ai Romani, PG 124, 404C.
9 Occorre intendere con questo non solo la morte.biologièa ma la morte spirituale.
10 Il battesimo, 24.
11 Ibid.,29.
12 Cfr. ibid., 24.
13 Cfr. TEODORETO DI CIRO, Commento alla lettera ai Romani, PG 82, 104. MARCO L'ERE-
260
peccato personalmente, quando sono divenuti volontariamente suoi
imitatori, che hanno condiviso il suo errore, e per questo la sua col-
pevolezza14. È in questo senso che occorre capire la parola di san Pao-
lo: «Come a causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e at-
traverso il peccato la morte, e così la morte dilagò su tutti gli uomini
per il fatto che tutti peccarono» (Rm 5,12) 15 .
È così che la Chiesa ortodossa, in linea con la maggioranza dei Pa-
dri orientali, ritiene che i bambini nascono eredi delle çonseguenze del
peccato ancestrale che colpiscono la natura, ma non del peccato an-
cestrale stesso che è legato alla sola persona di Adama1 6 • Mentre la re-
missione dei peccati è una delle funzioni del battesimo degli adulti, es-
sa non è quella del battesimo dei bambini, sottolinea Teodoreto di Ci-
ro: «Se il solo significato del battesimo fosse quello di rimettere i peccati,
perché battezzeremmo dei neonati che non hanno ancora assaporato
il peccato?»17 .
Occorre, tuttavia, aggiungere che se gli uomini alla loro nascita non
ereditano il peccato di Adamo, e possono essere considerati esenti
da ogni peccato personale, essi ereditano nondimeno uno stato di pec-
cato che colpisce la loro natura. È così che san Marco l'Eremita, pur
affermando che gli uomini non hanno ereditato il peccato personale
di Adamo, dice che in conseguenza di questo <<tutti sono nati sotto il
peccato» (cfr. Rm 3,9) 18 , in altre parole, in stato di peccato. San Ci-
rillo d'Alessandria dice la stessa cosa quando afferma, pur negando
che l'umanità abbia condiviso la colpa di Adamo, che essa «è malata
di peccato», ha condiviso <<la sua natura caduta sotto la legge del pec-
cato»19. È in questo senso che possiamo comprendere la parola del sal-
14 Cfr. CIRlllO b'.Al..F.ssANDRIA, Commento alla lettera ai Romani, PG 74, 784BC. Fozro, Que-
è riferito ad Adamo. In Occidente, si è usata questa traduzione (di cui i migliori specialisti di
· tutte le confessioni sono d'accordo oggi nel riconoscere l'inesatt=al per giustificare la dottri-
na del peccato ereditato da Adamo e condiviso da tutti i suoi discendenti. Ora, l'originale gre-
co eph'6i non può avere questo significato e giustifica la diversa concezione del peccato origi-
nale sviluppata dai Padri greci. Vedi}. MEYENDORFF, «Eph'oi (Rm 5,12) chez Cyrille d'A-
lexandrie et Théodoret>>, in Studia patristica 4, 1961, pp. 157-161; Initiation à la théologie byzantine,
Paris 1975, pp. 194-196.
16 L'affermazione che i neonati sono esenti dal peccato si trova per esempio in: GREGORIO DI
NAZIANZO, Discorsi, XL, 23. GREGORIO DI NISSA, Sui bambini che sono morti prematuramente, ·
PG46, 177-180. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, XXVIII, 3. CIRILLO DI GE-
RUSALEMME, Catechesi battesimali, IV, 19.
17 Compendium, 5, 18, PG 83, 512.
18 Sulla penitenza, IO. Cfr. Sull'unione ipostatica, 8, 18.
19 Commento alla lettera ai Romani, PG 74, 789, citato sopra.
261
mista: «Nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito
mia madre» (Sal 51[50],7). Questo stato cli peccato indica la debolezza
della natura, la sua malattia, la sua infermità, la sua passibilità, la sua
corruttibilità20, la sua mortalità fisica, e in modo generale la sua mor-
te spirituale, cioè la condizione di separazione da Dio, più precisa-
mente il suo stato cli allontanamento da Dio. È così che san Marco TE-
remita scrivé: <<Essendo morto il primo uomo, cioè separato da Dio,
noi non possiamo, noi, vivere in Dio»21 •
Questo stato di peccato che colpisce la natura tuttavia non è col-
pevole fintanto che l'uomo non lo ha personalmente assunto. L'uo-
mo nasce con una natura malata, passibile, corruttibile e mortale a
motivo del peccato di Adamo non del suo; lo stato cli allontanamen-
to da Dio nel quale egli si trova nascendo costituisce veramente uno
stato di peccato, ma che egli non ha petsonalmente scelto. Il suo è,
dunque, un peccato involontario, che non ha nulla in comune con
uno stato di allontanamento da Dio che sarebbe un rifiuto volonta-
rio di Dio, e che quindi per questo sarebbe un peccato in senso pro-
prio. San Massimo fa questa distinzione al livello di Adamo stesso:
<<Per la sua corruzione, la volontà naturale di Adamo introdusse la
corruzione della natura che si vide privata della grazia dell'impassi-
bilità e divenne peccato. Il primo peccato, molto colpevole, fu all'i-
nizio lo scivolamento della sua inclinazione iniziale, predisposta al be-
ne; il secondo, conseguenza del primo, fu la trasmutazione non col-
pevole della natura dal suo stato d'incorruttibilità in quello di
corruttibilità. Infatti, il giorno in cui trasgredì il comandamento di-
vino, il nostro antenato Adamo commise due peccati: uno colpevole,
l'altro non colpevole, conseguenza del primo. Il primo avvenne per-
ché la volontà rifiutò, cli buon grado, il bene; l'altro perché la natu-
ra si vide, senza volerlo, privata dell'immortalità, in seguito al com-
portamento della volontà»22 •
Il neonato non è capace del peccato intenzionale e volontario, e non
può dunque esserne colpevole. È a partire dal momento in cui l'uomo
è nell'età di disporre della sua coscienza e del suo libero arbitrio che
può commettere un tale peccato, quindi di peccare «con una tra-
sgressione simile a quella di Adamo» (Rm 5,14), cli condividere la sua
20 Nel testo di Cirillo d'Alessandria al quale ci siamo riferiti prima, ]'espressione «l'uomo si
ammala di corruzione>> riprende l'espressione <<la natura si ammala di peccato», citata qualche
rigo sopra e appare come suo equivalente.
21 Il battesimo, 24.
22 Questioni a Talassio, 42.
262
colpevolezza e di divenire così corresponsabile delle conseguenze
del peccato ancestrale.
23 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Vita di Mosè, Il, 32. TEOOORETO DI CIRO, Commento al Salmo
50, 7. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, III, 12. CIRILLO D'ALEsSANDRIA, Commento alla lettera
ai Romani, V, 18. MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talamo, 21.
24 Discorso catechetico, 16.
25 Ibid., 8.
26 Sul carattere ereditario delle passioni vedi CIRILLO D'ALESSANDRIA, Commento a san Gio-
vanni, XIX, 19; Commento alla lettera ai Romani, V, 18; VII, 15; Sull'adorazione in spirito e ve-
rità, 10. TEODORETO DI CIRO, Commento al Salmo 50, 7, PG 80, 1245. MASSIMO IL CONFESSO-
RE, Questioni a Talassio, 21.
27 Istituzioni cenobitiche, VII, 3.
28 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 21. SOFRONIO DI GERUSALEMME, Ome-
263
strizione tirannica che l'uomo era trascinato dal nemico, e anche quel-
li che volevano evitare il peccato erano quasi obbligati a commetter-
lo»29. Anche san Massimo insiste particolarmente sul potente dominio
che le potenze del male esercitano sull'uomo decaduto e sull'asservi-
mento quasi totale di questi}().
Certamente, l'uomo non è costretto a peccare; da un lato conti-
nua a disporre del libero arbitric3 1, e dall'altro, a beneficiare di un aiu-
to di Dio se è disposto a riceverlo32 • Ma la sua natura corrotta, cioè al-
lontanata da Dio e volta verso· il sensibile e il passibile, fa sì che egli
si lasci facilmente sedurre a peccare e a sviluppare le sue passioni nel
senso del male33 • Cede tanto più facilmente alle tentazioni demonia-
che quanto più la sua volontà è indebolita e malata34 •
È così che molto spesso gli uomini si lasciano scivolare sul pendio
su cui li trascina la loro natura decaduta. Una volta che l'uomo si è la-
sciato trascinare a peccare, le sue passioni si sviluppano, e lo spingo-
no di più al peccato, il che rafforza le passioni35 • La passibilità eredi-
tata dalla natura, da peccato involontario quale essa era, diviene, per
il fatto che l'uomo vi si abbandona volontariamente, peccato in atto36•
Allo stesso modo, la corruttibilità e la mortalità, che all'origine erano
I'eredità involontaria del peccato di Adamo, divengono per gli uomi-
ni una fonte di peccati personali, nella misura in cui costoro, temen-
do la corruzione e la morte, cercano di preservare la loro vita abban-
donandosi volontariamente alla voluttà3 7 e alle passioni, le quali con-
fermano e rafforzano a loro volta la loro corruttibilità e mortalità38•
29 Istruzioni spirituali, l, 4.
30 Cfr. Questioni a Talassio, 21.
31 Cfr. ATANASIO D'ALESSANDRIA, Contro i pagani, 4; 7. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul-
la Genesi, XIX, 1. Cr:Rru.o DI GERUSALEMME, Catechesi battesimali, IV, 18-21. CIRILLO n'ALEs·
SANDRIA, Commento alla lettera ai Romani, V, 18.
n Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla Genesi, XIX, 1. GIOVANNI CASSIANO, Confe-
renze, III, 12.
" Cfr. MAssIMO IL CoNFESSORE, Questioni a Talassio, 21.
34 Cfr. GREGORIO DI NAZIANZO, Poesie, II, 1, 45. GREGORIO DI NISSA, Omelie sul Padre no-
FESSORE, Questioni a Talassio, 21: <<Dominato senza volerlo dal timore della morte, [l'uomo] si
abbandona alla schiavitù del piacere, nella speranza di poter continuare a vivere».
38 La concezione che la tendenza al peccato sia legata alla mortalità è stata sviluppata so·
264
Peccando personalmente, l'uomo diviene imitatore di Adamo, re-
sponsabile con lui e con tutti gli uomini che si abbandonano al pec-
cato del decadimento della natura comune. È in questo senso che pos-
siamo dire che gli uomini sono colpevoli con Adamo, che portano in
loro stessi il peccato di Adamo39 • Così si spiega la visione pessimista
che sviluppa san Massimo, il quale in particolare sottolinea la dialet-
tica del peccato e della passibilità, e l'asservimento di cui l'uomo alla
fine si rende prigioniero: «Il peccato, conseguenza diretta della di-
sobbedienza, introduce nella natura umana la passibilità che ormai se-
gna la legge della procreazione. Questa prima disobbedienza cresce
con la passibilità, e la natura umana si lega al male volontariamente
con legami così impossibili da sciogliere, che per l'uomo non vi è più
alcuna speranza di liberarsene»40 • Nella descrizione che abbiamo da-
to delle passioni, spesso abbiamo fatto apparire questa dialettica.
265
Resta tuttavia vero che, prima che il Verbo di Dio si fosse incarna~
to e avesse compiuto la sua economia redentrice, gli upmini, anche i
più giusti, non potevano sfuggire allo stato di peccato nel quale il pec-
cato ancestrale aveva posto la loro natura, continuavano a subire la ti-
rannia della natura passibile e della sua tendenza al male, come quel-
la della corruzione e della morte. Questo stato di peccato costituiva
una barriera che impediva all'umanità di appropriarsi la pienezza del-
la grazia44 • Solo il Cristo poteva guarire la natura umana dalla grave
malattia che la colpiva dopo il peccato di Adamo, restituirle la non
passibilità, l'incorruttibilità, e l'immortalità che essa possedeva nel suo
stato originale, e rimetterla sulla via della deificazione in vista della
quale era stata c.reata.
266
PARTE TERZA
CONDIZIONI GENERALI
DELLA TERAPIA
I
IL CRISTO MEDICO
278.
4 Catechesi battesimale, XII, 6-7.
269
olio" (Is 1,6). In altri termini, il male non è parziale né localizzato, ina
diffuso in tutto il corpo, avvolge l'anima completamente e racchiude
tutte le sue facoltà. "Niente vi è d'intatto" ecc., poiché tutto era as-
servito al peccato, tutto era in suo potere. Geremia poteva così affer-
mare:" Abbiamo curato Babilonia, ma non è guarita" (Ger 51,9)>>'. An-
che san Macario d'Egitto scrive: «Nel momento della trasgressione di
Adamo, il nemico si era impegnato a ferire e a ottenebrare l'uomo
interiore [. .. ]. Ormai i suoi occhi erano fissi sul male e sulle passioni,
rimanendo chiusi ai beni celesti. Egli era così gravemente ferito che
nessuno era capace di guarirlo [...]. Nessun giusto, né i padri, né i pro-
feti, né i patriarchi, hanno potuto guarire l'anima che aveva ricevuto
in origine la ferita inguaribile delle cattive passioni. È venuto Mosè,
ma non ha potuto procurare la completa guarigione. Sacerdoti, offer-
te, decime, giorni di riposo, noviluni, purificazioni, sacrifici, olocau-
sti, e tutti gli altri mezzi di giustificazione esistenti al tempo della Leg-
ge; tuttavia neanche[. .. ] tutta la giustizia [dell'anima] poteva guarir-
la»6. Nella maggior parte delle sue Lettere, sant'Antonio l'Eremita
riprende questo tema, ogni volta negli stessi termini di patologia e di
terapia. <<Nel suo amore instancabile, egli scrive, il Creatore desidera-
va visitarci nelle malattie e nello smarrimento: egli suscitò Mosè il le-
gislatore»7. «Questo Mosè, che pose le fondamenta della Casa della
verità, volle guarire questa profonda ferita e ricondurci alla comu-
nione originale. Non vi riuscì e se ne andò. Dopo di lui vennero i pro-
feti: essi si rimisero a costruire sù queste fondamenta senza arrivare a
guarire la profonda piaga dei membri .della famiglia umana; dovette-
ro riconoscere la loro impotenza>>8• «Ciascuno, rivestito dello Spiri-
to, constatò che la piaga era incurabile, e che nessup.a creatura pote-
va guarirla>>9 • «L'assemblea dei santi a sua volta si riunì e la sua pre-
ghiera si elevò verso il Creatore: "Non c1è più balsamo in Galaad? Non
c'è più ivi alcun medico? Perché, allora, non migliora la ferita della fi-
glia del mio popolo?" (Ger 8,22). "In quanto a noi, abbiamo curato
Babilonia: ma non è guarita! Lasciatela. Torniamo ciascuno al proprio
paese" (Ger 51,9)» 10 • San Nicola Cabasilas osserva, proprio come
5 Istruzioni spirituali, l, 3.
6 Omelie (Coli. II), XX, 4-6.
7 Lettere, Il, 2. Cfr. rv, 2: «Vedendo questa ferita incurabile ed estremamente grave, Dio,
270
sant'Antonio 11 , che la legge era stata data dai profeti agli uomini come
mezzo di guarigione ma, egli constata, «ciò che poteva la legge contro
i nostri mali, era quello di predisporci alla salute e renderci degni del-
le cure del medico», ma essa non poteva costituire una medicazione
sufficiente12 • San Macario sottolinea la stessa cosa: «Come l'ombra non
compie azioni né guarisce dalla sofferenza, così la Legge antica è sta-
ta incapace di guarire le ferite e le malattie dell'anima, perché non ave-
va vita»13 • E san Gregorio Nazianzeno: <<Rimproverato prima in mol-
ti modi per i suoi numerosi peccati che irrompevano come polloni di
una cattiva radice, condotto per diverse ragioni e in varie circostanze
dalla parola, dalla legge, dai profeti, dai benefici, dalle minacce, dai
castighi, dai segni[. .. ], l'uomo ebbe[. .. ] bisogno di un rimedio più ef-
ficace per guarire dai mali che non facevano che peggiorare»14 •
Secondo Origene, gli stessi angeli <<Volevano offrire il loro aiuto agli
uomini e concedere loro la salute guarendoli dalle malattie [. .. ]. Essi
dunque aiutarono gli uomini compatibilmente con le loro forze» 15 • Ma,
proprio come i profeti, gli angeli si sono rivelati impotenti a causa del-
la cattiva volontà degli uomini nel voler guarire («essi hanno fatto
ciò che era in loro potere per guarire gli uomini, ma gli uomini non
hanno voluto ricevere la guarigione») 16 soprattutto a motivo della par-
ticolare gravità della malattia che aveva colpito l'umanità decaduta:
«Videro i loro rimedi molto inferiori a ciò che esigeva la guarigione
degli uomini»17 •
·occorreva all'umanità, come afferma san Giovanni Climaco, un me-
dico e un chirurgo la cui abilità fosse proporzionata all'importanza del-
le malattie e delle piaghe18 • Solo il Cristo, essendo Dio, poteva, facen-
dosi uomo pur rimanendo Dio, essere questo medico efficace. Ed è in
quanto tale che il Padre, mosso da pietà per il genere umano e rispon-
dendo alla voce supplichevole dei profeti e dell'assemblea dei santi, lo
inviò tra gli uomini. San Cirillo di Gerusalemme così continua: <<Dopo
di ciò i profeti, estenuati dalle lacrime dissero: "Chi darà a Sion la sal-
vezza?" (cfr. Sal 14[13],7) [ ... ].E un altro profeta supplica in questi ter-
11 Ibid.
u La vita in Cristo, I, 14.
"Omelie (Coli. Il), XXXII, 5.
14 Discorsi, XLV, 9; XXXVIII, 13.
15 Omelie su san Luca, XIII, 2. Sugli angeli guaritori, vedi: Gv 5,4. GIOVANNI CIJMACO, La
scala, I, 19.
16 Omelie su san Luca, XIII, 3.
17 Ibid., 2.
18 La Scala, I, 19.
271
mini: "Signore, piega i tuoi cieli e scendi" (Sal 144[143],5). Le ferite
dell'umanità superano i nostri rimedi[. .. ]. La nostra miseria non può
essere ricostruita da noi; sei tu che servi per rialzarci» 19 • «Il Signore
esaudì la preghiera dei profeti. Il Padre non disprezzò la nostra razza
ferita. Egli inviò dal cielo il suo Figlio come medico»20• «Riconosciamo
la presenza del re e medico», «perché il re Gesù, sul punto di dare del-
le cure, si rivestl dell'umanità e guarì ciò che era malato»21 • «Pur rima·
nendo [Dio], pur conservando in verità la gloria immutabile della fi-
gliolanza, egli nondimeno si adattò come abilissimo medico alle no-
stre debolezze>>, scrive ancora22 san Cirillo. Allo stesso modo san Doroteo
di Gaza afferma: «Nella sua bonrà e nel suo amore per gli uomini,
Dio inviò il suo Figlio unigenito perché solo Dio poteva guarire e vin-
cere questo male. I profeti non lo ignoravano. Davide lo diceva chia-
ramente: "[. .. ] Risveglia la tua potenza e vieni in nostro soccorso" (Sal
80[79],3), "Signore, piega i tuoi cieli e scendi" (Sal 144[143],5), e tan-
te altre cose simili [. ..]. Il Signore nostro dunque è venuto, facendosi
uomo per noi, "per guarire, afferma san Gregorio23 , il simile con il si-
mile, lanima con lanima, la carne con la carne" »24 • Sant'Ammona serie
ve: «Il Padre ha inviato dal cielo il suo proprio Figlio perché guarisse
tutte le infermità e tutte le malattie degli uomini>>25 • Sant'Antonio l'E-
remita, in molte sue Lettere, riprende continuamente questo tema:
- <<La piaga era incurabile e nessuna creatura poteva guarirla, se non
il Figlio unigenito, impronta fedele del Padre; lui il Salvatore, è un me-
dico esperto: essi [i profeti] lo sapevano. Si riunirono, dunque, e
presentarono a Dio, attraverso i membri di questa famiglia di cui
facciamo parte, una preghiera unanime [ ... ]. Allora Dio, traboccante
d'amore, venne a noi»26 •
- <<Da questa supplica che i santi rivolgevano alla bontà del Padre
riguardo al suo Figlio unigenito - perché nessuna creatura è capace di
guarire la ferita profonda dell'uomo, lui solo lo poteva venendo a
noi - il Padre fu toccato e disse: "Figlio dell'uomo, [ ... ] prendi su di
te questa missione"»27 •
272
- «Tutta l'assemblea dei santi si è riunita e reclama dalla bontà del
Padre un Salvatore che venga a salvarci perché egli è "il solo Medico
che possa guarire la nostra ferita profonda"». <<Per volontà del Padre,
si è privato della sua gloria: essendo Dio, prese l'aspetto del servitore
e diede la vita per i nostri peccari>>28 •
- «Vedendo che i santi, o piuttosto, che tutte le sue creature non
arrivavano a guarire la profonda ferita delle loro membra e conosce-
vano l'infermità del loro spirito, egli, il Padre delle creature, manife-
stò loro misericordia e, nel suo grande amore, non risparmiò il Figlio
unigenito che egli consegnò a causa dei nostri peccati per la salvezza
di tutti>>29 •
-«Le viscere [del Creatore] si commossero nei nostri riguardi. Nel-
la sua bontà, egli volle ricondurci allo stato originale che non sareb-
be mai dovuto scomparire. Non si risparmiò ma rese visita alle sue
creature per salvarle>>30 •
- «Coloro che erano rivestiti dello Spirito compresero che nessuna
creatura poteva guarire questa profonda ferita, se non la bontà del Pa-
dre che è il Figlio unigenito, inviato per salvare il mondo. È lui il gran-
de medico che può guarirci da questa profonda ferita. Così pregaro-
no Dio e la sua bontà>>31 • «Il Creatore constatò che la piaga s'infetta-
va e che era necessario ricorrere a un medico: Gesù, creatore degli
uomini, vieni ancora a guarirli>>32 •
Quanto a san Macario il Grande scrive: «La ferita inguaribile da cui
siamo stati colpiti [. ..] solo il Signore poteva guarirla. È per questo che
egli è venuto di persona, perché nessuno degli anziani, né la Legge, né
i profeti, erano capaci di porvi rimedio. Solo lui, venendo, ha guarito
questa inguaribile ferita dell' anima»33 • Egli, altrove, osserva che l'uo-
mo «era così gravemente ferito che nessuno era capace di guarirlo,
se non il Signore. Solo lui ne ha la possibilità. È venuto egli stesso e ha
"tolto _il peccato del mondo" (Gv 1,29)». Mentre tutti erano impotenti,
«è stato necessario che il Salvatore venisse, lui, il vero medico, che gua-
risce gratuitamente [. .. ]. Solo lui ha consumato la grande e salutare re-
denzione e la guarigione dell'anima. È lui che l'ha liberata dalla schia-
vitù, fatta uscire dalle tenebre, glorificata con la propria luce»34 • In
28 Ibid., IV, 2.
29 Ibid_, V, 2_
30 Ibid., V bis.
31 Ibid., VI, 2.
32 Ibid_
33 Omelie (Coli. Il), XXX, 8.
273
un'altra omelia, egli dice ancora: «Quando Adamo violò il comanda-
mento e divenne trasgressore, i figli della notte - cioè gli spiriti del mac
le - ruppero le membra dell'anima e la lasciarono senza forze e senza
vigore verso il bene, offuscandola e stravolgendola senza rimedio; non
fu possibile a nessun patriarca o profeta guarirla: ne era capace solo il
Signore che l'aveva creata. Ed è per questo che, nella sua infinita bontà,
egli venne in una tale abiezione e umiltà per risollevare l'anima cadu-
ta nella peì-versità»35 .
Non sono solo gli autori che abbiamo appena citato, ma anche tut-
ti i Padri che vedono nel Cristo un medico venuto tra gli uomini per
guarirli dalle malattie e dalla follia costituite dal peccato e dalle sue
conseguenze, e che ricordano la salvezza che egli apporta in termini
di terapia e di guarigione, e questo fin dai primi secoli. Così, per esem-
pio, sant'lgnazio d'Antiochia scrive agli Efesini: «Non vi è che un
solo medico (iatr6s), del corpo e dell'anima, generato e non creato, ve-
nuto nella carne, Dio, nella morte vita vera, nato da Maria e nato da
Dio, nostro Signore»36 • San Giustino dice del Cristo: <<Egli si è fatto
uomo per noi per guarirci dai nostri mali nel prendervi parte»37 • I.: au-
tore della Lettera a Diogneto scrive: Dio «nel corso del tempo ha con-
vinto la nostra natura della propria impotenza nell'ottenere la vita; ora
egli ci ha mostrato il Salvatore che ha la potenza di salvare anche ciò
che non poteva esserlo: attraverso questo duplice mezzo, ha voluto che
noi avessimo fede nella sua bontà e che vedessimo in lui [. ..] un me-
dico»38. «Gesù fu il solo medico delle nostre ferite» osserva Clemente
d'Alessandria39 , che aggiunge: «Dio paternamente cerca la sua crea-
tura, la guarisce dalla sua caduta>>40 • Nella sua omelia per la Festa del-
la Teofania in cui la Chiesa celebra l'arrivo di Dio presso gli uomini,
san Gregorio Nazianzeno scrive: «Festeggiamo la nostra guarigione
dalla malattia>>4 1, e ancora: «Vediamo [in questa festa] le opere della
guarigione»42 • San Gregorio di Nissa afferma: «Il vero medico delle
35 Omelie (Coll. ill), XXIV, 3-4. Vedi anche: ibid., XXV, 3, 2.3; Omelie (Coll. Il), XV, 47:
«Egli stesso ha lavato le ferite degli uomini, li ha guariti e li ha introdotti nella sua celeste camera
nuziale>>; XLVill, 3: <<ll Signore è venuto quaggiù per guarire[. .. ] le anime dei fedeli [dalle] pas-
sioni incurabili e per purificarle da ogni sporcizia della lebbra della malvagità, proprio lui, l'u-
nico vero medico e guaritore>>.
36 Lettera agli Efesini, VII, 2.
37 Apologia seconda, 13.
38 Lettera a Diogneto, IX, 6.
39 Quale ricco può essere salvato?, 29.
40 Protreptico, X, 91, 3.
41 Discorsi, xxxvm, 4.
42 Ibid.
274
malattie dell'anima che, a causa di coloro che erano malati, ha preso
parte alla vita degli uomini, sopprime la causa del male per ricon-
durci alla salvezza.>>43 • E più avanti: <<Poiché eravamo malati per aver
abbandonato la vita sana che conducevamo in paradiso, [ .. .] il vero
medico è venuto, scacciando il male con i suoi contrari, conforme-
mente a ciò che prescrive l'arte medica.>>44 • San Giovanni Damasceno
intitola un capitolo de J; esposizione esatta della fede ortodossa, ove
ricorda l'incarnazione salvatrice del Cristo: <<Economia e terapia divi-
ne in vista della nostra salvezza.>>45 ; ivi scrive in particolare: «Il Cristo
si fa obbediente al Padre, guarendo la nostra disobbedienza>>. E mol-
ti Padri ricordano la profezia di Isaia riguardante il Cristo: <<Egli portò
le nostre infermità, e si addossò i nostri dolori» (Is 53,4).
Il peccato dell'uomo e le sue conseguenze appaiono come una
malattia, ma anche, l'abbiamo visto, una follia multiforme. Non sor-
.prende, allora, che il Cristo sia considerato come Colui che è venuto
per «riformare l'uomo smembrato [. .. ] e ricordare alla creatura la
deviazione del suo spirito»46 • Origene scrive senza mezzi termini: «Il
genere umano, colpito dalla follia, doveva essere guarito attraverso i
mezzi che il Logos riteneva utili per ricondurre i folli al buon senso»47 •
Clemente d'Alessandria può così invitare «còlui che sragiona (para-
noounta) alla salvezza che rende sani di spirito (sophronousan)»48 •
Come abbiamo già fatto notare, il nome stesso di Gesù lfeshua) si-
gnifica <<Jhwh salva>> (cfr. Mt 1,21; At4,l2). Il verbo ebraicojasha, che
significa «salva>>, ha come corrispondente greco il verbo scfzein, usa-
to frequentemente nel Nuovo Testamento, che significa non solo <<li-
berare» o «trarre da un pericolo», ma anche <<guarire»; parimenti, il
termine soterfa (salvezza) indica non solo la liberazione, ma anche la
guarigione49 • Possiamo stabilire il parallelo Iesous-icfomai. Ecco perché
san Cirillo di Gerusalemme fa notare: «Gesù secondo gli ebrei è ugua-
le a Salvatore, ma secondo la lingua greca, è uguale a medico»50 • Per
49 Cfr. X.L. DUFOUR, Dictionnaire du Nouveau Testament, Paris 1975, pp. 485-486. P. Ev-
DOKIMOV, Les dges de la vie spirituel, Paris 1969, pp. 169-170. L HAUSHERR, Etudes de spiritua-
lité orientale, Roma 1964, pp. 317-318. Abbiamo già evidenziato che questo duplice significato
lo troviamo in copto e nella lingua italiana, in cui «la salute>> è riferita sia alla salute spirituale
che a quella fisica.
5°Catechesi battesimale, X, 13.
275
questo motivo, egli aggiunge: «Egli è chiamato "Gesù" proprio a pro-
posito: questo appellativo gli appartiene, perché egli salva guarendo>Y1•
Abbiamo già sottolineato che il Cristo presenta se stesso, molto diret-
tamente, come medico (cfr. Mt 8,16-17; 9,12; Mc2,17; Lc4,18.23; 7,31),
ed è come tale che spesso i profeti lo annunciano (cfr. Is 53,5; Sa!
103 [102],3) e che gli evangelisti lo caratterizzano (cfr. Mt 8,1.6-7). Se-
condo Origene, la stessa parabola evangelica del buon samaritano può
essere considerata come una rappresentazione del Cristo-Medico52 • Ri-
cordiamo, infine, che molti suoi contemporanei durante la sua vita ter-
rena sono andati da lui come da un medico53 •
La Chiesa ortodossa ha integrato questo modo di considerare il Cri-
sto e questa concezione medica della salvezza che egli porta, nell'in-
sieme dei suoi riti sacramentali54 e dei servizi liturgici55 • Al centro stes-
so della divina liturgia di san Giovanni Crisostomo, il Cristo è invo-
cato come «Medico delle nostre anime e dei nostri corpi».
Proprio per il fatto che egli è Dio e uomo, che unisce nella sua uni-
ca persona divina le due nature, divina e umana, il Cristo, Verbo in-
carnato, può operare questa guarigione della natura umana malata dal
peccato e dalle sue funeste conseguenze.
La guarigione dell'uomo decaduto comportava che il Signore si fa-
cesse uomo, e assumesse veramente la natura umana. È in questo sen-
so che san Massimo scrive: «Occorreva - e occorreva veramente - che
il Signore che è sapiente, giusto e potente per natura, nella sua sapienza,
non ignorasse il modo della guarigione»56 ; e più avanti precisa: <<ll
Signore ha manifestato la ragione della sapienza nel modo della gua-
51 Ibid 4
51 Cfr. ·O~GENE, Omelie su san Luca, XXXIV; Commento a san Giovanni, XX, 28.
5' Su questo aspetto, vedi A. lIARNACK, «Medizinisches aus der altesten Kirchengeschichte>>,
Texte und Untersuchungen, VIII, 4, Leipzig, 1892, pp. 125ss.
54 Possiamo trovare i testi di questi rituali in E. MERCENIER, La prière des Églises de rite by.
zantin, t. I, Chevetogne 1937.
55 Citiamo solamente qualche esempio tratto dai Vespri e dai Mattutini della Domenica: «Per
la colpa del nostro primo padre, Signore, siamo stati gravemente feriti; ma per le piaghe da cui
per noi tu fosti ferito, o Cristo, noi siamo guariti>> (Canone del 1° Tono del Mattutino); «Tu gua,
risci il morso dato di buon grado con la tua passione subita volontariamente>> (Canone del 2°
Tono del Mattutino); «Tutti siamo guariti per le tue ferite>> (Stichi del 3° Tono dei Vespri); «Nel
seno della Vergine, o Maestro, tu hai guarito la nostra natura malata; o Verbo, tu l'hai unita al-
la tua divinità immacolata, l'unico rimedio efficace>> (Canone del 3° Tono del Mattutino); «Si-
gnore, tu hai guarito l'umanità dalla sua miseria, rinnovandola per mezzo del tuo sangue divi-
no» (Canone del 4° Tono del Mattutino); <<Quando sei salito sulla croce, tu mi hai guarito dal-
le passioni, per la passione della tua carne immacolata, rivestita volontariamente>> (ibid.).
56 Questioni a Talassio, 61, PG 90, 629C.
276
rigione, divenendo l.).Omo senza cambiamenti e senza trasformazioni
cli alcun tipo>>57 •
Se egli è solo Dio, senza essere nello stesso tempo anche uomo, al-
lora, afferma san Cirillo di Gerusalemme, «egli non ha assunto l'u-
manità e noi restiamo estranei alla salvezza>>58 , perché, come afferma
san Gregorio Nazianzeno, «ciò che non è assunto non è guarito (tò gàr
apr6slepton, athertipeuton)»59 , formula che riprende parola per paro-
la san Giovanni Damasceno60, il quale afferma: «egli ha assunto tutto
affinché tutto fosse guarito»61 • Il Cristo, infatti, guarisce <<il simile con
il simile>>, cioè guarisce l'uomo facendosi uomo, rivestendo la natura
umana nella sua integralità. «L'infermità della nostra natura[. ..] non
potendo essere più grande, aveva bisogno del rimedio più grande. Ora
questo rimedio consisteva nel fatto che il Creatore divenisse uguale a
noi, sue creature, che Dio divenisse uomo come noi», scrive san So-
fronio di Gerusalemme62 • Il Cristo, osserva san Giovanni Damasceno,
ci «guarisce» «con ciò che egli ha ricevuto da noi e come noi»63 • Lo
stesso santo tra l'altro precisa64 : «Tutta l'essenza divina si è unita com-
pletamente a tutta la natura umana; infatti, di ciò che egli ha deposi-
tato nella nostra natura, il Dio Verbo, che all'inizio ci ha modellati,
non ha evitato nulla, ma ha preso tutto, il corpo, l'anima, lo spirito, la
ragione, e le loro peculiarità [. ..];egli mi ha assunto totalmente e si è
totalmente unito a me per donarmi una salvezza totale, perché non
può guarire quello che non ha assunto». «Egli ha assunto tutto affin-
ché tutto fosse guarito», ripete più avanti65 •
Il Cristo diviene, dunque, «per tutti tutto ciò che noi siamo: corpo,
anima, spirito»66, ed egli assume tutto quello che costituisce la nostra
natura umana.
Il Cristo, nato verginalmente e, pertanto, esente dagli effetti del pec-
cato ancestrale, ha assunto la natura umana nello stato in cui Dio l' a-
veva creata, tale e quale Adamo la possedeva all'origine: una natura ten-
dente verso il bene ed esente da ogni tendenza al peccato, ma anche
57 Ibid.
58 Catechesi battesimali, XII, 1.
59 Let~ere teologiche, I, 32.
60 Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 18.
61 Ibid., 20.
62 Omelie su Giovanni Battista, PG 84, 3822B.
63 Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 1.
"'Ibid., 6.
65 Ibid., 20.
66 GREGORIO NAZIANZENO, Lettere teologiche, I, 32.
277
impassibile, incorruttibile e imriiortale67 • È così che san Gregorio Na-
zianzeno esclama nella festa della Natività, per la quale" la Chiesa cele-
bra l'Incarnazione del Cristo: «Quante feste per celebrare i misteri cri-
stiani! Ma di tutte queste, la più importante è quella di oggi: essa è il
mio compimento, il mio ritorno allo stato originale, all'antico Adamo»68•
La natura umana assunta dal Verbo era per sopraggiunta perfetta e
deificata da parte della sua unione ipostatica alla natura divina, poi-
ché le energie della natura divina la penetravano completamente69 , la-
sciando tuttavia sussistere intatte le sue proprietà naturali. San Gre-
gorio Nazianzeno, san Massimo e san Giovanni Damasceno ricorda-
no la pericoresi che si compie nella persona del Cristo tra le sue due
nature70 , che sono distinte ma non separate, unite sebbene non con-
fuse. «Se diciamo, spiega san Giovanni Damasceno, che le due natu-
re del Cristo si compenetrano l'un l'altra, sappiamo tuttavia che que-
sta pericoresi è venuta dalla natura divina; difatti questa si diffonde e
penetra dovunque come vuole [ ... ] . Essa trasmette alla carne la proc
pria gloria, rimanendo essa stessa impassibile»71 • Nell'unione ipostati-
ca tra la natura divina e quella umana, ossia nell'unire questa a quel~
la nella persona del Verbo, il Cristo, attraverso la sua incarnazione, ha
rovesciato la prima delle tre barriere che separavano l'uomo da Dio:
la natura, il peccato, la morte72 • Egli restituisce alla natura umana la
capacità di ricevere in sé la grazia divina increata dalla quale il pec-
cato ancestrale laveva tenuta lontana.
dio: La divinitation de l'homme selon sainte Maxime le Confesseur, Paris 1996, pp. 318-319).
278
in questo senso egli diviene, come dice l'Apostolo, «peccato per noi>>
(2Cor 5,21), egli non assume il peccato stesso74 . «Egli è esente da col-
pa e da corruzione, spiega san Gregorio Nazianzeno, perché in realtà
egli guarisce le passioni e le sozzure che ci vengono dal peccato. Ma,
se egli ha preso su di sé le nostre colpe e ha fatto sue le nostre malat-
tie, non ha subito il danno al quale bisogna porre rimedio; difatti, se
egli è stato tentato in tutte le cose per essere simile a noi, egli non ha
affatto commesso il peccato»75 .
Il Cristo assume, così, le passioni umane, ma senza la tendenza al
peccato76• In altri termini, egli assume «le passioni naturali e irre-
prensibili>>77, ma non le passioni cattive78.
Egli ha altresì assunto volontariamente la fame, la sete, la fatica, il
timore, la paura, le lacrime, il dolore, la sofferenza fin nella forma più
atto.ce e, infine, la morte, o per meglio dire, tutte le imperfezioni e i li-
miti provenienti dal peccato, per poterci liberare da essi, da tutte le
malattie, dalle dobolezze e dalle infermità della nostra natura, e po-
terci così guarire. A questo proposito osserva san Macario: «Ha dato
egli stesso i rimedi che guariscono e ha curato coloro che erano feriti
come se fosse egli stesso tino di loro»79 • E sant'Antonio precisa: «A
causa della nostra follia, egli ha assunto la livrea della follia; a causa
della nostra debolezza, egli ha assunto la livrea della debolezza; a cau-
sa della nostra indigenza, egli ha assunto la livrea dell'indigenza; a cau-
sa della morte ormai nostra, egli ha assunto la livrea di un comune
mortale>>80 • La formula dei Padri, già citata prima, secondo cui ciò che
non è assunto non è guarito, si applica non solo alla natura umana as-
sunta in unione ipostatica dal Cristo totalmente, in corpo, anima e spi-
rito, ma anche a· questa natura nel suo modo di esistenza decaduta che
il Cristo, per questo motivo, si è ugualmente degnato di rivestire.
279
ogni peccato, egli non lo subisce e non offre in se stesso alcun acces-
so al male81 , perché in tutte le tentazioni· e le prove alle quali egli si sot-
tomette volontariamente, conserva tutte le facoltà umane immutabil-
mente orientate verso il bene, la sua volontà umana immutabilmente
sottomessa alla volontà divina. San Cirillo d'Alessandria scrive a que-
sto riguardo: <<l.:anima divenuta quella del Verbo, che ignora la colpa,
possiede ormai a pieno titolo una stabilità immutabile in ogni sorta di
bene; essa è incomparabilmente più forte del peccato, fino ad allora
nostro tiranno»82 • E aggiunge: «Appropriandosi dell'anima umana, egli
l'ha fatta trionfare sul peccato, come impregnandola di una tintura,
della stabilità e dell'immutabilità della propria natura»83 •
I Padri insistono particolarmente sul fatto che il Cristo ha conser-
vato la sua volontà umana costantemente conforme alla sua volontà
divina. In altri termini, poiché la sua volontà divina è anche quella del
Padre che lo ha inviato, egli si è mostrato nella sua umanità costante-
mente e in tutto obbediente al Padre. È per ciò stesso che egli ha gua-
rito la nostra natura: perché è nella disobbedienza di Adamo a Dio che
è consistito il peccato originale, è alla separazione della volontà uma-
na dalla volontà divina che sono dovute le funeste conseguenze, è da
questa deviazione originale che la natura umana è stata distolta dalla
sua finalità naturale e ha condotto un'esistenza anormale per la qua-
le è stata privata della grazia e della vera vita. Come la disobbedienza
di Adamo ha separato l'uomo da Dio, così la perfetta obbedienza
del Cristo al Padre ha riconciliato l'uomo con Dio, ha ricostruito la
sua natura corrotta, ha completamente riunito l'uomo a Dio. «Come
uomo [il Cristo] ha sottomesso se stesso, in se stesso e per suo mezzo,
l'umano a Dio Padre>>, scrive san Giovanni Damasceno84 • E san Gre-
gorio di Nissa ricorda in questi termini la guarigione della nostra na-
tura compiuta così dal Verbo incarnato: «La salute dell'anima sta nel
fatto che la volontà divina trova una strada facile in noi; mentre, al con-
trario, cadere fuori da questa buona volontà è la malattia che condu-
ce l'anima alla morte. Poiché, dunque, noi siamo malati, per aver ab-
bandonato la vita sana che conducevamo in paradiso, poiché il vele-
no della disobbedienza ci aveva riempiti fino ali' orlo e poiché per esso
la nostra natura era in preda a questa malattia perniciosa e mortale,
280
il vero medico è venuto, scacciando il male con i ·suoi contrari, se-
. condo la legge della medicina: gli uomini oppressi dall'infermità, per-
ché si erano separati dalla volontà divina, eccoli di nuovo liberati da
ogni male, attraverso l'adesione ai desideri di Dio»85 • San Giovanni
Damasceno afferma la stessa cosa in simili termini: «[Il Cristo] si fa
obbediente al Padre, guarendo la nostra disobbedienza»86 • A sua
volta, san Cirillo d'Alessandria così scrive: «Come in Adamo la natu-
ra umana cadde malata di corruzione a causa della disobbedienza[ ...],
così in Cristo essa ha ritrovato la salute; è infatti divenuta obbedien-
t~ a Dio e Padre e non conobbe il peccato»87 •
prière des Églises de rite byzantin, t. Il, 1, Chevetogne 1953, pp. 262-304.
89 Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 20.
90 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 21.
91 Ibid.
92 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 61, 629C.
281
Cristo, guarendo l'uomo dalle sue passioni, gli fa recuperare l'uso nor-
male delle sue facoltà, dà loro, in altre parole, la possibilità di orien-
tarle verso Dio. Per questo così scrive san Massimo: «Colui che ha crea-
to l'uomo [. ..] si fa egli stesso passione, per guarire le nostre passioni
con la sua passione. Cancellando nella carne le nostre passioni al di là
di ogni misura, nel suo amore per l'uomo rinnova nello Spirito le no-
stre facoltà»96 •
Tra tutti gli atti salvifici del Verbo incarnato, la sua passione, mor-
te e risurrezione occupano un posto centrale. È attraverso di essi, in-
fatti, che egli rovescia le due barriere restanti - quella del peccato e
quella della morte97 - , e che ci riconcilia totalmente con Dio (dr. Rm
5,10; 2Cor 5,18), restituendoci così una salute piena; quella della no-
stra natura originale, conferendoci l'incorruttibilità e l'immortalità.
«Tutto ciò», scrive san Gregorio Nazianzeno nel ricordare la passio-
ne, morte e risurrezione del Cristo, «era per Dio un mezzo per [...]
guarire la nostra debolezza ristabilendo il vecchio Adamo nello stato
dal quale era caduto e nel condurlo presso l'albero della vita»98 •
Il mistero della redenzione rimane fondamentalmente incompren-
sibile all'uomo. Nessuna spiegazione può decifrarlo adeguatamente.
La morte del Cristo sulla croce, in particolare, appariva, secondo le
parole di san Massimo, come un «giudizio di ogni giudizio»99 • Così,
questo mistero deve, secondo la raccomandazione di san Gregorio Na-
zianzeno, «essere venerato con rispetto nel silenzio»100 • È, dunque, in
un atteggiamento apofatico che i Padri hanno l'abitudine di affron-
tarlo, ricorrendo a immagini di cui occorre sempre misurare il carat-
tere relativo e inadeguato.
Notiamo, tuttavia, che la prospettiva generalmente adottata dal cri-
stianesimo occidentale che comprende la redenzione in categorie es-
senzialmente etiche e giuridiche come «soddisfazione» o «remunera-
zione», e che vede nel sacrificio del Cristo un debito che il Figlio pa-
ga al Padre allo scopo di placare la sua collera o di «soddisfare» la sua
giustizia, è generalmente rimasta estranea alla visione dei Padri orien-
tali e alla tradizione della Chiesa ortodossa. «Non è evidente>>, si chie-
de san Gregorio N azianzeno che rifiuta una tale concezione della re-
denzione, «che il Padre accetti il sacrificio non perché lo esiga o ne
282
senta qualche bisogno, ma per economia? Occorreva che l'umanità
fosse santificata da un Dio che avesse assunto la natura umana; oc-
correva che egli stesso ci liberasse trionfando con la propria forza sul
tiranno, che egli ci richiamasse a lui per mezzo del suo Figlio che è il
Mediatore che compie tutto secondo la volontà del Padre al quale è
obbediente in tutto»101 • Non è, dunque, una «soddisfazione>> giuridi-
ca che il Cristo compie con la sua morte, bensì una restaurazione on-
tologica della natura umana che egli ha assunto. E se solo il Figlio di
Dio può riscattare l'uomo e se per questo deve morire nella sua car-
ne, ciò non è perché solo lui sarebbe in grado di pagare il debito del-
l'umanità peccatrice verso Dio e solo la sua morte sarebbe capace di
pagare questo debito, ma perché solo Dio era così potente da porre
rimedio ai mali del genere umano. Questo sarebbe avvenuto solo as-
sumendo la morte ed essendo <<il solo che possiede l'immortalità» (lTm
6,16) poteva liberare l'uomo dalla morte: ciò che non era assunto non
poteva essere guarito, come sottolineano frequentemente i Padri.
Come la corruzione appariva alla maggior parte dei Padri una ma-
lattia contratta dall'uomo in seguito al suo peccato e una conseguen-
za <<naturale» e inevitabile di questo piuttosto che una punizione in-
flitta da Dio, così la redenzione operata dal Cristo è da essi compre-
sa come l'assunzione volontaria del Verbo fatto carne del destino
comune dell'umanità sofferente e mortale al fine di distruggervi, per
la potenza della sua divinità, le conseguenze del peccato, le malattie
spirituali, la corruzione e la morte e ridare, così, all'uomo una vita nuo-
va in cui la sua natura avrebbe ritrovato in pieno la salute. Non sor-
prende, così, veder ricordate in termini di terapia la passione è la mor-
te salvifica del Cristo, e in termini di guarigione i loro benefici effetti
sul genere umano. La croce del Cristo, scrive sant' Atanasio, «è stata
per la natura la guarigione» 102 • «Le sue piaghe furono la nostra guari-
gione>>, ribatte, da parte sua, in varie riprese, sant' Antonio l'Eremita103 ,
riprendendo questa profezia di Isaia: «Per le sue piaghe noi siamo sta-
ti guariti>> (Is 53,5). Origene si esprime in termini simili: «Per mezzo
della sua morte, egli ci purifica tutti, morte che ci è stata data come ri-
medio (phdrmakon) contro le azioni avverse e il peccato»104 • E la Chie-
sa, nel Mattutino della festa dell'Esaltazione della Croce, celebra la
101 Ibid.
102 Contro i paga?Ji, 1.
103 Lettere, II, 2; ID, 2; rv, 2; V, 2 («per le sue piaghe, tutti noi siamo stati guariti>>); V bis;
V,3.
104 Commento a san Giovanni, I, 37.
283
Croce per mezzo della quale gli uomini «ricevono la guarigione del-
!'anima e del corpo e di ogni malattia.>> 105 •
Nell'assumere volontariamente la morte, che è principio e conse-
guenza del peccato, il Cristo, che è allo stesso tempo corruttibile e mor-
tale nella nostra umanità, incorruttibile, immortale e padrone della
morte e della vita nella sua divinità, distrugge per tutti gli uomini la
corruzione, la morte, il peccatq e le sue conseguenze.
Avendo nella sua umanitàiassunto volontariamente la morte, il
Salvatore, che era Dio, non ha lasciato alcun appiglio alla morte.
Quando il corpo del Salvatore fu deposto nel sepolcro, egli era cor-
ruttibile, perché il Cristo aveva assunto la corruttibilità; in quanto,
però, corpo del Verbo incarnato, l'ipostasi divina del Verbo non era
separata da lui ma gli rimaneva unita106 , e quindi rimase inaccessibile
alla corruzione.
Quando l'anima del Salvatore nello stesso tempo in cui soggiorna-
va negli inferi, poiché rimaneva ipostaticamente unita al Verbo divi-
no107, non lasciava alcun appiglio alle potenze che cercavano di im-
padronirsene.
Presentandosi alla morte, alla corruzione e alle potenze infernali co-
me un semplice mortale, egli le distrusse come Dio.
Ricorrendo al simbolismo, nell'impossibilità in cui è l'uomo di spie-
gare razionalmente questa vittoria del Cristo, i Padri dicono spesso
che la morte, la corruzione e il diavolo sono stati presi in trappola. A
tale riguardo così scrive san Giovanni Damasceno: «La morte avanza,
inghiotte l'esca del corpo e si ferisce all'amo della divinità, che non ha
peccato affatto e avendo gustato il corpo che dona la vita, essa si
corrompe e vomita tutto quello che aveva un tempo inghiottito. Le te-
nebre si cancellano quando giunge la luce, così scompare la corru-
zione sotto l'attacco della vita.>>108 • San Massimo mostra come già quan-
do il Cristo è stato tentato nel deserto, ha fatto impigliare il diavolo
nelle proprie macchinazioni, presentandosi a lui come un semplice uo-
mo, ma sventando i suoi attacchi, utilizza la stessa im.i:nagine che userà
san Giovanni Damasceno per mostrare come egli ha vinto nella mor-
te le potenze del male109 • Ed egli dimostra come per questo il Cristo
rovescia il processo della caduta: «Così colui che prima aveva sedotto
284
l'uomo facendogli sperare la divinizzazione e lo aveva inghiottito, fu a
sua volta adescato dalla stessa carne dell'uomo e dovette vomitare ciò
che aveva inghiottito. La potenza divina si manifestò così con fulgore:
essa trionfò con la forza del vincitore servendosi come arma della
debolezza della natura vinta. Ormai è Dio che prevale con la sua na-
tura umana, e non il diavolo con la promessa della natura divina fat-
ta all'uomo» 110 •
Nella morte del Cristo muore definitivamente il vecchio uomo, l' an-
tico Adamo, muore la forma decaduta e malata dell'umanità che su-
bisce la tirannia del diavolo, del peccato e della morte. «Il nostro uo-
mo vecchio fu crocifisso insieme con Cristo affinché fosse annullata la
forza del corpo del peccato» (Rm 6,6). Una volta per tutte e per tut-
ti, egli ha annullato il peccato con il suo sacrificio (cfr. Eb 9,26). <<Per
distruggere con la morte colui che ha il potere sulla morte, cioè il dia-
volo» (Eb 2,14), e <<per liberare quelli che erano asserviti per tutta la
vita al timore della morte» (Eb 2,15). Per questo così scrive sant'Ata-
nasio: «Nello stesso essere s'incontrano due prodigi: la morte di tutti
si compie nel corpo del Signore, e, dall'altra parte, la morte e la cor-
ruzione sono distrutte dal Verbo che abita in questo corpo» 111 •
110 Ibid.
111 Sull'Incarnazione del Verbo, 20.
112 Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, ill, 28.
285
tura è nata nel Cristo»113 • Nel Cristo risuscitato, l'uomo è tornato alla
vita e «ora invece .egli vive, e vive per Dio» (Rm 6,10).
286
. La salvezza che il Cristo ha compiuto, si estende a tutti gli uomirti
di tutti i tempi. «Il Cristo si è manifestato col sacrificio di se stesso per
l'annullamento del peccato» (Eb 9;2.6); egli ha «trovato un riscatto eter-
no» (Eb 9,12); «siamo stati santificati mediante l'offerta del corpo di
Gesù Cristo una volta per sempre» (Eb 10,10). Come Adamo aveva
reso malata l'intera natura umana, così il Cristo, nuovo Adamo, ha gua-
rito, salvato e deificato interamente la natura umana per tutti i tempi.
Tuttavia, la sua azione terapeutica non si applica solo alla natura che
egli ricapitola in sé. Questa si applica anche a ogni persona che si ri-
volge a lui: «Il Figlio di Dio che vive e agisce è ogni giorno occupato
nell'operare la salvezza di tutti>>, nota sant' Atanasio d' Alessandria118 •
Egli compie tale salvezza nel rendere ciascuno personalmente parte-
cipe di questa guarigione dell'intera natura che egli ha compiuto, mo-
strandosi attento alle malattie di ciascuno, concedendo la sua grazia a
ogni persona secondo i suoi bisogni particolari e secondo il deside-
rio che essa manifesta di ottenere le sue cure. Nicola Cabasilas scrive
a questò proposito: <<Il Cristo è il Mediatore attraverso il quale ci so-
no venuti tutti i beni che ci sono stati donati o, piuttosto, che ci ven-
gono donati da Dio incessantemente. Difatti egli non si è acconten-
tato di adempiere una volta per tutte al suo ruolo di Mediatore do-
nandoci tutti i beni in vista dei quali egli adempiva tale ruolo,. e di
ritirarsi iri seguito: no, egli interviene incessantemente, e non a paro-
le o con richieste come fanno gli ambasciatori, ma con azioni. Cos'è
questa azione? Quella di unirci a lui e, attraverso la sua persona, ren-
derci partecipi delle grazie che gli sono proprie, secoµdo il merito di
ognuno e secondo il grado della sua purificazione»119 • Sottolineando
quest'azione attuale del Cristo medico, san Giovanni Carpazio scrive:
<<ll grande medico di coloro che soffrono è vicino. Egli ha preso su
di sé i nostri mali. Ci ha guariti, e ci ha guariti con le sue piaghe. Egli
è all'opera, egli applica ora i salutari rimedi>>120 • Quanto a san Massi-
mo, egli dimostra che il medico celeste dà a ciascuno il rimedio ap-
propriato. «Come i medici che curano i corpi non dànno a tutti lo stes-
so e unico rimedio, così Dio che guarisce le malattie delle anime non
conosce un solo trattamento vantaggioso per tutti. Ma solo dando a
ogni anima ciò che le è necessario egli compie le guarigioni. Dun-
que, noi che siamo curati così, rendiamo grazie»121 •
287
Il Cristo, quindi, è considerato medico non solo della natura uma-
na in generale nell'ambito della teologia della redenzione dell'intera
umanità, ma è anche celebrato e invocato come tale da/per ogni per-
sona desiderosa di ottenere da lui la guarigione dei suoi mali partico-
lari o di quelli del suo prossimo, così come attestano molti testi pa-
tristici122 e liturgici. Egli qui è generalmente chiamato <<medico eccel-
122 CTr. CLEMENTE DI ROMA, Lettera ai Corinv, 59, 4. IGNAZIO D'ANTIOCHIA, Lettera agli Efe-
sini, VII, 2. GIUSTINO, Apologia seconda, 13; Lettera a Diogneto, IX, 6. IRENEO DI LIONE, Con-
tro le eresie, III, 5, 2. TEOFILO o'ANTIOCHIA, Ad Autolico, I, 7 («Se ru vuoi, puoi guarire; rimettiti
nelle mani del medico, egli opererà gli occhi della rua anima e del tuo cuore. Chi è il medico?
È Dio che guarisce e vivifica attraverso il Verbo e la Sapienza>>). _CLEMENTE o'ALEsSANDRIA, Il
Pedagogo, I, 1, 2 (<<ll Verbo guarisce le nostre passioni»); 1, 4 («E come guaritore [. ..] che egli
promette la guarigione delle passioni che sono in noi>>); 3, 1-2; 3, 3 («Così come per i malati
del corpo si ha bisogno di un medico, per coloro la cui anima è debole, occorre un Pedagogo
affinché esso guarisca le nostre passioni>>; 6, 1 («Ecco il Verbo, nostro Pedagogo, che [. ..] rura
le passioni contro natura della nostra anima. In senso proprio, si chiama medicina la cura delle
malattie del corpo; è un'arte che viene insegnata dalla sapienza umana. Ma il Verbo del Padre
è l'unico medico delle infermità morali dell'uomo; egli è il guaritore [... ] che liberal' anima ma-
lata>>); 6, 2 (<<La medicina [secondo Democrito] cura le malattie del corpo, ma è la sapienza che
libera I'anima dalle sue passioni Il nostro buon Pedagogo, proprio lui, che è la Sapienza e il Ver-
bo del Padre, e che ha creato l'uomo, si prende cura della sua creatura interamente presa: ne cu-
ra sia il corpo che l'anima, egli, il medico dell'umanità, è capace di guarire rutto»); 6, 4 (<<Egli
guarisce I'anima in se stessa, con i suoi precetti e le sue grazie>>); 51, 1 (<<ll Verbo, che si mesco-
la inrimamente all'amore dell'uomo, guarisce le passioni allo stesso tempo che purifica dai pec-
cati>>); 83, 2 («Noi che in questa vita siamo malati [...],abbiamo bisogno del Salvatore. Ci ap-
plica dolci rimedi, ma anche rimedi amari>>); 83, 3; 88, 1; 100, 1 (<<ll Verbo è stato chiamato Sal-
vatore, egli che ha inventato per gli uomini questi rimedi spirituali [. ..]; ordina çiò da cui occorre
astenersi e porta ai malati rutti gli antidoti salutari»); 100, 2; III, 70, l; 98, 2 (<<E lui che guarisce
i nostri corpi e le nostre anime, tutto l'uomo»); Protreptico, I, 8, 2; X, 91, 3; Quale ricco può es-
sere salvato?, 29, 3; Stromati, I, 27. TERTULLIANO, Scorpiace (=medicina contro il morso dello
scorpione), 5; Contro Marciane, III, 17. ORIGENE, Contra Celso, III, 61; Omelie sul Levitico, VIII,
l; Omelie su Geremia, XVIII, 5; Omelie su Ezechiele, I, 2; Omelie su Samuele, XXVIII, 6; Ome-
lie su Numeri, XXVII, 12 («Quale Signore? Colui che guarisce tutte le malattie [. ..].Infatti vi
sono molte malattie nell'anima[...]. Quando, Signore Gesù, mi curerai per tutte queste malat-
tie? Quando mi guarirai affinché io dica: "Benedici, anima mia, il Signore che guarisce tutte le
malattie" [Sal 102,3]»); Omelie su san Luca, XIII, 2-3. ANTONIO LEREMITA, Lettere, Il, 2; !Il, 2;
N, 2; V, 2; V bis; VI, 2-3. A:rANASJ.0 o'ALEssANDRIA, Sull'Incamavone del Verbo, 18; 44; Discorso
contro i pagani, 1. METODIO D'OLIMPO, Sulla risurrroone dei corpi, 42. BASlLlO DI CESAREA, Let-
tere, XLVI, 6 («Il grande medico delle anime è pronto a guarire il tuo male», ecc;); Omelie
contro i ricchi, VII, 1 (<<ll grande medico delle anime vuole rendere l'uomo perfetto»). CIRJLW
DI GERUSALEMME, Catechesi battesimali, II, 6 (<<Le rue ferite non superano I'arte del medico. Do-
na solamente te stesso con fede, di' il tuo male al medico»); X, 5; XII, 1, 6-8. MACARIO D'E-
GTITO, Capitoli para/rasati, 72 («Se il Cristo venuto tra noi curava e guariva i ciechi, i paralitici
e i sordi [.. .], quanto più curerà lanima immortale che fu presa dalla malattia della malvagità e
dell'ignoranza>>); 100 (l'anima povera in spirito «cerca il solo buon medico e non si affida ad
altri che alle sue cure [...]. Il Signore viene a curarla, a guarirla, e la ristabilisce in una bellezza
impassibile e incorrutribile»); Omelie (Coli. Il), N, 25 («Come, durante la sua permanenza
sulla terra, nella sua dolce bontà, concedeva con liberalità, da buon e unico medico, ciò che
essi desideravano a rutti coloro che venivano a lui e gli chiedevano soccorso e guarigione, così
egli agisce anche nel campo spiriruale>>); 27 (<<Egli è venuto a causa dei peccatori, [. ..] affinché
essi siano guariti nel credere in lui [...]. Egli è misericordioso, vivificante, guaritore di passioni
incurabili>>); XV, 30 («il Cristo si porta accanto all'uomo malato [e] lo guarisce>>), 47; XXVI, 23
(<<Egli è chiamato medico, perché dona il rimedio celeste e divino e guarisce le passioni dell' a-
288
lente>>, «il più grande dei medici>>, <<il più abile dei medici>>, «il vero
medico», <<il solo medico», <<il principe dei medici>>, ecc., perché egli
è capace di guarire tutto: sia le malattie dell'anima che quelle del
corpo, fondamentalmente - cioè nelle loro stesse cause più profonde
e non solo nei sintomi -, e definitivamente. Difatti nessuna malattia
resiste alla sua terapia, il cui valore è assoluto, contrariamente a tutte
le terapie umane dagli effetti sempre incerti, parziali e provvisori e che,
soprattutto, si dimostrano incapaci di curare l'uomo totale e spiri-
tuale. Così, ogni uomo che dispera della medicina umana o che non
ha trovatO rm medico capace di liberarlo dai suoi mali, può essere si-
curo di trovare nel Cristo la guarigione da ogni malattia che lo colpi-
nima>>); 25; 26; XXX, 9 (<<Vero medico, il solo capace di guarire le nostre anime>>); XLIV, 4;
XLVI, 2; Omelie (Coli. ill), VII, 7, 2 (<<ll vero medico, il Cristo»); XXIV, 3; :XXV, 3, 2-3; XXVII,
2,4 (<<il Signore[.. .] vero medica>>). GREGORIO NAZIANZENO, Discorsi, II, 25; VITI, 18; XIV, 37;
XXXVIII, 13; XLV, 9; 13; 26: GREGORIO DI NISSA, Contro Eunomio, 3, PG 45, 612C; Omelie
sul Padre nostro, IV, 2 («Il vero medico delle malattie dell'anima>>). EVAGRIO PONTICO, Lettere,
42; Apoftegmi, Aro 180, 12; XVI, 18. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, VII, 30; XIX, 12 (<<A co-
loro che cercano sinceramente il rimedio, la guarigione non mancherà di venire da parte del ve-
io medico delle anime>>, ecc.); Istituzioni cenobitiche, XII, 8. GIOVANNI CRISOSTOMO, Sulla ver-
ginità, 17 (Egli agisce «come il saggio medico che diversifica le sue prescrizioni secondo lo sta-
to del suo malato»); Omelia sul testo: «La porta è str.etta ...», 2; Omelie sulla penitenza, IV, 4
(«Correte dal medico delle anime>>); 7; 6; Commento al Salmo 6, 3; Esortazioni a Teodoro, I, 4;
Omelie sulla Genesi, I, 1 («Il medico divino delle nostre anime>>); XXX, 6 (<<ll medico delle ani-
me>>); Omelie sui demoni, I, 5 («Dio è il vero medico, l'unico medico del corpo e dell'anima>>);
6; Commento a san Matteo, XIIl, 1 (<<Comeun medico saggio»); XXVIII, 4 (<<Questo divino me-
dic0>>); XXIX, 2. MARCO L'EREMITA, Sulla penitenza, 6 («Medico delle nostre anime>>); Contro-
versia con un avvocato, 20. TEODORETO DI CIRO, Storia dei monaci della Siria, :xrv, 3; Discorso
sulla Provvidenza, X, PG 83, 749C; Terapia delle malattie elleniche, V, 4. DIADOCO DI FOTICEA,
Cento capitoli gnostici, 53. BARSANUFIO, Lettere, 59 («Coloro che si avvicinano al nostro gran-
de medico sono illuminati da lui ed egli li guarisce da tutte le loro malattie spirituali>>); 61; 62;
107; 109; 199 («Gesù è medico delle anime e dei corpi>>); 532 (<<ll grande medico che porta le
nostre malattie»; <<il grande medico spirituale e celeste che guarisce sia le anime che il corpo»);
553. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 170; 212; 463; 464; 617 (<<ll maestro e medico delle anime, Ge-
sù il Signore>>). DOROTEO DI GKZA, Istruzioni spirituali, 1, 3; 4; 7; Xl, 113. GIOVANNI CARPA-
ZIO, Discorso ascetico («il grande medico di coloro che soffrono»). GIOVANNI Mosco, Il prato
spirituale, 144 («Il grande medico delle anime, il Cristo nostro Dio, è vicino, ed egli vuole gua-
rirci>>). lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 5; 25 (<<Egli viene in nostro soccorso come un medico
che opera nel momento della malattia grave e ristabilisce la salute»); 48 («Gloria al Maestro che
con aspri rimedi ci ha dato le delizie della salute>>). MASsIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla ca-
rità, II, 39 («Come un medico buono e caritatevole, [Dio] applica a ciascuno [.. .]il trattamen-
to più conveniente>>); 44 («Il medico delle anime, con i suoi decreti, ha adattato il rimedio a
cio che, nell'anima, è la radice delle passioni>>); ill, 82. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esat-
ta della fede ortodossa, ill, 1. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, VII, 263-276 (<<Co-
perte le ferite, colpite da diverse malattie [ .. .],noi chiediamo a colui che è il medico delle anime
e dei corpi [...]; noi lo chiamiamo affinché egli venga a guarire il nostro cuore ferito e a dare la
salute alla nostra anima che giace sotto il giaciglio del peccato e della morte>>). NICETA STETA-
TOS, Centurie, II, 22 («il medico delle nostre anime>>); 23. ELIA EcDICO, Antologia gnomica,
33. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, II, 52; IV, 14; 88; VI, 101; 103. GREGORIO PALAMAS,
Triadi, II, 1, 40, 42 («Che essi credano al Cristo [. ..] come all'unico medico degli spiriti»).
289
sce, qualunque ne sia la natura e la gravità, e una salute la cui qualità
supera infinitamente quella che sarebbe possibile ottenere coi mezzi
umani. Commentando i versetti 3 e 4 del Salmo 6 in cui il profeta Da-·
vide invoca Dio come medico, dicendo: «Guariscimi, o Signore, poi-
ché inaridite sono le mie ossa. I.: anima mia è molto turbata», san Gio-
vanni Crisostomo stabilisce in tal senso un parallelo tra la medicina
umana e quella divina: «Spesso nelle malattie trattate dai medici il ma~
lato fa gran conto della medicina e dei rimedi senza ottenervi nulla,
perché la sua costituzione è debole, perché l'arte della medicina è di-
venuta impotente, perché i rii:nedi hanno perduto le loro virtù sotto
l'influsso di qualche congiuntura funesta. Non è così quando il me-
dico è Dio; per poco che siate con lui, la vostra piaga sarà guarita in-
fallibilmente. Difatti qui non si tratta di un artificio umano soggetto a
incertezza, ma di un'efficacia divina più forte delle costituzioni, delle
malattie, delle infermità morali e di tutte le imperfezioni. È per que-
sto che Davide si rivolge a Dio come a un medico» 123 • E san Macario
dice nello stesso senso: «Il Signore stesso, mostrando l'impotenza
dei medici di allora, ha detto: "Sono sicuro che mi citerete il prover-
bio: Medico, cura te stesso" (Le 4 ,23). Egli voleva dire: "Io non sono
come coloro che non possono guarire se stessi. Io sono il vero medi-
co[...]. Posso guarire ogni malattia e ogni debolezza dell'anima (cfr..
Mt 10,1). Io sono l'Agnello immacolato che è stato immolato una vol-
ta per tutte, e posso guarire tutti coloro che vengono a me". Infatti, la
vera guarigione dell'anima può essere operata solo dal Signore>>124•
Il Cristo, come medico misericordioso e compassionevole, vuole
elargire le sue cure a tutti gli uomini, senza escludere nessuno dalla
salvezza. Egli impiega tutti i suoi sforzi e dà prova della più grande pa-
zienza riguardo a questi, anche se lo rinnegano e lo insultano con pa-
role, pensieri e azioni. A coloro che sono vissuti fino ad allora nella
follia del peccato e sono malati di passioni, senza volgersi indietro, egli
concede il perdono e li cbiailla «alla salvezza che rende sani di spiri-
to»125. «Un medico, fa notare san Giovanni Crisostomo, non ha losco-
po di vendicarsi, ma quello di attrarci a lui. Un medico non si offen-
de né si emoziona per le ingiurie dei malati in delirio, e non tralascia
nulla per impedire che si avviliscano, considerando non il vantaggio
personale ma il loro: se essi recuperano un po' del loro buon senso e
290
la cahna, il suo cuore si riempie di soddisfazione e di gioia, egli rad-
doppia le cure e i rimedi; lungi dal trarre vendetta dalle loro ingiu-
rie, egli aggiunge benefici su benefici, fino a quando riesce a ridare lo-
ro la salute; Così Dio, quando cadiamo nell'ultima follia, non pensa di
vendicarsi per il passato, non dice nulla, non fa nulla che non tenda
a guarirci dalla nostra malattia.>>126 •
291
II
LE TERAPIE SACRAMENTALI
1. Introduzione
292
Questa finalità terapeutica dei sacramenti consente a colui che li ri-
ceve di aver accesso ali' altra loro finalità, che è quella della ricezione
della grazia deificante.
Se è vero che, nella Chiesa, è in Cristo che noi siamo salvati e dei-
ficati, è per mezzo dello Spirito che siamo uniti al Cristo, ed è nello
Spirito che il Cristo ci accorda la grazia divina salvifica e deificante.
Lo Spirito che il Padre ci comunica attraverso il Figlio, che il Figlio ci
invia da parte del Padre, e che unendoci al Figlio ci unisce al Padre,
questo stesso Spirito noi riceviamo attraverso i sacramenti: in quello
della crismazione che mira specificamente a comunicarlo al battezza-
to, ina anche in tutti gli altri sacramenti, in particolare nel battesimo
e nell'Eucaristia. È così che i sacramenti ci rivestono non solo di Cri-
sto, ma anche dello Spirito, e attraverso di essi ci uniscono al Padre.
Attraverso i sacramenti, è la grazia comune del Padre, del Figlio e
dello Spirito che ci viene comunicata e che ci rende partecipi della vi-
ta trinitaria. I sacramenti sono considerati meno come atti isolati che
ci conferiscono ciascuno una grazia particoìare e più come aspetti
diversi del Mistero unico, secondo cui Dio trino comunica all'umanità
la g_razia della salvezza e della deificazione.
E questa una delle ragioni per cui la Chiesa ortodossa non ha fis-
sato in maniera precisa il numero dei sacramenti2 • Nondimeno, pos-
siamo riconoscere come i più importanti siano: il battesimo, la cri-
smazione (alla quale corrisponde in Occidente la cresima o confer-
mazione), l'Eucaristia, la penitenza, l'unzione degli infermi, il
matrimonio e l'ordinazione. Tra questi, il battesimo, la crismazione e
l'Eucaristia occupano un posto essenziale: sono i sacramenti dell'ini-
ziazione cristiana: in essi è ricapitolata tutta l'economia divina3 • Nella
Chiesa ortodossa, la crismazione è conferita subito dopo il battesimo
(questo fa sì che il termine «battesimo» venga generalmente usato per
indicare l'insieme di questi due sacramenti), e il nuovo battezzato e
unto con il crisma, divenuto membro a pieno titolo della Chiesa, vie-
ne subito ammesso, per giovane che sia, alla comunione eucaristica,
l'iniziazione cristiana formando un tutt'uno indivisibile.
293
2. Il battesimo
4 Vedi per esempio: GREGORIO NAZIANZENO, Discorsi, XLII, 9; XII; XXXIV GIOVANNI CRI-
SOSTOMO, Catechesi battesimali, II, 2. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, II, 43.
'Il Pedagogo, I, VI, 29, 5.
6 La vita in Cristo, II, 52.
7 Discorsi, XL, 12. Cfr. 9.
• Cfr. E. MERCENIER, La prière des Églises de rite byzantin, t. I, Chevetogne, 1937, pp. 334-
341.
9 Preghiera del 3° esorcismo.
294
benedizione dell'olio con il quale il catecumeno sarà unto, egli chiede
a Dio che esso sia benedetto «dalla potenza, dall'azione e dalla di-
scesa>> dello Spirito Santo, affinché esso divenga particolarmente <<la
guarigione di tutti i mali»~
Ungendo, poi, il catecumeno nel nome del Padre, del Figlio e del-
lo Spirito Santo, successivamente sul petto e tra le spalle, sulle orec-
chie, sulle mani e sui piedi, egli chiede che la prima di queste unzio-
ni sia «per la guarigione dell'anima e del corpo». Dopo questa un-
zione, il sacerdote procede alla triplice immersione del catecumeno
nell'acqua precedentemente benedetta, dicendo: <<Il servo (o la serva)
di Dio N ... è battezzato(a) 10 , nel nome del Padre, afilen, e del Figlio,
arrien, e dello Spirito Santo, amen». Questa triplice immersione, oltre
all'evidente significato trinitario, indica e compie ritualmente la par-
tecipazione del battezzato alla morte del Cristo sepolto tre giorni nel
sepolcro con il suo corpo e disceso tre giorni agli inferi con la sua ani-
ma11. Difatti, insegna l'Apostolo, «tutti quelli che fummo battezzati
per unirci a Cristo Gesù, fummo battezzati per unirci alla sua mor-
te» (Rm 6,3).
Dal momento che è innestato dallo Spirito Santo nel Cristo vinci-
tore del peccato, di tutte le malattie della natura decaduta, del diavo-
lo, della corruzione e della morte, il battezzato è veramente purifica-
to dai suoi peccati, guarito dalle malattie ereditate dal vecchio Ada-
mo, liberato definitivamente dalla tirannia del nemico e dalla schiavitù
del peccato, liberato dal potere della corruzione e dalla morte. Par-
tecipe della morte del Cristo, in lui il vecchio uomo muore, l'Adamo
vecchio scompare, il corpo del peccato è ridotto all'impotenza (cfr.
Rm 6,6). Il battesimo è un rimedio perché rende l'uomo partecipe di
qùesto rimedio che la morte del Cristo ha costituito per la natura uma-
na. Ecco quanto osserva san Nicola Cabasilas a questo proposito: <<Nu-
mer.osi sono coloro che in ogni tempo hanno cercato un rimedio al ge-
nere umano, ma solo la morte del Cristo ci ha restituito la vera vita e
la salvezza. Perciò, se si vuole rinascere a questa nuova nascita, vive-
re di questa vita beata, e disporsi a recuperare la salute, non c'è altro
che assumere questo rimedio offerto dal Cristo» 12 •
10 E non <<io ti battezzo», perché come afferma san GIOVANNI CRISOSTOMO: «È Dio che
295
b) La prima funzione del battesimo è legata indissolubilmente alla
seconda ed ha in essa la sua finalità. Il battezzato muore con il Cristo,
per risorgere con lui e condu'fre la vita nuova che la sua risurrezione
ha fatto acquisire all'umanità. <<Fummo dunque sepolti con lui per il
battesimo per unirci alla sua morte, in modo che, come Cristo è risorto
dai morti per la gloria del Padre, così anche noi abbiamo un com-
portamento di vita. del tutto nuovo. Se infatti siamo diventati un me-
desimo essere insieme con lui per l'affinità con la sua morte, lo sare-
mo pure per l'affinità con la sua risurrezione» (Rm 6,4-5).
Questo sacramento rende colui che lo riceve partecipe indissolu-
bilmente della morte e della risurrezione del Cristo13 • Nello stesso tem-
po in cui gli consente di morire alla sua vecchia condizione, gli offre
altresì la possibilità di rinascere a una vita nuova. La sua morte coin-
cide con la sua nascita14 • Nel momento in cui immerge il vecchio Ada-
mo e le sue malattie, l'acqua del battesimo, per la grazia dello Spirito,
fa emergere l'uomo nuovo in piena salute. «lo sono liberato dai miei
crimini all'istante e ritrovo la salute istantaneamente», dice san Nico-
la Cabasilas 15 •
Questo intreccio e, nello stesso tempo, questa finalità sono presen-
ti in tutto il rito: nelle preghiere di benedizione dell'acqua e dell'olio,
nonché nell'azione rituale stessa. In primo luogo, l'unzione che co-
munica lo Spirito Santo, fatta sul petto e tra le spalle <<per la guarigione
dell'anima e del corpo», viene fatta in seguito sulle orecchie «con
l'olio della fede», sulle mani per lari-unione al Creatore («Le tue
mani mi hanno creato e mi hanno plasmato»), e sui piedi affinché il
battezzato «Cammini nella via dei [suoi] precetti». In seguito, nel mo-
mento del battesimo propriamente detto, ciascuna delle tre immer-
sioni che rendono il battezzato partecipe della morte del Cristo, è se-
guita da una emersione che lo rende partecipe della sua risurrezione,
lo eleva alla vita nuova, incorruttibile e immortale che egli ha con-
cesso all'umanità attraverso la sua risurrezione.
I.:uomo per mezzo del battesimo diviene veramente una nuova crea-
tura (cfr. 2Cor 5,17); egli è totalmente rigenerato e rinnovato (cfr. Tt
3,5). Mentre era morto e ridotto all'irrealtà dal peccato, il battesimo
296
gli ha ridato vita ed essere16• Mentre era schiavo del peccato e sotto-
messo alla tirannia del nemico, il battesimo lo rende libero (cfr. Rm
6,6.14) 17 • Trovandosi immerso nelle tenebre dell'ignoranza di Dio, egli
riceve dallo Spirito l'illuminazione18 . Gli si aprono di nuovo le porte
del paradiso 19. È reintegrato nello stato adamico originale20 , ritorna
nell'intimità con Dio, ritrova la familiarità che aveva con lui nel para-
diso21. Egli acquista molto di più, perché, rivestito di Cristo (cfr. Gal
3;2.7), diviene direttamente partecipe di lui22 e conforme a lui23 ; allo
stesso tempo riceve lo Spirito Santo e da questi riceve il Padre24 , di cui
ritorna ad essere figlio adottivo25 • Entra nella famiglia di Dia26. Di-
viene partecipe della vita divina, essendogli stata comunicata la pie-
nezza della grazia trinitaria27 •
297
essere profondo»30 • E san Nicola Cabasilas scrive, inoltre, che il bat-
tesimo «dispensa agli uomini la vita e l'esistenza vere»31 •
Attraverso il battesimo, in realtà, non solo l'immagine di Dio che
era stata offuscata dal peccato ritrova la sua luminosità32 , in quanto
«impressa più nettamente di prima.>>33 , ma la somiglianza con Dio stes-
so è restituita all'umanità nella condizione in cui essa la possedeva pri-
ma della sua caduta34 •
L'uomo ridiviene così se stesso e ritrova la salute della sua natura
originale e vera, e riceve di nuovo la possibilità di condurre un'esi-
stenza veramente· sana e normale, conforme alla finalità del suo esse-
re, che è quella di vivere per Dio ed essere deificato da lui e in lui.
L'uomo smette di essere determinato, influenzato, illuso dalle po-
tenze demoniache. Riprende possesso di sé, da posseduto e alienato
quale era prima; gli è restituita integralmente la sua libertà. <<Rigene-
rati dal santo battesimo, siamo affrancati e resi padroni di noi stessi.
E a meno che, volontariamente, obbediamo al nemico, in nessun
modo egli potrà avere su di noi un certo influsso», scrive san Simeo-
ne il Nuovo Teologo35 • .
Liberato dal peccato e illuminato dallo Spirito Santo36 , l'uomo è
guarito dalla conoscenza erronea e delirante prodotta dalle passioni e
acquista una conoscenza nuova3 7 , secondo Dio, vera38 • «Il.battesimo
ci rende alla luce e ci allontana dal male delle tenebre», constata san
Nicola Cabasilas39 , che aggiunge: «Esso apre gli occhi dell'anima da-
vanti al raggio divino»40 • E san Diadoco di Foticea, a sua volta, scrive:
«Come prima l'errore regnava sull'anima, così, dopo il battesimo, è la
verità che regna su di essa»41 • Nel ritrovare la vera conoscenza, l'uo-
mo-ritrova nello stesso tempo <<la sua vera vita.>>42 poiché la vita con-
siste nel conoscere l'unico vero Dio (cfr. Gv 17 ,3 )43 •
30 Catechesi, XXXV
31 La vita in Cristo, II, 103.
32 DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 89.
33 NICOLA CABAS!LAS, La vita in Cristo, II, 30.
34 Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, IV, 13. TERTIJLUANO,
Trattato sul battesimo, V, 7. NICOLA CABAS!LAS, La vita in Cristo, II, 1 L
35 Catechesi, V, 442ss.
36 Cfr. BASILIO DI CESAREA, Sullo Spirito Santo, XV, 35, L 59. GIOVANNI CRISOSTOMO, Cate-
chesi battesimale, I, 3. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, II, 14-15; Eb, IO, 32.
37 Cfr. Col 3,10.
38 Cfr. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, II, 87-89.
39 Ibid., 15.
40 Ibid., 101.
41 Cento capitoli gnostici, 76.
42 NICOLA CABAS!LAS, La vita in Cristo, II, 101.
43 Ibid.
298
Tutta la vita del battezzato è trasformata44 • Egli diviene in tutto una
creatura nuova (cfr. 2Cor 5,17). «La grazia di Dio, nota san Giovanni
Crisostomo a questo proposito, ha rimodellato e rivoltato le anime e
le ha rese diverse da quello che erano»45 • L'essere dell'uomo viene a
trovarsi riorganizzato e riceve un ordine e un senso superiori deifor-
mi, conformi alla sua finalità. «Il giorno salutare del battesimo divie-
ne per i cristiani un "giorno onomastico" perché essi sono allora crea-
ti.e formati, e perché la nostra vita amorla e indeterminata prende for-
ma e consistenza», scrive san Nicola Cabasilas46 • L'uomo non è più
votato a condurre un'esistenza patologica alla quale lo destinava la sua
nascita nel peccato. Egli accede a un altro mondo e a un'altra esi-
stenza: diviene cittadino del Regno, del quale il battesimo gli apre le
porte47 • Attraverso il sacramento riceve <<membra e sensi nuovi>> che
lo. preparano fin da ora alla sua condizione etema48 • <<Per mezzo del
battesimo, osserva san Nicola Cabasilas, noi rinunciamo a uno stato
per ritrovarne un altro»49 • «La rinascita diviene il sigillo, la salvaguar-
dia e la luce di un'altra vita», scrive san Giovanni Damasceno50 • Per
l'uomo nuovo, tutte «le vecchie cose sono passate, ecco, ne sono na-
te dinuove» (2Cor 5,17). E «questa novità di vita non conosce più la
vecchiaia, non è più soggetta al male, non è più preda dello scorag-
giamento, non si appassisce con il tempo, non cede a nulla, nulla trion-
fa su di essa>>, sottolinea san Giovanni Crisostomo51 .
3. La crismazione
299
Attraverso la crismazione, il battezzato riceve lo Spirito Santd3 • Es-
sa è in qualche modo la sua Pentecoste.
«La crismazione, sottolinea san Nicola Cabasilas, è un principio
di energia e di attività>>54 • Per mezzo di essa, il battezzato riceve dallo
Spirito Santo l'energia necessaria a far fruttificare la grazia ricevuta nel
battesimo, la forza di sviluppare attivamente i doni spirituali che gli
sono stati dati. Mentre il battesimo conferisce all'uomo l'essere e la vi-
ta concedendogli di essere e di sussistere in Cristd5 , «la crismazione
perfeziona il neofita, comunicandogli le energie e un'attività in rap-
porto con questa vita>>56 , gli permette di crescere fino a raggiungere la
statura di uomo adulto, perfetto, cioè deificato in Cristo. L'opera di-
vina che si manifesta in questo sacramento è, scrive Dionigi l' Areopa-
gita, <<il principio di ogni perfezionamento e di ogni santificazione»57 •
Il rito consiste essenzialmente nell'unzione del nuovo battezzato con
il santo crisma o myron, il quale, essendo stato consacrato, «non è più
con l'epiclesi un olio puro e semplice>>, ma «dono del Cristo, divenu-
to per la presenza dello Spirito Santo efficace della sua divinità>>58• Il
sacerdote effettua questa unzione tracciando il segno della croce
successivamente sulla fronte del battezzato, sugli occhi, sulle narici,
sulle labbra, sulle orecchie, sul petto, sulle mani e sui piedi, pronun-
ciando a ciascuna unzione queste parole: «Il sigillo del dono dello Spi-
rito Santo». È così che ogni facoltà dell'uomo riceve la grazia che gli
consente di volgersi verso Dio e di attivarsi pienamente in un senso
conforme alla sua volontà, beneficiando dell'assistenza dello Spirito,
della sua energia vivificante, santificante, illuminante e deificante. Ov-
viamente, non sono solo gli organi unti che ricevono questo dono, ma
tutte le altre facoltà del corpo e anche e soprattutto dell'anima, per-
ché scrive san Cirillo di Gerusalemme, «da questo crisma visibile il
corpo è unto, ma l'anima è santificata>>59 • L'unzione sulle diverse par-
ti del corpo non ha solo un valore relativo a ciascuno: essa significa
che è l'uomo nella sua totalità che riceve la grazia divina vivificante, il-
luminante e santificante, e che è in tutto il suo essere che è messa in
53 Vedi per esempio: CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi mistagogiche, fil, 1-3. NICOLA CA-
BASILAS, La vita in Cristo, m, 6; 8.
54 Loc. cit., II, 5.
" Ibid., I, 19.
56 Ibid., ID, 1.
57 La gerarchia ecclesiastica, IV, m, 12, PG 3, 485A. Cfr. CIRILLO DI GERUSALEMME, Cateche-
si mistagogiche, m, 3.
58 CIRJLLO DI GERUSALEMME, loc. cit.
59 Ibid.
300
attività. San Cirillo di Gerusalemme aggiunge altrove: «Questo dono
sacro è la salvaguardia spirituale del corpo e la salvezza dell' anima>>60 •
Rivestito, mediante la crismazione, della corazza e della panoplia
dello Spirito Santo61 , l'uomo può camminare con sicurezza in questa
vita senza temere gli attacchi del nemico62 e senza temere alcun altro
male, e può dire con l'Apostolo: «Tutto posso in Colui che mi dà
forza: il Cristo» (cfr. Fil 4,13 )63 • Guarito dall'astenia spirituale e da ogni
debolezza malsana generate dal peccato, vivificato nel suo desiderio,
fortificato nella sua vofontà e in tutte le altre facoltà riorientate verso
Dio, l'uomo è reso pieno di zelo e di fervore64 per agire, secondo lavo-
lontà di Dio, nella via della virtù, in cui la sua natura trova piena sa-
lute, realizzandosi conformemente alla sua finalità.
4. La penitenza
. 60Ibid., 7.
': Ibid.,4.
62 Ibid.
"Ibid.
64 ar. Rm 12,11.
65 A. Alrnazov scrive: «In Oriente, si è sempre ritenuto che l'assoluzione fosse espressa dal-
la preghiera, e anche se si usava una formula esplicita, era però implicito che la remissione dei
peccati era attribuita a Dio stesso» (citato da]. MEYENDORFF, Initiation à la théologie byzantine,
Paris 1974, p. 260).
66 Esercizio penitenziale.
301
lo amministra. «Tu sei venuto dal medico; fa' attenzione ad andartene
guarito», dice il confessore al penitente nella preghiera preliminare67:
Parlando del periodo bizantino, padre Jean Meyendorff scrive: «Con-
fessione e penitenza erano innanzitutto interpretate come forme di
guarigione spirituale», questo derivava logicamente dal fatto che «nel-
1'antropologia cristiana orientale, il peccato stesso è prima di tutto una
malattia>>68 ~ E P. Lain Entralgo nota nello stesso senso: «A metà del se-
colo III, il peccatore e il peccato sono considerati come se si trattas~
se di un malato e di una malattia. I testi che lo dimostrano sono nu-
merosi e impressionanti>>69• Secondo la Didascalia, il vescovo (al qua-
le spettava nei primi secoli l'incarico di ascoltare le confessioni e di
dare lassoluzione) dev'essere «come un medico che ha competenza e
compassione»70 • Le Costituzioni apostoliche, che essenzialmente sono
una compilazione, fatta alla fine del secolo rv, della Didascalia, della
Didaché e delle Diataxeis (o Tradizione apostolica), sviluppano lo
stesso concetto. Vi si trovano particolarmente questi consigli: <<È ne-
cessario soccorrere i ·malati, coloro che sono nel pericolo e quelli che
vacillano, e per quanto possibile guarirli per mezzo della predicazio-
ne della Parola, e liberarli dalla.morte. Infatti: "Non hanno bisogno
del medico i sani, ma i malati" (cfr. Mt 9 ,12 )»71 • «Che il vescovo [.. .]
accolga e curi coloro che si pentono dei loro peccati>>72 • «Che egli gua-
risca [la pecora] che è malata [...].Che medichi quella ferita, cioè quel-
la che è smarrita, abbattuta, o schiacciata dai peccati, al punto di zop-
picare sul cammino, egli la medichi con parole d'incoraggiamento, la
conforti per i suoi errori e le renda la speranza>>73 • E rivolgendosi al ve-
scovo: «La Chiesa di Dio è la pace serena. Nell'assolvere i peccatori,
li reintegri sani e irreprensibili [. .. ] ; come medico sperimentato e che
ha compassione, guarisci tutti coloro che sono oppressi dai loro pec-
cati [. .. ].Poiché tu sei medico (iatr6s) della Chiesa del Signore, assi-
cura le cure adatte a ciascun malato, in ogni modo, cura, guarisci, e
reintegrali in buona salute nella Chiesa»74 • «Come medico tompas-
67 Si può trovare il testo completo in E. MERCENIER, La prière des Églises de rite byzantin,
t. I, Chevetogne 1937, p. 365.
68 Initiation à la théologie byzantine, Paris 1974, p. 261.
69 Maladie et culpabilité, Paris 1970, p. 86. Per uno studio più completo su questa questio-
ne del I e del IV secolo, vedi J. ]ANINI, <<La penitencfa medicina! desde la Didascalia apostolo-
rum a san Gregorio de Nisa», inRevista espaiiola de teologia, 7, 1947, p. 337-362.
70 Il, 20, 7.
71 Il, 14, 11.
72 Il, 24, 2.
73 Il, 20, 3-4.
74 Il, 20, 10-11.
302
sionevole, cura tutti i peccatori, sèrviti di metodi salutari per soccor-
. rerli, non solo tagliando, bruciando o applicando dei caustici, ma
anèhe col mettere bende e fasciature, somministrando rimedi dolci e
cicatrizzanti, inumidendo con parole incoraggianti. Ma se la ferita è
profonda, trattala con impiastri affinché i gonfiori si riducano al livel-
lo della parte sana; se è infettata, allora purificala con caustici, cioè con
rimproveri; se è gonfia, riduci il gonfiore con un impiastro acido, os-
sia con la minaccia del giudizio; se la piaga s'incancrenisce, cauteriz-
zala ed estirpa l'ascesso infliggendo digiuni>>75 • Questi ultimi consigli
sono abbastanza vicini a quelli che san Cipriano di Cartagine dà al sa-
cerdote quando questi gli chiede di mostrarsi di fronte alle malattie
dell'anima così energico e radicale come il medico di fronte agli asces-
si del corpo: <<ll sacerdote del Signore deve usare rimedi curativi. È un
cattivo medico colui che tratta con dolcezza gli ascessi tumefatti e che
lascia il veleno proliferare nelle parti interne del corpo. La ferita dev' es-
sere aperta e incisa e, dopo l'asportazione delle parti incancrenite, de-.
ve intervenire con una cura energica, anChe se il malato protesta, gri-
da e si lamenta perché non può sopportare il dolore; in seguito, egli
ringrazierà il medico dal momento che si sentirà in buona salute»76 •
Molti altri Padri ricordano il sacramento e il ruolo del confessore in
termini simili. San Giovanni Crisostomo consiglia a coloro che hanno
peccato: «Entrate nella Chiesa, fatevi penitenza: là risiede il medico
che guarisce e non il giudice che condanna; là non esiste il castigo
del peccato, ma si ottiene la remissione>>77 • Sant'Anastasio il Sinaita,
da parte sua, raccomanda di «trovare un uomo spirituale sperimenta-
to, capace di guarirci, purché ci confessiamo a lui»78 •
Come il medico, così il confessore deve fare attenzione ad adatta-
re in ogni caso il rimedio conveniente. Abbiamo visto quanto le Co-
stituzioni apostoliche gli raccomandano: <<Poiché tu sei medico della
Chiesa del Signore, assicura le cure adatte a ciascun malato»79 • Ciò è
tanto più lln.portante perché, come fa notare san Giovanni Climaco,
«talvolta, quello che è un rimep.io buono per lino è veleno per l' al-
tro; e, a volte, ciò che si somministra a una stessa persona gli serve
da rimedio se questo è al momento opportuno, ma dato fuori tempo
diviene veleno»80 • A tale proposito cita degli esempi: «Ho visto un me-
303
dico inesperto che, nell'umiliare un malato profondamente abbattu-
to, non riusciva che a gettarlo nella disperazione. E ho visto un me-
dico esperto operare un cuore orgoglioso con lo scalpello dell'umilia-
zione, e liberarlo di ogni sua infezione»81 • È, dunque, necessario tener
conto «delle peculiarità individuali, sia della volontà di colui che com-
mette il peccato, sia del luogo in cui lo commette, sia dei progressi spi-
rituali di colui che lo commette e di molte altre circostanze»82 • Il Con~
cilio Trullano (692) pone l'accento su questa necessità, e lo fa utiliz-
zando ugualmente nelle sue formulazioni termini che appartengono
all'ambiente dell~ medicina, il che manifesta con evidenza che il con"
cetto del peccato come malattia e del sacerdote come medico non è
un semplice simbolo tipico di qualche Padre, ma ha trovato conferma
in tutta la Chiesa e appartiene essenzialmente al modo stesso con cui
essa concepisce la natura di queste realtà: «Occorre che colui che ha·
ricevuto da Dio il potere di sciogliere e legare, consideri la natura
del peccato e la ferma risoluzione di conversione in colui che ha pec-
cato, e così dia un rimedio appropriato alla malattia: per paura che, se
in un modo o in un altro egli mancasse di niisura, non pregiudichi la
salute di colui che è malato. Infatti, la malattia del peccato non è sem-
plice, ma complessa e multiforme, quindi provoca molti sviluppi del
male: attraverso di essi, il male si diffonde ampiamente e continuerà
ad estendersi fino a che non venga fermato dall'intervento di un me-
dico. Per questo, colui che professa la scienza della medicina dell' a-
nima deve osservare innanzitutto le disposizioni di colui che ha pec-
cato, e considerare se si orienta verso la guarigione o se, al contrario,
per il proprio modo di vivere, favorisce la malattia in se stesso; devé,
altresì, considerare se, nel tempo, lungo la sua vita, egli è preoccupa-
to di mostrarsi ragionevole e convertirsi: e se egli non resiste al medi-
co, e se la piaga dell'anima non aumenta per l'applicazione del rime-
dio; e così occorre che la misericordia gli sia concessa secondo il me-
rito. In realtà, Dio fa tutto, e anche colui al quale è stato affidato
l'incarico di pastore, per radunare le pecore smarrite, per curare co-
lui che è stato ferito dal serpente, per non spingerlo attraverso i pre-
cipizi della disperazione né tantomeno verso la distruzione della vita
e il disprezzo di sé allentando i freni: ma affinché lotti contro il male
unicamente per mezzo di medicamenti sia più forti e astringenti, sia
più dolci e più rassicuranti, e affinché egli lavori alla cicatrizzazione
81 Ibid., 21.
82 Ibid., XV, 57.
304
della piaga, esaminando i frutti del pentimento, guidando e gover-
nando saggiamente l'uomo che è chiamato a uno splendore superio-
re. Occorre, infatti, sapere due cose: quelle che dipendono dallo stret-
to diritto e quelle che appartengono all'uso comune; ora, per coloro
che non accettano le misure estreme, occorre seguire la tradizione, co-
me ci insegna san Basilio»83 •
83 Canone 102 del Concilio Trullano, in P. P. JOANNOU, Fonti, t. IX, Disciplina generale an-
tica aI-IX s.), Roma 1962, pp. 239-24 L
305
Confessando le sue malattie spirituali, il penitente le fa uscire da sé,
egli le oggetti.vizza e se ne dissocia; rompe i legami che lo univano ad
esse e lo alienavano. Così, le malattie spirituali cessano di abitare nel
suo mondo interiore e di essere parassite della sua anima per dive-
nirgli ormai estranee. La strategia dei demoni viene sconvolta da que-
sto fatto: essi non possono più agire nel segreto; il regno delle tenebre,
del quale sono i principi, viene bruscamente illuminato, il loro potere
s'indebolisce perché sono svelate le loro vie. Si vedono espulsi dall'a-
nima con il peccato che li nutriva. -
La portata terapeutica della confes"sione è tanto più grande in quan-
to, nella sua forma tradizionale - quale la Chiesa ortodossa ha sapu-
to conservarla -, la confessione non consiste nell'elencazione arida e
stereotipata di una serie di peccati più o meno artificialmente costi-
tuita. Il penitente confessa spontaneamente, in modo diretto e vivo, le
sue colpe e le sue mancanze riportando al confessore le circostanze afc
finché questi possa meglio comprenderlo e dargli poi consigli più adat-
ti alla sua situazione. Ma egli confessa altresì al sacerdote tutto ciò che
lo preoccupa, gli espone in modo libero e naturale tutti i problemi,
le difficoltà particolari che può incontrare nella sua vita quotidiana,
gli indica ciò che lo inquieta, l'angoscia, lo ossessiona, rivela le sue
preoccupazioni, le sofferenze, sceglie di esporgli al meglio i suoi stati
d'animo, gli confida le debolezze, gli apre la sua personalità, dispie-
ga davanti a lui la sua vita in tutte le mancanze e imperfezioni.
Una tale apertura è facilitata dalla certezza che il penitente ha di be-
neficiare della misericordia divina - questo gli viene ricordato dal sa-
cerdote nelle preghiere preliminari -, ma anche dall'atteggiamento
di ascolto che dev'essere manifestato visibilmente dal confessore e dal-
la compassione di cui· deve dar prova. Il confessore, infatti, ha il do-
vere di mostrarsi molto attento a tutto ciò che gli viene detto e, nello
stesso tempo, non emettere nessun giudizio su colui che gli si apre.
Deve lasciargli libertà assoluta quanto al modo in cui egli si esprime e
dimostrare nei suoi riguardi grande dolcezza e grande pazienza. I san-
ti confessori, superando.lo stadio della semplice «benevola neutralità»,
che ordinariamente caratterizza lo psicoterapeuta profano, dànno pro-
va, nell'ascolto dei mali che vengono loro confidati, di una profonda
compassione, condividendo realmente le difficoltà e le sofferenze di
colui che ascoltano; manifestano, altresì, invisibilmehte, l'amore spiri-
tuale che essi provano per lui, come il padre davanti al figlio prodigo,
ad immagine del Cristo accanto al buon ladrone. Questo amore, lun-
gi dall'essere opprimente ed invadente, possiede la dolcezza e la di-·
306
screzione della grazia consolatrice e materna del Paraclito e copre con
un balsamo riparatore il cuor~ ferito e oppresso dal peccato.
Questo atteggiamento del sacerdote, fatto di ascolto paziente e umi-
le, che non giudica ma comprende, che è fatto di assoluta disponibi-
lità per l'altro immediatamente ricevuto come fratello sofferente, che
è fatto anche di una vera compassione, permette di stabilire, nella
carità, una relazione più profonda e stretta; realizza subito il clima di
fiducia indispensabile all'efficacia della terapia in atto; e rende possi-
bile una comunicazione di grande qualità, che consente al penitente
di non aver alcun timore né reticenza ad aprire il suo animo il più com-
pletamente possibile e, così, ricevere nelle migliori condizioni le cure
adatte al suo stato d'animo.
Se il ruolo del confessore è essenzialmente, in un primo tempo, quel-
lo di ascoltare; può essere anche, all'occorrenza, quello d'interroga-
re, di precisare alcuni punti o chiarire alcuni dettagli se questo gli sem-
bra necessario per comprendere meglio il penitente in vista di curar-
lo meglio. Il sacerdote deve, in ogni caso, farlo con tatto e discrezione,
in spirito di carità, atteggiamenti attraverso cui si manifesterà che la ·
s.ua intenzione è puramente quella di aiutare colui che è andato da lui;
eviterà di penetrare nel suo animo con forza; eviterà ogni irruzione
nella sua intimità, ogni vana curiosità, rispettando in modo assoluto la
sua libertà. Un tale intervento del sacerdote può apparire necessario
quando gli sembrerà che il penitente gli nasconde qualcosa, riferisce
in maniera incompleta qualche colpa o stato patologico, si mostra re-
ticente o esitante al riguardo. La preghiera che precede la confessio-
ne invita, peraltro, il penitente alla non omissione: «Non avere ver-
gogna, non temere e non nascondermi nulla ma, senza reticenza, dim-
mi tutto ciò che hai commesso per riceverne il perdono di Nostro
Signore Gesù Cristo»84 • Tuttavia; alcuni peccati possono essere rima-
sti nell'inconscio. Il confessore ha allora il compito di percepire gli at-
teggiaìnenti passionali o gli stati d'animo che il penitente non vuole
o non può vedere in se stesso e, di conseguenza, non confessa. Alcu-
ne passioni infatti -1' orgoglio e la cenodossia in modo particolare -,
così come l'azione dei demoni, possono offuscare la coscienza. Il con-
fessore può allora conoscere lo stato inconfessato del penitente indi-
rettamente, attraverso alcune parole, certe intonazioni della voce, al-
cuni suoi silenzi, alcune esitazioni, ma anche attraverso alcuni atteg-
giamenti o mimiche, nel riferirsi anche alla conoscenza che egli ha del
307
passato, della storia, della personalità del penitente. Egli può anche
averne una conoscenza diretta leggendo nel cuore del penitente, se ha
ricevuto da Dio, come nel caso di alcuni santi confessori, il carisma
della cardiognosia. In tutti i casi, il discernimento di cui dà prova il con-
fessore, qualunque sia il suo grado e la sua finezza, appare come una
grazia divina legata al suo ministero e più o meno sviluppata secon-
do il proprio livello di progresso spirituale. Il confessore non comu-
nica sempre direttamente al penitente questa conoscenza che egli ha
di lui per queste vie, soprattutto nei casi in cui rischierebbe così di fe-
rirlo. Piuttosto, solo al momento in cui gli darà i suoi consigli, potrà
farvi allusione o almeno ne terrà conto. Così il penitente potrà con sua
grande sorpresa ricevere raccomandazioni senza alcun legame con ·ciò
che ha detto confessandosi, e senza legami con la condizione che egli
credeva essere la sua.
In particolare, è in questa tappa della confessione, in cui il sacer-
dote prodiga consigli spirituali a colui che ha confessato le sue colpe,
che la tradizione vede nel confessore un medico e nelle sue parole
·un rimedio. In realtà, per il sacerdote si tratta, a quel punto, di con-
siderare ed esporre la terapia da praticare per venire a capo delle
malattie che gli sono state rivelate o che egli ha da se stesso percepite.
Il sacerdote non svolge la funzione di uno che dà un insegnamento
generale, ma quella di determinare, in primo luogo, ciò che è più con-
veniente alla persona che gli è accanto tenendo conto della sua per-
sonalità, del genere di vita e di attività, delle possibilità, delle difficoltà
abituali, ecc., e anche del tipo di patologia che questa persona pre-
senta. È augurabile, a questo riguardo, che il confessore conosca be-
ne il penitente e possa seguire l'evoluzione del suo stato interiore af-
finché possa correttamente giudicare la suà situazione particolare e il
progresso positivo o negativo della sua malattia. Per questa ragione, è
consigliato ai fedeli di confessarsi sempre dallo stesso sacerdote.
Tra il confessore e il penitente c'è una relazione personale che
s'instaura, non solo in quanto essa non è anonima per le ragioni che
abbiamo ora presentate, ma anche perché a questo stadio della con-
fessione si stabilisce un vero dialogo. Il penitente può reagire a quan-
to gli dice il sacerdote, interrogarlo, discutere in vista di approfondi-
re alcuni punti, nella prospettiva di una migliore comprensione della·
situazione e di una migliore strategia terapeutica. In questo dialogo
che si rivela tanto più profondo ed efficace in quanto si pone nello
stesso clima di fiducia, di semplicità e di carità come quello che pre-
siedeva alla confessione delle colpe, il sacerdote non appare come un
308
maestro che 'dall'alto della sua cattedra offre un insegnamento dog-
matico e astratto, ma come un padre che, con lo zelo, con la sapien-
za e con l'amore che gli vengono dallo Spirito, incoraggia, esorta; con-
sola, mette in guardia con severità o con dolcezza. Con i suoi consi-
gli- che la preghiera accompagna e che per questa ragione e in ragione
anche dei carismi legati alla sua funzione dal sacramento che l'ha
istituito, recando con sé un valore non speculativo, ma pratico -, egli
prepara, a immagine di san Giovanni Battista, nell'anima del peniten-
te, il ritorno del Signore, appianando i suoi sentieri, raddrizzando quan-
to il peccato ha reso tortuoso.
Durante la confessione, il penitente dev'essere animato dal penti-
mento. Questo atteggiamento - fatto sia del dispiacere di essersi pri-
ma allontanato da Dio sia da una ferma volontà di emendarsi in fu-
turo -lo rende particolarmente accogliente dei consigli dati dal sa-
cerdote in vista della sua guarigione. Il prestigio collegato alla funzione
del confessore e, alla fine, la santità personale di questi, contribuisce
anche a questa ricettività.
Le parole pronunciate dal sacerdote non sono parole ordinarie, tan-
to più che esse sono valorizzate dal fatto che sono proferite nell'am-
bito del tempo e dello spazio ecclesiali, dal fatto che il sacerdote par-
la non a suo nome ma a nome della Chiesa e rivela la parola e la gra-
zia terapeutiche di Dio sotto l'ispirazione dello Spirito, che conferisce
a queste parole una forza e un'efficacia particolari, soprattutto se il pe-
nitente si apre totalmente a esse e manifesta una ferma volontà di gua-
rire.
Di fronte al confessore, il penitente non è più solo, sperduto, fra-
stornato dagli effetti dei peccati: i consigli del sacerdote gli restitui-
scono le norme vere e sicure che gli consentiranno di risituarsi, e di
sapere senza timore di sbagliarsi ciò che deve fare per ritrovare e con-
servare la salute che aveva perduto. Questi consigli gli permettono es-
senzialmente di ritrovare un giudizio e una vita giusti, conformi alla
volontà di Dio, gli ricordano lo scopo spirituale verso il quale deve
tendere, la norma della perfezione alla quale ogni cristiano è chiama-
to a conformarsi, ma indicano anche le vie che gli permetteranno di
giungervi. Questi consigli, essenzialmente pratici, gli diranno, per esem-
pio, come lottare contro tale tendenza morbosa di cui soffre, come far
fronte a tale impulso, come lottare contro tale passione, come giun-
gere meglio a praticare tale virtù, come aggirare tale difficoltà che ri-
trova regolarmente sul suo cammino o che può sopraggiungere in ta-
o
le talaltra circostanza.
309
L' epitimia, esercizio penitenziale dato alla fine dal confessore, ha lo
stesso senso terapeutico dei suoi consigli. Paul Evdokimov scrive a
questo riguardo: essa <<non è un castigo; il momento giuridico della
"soddisfazione" è completamente assente. È un rimedio, e il padre spi-
rituale cerca il rapporto organico tra il malato e il mezzo terapeutico.
Lo scopo è quello di porre il penitente nelle condizioni in cui non è
più sollecitato dal peccato. San Giovanni Crisostomo afferma: "Noi
non domandiamo se la ferita è stata fasciata spesso, ma se la cura ha
fatto bene. È lo stato del ferito che indica il momento di toglierla~,
Non si tratta dunque di fatti materiali da redimere, ma della loro fon-
te da prosciugare»85 •
Al momento dell'assoluzione sono perdonate dal Cristo, con la pre-
ghiera del sacerdote, le colpe <<Volontarie o involontarie, coscie e in-
conscie, quelle del giorno o della notte, quelle nello spirito e nei pen-
sieri>>, e il penitente si riconcilia e si riunisce alla Chiesa86 •
Nell'assoluzione, si manifesta e opera la grazia terapeutica del Cri-,
sto che distrugge ed elimina tutte le malattie del penitente e restaura:
là sua anima, la restituisce alla salvezza e alla grazia che il battesimo gli
aveva date, ma dalle quali egli si è allontanato con le sue colpe.
Il momento dell'assoluzione è necessario per una guarigione vera e
profonda: il solo confessare le colpe allevia certo il malato, ma il pece
cato, benché sia in qualche modo esternato e oggettivizzato, conserv'a
ancora una certa potenza, ed è solo l'assoluzione che, distruggendo-
lo con il perdono divino, lo pone totalmente fuori dalla condizione di
nuocere. Non basta dire al medico che si è malati e di quale male si
soffre per essere, per questo, guariti dalla malattia. Le parole inco-
raggianti del medico e i suoi consigli non sono sufficienti, nemmeno.
se questo costituisce un elemento importante della terapia. Ciò non
avverrà se non quando il male sarà distrutto dai medicamenti nelle sue
stesse radici: solo allora avviene la guarigione. L'assoluzione assicura
all'uomo che le sue malattie passate non esistono più, gli dà la garan-
zia del perdono divino per tutte le sue colpe. Il penitente conosce al.
lora una liberazione interiore, ritrova la pace e la gioia spirituali.
Il penitente, nella confessione, non è solo animato dal dispiacere
delle colpe commesse: vuole altresì ritrovarvi l'innocenza della sua nà-
tura restaurata dal battesimo e che ha perduto a causa del peccato, e
310
vuole anche camminare di nuovo in purezza nelle vie di Dio. Così il
sacramento della penitenza appare essenzialmente volto verso il fu-
turo .. Esso permette_ all'uomo liberato dalle pastoie del peccato di non
essere più determinato dal male passato e lo rimette totalmente in pos-
sesso di se stesso. Rimette a sua disposizione tutte le forze che gli
erano state date al momento del battesimo e della cresima, lo rinno-
va -in tutto l'essere, gli permette di essere nuovo, in Dio, padrone del
suo"_destino e di riprendere in novità di vita la via che lo conduce
verso la sanità in Cristo e ali' assimilazione della pienezza della grazia
deificante. Il sacramento della penitenza ~' come il battesimo ma a un
grado diverso, un rito di rinnovamento, che dà la morte ai soprassal-
ti dell' «uomo vecchio» e fa dei suoi comportamenti malaticci un pas-
sato superato, affinché riviva pienamente l'uomo nuovo del battesimo.
· Dopo aver ricevuto l'assoluzione, il penitente deve baciare la ero-
e~; segno della vittoria del Cristo sul peccato, sulla malattia e sulla mor-
te, e baciare anche il Vangelo, segno della vita nuova in CriSto.
Per mezzo dell'assoluzione, il penitente è riconciliato e riunito alla
santa Chiesa di Cristo. Il peccato lo aveva separato dal Corpo di Cri-
sto, dalla grazia, dalla comunione dei santi, dalla comiµJità ecclesiale.
llsacramento abolisce queste separazioni, queste rotture patologiche
della relazione con Dio e con i fratelli, e trae il penitente fuori dal suo
isolamento mortale. Questi può, allora, ritrovare la piena comunione
èon il sacramento dell'altare e con il «sacramento del fratello»; riprende
così il posto che gli spetta tra i figli di Dio. Ritrovando la fonte della
grazia dalla quale si era allontanato, può proseguire nello Spirito la sua
crescita teantropica, fino alla statura di uomo adulto in Cristo, ar-
chetipo della sua natura, modello e principio della· sua salute e della
sua santità.
5. L'Eucaristia
311
bondanti che siano, ma il Benefattore stesso, il tesoro che racchiude
tutta la pienezza delle grazie»90; «si tratta di possedere il Risorto»91 ; «è
egli stesso che possediamo e non qualcosa di lui»92 • Questo sacramento
costituisce anche il compimento di tutti gli altri sacramenti: quello ver-
so il quale tutti gli altri tendono93 •
Comunicando al corpo e al sangue del Cristo, poiché è in lui che
dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità (cfr. Col 2,9),
l'uomo riceve Dio stesso nella sua anima e nel suo corpo94 • L'Eucari-
stia non configura semplicemente l'uomo al Cristo come gli altri sa-
cramenti, ma in realtà lo cristi.fica: «Chi si ciba della mia carne e be-
ve il mio sangue rimane in me ed io in lui» (Gv 6,56). Il corpo e il san~
gue del Cristo si diffonde in tutte le nostre membra, «così diveniamo
dei cristofori»95 ; «in questo modo, secondo il beato Pietro (cfr. 2Pt
1,4), diventiamo partecipi della natura divina>>, insegna san Cirillo di
Gerusalemme96 • Attraverso questo sacramento, <<Dio si mescola alla:
nostra natura corruttibile al fine di deificare l'umanità facendole
condividere la sua divinità>>, osserva san Gregorio di Nissa97 , che ag-
giunge: «Come un po' di lievito, secondo la parola dell'Apostolo (1 Coi'
5,6), fermenta tutta la pasta, così il corpo elevato da Dio all'immor-
talità, una volta introdotto nel nostro, lo cambia e lo trasforma nella
sua stessa sostanza>>98 •
Questo sacràmento dà all'uomo il nutrimento che corrisponde ai~
la sua seconda nascita99, quella con la quale egli reintegra la sua ver~
natura. È perfetto sotto tutti gli aspetti, osserva san Nicola Cabasilas,
«e non vi è più alcun bisogno dei fedeli al quale non risponda piena~
mente>>100 •
Così i Padri vedono in esso non solo un rimedio 101 , ma il rimedio
per eccellenza, capace di guarire tutti i mali legati al peccato. «Non vi
treptico, X, 106, 2. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, IV, 35; 55. GREGORIO NAZIANZENO, Di·
scorsi, VIII, 18. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, VII, 30.
312
è malattia che non ceda alla virtù di questo rimedio», afferma san Gio-
vanni Crisostomo 102. «Abbiamo gustato ciò che disgrega la nostra
natura, abbiamo necessariamente bisogno di ciò che riunisce gli ele-
menti separati. Questo rimedio, penetrando in noi, scaccia, con il suo
effetto contrario, l'influsso funesto del veleno già introdotto nel no-
stro corpo. Qual è dunque questo rimedio? Nient'altro che questo cor-
po glorioso che si è mostrato più forte della morte, divenuto per noi
fonte di vita>>, scrive san Gregorio di Nissa103 • San Nicola Cabasilas de-
finisce l'Eucaristia come l' «unico rimedio ai mali della nostra natu-
ra>>104. «Dobbiamo ricorrere a questo rimedio non una sola volta, ma
continuamente[ .. .]; occorre che il medico ci prodighi continuamente
le sue cure per guarirci», aggiunge più avanti105 . «Che le tue sante spe-
cie guariscano la mia anima e il mio corpo», chiede al Cristo il fedele
prima di comunicarsi, in una preghiera composta da san Basilio106 • La
stessa richiesta è espressa nella prima preghiera dopo la comunione107 .
E ancora in un'altra preghiera, il cui autore è san Giovanni Crisosto-
mo, il comunicando presenta al Cristo questo augurio: «Che la mia
anima e il mio corpo siano resi alla piena salute»108 . San Giovanni di
Gaza, a proposito dei santi misteri, scrive: <<l peccatori che si avvici-
nano come dei feriti che hanno bisogno di soccorso, proprio questi
il Signore guarisce>>109 .
Il corpo e il sangue del Cristo ricevuti dal comunicando, per la pro-
prietà che le sacre specie hanno di spandersi nel suo corpo e nella sua
anima e mescolarsi intimamente a essi110, manifestano il loro potere te-
rapeutico in tutto l'essere. Essi purificano l'anima e il corpo del co-
municando111 da ogni peccato e da ogni sozzura112 , lo guariscono da
ogni malattia spirituale che ha potuto colpirlo dopo il battesimo per
sua negligenza nel comportarsi secondo i suoi doni. La penitenza e
pp. 308-309.
"' Ibid., p. 318.
108 Ibid., p. 31 L
313
la lotta contro i peccati costituiscono già certamente dei rimedi, ma si
dimostrano inefficaci se non vi si aggiunge questa terapia fondamen-
tale che costituisce l'Eucaristia113 • Le sante specie, nota san Nicol.a Ca:
basilas, hanno il potere di <<riparare [in noi] l'immagine [di Dio] appena
questa sta per deformarsi»114, di «restaurare la bellezza della nostra
anima>>115 , di «guarire la nostra materia allorché sta per corrompersi»u6
e di «raddrizzare la nostra volontà che si è piegata>> 117 • Esse riunifica-
no l'essere umano diviso, sconquassato dal peccato, e gli restituisco-
no l'integrità. <:<Abbiamo assaporato ciò che disgrega la nostra natura;
abbiamo bisogno necessariamente di ciò che ne riunifichi gli elemen-
ti separati>>, scrive san Gregorio di Nissa ricordando questo rimedio
eucaristico 118 • Tali divine specie, hanno, inoltre, come affermano lepre-
ghiere che precedono e seguono la comunione, il potere di far scom-
parire completamente i falsi ragionamenti dell'uomo 119 , i suoi cattivi
pensieri120 , nonché di ostacolare tutte le cattive abitudini 121 • Esse lo
proteggono contro ogni male e contro tutti gli attacchi diabolici122 • Es~
se sono la salvaguardia dell'anima e del corpom.
Questo alimento che nutre l'anima e il corpa124 li sostiene 125 , li for;
tifi.ca126 e li rafforza127 • Inoltre, pacifica le facoltà spirituali128 • Mentre la
separazione da Dio aveva dato la morte all'Uomo, questo sacramento
ristabilisce la comunione e gli restituisce la vita (cfr. Gv 6,57). Per l'uo-
mo rappresenta anche l'unica fonte di vita (cfr. Gv 6,52). «Spetta esclu-
sivamente al sacramento dell'altare far rivivere coloro che hanno ceduto
al peccato e sono morti per il peccato», scrive san Nicola Cabasilas 129 ;
cit.,&.311.
La vita in Cristo, N, 12.
314
Donando all'uomo Colui che è il principio di ogni vita e la vita stessa,
vivi.fica il suo essere a un importante grado: attraverso questo sacra-
mento, l'uomo riceve da Dio, Cristo stesso (cfr. Gv 6,57), la stessa vita
divina. «Senza dubbio il nutrimento materiale fa vivere, spiega san
·Nkola Cabasilas, ma non alle stesse condizioni del pane eucaristico: di-
fatti, non avendo la vita in se stesso, esso non ci comunica la vita da se
stf;Sso [. .. ],mentre il pane di vita ha la vita nel Cristo stesso, ed è per
mezzo di lui che vivono coloro che vi si comunica.ilo». Nel primo caso,
<<la natura materiale è assimilata da colui che l'assimila [. ..]. Nella co-
munjone, avviene il contrario: è il Pane di vita che cambia, trasforma
e assimila a sé colui che lo mangia>>130. La comunione permette così al-
l'uomo di vivere eternamente (cfr. Gv 6,51.58) 131 , rendendolo incor-
ruttibile132. È per questo che Clemente d'Alessandria lo chiama «ri-
medio (phdrmakon) d'immortalità»133 , così come sant'Ignazio d'An-
tiochia134 che lo definisce anche «antidoto per non morire, bensì per
vivere in Gesù Cristo per sempre»135 •
no Ibid., 37.
131Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, N, 13.
·m. Contro le eresie, V, 2, 3. GREGORIO DI NISSA, Discorso catechetico, 37.
n> Protreptico, X, 106, 2.
· 134 Lettera agli Efesini, XX, 2.
135 Ibid.
315
nito di volte. Se questo sacramento si rivolge prima di tutto a coloro
che sono malati nel corpo, ha anche come scopo, ed è questo che giuc
stifica il fatto che lo presentiamo qui, quello della guarigione delle ma-
lattie spirituali. Ecco perché la Chiesa russa lo dispensa a tutti i suoi
fedeli il giovedì santo, e la Chiesa greca celebra correntemente l'uffi~
cio del sacramento nelle famiglie e lo dispensa al di fuori di ogni ca-
so di malattia fisica; molti vecchi eucologi prescrivevano, del resto;
l'unzione a tutti coloro che assistevano al rito.
Nella sua forma normale, esso è amministrato da un'assemblea di
sette sacerdoti, che sono gli anziani (presbytéroi) della Chiesa come ri-
corda l'apostolo Giacomo. Il rito è costituito da tre grandi parti di cui
noi ricordiamo solo gli aspetti più salienti136 • ·
prière des Eglises de rite byzantin, t. I, Chevetogne 1937, pp. 417-446. Nel caso in cui non è pos·
sibile riunire sette sacerdoti, tre, due o anche uno solo, possono compiere il rito. D'altra parte,
per i casi di necessità esiste un ufficio abbreviato (vedi ibid., pp. 246-247).
137 Prima della prima unzione: Gc 5,10-16eLe10,25-37; prima della seconda: Rm 15,1-7 e
Le 19,1-10; prima della terza unzione: lCor 12,27-13,8eMt10,1 e5-8; prima della quarta: 2Cor
6,16-7,1eMt8,14-23; prima della quinta: 2Cor 1,8-11eMt25,1-13; prima della sesta: Gal5;2.2-
6,2 e Mt 15,21-28; prima della settima: lTs 5,14-23 eMt 9,9-13.
316
passione che Dio ha sempre manifestato verso gli uomini, tali preghiere
gli chiedono la preservazione della vita del malato, il conforto nelle
sue sofferenze, la guarigione e la fortificazione del suo corpo, ma nel-
lo stesso tempo e soprattutto, il perdono dei peccati, la fortificazione
spirituale, la sua salute e santificazione, la rigenerazione di tutto l'es-
sere e il rinnovamento della sua vita in Cristo. Ogni preghiera insiste
particolarmente sull'uno o l'altro di questi aspetti, ma tutte associa-
no la consolazione dell'anima a quella del corpo, e legano la guarigio-
ne spirituale a quella fisica, sottolineando, senza sottovalutare il valo-
re di questa, l'importanza più fondamentale di quella.
Segue, allora, l'unzione che accompagna questa preghiera: «Padre
santo, medico delle anime e dei corpi, che hai inviato il tuo Figlio uni-
genito Nostro Signore Gesù Cristo per guarire ogni male e liberare
dalla morte, guarisci così il tuo servo N ... dalla sua debolezza sia del
corpo che dello spirito, per la grazia del tuo Cristo, e conserva la vita
a quest'uomo [. ..],perché tu sei la fonte delle guarigioni, o Dio no-
stro».
·Poi, i sette sacerdoti procedono insieme all'imposizione del santo
Vangelo aperto sul capo del malato recitando una preghiera peniten-
ziale con la quale essi chiedono a Dio la remissione dei peccati. Tut-
to l'ufficio è, del resto, segnato da un forte carattere penitenziale,
che si spiega innanzitutto con il fatto che il sacramento ha per scopo
non solo la guarigione delle malattie fisiche, ma anche, come abbiamo
sottolineato, la guarigione delle malattie spirituali e il perdono dei pec-
cati, conformemente alla prescrizione di san Giacomo e al duplice si-
gnificato del verbo sifzein che egli usa: <<La preghiera della fede gua-
rirà/salverà il malato e il Signore lo risolleverà: e se egli ha commesso
dei peccati, gli saranno perdonati>>.
III
1. La volontà di guarire
318
lontà dell'uomo è, dunque, un ausiliario legato alla sua sostanza.
Senza questa volontà, Dio stesso non fa nulla, benché lo possa, per ri-
spetto del libero arbitrio dell'uomo. L'efficacia dell'intervento di Dio
dipende, dunque, dalla volontà dell'uomo»4 • In altre parole, benché
la guarigione e la salute abbiano la loro unica fonte nel Cristo e a noi
siano concesse solo nella Chiesa e dallo Spirito Santo, questo suppo-
ne il consenso e anche la collaborazione attiva dell'uomo. Ciò esige,
come afferma san Macario il Grande, che l'uomo «ponga 1a propria
volontà in accordo con la grazia»5 • Questo deve avvenire in una si-
nergia tra la grazia divina e lo sforzo umana6. San Macario afferma che,
se l'anima «non collabora con la grazia dello Spirito che abita in es-
sa, allora è spogliata vergognosamente e ignominiosamente della sua
dignità e privata della vita, poiché è divenuta [. .. ] inadatta alla comu-
nione con il re celeste»7 • In tutti i sacramenti, e singolarmente nel bat-
tesimo, Dio dona all'uomo la sua grazia senza alcuna restrizione. È
compito dell'uomo, però, non solo conservarla, ma anche appro-
priarsene, assimilarla e farla fruttificare in lui aprendosi ad essa, la-
sciandosi penetrare e trasformare da essa, sottomettendovisi, nel
porre tutto il suo essere e tutta la sua esistenza in accordo con essa8 •
A proposito del battesimo, san Diadoco di Foticea osserva: <<Noi sia-
mo rigenerati per mezzo dell'acqua [... ], dopo che siamo purificati nel-
raruma e nel corpo, almeno coloro che vanno verso Dio, con tutta la
volontà.>>9•
L'uomo, da una parte, deve sforzarsi di conservare la grazia ricevu-
ta. A tale riguardo così scrive san Nicola Cabasilas: «La comunicazio-
ne di questa vita dipende in origine esclusivamente dalla potema del
Cristo; ma conservare questa vita una volta trasmessa, e mantenersi vi-
vi, richiede anche la nostra cooperazione. Occorre, qui, il concorso
umano e lo sforzo personale per mantenere intatta, e conservare la gra-
zia»10. Questo non significa che la grazia battesimale possa essere tol-
zione teologica e ascetica ortodossa, vedi: V. LOSSKY, Théologie myistique de l'Église d'Orient,
Paris 1944, pp. 194-196. M. LOT-BoRODINE, La déi/ication de l'homme, Paris 1970, pp. 216-222.
Il t=ine stesso di <<Sinergia>> è frequentemente usato dai Padri, in particolare da san Macario
d'Egitto, da san Marco l'Eremita e da san Nicola Cabasilas.
7 Omelie (Coli. Il), XV, 2.
8 Cfr. NICOLA CABASILAS, Li vita in Cristo, I, 16. MACARIO D'EGrrro, Omelie (Coli. Il), IX, 7.
9 Cento capitoli gnostici, 78.
10 Ui vita in Cristo, VI, 1. ·
319
ta all'uomo: essa è inerente a colui che l'ha ricevuta qualunque cosa
egli divenga, come sottolinea in particolare san Serafino di Sarov1 1• Ma
l'uomo può perderla. È così che san Macario il Grande spiega: «Cosa
significa dunque questa parola: "Non spegnete lo Spirito" (lTs 5,19)?
Tale Spirito è inestinguibile e luminoso; ma sei tu che sei spento in rap-
porto allo Spirito quando la tua volontà è negligente e quando non sei
in accordo con hri>>12 •
D'altra parte, l'uomo deve sforzarsi di sviluppare la grazia. Ciò non
significa che la grazia sia stata data in maniera limitata, che gli sia stata
data solo parzialmente. Al momento del battesimo, l'uomo riceve la.
pienezza della grazia13 • Ma gli resta il compito di sviluppare se stess9_
in conformità con essa, in essa e per mezzo di essa. Ecco perché san
Gregorio di Nissa fa notare che «la trasformazione della nostra vita
operata dalla rigenerazione non può essere una trasformazione se nul-
la cambia nella nostra vita» 14 ; arriva persino a dire che, «se la vita
che segue l'iniziazione non è diversa da quella che l'ha preceduta>>, se
in tutto il nostro essere e in tutta la nostra vita non ci sforziamo di
essere conformi all'immagine di Dio restaurata in noi, <<l'acqua [del
battesimo], in questo caso, non è che acqna>>15 •
In altre parole, ciò che l'uomo è potenzialmente nella sua natura
per grazia, deve anche divenirlo personalmente e nelle azioni per la
sua volontà libera in tutto l'essere e in tutta la vita, perché, awerte san
Gregorio di Nissa: <<Ciò che non siete divenuti, non lo sarete>>16• Quan-
to a san Diadoco di Foticea, egli precisa che il primo dei beni concessi
dalla grazia del battesimo è quello della restaurazione immediata
dell'immagine di Dio, il secondo bene, quello della somiglianza a Dio,
«per prodursi attende il nostro concorso»17 •
San Marco l'Eremita è, senza dubbio, fra i Padri quello che hà
sottolineato più precisamente e più fortemente tutto questo, in parti-
colare nel suo trattato sul battesimo18 • Egli insiste sul fatto che <<il san-
PG 90, 280CD.
17Cento capitoli gnostici, 89.
18Ricordiamo che san Marco l'Eremita, come del resto tutti i Padri, per «battesimo» inten-
dono generalmente l'insieme che costituisce sia il battesimo che la crismazione.
320
to battesimo è perfetto»19: l'uomo vi riceve la grazia perfetta dallo Spi-
rito20, quella della completa purificazione2 1, della totale liberazione22 ,
della piena santificazione23 • Se dopo essere stati battezzati continuia-
mo a peccare, a vivere nelle passioni, a subire gli effetti del male, ad
e.ssere malati spiritualmente, questo non è per nulla imputabile al
fatto che noi continuiamo a subire le conseguenze del peccato origi-
nale, poiché ne siamo)~ati lavati, né al fatto che ci sarebbe imposto
dal diavolo, poiché si~d stati liberati dalla sua tirannia. Questo è do-
vuto solo alla nostra i:iegJigenza, alla nostra responsabilità. La grazia
èhe abbiamo ricevuto è perfetta, siamo noi che ci dimostriamo im-
perfetti relativamente ad essa24 . La grazia che possediamo in pienez-
za non si svela e non manifesta la sua ~ione se non nella misura del-
la nostra fede, della nostra speranza, e ui modo generale della nostra
. osservanza dei comandamenti25 • Al momento del battesimo, Dio ci ha
dato la pienezza della sua grazia: questa rimane in noi, ma non s'im-
pOne. Rispettoso della nostra libertà, Dio non ci forza a riceverne gli
effetti26 . L'uomo è perfettamente purificato dal battesimo, ma rimane
·libero di peccare e, se pecca, si sporca come prima27 . Gli è, dunque,
necessario lottare per non tornare indietro e non ricadere nei peccati
.e nelle passioni28• Ogni errore compiuto dopo il battesimo non è do-
wto all'imperfezione di questo, ma alla mancanza di fede e alla ne-
gligenia nel vivere i comandamenti29 . Dobbiamo accusare noi stessi
delle nostre colpe e non Adamo né Satana, perché siamo stati, per il
battesimo, completamente liberati dalla tendenza al male ereditato dal
peccato originale3° e da ogni timore tirannico esercitato dal diavolo31 .
Disponiamo di piena libertà, e le colpe che commettiamo dopo il bat-
tesimo sono dovute solo al cattivo uso di tale libertà32. Dopo il batte-
simo, continuiamo ad essere tentatr3, non possiamo impedire ciò, per-
19 Il battesimo, 2.
20 Ibid., 15; 16; 17; 30; Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 85.
21 Cfr. Il battesimo, 4.
22 Ibid., 8; 13; 15.
13 Cfr. ibid., 15.
24 CTr. ibid., 16.
25 Cfr. ibid.
26 Cfr. ibid., 4; 22.
v La penitenza, 12.
28 Cfr. Il battesimo, 7.
29 Cfr. ibid., 4; 11.
'° Cfr. ibid., 9; 11.
n Cfr. ibid., 4; 13; 22.
32 Cfr. ibid., 5; 6; 8; 14.
321
ché la tentazione viene dal diavolo: in questo non abbiamo quindi al-
cuna responsabilità34 , ma spetta a noi respingere le suggestioni del ma-
le. Siamo totalmente liberi di fronte alla tentazione3 5, il battesimo ci ha
dato il potere di resistere vittoriosamente al tentatore3 6• Nulla di quan-
to non accettiamo può colpirci e rimanere in noi.37 • Se cediamo alle ten-
tazioni, è perché le vogliamo proprio, e questo in tutta libertà.
Il peccato torna ad agire in noi solo perché ci siamo messi ad amar-
lo38. Ciò è dovuto alla nostra negligenza39 • L'attività del male che per-
siste in noi ha due cause: l'abbandono dei comandamenti e le cattive
azioni commesse volontariamente dopo il battesimo40 • Evitare il male
totalmente è, dunque, possibile per la grazia del battesimo, è persino
anche acquisito, ma la conservazione della purezza che ci è stata data
richiede, in un atteggiamento di fede e di speranza, la resistenza alle-
tentazioni e la pratica attiva dei comandamenti.
Parimenti, la manifestazione della grazia santificante e deificante,
che ci è stata data in pienezza ma misticamente (mystikos) nel batte-
simo, richiede anche il nostro sforzo. Essa non si svela né si rivela ef-
fettivamente (energos), né fa sentire i suoi effetti, se non nella misura
della nostra fede41 , della nostra speranza42 , e della nostra pratica dei
comandamenti43 • È così che se questa grazia non può crescere in noi
- perché è perfetta e non le manca nulla che potrebbe esserle ag-
giunto dai nostri sforzi-, noi possiamo crescere in essa44 • Le virtù che
potremo acquisire non saranno che lo svelamento progressivo di qµe~
sta grazia battesimale, relativamente alla pratica dei comandamenti45 •
322
sa non agisce automaticamente e in qualche modo magicamente. Dio,
non forza mai l'uomo, e l'azione del sacramento è relativa alle dispo-
sizioni spirituali di colui che lo riceve: il sacramento possiede di per sé
un potere, ma questo non viene esercitato se il comunicando non è di-
sposto a riceverlo come conviene. Le preghiere che precedono46 la co-
mlinione sottolineano anche che «colui che si comunica indegnamen-
te mangia e beve la propria condanna». E le stesse preghiere, così
come quelle che seguono la comunione, invitano il cristiano ad aprir-
si çon tutto il suo essere a Colui che riceve e a mostrarsi pienamente
àccogliente di fronte alla sua azione terapeutica e santificante, ad
agire in modo da assimilare il dono ricevuto. Come la grazia battesi-
male, così la grazia eucaristica è data in pienezza a tutti i comunican-
di, ma si manifesta in essi diversamente, proporzionatamente alla qua-
lità della loro disposizione e alla pratica dei comandamenti47 • Ciò spie-
ga, come osserva san Nicola Cabasilas, «che ci sono alcuni che con-
servario i segni della malattia e le cicatrici delle vecchie ferite se non
se ne sono sufficientemente preoccupati di curarle e se la loro prepa-
razione non è stata in relazione con l'energia del rimedio»48 •
Le stesse osservazioni possono applicarsi a tutti gli altri sacramen-
ti. San Massimo scrive in modo generale: «Ognuno di noi possiede l' e-
nergia manifesta dello Spirito in proporzione alla fede che è in lui. Co-
sì, ciascuno è l'amministratore della propria grazia>>49• Possiamo, dun-
que, dire con san Giovanni Crisostomo: «Dopo la grazia di Dio, tutto
dipende da noi e dalla nostra applicazione»50 •
46 Cfr. E. MERCENIER, La prière des Églises de rite byzantin, t. I, Chevetogne 1937, pp. 299-320.
" Cfr. MAssIMO IL CONFF.SSORE, Centurie sulla teologia e sull'economia, Il, 56.
48 La vita in Cristo, rv, 55.
49 Questioni a Talassio, 54, PG 90, 516D.
"' Catechesi battesimale, V, 24.
51 Commento a san Matteo, XXVIII, 4.
323
cure>>52 • Così è indispensabile, in primo luogo, che l'uomo non rifiuti
di considerare il suo stato, di vedere le sue malattie e, se egli ne pren-
de coscienza, non rifiuti o almeno non trascuri di far appello a colui
che può porvi rimedio. «A coloro che cercano sinceramente il rime-
dio, scrive san Giovanni Cassiano, la guarigione non può mancare di
venire da parte del vero medico delle anime, a quelli soprattutto che
non chiudono gli occhi sulle loro malattie, per scoraggiamento o tra-
scuratezza ma, lungi dal nascondere le ferite o respingere insolente-
mente il trattamento [. ..], ricorrono con animo umile e vigilante al me-
dico celeste, per le malattie che l'ignoranza, l'errore e una cattiva ne-
cessità ha fatto loro contrarre»53 •
Nessun male è incurabile per il Medico celeste; basta che l'uomo si
rivolga a lui e si rimetta a lui in tutta fiducia perché ne sia liberato. <<Le
tue ferite non superano la bravura del medico. Dona solo te stesso con
fede, di' il tuo male al medico», raccomanda san Cirillo di Gerusa-
lemme54. San Basilio scrive la stessa éosa: <<ll grande Medico delle ani-
me è pronto a guarire il tuo male [ ... ]. Se tu doni te stesso, egli non
esiterà»55 • Anche san Macario ricorda questa condizione minima del-
la guarigione, che è quella di fare appello al medico: «Se [il] cieco non
avesse gridato, se l'emorroissa non si fosse avvicinata al Signore, essi
non sarebbero stati guariri>>56 • E sottolinea che ogni uomo, anche il più
indebolito dalla malattia, è in grado quanto meno di adempiere que-
sta condizione: «Se si è colpiti da una malattia o dalla febbre, ecco che
il corpo è steso sul letto, senza poter fare nessun lavoro di questa ter-
ra; ma nello stesso tempo, la lingua parla di questo lavoro, e lo spiri-
to non rimane in riposo: [ ... ] egli si mette alla ricerca del medico e
invia i suoi amici a cercarlo. Allo stesso modo, dopo la trasgressione
del comandamento, l'anima è caduta nell_a malattia delle passioni; è ri-
masta senza alcun vigore. Ma se si avvicina al Signore, se crede di
poter ottenere l'aiuto e rinnega la sua prima e detestabile vita, anche
se l'anima giace nella malattia del peccato senza poter compiere le ope-
re della vita in verità, conserva sempre il potere di preoccuparsi della
vita, di supplicare il Signore, di cercare il vero medico»57 •
Si tratta, tutto sommato, di un modo di procedere poco costoso che
324
in partenza deve fare colui che desidera essere guarito58 • San Gio-
vanni Crisostomo sottolinea che il semplice desiderio di guarire e il so-
lo atto della nostra volontà sono sufficienti per ottenere dal Cristo la
salvezza dell'anima: questo dovrebbe spingerci a occuparci di risanarla,
mentre siamo portati piuttosto a dare tq.tte le cure al corpo, le cui ma-
lattie sono pertanto meno gravi spiritualmente e la cui terapia implica
molte più preoccupazioni: <<Non è sempre facile guarire i mali del cor-
po, ma si può sempre facilmente rimediare ai mali dell'anima. Per le
infermità del corpo, occorrono dei rimedi e del denaro, ma la guari-
gione dell'anima non esige né pratiche né spese. Quale fatica per chiu-
dere le doloranti piaghe della carne [ ... ]. Per lanima, niente di tutto
questo; basta volerlo, basta desiderarlo, e tutto rientra in ordine [ ... ].
Il Signore ha voluto che potessimo guarire facilmente questa parte di
noi stessi, la più preziosa, la più necessaria, senza spesa, senza dolore
[. ..]. Quando si tratta del corpo, non si bada al risparmio: si spendo-
no soldi, si chiamano i medici, si sopportano le più crudeli sofferen-
ze, e tuttavia le infermità non hanno nulla di spiacevole. Al contra-
rio, noi disprezziamo l'anima, e questo avviene anche se non c'è bi-
sogno di denaro, anche se non dobbiamo turbare il riposo di nessuno,
anche se non vi è alcun dolore da sopportare; sarebbe invece suffi-
ciente una risoluzione, un atto di volontà per rendere all'anima tutta
la sua salute»59 •
La volontà di guarire, tuttavia, deve manifestarsi non solo quando
si tratta di chiamare il medico, ma anche quando si tratta di applicare
i rimedi che egli raccomanda. «Se colui che è malato va a trovare il me-
dico, occorre che osservi le prescrizioni del medico», fa notare san Bar-
sanufio60, che osserva anche: «Chiunque va dal medico e non si confor-
ma esattamente a quanto gli ha ordinato, non può essere liberato dal
suo male»61 • San Giovanni Crisostomo insiste ugualmente sulla ne-
cessità per il malato di collaborare con il medico e di favorire l'azione
dei suoi rimedi; e, nel caso di malattie spirituali, insiste di essere con
il Cristo e di voler con tutto il proprio essere ciò che egli vuole in vi-
sta della nostra guarigione: «Distinguiamo queste tre cose quando si
tratta di guarire il corpo, o piuttosto ne distinguiamo quattro o cin-
que: il medico, la sua arte, il malato, la malattia, la virtù dei rimedi;
325
dall'opposizione di queste cose risulta una specie di combattimento;
se il medico, la medicina, i rimedi hanno come ausilio la volontà del
malato, essi trionfano sulla malattia. Se, al contrario, il malato rifiuta
di farsi curare, si consegna da se stesso alla malattia; talvolta, parteg-
gia persino per essa contro il medico, i rimedi e la medicina, e allora
egli si uccide. La stessa cosa avviene nel caso presente; o piuttosto, è
qualcosa di ben più straordinario [. .. ]. Quando il medico è Dio, per
poco che state con lui, la piaga è infallibilmente guarita>>62 • Dunque,
«Se il nostro grande e celeste medico ci ha dato i rimedi[. .. ], dove tro-
vare la causa della nostra perdita, se non nell'infermità della nostra vo-
lontà?», si domanda san Barsanufio63 •
L'uomo manifesta la sua volontà di guarire e concorre personal-
mente alla terapia divina particolarmente con cinque atteggiamenti
spirituali fondamentali che condizionano la sua vita in Cristo, gli
permettono di ricevere, di assimilare e di far fruttificare la grazia te-
rapeutica e salvifica conferita dallo Spirito nei sacramenti della Chie-
sa: questi sono la fede, il pentimento, la preghiera, la speranza, e
l'osservanza dei comandamenti.
La fede appare come l'inizio della vita nuova che l'uomo è chiamato
a condurre in Dio. Essa è il motore potentissimo di cui l'uomo dispo~,
ne per condurla64 •
Abbiamo visto che la fede è un atteggiamento di cui il battezzato
deve dar prova perché egli possa conservare la grazia che ha ricevuto,
e perché questa si manifesti effettivamente in l-µi. 65 •
Per colui che non è stato battezzato o, che, dopo esserlo stato, è
ricaduto nella malattia, la fede è la condizione primaria della guari-
gione. L'uomo malato non solo deve volgersi verso il Cristo, ma deve
anche avere fede in lui. Per mezzo della fede, egli lo riconosce come
il solo terapeuta capace di dare rimedi veri e propri ai suoi mali, de-
ve aver fede nella sua chiamata, e avere la certezza di ricevere dal Cri~
sto la guarigione e la salvezza.
62 Commento al Salmo 6, 3.
63 Lettere, 61.
64 Cfr. NICETA STETATOS, Centurie, I, 30.
65 Cfr. MARCO L'EREMITA, Il battesimo, 15; 30.
326
Tale atteggiamento suppone in partenza uno sforzo dell'uomo de-
caduto per superare lo stato di negligenza, persino d'indifferenza, ri-
guardo alla sua. condizione di decadimento e alle malattie spirituali,
come pure per vincere le resistenze che le passioni oppongono alla gra-
zia terapeutica e salvifica di Dio. Sant'Agostino ci rivela che vi sono
resistenze al Dio medico tali da impedire all'uomo di essere liberato
dai mali che lo hanno colpito prima della conversione: «La mia anima
malata che non poteva trovare la guarigione se non nella fede, si ri-
fiutava di guarire: essa resisteva alle tue mani, o mio Dio»66•
Orientando nella fede il desiderio e la volontà verso il Cristo, l'uo-
mo restituisce alla prima il suo «oggetto>> naturale e alla seconda la sua
normale finalità. Nell'atto stesso della fede avviene la guarigione del-
le sue facoltà che il peccato aveva reso malate pervertendone l'uso.
La fede, tuttavia, benché implichi permanentemente il desiderio e
soprattutto la volontà67 - al punto tale che la si può definire come un
«consenso volontario dell'anima»68 - , è correlativamente anche co-
noscenza. Essa è, scrive san Paolo, «garanzia delle cose sperate, pro-
va per le realtà che non si vedono» (Eb 11,1). Essa è una certa cono-
scenza anticipata e indiretta delle realtà spirituali, secondo il modo che
si addice loro, prima che avvenga la conoscenza/esperienza diretta69 ,
che ne sarà il frutto 70 quando la crescita del credente giungerà al suo
termine. È la conoscenza che l'uomo acquisisce per mezzo dell'ade-
sione volontaria dell'intelligenza e di tutte le sue facoltà alla verità ri-
velata dallo Spirito Santo agli uomini, per mezzo della parola del
Cristo, per la testimonianza degli apostoli, dei profeti, dei santi71 •
Nella misura in cui la fede orienta l'uomo verso Dio e l'unisce a lui,
lo libera e lo preserva dall'attaccamento patologico a se stesso, cioè
dalla filautia72 •
.. Ma è soprattutto nella conoscenza, che essil costituisce e che a un
tempo conferisce all'uomo, che appare la sua funzione terapeutica: co-
me l'ignoranza è per l'uomo la causa prima della sua caduta e delle sue
malattie, così la conoscenza che egli acquista nella fede è il principio
della sua guarigione. La fede lo guarisce da ciò che san Giovanni Car-
66 Confessioni, VI, 4.
67 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, III, 83.
68 TEODORETO DI CIRO, Terapie delle malattie elleniche, I, 91.
69 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia su: «Perché abbiamo uno stesso spirito di fede>>, I, 4.
TEODORETO DI CIRO, loc. cit., 92; 94; 116.
70 Cfr. Gv 11,40. MAsSTh10 IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 25.
71 Cfr. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, II, 79.
72 Cfr. NICETA STETATOS, Centurie, !, 28.
327
pazio chiama <<la malattia dell'incredulità>/3 • Essendosi ammalato per
aver ignorato Dio, l'uomo ritrovala salute nel riconoscerlo per mezzo
della fede. <<La conoscenza di Dio basta alla salute dell'anima>>, inse~,
gna uno dei Padri74 , e san Giustino scrive nello stesso senso: «Come il
bene del corpo è la salute, così il bene dell'anima è la conoscenza di
Dio»75 • Se l'uomo, dopo essere stato nell'ignoranza e nell'errore, «gui-
dato dalla fede nel Signore vede il modo di riconoscere l'unico vero
Dio, non ritrova già la guarigione e la salute?», si domanda da parte
sua san Pacomio76 •
Togliendo dallo spirito dell'uomo uno dei principali veli che gli im-
pediscono di vedere77 , la fede in una certa misura lo libera dall'igno-
ranza, e, in ogni caso, da ogni conoscenza erronea riguardante Dio.
se essa stessa è autentica78• Con la fede, come osserva anche Teodo-
reto di Ciro, vengono eliminate tutte le false conoscenze che erano nel-
1'anima e vi costituivano un vero focolaio d'infezione per far posto al-
la conoscenza divina79 • Attraverso la fede, tutte le facoltà intellettive
dell'uomo sono, dunque, purificate, sanate, e rese alla sapienza che te-
stimonia il loro funzionamento normale. Così Teodoreto di Ciro no-
ta che, per il suo insegnamento, il Signore «rese piene di sapienza le·
persone che un tempo erano squilibrate e folli»80 •
Conoscendo per fede Colui che è la verità (dr. Gv 14,6), l'uomo ri-
trova la sua vera libertà (cfr. Gv 8,32). Conoscendo di nuovo Dio, egli
ritrova la vera conoscenza di sé; riconosce «di chi egli è figlio»81 e «qual·
è la sua natura>>82 • Egli si riconosce come immagine di Dio destinata
ad acquistare la sua somiglianza. Riconosce la dimensione spirituale
della quale era stato amputato il suo essere a causa del peccato, e in
essa, la sua umanità integrale.
Per la fede, percepisce il veto significato della sua esistenza. Allo-'
ra è libero dalle illusioni e dai modi di procedere che l'ignoranza
della vita generava, come dal sentimento di assurdità, dall'angocia83 ,
328
persino dalla disperazione di cui l'uomo, di conseguenza, poteva ri-
sentire. Egli <<lascia i flutti di una vita instabile e mutevole per entrare
nella vita immutabile»84 e allora trova la pace85 , la stabilità, condizioni
primordiali della sua salute. Sottomesso al dubbio, l'uomo non pote-
va che rimanere sottoposto alla malattia. Colui che «è esitante nella fe-
de, il male, proprio per questo trionfa su di lui», scrive san Barsanu-
fi.086. La fede pone fine al dubbio, all'incertezza, alle esitazioni, alle ir-
resolutezze patologiche che rendono l'uomo «simile a un'onda del
mare spinta e sbattuta dal vento», «instabile in tutte le sue vie» (Gc
1,6.8). Quando essa è forte, profonda, intera, totale, compiuta, gua-
risce l'anima dalla dipsichia, malattia questa che colpisce coloro che,
essendo la loro fede imperfetta, rimangono divisi nelle loro intenzio-
ni e azioni, conservano l'anima divisa tra Dio e il mondo, a meno che
non si diano subito, completamente e con piena fiducia al Cristc87 •
329
Poiché la fede insegna all'uomo la conoscenza non solo di sé ma an-
che di ogni cosa, essa diviene per lui una guida sicura88 • Lo sostiene in
tutto e gli permette in ogni circostanza di orientarsi rettamente89 , di
evitare ogni smarrimento, «di non essere trascinato da tutti i venti
secondo la sorte aleatoria degli uomini non consolidati nella fede 90».
Essa è, dicono i Pa:dri con insistenza, «un appiglio solido e un porto
sicuro»91 • È una corazza (dr. lTs 5,8) che protegge l'uomo e lo rende
forte. Grazie ad essa, egli può superare gli ostacoli più difficili, fino a
«spostare le montagne» (cfr. Mt 17,20; 21,l; lCor 13,2). A colui che
la possiede, «nulla sarà impossibile» (Mt 17,20). <<Essa non permette
che la nostra anima sia oppressa da nessun male presente e allevia le
sue miserie con la speranza del futuro», osserva san Giovanni Criso-
stomo92. «Con essa, egli dice ancora, la sfortuna più grande non ci farà
precipitare nella disperazione»93 . Proprio come san Giovanni Criso-
stomo, san Barsanufio94 , sant'Isacco il Siro 95 , san Pietro Damasce-
no96, sottolineano questo potere che la fede ha di suscitare la speranza.
Mentre le facoltà dell'uomo erano state divise e disperse dal pec-
cato, la fede, nell'orientarle verso il Cristo come verso un polo unico
e unendo tutto l'essere dell'uomo - e non solo il suo desiderio, la sua
volontà e la sua intelligenza - alla sua Persona, riunifica I' anima e la
ristruttura. Grazie all' «energica tensione del suo volere verso l'Uno,
tutto quanto era nell'uomo disordine si riordina>>97 . Tutte le facoltà ri-
trovano in Dio, al quale l'uomo si unisce per la fede, la loro normale
finalità e la loro salute, che si esercitano nell'armonia e nella pace, il-
luminandosi in conformità alla loro natura.
Mentre l'uomo a causa del peccato era morto, a causa della fede egli
rivive (cfr. Gv 3,15.36; 8,24; 11,25-26; 17,3; Rm 1,17; Eb 10,38) una
vita che non avrà fine, la vita vera che il Cristo ha restituito all'urna-
stamento della dipsichia alla schizofrenia, per seducente che sia a prima vista, non potrà mai su-
perare il quadro di una prossimità etimologica - dipsychia letteralmente significa: «anima dop-
pia>>, e schizofrenia: «anima divisa>> o «cuore diviso» -, perché la cesura di cui si tratta nell'u-
no e nell'altro caso si situa su piani radicalmente diversi, benché si possa parlare nei due casi
di <<Personalità divisa>>.
88 GIOVANNI CRISOSTòMO, Commento al Salmo 115.
89 GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, rv,
11.
90 GIOVANNI CRISOSTOMO, Gmelie su queste parole: <<Sappiate che negli ultimi giorni...».
91 Ibid.
92 Omelia su: «Abbiamo uno stesso spirito di fede», I, 4.
93 Commento al Salmo 115, 3.
94 Lettere, 23 l.
95 Discorsi ascetici, 22; 33; 58.
% Libro, I.
"'DIONIGI .è AREOPAGITA, La gerarchia ecclesiastica, Il, ID, 8, PG 3, 404C.
330
nità e che è data dallo Spirito. L'angoscia della morte cessa allora di
stringerlo e di paralizzarlo. Cessa di essere un <<morto vivente» per di-
venire vivo per l'eternità. Per la fede, l'uomo vecchio lascia il posto al-
l'uomo nuovo nato da Dio (cfr. lGv 5,1).
La fede è, per l'uomo, la condizione e la porta della salvezza98 , per-
ché è per essa che egli aderisce con tutto il suo essere ali' opera salvi-
fica del Cristo, si unisce alla sua persona, si apre alla sua grazia e ne
diviene collaboratore. Così è per questa fede e proporzionatamente ad
essa99 che l'uomo malato riceve dal Cristo il perdono dei peccati, la
guarigione da tutte le sue malattie e la vera salute100. A colui che ha fe-
de in lui, Cristo concede la guarigione delle malattie del corpo e del-
1'anima. «Se si ha fede in colui che è venuto a guarire nella folla ogni
malattia e ogni infermità, egli è capace di guarire non solo le malattie
fisiche, ma anche quelle dell'uomo interiore», scrive san Barsanufio101 .
Si comprende, ora, perché la fede appaia come uno dei «legami del-
la salute e della salvezza>>, così èome sottolinea Clemente d'Alessan-
dria102, mentre molti altri Padri affermano in termini inequivocabili la
sua funzione e il suo valore terapeutico. Tertulliano la considera l' an-
tidoto per eccellenza103 . Sant' Agostino, confessando i peccati della sua
vita passata, riconosceva: «Potevo essere guarito solo Glfedendo»104 , e
osserva che Dio «ha preparato il rimedio della fede e lo ha prodigato
alle malattie della terra conferendogli una potente efficacia.>> 105 . Teo-
doreto di Ciro fa notare nello stesso senso che <<Dio viene in aiuto a
coloro che desiderano farsi curare donando loro la fede» 106. Origene
sottolinea che già i beati profeti «toccavano il Verbo attraverso la fe-
de, cosicché da lui giungeva loro una emanazione per guarirli>>107. E
san Barsanufio constata che <<la nostra fede perfetta si riflette nella gua-
rigione»1os.
98 Cfr. Mc 5,34; 10,52; Lc7,50; 8,12; 8,48; 8,50; 17,19; 18,42; Rm 3,22; 3,25-28; 3,30; Gal
331
grande distanza tra le sue prime manifestazioni e il suo compimento,
tra lo sforzo per credere a ciò che non si vede e il senso di totale cer-
tezza109, e ancor più tra la prima adesione alla parola di Dio in cui si
trova una conoscenza esteriore e molto parziale, e la visione di Dio che
i Padri assimilano così alla fede posseduta nella sua perfezione110 : Tra
questi due estremi, vi sono tutti i gradi dell'adesione esistenziale a Dio
che si raggiunge con la pratica dei comandamenti, che dipende an-
ch'essa dalla fede, e fonda altresì l'unica vera fedem.
Colui che crede, ma rimane malato spiritualmente, è colui che non
ha che una fede nuda, cioè senza la pratica dei comandamenti. Una ta-
le fede, infatti, non è sufficiente per ricevere da Dio la guarigione, co-
me sottolinea san Macario: «Chiunque non s'avvicina al Signore e non
lo supplica con la piena certezza della fede non ottiene la guarigione.
Perché in realtà, mentre [il cieco e l'emorroissa] sono stati guariti su-
bito grazie alla loro fede, noi non siamo ancora divenuti veramente ve-
denti e non siamo ancora stati guariti dalle nostre passioni segrete? [. ..]
È a causa della nostra mancanza di fede, a causa dell'esitazione, per-
ché non amiamo [il Signore] con tutto il cuore e non crediamo vera-
mente in lui, che non abbiamo ancora ottenuto la guarigione spiri-
tuale e la salvezza. Crediamo dunque in lui, avviciniamoci veramente
a lui, affinché egli operi rapidamente in noi la vera guarigione» 112 •
332
nostra autonomia e il nostro libero arbitrio, però, non sono affatto sop-
pressi. <<Dopo il battesimo, né Dio, né Satana possono fare violenza
alla volontà» 115 • Liberi di fare il bene conformemente alla grazia che
abbiamo ricevuto, lo siamo anche per il maleli6 • Infatti, come spiega
san Nicola Cabasilas, <<la virtù del battesimo non esercita pressioni sul-
la nostra volontà, e non la soggioga; essa non impedisce di essere
cattivi persino a coloro che sono sotto il suo influsso; anche l'occhio
sano non vi può nulla quando il soggetto vuole rimanere nelle tene-
bre»117.
. Come aveva creato Adamo libero e gli aveva permesso di subire la
tentazione del serpente, così Dio lascia libero il neobattezzato e au-
torizza i demoni a tentarlo, affinché non venga salvato contro la sua
volontà, ma possa manifestare, nel resistere alle tentazioni, tutta la
realtà della sua volontà di guarire in Cristo e il grado del suo attacca-
mento a Dio 118 , affinché sia un libero collaboratore della sua guari-
gione, della sua salvezza, e della sua deificazione, e si appropri per-
sonalmente e volontariamente i doni ricevuti.
.Se l'uomo si sforzasse con tutte le sue forze di conservare e assi-
milare la grazia conferita nei sacramenti senza mai allontanarsi da que-
sta via, rimarrebbe nello stato di salute e di purezza che il battesimo
ha ridato alla sua natura 119 • I Padri fanno notare che non è impossi-
bile a priori per l'uomo condurre una vita immune da peccato e fe-
dele a tutti i comandamenti del Cristo 120 , ma che di fatto ben pochi
battezzati sono stati realmente coscienti di tutta la grazia che hanno
ricevuto. San Simeone a proposito del battesimo scrive: <<Non tutti ab-
biamo riconosciuto la grazia, l'illuminazione, la partecipazione, persi-
no il semplice fatto di una simile nascita! No, ve ne sarà uno su mille
oppure su diecimila che lo abbia riconosciuto nella contemplazione
misteriosa, mentre gli altri, tutti, sono dei bambini nati morti che igno-
rano colui che li ha messi al mondo»121 • E san Nicola Cabasilas osser-
va ugualmente a proposito della crismazione: «Ciò che la crismazione
procura tutti i giorni ai cristiani e in ogni tempo, sono i doni, così uri-
115 Ibid., 4.
116 Cfr. ibid., 6; 14. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 78. DOROTEO DI GAZA, Istru-
zioni spirituali, I, 5. SIMEONE IL Nuovo TEOLOG,O, Capitoli teologici, gnostici e pratici, ill, 89.
117 La vita in Cristo, Il, 60.
118 Cfr. MARco L'EREMITA, Il battesimo, 6; 13.
119 Cfr. ibid.
uo Cfr. ibid.; Sulla penitenza, X. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, X, 211-234. NI-
COLA CABASILAS, La vita in Cristo, VI, 4-5.
121 Inni, L, 157 -163.
333
li alle anime, della pietà, della preghiera, della carità, della purezza, e
altri doni, benché questo sfugga a molti fedeli, benché essi ignorino
l'efficacia di questo sacramento, benché, secondo l'espressione degli
Atti (19,2), essi non dubitino neanche che esista uno Spirito Santo,
non essendosi resi conto della ricezione dei doni»122 •
Così, se gli effetti dei sacramenti non si fanno sentire in coloro
che li hanno ricevuti, se questi non hanno trovato in loro la salute che
i sacramenti concedono ma rimangono colpiti da malattie diverse, ciò·
avviene perché essi non hanno avuto a riguardo le disposizioni spiri-
tuali necessarie ad assimilare la grazià che questi trasmettono, perché
non si sono preparati sufficientemente a riceverla o non hanno mo"·
strato lo zelo necessario per conservarla, non si sono conservati nello
stato di purezza e di salute in cui erano stati posti, hanno ceduto vo-
lontariamente alle suggestioni diaboliche e sono, con piacere, ritorna-
ti al peccata123 • Tutto questo è accaduto perché si sono mostrati in tut".
to e per tutto negligenti nella pratica dei comandamenti124 , l'unica che
permette alla grazia ricevuta misticamente col battesimo di manife-
stare i suoi effetti.. È questo un tema costante dell'insegnamento di san
Marco l'Eremita, che scrive in particolare: «La purificazione operata
dal battesimo, realizzata misticamente, si rivela efficace per mezzo del"
la pratica dei comandamenti[. .. ]. Noi siamo dominati dal peccato a
causa della nostra negligenza verso i comandamenti di colui che ci
ha purificari>>125 ; coloro che sono sottomessi alle passioni «sono sta)i
liberati dal Cristo, ma essi stessi si sono asserviti ai vizi nel trascurare
di compiere tutti i comandamenti, e così si sono resi di nuovo dipen-
denti da essi» 126 •
Affinché l'uomo non ignori per sempre la grazia del battesimo e
non perda per sempre la purezza, la salute e tutti i doni ricevuti in que:
sto sacramento, ma al contrario possa ritrovarla, Dio ha offerto al pec-
catore il rimedio della penitenza (metanoia). Come spiega san Gio-
vanni Crisostomo: «Vi è un ritorno se lo vogliamo, ed è possibile tor-
nare alla bellezza e allo splendore del tempo passato, se solo diamo il
nostro consenso [. .. ]. I.: anima, una volta sporcata e caduta nella bas-
sezza e nella vergogna in seguito ai suoi numerosi peccati, può ben
334
presto tornare alla sua bellezza originaria se mostra un serio e since-
ro pentimento»127 • San Simeone il Nuovo Teologo scrive in proposito:
«Colui che dopo il battesimo si è sporcato con azioni sconvenienti e
iniquità [. ..] ha bisogno, per pentirsi, di penitenza in vista di ritrova-
re da sé questa stessa dignità divina che ha perduto con la sua vita. di
peccato»128 . Lo stesso santo dice anche che Dio ha fatto dono agli uo-
milli del rimedio (phdrmakon) del pentimento, «affuiché quelli che per
pigrizia o negligenza decadono dalla vita eterna ritornino di nuovo ad
essa attraverso la penitenza con una gloria più brillante e più manife-
sta»129. San Callisto e sant'Ignazio Xantopulo offrono lo stesso inse-
gnamento: «Nel seno di Dio, cioè nel bagno sacro del battesimo, noi
riceviamo il dono totalmente perfetto, quello della grazia divina. E
se in seguito, per il cattivo uso delle realtà temporali, per la preoccu-
pazione delle cose dell'esistenza e per le nebbie delle passioni, rico-
priamo questa grazia come non occorrerebbe, ci è possibile qui anco-
ra, attraverso il pentimento e il compimento dei comandamenti del-
1'opera divina, ritrovare subito, acquisire di nuovo questa gioiosa luce
s.oprannaturale e vederne più chiara la rivelazione»130 •
San Giovanni Climaco può così scrivere che «la penitenza è una re-
staurazione del battesimo»131 e molti Padri arrivano a considerare que-
sto atteggiamento spirituale come «un secondo battesimo»132 • <<La pe-
nitenza, osserva sant'Isacco il Siro, è stata data agli uomini dopo il bat-
tesimo. La penitenza è, infatti, una seconda nascita, che viene da Dio.
Ciò che abbiamo ricevuto in pegno nel battesimo, lo riceviamo come
un dono nella penitenza» 133 • Ciò non significa che la penitenza si
possa sostituire al battesimo o possa apportare qualche dono che que-
sto non conferirebbe, iii qualche modo completandolo: il battesimo,
lo abbiamo sottolineato, dà all'uomo tutto ciò che gli è necessario per
essere guarito e salvato, e il pentimento, per se stesso, senza il battesi-
mo, non potrebbe né guarirlo né salvarlo 134 • Il ruolo della penitenza
XXXIX, 17; XL, 31. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIl, 8. Questo tema è particolarmente svi-
luppato da SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO per esempio in: Catechesi, XXXIl, 59s; 73s; Capitoli
teologici, gnostici e pratici, I, 36; Inni, LV, 33. Vedi anche NICETA STETATOS, Vita di Simeone, éd.
Hausherr, p. 125.
m Discorsi ascetici, 72.
134 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XXIII, 82s.
335
dopo il battesimo è quello di permettere al cristiano di allontanarsi dal
peccato e dalle passioni nelle quali egli è ricaduto, di esserne purifi~
cato e di nuovo guarito, di reintegrare così lo stato di grazia dato nel
sacramento, di far rivivere in lui questa grazia, di permettere di nuo-
vo in lui la sua fruttificazione. Nel pentimento, l'uomo non ritrova un
altro battesimo e neanche il battesimo Che ha ricevuto, perché in realtà
non lo ha mai perso, ma ritrova i frutti di ciò che egli aveva abban-
donato in seguito alla sua indolenza, negligenza, e perché ritornato
al peccato e alle passioni.
La penitenza, beninteso, non riguarda solo il battezzato che ha pec-
cato. Essa è indispensabile a ogni uomo, in qualunque condizione si
trovi, all'uomo che vuole allontanarsi dal peccato per volgersi verso
Dio. Essa riguarda, dunque, tanto colui che non è stato ancora bat-
tezzato e che Dio chiama alla salvezza quanto colui che, già avanzato
sulla via della salvezza, non ha tuttavia ancora raggiunto la perfezio-
ne. Praticamente, dunque, tutti gli uomini, e sempre, hanno bisogno
della penitenza135 • È questa una condizione essenziale per la guari-
gione dell'uomo decaduto; essa è uno dei principali fondamenti per il
suo ritorno alla salute e alla salvezza. Ecco perchéla predicazione
del Vangelo, l'artnuncio della Buona Novella della salvezza, è iniziata
con la predicazione del pentimento. Questa inaugura e caratterizza
l'insegnamento di san Giovanni Battista (cfr. Mt 3,8; Mc l,4-5; Le 3,3.8).
È ugualmente attraverso di essa che, secondo gli evangelisti san Mat-
teo e san Marco, inizia l'insegnamento pubblico del Cristo: «Gesù ini-
ziò a predicare e a dire: "Convertitevi (metanoiete), poiché è vicino il
Regno dei cieli"» (Mt 4,17; cfr. Mc 1,15). È così che, secondo il van-
gelo di san Luca (cfr. 24,47), nel ricordare il pentimento, il Cristo rias-
sume e chiude la sua missione in questo mondo prima della sua Ascen-
sione. Nelle Sacre Scritture noi vediamo il Precursore, il Cristo e gli
Apostoli predicare costantemente il pentimento e presentarlo come
una pratica essenziale per la salvezza (cfr. Mt 3,2.11; 4,17; Mc 1,4.15;
6,12; Le 3,3.8; 5,32; 13,3.5; 15,7.10; 24,47; At 2,38; 3,19; 5,31; 11;18;
13,24; 17,30; 19,4; 20,21; 26,20; Rm 2,4-5; 2Cor 7,10; 2Tm 2,25; Eb
6,1; 2Pt 3,9). San Simeone il Nuovo Teologo vede nel pentimento il
primo comandamento136• Fare penitenza è, secondo molti Padri, l'at-
tività spirituale che deve primeggiare sulle altre, quella alla quale l'uo-
mo deve innanzitutto, e quasi esclusivamente, consacrarsi, quella in
336
cui può riassumersi tutto ciò che, da parte sua, egli deve compiere per
essere guarito e salvato 137 • San Talassio scrive a tale riguardo: «Il Cri-
sto è il Salvatore del mondo intero, e per la salvezza degli uomini ha
accordato loro il pentimento» 138 • E san Marco l'Eremita inizia così il
suo trattato sulla penitenza: «Nostro Signore Gesù Cristo [. .. ],per la
salvezza di tutti adottò disposizioni conformi a quanto sapeva degno
di Dio, fondò la legge della libertà in diverse prescrizioni e fissò un
unico fine adatto a tutti quando egli disse: "Convertitevi", affinché po-
tessimo comprendere con questo che tutta la diversità dei comanda-
menti cessa per ridursi a un solo comandamento: quello della peni-
tenza»139.
m Vedi per esempio: Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 161. lsACCO IL SIRO, Discorsi asce-
tici, 34. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VJI, 79.
"' Centurie, II, 76.
" 9 Sulla penitenza, I.
140 Conferenze, XX, 5.
141 Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 122. Ripresa da BARSANUFIO, Lettere, 122.
142 La Scala, V, 2.
337
Per l'uomo la penitenza inizia prima di tutto col riconoscere i pro-
pri peccati. È questa una condizione indispensabile per superarli, per
esserne guaritò, per essere salvato. Sant'Efrem da questo punto di vi-
sta scrive che <<l'inizio della salvezza è conoscere se stesso» 143 • Una
tale conoscenza si ottiene, in primo luogo, attraverso la pratica meto-
dica dell'esame di coscienza. Abba Nisteros insegna che l'uomo «ogni
sera e ogni mattina deve ripetersi: "Cosa abbiamo fatto di quanto Dio
vuole, e cosa non abbiamo fatto di ciò che Dio non vuole?", e agire
così per tutta la sua vita>> 144 • «Così dev'essere la penitenza>>, conclude
un altro Anziano dopo aver dato lo stesso insegnamento e dando co-
me riferimento la pratica di Abba Arsenio 145 • San Doroteo di Gaza, nel
ricordare queste raccomandazioni dei Padri del deserto, a sua volta in-
vita «a esaminarci tutte le sei ore per conoscere come le abbiamo
trascorse e in cosa abbiamo peccato» 146 • San Giovanni Climaco pro-
pone di fare il bilancio di tutte le ore della giornata per non dimenti-
care nulla147 • Infatti, come vedremo, questo esame dev'essere perma-
nente, accompagnare ogni atto e ogni pensiero, e divenire, per chi mi-
ra alla guarigione e alla salvezza, una preoccupazione continua. «La
penitenza, scrive san Giovanni Climaco, è un giudizio continuo che si
pronuncia contro se stessi; è la condizione di un'anima preoccupata
della cura di sé e del tutto libera da ogni altra cura>>148 • Questa presa
di coscienza del peccato costituisce un momento fondamentale della
penitenza, una condizione indispensabile del progresso spirituale e
una tappa essenziale del processo di guarigione. Essa permette, in-
fatti, all'uomo di non essere più sottomesso ciecamente al suo pecca-
to, di prendere le distanze di fronte ad esso, di dissociarsene, di non
considerare più la realtà dal punto di vista del peccato e del proprio
«io» decaduto, di uscire dal suo egocentrismo patologico. La sempli-
ce presa di coscienza del peccato come tale è già catartica e liberatri- ·
ce. «Beato te, scrive san Barsanufio a un fratello, se ti rendi conto per-
fettamente delle tue colpe, perché chiunque se ne rende conto le guar-
da con grande orrore e se ne libera>> 149 •
Il peccato, nella penitenza, non costituisce l'oggetto di un astratto
338
riconoscimento.' La penitenza :implica, infatti, che l'uomo senta dolo-
rosamente lo stato cli peccato nel quale si trova. È in questo senso che
san Giovanni Climaco dice che esso è «una ferita dell' an:ima avverti-
ta fortemente>> 150 • In un tale atteggiamento, come afferma il salmista,
lo spirito dev'essere contrito, affranto e umiliato (dr. Sal 51[50],19).
Questa è la contrizione del cuore senza la quale, insegna san Barsa-
nufio, «nessuno può essere guarito dalle passioni>>151 • Tale dolore, tut-
tavia, non ha nessun rapporto con quello che è prodotto dal rimor-
so, stato patologico in cui il peccatore rimane rinchiuso nel suo pec-
cato, con gli occhi fissi su se stesso, ed è passivo cli fronte ad esso. Nel
rimorso, l'uomo perpetua il peccato sotto un altro aspetto, si rende
malato in un altro modo. Rimane incentrato sulla colpa commessa e
sul suo stato, non arriva a distaccarsene. Nel pentimento, al contrario,
il peccatore ha cli mira Dio. Non è a causa del peccato stesso che egli
sente il dolore, non è per il suo <<io» ferito che egli si mostra triste: se
soffre, è perché a causa della sua colpa si è separato da Dio, perché il
suo stato cli peccato lo tiene lontano da lui. La penitenza esclude co-
sì ogni sentimento patologico cli colpevolezza che angoscerebbe o pa-
ralizzerebbe colui che lo prova. ·
Nello stesso tempo in cui riconosce il suo peccato, l'uomo, nella pe-
nitenza, ne chiede perdono a Dio e manifesta la sua volontà cli unirsi
cli nuovo a lui152 • Lungi dal limitarsi ad essere la constatazione cli un
fallimento e cli r:imanere fisso su se stesso, la penitenza si manifesta al-
lora come un atteggiamento cli superamento del peccato. Essa appare
così come uno dei motori essenziali del progresso spirituale e del cam-
mino dell'uomo verso la salute. Per essa l'uomo si allontana dal suo
passato, quello dell'uomo vecchio, per tendere verso il futuro, quello
dell'uomo nuovo che egli è chiamato a divenire. Per la penitenza, egli
non cessa cli trascendere le sue :imperfezioni, e cli superare se stesso in
vista cli Dio. <ill:imenticando il passato, mi protendo verso l'avvenire»,
confida san Paolo (Fil 3 ,13 ). Non è rimanendo fisso su ciò che egli ha
fatto o è stato secondo la condizione dell'uomo decaduto, ma nel ten-
dere verso ciò che dev'essere secondo Dio, che l'uomo può ottenere
la guarigione e la salvezza.
15() La Scala, V, 2.
151 Lettere, 256.
152 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, Xl, 117. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, V, 3.
339
do, allora egli progredisce, constata san Barsanufio 153 • Da un punto di
vista pratico, questo progresso si constata per la diminuzione del nu-
mero dei peccati che l'uomo compiva, e per l'indebolimento e la ri-
duzione delle sue passioni. Clemente d'Alessandria osserva, ripren-
dendo le parole di un Anziano: <<ll pentimento testimonia una grande
sagacia: quando infatti ci si pente di quanto si è commesso, non lo si
fa né lo si dice più, e nel mortificare lanima a proposito delle sue col-
pe, si compie il bene»154 • Spesso il progresso va lentamente, ma si mi-
sura con il tempo, se si persevera con pazienza nell'atteggiamento pe-
nitenziale. San Doroteo. di Gaza constata che «se ci si esamina ogni
giorno», come egli raccomanda, «applicandosi a pentirsi delle proprie
colpe e correggendosi, si inizia a diminuire la frequenza del peccato:
per esempio, otto volte invece di nove. In questo modo, progredendo
a poco a poco con l'aiuto di Dio, si impedirà alle passioni di fortifi-
carsi in sé>> 155 • Esaminandosi in ogni istante, pentendosi sistematica-
mente dei propri peccati e opponendo a ciascuno dei propri pensieri
passionali un atteggiamento di penitenza, l'uomo può giungere a
vincere progressivamente, con la grazia di Dio, tutte le passioni che lo
abitano, e a guarire così da tutte le sue malattie spirituali.
Va sottolineato che si deve portare il pentimento non solo sulle azio-
ni o sui pensieri peccaminosi particolari. L'uomo deve far penitenza
per il suo stato di peccato in generale. Il cristiano, dicono i Padri,
deve conservare, in permanenza, una vera memoria delle pr"oprie
colpe156 • Non si tratta di ricordarsi di tutti i peccati che si è potuto com-
mettete in tutti i dettagli delle loro circostanze - ciò rischierebbe di ri- ·
tuffare il pensiero negli stessi peccati-, ma di avere coscienza che si
è peccato e che si può peccare di nuovo nella stessa maniera o in un' al-
tra. Si tratta, in altre parole, di riconoscere il proprio stato di debo-
lezza, d'insufficienza e di allontanamento da Dio. Avere coscienza de-
gli errori passati ha come fine il diffidarne e l'evitarli nel presente e nel
futuro dissociandosi dalle passioni da cui essi procedono e invocan-
do, per ottenere questo, la grazia di Dio. Sant'Isacco il Siro, in que-
st'ottica, definisce la penitenza come <<una continua supplica, una sup-
plica di ogni momento [.. .] per chiedere [a Dio] l'assoluzione del pas-
sato», ma altresì «l'afflizione nella quale noi guardiamo le cose del
340
futuro» 157 • San Giovanni Crisostomo afferma la stessa cosa quando
scrive: «Occorre che teniamo sempre presente il ricordo dei nostri pec-
cati, anche dopo esserne purificati [. .. ]. Il ricordo del passato è la
salvaguardia del foturo» 158 •
Occorre, in breve, far penitenza anche se non si ha in vista qualche
peccato particolare. I Padri fanno, peraltro, notare che l'uomo s'illu-
derebbe nel credersi senza peccata159 • Il libro dei Proverbi sottolinea
che persino «il giusto pecca sette volte al giorno» (cfr. Pro 24,16). Cre-
dere che si è senza peccato dimostra solo l'ignoranza dello stato in cui
si è. Ecco perché i Padri raccomandano di far penitenza dei peccati di
cui si è consapevoli, ma anche di quelli di cui si è inconsapevoli160• Co-
me indica lo stesso san Giovanni, «se diciamo di non avere peccato,
inganniamo noi stessi e la verità non è in noi>> (lGv 1,8). Del resto, il
peccato non consiste solo nel compiere il male, ma anche nell'omet-
tere di fare il bene (cfr. Gc 4,17) 161 • È peccato, nel vero senso del ter-
mine, ogni azione od ogni pensiero per i quali l'uomo, volontariamente,
si allontana dalla volontà di Dio. Ma è peccato anche ogni negligen-
za nel compiere questa. Ora, fa notare san Marco l'Eremita, «nessuno
può essere riconosciuto innocente nel tempo, non avendo mai di-
menticato i precetti>> del Signore162 • Occorre aggiungere a questo che
nell'uomo quanto lo tiene lontano da Dio costituisce uno stato di pec-
cato. L'uomo può, dunque, considerarsi come in uno stato di peccato
:fintanto che non è unito a Dio, fintanto che non ha realizzato una pie-
na conformità al Cristo. La penitenza è, dunque, «necessaria a tutti»163 ,
ed è una penitenza di tutti gli istanti che raccomandano i Padri. «Oc-
corre sapere che, durante le ventiquattro ore del giorno e della not-
te, abbiamo bisogno di penitenza>>, scrive sant'Isacco il Siro 164 • L'uo-
mo in ogni pensiero e in ogni azione deve constatare la propria in-
sufficienza, deve considerare che egli è al di sotto di quanto dovrebbe
essere secondo Dio, e di ciò che sarebbe se avesse realizzato, in una
la comunione eucaristica chiede a Dio il perdono dei peccati commessi «consciamente o in-
consciamente».
161 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Discorsi ascetici, 30.
162 Sulla penitenza, XII.
163 Ibid.
164Discorsi ascetici, 50. Cfr, SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XXV, 58. <<lo, confida
abba Sisoe, dormo nel ricordo del mio peccato e nel ricordo del mio peccato mi risveglio» (Apof
tegmi, serie alfabetica, Sisoe, 36).
341
unione totale a Dio, lo stato di perfezione al quale è chiamato per
natura. Per questo san Barsanufio consiglia: <<ln ogni cosa condanna
te stesso sempre come peccatore e trasgressore»165 , e ancora: <<Dob~
biamo sempre essere persuasi che noi pecchiamo in tutto, in parole,
in opere e nei pensieri»166 •
Dal pentimento continuo nascono il lutto (pénthos) e la compun"
zione (katdnyxis), i quali fanno nascere le lacrime (ddkrua) 167 • Questi
tre stati, che analizzeremo ulteriormente, costituiscono il compimen-
to della perutenza168 ; l'ultimo è un dono dello Spirito che ottengono
solo pochi uomini, ma ai quali gli insegnamenti pratici sulla peniten-
za accordano un'importanza fondamentale.
Trattato sulla compunzione, II, l; Omelie sulle statue, V, 4; Omelie sui demoni, II, 5.
172 Omelie sulla penitenza, VII, 1.
m Ibid., 2.
174 Ibid.
175 Ibid., 3.
116 Ibid.
177 Ibid., VIII, 1.
342
non due, non tre, ma migliaia di uomini coperti di piaghe e ulcere,
macchiati da mille crimini, e che sono stati guariti dalla penitenza, in
modo che non è rimasta né cicatrice, né traccia dei loro vecchi ma-
li>>178; «anche quando si saràricoperti dalle piaghe del peccato, se si
farà penitenza[ ... ], Dio le farà scomparire in modo che non compa-
rirà né cicatrice, né traccia, né indizio»179; «se Dio vede i peccatori di-
sposti a fare penitenza, quand'anche fossero carichi di crimini, rico-
perti da ulcere, egli li tratta e li guarisce senza che rimanga alcuna ci-
catrice, traccia, segno dei loro peccati» 180 ; «siate convinti di tutta
l'efficacia del rimedio della penitenza»181 .
La penitenza appare come un rimedio perché l'uomo per mezzo di
essa ottiene da Dio la purificazione dai propri peccati, ma anche la
guarigione delle sue malattie spirituali quali le passioni, come indica-
no molti insegnamehti patristici citati precedentemente. Perseguita a
lungo e vissuta profondamente, la penitenza permette all'uomo di ac-
cedere a poco a poco all'impassibilità182·, stato in cui egli recupera una
piena libertà e una piena salute, e che gli è impossibile raggiungere
senza di essa 183 .
Per mezzo del perdono dei suoi peccati e la guarigione delle sue
passioni che gli procura la penitenza, l'uomo può ritrovare la pace in-
teriore. «Torniamo a Dio attraverso la penitenza ed egli pacificherà
tutto», scrive san Barsanufio184 . E san Doroteo di Gaza constata: «È
attraverso la contrizione del cuore che si torna alla fine al proprio ri-
poso»1s5.
Nella misura in cui l'uomo guarisce dalle sue passioni, torna ari-
vivere secondo le virtù. Può allora di nuovo condurre un'esistenza sa-
na, normale, conforme alla sua autentica natura. San Giovanni Da-
masceno dice, a questo proposito, che il pentimento «è il ritorno di
quanto è contrario alla natura verso ciò che gli è proprio»186. La pe-
nitenza appare, del resto, come l'unica via possibile che permette al-
l'uomo peccatore di ricuperare le virtù, ed è, a giusto titolo, che mol-
ti Padri la considerano come il primo comandamento, poiché essa è
178 Ibid., 3.
179 Ibid., 4.
180 Ibid., 4.
181 Ibid.
182 Cfr. MARCO L'EREMITA, Sulla penitenza, VII.
183 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, V, 1059s.
184 Lettere, 786.
185 Istruzioni spirituali, I, 10.
186 Esposizione esatta della fede ortodossa, Il, 30.
343
anche la condizione della pratica di tutte le altre virtù. Solo allonta-
nandosi dalle passioni, dissociandosi dal male, implorando Dio per il
perdono dei propri peccati, percependo dolorosamente la propria mi-
seria per il fatto di essere separato da Dio, l'uomo può avvertire la ne-
cessità, il bisogno di volgersi verso la grazia divina e aprirsi pienamente
allo Spirito Santo, che è la sorgente di ogni virtù. Solo spogliandosi
delle tuniche del peccato e delle passioni, l'uomo può rivestirsi della
grazia che compone le virtù dell'uomo nuovo e sano in Cristo. Si com~
prende allora perché i Padri vedano nel pentimento, nella compun-
zione e nelle lacrime le basi per il compimento dì tutte le virtù 187 •
Grazie alla penitenza, avendo l'uomo ritrovato le virtù, ritrova la
vera vita. «I pianti, scrive san Giovanni Crisostomo, ridanno la vita a
ciò che nell' anina era morto»188 • «Il pentimento», aggiunge, «risuscita
colui che è morto spiritualmente»189 • I..: assenza del pentimento, al con-
trario, vota l'uomo a rimanere nella morte. «Se non vi convertirete, pe-
rirete tutti», insegna lo stesso Cristo (cfr. Le 13,3.5).
Quando l'anima si è deformata in tutti i modi nel lasciare la via giu-
sta della virtù, «la penitenza la risana» 190 in tutte le sue facoltà. Il
pentimento costituisce, in particolare, una terapia fondamentale del-
le sue facoltà di conoscenza rese malate dalle passioni. Nel fare peni-
tenza, l'uomo cessa di essere accecato nella conoscenza che ha della
realtà e in primo luogo di se stesso. Nel riconoscersi peccatore, pren-
dendo coscienza della propria miseria, egli prende coscienza del suo
stato di separazione da Dio, riconosce le sue deviazioni in relazione
a lui. È nella penitenza che gli uomini resi folli e insensati (moroi kaì
asjnetoi) dal peccato «riconoscono la propria follia (aphrosyni!)», os-
serva il Pastore di Erma191 • Nella pratica continua del pentimento, l'uo-
mo giunge a conoscersi sempre meglio, a percepire sempre più sot-
tilmente il male che è in lui fino a discernere le più piccole colpe, le
più piccole manchevolezze192 • Egli nota, allora, nella sua anima alcune
malattie che rimangono invisibili e ignote a colui che continua inve-
ce a vivere nel peccato. Nel fare penitenza anche per le colpe incon-
187 C:&. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, I, 10. Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen,
121; 138. MARco L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 197.
EFREM IL SIRO, éd. Assemani, t. I, p. 44. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, IV, 404;
409; 670ss.
188 Omelie sulla penitenza, VIII, 4.
189 Ibid.
190 EVAGRIO PONTICO, Ai monaci, 53.
191 Il Pastore d'Erma, Similitudini, IX, 23.
192 Cfr. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 27.
344
sapevoli193 e involontarie194 , scaccia via il peccato e colpisce la malattia
nei particolari più nascosti, più sottili e più segreti 195 , e per il potere
della grazia divina che egli invoca nello stesso tempo, li scova, poi li
espelle dalla sua anima.
Questa conoscenza del suo stato patologico, che l'uomo acquista
nella penitenza, è una condizione indispensabile per la sua guarigio-
ne. Perché possa chiedere al Medico divino e ricevere da lui le cure
adatte alla sua anima, egli deve innanzitutto constatare quanto essa sia
malata. «Come accetterà di essere curato colui che non si lascia af-
fatto convincere che giace malato e ferito?», si chiede san Simeone il
Nuovo Teologo 196 • Così san Giovanni Crisostomo dà questo consiglio:
<<Riconosciamo francamente quello che siamo e ciò che sono le piaghe
della nostra anima: è il modo di porvi rimedio; colui che non conosce
il suo male non si cura della sua infermità.>>197 • Abbiamo già detto che
Dio, rispettoso della libertà dell'uomo, non lo guarisce suo malgrado,
ma attende che egli manifesti il desiderio d'essere curato da lui, e in-
voca l'aiuto della sua grazia terapeutica. Se l'uomo fa questo, allora
Dio lo guarisce immancabilmente198 • Ora, è proprio nella penitenza
che l'uomo, riconoscendo la propria malattia, chiama in·soccorso il
Medico celeste per ottenerne la guarigione, e la riceve. «A coloro
che cercano sinceramente il rimedio, scrive san Giovanni Cassiano, la
guarigione non può mancare di giungere da parte del vero Medico del-
le anime, soprattutto a quelli che non chiudono gli occhi sulle loro ma-
lattie, per scoraggiamento o negligenza, ma, lungi dal nascondere le
loro ferite o respingere insolentemente il trattamento della penitenza,
ricorrono con animo umile e quindi vigile al·medico celeste»199•
Non è solo per la conoscenza di sé, ma anche per la conoscenza ve-
ra di ogni realtà, ivi comprese alcune realtà spirituali più alte, che la
penitenza costituisce una via d'accesso. Colui che fa penitenza, infat-
ti, è purificato da Dio dai suoi peccati e dalle sue passioni, ed il velo
che oscurava le sue facoltà di conoscenza è tolto a poco a poco; la sua
intelligenza è allora rischiarata dallo Spirito nella misura della sua pu -
rificazione. <<L'uomo per mezzo del pentimento acquista di nuovo lo
345
splendore che gli è proprio. La penitenza è la porta che fa uscire dal-
le tenebre per entrare nella luce», osserva san.Simeone il Nuovo Teo-
logo200, il quale precisa: «Il frutto e il lavoro proprio della penitenza,.
ecco precisamente ciò che scaccia l'ignoranza e procura allo stesso tem-
po la conoscenza. Per conoscenza, io intendo innanzitutto quella di
noi stessi e di ciò che ci riguarda, e poi di ciò che ci supera e dei mi-
steri divini che sono invisibili e inconoscibili a coloro che non fanno
penitenza [...]. Le verità divine [.. .] sono rivelate solo a coloro che han-
no fatto penitenza con ardore e che una penitenza sincera ha conve-
nientemente purificati, e ciò in proporzione e a misura della loro pe-
nitenza e della loro purificazione. È ad essi che sono rivelate le profon-
dità dello Spirito [... ]. Ma per tutti gli altri, queste verità rimangono
inconoscibili e nascoste»201 •
Da questo passo risulta che la conoscenza di sé e di Dio alla quale
l'uomo accede attraverso la penitenza non è una conoscenza teorica,
astratta, ma una conoscenza esistenziale, una conoscenza, ispirata dal-
lo Spirito, dell'intelligenza unita al cuore. La penitenza, del resto;
appariva ai Padri come una via diretta per operare nell'uomo la riù-
nificazione di queste due facoltà, unite e che agiscono di comune ac-
cordo nella sua natura originaria, ma dissociate nello stato di peccato,
e che costituiscono nel suo essere una frattura e una divisione pato-
logiche fondamentali.
Questa riunificazione è una delle condizioni essenziali per giunge-
re a una preghiera autentica e pura, attività in cui l'intelligenza si eser-
cita secondo la sua finalità naturale e ritrova un uso normale. Se la
compunzione favorisce la preghiera202 , la rende fruttuosa203 e deve in
ogni caso esserle unita204 , è perché l'uomo, con questo atteggiamento,
non solo è purificato, ma si fa anche umile, sente profondamente; at-
traverso l'esperienza dolorosa della sua miseria e del suo allontana-
mento da Dio, il bisogno di lui, e così si apre pienamente alla sua gra-
zia; è così che questo atteggiamento permette alla preghiera di non es-
sere solo intellettuale, ma d'impegnare tutto l'essere dell'uomo, il cui
centro è il cuore.
Riportando l'uomo a Dio, con il favore della sua preghiera, la pe-
346
nitenza permette ad esso di beneficiare in ogni circostanza dell'aiuto
di Dio205 . l;uomo può così far fronte alle diverse difficoltà interiori ed
esteriori come ai diversi pericoli che incontra. La compunzione ha d' al-
tronde l'effetto di fortificare l'anima. È così che il salmista scrive: «Pa-
ne son diventate per me le mie lacrime,. di giorno e di notte» (Sal
42[41],4).
La compunzione accresce così la resistenza dell'uomo ai pensieri at-
traverso cui i demoni gli· suggeriscono il peccato. Essa costituisce, di-
. cono i Padri, una potente arma per far fronte alle tentazioni206 . La pe-
nitenza, del resto, ha il potere di ridurre all'impotenza i demoni fau-
tori di turbamenti, e allontanarli dall'anima. «Chi possiede le lacrime
vere accompagnate da compunzione [. ..] non è vinto in nessun com-
battimento [. .. ].Esse sono uno scudo sul quale ricadono i dardi in-
fiammati del diavolo (cfr. Ef 6,16). Chi le ha non riceverà assoluta-
mente alcun danno dalla lotta», scrive san Barsanufia2°7 • «Il diavolo
fugge sempre davanti alla punta acuminata della penitenza>>, nota da
parte sua san Giovanni Crisostomo208 . E san Giovanni Climaco fa di-
re ai demoni: «Non vi è che una sola cosa che rende la nostra poten-
za impotente e tutti i nostri sforzi inutili [ .. .]: se non smetti di biasi-
marti davanti al Signore, tu ci troverai così deboli come una tela di ra-
gno»209. Vediamo, dunque, che la penitenza possiede, oltre alla sua
funzione terapeutica, una funzione profilattica. Abba Poemen dice:
«Se un uomo accusa se stesso, è protetto dapper:tutto»210 . «Le lacrime
versate continuamente in nome di Dio proteggono l'uomo che ne ha
il dono», scrive san Barsanu:6.o211 , il quale fa notare che quando l'uo-
mo è giunto all'impassibilità, è sempre la penitenza che lo tiene fuori
dall'attacco delle passioni2 12 • ·
347
logia, o per non es~erci elevati ad alte contemplazioni, ma dovremo
certamente rendere conto a Dio per non aver pianto incessantemente
i nostri peccati>>2u. Sant'Isacco il Siro, con una formula del tutto sor-.
prendente, pone la penitenza tra i più alti e necessari atteggiamenti
spirituali: «Colui che conosce i suoi peccati è più grande di colui che
risuscita i morti con la preghiera. Colui che geme per un'ora sulla
sua anima è più grande di colui che serve il mondo intero con la sua
contemplazione. Colui al quale è stato dato di conoscersi è più gran-
de di colui al quale è stato concesso di vedere gli angeli»214 .
Per mezzo.della fede, l'uomo riconosce Cristo come suo Dio eco-
me l'unico medico capace di guarire. Per mezzo della penitenza, si vol-
ge a lui pentendosi delle proprie colpe per ottenerne il perdono, si
riavvicina a lui riconoscendo il suo stato di malattia per ottenerne la
guarigione, manifesta davanti a lui la coscienza, dolente per le sue
insufficienze, per riavvicinarsi a lui e non allontanarsene più. La prec
ghiera appare come il complemento di questi due atteggiamenti: per
mezzo di essa, l'uomo invoca l'aiuto di Dio per ottenere le cure di cui
ha bisogno, essere guarito e purificato, aprirsi alla sua grazia, e unirsi
a lui.
Soprattutto attraverso la preghiera l'uomo può mettersi alla pre-
senza di Dio, entrare in relazione con lui e unirsi a lui. Essa è, scrivé
san Gregorio Palamas, <<il legame che unisce le creature al loro crea-
tore»215. Certamente, un tale legame si stabilisce attraverso la ricezio-
ne dei sacramenti, ed in particolare quelli del battesimo, della cri-
smazione e dell'Eucaristia, sacramenti che restituiscono all'uomo lo
splendore originario dell'immagine di Dio e il ristabilimento nella sua
somiglianza, conferendogli la pienezza della grazia. Ma questo rista-
bilimento avviene, lo abbiamo visto, potenzialmente, o come dice san
Marco l'Eremita, «misticamente». Al cristiano non resta altro che
appropriarsi personalmente la grazia ricevuta, assimilarla, attualizzar-
348
la in sé, crescere in essa e per mezzo di essa. La preghiera è indispen-
sabile a quest'opera e vi gioca perfino un ruolo essenziale2 16 • È per mez-
zo di essa, infatti, che egli può instaurare una relazione personale
con Dio presente in lui con la sua grazia, dare il suo libero consenso
alla trasformazione salvifica che egli opera attraverso di essa, diveni-
re collaboratore cosciente e volontario della salvezza e della deifica-
zione che egli realizza nel Cristo per mezzo dello Spirito Santo. Da
quel momento in poi lo scopo che l'uomo persegue con la preghiera
non è quello di far venire Dio a lui, ma quello di avvicinarsi a lui,
non perché egli è lontano, ma perché, sia che egli si è allontanato da
lui con il peccato, sia che egli non si è appropriato la grazia ricevuta,
rimane lo stesso lontano da lui e rimane estraneo a Colui che gli è
più intimo, e che è persino, come scrive san Nicola Cabasilas, più vi-
cino di quanto lo sia il suo stesso cuore217 • «Noi supplichiamo Dio,
scrive san Gregorio Palamas, non per attrarre Dio verso di noi, per-
ché egli è dovunque, ma per elevare noi stessi verso di lui, con la sup-
plica che gli rivolgiamo, e per tornare a lui>>218 • San Dionigi l'Areopa-
gita dice la stessa cosa in altri termini: «Se è vero che la Santissima Tri-
nità· è presente in ogni essere, ogni essere non risiede in essa. Ma
solo per mezzo di sante preghiere[ ... ] noi dimoreremo in essa»219 • La
preghiera appare così come il principio dell'appropriazione di ogni
grazia220 •
Dio concede la sua grazia permanentemente, ma non la impone. Ri-
spettoso com'è della libertà dell'uomo, egli aspetta che questa gli ven-
ga da lui richiesta. La preghiera costituisce il mezzo di questa richie-
sta, in cui si afferma in piena coscienza la volontà libera dell'uomo. Fin
da quando l'uomo si rivolge a Dio, questi esaudisce la sua preghiera:
il Cristo stesso e gli Apostoli ce lo ricordano continuamente: «Chie-
dete e vi sarà dato. Chi chiede riceve» (Mt 7,7 -8). «Tutto quello che
chiederete con fede nella preghiera, l'otterrete» (Mt 21,22). «Chie-
dete e vi sarà dato; perché chiunque chiede ottiene» (Le 11,9-10).
«Quanto chiederete nel mio nome lo farò» (Gv 14,13). «Se mi chie-
derete qualcosa nel mio nome, io lo farò» (Gv 14,14). «Qualunque co-
sa gli chiediamo, la riceviamo da lui» (lGv 3,22). Lo stesso Cristo ci
dice che la grazia, quindi il dono, sono già presenti in noi: «Tutto quel-
349
lo che chiedete nella preghiera, credete di averlo già ottenuto» (Mc
11,24). Se l'uomo non si è impossessato di questa grazia presente in
lui, è perché egli non si è aperto ad essa, non si è volto con la preghiera
verso Colui che gliel'ha donata e che è presente in essa e con essa:
«Non avete perché non chiedete», ci rivela l'apostolo san Giacomo
(Gc4,2).
Perché la preghiera venga esaudita deve, tuttavia, essere fatta «co-
me si deve>>221 : se «chiedete ma non ricevete>>, è «perché chiedete ma,
le» ci dice san Giacomo (Gc4,3).
La preghiera dev'essere fatta con fede (cfr. Mt 21,22). La penitenza
costituisce un atteggiamento ugualmente primario e indispensabile, al
punto tale che i Padri vedono in essa un elemento costitutivo essenziale
della preghiera, che san Giovanni Cassiano arriva a definire come <<il
grido del peccatore toccato da compunzione>>=. Evagrio scrive nello
stesso senso: «Il carattere proprio della preghiera è quello di una gra-
vità rispettosa accompagnata da compunzione e da dolore dell'anima
nella confessione delle proprie colpe, fatta con gemiti segreti>>223 • Sen-
za un tale atteggiamento di penitenza, la preghiera non potrà essere ef·
ficace224• Per potersi avvicinare a Dio, l'uomo deve, in verità, conside-
rare la distanza che lo separa da lui; per poter ricevere la guarigione dei
suoi mali, deve prima riconoscerli e pentirsi delle colpe che ne sono
la causa; per accedere alla grazia, deve fare innanzitutto l'esperienza
dolorosa del bisogno che egli ne ha. Oltre alla fede e alla penitenza, le
condizioni di una preghiera efficace sono: l'attenzione225 , la vigilanza
e la sobrietà (nepsis) 226 , il fervor~7 , l'assiduità228 ,1'umiltà229 , e prima d'o-
Settimana Santa; Omelie contro gli Anomei, Vll, 7; Omelie sulla lettera agli Efesini, xxrv, 3.
lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 35.
227 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie contro gli Anomei, V, 6; VIl, 7; Omelie su Anna, IV,
6; Commento a san Matteo, XXVII, 5; XXIII, 4; Omelia sulla Settimana Santa. MACARIO D'E-
GITTO, Omelie (Coli. II), XXXI, 4.
228 Cfr. Rm 12,12; Col 4,2. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXVII, 5;
Omelie sulla lette~a agli Efesini, XXIV, 3; Commento al Salmo 7, 4; Commento a san Matteo,
XXIII, 4. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, IX, 4.
229 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXVII, 5; Commento al Sal-
350
gn.i cosa la purezza di cuorè230 . Occorre, altresì, che l'oggetto della ri-
chiesta sia conforme alla volontà di Dia231 , il quale vuole il nostro be-
ne, i nostri veri interessi.
230 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXVII, 5; Omelie sulla peni-
tenza, Iv, 12; Commento al Salmo 3, 3; Commento a Isaia, I, 5; Commento a san Matteo, LI, l;
Omelie sulla 1 Timoteo, VIII, 1. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 4.
231 Cfr. lGv, 5,14.
232 Lettere, 424.
233 Omelie sulla Genesi, XXX, 5.
234 Omelie sulla penitenza, Iv, 4.
235 La Scala, XXVIII, 8.
236 BARSANUFIO, Lettere, 424. GIOVANNI CL!MAco, La Scala, XXVIII, 2. GIOVANNI CRISO-
STOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXVII, 5; Catechesi battesimali, VII, 25.
351
potente. <<La preghiera è un rimedio», scrive san Giovanni Crisosto-
ma237, che aggiunge: «La preghiera è un medicamento di salvezza>>238;
«è qui la nostra salvezza, il medicamento delle nostre anime e il ri-
medio ai mali che vi si sviluppano»239; <<la potenza della preghiera [... ]
guarisce le malattie>>240 . Quanto a sant'Isacco il Siro, egli osserva che
<<la preghiera è laiuto alla malattia più grave»241 . E san Giovanni Cli-
maco, in una prosopopea, fa dire alla preghiera: «Venite a me[ .. .], e
troverete la guarigione delle vostre ferite»242 . Quanto all'immenso po-
tere della preghiera, san Giovanni Crisostomo non cessa di sottoli-
neare: «Grande è il potere della preghiera>>243 ; «tmlla, vi dico, nulla è
più potente della preghiera ardente e pura; perché essa sola può li-
berarci dai mali presenti»244 ; «ricorriamo costantemente a Dio, chie-
diamogli ogni cosa, perché nulla vale di più della preghiera; essa ren-
de possibile l'impossibile, facile ciò che è difficile, piano ciò che è ir-
to di ostacoli»245 . Poiché senza la preghiera nulla è possibile (<<perché
senza di me non potete far nulla>>, dice il Cristo [Gv 15,5]), per mez-
zo di essa tutto è possibile all'uomo, perché questa gli permette d'in-
vocare «colui che per la forza che opera in noi, ha potere di fare mol-
to di più di quanto chiediamo o immaginiamo» (E/3,20).
Proprio perché il peccato e le passioni costituiscono la radice e le
forme di tutte le malattie, è chiedendo perdono e purificandosi che
l'uomo deve in primo luogo pregare Dio246 . Origene osserva che in
ogni preghiera «ci si deve accusare a Dio dei propri peccati, con un
pentimento amaro, chiedendogli la guarigione dall'inclinazione che ci
trascina al male e il perdono delle colpe passate>>247 . Allora la poten-
za terapeutica della preghiera si manifesta in primissimo luogo nella
guarigione dei peccati. «La preghiera, scrive san Giovanni Crisosto-
mo, è un antidoto contro il peccato, un rimedio alle colpe commes-
se>>248. E altrove insegna: «Noi riceviamo tutti i giorni numerose feri-
mei, Vll, 7.
246 Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 37.
247 La preghiera, 33.
248 Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXVII, 5.
352
te; a tutte queste ferite applichiamo i rimedi che sono loro propri, la
preghiera. Difatti Dio, se lo preghiamo con spirito vigile, con animo
infiammato, con cuore ardente, può concederci il perdono, la remis-
sione delle nostre colpe>>249 • La preghiera, osserva da parte sua san Gio-
vanni Climaco, è «lll1 rimedio sovrano per i peccati più gravi»250• E san
Nicola Cabasilas scrive: <<lnvochiamo il nome del Dio di bontà con vo-
ce viva, con desiderio e col pensiero, al fine di applicare a tutto ciò per
cui abbiamo peccato l'unico rimedio salutare»251 • L'apostolo san Gio-
vanni infatti insegna: «Vi sono rimessi i peccati nel suo Nome» (1Gv
2,12). Più profondamente, la preghiera guarisce l'uomo dalle passio-
ni, che sono le sue malattie, le estirpa completamente dal suo essere
e le annienta252 fin nei loro effetti. Ma occorre notare che soprattutto
la preghiera continua possiede un tale potere, il che si comprende nel-
la misura in cui, a differenza dei peccati che sono azioni precise, le pas-
sioni costituiscono degli stati permanenti. <<li fatto d'invocare Dio con-
tinuamente è un rimedio che sopprime tutte le passioni», scrive san
Barsanufio253 , sottolineando che il modo di agire di questo rimedio ci
è incomprensibile: <<lnfatti come il medico applica il rimedio o il ca-
taplasma sulla ferita del paziente e l'effetto è prodotto senza che il ma-
lato sappia come, allo stesso modo il nome di Dio invocato annienta
tutte le passioni, anche se non sappiamo come>>254 •
La preghiera costituisce un «detersivo dell' anima»255 fin nelle pie-
ghe più oscure e segrete di questa. La preghiera ha il potere di rag-
giungere e guarire i peccati e le passioni inconsci, perché essa solleci-
ta l'intervento di Colui «che vede nel segreto» (Mt 6,18), «che scruta
i cuori» (Sal 7,10), «che metterà in luce i segreti delle tenebre e ma-
nifesterà le intenzioni del cuore» (lCor 4,5), e che ha il potere di di-
struggere ogni peccato e annientare ogni traccia di passione. Così il
cristiano che il peccato ha reso incapace di conoscere il suo «fondo
nascosto», ove risiedono le passioni segrete, nello stesso tempo in
cui egli deve fare penitenza a causa di queste, deve pregare Dio di
353
esserne guarito. È così che san Barsanufio scrive a questo proposito:
«Notte e giorno io prego per essere purificato dalle passioni visibili e
da quelle che sono nascoste»256 •
La preghiera, mentre annienta le passioni, allo stesso tempo mette in
fuga quelle che sono all'inizio e che sono nell'anima i principali fauto-
ri di turbamenti e la causa di tutte le sue malattie: il diavolo e i demo-
ni257; essa dissipa tutti gli effetti patologici della loro azione258• La «pre-
ghiera di Gesù» possiede a questo riguardo una particolare efficacia259•
354
I
355
ra. «Nel giorno dell'angustia chiamami ed io ti libererò, ma tu poi do-
vrai onorarn:ii>>, dice il Signore (Sal 50[49],15). Solo la forza di Dio che
. l'uomo invoca nella preghiera può guarirlo.da questa temibile malat·
tia che s'insinua in ogni parte dell'anima e fin nel corpo, lasciando l'uo-
mo abbandonato a se stesso tanto più impotente quanto più essa è fon-
te d'impotenza. Così san Giovanni Climaco, seguendo il salmista, con-
siglia a sua volta: <<Flagella i tuoi nemici con il Nome di Gesù, perché
non vi è arma più potente in cielo e sulla terra. Quando sarai guarito
da questa malattia, glorifica Colui che ti ha liberato»278 •
La preghiera non solo mette fine al movimento dei pensieri, ma abo-
lisce anche il loro molteplicarsi, poiché per mezzo dell'attenzione che
essa suppone, concentra tutti i pensieri in uno solo: quello di Dio, che
per tutte le facoltà dell'anima diviene l'unico scopo. Allora lo spirito
cessa di essere frammentato in tanti pensieri diversi che esso produ-
ce nel suo stato di alienazione dal mondo sensibile, e l'anima di esse-
re tirata in ogni senso dalle sue diverse facoltà che agiscono secondo
alcuni principi e in vista di fini diversi e incoerenti. Attraverso la
preghiera, avviene l'unificazione dello spirito279 e di tutta l' anima280•
Come osserva san Macario, l'anima, di cui il peccato aveva fatto una
casa in rovina, ritrova ordine e bellezza281 •
Tutte le facoltà dell'anima in quanto partecipano alla preghiera,
quando lo spirito è unito al cuore, cessano di essere alienate dal mon-
do serisibile e di esercitarsi contro natura, ma si rivolgono verso Dio e
ritrovano se stesse, nell'agire per lui, attività in vista della quale esse
sono state date all'uomo dal Creatore. Esse ritrovano la salute in que-
sto esercizio.conforme alla finalità della loro natura.
Così, come osserva Evagrio, la preghiera «guarisce la parte dell' a-
nima che è sede delle passioni>>282 , cioè, da un lato, la potenza concu-
piscibile cessa di bramare gli oggetti sensibili per non desiderare altro
che Dio, e dall'altro, la potenza irascibile cessa di esercitarsi contro il
prossimo o per ottenere gli oggetti sensibili bramati, per mettersi in-
vece a lottare contro i demoni ed i pensieri, sia i pensieri cattivi che i
pensieri semplici che cercano di distrarre lo spirito dalla preghiera e
di allontanare l'uomo da Dio.
Per essere pura, escludendo qualsiasi rappresentazione, e in pri-
ns La Scala, XX, 7.
279 Cfr. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 23.
280 Cfr. TEOLETTO DI Fil.ADELFIA, Sul!'azione segreta.·
281 Omelie (Coli. II), XXXIII, 3.
356
mo luogo ogni immagine, la preghiera libera l'uomo dalla tirannia eser-
citata su di lui dalla sua immaginazione, e lo guarisce da tutte le ma-
nifestazioni patologiche di questa.
La preghiera guarisce anche la memoria. Questa, nello stato di pec-
cato, è ricordo del mondo e, pertanto, oblio di Dio, rendendosi da
se stessa malata e rendendo con essa malate tutte le facoltà che essa
distoglie dalla vita spirituale. Ora, scrive sant'Esichio di Batos, «il ma-
le che comportano l'oblio e le sue conseguenze si può guarire con una
custodia molto rigorosa dello spirito e con una continua invocazione
di Nostro Signore Gesù Cristo»283 • Allora la memoria si trasforma, in-
versamente diviene, nella preghiera, oblio del mondo e dei suoi mol-
teplici pensieri, e <<memoria di Dio (mnéme theou)»284 ; ritrova la sa-
lute in questo esercizio che corrisponde alla finalità della sua natura,
esercizio che fa cessare l'alienazione per restituirla a se stessa. Difat-
ti, la memoria nel suo stato di natura è semplice; ora il peccato, lo
abbiamo visto, ha provocato la sua esplosione e divisione in moltepli-
ci ricordi; nella semplicità della preghiera, essa ritrova la sua unità ori-
ginaria e naturale. A questo proposito .così scrive san Gregorio il Si-
naita: «Il rimedio per liberare [la] memoria primordiale dalla memo-
ria perniciosa e cattiva dei pensieri, è il ritorno alla semplicità originale.
[...] Il grande rimedio della memoria è il ricordo perseverante e im-
mutabile di Dio nella preghiera»285 • In questa attività che si addice per-
fettamente alla sua natura, la memoria contribuisce alla guarigione di
tutta l'anima, di cui essa rimette le facoltà alla presenza di Dio. «È pro-
prio di un uomo amico della virtù, spiega san Diadoco di Foticea, con-
sumare incessantemente, attraverso il ricordo di Dio, ciò che vi è di
terreno nel suo cuore, affinché a poco a poco il male venga dissipato
con il ricordo del bene e l'anima ritorni perfettamente al suo fulgore
naturale con un accresciuto splendore»286 • Al vertice di questo pro-
cesso, l'affermazione di Evagrio che la preghiera pura unisce l'uomo
a Dio coincide con quella di sant'Isacco il Siro per il quale «l'unione
spirituale è la memoria allo stato puro»287 •
Il corpo risente beneficamente degli effetti terapeutici della pre-
ghiera. Il corpo, insieme ali' anima, prende parte alla preghiera, le pre-
357
sta le sue proprie forze, adotta gli atteggiamenti convenienti a questa
attività, esercita le sue diverse facoltà per favorirla; in questo modo
prega esso stesso a sua misura e conformemente alle possibilità della
sua natura specifica288 , in modo particolare nelle metanie289 . «Il cor-
po accompagna lo slancio dello spirito», osserva Clemente d' Alessan-
dria290. La preghiera contribuisce, in questo modo, a compiere la rac-
comandazione dell'Apostolo: «Vi esorto dunque, fratelli, in nome del-
la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come un sacrificio vivente,
santo, gradito a Dio» (Rm 12,1). La preghiera è così una delle «atti-
vità comuni all'anima e al corpo»291 , specialmente nella preghiera esi-
casta, la «preghiera di Gesù», dove il corpo, e specificamente il suo
centro, il cuore, gioca un ruolo fondamentale. Il desiderio di Dio, che
vi si manifesta, <<purifica tutte le facoltà e le potenze dell'anima e del
corpo»292 . Per mezzo della purificazione dell'anima, ed in particolare
della parte soggetta alle passioni, si compie in realtà la purificazione
del corpo: «il corpo allora non si muove più spinto dalle passioni cor-
poree e materiali, [. .. ] ma ritorna in se stesso, respinge ogni relazione
con le cose cattive»293 ; come l'anima, esso «acquista l'inazione del ma-
le>>294. L'uomo diviene allora interamente, anima e corpo, ricettivo al-
la grazia295 . La grazia dello Spirito viene <<trasmessa al corpo attraver-
so la mediazione dell'anima>>; «offre anche al corpo l'esperienza del-
le cose divine, e gli permette di provare le stesse cose dell'anima [. ..]»2%.
Il corpo partecipa così direttamente dell'ordine, dell'unificazione e
della pacificazione che la preghiera stabilisce nell'anima. Coinvolgen-
do il corpo, la preghiera fa agire le sue diverse facoltà in vista di un so-
lo e medesimo fine: Dio. Essa l'unifica così in se stesso, ma lori-uni-
fica anche all'anima: grazie ad essa, l'uomo ritrova l'unità armoniosa
della sua costituzione psico-somatica naturale, e viene così abolito in
lui lo stato di separazione dell'anima e del corpo caratteristica della
natura decaduta. <<Egli ritorna a sé», afferma san Gregorio Palamas;
288 Vedi per esempio: GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XV, 80; 81.
289 Le metanie sono delle prostrazioni che accompagnano la recita vocale o mentale di alcu-
ne formule di preghiera. Distinguiamo le piccole metanie, che consistono nd curvare la testa e
il tronco, dalle grandi metanie che consistono in una prostrazione di tutto il corpo, con le ma-
ni e la fronte che toccano il suolo.
290 Stromata, VII, 40, 3.
291 GREGORIO PALAMAS, Triadi, II, 2, 12.
292 Ibid., III, 3, 12.
293 Ibid., II, 2, 12.
294 ID_, Omelie, 12, PG 150, 153C.
295 ID., Triadi, III, 3, 12.
296 Ibid., II, 2, 12.
358
in altri termini; cessa di essere alienato e malato agendo contro natu-
ra, e ritrova la sua natura vera e recupera la salute spirituale eserci-
tando le diverse facoltà in vista di Dio, loro vera finalità. La preghie-
ra implica, infatti, per la concentrazione che esige, una «custodia dei
sensi» che allontana questi da un esercizio secondo la carne. Sono
ugualmente tutte le altre facoltà del corpo che la preghiera guarisce
facendole passare da un'attività indipendente da Dio a un esercizio se-
condo Dio. Essa dona alla lingua la facoltà di parlare a Dio, ma anche
di Dio e in Dio con pace, dolcezza, coraggio, sapienza; alle orecchie,
la facoltà di essere «attente agli insegnamenti divini non solo per ascol-
tarli, ma, come dice Davide, "per custodire la sua alleanza e ricor-
darsi di osservare i suoi precetti" (cfr. Sal 103 [102],18)»297 • È anche
grazie ad essa che «le nostre mani e i nostri piedi sono al servizio
della volontà divina»298 •
Da quanto detto in precedenza, risulta che la preghiera rende l'uo-
mo veramente libero. Essa lo libera dalla sfera limitata e opprimente
del suo «io» decaduto per aprirlo all'infinità di Dio. Guarendo l'uo-
mo dal peccato e dalle passioni essa lo libera dalla loro schiavitù299 e
da tutti gli effetti patologici. L'uomo, secondo la parola dell' Aposto-
lo, sperimenta «che la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù del-
la corruzione per ottenere la libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm
8,21). La preghiera lo fa uscire dallo stato di alienazione in cui il
peccato lo aveva posto. L'uomo, infatti, non è più mosso da forze estra-
nee, non è più sottomesso «alla legge del peccato che abitava in lui>>
(cfr. Rm 7,17.20.23). Ritrova in Dio il suo vero essere e agisce così ve-
ramente da se stesso. Il solo fatto di recuperare in Dio la sua natura
gli conferisce la libertà, perché questa consiste, ricorda san Gregorio
di Nissa, nell'identità con la propria natura e nella conformità con es-
sa300. La preghiera rende l'uomo libero, perché riorienta il suo desi-
derio e la sua volontà verso Dio, loro fine naturale, e perché la li-
bertà consiste anche, come dice san Diadoco di Foticea, nella «Volontà
di un'anima razionale pronta a muoversi verso il suo oggetto»301 . In-
fine, la preghiera libera l'uomo perché egli riceve per suo mezzo la lu-
ce dello Spirito che, illuminando la sua intelligenza, lo libera dagli
359
errori, dalle illusioni, dai fantasmi e dai deliri imposti dalle sue facoltà
di conoscenza dal peccato e. dalle passioni, e correlativamente gli con-
cede la possibilità c:li:c.9@.'sMe, e lo abbiamo visto, secondo la forma
più elevata dell'intellezfon~1a verità che libera (cfr. Gv 8,31). Poiché
l'uomo nella preghiera conosce il vero Bene e vi tende senza riflettere
e senza esitare, la sua libertà qui non è quella, imperfetta, che delibe-
ra, ma quella, perfetta, che si dirige immediatamente e spontaneamente
verso il Migliore3°2 • Unito a Dio attraverso la pì:'èghiera, divenendo co-
sì partecipe di lui, l'uomo entra «neUa lil:J~rtà'della gloria dei figli di
Dio» (Rm 8,21), cioè diviene, per partecipazione energetica, libero del-
la libertà di Dio stesso.
302 GIOVANNIDAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, Il, 22; m, 14.
303 Omelie contro Anomei, VII, 7.
304 Omelie sulla lettera a Filemone, m, 2.
305 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sull'iscrizione degli atti, V, 2.
306 lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 21.
307 Ibid. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla Genesi, XXX, 5,
308 GIOVANNI CRISOSTOMO, Catechesi battesimali, VII, 25.
309 Omelie contro gli Anomei, VII, 7.
310 La Scala, XXVII, 105.
311 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie contro gliAnomei, 7, 7; Omelie sugli Atti, III, I. Esrcmo
360
«è impossibile che un uomo che prega con debito fervore e invoca Dio
incessantemente cada nel peccato»312 • La preghiera fervida, infatti, ot-
tiene sempre l'aiuto della forza divina che permette all'uomo di far
fronte a qualsiasi avversario.
La lotta contro le tentazioni si ricollega sempre, in realtà, a U1la lot-
ta contro ì demoni che insinuàno tali tentazioni. La preghiera fortifi-
ca l'uomo in vista di questa lotta. Sta alla potenza irascibile dell'anima
condurre questo combattimento: la preghiera le fornirà le forze ne-
cessarie per uscirne vittoriosa. Ma la preghiera fortifica e rende pru-
dente anche lo spirito che «dirige le operazioni» dell'irascibilità «con-
tro le potenze avverse>>313 , a favore di tutte le facoltà dell' anima.3 14 • I;uo-
mo, di fronte a tutti gli attacchi dei suoi nemici, diviene allora invincibile
e sventa tutte le loro astuzie, fino alle più sottili, riducendole a totale
impotenza. «Colui che prega con tutto il cuore, starà immobile come
una colonna, e nessun demone si prenderà gioco di lui», scrive san
Giovanni Climaco315 • La preghiera, di conseguenza, preserva l'uomo
da tutte le malattie e da tutte le forme di follia di cui i demoni sono
causa diretta. Essa lo preserva particolarmente dalla temibile.angoscia
che essi cercano di insinuare nell'anima316 •
La preghiera aiuta, dunque, l'uomo a distaccarsi progressivamen-
te dal mondo317 e da se stesso. Difatti, scrive sant'Isacco il Siro, <<la
preghiera è la morte dei pensieri provenienti dalla volontà della car-
ne. Colui che prega è simile a colui che è morto ed è fuori dal mon-
do. Perseverare nella preghiera «è rinunciare a se stessi»318 • Essa fa
trionfare l'uomo sulla sua natura decaduta319 e fa morire in lui l'uo-
mo vecchio320 • Contemporaneamente, essa lo riveste dell'uomo nuo-
vo unendolo a Dio. Per mezzo del suo atto proprio di «conversazio-
ne con Dio»321 <<la preghiera compie il sacramento _della nostra unio-
SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 18. GIOVANNI CRI-
317
omilia può essete tradotto anche con: la compagnia, il commercio abituale e intimo, la relazio-
ne e la conversazione familiari. Una definizione simile è data da GIOVANNI LlusOSTOMO, Ome-
lia sulla Genesi, XXX, 5. Vedi anche !SACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 35.
361
ne con Dio»322 , e ci dà il potere di conoscere di nuovo lo stato di pros-
simità e di familiarità che caratterizzava in paradiso la relazione tra
Adamo e il suo Creatore323 . Tutto ciò si verifica anche perché, essen-
do la preghiera il principio di tutte le virtù324 , «è unione dell'anima
con Dio»325 . Soprattutto per la virtù della carità, che la preghiera ha
più di ogni altro atteggiamento spirituale il potere di suscitare326 e svi-
luppare327, essa permette all'uomo di unirsi a Dio. <<Preghiamo per
acquistare l'amore di Dio; [infatti], troviamo nella preghiera le cau-
se che ci fanno amare Dio», scrive sant'lsacco il Siro328 . <<L'amore è il
frutto della preghiera>>, aggiunge ancora329 . E san Massimo sottolinea
lo stretto legame che vige tra la carità e la preghiera pura: «Chi ama
sinceramente Dio prega assolutamente senza distrazione, e chi prega
assolutamente senza distrazione ama anche sinceramente Dio>>330 .
Ad ogni modo, «quando la preghiera penetra nell'anima, ogni virtù
entra con essa>>331 • Di conseguenza, l'uomo può per mezzo della pre-
ghiera ritrovare la salute di ogni sua facoltà e di tutto il suo essere, e
può quindi godere in questo stato di «un'infinità di beni>>, di cui la
preghiera è il principia3 32 . ·
Poiché, «attraverso la preghiera, il medico delle anime purifica lo
spirito»333 , l'anima e il corpo dell'uomo, essa è per lui una delle prin-
cipali vie d'accesso alla conoscenza spirituale. Guarendo l'uomo dal-
le passioni, il Medico divino lo libera da ciò che gli impediva di co-
noscere adeguatamente ogni realtà, inducendolo in errore, producen-
do in lui ogni sorta di illusioni, e immergendolo totalmente nell'igno-
ranza dell'essenziale. Purificato dalle passioni, l'uomo è pronto ad es-
sere illuminato dallo Spirito Santo334 . Ciò che prima era incompren-
sibile all'uomo gli diviene comprensibile.
guire secondo Dio e la vera ascesi, 301D), e san Giovanni Climaco la definisce «regina di tutte
le virtù>> (La Scala, XXVIII, 7).
325 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVIII, 1.
326 Cfr. MAsswo IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 11. TEOLEITO DI FILADELFIA, No-
362
Egli giunge, prima di tutto, a conoscere se stesso adeguatamente.
Sant' Esichio di Batos osserva che solo la preghiera conferisce all'uo-
- mo <<la conoscenza interiore>>335 . San Giovanni Climaco la considera
in questo senso come <<il test dello stato della nostra anima»336 . «La
preghiera ti farà conoscere lo stato della tua anima. I teologi, infatti,
chiamano la preghiera lo specchio del monaco», afferma il santo au-
tore altrove337 . Nella preghiera, lo Spirito Santo rende effettivamente
l'uomo consapevole di ciò che prima ignorava, gli dà la possibilità di
conoscere il suo <<fondo nascosto» dove sussistono le «passioni segre-
te»338·, e nello stesso tempo gli fornisce il mezzo per rimediarvi. Co-
me scrive Evagrio, l'anima agisce per mezzo del corpo, percepisce le
membra che sono malate, così lo spirito [. ..] [pregando], impara a co-
noscere le sue potenze, e attraverso quelle che fanno da ostacolo sco-
pre il comandamento capace di guarirla»339 • L'uomo può, così, in-
camminarsi verso la completa guarigione delle malattie della sua ani-
ma e ritrovare la salute. Quando l'uomo prega profondamente, osserva
san Pietro Damasceno, «è allora che lo spirito inizia a vedere le pro-
prie colpe come la sabbia del mare. È là l'origine dell'illuminazione
dell'anima, quindi il segno della sua salvezza»340 . Correlativamente,
la preghiera permette all'uomo di accedere alla conoscenza della sua
vera natura e di vedersi nella sua realtà spirituale d'immagine di Dio341 .
Essa appare, perciò, come una delle chiavi principali della conoscen-
za adeguata del prossimo, ma anche di ogni realtà, perché «a colui che
conosce se stesso è data la conoscenza di tutto»342 e «conoscere se stes-
si è il compimento della conoscenza dell'universo»343 .
Nello stesso tempo in cui la preghiera permette all'uomo di cono-
scere se stesso, essa gli dà l'accesso, lo vedremo più avanti, alla cono-
scenza di Dio nella forma più alta che questa può rivestire: quella che
.Dio stesso dona per mezzo del suo Spirito344 •
363
b) Il metodo di preghiera esicasta
m Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 83; 85. GREGORIO IL SINAITA, Sull'esichia e i due mo·
di della preghiera, 5-9. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Metodo della santa orazione e attenzione,
éd. Hausherr, p. 167.
,... GREGORIO IL SINAITA, Come l'esicasta deve stare nella preghiera.
347 Centuria, 8.
><• Cfr. AGOSTINO. «Si dice che, in Egitto, i fratelli fanno delle preghiere frequenti ma mol·
to brevi» (Lettere, 130, PL 33, 501D). Tale questione è stata studiata in particolare da I. HAU-
SHERR, Noms du Christ et voies d'oraison, Roma 1960, pp. 123s.
' 49 Questo gli vale spesso il nome di kryptè meléte (meditazione nascosta). A questo riguar-
do vedi: I. HAUSHERR, op. cit., pp. 167-179.
" 0 Per questo motivo, essa è spesso chiamata «n10nologia» o <<preghiera monologica» (pro-
seuchè monol6g~stos). Cfr. GIOVANNI CLIMAco; La Scala, XV, 52; XXVIJI, 5, 10. ELIA Ecmco,
Antologia gnomica, 94; Capitoli gnostici, 65; 75. GREGORIO PALAMAS, Tre capitoli sulla preghie·
ra e la purezza del cuore, 3. NICODEMO LAGIORITA, Enchiridion, 10.
m .su questo argomento vedi: I. HAUSHERR, Noms du Christ et voies d'oraison, Roma 1960,
pp. 177-215.
364
sta pratica, ma una tra queste si è progressivamente imposta a parti-
re dal V-VII secola352 fino a divenire la formula tradizionale della pre-
ghiera di Gesù: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di
ffie>>353_
role della santa preghiera, Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me.
"'Ibìd.
365
fessa di nuovo la sua divinità; con quest'ultima espressione essa invo-
ca il Padre; nello stesso tempo, essa implica lo Spirito Santo, poiché
nessuno può dire «"Gesù Signore" se non in virtù dello Spirito San-
to» (lCor 12,3 ). Infine, dicendo «abbi pietà di me», implicitamente
essa confessa che Gesù Cristo è l'unico Salvatore. Ecco perché, co-
me fa notare il Pellegrino russo, «i Padri dicono che la Preghiera di
Gesù è la sintesi di tutto il Vangelo»356 •
d) Attraverso questa stessa confessione, essa è persino lode e ado-
razione.
e) Essa include il nome di Gesù. Questo è unito alla stessa Persona
di Cristo, partecipa della sua potenza, mette alla sua presenza e rende
partecipe della sua energia colui che lo invoca come si deve, così co-
me un'icona mette colui che la venera alla presenza della Persona che
essa rappresenta e lo rende partecipe delle energie che essa stessa ma-
nifesta.
f) Per questo motivo, il Nome che è al di sopra di ogni nome pos-
siede una particolare efficacia per combattere i nemici spirituali del-
l'uomo. A tutti è nota la celebre raccomandazione di san Giovanni Cli-
maco: <<Flagella i tuoi nemici con il Nome di Gesù, perché non vi è ar-
ma più potente in cielo e sulla terra»357 • Tale Nome possiede anche
l'efficacia per elevare l'uomo fino alle vette della vita spirituale.
In quanto preghiera breve, la preghiera di Gesù ha due vantaggi
principali.
a) Facilmente meinorizzabile e potendo essere recitata mentalmen-
te, con facilità, rapidamente ed in ogni circostanza, essa permette an-
cor più facilmente di compiere il comandamento del Cristo di «pre-.
gare sempre, senza stancarsi. mai» (Le 18,1) e la raccomandazione del-
l'Apostolo che ricorda: «Pregate senza interruzione» (lTs 5,17), che
i Padri hanno preso alla lettera, cercando di sperimentare in se stessi
uno stato permanente (katastasis, status) ed effettivo di preghiera
che consiste nell'atto di una preghiera ininterrotta (adialeiptos).
La pratica della preghiera di Gesù consiste, in effetti, nel ripetere
la formula il maggior numero di volte possibile, fino a quando essa di-
venga così frequente come i movimenti della respirazione o i battiti
del cuore, e prosegua così, fin nel sonno358, un continuo «ricordo di
366
Dio» (mnéme theou), secondo il nome che le dànno comunemente i
Padri. Ecco perché san Giovanni Climaco consiglia: <<Fa' entrare in te
con l'aria che respiri, inseparabilmente, le parole di colui che ha det-
to: "Chi avrà perseverato sino alla fine, questi si salverà" (Mt 10,22)»359 ;
«il ricordo di Dio faccia un tutt'uno con il tuo respiro»360 . Sant'Esi-
cbio di Batos, che da parte sua riprende diverse volte quest'ultima rac-
comandazione361, osserva che in una tale preghiera, «senza stancarsi
mai né interrompersi, l'anima respira e invoca sempre Cristo Gesù, Fi-
glio di Dio e Dio egli stesso»362 . E aggiunge: «Beato veramente colui
che con tutta la riflessione del suo spirito è incollato alla preghiera di
Gesù e lo invoca continuamente nel suo cuore, come l'aria si unisce al
nostro corpo e la fiamma ai ceri.>>3 63 •
Questa ripetizione all'inizio fatta vocalmente, poi mentalmente3 64 ,
nella sua perfezione è fatta spontaneamente dal cuore stesso, di qui
il nome di «preghiera del cuore» che talvolta le è dato.
b) :Luomo ha come compito, secondo la raccomandazione dell'A~
postalo, oltre quello di pregare continuamente (cfr. lTs 5,17) anche
quello di offrire a Dio una «preghiera pura» (cfr. 2Tm 2,22). È questo
lo scopo che i Padri assegnano a tutta l' ascesi365 , e noi vedremo più
avanti che è a una tale preghiera che è legata la conoscenza/visione di
Dio, fine ultimo di tutta la vita cristiaria.
Sant'Isacco il Siro osserva: «Tutte le forme che può assumere la pre-
ghiera hanno il loro effetto e il loro fine nella preghiera pura»366 . Ve-
dremo in seguito cosa è una preghiera pura in tutte le accezioni di que-
sto aggettivo. Vorremmo solo ricordare qui il suo significato più ele-
mentare, legato al carattere stesso della preghiera di Gesù: si tratta
di una preghiera senza distrazione (aperispastos), di una preghiera al-
la quale non si mescola alcun pensiero estraneo al suo proprio conte-
nuto367. Ciò suppone una concentrazione perfetta dello spirito, un rac-
coglimento totale di tutte le facoltà dell'uomo.
In quanto preghiera breve, la preghiera di Gesù favorisce tale con-
%7 Cfr. ibid. EVAGRIO PONITCO, Trattato pratico sulla vita monastica, 69; La preghiera, 34 a
BARSANUFIO, Lettere, 150.
367
centrazione evitando al pensiero di disperdersi e allo spirito di distrarsi,
il che rischia più facilmente di verificarsi nel caso di una formula di ·
preghiera più sviluppata. Essa risponde, così, perfettamente a questa·
raccomandazione di san Giovanni Climaco: <<Non cercare di parlare
troppo quando preghi, affinché il tuo spirito non si distragga nel cer-
care le parole. Una sola parola del pubblicano placò Dio e un solo gri-
do di fede salvò il ladrone. La loquacità nella preghiera spesso disperde
lo spirito e lo riempie d'immagini, mentre la monologia ordinariamente
lo raccoglie>>3 68 • San Giovanni Climaco ricorda, tra l'altro, a questori"
guardo l'insegnamento di san Paolo: «Un grande esperto della prec
ghiera sublime e perfetta ha detto: "Preferisco dire cinque parole con
la mia intelligenza" (lCor 14,19)»369 • Si noterà che proprio da cinque
parole è costituita la formula greca abbreviata della preghiera di Ge-
sù:· Kyrie Iesou Xristé, elées6n me.
375 NICEFORO IL SOLITARIO, Trattato sulla sobrietà. TEOLETTO DI F'ILADELFIA, Sull'azione se-
greta. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Metodo della santa orazione e attenzione, éd. Hausherr,
p. 164; 165. CALLISTO e IGNAZIO XANroPULO, Centuria, 23; 25. GREGORIO IL SINAITA, Sull'esi-
chia e i due modi della preghiera («Siediti su una sedia alta mezzo cubito»); Come l'esicasta de-
ve stare nella preghiera.
376 Cfr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, II, 2, 12.
368
b) Favorire la continuità della preghiera legandola al ritmo respi-
ratorio. È così che molti Padri consigliano di legare la prima parte del-
la formula: «Signore Gesù Cristo (Figlio di Dio)» all'inspirazione, e la
seconda parte: «abbi pietà di me (peccatore)» all'espirazione. A que-
sto riguardo, però, esistono diversi metodi.
c) Favorire la concentrazione, il raccoglimento, l'attenzione377 • È
questo il principale scopo che gli assegnano i Padri. San Callisto e
sant'lgnazio Xantopulo osservano: <<l Padri divini non hanno visto al-
tro in queste cose se non un aiuto per raccogliere lo spirito, farlo tor-
nare in se stesso, al di fuori della sua abituale agitazione, e ridargli l' at-
tenzione>>378.
Raccogliere lo spirito, in altri termini, è fare tornare lo spirito nel
cuore.
Per comprendere cosa significa questo, occorre sapere che il ter-
mine «cuore» nella lingua dell'ascetica ortodossa indica due realtà: una
realtà spirituale e una realtà fisica. Il cuore, da un lato, indica, confor-
memente all'accezione principale neotest3fTI.entaria di questo termine,
l'uomo interiore379 , l'insieme delle facoltà dell'anima380, più precisa-
mente la loro radice381 • Esso è il centro ontologico dell'uomo, la sua
stessa interiorità; s'identifica con la sua persona. Dall'altro lato, il cuo-
re indica, secondo l'accezione comune, l'organo corporeo.
Ora i Padri esicasti hanno constatato per esperienza che tra il cuo-
re «spirituale» e il cuore fisico, centro del corpo e principio della sua
vita, vi è una corrispondenza analogica, e in virtù dell'unità dell'ani-
ma e del corpo nel composto umano, una connessione che consente
che il primo risieda nel secondo382 e quello che colpisce l'uno colpisce
anche l'altro, benché il cuore spirituale sia per natura indipendente
dal cuore fisico.
Lo spirito stesso è uno degli organi del cuore spirituale3 83 , il più im-
portante, anche se talvolta viene chiamato «cuore» per metonimia,
369
benché lappellativo di «occhio del cuore>>, che frequentemente gli vie-
ne attribuito, sia più appropriato. Quantunque esso sia per natura in-
corporeo e indipendente dal corpo, ha la sua sede nel cuore fisico384 •
Tuttavia, ordinariamente, lo spirito è separato dal cuore, si diffon-
de e si disperde nei pensieri fuori da quest'ultimo, e da questo fuori
da se stesso. In ciò non vi è contraddizione, perché se lo spirito, per
sua natura o sua essenza (ousfa), ha sede nel cuore, per la sua attività.
(enérgeia), esso può allontanarsene385 , più precisamente attraverso qucl-
la delle sue due forme di attività che san Dionigi l'Areopagita chia-
ma <<1Ilovimento in linea retta>>3 86 , e che corrisponde all'esercizio del-
la ragione il cui organo è il cervello387 • La seconda delle sue due atti-
vità, che Dionigi chiama «circolare>>388, «è [la sua] attività più eccellente
e la più propria>>389 : in questa attività esso «non si diffonde al di fuo-
ri, ma rientra in sé»390 , ritrova se stesso391 , e rimane unito al cuore. È
così salvaguardato da ogni deviazione392 •
È a questa seconda attività dello spirito che deve corrispondere la
preghiera. Affinché esso possa dedicarvisi esclusivamente, occorre che
cessi la prima. Occorre, detto in altre parole, «raccogliere lo spirito di-
sperso al di fuori» e ricondurlo al di dentro, far rientrare lo spirito nel
cuore, e mantenervelo.
Basandosi sulla relazione che unisce, come abbiamo visto, il cuore
fisico al cuore spirituale, i Padri esicasti consigliano il metodo psico-
fisico, relazione che deve permettere, a colui che la pratica, di perve-
nire più facilmente a «circoscrivere l'incorporeo nel[la] dimora cor-
porea», come afferma san Giovanni Climaco393 •
384 Cfr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 3; II, 2, 27-30. L'unione dello spirito e del corpo, e
quindi del cuore, ~ messa alla prova come un fatto di esperienza, ma difficilmente spiegabile
concettualmente. E così che san Gregorio Palamas scrive: <<lo credo che possiamo parlare del
"contatto", dell'"uso" e dell'"unione" che qui avvengono. Tuttavia, nessun uomo può conce-
pire ed esP.rimere la qualità propria di queste relazioni tra la natura spirituale e quella fisica o
il corpo» (Triadi, II, 2, 28. Cfr. 29). .
385 Cfr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 5. Questa distinzione tra la natura e
l'attività è ri-
presa anche in ibid., II, 25 e 26.
386 Sui Nomi divini, IV, 9. Cfr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 5. NICODEMO L'AGIORITA,
Enchiridion, 10.
'"'NICODEMO L'AGIORITA, Enchridion, 10.
388 Sui Nomi divini, IV, 9. Cfr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 5. NICODEMO L'AGIORITA,
Enchiridion, 10.
"''GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 5.
390 Ibid.
391 Gr. BASILIO DI CESAREA, Lettere, I. TEOLETIO DI FII.ADELFIA, Nove capitoli, 1. CALLISTO
e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 19. NICODEMO L'AGIORITA, Encbiridion, 10.
392 Cfr. DIONIGI L'AREOPAGITA, Sui Nomi divini, N, 9. GREGORIO PALAMAS, Triadi, l, 2, 5.
NICEFORO IL SOLITARIO, Trattato sulla sobrietà.
393 La Scala, XXVII, 7.
370
1) Questo metodo consiste, in primo luogo, nell'inclinare la testa
e poggiare il mento sul petto394 , nel concentrare lo sguardo, chiuden-
do gli occhi, sul luogo del cuore, o, come raccomanda sap. Simeone il
Nuovo Teologo, sull'ombelico395 • San Gregorio Palamas giustifica
così questa pratica: «Colui che cerca di far tornare il suo spirito in se
stesso al fine di spingerlo non al movimento in linea retta,. ma al mo-
vimento circolare [. ..], non solo si raccoglierà così esteriormente su se
stesso, per quanto gli sarà possibile, conformemente al movimento in-
teriore che egli ricerca per il suo spirito; ma di più,· dando una tale po-
stura al suo corpo, egli rovescerà verso l'interno del cuore la potenza
dello spirito che passa attraverso la vista verso l' estemo»3%.
2) Si tratta, d'altra parte, di rallentare il ritmo della respirazione; di
trattenere un po' il respiro «in modo da non respirare agevolmente>>397 •
Questa pratica ha quattro ragioni d'essere.
a) Come osserva san Gregorio il Sinaita, <<la tempesta dei soffi che
sale dal cuore oscura lo spirito e agita l'anima, la distrae, la consegna
prigioniera all'oblio, oppure le fa rivivere ogni sorta di cose in conti-
nuazione e la getta insensibilmente in ciò che non è necessario»398 • Se
una respirazione libera contribuisce alla dispersione dello spirito, al
contrario una respirazione repressa e trattenuta lo disciplina399 • Pos-
siamo constatare, fa notare san Gregorio Palamas, che <<l'andirivieni
del respiro diviene tranquillo quando ogni riflessione intensa, so-
prattutto in coloro che, con il corpo e con lo spirito, sono in riposo»400 •
Inversamente, il rallentamento della respirazione favorisce il raccogli-
mento dello spirito401 • ·
nella preghiera.
371
zione, spiega san Nicodemo l' Agiorita, tormenta, comprime, e di con-
seguenza fa penare il cuore che non riceve l'aria richiesta per sua na-
tura. Lo spirito, da parte sua, grazie a questo metodo, si raccoglie
più facilmente e ritorna al cuore, in ragione [. ..] della pena e del do-
lore del cuore;»403 • Dall'altra, fa notare san Nicodemo, «questa pena
e questo dolore fanno vomitare [al cuore] l' a..'llo avvelenato del pia-
cere e del peccato che egli aveva ingoiato. E seguendo l'adagio dei vec-
chi medici, il contrario guarisce il contrario»404 •
c) «Il controllo della respirazione, come osserva ancora san Nico-
demo l'Agiorita, affina il cuore duro e spesso. E gli elementi umidi del
cuore opportunamente compressi, riscaldati, in seguito a ciò, diven-
gono più teneri, più sensibili, umili, meglio disposti alla compunzio-
ne, e adatti a versare più facilmente le lacrime. Anche il cervello, d' al-
tra parte, si affina e, nello stesso tempo, con esso, l'azione dello spiri-
to che diviene uniforme, trasparente»405 •
d) «Trattenendo il respiro, spiega san Nicodemo, tutte le altre po-
tenze dell'anima si uniscono e tornano allo spirito e dallo spirito a
Dio»406 • Detto in altre parole, il metodo contribuisce a che tutte le
facoltà siano unite nella preghiera e tese verso Dio, e a che l'uomo di-
venga interamente preghiera e si unisca completamente a Dio.
3) Il metodo psico-fisico consiste, infine, nell'unire lo spirito al re-
spiro e nello spingerlo a entrare con esso nel petto fino al luogo del
cuore407 • San Niceforo il Solitario consiglia: <<Raccogli il tuo spirito, in-
troducilo - dico il tuo spirito - nelle narici; è il cammino che prende
il respiro per andare nel cuore. Spingilo, forzalo a discendere nel tuo
cuore mentre l'aria viene inspirata»408 • E san Callisto e sant'Ignazio
Xantopulo raccomandano: <<Raccogli il tuo spirito fuori del suo tur-
binio abituale e il suo errare. Spingilo dolcemente all'interno del cuo-
re con l'inspirazione. E conserva in esso la preghiera: "Signore Gesù
Cristo, abbi pietà di me"»409 •
Notiamo che questa tecnica dev'essere in ogni ca:so praticata sotto la
direzione di un padre spirituale esperto, perché, nel caso contrario, ri-
schierebbe d'introdurre attraverso il corpo e la psiche gravi turbamenti.
372
Dopo aver presentato i principi del metodo psico-fisico, occorre
sottolineare che questo non è assolq.tamente indispensabile e non ha
che un ruolo ausiliare410 • I Padri gli attribuiscono un ruolo essenzial-
mente propedeutico e lo consigliano soprattutto ai principianti411 • Es-
si riconoscono che si può giungere allo stesso risultato per altre vie.
Per questo, san Niceforo il Solitario, uno dei principali promotori di
questo metodo, così scrive: «Se, malgrado tutti gli sforzi, tu non arri-
vi a penetrare nelle parti del cuore seguendo le mie indicazioni, fa' co-
me ti dico e, con l'aiuto di Dio, raggiungerai il tuo scopo [. .. ]. Dopo
aver bandito dal[la] ragione ogni pensiero (tu puoi, basta volerlo) da'
ad essa il "Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me" e costringila agri-
dare interiormente, escludendo ogni altro pensiero, queste parole.
Quando, còn il tempo, tu sarai padrone di questa pratica, essa sicura-
mente ti aprirà l'ingresso del cuore, così come ti ho già detto»412 •
In ogni caso, nessun metodo potrebbe essere considerato una tec-
nica suscettibile di produrre da sé effetti spirituali, i quali possono es-
sere il frutto solo della grazia divina. Ciò che importa per ricevere que-
sta grazia, sono la fede e il fervore che l'uomo manifesta verso Dio nel-
la sua preghiera, non il metodo in sé, che è solo un aiuto il cui ruolo
si limita a facilitare l' attenzione413 •
Il metodo fisico facilita l'accesso dello spirito al cuore, ma non
per questo lo rende più facile. Non in tutti i casi, e anche dopo mol-
to tempo, e dopo molti esercizi, si può giungere a pregare continua-
mente e in maniera pura nel cuore414; occorre altresì precisare che que-
sta è una grazia alla quale accedono solo pochi spirituali415 , appena un
paio per generazione, afferma sant'Isacco il Siro416 •
·La preghiera di Gesù, infatti, è indissolubilmente legata all'insieme
della vita ascetica, di cui essa è sia lo scopo che il fine. In quanto mo-
do di pregare, essa ne è, come ogni altra forma di preghiera, anche la
condizione. In quanto questa è, in tutta la sua perfezione, preghiera
pura permanente, presuppone al contrario come condizione tutta una
Cfr. GREGORIO IL SINAITA, Come l'esicasta deve stare nella preghiera. CALLISTO e IGNA-
411
ZIO XANTOPULO, Centuria, 23; 24. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 7-8. NICODEMO L'AGIORI-
TA, Enchiridion, 10.
412 Trattato sulla sobrietà.
4 IJ Cfr. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 24.
414 Cfr. ibid., 52. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 8; Tre capitoli, 2.
415 CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 52. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilan-
za, l; 115. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, IV, 51.
416 Discorsi ascetici, 32.
373
vita ascetica; esige che siano state superate con successo tutte le tap-
pe della praxis. Riguardo a queste condizioni spirituali, il metodo psi-
co-fisico è del tutto accessorio417 : esso non avrebbe nessuna utilità se
queste non fossero messe insieme.
Tra le condizioni che devono necessariamente accompagnare lapre-
ghiera di Gesù, occorre citare in primo luogo la vigilanza (nepsis), che
esamineremo in seguito, per mezzo della quale si compiono allo stes-
so tempo la custodia del tuore e quella dello spirito, la cui funzione
è rispettivamente quella di purificare il cuore da ogni pensiero pas- .
sionale, e quella di purificare lo spirito da ogni rappresentazione
(immagine o pensiero) estranea al contenuto stesso della preghiera.
Occorre citare anche la compunzione418 , l'umiltà419 e l'amore di Dio420 .
ai quali i Padri riconoscono un ruolo essenziale e indispensabile.
Bisogna, però, sottolineare che la pratica della preghiera di Gesù:
esige nello stesso tempo che sia condotta la lotta contro tutte le pas-
sioni fino all'impassibilità421 e che correlativamente siano praticate tute
te le altre virtù422 • In altre parole, tale preghiera è indissociabile dalla
pratica attiva di tutti i comandamenti divini423 •
417 Del resto, nella Filocalia, la descrizione di questo occupa solo alcune pagine, mentre la
TOPULO, Centuria, 25; 80; 81. Questi ultimi scrivono in particolare: «Se tu non hai la compun-
zione, sappi allora che hai la vanità>> (Centuria, 25).
419 Vedi tra laltro: TEOLETIO DI FILADELFIA, Sull'azione segreta. CALLISTO e IGNAZIO XAN·
ne, éd. Hausherr, p. 163. CALLISTO e IGNAZ!O XANTOPULO, Centuria, 86; 87.
422 Vedi tra gli altri TEOLETIO DI FILADELFIA, Nove capitoli, 3.
423 Vedi tra gli altri ibid., 5.
374
-manifestarsi nella pratica dei comandamenti. Il santo apostolo Giaco-
mo insegna: «Co~ì anche la fede, se non ha le opere, di per se stessa
è senza vita>> (Gc 2,17); «come il corpo senza lo spirito è morto, così
è morta anche la fede senza le opere>> (Gc 2,26); <<la fede senza le ope-
re è inerte» (Gc 2,20); <<l'uomo viene giustificato in base alle opere e
non soltanto in base alla fede» (Gc 2,24). Sant'Isacco, riprendendo
questo insegnamento, così scrive: <<La fede ha bisogno anche delle ope-
re»424. San Giovanni Damasceno afferma la stessa cosa: «La fede è
resa perfetta da ciò che il Cristo ha istituito [ ... ],venerando e prati-
cando i suoi comandamenri>>425 . «Che nessuno si fidi esclusivamente
della fede nel Cristo», insegna san Simeone il Nuovo Teologo426 che
arriva persino ad affermare: «Senza fede (dpistoi) sono coloro che si
appoggiano solo sulla fede»427 . San Marco l'Eremita assimila <<la fede
in GesÙ>> alla «pratica dei suoi comandamenti»428 . E san Giovanni Cri-
sostomo, dopo aver detto ugualmente che <<la fede da sola non basta
per essere salvato», precisa: «Occorre aggiungere a questa fede il re-
golamento di tutta la vita e il cambiamento del proprio modo di vi-
vere»429. In questa decisione di ordinare il proprio essere e la propria
esistenza in conformità ai comandamenti del Cristo l'uomo manifesta
concretamente la sua volontà di essere guarito e salvato; dimostra che
la sua guarigione e la sua salvezza non sono per lui l'oggetto di un sem-
plice desiderio, ma che egli vi tende con tutto il suo essere e con tut-
ta la sua vita, impegnandosi realmente nel camminare nelle loro vie.
Il pentimento, che con la fede è uno dei fondamenti della salvezza
al punto tale che il Cristo, predicandolo, inaugura (cfr. Mt 4,17; Mc
1,15) e chiude (cfr. Le 24,47) la sua vita pubblica, è non solo il di-
spiacere di uno stato di peccato passato e presente, ma anche la vo-
lontà di allontanarsene e di cambiare vita (è una delle connotazioni del
termine metanoia). La pratica dei comandamenti appare, dunque, co-
me il suo prolungamento necessario, se non come uno dei suoi attri-
buti essenziali.
Anche la preghiera, per fondamentale che sia, non basta alla sal-
vezza dell'u~mo, come ci insegna il Cristo stesso: «Non chiunque mi
375
dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa lavo-
lontà del Padre mio che è nei cieli>> (Mt 7,21). La preghiera dell'uomo
è esaudita a condizione che egli metta in pratica i comandamenti di
Dio: «Qualunque cosa gli chiediamo, la riceviamo da lui, poiché noi
osserviamo i suoi comandamenti e facciamo ciò che è gradito davan-
-ti a lui>> (lGv 3,22). <<La fedeltà ai precetti del Cristo», come osserva
Origene, <<fa dunque parte integrante della preghiera>>430 .
Il battesimo stesso non è nulla senza la pratica dei comandamen-
ti431. Difatti, se l'uomo riceve con il battesimo la pienezza della grazia,
questa non produce i suoi effetti su di lui se egli non pratica i co~
mandamenti. Ecco perché san Marco l'Eremita scrive: «Il santo bat-
tesimo è perfetto, ma non rende perfetto colui che non mette in pra-
tica i comandamenti»432 . E, altrove, precisa: <<La grazia è stata data mi-
sticamente a coloro che sono stati battezzati nel Cristo; essa si dimostra
efficace in proporzione della pratica dei comandamenti»433 ; «se non
mettiamo in pratica i comandamenti di Dio, la grazia che ci è stata da-
ta non si rivela>>434 . San Callisto e sant'Ignazio Xantopulo spiegano:
<<Essendo il Cristo, perfetto Dio, ha dato ai battezzati la grazia perfetta
dello Spirito Santo, alla quale noi non abbiamo nulla da aggiungere.
Ma essa ci è stata rivelata, manifestata nella misura in cui osserviamo
i comandamenti>>435 . I comandamenti per se stessi non salvano e non
deificano l'uomo, perché è per la grazia, dono di Dio, che il credente
viene salvato e deificato (cfr. E/2,8-9). Nello stesso tempo, però, la
pratica dei comandamenti è indispensabile alla salvezza e alla deifi-
. cazione dell'uomo, perché è per mezzo di tale pratica che egli può con-
servare questa grazia che riceve nei sacramenti, assimilarla e crescere
in essa, nonché ritrovarla nel caso che egli se ne sia allontanato.
376
dizione di uomo nuovo e a conservare i doni ricevuti. «La grazia di
Dio è conservata dall'osservanza dei comandamenti»437 , osserva san Si-
meone il Nuovo Teologo. Tale conservazione avviene in modo del tut-
to oggettivo, ma affinché l'uomo l'assuma personalmente e ne viva ef-
fettivamente, occorrono il suo consenso, la sua libera partecipazione,
la sua volontaria collaborazione, perché Dio, se ci dona la sua grazia,
non ce la impone, non forza la nostra volontà, ma rispetta la nostra li-
bertà438. Ora, solo attraverso la pratica dei comandamenti possono ma-
nifestarsi tale partecipazione e tale collaborazione dell'uomo. È per i
divini comandamenti del Cristo «che il battezzato conserva la grazia
dello Spirito Santo, se solo egli vuole osservarli», osserva san Pietro
Damasceno439 . I comandamenti aiutano, così, l'uomo a conservare la
salute spirituale che egli ha ritrovato, conservandosi puro da ogni ma-
le e perseverando nella vita nuova in cui è stato introdotto440 . Ecco per-
ché così scrive san Marco l'Eremita: «Noi che abbiamo avuto l'ono-
re di ricevere il bagno della rinascita, pratichiamo il bene, non per da-
re qualcosa in cambio, ma per conservare puro il dono che ci è stato
fatto»441 . Altrove, egli spiega ancora: <<A coloro che hanno ricevuto il
potere di praticare i comandamenti, in quanto credenti, si raccoman-
da di dover lottare per non tornare indietro, [. .. ] per non tornare
, mai [al peccato]»442 • Il salmista sottolinea ripetutamente questa fun-
zione profilattica dei comandamenti: «Non dovrò arrossire se avrò ob-
bedito ai tuoi precetti» (Sal 119[118],6); «Hanno teso lacci gli empi
contro di me, ma non ho deviato dai tuoi comandi» (Sal 119[118],110);
<<Grande pace per chi ama la tua legge; non c'è per loro alcun inciampo»
(Sal 119[118],165). San Diadoco di Foticea scrive allo stesso modo:
«Se qualcuno non cessa di pensare a Dio e non trascura di praticare
i suoi santi comandamenti, non cadrà in cedimento volontario o in-
volontario»443. I comandamenti, perciò, non devono affatto essere con-
cepiti come degli obblighi - e ancor meno come proibizioni o tabù -
di tipo legalista, ma piuttosto come dei «parapetti» che impediscono
all'uomo di ritornare alla «follia del peccato», di ricadere nelle ma-
lattie spirituali quali le passioni. Ecco perché san Simeone fa sottil-
377
mente notare che si tratta, piuttosto che di custodirli, di proteggersi
attraverso i comandamenti444 • Questi, tuttavia; meritano il loro no-
me, perché gli atteggiamenti e i comportamenti che essi prescrivono,
se corrispondono, come vedremo, alla-natura profonda e vera dell'uoc
mo restaurato in sé dal battesimo, non sono pertanto spontanei, nel-:
la misura in cui essi contraddicono le tendenze della natura decadu-
ta e dell'ambiente circostante. «Trovo in me questa legge: che quando
voglio compiere il bene, è il male che incombe su di me. Mi compiaccio
della legge di Dio secondo l'uomo interiore, ma vedo una legge diversa
nelle mie membra che osteggia la legge della mia mente e mi rende
schiavo alla legge del peccato che sta nelle mie membra>> (Rm 7,21-23).
378
ti nell'uomo, non gli si manifestano se non in proporzione ali' atten-
Zione e allo zelo che egli mette nel praticare i comandamenti, alle di-
sposizioni che egli dimostra concretamente nel vivere in conformità
con essi446 • Per questo, san Simeone il Nuovo Teologo osserva che co-
loro che non provano gli effetti del battesimo. sono «infermi perché
non praticano i comandament:i.»447 • San Marco l'Eremita, lo abbiamo
visto, nòn smette di ripetere che l'uomo riceve nel battesimo la pie-
nezza della grazia, ma la riceve <<misticamente», e questa non si rive-
la effettivamente, né manifesta i suoi effetti in lui se non in propor-
zione della pratica dei comandamenti448 • La grazia perfetta dello Spi-
rito ci è stata data: non può quindi crescere in.noi; ma siamo noi che
dobbiamo crescere in essa449 • «Il santo battesimo, egli scrive, nei no-
stri riguardi è perfetto, ma noi non lo siamo in rapporto ad esso. Tu,
dunque, o uomo battezzato in Cristo, esercita semplicemente la po-
tenza che hai ricevuto e prepàrati alla manifestazione intima di colui
che abita in te»450 • È così che, <<nella misura in cui, con la fede, met-
tiamo in pratica i comandamenti, l'azione dello Spirito produce i suoi
frutti particolari in noi»451 •
Solo praticando i comandamenti, l'uomo può divenire figlio di Dio
(dr. Lc20,36; Rm 8,14; Gal3,26) per adozione (cfr. Rm 8,15; Gal4,5;
E/1,5) e dio per grazia. <<Per la grazia, Dio ha dato a tutti il potere di
divellire figli di Dio (cfr. Gv 1,12) nell'osservare i comandamenti di-
vini», scrive san Pietro Damasceno452 • I comandamenti sono, infatti,
l'espressione della volontà di Dio, pienamente rivelata e perfettamen-
te compiuta dal Cristo. Vivendo in conformità ad essi, l'uomo cessa di
compiere la propria volontà453 che lo isola e lo rende estraneo a Dio,
mentre invece compie la volontà di Dio, e in questo si rende simile al
Cristo conformando pienamente la sua volontà umana alla sua volontà
divina e facendosi in tutto obbediente al Padre. Egli diviene così suo
fratello: «Chi fa la volontà di Dio, questi è mio fratello» (Mc 3,35;
cfr. Mt 12,50). Possiamo ugualmente dire che i comandamenti fanno
dell'uomo un figlio di Dio per adozione perché per mezzo di essi l'uo-
mo adotta un comportamento degno del figlio riguardo a suo padre,
379
testimoniando veramente, concretamente, ontologicamente, la sua fe-
de in lui («Tutti siete figli di Dio in Cristo Gesù mediante la fede»,
proclama san Paolo [Gal 3,26]) e anche il suo amore per lui: «Questo
è l'amore di Dio: osservare i suoi comandamenti» (lGv 5,3); «Chi ha
i miei comandamenti e li osserva, è lui che mi ama>> (Gv 14,21), inse-
gna il Cristo. A questo amore di figlio per suo Padre, corrisponde
l'amore del Padre per il figlio adottato, e del Figlio per il suo fratello
adottivo: «Colui che mi ama sarà amato dal Padre mio ed io lo amerò
e manifesterò a lui me stesso» (Gv 14,21). È per l'invio dello Spirito
Santo che il Cristo si manifesta e manifesta il Padre a colui che testi-
monia il suo amore per Dio nel praticare i suoi comandamenti. «Se mi
amate, osservate i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli
vi darà un altro Paraclito, affinché sia sempre con voi, lo Spirito di ve-
rità>> (Gv 14,15-17). Il fedele può allora gridare con il salmista: «Apro
anelante la mia bocca: sì, io bramo i tuoi precetti» (Sal 119[118],131).
I comandamenti sono, dunque, il principio della santificazione e
della deificazione operata nell'uomo dallo Spirito Santo, in quanto è
praticandoli che l'uomo si apre all'azione dello Spirito e attraverso que-
sta si unisce al Cristo e in lui al Padre. Si possono, allora, con san Cal-
listo e sant'Ignazio Xantopulo considerare i comandamenti come «dei-
ficanti»454, e osservare con san Simeone il Nuovo Teologo che i bat-
tezzati «acquistano la santità attraverso la pratica dei comandamenri>>455 •
Sant'Isacco il Siro scrive categoricamente: «Colui che non ha custo-
dito i comandamenti e non ha seguito le orme dei beati Apostoli non
è degno di essere chiamato santo»456•
San Pietro Damasceno giunge persino ad affermare che i coman-
damenti «sono la grazia di Dio»457 , e san Marco l'Eremita arriva a scri-
vere: «Il Signore sta nascosto nei suoi comandamenti e lo si trova nel-
la misura in cui lo si cerca>>458; «non dire: "Ho seguito i comandamenti
e non ho trovato il Signore"»459 •
Tutto ciò lo si può comprendere in relazione alle considerazioni
precedenti, ma anche tenendo chiaramente presente che i coman-
damenti non sono un codice giuridico, né un insieme di prescrizio-
ni morali astratte e definite a priori, o anche elaborate a partire da
454 Centuria, 4.
455 Trattati etici, X, 435-436.
456 Lettere, 4.
457 Libro, Esordio.
458 La legge spirituale, 191.
459 Ibid., 192.
380
una esperienza umana per considerevole che sia, e che non sono
affatto precetti delk stessa natura di quelli che i sapienti di questo
mondo insegnano, e di cui san Paolo invita a non fidarsi: «Badate
che nessuno vi faccia sua preda con la "filosofia", questo fatuo in-
gaimo che si ispira alle tradizioni umane, agli elementi del mondo»
(Col 2,8). Lo stesso Cristo sottolinea la vacuità e l'inanità fonda-
mentali di queste ultime dicendo di coloro che le professano: «In-
vano, mi prestano culto, mentre insegnano dottrine che sono pre-
cetti di uomini» (Mc 7,7; Mt 15,9). Questi non possono salvare, per-
ché sono solo umani. «Non confidate nei potenti, in un figlio d'uomo
che non dà la salvezza» dice il salmista (Sal 146[145],3). I coman-
damenti del Cristo, al contrario, hanno un potere salvifico e deifi-
cante perché sono per natura divino-umani, in quanto fondati sulla
Persona stessa del Figlio di Dio fatto uomo. Così san Paolo oppo-
ne a chi si appoggia «alle tradizioni. umane, agli elementi del mon-
do», colui che si appoggia «al Cristo» (Col 2,8), aggiungendo im-
mediatamente: «poiché è in lui che dimora corporalmente tutta la
pienezza della divinità» (Col2,9), dopo aver detto prima questo: «Co-
. me dunque avete ricevuto il Cristo Gesù, il Signore, in lui continuate
a vivere, radicati e sopraelevati su di lui e consolidati nella fede co-
me siete stati istruiti» (Col 2,6-7).
Nel dare i comandamenti, Cristo non offre solo dei precetti, ma
compiendoli in se stesso perfettamente, egli dimostra con le sue pa-
role, con le sue azioni, e tutto il suo modo di essere, gli archetipi de-
gli atteggiamenti e dei comportamenti umani nella loro forma perfet-
ta, totalmente sana e santa, cioè teantropica. Ci fa vedere nella sua Per-
sona nella quale egli ha unito la natura umana alla natura divina, l'uomo
vero, <<l'uomo nuovo» (E/2,15), «creato secondo Dio» (E/ 4,24), «che
si rinnova per una più piena conoscenza, a immagine di colui che lo
ha creato» (Col 3,10), il nuovo Adamo, non solo restaurato, ma anche
reso perfetto da questa unione a Dio pienamente compiuta. E se noi
stessi pratichiamo questi comandamenti, egli ci permette di confor-
marci realmente a lui, di somigliargli pienamente, di essere gli <<imita-
tori di Dio» (E/ 5,1), e questo non in maniera estrinseca, come si
imiterebbe un sapiente o un eroe, ma molto più di rivestirci di lui (cfr.
Gal 3 ,27), di comunicare alla sua umanità deificata, di essere resi «par-
tecipi della natura divina>> (2Pt 1,4). Lo scoliaste delle Questioni a Ta- '
lassio scrive in modo molto categorico: <<ll Verbo di Dio si rivela in co-
loro che mettono in pratica la praxis, prendendo corpo nei coman-
damenti. Ed è per mezzo dei comandamenti che nella sua persona di
381
Verbo egli conduce al Padre coloro che agiscono»460 • Con la pratica
dei comandamenti unita alla ricezione dei divini sacramenti, possiamo
vivere la vita divina: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comanda-
menti», insegna il Signore (Mt 19,17), che aggiunge: <<ll comandamento
del Padre è vita eterna» (Gv 12,50); possiamo proclamare con il sal-
mista: «Non mi dimenticherò mai i tuoi comandi, poiché con essi mi
hai ridato la vita>> (Sal 119[118],93) e con l'Apostolo: «Vivo, però non
più io, ma vive in me Cristo» (Gal 2,20).
La pratica dei comandamenti ci permette, per mezzo dello Spirito
Santo, di essere assimilati al Cristo e di avere accesso al Padre nel Cri-
sto (cfr. Gv 14,7), facendoci così giungere a una vera conoscenza di
Dio461 • Questo legame diretto tra la pratica dei comandamenti e la co-
noscenza della verità è frequentemente ricordata dal salmista: «La via
della fedeltà ho scelto, ho preferito i tuoi giudizi» (Sal 119[118],:30);
«Insegnami buon senso e conoscenza: sì, sto saldo nei tuoi precetti»
(Sal 119[118],66); «Dai tuoi comandi ricevo intelligenza» (Sal
119[118],104), il che significa non solo che i comandamenti sono ve-
ridici, ma anche che essi procedono dalla Verità e ad essa riconduco-
no. Vedremo più avanti che la pratica dei comandamenti permette al-
l'uomo di accedere fino alla conoscenza più alta, alla visione di Dio lu-
minosa e deificante che si compie per mezzo dello Spirito Santo in
coloro che sono degni di ricevere questo dono462 •
Se una tale conoscenza è riservata a coloro che sono perfetti, non-
dimeno, come nota san Simeone il Nuovo Teologo, Dio si rivela e si
fa conoscere in qualche misura a tutti quelli che osservano i suoi co~
mandamenti, «secondo la capacità di ciascuno»463 •
In ogni caso, l'osservanza dei comandamenti rimane l'unico crite-
rio di tutta la conoscenza vera di Dio, come sottolinea il santo apo-
stolo Giovanni: «Da questo noi sappiamo di conoscerlo: se osservia-
mo i suoi comandamenti. Chi dice: lo conosco, ma non osserva i suoi
comandamenti, è un mentitore e la verità non è in lui» (lGv 2,3-4). In
particolare, si tratta della pratica dei primi due comandamenti: l'amore
di Dio e l'amore del prossimo (cfr. Mt 22,40; Mc 12,30-31), ai quali
peraltro possono ricondursi tutti gli altri (cfr. Mt 22,40; cfr. Rm 13,9).
Tali comandamenti ci danno l'accesso alla conoscenza di Dio464 , poi-
382
ché Dio è amore: «Chi ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non
ama non ha conosciuto Dio, poiché Dio è amore» (lGv 4,7-8).
383
tuale della sua natura originale che il battesimo gli ha fatto recupera-
re. «Tu sai, dice sant'Isacco il Siro, che il male è entrato in noi con la
trasgressione dei comandamenti. È, dunque, chiaro che sarà nell' os-
servanza degli stessi comandamenti che si recupera la salute. Se noi
non ci mettiamo all'opera, se non camminiamo fin dalla partenza su
questa via che conduce alla purezza, non potremo né desi.derare, né
sperare nella purificazione dell'anima. E non dire che Dio può, anche
senza l'opera dei comandamenti, concederci per grazia la purificazio-
ne dell'anima»469 • L'avvento del Cristo, egli fa notare, «aveva un uni-
co scopo: purificare l'anima, togliere da essa .il male della prima tra-
sgressione, restituirla al suo stato originale. Egli ci ha dato i coman·
<lamenti [. .. ] per guarirci dalle nostre passioni. È evidente che i
comandamenti servono per combattere le passioni e guarire l'anima
che ha trasgredito»470 • E altrove egli nota ancora: «L'anima riceve la
salute osservando la Legge. Infatti, colui che con la pratica dei co-
mandamenti e con le opere più dure della vera vita ha vinto le pas-
sioni, sappia che riceve la salute dell'anima osservando la Legge»471 •
San Gregorio Palamas afferma la stessa cosa: <<Non sarà altro se non
per il compimento dei comandamenti di Dio che l'anima acquista la
salute»472 ; <<la salute e la perfezione dell'anima non si compiono se non
nell'amore e nell'osservanza dei suoi comandamenti»473 •
Si comprende, perciò, che i Padri considerano i comandamenti co-
me rimedi nel senso proprio del termine e riconoscono in essi una fun-
zione e un valore terapeutico di primaria importanza. Per san Si-
meone il Nuovo Teologo, essi sono i rimedi (phdrmaka) che l'uomo
applica alla sua anima malata di passioni474 • Lo stesso scrive san Mas-
simo: <<ll medico delle anime, con i suoi decreti, adatta il rimedio a ciò
che, nell'anima, è radice delle passioni>>475 • Sant'Isacco il Siro è molto
più esplicito a questo riguardo: «Il Signore ci ha dato i comandamen-
ti come rimedi per purificarci dalle passioni e dalle colpe»476 ; «ciò che
i rimedi sono per il corpo malato, i comandamenti lo sono per l' ani-
ma colpita dalle passioni>>477 ; <<l'opera nascosta dei comandamenti gua-
469 Lettere, 4.
470 Ibid.
471 Ibid.
472 Triadi, II, 3, 17.
4" Ibid., I, 42.
474 Catechesi, XIV, 88. C&. Trattati etici, IX, 462-463.
475 Centurie sulla carità, II, 44.
476 Lettere, 4.
477 Ibid.
384
risce la potenza dell'anima»478 ; «i comandamenti spirituali, i coman-
damenti che l'anima osserva nella considerazione del timore di Dio, la
rinnovano, la santificano, e curano segretamente tutte le sue membra.
È chiaro che ogni comandamento guarisce nell'anima dolcemente ogni
passione. Colui che è guarito e colui che guarisce sentono questa ener-
gia come la sentiva la donna che perdeva il sangue»479 • Anche per
san Giovanni Crisostomo la Legge è il «rimedio dell'anima»480 , e per
san·Gregorio Nazianzeno «lilla medicina dolce e umana>>, che il Cri-
sto ci ha dato <<per sostenerci», preferita a un trattamento violento che
non avrebbe richiesto la nostra partecipazione481 • Quanto a Clemen-
te d'Alessandria, egli scrive: «Il Verbo è stato chiamato Salvatore, lui
che ha inventato per gli uomini questi rimedi spirituali per dar loro un
significato morale giusto e condurli alla salvezza [ .. .]; egli ordina co-
se da cui bisogna astenersi e offre ai malati tutti gli antidoti salutari.
Quando il medico non dà alcun rimedio per la salute, i malati si la-
mentano: come non avremmo noi una grandissima riconoscenza per
il di.vin Pedagogo, poiché egli non osserva il silenzio, ma, evidenzian-
do le manchevolezze che conducono alla rovina, al contrario le de-
nuncia[. .. ] e insegna i precetti adatti per una retta vita.>>482 • San Doro-
teo di Gaza fa, inoltre, notare che il Cristo «ci fornisce il rimedio»
alla trasgressione dei precetti divini affinché possiamo essere salvati483 ;
sottolinea altresì nel suo insegnamento il valore eminente del medico
(il Cristo) e dei rimedi (i comandamenti) di cui dispone il cristiano che,
afferma, è ingiustificato se non ottiene la guarigiohe: «Per la debo-
lezza del corpo, noi troviamo diverse ragioni: o i rimedi non agiscono,
perché sono troppo vecchi; o il medico non ha esperienza e dà un ri-
medio invece di un altro, o il malato è disobbediente e non osserva
le sue prescrizioni. Ma per l'anima, non è così: non possiamo dire, in-
fatti, che il medico sia inesperto e che non abbia dato i rimedi giusti,
poiché il medico delle nostre anime, è il Cristo, che sa tutto, che dà a
ciascuna passione il rimedio appropriato, voglio dire i comandamen-
ti[. .. ]. Questo medico, dunque, è molto esperto. D'altra parte, non
possiamo dire che i rimedi siano inefficaci perché troppo vecchi. I co-
mandamenti del Cristo non invecchiano mai: essi si rinnovano, nella
478 Ibid.
479 Ibid.
480 Trattato sulla verginità, 17.
481 Discorsi, XLV, 12.
482 Il Pedagogo, I, XII, 100, 1-2.
385
misura in cui servono. Non vi è, dunque, altro ostacolo alla salvezza
dell'anima se non la propria sregolatezza.>>484 •
' 89 Ibid.
386
Nel riordinare e nel conformare il proprio essere a Dio con la pra-
tica dei comandamenti, l'uomo compie ciò per cui è stato creato,
realizza la finalità normale della sua natura, e fa ciò che egli può es-
sere e fare di meglio, cioè s'incammina verso la perfezione alla quale
Dio lo chiama (cfr. Mt 5,48); si adegua alla sua vera natura, quella che
Adamo possedeva nel paradiso ma che ha alterato con la sua colpa,
quella natura che il Cristo ha ridato all'umanità nel ricondurla in lui
al suo compimento, quella natura che egli stesso ha rivestito nel bat-
tesimo avendo come compito di assimilarla personalmente. Vi è una
stretta correlazione tra la vera natura dell'uomo e la natura dei co-
mandamenti che Dio gli dà, e che manifesta una volta di più che
questi non sono principi astratti o esigenze a priori, ideali senza rap-
porto con i bisogni, con le potenzialità e con il destino dell'uomo,
ma corrispondono profondamente a quanto egli è ontologicamente,
come spiega san Gregorio Palamas: <<ll Signore, che ha fatto i nostri
cuori e conosce tutto, quando si è incarnato ed è disceso sulla terra fa-
cendoci rinascere e salvandoci, noi che eravamo decaduti, ha esigito
da noi ciò che aveva posto nelle nostre anime fin dall'inizio, al mo-
mento della creazione. Infatti, egli ha creato l'uomo in modo tale che
questi sia adeguato all'insegnamento che in seguito egli avrebbe por-
tato sulla terra; è per questo che ora, quando egli è venuto sulla ter-
ra, ha dato dei comandamenti che corrispondono alla nostra natura
da lui creata fin dalle origini»490 •
I comandamenti appaiono, perciò, come mezzi dati all'uomo dal
Cristo per permettergli di recuperare la sua autentica natura491 eri-
trovare lo stato di salute primordiale, ossia per vivere secondo le virtù,
perché abbiamo visto che le virtù appartengono alla natura stessa del-
l'uomo e sono costitutive della sua salvezza.
I comandamenti sono, insomma, uniti in una relazione molto stret-
ta alle virtù poiché la loro funzione è: eliminare ciò che le ostacola, os-
sia i peccati e le passioni; preservarle una volta recuperate; assicurare la
loro crescita e condurle alla perfezione. <<Le cause delle virtù sono i co-
mandamenti», nota san Talassio492 • <<Dai comandamenti nascono le virtù
[. ..]. È attraverso la pratica dei comandamenti che avviene l'esercizio
delle virtù>>, scrive allo stesso modo san Simeone il Nuovo Teologo493 •
387
E, infine, pratica dei comandamenti e vita secondo le virtù si identifi-
cano, perché le virtù corrispondono al compimento dei comanda-
menti. «Attraverso la pratica delle virtù si verifica la pienezza dei co"
mandamenti», nota ancora san Simeone494 •
388
Tt l,2; 3,7) 502 , e della visione beata della gloria di Dio (dr. lGv 3,2;
Rm 5,2; 2Cor 3,12; Col l,27), perché, come dice l'Apostolo, «se aves-
simo speranza in, Cristo soltanto in questa vita, saremmo i più mise-
rabili di tutti gli uomini» (lCor 15,19).
Se la speranza consiste nel raggiungere la pienezza di questi beni
nei secolifoturi, consiste tuttavia anche nel raggiungere quaggiù lepri-
mizie. Ecco perché lapostolo san Pietro, da parte sua, scrive: «Spera-
te completamente nella grazia che vi viene portata nella manifestazio-
ne di Gesù Cristo» (lPt 1,13). Generalmente, la speranza può essere
definita anche come <<l'attesa dei beni>>503 , a condizione che si tratti non
dei beni di questo mondo, ma dei beni spirituali, dei beni divini per
mezzo dei quali noi siamo salvati e deificati. Difatti la speranza non
guarda «alle cose visibili, ma a quelle invisibili» che «sono eterne» (cfr.
2Cor 4,18)504 •
La speranza consiste, dunque, così nell'aspettare da Dio l'aiuto di cui
si ha bisogno, nella certezza che egli non mancherà di concederlo, se-
condo la sua parola: «Non ti deluderò né ti abbandonerò» (Gs l,5) 505 •
Questa speranza è preziosa quando nel momento culminante della ma-
lattia, nel più profondo dello sgomento ogni via d'uscita sembra chiu-
sa, come sottolinea san Pietro Damasceno: «Spera in [Dio] e, in un mo-
do o in un altro, egli agirà[ .. .]. Nel suo amore per l'uomo, attraverso la
speranza, egli aprirà un'altra via che tu ignori, per salvare la tua anima
prigioniera. Solo, non dimenticare Colui che può guarirti>>506 • La spe-
ranza è, in questo caso, tanto più necessaria quanto più l'aiuto divino
non è sempre accolto dall'uomo fin dal momento che lo ha richiesto. È
qui, in particolare, che la perseveranza si rivela vicina alla speranza, e
che questa appare come la capacità di «rimanere ferma tra i mali»507 •
Più in generale, la speranza consiste, nell'attendere ogni bene esclu-
sivamente da Dio508 , e quindi nell'affidarsi solo a lui per ogni biso-
gno e ogni preoccupazione5°9, non aspettandosi da questo mondo al"
cun bene5 10 né alcun aiuto da parte degli uomini (cfr. Sa! 118[117],8-
9; 145 ,3), nel non riporre affatto la propria fiducia in se stesso (cfr. Ger
389
17 ,5)5 11 • È in questo, sottolinea sant'Isacco il Siro, che la speranza ve-
ra e spirituale si distingue dalla speranza falsa e sviatam, dalla speran-
za secondo questo mondo. Per questo san Barsanufio può così con-
sigliare: <<Ponendo la vostra speranza in lui, "non vi angustiate per il
domani" (Mt 6,34), perché sta a lui prendersi cura di noi. E se noi ab-
biamo scaricato su di lui tutte le nostre preoccupazioni (cfr. lPt 5,7),
egli stesso si preoccuperà di noi, come egli vuole>>5 13 •
Mettendo in Dio la propria speranza, l'uomo non può essere de-
luso, perché, come dice l'Apostolo, questa speranza «poi, non delu-
de» (Rm 5,5). Mentre ogni altro oggetto della speranza sarebbe sot-
tomesso all'instabilità delle cose di questo mondo e in modo genera-
le sarebbe tributario dei loro limiti, la speranza nei beni divini è «solida»,
«sicura e al riparo da ogni cambiamento>Y14 • «Se siete stati confusi, af-
ferma san Giovanni Crisostomo, è perché non avete sperato come oc-
correva, avete smesso di sperare, non avete atteso la fine, siete stati de-
boli. Ormai agite diversamente»515 •
390
La speranza.è anche strettamente legata alla penitenza. La penitenza
appare innanzitutto come una condizione della speranza520 • Consta-
tando la propria miseria spirituale, riconoscendo davanti a Dio il pro-
prio stato di malattia, e chiedendo perdono per i suoi peccati, l'uomo
è portato a sperare che il Cristo sarà misericordioso nei suoi riguar-
di, lo purificherà, e lo guarirà dalle sue malattie spirituali. D'altra par-
te l'uomo non può sperare di essere guarito se non manifestando in
un atteggiamento di penitenza il desiderio di guarigione, perché Dio
non potrà guarire l'uomo contro la sua volontà e senza che questa par-
tecipi attivamente al trattamento che egli ·usa. Solo nella penitenza l'uo-
mo può avere la certezza del perdono e della guarigione521 •
Inversamente, la speranza appare come la condizione della peni-
tenza. È proprio perché l'uomo spera in Dio che non rimane ancora-
to ai suoi fallimenti passati né al suo stato patologico attuale, ma cre-
de possibile la sua guarigione; per questo si rivolge verso Colui che
può perdonare i suoi peccati e liberarlo dalle sue malattie, ridargli la
salute e permettergli di condurre una vita nuova. «Il malfattore che
non si aspetta nessuna grazia sprofonda nella follia, invece colui che
ha sperato nel perdono spesso arriva fino alla conversione», osserva
san Cirillo di Gerusalemme522 •
In terzo luogo, la speranza è legata alla preghiera. Da un lato essa
ne è la condizione: colui che prega spera di ricevere ciò che chiede.
Dall'altro, e inversamente, la speranza è un frutto della preghiera, in
particolare della preghiera coritinua523 : la preghiera fa nascere la spe-
. ranza524 , la fortifica e la rende costante525 • Ciò è vero per la preghiera
di domanda, con la quale l'uomo sollecita il dono (cfr. 2Ts 2,16) di que-
sta speranza; questo è vero anche per la preghiera di ringraziamento
per mezzo della quale l'uomo «conserva in una memoria incessante
il ricordo della bontà di Dio» e attende da essa nel futuro più di quan-
to, malgrado la sua indegnità, egli ha già ricevuto nel passato526 •
La speranza, infine, è legata alla pratica dei comandamenti: da un
lato, perché la virtù della speranza non può svilupparsi e sussistere
se non in collegamento con le altre virtù e a condizione anzitutto che
391
l'uomo sia liberato dalle passionì che si oppongono a queste. Ecco per-
ché san Simeone il Nuovo Teologo scrive: «Se si dimenticano i co~
mandamenti, si perde la speranza in Dio»527 • Colui che non compie la
volontà di Dio, non si tiene lontano dal peccato e dalle passionì e non
si comporta virtuosamente, non può avere la speranza di essere gua-
rito e salvato. San Giovannì Crisostomo, in un commento al salmo 4,
fa notare che Davide, «oltre alla conoscenza di Dio, ci prescrive una
vita pura, insegnandoci con questo a fondare la speranza della salvez~
za non solo sulla bontà di Dio ma anche sulla virtù delle nostre azio-
DÌ»528. «Dopo la misericordia di Dio, nessuno riponga la propria spe-
ranza se non nella santità della sua vita>>, egli scrive ancora529 • L'uo-
mo non può sperare di condividere i benì del Regno se non a condizione
di vivere secondo Dio nel compimento dei suoi comandamenti. Oc-
corre sottolineare che, tra le virtù, particolarmente due favoriscono la
speranza: la carità (cfr. lCor 13,7)530 e l'umiltà531 •
Dall'altro lato, e inversamente, la pratica dei comandamenti sup-
pone la speranza. La speranza è in modo generale una delle molle fon-
damentali della determinazione dell'uomo a vivere secondo Dio; es-
sa risveglia il suo zelo532 , lo dinamizza, lo fortifica533 e gli dà la costane
za negli sforzi che compie per guarire e recuperare la salute in Cristo,
nel riorientare, per mezzo della pratica dei comandamenti, tutte le po-
tenzialità deì sùo essere in direzione di Dio, che costituisce la loro fi-
nalità naturale e normale. Colui che non spera nulla, che non si attende
la salute promessa dal Cristo, continua a vivere nel suo stato di ma-
lattia e si abbandona sempre più alle passionì. Colui che, al contrario,
spera nella guarigione, agisce in vista di questa, si sforza in tutti i
modi di ottenerla dal Medico celeste, allontanandosi dal male per ri-
volgersi verso di lui con tutto il suo essere e in ognì momento. «Chi
non si aspetta la salute accumula il male senza rendersene conto, men-
tre colui che ha concepito la speranza della guarigione si cura da sé da
quel momento in poi», sottolinea san Cirillo di Gerusalemme534 •
392
cordare l'aiuto che essa offre all'uomo nelle tribolazioni e nelle dif-
ficoltà alle quali egli deve far fronte durante la sua esistenza terrena535 ,
dandogli in particolare la capacità di sopportarle pazientemente, os-
sia con gioia (cfr. Rm 12,12). «La speranza allevia tutte le pene di
quaggiÙ>>, osserva san Giovanni Crisostomo536 . «Nelle nostre afflizio-
ni noi siamo sostenuti da speranze eterne, salde, incrollabili>>; dice an-
cora.537. «Il cristiano ha questo vantaggio, fa notare, che, sostenuto dal-
la speranza dei beni futuri, si pone al di sopra di tutti i mali di que-
sta vita>>538. In tutte le prove che l'uomo incontra, la speranza costituisce
un rifugio, e anche il solo (cfr. Eb 6,18); essa è per l'anima un'ànco-
ra sicura e solida (dr. Eb 6,19) che la tiene attaccata a Dio anche in
mezzo alle più forti e violente tempeste. Proprio per questo appare
come una fonte di sicurezza539, quindi, di riposo540 e di pace. Sant'I-
sacco il Siro scrive a questo riguardo: «Quali che siano le vie su cui
ca.mnllp.ano gli uomini nel mondo, essi non vi trovano la pace fintanto
che non avvicinano la speranza di Dio. Il cuore non è in pace, lon-
tano dalle pene e dagli ostacoli, fintanto che non ha raggiunto la spe-
ranza. Ma quando egli l'ha trovata, questa lo placa e lo colma di
gioia>>541.
La speranza, inoltre, aiuta l'uomo a sopportare pazientemente le
pene dell'ascesi542 , i cui frutti non sono immediati, e che per questo
motivo offrono un terreno propizio allo scoraggiamento. San Macario
il Grande scrive: «Colui che non ha dinanzi agli occhi [.. .] la speran-
za, dicendosi: "Raggiungerò la liberazione e la vita", non può sop-
portare le tribolazioni, portare il fardello, prendere la via stretta. In-
fatti, la presenza in lui della [. ..] speranza gli permetterà di soffrire e
sopportare le tribolazioni>>543 . «È la speranza, fa notare san Giovanni
Crisostomo, che, catena solida, sospesa e fissata ai cieli, sostiene le no-
stre anime durante la traversata, eleva a poco a poco fino a quelle al-
tezze quelli che si attaccano ad essa fortemente, e ci toglie dal turbi-
nio delle miserie terrene»544 .
393
Dalla speranza l'uomo trae la fiducia545 e la sicurezza (cfr. 2Cor 3,12;
Eb 3,6) 546 di cui ha bisogno per combattere la buona battaglia.
È sempre la speranza che gli permette di sfuggire al dubbio547 , e al-
la «dipsichia>> malsana548 , ragion per cui san Marco l'Eremita la chia-
ma ,<<speranza semplice» o «monologica»549 .
Ma non si limitano qui gli effetti terapeutici di questa virtù. San Gre-
gorio Nazianzeno afferma che <<la speranza è un rimedio nelle malat-
tie»550. Questo è vero per le malattie del corpo55 1, ma anche per quel-
le spirituali.
La speranza è, in primo luogo, il rimedio specificamente adatto al-
le passioni che le sono opposte. Essa è, come dice san Giovanni Cli-
maco, <<l'antidoto alla disperazione>Y52 , in particolare per ciò che l'uo-
mo prova davanti al suo stato di malattia e di peccato: «La dispera-
zione proviene da una moltitudine di peccati, da una coscienza
appesantita e da ·un insopportabile dolore, quando l'anima è coperta
da molte ferite, e, sotto questo peso, sprofonda nell'abisso della di-
sperazione[. .. ]. [Questa disperazione] potrà essere guarita da[...] una
speranza fedele»553 .
La speranza a fortiori guarisce l'uomo dalla tristezza554 , di cui ab-
biamo visto eh~ la disperazione costituisce una forma estrema. Un
apoftegma riferisce di un asceta, il quale, «vedendosi vinto dalla tri-
stezza, come un medico esperto si mise a sperare e disse: "Ho fidu-
cia nelle misericordie di Dio e so che avrà certamente pietà di me">>-555 •
Essa guarisce anche dall' acedia556, che è vicina a queste due ultime pas-
sioni. «Un monaco pieno di speranza uccide l' acedia, che respinge, ar-
mato di questa spada>>, nota san Giovanni Climaco557 . La speranza per-
mette anche di evitare I' angoscia558•
Questa virtù gioca, inoltre, un ruolo fondamentale nella guarigione
394
di tutte le altre malattie spirituali. San Marco l'Eremita sottolinea che
essa contribuisce a rigettare dal cuore i pensieri e i desideri passiona-
li559. In genere essa incita l'uomo a purificarsi da ogni male per acce-
dere ai beni in cui egli spera, per essere degno di unirsi a Colui nel
quale spera. «Chiunque ha questa speranza in lui, diventa puro co-
me egli è puro» scrive san Giovanni (1 Gv 3 ,3). La speranza è una del-
le condizioni generali per la guarigione spirituale dell'uomo perché è
per mezzo di essa che egli si volge verso il medico celeste560 e si attac-
ca alla sua parola, le cui «:promesse guariscono le piaghe dei nostri er-
rori»561. È per questo che Evagrio arriva a dire che dalla speranza e
dalla perseveranza «nasce l'impassibilità»562 •
.La speranza ha una funzione non solo terapeutica, ma anche profi-
lattica. Essa è, come afferma l'Apostolo (dr. lTs 5,8) un elmo che ri-
copre e protegge la testa dell'uomo spirituale563 • Essa lo preserva dal-
le cadute, secondo la parola del salmista: «Non subiscono alcuna pe-
na quanti in lui [Dio] si rifugiano» (Sal 34 [3 3] ,23). Essa lo protegge
contro gli attacchi dei demoni564 • «Quando i nemici l'abbassano da-
vanti a Dio, nota san Pietro Damasceno, egli si eleva per mezzo della
speranza, per non ricadere mai più cedendo allo sconforto, e mai più
disperare per la paura>>565 • In genere, «essa chiude l'ingresso del cuo-
re a tutti i vizi>>566 •
Al tempo stesso in cui essa è una delle condizioni per la guarigione
dalle passioni e preserva l'uomo dal ricadervi, la speranza è anche una
delle fonti dell'acquisto delle virtù567 .
Occorre sottolineare soprattutto la stretta relazione che intercorre
con la più alta tra esse, e che le contiene tutte: la carità. Se, come ab-
biamo visto, la speranza deriva dalla carità, inversamente, quella è con-
dizione di questa. Solo dopo aver raggiunto la speranza, insegna san
Simeone il Nuovo Teologo, si può possedere «integralmente in essa
l'amore nei confronti di Dio. È impossibile, infatti, a ogni uomo ac-
quisire l'amore perfetto riguardo a Dio se non per mezzo di una fede
559 Cfr. La legge spirituale, 14; Il battesimo, 28; Controversia con un avvocato, 17.
560 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 65_
561 AMBROGIO DA MILANO, La morte è un bene, 20.
562 Trattato pratico sulla vita monastica, Prologo.
563 Cfr. GIOVANNI CAssIANO, Conferenze, VII, 5.
564 Cfr. Apoftegmi, Am 131, 1.
565 Libro, I.
566 GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, XI, 6.
567 Cfr. MARco L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 34;
395
sincera e una speranza ferma e incrollabile>>-568 • San Giovanni Climaco
nota nello stesso senso: <<Il venir meno della speranza è la scomparsa
dell' amore»569• Al contrario, «ciò che dà forza ali' amore è la speran-
za»57o.
San Diadoco di Foticea definisce la speranza come «una emigra-
zione amorosa dello spirito verso ciò che si spera»571 ; Infatti, quando
l'uomo possiede la speranza, in un certo senso egli già possiede in qual-
che misura e anticipatamente i beni verso i quali essa conduce. È co-
sì che san Giovanni Climaco scrive: «La speranza è un tesoro fatto di
tesori che ancora non appaiono»572 , e ancora: <<La speranza è un te-
soro che già si possiede, prima dell'altro tesoro»573 . Ecco perché alla
speranza si unisce la gioia spirituale574 , primizia della beatitudine attesa.
396
IV
Occorre sapere che la virtù non può essere acquisita dall'uomo co-
me una realtà nuova, estranea, ed esterna a lui. San Massimo il Con-
fessore fa notare che non si tratta di «aggiungere le virtù dall'esterno
e in modo. accessorio»1, e san Giovanni Damasceno afferma che non
è questione di «acquisire la virtù come se questa fosse qualcosa ve-
nuta dall' esterno>>2. Sant'Antonio afferma la stessa cosa: «Essa non è
lontana da noi, non si forma fuori di noi, l'opera è in noi [... ]. La virtù
non ha bisogno che della nostra buona volontà, poiché essa è in noi
e si forma in noi»3 • Le virtù, infatti, sono costitutive, l'abbiamo visto,
della natura stessa dell'uomo: Dio le ha messe in lui fin dall'origine nel
crearlo a sua somiglianza. Questo stato, che l'uomo ha perduto dopo
il peccato originale, il Cristo lo ha restaurato, e ogni battezzato lo re-
cupera. Se, tuttavia, l'uomo cede di nuovo al peccato e s'abbandona
alle passioni, le virtù non cessano, pertanto, di definire la sua vera na-
tura; in verità, sono le passioni ad essergli estranee, provenienti dal-
1'esterno4, gli sono sovraggiunte, mascherano la natura umana e le si
avvinghiano come parassiti. Tali passioni sono in rapporto alla natu-
ra virtuosa come la ruggine è in rapporto con il ferro, fanno notare san
Massimo5 e san Giovanni Damasceno6• Mutuando un altro paragone
da san Gregorio di Nissa, esse sono l'abito imbrattato di terra che ri-
copre l'uomo caduto nel pantano del peccato, e che nasconde - ma
non distrugge - la sua bellezza naturale7. Il ricorso alle nozioni di sa-
lute e di malattia consente di comprendere ancor meglio le cose, poi-
la verginità, XII, 2.
7 Loc. cit.
397
ché abbiamo visto che le virtù sono la salute dell'anima e le passioni
le sue malattie. Ora, occorre aver cura di rispettare l'ordine dei feno-
meni: per l'anima come per il corpo, la salute è primaria, normale, co-
stitutiva della natura, mentre la malattia viene dopo, s'introduce co-
me un elemento estraneo, perturbatore. Ciò è quanto sottolinea Eva-
grio: «Se la morte è seconda in rapporto alla vita, e la malattia seconda
in rapporto alla salute, è evidente che anche la malizia è seconda in
rapporto alla virtù»8 • Sant'Isacco il Siro ugualmente fa notare: <<La
virtù è naturalmente la salute dell'anima, le passioni ne sono la malat-
tia [ ... ]. È chiaro che la salute esiste in natura prima dell'irruzione
del male. Se è proprio così - ed è vero-, la virtù è dunque natural-
mente nell'anima. E quanto avviene in seguito è al di fuori della sua
natura>>9• Così, come ci insegna san Doroteo di Gaza, vivere secondo
la virtù è semplicèmente «recuperare il proprio stato, è ritornare alla
salute proprio come si recupera una vista normale dopo una malattia
degli occhi, o la salute propria e naturale dopo qualunque altra ma-
lattia>>10.
Abbiamo visto, infatti, studiando la patologia dell'uomo decaduto,
come le passioni, malattie dell'anima, si costituiscono a causa di una
perversione della natura dell'uomo, più precisamente per una devia-
zione di tutte le sue facoltà, in origine e naturalmente volte verso Dio,
loro normale fine, ma allontanate da lui dal peccato per essere orien-
tate contro natura e irrazionalmente verso le realtà sensibili.
È chiaro, perciò, che il ritorno alla salute per l'uomo consisterà
nel recuperare la sua natura originaria effettuando il movimento in-
verso, cioè nell'allontanare tutte le sue facoltà dalle realtà carnali per
ti-portarle verso Dio. Si comprende con ciò come sia spesso in ter- ·
mini di conversione nel senso etimologico della parola, cioè di capo-
volgimento, di cambiamento di orientazione, che le Sacre Scritture11 e
nare), epistrépho (girare verso, dirigere verso, girare in senso contrario, ritornare, tornare sui pro-
pri passi, tornare su se stessi, volgersi, voltarsi), epistrophé (azione di voltarsi, di rivolgersi). Iter-
mini metanoéi'; e metanoia, che indicano un cambiamento di mentalità, di sentimenti, sono an-
che molto usati, ma riguardano piuttosto l'atteggiamento interiore di pentimento, di penitenza,
che deve presiedere a questo cambiamento o ne è almeno la condizione, piuttosto che questo
cambiamento stesso da un punto di vista obiettivo. Alcuni passi uniscono le due nozioni, così
per esempio At 3.,19: <<Pentitevi e convertitevi (metanoésate kaì epistrépsate)». Epistrépho è
usato in: Mt l3,l5;Mc4,l2; Le 1,16-17; 22,32;At 3,19; 9,35; 11,21; 14,15; 15,19;26,1820;28,27;
2Cor 3,16; lTs l,9; Gc 5,1920; lPt 2,25. Nell'Antico Testamento in: Is 6,10; 45,22; 55,7; Sir 17,25.
398
tutta la Tradizipne ricordano la salvezza e definiscono le sue condi-
zioni. Infatti, come il peccato, e in genere il male, consistono per l'uo-
mo nell'allontanarsi da Dio volgendogli le spalle, così fa salvezza, e
in modo generale il bene, consistono inversamente nell'avvicinarsi a
Jui volgendosi verso di lui con tutto il proprio essere.
Sant'Ireneo considera chiaramente che è in questo capovolgimen-
to che vi è la condizione della guarigione dell'uomo: «Che il Signore
sia venuto come medico degli ammalati, egli stesso lo attesta [... ]. Co-
loro dunque che stanno male come si ristabiliranno? [...] Nel perse-
verare nelle stesse disposizioni? O, al contrario, accettando un profon-
do cambiamento e rivolgimento del loro vecchio modo di vivere con
cui hanno attirato su di sé una malattia tutt'altro che banale e nume-
rosi peccati?»12 •
Le facoltà umane sono state create da Dio in vista del Bene, e per
natura sono orientate verso i beni spirituali. L'uomo, in virtù della li-
bertà di cui dispone, può mantenerle in questa direzione, e fame co-
sì un uso normale, conforme alla loro natura, razionale, virtuosa, o, al
contrario, fame un cattivo uso, patologico, contrario alla natura, irra-
zionale, passionale, rivolgendole verso i falsi beni sensibili. Lo ricor-
diamo, per sottolinearlo ancora una volta, che le virtù e le passioni so-
no definite dall'uso che l'uomo fa delle sue facoltà 13 , e dallo scopo ver-
so il quale egli le fa tendere14 • «È questo uso razionale o irrazionale che
noi facciamo delle cose che ci rende virtuosi o perversi», scrive san
Massimo 15 , Quanto a san Simeone il Nuovo Teologo, egli fa notare che
l'anima diviene cattiva se aderisce al male e, al contrario buona, se ade-
risce al bene16 • E san Giovanni Crisostomo nota che «dipende dunque
da noi usare le nostre membra per il peccato o per la giustizia.>>17 •
«Nulla è cattivo tra le creature di Dio», precisa san Massimo 18 per
sottolineare che non sono le facoltà stesse che sono in causa ma solo
il modo di usarle. <<Nella misura in cui, egli spiega, usiamo male le po-
tenze [o parti] della nostra anima: concupiscibile, irascibile e razio-
399
nale, le passioni si installano in essa [ ... ]. Il loro buon uso, al contra-
rio, produce [le virtù]» 19 . San Basilio spiega ugualmente che le «po-
tenze dell'anima divengono gli strumenti del vizio o della virtù, a se-
conda delle disposizioni dell'uomo che agisce. Se egli si serve della fa-
coltà di desiderio [parte concupiscibile] per tuffarsi nei piaceri sensibili,
si renderà infame e abominevole; se, al contrario, se ne serve per in-
fiammarsi nell'amore di Dio e di Nostro Salvatore Gesù Cristo, tutti i
suoi desideri saranno virtuosi e meriterà una felicità eterna»20 . «Se
fate un buon uso della collera e se ve ne servite razionalmente, essa
si cambierà in forza, in pazienza e in costanza; ma se voi ne abusate,
essa si tradurrà in furore e in frenesia»21 . «Occorre fare lo stesso ra-
gionamento per la parte razionale: quando se ne usa bene, si diviene
saggi e prudenti; ma se ci si serve della propria ragione per nuocere al
prossimo, si diventa furbi, artificiosi e maligni»22 •
Nelle virtù come nelle passioni, sono dunque gli stessi organi, po~
tenze, facoltà, che sono all'opera: la virtù corrisponde al loro uso sa-
no, conforme alla finalità naturale e normale, cioè orientata verso Dio;
la passione corrisponde al loro uso perverso, patologico, alla lorq orien-
tazione verso un fine che non è conforme alla loro natura e consiste in
una realtà sensibile o carnale. Per questa ragione, il passaggio dalle
passioni alle virtù non implica un non-uso, una mortificazione, ossia
una distruzione di questi organi, potenze o facoltà stesse, ma consi-
ste nella loro riorientazione, nel rivolgerle verso il loro «oggetto» na-
turale e primario: le realtà spirituali, il Bene, Dio. Ecco perché san Ni-
ceta Stetatos afferma esplicitamente: «Occorre, per le pene del pen-
timento e la tensione dell'ascesi, rovesciare le potenze dell'anima e
renderle tali come Dio ce le ha date all'inizio quando creò Adamo»23 •
San Massimo spiega da parte sua che, «depravato», l'uomo «segue le
cupidigie e gli impulsi della carne, mentre quando è virtuoso [ ... ] si
sforza di volgere al bene i movimenti di questo genere che egli pro-
va.>>24. «Gli uomini ferventi, egli aggiunge, si servono di queste passio-
ni, non certo di queste passioni in quanto.tali, ma dell'energia, della
potenza che serve loro di base, da un lato per far scomparire il male,
presente o futuro, dall'altro, per acquistare e conservare la virtù e la
19 Ibid.
20 Omelie, 1O, Sulla collera.
21 Ibid.
22 Ibid.
2 ; Centurie, I. 17.
400
conoscenza, sull'esempio dei medici sapienti che trasformano in me-
dicamenti lo stesso veleno della vipera. Per concludere, le passioni di-
vengono buone in ragione del loro uso per chi sa sottomettere al-
1'obbedienza del Cristo tutto il suo pensiero e tutta la sua volontà>>25 •
Possiamo perciò dire, con san Callisto e sant'Ignazio Xantopulo, che
<<l'anima perfetta è l'anima in cui la potenza delle passioni è totalmente
volta verso Dio»26 •
I.: Apostolo stesso invita i battezzati a una tale conversione a Dio con
tutte le proprie facoltà, conversione attraverso cui esse ritrovano l' or-
dine virtuoso della loro natura: «Non presentate le vostre membra co-
me armi di iniquità per il peccato, ma offrite voi stessi a Dio come
viventi dopo essere stati morti e le vostre membra come armi di giu-
stizia per Iddio» (Rm 6,13 ); «come offriste le vostre membra in ser-
vizio alla immondezza e all'iniquità per l'iniquità, così ora offrite levo-
stre membra in servizio della giustizia per la santificazione» (Rm 6,19).
401
<<Dio vuole», è <<il cambiamento dell'intelligenza», perché «solo unta-
le cambiamento può[. .. ] essere ammesso davanti a Dio»30 • E san Gre-
gorio di Nissa constata che noi ritroviamo il Bene di Dio «ogni volta
che rivolgiamo la nostra ragione verso di lui»31 • Si tratta, dunque, sein-
plicemente di condurre gli organi della conoscenza ad esercitarsi se-
condo la loro finalità normale, quella che corrisponde alla loro natu-
ra. Così sant' Antonio dice: «Se l'anima conserva la sua parte intelli-
gente conforme ·alla natura, si formerà la virtù. Essa è secondo natura
quando rimane come è stata fatta perché è stata fatta bella e giusta [. ..].
Per l'anima, essere giusta, vuol dire avere l'intelligenza secondo na-
tura, come fu creata, ma quando devia e si distorce in rapporto alla
natura, allora si parla di vizio dell'anima. La cosa non è dunque diffi-
cile; se noi rimaniamo tali come siamo stati creati, siamo nella virtù>>32 •
Così la parte razionale dell'anima non deve essere mortificata33 o soffo-
cata, altrimenti l'uomo non avrà più alcun mezzo per contemplare le
realtà spirituali e conoscere Dio, ma deve solo essere utilizzata diver-
samente: essa ritrova la sua <<Vera vita>>, nota san Gregorio Palamas,
consentendo di nuovo all'uomo di «consacrarsi alle contemplazioni
divine e di rivolgere inni di ringraziamento a Dio»34 •
Non è solo la parte razionale dell'anima che è «migliorata>> in quan-
to riorientata verso la finalità originaria, naturale e normale, ma anche
tutte le altre facoltà, e ciò sotto la guida dello spirito. <<Per mezzo del-
1'autorità dello spirito, scrive san Gregorio Palamas, noi fissiamo la sua
legge a ogni potenza dell'anima, e a ciascun membro del corpo quan-
to gli conviene»35 •
La potenza di desiderio [concupiscibile] e quella aggressiva [ira-
scibile] - la perversione delle quali è all'origine di molti turbamenti
e fonte della quasi totalità di queste malattie spirituali che sono le pas-
sioni -, possono così, sotto la guida dello spirito e della ragione esse-
re esse stesse riorientate verso Dio, ritornare ad essere sane essendo
rivolte verso la loro finalità originaria e naturale, che in primo luogo è
quella di desiderare e amare Dio, e in secondo luogo quella di lotta-
re contro il male e in vista del bene, cioè lottare contro tutto ciò che
tende ad allontanare l'uomo da Dio, e per acquisire e conservare quan-
30 Ibid.
;i Trattato sulla verginità, XII, 2.
32 ATANASIO D'Al.EsSANDRIA, Vita di Antonio, 20.
33 GREGORIO PALAMAS, Triadi, Il, 2, 23.
34 Ibid.
35 Ibid.
402
to permette di avvicinarsi e unirsi a lui. <<È possibile, scrive san Mas-
simo, "logizzare" le facoltà irrazionali dell'anima - voglio dire l'ira-
scibilità e il desiderio -, armonizzarle con lo spirito attraverso la ra-
gione»36. Dopo aver ricordato che i movimenti irrazionali dell'uomo
si sono trasformati in vizi per il cattivo uso dell'intelligenza, san Gre-
gorio diNissa nota ugualmente che, «inversamente, se la ragione im-
pone il suo dominio ai suoi movimenti, dà a ciascuno di essi la forma
della virtù»37 . «Tutti questi movimenti diretti in alto dall'attività su-
periore dello .spirito divengono conformi alla bellezza dell'immagine
divina», osserva ancora38 . Origene concorda che è secondo l'uso ra-
zionale o irrazionale che se ne fa, che la collera, il desiderio e tutto ciò
che si prova di simile, sono buoni o cattivi, e che dobbiamo dunque
sforzarci di acquisire <<il senso del Cristo» per <<trasformare» in vista
di Dio ciò che egli ci ha dato39 .
Né tantomeno, il ritorno alla salute avviene per mezzo di una ini-
bizione o una mortificazione delle facoltà in causa, ma per un cam-
biamento del loro uso, per il loro riorientamento verso Dio sotto la
guida dello spirito. San Gregorio Palamas spiega molto categorica-
mente che la terapia <<non consiste nel far morire la parte passionale,
ma nel trasferirla dal male verso il bene, nel dirigerla, nella sua stessa
costituzione, verso le cose divine, dopo averla completamente .allon-
tanata dal male e volta verso il bene»40 • Infatti, «è con questa facoltà
dell'anima che noi amiamo e che ci allontaniamo, che ci uniamo o che
rimaniamo estranei. Coloro che amano il bene, dunque, fanno una tra-
sposizione (metdthesis) di questa facoltà e non la fanno morire; non la
rinchiudono in loro stessi senza permetterle alcun movimento, ma la
fanno agite nell'amore verso Dio e il prossimo»41 • L'uomo guarito dal-
le malattie spirituali è perciò «colui che ha sottomesso i suoi appetiti
irascibile e concupiscibile, i quali costituiscono la parte passionale del-
1' anima, alle facoltà di conoscenza, di giudizio e di ragionamento
dell'anima, come le persone passionali sottomettono la loro ragione
. alle passioni»42 • In questo modo, «si praticheranno le virtù corrispon-
denti con la parte passionale dell'anima che agirà in conformità con il
403
fine che Dio le ha proposto creandola»43 • In altre parole, le sarà data
la possibilità di esercitarsi di nuovo correttamente. Se l'uomo inibis-
se, mortificasse e distruggesse la parte passionale della sua anima, si
priverebbe delle facoltà e dell'energia che sole possono permettergli
di allontanarsi dal male e andare verso Dio: «Noti vi sarebbe in lui,
nota san Gregorio Palamas, né movimento né azione per acquisire una
condizione divina, di relazioni a Dio e di disposizioni divine dello spi-
rito»44. Nel sottomettere tale parte passionale, egli potrà al contrario
utilizzarla ai fini dello spirito, «andare convenientemente a Dio, e ten-
dere verso di lui»45 • «Gli uomini che hanno la passione del bello, seri"
ve ancora, non fanno morire la parte passionale della loro anima,
rinchiudendola all'interno di loro stessi e lasciandola senza attività, né
movimento, perché allora essi non possederebbero più l'organo ne-
cessario per amare il bene e odiare il male, non avrebbero più i mez-
zi per divenire estranei al male per unirsi a Dio. Ecco cosa fanno
morire: le relazioni di questa potenza con le cose cattive, essi dirigo-
no completamente la potenza verso l'amore di Dio, in conformità al
primo e grande comandamento: "Tu amerai il Signore tuo Dio con tut-
ta la tua forza" (Mc 12,30). Quale potenza? La potenza della parte pas-
sionale, evidentemente»46 •
43Ibid.
44 Ibid.
45 Ibid.
46 Ibid., II, 2, 23.
47 Terapia delle malattie elleniche, V, 77.
404
nale che la carità48 , chiamando semplicemente «passione d'amore bia-
simevole quella che occupa lo spirito verso le realtà materiali>> e «pas-
sione d'amore lodevole quella che l'unisce al divino»49 •
È, dunque, dell'energia stessa dei desideri passionali, della forza
stessa della concupiscenza che si nutre il desiderio di Dio. «Nell'uo-
mo il cui spirito è del tutto volto verso Dio, anche la cupidigia dà for-
za all'amore bruciante per Dio», scrive san Massimo50 , che nota an-
cora: <<L'anima si serve della sua concupiscenza [. ..] per mantenere il
suo desiderio»51 • Di conseguenza, egli formula questo augurio: «Che
la potenza della concupiscenza lotti per desiderare Dio»52 • E tra l'al-
tro consiglia: «Occorre che la potenza di desiderio [appetito concu-
piscibile], purificata dalla passione della filautia, diriga tutto il desi-
derio solo verso Dio»53 • Evagrio nota, nello stesso senso, che la po-
tenza di desiderio dev'essere <<tutta inclinata verso il Signore>:-54 • Quanto
a San Gregorio di Nissa ricordando la passione dell'avidità (pleones-
sia) scrive: «Quanto a questa aspirazione insaziabile che è in ogni ani-
ma, potente e smisurata, se qualcuno l'applica nel desiderio secondo
Dio, sarà dichiarato beato per questa cupidità»55 • Abbiamo visto san
Basilio dichiarare nella stessa prospettiva: se l'uomo «si serve della fa-
coltà concupiscibile per immergersi nei piaceri sensibili, sarà infame e
abominevole; se al contrario egli se ne serve per infiammarsi nell' a-
more di Dio, e del nostro Salvatore Gesù Cristo, tutti i suoi desideri
saranno virtuosi e meriterà la felicità eterna>>56 •
Se è vitale non mortificare, non uccidere e neanche inibire, la potenza
di desiderio [concupiscibileJ; è perché essa non è solo la facoltà che ci
permette di amare Dio, ma anche, in modo generale, la forza dinami-
ca di tutta la vita spirituale, il principio motore del ritorno a Dio (sot-
to la guida dello spirito) di tutte le facoltà e attività dell'uomo. Così san
· Gregorio di Nissa scrive: <<ll desiderio è un'eccellente bestia da soma
che porta sulla sua schiena l'anima, conducendola verso le alture, quan-
do essa è diretta verso i beni dell'alto dalle redini della ragione>?. E san
405
Massimo precisa così il suo augurio precedentemente citato: «Che
tutto lo spirito si disponga in vista di Dio [...], bruciando d'affetto sen-
sibile per il desiderio estremo della concupiscenza.>>58 • Se la potenza di
desiderio possiede un tale potere, è perché tutte le facoltà le sono in
qualche modo legate, ma anche perché, quando questa ritrova il suo
orientamento naturale verso Dio e prende la forma della carità, que-
st'ultima costituisce, con la conoscenza59 , il polo ordinatore e anima-
tore della vita spirituale6°. È in questo senso che san Gregorio Pala-
mas scrive: «Disposta così ad amare Dio, questa parte amante eleva al
di sopra delle cose terrene le altre potenze dell'anima e le volge verso
Dio»61 •
È chiaro, altresì, che solo attraverso la conversione, il riorienta-
mento della potenza di desiderio, la passione carnale diviene «pas-
sione spirituale»62 , diversamente detta virtù, essendo la sua energia
disinvestita degli oggetti sensibili che essa si era patologicamente da-
ta per essere reinvestita verso gli oggetti divini che lo spirito le mo-
stra. San Massimo spiega così che «l'uomo il cui spirito è completa-
mente volto verso Dio [.. .] , concentrando in sé tutta la forza delle sue
potenze inferiori, le ha volte verso un amore bruciante, insaziabile,
una carità senza limiti per Dio, convertendolo totalmente dal terreno
al divino»63 • Egli nota ancora: «Negli uomini ferventi, persino le pas-
sioni divengono buone: quando saggiamente le distaccano dagli og-
getti corporei per trasportarle verso lacquisizione dei beni celesti. Per
esempio, essi trasformano la passione del desiderio in un movimen-
to spirituale che li eleva e li fa aspirare alle cose divine»64 • San Gre-
gorio di Nissa descrive lo stesso processo: «La nostra anima allonta-
nerà dai beni corporei la sua potenza di amare per riportarla sulla
contemplazione spirituale e immateriale del Bello»65 • San Giovanni
Climaco constata, nello stesso senso, che <<l'amore delle delizie e dei
piaceri si cambia in amore verso Dio>>66 • E ci dà questo insegnamen-
to: «Coloro che hanno iniziato a salire al cielo hanno bisogno di fa~
re violenza a se stessi, e di offrirsi sempre [ ... ] fino a che lamore del-
406
le delizie e dei piaceri ai quali essi si erano abituati e l'insensibilità del
loro cuore mutano in un vero amore di Dio [...]>>67. È nella stessa pro-
spettiva che egli parla di «colui che bandisce l'amore sensuale per l' a-
more divino»68 • E per mostrare che una tale trasformazione include
leforme più passionali, più sensuali dell'amore, e fino alle più de-
gradate, offre questa testimonianza: <<l-Io visto delle anime impure che
si davano con furore all'amore carnale; avendole l'esperienza di que-
sto amore ricondotte al pentimento, riversarono tutto il loro amore
verso il Signore»69 •
La conversione della potenza di desiderio si accompagna a un cam-
biamento di forma del piacere che gli è correlativo poiché l'oggetto
del desiderio ha cambiato natura: il piacere sensuale fa posto al godi-
mento spirituale. L'uomo conosce allora di nuovo la beatitudine per
la quale egli è fatto in virtù della sua stessa natura, e che Adamo provò
nel paradiso prima della sua caduta. Così san Massimo nota che gli uo-
mini virtuosi, nello stesso momento in cui convertono la passione del
desiderio in un movimento spirituale verso le realtà divine, <<trasfor-
mano il piacere nel sano giubilo dell'energia volitiva dello spirito di
fronte ai divini carismi»70 • San Gregorio di Nissa sottolinea allo stes-
so modo: «Quando la ragione esercita la sua egemonia, [. ..] lo slancio
del desiderio ci procura un piacere divino e senza mescolanze»71 •
Abbiamo visto san Basilio affermare che, se l'uomo, invece di usare la
sua facoltà di desiderio nel «tuffarsi nei piaceri sensibili», se ne serve
per amare Dio, questo gli vale <<una felicità etema»72 •
67 Ibid.
68 La Scala, XV, 2.
69 Ibid., V, 28.
70 Questioni a Talassio, 1, PG 90, 269B.
71 Sull'anima e sulla risurrezione, 45.
72 Omelie, 10, Sulla collera.
7' Cfr. MAsSIMo IL CONFESSORE, Ambigua, 6, PG 91, 1068A.
407
tutto quanto tende ad allontanare l'anima da Dia74 , e a lottare per il
conseguimento e la conservazione dei beni spirituali75 •
L'uomo virtuoso, a questo punto, si serve della stessa facoltà del-
l'uomo passionale: è sempre la stessa potenza irascibile che è all' ope-
ra, ma mentre quest'ultimo la usa per un fine carnale, il primo la usa
per un fine spirituale76 , che è quello di «difendere amorosamente l' og-
getto [divino] delle sue ricerche>>77 e «divenire estraneo al male per
unirsi a Dio»78 • È così che san Massimo consiglia: «Occorre che la po-
tenza irascibile, liberata dalla tirannia, prenda a combattere solo per
Dio»79 • In questo senso, l'aggressività persegue il medesimo fine del-
la carità nello stesso momento in cui la serve. «Nell'uomo il cùi spiri-
to è completamente volto verso Dio, [. .. ] anche la potenza irascibile si
porta verso la carità divina>>, fa notare san Massima8°.
La virtù dunque non consiste più nell'inibire, nel mortificare o nel
sopprimere la potenza irascibile, perché l'uomo allora sarebbe priva-
to dei mezzi per combattere che sono, lo vedremo poi, indispensabi-
li alla sua vita spirituale (dove incontra, a tutti i livelli, molte forze
avverse), e sarebbe nello stesso tempo privato di un'energia che, in-
sieme alla potenza di desiderio, costituisce un motore indispensabile
per questa stessa vita. Così, san Basilio fa notare: «Non avremo mai
per il peccato l'orrore che dobbiamo avere, se non siamo animati dal-
l'indignazione della collera>> e aggiunge che «essa serve all'anima co-
me molla, le ispira forza, coraggio, costanza per condurre un'impre-
sa fino alla fine; essa dà vigore e fermezza allo spirito [. .. ]». Ecco
perché conclude: «Quando essa è sottomessa alla ragione, occorre
amarla così come si è obbligati a odiarla quando è irragionevole»81 •
Quanto a san Diadoco di Foticea, egli l'oppone all'inerzia spirituale
che è uno stato patologico e paradossalmente passionale: «Colui dun-
que che, mosso da zelo per la religione, usa saggiamente la collera, sen-
za alcun dubbio sarà ritenuto di buona qualità sulla bilancia della re-
tribuzione invece di colui che, per inerzia, non è mai mosso dalla
collera»82 • Grazie all'aiuto della potenza irascibile tutte le facoltà, e
408
in primo luogo la:potenza concupiscibile, possono realizzare il loro
scopo che è quello dell'unione con Dio. Anche san Massimo formula
questo voto: «Che la potenza dell'aggressività lotti per desiderare Dio,
o piuttosto, per parlar chiaro, che lo spirito interamente si ordini in
vista di Dio essendo teso dal modo dell'aggressività come una corda>>83 •
5;56.
86 Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 1, PG 90, 269B.
~ Ibid.
88 CTr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 2. NICETA STETATOS, Centurie, III, 72.
89 GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 1.
90 Ibid., 2, l; 2.
409
smutaziòne delle passioni in virtù e ritrovare così la salute. Sono ora
le modalità della trasmutazione nella quale l'uomo riceve da Dio la
· guarigione spirituale che esamineremo in particolare dopo averne pre-
sentato le condizioni generali. Infatti, come scrive san Massimo, «bi-
sogna considerare e studiare con vigilanza come l'anima compie con-
venientemente il buon ritorno se, per ginngere alla genesi e alla realtà
delle virtù, essa si serve delle cose a motivo delle quali in altri tempi
era nell' errore»91 •
410
PARTE QUARTA
IL DUPLICE MOVIMENTO
DELLA CONVERSIONE INTERIORE
LAPRAxlS
1 Centurie sulla carità, II, 11. Vedi anche: DOROTEO DI GA7.A, Istruzioni spirituali, XII, 133.
413
tratta, dunque, di far morire, le relazioni di queste potenze con le co-
se cattive3: non ciò per cui l'uomo compie il male e si attacca alle realtà
carnali, ma questo stesso compimento e attaccamento. «La prescri-
zione di crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi desideri, non
l'abbiamo ricevuta per uccidere noi stessi nel far morire ogni attività
del corpo e ogni pòtenza dell'anima, ma per respingere ogni deside-
rio e ogni azione cattiva», osserva san Gregorio Palamas4 • Anche Ab-
ba Isaia afferma che non si tratta di «sopprimere>> tutti i desideri, ben-
sì <<i desideri secondo la carne>>5 ; egli sottolinea, inoltre, che si può ap-
plicare a tutte le potenze dell'anima e del corpo: si tratta di eliminare
solo ogni uso carnale di ciascuna di esse, di mortificare l' orientamen-
to perverso verso gli oggetti e i godimenti sensibili, orientamento che
costituisce proprio le passioni. Ecco perché i Padri spesso parlano nel-
lo stesso senso di <<mortificare le passioni» o anche di «sopprimere le
passioni»6 ; con quest'ultima espressione, essi invitano con molta na-
turalezza a ricorrere a concetti chirurgici: «essendo le passioni un'ul-
cera della verità, occorre annullarle sopprimendole con l' amputazio-
ne>>, scrive Clemente d' Alessandria7 •
Questa operazione, attraverso cui l'uomo fa violenza a se stesso (cfr.
Mt 11,12; Le 16,16), costituisce, se egli vuole guarire da tutte le sue
malattie e raggiungere la salute e gli altri beni del Regno, il suo com-
pito primario. Ritrovare la salute suppone, prima di tutto, che si com-
batta ciò che la altera. «Niente è più urgente che separarci innanzi-
tutto dalle passioni e dalle malattie», fa notare Clemente d' Alessan-
dria, che consiglia di conseguenza: «Sforziamoci di peccare il meno
possibile»8 • «Se l'anima non si purifica da ogni passione, non guarisce
dalle malattie del peccato», scrive da parte sua sant'Isacco il Siro9 • E
san Giovanni Mosco riporta questo insegnamento di Giovanni di Ci~
sico che è nella stessa linea: «Colui che vuole acquistare una virtù non
vi perviene se non inizia ad avere in orrore il vizio che gli è opposto»10•
Le virtù non possono apparire fin quando le passioni prendono il lo-
ro posto e le ricoprono. Infatti, spiega sant'Isacco il Siro, «le passio-
414
ni sono un muro davanti alle virtù nascoste dell'anima. Se esse non co-
minciano a cadere[. ..], le virtù nascoste all'interno cli queste non si la-
sciano vedere[ ... ]. Nessuno vede il sole nelle tenebre, né la virtù del-
l'aruma fintanto che in essa rimane il turbamento delle passioni>> 11 •
Poiché le virtù corrispondono allo stato naturale dell'uomo, e le pas-
sioni a uno stato anti-naturale, possiamo dire che il ritorno dell'uomo
allo stato che gli è naturale non è J?OSsibile se non con l'eliminazione
di ciò che in lui è contro hatura. «E con lo spogliamento da ogni ele-
mento estraneo che avviene questo ritorno dell'anima allo stato che le
è proprio e naturale», fa notare san Gregorio di Nissa12 • Abba Isaia
scrive nello stesso senso: «Colui che vuole arrivare a essere conforme
alla propria natura esclude tutte le sue volontà secondo la carne, fino
a essere ristabilito nello stato naturale»13 • A questo scopo, osserva san
Giovanni Damasceno, sono ordinate le diverse pratiche ascetiche: «L'a-
scesi e le sue prove sono concepite non per acquistare la virtù come
se quest'ultima fosse qualcosa venuto dall'esterno, ma al contrario pei:
scacciare da sé le passioni antinaturali venute da fuori; è un po' co-
me la ruggine del ferro: non gli è naturale ma viene per la negligen-
za; con un po' cli fatica, noi la togliamo e riportiamo alla luce lo splen-
dore naturale del ferro» 14 • Anche questo, ricordiamolo, è uno degli
scopi principali che la pratica dei comandamenti persegue. Sant'I-
sacco ci ricorda che «al ricco che lo interrogava per sapere come ere-
ditare la vita eterna, il Signore dice chiaramente: "Osserva i coman-
damenti'' (cfr. Le 10,25). E quando gli chiese quali erano i comanda-
menti, egli rispose cli allontanarsi innanzitutto dalle opere cattive» 15 •
San Paolo stesso insegna che per essere «adatto per ogni opera buo-
na>>, occorre che l'uomo «si conservi puro» (cfr. 2Tm 2,21), che per
poter rivestire <<l'uomo nuovo», l'uomo virtuoso, sano e perfetto a so-
miglianza di Cristo, deve innanzitutto spogliarsi dell' «uomo vecchio»,
cioè, osserva sant'Isacco, delle passioni 16 : «Spogliatevi dell'uomo
vecchio, quello del precedente comportamento che si corrompe in-
seguendo seducenti brame, rinnovatevi nello spirito della vostra men-
te, e rivestitevi dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e
nella santità della verità» (E/ 4,22-24).
415
Questo primo movimento della conversione spirituale, tuttavia, non
è sufficiente. Non basta, infatti, allontanarsi dal male per volgersi ver-
so il bene. A questo proposito così fa notare san Massimo: <<Aver esdu-.
so le passioni non significa averle completamente volte verso il divi-
no»17. Così, ricordando il salmo già citato (37[36],27), san Doroteo cli
Gaza sottolinea che «chiunque vuole essere salvato deve non solo star
lontano dal male, ma fare anche il bene»18. Il Cristo pone come con-
dizione di accesso al Regno che ciascuno non solo prenda la propria
croce, ma anche lo segua (cfr. Mt 10,38): «Se uno vuol venire dietro
a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua>> (Mt 16,24).
Egli stesso formula la raccomandazione di fare il bene (cfr. Le 6,3 5; Gv
5,29), così come gli Apostoli che lo seguivana1 9 •
Nell'orientamento positivo di tutte le sue facoltà e potenze verso le
realtà spirituali, in altre parole, nella pratica attiva delle virtù, si rea-
lizza questa raccomandazione di fare il bene e si compie il secondo
movimento della conversione spirituale. Così spiega, a questo riguar-
do, san Doroteo di Gaza: «Abbiamo bandito le virtù e introdotto al
loro posto le passioni. Dobbiamo parimenti fare uno sforzo non solo
per scacciare le passioni, ma anche per reintrodurre le virtù e ristabi-
lirle nel loro proprio luogo»20 •
17 Centurie sulla carità, ill, 68. Vedi anche: SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologi·
ci, gnostici e pratici, I, 88.
18 Istru:doni spirituali, XII, 13 3.
19 Cfr. Rm 2,10; 13,3; Gal 6,10; E/2,10; 6,8; Col 1,10; lTm 5,10; 6,8; Tt 3,1; Fm 6; lPt 2,1520;
3,6.11; 4,19; 3Gv 11.
20 Istruzioni spirituali, XII, 134.
416
bile per un altro; e a fortiori per quello che gli è opposto: «Nessuno
può servire a due padroni; poiché od odierà l'uno e amerà l'altro,
oppure si affezionerà all'uno e trascurerà l'altro» (Mt 6,24). Possiamo
anche applicare rispettivamente alle virtù e alle passioni ciò che sant'I-
reneo dice della vita e della morte spirituali (ciò è tanto più giustifi-
cato in quanto le passioni sono, lo abbiamo visto, la morte dell'anima,
mentre le virtù ne sono la vita): «Queste cose si cedono mutuamente
il posto, e l'una e l'altra non potrebbero rimanere nello stesso luogo,
ma l'una è espulsa dall'altra e, per il fatto che una è presente, I' altra è
distrutta.>>21 • Così le passioni, fintanto che sussistono, impediscono
alle virtù di apparire: occorre, dtinque, lottare contro quelle per su-
scitare queste. Inversamente,. la comparsa delle virtù, quindi la prati-
ca del bene, fanno scomparire le passioni. Sant'Ireneo prosegue col
dite: «Se dunque la morte impadronendosi dell'uomo ha espulso da
lui la vita e ha fatto di esso un morto, a maggior ragione la vita, im-
padronendosi dell'uomo espellerà la morte e renderà l'uomo vivo»22 •
Evagrio osserva che gli uomini virtuosi «imbavagliano tutte le pas-
sioni irrazionali del corpo ed escludono i vizi dall' aniilla per mezzo
della partecipazione al bene»23 • E san Simeone scrive: <<A misura che
il sole si alza, l'oscurità indietreggia e svanisce; lo stesso avviene quan-
do brilla la virtù, il male è scacciato come l'oscurità»24 • Quanto a san
Massimo, egli fa notare che «Se I'amore di Dio prende il sopravvento
nell'uomo, esso lo libera da tutti i legami passionali che soggiogano il
suo spirito e gli fa disprezzare tutti gli oggetti sensibili»25 • Questo cor-
risponde all'insegnamento dello stesso san Paolo: «Camminate sotto
l'influsso dello Spirito e allora non eseguirete lebramosie della carne»
(Gal 5,16), insegnamento ripreso da san Gregorio Palamas in questi
tennini: «In coloro che hanno elevato il loro spirito verso Dio ed esal-
tato la loro anima per la passione di Dio, [la carne] non possiede più
desideri contrari allo spirito»26 .
In questa prospettiva, le virtù appaiono come mezzi per sottomet-
tere27, espellere28 le passioni, o, secondo la terminologia medica, che
417
corrisponde al nostro punto di vista, come rimedi29 o, più esattamen-
te, come antidoti di tali passioni, poiché a ciascuna di esse corrispon-
de la virtù che le è opposta30 , essendo la virtù l'uso buono, naturale,
sano, la passione l'uso cattivo, contro natura, patologico, di una cer-
ta facoltà o potenza dell' anima3 1 . Si possiede, così, <<l'oggetto cercato
per esclusione progressiva del suo contrari0>>32 •
29 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 70. GIOVANNI CLIMACO, La Scala,
133. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, IV, 57; 72; 80; 86.
51 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, op. cit., II, 3.
32 GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità, XVIII, 4.
418
spensabili affinché egli assimili la grazia, al contrario, solo la grazia per-
mette la riuscita dei suoi sforzi (cfr. Mt 19,26; Mc 10,27; Le 18,27); è
per essa che si compie molto bene sia la purificazione dalle passioni
che l'acquisizione delle virtù verso le quali l'uomo tende; è per mezzo
dello Spirito Santo che l'uomo è rinnovato, purificato, santificato e
condotto alla perfezione. Così sant' .Antonio il Grande parla di «Spi-
rito di conversione» che «viene in aiuto» a coloro che s'impegnano su
questa strada, che <<li precede per rendere leggero il combattimento e
dolce l'opera della loro conversione», che «mostra loro le strade del-
1'ascesi, fisica e interiore, come convertirsi e rimanere in Dio, loro Crea-
tore, il che rende perfette le loro opere»34 • Anche san Massimo ricor-
da questa azione dello Spirito Santo: «Prima d'ogni cosa, egli spiega,
lo Spirito insegna agli uomini impegnati nella vita spirituale a volere
la mortificazione del peccato deliberato, a volere la restaurazione in
essi della disposizione alla virtù come la restaurazione della virtù de-
liberata. In seguito, egli insegna loro a cercare i mezzi per giunger-
vi>>, cioè «ciò che, per natura, è destinato a operare la mortificazione
del pecèato e la risurrezione della virtù>>35 • Quest'ultima osservazione
offre a san Massimo loccasione di ricordare che, in questa duplice
operazione, per l'uomo si tratta, con l'aiuto dello Spirito, di «realiz-
zare una somiglianza perfetta con la morte del Cristo in ciò che ri-
guarda la mortificazione del peccato, e una somiglianza perfetta con
la sua risurrezione in ciò che riguarda il compimento della virtù»36 •
Ora abbiamo visto che nel battesimo l'uomo è stato reso dallo Spiri-
to Santo partecipe della restaurazione della natura umana operata dal
Cristo nella sua persona: morto al peccato nella morte del Cristo,
egli è risuscitato alla virtù nella risurrezione dello stesso. Ma spetta ~
l'uomo restaurato nella sua realtà d'immagine di Dio conservarsi pu-
ro o ritrovare questa purezza, se egli l'ha perduta, e anche di cresce-
re in Cristo per mezzo dello Spirito fino alla perfezione alla quale egli
è chiamato in Dio.
""Lettere, I, 2.
35 Questioni a Talassio, 59.
;6 Ibid.
419
il termine di prdxis (prdxis, praktiké, praktikè méthodos, praktikè bios,
philosophia praktiké, ecc.) 37 o anche di «ascesi» (dskesis): quest'ultimo
termine dev'essere qui inteso nella sua accezione più ampia di prati-
ca, allenamento, esercizio, modo di fare, di vivere... Poiché questo du-
plice movimento suppone sempre degli sforzi, e anche una lotta, un
cambattimento (contro le passioni e i demoni, per mezzo delle virtù),
e questo permanentemente, i termini agon (lotta, combattimento) e
dthlesis (lotta, esercizio, allenamento) sono anche usati correntemente.
La prdxis, nel suo duplice aspetto, si fonda sulla pratica dei co-
mandamenti38; essa ha come inizio la fede3 9 e per fine da una parte l'itn-
passibilità (apdtheia) (stato in cui l'uomo è guarito dalle passioni)40 e
dall'altra parte la carità perfetta41 • La prdxis è, infatti, via di purifica-
zione (katharsis) dalle passioni fino alla loro completa eliminazione42
ma anche salita della scala (kltmax) delle virtù fino al gradino più alto.
Il compimento delle due funzioni della prdxis avviene, lo abbiamo
visto, non successivamente, ma simultaneamente, e in qualche modo
dialetticamente, contribuendo ciascuna in maniera indispensabile al-
la realizzazione dell'altra; accade, infatti, nell'anima la stessa cosa
che avviene nel corpo: l'eliminazione della malattia e il ritorno alla sa-
lute avvengono nello stesso momento, generandosi tutte e due reci-
procamente. Così, nella ricerca che stiamo conducendo sulla guari-
gione delle diverse malattie spirituali, ci sarà difficile per ciascuna dis-
sociare la lotta contro la passione e l'acquisizione della virtù cor-
rispondente. Tanto più che si aggiunge un'altra difficoltà: abbiamo vi-
sto che le passioni sono tutte in relazione le une con le altre e s'im-
plicano mutuamente, poiché ciascuna genera tutte le altre. Ciò com-
porta, come conseguenza, che il combattimento contro una passione
particolare dovrà necessariamente accompagnarsi a un combattimen-
to contro tutte le altre passioni, altrimenti rimarrà senza effetto43 : la
passione combattuta da un lato riapparirà dall'altro, suscitata da una
o più passioni alle quali essa è legata e che avremo lasciate libere.
San Gregorio Magno fa notare che è uno dei significati di questo pas-
420
so del libro di Giobbe: <<le strade del loro cammino girano in circolo»
(Gb 6,18), che poi spiega così: «Non è raro che alcune persone si pre-
parano a lottare con convinzione contro alcuni vizi ma dimenticano di
SU.perarne altri: non resistendo a questi ultimi, essi si ritrovano di fron-
te quelli che hanno già potuto superare [. .. ].Così, dunque, i vizi trat-
tengono colui che vuole fuggirli grazie a una specie di patto di mu-
tua assistenza: si dirà che essi recuperano sotto i loro colpi colui che li
aveva perduti, e che essi se lo passano l'un l'altro per vendicarsi. Sì,
per i peccatori, "le strade del loro cammino girano in circolo": quan-
do possono alzare un piede perché sono· giunti a vincere un genere
di colpe, un altro vizio prende il potere, ed ecco nuovamente che s'im-
pigliano in quello che erano riusciti ad eliminare»44 •
Come le passioni, così le virtù sono organicamente legate tra loro.
«Una è la potenza della virtù», nota san Clemente d' Alessandria45 •
«Una è la natura di tutte le virtù, anche se esse sembrano divise in nu-
merose specie dai nomi differenti», nota anche san Giovanni Cassia-
no46. Anche Evagrio constata: «La virtù per natura è una, ma prende
una forma specifica in ciascuna delle potenze dell'anima»47 • Di con-
seguenza, Clemente d'Alessandria nota: «Le virtù si accompagnano
reciprocamente»48, e san Callisto e sant'Ignazio Xantopulo: «Una virtù
dipende dall'altra»49 . Ciò implica, da un lato, che non si può in verità
possederne una senza possederle tutte: <<Le.virtù non sono isolate l'u-
na dall'altra ed è impossibile afferrarne una, secondo tutto il rigore
della sua nozione, senza raggiungere così le altre, ma a una virtù tra
_molte che entra in qualcuno seguono necessariamente le altre», os-
serva san Gregorio di Nissa50• Tutto ciò comporta, dall'altro lato, co-
me conseguenza che non si può veramente possedere una sola virtù se
non si possiedono tutte le altre, e che la mancanza di una sola virtù
mette in pericolo tutte le altre. «Ogni virtù, presa singolarmente, è tan-
to più debole quanto più mancano tutte le altre», scrive san Gregorio
Magno che osserva ancora: «Una virtù isolata dalle altre, è perciò una
virtù che non esiste, o per meglio dire, in ogni caso, una virtù che è
ancora lontana dalla perfezione>>5 1• «Colui che è vinto su un punto pro-
44 Loc. cit.
45 Stromata, I, 20.
46 Istruzioni cenobitiche, V, 11.
49 Centuria, 11.
50 Trattato sulla verginità, XV, 2.
51 Moralia su Giobbe, XXII, Prologo.
421
verà così che non possiede perfettamente alcuna virtù [. .. ]. Per alte
che siano le mura e solidamente chiuse le porte che proteggono una
città, il tradimento di una sola postierla, per piccola che sia, la conse:
gnerà al saccheggio», fa notare, da parte sua, san Giovanni Cassiano52•
Così Evagrio, a colui che s'impegna sulla via del progresso spirituale,
dà questa raccomandazione: egli «badi, imbarcandosi, di non smar-
rirsi e fare naufragio, ma abbia cura di praticare anche tutte le virtù,
perché esse si tengono l'un l'altra, e perché l'intelligenza viene abi-
tualmente tradita da parte di quella che è in deficit>>53 •
n Istruzioni cenobitiche, V, IL
53 Lo gnostico, 109.
54 EVAGRIO PONTICO, Scolii ai Proverbi, XXIv, 6.
55 lbid. .
56 lbid.
422
bili sotto le loro molteplici maschere: la cenodossia e l'orgoglio. Lara-
gione di quest'ordine è pedagogica - si va dal più accessibile al me-
no accessibile-, ma si fonda soprattutto sul fatto che è impossibile sra-
dicare le passioni spirituali più sottili se non sono già state estirpate le
passioni corporee più grossolane.
2) Occorre rispettare l'ordine seguente: gastrimargia, lussuria, fi-
largiria e pleonessia, collera, tristezza, acedia, cenodossia, orgoglio.
·san Giovanni Cassiano scrive a questo proposito: «Qualunque sia la
diversità che i vizi presentano nella loro origine e il modo in cui essi si
consumano, i primi sei, cioè la gastrimargia, la lussuria, la filargiria, la
collera, la tristezza e l' acedia, sono legati l'uno all'altro da una sorta di
parentela e, per così dire, d'incatenamento mutuo, talmente che l' ab-
bondanza dell'uno diviene il principio del successivo; lo straripamen-
to della gastrimargia produce necessariamente la lussuria; la lussuria,
la filargiria; la filargiria, la collera; la collera, la tristezza; la tristezza,
l'acedia. Per questo è opportuno impiegare contro di essi un'unica e
medesima tattica: questa consiste nel cominciare dal vizio preceden-
te la lotta contro il seguente [ ... ]. Per vincere l' acedia occorre quindi
superare prima la tristezza; per bandire la tristezza, scacciare la col-
lera, per spegnere la collera; c:alpestare la filargiria; per estirpare la
filargiria, reprimere la lussuria; per minare la lussuria, dominare la ga-
strimargia. I due ultimi vizi, la cenodossia e l'orgoglio, sono similmente
uniti tra loro nel modo che ora diciamo: la crescita del primo diviene
l'origine del secondo, l'esuberanza della cenodossia accende il fuoco
dell'orgoglio». In questa serie come nella precedente, <<la crescita del-
l'uno produce il seguente, e diminuendo di forza, ce ne libera. In virtù
di questo principio, per bandire l'orgoglio, si deve innanzitutto soffo-
care la cenodossia»57 •
3) Abbiamo visto, tuttavia, che se gli «Otto principali vizi insieme
fanno guerra a tutto il genere umano», <<i loro attacchi non si presen-
tano nella stessa maniera indistintamente in tutti»58 • Di conseguenza,
dopo aver presentato il principio precedentemente esposto, san Gioe
vanni Cassiano nondimeno fa notare che <<l'ordine da seguire nella lot-
ta non è identico per tutti>>59 : <<L'attacco non si presenta uniformemente
nello stesso modo, e spetta a ciascuno ordinare il combattimento se-
condo il nemico che lo incalza di più. Uno dovrà lottare innanzitutto
57 Conferenze, V, 10.
58 Ibid., 13.
59 Ibid., 27.
423
contro il vizio che è indicato terzo; un altro contro il quarto o il quin-
to. Così, dunque, sarà secondo il vizio che in noi ha il primo posto e
secondo quanto esige il modo dell'attacco che dobbiamo regolare la
nostra tattica>>60 •
4) Tra le otto passioni generiche, vi sono tre passioni fondamenta-
li che generano le altre cinque, ossia la gastrimargia, la filargiria e la
cenodossia61 • È necessario che queste siano eliminate affinché lo siano
tutte le altre. «Colui che ha sbaragliato con l'aiuto dello Spirito di Dio
le tre passioni ha distrutto anche le altre cinque; ma colui che non s'im-
pegna a vincere quelle non ne supererà nessuna», insegna san Gio-
vanni Climaco62 •
È necessario conoscere l'ordine definito da questi quattro principi
più come un ordine logico che non come un ordine cronologico:
non si tratta di combattere successivamente ogni passione ignorando
quelle che vengono dopo, poiché abbiamo notato che, dato il legame
organico intercorrente tra le passioni, un tale combattimento contro
una passione isolata si rivelerebbe vano; occorre condurre la lotta af-
frontando tutte le passioni, ma insistendo maggiormente sulle pas-
sioni più fondamentali, quelle che condizionano le altre e impedisco-
no di raggiungerle profondamente fintanto che le stesse non siano di-
strutte. Il carattere radicale della formula di san Giovanni Climaco,
precedentemente citata, ha soprattutto lo scopo di dimostrare che non
è importante affrontare le passioni derivate se prima non si sono com-
battuti i loro «capifila>>. Questo non deve farci dimenticare che, lungi
dall'essere vinte in un sol colpo, le passioni non saranno distrutte se
non dopo che sono state combattute insieme e progressivamente in-
debolite nel corso di una lotta sempre lunga.
424
conduce alla seguente64, «ogni virtù è la madre di quella che la segue>>65 ;
e acquistare le virtù derivate senza aver prima cercato di acquistare
le virtù principali da cui esse procedono è inutile, e può persino, co-
me sottolinea sant'Isacco il Siro, essere nocivo: «Se tu lasci la madre
che ha generato le virtù, e se tu parti alla ricerca dei figli prima di aver
scoperto la loro madre, queste virtù sono nel tuo animo come delle vi-
pere»66. Quest'ordine, come quello del combattimento contro le pas-
sioni, è meno cronologico che logico e, lungi dall'escludere eh~ le virtù·
devono essere praticate simultaneamente, vuole semplicemente sotto-
lineare le priorità. Così compreso, esso permette la definizione di una
scala (klimax) 67 di virtù, ciascuna corrispondente a un grado68 che con-
duce progressivamente l'uomo fino al sommo del suo sviluppo spiri-
tuale. «Le sante virtù>>, osserva san Giovanni Climaco, «somigliano al-
la scala di Giacobbe [. .. ]. Difatti le virtù, conducendo ciascuna alla se-
guente, portano colui che le sceglie fino al cielo»69 • In realtà, come le
passioni non possono essere vinte in un sol colpo, così <<l'anima non
accede in un sol colpo alla vetta; essa è condotta per piani successivi
verso le altezze della virtù [.. .];il nostro progresso avviene dunque per
gradi», osserva san Gregorio Magno70 ricordando la parola del sal-
mista: «Essi andranno di virtù in virtù» (Sal 84[83],8).
425
ticarle: «La perfezione attiva>>, osserva san Giovanni Cassiano, «con-
siste in due punti: il primo è quello di conoscere la natura dei vizi e il
metodo per guarire; il secondo quello di discernere l'ordine delle virtù
e conformare [. .. ] la nostra anima alla loro perfezione»74 •
La nosografia e la semiologia delle passioni sono già state definite.
Non resta che presentare il metodo terapeutico che vi si applica e i
mezzi per ritornare alla salute delle virtù e per condurla alla sua pie-
nezza in Dio.
426
II
1. Introduzione
1 Centurie, I, 16.
· 2 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, Il, 49.
; EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89. MAssrMo IL CONFESSORE, Cen-
turie sulla carit!i, Il, 79; I, 65. lPadri citano spesso invece della enkrdteia, la sophrosjne. Que-
sta è praticamente la stessa cosa, perché vedremo che questa è la forma compiuta di quella.
4 EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89. MAssIMO IL CONFESSORE, Di-
427
dri spesso ne aggiungono una quarta: la giustizia (dikaiosjne) il cui ruo-
lo «è quello di realizzare una sorta di accordo e di armonia tra le par-
ti dell'anima>>6 •
2. La temperanza
6 EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89. Sulle quattro virtù generiche,
vedi CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Stromata, I. 20. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita
monastica, 89. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 79. GREGORIO MAGNO, Mo-
ralia su Giobbe, II, 49. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utile all'anima. FILOTEO IL SINAITA, Qua·
ranta capitoli neptici [di sobrietà], 8. Non presenteremo la virtù della giustizia che i Padri in ge-
nere si accontentano di menzionare.
7 Regole lunghe, 17.
8 Capitoli sulla vigilanza, 66.
9 Cfr. Lettere, 38, éd. Frankenberg, p. 585.
428
padronanza dell'appetito, o potenza, concupiscibile; essa si caratte-
rizza in primo luogo per l'inibizione dei desideri carnali, passionali,
sensibili, e per la correlativa rinuncia ai piaceri a essi legati:
Nel senso più immediato e ristretto, essa è la padronanza dei desi-
deri passionali del corpo 10 • È questa virtù che l'Apostolo manifesta
quando rivela: «Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schia-
vitù>> (lCor 9.;27). I desideri passionali del corpo sono essenzialmen-
te quelli che riguardano la nutrizione e la sessualità, ai quali si rap-
portano rispettivamente le passioni della gastrimargia e della lussuria,
che i Padri chiamano <<le passioni del corpo»11 • In modo più genera-
le, sono le passioni che implicano i sensi12•
Tuttavia, la temperanza non si limita alla sfera corporea. Intesa in
senso ampio, essa implica altresì il dominio dei desideri passionali del-
l'anima13, desideri che entrano nella composizione di quasi tutte le al-
tre passioni. Ecco quanto san Basilio scrive in proposito: «Non biso-
gna considerare la temperanza in un solo genere[ ... ]. Occorre consi-
derarla a_r1che in tutti i cattivi desideri che l'anima può provare»14 • San
Giovanni Crisostomo insegna allo stesso modo: «La temperanza con-
siste nel non lasciarsi trascinare da passione alcuna>>15 •
Possiamo così dire in modo generale con Il Pastore di Erma che la
temperanza consiste nell'astenersi da ogni desiderio perverso 16•
Correlativamente, la temperanza consiste nell'astenersi da ogni pia-
cere irrazionale, cioè dai piaceri sensibili che sono naturalmente le-
gati ai desideri passionali. Se essa riguarda innanzitutto i piaceri pro-
vati dal corpo in relazione con, soprattutto, la gastrimargia e la lus-
suria, non si limita a essi17 , ma riguarda anche i piaceri provati dall'anima
in relazione con tutte le altre passioni avide di piacere18 • È così che san
Basilio consiglia: «Per ciò che riguarda le passioni dell'anima, non vi
ROTEO DI GAU, Istruzioni spirituali, X:V, 164. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, N,
80. TALASSIO, Centurie, I, 24.
17 Cfr. Cr.EMENrE D'ALESSANDRIA, Stromata, m, l; 7. BASILIO DI CESAREA, Lettere, 366; Re-
gole lunghe, 16.
18 CTr. CLEMENTE n' Ar.ESsANDRIA, Stromata, III, 7.
429
è che una misura per fissare la temperanza: è la rinuncia totale a tut-
te quelle passioni che tendono al piacere colpevole>>19 •
Occorre notare che la temperanza si esercita su tutte le manifesta-
zioni corporee o psichiche che possono rispondere ai desideri passio-
nali e alla loro ricerca di piacere: essa mira dunque a dominare le pul-
sioni del corpo20 , ma anche, e prima di tutto, i pensieri21 e i fantasmi22 •
La temperanza àssume così la forma di una «custodia dell'anima>>
e «custodia del corpo».
430
i peccati hanno come causa il piacere»27 , l'astensione dal piacere che
realizza la temperanza è un mezzo indispensabile per lottare contro
il peccato e le passioni per eliminarli28 • Ciò è quanto spiega san Basi-
lio: «La temperanza è la distruzione del peccato, l'annientamento del-
le passioni, la mortificazione del corpo, fin negli appetiti e nei desi-
deri, è il principio della vita spirituale [... ] , perché essa spezza in sé il
pungiglione della voluttà. Il piacere è, infatti, la grande attrattiva del
male che rende, noi uomini, così inclini al peccato, e per mezzo del
quale tutta l'anima è attratta verso la morte come da un amo. Non
lasciandoci indebolire dal peccato, né curvarci sotto il suo giogo, si
sfugge, grazie alla temperanza, a ogni colpa»29 •
Il desiderio passionale non è tale se non per il fatto che tende, at-
traverso il suo oggetto, al piacere sensibile, anziché tendere ai beni spi-
rituali. Abbiamo visto che gli oggetti non sono mai cattivi in se stes-
si, ma lo possono essere di riflesso se tale è il fine che l'uomo perse-
gue attraverso di essi o l'uso che egli ne fa. Ecco perché, come afferma
san Giovanni Cassiano, non si tratta tanto di astenersi dalle cose quan-
to di trattenere, nei loro riguardi, il movimento della passione che ci
porta al piacere sensibile3°. Quanto a san Massimo, egli distingue gli
oggetti, la loro rappresentazione e la passione che vi si ricollega. Ora,
egli precisa, <<la lotta [dev'essere] diretta [unicamente] contro la pas-
sione»31. «Lo spirito amico di Dio non combatte gli oggetti né la loro
rappresentazione, ma le passioni che si collegano a queste rappre-
sentazioni»32. Ciò che costituisce la temperanza è, dunque, l'assenza
dell'attaccamento agli oggetti, e ancor più l'assenza di passione di fron-
te alla loro rappresentazione: la temperanza, egli scrive, «conserva lo
spirito libero di fronte agli oggetti e alla loro rappresentazione»33 ; «è
bene non avere nessun attaccamento agli oggetti; ma è molto meglio
restare senza passione davanti alla loro rappresentazione»34 •
Il principio della temperanza consiste nel non avere come scopo il
piacere nell'uso delle cose35 • La temperanza allontana il desiderio dal
Z1 MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Il, 41. Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pra-
tico sulla vita monastica, 75.
28 Cfr. TEOGNOSTO, Sull'azione e la contemplazione, 4.
29 Regole lunghe, 17.
"Ibid., 39.
34 Ibid., 38.
35 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità, XIX, 2.
431
piacere sensibile, gli impedisce di essere un desiderio di piacere, e ge-
neralmente lo libera da tutte le sue forme patologiche.
Ma ciò non costiuisce affatto un fine in sé, né lo scopo ultimo del-
la temperanza. Questa ha innanzitutto come scopo il dominio del
desiderio, il riprenderne possesso, sottomettendolo alla ragione3 6, il re-
golarlo37, il comandarlo. Ecco perché il termine enkrateia sì traduce
anche con «dominio di sé». Se la temperanza libera il desiderio dalla
sua servitù alla carne mettendo fine al suo uso passionale, è per ridar-
gli la sua finalità normale, conforme alla sua natura e alla ragione3 8 , e
in ultima analisi, come suggerisce quest'ultimo termine, al Logos. In
altre parole, è per riorientarlo e in definitiva canalizzarlo verso Dio e
verso il godimento dei beni spirituali ai quali egli fa partecipare l'uo-
mo che si unisce a lui. La temperanza sarebbe vana se non permettesse
al desiderio dell'uomo di ritrovare Dio. Così Clemente d'Alessandria
precisa: «La temperanza non è virtuosa se l'amore di Dio non la ispi-
ra>>39; «abbracciamo la temperanza per amore del Signore»40 • San Ba-
silio osserva parimenti che se la temperanza è, secondo la definizione
già citata, <<il rifiuto opposto al corpo», essa è altresì <<l'adesione data
a Dio»41 •
La guarigione della potenza di desiderio dell'anima, lo abbiamo già
notato, avviene per mezzo della conversione. San Massimo spiega
così il processo di tale conversione: dopo che il diavolo ebbe persua-
so l'uomo «a deviare il suo desiderio da ciò che gli era permesso ver-
so ciò che gli era proibito», particolarmente verso la passione pri-
mordiale e generica della filautia, <<fu necessario [. .. ] che il concupi-
scibile, purificato dall'affezione dell'amore egoistico, dirigesse il proprio
desiderio solo verso Dio»42 • E altrove, dopo aver ricordato il proces-
so della decadenza delle facoltà umane, egli osserva il ruolo che gio-
ca la temperanza nel loro ritorno a un uso virtuoso: <<Depravato, lo
spirito segue il corpo che i sensi trascinano sulla china delle proprie
bramosie e dei propri piaceri, e acconsente all'immaginazione e agli
impulsi. Virtuoso, conserva la temperanza, resiste alle immaginazioni
e agli impulsi passionali; inoltre, egli si sforza di volgere al bene i
432
movimenti di 1questo genere che egli prova>>43 • La temperanza recupe-
ra, dunque, in qualche modo lenergia della potenza di desiderio che
si era perduta nelle passioni dell'anima e del corpo alla ricerca del pia-
cere, per farla servire all'acquisto dei beni spirituali. Così, a proposi-
to del corpo, san Massimo osserva che chi lo tiene «al sicuro dal pia-
cere come da una malattia, se ne fa un aiuto al servizio dei beni su-
periori»44. E san Gregorio di Nissa illustra, sulla base di un esempio
molto materiale, la spiegazione di questo processo che la temperanza
compie, processo di riconcentrazione e di riconversione a Dio dell' e-
nergia della potenza di desiderio dispersa dal peccato e alienata dalle
passioni. Mostra, tra laltro, che alla temperanza basta contenere e ca-
nalizzare questa energia, cioè impedire che si disperda, affinché essa
serva al bene ed elevi l'uomo verso Dio. Infatti, come abbiamo visto,
tutte le facoltà l.Jmane e particolarmente la potenza di desiderio, da
una parte sono per natura sempre in movimento e, dall'altra, non sa-
prebbero dividersi tra le realtà spirituali e le realtà carnali che si esclu-
dono a vicenda (cfr. Mt 6,24; Le 16,13; Gal 5,17) 45 ; così, basta allon-
tanare la potenza di desiderio delle une perché essa si volga verso le
altre. «Come, scrive san Gregorio, l'acqua chiusa in un condotto er-
metico è speSso spinta verso l'alto, verticalmente, sotto la pressione
ascendente, mancandole la possibilità di spandersi altrove, e ciò mal-
grado il suo movimento naturale che la porta verso il basso, così l'in-
telligenza umana, strettamente canalizzata da ogni lato dalla tempe-
ranza, sarà come portata verso il desiderio di beni superiori dalla sua
disposizione naturale a muoversi, in mancanza di sfoghi in cui di-
sperdersi, perché lessere in movimento perpetuo che ha ricevuto dal
suo Creatore una tale natura non può mai stabilizzarsi e, se le è im-
pedito di usare il suo movimento nella direzione delle vanità, non ha
altre risorse se non quella di andar~ dritta alla realtà>>46 •
433
effetti terapeutici si estendono anche a tutte le passioni dell'anima. San.
Basilio scrive così, in modo generale, che <<la temperanza è la distru-
zione del peccato, l'annientamento delle passioni>>49 . Essa appare tut-
tavia, più particolarmente, come uno dei rimedi fondamentali della fi-
lautia, l'amore passionale di sé5°, origine di tutte le passioni, e della
passione che le è immediatamente legata, così come a tutte le passio-
ni che derivano da essa: l'amore del piacere (philedonfa). <<ll medico
delle nostre anime, è it Cristo, che [...] dà a ciascuna passione il ri-
medio appropriato [. ..]:la temperanza contro l'amore del piacere»,
osserva san Doroteo di Gaza51 .
La temperanzà non guarisce solo la parte desiderante dell'anima,
ma contribuisce altresì alla guarigione di tutte le sue facoltà. Sviando
il desiderio e le altre potenze del piacere sensibile, la temperanza le
raddrizza, le fa passare dal loro cattivo orientamento contro natura a
un orientamento conforme alla loro natura, alla loro finalità norma-
le. «Per mezzo della temperanza», osserva san Massimo, l'uomo «rad-
drizza i sentieri tortuosi delle passioni volontarie, cioè i movimenti del
piacere>>52 .
Oltre alla sua funzione terapeutica, la temperanza ha una funzio-
ne profilattica. Preserva l'uomo da ogni colpa perché, mortificando in
lui la concupiscenza, lo rende insensibile a ciò che la sollecita53, ma an~
che perché spezzando in lui il pungiglione della voluttà, gli toglie ogni
attrazione al peccato54 . Come afferma san Massimo, <<la temperanza
conserva lo spirito libero di fronte agli oggetti e alle loro rappresen-
tazioni>>55. Essa toglie ai demoni ogni potere di turbare l'anima, sia nel-
lo stato di veglia che nel sonno56 . Allora essa mantiene nella pace la
potenza concupiscibile dell' anima57 •
Se il desiderio passionale è la malattia dell'anima, <<la temperanza
ne è la salute», scrive san Basilio58 • Per mezzo della temperanza, infatti,
la parte concupiscibile dell'anima ritrova l'ordine della sua natura e la
434
sua finalità normale, un esercizio conforme alla ragione. «I movi-
menti dell'anima sono razionali quando la sua parte concupiscibile è
retta dalla temperanza>>, sottolinea san Massimo59 • Essa è, per questo
motivo, una virtù e fonte di virtù.
La virtù che le è più immediatamente legata, che è il segno della sua
completezza, è quella indicata in greco con il termine sophrosjne, che
letteralmente significa <<lo stato sano dello spirito o del cuore»60 o
anche lo stato di un'anima pura da ogni attaccamento ai piaceri sen-
sibili qualunque essi siano, e che possiamo tradurre in questo conte-
sto con «castità>> o, meglio ancora, con «integrità spirituale»61 .
Quanto al rapporto della temperanza con la castità, san Basilio scri-
ve: <<La temperanza non insegna la castità, essa la procura.>>62 • «Colui
che si domina consapevolmente [ ... ] attraverso la temperanza, spera
di ottenere la castità», osserva nello stesso senso san Doroteo di Gaza63 .
Poiché la temperanza impedisce alla potenza di desiderio dell'ani-
ma di dividersi e di disperdersi in molte passioni, e al contrario la riu-
nisce e la volge in un solo desiderio verso Dio, essa riunifica non so-
lo la potenza di desiderio, ma anche tutte le altre potenze che si allie-
tano in essa o a causa di essa. Contribuisce, così, per gran parte, ad
eliminare le molte divisioni che l'uomo decaduto conosce e riporta
la sua anima all'unità e alla semplicità originaria64 •
Poiché essa guarisce l'uomo dal peccato e dalle passioni, e in par-
ticolare da quelle che lo tengono schiavo del piacere sensibile, la tem-
peranza dà all'uomo la libertà. <<La temperanza ci libera perché è sia
medicina che potenza>>, osserva san Basilio65 • Per essa, l'uomo ritrova
la propria autonomia spirituale, e questa lo assimila a Dio. <<La tem-
péranza, scrive san Basilio, è Dio, perché egli non desidera nulla ed ha
tutto in sé [ ... ]. Poiché egli non manca di nulla, è in un'assoluta pie-
nezza.>>66.
·· Poiché essa purifica la potenza di desiderio dalle passioni che oscu-
rano l'intelligenza, contribuisce ad introdurre nell'uomo la conoscen-
za spirituale. Clemente d'Alessandria la considera come il fondamen-
435
to della conoscenza di Dio67 • E san Massimo la colloca accanto alla ca-
rità che è, secondo tutti i Padri, la porta della conoscenza: «Guàrdati
dal dimenticare la carità e la temperanza, perché sono esse che, nel pu-
rificare a fondo le potenze patetiche dell'anima, ti aprono costante-
mente il cammino della conoscenza»68 ; <<il Salvatore ha detto: "Beati
i puri di cuore: perché essi vedranno Dio". Essi lo vedranno, lui e i te-
sori che sono in lui, quando per mezzo della carità e della temperan-
za essi si purificheranno, e tanto meglio quanto più energico sarà il lo-
ro sforzo di purificazione»69 • Purificando l'uomo, la temperanza lo ren-
de degno di avvicinarsi a Dio e di unirsi a lui, contribuisce a renderlo,
alla fine, pertecipe della vita divina, a renderlo incorruttibile a somi-
glianza di Dio incorruttibile7°.
3. La fortezza
lanza, 75.
7°Cfr. BASILlO DI CESAREA, Lettere, CCCLXVI.
71 Cfr. BASILlO DI CFSAEEA, Omelie, X, Sulla collera.
72 BASILIO DI CFSAfil:A, Omelie, X, Sulla collera. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gno-
stici, 62. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Salmo 4, 7. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni ce-
nobitiche, VIII, 7.
·n EsicmO m BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 126.
436
Innanzitutto, lottando contro il male in tutte le sue forme l'uomo
ridà al1a potenza irascibile della sua anima l'uso che conviene alla
sua natura, che 'corrisponde alla sua normale finalità, e costituisce la
sua salute, perché è a questo scopo che gli è stata donata da Dio co-
me un'arma74 •
In primo luogo, si tratta di utilizzare la potenza irascibile per com-
battere il peccato75 e le passioni76 , inclusa la passione della collera, co-
stituita dall'uso perverso che se ne fa. Commentando questa racco-
mandazione del salmista: «Adiratevi ma non peccate» (cfr. Sa! 4,5), san
Giovanni Cassiano scrive: «Non dice con evidenza: Adiratevi contro
i vostri vizi e la vostra collera?»77 • Occorre inoltre notare: «Persino l' ec-
citazione della collera, lo si comprende, può esserci molto salutare per-
ché, adirandoci contro i. nostri vizi e i nostri errori, ci applichiamo piut-
tosto alle virtù e agli esercizi spirituali>>78 •
L'irascibilità deve avere per funzione più generale la lotta contro
<<l'uomo vecchio» e le sue cattive tendenze79 , il combattimento contro
<<l'uomo dei desideri della carne». «Dobbiamo attivare [...]la parte
irascibile dell'anima contro il nostro uomo esteriore [...]. Sta scritto:
"Siate in collera con il peccato", cioè: "Siate in collera contro voi stes-
si"», scrive sant'Esichio di Batos80 •
La lotta contro le passioni, contro le cattive tendenze dell'uomo vec-
chio, assume fondamentalmente la forma di una lotta interiore contro
i pensieri (logismof) ispirati dai demoni, un combattimento contro le
tentazioni. Commentando il versetto 5 del salmo 4, san Giovanni Cas-
siano scrive: «Ci è stato ordinato di "metterci in collera" per la nostra
salvezza contro noi stessi e le cattive suggestioni che salgono in noi, e
di "non peccare", cioè d'impedire loro di nuocere»81 • «La collera in
noi ha un servizio da rendere, ed è solo_ per questo che ci è utile e sa-
lutare accoglierla: quando insorgiamo contro i movimenti lascivi del
nostro cuore», fa ancora notare san Giovanni Cassiano82 •
74 DIADOCO DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici, 62. BASilJO DI CESAREA, Omelie, X, Sulla col-
lera.
75 Cfr. GIOVANNI IL SourARio, Dialogo sull'anima e sulle passioni degli uomini, éd. Hausherr,
p. 90. BASILIO DI CESAREA, Lettere, Il.
76 BASILIO DI CESAREA, Omelie, X, Sulla collera.
77 Istituzioni cenobitiche, VIII, 9. Cfr. ibid., 8.
78 Ibid., VII, 3, 3.
79 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, VIII, 9.
80 Capitoli sulla vigilanza, 126. Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Zoe. cit.
81 Istituzioni cenobitiche, VIII, 9.
"Ibid., 7.
437
Questo combattimento è legato al combattimento contro il diavo-
lo e i demoni stessi, che suggeriscono àll'uomo il male, lo incitano a
compierlo, vogliono sottometterlo alla loro volontà. Per questo moti-
vo, così scrive sant'Esichio di Batos: <<Dobbiamo attivare [. ..] in ma"
niera giusta, secondo natura [ ... ] la parte irascibile [. ..], contro [. ..]Sa-
tana, il Serpente»83 • Evagrio afferma la stessa cosa: «Fa parte della na-
tura della parte irascibile combattere contro i demoni>>84 • San Gregorio
di Nissa scrive allo stesso modo: «Quanto all'irascibilità, alla collera,
ali' odio, occorre che esse usino la loro forza naturale contro il ladro,
contro il nemico che s'insinua all'interno per farci perdere il tesoro di-
vino e viene al fine "di rubare, sgozzare, distruggere" (Gv 10,10)»85 •
San Basilio ricorda a questo riguardo le parole di Dio agli uomini ri~
portate nel libro della Genesi: <<Porrò una ostilità tra voi e il serpenc
te» (dr. Gn 3,15) 86 • Potremmo citare qui numerosi passi dei Salmi nei
quali vediamo il fedele impegnato, secondo il salmista, a manifestare
un tale odio riguardo ai demoni simboleggiati e indicati in modi di-
versi («gli empi>>, <<i peccatori>>, <<i cattivi», <<i nemici>>, «gli eserciti av-
versi», <<le nazioni straniere», <<i principi»... ) e·a chiedere a Dio di muo"
·vere contro di essi la sua collera per allontanarli, ridurli ali' impotenza
o distruggerli.
Se l'uomo lotta così contro la volontà dei demoni è perché si com-
pia in lui la volontà di Dio. Se egli lotta contro le passioni è per far po-
sto in sé alle virtù. Se lotta contro le tendenze dell'uomo vecchio è per
poter divenire in Cristo un uomo nuovo. Così la lotta della potenza
irascibile contro le diverse forme del male appare come una lotta in
vista del bene. <<L'anima razionale agisce secondo la natura quando
la sua parte irascibile lotta per ottenere la virtù», scrive Evagrio 87 •
Lottare per la virtù, significa prima di tutto lottare per acquisirla:
la potenza irascibile qui sembra come un motore della vita spirituale,
una forza che tende tutta l'anima verso Dio88 • A questo proposito CO"
sì scrive san Basilio: «Se voi fate un buon uso della collera e se ve ne
servite secondo le regole della ragione, essa si muterà in forza» 89 • Ma
90,896C.
89 Omelie, X, Sulla collera.
438
la lotta serve anche per conservare la virtù: mentre la collera, nel suo
uso patologico combatte per la conservazione dei beni sensibili, nel
suo uso sano essa lotta affinché i beni spirituali ricevuti da Dio non
siano affatto strappati dal Nemico. È in questo senso che san Massi-
mo consiglia: «Che la potenza dell'aggressività lotti per conservare
-Dio»90• Nel lottare per i beni divini, la potenza irascibile lotta così «per
il piacere spirituale (pneumatikè edo né) e la beatitudine (makari6tes)
che ne segue»91, anziché lottare come essa faceva nel suo uso patolo-
gico in vista dei piaceri sensibili, essendo il suo principio quello «di
lottare in vista del piacere qualunque esso sia»92 •
Occorre sottolineare che la collera corrispondente all'uso virtuoso
della parte irascibile, che serve a quanto san Paolo chiama «il buon
combattimento» (lTm 6,12; 2Tm 4,7) e che i Padri denominano <<ira-
scibilità saggia (s6phri5n thym6s)»93 , «giusta collera>>94 , si distingue dal-
la collera-passione non solo per il suo scopo, ma anche per la forma.
Ed è per queste due ragioni che essa è una collera esente dal pecca-
to, quella ricordata dal salmista quando dice: <<Adiratevi ma non pec-
cate» (cfr. Sal 4,5) o ancora, parlando dei nemici spirituali: «Di odio
pieno io li detesto» (Sa! 139[138],22). È infatti una collera dominata95 ,.
esente da turbamento (atdrachos) 96 che è, quindi, interamente compa-
tibile con l'impassibilità (apdtheia) che è il fine della prdxis.
Nell'uso virtuoso, l'irascibilità può essere assimilata alla virtù della
fortezza, o coraggio (andrefa). A questo proposito così scrive Evagrio:
«Quando la virtù è nella parte irascibile, essa si chiama fortezza»97 , e
san Massimo, ugualmente: <<La collera secondo la natura è fortezza>>98 •
Nel fame un uso passionale l'uomo rendeva malata la sua potenza
irascibile, e per essa tutta la sua anima, utilizzandola invece virtuosa-
mente, egli le rende la salute e «Se ne serve come un rimedio»99 , ri-
. dandole così la sua funzione normale. Infatti, osserva san Giovanni
Crisostomo, «se la collera è stata.posta in noi, non è perché peccassi-
la collera.
96 Cfr. BASILIO DI CESAREA, !oc_ cit_
97 Trattato pratico sulla vita monastica, 89.
98 Disputa con Pirro, PG 91, 309C.
439
mo [.. .],non è affinché essa divenisse in noi una passione, un'infer-
mità, ma affinché fosse un rimedio alle passioni»100 •
La potenza irascibile ben usata appare così, nella via della guari-
gione spirituale, come aiuto principale della ragione divenuta pru~
dente101 • Infatti la ragione, illuminata spiritualmente, può indicare la
via del bene e la lotta da condurre per progredirvi, ma essa stessa non
può imporre all'uomo di segul.re questa via né di dare battaglia; la po-
tenza irascibile è la forza di cui essa ha bisogno per fare tutto questo;
senza di essa, rimarrebbe impotente. San Basilio scrive a questo pro-
posito: «Come un soldato docile agli ordini del suo capitano è sempre
pronto ad andare a soccorrere quelli che ne hanno bisogno, così la col-
lera può aiutare la ragione a combattere il peccato. L'indignazione fa
da spinta ali' anima, le ispira forza, coraggio, costanza nel portare a
compimento un'impresa; essa dà vigore e fermezza a uno spirito che
si lascia infiacchire dal piacere. Non avremo mai verso il peccato
l'orrore che dovremmo avere se non siamo animati dall'indignazione
e dalla collera; così,\ quando essa è sottomessa alla ragione, occorre
amarla tanto quanto si è obbligati a odiarla quando è irrazionale»102•
Molti Padri sottolineano, come san Basilio, il ruolo essenziale che
gioca la potenza rrascibile restituita alla sua funzione normale per di-
namizzare l'intera vita spirituale. «La collera [è uno] strumento utile
per risvegliare la nostra anima dagli eccessi di torpore>>103 e «per dar[le]
vigore>>104, osserva san Giovanni Crisostomo. E san Massimo consiglia:
«Che tutto lo spirito si ordini in vista di Dio, teso dall'irascibilità CO'
me una corda»105 •
Infatti, non vi è vita spirituale senza lotta; senza impegnare tutta la
propria forza, l'uomo non può ricevere la forza che Dio gli dà; senza
coraggio, egli non può opporsi agli attacchi permanenti dei nemici del-
la sua salvezza, non può affrontare le molte trappole che essi gli ten-
dono. Se la prudenza, come vedremo, deve illuminare il suo cammi-
no, in gran parte è l'irascibilità che gli permette di progredire su que-
sto cammino.
440
4. La prudenza .
106 A questo riguardo e sulla distinzione prudenza-saggezza, vedi EVAGRIO PONTICO, Tratta-
to pratico sulla vita monastica, 73 e il commento di A. e C. GUILLAUMONT nella loro introdu-
zione a questo trattato, se 170, pp. 661-663; 684-685.
107 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Discorso catechetico, 8.
108 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Commento al Salmo 37, 6. BASILIO DI CESAREA, Omelie, XII, 6,
PG 31, 397C. GREGORIO IL TAUMATURGO, Ringraziamento a Origene, 122; cfr. 123. MASSIMO IL
CONFESSORE, Centurie sulla carità, Il, 24. MACARIO D'EGITTO, Capitoli parafrasati, 45.
109 Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 26. MACARIO D'EGITTO, loc. cit. GIOVANNI CASSIA-
441
Comunque si presenti questa prima funzione, essa è assimilabile al-
la virtù del discernimento (didkrisis; discretio), ed è così che spesso la
designano i Padri 110 • È questa virtù, ricorda san Giovanni Cassia-
nom, che nel Vangelo è chiamata: <<La lucerna del corpo è l'occhio»,
quando il Cristo insegna: <<La lucerna del corpo è l'occhio. Se dunque
il tuo occhio è terso, tutto il tuo corpo sarà illuminato. Ma se per ca~
so il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre» (Mt
6,22-23). <<Essa infatti discerne tutti i pensieri dell'uomo e le sue azio-
ni, esamina e vede nella luce ciò che dobbiamo fare» 112 • San Giovan-
ni Climaco scrive allo stesso modo: «Il discernimento è una lampada
nelle tenebre [...], una luce per coloro la cui vista è debole»113 ; «sevo-
gliamo definire in generale il discernimento, possiamo dire che è una
luce interiore che ci fa conoscere con certezza la volontà di Dio in ogni
momento, in ogni luogo, e in ogni azione>>114 • È questa virtù, egli fa an-
cora notare, che il salmista ti.corda quando chiede a Dio: «Insegnami
a fare la tua volontà perché tu sei il mio Dio» (Sal 143[142],10) e an-
cora: «Famini conoscere la via da percorrere: sì, verso di te elevo l'a~
nima mia» (Sal 143 [142],8) 115 •
Essa è, dunque, la guida che consente a colui che avanza nella via
spirituale di non smarrirsi e di evitare le cadute. «Essa è anche di cui
è scritto che è il governo della nostra vita>>, osserva san Giovanni Cas-
siano nel ricordare questo passo dei Proverbi: quando manca la pru-
denza «un popolo decade» (Pro 11,14) 116 •
La prudenza è, di conseguenza, la protettrice delle virtù117 e, allo
stesso tempo, mette l'uomo al riparo dagli agguati del male. «Colui
che la segue, scrive san Basilio, non si allontana mai dalle opere della
virtù e non è mai trafitto dallo strale funesto del vizio»118• Parlando,
più in generale, la prudenza-discrezione permette all'uomo .di cono-
scere il suo stato interiore e di situarsi relativamente al suo progresso
tionnaire de spiritualité, t. 3, Paris 1957, co!L 1311-1313. Questa equivalenza spiega perché al-
cuni Padri non parlano mai di «prudenza>>, ma di «discernimento» o di «discrezione>> nel sen-
so antico di questo termine.
m Conferenze, II, 2.
112 Ibid.
113 La ScaLi, XXVI, 122.
11• Ibid., 1.
115 Ibid., 95.
116 Conferenze, II, 4.
117 EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89.
118 Omelie, XII, 6.
442
spirituale, gli dà: in particolare la possibilità di vedere il cammino per-
corso e di misurare quello che gli resta da fare 119 •
La seconda funzione della prudenza consiste, come osserva Eva-
grio, nel «dirigere le operazioni contro le potenze avverse, proteggendo
le virtù, opponendosi ai vizi,· regolando tutto ciò che è neutrale a se-
conda delle circostartze» 120 , o ancora «Opporsi all'irascibilità dei de-
moni>>121. La prudenza appare qui come il grande stratega del com-
battimento che l'uomo, nella praxis, .inevitabilmente è portato a con-
durre contro il diavolo e i demoni. Senza di essa, «non è possibile por-
tare a compimento la lotta», afferma ancora Evagrio 122 • Occorre no-
tare che il Cristo stesso raccomanda di munirsi della prudenza ricor-
dando le difficoltà del percorso spirituale dovute in particolare ai
demoni: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dun-
que prudenti come i serpenti» (Mt 10,16).
Questa seconda funzione della prudenza è strettamente legata alla
precedente, perché si tratta non solo di distinguere chiaramente ciò
che viene da Dio o dagli angeli da ciò che viene dai demoni, di osser-
vare gli attacchi di quest'ultimi, ma anche di discernere i modi di que-
sti attacchi (che possono essere complessi o molto vari), di eludere le
loro astuzie, essendo questo possibile solo attraverso la conoscenza si-
cura della volontà di Dio che indica all'uomo il vero bene.
La prudenza ha, altresì, come funzione, di fronte alle altre poten-
ze dell'anima, quella di affermare il carattere egemonico della parte
razionale (logistik6n), di cui essa è la virtù sul piano della praxis, e quin-
di d'incitarle a subordinarsi ad essa nella guerra da condurre contro
i demoni e le passioni. In primo luogo essa guida, in questa attività, la
potenza irascibile123 .
La prudenza, infine, ha come funzione, in maniera più generale,
quella di governare le diverse potenze dell'anima e di riordinarle fa-
cendole agire secondo la loro vera natura124 . Ecco perché sant'Esichio
di Batos consiglia: «Con sapienza e scienza, fissiamo la ragione sulle
due altre [parti dell'anima], la potenza irascibile e la potenza di desi-
derio, per regolarle, ammonirle, riprenderle, comandarle, come un
119 ar.
GIOVANNI CUMACO, La Scala, XXVI, 1.
uo Trattato pratico sulla vita monastica, 89.
121 Ibid.;73.
m Ibid.
123 Cfr. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 34.
u4 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico, 73; 88.
443
re comanda i suoi servi»125 • Quest'ultima funzione è legata direttamente
alle precedenti. Da una parte, «forzando le potenze dell'anima ad agi:
re secondo la natura» 126 la prudenza può meglio «opporsi a:ll'imsci-
bilità dei demoni»127 , perché lo scopo principale da essi perseguito e
il risultato essenziale della loro azione è quello di trascinare le diver-
se facoltà dell'uomo ad allontanarsi da Dio, quindi a esercitarsi con-
tro natura. Dall'altra parte, solo sulla base della distinzione del bene
e del male è possibile il riorientamento delle diverse potenze dell' a-
nima, perché questo riorientamento le fa passare da un uso contro na-
tura a un uso conforme alla loro natura, da viziose che erano le ren-
de virtuose. Evagrio così scrive a questo riguardo: «Le potenze che,
secondo l'uso che se ne fa, sono buone o cattive, dànno origine alla
virtù e al vizio. È proprio della prudenza usare le potenze in vista di
uno dei due fi.ni.» 128 •
Si comprende adesso come la prudenza-discrezione possa essere
considerata da san Giovanni Cassiano <<la madre e la custode [. ..] di
tutte le virtù»129, ma altresì <<la fonte, in qualche modo, e la radice di
tutte le virtù>>130• San Giovanni Damasceno e sant'Isacco vedono in es-
sa anche <<la più grande di tutte le virtù»131 : in realtà, essa è una delle
virtù che condiziona, come abbiamo già detto, l'acquisizione di tutte
le altre; non avendola come guida, l'uomo rischia di non giungere mai
allo scopo, dal momento che sono molte le difficoltà che egli deve af-
frontare e che, per mezzo di essa, Dio gli permette di evitare.
Si comprende, anche, perché la prudenza-discrezione possa essere
considerata un mezzo essenziale per la guarigione dell'uomo. Così san
Giovanni Climaco scrive a questo riguardo: «Colui che possiede la
prudenza-discrezione è uno sterminatore della malattia e un restaura-
tore della salute»m. Infatti, da una parte essa costituisce un uso se-
condo Dio, quindi conforme alla sua natura sana, della parte raziona-
le dell'anima e, dall'altra parte, essa guarisce tale parte dalla follia chè
costituisce il suo uso perverso. «Nella misura in cui noi usiamo male
le potenze della nostra anima [ ... ] i vizi si insediano in essa: nella
125Capitoli sulla vigilanza, 126. Cfr. GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla vigilanza, XVIII, 3.
u• EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 73.
m Ibid.
128 Trattato pratico sulla vita monastica, 88.
129 Conferenze, Il, 4.
130 Ibid., 9.
m GIOVANNI DAMASCENO, Discorsi utili all'anima. !SACCO IL SIRO, Discorsi ascetid, 7. Cfr.
ibid., 18.
132 La Scala, XXVI, 122.
444
parte razionale, l'ignoranza e la follia [ ... ]. Il loro buon uso, al con-
trario, produce [in tale parte] conoscenza e prudenza», ricorda san
Massimo 133 • Sari Basilio ugualmente, dopo aver notato che le potenze
dell'anima «divengono strumenti del vizio o della virtù secondo le di-
sposizioni di colui che agisce», scrive, relativamente alla potenza ra-
zionale: «Quando se ne usa bene, si diviene saggio e prudente>>134 • Fol-
lia e prudenza, dunque, si corrispondono e si oppongono, e prendo-
no il posto l'una dell'altra a seconda che l'uomo allontana la sua ragione
da Dio o la rivolge verso di Lui, sebbene l'assenza dell'una implichi la
presenza dell'altra e reciprocamente. Così san Massimo osserva che
«chi non è insensato è prudente>>m.
La prudenza contribuisce a ridare la salute non solo alle facoltà
iritellettuali, ma anche alle altre facoltà: in virtù del suo ruolo di gui-
da, indicando loro la via del bene, essa le aiuta a riorientarsi verso Dio,
a esercitarsi di nuovo nel senso conforme alla loro finalità naturale,
quindi a ritrovare la salute. Possiamo, perciò, dire con san Giovanni
Climaco che essa costituisce «una via di ritorno per gli smarriti»136 •
445
m
IL RUOLO TERAPEUTICO DEL PADRE SPIRITUALE
446
me vedremo più precisamente in seguito, che egli manifesti la sua vi-
ta interiore e gli confidi le sue malattie. In noi, osserva san Gregorio
Nazianzeno, <<l'intelligenza e l'egoismo, come l'incapacità e il rifiuto
di lasciarci vincere facilmente, costituiscono il più grosso ostacolo al-
la virtù. Si scatena una sorta di mobilitazione contro coloro che ven-
gono in nostro aiuto. Noi ìmpieghiamo tutto lo zelo che occorre per
svelare la malattia a chi deve curarla nel sottrarci al trattamento. Im-
pieghiamo il nostro coraggio nel farci del male e la nostra scienza nel
lottare contro la nostra salute»4 ; nascondiamo le nostre colpe, o le giu-
stifichiamo, «e ci ostiniamo [. .. ] a non lasciarci curare dai rimedi di
saggezza che guariscono l'infermità dell'anima. O, ancora[. ..] mani-
festiamo un'esplicita impudenza nei confronti del peccato e di colo-
ro che hanno l'incarico di curarlo>>'.
Ma credendo che si possa fare a meno di un padre spirituale, l'uo-
mo inganna se stesso. Per colui che vliole giungere alla salvezza e al
termine della via spirituale, l'aiuto del padre spirituale costituisce Un.a
necessità assoluta. San Giovanni Climaco scrive: «Si illudono coloro
che si fidano di se stessi e pensano di non aver bisogno di- nessuno che
.li gui<li>>6 • San Callisto e sant'Ignazio Xantopulo osservano: «Coloro
che vogliono camminare senza ricevere consigli seminano nella fatica
e nel sudore e spesso non fanno altro che sognare>/. Per questo san
Niceforo il Solitario consiglia: «Se non hai un maestro, devi cercarte-
ne uno a ogni costo»8 •
La necessità della direzione spirituale riguarda innanzitutto la dif-
ficoltà che l'uomo ha di conoscere se stesso9 e di adeguarsi corretta-
mente, e questo fintanto che non raggiunge la purezza dell'impassibi-
lità, la quale è, lo vedremo ulteriormente, la chiave della pienezza del
discernimento 10 e della conoscenza di sé. Fintanto che l'uomo è in ba-
lia delle passioni, egli ha il giudizio falsato. Sotto il dominio della ce-
nodossia e dell'orgoglio, in particolare, è <<pronto a vedere il peccato
degli altri, [ma] lento a riconoscere le proprie imperfezioni» come con-
stata san Basilio 11 • Ora, lo abbiamo visto, è in gran parte da questo
riconoscimento che dipende il progresso spirituale. E, quando i Padri
447
ricordano la necessità di conoscere se stessi, spesso intendono con que-
sto «la conoscenza del proprio peccato». Ma in modo generale, tutte
le passioni oscurano e pervertono il giudizio dell'uomo, alterano la sua
capacità di discernimento del bene e del male, gli impediscono di ve-
dere ciò che veramente gli conviene, di avere «una percezione certa
della volontà di Dio in ogni occasione, in ogni luogo e in ogni circo-
stanza»12. Ecco perché Abba Zenone afferma che l'uomo «non deve
fidarsi di se stesso» e «non può soccorrere se stesso»13 . San Doroteo
di Gaza consiglia la stessa cosa: «Non fidarti mai del tuo cuore, per-
ché le antiche passioni lo hanno reso cieco»14 ; «essendo passionali, non
dobbiamo assolutamente fidarci del nostro cuore, perché una regola
distorta rende distorto anche ciò che è diritto» 15 . Seguendo il pro-
prio giudizio, l'uomo non solo non riesce a vedere se stesso come è,
ma non può neanche conoscere con sicurezza quale via seguire, eri-
schia costantemente di allontanarsi dal retto cammino. Per questo san
Niceforo il Solitario consiglia: <<È importante cercarsi un maestro in"
fallibile: le sue lezioni ci insegneranno le nostre deviazioni a destra o
a sinistra[. .. ]; la sua esperienza personale di queste prove ci illuminerà
a lorq riguardo e ci mostrerà, escludendo ogni dubbio, il cammino spi-
rituale che allora potremo percorrere senza difficoltà»16.
Il ricorso a un padre spirituale si giustifica, per di più, con il peri-
colo per l'uomo di seguire la propria volontà, la quale, nel suo stato
decaduto, tende a opporsi alla volontà di Dio. «Se un uomo non con-
fida ttitto ciò che è in lui, insegna san Doroteo di Gaza, il diavolo sco-
prirà in lui una volontà propria [. ..] che gli [permetterà] di travol-
gerlo [... ]. Ogni volta che noi ci attacchiamo ostinatamente alla nostra
volontà [. ..], pensando in quel momento di fare cose meravigliose, ten-
diamo delle trappole a noi stessi, e non ci accorgiamo che ci stiamo
perdendo. Come possiamo, infatti, conoscere la volontà di Dio, o cer-
carla veramente, se fidiamo in noi stessi e teniamo ferma la nostra
volontà?»17 . Affidarsi a un padre spirituale consentirà, dunque, di vin-
cere questa volontà propria che, secondo la parola di Abba Poemen,
«è un muro di bronzo tra l'uomo e Dio» 18 • Ciò permetterà, altresi, di
12Ibid.
13Apoftegmi, N 509-510.
14 Lettere, Il, 187.
15 Sentenze, 2.
16 Sulla vigilanza e la custodia del cuore.
17 Istruzioni spirituali, V, 62.
18 Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 54.
448
acquisire la necessaria umiltà. San Giovanni di Gaza scrive a questo
proposito: «Se qualcuno ha l'idea di fare qualcosa di buono da se stes-
so e non consulta i Padri, egli è al di fuori della legge e non fa nulla di
legittimo. Colui che, al contrario, li interroga, compie la Legge e i Pro-
feti. Difatti, è un segno di umiltà interrogarli. E colui che agisce in que-
sto modo imita il Cristo che si è umiliato fino a divenire schiavo. Si di-
ce infatti, che un uomo senza consigliere è nemico di se stesso»19 •
Il ricorso a un padre spirituale s'impone anche all'uomo che vuole
avanzare sulla via spirituale in ragione della sua ignoranza circa le trap-
pole e i pericoli che vi incontrerà e i mezzi per affrontarli. Per questo
san Giovanni di Gaza consiglia: <<lnterroga i Padri spirituali, fa' quel-
lo che ti diranno. Non seguire il tuo giudizio, affinché non avvenga
che, per ignoranza, tu sia in pericolo»20 • «Occorre, spiega san Marco
l'Eremita, che colui che vuole prendere la sua croce e seguire il Cristo
si preoccupi innanzitutto di acquistare la scienza e l'intelligenza at-
traverso l'esame dei suoi pensieri [. .. ]. Occorre che interroghi coloro
che hanno gli stessi sentimenti, che servono Dio in conformità d'ani-
ma con noi e conducono la stessa lotta, affinché l'ignoranza della de-
stinazione e dei mezzi non ci faccia camminare nelle tenebre o cam-
minare senza luce e senza lampada. Colui che pratica l'idioritmia, os-
sia conduce la vita a suo modo, cammina sprovvisto della scienza
evangelica, del discernimento e della direzione spirituale; incontra co-
sì molti ostacoli e cade in tante fosse e trappole del diavolo; molte lo
fanno cadere, molte altre lo fanno smarrire ed egli è circondato da mol-
tissimi pericoli senza conoscere la via d'uscita»21 • <<Il combattimento
diverrà più leggero, più chiaramente individuabile, egli aggiunge, se si
è molto attenti [. .. ] soprattutto nel cercare di frequentare persone esper-
te tra i Padri pieni di Spirito Santo, di vivere con loro, possibilnien-
te, e di lasciarsi condurre da essi Difatti colui che vive solo, in idio-
ritmia, senza controllo o con persone senza esperienza di lotta spiri-
tuale, corre un grande pericolo. Egli si lascia ingannare dalle diverse
forme di guerra, perché le macchinazioni e le insidie nascoste del ma-
le sono numerose, e varie le trappole tese da ogni parte dal nemico.
Ecco perché occorre fare ogni sforzo e combattere per frequentare uo-
mini spirituali e intrattenersi spesso con essi affinché, anche se non si
possiede da sé la luce della vera scienza, perché si è ancora bambini
19 Apoftegmi, N 111.
20 Lettere, 702.
21 A Nicola, 5.
449
e non si è ancora raggiunto il pieno sviluppo spirituale, se si va con co-
lui che vi è giunto, non si camminerà nelle tenebre, non si correrà al-
cun pericolo per le trappole e i trabocchetti del male, e non s'incap-
perà nelle fiere spirituali che pascolano nell'oscurità, che rapiscono e
straziano quelli che camminano nel buio senza la lampada spirituale
della parola divina>>22 • ·
22 Ibid., 11.
23 Istru:r.ioni spirituali, V, 61.
24 Trattato sulla verginità, XXIII, 3.
25 Centurie sulla carità, III, 58.
450
vanni Climaco osserva giustamente che molti di coloro che «hanno in-
trapreso ·il viaggio», <<giunti a metà del cammino, si sono trovati in pe-
ricolo o sono tornati indietro, perché non preparati alle tribolazioni>>;
per mancanza di una valida direzione26 •
Solo sottomettendosi a un Anziano, l'uomo potrà seguire sino alla fi-
ne <<Senza errori né pericoli il cammino dei Padri>>27 ; è qui lunica via che
permette di raggiungere la perfezione, come spiega frequentemente san
Giovanni Cassiano: «Se vogliamo giungere a una perfezione autentica
nella virtù, è necessario obbedire a questi maestri e guide che, lungi dal-
l'immaginarla in vuote discussioni, ne hanno realmente fatta lesperienza
e possono insegnarcela, dirigerci e mostrarci il cammino più sicuro
per arrivarvi»28 ; <<il Signore non mostra a nessuno il cammino della per-
fezione, se, avendo accanto una persona che istruisce, si disprezza la
dottrina degli Anziani e la loro regola di vita, senza far caso a questa pa-
rola, che dovrebbe pertanto essere osservata con zelo: "Interroga tuo
. padre e te l'annuncerà, i tuoi Anziani e te lo diranno" (Dt 32,7)»29 •
451
Questo ruolo fattivo si manifesta anche nelle cure concrete che egli
rivolge al suo figlio che va da lui in stato di malattia in vista di ottenere
la guarigione. Infatti, se il padre spirituale è una guida33 , non lo sarà
nel dare indicazioni astratte. Egli non mostra il buon cammino su una
carta: ma fa il cammino in compagnia di suo figlio, portandolo sulle
spalle34 , e lo aiuta concretamente a non allontanarsi dalla via diritta,
a discernere e superare gli ostacoli, a percorrere fino alla fine le diverse
tappe. Ora i principali ostacoli del progresso spirituale sono costitui-
ti dalle passioni, che sono, come abbiamo mostrato, altrettante malat-
tie spirituali. Ecco perché il ruolo del padre spirituale, nell'aiutare la
persona colpita da tali malattie a liberarsene, assume fondamental-
mente un carattere terapeutico35 • L'esercizio della paternità spirituale
è così, molto spesso, assimilato dai Padri a una medicina delle anime
analoga alla medicina del corpo36 • Per questo, frequentemente, nei te-
sti ascetici il padre spirituale è chiamato «medico spirituale» o sem-
plicemente <<niedico»37 , oppure il contesto lo fa esplicitamente appa-
rire come tale38 • Sant'Atanasio d'Alessandria dice che sant' Antonio
«era veramente stimato come medico in Egitto»39• Sant'Ammona, più
in generale, dice dei Padri del des~rto che «Dio li ha inviati in mezzo
agli uomini, perché posseggono tutte le virtù, affinché [... ] guariscano
le loro malattie», e poi precisa: «perché essi furono medici delle ani-
me e poterono guarire le loro malattie»40 • Abba Antonio ugualmente
afferma che: «Gli antichi padri sono andati nel deserto e sono stati
452
guariti; sono .divenuti medici e, chinandosi sugli altri, li hanno guari-
ti»41. San Giovanni Crisostomo osserva che il monaco esperto «arri-
verà a guarire completamente» colui che va da lui42• San Giovanni Cli-
maco afferma che <<le malattie riceveranno dalla provvidénza di Dio e
dai loro medici spirituali il rimedio efficace»43 e ricorda «quelli che so-
no guariti dalle passioni dell'anima per mezzo delle cure dei medici»44 •
Egli consiglia: <<Metti a nudo la tua piaga davanti al medico»45 , perché
egli constata che «senza laiuto di un medico, sono rari quelli che gua-
riscono»46 • San Giovanni di Gaza consiglia a uno dei corrispondenti:
<<Ricorri [ai santi] come qualcuno che non sta bene e che ha bisogno
del medico [. .. ]. E sèrviti di essi, fino a che Dio ti conduca alla salute
perfetta>>47 • San Gregorio Nazianzeno parla dei sacerdoti che eserci-
tano l'ufficio di padri spirituali come di «coloro ai quali è stato affi-
dato l'esercizio della medicina>>48 , e dice inoltre: <<Di questa medicina
[spirituale] noi siamo [noi sacerdoti] i servi e i collaboratori»49 • Al-
cuni Padri spirituali presentano se stessi esplicitamente o implicita-
mente come medici50 • Ne troviamo alcuni esempi antichi, precedenti
persino al cristianesimo: i membri della comunità di asceti di cui Fi-
lone d'Alessandria ci riferisce la vita chiamavano se stessi <<terapeuti»,
gli uomini, e <<terapeutri<li>>, le donne: «L'opzione di questi filosofi»,
scrive Filone, «si nota subito dal nome che essi portano: terapeuti e
terapeutridi è il loro vero nome, prima di tutto perché la terapia che
essi professano è superiore a quella praticata nelle loro città: questa
cura solo il corpo, laltra anche le anime in preda a queste malattie dif-
ficili da guarire, che [.. .] la moltitudine infinita delle [... ] passioni e
delle altre miserie fanno abbattere appunto sulle anime»51 • Ed essi si
dànno questo nome non solo perché cercano, per la vita che condu-
cono, di guarire se stessi dalle proprie malattie spirituali, ma anche,
41 Apoftegmi, N 603.
42 Apologia della vita monastica, II, 8.
43 La Scala, VIII, 35.
44 Ibid., 1, 19.
., Ibid., rv, 68.
46 Ibid., 77.
47 Lettere, 457.
48 Discorsi, II, 22.
vanni dire ad uno dei suoi visitatori: <<Così come vi sono molte specie di peccati., vi sono anche
molti rimedi. Se tu vuoi essere guarito, dimmi in tutta verità ciò che hai fatto, affinché io vi por·
ti i rimedi appropriati>>c
51 SuUa vita contempl,ativa, 2.
453
come osserva sant'Eusebio di Cesarea, «perché essi curano e guari-
scono le anime di quelli che si rivolgono a loro>>52 •
sto è un concetto estraneo al cristianesimo. La precisazione che egli dà subito dopo permette
peraltro di situare questa asserzione nel contesto ortodosso: l'anima è, con l'insieme del com-
posto umano, chiamata ad essere deificata per grazia, a divenire divina per partecipazione. Ve-
di il co=ento di san Massimo il Confessore in Ambigua 7, contro gli origenisti che hanno
cercato di usare questa formula in favore della loro concezione eterodossa.
55 Discorsi, Il, 16-17.
56 Ibid., 19.
454
che pratichiamo è più laboriosa, e di gran lunga, più di quella che si
esercita sui corpi: anche questo le conferisce un valore più grande»57 •
La difficoltà del compito fa sì che siano molto rari58 coloro che so-
no in grado di esercitarla, anche se molti se ne credono capaci, tanto
grandi sono i rischi di illusione al riguardo anche molto tempo dopo
che si è raggiunta l'impassibilità59 • È per questo che necessariamente
si riscontrano in quest'ambito «molti ingannatori e falsi maestri.>>60 •
Per essere guide e terapeuti spirituali autentici, è indispensabile ave-
re la conoscenza di «sane dottrine», cioè essere perfettamente orto-
dossi61, ed essere fedeli, nella pratica terapeutica, all'insegnamento de-
gli antichi Padri62 • San Gregorio di Nissa scrive a questo riguardo: «Co-
me gli uomini hanno scoperto attraverso I' esperienza la medicina un
tempo ignorata e l'hanno vista rivelarsi progressivamente col favore di
alcune osservazioni, cosicché l'utile e il nocivo, riconosciuti dalla te-
stimonianza dell'esperienza, si sono introdotti così nella dottrina di
quest'arte, e le osservazioni dei predecessori sono servite da norma per
il futuro; come, adesso, colui che si applica a quest'arte non è obbli-
gato a giudicare con la propria esperienza l'efficacia dei medicamen-
ti, se siano perniciosi o benigni, ma, dopo aver ricevuto da altri le
sue conoscenze, ha egli stesso praticato la sua arte con successo; così
avviene per la guarigione delle anime, intendo dire la filosofia 63 , per
mezzo della quale noi apprendiamo la terapia di ogni passione che col-
pisce l'anima: non è affatto attraverso le congetture e le supposizioni
. che bisogna cercare questa scienza, bensì attraverso una grande capa-
cità d'imparare, accanto a colui che ha acquisito questa disposizione
con una lunga e ricca esperienza»64 •
Questo, tuttavia, non può bastare. È importante, inoltre, che il
padre spirituale non solo conduca una vita conforme ai suoi insegna-
menti65, ma che egli abbia anche esperienza. È per questo motivo
che san Simeone il Nuovo Teologo avverte: «Non affidarti a un mae-
~ Ibid.
58 Cfr. Apoftegmi, Eth. Coli.; 13, 6.
59 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Antirretico, Cenodossia, 9.
60 SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 49.
61 Cfr. GIOVANNI CLWACO, Lettera al Pastore, 97.
62 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 49. CALLISTO e
IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 14.
63 Sul significato cristiano che i Padri, ed in particolare i Padri cappadoci ~ Giovanni Criso-
stomo, dànno al termine <<filosofia>>, vedi A.-M. MALINGREY, «Philosophie», Etude d'un groupe
de mots dans la Littérature greque des Présocratiques au IV siècle après ].C., Paris 1961, pp. 207s.
64 Trattato sulla verginità, XXIII, 2.
65 Cfr. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 14.
455
stro inesperto [ ... ],perché egli ti inizierà alla vita diabolica piuttosto
che a quella evangelica.>>66 • San Giovanni Cassiano, a sua volta, offre
questo consiglio: «Se vogliamo arrivare a un'autentica perfezione nel-
la virtù, occorre che obbediamo a questi maestri e guide che, lungi dal
sognarla in vuote disquisizioni, ne hanno fatto realmente l' esperien-
za.>>67. Se veramente per il padre spirituale si tratta di aver appreso da-
gli Anziani, è la forma pratica che questo apprendimento deve avere
assunto: è la loro stessa esperienza che il padre spirituale deve aver ac-
quisito nel condurre una vita simile alla loro68 • Occorre che, sotto la
loro guida, il padre spirituale abbia egli stesso percorso tutto il cam-
mino che egli ha il compito di aiutare i suoi figli spirituali a percorre-
re69. Occorre che egli stesso abbia eluso le trappole e superato gli osta-
coli che si presenteranno sul loro cammino, occorre che egli abbia subì-
to vittoriosamente tutte le prove attraverso le quali essi dovranno
passare70 , perché, ad immagine del Cristo, <<per il fatto che ha soffer-
to e che è stato provato» il padre spirituale «è capace di soccorrere
quelli che sono tentati>> (cfr. Eb 2,18). Bisogna che egli abbia messo
ordine nella propria casa prima di pretendere di riordinare quella de-
gli altri, come suggerisce l'Apostolo: «Se uno non sa governare la pro-
pria famiglia come potrà aver cura della chiesa di Dio» (lTm 3,5). È
necessario che abbia acquistato egli stesso tutte le virtù e le qualità che
i suoi figli spirituali devono acquistare71 . In altri termini, occorre che
il medico spirituale sia stato egli stesso guarito e sia in buona salute af-
finché la sua terapia sia efficace72 • «Se nella tua casa regnano il disor-
dine e l'indisciplina, la parola "Medico guarisci te stesso" sarà rivolta
contro di te da coloro che tu dirigi. Guariamo dunque noi stessi 'in pri"
mo luogo», scrive san Basilia73 • Ciò è in linea con l'insegnamento stes-
so del Cristo che avverte: «Se un cieco fa da guida a un cieco, tutti e
due cadranno nella fossa» (Mt 15,14; cfr. Le 6,39), e che fa notare: «Co-
me puoi dire al tuo fratello: "Lascia che tolga dal tuo occhio la pa-
corso del padre spirituale a quello di Mosè che successivamente supera tutti gli ostacoli innal-
zati contro di lui, ed è per questo reso capace di guidare i suoi fratelli, come Mosè ha guidato
il popolo di Dio (cfr. Lettera al Pastore, 101).
7°Cfr. NICEFORO IL SOLITAR10, Sulla vigilanza e la custodia del cuore.
71 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, Lettera al Pastore, 17.
72 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Antirretico, Cenodossia, 9. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, Iv, 6;
456
gliuzza", mentre la trave è là nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la
trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza
dall'occhio del tuo fratello» (Mt 7,4-5; Le 6,42). In questa prospetti-
va, san Nilo stigmatizza coloro che «si precipitano alla direzione spi-
rituale di altri e si assumono la cura di guarire gli altri, mentre non
hanno ancora guarito le proprie cattive inclinazioni, e non saprebbe-
ro dunque condurre nessuno a una vittoria che essi stessi non hanno
ancora riportato»74 • Al contrario, osserva san Giovanni Climaco, co-
loro che, colpiti da ogni forma di malattia, si sono impegnati a gua-
rirne, «una volta tornati in salute, divengono medici [. .. ] per tutti,
insegnando i sintomi di ciascuna malattia, poiché la loro esperienza
li rende capaci d'impedire agli altri di cadervi>>75 • Quanto a sant'An-
tonio, egli sottolinea che è dopo aver soggiornato nel deserto ed es-
sere stati guariti, che «gli antichi Padri sono divenuti medici e, dedi-
candosi agli altri, li hanno guariti.>>76• E sant'Ammona, ricordando che
questi Padri «furono medici delle anime e poterono guarire le loro ma-
lattie», constata che essi «non [vennero] inviati [agli uomini] se non
quando tutte le proprie malattie [furono] guarite», e che sarebbe
stato impossibile che Dio li avesse inviati se fossero stati ancora mala-
ti77. Possiamo, così, infine, dire con san Giovanni Climaco che «il me-
dico è colui che ha acquisito la salute [spirituale] dell'anima e del cor-
po e che non ha [più] bisogno di alcun rimedio»78 • Se si pretende di
essere medico spirituale senza rispondere a questa definizione, non
si può che cadere in malattie ancora più gravi79 • Sant'Isacco constata
che molti, pretendendo di curare gli altri, <<hanno dato la morte a se
stessi [... ]. Difatti, essendo la loro anima ancora soggetta alla malattia,
non si prendono cura della propria salute. Essi si sono gettati nel
mare di questo mondo per guarire le anime degli altri, mentre essi stes-
si erano ancora malati. Hanno perduto la loro anima lontani come so-
n-o dalla speranza in Dio. Difatti la malattia dei loro sensi non ha po-
tuto affrontare la fiamma delle cose che esasperano abitualmente la
piaga delle passioni, né resistervi>>80 • Per questo egli consiglia: «Se[ ... ]
uri uomo sente [ .. .] che sta perdendo la propria salute nel guarire gli
n Lettere, IV, 2.
78 Lettera al Pastore, 4.
79 Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 25. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 58.
80 Discorsi ascetici, 2 L
457
altri, [. ..] un tale uomo si ricordi della parola dell'Apostolo che esor-
ta e dice: "Il cibo solido è dei perfetti" (Eb 5,14); torni egli indietro
per non ascoltare il Cristo che gli dice come nell'esempio: "Medico,
cura te stesso" (Le 4,23 ). Condanni se stesso, conservi la sua forza [.. .].
Difatti anch'egli è malato, e più dei malati ha bisogno di essere gua~
rito»81 ; «quando si accorgerà che la sua anima è sana, serva allora gli
altri, e li guarisca con la propria salute»82 •
Il rischio di aggravare le proprie malattie, in cui incorre colui che
vuole guarire gli altri anziché guarire se stesso, significa che egli non è
ancora guarito, in particolare per quanto riguarda la funzione di gui-
da e terapeuta spirituale che tende inevitabilmente a far sorgere e
sviluppare queste due grandi e gravi passioni come la cenodossia83 e
l'orgoglio, essendo quest'ultima, lo abbiamo visto, una frequente cau-
sa di caduta per spirituali molto avanzati.
Colui che non è, egli stesso, in buona salute, rischia, d'altra parte,
di essere contaminato o almeno colpito dalle malattie degli altri. È per
questo che sant'Isacco il Siro ci insegna: «Il nutrimento solido [della
paternità spirituale] è per coloro che sono sani, per quelli che hanno
i sensi esercitati, e che possono mangiare di tutto. Voglio dire che es-
si possono sopportare le aggressioni che subiscono tutti i sensi, e che
il loro cuore non viene deteriorato da tutto ciò che incontrano nell' ec
sercizio della perfezione»84 • E san Simeone il Nuovo Teologo consta-
ta che solo i santi possono rimanere liberi dalle passioni che trattano
e non essere affatto turbati da esse: «Il pensiero dei santi, pur se vie-
ne a chinarsi sul pantano delle passioni e delle vergogne umane, non
ne viene insudiciato, perché la loro intelligenza è libera ed estranea a
ogni cupidigia delle passioni. Se l'intelligenza decide, all'occorrenza,
d'intraprendere l'esame di tali stati, essa lo fa col solo scopo di osser-
vare e comprendere i movimenti disordinati delle passioni e dei loro
effetti, per sapere da dove derivano e quali ne siano, di conseguenza,
i rimedi che li neutralizzano come sentiamo dire che fanno i medici e
come abbiamo sentito dire dagli anziani: essi sezionavano i cadaveri
per comprendere la struttura del corpo, per rendersi conto così del-
1' organizzazione interna dei vivi e tentare in altri la cura di mali na-
scosti. Tale è, insomma, il metodo che pratica anche il medico spiri-
81 Ibid., 56.
82 Ibid.
83 EVAGRIO PONTICO sottolinea questo legame (Antirretico, Cenodossi:i, 9).
84 Discorsi ascetici, 56.
458
tuale, che vuole guarire le passioni dell'anima, con l'aiuto che gli vie-
ne dall'esperienza>>85 .·
· Colui che vuole guarire gli altri, senza essere egli stesso perfetta-
mente guarito, rischia non solo di aggravare le proprie malattie, ma
anche di far contrarre a coloro che vuole curare <<malattie ancora più
gravi>>86 . Difatti non sapendo per esperienza in cosa consista la salute
né, pertanto, qual è la vera natura delle malattie, non è in grado di porc
tarli alla guarigione e può dar loro solo consigli che li fa deviare; es-
sendo sottomesso alle passioni, non può avere la purezza che permet-
te di conoscere i cuori e di fare una diagnosi con conoscenza di cau-
sa, nonché di prescrivere il trattamento adatto al malato. San Gregorio
Nazianzeno fa notare a questo proposito: «Nei trattamenti che prati-
chiamo, un unico e stesso rimedio non è sempre e per tutti molto sa-
lutare o molto rischioso [...]. Questo dipende, mi sembra, dalle cir-
costanze, dagli avvenimenti e da ciò che permette il carattere dei pa-
zienti. Abbracciare tutti questi elementi con grande precisione per
arrivare a far entrare tale medicina in un trattato, è impossibile, quali
che siano le cure e l'intelligenza che vi si apporta: sono gli avvenimenti
e la stessa esperienza che li fanno conoscere alla medicina e al medi-
co»87. Ora, è importante che il medico sia sicuro e la sua esperienza
giusta, perché <<in questo campo, se si propende in un senso o in un
altro per errore o per ignoranza, l'interessato e coloro che egli con-
duce corrono il rischio non indifferente di cadere nel peccato»88 •
•• Cfr. GIOVANNI CUMACO, La Scala, rv, 6; Lettera al Pastore, 9; 49; 57; 97. GREGORIO NA-
ZlANZENO, Discorsi, II, 78. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I,
48;49.
90 Lettera al Pastore, 21.
459
che non sono soggetti alle nausee e i superiori che possiedono l'iin-
passibilicit>>91.
È l'iinpassibilità che permette al padre spirituale di essere illumi-
nato da Dio nella sua funzione, di ricevere la luce dallo Spirito senza
l'aiuto del quale non potrebbe essere un terapeuta efficace e una
guida autentica, ma «un cieco che guida un altro cieco»92 • «Colui
che non ha in sé la luce dello Spirito Santo», spiega san Siineone il
Nuovo Teologo, è come colui che cammina nell'oscurità con una lam-
pada spenta. Egli «non può vedere bene le proprie azioni, né avere
la sicurezza che queste siano conformi al volere di Dio. Quanto a gui-
dare gli altri, o a indicare loro la volontà di Dio, prima di tutto non ne
è capace, non di più di quanto sia degno di ricevere i pensieri di altri
[.. .] fino a quando non possieda, in maniera splendente, la luce [. .. ].
"Chi cammina nelle tenebre non sa dove va" (Gv 12,35). Se dunque
quest'uomo non sa dove va, come mostrerà il cammino agli altri?»93 •
L'illuminazione dello Spirito Santo conferisce al padre spirituale un
potere che è particolarmente necessario per il suo ruolo: quello della
cardiognosia. Questo carisma spirituale gli permette di leggere nei cuo-
ri, di conoscere direttamente e nella sua intimità <<l'uomo interiore»,
e di superare così il piano delle apparenze spesso ingannevoli, fino a
percepire nel suo figlio spirituale ciò che questi ignora, le sue malat-
tie inconsce, le sue tendenze e i suoi «pensieri» segreti. «Colui che è
perfettamente purificato vede l' aniina del suo prossiino, non in se stes-
sa, ma nelle disposizioni in cui essa si trova», nota san Giovanni Cli-
maco94. E san Siineone il Nuovo Teologo osserva: «Colui che vede in
modo spirituale e sente allo stesso modo, quando scorge qualcuno, lo
incontra e l'intrattiene frequentemente, vede la sua aniina, se non quan-
to alla sua essenza, per lo meno quanto al suo stato; vede altresì qua-
li sono le sue qualità e disposizioni. Se dunque egli è stato ritenuto de-
gno di entrare in comunione con lo Spirito Sànto, è nella visione stes-
sa dello Spirito che trova questa conoscenza»95 • Tale conoscenza ca-
rismatica non serve affatto al padre spirituale per giudicare e a fortio-
ri per condannare il suo figlio spirituale (la sua iinpassibilità lo pre-
munisce contro questo); essa gli consente solo di emettere una dia-
gnosi più corretta sul suo stato e per determinare così il trattamento
91 Ibid., 15.
92 Cfr. Mt 15,14. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 50.
93 Catechesi, XXXIII, 3ls. Cfr. GIOVANNI CLIMACO, Lettera al Pastore, 5.
460
che meglio conviene. Il padre spirituale, come afferma sant'Ireneo,
«manifesta i segreti degli uomini esclusivamente per il loro profitto»96 •
Tuttavia, il discernimento non è l'unica qualità che deve avere il pa-
dre spirituale. Se, giunto all'impassibilità, egli possiede tutte le virtù
(essendo questo stato, come vedremo, correlativo a quella qualità), ne
consegue che proprio queste lo caratterizzano più particolarmente nel
suo ruolo.
Occorre citare, in primo luogo, l'umiltà, che è condizione e segno
della paternità spirituale autentica97 • Tale umiltà si traduce particolar-
mente nel sentimento che il padre spirituale ha di essere egli stesso
peccatore, e di esserlo altrettanto quanto colui eh~ cura e guida98, il
che lo porta, di conseguenza, a provare una pena equivalente a quel-
la che quest'ultimo prova. Per questo san Giovanni Crisostomo os-
serva: «Negli interventi sul corpo, colui che taglia sul vivo non sente
il dolore dell'operazione; l'infelice che viene operato è l'unico ad es-
sere lacerato da acuti dolori. Lo stesso non avviene per il trattamen-
to delle anime [. .. ]: colui che parla è il primo a provare pena, quan-
do deve riprendere gli altri»99 •
All'umiltà nel padre spirituale è strettamente legata, lo vediamo, la
compassione che prova riguardo a coloro che egli cura100• Questa è ac-
.compagnata da una totale abnegazione che porta il padre spirituale a
«dimenticare completamente la sua persona a vantaggio di ciò che è uti-
le agli altri»101, a «dare la sua anima per l'anima del prossimo»102• Tale
compassione lo fa sentire responsabile di coloro che si affidano a lui per
essere curati103 , lo conduce a portare il loro fardello 104 secondo il con-
siglio dell'Apostolo (cfr. Gal 6,2) e ad assumere le loro malattie1°5, a so-
miglianza del Cristo che ha assunto su di sé le malattie degli uomini.
% Contro le eresie, V, 6, 1.
'li Cfr. Apoftegmi, Eth. Coli., 13, 6. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XII, 15. CAL-
LISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 14.
98 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, 'Lettera al Pastore, 29. Possiamo constatare, leggendo gli apof-
tegmi, che i Padri introducono frequentemente la risposta che essi dànno a coloro che sono
venuti per consultarli con la formula: «Perdonami...».
99 Omelia: Quanto è pericoloso parlare per piacere... , 1.
100 Cfr. GIOVANNI DI G!iZ.A, 'Lettere, 315. DoROTEO DI G!iZ.A, Istruzioni spirituali, VI, 76. GIO-
461
La compassione è una delle manifestazioni della carità che anima il
vero padre spirituale106• Tale compassione si traduce anche in una di-
sponibilità di ogni momento 107 , in una grande pazienza, in profonda
dolcezza108 e indulgenza. I santi, fa notare san Doroteo di Gaza, <<non
odiano il peccatore, non lo giudicano, non lo sfuggono. Al contrario;
lo compatiscono, lo esortano, lo consolano, lo curano come un memo
bro malato; fanno di tutto per salvarlo» 109 • Del resto, questo atteggia"
mento è la condizione per una terapia efficace, come sottolinea sant'I-
sacco il Siro: «Se tu desideri guarire i malati, sappi che gli uomini col-
piti dalla malattia hanno bisogno più di essere curati che castigati [...].
Il principio della sapienza di Dio sono l'indulgenza e la dolcezza, virtù
proprie di una grande anima che fa sue le malattie degli altri. Sta scrit-
to infatti: "Voi che siete forti, portate le fragilità dei deboli" (cfr. Rm
15,1), e ancora: "Correggete con spirito di mitezza" (Gal 6,1) colui che
ha sbagliato»110 • San Simeone il Nuovo Teologo, pur ricordando le stes-
se virtù, insiste sulle qualità della comprensione e dell'accoglienza che
il vero padre spirituale deve possedere: «Un malato va a trovare il me-
dico spirituale [.. .]. Il medico umano compatisce ed esamina questo
malato; comprende la debolezza del fratello, l'infiammazione del
male, il gonfiore; vede che il malato è in potere della morte [... ]. Quan~
do il medico spirituale vede suo fratello nelle condizioni sopra de~
scritte, non si mette subito a gridare .né si sottrae affatto dicendo: "Ciò
che tu chiedi è cattivo e mortale e io rifiuto di darti questo soccorso",
affinché non avvenga che, sentendo ciò, il malato fugga e vada pres-
so un altro medico senza esperienza di questi mali: ne morirebbe su-
bito. Al contrario, lo intrattiene, lo conforta, si mostra pieno sia di ca~
rità che di semplicità [ .. .]»111 •
Lungi dal selezionare i figli spirituali, il padre spirituale deve ac-
cogliere senza discriminazioni tutti coloro che si rivolgono a lui ed eser-
citare particolare sollecitudine, secondo l'esempio del Cristo, verso i
più malati, cioè verso coloro che hanno più bisogno del medico (cfr.
Mt 9,12) 112 • San Giovanni Climaco consiglia: «Nulla dimostra l'amo-
betica, Isidoro, 1.
111 Trattati etici, VI, 279s.
112 Cfr. IGNAZIO D'ANTIOCHIA, Lettera a Policarpo, Il, L
462
re degli uomini e la bontà verso di noi del nostro Creatore meglio
del fatto di aver lasciatole novantanove pecore per cercare quella che
si era smarrita (cfr. Le 1.5 ,4). Sii dunque attento, venerato padre, ed
esercita tutto il tuo zelo, tutta la carità, tutto il fervore, tutte le cure,
tutte le suppliche davanti a Dio, a favore di colui che è completamente
smarrito e lacerato dentro. Difatti quando le malattie e le ferite sono
gravi, proprio in quel momento, senza alcun dubbio, sono concesse
grandi ricompense» 113 • Il valore del terapeuta e della guida spirituale
si riconoscono, peraltro, dalla capacità di riportare alla salute i più ma-
lati e alla perfezione i meno dotati, come fa notare san Giovanni Cli-
maco114. Questi aggiunge che «il medico saprà che Dio gli ha dato la
saggezza, quando potrà guarire malattie incurabili da molti altri» 115 •
463
Avendo presentato i requisiti che deve avere il padre spirituale, oc-
corre ora mostrare come si esplica la sua azione terapeutica.
Innanzitutto, è per mezzo della parola che il medico spirituale cu-
ra i ~uoi figli, perché come dice l'autore ispirato dei Proverbi: <<La lin-
gua dei saggi guarisce>> (Pro 12,18). Anche gli Apoftegmi ci mostrano,
in effetti, che la maggior parte dei visitatori dei Padri del deserto si ri-
volgono ad essi in questi termini: «Padre, dicci una parola di salvez-
za>>. Essi con questo non chiedono consigli teorici, ma un vero sollie-
vo per le loro anime. E il potere terapeutico della parola dei Padri si
manifesta spesso immediatamente, come appare nelle Vite dei santi e
in parecchi Apoftegmi, ove leggiamo di visitatori che vanno dagli
Anziani in condizioni di tristezza, di abbattimento o d'inquietudine
e ne ritornano pieni di pace e di gioia (cfr. Pro 12,25) 120 • Evagrio, nel
riferire di una visita fatta in compagnia di altri fratelli a san Macario,
ricorda «le parole piene di vita e di guarigione per le [loro] anime che
aveva detto [loro] il grande Abba>> 121 •
Con le sue parole il padre spirituale incoraggia122 suo figlio, «lo esor-
ta, lo consola, lo cura come un membro malato»123 • Se gli dà un inse-
gnamento, questo non ha un carattere astratto e speculativo, ma con-
creto ed efficace. San Giovanni Cassiano sottolinea il potere tera-
peutico124, ma anche profilattico di tale insegnamento: «Come i medici
più esperti non si accontentano generalmente di guarire le malattie
presenti ma, nella loro saggia esperienza, vanno alle malattie future e
le prevengono con prescrizioni e rimedi salutari, così questi autentici
medici delle anime, distruggendo in anticipo, nella conferenza spiri-
tuale, come con un celeste antidoto, le malattie del cuore prima che
queste compaiano; impedendo che esse si sviluppino nello spirito
dei giovani, svelano loro le cause delle passioni che li minacciano e i
rimedi che restituiscono la salute»125 •
Il padre spirituale non cura solo con le parole. Manifestando ver-
so i suoi figli una preoccupazione incessante, prega per loro 126, affin-
ché agisca su di essi la ·grazia terapeutica di Dio. <<Padre, prega per
me»: è la formula con ·cui, molto frequentemente, il figlio spirituale in-
.AJ'Jtonio, 15.
123 DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, VI, 76.
124 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, Lettera al Pastore, 81.
125 Istituzioni cenobitiche, XI, 2.
126 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, Lettera al Pastore, 65.
464
troduce o conclude i suoi discorsi con il suo padre. Del resto ciò è
quanto consiglia san Giovanni di Gaza: «È opportuno sollecitare la
preghiera dei nostri padri. Infatti sta scritto: "Pregate gli uni per gli al-
tri" (Gc 5,16), eanche: "Le persone sane non hanno bisogno del me-
dico; sono i malati invece ad averne bisogno" (Le 5,31) [; ..].Per chie-
dere la preghiera, di' questo: "Abba, sto male, ti supplico, prega per
me perché tu sai che ho bisogno della misericordia di Dio"» 127 • Una
delle ragioni di questa richiesta è che <<la preghiera del giusto» che è
il padre spirituale, «è molto potente» (Gc 5, 16), la sua santità gli
consente di ottenere da Dio ciò che il suo figlio non è ancora degno
di ottenere. Ciò non dispensa quest'ultimo dal pregare egli stesso 128;
egli sa che la sua richiesta sarà più efficace se chiede a Dio di esaudirlo
«per le preghiere del suo padre». In seguito potrà dire come questo
fratello: <<Per le sue preghiere Dio mi ha reso la salute»129 •
Il padre spirituale agisce anche con l'esempio che dà. Conforman-
dosi perfettamente alla volontà di Dio, mostra ai suoi figli attraverso
ogni sua azione e ciascun atteggiamento e i modi d'essere come ci si
deve conformare. Come nota san Giovanni Climaco: «Tutti guardano
a lui come a un'immagine esemplare e considerano le sue parole e le
sue azioni come una regola e una norma>>130. San Paolo stesso men-
ziona il valore di questa esemplarità quando raccomanda: «Ricorda-
tevi dei vostri capi, i quali vi hanno predicato la parola di Dio e, con-
templando l'esito della loro maniera di vivere, imitatene la fede» (Eb
13,7). Anche questo è anche sottolineato dai Padri131 •
Occorre notare che l'esempio che il padre spirituale offre con le sue
parole, le sue azioni e il suo atteggiamento, possiede un'efficacia tale
da trasformare coloro che entrano in contatto con lui. Il vero padre
·spirituale possiede una forza carismatica132 che si manifesta con la sem-
plice presenza133 , e di cui san Giovanni Climaco sottolinea il potere te-
rapeutico134.
Questa forza carismatica che si sprigiona dal padre spirituale è la
manifestazione della grazia divina che abita in lui. Come ricordano
m Lettere, 544.
128 Cfr. Apoftegm~ serie alfabetica, Antonio, 1.6.
129 Apoftegmi, N 509-510.
130 Lettera al Pastore, 27.
m Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Isacco delle Celle, 2; Arm. II 318, (83) B. Si troveranno
delle osservazioni che vanno in questo senso in molti altri Apoftegmi e nelle Vite dei santi.
ni Cfr. GIOVANNI CLIMACO, Lettera al Pastore, 93.
133 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Antonio, 27.
134 Lettera al Pastore, 13. ·
465
spesso i Padri, l'Anziano parla e agisce secondo Dio; le sue parole e le
sue azioni sono ispirate dallo Spirito Santo: Dio parla per mezzo del-
la sua bocca e agisce attraverso di lui135 •
Questa forza carismatica dà al Padre un potere di azione eccezio-
nale per venire in aiuto ai suoi figli in difficoltà nel cammino spiri-
tuale136. È questa che gli consente «di guarire dalle malattie incurabi-
li da molti altri>>137 • Occorre notare che spesso, e per umiltà, è «senza
che essi lo sentano e in segreto» che il padre spirituale «può dare
sollievo a coloro che soffrono»138.
Tuttavia, il padre spirituale non impone questa forza che egli pos-
siede per dono di Dio. La sua azione non si esercita senza che il fi-
glio spirituale, liberamente, la lasci agire in lui. Non solo essa non esclu-
de, ma implica la sua collaborazione. Questo perché l'azione tera-
peutica del padre spirituale si esercita prima di tutto attraverso un
trattamento che egli prescrive a suo figlio, e che questi ha il compito
di applicare, e che sarà tanto più efficace quanto più egli avrà cura di
metterlo in pratica.
Ciò che caratterizza sempre il trattamento prescritto dal padre spi-
rituale, è che esso è perfettamente adattato alla personalità del mala-
to, alla sua situazione particolare, al suo stato e alle sue disposizioni at-
tuali139. Il padre spirituale, osserva san Giovanni Climaco, «deve osser-
vare e adattare i rimedi in modo appropriato» 140 . «Nel trattamento
dei corpi, anche san Gregorio di Nissa lo afferma, lo scopo unico del-
la medicina è quello di guarire il malato. Tuttavia, vi sono diversi generi
di trattamenti corrispondenti alle diverse malattie. Così, essendo le ma-
lattie dell'anima anch'esse molto diverse, il modo di curarle dovrà es-
sere appropriato affinché il rimedio agisca secondo la ragione del ma-
le>>141. H san Giovanni Crisostomo precisa: <<Per la guarigione dell'ani"
ma come per quella del corpo, non è sufficiente applicare il rimedio
appropriato al male, occorre anche applicarlo a tempo opportuno»142;
135 Cfr. Apoftegmi, Am. 200, 5. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 364; 369; 383. SIMEONE IL NUO·
m Ibid.,23.
138 Ibid.,54.
· 139 Cfr. IGNAZIO D'ANTIOCHIA, Lettera a Policarpo, Il, I. Apoftegmi, serie alfabetica, Giu-
seppe di Panefo, 3; Poemen, 22. Ibid., Arm. Il, 114 (40) A. GIOVANNI CLIMACO, Lettera al Pa-
store, 16; 33; 55; 94. GIOVANNI Mosco, Il prato spirituale, 78.
140 Lettera al Pastore, 36.
466
Ecco perché, come consiglia san Gregorio Nazianzeno, «il medico os-
serverà i luoghi, le circostanze, le età, i momenti, e altre cose di que-
sto genere>>143 • Infatti, egli spiega, «nei trattamenti che noi pratichiamo,
un unico e medesimo rimedio non è sempre e per gli stessi molto sa-
lutare o molto azzardato [. .. ]. Al contrario, tale regime è buono per
gli uni ed è loro utile, mentre il regime opposto ha lo stesso effetto su-
gli altri. Ciò dipende, mi sembra, dalle circostanze, dagli avvenimenti e
da ciò che dipende dal carattere dei pazienti. Abbracciare tutti questi
elementi con la maggiore esattezza per far entrare questa medicina in
un trattato, è impossibile, quali che siano le cure e l'intelligenza che vi
si apporta: saranno gli avvenimenti e l'esperienza stessa che li faranno
conoscere alla medicina e al medico>>144 • «Come, osserva ancora, non si
dànno al corpo gli stessi rimedi e gli stessi alimenti, ciascuno infatti ri-
ceve .il trattamento proprio secondo che sia in buona salute o soffra di
una malattia, così anche le anime sono curate secondo principi e me-
todi differenti. La testimonianza dell'efficacia del trattamento è data
dagli stessi pazienti. La parola spinge alcuni, l'esempio regola altri. Il
pungolo è necessario a questi, il morso a quelli. Gli uni sono lenti e dif-
ficilmente si lasciano spingere al bene: occorre invece che la scossa del-
la parola svegli altri>>145 • <<Ad alcuni è utile un elogio, ad altri il biasimo,
se lo si usa a proposito; ma dati in controtempo e in controsenso, tut-
ti e due sono nocivi. Gli uni sono rimessi sul giusto cammino per un in-
coraggiamento, gli altri attraverso una correzione»146• San Giovanni Cli-
maco constata: «Talvolta, ciò che è rimedio per uno è veleno per l'al-
tro; e, qualche volta, ciò che si amministra a una stessa persona le serve
di rimedio se cade al momento opportuno, ma dato in controtempo di-
viene veleno» 147 • A tal proposito dà questo esempio: «Ho visto un
medico inesperto che, nell'umiliare un malato già profondamente ab-
battuto, lo gettò nella disperazione. Ed ho visto un medico esperto ope-
rare un cuore orgoglioso con il coltello dell'umiliazione, e vuotarlo
così da ogni sua infezione»148 • Altrove, egli consiglia: <<Dobbiamo tener
conto dei luoghi, del genere di conversione e delle abitudini>> dei ma-
lati; <<perché essi sono estremamente diversi e vari. Spesso, il più debole
si trova ad essere anche il più umile di cuore: egli deve dunque subire
467
un trattamento più dolce da parte dei medici spirituali. I..:inverso è evi-
dente»149.
Proprio perché egli è illuminato dall'esperienza personale, ma an-
che perché è dotato di discernimento ed è illuminato dallo Spirito San-
to, il medico spirituale è in grado di determinare il rimedio adegua-
to150. Per queste ragioni, non sempre il rimedio corrisponde a quello
che il malato si aspettava.
In un certo numero di casi, «in cui il male è grave>>, «è necessario
un trattamento energico»151 , che il medico spirituale deve applicare
con fermezza contro le reticenze del malato. Ciò è quanto nota per
esempio san CiJ2riano: «Il sacerdote del Signore deve impiegare dei ri-
medi curativi. E un cattivo medico colui che tratta con dolcezza gli
ascessi tumefatti e che lascia proliferare il veleno nelle parti interne del
corpo. La ferita dev'essere aperta e incisa e, dopo l'asportazione dele
le parti incancrenite, deve intervenire una cura energica, anche se il
malato protesta, grida e si lamenta perché non può sopportare il do-
lore; in seguito, ringrazierà il medico quando si sentirà in buona sa-
lute»152. San Giovanni Climaco non esita a consigliare al medico spi-
rituale: «Tormenta il malato per un certo tempo affinché la sua ma-
lattia non divenga cronica o egli ne muoia.>>153 . Quanto a san Simeone
il Nuovo Teologo, nel caso in cui il malato rischiasse di impuntarsi con-
tro un trattamento che sarebbe contrario alla sua attesa, benché real-
mente adatto, e cercasse invece ciò che va contro il suo proprio inte-
resse, egli consiglia il terapeuta di usare uno stratagemma: «Un ma-
lato va a trovare il medico spirituale; inebetito dalla sofferenza, con lo
spirito turbato, piuttosto che una medicina; egli cerca ciò che gli fa
male, cioè ciò che aggrava il male e porta alla morte a breve termine
[... ]. Quando il medico spirituale vede il fratello nello stato descritto,
non grida subito, non si sottrae affatto dicendo dentro di sé: "Ciò che
tu chiedi è cattivo e mortale e io rifiuto di darti l'aiuto necessario" [.. .].
Al contrario, lo trattiene, lo conforta, si mostra altresì pieno di carità
e di semplicità, per assicurarlo che è con i rimedi richiesti che egli lo
curerà esaudendo i suoi desideri. Vi sono dei malati gravemente col-
piti nella loro anima i quali, pur subendo questi duri attacchi, cerca-
no ciò che aggrava la malattia. E il male di ciascuno, forse, è che,
468
laddove la dieta e l'astinenza da ciò che piace sarebbero necessari, si
cerca piuttosto di soddisfarsi con cibi nocivi e d'ingozzarsi in abbon-
danza. È per questo, come ho appena detto, che il medico esperto non
acconsente subito alle richieste del paziente, ma promette di soddi-
sfare tutte le sue esigenze; il malato, persuaso che va bene, persegue
l'oggetto dei suoi desideri, mentre il medico dissimula i medicamenti;
l'uno attende e pazienta tutto gioioso, l'altro, abile, davanti a lui mo-
stra ciò che somiglia del tutto a quello che egli cerca, ma che, in fon-
do, è del tutto diverso per gusto e di un'efficacia insospettata. Appe-
na il malato accetta i rimedi, il solo contatto, contro ogni speranza, già
gli fa effetto; allo stesso tempo il gonfiore diminuisce subito, la ferita
scompare completamente e, ormai non sopporta nemmeno di pensa-
re a ciò che prima infiammava la bramosia. Occorre vedere e ammi-
rare questo miracolo assolutamente inspiegabile, così come è avvenu-
to; senza altri contatti se non quello del soccorso e della vista dei
preparativi medici, [il medico] fa che la salute tomi ai malati, che i gon-
fiori e le ferite si riducano, che il bruciore della sete si spenga; divo-
rati, prima, dal desiderio di nutrimenti malsani e nocivi, i malati, al
contrario, ora desiderano quelli che sono proficui ed ecco che rac-
contano a tutti i miracoli del medico e i procedimenti mirabolanti del-
la sua arte»154 •
469
del figlio spirituale riguardo al suo padre. L'Apostolo ci invita: <<La-
sciatevi persuadere dai vostri capi e siate sottomessi» (Eb 13, 17). L'ob-
bedienza spesso è presentata dai Padri come una via che dà accesso
diretto alla guarigione spirituale e alla salvezza157 , e che conduce si-
curamente agli stadi più avanzati della vita spirituale158 , via che lo stes-
so Cristo ha indicato nel farsi obbediente a suo Padre fino alla morte
di croce (cfr. Fil 2,8) 159• San Giovanni Clim.aco parla di «rimedio del-
l' obbedienza>>160. L'obbedienza al padre spirituale aiuta l'uomo ari-
nunciare in particolare alla propria volontà161 , che è una delle fonti
principali delle sue malattie, essendo il principio dell'orgoglio. Essa lo
aiuta, pertanto, ad acquistare l'umiltà 162, che è, come vedremo, una
delle virtù fondamentali più importanti, la porta principale della gra-
zia divina. Grazie ad essa, egli può giungere rapidamente alla noncu~
ranza spirituale (amerimnia) 163, che è un'assenza totale d'inquietudine
rispetto alle cose del mondo, quindi una forma di distacco da questo
a favore dell'attaccamento a Dio, ma anche uno stato di pace interio-
re che corrisponde all'hesychia nel suo senso più elevato 164.
L'obbedienza, occorre precisarlo, dev'essere totale; essa esclude che
si contraddica165 e anche che si giudichi il padre spirituale in qualsia-
si cosa166. Implica che ci si affidi a lui in tutta1 67 . Ciò significa che ci si
deve sottomettere al suo giudizio e alla sua volontà fin nelle azioni in
apparenza più insignificanti, ma la cui somma costituisce l'esistenza
umana e che sono di grande importanza per la giusta relazione del-
l'uomo con Dio e per il suo progresso spirituale. «Nella misura del
possibile, occorre che il monaco confidi agli anziani il numero di pas-
si che fa e il numero di gocce d'acqua che beve nella sua cella, per
1)7 Cfr. DoROTEO DI GAZA, Lettere, II, 187. CALllSTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 14; 15.
158 CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 15.
159 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 62. CAillSTO e
165 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 55; Catechesi,
VANNI CLIMACO, La Scala, IV, 8. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e
pratici, I, 24; 25. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 14.
167 Cfr. Apoftegmi, 109014. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, V, 68; Lettere, II, 187.
470
sapere se in ciò non s'inganni>>, arriva a dire sant'Antonio l'Eremita168 •
A fortiori, il figlio spirituale deve confidare al suo padre ogni suo pen-
siero, non deve nascondergli nulla della su-a vita interiore, ma rimet-
terla nelle sue mani169 , poiché la manifestazione dei pensieri nell'am-
bito della terapia e della direzione spirituale, lo vedremo, riveste un'im-
portanza fondamentale. Qui ci basterà citare la seguente osservazione
di san Giovanni Climaco: «Il medico non può guarire il paziente se
questi non è venuto, prima di tutto, a consultarlo e non gli ha mostrato
le ferite con totale fiducia>> 170 •
Come indicato da questa osservazione, l'obbedienza al padre spiri-
tuale non è sottomissione a un'autorità che si.impone. Essa è piutto-
sto fondata sulla fede 171 , sulla fiducia 172 e soprattutto sull'amore173 • Il
rispetto totale della libertà dei figli spirituali, del resto, costituisce una
qualità dei veri padri, i quali propongono più che imporre, raccoman-
dano più che comandare, applicando il consiglio dell'apostolo Pietro:
«Pascete il gregge di Dio che vi è stato affidato, sorvegliandolo non
per costrizione, ma di cuore secondo Dio; [.. .] non come se foste voi
i padroni nella porzione degli eletti, ma facendovi modelli del gregge>>
(lPt 5,2), e progressivamente sapendo scomparire davanti ai loro figli
man mano che essi s'incamminano per arrivare alla statura di uomo .
adulto in Cristo, applicando nei riguardi di ciascuno l'esempio di
san Giovanni Battista: «Egli deve crescere, io invece diminuire» (Gv
3,30).
168 Apoftegmi, serie alfabetica, Antonio, 38. Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Inni, IV, 25s.
169 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, wc. cit. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 15.
170 Lettera al Pastore, 39.
171 Cfr. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 15.
172 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 180. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, IV, 7.
m Cfr. GIOVANNI CLIMACO, Lettera al Pastore, 19. Si troveranno numerosi altri riferimenti
e citazioni in I. HAUSHERR, Direction spirituelle en Orient autrefois, Roma 1955, pp. 201s.
471
IV
Nel quadro della relazione tra figlio e padre spirituale, nonché del-
la terapia spirituale alla quale essa dà luogo, la manifestazione dei pen-
sieri (exag6reusis ton logismon) gioca un ruolo fondamentale.
Questa pratica si presta ad essere accostata alla confessione. Essa se
ne distingue, però, notevolmente. Mentre la confessione è un sacra-
mento, la manifestazione dei pensieri non lo è. Essa, dunque, non vie-
ne rivolta necessariamente a un sacerdote, ma a un padre spirituale
che può essere un sacerdote, ma anche un semplice monaco, di cui so-
lo le qualifiche spirituali autorizzano la funzione. E se spesso è la stes-
sa persona, che si ha per padre spirituale ed è anche sacerdote, alla
quale si manifestano i propri pensieri e ci si confessa, talvolta è a due
diverse persone che si ricorre per queste due pratiche ben distinte.
Mentre la confessione consiste nel confessare i propri peccati a Dio in
presenza di un sacerdote - il quale, come dice il formulario ortodos-
so della confessione, non è che un testimone - e nel riceverne l'asso-
luzione, la manifestazione dei pensieri consiste nel raccontare al padre
spirituale i pensieri, che non sono necessariamente peccati, per con-
sentirgli di conoscere il proprio stato interiore al fine di ricevere con-
sigli appropriati per progredire nella via spirituale della guarigione e
della salvezza.
Il fatto che si tratti cli manifestare dei «pensieri>> potrebbe, per un
verso, suggerire di fare un accostamento almeno parziale di questa pra-
tica alla pratica psicanalitica. Occorre, però, sottolineare ancora una
volta, una differenza fondamentale: non si tratta per colui che mani-
festa i propri pensieri di rievocare il suo passato. I Padri proibiscono
in modo assoluto anche il ricordo dettagliato del passato a motivo dei
molti inconvenienti, ossia dei pericoli che esso rappresenta. San Mar-
co l'Eremita, per esempio, scrive: «Arreca danno[. .. ] ricordarsi in par-
ticolare dei peccati passati, perché se essi generano tristezza, allonta-
nano dalla speranza; se, al contrario, la loro rappresentazione lascia
472
senza dolore, riportano all'antica sozzura»1• E aggiunge: «Quando lo
spirito, grazie al rinnegamento di sé, si attacca unicamente alla spe-
ranza, allora il nemico, sotto il pretesto della confessione, gli pone da-
vanti agli occhi un'immagine dei peccati passati, per riaccendere le
passioni dimenticate per grazia di Dio e per fargli del male subdola-
mente. Infatti, anche se lo spirito è in quel momento luminoso e pie-
no di avversione per le passioni, diverrà necessariamente tenebroso,
una volta di nuovo implicato nelle azioni passate. Se la sua anima è
turbata e amica del piacere, non mancherà di soffermarsi con com-
piacenza nelle suggestioni, in modo che simile reminiscenza sarà di fat-
to una predisposizione al peccato piuttosto che una confessione»2 •
I pensieri da manifestare al padre spirituale devono essere, dunque,
i pensieri attuali. Non importa quali, ma quelli che si ripetono o che
hanno una certa sussistenza nell'anima. San Giovanni di Gaza consi-
glia a uno dei suoi corrispondenti: «Non bisogna interrogarsi per tut-
ti i pensieri che nascono nel cuore, perché ve ne sono di passeggeri.
Ma occorre interrogarsi circa i pensieri che dimorano nell'uomo e gli
fanno guerra»3 • «Se un pensiero persiste e ti fa guerra, dillo al tuo
padre», raccomanda anche san Barsanufio4 • Sono questi, infatti, i pen-
sieri che potranno dare al padre spirituale alcune indicazioni signifi-
cative sullo stato, sulle tensioni, sugli impulsi, sulle disposizioni e
sulle tendenze interiori del figlio spirituale, tutte suggestioni alle qua-
li è sottomesso, sia per sua cupidigia5 , sia per l'azione diretta dei de-
moni. I pensieri di questa natura sono ugualmente rivelatori dei pun-
ti deboli dell'anima, delle sue zone fragili che i demoni prendono
più volentieri come punto d'attacco, delle regioni convalescenti dove
esiste un rischio di ricaduta, o più abitualmente delle sue parti anco-
ra malate.
In senso più ampio, tuttavia, I' exag6reusis (il termine greco è più
ampio dell'espressione <<manifestazione dei pensieri», che è la sua tra-
duzione abituale) consiste nel rendere conto di ogni pensiero inquie-
tante, di ogni stato inusitato, di ogni dubbio, di tutto ciò che può con-
turbare o preoccupare. Per mezzo di tale manifestazione possiamo far
conoscere certi dettagli del nostro modo di esistenza per assicurarci
del loro valore, tenendo presente il loro influsso sulla vita spirituale.
473
Le modalità pratiche della manifestazione dei pensieri sono varie.
Alcuni raccomandano di praticarla a1meno ogni giorno. San Simeo-
ne il Nuovo Teologo consiglia di ricorrervi ogni ora6 • Essa si può an-
che fare più frequentemente, e persino un numero indefinito di volte
nel corso di una stessa giornata, come ce lo dimostra lesempio di quel
discepolo che va undici volte di seguito a trovare il suo Abba senza
che questi gliene faccia il minimo rimprovera7. La frequenza può an-
che essere minore e deve dipendere solo dai pensieri stessi e dalle pos-
sibilità materiali di entrare in contatto con il padre spirituale. In al-
cuni monasteri, sono :fissate delle ore per questa pratica. Se manca la
possibilità di contattare subito il padre spirituale, si raccomanda di an-
notare per iscritto i pensieri man mano che si manifestano8 , preci-
sando il momento e le circostanze della loro comparsa, al fine di po-
ter relazionare in seguito con tutta la precisione richiesta.
Questa pratica suppone evidentemente un'attenzione e una vigi-
lanza di ogni istante circa gli stati e i movimenti della propria anima,
Ciò che importa, innanzitutto, è applicare la regola di non-omis"'
sione: non nascondere nulla, sforzarsi di non dimenticare nulla, di non
eludere, deformare o mascherare, ma parlare in tutta libertà, senza al-
crma vergogna o timore. «Come a Dio, manifesta [al tuo padre spiri-
tuale] i tuoi pensieri [... ] senza nascondere nulla», consiglia san Si-
meone il Nuovo Teologo9 • «Non bisogna tacere alcrme cose e dirne al-
tre, ma rivelare tutto e su tutto chiedere consiglio», raccomanda san
Doroteo di Gaza 10 • «Se tu interroghi un Anziano su rm pensiero, ma~
nifestagli il pensiero con libertà», consiglia Abba Isaia11 • «La libertà ri-.
guardo ai pensieri, precisa san Giovanni di Gaza, sta, per colui che in-:
terroga, nello svelare completamente il pensiero a colui che egli inter~
roga, nel non nasconderglielo in nulla, nel non alterarlo in alcrm modo,
per vergogna, nel non attribuirlo a un altro, ma a se stesso, come è be-
ne che sia. Questo danneggia piuttosto che mascherarlo» 12 • San Gio~
vanni Cassiano insegna: «Non abbiamo mai troppo scrupolo nel ri-
ferire agli Anziani i pensieri che nascono nel nostro cuore, malgrado
il velo con cui la falsa vergogna vorrebbe coprirli>>13 •
474
..·Infatti, quando si tratta di manifestare i propri pensieri, occorre vin-
cere numerose resistenze interiori dovute in particolare ali' orgoglio 14
e alla cenodossia 15 e, sulla base di queste due passioni, al timore di es-
sere giudicati o vedersi rivolgere dei rimproveri16 • Occorre vincere an-
che le suggestioni dei demoni che si ostinano ad impedire questa pra-
tica17 che essi temono particolarmente, poiché essa ha come effetto
quello di sventare le loro macchinazioni18 • In genere, è nel tentare di
far credere alla sua inutilità che essi vi si oppongono, come ben di-
. mostra questa testimonianza di un fratello, che, d'altra parte, ha il me-
rito di sottolineare quanto l'astensione da questa pratica ostacoli la
guarigione dell'uomo: «Avevo nell'anima una passione che mi domi-
nava. Avendo sentito dire che Abba Zenone ne aveva guariti molti, co-
sì volli andare a trovarlo e aprirmi a lui [ ... ]. Spesso [. .. ] partivo per
andare dall'Anziano per dirgli tutto, ma il nemico non mi lasciava par-
lare mettendo nel mio cuore la vergogna e insinuandomi: "Poiché tu
sai come guarire da te, perché parlarne? Tu non ti trascuri, in realtà,
tu sai ciò che i Padri hanno detto". Ecco cosa mi suggeriva l'avversa-
rio affinché io non manifestassi la mia malattia al medico e non fossi
guarito [. .. ].Alla fine, afflitto e in lacrime, dissi alla mia anima: "Fi-
no a quando, anima infelice, persisterai nel non voler essere guarita?
Le persone che vivono lontano vanno dall'Anziano e sono guarite e
tu, tu che abiti così vicino al medico, hai vergogna di farti curare?"»19 •
La manifestazione dei pensieri non solo è utile, ma anche necessa-
ria al progresso spirituale. San Basilio insegna: «Ciascuno [. .. ] (se al-
meno vuole realizzare progressi apprezzabili e vivere secondo i pre-
cetti di Nostro Signore Gesù Cristo) deve evitare di tenere nascosto
nel tribunale della sua coscienza movimento alcuno. Al contrario,
occorre scoprire i segreti del cuore a coloro che hanno ricevuto la mis-
sione di curare i malati con affetto e comprensione»20 • Un Padre giun-
ge persinç> ad affermare: «Non vi è altra via sicura di salvezza, se non
quella che ognuno confessi i propri pensieri a quei Padri che sono do-
tati di discernimento»21 • San Teodoro Studita afferma la stessa cosa
quando scrive: «Che tutti sappiano che, per la salvezza (ivi compresa
475
la perfezione), non vi è alcun mezzo comparabile alla manifestazione
dei pensieri, né così rapida»22 •
È opportuno sottolineare in modo particolare il valore terapeuti-
co e profilattico di questa pratica, che nell'ambito della medicina
spirituale riveste un'importanza di primo piano.
La manifestazione dei pensieri consente di ricevere dal padre spi-
rituale indicazioni sul significato e sul valore spirituali di ciò che gli
riveliamo; consente, inoltre, di ricevere consigli sull'atteggiamento che
bisogna adottare. Impassibile e dotato di discernimento, il padre spi-
rituale autentico è capace di dare su ciò di cui gli parliamo un giudic
zio obiettivo; illuminato dallo Spirito, è in grado di dare consigli op-
portuni. Per esempio, egli può dire qual è la natura di tale pensiero,
cosa esso nasconde, quali conseguenze può avere, se è senza peso, op-
pure cattivo, e in che modo perciò bisogna affrontarlo e lottare con-
tro di esso. Tale idea, tale ispirazione, che porta a intraprendere una
certa azione, viene dai demoni o dobbiamo vedere un'ispirazione an-
gelica e allora dobbiamo darle seguito? Tale rappresentazione, apparsa
più volte, il tale desiderio nato nel cuore in una certa circostanza, o
tale movimento dell'anima, soho essi innocenti, conformi alla volontà
divina, o senza importanza, o addirittura cattivi?23 • Consultando il pro-
prio padre spirituale, si otterrà una risposta sicura a questi interro-
gativi, risposta che consentirà di sfuggire agli inconvenienti del dub-
bio, agli errori e alle illusioni del proprio giudizio, alle trappole della
propria volontà, la quale conduce l'individuo a comportarsi secon-
do le proprie norme e secondo i propri desideri anziché conformarsi
alla volontà divina. Del resto, è insistendo sui rischi che si corrono nel
seguire il proprio giudizio e la propria volontà che i Padri racco'
mandano la pratica della manifestazione dei pensieri. Sant' Antonio
l'Eremita scrive a questo proposito: «Ho conosciuto dei monaci che,
dopo grandi fatiche, sono caduti e giunti alla follia per aver contato
sulle loro opere e per aver eluso con falsi ragionamenti il comanda-
mento di colui che ha detto: Interroga tuo padre ed egli ti insegnerà>>24•
San Pacomio riferisce che, per non aver rivelato il loro stato interiore
a un padre spirituale, <qnolti si sono uccisi, uno gettandosi dall'alto cli
una roccia in un accesso di follia, un altro aprendosi il ventre con un
476
coltello, altri in altri modi. Difatti, manca gravemente chi non rivela
subito il proprio male a colui che ha la conoscenza»25 • Tali errori so-
no attribuibili molto spesso all'azione dei demoni, alla quale l'uomo
dà facile accesso per l'attaccamento alla propria volontà. «Se un uo-
mo non confida tutto ciò che ha dentro di sé, [. .. ] il diavolo scoprirà
in lui una volontà propria che gli permetterà di sconvolgerlo», avver-
te san Doroteo di Gaza26• Egli osserva, inoltre, che colui «che si affi-
da totalmente al proprio pensiero», <<il nemico lo sconvolge a suo pia-
cimento»27. La manifestazione dei pensieri attraverso cui l'uomo si ri-
mette al giudizio e alla volontà del suo padre spirituale, appare perciò
come una profilassi efficace di tutti i turbamenti che può generare
in questo contesto l'azione demoniaca. «Questa disciplina, scrive
san Giovanni Cassiano, non insegnerà solo [. ..] a camminare bene sul
sentiero del vero discernimento; [vi] si guadagnerà anche una reale
. immunità riguardo a tutte le astuzie e alle insidie del nemico. È im-
possibile cadere nell'illusione se si fa, non già del proprio giudizio, ma
degli esempi degli Anziani la regola della propria vita; e tutta l' astu-
zia del demonio non prevarrà contro l'ignoranza di un uomo che è,
peraltro, incapace di nascondere per falsa vergogna i pensieri che na-
scono nel suo cuore e si affida al maturo apprezzamento degli Anzia-
ni, per sapere se egli deve ammetterli o respingerli»28. A questo pro-
posito così consiglia san Doroteo di Gaza: «Che l'anima si ponga al
sicuro manifestando tutto e lasciandosi dire da qualcuno competen-
te: "Fa' questo, non fare quello; tale cosa è buona, talaltra è cattiva;
questo è secondo giustizia, quello è volontà propria", e ancora: "Non
è il momento di fare ciò"; un'altra volta: "Ora è il tempo": allora il
diavolo non troverà più con quale pretesto nuocere all'anima né co-
me farla cadere, poiché essa è costantemente guidata e protetta da
ogni parte»29 .
Gli stessi pensieri nascosti fungono, d'altronde, da appoggio all' a-
zione dei demoni, e la maggior parte di questi pensieri sono stati
suggeriti da loro a tale scopo. Così il patriarca Antonio Studita fa no-
tare che nulla dà tanto potere ai demoni e alle suggestioni nemiche
quanto il fatto di trattenerli nel cuore30 , e Abba Poemen, riferendo
477
di un insegnamento di Abba Giovanni Colobos, afferma che, conse-
guentemente, <<il nemico non gioisce d'altro quanto di coloro che non
manifestano i loro pensieri»31 . Anche san Teodoro Studita afferma:
«Voi sapete quanto sono numerose le insidie e le astuzie del diavolo.
Nulla vi sfuggirà se non manifestando i propri pensieri>>~2 •
La manifestazione dei pensieri permette in particolare di evitare i.
peccati che sono generati dai pensieri nascosti. <<Da dove vengono tra
voi[...] le azioni irrazionali [.. .]?Non è perché voi non manifestate,
ma nascondete i vostri cattivi pensieri?», si chiede san Teodoro Stu-
dita33, che aggiunge: «I.: inizio e la radice delle colpe che commettiamo
stanno nel cattivo pensiero»34 . La manifestazione dei pensieri permette
anche d'impedire il rafforzamento delle passioni esistenti o l'affer-
mazione di nuove passìoni prodotte dal libero corso lasciato alla loro
ripetizione.
Tale manifestazione permette, infine, di evitare che sussistano nel-
1'anima pensieri che la rodono e la distruggono, e che in ogni caso ab-
biano sulla vita interiore diversi effetti patologici proprio perché quec
sti resterebbero nascosti. I pensieri non manifestati continuano, infat-
ti, a vivere nell'anima, spesso sordamente e impercettibilmente, si
ancorano ad essa, vi si sviluppano, e l' awelenano a poco a poco. Essi
finiscono per porla in uno stato di prigionia dal quale sarà tanto più
difficile per il soggetto uscirne fuori quanto più tempo sarà rimasto
senza reagire e quanto più egli avrà tardato a manifestarli. Per que-
sto motivo, san Giovanni Cassiano parla della <<tirannia dei pensieri
nascosti>>35 • Un Anziano riassume così tutto questo: «Se tu sei assilla-
to da pensieri impuri, non nasconderli, ma dilli subito al tuo padre spi-
rituale [. ..] . Difatti nella misura in cui si nascondono i propri pensie-
ri, essi si moltiplicano e acquistano forza [... ]. E come un verme in un
legno, così il cattivo pensiero corrode il cuore»36 . San Teodoro Studi-
ta consiglia allo stesso modo: «Vi esorto a far conoscere, secondo la
parola della Scrittura (dr. lCor 14,26) i segreti del cuore. Difatti, è llri-
possibile che una pianta che ha un verme non muoia lentamente ro-
sa da esso; né che un'anima che trattiene in sé una serpe, voglio dire
qualcosa di non manifestato, non impudritisca, non si riempia di
;.i Ibid.
35 Conferenze, II, IL
36 Apoftegmi, N. 592150
478
venni, e non finisca per corrompersi completamente. Vi supplico, dun-
que, respingete, ognuno di voi, il roditore nascosto in voi»37 •
I Padri insistono su questo: colui che non manifesta i suoi pensieri
si ammala, o mantiene o aggrava le sue malattie. «Colui che nasconde
[i suoi cattivi pensieri al suo padre spirituale] si smarrisce subito in de-
serti senza vie d'uscita>>, osserva san Giovanni Climaca38 • La non ma-
nifestazione dei pensieri sviluppa malattie in rapporto diretto con que-
sti; sembra, inoltre, necessariamente legata all'orgoglio che essa raffor-
za; come osserva un Padre: «Colui che nasconde i suoi 12ensieri si
ammala d'orgoglio»39• Ecco perché san Pacomio insegna: <<E un gran-
de errore non dichiarare subito il proprio male a colui che ne ha la
scienza prima che la malattia divenga cronica>>40•
La manifestazione dei pensieri è, dunque, l'unico mezzo con il qua-
le l'uomo può proteggersi contro le malattie che lo minacciano e an-
che guarire dalle malattie che ha già contratto. «Colui che si astiene
dal dire i propri pensieri rimane senza rimedio», osserva san Gio-
vanni di Gaza41 • San Giovanni Cassiano dice la stessa cosa quando af-
fenna: «Quando soffochiamo i nostri cattivi pensieri e ci vergogniamo
di farli conoscere agli Anziani, ci priviamo della possibilità di ottene-
re il rimedio»42 • Al contrario, «colui che non teme di rivelare i suoi
pensieri ai P~dri li scaccia lontano da sé», insegna sant'Ammona43 • S~
Giovanni Climaco fa notare: <<Manifestando le nostre piaghe[ .. .], non
si aggraveranno ma, al contrario, guariranno»44 • Infatti, così come un
serpente che esce dalla tana fugge subito correndo, così il cattivo pen-
siero, appena manifestato, si dissipa[ ... ]. Chi manifesta i propri pen-
sieri guarisce rapidamente», dice un altro Padre45 • E il Typik6n del mo-
nastero di santa Maria Evergetis a Costantinopoli dichiara: «Ora è il
tempo della manifestazione dei pensieri e della medicazione delle ma-
lattie della vostra anima [. .. ]. Dichiarate chiaramente [le vostre ma-
lattie] affinché[. ..] arriviate alla piena salute dell'anima>>46 •
La guarigione è in parte dovuta al fatto stesso della manifestazio-
479
ne. Colui che ha appena manifestato i suoi pensieri si sente liberato
dall'oppressione, dall'oscurità che essi provocavano in lui, è solleva-
to dall'inquietudine, dal timore, dalle tribolazioni interiori, persino
dall'angoscia e dalla disperazione che è loro legata, prova un senti-_
mento di consolazione e di pace, si sente leggero e gioioso47 • «Cosa vi
è di più luminoso di un'anima sempre dedita a questo esercizio? Lo
sanno coloro che l'hanno sperimentato: quale speranza, quale sicu-
rezza, quale libertà essi acquistano! E, ancora, quale assenza di ti-
more [. .. ], sollievo dalle lotte, tranquillità dei pensieri e, infine, qua-
le purezza d'anima!», afferma il patriarca Antonio Studita48 • I Padri
insistono in particolare sullo stato di sicurezza spirituale (amerimnfa)
procurata dalla pratica abituale dell' exag6reusis. Ricordando l'epoca
in cui aveva come padre spirituale san Giovanni di Gaza, san Doro-
teo scrive: «Non avevo nessuna tribolazione, alcuna preoccupazio-
ne. Se mi capitava di aver un pensiero, prendevo la mia tavoletta e
scrivevo ali'Anziano [. ..] e non avevo finito di scrivere che sentivo sol-
lievo e profitto. Tali erano la mia mancanza di preoccupazioni (ame-
rimnia) e la mia pace (andpausis)»49 • «Confidavo tutto all'Anziano, Ab-
ba Giovanni, egli riferisce, e mai mi permettevo di far qualcosa senza
il suo consenso [...]. Mai mi permettevo di seguire il mio pensiero sen-
za prendere consiglio. E credetemi, fratelli, ero in grande pace, in gran-
de sicurezza>>5°.
Questi effetti, in qualche modo immediati, della manifestazione dei
pensieri, non devono farci dimenticare che gran parte della -sua effi-
cacia terapeutica è dovuta ai consigli del padre spirituale che tale pra-
tica suscita. Grazie alle indicazioni fornite dal figlio spirituale, il padre
è in grado di conoscere esattamente lo stato interiore di questi, di fa-
re una diagnosi precisa e decidere il trattamento adeguato. Senza que-
sto, l'uomo non avrebbe mai l'opportunità di guarire. «Ciò che pos-
siamo vedere nelle malattie del corpo», scrive il patriarca Antonio Stu-
dita, «si verifica anche nei mali dell'anima: il medico dà i suoi rimedi
e applica la sua cura nel posto che ha ben diagnosticato e vede con i
suoi occhi. Ma colui che pensa a modo suo e agisce secondo le pro-
prie idee, senza far conoscere la malattia della sua anima ai padri spi-
rituali attraverso la manifestazione dei pensieri, si attira il penoso ver-
480
detto: "Guai a quelli che sono saggi ai loro sguardi, e intelligenti da-
vanti a loro stessi!" (Is5 ,21)»51 •
In particolare, grazie a una manifestazione frequente e continua dei
pensieri, il padre spirituale potrà praticare il trattamento spesso lun-
go che porterà alla guarigione di tutte le malattie dell'anima, perché
conoscerà allora precisamente e globalmente lo stato, le tendenze e i'e-
voluzione del malato. È in questo senso che san Giovanni Cassiano
scrive ricordando molte passioni: «Più sovente sono manifestati que-
sti disturbi, più velocemente si giunge a guarirne»52 •
Così ricorriamo al padre spirituale, al quale manifestiamo i nostri
pensieri come verso un medico53 • San Basilio raccomanda di scoprire
i segreti del cuore «a coloro che hanno ricevuto la missione di curare
i malati>>54 • San Giovanni Climaco consiglia: «Scopri, metti a nudo la
tua piaga davanti al medico e digli senza vergogna: "Ecco la mia feri-
ta, padre, ecco la mia piaga"»55 , e san Barsanufio: «Di' al tuo padre il
·pensiero che in te si attarda e che ti fa guerra ed egli ti guarirà>>56• «Ma-
nifestiamo ai nostri Anziani tutti i segreti della nostra anima, e andia-
mo con fiducia a cercare da loro il rimedio alle nostre ferite>>, racco-
manda san Giovanni Cassiano57 • Questa concezione medica del padre
spirituale si traduce nelle formule di un buon numero di Typikd 58 • Il
Typik6n del monastero del Precursore presso Serres, in Macedonia,
esige «che vi siano dei padri spirituali nel monastero perché a colui
che ciascuno avrà scelto, egli scopra le sue ferite conformemente alla
tradizione dei santi canoni, per ricevere a seconda della ferita l'aiuto
adatto da parte dei medici spirituali. Le ferite, sono i pensieri [. .. ]. È,
dunque, molto utile avere il medico presso di s6>59 • La Typikè Didtaxis
del monastero della Santissima Madre di Dio di Machaera, al capito-
lo 11 dedicato alla manifestazione dei pensieri, dichiara che «colui che
esercita questo ruolo [. .. ] deve porre la cura più attenta ad ascoltare
coloro che vogliono confessarsi e ispirare a ciascuno il rimedio ap-
propriato»; se i pensieri che sono «facili da sopprimere e non causa-
nastero.
59 Le Typikon du monastére du Prodrome, cap. 13, in Byzantion, 12, 1937, p. 50.
481
no turbamento persistente» potranno essere ascoltati da fratelli qua~
lificati che egli avrà delegato a questo compito, «dovranno essergli
riferiti i pensieri che richiedono un trattamento medico più attento»
ed egli «applicherà il trattamento adeguato»60 •
482
ne aveva tratto profitto gli disse: "E come hai supplicato l'Anziano?".
L'altro rispose: "Prega per me perché ho questo pensiero". "Ed io,
soggiunse l'altro, nel fargli la mia confessione, ho bagnato i suoi piedi
con le lacrime, supplicandolo di pregare per me; e, per le sue preghiere,
Dio mi ha ridato la salute"»64 •
Perché la manifestazione dei pensieri costituisca una terapia effica-
ce, è indispensabile che colui che va a consultarsi abbia una totale fi-
ducia in colui al quale si rivolge. «Verso colui nel quale il tuo cuore
non ha completa fiducia, non affidargli la tua coscienza>>, raccoman-
da Abba Poemen65 • Egli deve dunque in partenza scegliere con mol-
ta cura, ma dopo è indispensabile che applichi scrupolosamente i trat-
tamenti che gli proporrà. È per questo che un Padre consiglia: «Co-
me si fa quando si tratta di medici del corpo, occorre innanzitutto
sperimentare la capacità di colui che s'incontra e solo in seguito sve-
largli i traumi della propria anima; non contraddire i suoi metodi te-
rapeutici, ma accoglierli con riconoscenza, anche se in primo momento
fanno soffrire»66 • E proprio la fiducia che, oltre a favorire la confes-
sione dei pensieri dando la certezza che non si sarà giudicati né con-
dannati da colui che ascolta, permette di applicare il trattamento che
egli raccomanda, senza esitare e senza che si manifesti il dubbio quan-
to al suo valore, quali che siano le apparenze.
È altresì importante che la manifestazione dei pensieri sia sempre
fatta al medesimo padre spirituale e che si rimanga fedeli a questi67 • I
Padri mettono in guardia contro ogni desiderio di cambiamento, per-
ché questo testimonia una reticenza nociva, corrisponde pressoché
sempre a una suggestione demoniaca68 e rischia di condurre all'ag-
gravamento dei mali69• Manifestare i propri pensieri sempre allo stes-
so padre permette di assicurare la continuità richiesta dal trattamen-
to. Il padre spirituale, in questo modo, può beri conoscere colui che
gli apre il suo cuore, conoscere quali sono i suoi punti forti e quelli de-
boli, le sue difficoltà, le tendenze profonde, il suo tipo di evoluzione,
ecc., fare così una diagnosi e stabilire una terapia basata sulla cono-
scenza globale della sua personalità.
64 Ibid., N 509-510.
65 Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 80.
66 P. EVERGETINOS, Synagogé, Constantinople 1861, p. 68, col. 1.
67 Cfr. SIMEONE STIJDITA, citato da I. HAUSHERR, Introduzione alla Vie de Syméon le Nouveau
483
La manifestazione dei pensieri non è fine a se stessa. La sua effica-
cia terapeutica non sta solo, ripetiamolo, sul procedimento conside-
rato in se stesso, e non bisogna aspettarsi effetti immediati. La mani-
festazione dei pensieri non potrà da sola guarire l'uomo. Solo mani-
festati, i pensieri non perderebbero tutto il loro potere patogeno. I
pensieri che molte volte sono rinati rischiano di ripresentarsi di nuo-
vo. Ciò che importa, dunque, molto spesso, è il loro destino. Manife-
stare i propri pensieri consente soprattutto d'interrogare il padre
spirituale (i testi ascetici spesso mostrano l'equivalenza di queste due
espressioni) per conoscere la loro precisa natura e, soprattutto, per ot-
tenere consigli sul modo di combatterli. Fatto questo, non rimane che
iniziare il combattimento.
484
V
1. La lotta interiore
485
il pensiero e l'azione, utilizzano i pensieri passionali>>, fa notare san
Massimo 10 , il quale poi spiega: «Dalle passioni nascoste nell'anima i
demoni ricevono i mezzi per suscitare in noi i pensieri passionali. Poi,
attraverso questi pensieri, essi assalgono lo spirito e con grande forza
lo spingono a un atteggiamento di sottomissione al peccato. Una vol-
ta dominato, essi lo conducono al peccato nei pensieri, poi, compiu-
to questo peccato, lo precipitano [. ..]verso il peccato di azione»11 • Or
dunque, «se non si pecca prima nei pensieri, non si peccherà mai
con le azioni»12 •
Di conseguenza, occorre applicarsi al controllo dei pensieri se si
vuole porre fine ai peccati esterni e interni, ma anche se si vuole libe-
rare l'anima dalle passioni. Sarebbe vano combattere le passioni solo
nelle loro manifestazioni esteriori, perché queste affondano le radici
nei pensieri, e se questi ultimi sussistono nell'anima, altre azioni ne
procederanno di nuovo, inevitabilmente. Ecco perché il Siracide scri-
ve: «Chi porrà i flagelli nella mia mente ed insegnerà la sapienza al mio
cuore, perché siano severi con i miei errori ed io non tolleri i loro sba·
gli? Così non si moltiplicheranno i miei errori e non si accresceranno
i miei peccati; non cadrò dinanzi ai miei oppressori e non si rallegrerà
il mio nemico» (Sir 23,2-3).
Sarebbe vano, d'altronde, credere - con il pretesto che le passioni
· ci legano alle realtà sensibili e si applicano agli oggetti, o che esse so~.
no attivate dalla loro vista-, che basti allontanare gli oggetti o allon-
tanarsi da essi per annientare le passioni. Infatti, non sono gli oggetti
in sé che sono cattivi.: «Nulla è cattivo tra le creature di Dio», ricor-
da san Massimo". Ciò che è cattivo è il cattivo uso che facciamo degli
oggetti a motivo delle cattive rappresentazioni che noi abbiamo di es-
si: «Il male è nel falso giudizio fatto sulle rappresentazioni e seguito
dal cattivo uso delle cose», <<il cattivo uso degli oggetti è conseguen-
za del cattivo uso delle rappresentazioni», «è quindi dallo spirito che
dipende il buono o il cattivo uso degli oggetti», osserva ancora san
Massimo 14 • Non è dunque agli oggetti che bisogna applicarsi, ma alle
loro rappresentazioni che sono in noi, le quali peraltro sono rese
presenti dalla memoria e dall'immaginazione anche quando gli ogget-
ti che corrispondono loro sono assenti. È così che <<i demoni attacca-
486
no [. ..] attraverso le rappresentazioni coloro che si sono separati da-
gli oggetti»15 , e «attraverso i pensieri ci fanno una guerra ben più du-
ra che per mezzo degli oggetti stessi»16 ; «quanto più è facile il pecca-
to nei pensieri che il peccato con le azioni, tanto più dura è la lotta
contro i pensieri che non la rinuncia agli oggett:i.>> 17 •
I santi asceti, in particolare quelli che vivono nella solitudine, han-
no constatato che le passioni si nutrono fondamentalmente di pensie-
ri e d'immaginazioni, non solo di quelle che esse suscitano da se stes-
se, ma anche di quelle che i demoni propongono all'uomo, e che,
peraltro, sono ali' origine della nascita e dello sviluppo delle passioni
secondo un processo che descriveremo dopo. <<Prima nascono i pen-
sieri, poi si mostrano le passioni», constata san Doroteo di Gaza 18 •
Tutti questi motivi fanno sì che la principale occupazione dell'uo-
mo desideroso di guarire e di salvarsi sia la lotta contro i pensieri19, lot -
ta che i Padri chiamano anche <<lotta interiore», <<lotta invisibile», <<lot-
ta dello spirito», <<lotta e guerra del cuore>>. Tale lotta costituisce l'«asce- ·
sa spirituale>>2°, l' «opera del cuore»21, l'unico mezzo per purificare
l'anima dal peccato e guarirla dalle passioni, non solo da quelle note
ma anche da quelle nascoste22 •
Come tutti i Padri, anche san Giovanni Crisostomo sottolinea l'im-
portanza e, nello stesso tempo, la durezza di questa lotta23 : «Nessuna
nazione selvaggia [fa] una guerra così accanita come i cattivi pensieri
che rimangono nell'anima, come le passioni sregolate [ ... ]; e ciò si
capisce, perché questi primi nemici ci attaccano dal di fuori, mentre
dall'interno i secondi ci fanno guerra. Ora, che i mali interiori sono
più disastrosi e perniciosi di quelli che vengono da fuori, è un' osser-
vazione che possiamo fare costantemente [. ..]. Nulla è più fatale per
la salute, per l'energia del corpo, delle infermità che vi si sviluppano
15 Ibid., 71.
16 Ibid., 91.
11 Ibid., Il, 72.
18 Istruzioni spirituali, XIII, 145. Yedi anche MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità,
III, 20. Evagrio Pontico si chiede: «E la rappresentazione che fa scattare le passioni o sono le
passioni che fanno scattare la rappresentazione? Questa domanda esige una riflessione. Alcuc
ni, in realtà, sono per la prima opinione, altri per la seconda>> (Trattato pratico sulla vita mona-
stica, 37). In realtà, questa divergenza d' opinioni non è reale: i due processi esistono e i Padri
evocano l'uno o l'altro a seconda dei casi, senza considerare pertanto l'uno esclusivo cieli' altro.
19 Vedi per esempio BARSANUFIO, Lettere, 258.
20 FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 3.
21 lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 17.
22 Cfr. ibid.
23 Vedi anche MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 91; IV, 50. FILOTEO IL Sr-
487
internamente; le città soffrono meno per la guerra esterna, che per i
loro dissensi interni; così anche l'anima non deve tanto temere le trap-
pole che le vengono tese nel mondo quanto le malattie di cui essa stes-
sa fornisce il germe»24 • Per questo san Macario Magno insegna: «Oc-
corre, dunque, che tutta la lotta dell'uomo si rivolga verso i suoi pen-
sieri»25. Lo stesso santo osserva ancora: «Colui che vuole veramente
divenire cristiano, deve dedicarsi a una lotta non già carnale, ma spi-
rituale, contrb i pensieri [. .. ]. È per mezzo di un tale combattimento
che egli potrà ottenere la purificazione»26 •
Proprio perché i pensieri sono trattenuti, suscitati, se non propo-
sti dai demoni, la lotta contro i pensieri appare allo stesso tempo co-
me un combattimento contro i demoni (abbiamo visto, del resto, che
i Padri identificano spesso i pensieri passionali con gli stessi demoni).
L'Apostolo indica chiaramente questa lotta quando scrive: «Non lot-
tiamo contro una natura umana mortale, ma contro i prìncipi, con~
.tro le potenze, contro i dominatori di questo mondo oscuro, contro
gli spiriti maligni delle regioni celesti» (E/ 6,12). Questa lotta corri-
sponde, a mo' di una guerra difensiva, alla vera guerra offensiva,
permanente e senza pietà che i demoni intraprendono contro l'uomo
e che san Filoteo il Sinaita descrive così: «È una guerra che gli spiriti
del male conducono segretamente e che li mette alle prese con l' ani-
ma attraverso i pensieri. Poiché la stessa anima è invisibile, queste po-
tenze malefiche, si adattano alla sua natura, e conducono verso di es-;
sa una guerra invisibile. Si può così osservare, tra queste potenze e l' a-
nima, armi, una battaglia campale, astuzie ingannevoli, una guerra
terribile, l'accanimento nel combattimento, e, da una parte e dall' al-
tra, vittorie e sconfitte»27 • ·
488
awersari e dei loro mezzi di azione, cioè della natura dei pensieri e del
processo della loto comparsa e insediamento nell'anima. Ciò è indi-
spensabile, perché, affinché la lotta sia efficace e la vittoria sicura, «oc-
corre, come dice Evagrio, guerreggiare con metodo contro gli avver-
sari.»29.
489
lo stesso". Se tu non apprezzi le conseguenze, sei tuttavia compiacen-
te con le cause>>-'7 ; «quando constati che pulsioni nascoste agiscono nel
tuo profondo e inclinano verso la passione lo spirito che godeva del-
la tranquillità, sappi che lo stesso spirito altre volte le ha comandate;
messe all'opera e immesse nel cuore»38 • In altre parole, oltre ai pen-
sieri attlialmente volontari, vi sono nell'anima pensieri attualmente in-
volontari, ma che un tempo sono stati volontari, che in quanto con-
seguenze non sono volontari, ma le cui cause sono volontarie3 9• È
per questo che san Marco l'Eremita aggiunge: «Noi amiamo le cause
dei pensieri che si formano nostro malgrado, ed è per questo che es-
si nascono in noi; ma nel caso di pensieri volontari, è chiaro che non
solo amiamo le cause, ma anche il loro oggetto»40; «i pensieri invo-
lontari nascono da un peccato precedente, quelli volontari dalla libe-
ra scelta della propria volontà; di conseguenza è chiaro che i secondi
sono responsabili dei primi>>41 •
L'altra fonte dei pensieri è l'attività demoniaca42 , la quale si eserci-
ta sull'anima indirettamente, per mezzo del corpo43 (per mezzo dei sen-
si, ma anche per mezzo delle mozioni o pulsioni interne), o diretta-
mente, soprattutto per mezzo della memoria e dell'immaginazione44 •
Quest'uso, da parte dei demoni, delle facoltà umane per suscitare i
pensieri fa sì che «noi li sentiamo tutti come se provenissero dal cuo-
re», come fa notare san Diadoco di Foticea45 , mentre per alcuni di esc
si, non è così.
I pensieri passionali sono suscitati molto spesso dai demoni sulla
base delle disposizioni e/o delle predisposizioni dell'uomo, come
afferma l'apostolo san Giacomo: «Ciascuno è tentato, adescato e se-
dotto dalla sua concupiscenza>> (Gc 1,14) 46 , o secondo sant'Isacco il
Siro che scrive: «In tutte le tentazioni, condanna te stesso perché cau-
D'EGITIO, Omelie (Coli. III), :XXV, 1, 2. MARCO L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere
giustificati per le loro opere, 135. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 83; Apoftegmi, serie degli ano-
nimi, 143. CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi, II, 3.
43 Vedi per esempio MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 74.
44 Cfr. Esro-rro DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 118; 119. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta ca-
pitoli neptici, 7.
45 Cento capitoli gnostici, 88.
46 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Sisoe, 44. BARSANUF10, Lettere, 256.
490
sa di quelle che ti capitano»47 • Infatti, «dalle passioni nascoste nel-
1'anima i demoni ricevono i mezzi per suscitare in noi i pensieri pas-
sionali», sottolinea molto precisamente san Massimo48 • E san Gio-
vanni Cassiano osserva che l'anima, proprio come il corpo, è attac-
cata dalla malattia laddove essa presenta uno o più punti deboli:
«Anche qui, accade come per il corpo umano. Quando capita un' oc-
casione spiacevole, [ .. .] sono le parti più deboli che si lasciano scalfi-
re e soccombono immediatamente; ed è solo quando la malattia vi
si è stabilita che essa contamina le parti rimaste sane. La stessa cosa
è per la nostra anima. Se sopraggiunge qualche vizio, essa.sarà fatal-
mente attaccata nella parte che, più delicata e più debole, offre mi-
nore resistenza agli assalti violenti del nemico e correrà il rischio di
essere colpita là dove la sentinella, poco vigile, apre al tradimento un
più facile accesso [. ..]. È con questo mezzo che la perfida malignità
delle potenze spirituali s'industria a tentarci. Tali potenze tendono le
loro trappole insidiose soprattutto verso la parte dell'anima dove la
sentono più malata»49 •
Occorre, tuttavia, sapere che i demoni possono anche proporre
all'uomo pensieri e immagini senza rapporto con le sue disposizioni o
predisposizioni, anche se egli s'illude ancora che queste rappresenta-
zioni vengono da se stesso, come fa notare san Macario il Grande: «Vi
è una potenza avversa, quella della malizia, che disorientando segre-
tamente il genere umano lo conduce verso il male, e gli insegna invi-
sibilmente, nel cuore, ogni sorta di empietà. Per questo, gli uomini non
fanno altro se non quello che è stato loro suggerito segretamente, al li-
vello della libera volontà di ciascuno; la maggior parte di essi non san-
no da dove vengono queste suggestioni, ma credono a una tendenza
naturale, a causa dell'abitudine di veder scaturire dal loro cuore i pen-
sieri cattivi contro natura>>50 •
L'azione demoniaca a questo riguardo non risparmia alcun uomo,
adattandosi al livello spirituale di ciascuno51 • È così che gli stessi san-
ti, che per ascesi teantropica hanno raggiunto l'impassibilità e ottenuto
la purificazione delle loro colpe passate, in breve, nei quali non sus-
sistono né disposizioni né predisposizioni, devono far fronte a quei
pensieri proposti dai demoni, e che allora costituiscono per essi al-
491
trettante tentazioni52 • I Padrl sottolineano che lazione demoniaca cre-
sce e quindi i pensieri suggeriti si moltiplicano a misura del progresso
spirituale". Un adagio dei Padri afferma che l'uomo deve «aspettarsi
la tentazione fino al suo ultimo respiro»54 , che fino al suo ultimo re-
spiro egli dovrà lottare contro i pensieri suggeriti dai demoni55• Giob-
be diceva: «Tutta la vita degli uomini sulla terra non è forse tentazio-
ne?» (Gb 7,1) 56 • <<Fino alla morte l'uomo non può non avere dei pene
sieri>>, osserva nello stesso senso sant'Isacco il Siro57 , e san Simeone il
Nuovo Teologo: «L'uomo ha sicuramente ricevuto il potere di non
compiere il male, ma non quello di non averne l'idea>>58 • «Come non
è possibile camminare sulla terra senza fendere laria, scrive a sua vol-
ta sant'Esichio di Batos, così è impossibile che il cuore dell'uomo non
sia continuamente combattuto dai demoni o segretamente tormenta-
to da essi»59 • E san Giovanni Damasceno, ricordando in particolare gli
otto tipi di pensieri cattivi che corrispondono alle otto passioni prin-
cipali, osserva: «Che questi otto pensieri ci turbino o non ci turbino
fa parte delle cose che non dipendono da noi>>60 •
Lo scopo perseguito dai demoni nel suscitare i pensieri nel cuore
dell'uomo è quello di far rimanere le passioni in colui che ne è abita-
to e di spingerlo al peccato d'azione, oppure è quello di farle ritorna-
re in colui che se ne era liberato; lo scopo può essere anche quello di
turbare la preghiera di quest'ultimo e di impedirgli di arrivare alla con-
templazione61; in ogni caso, per i demoni si tratta di allontanare l'uo-
mo da Dio62 e di metterlo contro di lui. Da questo punto di vista, ogni
pensiero appare come una tentazione, tanto più che, come vedremo,
l'uomo ha in tutti i casi la possibilità di seguire il pensiero che gli si
presenta e fare così la volontà dei demoni, o respingerlo per fare lavo-
lontà di Dio. Ogni pensiero che si presenta all'uomo appare così co-
me una prova63 che può condurlo alla sua perdizione o alla sua sal-
vezza, secondo la scelta che egli farà. Se l'uomo, cedendo alla tenta-
52 Cfr. AMMONA, Lettere, XJJI, 5. MACARIO D'EGITfO, Omelie (Coli. Il), XVI, 3.
53 Cfr. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, XXVI.
54 Apoftegmi, serie alfabetica, Antonio, 4.
55 Vedi per esempio ibid., Agatone, 9; Teodoro di Fermé, 2.
56 Cfr. 0RIGENE, La preghiera, 29: «Tutta la vita dell'uomo è una continua tentazione>>.
57 Discorsi ascetici, 83.
58 Capitoli teologici, gnostici e pratici, IIl, 3 L
59 Capitoli sulla vigilanza, 114.
60 Discorso utile alt'anima.
61 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 90.
62 Ibid.
63 Cfr. BARSANUHO, Lettere, 39; 483.
492
zione che ogni pensiero costituisce, può perpetuare il suo stato mal-
sano o ricadervi, nel non cedervi egli, al contrario, può guarirne o evi-
tare di ricadervi. Prendendo in considerazione. questo secondo aspet-
to, sant'Isacco il Siro afferma: <<La tentazione è utile a ogni uomo», e
scrive al riguardo: «Gloria al Maestro che nei rimedi più duri ci por-
ta le delizie della salute!»64 . Lo stesso santo apostolo Giacomo sotto-
linea questa funzione positiva della tentazione: «Beato l'uomo che so-
stiene la tentazione, poiché una volta collaudato, riceverà la corona
della vita che Dio promise a quanti lo amano» (Gc 1,12). Quando ogni
pensiero che si presenta è per colui che è abitato dalle passioni un' oc-
casione di esserne liberato65 e purificato dai suoi peccati66 , esso è, per
colui che vive secondo le virtù, un'occasione per fortificare queste, co7
me scrive san Barsanufio a uno dei suoi figli spirituali: «Che la folla
delle passioni e dei fantasmi demoniaci non ti abbatta, ma credi che
essi non guadagnano niente nel tormentarci e nel metterci alla ·prova;
essi, al contrario, perfezionano la virtù se noi facciamo molta atten-
zione nel conservare un po' di resistenza [. .. ]. Il contatto con il fuoco
fa sembrare l'oro più lucente, è così anche per l'accumulo delle ten-
tazioni per il giusto»67 • E sant'Ammona osserva: «La forza dello Spi-
rito, dopo le tentazioni, dà ai santi un'altra grandezza e una forza mag-
giore»68. In ogni caso, i Padri sottolineano che grazie alle tentazioni, e
quindi ai pensieri mediante i quali esse si presentano all'uomo, è pos-
sibile il progresso spirituale. Così scrive sant'Ammona a questo pro-
posito: «Se non vi assale nessurta tentazione, visibile o nascosta, non
potrete andare più avanti di dove siete»69 • Sant'Antonio l'Eremita vi
vede anche una condizione necessaria alla salvezza: «Chiunque non
sia stato tentato, egli dice, non potrà entrare nel regno dei cieli. In-
fatti è detto: "Sopprimi le tentazioni e nessuno è salvato''>>7°.
Dall'atteggiamento di fronte ai pensieri dipende, dunque, il desti-
no spirituale dell'uomo.
È per mezzo del consenso ai pensieri che le passioni nascono e per-
sistono, e i demoni prendono possesso dell'anima o continuano a per-
manervi. Al contrario, sarà per il rifiuto dei pensieri che l'uomo, con
493
laiuto di Dio, può essere liberato dalle sue passioni e progredire nel-
la virtù, unirsi a Dio e crescere in questa unione.
L'uomo, tuttavia, se non sta in guardia, presto si lascerà trascinare
dai pensieri che gli si presentano. Vi è un momento in cui il rifiuto del
pensiero è facile, un altro momento in cui è difficile, un altro in cui di-
viene quasi impossibile.
Combattere i pensieri suppone una conoscenza precisa del modo
d'agire dei pensieri sull'anima e dell'atteggiamento dell'anima di fron-
te ai pensieri. La tentazione, hanno osservato i Padri, obbedisce a un
meccanismo invariabile, che comporta momenti diversi che corri-
spondono all'evoluzione dell'atteggiamento dell'uomo nei confronti
del pensiero che gli è proposto.
74. MARCO L'EREMITA, La legge spirituale, 140-142; Il battesimo, 8-13; 16; 22-30; Su coloro che
pensano di essere giustificati per le loro opere, 21 L Esrarro DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 43;
46. F'ILOTEO lL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 34; 35. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso uti-
le all'anima. MAsSIMO JL CONFESSORE, Centurie sulla carità, 84. NJL SORSKY, Regola, L
72 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XV, 74.
73 Quaranta capitoli neptici, 35.
74 Discorso utile al!'anima.
75 Il battesimo, 22.
76 La legge spirituale, 141.
77 Il battesimo, 10.
494
come <<l'accoglienza del pensiero che il nemico ci ha suggerito»78 e san
Giovanni Climaco, più precisamente, come «una conversazione con
ciò che si è appena manifestato [... ] , accompagnata o non da passio-
ne»79. Come indicato da quest'ultima precisazione, è necessario di-
stinguere due gradi di legame: un primo grado che è la semplice con-
versazione (omilia) con il pensiero, in cui l'uomo si sofferma sul pen-
siero e lo trattiene discutendo con esso, ma «senza: passionalità»,
cioè senza in alcun modo legarsi ad esso; poi un secondo grado che
costituisce il legame propriamente detto, in cui l'uomo entra veramente
in relazione con il pensiero, si attacca e si unisce ad esso prendendo-
vi piacere8°. L'uomo, allora, fa notare sant'Esichio di Batos, mescola i
propri pensieri e le proprie immagini ai pensieri e alle immagini del-
la suggestione demoniaca81 • A motivo di questa unione, l'immagine o
il pensiero demoniaco «cresce sempre più, e si dilata fino a sembrare
desiderabile, bello e piacevole allo spirito»82 , che non è lontano allo-
ra dal lasciarsi catturare da esso. A questo stadio, tuttavia, se l'uomo
si unisce al pensiero, non vi aderisce ancora, non 1' accetta ancora pie-
namente.
3) Il consenso (synkatdthesis) «è assenso dell'anima, accompagnata
dal diletto, a ciò che gli è proposto»83 • È a questo stadio che l'uomo
dà il suo pieno assenso a ciò che gli viene proposto, accetta di segui-
re il pensiero e di agire secondo esso, abbandonandosi pienamente
al piacere che questo gli procura.
4) La schiavitù (aichma!osia). Avendo dato il suo pieno consenso
al pensiero, l'uomo ne diviene schiavo. San Giovanni Climaco defi-
nisce la schiavitù come «un trascinamento violento e involontario del
cuore; o anche un attacco permanente all'oggetto in questione che di-
strugge l'eccellente condizione della nostra anima>>84•
5) L'adempimento (enérgeia). San Giovanni Damasceno lo definisce
come <<l'atto stesso del pensiero passionale al quale abbiamo accon-
MARco L'EREMITA, La leg,ge spirituale, 93. MAsSIMO IL CoNFF.SSORE, Centurie sulla carità, I, 84.
84 GIOVANNI CLIMACO, I.a Scala, XV, 74. Cfr. FILOTEO IL SINAITA, !oc. cit.
495
sentito»85 . Avendo dato il suo consenso al pensiero e fattosi prigionie-
ro di questo, l'uomo passa all'azione, compie il peccato in opere86 .
6) La passione (pathos). La ripetizione del consenso a un pensiero
dello stesso tipo fa nascere la passione corrispondente o la rafforza
se essa è già installata. San Giovanni Climaco dà questa definizione:
«La passione, in senso stretto, è un male che da lungo tempo ha col-
pito segretamente l'anima e che, ormai, le ha fatto contrarre un lega-
me intimo con essa e l'ha stabilita come in una disposizione abituale,
in virtù della quale vi si trasporta da sé, spontaneamente e per affi:
nità>>87_
496
libero, e sfugge al potere dei demoni, i quali si limitano alla sugge-
srione96. Una volta dato il suo consenso, la colpa è definitivamente com-
messa, l'uomo è schiavo del pensiero, viene a trovarsi, suo malgrado,
trascinato, e non può più fare nulla per ritornare indietro97 •
% Cfr. CiluLLO DI GERUSALEMME, Catechesi battesimali, IV, 21. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni
spirituali, XIII, 143. GIOVANNI CAsSIANO, Conferenze, VII, 8.
97 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XIII, 143.
98 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, I, 17. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita
monastica, 6. Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 28. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utile
all'anima.
99 Omelie su Ozia, N, 5.
· 100 Il termine nepsis, che significa nello stesso tempo vigilanza e sobrietà, etimologicamente
deriva dal verbo nephein, che significa essere sobrio in opposizione al verbo metbyein, che si-
gnifica essere ubriaco (cfr. I. HAUSHERR, Hésycasme et prière, Roma 1966, p. 226). Poiché oc-
correrebbe, per essere precisi, usare espressioni come <<Vigilante sobrietà>>, o meglio «sobria vi-
gilanza», per rendere questo termine, noi continueremo, salvo eccezione, pur tenendo conto
di quest'altra connotazione, ad usare il termine <<Vigilanza>>, essendo questa nozione la più im-
portante delle due e coprendo più ampiamente l'ambito semantico del termine népsis.
497
La raccomandazione di essere attenti e vigilanti si trova frequente-
mente nelle Sacre Scritture. Il Cristo stesso lo ha fatto in diverse ri-
prese: «State attenti, vegliate [. .. ],vegliate dunque [. .. ]. Ciò che dico
a voi, lo dico a tutti: Vegliate» (Mc 13,33.35.37); «Restate qui e ve-
gliate» (Mc 14,34); «Vegliate e pregate, affinché non entriate in ten-
tazione>> (Mc 14,38); «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno tro-
verà ancora svegli. Se arrivando nel mezzo della notte o prima dell' al-
ba, troverà i suoi servi ancora svegli, beati loro» (Le 12,37-38); «Vegliate
in ogni momento, per avere la forza di sfuggire a tutti questi mali
che stanno per accadere e per comparire davanti al Figlio dell'uomo»
(Le 21,36). Anche l'apostolo Paolo così scrive a questo riguardo:
<<Ritornate in voi (eknépsate) secondo giustizia e non peccate» (lCor
15,34); «Non dormiamo come gli altri, ma vegliamo e siamo tempe-
ranti>> (lTs 5,6). E san Pietro aggiunge: «Siate saggi e sobri» (1Pt4,7);
«Siate sobri, vigilanti! Il vostro nemico, il diavolo, va in giro come
un leone ruggente cercando qualcuno da divorare» (lPt 5,8). La stes-
sa raccomandazione la ritroviamo innumerevoli volte nelle parole e
negli scritti dei Padri101 • L'attenzione e la vigilanza sono presentate nel-
le Vite dei santi come virtù che questi possiedono al più alto gra-
do102. Questi due comportamenti molto simili (i due termini spesso so-
no impiegati come sinonimi) costituiscono, infatti, una condizione di
ogni vita spirituale: è in gran parte per loro mezzo che l'uomo può,
per grazia divina, essere liberato dal male, evitare di ricadervi e, cor-
relativamente, unirsi strettamente a Dio e rimanere unito a lui (è que-
sto il fine). È per questo motivo che Abba Poemen afferma: «La vi-
gilanza, l'attenzione a se stessi come anche il discernimento sono le
guide dell'anima»103 ; arriva poi a dichiarare: «Noi non abbiamo biso-
gno di null'altro se non di uno spirito vigilante» 104 •
101 Vedi tra gli altri: Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 35; 137; 173; Rufo, 1. Ibid., N 81;
N 537; N 653; Am 166, 12. Prima vita di san Pacomio, 96. BARSANUFIO, Lettere, 7; 10; 44; 45;49;
53;98; 106; 136;137; 138; 187;197;203;216;235;237;240;264;267;268;269;347;379;412;
418; 429; 454; 573; 613; 614; 615; 769. GIOVANNI DI GA'ZA., Lettere, 291; 305; 342; 482; 575bis;
583; 770; 833. DOROTEO DI GA'ZA., Istruzioni spirituali, X, 112; Xl, 114; Lettere, XIII. lsACCO
IL SIRO, Discorsi ascetici, 58; 60. GIOVANNI CLIMA.CO, La Scala, Il, 12; IV, 86; XXVI, 117. MAs-
SIMO IL CONFESSORE, Discorso ascetico, 16. CALl.rNico, Vita d'Ipazio, 50. ISAIA DI SCETE, Asceti-
con, XXVII, 18. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 9. San Basilio di Cesarea ha dedicato all'at-
tenzione a sé un'intera omelia: Su queste parole: «Fa' attenzione a te stesso», PG 31, 197C-218B.
Esrcmo DI BATOS ha scritto un Discorso in forma di capitoli sulla vigilanza e san FILOTEO IL Sr-
NAITA, Quaranta capitoli neptici.
102Vedi per esempio: ATANASIO DI ALESSANDRIA, Vita di Antonio, 9. Prima vita di san Paco-
mio, 72.
10' Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 35.
104 Ibid., 137.
498
Occorre, altresì, precisare che.per essere pienamente efficaci, at-
tenzione e vigilanza devono essere permanenti e senza cedimenti105 •
Ciò non è certamente possibile immediatamente, ma occorre lavora-
re per giungervi. I Padri affermano, sulla base della loro esperienza,
che l'uomo formato è capace di una tale attenzione e vigilanza dedi-
candosi a diverse attività. A questo proposito così scrive san Giovan-
ni di Gaza: <<l perfetti sono perfettamente attenti a se stessi, come l'ar-
tigiano che conosce perfettamente il suo mestiere. Se, mentre lavora,
gli capita di avere un colloquio con qualcuno, la conversazione non gli
impedisce allo stesso tempo di continuare a esercitare la sua arte»106 •
Gli spirituali avanzati dànno prova di tale vigilanza anche durante il
sonno, come testimonia questo versetto del Cantico ricordato da san
Giovanni Climaco 107 : «lo dormivo, ma il mio cuore era desto» (Ct 5,2),
e come afferma san Giovanni di Gaza: «Se il cuore veglia, il sonno del
corpo non esiste»108 •
-Essere attenti a se stessi, vegliare su se stessi, secondo la frequente
raccomandazione dei Padri, consiste in senso generale nell'occuparsi
di sé, cioè del proprio essere e del proprio destino spirituale piuttosto
che delle cose esteriori109 • Più precisamente; consiste nel cercare di
(ri)conoscere le proprie malattie spirituali, che è la condizione della
guarigione: <<Dovete applicarvi in ogni cosa a conoscere la situazione
e le malattie della vostra anima. Difatti molti hanno infermità perico-
lose che non vengono riconosciute [... ].Dio ci ha avvertiti di non in-
terferire nella guarigione degli altri, e di non metterci a studiare per
conoscere la natura delle loro malattie, ma di riservare una parte del-
le nostre cure e della nostra applicazione per scavare nelle pieghe del
nostro cuore», afferma san Basilio110•
Più generalmente, vuol dire essere attenti a tutto I'essere, sorvegliare
sia il corpo che lanima, il comportamento esteriore per evitare le azio-
ni cattive, e la propria vita interiore per evitare i pensieri qttivi. È co-
sì che è scritto nel libro dei Proverbi: «La via dei retti è fuggire il ma-
le; chi vuol custodire la sua anima sorveglia là sua strada>> (Pro 16,17).
E san Gregorio Palamas fa notare a questo riguardo: «"Bada a te", di-
105 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XX, 3. GIOVANNI CUMAco, La Scala, XXVII,
39; 86. BARSANUFIO, Lettere, 269. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 459. Apoftegmi, N 427; N 529.
106 Lettere, 459.
107 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVII, 18.
108 Lettere, 519.
109 Cfr. Apoftegmi, Collazione dei dodici anacoreti. BASILIO DI CESAREA, Omelia su queste pa-
499
ce Mosè (Dt 15,9), cioè a te completamente: non a una sola parte di te
stesso dimenticando il resto [...]. Poni, dunque, questa attenzione sul-
la tua anima e sul tuo corpo [. .. ]. Affidati, in breve, a questa custodia;
a questa attenzione, non perdere il controllo di te stesso, o piuttosto
bada a te, veglia e sorvegliati! [.. .] "Se lo spirito di colui che domina",
cioè quello degli spiriti cattivi e delle cattive passioni, "si leva contio
di te", afferma !'Ecclesiaste, "non lasciare il tuo posto", cioè non la-
sciare senza sorveglianza nessuna parte della tua anima, nessun mem-
bro del tuo corpo. Così, infatti, tu diverrai inaccessibile agli spiriti che
ti attaccano dal basso»111 •
Tuttavia, poiché, come abbiamo visto, è dai pensieri che derivano
le azioni e soprattutto dipendono la nascita e la perpetuazione delle
passioni, è su essi che i Padri raccomandano in particolare di portare
l'attenzione e la vigilanza. È da questo, più propriamente, che dipen-
de la guarigione spirituale dell'uomo, in quanto è soprattutto a que-
sto livello che la vigilanza e l'attenzione appaiono come rimedi di gran-
de importanza. In un'omelia su queste parole del Deuteronomio 4,9
e 15,9): <<Bada a te», san Basilio dice: «Fate attenzione a voi stessi e
non nascondete nel vostro spirito cattivi pensieri [. .. ]. Noi siamo fra-
gili, e pecchiamo facilmente con i pensieri; è per questo che Dio, che
ha formato i nostri cuori, sapendo che i movimenti della nostra vo-
lontà ci fanno cadere in molti disordini, ci ha raccomandato di con-
servare in grande purezza la parte razionale dell'anima, perché è que-
sta che governa e comanda. È necessario conservare con maggior cura
ciò che è più incline al peccato. I medici esperti, conoscendo il tem-
peramento dei corpi deboli, prescrivono loro rimedi per fortificarli. È
per questo che Dio ci ha dato più mezzi per fortificare in noi la parte
più debole» 112 • .
111 Triadi, I, 2, 9.
IU Loc. cit.
m Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 85. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, III, 43; Lettere, L
ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 14; 44. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli nepti-
ci, 25.
114 Cfr. BASILIO DI CESAREA, Omelia su queste parole: «Fa' attenzione a te stesso».
500
ché la vigilanza spesso è chiamata «custodia del cuore»115 ; lo spirito
deve avere alla porta del cuore l'atteggiamento di una sentinella che
allo stesso tempo sorveglia il territorio circostante, facendo attenzio-
ne al minimo movimento, alla minima cosa intravista, al minimo ru-
more, e si pone in permanenza nella condizione d'intervenire. Riguardo
al primo punto, sant'Esichio di Batos così scrive: <<Lo scopo [.. .] del-
la vigilanza continua [. .. ] è quello di vedere, sin da quando essi si
formano, i fantasmi dei pensieri nello spirito» 116 • Si tratta, afferma,
da parte sua, san Filotea il Sinaita, di «sorveglia[re] rigorosamente i
raggiri delle potenze malevole e i loro attacchi sorti dall'immagina-
zione»117. E san Basilio consiglia: «Girate gli occhi da ogni parte af-
finché non siate colti di sorpresa>>118 • Riguardo al secondo punto, san
Gregorio Magno osserva: <<La vigilanza dev'essere praticata in ogni
istante[ ... ]. Occorre essere sempre sul piede di guerra, per ingaggia-
re la lotta contro l'Avversario; la nostra diffidenza deve prevedere in-
cessantemente le sue manovre occulte [... ]. Se si vuole che la tenta-
zione improvvisa e nascosta non ci sorprenda, vi è la necessità per-
manente di tenerla distante con [.. .]la spada della nostra vigilanza>>119•
La formula di un Anziano riassume questi due punti: «Il lavoro di
un monaco è quello di veder giungere da lontano i suoi pensieri»120 •
Possiamo ricordare a questo proposito le parole del Cristo: «Se il pa-
drone di casa conoscesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe
scassinare la casa» (Le 12,39).
2) Essere attenti e vigilanti, vuol dire, in secondo luogo, esaminare
ogni pensiero fin da quando lo si è notato121 , poi distinguere la sua na-
tura in modo da vedere precisamente se si tratta di un pensiero buo-
no, indifferente o cattivouz.
Nel ricordare la prima di queste due fasi, san Giovanni di Gaza con-
115 Essa, a volte, è chiamata anche «rustodia dello spirito» (dr. EsIOilO DI BATOS, Capitoli
sulla vigilanza, 113; 121. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 26). La prima espres-
sione, però, è più adeguata, poiché la custodia dello spirito indica, in senso proprio, lo vedremo
ulteriormente, l'evitare ogni rappresentazione anche buona: questo evitare è la condizione del-
la preghiera pura e senza distrazione. Su questa distinzione, vedi Esrano DI BATOS, loc. cit., 3.
GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVI, 61.
116 Capitoli sulla vigilanza, 153.
117 Quaranta capitoli neptici, 7.
118 Omelia su queste parole: «Fa' attenzione a te stesso».
119 Moralia su Giobbe, XX, 3.
122 Cfr. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), VI, 3. BASILIO DI CESAREA, Omelia su queste
parole «Fa' attenzione a te stesso». GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, VII, 5. lsAIA DI ScETE, Asce-
ticon, XXVI, 19. Esrcmo DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 121.
501
siglia: «Per tutti i pensieri agisci allo stesso modo: appena il pensiero
arriva, esaminalo»123 . Sant'Esichio di Batos descrive così la vigilanza:
<<Essa è la concentrazione perseverante di un pensiero che sta di guar-
c:Ua alla porta del cuore. Un tale pensiero osserva i pensieri perfidi che
arrivano, ascolta ciò che essi dicono, guarda ciò che fanno questi as-
sassini, e quale forma i demoni hanno inciso su di essi>>124 •
Questa prima fase, l'esame del pensiero, ha come finalità la secon-
da: il discernimento della sua esatta natura. San Macario così scrive a
questo riguardo: <<L'uomo di Dio non si applichi su un solo pensiero
senza fare discernimento»125 . Dal canto suo, così osserva sant'Esichio
di Batos: «Devi vedere con lo sguardo penetrante e intenso dello spi-
rito, per poter riconoscere i pensieri che vi entrano»126 • Un apoftegma
precisa: «Gli Anziani dicevano: A ogni pensiero che giunge in te, de-
vi dire: "Sei dei nostri, o vieni dal nemico?". E certamente esso lo con-
fesserà»127. Ecco un consiglio che testualmente dà Evagrio: «Sii tu il
portiere del tuo cuore, e a ogni pensiero che si presenta, rivolgi que-
sta domanda: Sei dei nostri o degli avversari?» 128• San Giovanni di Ga-
za non dice altro che: «Custodire il proprio cuore, significa avere lo
spirito vigilante e lucido di colui che è in guerra [... ] . Se vuoi sapere
con chi hai da fare, con un nemico o con un amico, lancia una pre-
ghiera e interrogalo: "Sei dei nostri o dei nemici?", ed esso ti dirà la
verità>>129 •
3) Se si tratta di un pensiero buono e indifferente, l'uomo può la-
sciarlo penetrare in sé profondamente, perché non porterà conse-
guenze, eccetto nel caso in cui è in stato di preghiera, perché alcuni di
tali pensieri ostacolano la preghiera pura. San Nilo Sorsky scrive a que-
sto proposito: «Se non è durante la preghiera, ma nel corso di indi-
spensabili occupazioni della vita, che entrano e rimangono nell'anima
[questo tipo di] pensieri, allora una tale situazione è senza peccato:
persino i santi hanno soddisfatto degnamente e senza colpa agli ob-
blighi della vita del corpo. In ogni pensiero di questo genere, affer-
maho i Padri, il nostro spirito, se guarda se stesso con atteggiamento
pio, rimane unito a Dio»130 •
w Lettere, 86.
124 Capitoli sulla vigzlanza, 6.
125 Omelie (Coli. II), LIII, 14.
126 Capitoli sulla vigilanza, 22.
127 Apoftegmi, N 220.
128 Antirretico, Orgoglio, 17.
129 Lettere, 166.
no Regola, 1.
502
Non è così, però, nel caso si tratti di un pensiero cattivo. L'uomo
allora deve assolutamente evitare di abbandonarvisi, e rifiutarlo prima
di aver raggiunto, nel processo che abbiamo precedentemente de-
scritto, lo stadio del consenso.
131 Ricordiamo che Evagrio Pontico ha scritto un trattato intitolato Antirretico, in 8 ,libri. È
una raccolta di testi biblici contro i demoni tentatori, riguardante gli otto vizi capitali. In tale
opera propone, per ogni rilevante tipo di pensiero, passi della Scrittura adatti a essergli opposti.
132 Omelie (Coli. Il), Lill, 14.
133 La Scala, XXVI, 62.
134 Apoftegmi, serie alfabetica, Giuseppe di Panefo, 3.
503
Un tale modo di combattere i pensieri deve, tuttavia, essere riser-
vato a coloro i quali sono sufficientemente avanzati spiritualmente per
non lasciarsi sedurre, in questa discussione, dagli argomenti del ne~
mico e per non essere alla fine vinto 136 • Abba Giuseppe di Panefo
implicitamente lo riconosce, quando a un altro visitatore che gli pone
la stessa domanda, consiglia: «Non lasciare penetrare affatto [i pen-
sieri] dentro di te»137 • Quanto a san Giovanni di Gaza, egli scrive mok
to esplicitamente a uno dei suoi figli spirituali: «Il replicare non è
per tutti, ma per i potenti secondo Dio, a cui i demoni sono sottomessi
Infatti, se qualcuno di coloro che non hanno questa potenza [di con-
futazione] replica, i demoni lo tormentano deridendolo, per il fatto
che egli è in loro potere e [pretende di] replica[re] loro»138 • San Bar-
sanufio scrive la stessa cosa a uno dei suoi discepoli: <<Per quanto ri-
guarda l'accoglienza di un pensiero che si presenta, è consentito solo
ai perfetti lasciarlo entrare e in seguito scacciarlo. Tu, dunque, non in-
trodurre il fuoco nella tua foresta affinché essa non ne sia totalmente
consumata [. .. ]. Non ti esercitare da solo nel turbamento, perché non
resisteresti a una tale tentazione»139 • E commentando la duplice ri-
sposta di Abba Giuseppe di Panefo, a proposito dei pensieri, affenna
inoltre: «Colui che è capace di resistere e lottare senza essere vinto li
lasci entrare, mentre il debole, che non ne è capace e darebbe piut-
tosto il suo consenso», non deve farlo 140 • Anche se l'uomo non è vin-
to, se non è sufficientemente forte, rischia di uscirne ferito o insudi-
ciato, come sottolinea sant'Isacco il Siro che sconsiglia, per queste ra-.
gioni, tale procedimento di lotta: «Non abbiamo sempre il potere di
opporci, per fermarli, ai pensieri che ci combattono, ma ne riceviamo
spesso piaghe che non guariscono se nori dopo lungo tempo. [. ..] [Di-
scutere con i demoni] permette loro di armarsi contro di te: potranno
ferirti ben al di là di quanto potranno opporre loro la tua saggezza e
il tuo sentimento. Ma anche se tu li vincessi, la sozzura dei pensieri in-
quinerebbe la tua riflessione, e ancora per lungo tempo tu dovrai sen-
tire il loro cattivo odore» 141 •
Che questo modo di combattere sia riservato ai perfetti non signi-
fica, tuttavia, che egli sia il più perfetto 142 : oltre al rischio di disfatta
504
che esso comporta, autorizza un certo sviluppo della suggestione, che,
fa notare san Marco l'Eremita, si accompagna inevitabilmente a un
certo turbamento (parripism6s) 143 che giustamente i perfetti evitano;
implica che si abbia un certo interesse a quel pensiero, che ci si sof-
fermi su di esso, il che distoglie lo spirito dall'attenzione esclusiva che
esige la preghiera pura; infine, in una certa misura, fa il gioco dei de-
moni: ciò è quanto san Giovanni di Gaza consiglia a uno dei suoi di-
scepoli: <<Non contraddire, perché è ciò che essi. desiderano e non smet-
teranno mai»144 •
Ecco perché è preferibile l'altro modo di combattere; peraltro, è
quello che i Padri raccomandano più frequentemente, in quanto es-
so è più diretto ed efficace del precedente: sant'Isacco dice che nel-
l'usarlo «si è imboccato il cammino più breve, e si è evitato di errare
sulla via più lunga.>>145 • Esso costituisce la «confutazione rapida>>.
b) Questo secondo modo di combatti.mento, che deriva da una for-
ma di esercizio della vigilanza, consiste nel non lasci.are affatto entra-
re il pensiero· che si presenta146, e per fare ciò occorre rigettarlo (i Pa-
dri dicono anche: reprimerlo, escluderlo, tagliar corto ... ) fin dal suo
nascere, nell'istante stesso del suo primo apparire, cioè quando esso è
ancora una semplice suggestione147 • «Occorre solo percepire De sug-
gestioni demoniache], e immediatamente respingerle, fin da quando
scaturiscono e attaccano», consiglia sant'Esichio di Batos148 • San Filo-
tea il Sinaita, da parte sua, osserva: «Colui che resiste fin dall'inizio,
cioè fin dalla suggestione [.. .]ha tagliato corto con tutte le infamie»149 •
I Padri insistono su questo: occorre non accogliere il seme del nemi-
co150, e a fortiori non soffermarsi sull'immagine o sul pensiero sugge-
rito dal nemico 151 • In ogni caso, «stessa regola: non lasciar perdurare
il pensiero», consiglia san Massi.mo 152 • Si tratta di bloccare nettamen-
neptici, 25.
147 Cfr. ESICHIO DI.BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 20; 22; 88. F!LOTEO IL SINAITA, Quaranta
capitoli neptici, 2; 26. Apoftegmi, serie alfabetica, Giuseppe di Panefo, 3. TEODORO DI SCETE,
ibid., N 220; N 275. BARSANUFIO, Lettere, 432. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità,
ill,52.
148 Capitoli sulla vigilanza, 44.
149 Quaranta capitoli neptici, 36.
150 BARSANUFIO, Lettere, 256. O:R:!LLo DI GERUSALEMME, Catechesi battesimali, II, 3.
151 GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 660. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 52.
505
te all'origine il processo della tentazione che abbiamo descritto pre-
cedentemente. Sant'Esichio di Batos così scrive a questo riguardo: «Se
il nostro spirito è stato provato, se è stato istruito, se è nella condi-'
zione di custodire se stesso e di vedere in tutta purezza, come in un
cielo sereno, le immagini seduttrici e le illusioni degli spiriti cattivi;
spegne immantinente e con facilità [...] le frecce infiammate del dia-
volo. Egli rifiuta di lasciarsi trasportare dall'immaginazione passio~
nale. Non accetta che i nostri pensieri, abbandonandosi alla passione,
si conformino all'immagine che loro è apparsa, o s'intrattengono ami-
chevolmente con essa, o vi si soffermino, o vi acconsentano»153 • Al con-
. trario, lasciare che questo processo si sviluppi, è, se non proprio cor·
rere verso la perdizione, almeno votarsi poco dopo a una lotta più du;
ra e che si sarebbe potuta evitare . È così che san Cirillo di Gerusalemme
consiglia: «Non raccogliere il seme [... ].Prima che fiorisca, strappa il
male fino alle radici, affinché la tua indolenza originaria non ti co-
stringa più tardi (dr. Mt 3,10) a pensare di usare la scure e il fuoco.
Comincia col guarire i tuoi occhi malati iri tempo opportuno, per non
dover cercare il medico una volta diventato cieco»154 •
Secondo una simbologia frequentemente usata dai Padri, se si la-
scia passare la testa del serpente, il suo corpo penetrerà facilmente.
Per questo san Giovanni Cassiano scrive: «Dobbiamo ricordarci con-
tinuamente questo precetto: "Custodisci con cura il tuo cuore"_, e, se-
condo il comandamento principale di Dio, osservare con vigilanza la
testa del serpente, cioè l'inizio dei pensieri cattivi, attraverso i quali il.
diavolo prova a insinuarsi nella nostra anima. Per la nostra negligen-
za, non lasciamo invadere il nostro cuore da tutto il corpo di questo
serpente - che è poi il consenso alla tentazione -, perché è molto
evidente che, una volta introdotto, con il suo morso velenoso farà
perire il nostro spirito ormai suo prigioniero» 155 • Per questo motivo
così consiglia san Gregorio di Nissa: «Se vuoi evitare di vivere insie-
me al rettile, guàrdati dalla testa, cioè dal primo attacco del male. È
a questo che si riferisce il comandamento illustrato dal Signore: "Ti
insidierà al tallone e tu mirerai alla sua testa" (cfr. Gn 3,15)»156• Un al-
tro Padre spiega allo stesso modo: <<l pensieri hanno una sola testa [. ..].
Se fin dall'inizio tu non riconosci nemmeno la testa per espellerla da
506
te, sarai preso e ingannato dagli altri pensieri successivi[...]. Se, dun-
que, vuoi vincere le passioni, osserva sempre la testa dei pensieri e
quando avrai scoperto qual è, lotta solo contro di essa»157 . Sant'Esi-
chio di Batos offre lo stesso consiglio: Fin dal momento in cui hai ri-
conosciuto coloro che entrano, «devi subito, attraverso la confutazio-
ne, .schiacciare la testa del serpente»158 •
I Padri chiamano simbolicamente le suggestioni: <<testa del serpen-
te», ma anche «primogeniti d'Egitto» (nel linguaggio spirituale l'E-
gitto indica l'insieme delle passioni), o «bambini di Babilonia>> (anche
Babilonia indica la terra delle passioni abitate dai demoni). E quando
essi consigliano di sterminare impietosamente i pensieri alla loro na-
scita, essi ricordano spesso questi due versetti del Salmo 137[136],
8-9: <<Figlia di Babilonia, votata alla distruzione: beato chi ti ricambierà
quanto hai fatto a noi! Beato chi prenderà i tuoi pargoli e li sbatterà
contro la roccia» 159 . «La roccia>>, cioè, secondo l'interpretazione dei
Padri, il Cristo invocato nella preghiera.
507
brevità della sua formula, essa può essere, opportunamente, opposta
istantaneamente alla suggestione e permettere all'uomo di essere co-
sì rapido come questa nella sua reazione 163 ; come afferma san Gio"
vanni Climaco, essa permette di «respingere con una sola parola i peno
sieri nel momento stesso in cui si presentano» 164 . Dall'altro lato, la
continuità le permette di andare di pari passo con la vigilanza che
suppone questa stessa qualità. Infine e, soprattutto, il Nome di Gesù
che essa contiene è di grande forza contro i pensieri e contro coloro
che li suggeriscono, come afferma san Giovanni Climaco quando dà
questo consiglio: «Flagella i tuoi nemici con il Nome di Gesù, perché
non vi è arma più potente sia in cielo che sulla terra.>>165 . È proprio per
questo che sant'Esichio di Batos raccomanda: <<Per quanto spesso ac-
cada ai cattivi pensieri di moltiplicarsi in noi, gettiamo in mezzo ad
essi l'invocazione del nome di Nostro Signore Gesù Cristo. Li ve-
dremo allora svanire immediatamente come il fumo nell'aria, come ci
ha insegnato l' esperienza.>>166. Egli stesso consiglia, d'altronde, di <<gri-
dare verso il Cristo [. ..] subito dopo la confutazione. Allora colui che
combatte vedrà il nemico dissiparsi con la sua immagine, come pol-
vere al vento o fumo che svanisce, scacciato dal Nome adorabile di
GesÙ»167 .
Non si tratta, tuttavia, di una pratica magica: nell'invocare il Nome
di Gesù, l'uomo si rifugia nel Cristo 168 per riceverne protezione e
aiuto 169; per mezzo della preghiera egli chiede - e se prega corretta-
mente riceve -, la grazia che lo aiuta e con la quale egli vince i nemi-
ci170. Come afferma san Filotea il Sinaita, è «Gesù invocato» che «scac-
cia i demoni e i loro fantasmi» 171 .
Dinanzi ad avversari così astuti, senza la preghiera, l'uomo reste;
rebbe limitato alle proprie forze, e queste non gli basterebbero per ot"
tenere la vittoria172 • Sant'Esichio di Batos raccomanda: «Se ci affidia-
mo solo alla nostra vigilanza o alla nostra attenzione, saremo presto
travolti dai nemici, atterrati, noi cadremo. Ci impiglieremo sempre più
508
nelle loro reti: cioè nei cattivi pensieri.>>173 • «È impossibile scacciare la
suggestione cattiva senza l'invocazione di Gesù Cristo», egli arriva per-
sino ad affermare 174• Per mezzo della preghiera, infatti, l'uomo ottie-
ne l'indispensabile aiuto di Dio, la cui onniscenza sventa le astuzie dei
demoni e la cui onnipotenza annienta la loro forza. «Che mai cessi [ ...]
la preghiera al Cristo Gesù nostro Dio. Infatti non troverai in tutta la
tua vita soccorso più forte, al di fuori di Gesù. Solo il Signore, poi-
ché egli è Dio, conosce le furberie, le frodi e le astuzie dei demoni»,
scrive sant'Esichio di Batos175 • «Ricorri a Dio contro [i tuoi nemici],
gettando la tua impotenza dinanzi alla sua presenza, perché egli può
non solo chiudere loro la bocca, ma anche ridurli all'impotenza>>, con-
siglia da parte sua san Barsariufio176• È solo la preghiera che può non
solo respingere, ma distruggere il pensiero estraneo. «Ciò che spe-
gne e dissolve subito ogni pensiero, ogni parola, ogni fantasma, ogni
immagine, ogni male che suscitano in noi gli avversari, è l'invocazio-
ne del Signore», scrive ancora sant'Esichio di Batos177 • E san Filoteo il
Sinaita osserva allo stesso modo: <<ll ricordo [ ... ] di Gesù [. .. ] dissipa
naturalmente tutti i sortilegi dei pensieri, le riflessioni, i ragionamen-
ti, le immaginazioni, le forme tenebrose, in una parola, tutto quello
per rui il malfattore si prepara a combattere le anime e le affronta [ ... ].
Se lo si invoca, Gesù consuma tutto facilmente>>178•
. . Solo la preghiera può purificare totalmente il cuore 179 , cioè «di-
struggere fino al marchio e all'impulso della passione stessa>> 180, e can-
cellare completamente le tracce che i pensieri vi lasciano inevitabil-
mente dopo il loro passaggio, soprattutto se ci si è lasciati andare a di-
scutere con essi, e quindi a mescolarvi i propri pensieri181 •
È così che, per mezzo della preghiera unita alla vigilanza, e in par-
ticolare attraverso la preghiera di Gesù, <<noi curiamo [...] la casa del
nostro cuore», dice sant'Esichio di Batos182 , fino a fargli trovare la
·salute perfetta.
Raggiungere questo scopo, tuttavia, esige molta pazienza, e la rac-
509
comandazione di essere pazienti figura molto spesso insieme a quella
di essere vigilanti e di pregare183 , essendo questo un atteggiamento in-
dispensabile per condurre a buon fine la lotta contro i pensieri. Da
una parte, infatti, i pensieri riappaiono fintanto che non è distrutta la
loro radice, fintanto che sussistono nel cuore le disposizioni e pre&.
sposizioni sulla base delle quali essi nascono. Dall'altra parte, la lotta
eccita l'attività demoniaca e fa sovrabbondare le tentazioni. «Il Mali-
gno si arma contro di noi quanto più noi resistiamo ai suoi attacchi»,
osserva san Macario 184 • La lotta contro i pensieri è, dunque, un'opera
di lungo respira1 85 , e ottenere una vittoria totale su certi pensieri esi-
ge, talvolta, molte decine di anni di lotta assidua186, la quale è accom-
pagnata inevitabilmente da sofferenza187 • Durante tutto questo tempo,
lo scoraggiamento è in agguato permanente per colui che combatte;
La pazienza è, con la preghiera, un rimedio offerto all'uomo, come sot-.
tolinea sant'Ammona: «Sopportate [le tentazioni] fino a quando le su-
pererete [. .. ]. Ora, il rimedio per sopportare le tentazioni, è quello di
non scoraggiarvi e di pregare Dio rendendogli grazie con tutto il cuo-
re, mostrando pazienza in tutto, così esse si allontaneranno da vui>>188•
Con la preghiera, la pazienza appare come un mezzo sicuro per otte-
nere la vittoria. <<Fuggi la tentazione grazie alla pazienza e alla sup-
plica>>, consiglia san Marco l'Eremita189 • Ciò è conforme a quanto scri-
ve l'apostolo san Giacomo: «Beato l'uomo che sostiene la tentazione,
poiché, una volta collaudato, riceverà la corona della vita che Dio pro-
mise a quanti lo amano» (Gc 1,12); è anche uno dei significati di
questa promessa del Cristo: «Chi avrà perseverato sino alla fine que-
sti si salverà>> (Mt 10,22) 190 •
L'uomo deve pregare per essere paziente, come deve pregare per
essere vigilante191 : se la vigilanza suppone sforzo da parte dell'uomo,
per essere efficace essa deve esercitarsi in sinergia con la grazia di Did92•
183 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Lettere, VIlI, 193; XIII. BARSANUFIO, Lettere, 118.
184 Capitoli parafrasati, 132.
185 Cfr. MARCO L'EREMITA, A Nicola.
sano di essere giustificati per le loro opere, 68. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XIII, 144.
188 Lettere, IX, 2.
189 Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 98.
190 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 118.
191 Cfr. MARCO L'EREMITA, Il battesimo, 23. EslCHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 10; 94.
nobitiche, XII, 6, 2.
510
È per questo che i Padri, nell'esortare l'uomo ad essere vigilante, ri-
cordano che la vigilanza è un carisma193 , e tanto più quanto più essa
è perfetta. Ora, è particolarmente per mezzo della preghiera, e so-
prattUtto per mezzo della preghiera di Gesù che l'uomo può ricevere
questa gtazia194. Sant'Esichio di Batos scrive: <<La preghiera fonda nel-
lo spirito la vigilanza» 195 ; «se tu vuoi [. ..] conoscere facilmente la vi-
. gilanza del cuore, fa' che la preghiera di Gesù sia incollata al tuo re-
spiro»196.
Se la vigilanza è il frutto della preghiera, nondimeno essa è favori-
ta da alcuni atteggiamenti spirituali che in ogni caso devono accom-
pagnarla e con i quali essa deve formare, perché si compia come con-
viene <<l'opera del cuore», un insieme indissociabile: il digiuno 197 , il si-
lenzic198, la solitudine, il <<ricordo della morte>>199, e soprattutto il dolore
(pénthos) e l'umiltà200 . Il dolore e la compunzione favoriscono parti-
colarmente la vigilanza, nella misura in cui essi dànno all'uomo la pos-
sibilità di avere in permanenza una coscienza acuta dei propri pecca-
ti e delle passioni che abitano in lui. «Beato colui che ha sempre da-
vanti agli occhi i suoi peccati, perché un tale uomo sarà sempre
vigilante>>, afferma un Padre2°1• E Abba Isaia scrive: «Il dolore è vigi-
lanza perfetta: là dove non vi è dolore, non vi può essere vigilanza>>2°2.
7. Effetti terapeutici
193 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 197; 267. MACARIO D'EGrrro, Omelie (Coli. Il), XXXI, 5.
194 BARSANUFIO, Lettere, 197. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 26.
195 Capitoli sulla vigilanza, 94.
196 Ibid., 182. Cfr. 183.
197 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XIV, 21. F'ILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli nepti-
ci, 6; 15. .
198 Cfr. FILOTEO IL SINAITA, loc. cit., 6.
199 Cfr. ibid., 2; 6; 13. Esrcrno DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 17, 155; 189.
200 Cfr. FILOTEO IL SINAITA, foc. cit., 11; 13; 14. EsICHIO DI BATOS, loc. cit., 152; 168; 176; 189.
201 Apoftegmi, PE III, 35, 24-25.
202 Asceticon, 30, 4 B.
203 Cfr. DOROTEO DI GAZ.A, Istruzioni spirituali, X, 104.
204 Quaranta capitoli neptici, 14.
511
za e la salute dell'anima sono fatte di vigilanza e di attenzione>>, scrive
sant'Isacco il Siro205 .
Infatti, in questi atteggiamenti e in quelli che li accompagnano, lo
spirito «ritorna al suo proprio ordine>>206 , ritrova il suo stato normale
e la sua condizione naturale207 . La vigilanza in particolare è, come di-
ce san Filotea il Sinaita, <<il luogo dello spirit0>>2°8• Vladimiro Lossky
riassume bene l'insegnamento patristico quando afferma: «Lo spirito
umano, nel suo stato normale [. ..] è vigilante. Sono la sobrietà (nepsis),
l'attenzione del cuore (kardiaké prosochl), la facoltà di giudizio e di di-
scernimento delle cose spirituali (didkrisis), che caratterizzano l'esse-
re umano nel suo stato d'integrità.>>2°9•
Dire che lo spirito ritorna al suo ordine, che ritrova la sua normà-
le attività, significa dire in particolare che smette di essere trascinato,
suo malgrado, dalle immagini e dai pensieri, di essere catturato da es-
si, di essere sempre distratto, disperso, diviso, e infine reso loro schia-
vo210, e attraverso di essi dei demoni211 . La vigilanza ridona all'uomo la
perfetta padronanza dei suoi pensieri212 , perché nessuno di essi or-
mai sfugge alla sua attenzione, ma egli sottomette ciascuno di essi al
discernimento e l'accetta o lo rigetta secondo la sua natura buona o
cattiva. San Giovanni Cassiano scrive a questo proposito: <<ll centu-
rione del Vangelo è una felice figura dell'anima elevata a questa per-
fezione [... ]. Lungi dal lasciarsi trasportare da ogni pensiero che so-
praggiunge, egli accoglieva quelli buoni e scacciava senza alcuna dif-
ficoltà quelli cattivi, secondo il giudizio della sua prudenza [. .. ]:
"Anch'io, benché subalterno, ho sotto di me dei soldati; se dico a uno:
va'! questo va; a un altro: vieni! egli viene; o al mio servo: fa' questo!
egli lo fa" (Mt 8,9). Se, a nostra volta, lotteremo virilmente contro i
movimenti sregolati della nostra anima e contro i vizi, riusciremo a sot-
tometterli alla nostra autorità e al nostro discernimento; se, militan-
do nella nostra carne, possiamo spegnere le passioni, ridurre sotto il
210 Cfr. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 172. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, IV, 25;
· Xl, 120. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli.), II, N, 4; IX, 11. AMMONA, Istruzioni, IV, 52. lsAC-
co IL SIRO, Discorsi ascetici, 8 e 60; Lettere, 3. Apoftegmi, PE I, 24, 4. BASILIO DI CESAREA, Ome-
lia su queste parole: «Fa' attenzione a te stesso». NICEFORO IL SOUTARIO, Sulla vigilanza e la cu·
stodia del cuore.
211 Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 36. Apoftegmi, PE I, 24, 4.
212 Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 13.
512
controllo della ragione la truppa inconstante dei nostri pensieri, [. ..]
come premio per così eclatanti trionfi, ci vedremo elevati al rango di
questo centurione spirituale [ .. .]. Saliti, come lui, a questa dignità
così alta, avremo il potere e la forza di comandare: i pensieri che noi
non vogliamo più seguire non ci trascineranno più; ma ci sarà con-
sentito unirci a quelli che ci fanno pregustare le delizie dello spirito.
Alle suggestioni cattive comanderemo: "Andate via!", ed esse se ne
andranno; a quelle buone diremo: "Venite!", ed esse verranno»213 •
E non sono solo i pensieri coscienti che l'uomo arriva a sottomet-
tere al proprio giudizio e alla propria volontà, ma anche i pensieri che
prima erano in lui inconsci. Un'assidua pratica della vigilanza permette,
infatti, all'uomo di accedere al fondo nascosto della sua anima, di far
emergere il proprio inconscio spirituale alla superficie della sua co-
scienza. È nota questa constatazione di Evagrio ripresa da san Massi-
mo: «Numerose passioni sono nascoste nella nostra anima, che, anche
se ci sfuggono, ci vengono rivelate da tentazioni forti»214 • La vigilan-
za e la preghiera permettono all'uomo di scovarle, di purificarsene e
infine di preservarsene. È per questo che sant'Isacco scrive che «I' a-
scesi dell'intelligenza [che] è opera del cuore[. .. ] ci preserva dalle pas-
sioni segrete, perché non incontriamo nessuna di esse nel paese na-
scosto, nel paese spirituale»215 • Infatti, attraverso la pratica assidua del-
la vigilanza e della preghiera, lo spirito si purifica, si affina e si acuisce216 ,
percepisce il minimo pensiero, e diventa capace di discernerne esat-
tamente l'origine e la natura. Colui che combatte i pensieri, lo abbia- ·
mo sottolineato, vede questi moltiplicarsi: gli appaiono allora pensie-
ri che non aveva mai notato. La sua anima, che prima era come un la-
go la cui superficie presentava un'acqua apparentemente calma e
limpida, sotto i colpi della vigilanza e della preghiera si agita e s'in-
torbida, rivelando un contenuto torbido e nauseabondo, lasciando ap-
parire in superficie i rifiuti e la putrefazione che essa celava nel suo
fondo. A questo proposito san Diadoco scrive: «Come gli occhi del
nostro corpo, quando sono in buono stato, possono vedere tutto, per-
sino i moscerini e le zanzare che volteggiano nell'aria; mentre quando
sono velati da un turbamento[. .. ], se si presenta a loro qualche gran-
de oggetto, essi lo vedono confusamente, dal momento che i loro sen-
513
si visivi non percepiscono i piccoli; così avviene per l'anima: se essa in-
debolisce con l'attenzione l'accecamento che le viene dall'amore del
mondo, essa considererà grandissime le sue cadute anche più lievi>>2 17-.
E san Filoteo il Sinaita, dopo aver sottolineato che l'anima dell'uomo
decaduto «è incatenata nell'oscurità e [che] i suoi occhi interiori so~
no accecati», scrive: «Quando l'anima comincerà a pregare Dio e a ve-
gliare grazie alla preghiera, allora, grazie alla preghiera, essa sarà li-
berata dalle tenebre. È impossibile essere liberati in altro modo. In-
fatti, allora, l'anima può riconoscere che vi è all'interno del cuore
un'altra lotta, un' altta opposizione nascosta, un'altra guerra contro i
pensieri degli spiriti del male>>218 • Lo stesso autore dice ancora: «La vi-
gilanza illumina e purifica innanzitutto la coscienza. Poi, quando la co~
scienza è stata purificata, come una luce occultata che si accende im-
provvisamente, essa scaccia le grandi tenebre. E quando le tenebre so-
no state scacciate da una continua e vera vigilanza, la coscienza rivela
di nuovo ciò che era nascosto»219 •
514
purezza dei pensieri ha la sua origine nella sofferenza e nella vigilan-
za>>, .nota sant'Isacco223 • «Se siamo attivi e molto vigilanti, non trove-
remo sudiciume in noi stessi», afferma Abba Poemen224 • E san Niceforo
il Solitario scrive: «L'attenzione è il segno della penitenza compiuta
[. ..], è lo spogliamento dalle sue passioni [. ..] , è la certezza sicura del
perdono dei suoi peccati>>225 • San Diadoco di Foticea nota che l'ani-
ma, «quando ha iniziato a purificarsi per l'intensità della sua atten-
zione, sente allora, come un vero rimedio della vita, il timore divino
che la brucia, come attraverso l'azione dei suoi rimproveri, in un
fuoco· d'impassibilità»226• Quanto a sant'Esichio di Batos, egli consi-
dera la vigilanza e la preghiera come rimedi che permettono all'anima
di vomitare tutti i pensieri avvelenati che ha assorbito: «Come i cibi
nocivi danneggiano il corpo fin da quando li si ha assunti, ma colui
che ne ha mangiati può, grazie a qualche rimedio, vomitarli subito ap-
pena sente il male e non riceverne nocumento, così lo spirito, quando
ha ricevuto e assimilato pensieri cattivi e sente il loro amaro, li vomi-
ta facilmente e li rigetta completamente, per mezzo della preghiera
di Gesù detta dal fondo del cuore. Ciò è quanto, grazie a Dio [. .. ], l' e-
sperienza ha fatto conprendere a coloro che sono vigilanti»227 •
Infatti, la liberazione dai pensieri cattivi e dalle passioni avviene pro-
gressivamente. Se l'uomo si applica con pazienza e assiduità e in ma-
niera sistematica e costante a rigettare i pensieri fin dalla loro appari-
zione, riduce a poco a poco il loro numero e la loro forza e indeboli-
sce a poco a poco le passioni228 , da cui essi procedono o che ne proce-
dono, perché queste non trovano più nell'uomo il nutrimento che per-
metteva loro di sussistere. «I cattivi pensieri, se parli loro e se ti com-
piaci in essi, spingeranno sempre più le radici nel tuo cuore, cresce-
ranp.o e non se ne andranno più dal tuo cuore. Se, al contrario, non
parli loro, e se, anziché compiacerli, tu li hai in odio, periranno e usci-
ranno dal tuo cuore», afferma un Anziana229 •
·Questa pratica permette, dunque, non solo di respingere i pensieri ma
di arrivare fino a eliminarli e di distruggere le passioni stesse230 , e que-
. sto fino alla loro origine prima e fino a tutti i segni che essi hanno po-
515
tuto lasciare nell' anima231 • È per questo motivo che così scrive sant'Esi-
chio di Batos: «Se è osservata da noi, come si deve, la purezza del cuore,
cioè la sorveglianza e la custodia dello spirito [. ..], essa esclude dal cuo-
re tutte le passioni e tutto il male fino alla radice>>232 • È per questo che
egli definisce così la vigilanza: «Un metodo spirituale che, con l'aiuto di
Dio, libera interamente l'uomo dai pensieri e dalle parole passionali co-
me dalle azioni cattive, se è perseguita per lungo tempo e ardentemen-
te»; «è questa, aggiunge, che è propriamente la purezza del cuore»23:.
Liberando l'uomo dalle sue passioni, la vigilanza, insieme alla pre-
ghiera, contribuisce a collocare le virtù al loro posto234 • «L'attenzione,
dice san Niceforo il Solitario, ci fa spogliare delle passioni per rive-
stirci delle virtù>>235 • E sant'Esichio di Batos insegna: <<La vigilanza è la
guida di tutte le virtù e di tutti i comandamenti di Dio»236•
Antonio, 21. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. II), Iv, 4. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici,
VI, 52. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 166. BARSANUFIO, Lettere, 454. DOROTEO DI GAZA, Istru-
zioni spin.tuali, III, 46. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 23. Per la seconda espres-
sione: DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 97. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigi-
lanza, 113; 157; 168. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 26. I: espressione «custodia
dello spirito» s'applica tuttavia, anche e soprattutto, a un altro livello, come vedremo in seguito.
516
la profilassi è uno degli elementi della terapia, mentre nel secondo, si
tratta essenzialmente di evitare ogni ricaduta e conservare quanto ac-
quisito239, ossia la salute dell'anima. Ciò è quanto sottolinea esplicita-
mente san Barsanufio: «Rimaniamo nella preghiera per non ricadere
nelle stesse passioni o in altre. Se qualcuno, nel mangiare qualche cibo
si è rovinato lo stomaco, il fegato o l'intestino, una volta guarito per
la competenza e per le cure del medico, egli non si trascura per non
peggiorare, ricordandosi del pericolo passato, conformemente a ciò che
diceva il Signore a colui che era stato guarito da lui: "Ecco che sei gua-
rito. Non peccare più, perché non ti avvenga di peggio" (Gv 5,15)»240 •
San Doroteo di Gaza osserva la stessa cosa, anche se a un livello più
generale: quanto al corpo, «se si vive in modo disordinato, senza vigi-
lare sulla salute, si produce sia una pletora sia una carenza (di umo-
ri), e da qui segue uno squilibrio»; la stessa cosa avviene per l'anima:
se l'uomo <<manca di vigilanza e non si riguarda, si allontana facilmente
dal cammino, sia a destra che a sinistra [... ] e provoca questa malattia
che è il male»241 • Sant'Isacco il Siro scrive con molta precisione: «La
ricchezza e la salute dell'anima sono fatte di sobrietà v1gile e di atten-
zione. Fintanto che un uomo vive, ha bisogno della sobrietà vigile, del-
1'attenzione, di stare ali' erta, per custodire il suo tesoro. Ma se egli tra-
scura queste condizioni, si ammala e il suo t~soro gli sarà rubato»242 •
517
interiori rimangono nella calma246 • Poiché questa pace interiore deri- ·
va dalla pratica della vigilanza, e a un tempo dalla padronanza dei pen-
sieri, dall'eliminazione delle passioni, dalla vittoria sui demoni, dalla
calma delle facoltà e dal silenzio dei pensieri che risultano da tutto
questo, tale pace interiore corrisponde a uno dei principali significati
del termine hesychia, che molto spesso s'incontra nei testi ascetici247 • I
Padri considerano l' hesychia un effetto tanto caratteristico della vigi-
lanza248 da ritenere il compimento di questa come un sinonimo di
quella249 •
gilanza, 7. .
249 Cfr. ESICHIO DI BATOS, loc. cit., 3; 5; 10; 15; 27. NICEFORO IL SOLITARIO, Sulla vigilanza e
518
rire l'uomo, sostituendo in lui i diversi stati patologici che il peccato
aveva stabilito in lui e che sono, nei riguardi del suo vero essere, e
soprattutto di Dio: il sonno spirituale253 , l'indifferenza254 , l' oblio255 , l'in-
dolenza256, la negligenza257 , la distrazione258, l'incoscienza e l'ignoran-
za259, ove i tre più importanti (ai quali si possono ricondurre gli altri)
sono l'oblio, la negligenza e l'ignoranza, che san Marco l'Eremita
(seguito da san Giovanni Damasceno) 260 chiama «i tre giganti stra-
nieri» o <<le tre potenze giganti del diavolo», grazie ai quali, egli af-
ferma, <<il resto delle passioni cresce e si fortifica>>, per mezzo dei qua-
li <<tutto l'esercito degli spiriti del male si insinua, si afferma e può rea-
lizzare i suoi disegni, ma senza [i quali] esso non può mantenersi>>261 .
Si vede, dunque, come sia fondamentale il ruolo che la vigilanza e
le virtù affini svolgono nella guarigione spirituale dell'uomo e nel
suo ritorno alla salute.
255 Cfr. Mc 13,35-36; lTs 5,6. BARSANUFIO, Lettere, 197. BASILIO DI CESAREA, Omelia su
queste parole: «Fa' attenzione a te stesso».
254 Cfr. EsICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 86.
255 Apoftegmi, serie alfabetica, Orsirio, 2. Ibid., N 273. EsICHIO DI BATOS, !oc. cit., 102; 120;
Orsirio, 2; Sindetico, 17. Ibid., N 273;N 401. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 120.
MARco LEREMITA, A Nicola, 12-13.
258 Cfr. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 660. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 73. GIOVANNI Cu-
519
VI
t. Il, p. 232).
5 Cfr. NICETA S1ETATOS, Centurie, Il, 9. MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 47,
520
mero, fame e sete, digiuno frequente, freddo e nudità>> (2Cor 11,27; cfr.
11,23-26).
Queste pratiche ascetiche non sono fine a se stesse, e la sofferenza
più o meno grande che le accompagna molto spesso non è affatto le-
gata a una volontà di autopunizione, di espiazione, o di «soddisfa-
zione».
Esse consistono, certamente, nell'indebolire il corpo6 e nell'assu-
merne le sofferenze, ma hanno altresì lo scopo di sottometterlo ali' a-
nima, alla ragione, allo spiritc7; di puri:ficarlo8 , per mortificare le pas-
sioni9 che sono ad esso legate; e, attraverso di esso, di purificare l' a-
nima; infine, di abolire alcuni stati che possono ostacolare alcune
funzioni dell'anima e costituire un disagio per la vita spirituale. In ogni
caso, l'ascesi fisica è al servizio dell'ascesi interiore. In qualche mo-
do, essa gioca il ruolo di una terapia coadiuvante. Per questo i Padri
considerano le sofferenze da essa generate come rimedi. Ecco quanto
scrive a questo riguardo sant'Elia l'Ecdico: «Allontànati [dalla tua ma-
lattia] usando rimedi drastici con l'amore della sofferenza (philoponia),
se hai cura della salute della tua anima»10 •
I Padri considerano come rimedi anche quelle sofferenze che arri-
vano all'uomo dall'esterno, involontariamente, e che egli assume allo
stesso modo delle precedenti. Se Dio non sempre le vuole (perché spes-
so queste sono manifestazioni del male), egli nondimeno vuole che,
quando sopraggiungono, l'uomo le volga a suo profitto spirituale. È
per questo che sant'Isacco il Siro parla di queste «prove» come «dei
molti rimedi [che] il Medico vero invia per la salute del[l'Juomo in-
teriore»11. Ed egli dice, rivolgendosi a Dio: «Tu hai voluto che io trag-
ga il mio bene dalle mie prove e che la mia anima sia conservata sana ·
presso di te» 12 • San Massimo, da parte sua, ricordando le sofferenze
volontarie e involontarie, sottolinea che quest'ultime sono inviate da
Dio a ciuscuno secondo la forma più appropriata per la sua guari-
gione. «Come i medici che curano il corpo non dànno a tutti un uni-
co e medesimo rimedio, così Dio, che guarisce le malattie dell'anima,
non conosce un trattamento uguale per tutti, ma quando egli ha at-
11 Discorsi ascetici, 8.
12 Ibid., 50.
521
tribuito a ciascuna anima ciò che le è necessario, egli compie le guari-
gioni. Noi che siamo curati in questo modo, rendiamo, quindi, grazie,
anche se ciò che ci capita è una dura prova»13 • E san Marco l'Eremi-
ta osserva: «Tuttavia quando un'anima sprofondata nel peccato non
accetta le tribolazioni che le capitano, allora gli angeli dicono a suo ri-
guardo: "Abbiamo curato Babilonia ed essa non è stata guarita"» 14 ~
I Padri sottolineano, tra l'altro, che tanto più l'uomo subisce soffe-
renze involontarie quanto meno ha sottomesso se stesso alle sofferen"
ze dell'ascesi15 , il che costituisce non un castigo per la sua negligenza,
ma un dono della provvidenza di Dio per permettergli di ricevere be-
ni spirituali che altrimenti gli sarebbero inaccessibili. Essi insistono sul
fatto che non è possibile all'uomo, senza pena e senza sofferenza,
non solo essere purificato dalla benché minima passione ma anche ac-
quistare la benché minima virtù, passare dallo stato di creatura deca-
duta a quello di «creatura nuova». <<La conversione, il passaggio dal
contro-natura al secondo-natura, avviene attraverso l'ascesi e le soffe-
renze», nota san Giovanni Damasceno 16 • Sant'Isacco il Siro lo ripete
molte volte: <<l comandamenti di Dio si realizzano nelle afflizioni e nei
tormenri>>17; «L'origine della virtù è la via stretta della sofferenza»18 ; <<Le
virtù sono legate alle afflizioni. Colui che si libera dalle afflizioni si li-
bera inevitabilmente dalla virtù. Se tu desideri la virtù, accetta di es-
sere trattato duramente» 19 • «Non ti meravigliare, quando inizi ad
avere la virtù, se da ogni parte ti assalgono la durezza e la violenza del-
le afflizioni. Infatti, una virtù che non fosse praticata nella difficoltà
non potrebbe essere una virtù. È proprio questa difficoltà che fa sì che
la si chiami virtù come ha detto san Giovanni: "La virtù deriva abi-
tualmente dalla difficoltà. Quando è legata al conforto, è biasimevo"
le". Anche il beato Marco l'Eremita ha detto: "Ogni virtù è tale se è
una croce"»20 • Ancora più grande è la sofferenza necessaria alla puri-
ficazione delle passioni che l'acquisizione delle virtù presuppone, .co-
me sottolinea san Giovanni Cassiano: «Ci costerà due volte di più di
lavoro e di sofferenza espellere i vizi che acquistare le VlltID>21 • Si trat-
13 Dieci capitoli, 5.
14 Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 75.
15 Cfr. NICETA STETATOS, Centurie, II, 9.
16 Esposi;;;Jone esatta della fede ortodossa, II, 30.
17 Discorsi ascetici, 27.
18 Ibid.
19 Ibid., 37.
20 Ibid., 19.
21 Conferenze, XIV, 3.
522
ta, infatti, per l'uomo di rompere i legami che lo legano molto forte-
mente a questo mondo, di rinunciare a quelle tendenze che sono co-
stitutive della sua natura decaduta e che sono per lui come una seconda
natura, tanto più che esse si sono incrostate e fortificate con I'abitu-
dine. San Giovanni Climaco ricorda che.l'uomo è qui nella situazio-
ne di un grande malato che non potrebbe ottenere un miglioramento
immediato del suo stato: «Colui che ha sofferto una lunga malattia non
potrà recuperare la salute in un istante; allo stesso modo è impossibi-
le dominare in un sol colpo le passioni o anche soltanto una sola pas-
sione»22. San Gregorio di Nissa si pone ugualmente da un punto di vi-
sta medico per ricordare il carattere inevitabile delle sofferenze e dei
dolori legati al trattamento e in parte spiegarli: paragonando le pas-
sioni a delle verruche (paragone pienamente giustificato nella misura
in cui le passioni sono, in rapporto alla natura originale dell'uomo, del-
le escrescenze patologiche, delle aggiunte contro natura), egli scrive:
<<A motivo della grande affinità che si è stabilita tra lanima e il male,
ecco cosa avviene: l'incisione della.verruca provoca un vivo dolore al-
la superficie del corpo: infatti ciò che si è sviluppato nella natura
contro la natura stessa entra nella sostanza per una sorta di simpatia,
e si produce una mescolanza inattesa dell'elemento estraneo con il no-
stro proprio essere, di modo che il fatto di separare l'elemento con-
tro natura provoca una sensazione dolorosa e acuta.>>23 •
Posti questi preliminari, è necessario presentare con più precisione
le finalità dell'ascesi fisica e di ciò che può sostituirla.
523
do l'anima vive la.stessa vita del corpo, non è questo il suo stato na-
turale»26. Perché possa ritrovare il suo stato naturale e vivere spiri-
tualmente, cioè in sottomissione allo Spirito, è indispensabile che ri-
trovi la sua indipendenza in rapporto al corpo e il dominio di questo27 •
Il regno dello spirito suppone <<la crocifissione del corpo»28 • Nel mo-
mento in cui cessa di essere sottomessa al corpo, di essere dominata
dalle sue preoccupazioni, di dedicare le sue capacità a soddisfare le
sue brame, di essere disturbata da esso, l'anima conoscerà una vita
nuova in cui potrà sbocciare pienamente nel senso e sotto la forma
adatti alla propria natura29 •
Il dominio del corpo, dunque, non è qui ricercato per se stesso
come in alcune pratiche non cristiane, i cui precetti «hanno in verità
un'apparenza di sapienza per quanto riguarda sia il culto volontario
dell'umiltà che il trattamento rigoroso del corpo», ma in fondo sono
«senza valore» e servono solo «a saziare la carne» come insegna l'A-
postolo (Col 2,23). Ciò a cui mira l'ascesi fisica cristiana è la pietà, co-
me dice ancora l'Apostolo, perché <<l'esercizio corporale» in sé «è uti-
le a poco, mentre la pietà è utile a tutto» (lTm 4,8).
Abbiamo mostrato altrove3° come la sofferenza legata alle malattie
del corpo poteva essere assunta spiritualmente in Cristo e acquisire
così una funzione purificatrice. Le stesse osservazioni possono essere
fatte a proposito delle sofferenze che accompagnano l'ascesi. I Padri
sottolineano il potere che esse hanno, per grazia di Dio, di purificare
l'uomo dai suoi peccati e dalle passioni31 • «Il dolore fisico che pro-
viene dal digiuno, dalle veglie e da altre pratiche simili», «è il solo [ ... ]
che fa morire la peccabilità del corpo», nota san Gregorio Palamas32 •
E san Niceta Stetato: «Noi siamo purificati dalle sozzure del peccato
o per mezzo delle sofferenze volontarie o attraverso quelle che ci ar-
rivano nostro malgrado»33 • Questo insegnamento è conforme al con-
siglio dell'apostolo Pietro: «Avendo Cristo sofferto nella carne, ar-
matevi anche voi della stessa mentalità, perché chi soffre nella carne
ha rotto col peccato» (lPt 4,1).
la, rv.
32 Triadi, Il, 2, 6.
33 Centurie, II, 9.
524
Per quanto riguarda le «passioni fisiche», cioè le passioni imme-
diatamente legate al corpo, come la gastrimargia e la lussuria, occorre
sottolineare che l'ascesi fisica è indispensabile per ridurle34 • «La ga-
strimargia e la lussuria [. ..] hanno bisogno, per consumarsi, di un og- .
getto esteriore, e giungono all'effetto solo mediante un'azione del cor-
po», ricorda san Giovanni Cassiano35 • Mentre le passioni <<nate su isti-
gazione solo dell'anima», «non reclamano allora che semplici rimedi
dell'anima>>36 , le «passioni corporee» <<non guariscono se non attra-
verso un duplice trattamento»37 • <<Non basta, per frenarne gli attacchi,
l'applicazione dello spirito - come avviene ordinariamente per la
collera, la tristezza e gli altri vizi, in cui, senza affliggere la carne, la so-
la industria dell'anima sa guadagnare la vittoria -, occorrono anche la
mortificazione fisica, le veglie, i digiuni, il lavoro che affatica il cor-
po, ai quali si aggiungerà la fuga dalle occasioni. r; anima e il corpo
concorrono alla loro nascita; non le si potrà vincere senza che sia l'u-
na che l'altro vi concorran0>>3 8 • r; ascesi fisica appare qui come la com-
pagna indispensabile della temperanza39 , che essa, peraltro, contri-
buisce a stabilire nell' anima40 •
Benché l'ascesi fisica si applichi essenzialmente alle <<passioni fisi-
che», ha tuttavia un ruolo non trascurabile da giocare nella lotta con-
tro le «passioni dell'anima>>. Questo può certo sembrare strano. Ecco
perché i Padri, prima di dare i loro insegnamenti su questo punto,
riconoscono generalmente che ciò suscita interrogativi. Così san Do-
roteo di Gaza: «Quale influsso può avere il lavoro del corpo su una
disposizione dell'anima?»41 ; «Come le fatiche del corpo sono virtù del-
1'anima?»42 •
La risposta a queste domande si trova nel legame che unisce il cor-
po all'anima nelle condizioni di esistenza terrena del «composto uma-
no». r; anima, scrive sant'Isacco il Siro, «partecipa naturalmentt»alle
afflizioni del corpo, poiché il suo movimento è stato legato a quello
del corpo da una sapienza incomprensibile»43 ; «essa vive la vita stes-
525
sa del corpo»44 • D'altra parte possiamo dire, e più in generale, che le
condizioni di esistenza materiale dell'uomo hanno una certa inciden-
za sul suo stato interiore. San Doroteo di Gaza fa notare: <<Le dispo-
sizioni dell'anima non sono le stesse nel sano o nel malato, in colui che
ha fame e in colui che è sazio. Esse non sono affatto le stesse in un uo-
mo che viaggia a cavallo o in un uomo che cavalca un asino, in colUi
che siede su un trono o in colui che siede per terra, in colui che in-
dossa dei bei vestiti o in colui che è vestito miseramente»45 ; Così l'a-
nima risente di tutto ciò che fa o subisce il corpo46, e questo principio
vale anche nell'altro senso. <<La sofferenza accolta di buon grado» nel-
lo spirito o nel corpo, nota san Marco l'Eremita; <<lavora per il part-
ner, quella del pensiero per il corpo, quella del corpo per il pensiero»47•
Studiando il processo della caduta, abbiamo visto come l'uomo si
sia allontanato dalle realtà spirituali per volgersi verso quelle sensibi-
li, cedendo attraverso la mediazione dei sensi all'attrazione del piace-
re, provando allora per il suo corpo un amore irrazionale e sforzan-
dosi di soddisfarne le brame (cfr. Rm 13,14), cioè cadendo nella fi-
lautia, madre di tutte le passioni. I.;ascesi fisica contribuisce a rovesciare
questo processo. Questo legame naturale dell'anima e del corpo, che
ha permesso al peccato di stabilire e rafforzare le passioni, essa lo
usa al contrario per ridurre le passioni e ristabilire le virtù48 •
Trattando duramente il corpo (cfr. lCor 9;2.7), l'ascesi si oppone di-
rettamente alla filautia e colpisce in un sol colpo le passioni che essa
genera, favorendo correlativamente la nascita delle virtù corrispon-
denti. <<La filautia precede tutte le passioni. E il disprezzo del riposo
del corpo precede tutte le virtù», osserva sant'Isacco49 • Egli dice an-
che, per sottolineare il valore terapeutico delle sofferenze che l'uomo
impone a se stesso, ma anche di quelle che arrivano dall'esterno e che
egli assume allo stesso modo delle prime: «Come i rimedi purificano
e scacciano dal corpo gli umori cattivi, così anche la violenza dei tor-
menti purifica e scaccia dal cuore i vizi»50 •
Questo contributo essenziale delle sofferenze dell'ascesi alla gua-
rigione dalle passioni e, in primo luogo, quella della loro madre, cioè
44 lbid.
45 Istruzioni spirituali, II, 19. Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 57.
46 DOROTEO DI GAZA, loc. cit. Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 16.
"'Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 44.
48 Cfr ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 27.
49 lbid., 71.
' 0 Ibid.
526
la :filautia, si spiega per il fatto che esse sono antagoniste del piacere
di cui esse si nutrono. È per questo che san Talassio scrive: «Il lungo
amore per la pena (philoponia) bandisce l'amore del piacere (phile-
donia)»51. E ancora: «La vita dura e l'afflizione - o volontarie o susci-
tate dalla Provvidenza - cancellano il piacere»52 • <<Le afflizioni ucci-
dono il piacere delle passioni, mentre il conforto lo nutre e lo accre-
sce», scrive da parte sua sant'Isacco53 • E san Niceta Stetatos consiglia:
<<Colui che si è asservito fino alla sazietà ai piaceri e alle opere del cor-
po, si dedichi fino alla sazietà alle pene dell'ascesi nel sudore della
vita dura. La sazietà rovesci allora [. ..] la sazietà, il dolore il piacere,
e le fatiche del corpo il conforto>>54 • È così che per mezzo dell'ascesi
l'uomo diviene allora progressivamente insensibile agli appetiti car-
nali5.5. San Massimo, che, lo abbiamo visto, attribuisce nel processo
della caduta dell'uomo un ruolo fondamentale alla ricerca del piacere
e all'allontanamento del dolore, vede nelle sofferenze volontarie del-
l'ascesi e nelle sofferenze involontarie assunte come quelle56 , un mez-
zo privilegiato del ritorno dell'uomo al suo stato originale57 • A que-
sto proposito egli scrive: <<lngannati all'inizio dall'illusione del piace-
re, abbiamo preferito la morte alla vera vita. Abbiamo, dunque, cono-
sciuto con gratitudine la pena del corpo che distrugge il piacere. Poi-
ché dunque la morte del piacere fa scomparire con sé la morte che
questo aveva suscitato, riceviamo per contro, tornando in noi, la vita
[... ]»58 • Mentre dalla ricerca del piacere e dall'allontanamento del
dolore derivano tutte le passioni, l'accettazione delle sofferenze per-
mette l'eliminazione delle passioni e l'acquisto delle virtù: «Se, quan-
do la carne è trattata bene, la forza del peccato ha l'abitudine di ere-
.scere,. ne segue allora che la forza della virtù si eleva naturalmente e
a buon diritto quando la carne è maltrattata>>59 ; <<Lottare nelle pene è
il combattimento della virtù, il prezzo della vittoria che porta, in co-
loro che dànno prova di pazienza, l'impassibilità dell'anima>>60 •
In modo particolare, l'ascesi riduce le passioni che nascono dalla
527
parte passionale dell'anima (costituita, ricordiamolo, dalla potenza ira-
scibile e dalla potenza concupiscibile), il cui legame con il corpo è il
più immediato. È per questo che Evagrio insegna che il lavoro, il di-
giuno, le veglie <<gUariscono la parte passionale dell' anima>>61 • San Mas-
simo, ugualmente, considera queste pratiche come «rime<li>>62 • Sant'E-
sichio di.Batos, da parte sua, scrive: <<L'ascesi fisica, voglio dire il di-
giuno, la temperanza, il dormire sul duro, lo stare in piedi, la veglia e
tutte le altre cose che colpiscono naturalmente il corpo, calmano la sua
parte passionale liberandolo dal peccato attivo. Queste cose [. .. ] edu-
cano il nostro uomo esteriOre e ci difendono dalle passioni attive»63 •
Sono le passioni della potenza concupiscibile le più suscettibili di
essere contenute e ridotte attraverso l'ascesi fisica: «Alcuni rimedi im-
mobilizzano le passioni, impediscono loro di mettersi in moto e di in-
tensificarsi [ ... ]. Così il digiuno, la sofferenza (k6pos) 64, le veglie, im-
pediscono alla cupidigia di prendere forza, scrive san Massimo65 • Ed
Evagrio: «Quando la concupiscenza è infiammata, la fame, la pena (k6-
pos) e la solitudine la spengono» 66 • Questo effetto dell'ascesi sulla
potenza concupiscibile è correlativo al potere che l'ascesi ha di ri-
durre l'attrazione che esercita sull'uomo il piacere sensibile. «Se la po-
tenza concupiscibile dell'anima è troppo spesso eccitata, essa crea una
propensione abituale per il piacere, di cui si faticherà à disfarsi [ .. .]. Il
rimedio [ ... ] è quello della pratica assidua del digiuno, delle veglie e
della preghiera>>, nota san Massimo67 •
Gli effetti dell'ascesi, se si manifestano prima di tutto sulla parte
passionale dell'anima, si fanno vedere anche sulla sua parte razionale,
in particolare nella lotta contro l'orgoglio e la cenodossia che sono le
passioni sue proprie, e nell'acquisizione correlativa della virtù dell'u-
miltà. «Il cammino che conduce all'umiltà è quello del lavoro fisi-
co», insegna un Anziano68• Il legame tra ciò che il corpo subisce per il
fatto dell'ascesi e ciò che l'anima prova correlativamente appare qui
molto chiaramente. «Perché si dice che i lavori fisici portano l'anima
528
all'umiltà?», si chiede san Doroteo di Gaza69 a proposito dell' affer-
mazione precedente. E risponde: <<L'anima infelice soffre con il cor-
po, ed essa stessa risente di tutto ciò che esso fa [... ]. Il lavoro umilia
il corpo, e quando il corpo è umiliato, lo è anche l'anima, in modo che
l'Anziano ha avuto ragione di dire che anche il lavoro fisico conduce
all'umiltà>>70 •
Mentre un corpo troppo ben nutrito e riposato dà all'uomo una fal-
sa impressione di pienezza e di autonomia che introduce in lui l' or-
goglio, l'ascesi, indebolendo il suo corpo, gli fa sentire la sua reale fra-
gilità, la debolezza della sua natura attuale, il carattere effimero della
sua esistenza fisica e terrena, la relatività del suo essere, e lo conduce
così all'umiltà. <<Più aumentano le sofferenze, più diminuisce la suffi-
cienza», fa notare sant'Isacco71 •
Nello stesso tempo e per la stessa ragione, l'ascesi fisica conduce
l'anima a un atteggiamento di compunzione72 , sentimento doloroso
che l'uomo ha del suo stato di peccato, della sua debolezza spirituale,
e della distanza che lo separa da Dio.
Essa ha, inoltre, l'effetto di ridurre il numero, il movimento e la for-
za dei pensieri passionali che si presentano all'intelligenza73 e contri-
bUisce a stabilire la calma (hesychfa) in questa, perché, nota sant'I-
sacco, «i pensieri non possono divagare nel vuoto quando il corpo è
afflitto. Quando si sopportano nella gioia le pene e i tormenti, si pos-
sono decisamente frenare i pensieri>>74 •
Vediamo, dunque, che l'ascesi fisica non educa solo <<l'uomo este-
riore» e non lo preserva solo dalle «passioni attive», come sottolinea-
to da sant'Esichio di Batos, ma purifica anche l'uomo interiore aiu-
tandolo a lottare contro i pensieri.
"Cfr. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 27. GREGORIO PALAMAS, Triadi, II, 2, 6.
74 Discorsi ascetici, 27. .
529
e deboli i pensieri che provocano le passioni brutali. Inoltre, all'inizio,
è questo che porta la santa compunzione, che cancella così il sudi-
ciume passato, che attrae più di ogni altra cosa il favore divino e pro-
voca una buona disposizione alla preghiera. Infatti "Un cuore con-
trito tu non disprezzi, o Dio" secondo Davide (Sal 51[50],19) e, se-
condo Gregorio il Teologo, "non possiamo servire Dio se non per
mezzo della mortificazione" 75 • Ecco perché il Signore ha insegnato nel
Vangelo che la preghiera può molto quando è unita al digiuno»76 •
L'ascesi fisica non contribuisce solo a purificare lo spirito, essa lo
affina anche, e lo rende più leggero e più atto a tutte le sue funzioni
spirituali77 • Il digiuno e le veglie in particolare hanno questo effetto.
Nel purificare e nell'affinare lo spirito, l'ascesi fisica contribuisce
a istradarlo verso la contemplazione78 • La sofferenza che gli è legata
è la condizione provvisoria per accedere al godimento dei beni del Re-
gno che lo ricompenserà infinitamente: «Le sofferenze del tempo pre-
sente non hanno un valore proporzionato alla gloria che si manifesterà
in noi>> (Rm 8,18). .
530
cidere il nostro corpo, ma a uccidere le nostre passioni»80• E dicendo
ancora: «Se con lo spirito ucciderete le azioni del corpo, vivrete>> (Rm
8,13 ), l'Apostolo indica da una parte che l'ascesi non mira al corpo
stesso ma alle sue passioni, e, dall'altra parte, che il suo fine ultimo è
la vita in Dio. Lottare contro il corpo, questo sarebbe ingannarsi sul-
1' avversario e ignorare la finalità vera dell'ascesi. È per questo che san
Paolo, pur dicendo: «Tratto duramente il mio corpo» (lCor 9;2.7), sot-
tolinea: «Nessuno mai ha odiato la propria carne, al contrario la trat-
ta con cura, come anche il Cristo la sua Chiesa» (E/5,29) 81 •
,Il corpo nella vita spirituale dev'essere il collaboratore dell'anima.
Egli stesso deve compiere la volontà di Dio e servire l'anima in tutta
lampiezza delle sue relazioni con essa, aiutandola con tutte le sue for-
ze. Ecco perché, in tale prospettiva, l'uomo deve non solo non odia-
re il suo corpo, ma anche, come dice san Massimo, «amarlo, ma sen-
za passione; mantenerlo, ma come semplice seivitore delle cose divi-
ne»82. Anche san Basilio di Ancira consiglia di curare il corpo come
un aiuto senza il quale la vita spirituale sarebbe impossibile: «Occor-
re avere cura anche del corpo, non perché è il corpo, ma al fine di ave-
re un aiuto, dico io, per la :filosofia83 , sia di essere in grado di leggere
i :filùsofi, sia di concentrare come occorre nella preghiera lo spirito che
langue nel corpo, sia, in modo generale, di fare tutto ciò che riguar-
da la filosofia»84 • Nel brano della sua Regola in cui ricorda l'ascesi fi-
sica, san Nil Sorsky consiglia a questo riguardo: «Se il corpo è inca-
pace, è opportuno fortificarlo per quanto è necessario»85 •
Debilitare il corpo sarebbe renderlo inadatto al suo compito spiri-
tuale e ciò significherebbe indebolire l'anima (visto il legame che li uni-
sce); vorrebbe dire anche, in alcuni casi, trascinarlo al peccato. Un'a-
scesi fisica mal condotta ed eccessiva, anziché contribuire all'indebo-
limento delle passioni, rischia di suscitarle e di dar loro forza, anziché
elevare lo spirito, di abbassarlo a preoccupazioni terrene, a motivo, in
particolare, del dolore sentito che, se è troppo forte, può diventare os-
sessionante e richiamare su di sé tutta l'attenzione. San Gregorio di
83 Ricordiamo che, nel linguaggio patristico, «la filosofia>> indica generalmente la vita spiri-
tuale, più precisamente la prixis o l'ascesi nel senso ampio del tepnine e «i filosofi>> coloro che
conducono una tale vita. Cfr. A.-M. MALlNGREY, «Philosophia». Etude d'un groupe de mots dans
la Littérature grecque des Présocratiques au IV siècle après ].-C., Paris 1961.
84 Trattato sulla verginità, 11.
85 Regola, Iv.
531
Nissa e san Basilio di Ancira mettono molto in guardia contro que-
sto pericolo86 • L'ultimo dei due scrive in particolare: «Se il dominio del
corpo sull'anima è un impedimento ali' acquisto del bene, d'altro la-
to la sua debolezza, quando fa sì che lo strumento corporeo sia inca-
pace di servire i desideri dell'anima, elimina allo stesso modo la cor-
sa al bene>>87 • San Gregorio Magno consiglia in questa prospettiva: <<At-
traverso l'ascesi sono i vizi della carne che si vogliono estirpare, non
la carne stessa. Ciascuno deve rendersi padrone del suo corpo, ma con
una moderazione tale che la carne, rivoltandosi, non arrivi a spinger-
ci a commettere qualche colpa, e che essa conservi abbastanza vitalità
per continuare efficacemente a compiere bene ciò che deve fare»88•
La finalità dell'ascesi fisica, che è quella di favorire la vita spiritua-
le, non deve dunque mai essere persa di vista. Lo scopo ultimo del-
1'ascesi, dice san Gregorio di Nissa, «è quello di mirare non a oppri-
mere il corpo, ma a facilitare le funzioni dell'anima>>89 • Sulla base di
questo principio, la regola pratica dell'ascesi dev'essere, come indica
san Gregorio di Nissa, quella «di guardarsi anche dalle mancanze di
moderazione da una parte e dall'altra vegliando affinché la prosperità
della carne non seppellisca lo spirito (nous) e affinché, al contrario,
la sua estenuazione gratuita non lo debiliti totalmente, non lo pro-
stri, lasciandolo assorbito dalle sofferenze fisiche. Sarebbe opportuno,
altresì, ricordarsi della saggia prescrizione che vieta anche di voltarsi
a destra o nella direzione opposta (dr. Pro 4,27)»90 • Si tratterà di fare
in modo «che l'abbondanza non abbia nulla di troppo e che l'indi-
genza non manchi cli nulla>> (dr. 2Cor 8,15; Es 16,18), «ma eliminan-
do ciò che passa la misura nell'uno o nell'altro senso, si avrà cura di
aggiungere ciò che manca, e ci si guarderà con uguale zelo da ciò
che rende il corpo inutilizzabile nell'uno e nell'altro caso: non spin-
gendo affatto la carne, per un benessere eccessivo, all'indisciplina e al-
l'indocilità, né rendendola, con un'oppressione eccessiva, malsana, de-
bole e senza vigore per il servizio che essa deve rendere»91 • Le stesse
raccomandazioni sono fornite da san Basilio di Ancira92 che scrive in
particolare: «Con questo rivestimento [il corpo], al quale ci unisce un
86 GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità, XII, 1. BASIUO D' ANCIRA, Trattato sulla ver-
ginità, 8.
"'Loc. cit., 10. Cfr. 11.
88 Moralia su Giobbe, LXX, 41. Cfr. XXX, 18.
89 Trattato sulla verginità, XXII, 2.
90 Ibid., XXII, 1.
91 Ibid., XXII, 2. Cfr. BASILIO DI CESAREA, Sermone ascetico, III, PG 31, 876D.
92 Trattato sulla verginità, 8-11.
532
legame naturale, occorre avanzare nella corsa della virtù, evitando
sia di troppo rilasciare le briglie sia di tirarle molto forte. Così per que-
sta ragione, è opportuno esaminare accuratamente lo stato nel quale
si trova il corpo»93 •
Questo esame e la definizione della giusta misura dell'ascesi.fisica
provengono da una delle funzioni della virtù della prudenza, cioè
del discernimento spirituale94 , di cui abbiamo già parlato.
•; Ibid., 8. Il grande asceta, che è sant' Arsenio, invita ad altrettanta moderazione nella sua
Lettera (71; 72). Vedi anche TALASSIO, Centurie, ill, 12.
94 Cfr. GIOVANNI CAsSIANO, Conferenze, II, 16s. Occorre notare che il termine discretio, usa-
533
PARTE QUINTA
1 Moralia su Giobbe, XXX, 18. Troviamo lo stesso insegnamento in GIOVANNI CASSIANO, Isti-
specificamente opposta alla passione della gastrimargia, da un certo numero di Padri, in parti-
colare da EVAGRIO PONTICO (dr. Trattato pratico sulla vita monastica, 89; Commento ai Salmi,
45, 2, PG 12, 1433B) e da san BARSANUFIO (cfr. Lettere, 86; 154; 159; 160; 255; 323; 546, ecc.).
537
che le è opposta, consisteranno innanzitutto nell'operare un rovescia-
mento di questo atteggiamento. In altri termini, consisteranno nel pren-
dere il nutrimento esclusivamente per bisogno, cioè unicamente in vi-
sta di assicurare la vita e di maritenere o di ristabilire la salute del cor-
po, evitando, da una parte, ogni ricerca di voluttà sensibile e, dall'altra,
ogni eccesso riguardante la stretta necessità.3. A tale proposito san Ba-
silio così scrive: <<L'obiettivo della temperanza lo si realizza in questo
modo: da un lato, usando secondo i propri bisogni le cose molto sem-
plici, necessarie alla vita, evitando ogni sazietà, e, dall'altro, astenen-
dosi da tutto ciò che riguarda solo il piacere»4 • Alla domanda: «Come
può la temperanza spegnere la concupiscenza?», san Massimo risponde
così: <<Incitando a eliminare tutto ciò che non risponde a un bisogno,
ma che procura solo piacere. La temperanza permette di concedersi
solo ciò che è necessario per vivere; essa ricerca non il piacevole ma
l'utile, e commisura al solo bisogno il cibo e le bevande»5 •
La terapia della gastrimargia e la pratica della temperanza non po-
trebbero, dunque, consistere nell'astensione pura e semplice dal cibo.
Non si tratta, perciò, di astenersi dal cibo- san Basilio ricorda a que-
sto proposito che «ogni cosa creata da Dio è buona» e non dovrebbe
essere rifiutata6 - , ma di assumerne senza passione7. Non si tratta af-
fatto di odiare il cibo, ma solo il relativo desiderio passionale. San Dia-
doco di Foticea scrive molto chiaramente: «Gli atleti devono allenar-
si a odiare tutti i desideri irrazionali tanto da contrarre l'abitudine di
questo odio; ma a proposito degli alimenti, bisogna osservare la tem-
peranza in modo da non arrivare a detestarne alcuno, il che è un abo-
minio e una pura diavoleria.>>8•
La lotta contro la passione si compie principalmente con la rinun-
cia al piacere sensibile che la suscita e la nutre. Tale rinuncia si rea-
lizza innanzitutto evitando le occasioni che favoriscono la gola e ri-
fiutando la ricerca di cibi gustosi9 • Ma sussiste una difficoltà nel fatto
che il piacere è naturalmente legato alla funzione nutritiva. Occorre
allora sforzarsi, come raccomanda san Gregorio Magno, di dissocia-
3 L'inSegnamento di tutti i Padri si riassume essenzialmente in questi principi. Vedi per esem-
pio: GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia: A colui che non nuoce a se stesso ... , 7. GIOVANNI DIGA-
7.A, Lettere, 161. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89. GREGORIO MAGNO,
Moralia su Giobbe, XXX, 18.
4 Regole lunghe, 18. Cfr. 17; 19; Lettere, XXII.
5 Discorso ascetico, 23. Vedi anche DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostiei, 44; 51.
6 Regole lunghe, 18.
7 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, V, 19.
8 Cento capitoli gnostici, 43.
9 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XV, 161. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XN, 13.
538
re il piacere dal bisogno 10 badando a non legarsi al primo. San Gre-
gorio di Nissa scrive allo stesso modo: <<L'uomo temperante deve usa-
re questa regola per la sua stessa vita: non legare mai la propria anima
a un oggetto o a qualche porzione di piacere che vi si trovi up.ita, e so-
prattutto deve guardarsi dal piacere del gusto [. .. ].Affinché il nostro
corpo rimanga estremamente calmo e non sia turbato da nessun.o di
quei moti passionali che nascono dalla sazietà, occorre vegliare ac-
ché non sia il piacere ma l'utilità che in ogni caso determina la misu-
ra della condotta temperante e il limite del godimento. E se il gradi-
mento è strettamente mescolato all'utilità[...], non bisogna respinge-
re l'utilità a causa del godimento che laccompagna, né, sicuramente,
perseguire in primo luogo il piacere, ma è opportuno, scegliendo ciò
che vi è di utile in ogni cosa, disprezzare ciò che affascina i sensi»11 • Si
può qui intravedere che ciò che è cattivo, in realtà, non è il piacere
in se stesso, ma la ricerca del piacere e l'attaccamento a esso che co-
stituiscono la passione. Per questo motivo, san Giovanni Cassiano fa
notare: «Il piacere che proviamo naturalmente nel mangiare non è un
male essenziale; [ ... ] se esso non si accompagna ad intemperanza [. ..]
o a qualche altro vizio, non si può dire che sia cattivo»12 • In senso stret-
to, dunque, la temperanza consiste, piuttosto che nell'astenersi dal pia-
cere, a non ricercarlo e a non attaccarsi ad esso, e più fondamental-
mente a non presta:fgli alcuna attenzione. È in questo senso che Abba
Poemen consiglia: «Mangia senZa mangiare, bevi senza bere>>13 •
Poiché la gastrimargia non riguarda solo la qualità degli alimenti, ma
anche la quantità, i Padri raccomandano nello ·stesso tempo di evitare
ogni eccessa14 e offrono come principio concreto di applicazione quel-
lo di non mangiare né bere a sazietà15 e di rimanere sempre con un po'
cli fame e di sete16 • A questo riguardo san Giovanni Cassiano così scri-
ve: <<La regola generale da seguire per la temperanza consiste nel con-
cedersi [. .. ] il nutrimento che basta per sostenere il corpo, non abba-
stanza per saziarlo»17 • E altrove: <<La sentenza dei Padri è profonda-
mente giustificata e provata dall'esperienza: la misura [ ... ] della
539
temperanza consiste nella privazione che ci s'impone sulla quantità di
cibo; e la perfezione cli questa virtù, alla quale occorre tendere, è la stes-
sa per tutti: sospendere di mangiare ciò che siamo costretti ad assumere
per sostenere il nostro corpo rimanendo ancora con un po' cli fame» 18•
San Giovanni cli Gaza insegna: «Quanto alla misura della temperanza,
i Padri dicono che, sia per il mangiare, sia per il bere, occorre rimane-
re un poco al cli qua, cioè non riempirsi il ventre né cli cibo né cli be-
vande>>19. Non mangiare a sazietà contribuisce ad allontanare il piace~
re sensibile la cui ricerca porta a superare i limiti del necessario20 , ma
anche ad evitare le ripercussioni indesiderabili sullo stato dell'anima e
gli inconvenienti per la vita spirituale di un nutrimento e di una be-
vanda troppo abbondanti; rimanere con un po' di fame e di sete per-
mette, al contrario, di beneficiare di alcuni effetti positivi del digiuno,
anche se non si tratta cli un digiuno in senso stretto21 • Per questo san
Giovanni Cassiano raccomanda: «Che nessuno [. .. ] mangi a sazietà. In-
fatti, non è solo la qualità, ma anche la quantità di nutrimento che smor-
za la vivacità del cuore, appesantisce lo spirito quanto il corpo e attiz-
za il fuoco bruciante dei vizi>>22, perché «lo spirito, appesantito dal nu-
trimento, non può più osservare la regola del discernimento [. ..], così
tutti gli eccessi di nutrimento lo rendono barcollante e instabile>>23 •
Se la regola di non ricercare la voluttà non pone alcun problema,
quella di attenersi a ciò che è utile, di limitarsi al necessario e osser-
vare la giusta misura, non è generalizzabile perché queste nozioni so-
no relative a ciascuno. San Basilio osserva così che è impossibile de-
finire una norma valida per tutti: «Quanto agli alimenti, poiché i di-
versi bisogni differiscono per gli uni e per gli altri secondo l'età, le
occupazioni e la costituzione fisica, occorrono regimi e trattamenti di-
versi. Ne risulta che non si può, in una sola regola, abbracciare tutte
quelle che s'impongono nell'esercizio della devozione [. .. ]. A questo
proposito ricorda ciò che è scritto negli Atti: "Ne facevano parte a tut-
ti secondo il bisogno di ciascuno" (At 2,45)»24 • Il problema si pone fin
dal momento in cui si cerca di determinare la misura di ciò che è uti-
le e necessario, dove si ferma il necessario e dove comincia l'eccesso.
1• Istituzioni cenobitiche, V, 8.
19 Lettere, 155.
20 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XXX, 18.
21 Cfr. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 45; 48; 49.
22 Istituzioni cenobitiche, V, 5.
2} Ibid., 6.
540
In tali condizioni, è compito della coscienza di ciascuno valutare ciò
che conviene alla propria situazione. Per questo san Giovanni Cassia-
no osserva che si deve «ricercare la perfezione della temperanza [.. .]
innanzitutto nella testimonianza della coscienza»25 • È questa che deve
dar prova di discernimento indispensabile26 . San Doroteo di Gaza
insiste sull'importanza di un tale discernimento: «Chiunque vuol es-
sere purificato dai peccati [... ] deve innanzitutto guardarsi dalla man~
canza di discernimento nel nutrirsi, perché, secondo i Padri, la man-
canza di discernimento nella nutrizione genera ogni sorta di male nel-
l'uomo»27. Si tratta, infatti, di determinare se lo stato attuale del corpo
favorisce la vita spirituale o se, al contrario, la ostacola. Gli ostacoli so-
no, da una parte, la troppo grande forza del corpo e, dall'altra, una
tropp_? grande debolezza, cose che costituiscono i due eccessi da evi-
tare. E opportuno, dunque, nutrire di più il corpo se esso sembra ina-
datto ad esercitare il suo ruolo nella vita spirituale e se esso indeboli-
sce l'anima anziché sostenerla, se la deprime e polarizza la sua atten-
zione invece di stimolarla; al contrario, è opportuno ridurre la propria
alimentazione se per la sua eccessiva forza il corpo appesantisce l' ani-
ma e favorisce la nascita e lo sviluppo di pensieri e moti passionali28 .
Sant'Ipazio così insegna a tale proposito: «Noi ordiniamo di gover-
nare il corpo, affinché esso non sia appesantito dagli alimenti e non
faccia affondare l'anima nei peccati, e, d'altra parte, non si rinsecchi-
sca e si accasci ed impedisca all'anima di dedicarsi alle cose spiritua-
li. L'anima, però, deve contrastare il corpo, in modo che, quando que-
sto s'indebolisce, essa gli ceda qualcosa, e quando esso riprende ener-
gia, essa tiri le briglie»29 . San Doroteo di Gaza precisa nello stesso
senso: «Mangia secondo il bisogno colui che, essendosi fissata una ra-
zione giornaliera, la diminuisce, se, per l'appesantimento che questa
gli procura, si rende conto che occorre toglierne qualcosa. Se, al con-
trario, questa razione, lungi dall'appesantirlo, non sostiene il suo
corpo e dev'essere leggermente aumentata, vi aggiunge un piccolo sup-
plemento. In questo modo, egli valuta correttamente i suoi bisogni e,
in seguito, si conforma a ciò che è stato fissato, non per il piacere,
ma allo scopo di mantenere la forza del suo corpo»30 •
15 Loc. cit., 9.
26 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XXX, 18.
n Istruzioni spirituali, XV, 161.
28 Cfr. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 45. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giob-
541
2) Nell'esaminare la passione della gastrimargia, abbiamo visto che
il suo carattere patologico riguarda non solo il fatto che essa costitui-
sce una perversione, un uso contro natura, della funzione nutritiva,
ma altresì e soprattutto il fatto che essa allontana l'uomo da Dh'
Abbiamo visto come la gastrimargia costituisca in fondo un atteggia-.
mento idolatrico, poiché l'uomo fa delle sue funzioni gustative e di- .
gestive il centro del suo essere e della loro soddisfazione un soggettq
di preoccupazione e, talvolta, anche uno degli scopi essenziali della
sua esistenza, dando ad essi il posto che naturalmente spetta a Dio.
La terapia della gastrimargia può consistere solo in una conversio-
ne, in un cambiamento di atteggiamento che permetta all'uomo di ri-
dare il primo posto al desiderio di Dio, ali' attenzione a Dio, e consi-
derare che Dio è per lui l'unico assoluto, il solo vero fine della propria
esistenza, che è a lui «che spetta ogni gloria, onore e adorazione», e
che i beni spirituali che riceviamo da lui sono gli unici che servono ve-
ramente alla natura dell'uomo, e sono perfetti. Per questo, san Gio-
vanni Cassiano afferma per mezzo «del desiderio di perfezione>> l'uo-
mo deve sforzarsi di «spegnere la concupiscenza del mangiare>>31 e che
egli non può liberarsi dalla schiavitù della carne e vincere la passione.
se non concentrando il suo sguardo sulle realtà spirituali32 • E precisa:
<<ln effetti, non potremo mai disprezzare il piacere dei cibi terreni, se.
il nostro spirito non si applica alla contemplazione divina e non trova
piuttosto la sua gioia nell'amore della virtù e nella bellezza del cibo ce->
leste»33 • San Barsanufio, a sua volta, osserva che colui che «ricerca le
cose di lassù, pensa alle cose di lassù, medita le cose di lassù», costui
«dimentica "di mangiare il suo pane" (cfr. Sal 102[101],5)»; in altre
parole, non dimostra più attaccamento né attenzione al nutrimento34•
È rendendo grazie a Dio, quando si nutre, che l'uomo dimostra l' at-
tenzione e l'adorazione dovute solo a Dio e può mettere fine alla
passione. Abbiamo visto, infatti, che, nella passione della gastrimar-
gia, l'uomo gode degli alimenti al di fuori di Dio, considerandoli in se
stessi e facendoli servire esclusivamente al proprio piacere. Ora, gli ali-
menti sono creati (in modo diretto o indiretto) da Dio che ne ha fat-
to dono agli uomini: ecco perché essi non hanno valore in se stessi ma
in quanto riferimento a Dio, e sono destinati a essere consumati eu-
caristicamente. Per questo san Paolo insegna che Dio li «creò perché
542
fossero presi con animo grato dai fedeli e da quelli che hanno cono-
sciuto la verità>> (lTm 4,3). L'uomo guarisce dalla passione e ritrova
un atteggiamento virtuoso attraverso un cambiamento radicale del suo
atteggiamento che gli fa s1J?.ettere di considerare il cibo per se stesso
e usarlo per il proprio piacere, per considerarlo, al contrario, in Dio,
per rapportarlo a lui e a lùi rendere grazie. Per qÙesto san Paolo con-
siglia: «Sia dunque che mangiate, sia che beviate,- fate tutto per la glo-
ria di Dio» (lCor 10,3.1)35 . Consumando gli alimenti in questo modo,
l'uomo li santifica (cfr. lTm 4,5) e con essi tutto il cosmo creato che
essi rappresentano. Nello stesso tempo, e soprattutto, santifica se stes-
so, rion solo sopprimendo la barriera che la gastrimargia poneva tra
lui e Dio, ma unendosi di più a Dio ogni volta che gli rende grazie.
35 Cfr. BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, 18. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnosti-
ci, 43. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XV, 162.
36 Su quest'ultimo punto, vedi per esempio GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 161; 163.
37 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, V, 4. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 163.
38 Conferenze, V, 4.
543
esse non si consumano se non per il ministero della carne, questi due
vizi39 richiedono specialmente, oltre alla terapia spirituale dell'anima.,
la pratica della temperanza del corpo»40 , cioè di quanto precedente-
mente abbiamo definito ascesi fisica. È così che i digiuni41 , le veglie42 ,
il lavoro manuale43 possono, a seconda dei casi e delle circostanze44,
contribuire alla guarigione della gastrimargia.
La lettura della Scrittura45 , la meditazione sulla morte46 costituisco-
no preziose terapie di sostegno. E, come nella lotta contro tutte le al-
tre passioni, la compunzione del cuore, attraverso la quale l'uomo, da-
vanti a Dio, piange per le sue colpe, si dissocia dalla passione e ma-
nifesta la volontà di rinunciarvi47, gioca un ruolo fondamentale, così
come, ben inteso, la preghiera con la quale egli chiede l'aiuto di Dio48 ,
Così san Giovanni Climaco, in una prosopopea, fa dire alla gastri-
margia: «Colui che ha ricevuto il Consolatore implora la sua assi-
stenza contro di me; ed egli, così invocato, non mi permette di agire
in modo passionale»49, il che si accorda con l'affermazione di san Pao-
lo che la temperanza è un <<frutto dello Spirito» (Gal 5,22).
'° Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, V, 14. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 462.
BARSANUFIO, Lettere, 604.
48 Cfr. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 163. BARSANUFIO, Lettere, 328.
49 GIOVANNI CLIMAco, La Scala, XIV, 38.
50 Ibid., 35.
51 MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 65, PG 90, 768A.
52 CALLINICO, Vita d'Ipazio, xxrv, 62.
53 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Iv, 86. Gregorio Nazianzeno consiglia:
«Comanda allo stomaco e comanderai alle altre tue passioni» (Poesie, II, II, 6).
54 BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, 18.
55 CALLINico, Vita d'Ipazio, xxrv, 62; 72.
56 CTr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Trattato sulla verginità, 71. GREGORIO DI NISSA, Omelie sul
Cantico dei Cantici, XII.
544
Abbiamo evidenziato, in primo luogo, che la gastrimargia stabilisce
una serie di ostacoli alla vita spirituale, poiché essa ha come effetto
d'immergere l'anima nel torpore, d'ispessire e appesantire lo spirito,
di rallentare i suoi movimenti, impedendogli di condurre come si con-
viene la lotta, riducendo e alterando la sua capacità di discernimento
e rendendo difficile la preghiera. La temperanza permette di togliere
questi ostacoli57 , e quindi ha l'effetto di «facilitare le funzioni dell'a-
nima>>58, in particolare di rendere lo spirito più vigile, più dinamico,
di rafforzare le capacità di discernimento e di comprensione59, di fa-
vorire la compunzione60 e la preghiera61 •
Abbiamo visto, iIJ.oltre, che la gastrimargia suscita e nutre numero-
se passioni al primo posto delle quali c'è la lussuria. La temperanza ha
l'effetto di «domare le passioni del corpo»62 e, alla fine, permette di
annientarle63 , ma contribuisce altresì a ridurre le passioni dell'anima,
in particolare la cenodossia64 , l'orgoglio e la filautia65 , e favorisce il ri-
stabilimento delle virtù contrarie66: continenza e castità67 per quanto
riguarda la lussuria, l'umiltà68 per quanto riguarda l'orgoglio. Mentre
la gastrimargia suscita e alimenta innumerevoli pensieri passionali, la
temperanza contribuisce a «conservare lo spirito libero di fronte agli
oggetti e alle loro rappresentazioni»69, ad instaurare nell'anima la cal-
ma e la stabilità, e a purificare il cuore70, il che aiuta l'uomo ad arri-
vare a una preghiera pura e a ritrovare una vera conoscenza71 •
57 Cfr. BASILIO DI CEsAREA, Regole lunghe, 18. CALLJNICO, Vita d'Ipazio, XXIv, 24; 70.
58 GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità, XXII, 2.
59 Cfr. CALLINICO, Vita d'Ipazio, XXIv, 24, 63.
60 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XN, 22.
61 Cfr. ibid., XXVill, 14.
62 CALLJNICO, Vita d'Ipazio, XXIV, 63.
63 EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 35. BASILIO DI CESAREA, Regole
lunghe, 16.
64 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVI, 161.
65 MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, ill, 8.
66 GIOVANNI CRisOSTOMO, Trattato sulla verginità, 7 L
67 BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, 18. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XIV, 6. Cfr. MAS-
SIMO IL CONFESSORE, Discorso ascetico, 23.
68 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XIV, 24; XXVI, 161.
69 MASsIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, ill, 39.
°7 Cfr. CALLJNICO, Vita d'Ipazio, XXIV, 63. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, V,
22. MASSIMO IL CONFESSORE, loc. cit., N, 72. EsICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 75.
n Cfr. CALLINICO, Vita d'Ipazio, XXIV, 63. CLEMENTE o' ALESSANDRIA, Stromata, VII, 12.
MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, IV, 57.
545
II
1 C&. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, V, 11; 20; Conferenze, V, 10; XXII, 6.
2 Istituzioni cenobitiche, VI, 1.
' La chiameremo «castità monastica>>, dal momento che il monachesimo sta ad indicare eti-
mologicamente lo stato di colui che resta solo. Ricordiamo che nella Chiesa ortodossa, il celi-
bato non costituisce una norma, ma uno stato provvisorio nell'attesa di un impegno sia nella via
del matrimonio sia nella via del monachesimo, che sono le due vie spirituali possibili. Citando
i Padri, useremo anche il termine «verginità» (partenia), come fanno alcuni Padri, intendendo-
lo nel suo significato più ampio di «ima perfetta continenza>>, di <<U!la assoluta rinuncia ali' e-
sercizio della sessualità>> (M. AUBINEAU, Introduzione a GRÉGOIRE DE NYSSE, Traité de la.virgi-
nité, se 119, p. 147).
546
1. La castit.à monastica
Occorre, innanzitutto, ricordare che nella prospettiva cristiana, la
sessualità non può avere senso ed esercitarsi correttamente e normal-
mente se non nell'ambito dell'amore coniugale, ecco perché essa è a
priòri esclusa dall'ambito ·del celibato e della vita monastica. Per que-
sto motivo, la virtù della castità che, intesa in senso stretto, si oppo-
ne alla passione della lussuria, presuppone e indica, in quest'ultimo
ambito, una totale astinenza da ogni atto e, prìma di tutto, da ogni de-
siderio sessuale, poiché, qualunque sia la loro forma, questi scaturi-
scono solo dalla passione. Questa totale astinenza presuppone essa
stessa una perfetta continenza (enkrdteia, continentia), cioè la capacità
di dominare e reprìmere totalmente le pulsioni e i desideri sessuali.
Nella misura in cui la sessualità è legata alla riproduzione della spe-
cie, essa assume la forma di un istinto particolarmente potente e for-
temente ancorato alla natura attuale dell'unianità, il che rende l'asti-
nenza totale particolarmente difficile da realizzare e spiega la durata e
la difficoltà della lotta da condurre.
Poiché la lussuria è una passione che il corpo contribuiste a susci-
tare e a realizzare, la sua terapia «richiede in maniera particolare, ol-
tre i rimedi spirituali, la pratica della temperanza [fisica]»4 • È per que-
sto che i digiuni5 , le veglie6, il lavoro faticosc7, che mortificano il cor-
po, sono per il monaco mezzi essenziali per far fronte alle tentazioni,
per essere continente, per osservare l'astinenza e vincere su questo pia-
no la lussuria. Queste tre pratiche mirano a indebolite il corpo in mo-
do da privarlo di una energia eccessiva che potrebbe essere facil-
mente investita nella sessualità, ma ciascuna di esse ha una sua finalità
specifica. Il lavoro manuale ha lo scopo di evitare l'ozio che favorisce
la nascita di pensieri passionali e di fantasmi 8 • Le veglie hanno lo
scopo di ridurre il sonno, il cui eccesso favorisce la lussuria9 • Quanto
Scala, XV, 12; XIX, 4. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 45; II, 19; III, 13.
Apoftegmi, serie degli anonimi, 51.
7 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, V, 4; XIl, 4; 5; Istituzioni cenobitiche, V, 10; VI, 1.
GIOVANNI CLWACO, La Scala, XV, 12. MAsswo IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Il, 19; III,
13. Apoftegmi, serie degli anonimi, 36.
8 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, VI, 1.
9 Vedi per esempio Apoftegmi, N 592/24.
547
al digiuno, esso occupa un posto sempre più rilevante nella misura
in cui leccesso di cibo appare come uno dei principali fattori che fa-
voriscono la lussuria. Ecco perché,. del resto, la terapia della lussuria
non può essere intrapresa se non dopo quella della gastrimargia, per-
ché è impossibile annullare quella se non si è prima vinta questa10. A
questo proposito, rilevando alcune manifestazioni della lussuria, san
Giovanni Cassiano osserva quanto segue: <<La scienza dei medici spi-
rituali si dedica innanzituto a considerare la prima causa di simili ma-
lattie, che consiste nell'eccesso di nutrimento»11 •
A queste pratiche ascetiche occorre aggiungere «il fuggire le occa-
sioni»12 che si realizza essenzialmente ritirandos1 nella solitudine13 • «È
necessario sottrarre alla concupiscenza gli oggetti naturalmente allet-
tanti, affinché essa non si precipiti a soddisfarli»14 , scrive san Giovan-
ni Cassiano che aggiunge: «Questa malattia [la lussuria], oltre alla mor-
tificazione del corpo e alla contrizione del cuore, esige anche la soli-
tudine e la calma per poter smorzare la febbre cattiva delle passioni
e guarire completamente. Come, molto spesso, è utile a coloro che sof-
frono di una determinata malattia non mostrare a essi neppure i cibi
che farebbero loro male, onde evitare di far nascere in loro un desi-
derio che sarebbe fatale, così la calma e la solitudine sono molto utili
per combattere queste malattie particolari, affinché lo spirito malato,
senza più essere disturbato da molte immagini, possa giungere a una
visione interiore pìù pura e sradicare più facilmente il fuoco pesti-
lenziale della concupiscenza>>15 . Se non è possibile l'isolamento, è in-
dispensabile una rigorosa «custodia dei sensi», particolarmente la cu-
stodia dello sguardo che è con il tatto quello dei sensi che suscita più
facilmente la passione16 •
Questi mezzi, tuttavia, se costituiscono un aiuto prezioso e spesso
indispensabile, non bastano affatto a vincere la passione 17 • La prima
ragione di questa insufficienza è il fatto che la sede della funzione ses-
suale non è solo il corpo ma anche l'anima, che la sessualità umana è
1°Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istitu:doni cenobitiche, V, 11; 20; Conferenze, V, 10; XXII, 3.
11 Conferenze, XXII, 6.
12 Ibid., V, 4.
u Cfr. GIOVANNI CLIMA.CO, La Scala, V, 30. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità,
Il, 19; III, 13.
14 Conferenze, V, 4.
15 Istitu:doni cenobitiche, VI, 3.
16 Cfr. ibid., VI, 12. BASILIO DI ANCIRA, Trattato sulla verginità 4; 5; 13; 14.
17 Cfr. GIOVANNI CASS!AI'\JO, Istitu:doni cenobitiche, VI, l; 2. GIOVANNI CLIMA.CO, La Scala,
XV, 16.
548
psichica forse più ancora che fisica. Ecco perché è opportuno com-
battere la lussuria sul piano dell'anima forse ancor più che sul piano
del corpo. Il Nemico, osserva san Giovanni Cassiano, «ci attacca su
un duplice fronte. Occorre, dunque, resistergli su due fronti; e sicco-
me egli trae la sua forza o la sua debolezza sia dal corpo che dall' ani-
ma, allo stesso modo può essere respinto solo da coloro che combat-
tono su tutti e due i piani»18• Tutti i Padri insistono sul fatto che la ca-
stità non consiste solo né principalmente nella continenza corporea19
e che questa è inutile se l'anima rimane sede di desideri e d'immagi-
nazioni impure. Poiché «la cupidigia che si compie con il corpo non
viene dal corpo>>2°, il principio della castità è essenzialmente nell'ani-
ma, e consiste principalmente nell' «integrità del cuore»21 • Poiché i de-
sideri, i pensieri passionali, le immaginazioni e i fantasmi nascono
dal cuore (dr. Mt 15,19), è nella «custodia del cuore» che consiste la
terapia principale della lussuria. San Giovanni Cassiano scrive a que-
sto riguardo: «Occorre in primo luogo porre rimedio a ciò da cui si sa
che deriva la fonte della vita e della morte, come dice Salomone: "Con
ogni cura custodisci il tuo cuore, perché da lui sgorga la vita" (Pro
4,23). Infatti, la carne obbedisce alla decisione e al comando del cuo-
re>?. Questa pratica, che suppone il discernimento e la vigilanza-so-
brietà spirituali, consiste, lo abbiamo visto, nel respingere pensieri, ri-
cordi e immagini cattivi fin dal momento in cui insorgono, quando es-
si non sono che suggestioni, per evitare di acconsentirvi e di gioirne
e di fare così spazio alla passione prima nell'anima poi nel corpo23 • Nel-
la lotta contro questa passione in particolare, a motivo della sua gran-
de forza, è opportuno preferire il rifiuto immediato delle suggestioni
alla confutazione antirretica dei pensieri, come insegna san Giovanni
Climaco: «Non sperare di respingere il demone della lussuria con la
discussione e la contraddizione, perché, avendo come arma la natura,
egli troverà buone ragioni»24 •
549
È opportuno naturalmente accompagnare alla custodia del cuore
anche la preghiera, in particolare la preghiera monologica25 : queste
due attività, lo abbiamo dimostrato, sono indissociabili. Quando la
preghiera monologica non è ben fissata nel cuore, è utile aggiungervi
la «preghiera del corpo», poiché anche questa contribuisce a preser-
vare l'uomo da tale passione26 . «Coloro che non hanno ancora rag-
giunto la vera preghiera del cuore>>, scrive san Giovanni Climaco, «tro-
veranno aiuto nello sforzo doloroso della preghiera corporea; voglio
dire: stendere le mani, battersi il petto, levare verso il cielo uno sguar-
do limpido, gemere profondamente, ripetere continuamente delle me-
tanie»27. Anche la salmodia si rivela molto efficace contro questa ma-
lattia28.
Il ruolo della preghiera, del resto, consiste soprattutto nel chiedere
a Dio la grazia senza la quale tutti gli sforzi umani per vincere questa
passione appaiono derisori e non possono portare ad alcun risultato
finale, perché la castità è sempre un dono di Dio29 . San Giovanni Cli-
maco scrive a questo riguardo: «Corre invano chi ha deciso di com-
battere contro la carne e vincerla da solo»30 • E ancora: «Che nessuno
di quelli che si sono esercitati con successo nella castità creda di aver-
la raggiunta solo con le proprie forze. Infatti, è impossibile vincere la
propria natura. Quando la natura è vinta, vi si deve riconoscere la pre-
senza di Colui che è al di sopra della natura»31 • E san Giovanni Cas-
siano consiglia: «Se desideriamo [... ] combattere con le regole della
lotta spirituale, concentriamo tutti i nostri sforzi nel dominare que-
sto spirito impuro, ponendo la nostra fiducia non nelle nostre forze
- perché l'attività umana non ne sarebbe mai capace -, ma nell'aiuto
del Signore. Infatti, l'anima sarà necessariamente attaccata da questo
vizio per così lungo tempo che essa non riconoscerà che conduce una
guerra al di sopra delle sue forze e che la sua pena e la sua applica-
zione a questa lotta non possono ottenere la vittoria se il Signore non
25 Cfr. Apoftegmi, serie degli anonimi, 35; 52. Ibid., PE Il 28, 30. GIOVANNI CASSIANO, Isti-
tuzioni cenobitiche, V, 10. Cfr. VI, 1. GIOVANNI Cl.rMAco, La Scala, -XV, 10; 52. MASSIMO IL CON-
FESSORE, Centurie sulla carità, I, 45; Il, 19. BARSANUFIO, Lettere, 248; 255; 256; 258. GIOVANNI
DI GA7.A, Lettere, 180.
26 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XV, 80.
27 La Scala, XV, 81.
28 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 45. Apoftegmi, serie degli anonimi, 32.
29 Cfr. CLEMENTE DI ROMA, Lettera ai Corinzi, 38, 2. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XV, 79; 81.
GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XII, 11; 13. BARSANUFIO, Lettere, 255; 500. GIOVANNI
DI GA7.A, Lettere, 503; 660. Apoftegmi, serie alfabetica, Agatone, 2L Ibid., Eth. Coli., 13, 33.
' 0 La Scala, -XV, 23.
' 1 Ibid., 5. Cfr. 79.
550
viene in suo aiuto e la protegge»32 ; «tra [il] lavoro continuo, occorre
imparare dalla maestra, che è lesperienza, che [la castità] è un dono
generoso della grazia divina>>3 3 •
Altre due attività spirituali contribuiscono a guarire l'uomo dalla
lussuria, e in particolare a preservarlo dai pensieri (logismof) che que-
sta suscita: la lettura e la meditazione attente delle Sacre Scritture34
(che san Giovanni Cassiano annovera tra i rimedi dell'anima) 35 , e <<il
ricordo della morte»36 , che san Giovanni Climaco considera come uno
dei migliori aiuti terapeutici accanto alla preghiera monologica. 37 I Pa-
dri vedono anche nell'obbedienza al Padre spirituale38 e nella pratica
regolare della «manifestazione dei pensieri.>>39 i mezzi per vincere la
passione e per acquistare la castità.
Proprio perché tutte le passioni sono collegate tra loro, la terapia
della lussuria non può essere slegata da quella delle altre passioni40,
in particolare di quelle che favoriscono direttamente le sue manife-
stazioni. È per questo che la lotta contro la lussuria deve accompagnarsi
in primo luogo alla lotta contro la gastrimargia, come abbiamo già vi-
sto, ma anche alla lotta contro l'orgoglio41 e alla cenodossia, al giudi-
zio del prossimo, all' acedia, alla collera42 , alla parresia (cioè leccessiva
familiarità verso il prossimo) 43 , alla cenologia (o passione delle vane pa-
role)44, e alla filargiria45 , alle quali questa è immediatamente legata.
Essendo le virtù collegate tra di loro, lacquisizione della castità non
può che andare di pari passo con la pratica delle altre virtù46, in par-
ticolare di quelle che le sono direttamente legate. «Soprattutto una ve-
ra umiltà»47 : gli Anziani «affermavano che non si può possedere la ca-
gnostici, 99.
37 La Scala, "XV, 52.
38 GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, V. 10. GIOVANNI CUMACO, La Scala, XV, 36.
39 Cfr. Apoftegmi, N 165.
NI CLIMACO, La Scala, XV, 12. DlADoco DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 99.
43 Cfr. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 261.
44 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 62. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, XII, 15.
45 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, V, 11.
46 Cfr. ibid., 10-11.
.fl Cfr. ibid., VI, 1. Vedi anche: V, 10; VI, 23; Conferenze, XII, 4. GIOVANNI CLIMACO, La Sca-
la, XV, 12; 13. BARSANUFJO, Lettere, 255; 256. Apoftegmi, Eth. Coli., 13, 33.
551
sti.tà se innanzitutto non si è posto nel proprio cuore come fondamento
solido l'umiltà>>48 • Ma anche la pazienza49 e la dolcezzi'0 sono fonda-
mentali: «Più si cresce in dolcezza e in pazienza, più si guadagna nel-
la purezza del corpo», scrive san Giovanni Cassiano51 , che aggiunge:
<<Nelle lotte che la passione suscita nella nostra carne, il trionfo si ot-
tiene solo se si rivestono le armi della dolcezza>>52 ; e più avanti: <<ll ri-
medio più efficace per il cuore umano è la pazienza>>53 •
XXV, 92-108. .
56 Omelie sulla Genesi, XVIII, 4.
552
no nella verginità un mezzo per l'uomo di recuperare lo stato paradi-
siaco della sua natura57 , uno stato che lo assimila alla condizione an-
gelica58 e prefigura la vita celeste59 , secondo le parole del Cristo: «Nel-
la risurrezione non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli
di Dio in Cielo» (Mt 22,30). Ecco perché questo stato possiede non
solo <<la palma della priorità nel tempo»60 , ma anche una incontesta-
bile superiorità in rapporto a quello del matrimonio; dei due esso è il
più perfetto.
Ciò non significa, tuttavia, che il cristianesimo condanni o disprez-
zi il matrimonio: i Padri pur lodando l'eminenza della verginità e del
celibato monastico, esaltano il valore del matrimonio che il Cristo stes-
so ha, del resto, santificato con la sua presenza e con il primo miracolo
della sua vita pubblica alle nozze di Cana. Occorre notare, altresì, che
la maggior parte degli scritti patristici sulla verginità comporta, paral-
lelamente alla lode di essa, un'apologia del matrimonio. Benché essi
riconoscano che <<il matrimonio è buono» e anche «santo», tuttavia ri-
tengono <<la verginità migliore»61 , constatando che essa è un fatto di
élite. Non si può biasimare colui che si sposa, afferma san Giovanni
Crisostomo, <<non gli si può rimproverare di rinchiudersi in una sfe-
ra più modesta»62 • San Paolo, infatti, raccomanda il matrimonio «per
condiscendenza» (lCor 7 ,6), a coloro che «ardono» e «non sanno con-
tenersi» (lCor 7 ,9), per evitare il rischio della lussuria (lCor 7 ,2), e
consiglia agli sposi: «Non privatevi l'un l'altro [. .. ] perché Satana non
vi tenti per la vostra incontinenza» (lCor 7,5) 63 • San Giovanni Da-
masceno così scrive sull'argomento: «Il matrimonio è buono, smorza
la lussuria e la smania del desiderio per mezzo di relazioni legittime
evitando le follie di azioni contro natura. Il matrimonio è buono per
coloro che non hanno il dominio di se stessi; ma è migliore la vergi-
nità che accresce la fecondità dell'anima»64 •
57 Cfr. ORlGENE, Omelie sulla Genesi, ill, 6; Omelie sul Cantico dei Cantici, 2; La preghiera,
XXV, 3. GREGORlO DI NISSA, Trattato sulla verginità, XII, 4. •
58 Cfr. GIOVANNI CRlSOSTOMO, Trattato sulla verginità, 11-12. GIOVANNI DAMASCENO, Espo-
sizione esatta della fede ortodossa, Iv, 24. GREGORlO DI NISSA, Trattato sulla verginità, Il, 3; Iv,
8. BASILIO D'ANCIRA, Trattato sulla verginità, 51. BASILIO DI CESAREA, Lettere, XLVI, 2.
59 OruGENE, Frammenti su Romani, 29.
60 GIOVANNI CruSOSTOMO, Trattato sulla verginità, 11-12.
61 Ibid., 13. Cfr. 11. GIOVANNI DAMASCENO scrive: <<La verginità è migliore di ciò che è
buono, perché nella virtù vi sono dei gradi, elevati o inferiori [. ..]» (Esposizione esatta della fede
ortodossa, IV, 24).
62 Trattato sulla verginità, 10.
553
È opportuno, tuttavia, sottolineare che il celibato e la castità mo-
nastica hanno valore solo se sono consacrati a Dio e hanno come fi-
nalità un'unione più perfetta con lui. A questo riguardo san Giovan-
ni Crisostomo osserva che la verginità non è un bene in sé, che solo
l'intenzionalità decide del suo valore, ed essa è «sterile e infruttuosa
tra i pagani. in quanto questi la praticano non in vista di Dio»65 • Per
questo, egli stigmatizza duramente latteggiamento di coloro per cui
essa non è che un mezzo per sfuggire al matrimonio anziché servire al-
l'unione celeste66, arrivando a dire che in questo caso <<la verginità [è]
più vergognosa del libertinaggio»67 • La verginità, dunque, non ha va-
lore per se stessa, ma in quanto permette all'uomo di donarsi com-
pletamente a Dio. «Parlando di verginità, osserva san Giovanni Cri-
sostomo, lApostolo difatti fa consistere l'eccellenza non tanto nella
castità del corpo quanto nella facilità che ci dona di consacrarci a Dio
e di dedicarci alla pietà>>, e aggiunge che coloro «che fanno voto di ca-
stità si propongono non solo di conservarsi puri, ma soprattutto di non
occuparsi d'altro che delle cose di Dio, di dedicarsi interamente al suo
servizio»68 • Da parte sua, sant' Agostino così consiglia alle vergini: «Che
[il Cristo] occupi nella vostra anima tutto il posto che voi non avete
voluto lasciar prendere dal matrimonio»69 • Il matrimonio appare co-
me uno stato inferiore al precedente stato verginale nella misura in cui
non permette una consacrazione a Dio così totale, in cui il desiderio e
la capacità d'amore dell'uomo non pos,sono investirsi in Dio così
pienamente. «Nel matrimonio, la virtù ci diviene tanto meno agevole
. quanto più le cure di una sposa e la preoccupazione sollecita verso i
figli fermano la nostra anima nelle sue aspirazioni verso il cielo e la
conducono forzatamente verso le preoccupazioni terrene», osserva san
Giovanni Crisostoma7°.
2. La castità coniugale
554
Mentre in quest'ultimo caso essa presuppone un'astinenza totale,
nell'ambito del matrimonio cristiano, a motivo del suo carattere stret-
tamente monogamico, non si richiede una tale astinenza se non ri-
guardo a ogni forma di sessualità extra coniugale, costituendo già il
semplice desiderio un adulterio: <<Avete inteso che fu detto: non farai
adulterio. Io invece vi dico che chiunque guarda una donna per de-
siderarla, già ha commesso adulterio con essa nel suo cuore>> (Mt 5 ;27-
28). La terapia o la profilassi della lussuria a questo livello suppon-
gono la pratica di alcuni mezzi descritti in precedenza, in particolare
<<la custodia dello sguardo», e innanzitutto la «custodia del cuore>>,
<<perché dall'interno, cioè dal cuore degli uomini, procedono i cattivi
pensieri: le fornicazioni [.. .], gli adulteri [. ..], le impudicizie» (Mc 7 ,21-
22; Mt 15,19). San Giovanni Crisostomo fa notare che il Cristo, nel
· sottolineare il ruolo fondamentale che gioca il desiderio, fornisce il
mezzo di applicarsi al fondamento stesso della malattia: «Non è solo
il male, ma la radice del male che [Gesù] esclude; perché la radice del-
1'adulterio è la cupidigia impudica: il Signore corregge dunque non
solo l'adulterio, ma anche la brama. I medici si preoccupano della cau-
sa stessa della malattia [. .•]. È proprio quello che fa Gesù Cristo»71 •
Ma la lussuria non è affatto legata all'unione coniugale e questa, al
contrario, appare come un mezzo per evitarla. La maggior parte dei
Padri vedono nel matrimonio, per coloro che non possono rimanere
continenti, un rimedio alla lussuria; è qui, secondo loro, una delle pri-
me finalità dell'unione coniugale. Questo punto di vista è del tutto
conforme all'insegnamento di san Paolo: <<A motivo delle impudicizie
ciascuno abbia la sua moglie, e ogni donna il suo, marito» (lCor 7,2);
«non privatevi l'un l'altro [.. .] perché Satana non vi tenti per la vostra
iricontinenza» (1 Cor 7 ,5); «ai celibi e alle vedove dico che è cosa buo-
na per loro rimanere come sono io; ma se non sanno contenersi, si spo-
sino; è meglio sposarsi che ardere» (1Cor7,8-9).
La «castità coniugale», che i Padri ricordano sulla scia dell'Aposto-
lo quando egli raccomanda: «Il matrimonio sia tenuto in onore in
tutte le cose. E il talamo sia incontaminato» (Eb 13,4), non significa
l'astinenza sessuale. I.:unione sessuale appartiene essenzialmente al ma-
trimonio. I.: Apostolo scrive con sufficiente chiarezza: «Il marito renda
alla moglie ciò che le è dovuto; egualmente anche la moglie al ma-
rito. La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito;
allo stesso modo il marito non è padrone del proprio corpo, ma lo è la
555
moglie. Non privatevi l'un l'altro, se non di comune accordo, tempo-
raneamente, per attendere alla preghiera, e poi ritornate a stare insie-
me [. .. ]» (1Cor7 ,3-5). L'astinenza, questo insegnamento di san Paolo
lo 'indica, conserva un posto nell'ambito stesso della vita coniugale, ma
solo per un certo tempo, e in rapporto a precise esigenze spirituali72 •
San Gregorio di Nissa arriva persino a scrivere che «colui che pratica
Ela continenza] in eccesso ha "la coscienza malata", come afferma l'A-
postolo» (cfr. lTm 4,2), poiché egli «disprezza il matrimonio»73 .
Esiste una unione sessuale casta; è possibile agli sposi di unirsi «sene
za tradire nella loro unione le regole della castità», come scrive Cle-
mente d'Alessandria74 che arriva a scrivere di coloro che denigrano l'u-
nione sessuale: «Poiché essi trovano impure le loro relazioni carnali,
alle quali essi devono la loro esistenza, come sfuggiranno essi stessi al-
l'impurità?»75. Lo stesso Clemente d'Alessandria fa, altresì, notare che
il matrimonio e la vita spirituale santificano l'uso della sessualità: <<Per
quelli che sono stati santificati, santo è il seme. E non deve solo esse-
re santificato tra noi lo spirito, ma anche i costumi, la vita, il corpo»76.
I Padri sottolineano frequentemente che la sessualità in sé non è cat-
tiva, che tutto dipende dal modo in cui se ne usa. «Quando la pra-
tica è buona e casta, l'oggetto è alla fine buono, è cattivo quando es-
sa è cattiva e sregolata>>, osserva san Metodio di Olimpo77 • E san Do-
roteo di Gaza fa notare: «Nell'uso legittimo del matrimonio e nella
fornicazione, l'atto è lo stesso, è l'intenzione che fa la differenza>>78•
Abbiamo visto, analizzando la passione della lussuria, che ciò che
la caratterizza è un abuso della funzione sessuale che consiste nell'u-
so di questa in vist~ del piacere sensibile. Ora si tratta di una perver-
sione di questa funzione nella misura in cui essa è destinata per natu-
ra alla procreazione, e più fondamentalmente ad essere una delle
72 È così che la Chiesa ortodossa raccomanda l'astinenza sessuale e, allo stesso tempo, il di-
giuno il mercoledì e venerdì (in cui si fa memoria delle sofferenze e della crocifissione del Cri·
sto) e durante le quattro quaresime annuali. Una tale «astinenza periodica>>, osserva san GRE-
GORIO NAZIANZENO, s_e,,auendo l'Apostolo, deve essere «costruita su un consenso mutuo per
attendere insieme alla preghiera, la più preziosa delle attività», e precisa: «Questa non è una leg·
ge, ma un consiglio» (Discorso, XL, 18). Quest'ultima sottolineatura traduce lassenza di giuri-
dicità della tradizione ortodossa a questo riguardo, che si appella alla coscienza degli sposi per
giudicare ciò che conviene meglio spiritualmente. La stessa condizione di spirito si manjfesta nel-
l'insegnamento di san GIOVANNI CRISOSTOMO (vedi per esempio Omelie su 1 Corinzi, XIX, 2).
73 Vita di Mosè, Il, 289. Cfr. Trattato sul/,a verginità, VII, 2.
74 Stromata, ID, 6.
75 Ibid.
76 Ibid.
77 Il Banchetto, II, 5.
78 Istruzioni spirituali, XV, 162.
556
manifestazioni dell'amore che la sposa e lo sposo hanno l'una per l'al-
tro, in relazione di dipendenza con gli altri modi della loro unione e
in particolare con la dimensione spirituale di questa. La terapia della
lussuria e l'acquisizione della castità in questo ambito devono consi-
stere, dunque, prima di tutto, in un ristabilimento di questa finalità
naturale e normale dell'uso della sessualità.
Il primo principio è, per gli sposi, di non unirsi solo per il piacere
sensibile, di non fare della voluttà lo scopo e l'oggetto della loro unio-
.ne79. Essi devono vegliare per non lasciarsi dominare dal piacere80 , per
non legarsi ad esso, e persino non ricercarlo, e infine arrivare a non
avere più per esso alcuna attrazione. «Fintanto che rimane qualche at-
trazione per la voluttà, non si è casti», scrive san Giovanni Cassiano81 •
Questo non significa il rifiuto e l'esclusione del piacere naturalmente
legato all'unione sessuale, ma il distacco nei suoi riguardi, il rifiuto di
farne un assoluto. Il piacere deve apparire come un effetto dell'unio-
ne, come qualcosa che è dato in più.
Lungi dall'essere ricercata per se stessa e in vista del piacere che es-
sa procura, l'unione sessuale deve prendere posto nell'ambito dell' a-
more mutuo degli sposi, deve realizzare sul piano del corpo una u..rtlo-
ne analoga a quella che si compie sul piano delle anime, e deve per-
mettere l'unione totale, facendo diventare i due sposi, secondo la parola
della Scrittura, «una sola carne», una sola anima e un solo spirito. La
castità coniugale suppone che questa unione dei corpi non costituisca
né un assoluto né un fine in sé, ma sia perfettamente integrata e su-
bordinata all'unione psichica degli sposi, e più ancora alla loro unio-
ne spirituale. San Basilio d' Ancira scrive a quest9 proposito: «Quan-
do la ragione, nell'anima, tiene per prima le anime sotto il suo con-
trollo, e annoda tra esse legami per ciò che è chiaramente essenziale,
è naturale che la loro unione preliminare si accompagni anche all'u-
nione legittima dei corpi nei quali esse risiedono. Ma, quando le ani-
me si propongono in primo luogo altre cose, e quando i corPi, in ri-
cerca di piacere, presi da ciò che stanno facendo, uniscono le anime
che sono in essi per metterle al servizio della passione che li agita, il
fatto che le anime vadano a rimorchio dei vizi della carne rende ille-
gittima l'unione sessuale>>82 •
La castità coniugale suppone, altresì, che l'uomo non sia dominato
557
dal desiderio e dalle pulsioni sessuali, e che l'unione degli sposi non
sia monopolio di questi. Clemente d'Alessandria pone questo princi-
pio: «Non fate nulla sotto la spinta del desiderio»83 • Ciò che deve pre-
siedere all'unione degli sposi non è l'istinto, manifestazione imperso-
nale della natura biologica, e neanche il desiderio, ma l'amore. In que-
sto senso, la castità coniugale presuppone una certa continenza, che
consiste in un dominio di sé che permette di frenare i movimenti istin-
tivi, moderare i desideri e astenersi da ogni pensiero o immaginazio-
ne che possono essere loro legati. Per questo san Gregorio di Nissa
raccomanda «di usare il matrimonio con moderazione e misura>>84, <<rie
guardo e ritegno»85 ; san Gregorio Nazianzeno, da parte sua, sottoli-
nea la necessità di essere ponderati ed evitare di lasciare troppo spa-
zio alla carne86• Ciò è indispensabile perché l'unione non sia un setn-
plice mezzo per soddisfare il desiderio, perché siano rispettate la persona
e la libertà del coniuge. Ma ciò è anche necessario affinché l'uomo non
divenga <<interamente carne e sangue»87 e non smetta sia nella vita per-
sonale, che nella stessa vita coniugale, di dare il primato ali' aspetto spi-
rituale88. Difatti, «non è insignificante il pericolo», osserva san Gre~
gorio di Nissa, che l'uomo, <<ingannato dall'esperienza della voluttà,
non stimi più alcun bene, all'infuori di quello che si assapora attra-
verso la carne con un certo attaccamento passionale, e che egli di-
venga del tutto carnale per avere completamente distolto il suo spiri-
to dal desiderio dei beni incorporei, dando la caccia in tutti i modi a
quanto queste cose offrono di gradevole, al punto da essere "amanti
del piacere più che di Dio" (2Tm 3,4)»89 • Particolarmente temibile è
la forza dell'abitudine che unisce l'uomo alla voluttà, osserva san Gre-
gorio di Nissa, il quale ricorda l'esempio di molte persone che, «una
volta in possesso di tale esperienza, dopo aver rivolto tutta la loro po-
tenza di desiderio verso queste cose [ .. .] e dopo aver fatto derivare
lo slancio del loro pensiero dalle realtà divine verso [.. .] [queste], apri-
ranno pienamente alle passioni il campo della loro interiorità, al pun-
to da smettere ogni movimento verso le realtà celesti e vedere dissec-
carsi completamente questo desiderio, il cui corso rovesciato sì è ri-
83 Stromata, III, 6.
84 Trattato sulla verginità, VII, 3.
85 Ibid., VIlI.
86 Discorsi, XXXVII, 9.
87 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità, VIlI.
88 Ibid.
89 Ibid.
558
volto verso le passioni»90 . Ecco perché egli dà questo precetto: «Ec-
co ciò che sappiamo riguardo al matrimonio: occorre cedere il passo
alla cura e al desiderio delle cose divine>>91 •
La lussuria, infatti, ha la caratteristica di separare l'uomo da Dio.
La castità, al contrario, ha lo scopo e I' effetto di riunirlo a lui. «La
castità, scrive san Giovanni Climaco, è unione intima con Dio»92 • Quan-
do nella lussuria il desiderio viene allontanato da Dio e dalle realtà spi-
rituali e viene reinvestito nelle Fealtà carnali per ricercare il piacere
sensibile, uno degli scopi essenziali della continenza e della castità è
permettergli di ritrovare il proprio investimento normale e naturale in
Dio. Infatti, come abbiamo dimostrato studiando I'economia del de-
siderio, quest'ultimo non può essere investito in oggetti diversi senza
doversi dividere e senza dover privare l'uno di ciò che dà ali' altro.
La continenza e la castità nel matrimonio hanno in particolare il ruo-
lo di stabilire un'economia del desiderio in maniera tale che esso
non si investa a tal punto nella sessualità da esaurirsi in essa e cessare
perciò di avere come oggetto essenziale le realtà spirituali93 •
Questo ci permette di comprendere che la terapia della lussuria e
l'acquisizione della castità consistono in realtà in una conversione
del desiderio, in modo tale che l'amore spirituale prenda il posto
dell'amore carnale. Così si può comprendere la celebre affermazione
di san Giovanni Climaco: «È casto· colui che bandisce l'eros sensuale
attraverso l'eros divino e spegne il fuoco terreno con il fuoco del cie-
lo»94. Ed è proprio questo che permette allo stesso autore di affer-
mare: «Che l'amore carnale ci serva da modello per il nostro deside-
rio di Dio»95 , e altrove: <<Beato colui che non ha una passione meno
violenta per Dio che quella dell'innamorato per la sua amata>>96 • «Ho
visto, egli scrive ancora nello stesso senso, anime impure che si dedi-
cavano con furore ali' amore carnale; avendole I'esperienza di questo
amore condotte al pentimento, esse hanno riversato tutto il loro amo-
re sul Signore; superando allora ogni timore, si spronavano insazia-
bilmente ad amare Dio. Ecco perché il Signore, parlando della casta
90 Ibid., IX, 1.
91 Ibid., VII, 3.
' 2 La Scala, XV, 35.
93 Vedi l'illustrazione che di questo principio dà GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità,
VIII.
94La Scala, XV, 2.
95Ibid., XXVI, 34.
% Ibid., XXX, 11.
559
peccatrice, non dice che ha timore, ma che essa ha molto amato, e che
ha potuto facilmente scacciare l'amore con l'amore (dr. Le 7,47)»97 •
Nella vita coniugale, mentre la lussuria implica un amore dell'al-
tro al di fuori di Dio, un amore puramente carnale, cioè opaco alle
energie divine, al contrario la castità implica un amore dell'altro in Dio
e un amore di Dio nell'altro. La castità realizza la trasfigurazione
dell'amore, lo fa accedere al piano spirituale in cui diviene interamente
trasparente a Dio, gli dà un senso mistico (dr. Ef 5,32), permetten-
dogli di realizzare analogicamente il mistero dell'amore del Cristo e
della Chiesa, come sottolinea san Paolo nella lettera agli Efesini che
viene letta al momento della celebrazione del matrimonio: «Mariti,
amate le vostre mogli come il Cristo ha amato la Chiesa>> (5,25); «per
questo l'uomo si unirà alla sua donna e i due formeranno una sola car-
ne. Questo mistero è grande: io lo dico riferendomi al Cristo e alla
Chiesa>> (5,31-32).
97 lbid., V, 28.
98 Cfr_ BASILIO DI CESAREA, Lettere, Il. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XV, 3.
99 Conferenze, XII, 11.
100 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89.
101 La Scala, XV, 3.
102 lbid.' 4.
10' Ibid., 7.
560
In Cristo, «non esiste uomo o donna» (Gal 3 ,28), cioè la differenza
sessuale è abolita non solo in quanto principio di divisione, di oppo-
sizione, di dominio, ma anche in quanto fonte di desiderio sensuale
e di passione. L'altro è colto nella sua realtà fondamentale di persona
che porta nella sua natura l'immagine di Dio; diviene icona di Dio, tra-
sparente a lui, soggetto a glorificarlo. San Giovanni Climaco offre la
testimonianza più alta di questa virtù: «Mi hanno raccontato un fat-
to che denota una purezza suprema e straordinaria. Qualcuno, mi dis-
sero, avendo visto un corpo di singolare bellezza, ebbe l'occasione di
adorare e glorificare con le sue lodi la suprema bellezza di cui questa
non era che l'opera, e solo attraverso questa visione si sentì traspor-
tato dal fuoco dell'amore divino, e si sciolse in ruscelli di lacrime. Fu
ima meraviglia straordinaria vedere che ciò che avrebbe potuto far ca-
dere un altro in un precipizio, aveva procurato una corona di gloria
a questi. [ .. .] » 104.
561
III
562
mono la ragione come medicina, prometto loro grandi possibilità di
salute con la grazia di Dio», aggiunge san Giovanni Crisostomo alle
considerazioni citate in precedenza5 , invitando i suoi uditori a medi-
tare sull'esempio, fornito dalle Sacre Scritture, di tutti «coloro che so-
no caduti nel male e sono guariti.>>6•
Perché questa speranza sbocci, occorre utilizzare un certo nume-
ro di precisi mezzi terapeutici. È per questo che san Giovanni Criso-
stomo propone di «prescrivere una regola dettagliata, secondo l'uso
dei medici>>7 •
È necessario innanzitutto, per colui che vuole essere guarito dalla
filargiria e dalla pleonessia, conoscere bene queste passioni e i loro ef-
fetti nefasti, essendo tale conoscenza il primo elemento della terapia.
Per questo i Padri, nell'insegnamento che riguarda tali malattie, si pre-
murano di far precedere la prescrizione dei rimedi da una minuziosa
nosologia. San Giovanni Climaco introduce così il capitolo della Sca-
la ad esse dedicato: <<Diciamo, prima di tutto, qualche parola sulla ma-
lattia, poi parleremo dei rimedi che la guariscono»8 • San Giovanni Cri-
sostomo, a proposito della :filargiria, afferma più esplicitamente: «Qua-
le follia è questa malattia! Che malattia! Ma, direte voi, non si tratta
solo di accusare i malati, bensì di guarirli dalle loro passioni. E come
guarirli, se non dimostrando loro che la loro passione è ignobile e pro-
cura mali incalcolabili>>9 • Lo stesso autore osserva altrove che è neces-
sàrio al malato <<non pensare solo a quelli che sono guariti dal male,
ma anche alle sofferenze di coloro che vi hanno perseverato» 10 • Nel
capitolo delle Istituzioni cenobitiche dedicato alla filargiria, san Gio-
vanni Cassiano scrive: «Se non si conoscono le varie forme di una ma-
lattia, se non si individuano sia l'origine che le cause, non si potrà
applicare ai malati il trattamento adatto né permettere ai sani di con-
servarsi in buona salute. Gli anziani, che hanno una grande esperien-
za in questo genere di cadute, hanno l'abitudine di esporre ciò nelle
loro conferenze[...]. Molto spesso, ne riconoscevamo alcuni elemen-
ti in noi stessi mentre gli anziani ne facevano un'esposizione comple-
ta come se essi stessi fossero stati turbati da queste passioni, e, senza
dover arrossire dalla vergogna, noi eravamo guariti apprendendo sen-
5 lbid.
6 Ibid.
7 Ibid.
8 La Scala, XVI, 1.
9 Omelie su 1 Corinzi, XXIII, 5.
10 Ibid., Xl., 5.
563
za dire nulla i rimedi nello stesso tempo che le cause dei vizi che ci mi-
nacciavano»11. Nel prendere coscienza del danno della malattia, il ma-
lato è portato ad allontanarsi fermamente dalla malattia e a ricercare
ardentemente la guarigione; nell'acquisire una conoscenza approfon-
dita, egli non ne ignora più nessun meccanismo e così si ritrova me-
glio armato per combatterla. .
La terapia della filargiria e della pleonessia suppone, in secondo luo-
go, che si prenda coscienza di quanto siano vani gli oggetti da esse per-
seguiti. San Giovanni Crisostomo afferma che occorre «comprendere
il nulla delle cose, sapere che la ricchezza è un servo sfuggente e in-
grato, che immerge i suoi possessori in una molteplicità di mali>>12 • Oc-
corre riconoscere, come fa notare san Simeone il Nuovo Teologo, «che
ogni cosa è come un'ombra e che le cose visibili passano», e merita de-
riso il «giocare con un'ombra e considerare un tesoro ciò che passa>>,
imitando quel bambino che attinge acqua con un secchio bucata13 • La
caducità dell'esistenza umana, la morte che vi pone un termine, ren-
dono alla fine vano il possesso delle cose materiali anche di quelle più
durature14 • Del resto, sono proprio la fuga e la brevità del tempo, e
di conseguenza la provvisorietà di ogni cosa sottoposta alla sua con"
dizione, che l'Apostolo ricorda per invitare al distacco dai beni di que-
sto mondo: «Questo vi dico, o fratelli: il tempo ha avuto una svolta;
d'ora innanzi quelli che comprano siano come non possedessero; quel-
li che usano del mondo, come non ne usassero a fondo: perché passa
la figura di questo mondo» (lCor 7,29-31).
Per mettere fine alla filargiria e alla pleonessia, occorre, in terzo luo-
go, che l'uomo si sforzi di accontentarsi di ciò che possiede; tale com-
portamento gli consente di contrastare queste due passioni che, al con-
trario, lo spingono a possedere o ad acquistare molto più dei suoi bi-
sogni. È per questo che san Paolo consiglia: «La condotta sia lontana
dall'avarizia, contenti delle cose che abbiamo al presente. Infatti Dio
stesso ha detto: Io non ti lascerò mai, né ti abbandonerò» (Eb 13,5).
In questo modo, l'Apostolo indica che una quarta condizione del~
la vittoria sulla filargiria e pleonessia è l'acquisizione di una solida fe-
de in Dio. Lo stesso afferma esplicitamente san Giovanni Climaco:
«Una fede incrollabile taglia ogni preoccupazione alla radice»15 •
564
·Abbiamo visto che vi è, alla base di queste due passioni, un'in-
quietudine dell'uomo di fronte a un futuro che non conosce né può
controllare, il tentativo cioè, per mezzo della conservazione o l' ac-
quisto di molti beni materiali, di assicurare in qualche modo questo
futuro, confidando nelle proprie ricchezze anziché attendere da Dio
l'aiuto necessario. Per poter guarire da queste passioni, è indispensa-
bile allora che l'uomo, dopo aver preso coscienza dell'impossibilità di
trovare nei beni materiali una vera sicurezza, rimetta tutta la propria
fiducia e speranza in Dio, e di conseguenza impegni tutte le sue for-
ze per accedere al suo Regno, per appropriarsi, anziché ricchezze ma-
teriali vane e passeggere, ricchezze spirituali durature e sicure che egli
dà a coloro che tendono a lui. È proprio questo l'insegnamento del
Cristo: «Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o
berrete; per il vostro corpo di come vestirvi[. .. ]. Chi di voi, per quan-
to si dia da fare, è capace di aggiungere un solo cubito alla propria sta-
tura? [...] Non vi angustiate, dunque, dicendo: che mangeremo? che
berremo? di che ci vestiremo? tutte queste cose le ricercano i gentili.
Ora sa il Padre vostro celeste che avete bisogno di tutte queste cose.
Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste altre co-
se vi saranno date in sovrappiù» (Mt 6,25-33 ). «Non vi affannate ad
accumulare tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano, do-
ve ladri scassinano e portano via. Accumulatevi tesori in cielo, dove ti-
gnola e ruggine non consumano né ladri scassinano e portano via>> (Mt
6,19-20). E in questa prospettiva che san Giovanni Crisostomo consi-
glia: <<Rimettiamoci [al nostro Maestro] in ogni cosa e non lasciamo-
ci affatto dilaniare dalle preoccupazioni di questa vita>>; «Se diamo la
priorità ai beni spirituali, non avremo alcun imbarazzo per i beni ma-
teriali, perché Dio ce li concederà» 16 ; «tendiamo con tutto il nostro
spirito verso i beni spirituali e consideriamo il resto come secondario
in rapporto al godimento dei beni futuri, al fine di ricevere in ab-
bondanza i beni presenti, quelli della promessa>>17 •
L'uomo, d'altronde, può constatare che più si attacca ai beni spiri-
tuali, più acquisisce nei riguardi dei beni sensibili una delle virtù op-
poste alla filargiria e alla pleonessia: il distacco. «Colui che ha gustato
le cose celesti disprezza con facilità quelle terrene», sottolinea san Gio-
vanni Climaco18 , che aggiunge: «Un focherello basta a bruciare molto
565
legno; e con l'aiuto di una sola virtù, sfuggiamo a tutte le passioni che
ora abbiamo elencato. Questa virtù si chiama il distacco; essa è gene-
rata dall'esperienza e dal gusto di Dio [. .. ]»19 •
Per attaccarsi ai beni spirituali, occorre innanzitutto che l'uomo ab-
bia preso coscienza che esistono «un'altra bellezza, altre ricchezze, al-
tri godimenti, superiori»20 , <<Vere ricchezze che procurano un godi-
mento immortale>>21, che non vi è alcuna ricchezza superiore alla glo-
ria e al Regno di Dio e che meriti di essere preferita a essi22 • Ma prendere
coscienza di tutto questo non è realmente possibile, come indicato da
san Giovanni Climaco, se non attraverso un'esperienza delle realtà spi-
rituali alla quale l'uomo può accedere solo quando cessa di condurre
una vita completamente carnale e si unisce a Dio attraverso l'amore
e la pratica dei comandamenti. Solo «il gusto di Dio», come afferma
in maniera molto concreta san Giovanni Climaco, gli permette di misu-
rare, in paragone ai beni divini, lo scarso valore dei «beni>> sensibili.
Il fatto che il distacco circa i beni sensibili sia correlativo all' attac-
camento ai beni spirituali, e viceversa, si spiega, come abbiamo più
volte sottolineato, perché il desiderio non può rivolgersi simultanea-
mente a due «oggetti>> antagonisti, come giustamente insegna lo stes-
so Cristo a proposito della filargiria: <<Nessuno può servire a due pa-
droni; poiché od odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà al-
l'uno e trascurerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona>> (Mt
6,24) (in aramaico mamon significa «ricchezza»). E con ciò si com-
prende che l'uomo non può unirsi a Dio fintanto che è attaccato alle
ricchezze materiali, il che ci consente di ricordare che lo scopo della
guarigione dalla filargiria e dalla pleonessia è quello di permettere al-
l'uomo di unirsi a Dio, di amarlo, con tutta la sua intelligenza, con tut-
ta la sua anima e con tutte le sue forze, di liberare tutte le sue facoltà
dall'attaccamento alle ricchezze sensibili affinché queste possano con-
sacrarsi a Dio, secondo la loro finalità naturale. La situazione spirituale
e il destino di tutto l'uomo dipendono dal tipo di ricchezze che egli
desidera acquisire e alle quali egli si attacca; la questione fondamen-
tale qui è di sapere se egli ammassa <<tesori sulla terra>> (Mt 6,19) o <<te-
sori in cielo» (Mt 6,20), perché, il Cristo dice: «Dov'è il tuo tesoro, lì
sarà pure il tuo cuore» (Mt 6,21).
19 Ibid., 26.
20 GIOVANNI CrusoSTOMO, Omelie su 1 Corinzi, XXIII, 5.
21 Ibid., XI, 5.
22 SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, III, 662-668.
566
La guarigione dalla filargiria e dalla pleonessia implica, lo vediamo,
una conversione del desiderio, un riorientamento della facoltà di de-
siderio [concupiscibile] e della potenza d'amore dell'uomo dalle ric-
chezze di questo mondo verso Dio e i beni spirituali. ·Come guarire
dalla filargiria e dalla pleonessia? «Si può guarire, risponde san Gio-
vanni Crisostomo, se si sostituisce a questo amore [per il denaro] un
altro amore, cioè il desiderio delle cose del ciel0>>23 •
Per mezzo di questa conversione, alle passioni della filargiria e del-
la pleonessia si sostituiscono le virtù opposte del non-possedere e del-
1'elemosina.
1. Il non-possedere
567
fondo» (lCor 7,30-31). È vero, tuttavia, che questa virtù non può tro-
vare la sua perfezione se non nella concretizzazione, secondo l'inse-
gnamento dello stesso Cristo: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quel-
lo che hai e dallo ai poveri>> (Mt 19,21).
Il non-possedere si manifesta interiormente come assenza di preoc-
cupazione riguardo ai beni materiali. <<ll non-possedere, scrive san Gio-
vanni Climaco, è l'abbandono di ogni preoccupazione [delle cose di
guesto mondo], una liberazione da tutte le inquietudini della vita [...]»25•
E evidente che questa assenza di preoccupazione e di pensieri può es-
sere veramente realizzata solo da colui che concretamente ha rinun-
ciato a ogni possesso e a ogni acquisizione.
Ciò che è fondamentale nella lotta contro la filargiria e la pleones-
sia, e acquisire questa virtù di non-possedere, è affrontare la causa stes-
sa del male eliminando dall'anima, e ciò fin dalla sua prima manife-
stazione, ogni desiderio di possesso, come insegna san Giovanni Cas-
siano: «Occorre non solo evitare di possedere denaro, ma estirparne
completamente il desiderio dall'anima. Infatti non occorre tanto evi-
tare gli effetti della filargiria quanto sopprimere radicalmente la ten-
denza verso di essa: non servirebbe a nulla non possedere il denaro se
poi avessimo in noi il desiderio di possederne»26; «infatti persino co-
lui che non possiede denaro può essere filargiro e non trarre alcun pro~
fitto dal suo spogliamento perché non ha potuto estirpare la cupidi-
gia»27. Poiché questa si caratterizza per l'assenza di ogni desiderio, pen-
siero o immaginazione relativi al possesso o ali' acquisizione di ricchezze
materiali, la virtù del non-possedere appare come un elemento della
virtù fondamentale della «povertà spirituale» (cfr. Mt 5,3), che consi-
ste più in generale nello spogliamento di ogni pensiero passionale, qua-
lunque esso sia. ·
2. L'elemosina
Abbiamo visto che la filargiria e la pleonessia costituiscono un' ap-
propriazione egoista delle ricchezze a scapito del prossimo, e che es-
se instaurano uno stato anormale nella misura in cui contraddicono
l'eguaglianza voluta da Dio nella ripartizione delle ricchezze in ra-
gione dell'eguaglianza fondamentale di tutti gli uomini. Mentre il de-
568
naro e i beni materiali normalmente devono servire a soddisfare i bi-
sogni essenziali dell'uomo, questi, con la passione della filargiria e del-
la pleonessia ne perverte la funzione conferendo loro un valore in sé
e facendoli servire al proprio godimento. In questo modo, l'uomo ces-
sa anche di considerare il prossimo, respinge colui che condivide la
sua natura, rifiuta, come dice san Giovanni Crisostomo, di associarlo
a sé. La filargiria e la pleonessia contrastano così, e anche in molti mo-
di, la carità. .
Ecco perché la carità appare uno dei principali rimedi per queste
due passioni, sotto una delle sue fonne28 che è ad esse specificamen-
te opposta: l'elemosina. La carità, infatti, disprezza la ricchezza29 e la
distrugge30 , perché essa è amore di Dio e del prossimo, e tale amore
è inconciliabile con l'amore delle ricchezze, quindi lo esclude3 1 • Per
questo Abba Isaia consiglia: <<Amiamo la carità verso i poveri, affin-
ché essa ci salvi dalla- filargiria»32 •
La virtù dell'elemosina (eleemosjneJ raccomandata più volte da Cri-
sto (cfr. Mt 5,42; 6,2; 10,18; 19,21; Le 3,11; 6,30.38; 12,33; Mc 10,21)
e molte volte ricordata nelle lettere di san Paolo (cfr. Rm 12,8; lCor
. 16,1-3; 2Cor 8,3-15; 9,8; Gal 2,10) e negli Atti degli Apostoli (cfr. At
3,26; 4,35; 10,2.4; 20,35), consiste nel condividere i propri beni33 , nel
dare il sovrappiù a coloro che sono nel bisogno (cfr. Le 3,11; 2Cor 8,13-
15)34, e persino del necessario a coloro che non ne hanno (cfr. Mc 12,43-
44)35. Essa si oppone direttamente alla filargiria che tende, al contra-
rio, alla conservazione di queste ricchezze, e a fortiori alla pleonessia,
la quale mira solo ali' appropriazione di nuovi beni. Essa appare così
come il rimedio per eccellenza di queste due malattie dell'anima. <<li
medico delle nostre anime è il Cristo, che sa tutto e che dà per cia-
scuna passione il rimedio appropriato [ .. .]: l'elemosina contro la fi-
largiria>>, scrive san Doroteo di Gaza%. Questo rimedio, tuttavia, è par-
rispetto a colui che dà il superfluo. Colui che dona del suo necessario mette in pratica, afferma
san GIOVANNI CRISOSTOMO (Commento a san Giovanni, LX, 4), <<la grande misericordia.».
36 Istruzioni spirituali, XI, 113.
569
ticolarmente adatto a coloro che, vivendo nel mondo, possiedono qual-
che cosa, e non riguarda, nel .suo significato principale, il monaco che
vive il non-possedere nulla in senso stretta3 7 e che dispone come ri-
medio, lo abbiamo visto, della povertà volontaria. È in un secondo si-
gnificato che l'elemosina resta per lui un dovere: cioè quello di di-
stribuire la parola di Dio e i beni spirituali che egli riceve nel suo stata38•
Occorre notare, del resto, che il termine greco eleemosyne non si-
gnifica solo elemosina, ma anche pietà, compassione. In altri termini,
essa implica in ogni modo una condivisione spirituale e, nello stesso
tempo, una condivisione di beni materiali, ed è solo a questo titolo che
fa parte della carità, e che essa non consiste solo in un'azione o in una
serie di azioni (i Padri insistono sulla necessità di praticarla regolar-
mente, quotidianamente) 39 , ma in una disposizione interiore perma-
nente, caratteristica di ogni virtù. Tale disposizione, che accompagna
il dono, è più importante del dono stesso (è in questo senso che il Cri-
sto raccomanda: <<Date in elemosina ciò che sta dentro» [cfr. Le 11,41])
ed è essa che decide alla fine il suo valore spirituale e definisce il
vantaggio spirituale che l'uomo ne trae. Infatti, i Padri lo sottolinea-
no, la finalità dell'elemosina non consiste unicamente nell'aiuto dato .
al povero, ma consiste anche, e principalmente, nel bene spirituale,
nella formazione e nella trasformazione spirituale di colui che dà. San
Giovanni Crisostomo arriva a dire: <<È molto meno per il sollievo del-
l'indigenza che Dio ha ordinato l'elemosina, che per il vantaggio di co-
loro che la fanno» 40 • Colui che dà trae dal dono un vantaggio beri
più grande di colui che lo riceve41 , viene affermato da san Paolo stes-
so quando scrive: «C'è più felicità a dare che a ricevere» (At 20,35). Il
dono, infatti, per colui che lo riceve, ha un valore essenzialmente
materiale e scompare appena consumato, mentre per il donatore è una
fonte di beni spirituali imperituri. Su questo san Giovanni Crisosto-
mo continua a ripetere, per scuotere il suo uditorio, che colui che fa
l'elemosina presta con gli interessi e tesaurizza profitti immensi. Ciò
ni, XIX, 7.
41 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sull'elemosina, V.
570
concorda con l'insegnamento del Cristo stesso: «La tua elemosina ri-
manga nel segreto e il Padre tuo che vede nel segreto te ne darà lari-
e
compensa» (Mt 6,4); «vendi quello che hai dallo ai poveri e avrai un
tesoro in cielo» (Mt 19,21) e con quanto afferma san Paolo: che i ric-
chi siano «disposti a partecipare agli altri, i loro beni, mettendosi da
parte un bel capitale per il futuro» (lTm 6,18).
Non è l'importanza materiale dell'elemosina che costituisce il suo
valore. Occorre solo che essa sia proporzionata ai mezzi di colui che
dona (cfr. 2Cor 8,3.11; Mc 12,43-44)42 • San Giovanni Crisostomo con-
tinuamente rassicura coloro che hanno pochi mezzi, sottolineando che
Dio tiene conto prima di tutto della buona volontà che questi dimo-
strano e della purezza della loro intenzione43 • In ogni caso, resta fon-
damentale che una delle principali finalità dell'elemosina, lo ripetia-
mo, è la guarigione e il progresso· spirituale di colui che dona, come
sottolinea chiaramente san Giovanni Crisostomo rivolgendosi a tutti:
il Signore «non considera solo lazione ma guarda alla volontà». Di-
cendo: <<Badate di non praticare la vostra giustizia davanti agli uomi-
ni per essere da loro ammirati» (Mt 6,1), egli assicura che <<non è so-
lo l'azione esteriore, ma !'-intenzione segreta che egli giudicherà>>; ciò
che egli chiede, è <<la rettitudine della volontà e la purezza dell'inten-
zione. Infatti Dio vuole guarire la vostra anima attraverso l' elemosi-
na e liberarla dalle sue malattie»44 • Così, come dice ancora lo stesso
santo, <<la virtù dell'elemosina non consiste solo nel dare, ma nel do-
nare nel modo e per il fine che Dio ci chiede»45 •
Per avere un valore spirituale, lelemosina dev'essere fatta in mo-
do disinteressato, cioè il donatore non deve aspettarsi alcun vantaggio
di nessun genere, soprattutto quello che deriva dall' auto-soddisfazio-
ne. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» raccomanda
il Cristo (Mt 10,8), che altrove mette più volte in guardia contro la va-
nagloria che si mescola con molta facilità alla pratica dell'elemosina:
«Quando tu fai l'elemosina, non metterti a suonare la tromba davan-
ti a te, come fanno gli ipocriti[. ..] per averne gloria presso gli uomi-
ni. Ma mentre fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra quello che fa
la tua destra, in modo che la tua elemosina rimanga nel segreto» (Mt
6,2-4; cf~. Le 18,12).
42 Cfr. ID., Omelie su Atti, XXI, 5; Omelie sulla lettera ai Romani, XIX, 7; Omelie sulla let-
571
Colui che dona, d'altra parte, deve farlo senza alcuna reticenza,
sia riguardo ai beni da cui si separa sia riguardo alla qualità di colui al
quale dona; al contrario, egli deve farlo con liberalità; solo a questo ti-
tolo vi sarà veramente elemosina, afferma san Giovanni Crisostomo46 •
Ecco perché l'Apostolo consiglia di dare «senza calcolo» (Rm 12,8),
<<non con tristezza né per forza>> (2Cor 9,7), «di buon cuore» (lTm
6,17-18; Col 3,23) e «con gioia» (2Cor 9,7) 47 • È così importante do-
nare con gioia che san Giovanni Crisostomo arriva ad affermare che
è questa «la natura dell' elemosina>>48 ; l'elemosina, egli fa notare, <<non
è il dono, ma la sollecitudine e la gioia nel donare»49 • Tale gioia, in-
fatti, testimonia che l'elemosina procede realmente da uno spirito di
carità; essa è, afferma san Giovanni Crisostomo, <<la gioia della carità
che si espande»50 •
L'elemosina non ha valore spirituale se non in quanto forma e ma-
nifestazione della carità, nella misura in cui questa è condivisione e do-
no per amore di Dio e del prossimo, essendo le. due cose legate in-
dissolubilmente. L'amore di Dio fonda, infatti, l'amore del prossimo
e costituisce la sua finalità ultima. San Giovanni Crisostomo a pro-
posito dell'elemosina scrive: «Ciò che occorre avere è l'amore di
Dio. Sia questo il movente che ci faccia agire sempre»51 • Al contra-
rio, l'amore del prossimo e l'elemosina, che in parte lo manifesta, so-
no la condizione dell'amore di Dio, come scrive l'apostolo san Gio-
vanni: «Se uno dice: "Io amo Dio" e poi odia il proprio fratello, è men-
titore: chi infatti non ama il proprio fratello che vede non può amare
Dio che non vede» (lGv 4,20) e: «Se uno possiede le ricchezze del
mondo e, vedendo il proprio fratello che si trova nel bisogno, gli chiu-
de il cuore, come l'amore di Dio può essere in lui?» (lGv 3,17). Es-
sendo l'uomo creato ad immagine di Dio, figlio di Dio e fratello di Cri-
sto per adozione, destinato a divtmire dio per grazia, tutto ciò che è
fatto al prossimo è fatto a Dio, tutto ciò che reca danno al prossimo
colpisce Dio stesso, come il Cristo dice chiaramente ricordando tut-
te le azioni di misericordia a favore del prossimo: «In verità vi dico:
572
tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratel-
li, l'avete fatto a me [ ... ]. Ciò che non avete fatto a uno di questi più
piccoli non l'avete fatto a me» (Mt 25,40-46). L'elemosina suppone
la consapevolezza di dare a Dio stesso52 nello stesso tempo che si dà al
prossimo. San Giovanni Crisostomo arriva a dire a questo proposito:
«Nori vi è nessuna differenza tra dare a un povero o a Gesù Cristo»53 ,
precisando poi: «Quando dunque diamo l'elemosina a un povero, do-
niamogliela come a Gesù Cristo»54 •
In quanto forma della carità, l'elemosina suppone anche la coscien-
za e il sentimento dell'unicità della natura umana, dell'eguaglianza fon-
damentale e della solidarietà di tutti gli uomini che condividono la stes-
sa natura55 • A tale proposito san Doroteo di Gaza insegna che «dob-
biamo fare l'elemosina [. .. ] avendo compassione gli uni degli altri co-
me delle proprie membra.>>56 • Per questo motivo, l'elemosina deve eser-
citarsi indifferentemente verso tutti gli uomini che sono nel bisogno o
che solo ne fanno una richiesta, indipendentemente da ogni conside-
razione di qualità, di dignità o di merito57 • «Da' a chiunque ti chiede»,
raccomanda il Cristo (Le 6,30; cfr. Mt 5,42). Facendo così, l'uomo si
conforma alla volontà di Dio, diviene simile a lui nel suo modo di agi-
re e di essere; diviene veramente figlio del Padre «che è nei cieli, il qua-
le fa sorgere il suo sole sui cattivi come sui buoni e fa piovere sui giu-
sti come sugli empi» (Mt 5 ,45). «Colui che, facendo l'elemosina, vuo-
le imitare Dio, non fa differenza tra buono o cattivo, onesto o disonesto,
visto che sono nella necessità. A tutti dona allo stesso modo, a ciascu-
no secondo i suoi bisogni>>, scrive in questo senso san Massimo58 •
52 Vedi per esempio GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, L, 4, in cui dà questa
interpretazione della parola del Cristo <<i poveri li avete sempre con voi, me invece non mi avre-
te sempre» (Mt 26,11): «Dobbiamo avere una cura particolare nel fare l'elemosina a Gesù Cri-
sto [nel farla al prossimo], perché noi non lo avremo sempre nella veste del povero, ma solo du-
rante quesra vita>>.
53 Ibid., LXXXVIII, 3.
54 Ibid.
55 Vedi in particolare GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XXI, 16-19.
56 Istruzioni spirituali, xrv, 157.
57 Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 23. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie: «Perché noi ab-
biamo uno stesso spirito di fede», II, 7; Omelie sulla lettera ai Romani, XIV, 9.
58 Centurie sulla carità, I, 24.
573
lo di turbare l'anima, di renderla preda di molte preoccupazioni, d'in-
quietudini, di tormenti, di porla continuamente in uno stato di timo-
re, d'ansia e d'angoscia. La loro guarigione pone naturalmente fine a
questo stato patologico. «Colui che ha vinto questa passione [della fi-
largiria] ha tagliato la radice di tutte le inquietudini e di tutti i turba-
menti dello spirito», scrive san Giovanni Climaco59 • Il non-possedere,
in modo particolare, pone fine al turbamento interiore e stabilisce l'a-
nima nella pace60: essa è, afferma lo stesso santo, <<Una- liberazione da
tutte le inquietudini della vita»61 • «Nulla, quanto la povertà volonta-
ria, rende lo spirito sereno», nota dal canto suo sant'Isacco il Siro62 •
Liberando l'uomo dalle preoccupazioni inevitabilmente legate a
ognj possesso, essa lo libera radicalmente dalla sua alienazione dovu-
ta ai beni· terreni;· gli consente di preoccuparsi esclusivamente di Dio
ed essere pienamente disponibile per lui, Distaccandolo dai beni sen-
sibili, la povertà gli permette di legarsi, secondo la finalità della sua na-
tura, ai beni spirituali. Il Cristo stesso presenta la povertà volontaria
come la via della perfezione affrontata da coloro che vogliono se-
guirlo veramente, cioè unirsi subito e pienamente a lui: «Se vuoi es-
sere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri [. .. ]. Poi vie-
ni e segui.mi>> (Mt 19,21).
Quanto all'elemosina, san Giovanni Crisostomo la presenta molte
volte come un «rimedio» potente63 che permette di recuperare <<la ve-
ra salute>>64 • <<Dio, egli scrive, vuole guarire la vostra anima per mez-
zo dell'elemosina e liberarla così dalle sue malattie»65 • «Guardiamo-
ci, scrive ancora, dal disprezzare [.. .] questo rimedio delle nostre feri-
te. Ecco, infatti, il rimedio salutare per eccellenza che farà scomparire
le ulcere dalle nostre anime, fino alle tracce di tutte le cicatrici>>66; «com-
prendete la potenza di questo rimedio? Applichiamolo dunque a noi
stessi>>67 • Egli, perciò, presenta i poveri come <<i medici delle nostre ani-
me»68, affermando in particolare: <<Essi sono i medici delle vostre fe-
574
rite, e le mani che vi tendono sono i rimedi che essi vi offrono. La ma-
no che il medico stende verso il malato, i rimedi che egli presenta non
lo guariscono così bene quanto il povero che tende la mano verso di
voi e nel ricevere la vostra elemosina fa scomparire i vostri mali>>69 • Oc-
corre notare che l'elemosina, benché sia con il non-po_ssedere il ri-
medio specifico della filargiria e della pleonessia, contribuisce ugual-
mente a liberare l'uomo dalle altre sue malattie spirituali. Essa è,
scrive san Giovanni Crisostomo, uno di «questi rimedi [per mezzo dei
quali] faèciamo morire tutte queste passioni che avvelenano la no-
stra anima>>70 .
··L'elemosina, come il non-possedere, libera l'uomo dalla sua aliena-
zione a motivo del denaro e delle ricchezze terrene. Gli permette, al-
tresì, di ritrovare di fronte ad esse un atteggiamento normale, di ces-
sare di goderne egoisticamente per ritornare lamministratore dei be-
ni dati da Dio a tutti gli uomini7 1, ossia di ridistribuire ciò che ha
ricevùto da Dio (cfr. Mt 10,8) a questo scopo72 •
D'altra parte, essa guarisce l'uomo da tutti gli atteggiamenti pato-
logici che la filargiria e la pleones·sia generano nell'ambito dei suoi rap-
porti con gli altri uomini. Essa lo libera soprattutto dalla sua insensi-
bilità73, essendo, tra l'altro una delle fin.alità che Dio conferisce ali' e-
lemosina, quella di <<insegnarci a compatire i mali del prossimo»74 . Essa
lo libera, altresì, dalle diverse forme di aggressività generate da queste
due passioni: essa è, osserva san Massimo, <<il trattamento della colle-
ra>/5. Praticata con umiltà, elimina ogni disprezzo del prossimo e, al
contrario, implica il suo rispetto76. Ristabilisce tra l'uomo e i suoi si-
mili il legame della carità, contribuendo a porre fine alla divisione del-
la natura umana provocata dalle passioni e a riportarla alla sua unità
essenziale. A questo proposito possiamo ricordare un passo degli At-
ti degli Apostoli: <<La moltitudine di coloro che avevano abbracciato
la fede aveva un cuore e un'anima sola. Non v'era nessuno che rite-
nesse cosa propria alcunché di ciò che possedeva, ma tutto era fra
sulla penitenza, lII, l; Catechesi battesimali, VII, 27; Omelie su: «Perché noi abbiamo uno stesso
spirito difede», I, 9; III, 12; Omelie sulla Genesi, XXXI, 7; LV, 4; Commento a san Matteo,
LXXVII, 5; Commento a san Giovanni, LXXXI, 3.
80 Omelie su Atti, XXV, 3. Cfr. Omelie sulla lettera a Tito, VI, 2.
81 Omelie sulla lettera a Tito, VI, 3.
82 Omelie sulla penitenZJi, VII, 6.
83 Omelie sulla lettera agli Ebrei, IX, 4.
84 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XVI, 14. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Salmo
140,5.
85 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su 2 Timoteo, VI, 3.
86 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Giovanni, XXIV, 3; LXXXI, 3.
87 Cfr. ibid., XL, 4.
576
Mentre <<il non-possedere fortifica l'umiltà>>88 , l'elemosina svilup-
pa la carità di cui essa è il fruttd 9 •
Praticando l'elemosina, l'uomo imita Dio90, si mostra veramente suo
figlio adottivo 91 e si ~ssimila a lui. «È specialmente questa virtù che
imita Dio; essa è tipica di Dio che ha detto: "Siate misericordiosi co-
me Dio, vostro Padre, è misericordioso" (Le 6,36)», insegna san Do-
roteo di Gaza92 • San Giovanni Crisostomo afferma la stessa cosa: «So-
no solo l'elemosina e la misericordia che ci rendono simili a Dio»93 •
Realizzando così la finalità della sua natura, l'uomo, che la filargiria e
la pleonessia avevano reso inumano e simile a un animale feroce, tor-
na ad essere veramente un uomo: «L'elemosina è un grande bene
[. ..] e quando la pratichiamo, essa ci rende simili a Dio per quanto è
possibile, perché è soprattutto essa che fa l'uomo», afferma in que-
sto senso san Giovanni Crisostomo 94 , che aggiunge: «Non stupitevi
che sia proprio dell'uomo essere caritatevole, poiché questo è tipico
di Dio stesso»95 •
578
sfugge a tutte le bramosie diviene inaccessibile a ogni tristezza del mon-
do»5, e più avanti consiglia: «Contro [...]la tristezza, disprezza [... ]gli
oggetti materiali»6 • San Giovanni Climaco constata allo stesso modo:
<<l.:uomo che è arrivato a detestare il mondo è sfuggito alla tristezza,
ma colui che è attaccato a qualsiasi cosa visibile non si è ancora libe-
rato dalla tristezza. Infatti, come non rattristarsi se si è privati di ciò
che si ama?>>7. Anche Evagrio osserva: «Colui che fugge tutti i piace-
ri terreni è una cittadella inaccessibile al demone della tristezza. Latri-
stezza, in realtà, è la frustrazione di un piacere, presente o atteso, ed è
impossibile respingere questo nemico se abbiamo un attaccamento
passionale per questo o quel bene terreno; infatti, esso frappone la sua
rete e produce la tristezza proprio là dove vede che è diretta la no-
stra inclinazione»8• Poiché ogni passione ha come suo fondamento un
desiderio carnale e la ricerca del piacere sensibile, ne segue che la te-
rapia della tristezza è relativa alla terapia delle altre passioni. Evagrio
spiega: «La tristezza sopraggiunge quando non otteniamo ciò che
desideriamo carnalmente; ora a ogni passione è legato un desiderio:
colui che ha vinto le passioni non sarà dominato dalla tristezza [. .. ].
Colui che domina le passioni domina la tristezza, ma colui che è vin-
to dal piacere non sfuggirà ai suoi lacd. Colui che ama il mondo sarà
molte volte rattristato [... ]. Ma colui che disprezza i piaceri terreni non
sarà più turbato dai pensieri tristi»9•
I..:uomo sottomesso alla carne è avido non solo di beni materiali, ma
anche di onori e di gloria umana, e abbiamo notato, esaminando la
passione della tristezza, lo stretto legame che questa ha con la pa.Ssio-
ne della cenodossia, poiché la delusione nella ricerca degli onori e del-
la gloria in questo mondo è una causa frequente di tristezza tanto
per coloro che li possiedono già ma ne desiderano di maggiori, che
per coloro che aspirano a uscire dall'oscurità. In questo caso, la tera-
pia della tristezza implica il disprezzo di questa gloria e di questi ono-
ri mondani10 o, per meglio dire, implica una totale indifferenza nei lo-
ro riguardi, o che se ne sia beneficiati o che se ne sia privati: «Contro
la tristezza, disprezza la gloria [e] l'oscurità>>, consiglia san Massimo 11 •
579
2) Una seconda causa importante della tristezza è la collera, sia che
essa ne sia il risultato, o che sia conseguenza di un'offesa subita, nel
qual caso frequentemente assume la forma del rancore.
I Padri sottolineano che la causa della tristezza non è in coloro con-
tro cui siamo in collera e di fronte ai quali proviamo rancore, nem-
meno in coloro che ci hanno offesi, ma solo in noi. Porre fine, in que-
sto caso, a ogni relazione con le persone suddette non potrebbe, di
conseguenza, costituire una terapia adeguata. Così scrive a questo pro-
posito san Giovanni Cassiano: <<Dio, il creatore di ogni cosa, sapendo
meglio di chiunque altro come guarire la sua creatura e che non è nel-
le cose ma in noi stessi che risiedono la radice e la causa dei nostri
errori, non Ci ha ordinato di allontanarci dai nostri fratelli, né di evi-
tare coloro che riteniamo di avere offesi o dai quali ci crediamo offe-
si»12. La frequentazione degli altri, in questo caso, permette, al con-
trario, una guarigione più rapida che non la solitudine nella misura in
cui essa costituisce per l'uomo una prova che lo mette direttamente
a confronto con le difficoltà che sono all'origine della tristezza eh~ egli
sente, e gli permette così di rimediarvi più facilmente e più rapida-
mente. Il rischio, altrimenti, sarebbe quello che queste difficoltà di-
vengano più o meno inconsce pur rimanendo del tutto attive e man-
tenendo l'uomo immerso nella tristezza; d'altra parte, sappiamo che il ·
ricordo delle ingiurie, il risentimento, il rancore, e in genere tutte le
conseguenze della collera tendono non a ridursi spontaneamente,
ma al contrario a svilupparsi sordamente, a rafforzarsi sotto la spinta
dell'immaginazione, a spandersi come un veleno e ad awelenare a po-
co a poco tutta l'anima. Per questo san Giovanni Cassiano scrive che
la tristezza fa parte di alcune passioni che, «guarite dalla meditazio-
ne del cuore e da una vigilanza prolungata, lo sono anche per la fre-
quentazione dei fratelli e dalla loro costante provocazione: quanto più
spesso questi turbamenti sono manifestati e ci vengono rimproverati,
più presto si guarisce>>13 • Egli, altrove, nota anche che per queste pas-
sioni <<lo stare con gli altri non nuoce; al contrario, offre maggiori van-
taggi a chi desidera veramente correggersi. Tali passioni si scoprono
frequentando gli uomini e proprio perché esse si manifestano più fre-
quentemente tra le occasioni, esse permettono una guarigione più
rapida>>14. ·
580
È in tale prospettiva che i Padri raccomandano non solo di non vo-
lerne a colui che ci offende, ma anche di considerarlo un benefattore,
come un medico che opera per la guarigione dell' anim:a, e di ringra-
ziarlo. Se un fratello <<ti ingiuria o ti affligge in qualche modo, racco-
manda un Anzianc15, prega per lui come hanno detto i Padri, convin-
to che egli ti procura grandi benefici e che egli è un medico che gua-
risce in te l'amore per il piacere>>. Un altro Anziano consiglia: «Se qual-
cuno conserva il ricordo di qualcuno che lo ha afflitto, offeso o in-
sultato, deve ricordarsi di lui come di un medico inviato dal Cristo e
considerarlo un benefattore. Infatti se tu ti affliggi in queste circoc
stanze, è perché la tua anima è malata. In realtà, se tu non fossi mala-
to, non soffriresti. Devi dunque ringraziare questo fratello, poiché gra-
zie a lui tu conosci la malattia, devi pregare per lui e ricevere ciò che ti
viene da lui come un rimedio offertori dal Signore. Se, al contrario, t'in-
quieti con lui, è come se dicessi a Gesù: "Non voglio i tuoi rimedi"»16 •
In ogni caso, occorre perdonare l'offensore, abbandonare ogni ran-
core contro di lui e, al contrario, dar prova nei suoi riguardi di bene-
volenza e di carità. È soprattutto pregando per lui che si può realiz-
zare tale atteggiamento e, così, porre fine alla tristezza17 • «Tristezza e
rancore vanno di pari passo», spiega san Massimo; «se dunque lo spi-
rito prova tristezza nel rappresentarsi il volto di un fratello, questa è
la prova che si ha rancore verso di lui»18 • «Provi rancore verso qual-
cuno? Prega per lui, e spezzerai lo slancio della passione, perché la
preghiera purifica da ogni amarezza il ricordo del male che quest'uo-
mo ti ha fatto. Poi, pervenuto alla carità e alla benevolenza per il pros-
simo, eliminerai dal tuo animo ogni traccia di pas5ione»19•
Piuttosto che accusare chi offende, colui che è stato offeso deve ac-
cusare se stesso, sia che si riconosca meritevole dell'offesa a motivo del
suo stato di peccato, sia che riconosca di averlo provocato con una pa-
rola, un atteggiamento o un gesto sconveniente per l'altra2°. Per que-
sto san Doroteo di Gaza insegna che <<Se si esamina con timore di Dio
e si scruta accuratamente la propria coscienza, ci si troverà in ogrii mo-
do responsabili>>2 1• In tutti i casi, egli spiega, <<la causa del turbamen-
581
to [che si prova dopo un'offesa], se la ricerchiamo accuratamente, sta
sempre nel fatto che non si accusa se stessi. Da questo deriva che noi
abbiamo questa oppressione e non troviamo mai pace. Non c'è da stu-
pirsi se tutti i santi dicono che non esiste altra via se non quella [. .. ].
Se non si segue questa via, non si smetterà mai di far soffrire e di sof-
frire, perdendo così tutta la fatica fatta. Quale gioia, invece, quale ri-
poso non troverà, dovunque vada, colui che accusa se stesso, come ha
detto Abba Poemen! Se gli capita un danno, un oltraggio o una qua,
lunque pena,. a priori egli se ne riterrà degno e non sarà mai turbato.
Vi è forse uno stato che sia più esente di questo da preoccupazioni?»22 :
22 Ibid., 81.
23 Cfr. NJL SORSKY, Regola, V.
24 Cfr. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 136.
582
gi, cerchiamo cli consolarvi. Se non lo facessimo, dove trovereste confor-
to ai vostri mali?»25 •
L'uomo può, altresì, trovare l'aiuto e la consolazione cli cui ha bi-
sogno nella lettura e nella meditazione cli passi appropriati delle Sacre
Scritture26 , che costituiscono un rimedio tanto più efficace quanto più
è accompagnato dalla preghiera. Per dissipare la vostra tristezza, con-
siglia a Stagira san Giovanni Crisostomo, «lmite ai ragionamenti un' as-
sidua preghiera. Per mezzo cli questo duplice rimedio Davide [.. .] placò
i suoi dolori e consolò i dispiaceri. Pregava dicendo: "Le afflizioni si
sono moltiplicate in fondo al mio cuore; liberami dai mali che mi af-
fliggono", rivolgendo a se stesso questo pio e religioso discorso: "Per-
ché ti abbatti, anima mia, e fremi dentro cli me? Spera nel Signore,
perché ancora potrò lodarlo" (Sal24[25],17; 43[42],5). Ritornò apre-
gare [... ] e poi riprese coraggio»27 •
La preghiera, in tutte le sue forme, costituisce, infatti, il rimedio
principale alla tristezza, qualunque ne sia l'origine. «La preghiera è
l'antidoto alla tristezza e allo scoraggiamento», insegna san Nilc28 •
Se la salmodia si rivela un modo di pregare particolarmente effica-
ce contro la tristezza che viene direttamente dai demoni29 , la preghie-
ra del cuore, praticata con vigilanza e attenzione, è il rimedio per ec-
cellenza cli tutte le forme di tristezza. San Giovanni Cassiano osserva
che la tristezza fa parte di quelle passioni che vengono «guarite dalla
meditazione del cuore e da una vigilanza prolungata>>30 ; più avanti pre-
cisa: «Ecco come potremo allontanare da noi questa funesta passione:
mantenendo [. .. ] il nostro spirito sempre occupato nella meditazione
spirituale. È in questo modo, infatti, che potremo vincere ogni gene-
re di tristezza, sia che provenga dalla collera, dalla perdita di un gua-
dagno, da un danno subito, da un'ingiuria che ci affligge, sia che la
concepiamo senza alcun motivo ragionevole, o che ci trascini a una
mortale disperazione»31 •
583
sione non permette immediatamente all'uomo di accedere allo stato
che costituisce il contrario della tristezza, ossia la gioia. L'uomo non
deve tendere ad essere liberato dalla tristezza-passione se non per far
posto a un'altra forma di tristezza, virtuosa questa, la sola che gli per"
mette di conoscere la gioia vera. È solo di quest'ultima forma di tri-
stezza che è detto: <<La vostra tristezza si cambierà in gioia>> (Gv 16,20).
Abbiamo sottolineato, esaminando la passione della tristezza, che
questa infatti si è costituita per la perversione della tristezza virtuosa.
Mentre la tristezza-passione (che i Padri indicano generalmente con
il termine lypi) consiste nell'affliggersi per la frustrazione dei deside-
ri carnali, della perdita dei beni e dei piaceri sensibili, o delle offese
subite, la tristezza virtuosa, invece, chiamata anch'essa dolore, affli..
zione (pénthos; luctus), compunzione (katanyxis; compunctio)32 consi-
ste in primo luogo per l'uomo nell'affliggersi di essere separato o al-
lontanato da Dio33 , di essere privato dei beni spirituali34, nel provare
pena, nell'essere dolorosamente colpito, a causa del proprio stato di
decadenza in generale o dei propri peccati in particolare, nel piange-
re le proprie colpe presenti e passate, conscie o inconscie35 • Essa ap-
pare allora come uno stato spirituale direttamente legato al penti-
mentc36, di cui gemiti e lacrime sono le manifestazioni37 •
32 È molto difficile distinguere il pénthos dalla katdnyxis al punto tale che I. HAUSHERR, nel
magistrale studio che ha dedicato a tale questione (Penthos. La dodrine de la componction dans
l'Orient chrétien, Roma 1944), considera la katdnyxis come <<Un sinonimo, o quasi, di pénthos»
(p. 15), e dice che «in pratica [questi due termini} vanno tanto insieme che la metonimia li ha
resi sinonimi>> (p. 16). Da qui proviene una incert=a nelle traduzioni. Mentre alcuni traduco-
no pénthos con. «afflizione>> e katdnyxis con «compunzione>>, altri fanno l'inverso. Possiamo di-
re, tuttavia, che vi è in katdnyxis una connotazione di rincrescimento più affermata ..che in pénthos,
connotazione che la rende più vicina di quest'ultimo alla nozione di contrizione. Essa differi-
sce tuttavia dalla contrizione per il sentimento di dolore, di pena che la caratterizza essenzial-
mente (cfr. p. 31).
33 Cfr. EFREM IL SIRO, Omelie su Isaia, XXVI, 10. GIOVANNI CmsoSTòMO, Trattato sulla com-
punzione, 10.
34 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Trattato sulla compunzione, I, 10. GREGORIO DI NISSA, Ome-
mente. È così che i Padri sottolineano, talvolta, sulla scorta di san Paolo (2Cor 7,10) che latri-
st=a secondo Dio provoca il pentimento (vedi per esempio BARSANUFIO, Lettere, 242) e talal.
tra che essa è generata dal pentimento (vedi per esempio, Vita di san Cirillo il Fileota, citato da
I. HAUSHERR, Penthos, p. 26).
37 Su quest'ultimo punto, vedi per esempio GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 462, e soprattutto
285. I. HAUSHERR considera «le lacrime>> praticamente come sinonimo di «dolore>> e di «com-
punzione>> (op. cit., p. 16). Questo è vero solo per un tipo di lacrime. Difatti i Padri ne distin-
584
In secondo luogo, essa consiste nell'affliggersi di vedere il prossimo
lontano da Dio, privato dei beni spirituali, e nel rattristarsi per le sue
colpe e le sue debolezze' 8 •
Solitamente i Padri oppongono le due forme di tristezza; essi sot-
tolineano i difetti della prima e invitano a rinunciarvi, incitando ad ac-
quistare la seconda di cui essi giustificano l'uso e mostrano il valore
e persino la necessità per la vita spirituale e l'opera di salvezza, e che
essi chiamano per questo come fa l'Apostolo (cfr. 2Cor 7,9-11) «tri-
stezza secondo Dio», o anche <<tristezza amata da Dio»39 , <<tristezza sa-
lutare»40, «santa tristezza», «tristezza proficua.>>41 , <<tristezza utile>>, «bel-
ìa tristezza.>>42 , <<tristezza gradevole»43 , <<tristezza beata.>>44 , ecc. È que-
sta che san Paolo ricorda quando scrive: «Ho un grande dolore, un
travaglio continuo nel mio cuore» (Rm 9,2). È anche quella che l'Ec-
clesiaste invita a possedere quando scrive: «Il pensiero del sapiente è
rivolto alla casa in cordoglio» (Qo 7,4).
San Paolo stesso stabilisce esplicitamente questa opposizione, scri-
vendo: «La tristezza secondo Dio genera ravvedimento che porta a sal-
vezza e di cui non ci si pente; ma la tristezza del mondo genera la mor-
te» (2Cor 7,8-10). Sulla sua scia, anche san Sindetico insegna: «Vi è
una tristezza utile e una distruttrice. È tipico della prima, piangere i
propri peccati e affliggersi della debolezza del prossimo, per non al-
lontanarsi dal proprio intento e unirsi alla bontà perfetta. Ma vi è an-
che la tristezza che arriva dal nemico [. .. ]. Occorre dunque scacciare
questo spirito [ ... ]»45 • Anche san Massii110 oppone alla «tristezza in-
guono molte. Noi qui prenderemo in considerazione solo quelle che sono legate alla compun·
zione. Non daremo uno spazio a parte a ciò che per convenzione chiamiamo «il carisma delle
lacrime>>, perché, da un lato, tutte le lacrime spirituali possono essere considerate come un do-
no di Dio, mentre, dall'altro, questa espressione non indica altro che le lacrime in quanto sono
divenute pure e incessanti. Ci si potrà riferire a questo riguardo allo studio classico di M. LoT-
BoRODINE, <<Le mystère du "don des larmes" dans l'Orient chrétien», in Supplément à La Vie
rpirituelle, 48, 1936, pp. 65-110, ripreso in La d<Juloureusejoie, Bellefontaine 1974, pp. 131-195.
' 8 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Sindetico, 21. GIOVANNI CR!sosrOMO, Consolazioni a Sta-
gira, III, 14; Omelie sulle statue, XVIII, 2; 3; Omelie sulla lettera agli Ebrei, XV, 4; Omelie sulla
lettera ai Filippesi, III, 4. BASILlO DI CESAREA, Regole brevi, 31; Omelie sulla santa martire Giu-
litta, 9. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, IX, 29. TEODORO SrumrA, Piccole catechesi, éd. Au-
vray, p. 25. PIETRO DAMASCENO, Libro, I.
"DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 60.
40 Questa formula appare come una sintesi di 2Cor 7,10. Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala,
585
sensata di molti, che mette la morte nell'anima per passioni insoddi-
sfatte o per oggetti materiali assenti, perché i loro slanci vanno contro
natura a ciò che non si deve, e le loro repulsioni contro ciò che oc-
corre», oppone, dicevamo, «la tristezza vantaggiosa», «questa tri-
stezza razionale, approvata da coloro che sono saggi nelle cose divi-
ne»46. E altrove scrive: «Chi ama Dio [. ..] non si rattrista contro nes-
suno per motivi di ordine temporale. Egli non inspira e non sente che
una sola tristezza, ma è quella salutare»47 • San Giovanni Crisostomo
consiglia: «0 fedele, bandisci la tua tristezza presente per rivestire quel-
1' altra tristezza che l'Apostolo chiama tristezza secondo Dio, tristez-
za capace di operare la nostra salute durevole: in altre parole, il pen-
timento dei peccati che tu hai commesso»48 • Altrove precisa: Gesù Cri-
sto «proclama beati coloro che piangono, ma non quelli che lo fanno
per ragioni umane, come la perdita di un bene temporale, ma quelli
che hanno la compunzione cristiana, che piangono le loro miserie, che
espiano i loro peccati e anche quelli degli altri>>49 • Quanto a san Gio-
vanni Cassiano, scrive: «Occorre respingere indistintamente ogni tri-
stezza come tristezza del secolo, che genera la morte, e bandirla dal
nostro cuore», «ad eccezione di quella suscitata da una salutare pe-
nitenza, dalla ricerca della perfezione o dal desiderio dei beni futuri>>5°.
Non si tratta, dunque, di abolire ogni forma di tristezza, ma solo
quella della tristezza-passione. E ancora, porre fine alla passione non
significa porre fine alla funzione stessa ma guarirla, al fine di permet-
terle di ritrovare il suo uso naturale e normale ed esercitarsi di nuo-
vo in modo salutare. Inoltre, la guarigione assume la forma di un rio-
rientamento, di una conversione· di questa funzione, del suo uso pas-
sionale contro natura nell'uso virtuoso che le conviene. San Gregorio
di Nissa ne parla in maniera esplicita: dopo aver affermato che <<l'in-
telligenza deve ben ordinare tutte le cose nel nostro intimo e utilizza-
re secondo il loro proprio fine e in vista del bene ogni potenza del-
1'anima che il Creatore ha fabbricato perché ci servisse come strumento
e utensile», scrive: «In quanto al bene prezioso della tristezza, occor-
re munirsene al momento propizio del pentimento dei peccati [ ... ],
perché non è mai utile se non per un tale servizio>Y 1• Sàn Giovanni Cri-
"'Ibid., 12.
51 Trattato sulla verginità, XXVIII, 3 .
586
sostomo, sottolineando che: «dipende da noi mettere le membra al ser-
vizio del peccato o della giustizia»52 , osserva allo stesso modo che la
tristezza non dev'essere respinta, ma usata secondo le regole della
ragione e della prudenza53 • Egli scrive in particolare: «Il peccatore [... ]
deve ricorrere alla tristezza per liberare la sua anima e ricondurla a
uno stato migliore»54 • «Il Signore, egli spiega, ha voluto che latri-
stezza fosse una delle passioni [naturali] dell'uomo [ ... ],affinché que-
sti ne traesse preziosi vantaggi. Come ottenerli? Nel rattristarci per ra-
gioni legittime. Ora non è affatto l'avversità, ma solo il peccato che de-
ve provocare questa tristezza>>55 • Altrove egli sottolinea: «Grande è il
dominio della tristezza: è una malattia spirituale che richiede molta
forza per resisterle coraggiosamente e per rifiutare ciò che essa ha di
· cattivo, dopo aver preso ciò che essa ha di utile, perché essa ha la sua
utilità. Infatti, quando abbiamo peccato, solo allora la tristezza è buo-
na e utile; ma essa è inutile quando è causata da calamità umane»56 •
San Barsanufio consiglia più laconicamente: «Non bisogna assoluta-
mente rattristarsi per qualcosa di questo mondo, ma unicamente per
il peccato»57 •
La tristezza virtuosa non è, dunque, fondamentalmente di natura
diversa dalla tristezza-passione; essa non ne differisce che per il fine
che l'uomo le assegna, o per l'oggetto al quale la tivolge. Ma questo
fine le dà, nell'uno o nell'altro caso, una forma diversa. San Giovan-
ni Cassiano presenta così le rispettive caratteristiche: mentre la tri-
stezza-passione «è aspra, impaziente, intrattabile, piena di rancore, di
amarezza sterile e di una penosa disperazione», mentre essa «paraliz-
za I'attività di colui di cui essa si è impadronita e lo distoglie dalla sof-
ferenza salutare, perché è irrazionale», al contrario, la <<tristezza che
"genera un ravvedimento che porta a salvezza" (2Cor 7,10) è obbe-
. diente, affabile, umile, dolce, piena di soavità e di pazienza, perché pro-
viene dall'amore di Dio. Per desiderio di perfezione, essa si estende
senza stancarsi a tutti i dolori del corpo e alla contrizione dello spiri-
to; gioiosa in qualche modo, e fortificata dal suo progresso, essa con-
serva sempre la propria amabilità e la grandezza d'animo, possedendo
essa stessa tutti i frutti dello Spirito Santo che l'Apostolo enumera: "a-
587
more, gioia, pace, longanimità, bontà, benevolenza, fiducia, mitezza,
padronanza di sé" (Gal 5,22-23)» 58 .
Non si tratta per l'uomo solo di affliggersi dei peccati attuali; ma,
lo abbiamo detto, del suo stato di decadenza, di separazione da Dio,
o almeno dell'allontanamento da Dio. È per questo che la tristezza spi-
rituale dev'essere permanente. Dobbiamo «sempre avere il pénthos»,
insegna Abba Pastor59 • E un altro Anziano afferma: «Come noi por-
tiamo doVtinque l'ombra del nostro corpo, così dobbiamo avere con
noi, in ogni luogo, le lacrime della compunzione»60 • San Giovanni Cri-
sostomo afferma la stessa cosa: «È sempre tempo di lacrime»61 • San
Giovanni Climaco scrive: <<La vera compunzione è un dolore dell' a-
nima che non le permette alcuna distrazione, che non le lascia con-
cedersi alcun riposo, ma che le rappresenta in ogni momento la_ sua
dissoluzione»62 • Inoltre, egli osserva che «il pénthos è il dolore dive-
nuto naturale in un'anima infuocata d'amore»63 •
La finalità della tristezza secondo Dio, è quella del raggiungimento
della perfezione64 , e ciò che la motiva, è il desiderio di questa perfe-
zione65 e della beatitudine futura 66 • Ora, più l'uomo si avvicina a Dio,
più ha coscienza di esserne lontana67 , più egli avanza sulla via della
perfezione, meno ha l'impressione di acquisirla, più è purificato dai
suoi peccati, più si vede peccatore e sente il bisogno di fare penitenza
e piangere i suoi peccati68 • La tristezza secondo Dio, dunque, lungi dal
diminuire con il progresso spirituale, al contrario, si accresce come i.11-
dica san Giovanni Climaco: <<L'afflizione è una sofferenza divenuta co-
me naturale a un'anima penitente, che ogni giorno aggiunge dolore a
dolore, come una donna nei dolori del parto»69 •
Come tutte le virtù, la tristezza è un dono di Dio70 • Come tutte le
tegmi, N 521; N 537. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 7. EFREM IL SIRO, Sermone ascetico, éd.
Assemani, t. I, p. 60.
588
virtù, tuttavia, suppone lo sforzo incessante dell'uomo per assimilare
e conservare questo dono. A differenza della tristezza-passione, essa
non è uno stato che l'uomo subisce passivamente, in alcuni momenti
più che in altri, ma un atteggiamento ascetico che egli deve suscitare
e conservare costantemente con un serio lavorio. In questa sinergia tra
la grazia divina e la volontà umana, è frequente che Dio prenda l'ini-
ziativa; ma, insegna san Basilio, è per stimolare la volontà dell'uomo,
perché <<l'anima quando ha gustato la dolcezza di tale tristezza si af-
fretta a nutrirla>>, o per mostrargli che «se l'anima aveva un po' più ze-
lo, essa potrebbe sempre essere in questo stato»71 • Se in questo caso
l'uomo non può conservarla, ciò è dovuto solo alla sua negligenza72 ,
e se in modo generale egli non può acquisirla, ciò testimonia solo una
mancanza di attenzione e di sforzo da parte sua73 • Ugualmente san Bar-
sanufio constata che le lacrime non vengono all'uomo «se non con pe-
na, attraverso molta assiduità e resistenza»74 • San Callisto e sant'I-
gnazio Xantopulo sottolineano che queste sono il frutto di una lotta75 •
San Giovanni Climaco insiste sulla necessità di un esercizio assiduo
per acquisire questa virtù76 , ma anche e soprattutto per conservarla77 •
Un tale sforzo rimane necessario fintanto che questa non è solidamente
radicata ed è divenuta abituale78 •
Per ottenere una compunzione permanente, l'uomo deve innanzi-
tutto avere coscienza incessante dei suoi peccati79 • Tale atteggiamen-
to, di cui il salmista offre l'esempio nel dire: «La mia colpa io cono-
sco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (Sal 51[50],5), costituisce
ciò che i Padri spesso chiamano «il ricordo dei propri peccati>>. Ecco
perché un Padre consiglia: <<Persistiamo nel ricordo dei nostri pecca-
ti e avremo un grande dolore nei nostri cuori»80 • Da parte sua, così
scrive san Barsanufio: «È dalla continuità del ricordo che giunge al-
l'uomo la compunzione». Ciò, tuttavia, non significa necessariamente
avere coscienza o ricordo di peccati particolari, ma piuttosto la con-
tato sulla compunzione, II, 4. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, IX, 26; 28; 29. CALLlSTO e IGNA-
ZIO XANTOPULO, Centuria, 25.
80 Apoftegmi, Bu II, 175.
589
sapevolezza di essere peccatori, come precisa san Barsanufio: <<Per
ricordo dei peccati io intendo non che ci si ricordi in particolare di
ognuno di essi, nel qual caso l'intrusione dell'avversario produrreb-
be una nuova schiavitù, ma che ci si ricordi solo che siamo indebitati
con il peccato»81 • Per ottenere la compunzione, l'uomo deve indub-
biamente accompagtiare il ricordo dei suoi peccati con ciò che i Padri
chiamano comunemente condanna di sé82 •
Essendo la" compunzione un dono di Dio e non imponendo Dio i
suoi doni, l'uomo deve pregare per chiederla e ottenerla83 •
Poste queste due condizioni, appare subito che una delle principa-
li fonti della compunzione è il timore di Dio84• San Pietro Damasceno
intitola un capitolo del suo Libro: «Che il timore generi il dolore»85 ,
e san Giovanni Crisostomo insegna: «Là dove vi è il timore, vi saran-
no lacrime sincere e abbondanti, gemiti pieni di compunzione»86 • Lo
stesso autore dice anche: «Quando le lacrime provengono dal timore
di Dio, esse durano sempre»87 •
La tristezza secondo Dio è generata anche dal ricordo della mor-
te88, dal pensiero del giudizio fu:turo 89 , dall'incertezza della salvezza,
dal timore delle pene dell'infemo90 e dalla coscienza del fatto che «co-
lui che non piange su di sé quaggiù dovrà piangere eternamente nel-
1'aldilà.>>91 •
Anche la salmodia e le letture spirituali (specialmente la lettura del-
81 Lettere, 428.
82 Cfr. ibid., 242. GIOVANNI CRrsoSTOMO, Trattato sulla compunzione, II, 4.
83 Cfr. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 85. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 5. EFREM IL SI·
RO, Sermone ascetico, écl. Assemani, t. I, p. 60. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 73.
84 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, IV, 43. MA.sSIMO IL CONFESSORE, Di-
scorso ascetico, 27. BARSANUFIO, Lettere, 395; 397. AMMONA, Lettere, Il, 1. IsACCO IL SIRO, Di-
scorsi ascetici, 37. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, III, 23. GRE-
GORIO PALAMAS, Triadi, Il, 6, 16.
85 Libro, I, 14.
86 Omelie sulle statue, XV, 1.
87 Omelie sulla lettera ai Filippesi, III, 4.
88 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 242. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 25.
89 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 242; 257; 428. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, IX, 29. GIO-
VANNI CLIMACO, La Scala, VII, 12. Apoftegmi, serie alfabetica, Evagrio Pontico, 1. SIMEONE IL
Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, III, 23.
90 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 257; 428. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VII, 12. MA.sSIMO IL
CONFESSORE, Discorso ascetico, 27. Apoftegmi, serie alfabetica, Evagrio, 1. GREGORIO DI NISSA,
Omelie sulle Beatitudini, III, 2. GIOVANNI CRISOSTOMO, Trattato sulla compunzione, I, 10; Il, 4.
GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, IX, 29. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici,
gnostici e pratici, III, 23. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 25.
91 Apoftegmi, serie alfabetica, Arsenio, 41.
590
le Vite dei santi) 92 , praticate con attenzione e raccoglimento, la favori-
scono93. Così come la suscitano la manifestazione dei pensieri e gli
incontri con persone spirituali progredite94 .
"'Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 482. DIADOCO DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici, 73. GIOVANNI
CAssIANo, Conferenze, IX, 26.
94 CTr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, IX, 26. Apoftegmi, PE Il, 32. Numerosi apofteg-
mi lo sottolineano, dicendo di colui che manifesta i suoi pensieri ad un Anziano o riceve da lui
un insegnamento: <<Egli fu toccato dalla compunzione>>.
95 Cfr.Apoftegmi, N 588; N 592/10; N 592/63.
% Cfr. GIOVANNI CL!MACO, La Scala, VlI, 68. AMMONA, Istruzioni, rv; 60. Apoftegmi, Bu II,
591
meone il Nuovo Teologo: «Sopprimi le lacrime: tu hai nello stesso mo-
mento soppresso la purificazione; e senza purificazione non vi è nes-
suno che si salvi»102 . Tutto ciò è in linea con l'insegnamento di san Pao-
lo, quando afferma: «Godo per la vostra tristezza perché vi siete rat-
tristati per convertirvi[ ... ]. La tristezza secondo Dio genera ravve-
dimento che porta a salvezza» (2Cor 7 ,9-10). Anche san Simeone il
Nuovo Teologo non esita ad affermare: «Prima del dolore e delle la-
crime, non vi è in noi che pentimento»103, mentre Abba Poemen vi ve-
de il solo mezzo per essere liberati dal peccato104 • San Giovanni Cri-
sostomo continua a sottolineare il potere purificatore del pénthos: «Tu
hai peccato? Sta' nel dolore e il peccato scomparir$>, perché <<il pénthos
cancella il peccato» 105 • «La tristezza che ha il peccato come soggetto
purifica da questo peccato»106 • «Se ci si rattrista dopo aver peccato, il
peccato scompare, la colpa è riparata>> 107 • Lo stesso autore indica che
questa è la finalità vera e principale della tristezza, ed è per questo che
Dio l'ha donata all'uomo: <<Essa non ha altra forza se non quella di &
struggere il peccato cancellandolo; Dio non l'ha creata per alcun altro
fine» 108 • Considerandola esplicitamente come rimedio, egli dimostra
che questo non potrà essere efficace se non di fronte al peccato, al qua-
le esso sembra specificamente adatto: <<l medicamenti sono stati fatti
in vista di malattie che possono guarire, e non per quelle che essi non
possono affatto curare [ .. .] . Applichiamo alla tristezza ciò che ora è
stato detto, e troveremo che questa non ha alcun effetto sui diversi
infortuni della vita, e che il solo male da cui essa possa guarirci, è il
peccato. È certo, dunque, che essa è de~tinata unicamente a liberar-
cene»109. Quanto a Evagrio, egli, secondo la stessa prospettiva medi-
ca, considera le lacrime che versiamo piangendo i nostri peccati come
<<l'antidoto alle passioni»110. «Nulla distrugge le passioni come il do-
lore», afferma nello stesso senso sant'Isacco il Siro 111 • E sant'Ammo-
na insegna più in generale: <<ll pénthos in modo imperturbabile scac-
cia tutti i peccati»112 . Così anche san Giovanni Climaco: <<Le lacrime
592
vere distruggono tutte le L.-npurità visibili o nascoste»113 • Così possia-
mo dire con sant'Isacco che <<è attraverso il dolore che si giunge alla
purezza dell' anima.>>114 •
Le lacrime hanno un tale potere di purificazione e di guarigione che
i Padri non esitano a considerarle come l'acqua di un nuovo battesi-
mo che cancella le colpe commesse dopo il primo e permettono di re-
cuperare la grazia 115 battesimale. A questo proposito san Simeone
così scrive: «Senza lacrime, non si è proprio mai sentito dire che un' a-
nima sia stata purificata dalle sozzure del peccato quando essa ha pec-
cato dopo il battesimo»116 • Per questo san Giovanni Climaco osa af-
fermare: «È più grande dello stesso battesimo questa fonte di lacri-
me che zampilla dopo il battesimo [... ]. Il battesimo, infatti, ci purifica
dai peccati che lo hanno preceduto, mentre le lacrime cancellano tut-
te le colpe che commettiamo in seguito. Visto che tutti noi riceviamo
il battesimo nell'infanzia, noi lo sporchiamo in seguito; ma per mezzo
delle lacrime, noi lo rinnoviamo nella sua purezza originale>>117 •
Ecco perché le lacrime contribuiscono ampiamente a condurre l'uo-
mo all'impassibilità118. Sant'Isacco a questo proposito così scrive: «Non
è possibile che un uomo afflitto continuamente nel dolore sia turba-
to dalle passioni. Vivere nel dolore e piangere sono il carisma stesso
degli impassibili. Se le lacrime non solo possono condurre all'impas-
sibilità colui che momentaneamente vive nel dolore e piange, ma pos-
sono anche purificare la sua intelligenza e liberarla dal ricordo delle
passioni, cosa dire di coloro che notte e giorno si dedicano coscien-
temente a quest'opera?» 119 • L'uomo allora conosce la pace dei pen-
sieri, la pace vera e perfetta dell'anima120 , che da questo punto di vista
possiamo considerare un effetto del pénthos121 • E la purezza del cuo-
re e dell'intelligenza come questa pace dei pensieri, acquisite attraverso
il dolore, la compunzione e le lacrime, gli aprono le porte della con-
593
templazione dei misteri e della conoscenza vera di Dio 122 , secondo la
promessa stessa del Cristo: «Beati gli operatori di pace, perché saranno
chiamati figli di Dio» (Mt 5,9); «Beati i puri di cuore, perché vedran-
no Dio» (Mt 5,8). Ecco perché parlando del dolore e delle lacrime,
sant'Isacco il Siro precisa: «Tutti i santi cercano di entrare da ID> 123 •
éd. Muyldermans, 35; A una vergine, 25. lsACCO IL SIRO Discorsi ascetici, 85.
128 Vedi per esempio GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVIII, 14.
129 EVAGRIO PONTICO, Parenetica, éd. Frankenberg, p. 60.
130 La preghiera, 6.
594
cesso a tutte le virtù e permette di svilupparle tutte135 • Abba Mosè co-
sì insegna a questo riguardo: «Per mezzo delle lacrime si acquistano
le virtù come per mezzo delle lacrime si ottiene il perdono dei pecca-
ti»136. E sant'Antonio: «Chi vuole progredire nell'edificazione delle
virtù, progredirà per mezzo dei pianti e delle lacrime»137 • Abba Poe-
meil considera la tristezza come <<la sola via>> per fare questo 138 , come
sant'Isacco quando scrive: «L'anima che ha ricevuto la preoccupa-
zione della virtù[. ..] non può rimanere un giorno senza tristezza. In-
fatti le virtù sono legate alle afflizioni. Colui che si libera dalle affli-
zioni inevitabilmente si separa dalla virtù»139 •
In realtà, un effetto caratteristico della tristezza secondo Dio è la sua
dolcezza consolatrice, che paradossalmente toglie al dolore e ali' affli-
zione il loro carattere di sofferenza, e appare come un segno manifesto
dell'aiuto divino e della presenza della grazia nell'anima. Per questo
san Giovanni Crisostomo fa notare: «Il frutto [dei] gemiti è grande,
grande è la loro dolcezza persuasiva e consolante [... ].Infatti, i conti-
nui gemiti producono la consolazione>>140• E san Giovanni Climaco scri-
ve: <<L'abisso dell'afflizione vede la consolazione [...]. L'aiuto divino è
un rinnovamento dell'anima abbattuta dal dispiacere, che, in modo me-
raviglioso, rende indolore le lacrime dolorose»141 • Ciò concorda natu-
ralmente con l'insegnamento del Cristo: «Beati quelli che piangono
perché saranno consolari>> (Mt 5,4), il Cristo che già aveva detto per la
bocca del profeta Isaia: «Il Signore mi unse, mi inviò [. ..] a fasciare
quelli dal cuore spezzato [ .. .],per consolare tutti gli afflitti[...], per da-
re loro [ ... ] olio di letizia invece di un abito di lutto» (Is 61, 1-3).
In effetti, non è solo la consolazione che Dio concede all'uomo af-
flitto, bensì anche la gioia spirituale, che è l'effetto più caratteristico
del dolore, della compunzione e delle lacrime142 , come indica lo stes-
so Cristo: «Voi piangerete e gemerete [... ],vi rattristerete, ma la vostra
tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16,20). Così i Padri spesso chiama-
no la tristezza secondo Dio, paradossalmente, «tristezza gioiosa» 143 •
595
Abba Isaia molto semplicemente afferma: «La tristezza secondo Dio
è gioia>> 144 . San Giovanni Climaco, che non esita a intitolare il Grado
VII della sua Scala: <<Dell'afflizione (pénthos) che produce gioia>>, sot-
tolinea il paradosso: «Quando considero la natura della compunzio-
ne, sono colpito da stupore: come ciò che chiamiamo afflizione e tri-
stezza può contenere nascosta, nel suo seno, tanta gioia e allegria?»145.
E arriva a constatare che «colui che avanza in una continua afflizio-
ne secondo Dio trascorre ogni giorno della sua vita in una festa spiri-
tuale»146. San Giovanni Cassiano nota la stessa cosa: «Spesso, è con
una gioia ineffabile e con trasporti spirituali che si rivela la presenza
salutare della compunzione; poiché l'immensità stessa della gioia la
rende intollerabile, essa scoppia in grandi grida che portano fino alla.
cella vicina la notizia della nostra felicità e della nostra ebbrezza»147.
Da parte sua, san Giovanni Crisostomo constata: «La tristezza che ha
il peccato come soggetto [ .. .] ci procura una grande gioia» 148; <<latri-
stezza secondo Dio genera solo piacere e gioia. Lo sanno bene le ani-
me che pregano con dolore, e che versano le lacrime di penitenza. Da
quale gioia sono inondate!»149. Altrove, egli precisa che il Cristo <<pro-
clama beati coloro che piangono non quelli che lo fanno per qualche
ragione umana [ ... ],ma quelli che hanno la compunzione cristiana»,
e fa notare che la gioia che san Paolo raccomanda quando scrive: «Sia- .
te sempre allegri>> (Fil 4,4), <<lungi dall'essere contraria a queste lacri-
me, si genera alla loro fonte pura e feconda. Piangere le proprie mi-
serie vere, e confessade, vuol dire crearsi gioia e felicità» 150.
Il fatto che la tristezza produca la gioia e la possibilità paradossale
per questi due stati di coesistere nell'anima, possono spiegarsi in mol-
ti modi.
Occorre, innanzitutto, notare allora che non è per la stessa ragio-
ne che l'uomo si affligge e gioisce. <<È possibile, fa notare san Giovanni
Crisostomo, essere riel lutto per i propri peccati ed essere nella gioia
a causa del Cristo» 151 .
sia, 58.
151 Loc. cit.
596
Occorre notare, inoltre, che rattristandosi spiritualmente, l'uomo
compie la volontà di Dio, e che ciò è già una causa di gioia152 .
Un'altra ragione è che, al contrario della tristezza-passione che ge-
nera la disperazione, la tristezza secondo Dio si accompagna alla spe-
ranza. Nello stesso tempo in cui l'uomo si affligge per i propri pec-
cati e per i propri mali spirituali, manifesta la sua speranza di riceve-
re da Dio perdono e guarigione. È questa, come afferma san Nilo, una
delle fonti della gioia che avverte colui che si rattrista: «Il lamento
sui peccati comporta una tristezza molto dolce e un'amarezza simile
al miele, perché è condita con una speranza buona ed eccellente. È
per questo che essa nutre il corpo e fa brillare di gioia il fondo del-
l'anima>>153. San Gregorio di Nissa osserva la stessa cosa: «Come non
chiamare beata [la tristezza secondo Dio], quando questa riconosce il
male e piange una vita peccaminosa? In un membro necrotizzato a
causa di un incidente, la paralisi è il segno che una parte del corpo sta
morendo. Se l'arte del medico riesce a restituire a questo membro la
sensibilità, medico e malato gioiscono insieme, anche se si tratta di una
sensazione di dolore, perché si può intravedere la guarigione»154 .
Occorre aggiungere, più profondamente, che più l'uomo si rattri-
sta del suo peccato e si umilia davanti a Dio, più si apre e fa spazio
in sé alla grazia divina che gli comunica lo Spirito Santo, il Consola-
tore (cfr. 2Ts 2,16), la fonte di ogni gioia (cfr. Gal 5,22).
La gioia dello spirito che l'uomo sente non è affatto paragonabile a
quella che può sentire per ragioni mondane, ed essa si sostituisce
nell'anima al piacere legato alle passioni. Si tratta in questo, lo sotto-
lineano i Padri, della <<Vera gioia>>155 , di una gioia divina, della gioia nel
Signore (dr. Sal 33 [32],21; Fil 4,4), che è un attributo della grazia stes-
sa156, che procura all'uomo la gioia adatta alla sua natura, che corri-
sponde allo stato di salute del suo essere nella sua condizione natu-
rale, e che è il segno che l'uomo è ritornato ad essere la dimora di Dio,
il luogo dove operano le sue energie deificanti.
Occorre ricordare che la tristezza e le lacrime non lasciano l'uomo
quando egli raggiunge la perfezione. Il carisma delle lacrime appare
persino, lo abbiamo detto, come un segno di questa perfezione. Così
scrive a questo proposito sant'Isacco il Siro: «E nell'afflizione e nella
597
sofferenza che tutti i santi hanno lasciato questa vita [... ]. Beati i cuo-
ri puri, perché non c'è tempo in cui essi non godano di queste deli-
zie delle lacrime, e in tali delizie essi vedono sempre il Signore. Men-
tre le lacrime sono ancora nei loro occhi, è concesso loro di vedere le
rivelazioni di Dio nelle altezze della loro preghiera>>157 •
Ciò è dovuto al fatto che, come dice altrove sant'Isacco, <<la perfe-
zione degli stessi perfetti è imperfetta»158 • È solo dopo la risurrezione
che una perfezione totale sarà concessa da Dio all'uomo, e potranno
infine cessare tristezza, gemiti e pianti (cfr. Is 35,10; Ap 7,17; 21,4), per-
ché è solo allora che il peccato, che è la ragione della sofferenza, del-
la compunzione e delle lacrime, sarà definitivamente distrutto 159 •
Tuttavia, solo ai santi, che conoscono la gioia che procede dal do-
lore, è concesso di fare anche l'esperienza di una gioia che non è le-
gata ad esso e che è primizia della beatitudine del secolo futura1 60• Inol-
tre, è dato a coloro che possiedono il carisma delle lacrime di come
punzione, e con questo hanno raggiunto la purezza, di conoscere un
altro genere di lacrime, che sono l'espressione di questa gioia pura, e
che sono legate alla contemplazione dei misteri divini161 • Questa gioia
e queste lacrime beatifiche, però, non sono date loro continuamente
e non sostituiscono mai definitivamente le altre.
Perciò, per tutti, il dolore e la compunzione restano essenziali in
questa vita: sant'Isacco lo sottolinea a lungo e con forza 162 e san Gio-
vanni Climaco scrive: «Quando la nostra anima lascerà questo mon-
do, noi non dovremo rispondere per non aver operato miracoli, per
non essere stati teologi, né di non aver raggiunto la contemplazione,
ma dovremo inevitabilmente rendere conto a Dio per non avere inin-
terrottamente praticato il pénthoS>>163 • •
Teologo, 69-70. ·
160 Sulle due qualità di gioia, vedi per esempio DIADOCO DI FoTICEA, Cento capitoli gnosti-
ci, 60.
161 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, IX, 29.
162 Discorsi ascetici, 85.
163 La Scala, VII, 79.
598
Questa seconda manifestazione della tristezza è molto importante.
San Clemente di Roma osserva che è proprio della condotta normale
del cristiano piangere sui peccati del prossimo e fare proprie le sue de-
bolezze164. E san Teodoro Studita fa notare che da veri discepoli del .
Cristo, che si è dimostrato compassionevole verso tutti gli uomini, <<Iloi
non dobbiamo occuparci solo di noi stessi, ma anche affliggerci e pre-
gare per il mondo intero»165 .
Questa seconda forma di tristezza deriva in parte dalla prima. La
compunzione, infatti, porta l'uomo a piangere per i peccati del suo pros-
simo quanto piange per i suoi 166 , tanto più che essa gli dà la capacità
di percepire in sé tutta l'estensione della miseria dell'umanità deca-
duta e separata da Dia167 . Il santo penitente, piangendo su di sé, pian-
ge sull'umanità, non solo perché si sente colpevole davanti a tutti, per
tutti e per tutto, ma anche perché, nella sua grande compassione, si
pone al posto di ogni uomo peccatore, ne prova tutti i mali e li pren-
de su di sé.
I vantaggi spirituali che questa afflizione compassionevole procu-
ra all'uomo, sono analoghi a quelli che egli riceve da Dio praticando
la compunzione. «Il vero cristiano s'affligge per la caduta dei fratelli,
e questa tristezza gli accorda le grazie e l'amicizia del Signore», osser-
va san Giovanni Crisostomo 168.
Essa gli consente, altresì, di ricevere il perdono dei propri peccati
e di essere guarito dalle proprie passioni. A questo riguardo san Ba-
silio consiglia: «Occorre che noi piangiamo con quelli che piangono;
quando vedrai tuo fratello gemere per i peccati che egli ha commes-
so, piangi con lui. E così ti correggerai vedendo le colpe altrui; infat-
ti colui che versa lacrime sui peccati altrui guarisce se stesso pian-
gendo per suo fratello» 169 •
La compassione stimola, inoltre, la vita spirituale e favorisce l' ac-
quisto delle virtù170• E per mezzo di essa anche l'uomo riceve da Dio
la consolazione e la gioia spirituali171 .
Se i Padri, tuttavia, non si prolungano sui suoi effetti, è perché que-
599
sti sono identici a una parte di quelli che genera la carità, essendo la
tristezza provata per le colpe altrui molto vicina alla compassione e
poiché essa deriva per gran parte dalla compassione 172 che è una for-
ma della carità. Ci si consenta, dunque, per il resto, di rinviare a ciò
che sarà detto ulteriormente su questa virtù.
172 Cfr. PIETRO DAMASCENO, Libro, I. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera ai Filippe-
si, ill, 4.
600
V
TERAPIA DELL'ACEDIA
La terapia suppone che il male sia stato messo allo scoperto e sia
stato individuato come tale, perché questa passione ha la c~atteristi
ca di essere immotivata, quindi, di essere spesso inconscia o incom-
prensibile. Ciò è tanto più vero in quanto uno dei suoi principali ef-
fetti è quello di accecare lo spirito e di rendere l'anima completamente
oscura. Per questo san Giovanni Cassiano scrive persino che colui che
vuole combattere in modo appropriato «deve affrettarsi ad estirpare
questa malattia dal segreto della sua anima>>3 • E Abba Poemen, da par-
te sua, osserva che «se l'uomo la riconosce per quello che essa è, egli
ottiene la pace>>4 •
1 La Scala, XITI, 9.
2 Istituzioni cenobitiche, X, 5.
3 Ibid.
4 Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 157.
601
tari, nel bisogno di lasciare la propria cella, di spostarsi, di entrare in
contatto con gli altri, si tratta innanzitutto di riconoscere che le giu-
stificazioni di questo bisogno che l'uomo si rappresenta non sono che
vani pretesti dettati dalla passione stessa. Ciò l'aiuterà a non cedere a
questo bisogno. I Padri, infatti, unanimemente raccomandano, quan-
do si presenta la passione sotto questa forma, di combattere per resi-
sterle, sforzandosi prima d'ogni cosa di non lasciare per nessun mo-
tivo il luogo in cui ci si trova. «Non bisogna, scrive Evagrio, lasciare
la cella nell'ora delle tentazioni, per quanto possano essere plausibili
i pretesti che ci si fabbrica, ma occorre rimanere seduti all'interno, es-
sere pazienti, e accogliere coraggiosamente gli assalitori, tutti, ma so-
prattutto il demone dell' acedia [. .. ]»5 • «Quando lo spirito dell' acedia
ti assale, non lasciare la casa e non schivare la lotta[. .. ]», consiglia an-
cora6. Anche san Giovanni Cassiano osserva che l'uomo deve com-
battere lo spirito dell' acedia in modo tale che <<non si lasci scacciare
come un fuggiasco dal recinto del suo romitaggio con un qualsiasi pio
pretesto>/.
Quando l' acedia si manifesta sotto forma di una tendenza ali' asso-
pimento, è opportuno ugualmente resisterle sforzandosi di non ce-
dere al torpore o al sonno8 . In ogni caso, sottolinea san Giovanni Cas-
siano, «l'esperienza prova che non si sfugge alla tentazione dell' acedia
fuggendo, ma occorre superarla resistendole»9 •
Cedere ali' acedia sarebbe in ogni caso una cattiva soluzione che non
farebbe altro che accrescere il male. <<Assalita dalQe] astuzie del ne-
mico, l'anima infelice oppressa dallo spirito dell' acedia [.. .] è portata
sia a cedere al sonno, sia a lasciare i confini della sua cella e a cercare
nella visita di un fratello un rimedio alla tentazione. Ma il rimedio che
in quel momento l'anima usa la renderà ancora più malata poco do-
po. Infatti, l'avversario attaccherà più violentemente colui che sa già
che volterà le spalle subito dopo aver ingaggiato la lotta, e che egli ve-
de sperare la salvezza non dalla vittoria o dalla lotta, ma dalla fuga>>,
osserva san Giovanni Cassiano 10 • Questi, altrove, dice di coloro che
l' acedia attacca: «Se essi si concedono la libertà di uscire troppo spes-
so, susciteranno contro di sé un flagello più terribile, proprio laddove
602
essi pensano di trovare un rimedio. Così alcuni malati s'immaginano
di spegnere gli ardori della febbre prendendo dell'acqua fresca. Ma
è evidente che questa riaccende il fuoco interiore piuttosto che spe-
gnerlo; il sollievo di un istante sarà seguito da un dolore più vivo»11 •
Come la causa dell' acedia è all'interno dell'uomo e non nella sua
condizione di eremita, così il principio della guarigione di questa
malattia è da ricercare nel rapporto dell'uomo con se stesso e non
nei suoi rapporti con gli altri, essendo l'impressione di poter ricevere
un aiuto dagli altri, nella maggior parte dei casi, fallace. Sant'Isacco
il Siro così scrive a questo proposito: «La salute e la guarigione del-
l'uomo, la cui anima è ottenebrata, gli vengono dall' hésychfa12 • È qui
la sua consolazione. Nessuno riceve mai nel rapporto con gli uomini
la luce della consolazione, né viene mai guarito dalle relazioni che in-
trattiene con essi. L' acedia non lo lascia che per un solo momento per
assalirlo poi con più violenza. Beato colui che sopporta tali tentazioni
rimanendo nella sua cella.>>13 •
Certo, i Padri ammettono che in alcuni casi «è del tutto necessa-
rio incontrare un uomo illuminato che ha esperienza di queste cose,
per ricevere da lui la luce e la forza» 14 • Ma questo non può essere
che un'eccezione15 • Così Nil Sorsky lo consiglia solo con molte riser-
ve: «Talvolta si ha bisogno, come dice san Basilio Magna16 , di entrare
in contatto e in conversazione con un uomo esperto ed edificante, per-
ché una visita al momento giusto e con buone intenzioni, una con-
versazione moderata con quest'uomo senza futilità né chiacchiere, non
solo possono scacciare dall'anima l' acedia nascosta in essa, ma pro-
curargli anche un certo sollievo e ridargli forza e zelo per il combat-
timento successivo [...].Tuttavia i Padri, dopo aver riflettuto sulla co-
sa, alla luce della loro esperienza, dicono che, al momento della ten-
tazione, è meglio rimanere nella propria cella, senza separarsi dal-
1'hésychia»17 • È nella lotta solitaria e nel resistere alla passione che l'uo-
mo trova maggior profitta18 , perché attraverso questo combattimento
la sua anima è messa alla prova e fortificata. Per questo Evagrio seri-
11 Conferenze, xxrv, 5.
u Ricordiamo che il termine greco esychia significa sia sil=io, sia calma (esteriore e inte-
riore) o solitudine.
" Discorsi ascetici, 57.
14 Ibid. Cfr. BASIT.JO rn CESAREA, Costituzioni monastiche, VII, 2, PG 31, 1368A.
15 Cfr. lsACCO IL SIRO, loc. cit.
16 Costituzioni monastiche, VII, 2.
17 Regola, V.
18 Cfr. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 57.
603
ve: «Quando lo spirito dell' acedia ti assale, non lasciare la tua casa, e
non schivare, al momento opportuno, la lotta proficua, perché, co-.
me si purifica l'argento, così il tuo cuore sarà reso brillante» 19 ; e ag-
giunge: «Non bisogna abbandonare la cella nell'ora della tentazione
[...],ma accogliere coraggiosamente gli assalitori, tutti, ma soprattut-
to il demone dell' acedia che, in quanto è il più pesante di tutti, mette
l'anima alla prova al massimo grado»20• Dal canto suo, così osserva
sant'Isacco: <<Beato colui che sopporta tali tentazioni rimanendo nel-
la sua cella, perché, come dicono i Padri, grandi saranno la stabilità
e la potenza alle quali dopo questo egli giungerà>>21 •
Tuttavia, la resistenza alla passione non dà mai un frutto immedia-
to. La vittoria sull' acedia suppone quasi sempre una lotta lunga e as-
sidua22. Per questo la terapia esige innanzitutto che si dia prova di pa-
zienza e di perseveranza. La virtù della pazienza appare persino come
uno dei principali rimedi a questa passione23 • <<L'acedia è repressa dal-
la pazienza (ypomoni)», scrive Evagrio24• E san Massimo sottolinea
che questa terapia ci è stata data dallo stesso Cristo: <<L' acedia, che
coinvolge tutte le potenze dell'anima, mette in moto contempora-
neamente quasi tutte le passioni; ed è perciò che, fra tutte, è quella più
temibile. Preziosa, dunque, la parola del Maestro che gli oppone il rie
medio: "Con la vostta pazienza salverete le vostre anime" (Le 21,19)»25•
84. BARSANUFIO, Lettere, 13. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XII, 133. NIL SoRSKY, Re-
gola, V.
24 Ai monaci, PG 79, 1236A. Cfr. Trattato pratico sulla vita monastica, 28.
25 Centurie sulla carità, I, 67.
26 Cfr. MACARIO D'EGITTO, Capitoli para/rasati, 129. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVII,
604
Dio" (Sal 42[41],6)»28 • La speranza da praticare non è solo quella di
essere in un tempo più o meno lungo liberato dalla passione e di ot-
tenere sollievo29 , ma anche quella dei beni futuri la quale, osserva
san Giovanni Climaco, costituisce il giudizio su questa passione3° che
«annienta completamente»31 •
Un terzo rimedio essenziale è il pentimento, il dolore e la compun-
zione. Se l'uomo «si ricorda dei suoi peccati, Dio è il suo aiuto in tut-
to ed egli non soffre più l'acedia», insegna un Anziano32 • «Questo ti-
ranno sia soggiogato dal ricordo dei peccati», consiglia da parte sua
san Giovanni Climaco33 , che aggiunge: «Colui che piange su se stes-
so non conosce l'acedia>>34 • Le lacrime che seguono il pentimento e
la sofferenza spirituale appaiono evidentemente come un rimedio an-
cora più potente. <<L' acedia è repressa dalle lacrime>>, osserva Evagria35,
il quale scrive anche: «Versare lacrime è un grande rimedio contro le
visioni della notte generate dall' acedia. Ora, questo rimedio, egli lo ap-
plicava saggiamente alle sue passioni dicendo: "A causa del mio ge-
mere io sono consunto, inondo ogni notte il mio giaciglio e irrigo di
lacrime il mio letto" (Sal 6,7)»36 • ·
28 Trattato pratico sulla vita monastica, 27. Evagrio Pontico consiglia lo stesso trattamento an-
22: «Per lanima cbe immagina cbe le lacrime non servono a nulla nella lotta contro I' acedia e
che non si ricorda di Davide che faceva questo mentre diceva: "Pane son diventate per me le
mie lacrime, giorno e notte" (Sal 41[42],4)».
37 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XIII, 16.
605
gliere le occasioni>~ come afferma l'Apostolo (dr. E/5,16), e a vivere
così ogni momento con il massimo d'intensità spirituale, evitando il
peccato, praticando i comandamenti divini e affidandosi completa-
mente a Dio. Il «ricordo della morte>> è particolarmente efficace nel
caso dell' acedia nella misura in cui questa costituisce uno stato d'in-
differenza, di letargo e di pigrizia spirituale, rende l'uomo negligente
di fronte alla salvezza e lo spinge ad attività, spostamenti e relazioni
futili che costituiscono, dal punto di vista spirituale, una distrazione e
una perdita di tempo. Un Apoftegma riferisce: «Chiesero a un Anzia-
no: "Perché non sei mai scoraggiato?". Ed egli rispose: "Perché ogni
giorno mi aspetto di morire"».38 • Sant'Antonio l'Eremita insegna a que-
sto proposito: <<Per non essere negligenti, è bene meditare sulla pa-
rola dell'Apostolo: "Ogni giorno io affronto la morte" (lCor 15,31).
Infatti, se viviamo come se dovessimo morire ogni giorno, non pec-
cheremmo mai. Ecco cosa occorre comprendere con ciò: ogni giorno;
al nostro risveglio, pensiamo che noi non vivremo fino a sera e, anche,
quando siamo sul punto di coricarci, pensiamo che non ci risvegliere-
mo»39. Evagrio consiglia nel suo Antirretico di opporre ai pensieri di
acedia questi versetti della Scrittura: «Come l'erba sono i giorni del-
l'uomo, come il fiore del campo così egli fiorisce, lo sfiora il vento ed
egli scompare, il suo posto più non si trova>> (Sal 103 [102],15-16) 40
e: «I nostri giorni sulla terra sono come un'ombra>> (Gb 8,9); «Sono
poca cosa i giorni della mia esistenza>> (Gb 10,20)41 • A questo riguar~
do, egli ricorda l'insegnamento del suo Padre spirituale: «Ecco cosa
diceva il nostro maestro molto santo e molto esperto: occorre che il
monaco sia sempre pronto, come se dovesse morire l'indomani [... ].
Ciò, infatti, diceva, estirpa i pensieri dall' acedia e rende il monaco più
zelante [...]»42 • Ciò si giustifica attraverso le precedenti considerazio-
ni, ma anche per il fatto che, come nota Evagrio altrove, il demone
dell'acedia «mette davanti [all'uomo] quanto sia lunga la durata del-
la vita>>43 cercando di ispirargli con questo l'abbattimento e il disgusto
dinanzi alle difficoltà future, e particolarmente dinanzi «alle fatiche
dell'ascesi>>44 •
38 Apoftegmi, XXI, 7.
39 Vita di Antonio, 19.
40 Antirretico, VI, 25.
41 Ibid., VI, 32; 33.
42 Trattato pratico sulla vita monastica, 29.
43 Ibid., 12.
44 Ibid.
606
Anche il timore di Dio costituisce un antidoto potente contro que-
sta passione; «nulla è così efficace», afferma san Giovanni Climaco45 •
Tra i rimedi prescritti dai Padri, occorre inoltre citare il lavoro
manuale46 • Questo, infatti, può aiutare l'uomo a evitare la noia, l'in-
stabilità, il torpore e la sonnolenza che in parte sono costitutive di que-
sta passione. Può contribuire a stabilire o a mantenere l'assiduità, la
continuità di presenza, di sforzo e di attenzione che suppone la vita
spirituale e che l' acedia tende a rompere. Prima di ogni cosa, il lavo-
ro si oppone direttamente all'ozio, che è una delle forme principali che
può assumere l'acedia, e che è fonte di innumerevoli mali. Riferen-
dosi all'insegnamento di san Paolo, san Giovanni Cassiano presenta
ampiamente il lavoro manuale come un rimedio all' acedia che egli con-
sidera essenzialmente sotto quest'ultima forma. «Il beato Apostolo,
egli scrive, sia che abbia visto come questa malattia che nasce dallo
spirito di acedia cominci già ad insinuarsi, sia che per la rivelazione
dello Spirito Santo egli abbia previsto che questa si sarebbe diffusa, si
affretta, come un autentico medico spirituale, a prevenirla con il ri-
medio salutare dei suoi precetti. Scrivendo, infatti, ai Tessalonicesi,
egli rinforza prima di tutto, come medico molto competente, la de-
bolezza dei suoi malati con la terapia attraente e dolce della sua pa-
rola. Egli inizia col parlare della carità e, su questo punto, rivolge lo-
ro delle lodi, fino a quando la ferita mortale addolcita da questa me-
dicazione che lenisce possa supportare più facilmente i rimedi più
energici, una volta soppressa l'irritazione del tumore>>47 • Dopo aver co-
sì sottolineato l'approccio terapeutico dell'Apostolo, san Giovanni Cas-
siano pone in evidenza i precetti che costituiscono i rimedi proposti:
1) «Studiatevi di vivere tranquilli>> (cfr. lTs 4,11) cioè, egli commenta,
«rimanete nelle vostre celle e non lasciatevi turbare dai diversi rumo-
ri[...]»; 2) <<.Attendete ai vostri negozi» (cfr. lTs 4,11), cioè <<non de-
siderate interrogarvi con curiosità su ciò che si fa nel mondo né, spian-
do il modo in cui vivono alcuni, darvi pena nel criticare i vostri fratelli
piuttosto che correggervi e applicarvi alle virtù»; 3) «Lavorate con le
vostre mani come vi abbiamo raccomandato» (cfr. lTs 4,11). Poi, san
Giovanni Cassiano ricorda e commenta48 l'esempio che san Paolo, nel-
la seconda lettera ai Tessalonicesi, ci dà della propria condotta: «Voi
607
stessi sapete in che modo dovete imitarci, poiché non fummo degli
oziosi in mezzo a voi [. ..] lavorando notte e giorno per non essere di
peso a nessuno» (2Ts 3,8). E dopo aver citato la continuazione di que-
sto passo in cui san Paolo ricorda «coloro che vivono disordinatamente,
non lavorando affatto, ma impicciandosi di tutto» (2Ts 3,11), san Gio-
vanni Cassiano fa notare che l'Apostolo «si affretta a suggerire ora la
correzione adatta[. ..]. Ancora una volta egli ritrova la misericordia
[.. .] di un medico compassionevole e [. .. ] porta loro la guarigione con
questo consiglio salutare: "A questi tali comandiamo e li ammoniamo
nel Signore Gesù Cristo che mangino il proprio pane, lavorando sen-
za chiasso" (2Ts 3,12). Attraverso il solo precetto salutare del lavoro,
come un medico molto esperto, egli guarisce la causa di tutte queste
piaghe che si sviluppano sull'ozio, sapendo che tutte le malattie che
pullulano su uno stesso ceppo scompariranno ben presto, una volta
soppressa la causa della malattia principale»49 • Nello stesso momento
in cui egli sottolinea il valore terapeutico dei consigli di san Paolo re-
lativi al lavoro manuale, san Giovanni Cassiano indica il loro valore
profilattico: «Nondimeno, come un medico molto prudente e previ-
dente, non contento di cercare di guarire le ferite dei malati, offre an~
che raccomandazioni adatte a chi sta bene, affinché questi possano
continuare a conservarsi in salute»50 • Per concludere il suo insegna-
mento su questo punto, san Giovanni Cassiano cita l'esempio di Ab-
ba Paolo che, benché vivesse in un luogo molto lontano da ogni città
dove avrebbe potuto vendere il prodotto del suo lavoro, s'impose I?-On-
dimeno per ogni giorno una certa quantità di lavoro «e quando la sua
grotta era piena del lavoro di tutto l'anno, una volta l'anno bruciava
questo lavoro che gli era costato tante fatiche», e conclude: «Così, ·per
provare chiaramente che, senza lavoro manuale, il monaco non può
né rimanere stabile né elevarsi un giorno alla vetta della perfezione,
egli lavorava, benché non ne avesse bisogno per nutrirsi, ma solo per
purificare il suo cuore, per impedire la divagazione dei pensieri, per
perseverare nella sua cella e riportare una completa vittoria sull'ace-
dia stessa>Y 1•
La preghiera, infine, costituisce il più valido di tutti i rimedi contro
49 Ibid., 14.
50 Ibid., 15.
51 Ibid., 24. Sul significato generale del lavoro manuale nell'ambito della vita ascetica si può
leggere lo studio di A. GUIU.AUMONT, <<Le travail manuel dans le monachisme ancien. Conte-
station et valorisatioro>, in Aux origines du monachisme chrétien, Bellefontaine 1979, pp. 117-
126.
608
l'acedia52 , perché l'uomo può essere totalmente liberato da questa pas-
sione solo per grazia di Dio, che può ricevere solo chiedendola con la
preghiera. Senza quest'ultimo rimedio, tutti gli altri hanno un' effica-
cia solo parziale; al contrario, è dalla preghiera che traggono tutta la
loro forza. Ecco perché la lotta contro la passione, la resistenza che le
si oppone, la pazienza di cui si dà prova, la speranza che si manife-
sta, il dolore e le lacrime, il ricordo della morte, il lavoro manuale, de-
vono essere accompagnati dalla preghiera che li fonda in Dio e fa
che questi non siano più mezzi semplicemente umani.
Una difficoltà, tuttavia, riguarda il fatto che l'acedia spinge l'uo-
mo ad abbandonare la preghiera e gli impedisce di ricorrervi. Allora,
è essenziale che l'uomo resista con tutte le sue forze a questa tenta-
zione e conservi la preghiera se non l'ha ancora abbandonata, o la ri-
prenda se già l'ha perduta. La pratica simultanea delle prostrazioni è
particolarmente raccomandata nel caso dell' acedia, perché questa pra-
tica fa immediatamente partecipare alla preghiera il corpo - mentre la
passione intorpidisce nello stesso momento il corpo e l'anima - e con-
tribuisce a tirar fuori e il corpo e l'anima dal loro letargo. San Simeo-
ne il Nuovo Teologo raccomanda così: <<Poiché tu conosci la causa
di questo stato e da dove è venuto, ritorna con coraggio al posto do-
ve tu preghi abitualmente; pròstrati dinanzi al Dio della misericordia;
chiedi con lacrime e gemiti nell'afflizione del tuo cuore di essere li-
berato da questo peso dell' acedia e dei cattivi pensieri; se ti batti con
forza e perseveranza, otterrai ben presto di essere liberato»53 •
La salmodia appare come una forma di preghiera particolarmente
efficace contro l' acedia54 , così come la preghiera del cuore praticata con
vigilanza e attenzione, come sottolinea san Diadoco di Foticea: «Sfug-
giremo a questa impressione di tiepidezza e di debolezza se assegnia-
mo al nostro spirito limiti ben stretti e dirigiamo il nostro sguardo so-
lo sul ricordo di Dio; solo così, infatti, lo spirito tornerà rapidamente
al suo fervore e potrà sottrarsi a questa dissipazione irrazfonale>Y5 •
La vittoria sull' acedia lascia all'uomo una certa tregua nella lotta
spirituale. Poiché I' acedia contiene in sé, in un certo senso, tutte le pas-
sioni, nessuna di esse appare immediatamente dopo che essa è stata
52 Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 16. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XIII, 16.
" Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 66. Cfr. NIL SORSKY, Regola, V.
54 Cfr. GIOVANNI CLlMACO, La Scala, XIII, 16.
55 Cento capitoli gnostici, 58.
609
distrutta. «Questo demone non è subito seguito da altri: uno stato di
tranquillità [ ... ] invade l'anima dopo la lotta>>, osserva Evagria56 •
Oltre a questa pace, l'effetto principale della vittoria su questa pas-
sione è quello di «una gioia ineffabile» che riempie l' anima.57.
56 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 12. lsACCO IL SIRO, Discorsi
610
VI
1 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 99. DOROTEO DI GAZA, Istru-
zioni spirituali, XIT, 131. La questione della terapia della collera è stata parzialmente esaminata
nella IV parte, cap. II, 3, nella prospettiva della terapia della potenza irascibile da cui procede
direttamente la passione della collera. Abbiamo dimostrato, in particolare, che la terapia im-
plica una conversione dell'elemento irascibile che consiste nell'allontanarlo dal prossimo per ap-
plicarlo esclusivamente al male, ai demoni, alle passioni, al peccato, e che alla collera-passione
poteva essere così sostituita una collera virtuosa. Non torneremo qui su questo aspetto, ma con-
sidereremo la terapia della collera e le virtù che le sono opposte sotto l'angolazione della rela-
zione al prossimo, di cui la prospettiva precedente non aveva tenuto conto.
2 Cfr. EVAGRIO PONTICO, 1a preghiera, 27.
3 Commento del Padre nostro, PG 90, 885AB.
4 Sui diversi pensieri della malvagità, 3.
611
cono le passioni», precisa che per la collera è opportuna l' elemosina.5:
<d..: elemosina è la cura per la collera»6 •
L'elemosina appare, d'altronde, come una manifestazione della
carità, la quale costituisce uno dei principali antidoti della collera, poi-
ché, al contrario, questa attacca il prossimo, manifestandosi come odio
per quest'ultimo>/. «La carità guarisce la parte irascibile dell'ani-
ma», constata Evagrio8 , il quale aggiunge: «La parte irascibile ha bi-
sogno di rimedi più grandi della parte concupiscibile: per questo la
carità è definita "grande" (lCor 13,13), perché è il freno della parte
irascibile»9 • Ciò è quanto afferma anche san Massimo: «Le passioni
della parte irascibile dell'anima [.. .] sono le più difficili da combatte-
re. Ecco perché è anche più energico il rimedio che il Signore hà da-
to contro la collera: il precetto della carità>>10 • Lo stesso santo scrive an-
cora: «Se la potenza irascibile è continuamente turbata[. .. ], il rimedio
è costituito dalla bontà, dalla beneficenza, dalla carità e dalla miseri-
cordia>>11. Evagrio sottolinea, inoltre, che la compassione diminuisce
l'irascibilità 12 e osserva: «Quando la parte irascibile è agitata, è la mi-
sericordia a calmarla>> 13 • San Doroteo di Gaza insegna che «là dove
si trovano compassione e carità, la collera e il rancore non possono
prevalere» 14 • San Giovanni Climaco, che raccomanda di unire la ca-
rità alla dolcezza e alla pazienza15 , aHerma categoricamente l'efficacia
di questo rimedio: «Colui che ha un vero amore per il prossimo ha
bandito la collera dalla sua anima>> 16; «un banchetto al quale la carità
invita i suoi nemici dissipa la collera>> 17 • San Massimo, evocando il ran-
core, aHerma la stessa cosa: «Giunto alla carità e alla benevolenza per
il prossimo, tu eliminerai dalla tua anima ogni traccia di passione>>18 •
E, in maniera più generale, consiglia: «Vinci l'odio con la carità>>19 •
monastica, 76.
8 Capitoli gnostici, III, 35.
9 Trattato pratico sulla vita monastica, 38. CTr. ibid., 15. CALLISTO e IGNAZIO XAmoPULO,
Centuria, 78.
10 Centurie sulla carità, I, 66.
11 Ibid., Il, 70.
12 Trattato pratico sulla vita monastica, 20.
13 Ibid.
14 Istruzioni spirituali, VIII, 94.
15 La Scala, VIII, 36.
16 Ibid., IX, 5.
17 Ibid., 6.
18 Centurie sulla carità, III, 90.
19 Ibid., IV, 12.
612
Poiché, d'altra parte, la collera procede dall'orgoglio e dalla ceno-
dossfa, è applicandoci a queste due passioni che possiamo guarirne.
San Massimo, che presenta la cenodossia come una delle ragioni per
le quali <<la potenza irascibile si turba», sottolinea la necessità di sop-
primere questa causa20 della malattia e afferma che, se non si giunge a
disprezzare la gloria, è «impossibile annullarei pretesti della collera>>21 •
Anche san Giovanni Crisostomo insiste sul ruolo eziologico dell' or-
goglio e sulla necessità di applicarsi ad esso: «Per le malattie dell' ani-
ma, i nostri discorsi hanno due obblighi da compiere: prima guarire
la malattia, poi, dopo la guarigione, impedire le ricadute. Attualmen-
te, cerchiamo un metodo per una difficile terapia; non si tratta anco-
ra di buona salute. Come estirpare questo difetto deplorevole? Co-
me smorzare questa febbre crudele della collera? Vediamo da dove
proviene e distruggiamo la causa. Da dove viene di solito? Da un ec-
cesso di arroganza e d'orgoglio. Sopprimiamo questa causa, e la ma-
lattia scomparirà>>22 • Ora è l'umiltà che costituisce, come vedremo, I'an-
tidoto della cenodossia e dell'orgoglio. Per guarire dalla collera, oc-
corre dunque acquistare l'umiltà. Poiché la collera è «il sintomo di un
grandissimo orgoglio, la conversione esige molta umiltà>>, fa notare san
Giovanni Climacd3 , il quale osserva che l'umiltà conduce «a bandire
dalla nostra anima tutti i moti e i trasporti della collera>>24 : «Come le
tenebre si dissipano allorché appare la luce, così il profumo dell'umiltà
fa svanire ogni traccia di amarezza e d'irascibilità>>25 • Quanto a san Gre-
gorio di Nissa, egli scrive: <<L'umiltà è la madre della dolcezza del cuo-
re. Se tu chiudi la porta all'orgoglio, la collera non riesce ad entrare.
Brutalità e ignominia provocano questa malattia nei violenti. Ma l'i-
gnominia non colpisce colui che pratica l'umiltà>>26• Occorre <<Vivere
profondamente l'umiltà del cuore. Coloro che sono radicati in questa
esperienza non forniscono nella loro anima alcuna apertura alla colle-
ra»27. A questo proposito san Doroteo di Gaza riferisce queste paro-
le di un Anziano: <<L'umiltà non s'irrita contro nessuno»28 •
Così, colui che vuole trovare rapidamente la guarigione deve non
"Ibid.
28 Apoftegmi, PE I, 45.
613
solo accettare le umiliazioni, ma persino cercarle, e abituarsi a sop-
portarle fino a quando egli non sia divenuto insensibile ad esse. <<L' as-
senza di collera, scrive san Giovanni Climaco, è un desiderio insazia-
bile di umiliazioni [ .. .].L'assenza di collera è una sconfitta della na-
tura divenuta insensibile alle ingiurie»29 • In questa prospettiva, colui
che proferisce le ingiurie gioca, senza volerlo, il ruolo di un medico
dell'anima, come fa notare un Anziano nel sottolineare il legame cli
questa terapia con quelle, in precedenza ricordate, dell'eliminazione
del piacere da un lato, e della carità dall'altro: «Se uno dei tuoi fratelc
li t'ingiuria o ti affligge, prega per lui come hanno detto i Padri, con-
vinto che egli ti procuri grandi benefici e che è un medico che guari-
sce in te l'amore del piacere. Còn questo s'indebolirà la tua collera, es-
sendo la carità, per i santi Padri, un freno alla collera»30 .
Il potere terapeutico dell'umiltà è rafforzato quando vi si aggiun-
gono la penitenza e la compunzione. San Giovanni Climaco insegna
così che la penitenza e le lacrime formano con l'umiltà un <<trittico»,
e che <<la prima e la più grande proprietà di questa eminente ed ec-
. cellente trinità è l'accettazione piena della gioia dell'umiliazione, che
l'anima riceve e accoglie, con le mani tese, come un rimedio che confor-
ta e cauterizza le sue malattie e le sue colpe gravi. La seconda proprietà
è la perdita di ogni irritabilità nonché la modestia che accompagna
questa pacificazione»31 • Lo stesso autore, altrove, osserva il potere che
le lacrime di compunzione hanno di ridurre la collera: «Come lacqua
che si spande a poco a poco sul fuoco, spegnendo alla fine tutta la fiam-
ma, così le lacrime che provengono da un vero dolore dei propri pec-
cati estinguono tutte le fiamme della collera e del furore»32• San Si-
meone, riprendendo questa immagine, così scrive: «Chi dunque, af-
fliggendosi ogni giorno, può continuare a vivere in collera invece cli
diventare dolce? Come l'acqua, in realtà,. cola sulla fiamma di un fo-
. colare, così l'afflizione e le lacrime spengono il furore dell'anima, e
questo a tal punto che l'uomo che vi si è a lungo abbandonato può ve-
dere la sua anima irascibile trasformarsi e giungere a una calma im-
mutabile»33. Compiuta la guarigione, l'afflizione gioca un ruolo profi-
lattico. San Giovanni Climaco constata «che la collera è trattenuta dal-
29 La Scala, VIII, 2.
30 Apoftegmi, XV, 136.
31 La Scala, XXV, 7.
614
le lacrime come da un freno»34 • San Giovanni Cassiano indica anche
il potere che ha la compunzione di allontanare «ogni agitazione e ogni
turbamento della collera>>35•
A tutti i rimedi precedentemente citati, occorre evidentemente ag-
giungere la preghiera. San Giovanni Cassiano osserva che la collera,
come tutte le altre passioni, «è guarita dalla meditazione del cuore»36 •
E san Nilo insegna la stessa cosa quando afferma che <<la preghiera è
il germe dell'assenza della collera>>37 • Tra tutte le forme di preghiera
è la salmodia quella che possiede la più grande forza per calmare la
parte irascibile dell'anima quando questa è agitata dalla collera3 8• <<La
salmodia, constata san Basilio, rende le anime serene, procura la pa-
ce, calma il tumulto e l'onda lunga dei pensieri. Addolcisce ciò che
nell'anima è irritato e mette ordine in ciò che è sregolato»39 •
615
Per questo san Giovanni Cassiano consiglia: «Non facciamo dunque
dipendere il nostro progresso nella pace interiore dalla volontà degli
altri, che non è mai in nostro potere. Essa deve piuttosto dipendere
da noi stessi. Così il non irritarci non deve venire dalla perfezione
degli altri, ma dalla nostra virtù, e questa virtù non si acquista attra-
verso la pazienza degli altri, ma con la propria longanimità.>>43 • Occor-
re, d'altronde, sottolineare «che non basta che non vi sia nessuno con-
tro cui irritarci, poiché [. ..] possiamo essere in collera anche contro gli
oggetti insensibili»44 • Ecco perché la fuga dagli altri non potrebbe
costituire una valida terapia45, perché essa lascerebbe sussistere la cau-
sa vera della collera, che è interiore.
Non irritarsi più suppone, dunque, prima di tutto uno sforzo per
soffocare l'irascibilità, per costringerla a non manifestarsi. San Basilio
consiglia: «Appena sentirete i primi assalti, trattenetela, assoggettate-
la alla ragione come si trattiene un cavallo con il morso»46 •
Occorre, in primo luogo, esercitare un dominio sulle azioni e sulle
parole attraverso cui la collera tende ad esprimersi: è sforzandosi di
conservare il silenzio che si raggiunge più facilmente questo scopo.
San Callisto e sant'Ignazio Xantopulo ricordano questo insegnamen-
to dei Padri: «Il freno della parte irascibile è il silenzio opportuno»47 •
«L'inizio della vittoria sulla collera è il silenzio delle labbra quando il
cuore è agitato», insegna da parte sua san Giovanni Climaco48 , il
quale sottolinea che «colui che difficilmente è portato a parlare, diffi-
cilmente è portato ad agitarsi per la collera»49 • Notiamo en passant che
il silenzio costituisce anche l'atteggiamento migliore da adottare di
fronte alla collera altrui, ed è proprio esso che contribuisce di più a
spegnerla5°.
Il trattenere la collera, però, non dev'essere fatto in modo da evita-
re solo le sue manifestazioni esteriori, la sua espressione in parole e in
azioni. Esso deve avvenire innanzitutto a livello di pensiero. Al silen-
zio delle parole bisogna aggiungere <<il silenzio dei pensieri>>5 1• Occorre
allora applicare ciò che è raccomandato nella Scrittura: «Non odiare
616
il tuo fratello nel tuo cuore» (Lv 19,17), perché è dal cuore che proce-
dono i disegni perversi, i cattivi pensieri (cfr. Mt 15,18-19; .Mc 2,21), e
da questi procedono le parole e le ;izioni. È a questo livello che l'uo-
mo può al meglio dominare il processo della collera ed evitare che que-
sto si sviluppi52 . Per questo san Basilio consiglia: «Occorre soffocare
la collera alla sua nascita>>53 •
Non autorizzare alcuna manifestazione della collera a livello dei pen-
sieri e, a fortiori, a livello delle parole e delle azioni, suppone che si dia
prova di una costante attenzione. Come insegna san Giovanni Cassia-
no, la collera non può essere «guarita [che] con una prolungata vigi-
lanza>>54.
È molto importante soffocare gli stessi pensieri non solo perché es-
si sono la fonte di tutte le manifestazioni della collera, ma anche per-
ché questa passione può, soprattutto sotto la forma dell'asprezza, del
risentimento, del rancore, condurre una vita esclusivamente interiore.
Essa continua ad esistere in questo modo, danneggiando la vita di tut-
ta l'anima, tanto più che non ha potuto manifestarsi ali' esterno. A que-
sto proposito così insegna san Giovanni Cassiano: «Non basta estir-
pare la collera dalle nostre azioni, occorre altresì strapparla comple-
tamente dal fondo della nostra anima [ ... ]. Infatti, la parola evangelica
ci ordina di tagliare le radici dei vizi piuttosto che i loro frutti. E lo spi-
rito potrà rimanere costantemente in una totale pazienza e sanità quan-
do la collera sarà stata scacciata non alla superficie dei comportamenti,
ma all'interno dei pensieri>>55 •
La padronanza dei pensieri appare come la principale via terapeu-
tica nel caso in cui la collera assume la forma interiorizzata dell'odio
o del rancore. Nella misura in cui questi sono legati a offese subite, il
primo atteggiamento da adottare è quello di «dimenticare le ingiurie»,
in altri termini il perdono. San Massimo lo considera come uno dei
«rimedi» fondamentali che <<lmmobilizzano» la collera, le «impedi-
scono di mettersi in moto e di intensificarsi>>56 • È questo un insegna-
mento costante delle Scritture: «Il cammino di coloro che conservano
il ricordo di una cattiva azione tende alla morte» (Pro 12,28); «Non
serbare rancore ai figli del tuo popolo» (Lv 19,18).
617
A questo rimedio ne deve essere aggiunto un altro: la riconciliazio- .
ne con il prossimo, secondo quanto raccomanda il Cristo: «Se dunque
tu sei per deporre sull'altare la tua offerta e là ti ricordi che tuo fra-
tello ha qualcosa a tuo carico, lascia la tua offerta davanti all'altare e
va' prima a riconciliarti con tuo fratello; dopo verrai a offrire il tuo do-
no. Mettiti d'accordo con il tuo avversario subito, mentre sei per via
con lui>> (Mt 5,23-25). San Giovanni Crisostomo insiste sul valore te-
rapeutico di questo insegnamento: il Cristo, egli dice, «sapeva che que-
sta passione aveva bisogno di un pronto rimedio. E come un medico
abile non dà solo profilassi contro le malattie, ma le guarisce anche
quando esse sono già sviluppate, Gesù Cristo fa la stessa cosa>>57 • San
Giovanni Cassiano commenta allo stesso modo questa raccomanda-
zione del Cristo: «Il medico delle anime che conosce i segreti del cuo-
re, volendo strappare perfino le occasioni di collera, non ci obbliga so-
lo, quando siamo stati offesi, a perdonare ai nostri fratelli, a riconci-
liarci con essi e a non conservare nessun ricordo dell'ingiuria ricevuta;
ma ci comanda nello stesso modo, se sappiamo che essi hanno moti-
vo di risentimento giustificato o non contro di noi, di abbandonare la
nostra offerta, cioè le nostre preghiere, e di dar loro innanzitutto sod-
disfazione, e una volta placato il nostro fratello, offrire a Dio il sacri-
ficio senza macchia della nostra preghiera>>58 • Rìconciliarci con gli al-
tri suppone che assumiamo la parte di responsabilità che ci tocca qua-
si sempre quando il prossimo è irritato contro di noi. Ecco perché
occorre prima di tutto biasimare se stessi59 e chiedere perdono al fra-
tello per essere stati per lui occasione di irritazione60 •
618
te opposta>>, pr.ecisa san Giovanni Crisostomo63 • Essendo la collera e
la dolcezza antagoniste, si escludono a vicenda. <<La natura umana,
in ogni modo, opta fra due direzioni contrarie: la collera o la dolcez-
za>>, fa notare san Gregorio di Nissa64 • Così, come la collera scaccia
la dolcezza, la dolcezza possiede il potere di distruggere la collera e le
impedisce di rinascere. <<La dolcezza schiaccia la collera>>, osserva san
Giovanni Crisostomo65 • Evagrio sottolinea allo stesso modo che <<la
dolcezza diminuisce [l'irascibilità]» 66 e consiglia: «Che [l'anima] re-
prima la sua parte irascibile con la dolcezza>>67 , e inoltre: <<lnsegna que-
sta dolcezza ai tuoi fratelli affinché ritornino con disagio alla collera>>68•
San Giovanni Climaco, a sua volta, scrive: <<La dolcezza è una roccia
che domina il mare dell'irascibilità e contro la quale s'infrangono
tutte le onde che la colpiscono senza mai smuoverla>>69 •
La dolcezza spirituale non ha nulla da vedere con l'indolenza né
la mollezza70 • Non è un atteggiamento passivo, ma attivo. È uno sta-
to di stabilità dell'anima71 , di serenità, vicina all'impassibilità quando
essa raggiunge il suo compimentù72 • San Giovanni Climaco la defini-
. Sce così: «La dolcezza è unù stato immobile dell'anima che rimane
uguale a se stessa tanto nelle umiliazioni quanto davanti alle lodi>>73 •
Vediamo dunque che essa va contro non solo alla collera, ma anche
ad altre pasioni che, nell'ambito delle relazioni con il prossin10, pos-
sono turbare l'anima. Occorre, però, aggiungere che essa è, altresì, una
virtù positiva riguardo allo stesso prossimo, virtù che si traduce attra-
verso la preghiera per esso e con un atteggiamento generale di carità.
«La dolcezza sta, quando siamo .tormentati dal prossimo, nel pregare
per esso senza essere sensibili (ai suoi modi di fare) e sinceramente»,
afferma san Giovanni Climaca74 , il quale aggiunge: <<lJ. segno della dol-
cezza è uno stato immutabile dello spirito (nous) che rimane sempre lo stesso tanto negli onori
quanto nelle umiliazioni>>.
74 La Scala, xx:rv, 3.
619
cezza suprema è quello di conservare un cuore pieno di serenità e di
carità verso colui che ci ha offeso alla sua stessa presenza.>>75 •
considera contemporaneamente la dolcezza e la pazienza come se egli non facesse affatto diffe-
renza tra queste due virtù.
82 Ibid.
83 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 80.
84 GIOVANNI CLWACO, La Scala, rv, 2.
85 Cfr. ibid., XXIV, 6.
86 Cfr. Sui diversi pensieri della malvagità, 14, PG 79, 1216CD.
620
e attraverso il quale, quindi, l'uomo assomiglia a loro87 (cfr. Sal 58[57],5);
la dolcezza, al contrario, allontana l'uomo dallo stato demoniaco e lo
riavvicina alla condizione angelica88 •
Contribuendo a guarire l'uomo da diverse passioni, la dolcezza gli
pennette di accedere, correlativamente, a una molteplicità di beni.
Essa è una fonte di calma, di riposo e di pace interiori89 • Rende
l'anima più forte, in particolare di fronte agli attacchi di altri 90 • Dà
all'uomo fiducia nella preghiera91 • Soprattutto appare come un <<fon-
damento del. discernimento» spirituale, come osserva san Giovanni
Climaco 92 : «Il Signore condurrà i miti sulla via del giudizio (cfr. Sal
25[24],9) o piuttosto del discernimento»93 • Essa è anche una fonte di
saggezza. È scritto, infatti, che Dio <<farà camminare i miti nella sua
giustizia e ad essi insegnerà la sua giustizia>> (cfr. Sal 25[24],9). Il sal-
mista dice ancora che <<la mitezza ci viene donata e noi siamo am-
maestrati>> (cfr. Sal90[89],l0). Evagrio a questo proposito scrive a uno
dei suoi corrispondenti: «Sono persuaso che la tua dolcezza è stata per
te causa di grande scienza. Infatti, non c'è nessuna virtù che generi
la sapienza come questa dolcezza per mezzo della quale Mosè fu lo-
dato come il più mite degli uomini»94 •
Le virtù suscitate dalla dolcezza sono numerose: essa è <<la porta o
piuttosto la madre della carità»95 , «il sostegno della pazienza»96 , <<la
collaboratrice della semplicità»97 , fonte di castità98 , così come <<il pre-
cursore di ogni umiltà>>99 , virtù alla quale essa è strettamente legata e
che, tra l'altro, contribuisce a consolidarla 100 •
La dolcezza è per l'anima fonte di gioia spirituale 101 , primizia della
beatitudine promessa ai miti secondo la parola del Cristo: «Beati i mi-
"' Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, I, 68; III, 34; V, 11; Lettere, 56.
88 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXIv; 6.
89 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XXXVI, 16. GIOVANNI CRISOSTOMO, Com-
mento a san Matteo, LXI, 5. GREGORIO DI NISSA, Omelie sulle Beatitudini, II, 5.
90 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXII, 2.
91 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXIv; 5.
92 Ibid.
93 Ibid., xxrv, 10. .
94 Lettere, 36. Cfr. 41. Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXIV, 10.
95 GIOVANNI CLIMACO, !oc. cit., 5.
% Ibid.
97 Ibid., 6.
98 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, XII, 6.
XXV, 12.
101 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, LXI, 5.
621
ti, perché erediteranno la terra» (Mt 5,5). La terra, cosa vuol dire? «Il ·
cuore che porta i frutti della grazia>> commentano san Callisto e sant'I-
gnazio Xantopulo 102 , o ancora: il Regno dei cieli103 di cui i santi godo-
no già in parte quaggiù. Il fine della dolcezza, scrive san Gregorio di
Nissa, è «la b~atitudine e l'eredità dei cieli nel Cristo Gesù» 104 • Per
mezzo della dolcezza, infatti, l'uomo è reso simile al Cristo 105 , perché
questa è la virtù eristica per eccellenza (cfr. Mt 11,29; 21,5; 2Cor 10,1).
622
La pazienza 112 consiste nel sopportare con calma i mali che ci ven-
gono inflitti dalle circostanze o da altri, e in particolare, in quest'ulti-
mo caso, nel sopportare senza turbamento critiche, oltraggi, insulti, o
altre parole che feriscono 113 • San Massimo ne dà questa definizione:
<<Essa consiste nel rimanere costanti nell' awersità, nel sopportare i ma-
li, sostenere fino alla fine la tentazione, nel non farsi sorprendere dal-
la collera, nel non lasciar sfuggire una parola sotto i colpi dell' emo-
zione né sospettare né pensare qualcosa che sia indegno di un uomo
timorato di Dio» 114 • E san Giovanni Cassiano aggiunge a sua volta:
«Nessuno ignora che "pazienza" viene da "patire" e "sostenere". È
chiaro, pertanto, che merita di essere chiamato paziente solo colui che
sopporta, senza reagire, i maltrattamenti che gli sono stati inflitti»115 •
Quanto a san Giovanni Crisostomo, egli sottolinea: «L'uomo vera-
mente paziente sostiene senza piegarsi il peso delle awersità>>116 ; l'uo-
mo paziente è come in un porto dove egli gode di una calma profon-
da: il danno che voi gli causate non potrà smuovere questa roccia; i
vostri oltraggi non potranno scuotere questa torre»117 •
La virtù della pazienza si acquista prima di tutto con l'amore di Dio,
che conduce in particolare a prendere in tutto come modello il Cristo
che, «davanti all'ingratitudine e alle bestemmie, ha conservato la pa-
zienza; oltraggiato e messo a morte, è rimasto paziente senza mai re-
spingere il male su nessuno» 118 • «Chi possiede l'amore di Dio, scrive
san Massimo, non faticherà a seguire il Signore suo Dio, come dice il
divino Geremia, ma sopporta generosamente pene, critiche, violenze,
senza voler il minimo male a nessuno» 119 •
112 La pazienza è una virtù particola~ente ricca e multiforme, come potremo rendercene
conto, per esempio, nel leggere la descrizione che ne fa san Cipriano (Il beneficio della pazienza,
20). Così la prenderemo in considerazione solo nella misura in cui essa concerne la collera. I Pa-
dri greci usano due termini per indicare la pazienza, makrothymia e ypomoné. M.akrothymia, più
correttamente tradotta con <<longanimità;», significa piunosto il fano di sopportare le ingiurie e
le sofferenze morali; ypomone indica piunosto la <<perseveranza>>, in altri termini, la capacità di
perseguire un'opera malgrado le difficoltà, ma indica anche la pazienza propriamente detta, cioè
la capacità di attendere con calma ciò che tarda ad arrivare. Nell'uso corrente, i due termini
sono impiegati indifferentemente nell'uno o nell'altro senso.
m Cfr. GIOVANNI CUMACO, La Scala, N, 2. GIOVANNI CAssIANO, Istituzioni cenobitiche, VII,
3, l; Conferenze, XVIII, 13-14.
114 Discorso ascetico, 21.
623
Anche la pazienza procede dall'amore del prossimo120, ma soprat-
tutto, e prima cli tutto dall'umiltà, al punto tale che san Giovanni Cas-
siano afferma che essa «non viene da nessuna altra fonte» 121 •
La pazienza è una delle virtù che meglio contribuiscono alla salvezza
dell'uomo. <<È con la pazienza che salverete le vostre anime» (Le 11,19).
Essa è un rimedio fondamentale a tutte le malattie dell'anima122, e non
solo alla collera. <<È evidente, scrive san Giovanni Cassiano, che il ri-
medio più efficace per il cuore umano, è la pazienza» 123 • Essa possie-
de anche un potere profilattico importante. «Essa non guarda solo ciò
d1e è buono per noi; ma ci difende da ciò che ci è contrario», nota san
Cipriano 124 • E san Giovanni Crisostomo evidenzia che la pazienza «li-
beral'anima dagli spiriti malig:rll.»125 e la protegge anche dai loro strali126•
Nello stesso tempo che essa libera e protegge l'uomo dal male, è
per lui «la fonte cli ogni bene»127 • Contribuisce dunque ampiamente a
ristabilire la salute nell'anima.
Innanzitutto, fornisce ali' anima l'energia che le occorre per lottare
e fare gli sforzi necessari al suo progresso spirituale 128 • <<Essa dona una
forza invincibile>>, osserva san Giovanni Crisostomo 129 • Poiché libera
lanima dalla collera e dal turbamento delle altre passioni che essa con-
tribuisce a ridurre; apporta inoltre all'anima la pace e la stabilità130 •
Correlativamente, appare come il principio di numerose virtù131 •
Contribuisce in particolare a conservare la castità132 • Rende inflessi-
bile la temperanza133 • Appare, altresì, come una virtù unificante, che
ristabilisce e mantiene la concordia tra gli uomini134 , come san Paolo
indica consigliando: «Sopportatevi a vicenda con amore, preoccupa-
ti cli conservare l'unità dello spirito nel vincolo della pace» (E/ 4,2).
121 Ibid.
128 Cfr. CIPRIANO, Il beneficio della pazienza, 17. Cfr. 14.
129 Lettere a Olimpiade, VII, 4. .
13°Cfr. CIPRIANO, Il beneficio della pazienza, 17. GIOVANNI CRISOSTOMO, Lettere a Olimpia-
n4 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, LXXII, 21. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni
cenobitiche, IX, 7. CIPRIANO, Il beneficio della pazienza, 15.
624
Dalla pazienza, infine, derivano la consolazione e la gioia spiritua-
le. Sant'Isacco il Siro così scrive a questo proposito: «Quando la pa-
zienza cresce nelle nostre anime, è questo il segno che abbiamo se-
gretamente ricevuto la grazia della consolazione. La potenza della pa-
zienza è più forte delle forme di gioia che cadono nel cuore» 135 •
"0 Ibza.
141 Centurie sulla carità, IV, 12.
625
autore consiglia anche: <<Provi del rancore contro qualcuno? Prega per
lui e spezzerai lo slancio della passione» 142 • E ancora: «Contro il ri-
sentimento, prega per colui che ti ha offeso e sarai liberato»143 •
Quanto alla natura e agli effetti della carità, li esamineremo quan-
do sarà giunto il momento di presentare questa virtù nella sua totalità.
142 Ibid., III, 90. Cfr. EVAGRIO PONTICO, Ai monaci, 14. DOROTEO DI GAZA, Istru:doni spiri-
626
VII
627
donerò» e che <<possiamo dire con fiducia: il Signore è mio aiuto, non
temerò» (Eb 13,5-6). E il salmista osserva: <<ll Signore è mia luce e mia
salvezza, di chi avrò timore? Il Signore è il baluardo della mia vita, di
chi avrò paura? [. .. ] Se si accampa contro di me un esercito, non te-
me il mio cuore» (Sal 27[26],1.3); «Non temere il terrore improvviso
né la tempesta da parte degli empi quando si avvicina; perché il Si-
gnore sarà il tuo baluardo, proteggerà dal laccio il tuo piede» (Pro 3,25-
26); «.Anche se camminassi in una valle oscura, non temerei alcun ma-
le, perché tu sei con me» (Sal 23 [22],4).
Non è la fede per se stessa che libera l'uomo dal timore, ma Dio
che, in risposta a questa fede gli offre il suo aiuto e il suo soccorso5•
Sant'Isacco il Siro così scrive a tale proposito: «Quando il suo cuore
teme e trema al di fuori di ogni serenità, [l'uomo] comprende allora e
sa che questo timore del suo cuore significa e rivela che egli ha in-
condizionatamente bisogno che un altro lo aiuti [. .. ]. È detto che sal-
va solo l'aiuto di Dio»6•
Questo aiuto, nella fede [certezza] che Dio può accordarglielo, e
nella speranza che egli glielo darà, l'uomo deve chiederlo attraverso la
preghiera7 • Occorre notare che è la «preghiera di GesÙ>> contro il ti-
more e tutte le passioni che al timore sono collegate (inquietudine,
paura, ansia, angoscia) il rimedio più efficace. San Giovanni Climaco
consiglia in questi termini: «Flagella i tuoi nemici con il nome di Ge-
sù, perché non vi è arma più potente né in cielo né sulla terra. Quan-
do tu sarai guarito da questa malattia [del timore], glorifica colui che
ti ha liberato. Se gli rendi grazie, egli ti proteggerà sempre»8 • Evagrio
osserva: «Chi si sforza nella preghiera pura sentirà rumori e fracassi;
voci e insulti; ma egli non crollerà, né perderà il suo sangue freddo,
dicendo a Dio: "Non temerò alcun male, perché tu sei con me" e al-
tre parole similD>9 • Lo stesso constata ancora: «Colui la cui intelligen-
za è sempre volta verso Dio, la parte irascibile piena del ricordo di Dio,
e l'intera parte concupiscibile tesa verso di lui, per costui è del tutto
naturale non temere coloro che si aggirano intorno al nostro corpo,
ossia i nemici ribelli» 10 • La preghiera del cuore permette, infatti, al-·
l'uomo di essere unito a Dio continuamente e di beneficiare costan-
628
temente del suo soccorso; da allora in poi nessun motivo di timore po-
trà sorprenderlo. «Un Anziano diceva: "Che tu sia addormentato o
sveglio, qualunque cosa tu faccia, se Dio è davanti ai tuoi occhi, il
nemico non può batterti. Se il tuo pensiero rimane in Dio, anche la
forza di Dio rimane in te"» 11 • E l'uomo conosce tanto meno il timore
quanto più la sua preghiera è pura. «Il segno che si è giunti alla pre-
ghiera perfetta, è non essere più turbato, anche se il mondo intero ci
attacca>>, scrive san Barsanufia12 • La scomparsa del timore e delle pas-
sioni connesse deriva qui dalla presenza permanente della forza divi-
na nell'uomo, grazie alla preghiera continua. L'uomo, però, può an-
che essere liberato da queste passioni da una preghiera specifica. A ta-
le proposito così scrive Giovanni il Solitario: «Per mezzo della richiesta
fatta al Cristo, possiamo ricevere forza e soccorso contro le nostre an-
gosce»13. Un apoftegma riferisce che «chiesero ad Abba Teodoro: "Se
sopravvenisse improvvisamente una catastrofe, avresti paura, Abba?".
Il vegliardo rispose: "Anche se il cielo e la terra entrassero in colli-
sione, Teodoro non avrebbe paura". Egli aveva, infatti, pregato Dio di
togliergli la paura>>14 •
La terapia del timore suppone correlativamente la rinuncia del-
l'uomo alla sua volontà e un atteggiamento di umiltà. Così a un fra-
tello che gli domanda: «Dimmi come posso essere salvato in questo
momento, perché un pensiero d'inquietudine è sorto nel mio cuo-
re>>, san Barsanufio risponde: «In ogni momento, se l'uomo può sop-
primere in tutto la sua volontà [e] conservare un cuore umile[ .. .], egli
può essere salvato dalla grazia di Dio. E dovunque egli sia, l'inquie-
tudine non s'impadronisce di lui>>15 • Il timore, lo abbiamo visto, è le-
gato all'orgoglio, e fintanto che l'uomo pone la sua fiducia nelle pro-
prie forze è soggetto a questa passione. Per poterla vincere per mezzo
della forza di Dio stesso, per ricevere questa forza e conservarla, l'uo-
mo deve rinunciare a se stesso, riconoscere la propria impotenza, al-
trimenti l'energia divina non potrà trovare posto in lui. Per questo
sant'Isacco raccomanda a colui che vuole essere liberato dal timore di
pregare prima di tutto per acquistare l'umiltà: <<Più egli prega, più il
suo cuore si fa umile [ ... ].Quando l'uomo si è fatto umile, subito la
11 Apoftegmi, N 377.
u Lettere, 150.
13 Dialogo sull'anima e sulle passioni degli uomini, éd. Hausherr, p. 94.
14 Apoftegmi, serie alfabetica, Teodoro di Fermé, 24.
15 Lettere, 150.
629
compassione lo circonda, e il cuore allora sente il soccorso divino. Sco-
pre che in lui sale una forza, la forza della fiducia» 16.
È anche con l'amore che l'uomo può vincere il timore: quello esclu-
de questo, secondo la parola dell'apostolo san Giovanni: <<Nell'amo-
re non vi è timore; anzi il perfetto amore scaccia il timore» (1Gv4,18).
Avendo constatato che «nella misura in cui la carità scompare, il ti-
more emerge», san Giovanni Climaco insegna, come già san Giovan-
ni, che colui che è «pieno di carità [. .. ] non prova timore»17 . Ciò si ap-
plica ali' amore del prossimo: colui che ama il fratello non conosce più
il timore a suo riguardo. Ma questo insegnamento concerne princi-
palmente l'amore dì Dio che esclude tutte le forme dì timore mon-
dano e, in particolare, la paura della morte che spesso è alla loro ori-
gine18. Nell'amore di Dio, l'uomo riceve <<la forza della fiducia» vit-
toriosa di ogni timore 19 • Egli è sottomesso a Colui a cui tutte le cose
sono sottomesse e nulla potrà fargli tortc2°. Per l'amore, l'uomo vive
ormai nell'intimità dì Dio, lontano da tutte le cose terrene, esteriori
o interiori, che possono suscitare il timore, e gode dei beni spirituali
che non possono essergli rubati. «Lungo tutto il tempo che sei tra gli
uomini, aspèttati tribolazioni, pericoli e l'assalto dei venti spirituali.
Ma quando sarai giunto a ciò che ti è stato preparato, allora sarai sen-
za alcun timore», nota san Barsanufio21 .
630
za, nel primo caso, si è applicata a questo mondo invece di applicarsi
a Dio come voleva la sua.stessa natura. Per l'uomo si tratta di con-
vertirla, di ci-volgerla a Dio. Le due forme di timore, in quanto si fon-
dano sulla stessa tendenza, si escludono l'un laltra. Mentre il timo-
re-passione escludeva il timore di Dio, questo, quando l'uomo lo ac-
quisisce, esclude quello. È per ciò che uno dei rimedi fondamentali
della passione del timore è il timore di Dio che, a mano a mano che
esso cresce nell'uomo, la riduce prendendo il suo posto. È così che il
Siracide constata: «Chi ·teme il Signore non avrà timore né paura» (Sir
34,14). San Giovanni Climaco, ricordando il timore di Dio; scrive:
«Questo timore[...] bandisce ogni altro timore»24 : Lo stesso autore di-
ce ancora: «Colui che è divenuto servo del Signore non teme che il suo
maestro; ma colui che ancora non lo teme, spesso ha paura anche del-
la sua ombra>>25 • Abba Serapione fa notare che, se l'uomo «è attento a
[Dio] nel timore in ogni momento, non può temere nulla dal nemi-
co»26. Quanto a san Simeone il Nuovo Teologo, egli constata che «co-
h.ri che teme Dio non teme gli attacchi dei demoni, né i loro assalti im-
potenti, né le minacce dei cattivi»27 •
cario d'Egitto (Apoftegmi, Eth. Path. 417) e san Giovanni Climaco (La Scala, I, 29). Vedi an-
che Apoftegmi, XV, 127. ·
24 La Scala, VI, 10.
25 Ibid., XX, 11. Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 100.
26 Apoftegmi, serie alfabetica, Serapione, 3.
2Cor 5,11; 7,1; E/5;2.l; Fil2,12; lPt 1,17; 2,17; Ap 14,7; 15,4; 19,5.
29 Vedi, per esempio, Apoftegmi, serie alfabetica, Euprepio, 6.
631
Vi sono, tuttavia, due forme di timore di Dia33 , corrispondenti a due
gradi di questa virtù34 •
3 ; Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, l, 81; 82. GIOVANNI CASSIANO, Con-
momento in cui la mia anima uscirà dal corpo, quando dovrò comparire davanti a Dio e quan-
do sarà emessa la sent=a contro di me"».
37 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, l, 81; 82. GIOVANNI CASSIANO, Con-
ferenze, XI, 6; 13. DOR01EO DI GAZ.A, Istruzioni spirituali, Iv, 47-49. GREGORIO DI NISSA, Ome-
lie sul Cantico dei Cantici, I. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIl, 13; XXVII, 75.
38 Théologie de la maladie, Paris 1991, pp. 32-33.
39 A questo riguardo, vedi CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Il Pedagogo, l, 69, 1. IRENEO DI LIO,
NE, Contro le eresie, V, 27, 2; 28, 1.
40 GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, XI, 13. BARSANUFIO, Istruzioni spirituali, Iv, 47. BASILIO
"'Ibid.
632
ranza, poi da lì al terzo grado che è quello dell'amore [. ..]. Sforziamoci
dunque con un ardore totale di salire dal timore alla speranza, dalla
speranza alla carità di Dio e ali' amore delle virtù>>44 •
Vediamo che quando i Padri affermano che questa prima forma
di timore è tipica dei principianti, essi con questo intendono coloro
che non hanno ancora raggiunto la perfezione, che non sono ancora
santi. E dunque, questo timore, anche spirituali proficienti possono
e persino devono provarlo45 • San Doroteo di Gaza non esita a dire ai
suoi monaci: «Questo timore iniziale è dunque nostro»46 •
Tal~ timore, tuttavia, è chiamato ad· essere abolito e superato nella
perfezione dell'amore, come ci insegna l'apostolo san Giovanni: «Nel-
1'amore non vi è timore; allzi il perfetto amore scaccia il timore, per-
ché il timore suppone il castigo e chi teme non è perfetto nell'amo-
re» (lGv 4,18). Alla sua scuola san Massimo scrive: <<Il primo tipo di
timore, la carità perfetta lo scaccia dall'anima che, possedendolo, non
teme più il castigo»47 • Per questo sant'Antonio il Grande può dire:
«Ormai, non temo più Dio, io lo amo; perché l'amore scaccia il ti-
more>>48.
Occorre notare, però, che solo la carità perfetta, come sottolinea-
no di proposito l'apostolo san Giovanni e i Padri, rende caduco que-
sto timore. Fintanto che l'uomo non è totalmente purificato dalle sue
passioni, non ha acquistato l'impassibilità e non ha raggiunto la per-
fezione dell'amore, il timore conserva la sua ragion d'essere e resta
prezioso per lui. San Diadoco di.Foticea scrive molto chiaramente:
<<Il timore riguarda coloro che ancora si purificano e si accompagna
a una carità mediocre; l'amore perfetto appartiene a coloro che sono
già purificati, nei quali non vi è più timore. Infatti, "il perfetto amo-
. re [dice la Scrittura] scaccia il timore" (lGv 4,18) [. .. ].Altrove, la
Scrittura dice: "Temete il Signore, o suoi santi" (Sal 34[33 ],10); e an-
cora: "Amate il Signore, voi tutti suoi devoti" (Sal 31[30],24), affin-
ché si sappia bene che solo ai giusti che si purificano ancora, appar-
tiene il timore, come è stato detto, con un amore mediocre; invece,
per coloro che sono purificati, c'è l'amore perfetto: in essi, non vi è
più il pensiero di un timore qualunque, ma un ardore incessante e un
44 Ibid., 7.
45 San Giovanni Climaco lo afferma molte volte e in termini forti. Vedi La Scala, VII, 13;
X2CVII, 75;XJCV1Il,8;33;:X:X:X:, 11.
46 Istruvoni spirituali, IV, 49.
47 Centurie sulla carità, I, 82. Cfr. GIOVANNI CLWACO, La Scala, :X:X:X:, 10.
48 Apoftegmi, serie alfabetica, Antonio, 32.
633
attaccamento continuo dell'anima a Dio per l'azione dello Spirito San-
to [... ]»49.
Se il timore resiste fintanto che I'amore non ha raggiunto la sua per-
fezione, è perché esso contribuisce per gran parte a purificare l'uomo
e così a fargli ottenere l'impassibilità che condiziona questa perfezio-
ne, a tal punto che possiamo dire che senza aver prima acquistato que-
sto timore (questa acquisizione peraltro suppone una certa purifica-
zione), l'uomo non può accedere all'amore perfetto. Sant'Isacco lo af-
ferma categoricamente, egli che vede in particolare in esso il motore e
la guida per il pentimento, organo principale della purificazione del-
1'anima: «Come non è possibile attraversare un grande mare senza na-
ve, così nessuno può giungere ali' amore senza il timore. Il mare che
dà nausea, che ci separa dal paradiso spirituale, può però essere at-
traversato solo sulla nave del pentimento condotto dai rematori del ti-
more. Ma se questi rematori del timore non governano la nave del pen~
timento, per mezzo della quale attraversiamo il mare di questo mon-
do per andare a Dio, noi siamo inghiottiti nelle acque nauseabonde.
Il pentimento è la nave. Il timore è il suo pilota. E l'amore è il porto
divino>>5°. San Massimo, da parte sua, osserva che «questo timore ge-
nera [. .. ]l'impassibilità, madre della carità>>51 • E san Diadoco di Foti-
cea scrive molto precisamente: «Nessuno può amare Dio nel senso del
cuore se non ha prima cominciato a temerlo con tutto il suo cuore; in-
fatti, purificata dall'azione del timore e come ammorbidita, l'anima ar-
riva a praticare l'amore. Ma essa non potrà arrivare completamente al
timore di Dio nel modo suddetto, se non si allontana da tutte le preoc-
cupazioni temporali; infatti quando lo spirito si è posto in una grande
pace e in un grande distacco, allora il timore di Dio lo tormenta, pu-
rificandolo, in un sentimento profondo, da tutto lo spessore terreno,
per condurlo così a un grande amore della bontà di Dio»52 • Ed egli
conclude: <<Dobbiamo avere, dunque, come suprema e perpetua gioia
prima di tutto il timore di Dio, poi la carità che compie la legge della
perfezione in Cristo>>53 • .
634
di Dio: <<L'educazione che purifica l'anima, [ha per] principio il timore
di Dio (cfr. Pro 1,7), che fa nascere la preghiera continua a Dio nella
compunzione e nel compimento dei precetti evangelici. Una volta ri-
stabilita la riconciliazione per mezzo della preghiera e del compimen-
to dei comandamenti, il timore si muta in amore e il dolore della
preghiera, trasformato in gioia, fa apparire il fiore dell'illuminazione>>54 •
Sant'Isacco il Siro insegna ugualmente che il timore è la condizione si-
ne qua non della perfezione della vita virtuosa, dell'amore e della co-
noscenza di Dio, quindi la via spirituale obbligata per tutti coloro che
vogliono giungere allo scopo: «La conoscenza spirituale segue per na-
tura l'opera delle virtù. Ma il timore e l'amore precedono l'una e l'al-
tra. E lo stesso timore precede l'amore. Chiunque afferma impuden-
temente che è possibile acquistare le ultime avanti di aver lavorato ai
primi, senza alcun dubbio fonda qui la perdizione della sua anima. In-
fatti, questa è la via del Signore: l'opera delle virtù e la conoscenza spi-
rituale nascono dal timore e dall' amore>>55 •
54 Triadi, I, 1, 7.
55 Discorsi ascetici, 44.
56 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, Xl, 13. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla
carità, I, 81; 82.
n MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 81.
58 Stromata, II, 8, 40.
59 Istruzioni spirituali, Iv, 47.
635
grandezza stessa dell'amore. Si tratta di questa mescolanza di rispetto
e d'affetto attento che un figlio ha per un padre pieno d'indulgenza,
un fratello per il fratello, lamico per il proprio amico, la sposa per il
suo sposo. Il timore non impedisce né colpi né rimproveri; ciò che te-
me è di ferirè l'amore, anche con la ferita più leggera. In ogni atto, per-
sino in ogni parola, lo si vede costantemente carico di tenerezza, nel-
la paura che il fervore dell'amore non s'intiepidisca nei suoi riguardi
per poco che sia.>>60 •
Questa seconda forma di timore appare anche come <<il timore per-
fetto»61, «quello dei santi giunti alla perfezione e alla vetta dell'amo-
re santo»62 . I santi, nota san Doroteo di Gaza, <<fanno la volontà di Dio
non più per timore di un castigo [. .. ]ma per amore[. ..], temendo cli
fare qualcosa contro la volontà di Colui che essi amano [...].I santi
non agiscono più per timore, ma temono per amore»63 • Così san Gio-
vanni Cassiano fa notare che «sono i santi, e non i peccatori, che gli
oracoli profetici invitano a questo timore: "Temete il Signore, tutti voi
che siete santi", dice il Salmista, "non c'è indigenza per quelli che lo
temono" (Sa! 34[33],10). È certo che nulla manca alla perfezione cli
questo timore per colui che teme il Signore [... ].È lo stesso timore d'a-
more di cui parla il profeta, quando descrive lo Spirito settiforme che
senza alcun dubbio è disceso sull'uomo-Dio, secondo l'economia del-
l'Incarnazione: "Riposerà sopra di lui, dice, lo Spirito del Signore, spi-
rito di sapienza e di discernimento, spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore" (Is 11,2), poi alla fine,
come il coronamento di tutti questi doni: "Troverà compiacenza nel
timore del Signore" (Is 11,3). In queste parole occorre innanzitutto
considerare bene ciò che egli non dice: "Lo spirito di timore del Si-
gnore riposerà su di lui" come lo aveva fatto per gli altri doni, ma di-
ce: "Lo spirito di timore del Signore lo riempirà". Questo Spirito, in
realtà, si effonde con una tale abbondanza che, quando si è impos-
sessato di un'anima, non la possiede solo in parte, ma completamen.
te. È logico. Essendo tutt'uno con la carità che non passerà mai, non
solo riempie, ma possiede inseparabilmente e per sempre colui cli
cui si è impossessato [. .. ]. Tale è il timore dei perfetti di cui è detto che
fu riempito l'uomo-Dio, che non era venuto solo per riscattarci, ma
63.6
doveva anche offrire nella sua persona il tipo di perfezione e il pro-
totipo delle virtù»64 •
È indispensabile sapere, e san Doroteo di Gaza vi insiste, che nes-
suno può giungere a questo timore perfetto senza avere prima cono-
sciuto la prima forma di timore: «È impossibile pervenire al timore
perfetto senza passare per il timore iniziale>>65 , <<perché è detto: "Prin-
cipio di sapienza è il timore del Signore" (Sal 111[110],10), e ancora:
"Il timore del Signore è l'inizio e la fine" (cfr. Pro 1,7; 9,10; 22,4)»66 •
Per questo, colui che non ha ancora raggiunto la salute nell'im-
passibilità né la perfezione nell'amore, deve cercare di acquistare il ti-
more iniziale. Infatti, contrariamente al timore-passione, il timore di
Dio non è spontaneo nell'uomo, ma è una virtù che egli deve sfor-
zarsi di acquisire con I'aiuto di Dio. Ecco perché esso è d'altronde og-
getto di un comandamento: «Temi Dio [. .. ] perché l'uomo è tutto qui>>
(Qo 12,13 ); «Con timore e tremore lavorate alla vostra ~alvezza>> (Fil
2,12); «Comportatevi nel tempo del vostro passaggio sulla terra con
un senso di timore» (1Pt 1,17). L'uomo non potrà progredire sulla via
della praxis senza essere permanentemente <<fornito» di questa di-
sposizione interiore, come dice per mezzo di immagini san Barsanu-
fio: «Quando si intraprende un viaggio, mettiamo dei sandali [. .. ].
La preparazione materiale deve far pensare alla preparazione spiri-
tuale. Occorre prendere dei sandali spirituali, cioè la preparazione del
timore di Dio, ricordandosi che si deve compiere tutto secondo il ti-
more di Dio»67 •
637
ti70• Difatti, l'uomo manifesta il vero possesso di questa virtù solo confor-
mandosi alla volontà di Dio espressa nei comandamenti. Anche gli
stessi demoni temono Dio, ma di un timore non virtuoso, perché, se
suppone il riconoscimento della sua onnipotenza, non si accompagna
al compimento della sua volontà.
Il distacco da questo mondo, l'incuranza spirituale dinanzi alle
cose terrene ne sono un'altra condizione71 • Anche la meditazione
della morte72 e del fine ultimc73, come la solitudine74 , che sono molto
legate agli atteggiamenti precedenti, lo favoriscono allo stesso modo
dell'esame di coscienza75 , il regolare riconoscimento del proprio stato
di peccatc76 , la sofferenza77 e le lacrime78 • I Padri raccomandano an-
che a coloro che cercano di acquistare questa virtù di frequentare as-
siduamente uno spirituale che già lo possiede79 •
Non bisogna, però, dimenticare che, in quanto virtù, il timore di
Dio è una ma,nifestazione della grazia, e se gli sforzi dell'uomo sono in- ·
dispensabili per acquistarlo, esso è tuttavia sempre un dono di Dio e
dunque deve essere chiesto con la preghiera80 • È soprattutto con la
preghiera che l'uomo può ricevere la purificazione che gli permette di
provare il timore di Dio, che egli è incapace di provare da solo anche
nei gradi più elementari, tanto egli è totalmente sottomesso alle pas-
sioni. Ecco perché <<il timore iniziale» stesso suppone già un certo svi-
luppo spirituale, e appare anche come una virtù posseduta non dai
principianti in senso stretto, ma piuttosto dai proficienti. San Diado-
co scrive, utilizzando un linguaggio esplicitamente medico: «Come
le ferite del corpo, quando sono sporche e trascurate, non sentono il
beneficio del rimedio che i medici applicano, ma una volta lavate sen-
tono l'azione del rimedio con progressi rapidi verso la guarigione, co-
sì lanima, fintanto che è senza cure e ricoperta dalla lebbra delle pas-
sioni, non può sentire il timore di Dio, nemmeno se la si minaccia sen-
za tregua del terribile e potente tribunale di Dio. Ma quando essa ha
638
cominciato a purificarsi con una preghiera intensa, allora, come un ve-
rb rimedio di vita, essa sente il timore divino che la brucia, attraver-
so l'azione dei suoi rimproveri, in un fuoco d'impassibilità.>>81 .
lomone (cfr. Pro 15,27; 8,13 ). Esso purifica l'uomo da ogni peccato e
da ogni passione85 , e a questo titolo appare come un «rimedio»86 glo-
bale. San Giovanni Cassiano lo considera la croce sulla quale l'asceta
deve morire al mondo87 . E san Diadoco di Foticea osserva, sottoli-
neando il suo valore terapeutico: «Come un vero rimedio di vita»,
esso «brucia [l'anima] per mezzo dell'azione dei suoi rimproveri [. ..].
Così ormai, [l'anima] viene purificata a poco a poco e cammina verso
la purificazione perfetta»88. San Gregorio Palamas vede in esso «il prin-
cipio» della «educazione che purifica l' anima»89 , ciò «la libera da
tutto e la pulisce [. .. ] per fame una tavoletta pronta a ricevere i cari-
smi dello Spirito»90 •
L'azione terapeutica del timore di Dio si rivela particolarmente ef-
ficace contro le passioni che soffocano l'anima e paralizzano la vita spi-
rituale: l'acedia («nulla è così efficace per scacciar[la]», insegna san Gio-
vanni Climaco) 91 , l'oblio e la negligenza92 , la pusillanimità e l'abbatti-
mento93, la durezza del cuore94 nel senso ascetico di insensibilità spirituale.
In ciò che segue considerer=o essenzialmente gli effetti della prima forma di timore, per-
82
ché la seconda supera lambito della praxis. ·
83 Omelia sulle Calende, 3.
84 Cfr. GIOVANNI CAssIANO, Conferenze, XI, 6.
85 Cfr. GIOVANNl CRISOSTOMO, Omelie sulle statue, XV, 1. GIOVANNI CLIMACO, La Scala,
XXVID,33.
86 Il termine viene usato da san GIOVANNI CRISOSTOMO, !oc. cit., 2. Quanto a Diadoco di Fo-
ticea, definisce il timore di Dio come «vero rimedio di vita>> (Cento capitoli gnostici, 17).
87 Istituzioni cenobitiche, IV, 35.
88 Cento capitoli gnostici, 17.
89 Triadi, I, 1, 7.
90 Ibid.
91 La Scala, XXVII, 75.
92 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 226.
93 Cfr. ibid., 149.
94 Cfr. ibid., 600.
639
Esso purifica I' ani.ma anche da tutti i desideri carnali95 , da tutti i
pensieri% e i.mmaginazioni97 cattive. Eliminandoli del tutto dall'anima,
esso preserva l'uomo da un loro ritorno. San Basilio così scrive al ri-
guardo: «Il ti.more inibisce ogni suggestione passionale[ ... ]. Là dov'è
il ti.more di Dio, tutto il sudiciume della passione viene espulso dai no-
stri pensieri»98• San Giovanni Crisostomo sottolinea anche questa fun-
zione profilattica: «Dov'è il ti.more i desideri cattivi sono repressi, le
passioni sregolate vengono bandite; e così come, quando una casa è
guardata ininterrottamente da una squadra di soldati, né briganti, né
assassini, né alcun altro malfattore oseranno avvicinarsi: così quando
il ti.more s'impadronisce delle nostre anime, nessuna passione disone-
sta vi entra facilmente, tutte fuggono e si ritirano, scacciate da ogni
parte dalla forza imperiosa di un salutare spavento»99 • Il ti.more allon-
tana dall'anima anche ogni cruccio e ogni preoccupazione terrena100 •
Il ti.more contribuisce, dunque, ali' opera essenziale che è la cu-
stodia del cuore, condizione dellà preghiera pura, dell'amore per-
fetto e della vera contemplazione di Dio. Origene arriva a scrivere:
«Nulla custodisce il nostro cuore come il ti.more di Dio»101 • E san Bar-
sanufio ricorda i «perfetti, che sono capaci di governare il loro spi-
rito e conservarlo nel ti.more di Dio, affinché non se ne vada alla de-
riva e non sia inghiottito da una distrazione profonda o dai fanta-
smi>>102.
95 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulle statue, XV, L GIOVANNI CLIMACO, La Scala,
XXVIII,33.
% Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, loc. cit. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVIII, 33.
97 Cfr. BARSANUHO, Lettere, 431.
98 Omelie sull'origine dell'uomo, II, IL Cfr_ DOROTEO DI GAZ.A, Istruzioni spirituali, I\T, 49.
640
ta virtuosa106 • Esso precede I' opera delle virtù, e le virtù nascono da ·
esso, e così senza di esso non è possibile acquistarle, afferma catego-
ricamente sant'Isacco il Siro 107 • San Giovanni Crisostomo insegna: «Si
è così lontani dal fare il bene quando non si prova questo senti.t:Ilento,
come lo si è dal fare il male quando lo si prova>>108 •
Proprio perché allontana l'uomo dal male e lo purifica, il timore gli
pennette di accedere al bene, come indicato esplicitamente da san Pao-
lo quando consiglia: «Purifichiamoci da ogni macchia della carne e
dello spirito, portando a compimento la santità, nel timore del Signo-
re» (2Cor 7 ,1). Ma è anche, più positivamente, in quanto esso favori-
sce la pratica dei comandamenti109 • <<Beato l'uomo che teme il Signo-
re» dice il salmista (Sal 112[111],1). Perché? «Perché _egli si applica
con zelo all'osservanza dei suoi comandamenti>>, risponde san Basi-
lio riprendendo il salmo. Infatti, «coloro che vivono nel timore non
potranno né omettere, né osservare negligentemente uno solo dei
comandamenti dati loro» 110 •
Il timore di Dio conferma la fedem da cui esso procede, e che è il
fondamento stesso della vita spirituale. Aggiunto a questa fede, esso dà
all'uomo <<la forza d'intraprendere ogni cosa, anche ciò che sembra dif-
fi.cile o impossibile alla maggior parte degli uomini>>112 , lo rende fer-
mo. e risoluto nelle sue vie 113 , <<fortifica il suo cuore>> n 4 , e questo tanto
più in quanto gli dà una fiducia incrollabile in Dio115 • Per ciò stesso l'uo-
mo riceve dal timore una grande stabilità interiore, sia di fronte ai
ru
tormenti di questa vita sia di fronte nemici che egli deve affrontare
sulla via spirituale, mentre, al contrario, è tanto più dominato dal cam-
biamento e dall'alienazione quanto più l'ha abbandonato il timore116 •
Se il timore è favorito dal pentimento, dalla compunzione e dalle
lacrime, esso appare in cambio come una fonte di questi atteggiamenti
penitenziali, come un fattore che li sviluppa e li rafforza117 •
106 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulle statue, XV, 2. lsACCO IL Smo, Discorsi asce#à, 1.
liJIDiscorsi asce#à, 44.
108 Omelie sulle statue, XV, 1.
109 Cfr. BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, Prologo. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 1, 7. Apof
m Ibid.
114 GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, VI, 13, 2.
115 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 81.
116 Cfr. lsACCO IL Smo, Discorsi ascetici", 1.
117 Cfr. ibid., 72; 18. BARSANUFIO, Lettere, 397. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulle statue,
641
Il timore favorisce la preghiera e la rende fervente 118 • Rende fe-
conda la preghiera di richiesta: <<È una grande gioia che qualcuno chie-
da una cosa per timore di Dio, costui è certo che la sua richiesta sarà
esaudita>>, scrive san Barsanufio119 • Dal timore procede anche la pre-
ghiera di lode, così che è scritto: «Innalzate lodi al nostro Dio, [. .. ] voi
che lo temete» (Ap 19,5); «Temete il Signore e dategli gloria>> (Ap 14,7).
È sempre il timore che <<fa nascere la preghiera continua a Dio nella
compunzione e il compimento dei precetti evangelici», osserva san
Gregorio Palamas 120 • Esso contribuisce a rendere pura ogni forma di
preghiera nella misura in cui genera nell'anima la sobrietà121 •
Il timore di Dio appare soprattutto come una fonte essenziale di
umiltà122 , al punto tale che, a un fratello che gli chiede «in quale mo-
do l'uomo arriva all'umiltà>>, Abba Cranio risponde: «Per mezzo del
timore di Dio» 123 •
Ma, come abbiamo spiegato prima, es::;o conduce l'uomo soprat-
tutto alla carità, coronamento di tutte le virtù 124 •
Dalla purificazione dalle passioni, dall'iinpassibilità, e correlativa-
mente dalla pratica dei comandamenti, dalla vita secondo le virtù in
cima alle quali c'è l'amore, procede la conoscenza spirituale. Il timo-
re di Dio appare, così, indirettamente come la condizione indispen-
sabile e il principio di questa, e in particolare del suo primo grado,
quello della sapienza. Ecco perché più volte nelle Sacre Scritture si di-
ce che «principio di sapienza è il timore del Signore» (Sa! 111[110],10;
cfr. Pro 1,7; 9, 1O) e il salmista dice ancora che hanno «buon senno co-
loro che lò praticano» (Sa! 111[110],10). In questa prospettiva, san
Giovanni Crisostomo afferma categoricamente: «Colui che è virtuoso
e che teme Dio è il più saggio degli uomini>> e ancora: «Colui che te-
me Dio possiede la sapienza» 125 • San Gregorio Palamas vede nel ti-
more di Dio il principio non solo della sapienza ma anche della con-
templazione divina126 • E sant'Isacco il Siro indica chiaramente il pro-
cesso attraverso cui il timore conduce alla conoscenza: «Dalla fede
44;72.
125 ·Commento a san Giovanni, XLI, 3.
126 Triadi, I, I, 7.
642
nasce il timore di Dio. Ora quando questo accompagna le opere e si
eleva, per poco che sia, verso il compimento, esso genera la conoscenza
spirituale [ .. .]. La fede suscita in noi il timore, e il timore ci spinge a
pentirci e a metterci all'opera. Così è concessa all'uomo la conoscen-
za spirituale, che è la sensazione dei misteri, la quale genera la fede
della vera contemplazione. Tuttavia, la conoscenza spirituale nonna-
sce così semplicemente dalla sola fede pura, ma la fede genera il ti-
more di Dio, e nel timore di Dio, quando iniziamo ad agire per suo
mezzo, dall'energia di questo timore nasce la conoscenza spirituale,
·come ha detto san Giovanni Crisostomo: "Quando qualcuno mette in
atto la volontà di seguire il timore di Dio e la corretta sapienza, egli ri-
ceve subito la rivelazione dei misteri"» 127 • E san Giovanni Cassiano
sottolinea che il timore di Dio è necessario non solo per acquistare la
conoscenza, ma anche per conservarla: «Uno dei profeti ne ha ben
espresso la grandezza: "Ricchezza salutare sarà la saggezza e la cono-
scenza; il timore del Signore sarà il suo tesoro" (I~ 33,6). Non avreb-
be potuto sottolineare con maggiore evidenza la sua dignità né il suo
valore, se non nel dire che le ricchezze della nostra salvezza, che con-
sistono nella vera sapienza e nella scienza di Dio, non si conservano
che per mezzo di esso»128 •
Beninteso, la conoscenza spirituale non è il frutto del timore di Dio,
ma appare come un dono gratuito di Dio in risposta alla preghiera e
a tutti gli sforzi ascetici dell'uomo, opera nella quale, lo abbiamo vi-
sto, il timore gioca u:n ruolo primario. Ecco perché sant'Isacco il Si-
ro si prende la cura di precisare: «Non è il timore di Dio che genera
questa conoscenza spirituale[...]. Ma tale conoscenza è offerta come
un dono allorché si mette in opera il timore di Dio»129 •
Le considerazioni precedenti ci permettono altresì di comprende-
re perché i Padri considerano il timore di Dio come se fosse per l'uo-
mo una fonte di gioia spirituale. Sulla scia del salmista che esclama:
<<Beato l'uomo che teme il Signore» (Sal 112[111],1), san Giovanni
Crisostomo afferma: <<L'uomo felice è unicamente colui che teme il Si-
gnore»130; «colui che teme Dio [... ] gode di una vera e solida felicità»m;
«nel timore del Signore consiste la vera felicità.» 132 •
643
VIII
644
to fondamentale della sua profilassi come della sua terapia. Per que-
sto motivo, i Padri ritengono necessario mettere a disposizione di
coloro che sono alla loro scuola tali mezzi, come sottolinea san Gio-
vanni Cassiano: «Come i più esperti tra i medici non si accontentano
in genere solo di guarire le malattie presenti ma, nella loro sapiente
esperienza, vanno incontro alle malattie future e le prevengono con
prescrizioni e rimedi salutari, così, questi veri medici delle anime, di-
struggendo anticipatamente nella conferenza spirituale, come per un
celeste antidoto, le malattie del cuore prima che esse appaiano, e
non permettendo che si sviluppino nello spirito dei giovani, svelano
loro sia la causa delle passioni che li minacciano sia i rimedi che ri-
danno la salute»5 • «Mentre essi rivelano le illusioni di tutte le passio-
ni, quelle tipiche dei principianti e quelle dei ferventi, i giovani ven-
gono istruiti sui segreti delle loro lotte viste come in uno specchio, e
imparano a conoscere le cause e i rimedi dei vizi dai quali sono scos-
si; apprendono così, anche prima che questi si producano, come oc-
corre premunirsi contro le lotte future e affrontarle da veri lottatori»6 •
L'uomo sarà stimolato a combattere questa passione se prende co-
scienza dei rischi nei quali incorrerà, in particolare quello di perdere
totalmente il beneficio delle pene che egli ha fino ad allora sopporta-
to così come tutte le virtù che ha acquistato7 , e di vedersi poi alla fi-
ne ridotto a nulla, secondo la parola del salmista: <<Dio ha disperso le
ossa di coloro che piacciono agli uomini» (Sal 53 [52],6). Alla lotta con-
tribuiscono così la meditazione e il timore del giudizio divino per il
presente e per il futuro 8 , giudizio cui si riferisce in particolare questa
parola del Cristo: «Chiunque si innalza sarà abbassato» (Le 14,11).
Proprio perché la cenodossia è ricerca della gloria umana, mon-
dana, terrena, l'uomo che vuole vincere questa passione deve rico-
noscere la vanità di tale gloria, prendendo coscienza, in particolare,
dell'inconsistenza dei suoi fondamenti e della nullità dei fini che per-
segue, come molte volte sottolineano i Padri9 • La morte rivela la
piena misura della vanità e caducità delle cose terrene che la ceno-
dossia ha per oggetto; nello stesso tempo, essa è il momento crucia-
le in cui il giudizio divino viene manifestato all'uomo. Ecco perché il
' Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, IX, 5; Omelia su questa paro-
la: «Non temete ...», I, l; Commento a san Matteo, LXV, 5; Commento al Salmo 4, 6.
645
«ricordo della morte» è, anch'esso, un'arma efficace contro questa
passione 10 •
Poiché la cenodossia è ricerca di considerazione, di fama, di onore,
di gloria, è necessario rinunciare a tutto ciò che può esserne la fonte
o l'occasione. Occorre sfuggire coloro che sono manifestamente sot-
to il suo dominio 11 e che costituiscono un esempio infelice. Bisogna ri-
fiutare per se stessa ogni funzione onorata dagli uomini, in particola-
re a motivo del potere o del prestigio che essa conferisce, respingere
ogni distinzione che può attirare aminirazione o lodi12 • Poiché la ce-
nodossia consiste nel desiderio di essere notati, è opportuno evitare
ciò che può farci notare dagli altri, tanto nelle parole come nelle azio-
ni o nei comportamenti13 • Colui che vuole essere liberato della ceno-
dossia deve, al contrario, fare tutto per divenire o per restare ignora-
to dagli uomini14 • Possono contribuire a questo fine la scelta di una
condizione oscura, e la ricerca della solitudine 15 •
Abbiamo visto che la cenodossia consiste nell'esaltarsi non solo per
mezzo dei «beni» mondani, ma anche per mezzo di beni spirituali, nel
gloriarsi davanti ad altri o davanti a se stessi della propria ascesi e del-
le proprie virtù. È questa la forma più sottile della passione, ma anche
la più temibile, che sta sempre in agguato dell'uomo spirituale. Essa
dev'essere combattuta in diversi modi.
Di fronte ad altri uomini, dai quali la cenodossia attende ammira-
zione e lodi, è meglio non lasciar vedere la propria ascesi né le virtù
che si possiedono né le azioni che le manifestano 16 • È in questa linea
che san Massimo scrive: «La cenodossia è soppressa dall'azione na-
scosta>>17. E inoltre: «Quello della cenodossia è un duro combattimento.
Ci si può liberare per mezzo della pratica nascosta delle virtù [. .. ]»18•
Si deve badare, controllando accuratamente il comportamento e le pa-
role, di non lasciar nulla trapelare del proprio stato interiore, senza ri-
velare nulla della propria vita spirituale. Ecco perché san Giovanni
Climaco consiglia: «Sii zelante nella tua anima senza manifestare
10 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, 41. MACARlO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), LV, 4.
11Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 5.
12Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XI, 18. GIOVANNI CIJMACO, La Scala,
XXI, 19.
13 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, loc. cit., 19. GIOVANNI CLIMAco, La Scala, IV, 90.
14 Cfr. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. ill), XXI, 3. 2. Apoftegmi, Arm Il, 250.
15 Cfr. GIOVANNI CLIMAco, La Scala, XI, 6.
16 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, XIX, 2.
17 Centurie sulla carità, m, 62.
18 Ibid., IV, 43.
646
nulla nel tuo corpo, attraverso una qualsiasi apparenza esteriore, o una
parola, o un'allusione sottintesa>>19 ; «dovunque andrai, nasconderai il
tuo modo di vivere»20 • Egli scrive inoltre: <<L'inizio della vittoria sulla
cenodossia è il controllo della lingua>>2 1 • Ciò implica a fortiori il rifiu-
to di insegnare agli altri e persino di annunciare la parola, come sot-
tolinea san Macario il Grande: «Colui che è invitato a parlare e viene
costretto ad annunciare la parola deve rattristarsene, fuggire la cosa
come il fuoco e respingere il pensiero al fine di sfuggirvi e di non ca-
dere nella cenodossia a causa della sua parola>>22 • A questo proposito
cita23 l'esempio di Mosè che, pregato da Dio stesso di annunciare la
parola a Israele, «se ne scusò dicendo: "Io non sono un parlatore"»
(cfr. Es4,10), lesempio di Geremia che ugualmente si scusò dicendo:
«Non so parlare perché sono ragazzo» (cfr. Ger 1,6), e l'esempio di
san Paolo che scrive: <<Malgrado me sono depositario di un mandato»
(cfr. lCor 9,17). Negli Apoftegmi si ritrovano numerosi esempi di Pa-
dri che rifiutano di parlare o non rispondono alle domande di coloro
che sono venuti ad interrogarli se non dopo che questi hanno a lungo
insistito.
Colui che vuole vincere la cenodossia deve non solo nascondere la
sua ascesi, le sue virtù e la sua eventtiale sapienza, ma anche nonna-
scondere agli altri le proprie colpe, a condizione tuttavia che ciò non
causi loro dei torti. San Giovanni Climaco consiglia in questa pro-
spettiva: «Non nascondere una colpa umiliante con il pretesto di evi-
tare lo scandalo; tuttavia, non è forse possibile usare questo rimedio
in ogni caso; questo dipende dalla natura della colpa»24 • In generale,
. ed è questo un rimedio fondamentale contro la cenodossia, l'uomo de-
ve accettare di essere umiliato, e ricercare anche ciò che può procu-
rargli il disprezzo. «L'inizio della vittoria sulla cenodossia è [. .. ] l'a-
more per le umiliazioni», scrive san Giovanni Climaco25 • Per questo
un Anziano consiglia: se il diavolo <<viene a farti perdere nella ceno-
dossia, compì un'azione o assumi davanti agli uomini un atteggiamento
tale che essi ti disprezzino, perché, sappilo bene, Satana non è mai tan-
to desolato come quando l'uomo desidera l'umiliazione e il disprez-
"Ibid.
24 La Scala, XXI, 39.
25 lbid.
647
zo»26 • E san Giovanni Climaco osserva che <<Dio gioisce quando ci ve-
de correre incontro alle umiliazioni, per reprimere, battere e annien-
tare la vana stima di noi stessi>>27 • Lo stesso autore rivela che alcuni igu-
meni o Padri spirituali sono propensi a umiliare coloro che non lo fan-
no da sé, allo scopo di guarirli dalla cenodossia: <<Avendo notato che
alcuni amano mostrarsi quando dei secolari vengono al monastero, i
medici infliggevano loro davanti ai visitatori le più gravi ingiurie e
ingiungevano loro i servizi più umilianti>>28 • L'umiliazione può, del re-
sto, essere usata con lo stesso scopo da Dio stesso, come nota ancora
san Giovanni Climaco: s<ll Signore spesso toglie ai vanitosi la va-
nagloria con qualche umiliazione che capita loro»29 •
Per questo l'uomo deve vedere nelle diverse umiliazioni che subi-
sce (disprezzo, ingiurie, ecc.) dei rimedi provvidenziali, e in colui che
lo ha afflitto, leso, disprezzato o insultato, come un medico che gli
ha rivelato la sua malattia e gli ha dato i mezzi per guarire dalla ce-
nodossia. A questo riguardo un Padre consiglia: «Se qualcuno con-
serva il ricordo di un fratello che lo ha afflitto, leso o insultato, deve
ricordarsi di lui come di un medico inviato dal Cristo e considerarlo
come un benefattore: se ti affliggi in queste circostanze, è perché la tua
anima è malata. In realtà, se non fossi malato, non soffriresti. Devi;
dunque, ringraziare questo fratello poiché, grazie a lui, tu scopri la tua
malattia; devi pregare per lui e ricevere ciò che viene da lui come ri-
medio datoti dal Signore stesso. Se, al contrario, sei adirato contro di
lui, è come se dicessi a Gesù: "Non voglio ricevere i tuoi rimedi, pre-
ferisco che l~ cancrena rimanga nelle mie ferite">l 0 • E più avanti: «Se
vuoi essere guarito da queste terribili ferite dell'anima, devi soppor-
tare ciò che il medico t'impone. Non è certo con piacere che colui che
è malato nel suo corpo subisce un'amputazione· o prende una purga;
ne conserva anche un cattivo ricordo, e tuttavia, persuaso che senza
questo trattamento non può essere liberato dalla sua malattia, sopporta
ciò che il medico gli impone. Egli sa che con un piccolo inconve-
niente sarà liberato da una lunga malattia, Il cauterio di Gesù, è co-
lui che, insultandoti o causandoti un torto, ti libera dalla vanagloria»31 •
Lo stesso autore per ciò che lo riguarda personalmente afferma: «lo
26 Apoftegmi, N 592154.
27 La Scala, XXV, 42.
28 Ibid., IV, 36.
29 Ibid., XXI, 38.
30 Apoftegmi, XVI, 17.
"Ibid., 18.
648
non accuso quelli che mi rimproverano ma li dichiaro miei benefatto-
ri e non respingo il medico delle anime che apporta un rimedio umi-
liante alla mia anima impura e orgogliosa>>32 •
Il segno che l'uomo è guarito dalla cenodossia sta nel fatto che
egli non prova nessuna sofferenza nell'essere umiliato in pubblico33 ,
non ha più rancore incontrando colui che lo ha offeso, disprezzato, in-
sultato, che ha detto o ancora dice male di lui34 ; al contrario, lo rin-
grazia come se fosse un benefattore, sull'esempio dell'Anziano prece-
dentemente citato. In questa prospettiva, si può comprendere la se-
guente affermazione di san Massimo: <<!;amore del prossimo [. ..] rende
indifferenti alla gloria>>35 •
Assumere, e anche ricercare le umiliazioni, guarisce l'uomo dalla
cenodossia in quanto essa ricerca la gloria mondana, l'ammirazione
o solo la stima degli altri. Ma la cenodossia è anche una passione per
mezzo della quale l'uomo si stima, si ammira e onora se stesso, e siglo-
ria. Per combatterla a questo livello, l'uomo deve prima di tutto igno-
rare la propria ascesi e le proprie virtù, nascondere a se stesso ciò
che c'è di buono in lui e il bene che ha fatto 36 • San Giovanni Criso-
stomo fa notare che il Cristo, «dopo aver biasimato la vanità [.. .] dà il
rimedio a un'anima colpita da questo male [raccomandando]: [. . .]
"Non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra" (Mt 6,3 )»37 .
Anche quando avrà compiuto tutta la volontà di Dio, l'uomo do-
vrà, come raccomanda il Cristo (dr. Le 17, 1O), considerarsi un servo
inutile, che non ha fatto nulla di più di quanto doveva fare: questo è
anche un altro mezzo proposto dai Padri per evitare la cenodossia38 •
Ma molto prima di ciò, l'uomo deve esaminare la propria coscien-
za e considerare quanto è lontano dall'aver compiuto tutti i coman-
damenti39. Prima ancora, deve ricordarsi dei suoi peccati e piangerli,
ciò estirperà la cenodossia sia in rapporto a se stesso che agli altri. «Se
non perdiamo di vista i nostri peccati, i beni esteriori non potranno
mai esaltare le nostre anime. Le ricchezze, la potenza, il rango supe-
riore, le dignità, gli onori non avranno su di noi alcuna influenza», fa
32 Ibid., 19.
;; Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, 39.
;. Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Iv, 43.
35 Ibid., 75.
36 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, XIX, 2.
"Ibid.
38 Cfr. Apoftegmi, N 299.
"Ibid.
649
notare san Giovanni Crisostomo40 • E san Giovanni Climaco così con-
siglia: «Quando i nostri adulatori [. ..] cominciano a lodarci, riportia-
mo brevemente alla memoria i molti peccati commessi, e ci ricono-
sceremo indegni di ciò che viene detto o fatto in nostro onore»41 •
Notiamo, infine, il ruolo essenziale che la preghiera gioca nella gua-
rigione dalla cenodossia42 come da ogni passione. Per mezzo della pre-
ghiera, l'uomo riceve da Dio l'aiuto senza il quale egli è impotente nel
vincere qualsiasi passione. Ma nel caso della cenodossia, egli riceve an-
che il discernimento che gli è necessario per eludere tutte le trappole
che questa gli tende. La preghiera gli permette altresì di staccarsi da
questo mondo che la cenodossia ha come oggetto, e di unirsi a Dio ..
Essa, infine, gli permette di glorificare Dio riconoscendo che «a lui
spettano ogni gloria, onore e adorazione».
Abbiamo osservato che la gloria che viene dagli uomini e quella che
viene da Dio sono antagoniste ed esclusive l'una dell'altra. Se l'uomo
deve rinunciare a ogni gloria umana, è per aver accesso alla gloria di-
vina alla quale lo destina la sua natura. Fintanto che egli rimane at-
taccato alla gloria terrena non potrà mai gustare la gloria celeste. «Co-
me il fuoco non genera la neve, così coloro che cercano la gloria quag-
giù non ne godranno lassù», osserva san Giovanni Climaco43 • Ecco
perché l'umiliazione è la via obbligata, la condizione indispensabile
per partecipare alla gloria divina. È in questo senso che un Anziano con-
siglia: «Se vuoi essere conosciuto da Dio, devi essere ignorato dagli
uomini>>44 • L'uomo, lo abbiamo visto, per natura tende alla gloria, ma
la gloria che viene da Dio è la sola che gli conviene veramente. Per
questo egli deve glorificarsi solamente in Dio, conformemente alla pa-
rola dell'Apostolo: «Glorificandoci in Cristo Gesù, non riponiamo la
nostra fiducia nella carne» (Fil 3 ,3), e secondo la promessa di Dio: <<lo
onorerò quelli che mi onorano» (lSam 2,30). Alla sua ricerca della
«gloria secondo la carne» (cfr. 2Cor 11,18) deve sostituirsi la ricerca
della «gloria che viene dal solo Dio» (Gv 5,44). Origene così consiglia:
a questo proposito: «Disprezzate ogni gloria che viene dagli uomini
per cercare solo quella che ne merita veramente il nome, gloria che so-
lo Dio dispensa a coloro che ne sono degni»45 •
650
Più l'uomo tende alla gloria divilla, più egli si disinteressa della glo-
ria che viene dagli uomini. Ecco perché l'amore di Dio e la sua gloria
appaiono come un mezzo per liberare l'anima dalla cenodossia. Per
questo san Giovanni Climaco consiglia: «Sforziamoci di gustare solo
la gloria dell'alto. Infatti, colui che l'ha gustata disprezzerà ogni gloria
terrena>>46 •
Non è meno vero che l'antidoto specifico della cenodossia è l'u-
miltà. San Doroteo di Gaza scrive a questo proposito: «Il medico del-
le nostre anime è il Cristo, che sa. tutto e che dà a ciascuna passione
il rimedio appropriato, voglio dire i suoi comandamenti: contro la ce-
nodossia, l'umiltà»47 • San Giovanni Cassiano consiglia allo stesso
modo soprattutto a proposito della cenodossia: «Applicate dunque al
membro o alla parte della vostra anima che abbiamo detto specifica-
mente ferita, il rimedio della vera umiltà»48 • San Giovanni Climaco
scrive: «Non appena [ .. .] la santa umiltà inizia a fiorire in noi, noi ci
mettiamo subito [...] a odiare ogni gloria e ogni lode umana»49 • E, a
sua volta, san Massimo: «L'umiltà libera lo spirito [. .. ] dalla cenodos-
sia>>50. In seguito vedremo che molti mezzi raccomandati dai Padri per
lottare contro la cenodossia sono mezzi raccomandati da loro anche
per acquistare l'umiltà.
2; Terapia dell'orgoglio
651
nodossia. Per questo, san Giovanni Cassiano che considera la nosolo-
gia un elemento fondamentale della terapia di quella.5 1, a proposito del-
1'orgoglio osserva che è importante conoscerne soprattutto leziologia:
«Impareremo come evitare il veleno così pericoloso di questa malat-
tia ricercandone le cause e l'origine. Mai infatti le malattie potranno
essere guarite, né trovati i rimedi ai disturbi della salute se non si ri-
cerca, prima di tutto, con una investigazione minuziosa, la loro origi-
ne e le loro cause»52 •
La conoscenza generale della malattia dà all'uomo, in ogni caso, la
possibilità di riconoscere in sé questa passione così capace di farsi igno-
rare o dimenticare. Tale capacità di riconoscimento è evidentemente
una condizione della terapia, perché colui che non si ritiene malato
non cercherà la guarigione. San Giovanni Climaco, a proposito di co-
loro che sono accecati al punto da non avere coscienza dell'orgoglio
che è in loro, osserva: «Per questi malati vi sarà poca speranza di sal-
vezza>>53.
Vigilanza e discernimento permettono di individuare la malattia fin
dal primo manifestarsi, e di evitare che si diffonda al punto da dive-
nire quasi incurabile. A questo proposito così scrive san Giovanni Cas-
siano: «Si può essere totalmente indenni da questa malattia mortale se
però ci si mette in guardia prima che i suoi pericolosi assalti abbiano
già avuto potere su di noi; occorre quindi che un saggio e prudente
discernimento prevenga ciò che potremmo indicare come le sue avan-
guardie»54. Fintanto che la malattia è contenuta in certi limiti, la sua
terapia è possibile agli sforzi umani, che perciò devono praticarsi in
molte direzioni.
Sapere che lorgoglio, come la cenodossia, rendono vani tutti i no-
stri sforzi presenti o passati, e tolgono ogni valore alle virtù che si pos-
sono avere, avere coscienza del rigore del giudizio divino circa gli or-
gogliosi, della privazione della grazia e delle pene che risultano da que-
sta passione possono contribuire a vincerla55 . È così che san Basilio,
alla domanda: «Come guarire gli orgogliosi?» risponde: «Essi guari-
scono per mezzo della fede in Colui che ha detto: "Dio resiste ai su-
perbi e dà la grazia agli u:tnili" (Gc 4,6) 56 , in altre parole, per il timo-
652
re della sentenza in cui s'incorre a causa dell'orgoglio>>57 • Lo stesso Cri-
sto si impegna a segnalare le conseguenze nefaste dell'orgoglio, di-
cendo più volte: «Chi si esalterà sarà umiliato» (Mt 23,12; Le 18,14),
indicando che il fariseo, malgrado le proprie virtù, non sarà giustifi-
cato, a causa dell'orgoglio (dr. Le 18,9-14).
Come nota san Basilio, il timore di Dio, però, non basterà a cura-
re la malattia. Poiché l'orgoglio consiste, in genere, in un innalzamento
di sé in rapporto ad altri uomini e in rapporto a Dio, non si potrà gua-
rirne se non sforzandosi in ogni circostanza di evitare di esaltarsi, di-
struggendo l'abituale disposizione (éxis) della passione per mezzo di
uno smorzamento progressivo dell'atteggiamento che lo caratterizza.
Ciò implica che si dia prova diuna costante vigilanza interiore, e che
si eviti anche di freguentare uomini manifestamente sotto il potere
di questa passione. E per questo che san Basilio completa così la sua
risposta: «Non ci si può liberare da questa passione se non astenen-
dosi da ogni esercizio di superiorità, come non si disimpara una lin-
gua o un mestiere se non smettendo del tutto non solo di praticare o
di parlare noi stessi, ma anche di sentir parlare e vedere praticare gli
altri»58.
Saremo aiutati in questo compito considerando la vanità e la vacuità
delle cose sulle quali l'uomo, nella passione, fonda la sua superiorità:
instabilità di tutte le cose umane, fugacia delle ricchezze, del potere,
debolezza e fragilità dell'uomo stesso sottomesso in questo mondo al-
la malattia, all'invecchiamento e alla morte, e che senza Dio non è che
<<terra e cenere, ombra e fumo»59 •
I: orgoglio si traduce attraverso un certo numero di atteggiamenti:
fiducia in se stessi, autosoddisfazione, arroganza, sicurezza, pretesa di
sapere, fiducia nel proprio giudizio, certezza di avere ragione, mania
di giustificarsi, spirito di contraddizione, voglia d'insegnare, di coman-
dare, rifiuto di sottomettersi. Solo sforzandosi di adottare atteggia-
menti contrari l'uomo potrà, su questo piano, combattere l'orgoglio:
odio della volontà propria60 , sfiducia del proprio giudizio61 , rinuncia
all' autogiustificazione, biasimo di sé62 , rifiuto del contraddire, rifiuto
YI Ibid.
58 Ibid.
59 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su Atti, XXX, 3; Omelie su 2 Tessalonicesi, I, 2; Ome-
653
d'insegnare e di comandare, atteggiamenti che si trovano tutti realiz-
zati nell' obbedienza63 al Padre spirituale, e che permettono all'uomo,
come dice san Doroteo di Gaza, «di riprendersi e tornare allo stato
naturale»64 •
Per evitare la prima forma d'orgoglio che consiste nel considerarsi
superiori agli altri, o almeno ad alcuni, e a disprezzarli, l'uomo dovrà
impegnarsi innanzitutto a notare in essi ciò in cui costoro gli sono
superiori, rifiutando di vedere i loro difetti e valorizzando le loro qua-
lità65. È soprattutto in questo senso che possiamo dire con san Mas-
simo che <<la carità sopprime l'orgoglio»66. L'uomo dovrà persino giun-
gere a considerarsi inferiore a tutti, come insegna san Doroteo di Ga-
za: <<Ritenersi al di sopra di tutti [si oppone] alla prima forma di or-
goglio. Infatti, colui che si ritiene al di sopra di tutti, come potrà cre-
dersi più grande di un fratello, elevarsi in qualcosa, biasimare o di-
sprezzare qualcuno?»67 .
Il ricordo dei suoi peccati contribuisce a togliergli quel senso di su-
periorità rivelando la sua miseria spirituale68 • Il suo orgoglio si riduce
tanto più quanto più questa consapevolezza è accompagnata dalla com-
punzione69 e dal biasimo di sé7°.
L'accettazione, ossia la ricerca delle umiliazioni sotto forme diver-
se, permette anche la guarigione della passione. San Doroteo di Ga-
za così scrive a questo riguardo: «Sii convinto che disprezzo e oltrag-
gi sono per la tua anima rimedi al suo orgoglio, e prega per coloro che
ti maltrattano, come se fossero delle vere medicine»71 .
Vivere ignorato dagli uomini aiuta a trattare la forma d'orgoglio più
esterna, come sottolinea san Giovanni Climaco: <<L'orgoglio visibile
guarisce per mezzo di una situazione oscura>>72 •
Condurre una vita dura e umiliante contribuisce altresì a combat-
tere questa malattia73 • Abbiamo visto, in verità, nel capitolo dedicato
ali' ascesi fisica, come l'anima sia, in una certa misura, colpita da quel-
654
lo che fa o subisce il corpo, e come, più in generale, le condizioni ma-
teriàli di esistenza dell'uomo abbiano una certa incidenza sul suo
stato interiore. Le sofferenze fisiche e le diverse prove che l'uomo può
essere portato a subire nel suo corpo lo purificano dalla sua passione
nella misura in cui esse gli fanno constatare la sua debolezza e fragi-
lità, e riducono l'illusione di auto-sufficienza legata all'orgoglio.
Nella misura in cui lorgoglio consiste nell'immaginare un' esalta-
zione per le qualità naturali che si possiedono, il rimedio sta nel rico-
noscere che ogni bene viene da Dio, che ogni qualità ha la sua fonte
nel Creatore della nostra natura. A questo riguardo è bene meditare
la parola dell'Apostolo: «Chi ti distingue? Che cosa possiedi che non
abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto perché te ne vanti come se non
l'avessi ricevuto?» (1Cor4,7). In questa prospettiva, Evagrio fa nota-
re all'orgoglioso: «Tu sei la creatura di Dio: non ripudiare il tuo Crea-
tore»74. E san Giovanni Climaco: «Tutto ciò che ti è venuto dopo la
tua nascita, così come la tua nascita stessa, è Dio che te l'ha donato»75 .
Lo stesso autore osserva che «quando il nostro pensiero non si eleva
più riguardo ai doni naturali, è segno che esso inizia a recuperare la
salute»76 .
Ma lorgoglio consiste soprattutto, per lo spirituale, nell'esaltarsi a
motivo delle sue virtù. Il rimedio consisterà allora nel ricordo dei pro-
pri peccati, già menzionati a proposito della prima forma d'orgoglio.
E, anche ammesso che queste virtù siano reali, colui che si eleva così
prenderà facilmente coscienza della sua mediocrità, e ridurrà così la
sua passione, considerando la perfezione dei santi77 , il che sarà favori-
to dalla· frequente e attenta lettura delle Vite dei Padri78 .
Il rimedio essenziale consiste, tuttavia, nel riconoscere che «ogni
donazione buona e ogni dono perfetto viene dall'alto, discendendo dal
Padre delle luci» (Gc 1,16-17) e nell'attribuire a Dio quanto si è potu-
to fare di bene, come anche tutte le virtù che eventualmente si pos-
siedono e tutte le azioni buone e i pensieri buoni che da esse proce-
dono79. È opportuno qui· ricordare anche la parola dell'Apostolo cita-
ta precedentemente, come consiglia san Giovanni Climaco parafra-
655
sandola un po': «Cosa hai tu che non abbia ricevuto come un dono
gratuito, sia da Dio stesso, sia grazie ali' aiuto e alle preghiere degli
altri?»80 • Evagrio fa notare ugualmente: «Tu non hai nulla che non ab-
bia ricevuto da Dio [. .. ]. Riconosci colui che ti ha donato e non ti esal-
ta prima [. .. ].Tu sei aiutato da Dio, non rinnegare il tuo benefatto-
re»81. E san Giovanni Cassiano insegna: <<Potremo sfuggire alla trap-
pola che questo spirito ci tende nella sua malizia se, a proposito di
ciascuna delle virtù nelle quali abbiamo l'impressione di aver pro-
gredito, diciamo questa parola dell'Apostolo: "Non io, ma la grazia di
Dio con me" (lCor 15,10) e: "Per grazia di Dio sono quello che sono"
(1Cor 15, 1O)»82 • Le stesse facoltà con le quali, in noi, si esercita l'ascesi
e si praticano le virtù, devono essere attribuite a Dio. Anche san Gio-
vanni Climaco scrive ironicamente: «Tutte le virtù che hai acquistato
senza l'aiuto della tua intelligenza, solo quelle ti appartengono! Difatti,
è Dio che ti ha donato l'intelligenza. Tutte le vittorie che hai riporta-
to senza la collaborazione del tuo corpo, sono solo questi i risultati dei
tuoi sforzi! Difatti il tuo stesso corpo è opera di Dio, non opera tua»83 .
Le forze attraverso le quali le nostre facoltà sono messe in moto, il prin-
cipio stesso di tutte le nostre azioni hanno la loro fonte prima in Dio,
come insegna l'Apostolo: <<È Dio colui che suscita tra voi il volere e
l'agire in vista dei suoi amabili disegni» (Fil 2,13).
Il rimedio consiste anche nel riconoscere che ogni progresso spiri-
tuale che si è compiuto è avvenuto per grazia di Dio, nel sentire che
senza l'aiuto di Dio si è incapaci di fare qualsiasi cosa buona e con-
servare i beni spirituali acquisiti84, nel considerare che i nostri sforzi
e le nostre sofferenze, se sono indispensabili, nondimeno non basta-
no a ottenere una qualunque cosa, ma che tutto ci è dato da Dio, sen-
za la cui grazia siamo ridotti in totale impotenza85 , nell'essere conti-
nuamente consapevoli che <<l'iniziativa non è dell'uomo che vuole o
che corre, ma di Dio» (Rm 9,16) e che, «se il Signore non costruisce
la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la
città, invano veglia il custode» (Sal 127[126],1). San Giovanni Cas-
siano a questo proposito consiglia: «In ogni nostra azione, occorre non
86 Ibid., 17.
87 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 33.
88 Istituzioni cenobitiche, XII, 17.
89 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XII, 18.
90 Ibid., Il, 38.
91 La Scala, Ricapitolazione, 13.
92 Ibid., XXVI, 164. Cfr. XXII, IO; 30.
657
La maggior parte dei mezzi per guarire l'orgoglio presentati sopra so-
no anche, come vedremo, mezzi per acquistare l'umiltà. Difatti, l'umiltà,
in verità, costituisce il principale rimedio all'orgoglio in quanto è la virtù
che gli è opposta ed è chiamata a sostituirsi ad esso. San Gregorio di
Nissa fa notare: <<L'umiltà rovinerà la superbia, la modestia guarirà l' or-
goglio malsano»93 • San Barsanufio scrive: <<ll nostro grande e celeste me-
dico ci ha donato rimedi e cataplasmi [...]. Prima di tutto, ci ha dato l'u·
miltà che scaccia ogni orgoglio»94 • San Giovanni Cassiano afferma la
stessa cosa: <<ll creatore dell'universo e il suo medico, Dio, sapendo che
l'orgoglio è la causa delle malattie più gravi, si.preoccupa di guarire i
contrari con i contrari, in modo che chi era caduto per orgoglio venga
rialzato dall'umiltà>>95 ; inoltre: «Se la peste del vizio infetta la parte ra-
zionale, vi genera la cenodossia, l'esaltazione, l'orgoglio, la presunzione
[. .. ]. Applicate, dunque, alle membra o alla parte della vostra anima che
abbiamo detto particolarmente ferita, il rimedio della vera umiltà>>96•
San Doroteo di Gaza si esprime in termini simili: il Cristo «ci mostra la
causa del disprezzo e delle trasgressioni dei precetti di Dio; egli ce ne
fornisce così il rimedio affinché possiamo obbedire ed essere salvati.
Qual è dunque questo rimedio e qual è la causa del disprezzo? Ascol- ·
tate quanto dice nostro Signore: "Imparate da me che sono mite ed umi-
le di cuore e troverete ristoro per le vostre anime" (Mt 11,29)~ Ecco che
in breve, con poche parole, egli ci mostra la radice e la causa di tutti i
mali, il suo rimedio, fonte di tutti i beni; egli ci mostra che è l'esaltazione
che ci ha fatto cadere, e che è impossibile ottenere misericordia se non
con la disposizione contraria, che è quella dell'umiltà>>97 •
3. I:umiltà
L'umiltà (tapeinophrosyne) si oppone nello stesso tempo alla ceno-
dossia e ali' orgoglio. E, così, come vi sono due forme di orgoglio, pos-
siamo distinguere due forme di umiltà corrispondenti: l'umiltà nei con-
fronti degli uomini e l'umiltà nei confronti di Dio98 • Benché questa sia
il fine di quella, essa non potrà fame a meno. Per questo san Barsanu-
658
fio è attento nel consigliare: «Umiliati veramente non solo davanti a
Dio, ma anche davanti agli uomini»99 • San Giovanni Cassiano osserva
che «nessuno può raggiungere la perfezione della purezza se non at-
traverso la vera umiltà che dimostra ai suoi fratelli prima di tutto e
quindi a Dio»100•
Prima di presentare ciascuna di queste due forme.di umiltà, notia-
mo che questa, in genere, consiste per l'uomo nel riconoscere i propri
limiti1°1, la propria debolezza 102 , la propria impotenza 103 , la propria
ignoranza104 • È questa una delle definizioni patristiche fondamentali
cli tale virtù recensite da san Giovanni Climaco105 • «Un uomo che è ar-
rivato a conoscere la misura della sua debolezza ha toccato la perfe-
zione dell'umiltà», scrive sant'Isacco il Siro106•
L'umiltà, tuttavia, non consiste solo nel riconoscere e nell'assume-
re una debolezza e una mediocrità reali ma anche, quando si possie-
dono alcune qualità, nell'abbassarsi volontariamente: è questa, fa no-
tare san Giovanni Crisostomo, la definizione stessa del termine tapei-
nophrosjne107. L'umiltà egli dice, «consiste nel riconoscersi come un
nulla malgrado la grandezza e il numero dei meriti» 108 , inoltre: «la
vera umiltà consiste nell'abbassarsi [...] quando si hanno occasioni per
innalzarsi>>109 • «In verità l'umile, scrive anche sant'Isacco il Siro, è co-
lui che ha segretamente motivi per inorgoglirsi e non lo fa, ma non ve-
de in questo nulla di più in sé che un po' di terra>>110 •
L'umile non si stima per nulla111 e non fa alcun caso a sé112 • «Egli ri-
tiene se stesso come un uomo da nulia>>113 • Arriva persino a svaloriz-
zarsi. «L'umile vede se stesso come un uomo spregevole», scrive an-
cora sant'Isacco 114 • E san Giovanni Climaco sottolinea: «L'umiltà è un
abisso di disprezzo di sé»115 •
99 Lettere, 102.
100 Istituzioni cenobitiche, XII, 23. Cfr. 32.
101 Cfr. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. II), LIV, 6.
102 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 3. ISACCO IL SIR.O, Discorsi ascetici, 21.
103 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, loc. cit. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 87.
1°' Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, loc. cit. lsACCO IL SIR.o, Discorsi ascetici, 20.
105 La Scala, XXV, 3. ·
106 Discorsi ascetici, 73.
107 Omelie sulla lettera ai Filippesi, VI, 2.
108 Omelie contro gli Anomei, V, 6 ..
109 Omelie sulla Genesi, XXXIII, 5.
110 Discorsi ascetici, 20.
111 Cfr. Apoftegmi, XY, 26.
112 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 82.
659
L'umiltà si caratterizza così per un «distacco da sé in ogni cosa»116 •
Tale distacco da sé si traduce in una rinuncia alla propria volontà117
che arriva fino all'odio di questa118 e che i Padri considerano come ca-
ratteristica fondamentale dell'umiltà al punto da identificarla con ta-
le rinuncia119 •
Si traduce anche nell'assenza di fiducia in sé e nella diffidenza ri-
guardo al proprio giudizia120, qualità prossime alla precedente e spes-
so citate con essa, e da cui derivano l'obbedienza pronta al Padre spi-
rituale121, e nei rapporti con gli altri la rinuncia a giustificarsi e imporre
il proprio parere122 , l'abbandono di ogni spirito di contestazione e op-
posizione123, rinuncia a contraddire124 e anche a discutere125 , quindi un
atteggiamento spesso silenziosa126 • Poiché questi atteggiamenti si ma-
nifestano prima di tutto nei riguardi del Padre spirituale127 , essi testi-
moniano l'umiltà non solo davanti agli uomini, ma anche di fronte a
Dio di cui il Padre spirituale è il testimone e colui che ne indica la vo-
lontà.
In particolare, di fronte al prossimo, l'umiltà consiste per l'uòmÒ,
all'opposto del primo tipo di orgoglio, non solo nel non considerarsi
superiore agli altri 128 , ma anche nel considerare gli altri superiori a
sé. È questo l'insegnamento di san Paolo che raccomanda: «Con umiltà
ritenete gli altri migliori di voi» (Fil 2,3 ). I Padri, naturalmente, ri-
prendono questo insegnamento. Così alla domanda: «Che cos'è l'u-
miltà?», san Basilio Magno risponde immediatamente: <<L'umiltà con-
siste, secondo il comandamento dell'Apostolo, nel considerare gli al-
tri al di sopra di sé»129 • San Doroteo di Gaza insegna: «Il primo [tipo
di umiltà] consiste nel ritenere il proprio fratello più intelligente di sé
m Cfr. Apoftegmi, sertie alfabetica, Matoes, 11. Ibid., N 330; XV, 26.
126 Cfr. Apoftegmi, N 318; N 321; N 330. Ibid., XV, 26. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni ce-
660
e del tutto superiore>>130 • San Giovanni Crisostomo dice: <<La vera umiltà
consiste nel cedere a coloro che sono al di sotto di noi, e nel preferi-
re a noi quelli che sembrano inferiori a noi. Se riflettiamo bene, pen-
seremo che nessuno ci è inferiore, ma crederemo che tutti ci supera-
no»131. San Giovanni Climaco nel capitolo che egli dedica all'umiltà
osserva: «Se, dal profondo del cuore, riteniamo che il nostro prossi-
mo è migliore di noi in tutto, è perché la misericordia ci è vicina»132 •
Un tale atteggiamento tuttavia potrebbe sembrare orgoglioso se, nel
considerare gli altri come superiori a sé, ci si considerasse importanti.
Per questo i Padri dicono anche, e molto spesso, seguendo peraltro di-
rettamente l'insegnamento del Cristo (dr. Mc 9,35), che l'umiltà con-
siste nel considerarsi inferiori a tutti, e nel ritenersi l'ultimo degli uo-
mini133. Al grado più elevato dell'umiltà l'uomo si considera non solo
inferiore ai suoi simili, ma inferiore anche a tutti gli esseri della natura134 •
Mentre l'orgoglioso, ritenendosi superiore agli altri, li disprezza, l'u-
mile al contrario, considerandosi inferiore a tutti, considera se stesso
e solo lui degno di essere disprezzato, e assume senza dispiacere e tur-
bamento tutte le forme di umiliazione che provengono da altri135 • San
Giovanni Cassiano consiglia: <<Ritenendoci inferiori a tutti, soffriremo
con grande pazienza i trattamenti degli uomini, per quanto ingiusti,
mortificanti e penosi siano, ritenendo che ci vengono da uomini che
sono superiori a noi>>136 • Tra l'altro, egli osserva che uno dei segni per
cui si riconosce l'umiltà è quello che <<non ci si affligge delle ingiurie
che si ricevono»137 •
«È l'u:rWliazione che mette alla prova il cuore», osserva san Gio-
vanni Climaco138 : l'uomo può essere umile nei suoi pensieri, ma solo
l'assenza di turbamento quando sarà sottomesso all'umiliazione rive-
lerà che è umile veramente.
Il segno di un'umiltà ancora più grande è quello di accettare que-
sta umiliazione con gioia139 •
13. Ibid., N 323. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, Iv, 39, 2; XII, 33. GIOVANNI CRI-
SOSTOMO, Omelie sulla Genesi, XXXIIT, 5; Omelia sull'umiltà, 2.
u4 Cfr. GIOVANNI DI GA7.A, Lettere, 276. Apoftegmi, serie alfabetica, Sisoe, 13.
m Cfr. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 278. Apoftegmi, N 324; N 325.
n 6 Istituzioni cenobitiche, XII, 33.
137 Ibid., IV, 39, 2.
138 La Scala, :XXV, 33.
n 9 Ibid., XXV, 7.
661
L'umile, del resto, non sopporta di essere valorizzato in rapporto
agli altri e non si accontenta di sopportare e persino di accogliere con
gioia il disprezzo, ma lo ricerca. A questo proposito così scrive san
Giovanni Climaco: «Se il carattere estremo dell'orgoglio è quello di
fingere per trarre gloria dalle virtù che non abbiamo, ne consegue che
il segno dell'umiltà più profonda sarà quello di simulare talvolta, alfi-
ne di deprezzare noi stessi, i difetti da cui siamo esenti» 140.
Accettare senza turbamento l'umiliazione, significa escludere, da-·
vanti a chi ci ha umiliati, ogni reazione di collera, ogni rancore e ani-
mosità. San Giovanni Climaco osserva che una delle proprietà del-
l'umiltà è <<la perdita di ogni irritabilità»141 . <<L'umiltà non s'incolleri-
sce e non mette in collera nessuno», constata un Padre 142. «Umiltà,
vuol dire lasciare la collera», afferma un altro 143 . E Abba Isaia: <<L'u-
miltà [.. .] è pacifica verso tutti gli uomini» 144 .
A colui che lo disprezza o l'offende; l'umile perdona subito. «Chie-
sero a un Anziano: "Che cos'è l'umiltà?". L'Anziano rispose: "Se tuo
fratello pecca contro di te e tu lo perdoni prima che venga a chieder-
telo" »145. Il vero umile, dice san Giovanni Climaco, è «colui che, of
feso da un altro, non lascia che la sua carità dimipuisca verso di lw»146.
E a un Anziano, al quale chiesero: «Cos'è l'umiltà?», rispose ancora più
positivamente: «È fare del bene a coloro che ti fanno del male»147 .
L'umile si mostra devoto e sottomesso verso tutti, diviene servo di
tutti 14_8 sull'esempio del Cristo e secondo le sue raccomandazioni:
«Se uno vuole essere primo, sia ultimo di tutti e servo di tutti» (Mc
9,35); «se uno tra voi vuole essere grande, sia vostro servo, e chi tra
voi vuole essere primo, sia schiavo di tutti. Infatti il Figlio dell'uomo
non è venuto per essere servito ma per servire» (Mc 10,43-45; cfr. Mt
20,26-28; Le 22,26-27).
662
corda che più i santi si avvicinano a Dio, più essi si scoprono pecca-
tori150. L'umiltà è anche, insegna Abba Isaia: «Considerarsi come il più
peccatore di tutti gli uomini»151 . «È ritenersi il più grande dei pecca-
tori», osserva anche san Giovanni Climaco nella sua recensione delle
grandi definizioni patristiche di questa virtù152. Questa considerazio-
ne dei propri peccati si accompagna naturalmente al biasimo e alla
·condanna di sé153 .
L'umiltà consiste, inoltre, nel non ricordare continuamente le pro-
prie opere buone e nel rifiutare di porre in risalto le propr!e even-
tuali virtù154 . L'umiltà qui realizza una condizione di spogliamento,
di nudità interiore. Per questo san Giovanni Crisostomo, quasi ogni
volta in cui parla di questa virtù, l'accosta alla povertà spirituale che il
Cristo pone al primo posto tra le beatitudini: «Beati i poveri in spiri-
to, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5 ,3). «Chi sono quelli che
Gesù chiama i poveri in spirito? Sono gli umili [ ... ]»,egli dice 155 . E
sant'Isacco il Siro, considerando questo stato nella sua perfezione, scri-
ve che il vero umile arriva fino a voler «divenire nella creazione co-
me colui che non è, come colui che non è mai venuto ali' essere, to-
talmente sconosciuto, anche dalla propria stessa anima»156.
A un livello più modesto, san Giovanni Climaco constata che «a
mano a mano che questa regina delle virtù progredisce nella nostra
anima e cresce spiritualmente, noi siamo portati a considerare come
nulla [. ..] tutto il bene da noi compiuto»157 . L'umile si considera così
un servo inutile158 , come raccomandato dal Cristo: «Quando avrete
fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Ab.-
biamo fatto quello che dovevamo fare» (Le 17,10). Egli si considera
anche un cattivo operaio 159 e «si disprezza come se non avesse fatto
nulla di buono davanti a Dio»160 •
150 Istruzioni spirituali, Il, 33. Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Matoes, 2.
151 Apoftegmi, XV, 26.
152 La Scala, X:XV, 3.
153 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, I, 10. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 31;
Matteo, ID, 5. .
159 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, Iv, 39, 2.
160 Apoftegmi, XV, 26.
663
Di conseguenza, l'umile considera che non merita tutti i beni che
possiede161, che non ne è degno 162 , e ne è debitore 163 • Egli riconosce
che senza Dio non awebbe potuto fare nulla di buono.
Ciò ci porta a un'altra grande definizione classica dell'umiltà, la più
importante di tutte e, in qualche modo, il loro coronamento: essa è
<<Ull riconoscimento della grazia divina e della misericordia divina>> 164 ,
più precisamente, essa consiste nel riconoscere che senza l'aiuto e il
soccorso di Dio non si sarebbe potuto e non si potrebbe mai fare nul-
la di buona165 , che ogni bene che noi abbiamo, qualunque .esso sia, vie-
ne da lui e in nessun modo è attribuibile a noi, che ogni progresso com-
piuto è avvenuto grazie a lui, che ogni qualità od ogni virtù che pos-
sediamo è un dono della sua grazia, non è affatto imputabile al nostro
valore o merito, e non può essere conservato senza il suo costante aiu-
ta166. L'umiltà ritorna così ad attribuire a Dio tutto ciò ·che si ha di buo-
no e quanto si fa di bene167 • «Tale è, dice san Doroteo di Gaza, la per-
fetta umiltà dei santi» 168 • È in questa prospettiva che san Barsanufio
consiglia: «Se ti capita qualche bene, devi riconoscere che è il dono
gratuito di Dio che ti viene dalla sua bontà>>169 • San Macario il Gran-
de descrive bene questo atteggiamento: «Anche se pratica tutte le virtù,
lanima che ama Dio ha l'abitudine di non attribuire nulla a se stes-
sa, ma di riportare tutto a Dio [...]. Infatti, tutto ciò che l'uomo ha,
tutti questi beni apparenti con i quali ciascuno può fare del bene, la
terra e quanto è in essa, il corpo e l'anima stessi, tutto è di Dio. Lo stes-
so essere, l'uomo lo ha per grazia. Cosa gli rimane, dunque, di proprio
di cui ragionevolmente potrebbe vantarsi o giustificarsi? TuttaVia, Dio
riceve dagli uomini questa immensa gratitudine, ciò che a lui piace
maggiormente tra tutto quello che gli offriamo: che lanima [. ..] rap-
porti solo a Dio quanto essa può fare di bene, tutta la pena che si dà
per lui, tutto quanto comprende, tutto quanto conosce, e che attri-
buisce completamente a lui»170 •
L'umiltà appare qui indissociabile dalla preghiera. Innanzitutto dal-
664
la preghiera di domanda, perché con essa l'uomo dimostra che egli
non conta· affatto sulle proprie forze, riconosce la sua impotenza nel
realizzare da sé ciò che chiede, e al contrario dimostra che è solo da
Dio che attende ogni bene. Riconosce altresì che non può né compiere
né conservare nulla senza l'aiuto, il soccorso e la protezione di Dio. E
se egli prega costantemente, egli non può non avere coscienza che tut-
to ciò che riceve, lo riceve da Dio in risposta alla sua preghiera, non
in ragione dei suoi meriti, ma come un dono gratuito. È per questo
motivo che san Massimo scrive: «L'umiltà è una preghiera continua,
nelle lacrime e nello sforzo. Essa è continuamente elevata a Dio, un
grido di aiuto; essa non vi permette di porre sicurezza, imprudente-
mente, sulla vostra potenza o sapienza [ .. .]»171 • San Doroteo di Gaza
si esprime allo stesso modo: <<È chiaro che l'uomo umile e pio,· sapendo
che non può fare nulla di bene alla sua anima senza l'aiuto e la pro-
tezione di Dio, non smette mai d'invocarlo affinché sia misericordio-
so, e colui che prega Dio continuamente, per qualche OJ?era buona che
gli è concesso di compiere, ne riconosce la fonte[. .. ]. E a Dio che at-.
tribuisce ogni opera buona, e non smette di ringraziarlo e di invocar-
lo, temendo che la perdita di tale aiuto non lasci apparire la sua de-
bolezza e impotenza. Così l'umiltà lo fa pregare e la preghiera lo ren-
de umile [ ... ]»172 •
L'umiltà, comunque, si accompagna soprattutto alla preghiera di
ringraziamento con la quale l'uomo attribuisce immediatamente a Dio
le sue buone azioni e i beni di qualsiasi natura che egli ha ricevuti, con-
siderandosi semplicemente un intermediario e depositario, si mostra
riconoscente verso di lui, e lo loda come la fonte unica di ogni bene173 •
Notiamo, infine, che l'umiltà è inseparabile anche dalla contrizio-
ne del cuore, dalla penitenza e dalla compunzione. Infatti se, descri-
vendo l'umiltà, abbiamo sempre parlato di riconoscimento (della su-
periorità degli· altri, della propria inferiorità, del proprio stato di pec-
cato, dell'impotenza a fare il bene e a conservarlo, di Dio come uni-
ca origine del bene che possediamo e che facciamo, ecc.), non si trat-
ta di un riconoscimento astratto, ma di un riconoscimento che viene
dal cuore, di un riconoscimento che più precisamente, procede, da
«un cuore contrito e umiliato» (Sa! 51[50],19). Questo anche con lo
665
scopo di far comprendere che i Padri spesso assimilano l'umiltà e la
contrizione del cuore 174 • San Giovanni Climaco definisce l'umiltà <<l'at-
teggiamento di un'anima contrita»175 • Commentando il passo del sal-
mo 50 che abbiamo appena citato, san Giovanni Crisostomo osserva
che il salmista esige per questo «un grado avanzato dell'umiltà, una
"contrizione"»176 • E chiedendosi, peraltro, chi sono quelli che Gesù
chiai:na <<poveri in spirito», risponde: «Sono gli umili e coloro che han-
no il cuore contrito. Infatti, con il termine spirito, egli intende il cuo-
re e la volontà.>>177 • Più avanti precisa: «L'umiltà ha molti gradi[ ... ]. Da-
vide loda questa umiltà perfetta, che non consiste solo in un abbas-
samento, ma in una completa contrizione del cuore, quando egli dice:
"Il mio sacrificio, o Dio, è uno spirito contrito, un cuore contrito ed
umiliato tu non disprezzi, o Dio"» (Sal 51[50],19) 178 • San Giovanni
Climaco fa notare che se la penitenza, la compunzione e l'umiltà si di-
stinguono tra loro e si differenziano, ciò avviene tra i principianti,
ma per i proficienti «questa santa corda a tre fili [. .. ] si risolve in una
sola entità che ha stessa potenza e stessa operazione, cioè quella di ac-
quisire caratteri e qualità propri, e ciò che [si] indica come il segno di
uno dei suoi elementi si trova ad essere anche il segno degli altri>>179 •
174 Doroteo di Gaza, per esempio, usa indifferentemente l'una o l'altra espressione: «S=a
umiltà, è impossibile obbedire ai comandamenti o raggiungere un bene qualsiasi, come dice Ab-
ba Marco (l'Eremita]: "Senza contrizione d_el cuore, è impossibile liberarsi del male, è assolu-
tamente impossibile acquistare una virtù". E dunque attraverso la contrizione del cuore che si
accolgono i comandamenti, che ci si allontana dal male, che si acquistano le virtù>> (Istruzioni
spirituali, I, 1O).
175 La Scala, XXV, 3.
176 Omelie sulla lettera ai Filippesi, V, 2.
177 Commento a san Matteo, XV, 1.
178 Ibid., 2.
179 La Scala, XXV, 6. Cfr. 7.
666
di: non prestare attenzione alle colpe del prossimo, non giudicarla180 ;
dar prova di carità verso di lui in ogni circostanza181 , considerarlo co-
me superiore a sé182 e soprattutto considerare se stessi inferiori a lui,
comunque sia 183 . Colui che vuole diventare umile deve anche nascon-
dere agli altri e a se stesso le proprie qualità e virtù 184 , riconoscere la
propria debolezza185 , prestare attenzione ai propri peccati186 , ricordarsi
costantemente dei propri peccati 187 , biasimarsi e condannarsi 188. La
compunzione e i pianti appaiono allora come una via privilegiata per
l'accesso all'umiltà189. È opportuno, inoltre, abituarsi a sopportare da
parte di altri disprezzo, ingiurie e umiliazioni diverse190 , e per questo
ricercarli191 . La rinuncia alla propria volontà192, e l'obbedienza193 , che
più vi contribuisce, costituiscono anche i modi essenziali per acqui-
stare questa virtù. Anche le sofferenze fisiche 194 , e le prove di ogni ge-
nere195, favoriscono questa acquisizione, così come l'allontanamento
dal mondo, il distacco 196 , il non possedere197 , la semplicità in ogni am-
bito198, la volontà di essere sconosciuto e guarito 199 , il silenzio200 , e la
180 Cfr. Apoftegmi, N 323; N 330. ISACCO lL SIRO, Discorsi ascetici, 81. GIOVANNI CLIMACO,
Scala, XXII, 21; XXV, 35. Esrc:mo DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza; 64. lsAcco IL SIRO, Discorsi
ascetici, 20; 81. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, IX, 4.
188 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 18.
189 Cfr. IsAcco IL SIRO, Discorsi ascetici, 21; 37; 48. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli
teologici, gnostici e pratici, III, 23. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 6. GIOVANNI CRlsOSTO-
MO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, IX, 4.
190 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 150. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 278; 307. lsACCO IL SIRO, Di-
667
solitudine201 • Vi conducono anche le virtù della temperanza202 , della
dolcezza203 , del timore di Dio204 e della carità205 • Beninteso, la preghie-
ra gioca un ruolo essenziale206 , tanto più che l'umiltà appare sempre
come dono di Dio, una virtù che si può apprendere solo da lui, co-
me afferma il Cristo: <<lmparate da me che sono mite e umile di cuo-
re» (Mt 11,29)207 • Per questa ultima ragione i Padri raccomandano,
inoltre, di considerare l'esempio dei santi208 e di frequentare uomini
che possiedono questa virtù209 , ma soprattutto di prendere come mo-
dello il Cristo che ne fornisce l'esempio più completo attraverso la sua
kenosi, l'accettazione di una vita povera e oscura, l'accettazione con"
sapevole e silenziosa degli oltraggi e delle ingiurie nell'ora della sua
passione, la sua obbedienza perfetta al Padre suo210• Fedele al coman-
damento del Cristo: «Imparate da me>> l'umiltà (cfr. Mt 11,29), sant'I-
sacco consiglia: «Guarda cosa ha fatto per acquisirla Colui che ha pre-
scritto l'umiltà e donato questa grazia. Sii come lui e la troverai>>211 •
201 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, loc. cit. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 81.
202 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Titoe, 7.
203 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XlI, 31.
204 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 48.
205 ar. ibid., fil, 14. .
206 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Titoe, 7. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 21. DoROTEO DI
ci, 20.
203 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 62. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XlI, 33.
209 Cfr. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 5.
°
21 Cfr. Apoftegmi, Arm II, 318 (84). BARSANUFIO, Lettere, 150. GIOVANNI CASSIANO, Istitu-
zioni cenobitiche, XlI, 8; 3 3. MACARIO D'EGITTO, Capitoli parafrasati, 86. GIOVANNI CRISOSTO-
MO, Omelie su 2 Tessalonicesi, I, 2. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 35.
211 Discorsi ascetici, 20.
212 Omelia sull'umiltà, 2. Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 44. SIMEONE IL Nuovo
668
fonti di guarigione. «È a questa umiltà, spiega san Giovanni Criso-
stomo, che Gesù Cristo dà il primo posto nelle sue beatitudini, per-
ché questo diluvio di mali che inonda tutta la terra non ha affatto al-
tra fonte se non quella dell'orgoglio [. .. ]. Visto che l'orgoglio era, per
così dire, il male culminante dell'uomo, e radice e fonte di tutti i pec-
cati del mondo, Gesù Cristo, per guarirlo con un rimedio contrario,
stabilisce innanzitutto questa legge dell'umiltà, come fondamento in-
crollabile dell'edificio che egli vuole costruire. Quando questo fonda-
mento sarà posto, colui che costruisce potrà senza timore elevare il re-
sto dell'edificio; ma, se viene a mancare, l'edificio giungesse anche fi-
no al cielo, necessariamente crollerebbe e cadrebbe in rovina»214 •
San Doroteo di Gaza insegna: il Cristo «ci mostra la causa che del
disprezzo e della trasgressione dei precetti di Dio [ossia l'orgoglio];
egli ce ne fornisce il rimedio affinché noi possiamo obbedire ed esse-
re salvati. Qual è dunque questo rimedio e qual è la causa del disprezzo?
Ascoltate quanto dice nostro Signore stesso: "Imparate da me che so-
no mite ed umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime" (Mt
11,29). Ecco come brevemente, con una sola parola, egli ci mostra la
radice e la causa di tutti i mali, con il suo rimedio, fonte di tutti i be-
ni; egli ci mostra che è l'esaltazione che ci fa cadere, e che è impossi-
bile ottenere misericordia se non con la disposizione contraria, che è
l'umiltà>>215 • Nella misura in cui l'orgoglio è la causa prima della ca-
duta, l'umiltà si presenta come la causa prima della salvezza. Così
san Giovanni Climaco scrive: «Se solo questa passione [dell'orgoglio]
senza il concorso di un'altra, ha fatto cadere dal cielo, possiamo chie-
derci se non sarebbe possibile salire al cielo solo per mezzo dell'umiltà,
senza l'aiuto di alcuna altra virtÙ>>216 • Questa in ogni caso è la condi-
zione sine qua non della salvezza217 : «Senza di essa, nulla entrerà mai
nella camera nuziale», scrive san Giovanni Climaco218 , che la presen-
ta, peraltro, come «la porta del Regno»219 • Senza di essa, non solo non
è possibile nessuna perfezione22°, ma l'uomo rimane separato da Dio,
come afferma categoricamente san Macario il Grande: «Là dove non
c'è l'umiltà, non c'è nemmeno Dio»221 • Abba Isaia insegna: <<Prima
669
di tutto abbiamo bisogno dell'umiltà»222 • Non si può acquistare vera-
mente alcuna virtù senza di essa223 • Nessuna virtù può sussistere sen-
za di essa224 • Abba Teodoro afferma: «Chi non ha l'umiltà non ha com-
piuto nessun comandamento. Infatti, senza umiltà nessuna virtù è gra-
dita a Colui che le ama, il Cristo»225 • San Giovanni Crisostomo afferma:
«Costruire su un altro fondamento vuol dire condannarsi a non fare
nulla di duraturo e lavorare invano»226• Sant'Isacco il Siro afferma la
stessa cosa: «Fintanto che l'uomo non si fa umile, non riceve il salario
per il proprio lavoro. La ricompensa non è data ali' opera, ma all'u-
miltà. Colui che dimentica la seconda perde la prima [. .. ]. Per mezzo
dell'umiltà è data la grazia. La ricompensa dunque non viene dalla·
virtù né dalla pena che ci si dà per essa, ma dall'umiltà. Se non si ha
l'umiltà, l'opera della virtù è vana»227 ; «le opere senza [l'umiltà] non
servono a nulla [ ... ]. Al di fuori di essa, tutte le nostre opere sono va-
ne, sono vane tutte le virtù, e sono vane tutte le pene»228 • <<li lavoro ve-
ro non esiste senza umiltà»229 , e senza umiltà nessuna virtù è vera230•
Possiamo, dunque, dire con san Gregorio Magno che <<il fondamento
essenziale di una virtù è l'umiltà»231 , e si comprende perché i Padri
considerano l'umiltà come base, ma anche testa, madre, causa, di tut-
te le altre virtù232 •
670
do intero avrebbe potuto digiunare per lui, egli non avrebbe pagato
degnamente il suo crimine. Ma l'umiltà ebbe il potere di guarire in lui
ciò che era incurabile»235 • Essa è uno dei rimedi principali dati dal Cri-
sto agli uomini per guarirli dalle loro malattie spirituali. Per questo un
Padre consiglia: <<Riuniamo i rimedi dell'anima cioè [. .. ] l'umiltà
[. ..], perché il più grande medico delle anime, il Cristo nostro Dio è
vicino, ed Egli vuole guarirci. Non disdegnamolo»236 • L'umiltà, in realtà,
permette all'uomo di ottenere il perdono di tutte le sue colpe, di es-
sere purificato da tutti i suoi peccati237 e di essere liberato da tutte le
sue passioni238 • San Giovanni Climaco scrive: <<ll rimedio contro tut-
te le passioni, di cui abbiamo parlato, è l'umiltà. Coloro che hanno ot-
tenuto questa virtù le hanno vinte tutte»239 • Ma senza di essa l'uomo
non può vincerne nessuna240 • Senza di essa l'uomo non può preten-
dere di raggiungere la purezza241 •
L'umiltà appare come la sola virtù che permette di vincere il dia-
volo e i demoni nel combattimento spirituale242 • Infatti, è la sola virtù
che essi siano incapaci di acquistare243 • Così un apoftegma riferisce che
un demone disse a san Macario: «Tutto ciò che voi avete, lo abbiamo
anche noi; voi vi distinguete solo per l'umiltà»244 • Per questo può es-
sere considerata la sola virtù che salva l'uoma245 • Per suo mezzo, l'uo-
mo può eludere tutte le astuzie e le trappole dei demoni, può far fron-
te efficacemente alle tentazioni e affrontare vittoriosamente gli attac-
chi del nemico. Abba Antonio dice: «Vidi tutte le reti del nemico di-
spiegate in terra, e gemendo dissi: "Chi dunque riuscirà a passare ol-
tre queste trappole?". Ed intesi una voce rispondermi: "l'umiltà">>246•
Anche san Giovanni Climaco, citando in questo senso il salmista, sot-
671
tolinea il potere profilattico dell'umiltà: «L'umiltà è "una torre muni-
ta in faccia al nemico" (Sal 61[60],4). "Non trionferà il nemico sul-
l'umile e il figlio - o piuttosto il pensiero - d'iniquità non l'opprimerà.
Annienterò davanti a lui i suoi avversari e colpirò quelli che lo odia-
no" (Sal 89[88],23.24)»247 • Un altro Padre dice la stessa cosa: «Se sia-
mo umili-, il Signore allontanerà da noi il nemico e ci aiuterà a custo-
dire la nostra anima in ogni momento»248• San Doroteo afferma: «Es-
sa protegge l'anima da ogni passione e tentazione [. ..]. In verità, nulla
è più potente dell'umiltà>>249 • Colui che la possiede non potrà cadere,
constata san Barsanufio250 •
Poiché essa lo purifica da ogni passione e lo preserva da ogni at-
tacco del nemico, ma anche perché essa gli dà <<la forza del cuore>>251
e gli sottomette ogni cosa sottomettendo la sua anima a Dio252 , l'umiltà
permette all'uomo di essere senza paura, senza timore e senza turba-
mento, e di conoscere la pace interior~3 • Così sant'Isacco il Siro scri-
ve: «Nell'umile non vi è mai precipitazione, fretta, confusione, nessun
pensiero bruciante e opprimente. Ma egli rimane sempre nella pace.
Se il fuoco del cielo è sulla terra, l'umile non teme. Non sempre l'uo-
mo calmo è umile, ma ogni uomo umile è calmo[ ... ]. L'umile è sem-
pre in pace, perché non c'è nulla che agita o turba la sua riflessione»254 •
L'umiltà permette all'uomo di assumere, senza esserne colpito, tutte
le prove e le sofferenze che gli arrivano»255 •
L'umiltà appare, così, come la madre dell'impassibilità256 • Questa,
lo vedremo, non è solo asseriza di passione, è altresì il possesso di tut-
te le virtù. Ora, l'umiltà, l'abbiamo visto, è la condizione di tutte le
virtù, ciò che fa in modo che esse siano veramente virtù; ed essa non
è solo la base, ma con la carità è anche il coronamento dell'edificio spi-
rituale. Possiamo dire che essa implica e suppone tutte le virtù. Così
scrive a questo proposito Abba Teodoro: «L'umiltà è il compimento
dei comandamenti; è sull'umiltà. che Dio riposa (dr. Is 66,2); chi vive
672
l'umiltà osserva tutti i comandamenti»257 . Sant'Isacco il Siro fa nota-
re che essa «ingloba tutto in sé», «per questo non è possibile consi-
derare umile il primo venuto»: l'umiltà nella sua perfezione è la sola
virtù che «i santi perfetti ricevono quando hanno condotto a buon
fine l'ascesi della loro vita»; essa «è data solo a coloro che giungono
alla perfezione della virtù per mezzo della forza della graz:ia>>258 •
Guarendo l'uomo da tutte le sue passioni e inglobando tutte le virtù,
l'umiltà gli permette di recuperare la sua natura originaria, di ridiven-
tare veramente uomo. San Doroteo di Gaza dice che essa permette al-
l'uomo «di riprendersi e tornare allo stato naturale»259 • Nel fare ciò,
essa gli permette di ritornare alla salute. È così che san Giovanni
Crisostomo constata che <<l'umiltà risana [l' anima]»260.
L'umiltà appare così come <<madre, radice, alimento, legame e base
di ogni bene»261 . ·
Essa non solo è, come abbiamo visto, fonte di pace interiore, rria
anche di vera vita, di gioia spirituale, ali' opposto dell'orgoglio che è
principio di morte e di privazione della gioia autentica262 . Essa eleva
l'uomo alla carità263 che è, come vedremo, la vetta della praxis. È an-
che una delle condizioni principali per accedere alla conoscenza spi-
rituale264. Sant'Isacco il Siro scrive: colui che possiede l'umiltà per-
fetta «è entrato nel mistero di tutte le nature spirituali, egli porta in sé
la sapienza della creazione con ogni precisione, e tuttavia considera
che non conosce nulla [. .. ]. Ora è proprio qui quanto aveva detto la
Sacra Scrittura: i misteri sono rivelati agl1 umili. Agli umili è dato di
ricevere in se stessi questo Spirito delle rivelazioni che scopre i mi-
steri. Per questo alcuni santi hanno detto che l'umiltà eleva l'anima al-
la contemplaziohe divina>>265 . L'umiltà permette allora all'uomo di fa-
re l'esperienza della luce ineffabile266 , che lo rende partecipe della glo-
ria divina267 . E così, sulla scia di Salomone, c'è chi afferma: «L'umile
tici, 16.
265 Discorsi ascetici, 20.
266 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 27.
267 Cfr. DOROTEO DI GAZA, IstrUzioni spirituali, l, 8.
673
di spirito avrà l'onore» (Pro 29,23 ), sant'Isaccò il Siro consiglia: <<Di-
scendi al di sotto di te stesso, e vedrai la gloria di Dio. Infatti, là do-
ve germoglia l'umiltà, là si diffonde la gloria di Dio»268 . In questo vi si
riscontra uno degli effetti della promessa del Cristo: «Chi si umilierà
sarà esaltato» (Mt 23,11).
Se gli effetti dell'umiltà sono così importanti, è perché essa è per
l'uomo una delle principali fonti dell'accoglienza della grazia divina269,
così come l'orgoglio era una delle principali cause della sua privazio-
ne. Il salmista constata: «Un cuore spezzato e umiliato, Dio non lo di-
sprezza>>, e Dio stesso dice per bocca d'Isaia: «Verso chi volgerò lo
sguardo? Verso il povero» (Is 66,2). «Dio elargisce la sua benevolen-
za agli umili» insegnano i santi apostoli Pietro (lPt 5,5) e Giacomo
(dr. Gc 4,6), seguendo l'autore del libro dei Proverbi (dr. Pro 3,34).
Abbiamo visto che è per mezzo dell'umiltà che le virtù hanno valore,
sebbene sant'Isacco il Siro non esiti a dire che è «per mezzo dell'u-
miltà [che] è data la grazia»270 , e che «davanti alla grazia corre l'u-
miltà»271. Ciò si spiega soprattutto con il fatto che l'umiltà è il rico-
noscimento da parte dell'uomo della sua debolezza, del proprio nul-
la, e nello stesso tenipo il riconoscimento dell'onnipotenza di Dio. Con
l'umiltà, l'uomo rinuncia alla propria volontà rendendosi totalmente
permeabile ali' azione della volontà divina; cessa di essere attaccato a
se stesso, e si apre alla grazia che chiede con la preghiera e di cui si
sforza di essere degno praticando i comandamenti divini. San Maca-
rio in questo senso scrive: «Anche se pratica tutte le virtù, l'anima che
ama Dio ha l'abitudine di non attribuirsi nulla, ma di rapportare tut-
to a Dio. Allora Dio, a sua volta, attento alla salute e alla rettitudine
dell'intelligenza e della conoscenza di tale anima, le concede tutto»272 •
È per quest'ultimo motivo che l'umiltà, assieme alla carità, appare
come la virtù che più unisce l'uomo a Dio273 •
674
PARTE SESTA
LA SALUTE RITROVATA
I
L'Th1PASSIBILITÀ
677
ziale. Appena gli oggetti appaiono, immediatamente le passioni tirano
di qua e di là lo spirito>/; <<non credere di avere la perfetta impassi-
bilità fintanto che l'oggetto non è presente. Quando esso appare, se
resti imperturbabile, di fronte a tale oggetto, prima, e al suo ricordo,
poi, sappi allora che hai raggiunto le sue frontiere»8 •
malvagità, 15. BASillO DI CEsAllEA, citato da CALI1STO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 86.
MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 5; Questioni a Talassio, 55, PG 90, 544C;
565BC. NICETA STETATOS, Centurie, I, 89. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gno- -
stici e pratici, III, 33, 87; Trattati etici, rv, 21-24; VI, 264.
10 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 36. MASSIMO IL CONFESSO·
678
sono scomparse dall'anima. Infatti, non trovano più in essa delle com-
plicità che fungano da base ai loro attacchi. Ed ecco senza dubbio il
senso del versetto: "I miei nemici inciampavano e si dileguavano dal
tuo cospetto" (Sal 9,4)»13 • Quando l'uomo raggiunge l'impassibilità
perfetta, propriamente parlando egli non deve più combattere contro
i demoni, perché, anche se essi continuano ad attaccarlo, egli li ha mes-
si in rotta, li ha vinti del tutto, li ha sottomessi e li ha messi a morte14 •
L'impassibilità rende coloro ~he la possiedono <<inattacabili dagli av-
versari>>15. Da quel momento, all'impassibile «gli artifici dei demoni
non sembrano altro che un gioco risibile», scrive san Giovanni Cli-
maca16. Nell'impassibilità perfetta, osserva ancora, l'uomo non nota
neppure più l'andirivieni dei demoni intorno a lui: «Io considero co-
me segno distintivo della santa impassibilità poter diré: "Quando il
maligno si allontana da me, non me ne accorgo" (cfr. Sal 101[100],4);
non so come è venuto, né perché, né come se ne è andato; ma sono
completamente insensibile a tutto questo, perché sono interamente
unito a Dio, e lo sarò sempre»17 • San Mac:ario scrive lo stesso: «Senza
dubbio il nemico combatte [i cristiani], ma essi rimangono accanto al-
la divinità, hanno rivestito la forza e il riposo dall'alto, e non si preoc-
cupano della guerra>>18 •
L'impassibilità non significa che l'uomo non ha più la possibilità di
fare il male, ma che egli non vi è più portato, perché la preoccupazione
del bene allontana da lui la preoccupazione del male, perché le virtù
lo rendono cieco alle passioni 19 • Per questo così scrive san Massimo:
«L'impassibilità è uno stato di pace nel quale l'anima non è più por-
tata verso il male che con difficoltà>>20 •
L'impassibilità non significa affatto che l'uomo non abbia più rap-
porti con le passioni, ma ormai egli ha il potere di resistere loro21 , le
domina e le assoggetta completamente. «Lo spirito impassibile è quel-
lo che ha dominato le passioni>>, scrive san Niceta Stetato22 • Sant'I-
679
sacco il Siro, al quale chiesero cosa è l'impassibilità umana, rispose:
<<L'impassibilità non è non sentire le passioni, ma il non accoglierle.
Le passioni si esauriscono per le molte e varie virtù manifeste e na-
scoste che gli asceti hanno acquistato. Esse non possono con facilità
sollevarsi contro l'anima [. .. ]. Quando giungono le passioni, la rifles-
sione è subito strappata al loro contatto da una coscienza attenta che
è al centro dell'intelligenza. Allora le passioni la lasciano e non pos-
sono più farle nulla, come ha detto il beato Marco. L'intelligenza,
che per la grazia di Dio compie le azioni delle virtù e si è avvicinata al-
la conoscenza, non sente affatto ciò che le viene dal male e dalla irra-
zionalità dell' anima.>>23 • San Giovanni Crisostomo osserva la stessa co-
sa: «Colui che si è dato a Dio [ .. .] comanda alla collera, all'invidia, al-
1' avarizia, al piacere e a tutti gli altri vizi; esamina e medita continua-
mente i mezzi per non lasciar soggiogare la sua anima dalle passioni
vergognose, né lascia asservire la sua ragione da una insopportabile ti-
rannia, ma ha sempre lo spirito al di sopra di tutto questo»24 . Egli è
come dice san Giovanni Climaco, <<un re nel [suo] cuore>>25 , cosa che
afferma anche san Giovanni Crisostomo, per il quale è quella la vera
regalità, cui ogni uomo è chiamato: «Infatti il vero re, è colui che co-
manda [. .. ] su tutte le passioni, che assoggetta tutto alle leggi di Dio,
che conserva il suo spirito libero, e non lascia alla tirannia delle voluttà
dominare nella sua anima.>>26 • Si potrebbe anche dire che piuttosto che
la morte delle passioni, l'impassibilità è la morte dell'uomo alle pas-
sioni27. Essa corrisponde a quello che i Padri spesso chiamano «la mor·
te al mondo»28 , risultato della crocifissione che costituisce la praxis, e
che essi considerano condizione essenziale della salvezza29 • San Si-
meone il Nuovo Teologo si chiede: «Colui che è morto al mondo, per~
ché è questa la croce[. .. ], colui che ha fatto morire le sue membra ter"
rene [. .. ] al punto da non essere più raggiunto da alcuna passione né
da alcun desiderio cattivo, come riceverà anche minimamente dal mon-
do una sensazione di passione, o subirà un moto di voluttà, o infine
sarà sconvolto nel suo cuore?»30 •
680
Questa morte al mondo implica indifferenza (adiaphorfa) alle cose
di questo mondo, una perfetta noncuranza (amerimnfa) e una totale
insensibilità (anaistheia) nei loro riguardi; questi termini, intesi in sen-
so positivo31 , compaiono spesso, sulla bocca o sotto la penna dei Pa-
dri, per indicare stati prossimi all'impassibilità32 • Per l'impassibile, il
disprezzo è divenuto simile alla lode, l'obbrobrio ali' onore, la povertà
alla ricchezza, l'indigenza ali' abbondanza33 , il dolore al piacere34, latri-
stezza alla gioia35 • «Le cose della carne sono [per lui] come estranee»36•
Ma questo non significa che l'impassibilità sia una indifferenza o una
insensibilità riguardo al prossimo37 ; essa sarebbe allora una passione.
In seguito vedremo che essa, al contrario, è fonte di c;arità in tutta I'am-
piezza di questo termine. Ciò non significa che questa sia una indiffe-
renza riguardo alle cose stesse, poiché vedremo che essa sfocia anche ·
e immediatamente sulla contemplazione naturale, che è la contem-
plazione delle ragioni spirituali (o l6goi) delle cose. L'impassibilità,
in verità, è uno stato in cui l'uomo non cessa necessariamente di con-
siderare gli oggetti, ma cessa, quando li considera, di avere per essi un
qualsiasi attaccamento e desiderio passionale, si mostra totalmente im-
perturbabile dinanzi ad essi, non è affatto colpito da essi. «Una prova
d'impassibilità è, scrive Evagrio, il fatto che lo spirito [...] guarda gli
oggetti con serenità»38 • «Come uno specchio non rimane macchiato
dalle immagini che vi si riflettono, così l'anima impassibile non rima~
ne macchiata dalle cose che sono sulla terra»39 • Colui che è impassi-
bile rimane saldo non solo dinanzi agli oggetti, ma anche dinanzi al lo-
ro ricordo. Per questo san Massimo scrive: «Non immaginarti di ave-
re l'impassibilità perfetta, fintanto che I'oggetto non è presente. Quando
esso appare, se tu rimani senza commuoverti, per lui prima, e per il
suo ricordo in seguito, sappi allo.ra che hai raggiunto le sue frontìe-
re»40. Anche Evagrio nota: «L'anima che possiede l'impassibilità,
31 Difatti questi atteggiamenti non sono virtuosi se non si esercitano di fronte al mondo. Se
si esercitano nei riguardi di Dio e del prossimo, detti atteggiamenti sono passioni.
32 Sull'affinità tra amerimnfa e aptitheia, vedi I. HAUSHERR, Hésychasme et prière, Roma 1966,
pp. 166; 216-221.
33 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Macario, 20. Ibid., Am 166, 4.
34 Cfr. MASSTh10 IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, Prologo, PG 90, 260D. NICETA STE- .
TATOS, Centurie, I, 92.
35 Cfr. Apoftegmi, Am 166, 4.
36 Ibid.
37 Cfr. MARco L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 128.
38 Trattato pratico sulla vita monastica, 64.
39 ID., Capitoli gnostici, V, 64.
4°Centurie sulla carità, VI, 54.
681
non è quella che non prova alcuna passione dinanzi agli oggetti, ma
quella che rimane imperturbabile anche dinanzi al loro ricordo»41 •
L'impassibile rimane imperturbabile anche dinanzi alle immagini de-·
gli oggetti42; tali immagini, che gli si presentino nello stato di veglia o
nel sonno, gli appaiono «pure e senza turbamento»43 • Essere impas-
sibile non vuol dire non avere relazioni con gli oggetti né essere senza
rappresentazioni (salvo nella preghiera pura e nella contemplazione
pura di Dio), ma vuol dire avere ormai con gli oggetti solo relazioni
esenti da ogni passione e avere solo ormai delle «rappresentazioni seni_-
plici e pure»44 , cioè prive di ogni connotazione passionale e che non
suscitano più in lui alcun desiderio, alcun affetto, alcun moto carnale.
Precisando che <<lo spirito amico di Dio combatte non gli oggetti né
la loro rappresentazione, ma le passioni legate a queste rappresenta-
zioni»45, san Massimo nota: «Un indice di alta impassibilità sta nel fat-
to che le rappresentazioni degli oggetti sorgono nell'anima nella loro
semplicità, nella veglia o nel sonno»46• In quest'ultimo caso, uno dei
segni dell'impassibilità è quello di non fare più sogni il cui contenuto
sia legato a una qualsiasi passione; se non è così, vuol dire che «110i sia-
mo ancora malati>>47 , poiché i sogni accompagnati dal desiderio e dal
piacere testimoniano che l'elemento concupiscibile non è guarito, che
gli incubi o i sogni accompagnati da timore manifestano la non guari-
gione della parte irascibile48 ; occorre, dunque, continuare a fare <<ri-
corso ai rimedi suddettÌ»49 • Così in modo generale, «è una prova d'im-
passibilità il fatto che lo spirito [. .. ] resti calmo dinanzi alle visioni del
sogno»50 •
Avere solo rappresentazioni non-passionali suppone che l'uomo sia
pervenuto a una dissociazione tra le passioni e le sue rappresentazio-
ni: «Tutta la lotta che il monaco conduce contro i demoni, scrive an-
cora san Massimo, tende a separare le passioni dalle rappresentazio-
ni: altrimenti è impossibile restare impassibili alla vista delle cose»51 ;
682
<<llila rappresentazione passionale è un pensiero composto da una rap-
presentazione e da una passione. Separiamo passione da rappresenta-
zione, non rimane che il pensiero semplice»52 • Il non avere più rap-
presentazioni passionali manifesta un più alto grado d'impassibilità
che il non avere più passione dinanzi agli oggetti stessi.53 •
Possiamo considerare con san Massimo che, al suo più alto livello,
l'impassibilità consiste anche nell'eliminazione dei pensieri semplici
stessi, si caratterizza per <<la completa purificazione della semplice rap-
presentazione stessa»54 , per «il rifiuto totale di tutte le rappresenta-
zioni sensibili che attraversano la riflessione»55 • Ciò può apparire in-
gannevole nella misura in cui i pensieri semplici non sono pensieri pas-
sionali bensì <<pensieri impeccabili» che, in quanto tali, non impediscono
l'impassibilità nel senso stretto del termine56 • Ma ciò può anche esse-
re giustificato, perché i pensieri semplici, se non sono cattivi, man-
tengono tuttavia l'uomo in relazione con il mondo e costituiscono an-
che un ostacolo alla perfetta unione con Dio57 • Questo grado superiore
d'impassibilità si situ~, peraltro, al di là del dominio ddla praxis, al
livello della conoscenza di Dio58, e costituisce <<l'impassibilità perfet-
ta>> posseduta dai perfetti. A quest'ultimo grado d'impassibilità, l'uo-
mo ha «elevato il suo spirito al di sopra delle creature»59 ed è separa-
to dalle cose visibili e sensibili60 • Ciò riguarda in particolare lo stato di
preghiera pura, che è, come vedremo in seguito, il modo privilegiato
della contemplazione: in questo stato, l'uomo ha respinto non solo
ogni attaccamento al mondo e ogni pensiero passionale che implica
l'oblio di Dio, ma anche ogni pensiero semplice che ostacola il ricor-
do puro di Dio. Sant'Elia Ecdico nota così che <<gli impassibili cono-
scono nella preghiera un grande silenzio e una totale mancanza delle
rappresentazioni e dei pensieri»61 • E san Massimo scrive: «Quando du-
rante la preghiera non viene mai nessun ricordo del mondo a turba-
re lo spirito, sappi allora che tu non sei più fuori del dominio dell'im-
Centurie, I, l; 89.
59 GIOVANNI CLIMAco, La Scala, XXIX, 2.
60 Cfr. SIMEONE n, Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, ID, 33. EVAGRIO
683
passibilità>>62 , e altrove: «Quando al momento della preghiera tu hai
sempre lo spirito senza materia e senza forma, sappi allora che tu hai
raggiunto la piena misura dell'impassibilità»63 • Infatti, è nel grado più
elevato d'impassibilità che gli stessi pensieri semplici sono assenti dal-
lo spirito nel quale vi è posto solo per la preghiera. Occorre, però, sot-
tolineare che l'impassibilità non è vera a questo livello se non quan-
do i suoi gradi inferiori sono stati raggiunti, e quando questa to-
tale vacuità dei pensieri è permanente (come del resto io.dica san Mas-
simo, nei brani citati in precedenza) e che è permanente, correlativa-
mente, la preghiera pura. Infatti l'eliminazione dei pensieri può facil-
mente realizzarsi provvisòriamente con una semplice tecnica mentale
di concentrazione, lasciando sussistere completamente, soggiacenti e
inconsce, le passioni. Ora occorre ricordare che l'impassibilità consi-
ste prima di tutto nello stato di purezza che risulta dal fatto che, per
ascesi teantropica, tutte le passioni, moti, desideri e pensieri passionali
sono stati totalmente eliminati dall' anima64• Per questo san Simeone il
Nuovo Teologo precisa: «Quelli che sono ancora trattenuti da una pic-
cola cupidigia, qualunque essa sia, del mondo e degli affari, sono an-
cora molto lontani dal raggiungere il fine» 65 •
sivamente con quest'ultimo termine. Così, per esempio, san Giovanni Cassiano, che ha l' abitu-
dine di trascrivere i principali termini ascetici greci, non usa apdtheia né il suo corrispondente
latino impassibilitas, mapuritas o anche tranquillitas mentis. Ciò si spiega certamente anche
per ragioni storiche poiché sappiamo che san Girolamo, nel contesto della controversia pela-
giana, ha violentemente attaccato la nozione di apdtheia, il che ha comportato l'esclusione di es-
sa dalla tradizione ascetica latina. Vedi A. e c. GUJLLAUMONT, Introduzione a EVAGRE LE PoN-
TIQUE, Traité pratique,se 170, Paris 1971, pp. 98-100; 103; 103-110. Il. 6; G. BARDY, «Apatheia>>,
in Dictionnaire de spiritualité, I, coli. 727-746. La maggior parte dei Padri usa indifferentemen-
te sia l'uno che l'altro termine (vedi per esempio DrAooco DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici,
98. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, VII, 1).
65 Trattati etici, IV, 21-24.
66 La Scala, XXIX, 1.
67 Ibid., 8.
684
sa sia»68 • Abbiamo visto che la conversione spirituale dell'uomo, con
la quale avviene la guarigione, non solo esige che egli si astenga dal
male, ma che inoltre faccia il bene. In questo senso, la pratica delle
virtù appare come il completamento necessario per la soppressione
delle passioni. Ecco perché san Giovanni Climaco vede, nell'impas-
sibilità che consiste nel possesso delle virtù, un'impassibilità superio-
re a quella che consiste solo nell'astenersi dalle passioni: «C'è chi è im-
passibile; e c'è chi possiede un'impassibilità ancora più grande. Il pri-
mo odia fortemente il male, ma laltro possiede un impenetrabile tesoro
di virtù»69 • «Una cosa è l'inerzia delle membra del corpo e delle pas-
sioni stesse dell'anima, un'altra cosa è lacquisizione delle virtù», scri-
ve nello stesso senso san Simeone il Nuovo Teologo70 che, in un lun-
go trattato, mostra con precisione la distanza che separa la perfezione
di ogni virtù dalla semplice assenza della passione corrispondente71 •
Ma, d'altra parte, nella misura in cui le virtù scacciano le passioni
sostituendosi ad esse, si può dire che l'impassibilità, in quanto indica
l'assenza di passione e l'insensibilità alle passioni, deriva dalle virtù72 •
È così che san Massimo scrive: «Come ricompensa, il duro sforzo del-
la virtù ottiene l'impassibilità.>>73 • È nella misura in cui l'uomo possie-
de le virtù che non è più portato al male74 , non è più attaccato al mon-
do, e resta indenne di fronte agli attacchi dei demoni75 • Sono <<le virtù
[che] liberano lo spirito dalle passioni»76 , sono <<le virtù [che] purifi-
cano l'anima» e la conservano pura77 •
68 Ibid., 12.
6' Ibid., 5.
10 Trattati etici, rv, 67-69. Vedi anche Capitoli teologie~ gnostici e pratici, I, 87; 94.
71 Trattati etici, rv, 71-138. ·
72 Cfr. EVAGRIO POl\TICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 57; 62. GIOVANNI Crusosro-
685
presenta lo stato in cui l'uomo è giunto ad allontanare completamen-
te da «questo mondo» le potenze della sua anima, a cessare di farne
un uso «carnale», a non utilizzarle più per compiere il male, per ri-vol-
gerle totalmente verso Dio, per usarle spiritualmente, per farne un uso
completamente buono. Per questo l'impassibilità non significa che l' e-
lemento concupiscibile e l'elemento irascibile79 muoiano, ma solo che
questi muoiano al mondo per condurre con il loro riorientamento ver-
so Dio una vita nuova che gli sia completamente consacrata. Ciò è
quanto sottolinea nettamente, più volte, san Gregorio Palamas: si trat-
ta, scrive, di far morire le cattive passioni «e non le attività dello Spi-
rito che si compiono per mezzo del corpo, né le passioni divine e be-
nefiche, né le potenze dell'anima destinate per natura a produrre que-
ste passioni»80• <<lo considero come chiaramente dimostrato il fatto che
gli uomini impassibili abbiano la parte passionale della loro anima sem-
pre viva e che agisce per il meglio e che essi non la fanno ancora mo-
rire», nota ancora81 • Altrove egli spiega perciò a lungo: «L'impassibi-
lità non consiste nel far morire la parte passionale, ma nel trasferirla
dal male verso il bene, nel dirigerla, nella sua stessa costituzione, ver-
so le cose divine, dopo averla completamente allontanata dal male e
rivolta verso il bene; secondo noi, l'uomo impassibile è colui che non
possiede più alcuna cattiva abitudine e che è ricco di buone abitudi-.
ni, colui che si qualifica per le sue virtù, come le persone passionali·
si qualificano per i cattivi piaceri; colui che ha sottomesso i suoi ap~
periti irascibile e concupiscibile, che entrambi costituiscono la parte
passionale dell'anima, alle facoltà di conoscenza, di giudizio e di ra-
gionamento di questa stessa anima, come le persone passionali sotto-
mettono la loro ragione alle passioni. Infatti, è il cattivo uso delle po-
tenze dell'anima che genera le passioni abominevoli [ ... ]. Ma se ce ne
serviamo convenientemente, [ .. .] praticheremo le virtù corrisponden-
ti, in aiuto alla parte passionale dell'anima che agirà in conformità con
il fine che Dio le ha proposto nel crearla; con lelemento concupisci~
bile, si abbraccerà la carità; con l'elemento irascibile, si assumerà la
pazienza. Non è, dunque, colui che avrà fatto morire la parte passio-
nale della sua anima (infatti allora non ci sarebbero in lui alcun mo-
vimento, né azione per acquistare uno stato divino, né relazioni con
Dio, e disposizioni divine dello spirito), ma colui che l'avrà sotto-
686
messa, affinché per obbedienia allo spirito, che per natura possiede la
preminenza, egli vada, come è opportuno, aDio e tenda verso Dio
[ ... ]»82 • Così l'impassibilità è morte al mondo per essere vita nello Spi-
rito83; essa è insensibilità alle realtà di questo mondo per essere viva
sensibilità alle realtà spirituali e divine, il che fa dire a Evagrio in ma-
niera sorprendente: <<La sensibilità spirituale è l'impassibilità dell' ani-
ma razionale prodotta dalla grazia di Dio»84 • L'impassibile è separato
dal mondo per essere «pienamente unito a Dio»85 • Egli non vive per
se stesso, perché il Cristo vive in lui (cfr. Gal 2,20) 86 • Tutte le facoltà,
le potenze, le energie, le forze dell'impassibile sono in disaccordo con
questo mondo per essere pienamente concordi con Dio, per essere in-
teramente sottomesse alla sua. volontà: «Colui al quale è stato con-
cesso un tale stato, benché sia ancora nella carne, diventa la dimora di
Dio e Dio governa tutte le sue parole, le sue opere e i suoi pensieri»,
scrive san Giovanni Climaco87 • San Niceta Stetato nota che con l'im-
passibilità il Cristo «regna in tutte le potenze della nostra anima>> e «la
sua volontà si compie in noi come in cielo»88 •
L'impassibilità costituisce, dunque, il punto di arrivo della conver-
sione spirituale dell'uomo per mezzo della quale, come abbiamo di-
. mostrato, avviene il suo ritorno alla salute. Ecco perché i Padri consi-
derano l'impassibilità come la salute dell'uomo. «L'impassibilità è la sa-
lute dell'anima>>, scrive Evagrio89, come fa anche san Talassio: <<La salute
dell'anima è l'impassibilità»90 • San Massimo nota che, quando raggiunge
l'impassibilità, <<l'anima prende coscienza della sua buona salute»91 •
L'impassibilità è la salute spirituale dell'uomo poiché essa corri-
sponde allo stato in cui l'uomo è liberato dalle passioni, quindi gua-
rito da tutte le sue malattie spirituali, ma corrisponde anche allo stato
in cui egli è in possesso di tutte le virtù che, come abbiamo visto, co-
stituiscono la sua salute. Essa è la salute spirituale dell'uomo poiché è
lo stato in cui tutte le sue facoltà e potenze hanno cessato di esercitarsi
patologicamente nelle passioni e hanno ritrovato nelle virtù l'uso cor-
82 Ibid., 19.
83 SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici; VI, 20-22.
Cfr.
84 Capitoli gnostici, I, 37. ··
85 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXIX, 9.
86 Cfr. ibid., 11. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, IV, 254-255; VI, 350-359.
687
rispondente alla loro vera finalità, quella che è coiiforme alla loro na-
tura. L'impassibilità appare, così, come lo stato in cui l'uomo recupe-
ra la propria natura, è liberato dall'alienazione precedente e ritrova se
stesso, reintegra il suo essere vero e originale, poiché egli è impassi-
bile per natura ed è stato creato virtuoso da Dio92 • A questo proposi-
to Doroteo di Gaza nota che <<Vi furono amici di Dio che, dopo il san-
to battesimo, non solo rinunciarono ad atti passionali, ma vollero vin-
cere le passioni stesse e divenire impassibili [...], avendo come scopo
quello di purificarsi da "ogni macchia della carne e dello spirito",
come dice l'Apostolo (2Cor 7,1), e sapendo che è per mezzo dell'os-
servanza dei comandamenti che l'anima si purifica, e lo spirito, puri-
ficato anch'esso per così dire, recupera la vista e ritorna al suo stato
naturale»93 • San Gregorio di Nissa scrive allo stesso modo: «Coloro
che avranno armonizzato la loro vita con la purificazione del battesi-
mo s'incamminano verso ciò che costituisce il loro profondo essere.
Ora, alla purezza è strettamente unita l'impassibilità>>94• «Lo spirito
agisce secondo la natura quando tiene le passioni assoggettate», scri-
ve san Massimo95 , il quale osserva anche che l'anima «agisce secondo
la sua natura quando le sue potenze passionali- [ossia] l'irascibile e il
concupiscibile - di fronte agli oggetti e alle loro rappresentazioni ri-
mangono in pace>>96 da un lato, e sono totalmente orientate verso Dio,
dall'altro97 • San Niceta Stetato, da parte sua, osserva che l'impassibi~
lità «rende alle potenze dell'anima il loro movimerito naturale>>98 •
Si può dire così che con l'impassibilità l'uomo ritrova la perfezione
della sua natura, la statura di uomo perfetto in Cristo (cfr. Ef 4,13) 99•
Infatti, «l'anima perfetta è quella la cui potenza passionale agisce na-
turalmente», scrive Evagria1 00 , cosa che ripete san Massimo più espli-
citamente: <<L'anima è perfetta quando la sua potenza passionale si è
completamente rivolta verso Dio» 101 , formula che riprendono testual-
mente anche san Callisto e sant'Ignazio Xantopulo 102 •
688
Per mezzo dell'impassibilità l'uomo recupera la libertà in quanto
non è più sottomesso alle passioni, ai moti, ai desideri e ai pensieri pas-
sionali103, ma anche perché egli si volge spontaneamente al bene, co-
sa in cui consiste, lo abbiamo visto, la vera libertà. A questo proposi-
to san Doroteo di Gaza nota che l'impassibilità permette all'uomo di
essere «perfettamente affrancato e liberato»104 . San Simeone il Nuovo
• Teologo indica così l'impassibile: «Colui che ha ricevuto da Dio il go-
dimento della libertà dello Spirito»105 . La libertà è talmente legata al-
l'impassibilità che molti Padri usano frequentemente il termine «li-
bertà>> (eleutheria) per indicare l'impassibilità106, e molti traduttori non
esitano a tradurre il termine apdtheia con l'espressione «libertà inte-
riore»107 .
I..:impassibilità, oltre a dare all;uomo la vera libertà, stabilisce nella
sua anima la vera pace, fa regnare nel cuore dell'uomo la pace di Dio
(cfr. Col 3,15). La calma (hesychia) e il riposo (andpausis) spirituali ap-
paiono infatti come caratteristiche fondamentali dell'impassibilità a tal
punto che anch'essi servono spesso a indicarla 108 • Così Evagrio defi-
nisce l'impassibilità come «lo stato tranquillo dell'anima razionale»109 ,
san Massimo come <<Ullo stato di pace>>110 , san Niceta Stetato come <<lo
stato pacifico dello spirito»111 • La salute costituita dall'impassibilità ap-
pare, perciò, per una parte legata a questo stato di riposo, di tranquillità
e di pace. Evagrio scrive: «Come il malato ritorna in salute, l'anima ri-
torna al suo riposo»112 , e sant'Isacco il Siro osserva: <<La pace è la sa-
lute perfetta della coscienza» 113 • I..: impassibile, infatti, «in fondo alla
che non usa né apti.theia né impassibilitas, utilizza spesso l'espressione «iranquillitas mentir>>. Ma
la pace, il riposo, la tranquillità non bastano da soli a caratterizzare l'impassibilità. Ecco per-
ché Giovanni Cassiano traduce questo termine con diverse altre espressioni, soprattutto con <<J>U-
ritas mentir>>. Tale precisazione è necessaria perché l'uomo potrebbe, per mezzo di una tecnica
mentale, arrivare ad una certa pace interiore (che, è vero, non sarebbe però la vera pace) senza
essere veramente apathés, senza essere allo stesso tempo puro e virtuoso. Si noti tra l'altro che
l'besychia conosce forme e gradi diversi, ed è al grado più elevato che corrisponde l'apdtheia (ve-
di I. HAUSHERR, Hésychasme et prière, Roma 1966, pp. 163s).
109 Riflessioni, éd. Muyldermans, p. 38.
689
sua anima tiene le sue passioni nella calma completa»114 , «conserva la
pace dell'anima di fronte alle rappresentazioni impure»115, e non è più
sottomesso interiormente ali' agitazione patologica che ne derivava.
D'altra parte, l'impassibilità, in quanto corrisponde all'eliminazione
delle passioni; significa la fine di tutti i conflitti e di tutte le dìvisioni
che esse generavano nell'anima e, in quanto corrisponde al possesso
delle virtù, stabilisce nel loro posto la concordia e l'armonia interiori
legate a queste ultime. «Nulla dà più abitualmente la pace, scrive san
Giovanni Crisostomo, che il po~sesso della virtù che espelle dal nostro
cuore le passioni e i turbamenti che queste vi formano e impedisce al-
l'uomo di essere in guerra con se stesso» 116 • L'impassibilità, come af-
ferma san Niceta Stetato, «sottomette e placa ciò che era diviso»117 , e
lo riunifica, perché mette fine alla divisione e alla dispersione dei pen-
sieri, dei desideri e delle sensazioni dell'uomo, pone fine alla diver-
genza delle sue facoltà svendute alla carne attraverso le passioni118, per
farle convergere, nelle virtù, verso un solo fine che le riunifica, cioè
Dio. L'impassibilità significa la fine del vagabondaggio terreno dello
spirito: «Lo spirito vaga quando è passionale, cioè esso non si ferma
nel soddisfare ogni sorta q.i desiderio; ma si astiene dal traviamento
quando è divenuto impassibile>>119 • I.:impassibilità, àl contrario, signi-
fica una sua stabile concentrazione sulle realtà spirituali e il ritorno nel
cuore da cui si era separata. Ciò fa dire a san Giovanni Climaco: <<Per
impassibilità non intendo altro che il cielo dello spirito stabilito nel
mio cuore»120 , essendo lo stesso cuore ridiventato, per mezzo della pu-
rificazione dalle passioni e I'acquisto delle virtù, il luogo in cui l'uomo
ritrova Dio.
690
alla natura che Dio, creandolo, ha donato a colui che egli ha fatto a
sua immagine122 , e che è destinato a divenire dio per grazia123 • Le ca-
ratteristiche dell'impassibilità che rendono l'uomo simile a Dio non
solo sono l'assenza di ogni passione riguardo alle realtà sensibili124 e
il possesso delle virtù, ma anche la libertà e l'immutabilità125 • Per que-
sto san Massimo nota che l'impassibile, con il suo spirito, «ha anco-
rato tutta la potenza della sua anima all'immobile libertà divina>>126 , e
che «ormai egli appartiene completamente al Bene stabile, permanente
e sempre uguale a se stesso a causa della sua natura>> e che «con que-
sto Bene egli rimane totalmente immutabile»127 •
L'impassibilità permette all'uomo di accedere alla carità perfetta.
Evagrio nota che essa la genera128 • San Massimo scrive: <<L'impassibi-
lità produce l'amore perfetto» 129 ; «colui che è giunto alla vetta del-
l'impassibilità possiede la carità perfetta>>130 • ·
m Questioni a Talassio, PG 90, 260C. Vedi anche Commento del Padre nostro, PG 90, 885D-
888A.
128 Cfr. Specchio dei monaci, 67; Trattato pratico sulla vita monastica, Prologo, 8; 81.
129 Centurie sulla carità, Iv, 91. Cfr. I, 2.
130 Ibid., Il, 30. Cfr. Centurie sulla carità, IV, 42; 92.
691
virtù che l'uomo può conoscere Dio. È per questo che san Massimo
·scrive: «Come ricompensa, il duro sforzo della virtù ottiene l'impas-
sibilità e la conoscenza»135 •
Se, tuttavia, l'impassibilità è fonte di conoscenza, non lo è che in-
direttamente. In verità, è dalla carità stessa che procede la conoscen-
za, scopo della praxis. Infatti, se l'impassibilità è <<il fiore della praxiS>>,
è la carità che ne è il termine.
692
II
LA CARITÀ
1 Se il termine spesso usato dai Padri greci è agape, il termine éros è usato dalla maggior
parte di essi come sinonimo di quello, salvo il fano che esso talvolta aggiunge una connotazio-
ne di ardore, d'intensità, e riguarda piunosto l'amore di Dio che non l'amore del prossimo, men-
tre agape sta a indicare sia l'uno che l'altro. Lo Pseudo Dionigi sonolinea questo sinonimo (Sui
Nomi divini, IV, 12, PG 3, 709B: <<Mi sembra che i teologi abbiano considerato come sinonimi
. érOs e agape»; ibid., 709C: «l santi teologi, per rivelare i segreti divini, attribuiscono il medesimo
valore alle due espressioni agtipe e éros»). Il termine p6thos è anche impiegato per indicare la ca-
rità. Su queste questioni di terminologia, vediJ. FARGES e M. VILLER, «Charité>>, in Dictionnai-
re de spiritualité, t. 2, Paris 1953, coli. 529-530 .•
2 Cfr. Mt 22,37-39; Mc 12,30-31; Le 10,27. E questa l.a definizione più semplice e più classi-
ca (vedi per esempio CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Stromata, IV, 18. GREGORIO MAGNO, Moralia
su Giobbe, 10, 6).
'Cfr. Gv 13,35. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, I, 145s.
4 Centurie sulla carità, IV, 100.
5 Discorsi, XXII, 4.
6 Cfr. GREGORIO NAZIANZENO, Discorsi, xrv, 5. MACARIO D'EGITTO, Capitoli para/rasati, l l.
7 Cfr. Discorsi, XIV, 5; XXII, 4.
•cfr. BASilJO DI CESAREA, Regole lunghe, 2; 5. GIOVANNI CR!soSTOMO, Omelia sulla perfet-
ta carità, 1.
693
della Legge» (Rm 13, 1O) nella sua essenza9 e totalità, il fine della Leg-
ge10. Chi possiede la c;arità compie tutti i comandanienti11 , sia perché
essa li presuppone sia perché li contiene tutti. La carità, dice san Mas-
simo, «riassume in un principio universale ciò che hanno di parziale
i comandamenti che il beneplacito di Dio ingloba in essa secondo una
tipologia unica e che la sua provvidenza distribuisce a partire da essa
in molti mo<li>>12 •
Nella misura in cui la pratica dei comandamenti ha come fine il pos-
sesso delle virtù, si dice la stessa cosa affermando che la carità costi-
tuisce la più grande delle virtù principali (cfr. 1Cor 13,13 ), il vertice di
tutte13 e la loro perfezione14, la testa del corpo dell'uomo adulto in Cri-
sto che l'edificio delle virtù costituisce 15 , ma anche il principio, il fon-
damento16 e la somma di tutte le virtù17 •
Con questo si comprende già che la carità appare come <<fine del-
la praxis»18 •
La carità segue all'impassibilità, perché essa suppone non solo il
possesso di tutte le virtù, ma anche l'assenza delle passioni. Infatti, lo
mostreremo, l'uomo non ama veramente Dio né il suo prossimo come
se stesso, fintanto che conserva un qualsiasi. attaccamento passionale
al mondo e a se stesso.
Che la carità presupponga l'impassibilità non significa, tuttavia, che
l'uomo non possa affatto amare Dio né il suo prossimo prima di esse-
re divenuto impassibile, stato molto difficile da raggiungere e posse-
duto. molto raramente. È la perfetta carità che l'impassibilità condi-
ziona . Ed è la perfetta carità che costituisce la perfezione della vita spi-
rituale19. Ma, nondimeno, la carità è per l'uomo, fin dall'inizio della sua
vita ascetica, un dovere immediato: ciò significa che essa è il primo co-
mandamento. E il fatto che la carità contiene tutti i comandamenti e
include tutte le virtù, implica inversamente che la pratica di ciascun
gurazione, IO, PG 96, 560D. MAsswo IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, rv, 74.
14 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, xrv, 2.
15 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, N, 515s.
16 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su 2 Timoteo, Vll, 3.
17 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, X, 6. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVI, 52.
18 EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 84. TALASSIO, Centurie, IV, 57.
19 Cfr. 0RIGENE, Omelie sulla Genesi, vn, 4. BASILIO DI CESAREA, Commento al Salmo 32,
PG 29, 537. DIADOCO DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici, 16-17. GREGORIO MAGNO, Moralia
su Giobbe, XXII, 20. TALASSIO, Centurie, rv, 79. ELIA ECDICO, Antowgia, 2.
694
comandamento e la vita secondo ciascuna virtù in qualche misura in-
cludono la carità. In altri termini, I'ordine che adottiamo nel nostro
studio e che ci fa esaminare la carità dopo tutt~ le virtù e al di là della
stessa impassibilità, non deve farci dimenticare che vi sono dei gradi
nella carità20, e che questa dev'essere considerata anche a ciascun li-
vello della vita spirituale, e in rapporto con la terapia di ciascuna pas-
sione e con l'acquisto di ciascuna virtù, o anche come rimedio all'uso
patologico di ciascuna potenza o facoltà fondamentale dell'anima sì da
farla agire sanamente, cioè secondo I' ordine della sua natura. È così
che abbiamo visto come la carità possa essere considerata un rimedio
alla cupidigia e alla concupiscenza, e correlativamente come la virtù
della potenza di desiderio [o concupiscibile] dell'anima; ma anche co-
me il ·rimedio alla collera e correlativamente come la virtù della potenza
aggressiva [o irascibile]. Vedremo come, condizionando la conoscen-
za spirituale, la carità costituisca anche una terapia fondamentale de-
gli organi di conoscenza e un rimedio fondamentale all'ignoranza.
20 Vedi per esempio MAsswo IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 14.
21 Questioni a Talassio, Prologo.
695
Del resto, amore di Dio e filautia virtuosa s'implicano reciproca-
mente: amarsi nella propria realtà spirituale di immagine di Dio por-
ta ad amare Dio. In maniera corrispondente, come dice sant' Anto-
nio il Grande, <<chi ama Dio ama se stesso»22 •
Mentre la filautia-passione è attaccamento dell'uomo alla sua indi-
vidualità, a un io ripiegato su se stesso, opaco, che esclude Dio, pri-
vo per questo di ogni realtà e di ogni vera vita, la filautia virtuosa, al
contrario, è apertura piena a Dio, totale trasparenza alle sue energie.
Mentre nella prima forma d'amore di sé, l'uomo è in realtà, senza ren-
dersene conto, «amante di se stesso contro se stesso», secondo l' e-
spressione di san Massimo, nella filautia spirituale, egli si ama vera-
mente, nella sua realtà più profonda e più essenziale, quella della sua
autentica natura di cui Dio è il principio e il termine. Mentre la filau-
tia-passiohe aliena l'uomo, la filautia virtuosa gli permette, in Dio, di
ritrovare se stesso e di recuperare la vita che aveva perduta. Mentre la
prima lo trascinava al peccato e sviluppava in lui le diverse passioni,
la seconda suppone e implica l'odio del peccato distruttore e la puri-
ficazione delle passioni che rendono il suo essere malato e lo condu-
cono alla morte, e la pratica delle virtù che lo fanno essere ciò che egli
è veramente, che lo rendono conforme alla sua autentica natura. Nel-
la misura in cui, secondo I' adagio patristico, è attraverso le virtù che
l'uomo è reso simile a Dio, virtù che sono in germe nell'immagine di
Dio, amare se stessi nel proprio essere e nel divenire spirituale sup-
pone e implica, da parte dell'uomo, l'attaccamento alle virtù23 , o più
esattamente l'attaccamento a Dio nella pratica delle virtù. A questo ri-
guardo così scrive san Massimo: <<Al posto della filautia perversa, avre-
mo la filautia spirituale [.. .]; è allora che noi non smetteremo mai di
adorare Dio per mezzo di questa bella filautia, cercando sempre in Dio
la vera sussistenza dell'anima. È questa l'adorazione autentica, vera-
mente gradita a Dio: la cura attenta che ci prendiamo nella pratica del-
le vÌrt:Ù>>24.
La filautia spirituale è, tra l'altro, una delle chiavi dell'amore del
prossimo, come dice il comandamento formulato dal Cristo: «Amerai
il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22,39; Mc 12,31; Le 10,27). È so-
lo nella misura in cui l'uomo si ama veramente, in ciò che è fonda-
mentalmente, in Dio e per Dio, che egli può amare il suo fratello spi-
696
ritualmente, senza che questo amore sia intaccato da alcun elemento
passionale o carnale, che egli può amarlo nella sua vera natura di per-
sona creata anch'essa a immagine di Dio; e chiamata anch'essa ad as-
somigliargli, che egli può dunque amarlo come qualcuno che condi-
. vide la stessa natura è come un altro figlio per adozione dello stesso
Padre, come un fratello in Cristo. È così che sant' Antonio il Grande
scrive: «Chi conosce se stesso conosce le altre creature[. ..]. Chi sa ama-
re se stesso ama anche gli altri»25 • Reciprocamente, lamore spirituale
di sé suppone lamore del prossimo: per amare veramente se stessi, oc-
corre amare i fratelli, sottolinea san Giovanni Crisostoma26•
In ogni modo, appare evidente che mentre la filautia-passione con-
duceva la natura umana a fare la guerra a se stessa e la divideva, fa-
cendo degli uomini individui non solo isolati ma anche opposti e ne-
mici gli uni degli altri, la filautia spirituale contribuisce ari-unire lana-
tura in se stessa e con Dio.
Più precisamente, la fil.autia-virtù non può sostituirsi alla filautia-
passione, o più esattamente la filautia carnale non può cambiarsi in fi-
lautia spirituale27 , se l'uomo non si distacca dalFio decaduto, ossia se
non rinuncia alle passioni. Ecco perché l'amore spirituale di sé è con-
dizionato, nella sua perfezione, dall'impassibilità.
15 Lettere, IV, 7.
26 Omelie su 2 Timoteo, VII, L
v Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, Prefazione.
28 ID., Centurie sulla carità, Iv, 98.
29 Lettere, 339.
30 Discorsi ascetici, 56.
697
che ama tutti gli esseri in modo uguale [ .. .]è giunto alla perfezione»31 •
«Fa' il possibile per amare tutti gli uomini» consiglia san Massimo32,
che definisce la carità come una «totale sollecitudine per la totalità del
genere umano»33 , e scrive: «Beato l'uomo capace di amare tutti gli uo-
mini allo stesso modo»34• Lo stesso autore osserva che non si possiede
l'amore perfetto «fintanto che non si amario allo stesso modo tutti
gli uo:mini>>35 • Egli precisa ancora: «La carità perfetta non ammette, fra
gli uomini [. .. ] , alcuna distinzione basata sulla differenza di caratte-
re. Essa [. ..] ama allo stesso modo tutti gli uomini, i buoni a titolo di
amici, i cattivi a titolo di nemici, facendo loro del bene, sopportando-
li, tollerando pazientemente quanto si riceve da essi, rifiutando osti-
natamente di vedervi del male, arrivando fino a soffrire per loro qua-
lora se ne presenti l' occasione»36 •
La carità perfetta considera e tratta in ugual modo non solo tutti gli
uomini, ma anche ciascuno in ogni momento: «Non ha ancora la ca-
rità perfetta colui le cui disposizioni cambiano a seconda di quelle de-
gli altri, che per esempio ama questo, detesta quello per un sì o per un
no, oppure oggi ama, mentre domani detesterà la stessa persona per
gli stessi motivi»37 •
Amare in ugual modo tutti gli uomini suppone non solo che non si
escluda nessuno e che si ami ciascuno costantemente, ma anche che
tutti siano amati costantemente con la stessa intensità: A questo pro-
posito san Massimo scrive: «Un tale, tu lo detesti; quest'altro, tu non
lo ami e neppure lo odi; questo, t:U lo ami, ma molto moderatamen-
te; quello invece, tu lo ami intensamente ... Da queste differenze, rico-
nosci che tu sei lontano dalla carità perfetta che, invece, si propone di
amare allo stesso modo tutti gli uo:mini>>38 • Ed egli allora consiglia: «Oc-
corre amare ogni uomo cdn tutta l' anima>>3 9 , e fa notare che, per di più,
«gli amici del Cristo perseverano sino alla fine nelloro amore»40 •
I.: amore del prossimo, se è uno nella sua natura, tuttavia riveste for-
31 Ibid., 43.
32 Centurie sulla carità, rv, 82.
33 Lettere, 2.
34 Centurie sulla carità, I, 17.
35 Ibid., 61.
;o Ibid., 71.
37 Ibid., 70.
38 Ibid., II, 10.
39 Ibid., N, 95.
40 Ibid., 98.
698
me molteplici e varie41 , e inoltre, come abbiamo detto," «si estende a
tutte le manifestazioni della virtù>>42 • Per questo san Paolo scrive: «La
carità è magnanima, è benigna la carità, non è invidiosa, la carità non
si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non· cerca il suo inte-
resse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode del-
l'ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto scusa, tutto crede, tut-
to spera, tutto sopporta» (lCor 13,4-6). La carità si manifesta in par-
ticolare con la benevolenza, la bontà, la dolcezza, la longanimità, la
compassione, la beneficenza...
Nella misura in cui essa implica che si ami il prossimo come se stes-
si43, secondo il comandamento del Cristo (cfr. Mt 22,38; Mc 12,31;
Le 10,27), le sue manifestazioni possono riassumersi in questi due pre-
cetti: non fare al prossimo ciò che non vorremmo fosse fatto a noi; fa-
re al prossimo ciò che si vorrebbe che egli facesse a noi44 •
Il primo precetto, in forma negativa, è dato nell'Antico Testamen-
to dal giusto Tobia: «Non fare a nessuno ciò che non piace a te>> (Tb
4,15). San Paolo lo presenta così: «L'amore non procura del male al
prossimo: quindi la pienezza della legge è l'amore» (Rm 13,10). Egli
lo esprime anche, tra l'altro, e sulla sua scia i Padri, in molte racco-
mandazioni che mirano non solo all'astensione da ogni azione e da
ogni parola pregiudizievole per il prossimo, non foss' altro perché ciò
lo rattristerebbe45 , ma anche all'astensione da ogni pensiero o cattiva
intenzione nei riguardi del prossimo, da ogni atteggiamento esteriore
e/o interiore che implica una relazione con il prossimo che da un pun-
to di vista spirituale sarebbe perversa. È così che la carità esclude per
esempio che si invidi il prossimo46 , che lo si disprezzi47 , lo si giudichi
sfavorevolmente48, si gioisca delle sventure o delle cadute che gli ca-
pitano49 e a fortiori che gli si auguri del malem, ci si rattristi per ciò che
gli capita di buono51 ... Qui vediamo anche come la carità presuppon-
60-62.
42 Ibid.
4' Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia sulla perfetta carità, I. GIOVANNI DI GAZA, Lettere,
339.
44 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, X, 6.
45 Cfr. DoROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, III, 44. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sul-
la carità, I, 41.
. 46 Cfr. ICor 13,4. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 55.
47 Cfr. GIOVANNI DI GA:ZA, Lettere, 342.
48 Cfr. 1Cor 13,5. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 42; 57.
49 Cfr. 1Cor 13,6. MASSIMO IL CONFESSORE, loc. cit., I, 56.
5°Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE, loc. cit.
51 Cfr. ibid., 55.
699
ga l'impassibilità, poiché essa esclude tutte le passioni, le quali con-
ducono, a un grado o a un altro, sotto una forma o sotto un'altra,
colui in cui esse abitano a trattare male o solo a considerare sfavore-
volmente il prossimo.
Il secondo precetto, in forma positiva, è dato nel Nuovo Testamento
dallo stesso Cristo: «Quanto dunque desiderate che gli uomini vi fac-
ciano, fatelo anche voi ad essi» (Mt 7,12; Le 6,31). Ciò implica in
particolare che ci si senta solidali con tutti gli uomini e che si vada
loro in aiuto secondo la raccomandazione dell'Apostolo: «Portate vi-
cendevolmente i vostri pesi, così compirete la legge di Cristo» (Gal
6,2), e che ci si faccia loro servitore (cfr. Gal 5,13-14). Questo aiuto
deve rispondere a tutti i bisogni del prossimo: a quelli materiali, per
mezzo dell'elemosina in particolare52 , ma anche a quelli spirituali nel
condurre il prossimo a Dio se se ne è allontanato53 , contribuendo a cu-
rare le sue malattie spirituali54 , ricercando il suo progresso spirituale e
la sua salvezza55 , aiuto che si dimostra con la parola56, con il servizio57 ,
e soprattutto con la preghiera58 • La carità implica anche la compas-
sione, ossia che si gioisca con il prossimo di quanto gli avviene di buo-
no, e ci si affligga con lui per tutti i mali che lo colpiscono59 , prodi-
gandogli consolazione e conforto60 •
Notiamo infine che amare il prossimo come se stessi, vuol dire es-
sere attaccati e uniti a lui quanto a se stessi. È caritatevole, potrem-
mo dire con Evagrio, «colui che si ritiene uno con tutti, per l' abitu-
dine di vedere se stesso in ciascuno»61 •
SORE, Centurie sulla carità, I, 25; IV, 83. BARSANUFIO, Lettere, 315.
55 Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 122. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità,
. II),XL,6.
~ Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 26.
58 CTr. Mt 5,44.
59 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia sulla perfetta carità, 1. GIOVANNI CLlMACO, La Scala,
IV, 52. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 339.
60 Cfr. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 315.
61 La preghiera, 125.
700
4,17). Innanzitutto per l'uomo vuol dire conformare il proprio atteg-
giamento verso coloro che hanno la sua stessa natura ali' atteggiamen-
to di ciascuna delle ipostasi della Santissima Trinità verso le altre due.
Il Cristo ce ne dà egli stesso I'esempio: «Come il Padre ha amato me,
così io ho amato voi» (Gv 15,9). È anche il conformarsi all'amore di
Dio per gli uomini:
- Ali' amore del Padre, che è giunto fino a dare il suo Figlio per
loro: «Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo Unige-
nito» (Cv 3,16); «L'amore di Dio si è manifestato tra noi in questo:
Dio ha inviato il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché noi avessi-
mo la vita per mezzo di luj.. In questo si è manifestato l'amore: non noi
abbiamo amato Dio, ma egli ha amato noi ed ha inviato il Figlio suo
come propiziazione per i nostri peccati. Carissimi, se così Dio ha ama-
to noi, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri>> (lGv 4,9-11).
- Ali' amore del Figlio, che per gli uomini liberamente si è incar-
nato, ha subito la passione ed è morto sulla croce. È per la carità, scri-
ve san Massimo, che <<l'autore stesso della nostra natura [. .. ] ha rive-
stito la nostra natura>>62 • «È la carità che ha fatto discendere tra noi il
Figlio prediletto di Dio», nota anche san Giovanni Crisostomo63 • E
l'Apostolo: <<Dio ci dà prova del suo amore per noi nel fatto che, men-
tre ancora eravamo peccatori, Cristo morì per noi>> (Rm 5,8). Lo stes-
so Cristo ci indica il suo amore per noi come fondamento del nostro
amore per i nostri simili: <<Come io ho amato voi, anche voi amatevi
gli uni gli altri>> (Gv 13 ,34 ); «Questo è il mio comandamento: che vi
amiate gli uni gli altri come io ho amato voi>> (Cv 15 ,12). E su questo
fondamento l'Apostolo consiglia: «Camminate nell'amore sull'esem-
pio del Cristo che vi ha amati>> (E/5,2).
- All'amore dello Spirito Santo, dispensatore agli uomini dell'amore
divino, dunque fonte del loro amore mutuo e del loro amore per Dio
(cfr. Gal 5,22).
Il fatto che la carità perfetta consista nell'amare tutti gli uomini al-
lo stesso modo, ha il suo fondamento nel fatto che Dio ama tutti gli
uomini senza eccezione e allo stesso modo. Amate i vostri nemici e
non solo quelli che vi amano, raccomanda il Cristo, «affinché siate
figli del Padre vostro che è nei cieli, il quale fa sorgere p_ suo sole sui
cattivi come sui buoni e fa piovere sui giusti come sugli empi» (Mt
5,45); <<Egli infatti è buono anche verso gli ingrati e i cattivi>> (Le 6,35);
62 Lettere, 2.
63 Omelia sulla perfetta carità, 1.
701
<<Siate perfetti, come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,48);
«siate misericordiosi come Dio vostro Padre è misericordioso» (Le
6,36). San Massimo commenta: «"Amate i vostri nemici e pregatè per
quelli che vi perseguitano" (Mt 5,44). Perché questi precetti del Si-
gnore? Per strapparti ali' odio, ali' amarezza, alla collera, al rancore, per
renderti degno di questo bene supremo che è l'amore perfetto, ben-
ché tu non lo possa possedere fintanto che non ami allo stesso modo
tutti gli uomini, sull'esempio di Dio che ama in ugual misura tutti gli
uomini, e che "vuole che tutti siano salvi e arrivino alla conoscenza
della verità" (lTm 2,4)»64 • Lo stesso osserva altrove: «Il nostro Si-
gnore Gesù Cristo, mostrando l'amore che ha per noi, ha sofferto per
tutta l'umanità e ha dato la speranza della risurrezione a tutti allo stes-
so modo; anche se ciascuno, per mezzo delle proprie opere, richia-
ma su di sé la gloria o il castigo»65 •
Un'altra ragione per la-quale la carità perfetta ama tutti gli uomini
in ugual misura è che tutti gli uomini sono essenzialmente uguali e han-
no tutti la stessa natura. «Siamo tutti di una sola e stessa essenza, mem-
bra gli uni degli altri. Così amiamoci profondamente gli uni gli altri>>,
scrive sant'Antonio il Grande66 • San Massimo afferma nella stessa li~
nea che «la carità perfetta non ammette, tra gli uomini che hanno la
stessa natura, alcuna distinzione basata sulla differenza di caratteri. Es-
sa non vede altro che questa natura unica, ama allo stesso modo tutti
gli uomini>>67 • Egli osserva anche, tra l'altro, che la carità consiste nel-
l'onorare tutti gli uomini, «altrettanto quanto lo esige l'idea della na-
tura che prescrive un onore uguale ed esclude dalla natura ogni ine-
guaglianza che lo spirito porrebbe nei riguardi del tale o del talaltro,
perché essa li include tutti in sé al solo titolo d'identità» 68 • «Colui
che [ ... ] possiede la carità perfetta>>, scrive ancora, <<non fa più diffe-
renza tra sé e gli altri, schiavo e uomo libero, uomo o donna. [. .. ] Egli
non vede negli uomini che la loro natura unica: li vede tutti su un pia-
no di uguaglianza, per tutti ha lo stesso cuore»69 • A questo proposito
egli cita lesempio di Abramo, che per la carità fu elevato fino a Dio
«abbandonando la distinzione di ciò che è diviso e può essere diviso,
considerando ciascun uomo come se stesso e considerando uno come
702
tutti e tutti come uno»70 • Questo esempio peraltro ci è dato da tutti i
santi che, sottolinea san Giovanni Crisostomo, agiscono «come se il
genere umano fosse un'unica persona»71 • Per questo san Simeone il
Nuovo Teologo consiglia: «Tutti i fedeli devono essere considerati
da noi, fedeli, come un unico essere»72 •
È perché tutti gli uomini hanno la stessa «essenza spirituale>>, spie-
ga sant'Antonio, che «colui che pecca verso il prossimo pecca verso se
stesso; colui che gli fa un torto lo fa a se stesso; colui che fa del bene
al prossimo lo fa a se stesso», o anche «colui che sa amare se stesso
ama anche gli altri»73 e viceversa. Così si comprende anche la formu-
la di Evagrio già citata: «È monaco chi si considera uno con tutti,
per l'abitudine acquisita cli vedersi in ciascuno»74 •
Questa essenza spirituale, che determina l'unità fondamentale del
genere umano, è l'immagine di Dio, la quale costituisce e definisce fon-
damentalmente la natura umana, e si ritrova in ciascuno di noi. Ecco
perché amare il pròssimo è amare Dio presente nel prossimo per la
sua immagine. È così che subito dopo avere affermato che «siamo tut-
ti della stessa essenza>>, sant' Antonio scrive: <<Amiamoci profonda-
mente gli uni gli altri: infatti, chi amerà il suo prossimo amerà Dio; e
chi ama Dio ama se stesso»75 • San'flsacco il Siro, ricordando la ca-
rità, si esprime in questo modo: Dio «gioisce nel vedere qualcuno
dare pace all'uomo sua immagine e venerarlo a causa di lui»76 • Eva-
grio, nella stessa prospettiva, scrive che <<il ruolo della carità è quello
di comportarsi nei riguardi di ogni immagine di Dio pressappoco nel-
la stessa maniera che riguardo all'Archetipo»77 , ed egli proclama: <<Bea-
to il monaco che considera tutti gli uomini come Dio secondo Dio»78 •
10 Lettere 2
71 Comm;n;o al Salmo 9, 8.
72 Capitoli teologici, gnostici e pratici, Ill, 3.
73 Lettere, rv, 7.
74 La preghiera, 125.
75 Lettere, IV, 9.
76 Discorsi ascetici, 5.
77 Trattato pratico sulla vita monastica, 89.
78 La preghiera, 123.
703
na fatta a sua immagine e potenzialmente a sua somiglianza. La ca-
rità consiste nell'amare il prossimo in Dio, ma nello stesso tempo Dio
nel prossimo. Si può comprendere in questo senso tale affermazione
del Cristo circa le diverse manifestazioni della carità che egli racco-
manda: «Tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi
miei fratelli, lo avete fatto a me [. .. ]. Ciò che non avete fatto a uno di
questi più piccoli, non lo avete fatto a me>> (dr. Mt 25 ,31-46). In altri
termini, sottolinea san Basilio, il Signore «vede come fatta a se stesso
ogni buona azione fatta al prossimo»79 • Ecco perché egli consiglia al-
trove: dobbiamo servire i nostri fratelli «considerando questo servizio
come reso al Signore stesso»80 • In modo più diretto, Abba Apollo «di-
ceva che occorre inchinarsi dinanzi ai fratelli che arrivano, perché non
è davanti a loro, ma è davanti a Dio che ci prostriamo. Quando vedi
tuo fratello, diceva, tu vedi il Signore tuo Dio»81 • E san Simeone il Nuo-
vo Teologo, dopo aver raccomandato di considerare tutti gli uomini
come un solo essere, precisa: «Dobbiamo pensare che in essi abita il
Cristo»82 ; e cita l'esempio di san Simeone Studita che «guardava co-
me Cristo tutti i battezzati»83. Quanto a san Massimo, egli dopo aver
affermato che «colui che possiede la carità perfetta non fa più diffe-
renza tra sé e gli altri, schiavo o libero, uomo o donna», conclude ci-
tando questo passo della lettera ai Galati: «Voi siete una sola perso-
na in Cristo GesÙ>> (Gal 3 ,28).
Questo vuol dire che l'amore del prossimo non ha valore che in
riferimento ali' amore di Dio. «Da questo noi conosciamo che amiamo
i figli di Dio: se amiamo Dio e compiamo i suoi comandamenti» (1 Gv
5,2), dice l'apostolo Giovanni. Questo significa anche che deve es-
sergli sempre subordinato. Tra i motivi che san Massimo sottolinea,
<<fiorivi per i quali un uomo può amare un altro uomo», il solo vera-
mente buono consiste nell'amare «per amore di Dio»84 • Come insegna
il Cristo, l'amore di Dio è «il primo e il più grande dei precetti» (Mt
22,38), e quello dell'amore del prossimo occupa il secondo posto (Mt
22,39; Mc 12,31). I Padri, ricordando questo comandamento85 , met-
tono in guardia contro la tentazione di invertirli e di esercitare la ca-
79 Regole lunghe, 3.
80 Regole brevi, 160.
81 Apoftegmi, serie alfabetica, Apollo, 3.
82 Capitoli teologici, gnostici e pratici, ill, 3. Cfr. ibid., 96: «Ognuno consideri suo fratello e
704
rità nei riguardi del prossimo dimenticando l'amore di Dio. Questo
awertimento è proprio necessario, perché, come fa notare Origene nel
commentare questo passo del Cantico dei Cantici in cui il Signore di-
ce: «ordina in me la carità» (cfr. Ct 2,4), se <<la carità dei santi è ordi-
nata>>, <<molto spesso la carità di tante persone è disordinata. Ciò che
dev'essere amato per primo, essi lo amano come secondo, e ciò che es-
si devono amare come secondo lo amano come primo»86 • Anche sant'I-
sacco il Siro precisa che «è bello e degno di lode l'amore del prossi-
mo se la preoccupazione che noi ne abbiamo non ci distrae dall'a-
more di Dio» e che «è dolce la relazione che abbiamo con i fratelli
spirituali, se nello stesso tempo possiamo conservare la relazione che
ci unisce a Dio»87 • E san Macario scrive più precisamente: <<L'uomo ri-
cerchi innanzitutto il santo amore [di Dio], che è il primo e il più gran-
de dei comandamenti [. .. ]. Attraverso di esso, è facile adempiere il se-
condo comandamento, voglio dire l'amore del prossimo. Ciò che è pri-
mo deve, infatti, essere preferito al resto e suscitare uno sforzo più
grande: così ciò che è secondo seguirà ciò che è primo. Ma se qual-
cuno dimentica questo primo e grande comandamento - voglio dire
l'amore di Dio - [ .. .]e se tale uomo non vuole accontentarsi che del-
la cura esteriore del secondo - il servizio del prossimo -, gli è impos-
sibile praticare correttamente e con purezza il primo»88 •
Ma questo non significa, tuttavia, che l'amore del prossimo debba
in qualche modo essere assorbito e dissolto per l'amore di Dio: ciò al
limite potrebbe significare che l'amore di Dio basta e dispensa dal-
l'amore del prossimo. Vedremo che lo stesso amore di Dio suppone
ed implica l'amore del prossimo e ne è inseparabile. Così come l' a-
more di Dio non è riducibile all'amore del prossimo, l'amore del pros-
simo non è riducibile all'amore di Dio perché il prossimo possiede per
la sua stessa qualità di persona un'autonomia e una sussistenza chia-
mata ad affermarsi e non a dissolversi in Dio, e ciò, attraverso la gra-
zia, per l'eternità, di modo che sia l'amore di Dio sia l'amore del pros-
simo non avranno fine (cfr. lCor 13,8), e nell'uno come nell'altro «non
cesseremo mai di progredire, sia nel secolo presente, che nei secoli fu-
turD>s9.
Infatti, la carità è fondamentalmente una nella sua natura, nella sua
705
origine e nel suo fine: è lo stesso amore che assume la sua fonte in Dio
e ha Dio come fine. Perciò san Massimo scrive a questo riguardo: <<Non
esiste un amore per Dio e un altro per il prossimo, ma esso è unico e
identico a se stesso nella sua totalità, ed è dovuto a Dio»90 •
3. L'amore di Dio
90 Lettere, 2.
91 Vedi, per esempio, SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, IV, 575. GIOVANNI Cu-
MACO, La Scala, V, 28. BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, 2.
92 BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, 2.
93 Cfr. lD., Regole brevi, 157; 211. MASSThiO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 10. Oru-
706
mi ama» (Gv 14,21); «Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola»
(Gv 14,23); <<Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei.coman-
damenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comanda-
menti del Padre mio e rimango nel suo amore» (Gv 15,9-10). L'apo-
stolo san Giovanni dice: «Chi osserva la sua parola, veramente l'a-
more di Dio in lui è perfetto. Da ciò noi conosciamo di essere in lui>>
(lGv 2,5), e più esplicitamente ancora: «Questo è l'amore di Dio:
osservare i suoi comandamenti» (lGv 5,3; cfr. 5,2).
L'amore di Dio consiste nella pratica di tutti i comandamenti sen-
za eccezione, ma in primo luogo in quello di amare il prossimo, poi-
ché questo è «il secondo» comandamento dato dal Cristo (cfr. Mt 22,39)
e il più grande dopo quello dell'amore verso Dio (cfr. Mc 12,31). Co-
sì come I'amore del prossimo è,indissociabile dall'amore di Dio e, per
essere vero, lo presuppone, l'amore di Dio presuppone l'amore del
prossimo e ne è indissociabile. Nessuno può amare Dio senza amare
il prossimo. «Se uno dice: "Amo Dio" e poi odia il proprio fratello, è
mentitore: chi infatti non ama il proprio fratello che vede non può
amare Dio che non vede. E noi abbiamo da lui questo comandamen-
to: chi ama Dio ami anche il proprio fratello» (lGv 4,20-21). L'amore
del prossimo appare come la conseguenza e il compimento dell'amo-
re di Dio94 • «Chi ama Dio non può non amare anche ciascun uomo co-
me se stesso»; «chi ama Dio ama anche il suo prossimo senza riserve»,
afferma san Massimo95 • Ma nello stesso tempo l'amore di Dio appare
come una conseguenza dell'amore del prossimo96 , nella misura in cui
quello non è possibile se non è preceduto da questo 97 • A questo ri-
guardo san Massimo osserva: «"Se mi amate", dice il Signore, "os-
servate i miei comandamenti" (Gv 14,15). "Questo è il mio coman-
damento: che vi amiate gli uni gli altri" (Gv 15,12). Colui, dunque, che
non ama il suo prossimo non osserva il comandamento, e chi non os-
serva il comandamento non potrà amare il Maestro»98 ; e arriva a di-
re: «Chi constata nel suo cuore una traccia d'inimicizia verso qualcu-
no, per un'offesa qualsiasi, è completamente estraneo all'amore di
Dio»99 • La prova dell'amore di Dio è l'amore del prossimo 100 •
tere, 2.
707
L'amore di Dio e l'amore del prossimo, dunque, «sono insepara-
bili» e «legati insieme come con una catena.>>101 • Anzi di più: essi si con-
dizionano e s'implicano reciprocamente. San Doroteo propone un'im-
magine che fa ben comprendere questa interdipendenza. «Suppone-
te un cerchio [... ]. Immaginate che questo cerchio sia il mondo; il centro
di questo cerchio, Dio, e i raggi le diverse vie o modi di vivere degli
uomini. Quando i santi, desiderando avvicinarsi a Dio, camminano
verso il centro del cerchio, nella misura in cui essi penetrano all'inter-
no, essi si avvicinano gli uni agli altri nello stesso tempo che a Dio. Più
essi si avvicinano gli uni agli altri, più si avvicinano a Dio. Voi capire-
te che avviene la stessa cosa nel senso inverso, quando ci si allontana
da Dio per ritirarsi verso l'esterno: è evidente allora che, più ci si al-
lontana da Dio, più ci si allontana gli uni dagli altri, e che più ci si al-
lontana gli uni dagli altri, più ci si allontana anche da Dio. Tale è lana-
tura della carità. Nella misura in cui siamo ali' esterno e non amiamo
Dio, nella stessa misura noi sperimentiamo un allontanamento riguardo
al prossimo. Ma se amiamo Dio, quanto più ci avviciniamo a Dio at-
traverio la carità per lui, tanto più siamo uniti alla carità del prossimo,
e quanto più siamo uniti al prossimo, tanto più lo siamo a Dio»102 •
non fa nulla di disonesto, non cerca il suo interesse, non si adira, non sospetta il male, non
gioisce per l'ingiustizia>>.
708
come la condizione essenziale della carità. La carità dell'uomo cresce
a misura della sua purezza e della sua impassibilità, e raggiunge la
carità perfetta quando diviene del tutto puro e impassibile107 • San Gio-
vanni Climaco scrive: <<La carità è prima di tutto il rifiuto di ogni pen-
siero iniquo, perché "la carità non manca di rispetto" (lCor 13,5)»108•
San Diadoco di Foticea, a sua volta, afferma: <<L'amore perfetto ap-
partiene a quelli che sono già purificati>>109• «La carità è figlia dell'im-
passibilità»110; <<Per mezzo dell'impassibilità avete acquistato la carità>>,
scrive Evagrio 111 • Anche san Massimo osserva: «La carità nasce dal-
l'impassibilità>>112. San Giovanni Climaco arriva a dire che <<la carità
e l'impassibilità [...] non si distinguono che per il nome»rn.
Poiché tutte le passioni sono nate dal fatto che l'uomo si è allonta-
nato da Dio per attaccarsi a se stesso e al mondo e costituiscono le mo-
dalità di questo attaccamento, è evidente che la carità, la quale inve-
ce è attaccamento a Dio, non è possibile se non nella misura in cui
l'uomo si purifica dalle passioni, e si distacca da sé e dal mondo. Lo
abbiamo dimostrato: amore di Dio e amore del mondo sono incom-
patibili e si escludono l'un l'altro. «Nessuno può possedere insieme
l'amore di Dio e il desiderio del mondo», scrive sant'Isacco il Siro114 •
L'amore di Dio suppone, dunque, il rifiuto di ogùi attaccamento al
mondo e a se stessi 115 • «Non c'è altro percorso verso l'amore spiri-
tuale», afferma sant'Isacco 116 . Quanto alla necessità della rinuncia al-
1'amore (passionale) di sé, san Diadoco di Foticea scrive: «Colui che
ama se stesso non può amare Dio; ma colui che non ama se stesso [.. .]
questi ama Dio»117 • E san Massimo consiglia: «Non amare te stesso e
amerai Dio»118 • Per quanto riguarda l'amore del mondo (espressione
che del resto include l'amore di sé) Evagrio scrive: «L'amore di que-
sto mondo è nemico di Dio (cfr. Cc 4,4). Se il nostro Dio è amore
come è scritto (cfr. lGv 4,8), dunque l'amore di questo mondo catti-
m La Scala, XXX, 9.
114 Discorsi ascetici, 4. Vedi anche 0RIGENE, Commento a san Giovanni, XIX, 21.
115 Cfr. BASIIJO DI CESAREA, Regole lunghe, 8. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, l; 73; 81. SI-
MEONE Il., Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, IV, 579-582. NICETA STETATOS, Centurie, Il, 1.
116 Discorsi ascetici, 1.
117 Centuria, 12.
118 Centurie sulla carità, Il, 37.
709
vo è nemico della carità. Non è, quindi, possibile acquistare la carità
se non odiamo il mondo»119 • «Quanto ad arrivare al possesso abituale
de[lla] carità, è una cosa impossibile fintanto che si conserva un at-
taccamento passionale a qualcuna delle cose terrene», avverte san Mas-
simo120, e altrove: «Nessuno, se non rinuncia a ogni attaccamento al-
le cose di questo mondo, può amare veramente Dio e il prossimo. In
verità, applicarsi alle cose materiali e nello stesso tempo applicare il
proprio amore a Dio è semplicemente impossibile. È guarito ha detto
il Signore: "Nessuno può servire due padroni" (Mt 6,24)» 121 . E arri-
va persino a dire: «Non ama Dio colui che conserva il suo spirito at-
taccato a qualche oggetto terreno»122 . San Macario osserva che i santi
«sono interamente e totalmente tesi» verso il Cristo, <<non hanno che
lui davanti agli occhi con grande desiderio» e «si liberano di ogni amo-
re del mondo e rompono ogni legame terreno, al fine di essere capa-
ci di possedere costantemente solo questo desiderio nel loro cuore e
di non mescolarvi null' altro»123 • Ed egli sottolinea che, se qualcuno ri-
mane lontano dal Regno, «ciò viene dal fatto che egli non vuole pren-
dersi la pena di rinnegare se stesso, e ama qualcosa e nello stesso tem-
po Dio, conserva dei riguardi verso alcuni piaceri e certe brame di que-
sto secolo, non dirige tutto il suo amore verso il Signore, tanto più che
sarebbe sotto il potere della sua libera scelta e della sua volontà.>>124.
«Infatti, quando un'anima si eleva veramente verso il Signore, essa di-
rige verso di lui tutto il suo amore, deliberatamente si attacca solo a
lui con tutte le forze, [...] se rinuncia a se stessa, non segue più i de-
sideri del suo spirito[ .. .]; al contrario, quest'anima si affida totalmente
alla parola del Signore, si sottrae, per quanto possibile alla propria vo-
lontà, a ogni legame visibile, e si abbandona senza riserve al Signo-
re»125. Così, «otterrà e possederà la sua anima e la carità dello Spirito
celeste solo colui che si rende estraneo a tutte le cose di questo seco-
lo, per dedicarsi alla ricerca dell'amore del Cristo [. ..]»126.
La rinuncia assoluta a se stessi e al mondo non sono solo la condi-
zione dell'amore di Dio: lo sono anche per l'amore del prossimo 127 .
119 Lettere 60
°Centurie s~lla carità, I, 1. Cfr. 72; 75.
12
121 Discorso ascetico, 6.
122 Centurie sulla carità, II, L
12 ' Omelie (Coli. II), V, 6.
124 Ibid., 9.
125 Ibid 12
126 Ibzi'. IX,
10.
127 CTr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 30; IV, 37. lsACCO IL SIRO, Discor-
si ascetici, 81.
710
El' amore perfetto del prossimo richiede l'impassibilità128 come il per-
fetto amore di Dio: è solo quando si è purificato da ogni passione che
l'uomo può amare il prossimo di un amore spirituale, perché se non è
impassibile lo amerà di un amore carnale, terreno, in relazione con una
o con l'altra delle sue passioni, che ci.ò sia conscio o inconscio, perché
sono molti i motivi dell'amore, e la maggior parte tra essi sono <<vizia-
ti dalla passione>> e lontani dalla vera carità129 • Fintanto che l'uomo non
è impassibile, è incapace di considerare il prossimo nella sua vera realtà,
<<le passioni nascoste nella [sua] anima oscurano il [suo] giudizio»130 ;
è solo quando egli è impassibile che può vederlo in Dio, ed entrare
con lui in una relazione spirituale esclusiva di ogni desiderio, di ogni
intenzione, di ogni affetto carnale (nel senso esteso del termine).
128 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Lettere, 60. MAsSIMO lL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 30;
IV, 92.
129 Cfr. MASSIMO lL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 9.
no Ibid., IV, 92.
131Capitoli parafrasati, 13.
131Cfr. Rm 15,30; 2Tm 1,7. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 12. MASSIMO IL
CONFESSORE, Lettere, 2.
133 Sui Nomi divini, IV, 14, PG 3, 712C.
134 Lettere ai Corinzi, 50, 2.
711
ceverlo, avere, in altre parole, il cuore e lo spirito purificati dall' asce-
si teantropica. È per questo che occorre dire della carità, come di tut-
te le virtù, che essa risulta dalla sinergia tra la grazia divina e lo sforzo
umano, da un'azione reciproca, o se si vuole, da una dialettica che san
Macario caratterizza bene quando scrive: «È attraverso lo sforzo e la
tensione, la vigilanza e la lotta, che noi diventiamo capaci d'acquista-
re l'amore di Dio, questo amore che la grazia e il dono del Cristo for-
mano in noi»135 •
In questo sforzo ascetico per mezzo del quale l'uomo si volge verso
Dio, tende verso di lui, si purifica e si apre alla sua grazia, la preghie-
ra gioca un ruolo di primo piano. Abbiamo evidenziato questa funzio-
ne essenziale della preghiera esaminando l'acquisto delle virtù. Occor-
re sottolinearla ancora di più per ciò che concerne la carità. «Tutte le
virtù aiutano lo spirito nell'amore per Dio, ma, più delle altre, la pre-
ghiera pura», sottolinea san Massimo 136 • È in risposta alla sua pre-
ghiera, legata alla pratica degli altri comandamenti, che l'uomo riceve
da Dio il dono della carità. È per mezzo della preghiera e nella sua pre-
ghiera che l'amore si rivela a lui, e ciò tanto più quanto più la sua pre-
ghiera è pura. «Questa carità, è grazie alla preghiera che il monaco l' a-
vrà acquistata in sé>>, nota san Macario 137 , che dice ancora della pre-
ghiera: <<È da essa che proviene in coloro che ne sono giudicati degni
[. ..] l'unione delle loro disposizioni interiori con il Signore in una ca-
rità ineffabile»138 • «Noi preghiamo per acquistare l'amore di Dio. In-
fatti troviamo nella preghiera le cause che ci fanno amare Dio», scrive
sant'Isacco il Siro, che nota ancora: <<i: amore viene dalla preghiera>>,
«dalla preghiera pura nasce l'amore di Dio»; se l'uomo «non perseve-
ra [nella preghiera], intrattenendosi con Dio e passando attraverso tut-
te le forme successive di preghiera [ ... ], egli non sentirà l'amore»;
«l'amore di Dio viene dunque dal rapporto che si ha con lui>> nella pre-
ghiera 139. È attraverso la sua preghiera che il suo amore tanto nei ri-
guardi del prossimo che di Dio cresce e si fortifica. Per questo, san Ma-
cario consiglia: che l'uomo «chieda costantemente al Signore di gene-
rarlo nel suo cuore e che egli lo acquisisca così, facendolo crescere e
progredire ogni giorno per la grazia in un continuo e incessante ricor-
712
do di Dio»140. È anche per la sua preghiera che questo amore si mani-
festa141, a tal punto che si può definire l'amore come preghiera pura e
continua. «La carità è assiduità presso Dio in un ringraziamento con-
tinuo», afferma Abba Isaia 142 , e san Massimo scrive: «Chi ama since-
ramente Dio prega così assolutamente senza distrazione, e chi prega as-
solutamente senza distrazione ama anche sinceramente Dio»143 ; «sen-
za distrazione>> significa non solo che lo spirito è vuoto di ogni pensiero
estraneo alla preghiera stessa, ma anche che il cuore è puro da ogni ele-
mento passionale144. Nella preghiera pura, l'uomo è purificato da ogni
attaccamento passionale al mondo e può unirsi pienamente a Dio, tan-
to più che, tra tutte le virtù, la preghiera costituisce un modo privile-
giato di relazione145 e di unione a Dio. D'altra parte, è per la continuità
della preghiera che l'amore può essere stabile, come gli è tipico 146 ,
che noi possiamo, come dice san Basilio, «rimanere attaccati al ricor-
do [di Dio] come i bambini al ricordo della madre»147 . La preghiera
appare allora come un criterio della carità. «Sono il tempo e la prati-
ca della preghiera che rivelano l'amore che il monaco ha per Dio»; «co-
sì come la fornace prova l'oro, la pratica della preghiera prova lo zelo
e l'amore del monaco per Dio», scrive san Giovanni Climaca148 • E sant'I-
sacco il Siro insegna che è nella preghiera continua accompagnata dal-
le lacrime che si riconosce la perfezione dell' amore149.
che ne fa una disposizione permanente, uno stato stabile (éxis). Cfr. CLEMENTE D'ALESSANDRIA,
Stromata, VI, 7; IV, 22; VII, 12. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 90. MAsSIMO IL
CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 1; Discorsi ascetici, 26.
147 Regole lunghe, 2. La stessa immagine è usata da GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXX, 12.
148 La Scala, XXVIII, 36; XVIII, 8.
149 Discorsi ascetici, 85.
150 Su tutto ciò, vedi BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, 2; 3. Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La
713
Dio, secondo cui egli è stato creato. Per questo sant' Antonio il Gran-
de ricorda <<la legge d'amore deposta nella [sua] natura>> e <<la bontà
originale che fa parte di essa nel suo primo stato e nella sua prima crea-
zione»151. «È conforme alla natura dell'anima creata da Dio amarlo»,
nota nello stesso senso san Macario 152 . «È naturale», scrive san Basi-
lio, «che un'anima sana provi un tale sentimento»153 . Essendo Dio amo-
re (cfr. lGv 4,8.16), è normale, infatti, che l'uomo, che è stato creato
a sua immagine, sia portatore di questa virtù e persino che questa lo
caratterizzi essenzialmente. Così san Giovanni Crisostomo non esita a
dire: <<È la carità che fa sì che egli sia uomo. Non stupitevi che il pro-
prio dell'uomo sia l'essere caritatevole, poiché è il proprio di Dio stes-
so»154. Esercitandosi sinergicamente, lo sforzo ascetico e la grazia re-
stituiscono a questa disposizione il suo stato originale in cui essa ten-
deva verso Dio e manifestano nuovamente nell'uomo l'immagine di
Dio in tutto il suo splendore, perché «solo essa, afferma san Massimo,
dimostra che l'uomo è a immagine del Creatore» 155 . Lo sforzo asceti-
co e la grazia consentono all'anima di svilupparsi dal suo stato inizia-
le fino allo stato di perfezione. Così san Basilio scrive molto chiara-
mente: «Non è un precetto esteriore che ci insegna ad amare Dio. Nel-
la natura stessa dell'essere vivente - voglio dire dell'uomo -, troviamo
inserito come un germe che contiene in sé il principio di questa atti-
tudine ad amare. È alla scuola dei comandamenti di Dio che spet-
ta raccogliere questo germe, coltivarlo diligentemente, nutrirlo con cu-
ra, e portarlo a sbocciare attraverso la grazia divina» 156 . Sant'Isacco
sottolinea che, in questo fiorire dell'amore in sé, l'uomo recupera la
sua natura originale, a cui, creato a immagine di Dio, egli era natu-
ralmente destinato e in cui si sforzava di rassomigliargli: «La compas-
sione157, quando vive nel tuo cuore, è in te l'icona della santa bellezza
a somiglianza della quale tu sei stato creato» 158. San Diadoco di Foti-
cea nota nello stesso senso che la carità, quando raggiunge la pienez-
za del suo sviluppo, <<rivela che l'immagine ha raggiunto totalmente la
bellezza della somiglianza.>>159.
151Lettere, I, 1.
152Omelie (Coli. Il), LVI, 3.
153 Regole brevi, 212.
154 Commento a san li.1.atteo, LIT, 5.
155 Lettere, 2.
156 Regole lunghe, 1.
157 Nome che sant'Isacco dà spesso alla carità.
158 Discorsi ascetici, 1.
159 Centuria, 89.
714
Questo ritorno dell'uomo ana sua natura originale, normale e sana,
nella carità, avviene attraverso l'ascesi teantropica in un processo di
conversione, secondo il quale l'uomo distoglie tutta la sua facoltà di
desiderio [o concupiscibile] e la sua potenza d'amore dal mondo in
cui, il peccato, pervertendola, l'aveva investita per rivolgerla verso Dio,
e
suo fine originale normale, e re-investirla in lui160 • Per questo san Gio-
vanni Climaco parla di «riportare» sul Signore l' am~re camale 161 • San
Massimo osserva che <<l'anima si serve della sua concupiscenza per sti-
molare il suo desiderio» di Dic162 • Egli parla «di avere volto comple-
tamente verso il divino» le passioni e i pensieri 163 e definisce la carità
una <<felice passione» 164 • E poi spiega: <<Passione d'amore biasimevo-
le, quella che impegna lo spirito nelle realtà materiali; passione d' a-
more lodevole, quella che l'unisce al divino. Infatti, in genere, quan-
do si sofferma su un oggetto, lo spirito è a suo agio, e là dove è a suo
agio, convergono il desiderio e l'amore; sia verso le realtà divine e spi-
rituali che gli sono proprie, sia verso le realtà e le passioni carnali»165 •
Poi egli insegna che se si esercita a lungo lo spirito ad astenersi dai pia-
ceri e a occuparsi nelle cose divine, «alla fine, ogni suo desiderio si vol-
gerà verso il divino»166 • Occorre aggiungere che, poiché la carità coin-
volge tutto l'essere dell'uomo, in verità essa è il risultato della conver-
sione di tutte le sue facoltà e «potenze». Per questo, san Massimo
osserva, che <<l'anima si serve della sua concupiscenza per stimolare
il desiderio», si serve anche «della sua potenza irascibile per difende-
re con amore l'oggetto delle sue ricerche>> 167 • Quanto al suo spirito, es-
so stesso deve volgersi verso Dio e tendere alla sua conoscenza, e pos-
sederla in una certa misura, poiché sia possibile la carità168 • Ecco per-
ché «la carità è il frutto della convergenza e dell'unione delle potenze
dell'anima - cioè razionale, irascibile e concupiscibile -, circa le cose
di Dio» 169 • Dopo aver ricordato le passioni principali, «che si raffar-
160 Vedi, oltre i testi citati infra: MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. II), V, 9. MAsSIMO IL CON-
FESSORE, Centurie sulla carità, I, 8; Questioni a Talassio, Prologo. GREGORIO DI NISSA, Omelie
sull'Ecclesiaste, VIII. ·
161 La Scala, V, 28. Cfr. XV, 2; XXVI, 34; XXX, 11.
162 Questioni a Talassio, 55, PG 90, 544A.
163 Centurie sulla carità, m, 68.
164 Ibid., 67. .
165 Ibid., 71.
166 Ibid., 72.
167 Questioni a Talassio, 55, PG 90, 544A.
168 Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 25. lsACCO IL SIRO, Discorsi asce-
tici, 16; 38. Sllvlf'ONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici; gnostici e pratici, I. 33.
169 Questioni a Talassio, 49, PG 449A.
715
zano per l'uso disordinato delle nostre potenze: razionale, irascibile
e di desiderio», san Massimo descrive chiaramente il processo di con-
versione totale da cui risulta la carità: «Occorreva che la ragione, in-
vece di ignorare Dio, portasse il suo movimento verso di lui attraver-
so la ricerca esclusiva della conoscenza; che il concupiscibile, purifi-
cato della filautia, dirigesse il suo desiderio solo verso Dio; che
l'irascibile, liberato dalla tirannia, intraprendesse a lottare per Dio so-
lo, e che fosse creata la divina e beata carità che si forma da essi e gra-
zie alla quale essi sono»170 • Questa conversione, ricordiai11olo, si rea-
lizza attraverso la pratica di tutti i comandamenti e ne appare come
uno dei principali finim.
A partire da ciò, possiamo vedere, come, nell'acquisto della carità
si realizzi la guarigione spirituale dell'uomo, e ciò a tutti i livelli, poi-
ché la carità coinvolge l'uomo in tutto il suo essere.
Ecco perché la carità appare come un rimedio fondamentale della
parte concupiscibile dell'anima e di tutte le passioni che le sono le-
gate172, come abbiamo già visto analizzando queste diverse passioni,
e perché si può considerarla insieme alla temperanza come la princi-
pale virtù del concupiscibile173 • Nella carità, infatti, l'uomo restitui-
sce alla sua facoltà concupiscibile e alla sua «potenza erotica» la loro
finalità normale, l'uso corrispondente alla loro natura e costitutivo del-
la loro salute.
Ecco perché essa appare anche come il principale rimedio della par-
te irascibile. San Massimo osserva che <<il precetto della carità» è «il
rimedio che il Signore ha dato per la parte irascibile dell'anima>>174 , ed
Evagrio scrive: <<La carità guarisce l'elemento irascibile»175 • Essa è cor-
relativamente la principale virtù dell'elemento irascibile, che corri-
sponde all'uso razionale176 , naturale, normale e sano di questa poten-
za fondamentale dell'anima. San Massimo sottolinea che, per mezzo
della carità, si dà alla parte irascibile dell'anima «ciò che le conviene>>177•
La carità è dunque, tutto sommato, il rimedio principale di tutte
170 Lettere 2
171 L'altro fue è, lo vedremo, la conoscenza di Dio.
172 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, IV, 75.
m Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89.
174 Centurie sulla carità, I, 66. Cfr. Il, 47; 70 (in questi due ultimi capitoli la carità è anche
considerata come <<rimedio»); N, 22; 75; 80; Discorso ascetico, 20. EVAGRIO PONTICO, Trattato
pratico sulla vita monastica, 38; Capitoli gnostici, ID, 35. TALASSIO, Centurie, I, 66.
175 Vedi anche Lettere, 19; Trattato pratico sulla vita monastica, 38.
176 MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, IV, 15.
177 Ibid., 44.
716
le passioni dell' a...nima, e di tutti i peccati che sono la loro manifesta-
zione. L'apostolo Pietro indica già questa cosa quando afferma che
«l'amore ricopre la moltitudine di peccati» (lPt 4,8), e san Giovanni
Crisostomo lo dice chiaramente: «E il rimedio delle nostre colpe»178 •
<<Le passioni dell'anima sono tagliate fuori dall'amore spirituale>> no-
tano Evagric179 e san Massimc1 80 , che aggiunge: «Se amiamo sincera-
mente Dio, la nostra stessa carità scaccia le nostre passioni>>181 • La stes-
sa osservazione vale per l'amore del prossimo. «Giunto alla carità e al-
la benevolenza verso il prossimo, eliminerai dalla tua anima ogni traccia
di passione>>, afferma san Massimo 182 • E sant'Isacco il Siro dice: <<!;uo-
mo compassionevole è il medico della propria anima. Come sotto un
vento violento, egli scaccia dall'interno di sé le tenebre delle passioni>>183 •
In cima a tutte le passioni da cui l'uomo è guarito dalla carità, c'è
la filautia che le è direttamente opposta. Così come la carità può es-
sere definita la madre di tutte le virtù, la filautia, lo abbiamo visto, è
considerata dai Padri come la madre di tutte le passioni. Da questo
punto di vista, guarendo l'uomo dalla filautia, la carità lo guarisce
anche da tutte le passioni che essa contiene, come spiega san Massi-
mo: <<Facendo scomparire la filautia per mezzo della carità, colui che
si mostra degno di Dio fa scomparire nello stesso tempo la folla dei vi-
zi che dopo di essa non ha altro fondamento né altra causa per esi-
stere»184 •
Una volta che l'uomo possiede la carità perfetta, in lui non vi è
più alcuna passione, perché, lo abbiamo visto, la carità non può coe-
sistere con nessuna forma di attaccamento al mondo e a se stessi. Tut-
te le potenze e le facoltà dell'uomo si trovano investite in Dio, e più
nessuna delle loro energie è perciò disponibile per qualche altro og-
getto. «Se tu ami Dio in modo autentico e rimani nel suo amore,
scrive san Simeone il Nuovo Teologo, non ti dominerà mai passione
alcuna, né la costrizione del corpo ti ridurrà alla sua mercè. Infatti, co-
me il corpo non può muoversi verso nulla senza l'anima, così l'anima
unita a Dio per mezzo dell'amore non potrà essere trascinata verso i
piaceri e gli appetiti del corpo, nemmeno verso alcun desiderio per
178 Omelie sulla lettera a Tito, VI, 3. Cfr. Omelie su 2 Timoteo, VII, 1.
179 Trattato pratico sulla vita monastica, 35.
180 Centurie sulla carità, I, 64. Cfr. 65; ID, 39, 43; IV, 57; 61; 79; 86; Questioni a Talassio, Pro-
re, 2.
189 GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Giovanni, LXXVII, 1.
190 Cfr. Col 3,14. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, IV, 545-548. MAssIMO IL CON-
FESSORE, Lettere, 2.
191 Cfr. lCor 13,1-3. IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, V, 12, 1. MASSIMO IL CONFESSORE,
Centurie sulla· carità, I, 54.
192 Cfr. Col3,14. MACARIO D'EGITTO, Capitoli parafrasati, 13. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO,
Trattati etici, Iv, 524-541. ·
193 Cfr.·SJ,MEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, Iv, 485-526 .
718
gono i suoi membri l'un9 contro l'altro, distruggendo così in questa
natura e in ciascuno dei suoi membri, solidali con tutti gli altri, l' ar-
monia voluta da Dio, la carità pone fine a tutte le dispute, litigi, di-
scordie, dissensi, rivalità, gelosie, invidie, inimicizie, violenze ... 197 , e
ristabilisce questa armonia; accompagnandola con una pace profon-
da198. In realtà, <<la carità lega a Dio e gli uni agli altri coloro che ama-
no»199 e «unifica tutti gli uomini in un solo corpo»200 • «Unificare per
mezzo della vera fede e dell'amore spirituale colui che il vizio ha get-
tato in molte divisioni, ecco il disegno della Provvidenza divina», scri-
ve san Massimc2°1. Ora è attraverso la carità che, «come tutti abbia-
mo un'unica natura, così possiamo avere un solo sentimento e una
sola volontà nei riguardi di Dio e gli uni per gli altri, senza che nulla
venga ad allontanarci da Dio o gli uni dagli altri>>202 • Mentre agiva sot-
to le passioni, ogni uomo aveva l'unica preoccupazione di affermare
la sua individualità e di far ammettere la sua sedicente superiorità,
ponendosi in opposizione agli altri, «attraverso di essa, spiega san
Massimo, ciascuno si disfà deliberatamente di sé separandosi dalle
nozioni e dalle particoiarità che ciascuno concepisce da sé nel suo spi-
rito, e va a unirsi in una sola semplicità e identità attraverso la quale
nessuno possiede più nulla che lo distingue da ciò che è comune, ma
in cui ciascuno è per ciascuno, tutti per tutti e per Dio più che gli uni
per gli altri>>203 • Occorre notare che, se la carità <<livella e appiana ogni
ineguaglianza e differenza di sentimento»204 , ciò non è a detrimento
della personalità di ciascuno. Sono la filautia e le passioni, al con-
trario, che, facendo credere all'uomo che egli si afferma e si realizza
attraverso di esse, lo distruggono. Infatti l'uomo non può realizzarsi
veramente se non in relazioni armoniche con il suo prossimo fonda-
te in Dio, il che si compie solo per mezzo della carità. E allora cia-
scuno, cessando di affermarsi come individuo, e per ciò stesso di op-
porsi al prossimo e a Dio, può affermarsi come persona, o piuttosto
essere affermato e valorizzato dal prossimo nella relazione d'amore
che lo unisce ad esso. È in questo senso che san Massimo precisa che
197 Vedi per esempio GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera a Tito, IV, 2; Commento
al Salmo 142.
198 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su 2 Timoteo, VII, l; Commento al Salmo 142.
199 TALASSIO, Centurie, I, l. MASSIMO IL CONFESSORE, Lettere, 2.
200 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia sulla perfetta carità, 2.
201 Centurie sulla carità, IV, 17.
202 fu., Lettere, 2.
203 Ibid.
204 Ibid.
719
è la carità «che conduce a questa lodevole ineguaglianza per mezzo
della quale ciascuno attira a sé deliberatamente il prossimo e lo pre-
ferisce a se stesso, mentre prima era spinto ad allontanarlo e a farsi
avanri>>205.
La filautia genera una misconoscenza e persino un'ignoranza del
prossimo, spesso riducendolo a un oggetto da far proprio o da scar-
tare. Essa aveva del prossimo una conoscenza solo esteriore, superfi7
ciale, e anche, lo abbiamo visto, falsa cioè delirante. La carità, al con-
trario, conosce ogni persona nella sua realtà più autentica e più profon-
da. I rapporti tra gli uomini ritrovano tutto il loro significato e la loro
profondità. Mentre la filautia aveva reso gli uomini estranei gli uni agli
altri, la carità ristabilisce tra loro relazioni di prossimità: la carità fa
dell'altro veramente il prossimo di ciascuno. È per questo che san Mas-
simo scrive: «Avendo [nella carità] una stessa anima, gli uomini co-
noscono i cuori gli uni degli altri»206 .
205 Ibid.
206 Ibid., 25.
wi Regole brevi, 172.
208 Lettere 61
209 Istruzi;ni ;pirituali, IV, 60.
210 Discorso molto utile su Abba Filemone.
211 Antologia, 32.
212 Quale ricco può essere salvato?, 29.
720
gli procura la carità214 • Egli la prova anche attraverso la gioia profon-
da che accompagna la carità215 •
Più profondamente, la carità per l'uomo è la fonte principale della
vera vita216 • «Cos'è che rende gli uomini veramente vivi, si chiede san
Nicola Cabasilas, se non la carità?»217 • È lo stesso Cristo che ci inse-
gna: «Fa' questo e vivrai», dice dopo aver dato il comandamento
dell'amore di Dio e del prossimo (Le 10,28). Da questo punto di vista,
il secondo comandamento è tanto importante quanto il primo: «Noi
sappiamo di essere passati dalla morte alla vita perché amiamo i fra-
telli», precisa, infatti, l'apostolo san Giovanni (lGv 3,14). E non è una
vita passeggera che viene qui ricordata, ma è proprio la vita eterna che
dà la carità218 •
In verità, la carità è per l'uomo il principio219 e la fine 220 di ogni
bene. In essa, sottolineano i Padri seguendo san Paolo (cfr. Col 3 ,14),
l'uomo può trovare la perfezione221 alla quale egli è chiamato. La ca-
rità, infatti, unisce l'uomo a Dio222 e fa abitare in lui la Santissima
Trinità223 • «Se qualcuno mi ama», dice Gesù Cristo, «osserverà la
mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e faremo dimora
presso di lui>> (Gv 14,23). Ciò è vero per quanto riguarda l'amore di
Dio ma lo è anche per l'amore del prossimo: «Se ci amiamo gli uni gli
altri Dio rimane in noi» (lGv 4,12). «Chi rimane nell'amore rimane
in Dio e Dio rimane in lui>>, dice ancora l'apostolo san Giovanni (1 Gv
4,16). Ecco perché sant'Isacco scrive: «Quando giungiamo all'amore,
siamo giunti a Dio»224 • Se «colui che possiede la carità possiede Dio»,
214 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Mosè, 18d. !SACCO IL SIRO, Lettere, 4. GIOVANNI CRISO-
STOMO, Omelia sulla perfetta carità, 2. NICETA STETATOS, Centurie, II, 2. MASSIMO IL CONFES-
SORE, Centurie sulla carità, II, 36.
215 Cfr. Lettera di Barnaba!, 6. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXX, 16; 17. lsACCO IL SIRO,
MO IL CONFESSORE, Lettere, 2.
219 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla perfetta carità, 1.
22°Cfr. MAsSlMO IL CONFESSORE, Lettere, 2. ELIA EcDICO, Antologia, 2.
221 Cfr. CLEMENTE DI ROMA, Lettera ai Corinzi, 49, 5. ORIGENE, Omelie sul Cantico dei Can-
tici, PG 13, 101. lRENEo DI LIONE, Contro le eresie, IV, 12, 2. CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Stro-
mata, N, 7. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, I, 6; XV, 2. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giob-
be, XXVIII, 22. DIADOCO DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici, 89; 90. lsACCO IL SIRO, Discorsi
ascetici, l; 81; 85; Lettere, 4. MAsSIMO IL CONFESSORE, Lettere, 2. GIOVANNI DAMASCENO, Ome-
lia sulla Trasfigurazione, 10. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), XXVI, 16; XL, 2.
222 Cfr. CLEMENTE DI ROMA, Lettera ai Corinzi, 49, 5. DIONIGI L'AREOPAGITA, Sui Nomi di-
vini, IV, 13, PG 3, 712B (sul potere unitivo della carità, vedi 12, PG 3, 709C; 15, PG 3, 713B).
MAssIMO IL CONFESSORE, Lettere, 2. TALASSIO, Centurie, I, 1.
223 Cfr. NICETA STETATOS, Centurie, Il, 2.
224 Discorsi ascetici, 72.
721
come dice san Massimo, è perché, secondo la parola di san Giovanni,
«Dio è amore» (lGv 4,8.16) 225 •
Poiché Dio è amore, colui che ama si rende simile a Dio226 , e ciò tan-
to più quanto più è perfetta la sua carità. Amando Dio, «diveniamo in
certo senso ciò che egli è», afferma san Gregorio di Nissa227 • San Mas-
simo scrive più arditamente: «La carità è dunque un grande bene, il
primo dei beni, il bene supremo, essa tende a far sembrare un uomo
come il creatore degli uomini per l'esatta somiglianza nel bene con
Dio, per quanto possibile a un uomo»228 •
In altre parole, la carità deifica l'uomo, e questa più di ogni altra
virtù, poiché «Dio è amore>>. San Massimo scrive: <<ln verità non vi è
nulla di più deiforme della divina carità [...], nulla che elevi di più gli
uomini alla deificazione»229 ; «essa unisce a Dio e fa apparire dio co-
lui che ama Dio»230; perfeziona la natura umana fino a <<farla appari-
re nell'unità e nell'identità con la natura divina nella grazia>>231 • Deifi-
ca l'uomo per se stessa, in quanto fa partecipare colui che la possie-
de a una qualità divina232 , la prima di tutte, ma anche per tutte le virtù
che essa suppone, contiene e genera: <<Da essa e per essa>>, scrive san
Massimo, «è formata la grazia della carità che conduce, deificato, ver-
so Dio l'uomo che egli ha creato»233 • Ecco perché la carità fa parteci-
pare l'uomo a tutte le virtù o energie divine, e, come dice san Diado-
co di Foticea, <<la carità unisce l'anima alle virtù stesse di Dio»234 •
San Massimo termina così la sua Lettera 2, dedicata alla carità,
con un inno alla virtù in generale, a Dio che la dona e all'uomo che
Dio deifica per mezzo di essa: «A me sembra che sia una sola e me-
desima cosa lodarvi, voi e la virtù, lodare Dio che vi gratifica dello
splendore della virtù che, per grazia, vi deifica in Dio facendo scom-
parire i segni distintivi propri dell'uomo, e nello stesso tempo rende
in voi Dio uomo per condiscendenza; dandovi la possibilità di assu-
mere in voi, per quanto è possibile all'uomo, le proprietà divine».
225 MASSIMO Il.. CONFESSORE, Centurie sulla carità, Iv, 100; Lettere, 2.
226 Cfr. GIOVANNI CrlMAco, La Scala, XXX, 7. DIADOCO DA FOTICEA, Cento capitoli gnosti-
ci, 4; 89.
227 Omelie sull'Ecclesiaste, VIII.
228 Lettere, 2. Cfr. Centurie sulla carità, ill, 25.
229 Lettere 2
230 Ibid. ' .
231 Ambigua, 41, PG 91, 1308B. Cfr. CLEMENTE D'ALEssANDRIA, Quale ricco può essere sal-
vato?, 27.
232 MAsSIMO Il.. CONFESSORE, Lettere, 2.
233 Ibid.
234 Cento capitoli gnostici, 1.
722
III
LA CONOSCENZA
1. Introduzione
1 Assimiliamo qui la theoria alla gnosis; esse hanno infatti acquisito nell'ambito della spiri-
tualità cristiana significati quasi equivalenti (vedi a questo proposito]. LE.\1A1TRE [pseudonimo
di I. Hausherr], «Contemplation chez les orientaux chrétiens», in Dictionnaire de spiritualité,
t. I, 1953, coll. 1762s). Poiché vi sono, come vedremo, molti gradi di conoscenza/contempla-
zione, saremo condotti in seguito, per comodità, a distinguerli usando termini diversi, mentre i
Padri lo fanno ognuno a modo suo, essendo gli schemi a questo riguardo molteplici, pur corri-
spondendo l'uno all'altro.
2 Omelie (Coli. II), LIII, 4.
724
coma..ridamenri.>> 15 • San Marco l'Eremita scrive: «Là conoscenza non
è ancora sicura se non si concretizza nelle opere proprie, anche se
essa è reale, perché la praxis è l'affermazione di ogni cosa»16 • San Gio-
vanni Carpazio osserva, nella stessa prospettiva, che «la conoscenza
più vera è la praxiS>> ed egli consiglia: «Sforzatevi dunque di dare si-
gnificato con le opere alla fede e alla conoscenza. Infatti colui che, de-
dicatosi solo alla conoscenza, è stato accecato, si sentirà dire: "Essi
professano bensì di conoscere Dio, ma con le loro opere lo negano"
(Tt 1,16)»17 •
Il fatto che la conoscenza/contemplazione sia fondata sulla praxis
riguarda il carattere specifico della conoscenza spirituale, che non ha
nulla in comune con alcuna conoscenza mondana di qualunque natu-
ra essa sia, fosse anche quella delle «sapienze» (cfr. 1Cor 1,19-25). Que-
sta opposizione tra la conoscenza spirituale e la conoscenza secondo
questo mondo è sottolineata da san Paolo (cfr. 1Cor 1,19-25; 2,4-13;
8,2), e dai Padri 18, che mettono in guardia contro il rischio di scam-
biare per conoscenza/contemplazione spirituale ciò che non lo è, e che
essi chiamano spesso «conoscenza semplice» (l6gos phil6s) 19 • Questi
ultimi fanno spesso notare che molti, compresi i credenti, i teologi, e
i più avanzati nella vita spirituale, s'illudono nel credere di possedere
una tale conoscenza mentre non ne hanno in verità che una pseudo-
conoscenza (pseudonjmos gn8sis, gnòsis pseudès, pseudognosia) 20 , una
conoscenza immaginaria21 , e non sono che degli <<ignoranti nella co-
noscenza>>22. Allo stesso modo molti credono di avere raggiunto la ve-
ra contemplazione, mentre contemplano solo alla maniera dei demo-
ni23 e la loro contemplazione ha per oggetto solo i fantasmi che essi
stessi hanno suscitatc24 e i concetti che la loro ragione ha prodotto. La
conoscenza spirituale è ali' opposto delle investigazioni dell'intelligen-
lassio, 31, PG 90, 372A. MARCO L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le lo-
ro opere, 7; 11.
2°Cfr. lTm 6,20. EVAGRIO PONTICO, Ai monaci, 43. ISACCO IL SIRO, Lettere, 4. SIMEONE IL
Nuovo TEOLOGO, Trattati teologici, I, 271s; Trattati etici, l, 184-185; IX, 105-106. GREGORIO
PALAMAS, Triadi, I, 1, 2; 12.
21 Cfr. ISACCO IL SIRO, Lettere, 4.
22 EVAGRIO PONTICO, Lettere, 62.
23 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, VI, 2.
24 Cfr. lsACCO IL SIRO, Lettere, 4.
725
za, che cerca di soddisfare la propria curiosità25 • Essa non è il frutto
· dello studio né di una qualsiasi ricerca; essa non procede dalla spe-
culazione intellettuale. Essa non è il frutto della riflessione. Non è nem-
meno una conoscenza concettuale e teorica. San Simeone il Nuovo
Teologo, per esempio, denuncia la «stupidità>> e l' «accecamento» cli
coloro che «suppongono in modo insensato» che essa «sia identica al-
1' elaborazione di concetti prodotti dal loro pensiero»26 • Lungi dall'i-
dentificarsi con una qnalsiasi forma di conoscenza mondana, la cono-
scenza ~pirituale implica che vi si rinunci, che si escluda ogni sapien-
za di questo monda27 • Sant'Isacco il Siro così scrive a questo riguardo:
«Credi tu veramente che colui che ha la conoscenza del mondo possa
ricevere una tale conoscenza spirituale? Non solo gli è impossibile
ricevere in tale condizione la conoscenza spirituale, ma non può nem-
meno sentirla[ ... ]. Non è possibile che essa sia data a coloro che si
sforzano di acquistarla solo per mezzo dello studio. Se alcuni tra lo-
ro vogliono avvicinarsi a questa conoscenza dello Spirito, non posso-
no farlo neanche per poco, fintanto che non hanno rinunciato allo stu-
dio, ai raggiri sottili della sua ricerca, alle complessità del suo metodo,
e non conservano un cuore di bambino. I: abitudine e i pensieri che lo
studio genera sono un grande impedimento, fintanto che non sono sta-
ti cancellati .a poco a poco. Infatti la conoscenza spirituale è semplice
[. .. ].Fintanto che l'intelligenza non è stata liberata dai numerosi pen-
sieri, fintanto _che non ha raggiunto la semplicità della purezza, essa
non può percepire la conoscenza spirituale»28 •
Si comprende, così, perché una tale conoscenza non suppone al-
cuna particolare qualificazione intellettuale né è riservata solo a qual-
che iniziato29 : per accedervi <<la sapienza dei saggi» è inutile, e «nulla
l'intelligenza degli intelligenti» (dr. lCor 1,19ss.). Essa può essere rag-
giunta da analfabeti30 , spesso più adatti ad accedervi di coloro che, se-
dotti dalle proprie capacità intellettuali, s'impegolano nel campo
gli altri sarebbero "psichici", nel Logos stesso, tutti coloro che hanno deposto i desideri della
carne sono tutti uguali, tutti "pneumatici" agli occhi del Signore>> (Il Pedagogo, I, VI, 31, 2). Cfr.
ibid., 33, 3. .
" Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Arsenio, 6. GIUSTINO, Apologia prima, 60. NICETA STE-
TATOS, Vita di Simeone il Nuovo Teologo, 135. Ricordiamo che negli Atti i santi apostoli Pietro
e Giovanni sono definiti <<Uomini illetterati e semplici» (At 4,13 ).
726
della pseudo-conoscenza. Essa si rivela a tutti coloro che, nel timore
di Dio e nella pratica dei comandamenti in una vita di ascesi, hanno
raggiunto la purezza, la semplicità e l'umiltà del cuore3 1• Vi è, del re-
sto, un legame molto stretto tra la vera conoscenza/contemplazione
e l'umiltà, mentre, al contrario la pseudo-conoscenza appare legata al-
!'orgoglio, da cui essa procede e che accresce (cfr. 1Cor 8,1) 32 •
Se tutti possono a priori accedere alla conoscenza/contemplazione,
non è perché essa è relativa alle capacità intellettuali dell'uomo, ma è,
a gradi diversi come vedremo e sempre in una certa misura, un dono
di Dio, una rivelazione dello Spirito Santo33 • Tuttavia, ricevono que-
sto dono solo coloro che con l'ascesi teantropica se ne sono resi de-
gni, perché lo Spirito si rivela solo ai puri di cuore3 4 • Ecco perché una
delle principali condizioni per l'accesso alla conoscenza/contempla-
zione è l'impassibilità35 .·Essa suppone correlativamente il possesso di
tutte·le virtù (essa ne è, dice Evagrio, <<il frutto» 36) e in primissimo luo-
go della carità, che è l'altra condizione principale per riceverla37 •
Si comprende, allora, come la conoscenza spirituale non sia una co-
noscenza teorica, ma una conoscenza sperimentale38 , non solo per-
ché è una conoscenza intuitiva che mette l'uomo direttamente in con-
tatto con ciò che egli conosce, ma anche e soprattutto perché è fon-
data sulla totalità dell'esperienza spirituale dell'uomo39 , e l'uomo vi fa
l'esperienza della grazia40 che l'informa, e persino, a un livello supe-
riore, la costituisce.
31 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, III, 22.
'2 Cfr. ID., Trattati etici, 1, 27ls; Trattati etici, I, 12, 184-185.
;; Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, IV, 40; Lettere, 62. lsACCO IL SIRO, Discorsi asce-
tici, 37. MACARIO D'EGITTO, Capitoli parafrasati, 80; 101. GREGORIO DI NAZIANZO, Discorsi, III,
7. GIUSTINO, Apologia prima, 60. Cfr. lCor 2,4-5. MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talas-
sio, 54, PG 90,512B; 65, PG 90, 737A.
34 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, I, 271s; I, 12, 184-185. ATANASIO D'A-
LESSANDRIA, Sull'Incarnazione del Verbo, 57. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 19.
' 5 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 85-86.
36 Trattato pratico sulla vita monastica, 90.
37 Cfr. lCor 2,9. EvAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, Prologo, 8; Lettere,
727
zione naturale (physichè theorfa); il grado superiore è costituito dalla
contemplazione/conoscenza di Dio (spesso chiamata theologfa, il ter-
mine <<teologia» ha qui un'accezione radicalmente diversa da quella
assunta in Occidente)41 • L'accesso a questo secondo grado, la cui na-
tura differisce considerevolmente da quella del primo e che si situa
molto al di sopra di esso, esige che l'uomo abbia acquisito nell'ascesi
teantropica, come per giungere al primo, la purezza dell'impassibi-
lità e la totalità delle virtù, al primo posto delle quali vi è la carità,
ma in modo preminente, in altre parole che egli abbia raggiunto,
nell'unione con Dio, un più alto grado di perfezione.
2. La contemplazione naturale
trina del Cristo nostro Salvatore, che si compone della praxis, della fisica e della teologia>> (Trat-
tato pratico sulla vita monastica, l). Lo stesso altrove afferma: <<La scienza della nostra salvezza
è costituita da queste tre cose>> (Capitoli gnostici, I, 10). Questa suddivisione, che si trova già in
Clemente d'Alessandria (Stromata, I, 28) e in Origine (Omelie sul Cantico dei Cantici, Prologo)
è stata ripresa da san Massimo il Confessore ed è diventata classica nella spiritualità ortodossa.
Un buon numero di scritti ascetici s'intitola Centurie (o Capitoli) pratiche (o etiche),/isiche e teo-
logiche (o gnostiche). Secondo la classificazione di Evagrio Pontico, physikè theoria e theologia
(o physiké e theologike) costituiscono insieme la gnostiké (cfr. Trattato pratico sulla vita mona-
stica, Prologo, 9), il che ci rimanda allo schema bipartito prtixis (o praktiké) e theoria (o gno-
sis), schema egualmente diventato classico (la Filocalia lo riprende nel suo stesso titolo). Su que-
sto schema, sulle sue origini e sui suoi significati precedenti, vedi A. e C. GUILLAUMONT, intro-
duzione a EVAGRE LE PONTIQUE, Traité pratique, SC 170, pp. 38s.
42 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, Prologo 8: <<La carità è la por-
turie sulla carità, I, 87. lsACCO IL SIR.O, Lettere, 4. GREGORIO DI NISSA, Vita di Mosè, II, 154; 169.
Essa è chiamata con diversi nomi: gn8sis physiké, physiké, gn8sis ton 6nt8n (Sap 7,17), theoria
ton 6nt8n, theoria ton gegon6t8n.
44 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, I, 27; 74. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie
728
Giudizio divino nella creazione46 , come anche del senso profondo e
nascosto delle Sacre Scritture47 .
L'uomo è elevato in questi gradi di contemplazione naturale pro-
porzionalmente al grado di purezza e di perfezione nella virtù che egli
ha raggiunto attraverso il faticoso lavoro della praxis48 • A ogni tappa
che egli raggiunge, Dio gli concede, senza che se lo aspetti, e senza che
la ricerchi, la conoscenza corrispondente49.
In ogni caso, la conoscenza/contemplazione naturale consiste nel"
la conoscenza/contemplazione dei l6goi degli esserr0, cioè delle loro
ragioni spirituali nascoste5 1, della loro essenza spirituale52 , del loro prin-
cipio, della loro causa53 e del loro fine in Dio54 , del loro senso spiri-
tuale55, di ciò che costituisce il loro rapporto con Dio, delle energie di-
vine alle quali essi partecipano56 , del marchio che il Creatore ha la-
sciato in essi57 . Sono questi i l6goi degli esseri creati che l'Apostolo
ricorda quando parla delle «perfezioni invisibili di Dio», della «sua
p'otenza eterna» e della «sua divinità» «dopo la creazione del mon-
do, che si rendono visibili all'intelligenza mediante le opere da lui fat-
te» (Rm 1,20), e che permettono all'uomo privo di passioni di perce-
pire Dio attraverso la creazione58• Sono questi stessi l6goi, che egli ri-
corda, secondo Evagrio, quando parla «della multiforme sapienza
divina» (E/3,10) che Dio ha messo negli esseri59 . È per questo che,
46 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, I, 27; Commento ai Salmi, PG 12, 1661C.
47 Cfr. lsACCO IL SIRO, Lettere 4. MAsswo IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 32, PG 90,
372BC; 65, PG 90, 745D.
48 Cfr. M.ASSTh10 IL CONFESSORE, loc. cit., 47; 65, PG 90, 737A.
49 Cfr. ID., Centurie sulla teologia e sull'economia, I, 16; Centurie sulla carità, I, 95.
5° Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, I, 10; IV, 40. MAsswo IL CONFESSORE, Centurie
sulla carità, I, 98-99. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati teologici, I, 197-198. NICETA STE-
TATOS, Centurie, Il, 67; III, 43.
5' Cfr. MAsswo IL. CONFESSORE, Ambigua, 10, PG 91, 1116D; Questioni a Talassio, 32, PG
90, 372BC.
52 Precisiamo ogni volta <<Spirituale>>, perché, come sottolinea san Massimo il Confessore,
questi l6goi hanno una natura diversa dai <<16goi fisici delle cose>>, dallà loro essenza, dalla loro
definizione, dalla loro forma nel senso aristotelico del termine; questi ultimi l6goi sono ancora
la <<Superficie>> delle cose (Questioni a Talassio, 65, 744D-745D).
53 Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 98-99; Questioni a Talassio, 13, PG
90, 293D-296A.
54 Cfr. ID., Questioni a Talassio, 13, PG 90, 293D-296A; 32, PG 90, 372BA.
55 Cfr. ID., Centurie sulla carità, I, 98.
56 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Omelie sulle Beatitudini, VI, 3.
57 CTr. ID., Sull'Hexaemeron, PG 44, 73A.
58 Cfr. ATANASIO n'Al.EsSANDRIA, Sull'Incarnazione del Verbo, 12.
59 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, IV, 7. È spesso in quest'ultimo modo che i Pa-
dri evocano i l6goi, come san Massimo il Confessore, che parla di essi come «della sapienza di-
vina invisibilmente intima alle creature>> (Questioni a Talassio, 51, PG 90, 481C); poiché la co-
noscenza che l'uomo ne ha è correlativamente qualificata come <<Sapienza>>, il termine gnasis in-
dica allora la conoscenza di Dio.
729
con sant'Isacco il Siro, si può definire la contemplazione naturale co-
me <<la sensazione dei misteri divini nascosti nelle cose e nelle cause»60 •
730
mezzo dei visibili è scienza spirituale e intelligenza dei visibili attra-
verso gli invisibili>>64 •
Si vede, allora, tutto quello che separa la percezione della realtà che
possiede colui che è adatto alla conoscenza/contemplazione naturale
da quella che ha l'uomo decaduto. Fintanto che l'uomo rimane sotto-
messo alle passioni, resta schiavo della realtà sensibile, la sola che co-
stituisce l'oggetto della sua percezione. Esaminando le passioni, ab-
biamo mostrato come, sotto l'influsso di queste, l'uomo non solo non
considera altro che l'aspetto superficiale e visibile delle cose65 e per-
cepisce il mondo come una realtà chiusa in se stessa, non rinviando a
null'altro che a se stessa, ma ne ha per di più e in conseguenza una co-
noscenza totalmente falsata, una conoscenza che abbiamo persino po-
tuto a più riprese definire delirante. Fintanto che l'uomo non è libe-
rato dalle passioni, percepisce e conosce gli esseri in funzione delle
passioni che sono in lui; egli entra in relazione con essi secondo un
modo, determinato da queste passioni, che ne fa esclusivamente per
le stesse passioni oggetti di godimento. Ricordando questa afferma-
zione di san Gregorio Nazianzeno che <<la carne è una nebbia e un ve-
lo», san Massimo spiega: <<La nebbia è la passione carnale che ottene-
bra la facoltà dominante dell'anima, il velo è l'illusione prodotta dai
sensi che fissa l'attenzione dell'anima sulle apparenze superficiali de-
gli oggetti sensibili e sbarra il passaggio àlle intelligibili. Di conseguenza,
avviene che essa dimentica i beni naturali ed esercita tutta la sua atti-
vità sui sensibili, per trovarvi eccitazioni, bramosie e piaceri sconve-
nienti>>66. Il raggiungimento dell'impassibilità porta alla soppressione
di questa barriera che arrestava <<il movimento dello spirito attraver-
so i sensi verso gli intelligibili>>67 , che impediva allo spirito di perce-
pire attraverso gli esseri sensibili-le energie divine, alle quali essi par-
tecipano, e teneva lo stesso spirito inchiodato all' «aspetto superficia-
le e visibile delle cose»68; il raggiungimento dell'impassibilità segna così
la fine delle relazioni perverse che, di conseguenza, l'uomo intratte-
neva con esse. Coloro che hanno raggiunto questo stadio della cono-
scenza/contemplazione naturale, perché sono impassibili, hanno, co-
me afferma san Massimo, «rifiutato completamente la sensazione con
i sensibili quanto alla relazione attuale esistente nelle disposizioni>> 69,
64 Mistagogia, 2.
65 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 49, PG 90, 452AB.
66 Ambigua, 10, PG 91, 1112AB.
67 MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 49, PG 90, 452B.
68 Ibid.
69 Ambigua, 10, PG 91, 1193D.
731
cioè quanto alle passioni. I.:uomo, allora, non percepisce più gli esse-
ri, relativamente al piacere che, secondo le sue passioni, egli può trar-
ne o al dolore che, secondo queste stesse passioni, egli può subirne,
ma «concepisce di tutte le cose pensieri puri>>7°. Egli non le coglie più
nel loro aspetto esteriore, sensibile e superficiale71 , ma le percepisce
nella realtà e nel significato profondi, che esse hanno in rapporto a
Dio. «Liberato da ogni errore»72 , accede alla conoscenza vera di tutti
gli esseri, la quale gli rivela un mondo nuovo, molto diverso da quel-
lo, fantasmatico, suscitato dalle sue passioni. «Lo spirito che si è spo-
gliato delle passioni e vede ie intellezioni degli esseri non riceve vera-
mente i simulacri che (arrivano) attraverso i sensi; ma è come se un al-
tro mondo fosse creato dalla sua conoscenza>>, osserva Evagria73 • «Colui
che ricerca impassibilmente trova nella contemplazione naturale la ve-
rità che è al centro degli esseri», scrive lo scoliaste delle Questioni a
Talassia74; e anche san Massimo afferma che egli conosce <<il vero si-
gnificato degli esseri>>75 e <<Vede le cose secondo la loro natura>>7 6 • Eva-
grio definisce questa tappa in maniera simile come <<l'impassibilità del-
!' anima accompagnata dalla conoscenza vera degli esseri»77 • Forte di
questa conoscenza e dando più importanza a queste <<ragioni nasco-
ste sotto le apparenze>> che alle <dorme appare..'1.ti>> degli esseri78, l'uo-
mo si comporta riguardo alle creature e riguardo a Dio come si deve.
«Colui che pratica alla perfezione le virtù e ha acquisito il tesoro del-
la conoscenza vede ormai le cose secondo la loro natura e, di conse-
guenza, agisce e pensa sempre secondo un retto giudizio, senza mai
ingannarsi», scrive san Massima79 •
Percependo tutte le creature nella loro relazione con il Creatore,
l'uomo diviene allora capace di una scelta totale della realtà che pri-
ma conosceva solo in parte8°, e di una visione unificata del mondo che
prima egli percepiva come diviso81 • Facendo così, afferma san Massi-
mo, l'uomo realizza il compito che Dio gli aveva affidato creandolo,
732
cioè quello di realizzare in sé l'unione con Dio, l'unificazione della
creazione, «ren[dendo] la creazione visibile completamente indivisa
in se stessa>>82 , e «unendo inoltre gli intelligibili e i sensibili, ren[den-
do] una tutta la creazione, non più divisa per lui secondo conoscen-
za e ignoranza, perché la sua conoscenza gnostica dei l6goi nelle cose
sarà divenuta indefettibilmente uguale a quella degli angeli»83 •
VANNI CLl:MAco, La Scala, xxv, 38. NICETA STETATOS, Centurie, II, 35; 39. Cfr. SIMEONE IL Nuo-
vo TEOLOGO, Trattati etici, IX, 443s.
733
vanrii Crisostomo il quale osserva: «Nessuno si conosce più perfetta-
mente di colui che crede di essere un nùlla»94 • I Padri fanno apparire
la penitenza e l'umiltà come la condizione sine qua n.on della cono-
scenza autentica di sé fino alle alte sfere spirituali95 • Avendo così «una
corretta conoscenza del [suo] stato»96 , l'uomo «conosce anche le altre
creature che Dio ha tratto dal nulla.>>97 , e «conosce egualmente l'eco-
nomia della salvezza realizzata dal Creatore, e tutto ciò egli ha fatto
per le sue creature»98 •
Chiave per la conoscenza degli esseri creati, la conoscenza di sé lo
è anche per la conoscenza di Dio. «Chi conosce se stesso conosce
anche Dio», scrive sant' Antonio l'Eremita99 • L'uomo, infatti, mentre
accede alla conoscenza della sua essenza come essere creato a imma-
gine di Dio, accede alla conoscenza del suo Creatore in quanto tale,
e della sua Provvidenza, percependo che egli lo ha tratto dal nulla, ma
anche che egli lo ha, come la natura che gli ha dato creandolo, reso
adatto ad essere deificato per grazia. Egli lo riconosce come suo Sal-
vatore, tanto più che correlativamente egli ha una chiara conoscenza
della sua debolezza, della sua miseria e del suo nulla spirituale.
La conoscenza di sé dà un accesso più facile e più diretto sia alla
conoscenza/contemplazione di Dio che alla conoscenza delle creatu-
re, come fa notare san Basilio: <<ll cielo e la terra sono meno adatti a
farci conoscere Dio di quanto lo è la nostra costituzione, per colui che
si esamina con intelligenza. È ciò che dice il profeta: "Stupenda è
per me la tua conoscenza" (Sal 139[138],6)»100 • Infatti, l'uomo è la so-
la tra tutte le creature che sia costituita a immagine di Dio. Avendo
raggiunto la purezza dell'impassibilità, il suo spirito è capace di per-
cepire chiaramente in sé questa immagine di Dio, di vedere così in sé
come un riflesso di Dio, di vedere Dio come in uno specchio (cfr. lCor
13,12), e ciò tanto più in quanto, attraverso l'acquisizione delle virtù,
egli possiede inoltre la somiglianza con Dio. L'anima, scrive san Gre-
gorio di Nissa, «se si libera dall'agitazione delle pa,ssioni, ritorna in
sé e si conosce nella sua vera natura>>; «contemplerà allora il Model-
lo per la propria bellezza come in uno specchio e un'immagine>>101 • Al-
734
trove, egli spiega: «L'uomo interiore, il cuore, [...] una volta liberato
della ruggine che sporcava la sua bellezza, ritroverà l'immagine origi-
nale. Così l'uomo, guardandosi, vedrà in sé Colui che egli cerca. Ed
ecco la gioia suprema che riempie il suo cuore purificato: guarda la
propria purezza e scopre nell'immagine il Modello. Quando si guar-
da il sole in uno specchio, anche senza alzare gli occhi verso il cielo, si
vede il sole nello splendore dello specchio, ugualmente bene come
se si guardasse lo stesso disco solare. Non potrete contemplare la lu-
ce in se stessa. Ma se ritrovate la grazia dell'immagine deposta in voi
fin dall'inizio, avrete in voi l'oggetto dei vostri desideri>> 102 •
735
L'uomo ritrova anche questa finalità della sua natura che è quella
di rendere gloria a Dio, e ciò nell'incontro con ogni essere. Infatti, que-
sto è il fine principale della conoscenza/contemplazione naturale, co-
me afferma l'Apostolo (cfr. Rm 1,21), e come osserva san Massimc108:
«Se mai i santi hanno acconsentito allo spettacolo degli esseri, essi non
si sono fermati a contemplarli e a conoscerli, come noi, soprattutto per
attaccamento alla materia, ma per lodare in molti modi il Dio pre-
sente e che appare in tutto e dovunque, per ammassare grandi tesori
di meraviglia e numerosi soggetti di dossologia.>>109 • È così, osserva an-
cora san Massimo, che l'uomo «raccoglie come dei doni da offrire a
Dio da parte della creazione, i l6goi spirituali degli esseri» 110 •
Questo ci permette di sottolineare che, in realtà, è a Dio che si
trova ordinata la contemplazione naturale, e che, anziché contempla-
zione della natura o degli esseri, sarebbe meglio dire «contemplazio-
ne di Dio attraverso la natura e attraverso gli esseri». Infatti, la con-
templazione naturale ha per finalità ultima la conoscenza/contem-
plazione di Dio e sfocia naturalmente in essa111 •
Tuttavia, essa non basta a costituirla. Se comporta una certa cono-
scenza di Dio, poiché gli esseri che essa ha per oggetto sono conosciuti
in Dio e Dio in essi, essa è una conoscenza analogica di Dio, relativa
alle creature, che è limitata dai limiti di queste, che resta relativa alle
loro forme, diversità, e questo tanto più in quanto esse appartengo-
no al mondo sensibile. Anche la conoscenza che l'uomo può avere in
sé di Dio è una conoscenza speculare che porta solo su un riflesso, in
cui egli vede Dio solo «in modo oscuro» e <<in parte>> (lCor 13,12). Es-
sa non è la conoscenza di Dio in quanto egli è trascendente a ogni crea-
tura. Per questo sant'Isacco il Siro scrive: «La conoscenza delle crea-
ture, per dolce che sia, non è mai che l'ombra della conoscenza [... ].
Una tale contemplazione nutre lo spirito mentre attende che questo
possa ricevere una contemplazione più alta.>>112 • La finalità della cono-
scenza della natura creata è quella di elevare l'uomo fino a Colui che
ne è l'Autore113 e che è al di sopra di essa114 • È per questo che, se al-
SIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 86; Questioni a Talassio, 63. SI!v.IEONE IL Nuovo
TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, II, 15.
m Lettere, 4.
113 DIONIGI L'AREOPAGITA, Lettere, VII, 2. Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talas-
sio, 63.
114 Cfr. SI!v.IEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, II, 15.
736
cuni sono tentati di rimanere a questo stadio, vanno fuori strada115 (per-
ché è a questo livello che si trova il principale pericolo di smarrirsi sul-
la via della conoscenza) 116 , o non arrivano ad elevarsi al di sopra, men-
tre lo spirituale esperto, una volta che è <<libero da ogni passione, si
slancia verso la contemplazione degli esseri e, al di là, verso la cono-
scenza della Santissima Trinità.>> 117 • Lo spirituale non fa altro che at-
traversare, senza attardarvisi, quest'ambito delle contemplazioni na-
turali118, non ritrovandole, se non per necessità, nella misura in cui egli
vive ancora in questo mondo. Infatti, il tetto dell'edificio spirituale è
<<la conoscenza divina di Dio» stesso 119 •
3. La conoscenza/visione di Dio
meone il Nuovo Teologo, Niceta Stetatos, Gregorio Palamas), pur menzionando questo grado
della contemplazione naturale nel titolo stesso dei loro scritti ascetici, le accordano solo un ruo-
lo molto secondario.
119 SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, IX, 459-460.
12° Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 3; Capitoli gnostici, I, 70; Il,
125 Cfr. MAsSIMO Il. CONFESSORE, Questioni a Talassio, 25, PG 90, 332C; 65, PG 90, 756C;
Ambigua, 7, PG 90, 1077B; 10, PG 91, 1141B; 1193D; 51, PG 91, 1372B; 71, PG 91, 1413CD;
Centurie sulla teologia e sull'economia, I, 83.
126 Cfr. DIONIGI L'AREOPAGITA, Sui Nomi divini, l, 4-5, PG 3, 593AB.
m San Massimo il Confessore, per esempio, scrive che per unirsi a Dio che «supera ogni
ragione e conoscenza, occorre superare in uno slancio irresistibile il sensibile e l'intelligibile, [. .. ]
essere spogliati totalmente di ogni energia dei sensi, del pensiero e dell'intelligenza (nous), per
incontrare ineffabilmente e nell'ignoranza le delizie divine, al di sopra del pensiero e dell'intel-
ligenza>> (Ambigua, 10, PG 91, 1153BC). Vedi anche Questioni e dubbi, 73; Ambigua, 10, PG
91, 1113B; 15, PG 91, 1220B; 20, PG 91, 1237D; 1241AB; Questioni a Talassio, 22, PG 90, 321A;
54, PG 90, 504C; 60, PG 90, 621C-624A; Centurie sulla teowgia e sull'economia, I, 54; 55; 2;
Opuscoli teowgici e polemici, 20, PG 91, 229A.
m Triadi, I, 3, 19.
133 Ibid., 4.
134 Vedi per esempio DIONIGI L'AREOPAGITA, Teologia mistica, l, 1.
738
la contemplazione apofatica, che non credono ali' esistenza di alcuna
attività, né di alcuna visione che sia al di là di essa [. .. ], non vedono,
propriamente parlando, non conoscono nulla e sono privi di cono-
scenza e di visione»135 • «La contemplazione non è, dunque, solo spo-
gliamento e negazione, ma è una unione e una divinizzazione che so-
praggiungono [ .. .] dopo lo spogliamento» 136 •
Se l'uomo può conoscere Dio, ma non lo può fare con le proprie
facoltà di conoscenza, né tantomeno per mezzo dell'inconoscenza stes-
sa che ne è la condizione, il solo modo di accedere a una tale cono-
scenza è che Dio si riveli a lui, e dunque sia la fonte e il principio di
questa conoscenza, perché «se Dio è invisibile alle creature, egli non
è invisibile a se stesso»137 • Ciò è quanto scrive l'Apostolo quando af-
ferma alla fine del passo precedentemente citato: «Allora conoscerò
come sono conosciuto» (lCor 13,12), e altrove più esplicitamente: «Chi
conobbe la mente (nous) del Signore da poterlo dirigere? Ora noi ab-
biamo la mente di Cristo» (lCor 2,16). E ancora: quelle cose «che mai
entrarono in cuore di uomo, ciò Dio ha preparato per quelli che lo
amano, Dio lo ha rivelato a noi mediante lo Spirito; lo Spirito infatti
scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio» (lCor 2,9-10). Agli spi-
rituali che ne sono degni, che sono puri e amano perfettamente Dio,
la conoscenza/contemplazione «arriva misticamente e indicibilmente
per la grazia di Dio» 138 , «infatti, se tutta la loro attività intellettuale è
ferma, come [... ] vedranno Dio se non per mezzo della potenza dello
Spirito?», fa notare san Gregorio Palamas 139 • La conoscenza/con-
templazione di Dio è, dunque, l'opera della potenza divina stessa140;
essa è data all'uomo da Dio; è una grazia, una «rivelazione dei miste-
ri»141 che l'uomo riceve da Dio nel Cristo per mezzo dello Spirito, o
per mezzo del Cristo, nello Spirito142 .
È vero che la conoscenza/contemplazione naturale (spesso chiamata
«sapienza>> perché è la conoscenza/contemplazione della Sapienza di
MEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XXXIII, 107s. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, Il,
20. MAss!M:O IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Il, 26; Questioni a Talassio, 59, PG 90, 604BC.
lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 66; Lettere, 4. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 3, 17.
739
Dio nelle creature e nell'ordine generale del mondo) è anch'essa rive-
lata. È <<il Signore [che] dona sapienza, dalla sua bocca viene scienza
e intelligenza», dice l'autore ispirato dei Proverbi (Pro 2,6). Ecco per-
ché spesso, evocando la conoscenza/contemplazione sotto le sue due
forme, la Scrittura o i Padri dicono che essa è data all'uomo per gra-
zia143, nel Cristo, per lo Spirito144 . «Senza il Signore Gesù e l'opera-
zione della potenza divina, nessuno può conoscere la sapienza e i mi-
steri di Dio», sottolinea san Macario 145 . E, a sua volta, san Diadoco
di Foticea; «La sapienza e la conoscenza sono i doni di un solo e me-
desimo Spirito»146 .
Vi è tuttavia una differenza fondamentale tra la conoscenza/con-
templazione naturale e la conoscenza/contemplazione di Dio: nella
prima, l'uomo conosce per mezzo della potenza del proprio spirito il-
luminato dallo Spirito Santo; nella seconda, l'uomo non conosce più
attraverso il proprio spirito né attraverso alcuna delle sue facoltà che
si rivelano allora tutte inadeguate, ma per mezzo dello Spirito Santo
stesso. Evagrio sottolinea bene questa differenza: <<Avere la conoscenza
delle cose naturali è possibile allo spirito, ma conoscere la Santissima
Trinità non solo non è possibile allo spirito, ma è una grazia sovrab-
bondante di Dio» 147 . Nel secondo caso, «l'uomo non vede né attra-
verso l'intelligenza (nous) né attraverso il corpo, ma attraverso lo Spi-
rito», osserva san Gregorio Palamas 148 , che aggiunge: «È evidente che
questa illuminazione supera [...] ogni conoscenza, anche se la si chia-
ma "conoscenza" (gnosis) e "intellezione" (n6esis), perché è lo Spiri-
to che la dona all'intelligenza (nous)»149. Colui che è l'oggetto della vi-
sione, cioè Dio, è lui che la procura150. «I santi vedono nello Spirito»151.
L'Apostolo indica chiaramente questa distinzione dei due modi dico-
noscenza: «Chi mai conobbe i segreti dell'uomo se non lo spirito
dell'uomo che è in lui? Così pure i segreti di Dio nessuno li ha mai co-
nosciuti se non lo Spirito di Dio. E noi abbiamo ricevuto non lo spi-
143Cfr. EVAGRIO PONTICO, Lo gnostico, 107. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 66.
144Cfr. Ef 1,17. IsACCO IL SIRO, Lettere, 4. MAssIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 59,
PG 90, 605B; 63, PG 80, 673C. NICETA SETATOS, Centurie, Il, 67; m, 46. GIOVANNI CL!MACO,
Lettera al Pastore, 100. GREGORIO DI NAZIANZO, Discorsi, Il, 39. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO,
Trattati etici, V, 419s; Catechesi, XXXIII, 89-97. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. ID), XVI, 3.
145 Omelie (Coli. II), XVII, 10.
146 Cento capitoli gnostici, 9.
147 Capitoli gnostici, V, 79.
148 Triadi, I, 3, 21.
149 Ibid., 52.
150 Ibid.
151 Io., Contro Achindinos, N, 16.
740
rito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio» (lCor 2,11-12). Ri-
ferendosi a questo passo, san Macario d'Egitto nota che colui che è
degno della conoscenza di Dio diventa partecipe «dell'intelligenza che
non è di questo mondo» e si differenzia <<in tutto da tutti gli uomini
che hanno lo spirito del mondo» 152 • E san Massimo precisa così la dif-
ferenza di origine dei due gradi di conoscenza: «Le facoltà che cer-
cano e sondano le cose divine, la natura degli uoinini le ha ricevute in
deposito dal Creatore, fondamentalmente, al momento del suo pas-
saggio all'essere. Ma le rivelazioni del divino, è la potenza del Santis-
simo Spirito che le compie per grazia, quando essa viene ad abitare in
noi>> 153 • Nella prima forma di conoscenza, l'uomo resta esterno a Dio
e lo conosce indirettamente; nella seconda, conosce Dio direttamente
attraverso Dio che è in lui154 : <<Il Signore [ .. .] giunge direttamente nel-
l'intelligenza per inserirvi a suo piacimento la conoscenza>>, osserva
Evagrio 155 • San Gregorio Palamas così spiega a questo riguardo: «Poi-
ché ogni uomo possiede i sensi e una intelligenza (nous) come fa-
coltà naturali di conoscenza, come queste facoltà possono permet-
terci di conoscere Dio che non è né sensibile né intelligibile? Per nes-
suna altra via, certamente, se non quella degli esseri sensibili e
intelligibili: queste facoltà costituiscono, in realtà, dei mezzi per co-
noscere gli esseri; esse sono limitate dagli esseri e manifestano il divi-
no a partire da questi esseri. Ma coloro che possiedono non solo le fa-
coltà di sensazione e d'intellezione, ma che hanno anche ottenuto la
grazia spirituale e soprannaturale, non saranno limitati dagli esseri nel-
la loro conoscenza, ma conosceranno anche spiritualmente, al di so-
pra dei sensi e dell'intelligenza, che Dio è Spirito, perché essi diven-
gono totalmente Dio e conoscono Dio in Dio»156 •
L'anima vede, dunque, Dio con un occhio diverso da quello che gli
pennette di conoscerlo e di contemplarlo negli esseri creati157 • A que-
sto grado superiore della conoscenza/contemplazione, in realtà, os-
serva san Simeone il Nuovo Teologo, <<noi riceviamo l'intelligenza del
Cristo e attraverso di essa vediamo Dio» 158 • E san Gregorio Palamas
741
sottolinea che quelli che hanno raggiunto queste altezze «acquistano
lo Spirito incomprensibile e, attraverso di lui, essi vedono, intendo-
no e comprendono»159 •
«Solo la sapienza divina accorda la grazia della teologia mistica»,
sottolinea lo scoliaste delle Questioni a Talassio 160 • Non può essere al-
trimenti, perché tutte le facoltà dell'uomo, compresa la più alta fra es-
se, lo spirito (nous), essendo create e appartenendo all'ambito della
natura, non. possiedono la capacità di comprendere ciò che supera la
natura, come spiega san Massimo: <<A questo punto, come tutti gli es-
seri finiti, noi cessiamo di possedere le nostre facoltà e diveniamo qual-
cosa che le nostre facoltà naturali non potrebbero mai produrre, per-
ché la natura umana non possiede affatto la capacità di comprendere
ciò che è al di sopra della natura. In realtà, nessuna creatura può ot-
tenere da sé la deificazione, perché è incapace di comprendere Dio.
Solo la grazia divina può operare la deificazione, secondo i meriti di
ciascuno, irradiare la natura con la luce soprannaturale ed elevarla,
con l'eccellenza della sua luce, al di là dei propri limiti.>>161 • È solo per
un dono di Dio che l'uomo, essete creato, può essere reso capace di
conoscere l'increato, spiega nello stesso senso san Simeone il Nuovo
Teologo: «Se paragoniamo gli esseri prodotti al produttore, coloro che
hanno cominciato ad esistere a colui che è da sempre, il creato all'in-
creato, ali' essere senza inizio coloro che hanno ricevuto l'esistenza nel
tempo, come questi potrebbero percepire in qualche modo la natura,
la grandezza e il modo della sua nascita? Mai, se ciò non avviene pre:
cisamente nel modo in cui l'Autore degli esseri creati [vuole rivelar-
si]: come egli stesso accorda a ciascuno il soffio della vita, lo spirito
(nous) e la ragione, così egli accorda anche per amore degli uomini,
per quanto sia opportuno, il dono di conoscerlo. Altrimenti, come po-
trai dire che l'essere creato da Dio conosce il suo creatore? Al di là
di ciò, non c'è mezzo per giungervi, e nessuno assolutamente ne è
capace»162 •
Quando l'uomo conosce Dio, è dunque lo Spirito che conosce in
lui, e non le sue facoltà di conoscenza, non il proprio spirito. Occor-
re altresì ammettere, tuttavia, che le sue facoltà partecipano in certo
. modo a questa conoscenza, perché, altrimenti, non si potrebbe dire
742
che l'uomo conosce, ed egli sarebbe in un certo senso escluso dalla co-
noscenza che avverrebbe per mezzo di Dio indipendentemente da lui.
San Massimo, fa notare che, da una parte, <<non è per se stesso» che
lo Spirito conosce, «perché egli è Dio e al di là di ogni conoscenza»,
ma proprio per noi163 , e, dall'altra parte, che <<la grazia divina non ope-
ra le illuminazioni della conoscenza se non vi è nessuno a ricevere, at-
traverso una potenza naturale, l'illuminazione»164 . E, pur precisando
che i santi <<non hanno acquistato la vera conoscenza delle cose [di-
vine] per mezzo delle proprie capacità e senza l'aiuto della grazia del-
lo Spirito>>, egli scrive: «Si può dire che la grazia abbia prodotto au-
tomaticamente la conoscenza dei misteri nei santi, cioè senza che le fa-
coltà naturali di questi ultimi siano disposte a ricevere tale cono-
scenza»165. Occorre, dunque, precisare che l'uomo riceve questa co-
noscenza nei propri organi, in primo luogo e principalmente nel suo
spirito (nous) 166 , ma anche in tutta la sua anima167 e nel suo corpo 168 .
Tuttavia, non è per l'energia propria di questi organi che egli conosce,
ma per mezzo della sola energia divina169. San Massimo spiega con mol-
ta precisione questo concetto: «L'intelligenza del Cristo che ricevono
i santi [... ] non è data quando manca la potenza spirituale in noi, né
per completare la nostra propria intelligenza, né per passare con l' es-
senza e l'ipostasi nella nostra intelligenza, ma per illuminare la poten-
za della nostra intelligenza con la sua propria qualità, e per condurla
ad essa affinché la nostra acquisti la stessa energia>>170 .
Questa conoscenza/contemplazione che trascende ogni modo di
conoscenza umana, che supera le capacità di <<tutte le nostre facoltà
sensitive e intellettive»171 , «che si compie al di sopra dell'intelligenza
(nous) e della conoscenza (gnosis)» 172 , è dunque impropriamente chia-
mata conoscenza, sensazione (afsthesis) o intellezione (noesis) 173 • San
SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Inni, XXXIII, 63-64; XXXIX, 61-62; Catechesi, XV, 71-72.
167 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla teologia e sul!'economia, Il, 88. GREGORIO
PALAMAS, Triadi, I, 3, 37. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, 71s; XVI, 85; Inni, XXV, 61.
168 Cfr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 3, 33; 37. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla teo-
logia e sull'economia, II, 88. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XV, 7ls; Rendimento di
grazie, 1, 170-171; Inni, XXV, 61.
169 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Cenfurie sulla teologia e sul!'economia, Il, 83; 88.
17°Centurie sulla teologia e sull'economia, Il, 83.
171 GREGORIO PALAMAS, Triadi, Il, 3, 39.
172 Ibid., 68.
173 Cfr. ibid., I, 3, 18; 33; 52; Il, 3, 17; 39; 47; III, 2, 14.
743
Gregorio Palamas scrive in particolare: «Noi rifiutiamo di chiamare
questa contemplazione conoscenza (gnosis) [... ].Questa contempla-
zione non è una conoscenza: [.. .] non bisogna considerarla come tale
e parlarne come di una conoscenza[. ..], a meno che non vogliamo im-
piegare [questo termine] in maniera impropria ed equivoca; [ ... ]non
solo non bisogna considerarla come una conoscenza, ma bisogna cre-
derla prima d'ogni cosa superiore a ogni conoscenza e a ogni con-
templazione che dipenderebbe dalla conoscenza>> 174• Se i termini «co-
noscenza>> o «intellezione» continuano ad esserle applicati, ciò non
può essere che «per metafora>> e «per omonimia>> 175 • È preferibile il
termine <<Visione» (6rasis), ma nell'usarlo occorre sapere che anche
questo termine è improprio nella misura in cui non si tratta né di
una visione sensibile né di una visione intellettuale176 , poiché l'uomo
non vede né attraverso i suoi sensi né per la sua intelligenza (noiìs) 177 ,
ma per una visione spirituale (pneumat1ké) 178 • Difatti egli vede per mez-
zo dello Spirito179 , perciò la natura e il modo di tale visione sono in-
comprensibili e indicibili180•
Ciò che l'uomo vede, quando si dice (impropriamente) che egli ve-
de Dio, è una Luce, nella quale Dio manifesta e comunica le sue ener-
gie. l!uomo non può conoscere Dio se non in queste energie181 , perché
l'essenza divina gli è assolutamente inaccessibile182 , Così Dio rimane in-
visibile in sé 183 , e colui che ha raggiunto il grado più alto della cono-
CONFESSORE, Centun·e sulla carità, I, 100; II, 27; Iv, 7. Sulla distinzione ortodossa dell'essenza e
delle energie di Dio, vedi V. LOSSKY, Théologie mystique de l'Eglise d'Orient, Paris 1944, pp. 65-
86. Questa distinzione che è fatta esplicitamente dalla maggior parte dei Padri greci (in parti-
colare da Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa, Dionigi l'Areopagita, Massimo il Confessore,
Giovanni Darnasceno) è stata formulata in modo molto preciso da san Gregorio Palamas, sul
quale si porrà consultare]. MEYNDORFF, Introduction àl'étude de Grégoire Palamas, Paris 1959,
pp. 279s. Ricordiamo solo che le energie sono le processioni, le forze, le operazioni attraverso
cui Dio si manifesta e si comunica al di fuori della sua essenza, e ciò senza che egli se ne trovi
diviso o sminuito.
182 Vedi rra gli altri: BASILIO DI CESAREA, Lettere, CCXXXIV, PG 32, 869AB. GREGORIO NA-
ZIANZENO, Discorsi, XXVIII, 4. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa,
I, 10. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 96; 100; II, 27; IV, 7. GREGORIO PALA-
MAS, Triadi, III, 2, 14.
183 GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 3, 9.
744
scenza vede «Dio [solo] attraverso una rivelazione che conviene a Dio
e proporzionata a se stesso»184, rivelazione che è precisamente quella
della Luce divina increata che manifesta la gloria di Dio. «Dio è· luce
(lGv 1,5) e la sua visione è una luce» scrive san Simeone il Nuovo Teo-
logo185; «è la luce evidentemente che introduce in noi la conoscenza; in-
fatti, non vi è altro mezzo per conoscere Dio, se non quello della con-
templazione della luce che emana da lui>>186. Lo stesso autore aggiunge:
«Noi testimoniamo che Dio è luce; che quelli che sono ritenuti degni
di vederlo lo hanno contemplato come luce; che quelli che lo hanno ri-
cevuto lo hanno ricevuto come luce, perché davanti a lui cammina la
luce della sua gloria ed è impossibile che egli appaia senza luce; che
quelli che non hanno visto la sua luce, non l'hanno visto, perché è lui
la luce; che quelli che non hanno ricevuto la luce non hanno ancora
ricevuto la grazia, perché quelli che hanno ricevuto la grazia hanno ri-
cevuto la luce di Dio e Dio stesso»187 . Questa Luce è la grazia188 che si
rivela e si comunica all'uomo, ma anche la grazia o la potenza per mez-
zo della quale egli conosce Dio. Ciò è quanto afferma il salmista: «Al-
la tua luce noi vedremo la luce» (Sal 36[35],10). Ciò è quanto ricorda
anche l'Apostolo: <<Dio che disse: "Brilli la luce nelle tenebre" è brilla-
to nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divi-
na che rifulge sul volto di Cristo» (2Cor4,6). San Gregorio Palamas scri-
ve a questo riguardo: «La luce spirituale non è solo l'oggetto della vi-
sione, ma essa è anche la facoltà che permette di vedere»189; <<la luce
della conoscenza è comunicata dalla presenza della luce della grazia>>190.
184 Ibid., 4.
185 Trattati etici, V, 176. Cfr. Trattati teologici, III, 137-144. Dio, dice ancora Simeone, è «egli
stesso rutta luce», in lui «non esiste la minima traccia di notte, alcun velo di oscurità, assoluta-
mente nessuno» (Inni, XII, 54-56). La«Tenebra>> chela Scrittura (Sa! 17,12; cfr. Es 19-20) e che
alcuni Padri ricordano nell'ambito della conoscenza di Dio si riferisce all'uomo e non a Dio. Es-
sa può assumere diversi significati, ma corrisponde soprattutto al momento apofatico della co-
noscenza di Dio. Essa spesso significa l'oscurità legata all'inconoscenza. I:espressione <<Dio ha
fatto delle Tenebre il suo eremo» in genere significa che egli abita là dove non ha accesso la
nostra conoscenza umana. (Cfr. V. LOSSKY, «"Ténèbre" et "Lumière" dans la connaissance de
D;eu», in À l'image età la ressemblance de Dieu, Paris 1967, pp. 25-37; Théologie mystique de
l'Eglise d'Orient, Paris 1944, pp. 21-41). Colui al quale appare la Luce divina può, mttavia, per-
cepirla «nella Tenebra>> (le due realtà sono spesso ricordate simultaneamente, per esempio da
DIONIGI L'AREOPAGITA, Teologia mistica, I, 1). Per mezzo di questa Tenebra, Dio protegge
l'uomo dall'abbagliamento prodotto dalla Luce (cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati
etici, I, 12, 129-133. GREGORIO PALAMAS, Omelie, 34). È lui che «stabilisce queste tenebre che
coprono non il suo essere, ma la nostra persona>> (SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, !oc. cit.).
1"'Ibid., 255-257.
745
Questa luce non è né sensibile 191 né intellettuale 192 ; è una luce in-
creata di natura spirituale193 ; correlativamente, essa non è «né una sen-
sazione né una intellezione, ma una potenza spirituale, distinta, nella
sua trascendenza, da tutte le facoltà cognitive create»194 • Quando l'uo-
mo conosce per mezzo di questa luce, non conosce né secondo il mo-
do di una sensazione né secondo il modo di una intellezione; pertan-
to, lo abbiamo detto, tutte le sue facoltà partecipano di questa cono-
scenza: egli conosce innanzitutto e soprattutto con la sua intelligenza
(nous), ma anche con la sua anima e con il suo corpo 195 , i suoi stessi
occhi percepiscono questa Luce. Ciò può avvenire perché le sue fa-
coltà, a questo punto, sono trasformate dalla grazia, da questa Luce,
per la potenza dello Spirito Santo, in modo da essere capaci di per-
cepire questa Luce e vedere per suo mezzo secondo un modo che
supera la loro propria natura. «Vi darò un cuore nuovo e metterò den-
tro di voi uno spirito nuovo», dice il Signore (Ez 36,26). I santi, scri-
ve san Gregorio Palamas, sono <<trasformati dalla potenza dello Spiri-
to; essi ricevono una potenza che prima non possedevano; divengono
Spirito e vedono nello Spirito»196 • San Massimo osserva la stessa cosa
quando afferma: «Dio appare allora nell'anima e nel corpo, perché
le caratteristiche della loro natura sono vinte dalla sovrabbondanza
della gloria.>>197 • San Simeone il Nuovo Teologo si rivolge così a Dio:
«Chi dopo averti visto, dopo essere stato sensibilmente illuminato dal-
la tua gloria, dalla tua luce divina, non è stato cambiato nella sua in-
telligenza, nella sua anima, nel suo cuore, e non ha ottenuto il favore
straordiTJ.ario, o Salvatore, di vedere e intendere in maniera diversa?
Difatti, l'intelligenza è immersa nella tua luce, essa diviene luminosa,
è trasformata in luce, simile alla tua gloria, essa si chiama tua intelli-
genza; colui che è stato gratilicato fino ad arrivare a questo stato, sì al-
lora egli merita di possedere la tua intelligenza, egli diviene insepara-
bilmente uno con Te»198 • Le facoltà umane, sotto l'azione dello Spiri-
191 Cfr. GREGORIO PALAMAS, Tomo agioritico, PG 150, 1233D; Omelie, 34. SIMEONE IL NUO'
e pratici, II, 3.
197 Centurie sulla teologia e sul!'economia, II, 88. Citato da GREGORIO PALAMAS nelle sue Tria-
di, I, 3, 37.
198 Inni, XXXIX, 56-66.
746
to, accedono così a un altro modo di esistenza; esse divengono facoltà
divino-lllllane. È così che san Macario insegna a questo riguardo: «Le
nostre anime devono ca1nbiare e passare dal loro stato attuale a un al-
tro stato, in una natura divina199, e divenire nuove[ ... ]. Il Signore è ve-
nuto per cambiare e ricreare le nostre anime, per renderle partecipi
della natura divina, come sta scritto (cfr. 2Pt 1,4), per dare alla no-
stra anima un'anima celeste, ossia lo spirito della divinità, [. .. ] affin-
ché noi potessimo vivere la vita etema>>200 •
. Ecco perché questa Luce della grazia riempie l'uomo completa-
mente, fa sì che l'uomo «sia tutto come una luce»201 , che l'uomo tutto
intero conosca per mezzo di essa. «Allora, o miracolo, è Dio che
guard[a] non solo attraverso l'anima che è in noi, ma anche attraver-
so il nostro corpo. Ecco perché noi [vediamo] allora distintamente,
per mezzo dei nostri stessi organi fisici, la luce divina e inaccessibile»,.
afferma san Gregorio Palamas202 . È :;i.nche per questa luce che l'uo-
mo viene completamente divinizzato. Infatti, è per questa luce che egli
è perfettamente unito a Dio, che viene comunicata a lui la grazia dei-
ficante. Per questo motivo san Gregorio Palamas preferisce parlare,
come fa san Dionigi l' Areopagita20>, di unione piuttosto che di cono-
scenza204. L'uomo, in realtà, è assimilato a ciò che egli vede e a ciò at-
traverso cui egli vede205 . «Colui che partecipa dell'energia divina di-
viene egli stesso in qualche modo luce>>, scrive san Gregorio Palamas2°6;
divenendo interamente luce, l'uomo è reso simile a ciò che egli vede,
egli vi si unisce senza mescolanze2°7 • <<Per la grazia, Dio abbracciato-
talmente coloro che ne sono degni, e i santi abbracciano Dio nella sua
pienezza>>, osserva ancora lo stesso santc2°8 , che, seguendo san Mas-
simo, aggiunge: «Dio e i santi hanno una sola e medesima energia>>209 •
Anche san Simeone il Nuovo Teologo ricorda questa unione deific:;i.nte
747
dell'uomo nella sua totalità a Dio nella sua pienezza: «0 meraviglia!
L'uomo è unito a Dio sia spiritualmente che corporalmente, poiché
l'anima non si separa dallo spirito (nous), né il corpo dall'anima, ma
nell'unità di essenza, anche l'uomo diviene triplice ipostasi, per gra-
zia, e un solo dio per posizione (thésis), con la sua anima, il suo cor-
po, e lo Spirito divino del quale egli partecipa. È allora che si realiz-
za ciò che ha detto il profeta Davide: "Io dissi: siete dèi, tutti figli del-
!'Altissimo" (Sa! 82[81],6)»210 •
748
lità diviene pienamente dio: «Pur rimanendo interamente uomo per
sua natura, nella sua anima e nel suo corpo, egli diviene interamente
dio nella sua anima e nel suo corpo, per la grazia e lo splendore divi-
no della gloria beatificante che gli si addice interamente>>2 19 •
Occorre notare, inoltre, il carattere personale dcll'unione con Dio:
essa è la realtà di una persona umana che si unisce non a una deità i.11-
personale o soprapersonale, ma a un Dio personale e vivente220 • San
Simeone il Nuovo Teologo lo sottolinea, pur affermando il carattere
trascendente del modo in cui Dio appare all'uomo: «Allora, non è più
come prima senza forma e senza figura che viene il Senza-forma e il
Senza-figura, né è nel silenzio che egli realizza in noi la presenza e l' av-
venimento della sua luce. Come .allora? Sotto una certa forma, forma
di Dio tuttavia - benché non sia in un disegno o in un'impronta, ma
prendendo forma in una luce incomprensibile, inaccessibile e senza
forma, che Dio, essendo semplice, si mostra, perché noi non possia-
mo dire nulla o esprimere di più, ma in ogni caso egli si mostra allo
scoperto -, egli si fa riconoscere in modo del tutto cosciente e si fa ve-
dere in piena luce, lui, l'invisibile, invisibilmente parla e ascolta e, a
faccia a faccia, come un amico con un amico, eglj, Dio per natura, s'in-
trattiene con gli dèi nati per grazia da lui»221 • Dire che l'uomo è unito.
allora al Dio personale vuol dire che egli è unito al Padre, al Figlio e
allo Spirito Santo. Ogni energia divina, in quanto procede dall' es-
senza che è comune alle tre Persone divine, manifesta la Trinità. Se-
condo la teologia ortodossa, l'essenza divina non è né precedente né
superiore alle ipostasi e non può essere considerata indipendentemente
da esse. La luce increata è <<lo splendore ineffabile della natura una in
tre ipostasi», osserva san Gregorio Palarnas222 ; essa è, precisa san Mas-
simo, <<la luce della Santissima Trinità>>223 • Questa luce è comune alle
tre Persone e appartiene a ciascuna di esse. <<Luce è il Padre, luce è il
Figlio, luce lo Spirito Santo [. .. ]. Le tre sono una sola Luce, unica, non
separata ma unificata in tre Persone, senza confusione», osserva san
Simeone il Nuovo Teologc224 • Le energie divine e la Luce che le ma-
749
nifesta procedono daj Padre e sono comunicate all'uomo per il Cristo
nello Spirito Santo. E per quest'ultima ragione che la grazia divina,
la Luce, spesso viene identificata allo Spirito Santo. Nella Luce divi-
na, lo Spirito Santo manifesta all'uomo deificato la persona del Verbo
incarnato, del Dio-uomo, il quale, in questa luce che è anche la sua lu-
ce e la luce del Padre, manifesta il Padre, secondo la parola di san Gio-
vanni: <<Dio nessuno l'ha visto mai. L'unigenito Dio, che è nel seno del
Padre, egli l'ha rivelato» (Gv 1,18).
Osserviamo, altresì, che il modo stesso dell'unione, e il modo in cui
l'uomo vede Dio nella Luce e per essa, gli rimangono incomprensi-
bili e inesprimibili225 •
Si tratta, tuttavia, di uno stato cosciente226 : l'uomo, «unito alla lu-
ce e con la luce, vede in piena coscienza tutto ciò che rimane nasco-
sto a coloro che non hanno questa grazia», nota san Gregorio Pala-
mas227. Per mezzo dello Spirito che è in lui, accede a una coscienza su~
periore che gli consente nella luce di vedere se stesso228 e il mondo
intero229 in Dio, nello stesso tempo in cui vede Dio e lui solo230 • A que-
sto rigJJardo così scrive san Simeone il Nuovo Teologo: «Colui che ha
gli occhi fissati sull'Uno, attraverso l'Uno percepisce tutto, se stesso,
gli uomini e le cose, e .nascosto in lui egli non vede più niente dell'u-
niverso»231; «colui che vede l'Uno è nella contemplazione di tutto; egli
si astiene dal contemplare il tutto e, al tempo stesso egli entra nella
contemplazione di tutto e si trova al di fuori delle cose contemplate;
essendo nell'Uno egli vede tutto, essendo al centro di tutto egli non
vede nulla>>232 . Ma se allora coloro che vedono «possiedono una com-
zz:; Cfr. GIOVANNI CLWACO, La Scala, VIl, 60. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 66. SIMEONE
IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, I, 12, 67-68; VIl, 60; Rendimento di grazie, 1, 235-236.
GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 3, 4; 17.
226 Vedi per esempio SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Rendimento di grazie, 1, 205; 2, 268-269;
GREGORIO MAGNO, Vita di san Benedetto, 35: <<Egli vide una luce[. .. ]. In questa visione[. ..] il
mondo intero, come se fosse riunito in un solo raggio di sole, fu presente davanti ai suoi occhi».
Occorre sottolineare ugualmente che per «conoscenza di sb> qui non si tratta di una cono-
scenza del mondo strettamente parlando; questo stadio è superato, e da questo punto di vista,
l'uomo non conosce nulla di nulla (dr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gno-
stici e pratici, II, 17; 18).
'°
2 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, II, 17; 18; 25.
231 Ibid., I, 52.
750
prensione, essi la possiedono in modo incomprensibile», osserva san
Gregorio Palamas233 •
In ogni caso, se l'uomo ha coscienza della presenza in sé di Dio,
di essere unito a Dio e di fare un tutt'uno con lui, egli ha correlativa-
mente coscienza dei propri limiti234 e della radicale trascendenza di Dio.
Ciò corrisponde al fatto, precedentemente ricordato, che Dio, pur co-
municandosi realmente e totalmente nelle sue energie, rimane inco-
municabile e assolutamente trascendente nella sua Essenza.
Occorre, altresì, precisare che la visione di Dio alla quale l'uomo
può accedere quaggiù non è né totale né permanente. «Nessuno, pre-
cisa san Gregorio Palamas, ha visto la totalità di questa bellezza [. ..];
Q'uomo] non vede questa totalità quale essa è, ma solo nella misura in
cui egli stesso si è reso ricettivo alla potenza dello Spirito divino»235 •
Dunque, «questa esperienza divina è data a ciascuno secondo la sua
misura e può essere più o meno grande, secondo la dignità di coloro
che la sperimentano»236 • D'altra parte, la visione che l'uomo può ave-
re di Dio nella sua condizione terrena non è che la primizia e il pegno
di quella che egli è chiamato a ricevere nella sua condizione celeste,
dopo la risurrezione. La visione piena e permanente di Dio nella sua
luce increata appartiene al secolo fututa2 37 •
751
si è reso ricettivo della potenza dello Spirito divino»240 • Possiamo di-
re, altresì, che in e per questa Luce Dio si unisce a coloro che sono
uniti a lui. È così, per esempio, che san Massimo scrive: <<Per ottene-
re il dùno della conoscenza divina, occorrerà [.. .] essere in Dio»241 • Op-
pure, come afferma san Gregorio Palamas: coloro che conoscono Dio
lo conoscono «perché uniti a lui, essi hanno già assunto l'aspetto di
Dio»242 • San Gregorio di Nissa afferma: ancora più nettamente: «Non
è possibile che sia mai unito alla luce colui che non brilla del riflesso
di questa luce»243 •
Ora è per la purezza interiore che l'uomo è degno di ricevere lo Spi-
rito Santo; è per le virtù che egli acquista l'aspetto di Dio244 e si unisce
a lui. E; come abbiamo visto, la purezza, che l'uomo raggiunge nel-
l'impassibilità, e il possesso delle virtù si ottengono osservando i co-
mandamenti. La visione di Dio e la deificazione appaiono, dunque,
beni indissociabili dalla pra:iis, da tutta la vita ascetica, e dalle lotte,
dai sudori e dalle pene che essa inevitabilmente implica245 • Sottoli-
neando chiaramente il carattere sinergico dell'unione con Dio e del-
lo sforzo umano per aprirsi alla grazia, san Macario così scrive: «La
presenza nell'uomo dell'energia della grazia di Dio e il dono dello Spi-
rito Santo, che un'anima fedele è ritenuta degna di ricevere, si acqui-
stano attraverso molte lotte, molta pazienza, sopportazione, tentazio-
ni e prove, l'uso della libera volontà dovendo essere messo alla prova
da molte tribolazioni. Quando l'anima non rattrista più in nulla lo Spi-
rito Santo, ma entra in armonia con la grazia attraverso la pratica di
tutti i comandamenti, allora ottiene di essere liberata dalle passioni, di
ricevere la pienezza dell'adozione filiale dallo Spirito, la sapienza che
si esprime in modo misterioso (cfr. lCor 2,14), la ricchezza spirituale
e l'intelligenza che non è di questo mondo, di cui i veri cristiani di-
vengono partecipi>>246 •
Che la purezza sia la"principale condizione per ricevere da Dio
l'illuminazione della visione di Dio viene affermato dallo stesso Cri-
sto: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). I Padri lo
752
ricordano quasi tutte le volte che evocano la conoscenza di Dio247.
«Questa illuminazione [ .. .] è inaccessibile al cuore dei fedeli stessi, a
meno che essi non siano stati purificati», afferma san Gregorio Pala-
mas248. <<La contemplazione spirituale agisce in noi nell'ambito della
purezza.>>249 , insegna sant'Isacco il Siro, il quale aggiunge che, se la pu-
rezza non è in essa, l'anima è come un'atmosfera piena di nuvole che
nascondono la luce del sole e le impediscono di giungere fino ad es-
sa250. Dio, che è Luce, rende partecipi i fedeli del proprio splendore
«secondo la misura della loro purificazione», osserva san Simeone il
Nuovo Teologa251 , che scrive ancora: <<La conoscenza [dei] misteri ap-
partiene a coloro il cui spirito è illuminato ogni istante dallo Spirito
Santo a motivo della purezza della loro anima.>>252 . E san Niceta Ste-
tatos osserva: <<La conoscenza di Dio, di cui si può dire che è una fon-
te radiosa e infinita di luce, rende divinamente luminose le anime nel-
le quali essa si trova per mezzo della purezza.>>253 • Infatti, come dice san
Gregorio Nazianzeno, «solo la purezza può avvicinare Colui che è pu-
ro»254; solo essa ci rende degni di ricevere lo Spirito Santo.
La purezza, di cui si tratta qui, non è solo quella dell'intelligenza,
frutto dell'eliminazione di ogni rappresentazione, immaginazione o
pensiero, dell'allontanamento di ogni intellezione. La contemplazio-
ne richiede, certo, uno «spirito nudo», relativamente per ciò che ri-
guarda la contemplazione naturale255 , che ammette rappresentazioni
semplici, totalmente per ciò che riguarda la contemplazione di Dio.
Questo spogliamento e questa nudità, per quanto necessari256, non ba-
stano tuttavia per ottenere la visione di Dio257 e, del resto, sono ac-
cessibili ai principianti per mezzo di una semplice tecnica mentale258.
· 247 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VII, 60; XXX, 21. GREGORIO NAZIANZENO, Disoorsi,
XLV, 3. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 67; Lettere, 4, passim. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli.
Il), XVII, 4; Lill, 4. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, ID, 23.
NICETA STETATOS, Centurie, II, 67; ID, 19-20. GREGORIO PALAMAS, Teofane, PG 150, 956B; A
Xene, PG 150, 1064D; 1085A; Capitoli sulla preghiera, PG 150, 1117C; 1120C-1121A; Triadi, I,
1, 7; 3, 9; 52. ATANASIO o' ALESSANDRIA,.Sull'Incarnazione del Verbo, 57. EVAGRIO PONTICO, Ca-
pitoli gnostici, Iv, 90; Lettere, 62. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 32.
248 Triadi, I, 3, 52.
249 Lettere, 4.
250 Discorsi ascetici, 69.
251 Catechesi, XV, 68-70. Cfr. Trattati etici, X, 32-33.
252 Trattati etici, IX, 68-70. Cfr. ibid., 59-68.
253 Centurie, ID, 19.
254 Discorsi ascetici, II, 39.
255 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, III, 21.
256 Cfr. ibid., 19; Lettere, 41; 58. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e
753
L'uomo deve aver acquisito preliminarmente questa forma di pu-
rificazione, quella delle sue passioni, che <<libera effettivamente lo spi-
rito in rapporto a tutto»259• Una tale purezza, per di più, coinvolge l'uo-
mo nella totalità del suo essere. Si tratta, dunque, di purificare «tutte
le disposizioni e tutte le potenze dell'anima e del corpo»260 • È solo a
questa condizione che lo spirito sarà veramente puro e degno di esse-
re abitazione della grazia; a questa stessa condizione, lo saranno anche
l'anima e il corpo che, lo abbiamo visto, sono ugualmente chiamati a
partecipare alla visione di Dio, e a essere deificati. Per questo, i Padri,
quando ricordano la visione di Dio, parlano correlativamente del-
l'impassibilità come della sua condizione sine qua non261 •
La purezza che l'uomo raggiunge nell'impassibilità è il frutto della
pratica dei comandamenti. È per questo che esiste un legame diretto
tra la conoscenza di Dio e la pratica dei comandamenti, apparendo
questa ugualmente come la condizione di quella. Il Cristo, che è la ve-
ra Luce (cfr. Gv 1,9), che presenta se stesso come la Verità (cfr. Gv
14,6), che promette agli uomini la venuta dello Spirito di verità (dr.
Gv 14,17; 15,26; 16,13) e che dice a suo Padre: «Questa è la vita eter-
na: che conoscano te, il solo vero Dio» (Gv 17 ,3), egli stesso ci inse-
gna: «Se rimanete nella mia parola, siete veramente miei discepoli e
conoscerete la verità>> (Gv 8,31-32). E ancora: «Se qualcuno mi ama,
osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
faremo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Anche l'apostolo san Gio-
vanni indica tale legame: «Da questo noi sappiamo di conoscerlo, se
osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: lo conosco, ma non osser-
va i suoi comandamenti, è un mentitore e la verità non è in lui>> (lGv
2,3-4). E il salmista, rivolgendosi a Dio, esclama: <<lnsegnami buon sen-
so e conoscènza: sì, sto saldo nei tuoi precetti» (Sa! 119[118],66); «dai
tuoi comandi ricevo intelligenza>> (ibid., 104). I Padri, da parte loro,
insistono particolarmente su questa relazione. San Macario il Gran-
de osserva che, se noi non conosciamo Dio, in altri termini se non spe-
rimentiamo I'energia della grazia, è solo per le nostre mancanze, per-
ché «Egli dice di manifestarsi a coloro che [ ... ] osservano i suoi co-
mandamenti» (cfr. Gv 14,21) 262 • Sant'Isacco il Siro così scrive a tale
754
proposito: «Con l'osservanza dei comandamenti è dato allo spirito la
grazia della contemplazione mistica e della rivelazione della conoscenza
dello Spirito»263 ; «se tu desideri contemplare i misteri, metti in prati-
ca in te i comandamenti.>>264 • È questo il motivo conduttore dell'inse-
gnamento di san Simeone il Nuovo Teologo: il Signore, egli osserva,
benedice «coloro che, per la pratica precedente dei comandamenti,
hanno meritato di vedere e hanno contemplato in sé la luce rischia-
rante e scintillante dello Spirito»265 ; <<per mezzo dei comandamenti ci
viene aperta la porta della conoscenza»266 ; colui che «è stato elevato al
vertice della contemplazione per mezzo della pratica dei comanda-
menti, costui vede Dio in persona>>267 ; «non si può arrivare a contem-
plarlo altrimenti che per l'esatta osservanza dei suoi comandamenti,
occorre cioè che la loro pratica non sia intaccata da alcuna alterazio-
ne operata dalla negligenza o dal disprezzo; ma portata a termine con
cura fervente. Di conseguenza, "tutti coloro che si atterranno a que-
sta regola non saranno lontani dal regno dei cieli" (cfr. Mc 12,34); in
proporzione del loro fervore e della loro pratica [. .. ], presto o tardi,
più o meno, avranno il salario della visione di Dio e diventeranno par-
tecipi della sua natura divina; saranno manifestamente dèi per ado-
zione e figli di Dio in Gesù Cristo»268; <<là dove i comandamenti sono
osservati esattamente, ivi sarà la manifestazione del Salvatore»269 • An-
che san Gregorio Palamas non cessa di ripeterlo: <<La vera conoscen-
za, l'unione e l'assimilazione a Dio non arrivano che per l'osservanza
dei comandamenti»270 ; «secondo le promesse dt Dio, sarà solo il com-
pimento dei comandamenti che procura la venuta, l'inabitazione e l' ap-
parizione di Dio»271 ; «abbiamo fede in Colui che ha condiviso la no-
stra natura e l'ha gratificata della gloria della sua propria natura, e chie-
diamoci come la si acquisisce e come la si vede. Come? Con l'osservanza
dei-divini comandamenti>>272 ; <<noi pensiamo che i comandamenti di
Dio diano la conoscenza, non solo, ma anche la deificazione»273 •
Tra i comandamenti ve n'è uno che occupa, relativamente alla vi-
263 Lettere, 4.
264 Ibid.
265 Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 4.
266 Catechesi, xxrv, 58-60.
267 Capitoli teologici, gnostici e pratici, II, 8.
268 Trattati teologici, II, 304s.
269 Trattati etici, V, 129s.
755
sione di Dio, un posto centrale, e che il Cristo ricorda molte volte:
quello della penitenza. Sant'Isacco il Siro afferma che è «attraverso
la penitenza [che] riceviamo come una grazia la conoscenza spiritua-
le»274. Questo legame tra la visione di Dio e ìa penitenza è stabilito in
modo costante da san Simeone il Nuovo Teologa275 , che scrive in par-
ticolare: <<li frutto e il lavoro proprio della penitenza, ecco ciò che scac-
cia l'ignoranza e procura nello stesso tempo la conoscenza. Per co-
noscenza io intendo innanzitutto quella di noi stessi e di ciò che ci
riguarda, poi quella di ciò che ci supera e dei misteri divini, che sono
invisibili e inconoscibili per coloro che non hanno fatto penitenza»276.
756
Ed egli offre questa immagine: la conoscenza di Dio è il tetto dell' e-
dificio spirituale, il quale non può poggiare che sulle mura delle virtù282 •
San Gregorio Palamas da parte sua spiega: <<È nello stare vicino a Dio
con la virtù e unito a lui con lo spirito che si otterrà la manifestazio-
ne di questo splendore che si offre agli sguardi di tutti coloro che ten-
dono continuamente verso Dio [. .. ]»283 •
Ricordiamo che tra le virtù ve ne sono due che giocano un ruolo
particolarmente importante nell'accesso alla conoscenza/visione di
Dio: l'umiltà e la carità, che san Simeone qualifica come «deificanti>>284 •
«La vera umiltà genera la conoscenza>>, scrive sant'Isacco il Siro285 •
«La conoscenza di Dio significa che è conosciuto da Dio colui che si
edifica in essa attraverso l'umiltà>>, spiega san Niceta Stetato286 • Infat-
ti, è solo se si è svuotato di sé che l'uomo può essere riempito dello
Spirito Santo che gli permette di conoscere Dio; è solo se egli si è an-
nullato davanti a Dio che può ricevere la suà energia che lo unisce a
lui. «Colui che non possiede queste disposizioni non può unirsi allo
Spirito Santo e, se non è unito a lui dopo la purificazione, non può
inoltre raggiungere la conoscenza e la contemplazione di Dio», inse-
gna san Simeone il Nuovo Teologa287 • Questi, d'altronde, mostra che
l'uomo progredisce nella conoscenza in proporzione al suo progresso
nell'umiltà, tanto che la più alta conoscenza e la più alta umiltà fini-
scono per coincidere, ragion per cui l'uomo, «quando è giunto alla mi-
sura della pienezza della conoscenza del Cristo ed ha assimilato il Cri-
sto stesso e per davvero l'intelligenza del Cristo, [. ..] ha la convinzio-
ne di non sapere e di non possedere assolutamente nulla e si ritiene
un servo vile e inutile>> e ritiene anche «che non vi è nel mondo un uo-
mo più peccatore di lui»288 •
Il ruolo della carità è ancora più importante. Sintesi e vertice di tut-
te le virtù, è veramente dalla sua perfezione che deriva la conoscen-
za, perché è attraverso di essa che si compie l'unione con Dio nella
quale l'uomo riceve da Lui questa conoscenza. Tale legame tra la ca-
rità, frutto della pratica dei comandamenti, e la conoscenza, è indi-
cata chiaramente dallo stesso Cristo: «Chi ha i miei comandamenti e
289 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Lettere, 27; 62; Trattato pratico, Prologo, 8. GIOVANNI CLTh1ACO,
La Scala, XXX, 17; 37. lsACCO IL SIRO, Lettere, 2; 4, passim; Discorsi ascetici, 73. MAsSIMO IL
CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 31; IV, 59-62. GIOVANNI DAMASCENO, Omelia sulla Trasfi-
gurazione, 10, PG 96, 560D.
290 Lettere, 2.
291 Centurie, N, 60.
292 Centurie, ID, 80.
293 Trattati etici, V, 419s. Cfr. ibid., rv, 573-583.
294 Triadi, II, 3, 77.
758
ne>> (1Cor 13,8). Occorre sottolineare che, al contrario, la conoscenza
genera la carità, o più esattamente l'accresce, e che, da quest'altro pun-
to di vista, la carità appare come il fine della conoscenza. Secondo il
primo punto di vista, la conoscenza sembra superiore alla carità; in ba-
se al secondo, è la carità che sembra superiore alla conoscenza. È per
questo che l'Apostolo afferma: «Se anche [. .. ] conosco tutti i misteri
e tutta la scienza, [. ..] ma non ho la carità, non sono niente» (1 Cor
13,2). Sant'Isacco ritiene la conoscenza di Dio come la condizione del-
1' amore di Dio quando scrive: «Se tu non conosci Dio, non è possi-
bile che viva in te il suo amore. E non puoi amare Dio se tu non lo ve-
®>295. San Simeone sottolinea ugualmente che «non si può acquistare
e conservare il perfetto amore di Dio se non in proporzione alla co-
noscenza spirituale»296 • Altrove afferma: <<Dopo la manifestazione [del
Signore] la carità perfetta si presenta in noi»; fintanto che egli non si
è manifestato, «noi non possiamo amarlo correttamente»297 . San Ma-
cario osserva, infatti, che <<l'anima illuminata dallo Spirito [ ... ] e che
vede così per mezzo dello spirito la bellezza desiderata, unica e ine-
sprimibile, è ferita dall'amore divino [ ... ]. Essa acquista allora un amo-
re illimitato e inesauribile per il Signore che essa desidera>>298 • A que-
sto riguardo sant'Isacco così afferma: <<L'amore è il figlio della cono-
scenza>>299. A sua volta, san Massimo così scrive: <<La conoscenza genera
l'amore di Dio»300 • Quanto a Clemente d'Alessandria sottolinea: <<È
scritto: a colui che ha, sarà dato di più; [. .. ] alla conoscenza, la carità>>;
e osserva: la conoscenza <<termina nella carità>>301 •
In realtà, questi due punti di vista, che gli stessi Padri presenta-
no tra l'altro alternativamente, sono complementari. Vi è una dia-
lettica dell'amore e della conoscenza di Dio, ove il progresso di cia-
scuno è per l'altro fonte di un nuovo progresso. Questa dialettica non
cessa mai nemmeno ai più alti livelli della vita spirituale: perché
Dio è infinito e nella sua essenza è inaccessibile e inconoscibile, sic-
ché l'amore e la conoscenza dell'uomo, per quanto grandi possano
759
essere, sono suscettibili di crescere all'in:finito302 • Questo vale per tut-
te le virtù303 •
302 Cfr. Fil 3,12-14. GREGORIO DI NISSA, Omelie sul Cantico dei Cantici, I, PG 44, mB-D; 5,
PG 44, 876BC; 885D-888A; 8, PG 44, 940D-941C; 12, PG 44, 1037BC); Vita di Mosè, Il, 225-
244. MACARIO n'EGIITO, Omelie (Coli. Il), X; XV, 37; XXVI, 17. GREGORIO NAZIANZENO, Di-
scorsi, Il, 76. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXX, 37. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 85. SI-
MEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici; gnostici e pratici, I, 7; Inni, VIII, 39s.
;o; Cfr. GREGORIO DI NISSA, Vita di Mosè, Prefazione, 5-8.
304 Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 52. TEOLETIO DI FILADELF1A, Capitoli teologici, gno-
stici e pratici, 3.
305 Cfr. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 13; 21.
306 Centurie sulla carità, rv, 86. Cfr. ill, 44.
307 Tre capitoli, 1.
308 Cfr. Triadi, I, 1, 20.
309 Omelie, 34.
31°Cfr. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 31; 32. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 1; 7; 2, 2. Nr-
760
·nella quale, come nota sant'Isacco il Siro, «si compiono» e <<hanno il
loro fine>> «tutti i modi e tutte le forme con le quali gli uomini prega-
no Dio>>' 11 • Evagrio arriva a identificarl~ 12 , in particolare nella sua ce-
lebre formula: «Se tu sei teologo, preghi veramente; e se preghi vera-
mente, tu sei teologo»313 , il teologo sta ad indicare colui che è giunto
alla theologia nel significato antico di questo termine, cioè alla cono-
scenza/visione di Dio. Sant'Isacco sottolinea che, in ogni caso, la
grazia di questa conoscenza, che si compie attraverso lo Spirito, «è ac-
cordata a coloro che ne sono degni, al momento della preghiera. Essa
ha la sua fonte nella preghiera. Essa non ha altro luogo che questo tem-
po per abitare in noi con tutta la sua gloria, secondo la testimonian-
za dei Padri. Per questo è chiamata con il nome di preghiera fin dal
momento in cui lo spirito è condotto a questa beatitudine attraverso
la preghiera, perché la preghiera è la fonte e una tale.grazia non ha un
luogo in altri tempi, come dimostrano gli scritti dei Padri»314 •
Questi ritengono che tutta la vita ascetica debba tendere a ottene-
re (perché è un carisma315) tale preghiera316 • È così che la preghiera
contribuisce per gran parte a condurre l'uomo all'impassibilità e al
possesso di tutte le virtù, e che l'impassibilità e le virtù (in particola-
re la carità317 ), una volta stabilite nell'uomo, gli permettono di acce-
dere alla preghiera pura318 •
La preghiera pura, infatti, si definisce innanzitutto come una pre-
ghiera dell'uomo purificato da ogni passione e da ogni rappresenta-
zione (immagine o pensiero) cattiva319 • È quanto ricorda l'Apostolo
quando invita a pregare «in ogni luogo, innalzando verso il cielo ma-
ni pure, senza collera e spirito di contesa>> (lTm 2,8). La purif:icazio-
761
ne dalle passioni si compie attraverso tutta lascesi, e quella dei pen-
sieri si compie in particolare attraverso il «combattimento interiore»
in cui, lo abbiamo visto, la vigilanza e lattenzione giocano, congiun-
tamente alla preghiera, un ruolo essenziale, quello della «custodia del
cuore>>. La purificazione del cuore appare così come la prima e indi-
spensabile condizione dell'accesso dell'uomo alla conoscenza/visio-
ne di Dio, la quale costituisce la sua finalità ultima. Ciò è quanto sot-
tolinea san Filotea il Sinaita quando scrive: <<Abbiaffio ricevuto la leg-
ge della purificazione del cuore per nessun'altra ragione che questa:
quando le nubi del male avranno lasciato lo spazio del cuore e saran-
no state dissipate per mezzo della continuità dell'attenzione, potremo
in tutta purezza, come in un cielo sereno, vedere Gesù, il Sole di Giu-
stizia»320. Sant'Esichio di Batos osserva nello stesso senso che la vigi-
lanza, che «libera completamente l'uomo dai pensieri passionali come
dalle azioni cattive, se essa è a lungo e ardentemente perseguita[. ..],
per quanto possibile, offre una conoscenza sicura dell'Incomprensi-
bile, e [. .. ] rivela i misteri divini e nascosti>>321 .
Questa prima condizione, di cui i Padri sottolineano così la parti-
colare importanza, non è tuttavia sufficiente: la purificazione del cuo-
re da tutti i pensieri passionali non impedisce allo spirito di essere
distratto dai «pensieri semplici», cioè dai pensieri privi di passio-
ne322. Come fa notare Evagrio: «Non è perché si è raggiunta l'impas-
sibilità che pertanto si pregherà veramente; perché si può rimanere
ai pensieri semplici e distrarsi nel meditarli, e quindi essere lontani da
Dio>>'23 •
Una volta liberato dalle passioni, purificato e preservato dai pen-
sieri e dalle immaginazioni cattive, resta dunque all'uomo, per unirsi
a Diò in una preghiera pura - ed è questo il secondo significato di ta-
le espressione -, evitare gli stessi pensieri semplici, svuotare il suo spi-
rito (o, come dicono spesso i Padri, renderlo nuda324 ) da qualsiasi rap-
presentazione, immagine o pensiero indifferente o anche buono325 .
testo più ortodosso, in san Massimo il Confessore (dr. Discorso ascetico, 19) e in san Gregorio
Palamas.
325 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, Pseudo supplemento, 29. DIADOCO DI FOTICEA,
Cento capitoli gnostici, 68. MAsswo IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, m, 49. EsICHIO DI BA-
TOS, Capitoli sulla vigilanza, 103.
762
Per questo san Gregorio il Sinaita consiglia: «Con il concorso della
preghiera, disprezza ogni rappresentazione sensibile o intellettuale
che salirà dal tuo cuore»326 ; anche «se dei concetti buoni delle cose si
presentano a te, non prestarvi attenzione»327 • Anche sant'Esichio di
Batos afferma: «Veglia per non avere nel cuore alcun pensiero né ir-
razionale né razionale»328 , per <<preservare [il tuo] cuore da ogni pen-
siero, quand'anche possa sembrare buono>>3 29 • «Come il corpo, quan-
do muore, si separa totalmente dalle cose del mondo, così l' aniriia che
si applica a rimanere in questo stato altissimo della preghiera, e che
muore, si separa da tutti i pensieri del mondo», scrive san Massimo330 •
Evagrio consiglia la stessa cosa: «Sforzati di rendere il tuo spirito, al
momento della preghiera, sordo e muto, e potrai pregare»331 • Devo-
no essere escluse anche le rappresentazioni sensibili o intelligibili pro-
prie della contemplazione naturale. Evagrio a questo proposito scri-
ve: «Anche se lo spirito non si sofferma sui pensieri semplici, non per
questo ha già raggiunto il luogo della preghiera; infatti lo spirito
può essere nella contemplazione degli oggetti e occuparsi delle loro
ragioni, le quali, anche se sono espressioni semplici, nondimeno, in
quanto considerazioni d' oggetti, imprimono una forma allo spirito e
lo portano lontano da Dio»332 • In breve, «la preghiera è abbandono
delle rappresentazioni (ap6thesis noemdton )»333 , soppressione di tut-
ti i pensieri334 • Dio si fa conoscere all'uomo solo se prega in questa
condizione335 , perché <<la contemplazione di Dio non conduce su nul-
la che imprima una forma nello spirito (nous)», nota Evagrio336 , il qua-
le ricorda che Dio è al di là di ogni figura3 37 • «Lilluminazione appa-
re allo spirito puro nella misura in cui esso si è liberato da tutte le rap-
presentazioni e da ogni forma», scrive da parte sua san Gregorio
n 6 Sull'esichia e f due modi della preghiera, 9. Vedi anche Come l'esicasta depe stare nella
preghiera.
m Sul!' esichia e i due modi della preghiera, 2.
328 Capitoli sulla vigilanza, 49.
332 Ibid., 56. Cfr. 57. Sui diversi pensieri della malvagità, recensione lunga, 39.
333 EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 70. Cfr. 69; Lettere, 58; 61. MAsSIMO IL CONFESSORE,
Centurie sulla carità, IV, 42.
" 4 Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE, Discorso ascetico, 19. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici,
Pseudo supplemento, 29.
Cfr. EVAGRIO PONTICO, Lettere, 58.
335
m La preghiera, 67.
763
Palamas338 • Questi non cessa di affermare, nella linea di tutta la Tra-
dizione, che Dio è radicalmente trascendente a ogni essere e inac-
cessibile a tutte le facoltà della conoscenza timana339 • San Nicodemo
l' Agiorita raccomanda, in questa linea, di applicare l'attenzione alla
preghiera «rimanendo senza immagini né figure, non immaginando
né pensando qualunque cosa d'altro, sensibile o intellettiva, esteriore
o interiore, fosse questo anche qualcosa di buono. Dio è al di fuori di
tutto il sensibile e di tutto l'intelligibile, al di sopra di tutto questo; lo
spirito dunque che vuole unirsi a Dio attraverso la preghiera deve usci-
re sia dal sensibile che dall'intelligibile, superare tutto ciò per otte-
nere l'unione divina»340 • Ne segue che anche ogni rappresentazione
delle realtà spirituali deve, per questo motivo, essere esclusa. Per evi-
tare il rischio d'illusione che sta in agguato nei confronti dell'orante
a questo stadio, san Gregorio il Sinaita consiglia: «Se vogliamo sco-
prire e conoscere la verità senza rischio d'errore, cerchiamo di non
avere che loperazione del cuore assolutamente senza forma o figu-
ra, di non riflettere nella nostra immaginazione né forma né impres-
sione di sedicenti cose sante, di non contemplare alcuna luce, perché
l'errore, soprattutto all'inizio, ha l'abitudine di trarre in inganno lo
spirito dei monaci esperti attraverso questi fantasmi menzogneri»m.
Per questo raccomanda ancora: «Se tu pratichi come si deve l' hesy-
chia nell'attesa dell'unione a Dio, non lasciare mai che un oggetto sen-
sibile o intelligibile, esteriore o interiore, fosse pure l'immagine del
Cristo, o la pretesa forma di un angelo o di santi, o anche una luce,
s'inscriva o si disegni nel tuo spirito»342 • Diverse forme straordinarie
possono, in realtà; essere percepite nel tempo della preghiera, forme
suscitate dai demoni343 , e anche diverse apparizioni luminose che so-
no di natura ben diversa dalla luce della grazia increata nella quale
Dio si rivela, ma che nondimeno l'orante rischia di confondere con
essa. Il rifiuto di ogni forma che si manifesta, l'astensione da ogni rap-
presentazione di qualunque natura, costituisce la migliore protezione
contro questo genere d'illusioni.
Nella realizzazione di questa radicale «eliminazione dei pensieri»,
di questo vuoto totale di ogni rappresentazione consiste il secondo
764
aspetto del ruolo della vigilanza, raccomandate anche d.a11' apostolo
Pietro quando consiglia: «Siate vigilanti per poter pregare>> (1Pt 4,7).
La vigilanza assume qui, da una parte, la forma della «custodia dei sen-
si>>344, che esclude ogni sensazione, principio di molte rappresentazio-
ni <<materiali e vane» che sono per lo spirito altrettanti <<ladri>>345 , e an-
che se esse sono senza passione, rendono l'uomo presente a questo
mondo e gli impediscono di esserlo pienamente a Dio. Dall'altra par-
te, essa prende la forma della «custodia dello spirito»346 , che esclude
ogni immaginaziorn:, ricordo, concetto, ogni intuizione intellettuale,
in breve, ogni rappresentazione di qualsiasi natura347 . Questa custodia
dello spirito si realizza nello stesso modo della custodia del cuore
che abbiamo preso in esame precedentemente, cioè nel rifiutare la rap-
presentazione fin dalla sua apparizione, non lasciandole alcuna possi-
bilità di soffermarsi e di svilupparsi, ogni discussione con essa essen-
do qui è esclusa. Quanto alla custodia dei sensi, essa può avvenire
solo nell'isolamento, nell'oscurità e nel silenzio, condizioni che ab-
biamo ricordato nel presentare la preghiera di Gesù.
Questo secondo aspetto del ruolo della vigilanza completa il primo,
ma sarebbe per se stesso insufficiente348 e presuppone necessariamen-
te il precedente. L'uomo per mezzo di una tecnica puramente men-
tale può giungere al vuoto dello spirito con l'annullamento di ogni rap-
presentazione. È anche una cosa relativamente facile questa purifica-
zione dello spirito349 , e accessibile ai principianti, come fa notare san
Gregorio Palamas350 . Ma essa da sola non serve a nulla e non dà affatto
accesso alla conoscenza di Dio né all'unione con lui. Essa non può ar-
rivarvi, per la grazia di Dio, se non è stata preceduta dalla purifica-
zione del cuore, «da tutte le facoltà e potenze dell'anima e del cor-
po»351. San Gregorio Palamas spiega in realtà che se <<l'attività (enér-
geia) dello spirito si regola e si purifica facilmente>> quando ci si astiene
da ogni pensiero, <<la potenza (dynamis) che produce questa attività
*' Cfr. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, l; 53. FlLOTEO IL SINAITA, Quaranta capi-
toli neptici, 27.
345 Cfr. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 53. Apoftegmi, serie alfabetica, Sindetico,
"'Ibid.
765
non è purificata se non quando lo sono anche le altre potenze. Infat-
ti l' anlina è un'essenza dalle molteplici potenze; se un male deriva da
una di queste potenze, essa è completamente sporcata: tutte comuni-
cano nella stessa unità. Per il fatto che ogni potenza ha la sua attività,
è possibile, con una certa applicazione, purificare per qualche tempo
un'attività qualunque. Ciò nonostante, la potenza non ne sarà purifi-
cata, poiché comunica con le altre ed essa è così piuttosto impura che
pura»352 • Detto altrimenti, quando lo spirito è puro da ogni rappre-
sentazione, se le altre facoltà del cuore non sono purificate esse stesse
dalle passioni, lo spirito partecipa della loro impurità, egli stesso è mac-
chiato dalle passioni che attaccano le facoltà. Ora, sottolinea san Gre-
gorio Palamas, <<UUo spirito legato alle passioni non potrà aspirare al-
l'unione divina. Fintanto che lo spirito prega in questa specie di di-
sposizione, non ottiene misericordia>>353 • In altre parole, l'unione con
Dio ha per condizione indispensabile l'impassibilità, che deriva, lo ab-
biamo visto, dalla pratica dei divini comandamenti e implica tutta la
vita virtuosa di cui san Gregorio Palamas sottolinea anche la necessità
per «disporre l'uomo a ricevere Dio»354 • San Simeone il Nuòvo Teo-
logo sottolinea a lungo la necessità di rispettare quest'ordine, e di sa-
lire sulla scala dal basso in alto prendendo in prestito successivamen-
te ciascuno dei pioli355 • Osserva, altresì, di cominciare la costruzione
della casa spirituale dalle fondamenta e non dal tetto356, cosa che, per
quanto bene sia fatta, non potrà tenere se dette fondamenta non sono
prima d'ogni cosa solidamente costruite.
chia e i due modi della preghiera, 9. Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 69, in cui il termine
eremia è usato nello stesso senso.
358 Cfr. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 9. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vi-
gilanza, 7; 1O.
766
ne al di là di ogni sensazione e in una conoscenza al di là di ogni in-
tellezione, conoscenza realizzata dallo Spirito Santo stesso utilizzando
le facoltà dell'uomo, dopo averle trasformate per renderle atte al suo
operare in esse. Ciò suppone, dunque, che l'uomo rinunci a ogni sen-
sazione, a ògni modo d'intellezione propria, qualunque essa sia. I san-
ti, scrive san Gregorio Palamas," «trascendono ogni conoscenza con la
preghiera ininterrotta e immateriale: essi allora- iniziano a intravvede-
re Dio>>359 • San Massimo sottolinea nello stesso senso: «La grazia del-
la preghiera unisce lo spirito a Dio, e, per questo, lo sottrae a ogni
altro pensiero. Lo spirito, intrattenendosi allora con Dio, nella sua nu-
dità, diviene deiforme»360 • Sant'Isacco il Siro nota più ptecisamente:
«Quando l'anima è condotta dall'energia dello Spirito verso le cose
divine, i sensi e le loro energie ci sono inutili, così come ci sono inu-
tili le potenze dell'anima spirituale quando, per mezzo dell'unione i:rÌ-
comprensibile, questa si fa simile alla Divinità e viene a trovarsi illu-
minata nei suoi movimenti dal raggio della luce più alta»361 • Quanto
a sant'Esichio di Batos, egli sottolinea il ruolo della vigilanza in que-
sto accesso dell'uomo, nella preghiera, all'esperienza della visione del-
la luce divina362 : «La custodia dello spirito sia chiamata con i suoi
nomi propri che le dànno tutto il suo senso: fonte di luce, fonte di ba-
gliori, effusione luminosa, portatrice di fuoco [.. .].Per queste luci :fiam-
meggianti che nascono da esse, occorre [. ..] chiamare con nomi pre-
ziosi questa virtù [. .. ]. Coloro che l'amano possono [. ..] contemplare
i misteri e divenire teologi. Divenuti contemplativi, essi nuotano in
questa luce purissima e infinita, la toccano con ineffabili sfioramenti,
rimangono e vivono con essa, perché alla fine essi hanno assaporato
quanto è buono il Signore»363 • San Filoteo il Sinaita sottolinea ugual-
mente il potere della vigilanza e dell'attenzione congiunte alla pre-
ghiera: «Se queste vanno di pari passo nel corso dei giorni, l' atten-
zione e la preghiera sono simili al carro di fuoco di Elia: esse elevano
nell'alto del cielo colui che trasportano [. .. ]. Se questi, con cuore fe-
lice, porta o si sforza di portare a buon fine la vigilanza, [. .. ] nell' or-
dine della contemplazione e dell'elevazione misti,che, il suo cuore di-
viene lo spazio di Dio che nulla può contenere»364 •
%2 Su questo argomento, vedi anche FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 24; 27.
363 Capitoli sulla vigilanza, 171. Cfr. 166.
,.. Ibid., 27.
767
Occorre, tuttavia, ricordare che se l'uomo può avere l'esperienza
della conoscenza/visione di Dio solo alle condizioni ricordate in pre-
cedenza, e in particolare quella della perfetta vigilanza e attenzione,
questa esperienza non ne è l'effetto automatico e come determinato
da una tecnica, ma resta un dono gratuito di Dio a colui che ha fatto
gli sforzi necessari per esserne degno. Ecco perché sant'Esichio di Ba-
tos precisa: «Quando lo spirito è completamente spoglio di tutti i pen-
sieri e delle forme che questi impongono, allora la beata luce della Di-
vinità lo illuminerà, se però, grazie al vuoto di tutti i pensieri, questo
splendore si rivela improvvisamente all'intelligenza pura>>3 65 • Insegnando
altrove che <<la virtù dell'attenzione fa abbondare ogni bene [nel] cuo-
re», fino a permettere all'uomo, alla fine, di vedere «chiaramente in
ispirito il Cristo [. .. ] con suo Padre consostanziale e lo Spirito Santo
adorabile>>, egli precisa: «0 piuttosto è Nostro Signore Gesù Cristo,
senza il quale non possiamo fare nulla, che ti darà queste cose>>3 66 • I
Padri fanno inoltre notare che il momento in cui la grazia della visio-
ne di Dio è concessa all'uomo è totalmente imprevedibile, sottolineando
con ciò anche la sua gratuità. San Gregorio il Sinaita riferisce queste
parole di sant'Isacco il Siro: «Le cose divine vengono da sole, tu ne
ignori I'ora>>367 • .
365Ibid., 89.
366Ibid., 117.
367 Sull'esichia e i due modi della preghiera, 10.
368 Cfr. BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, 5. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, XXIV, 6. SI-
768
della conoscenza/visione di Dio, egli risponde: «Perché in questo, più
che in ogni altro momento, l'uomo è preparato e condotto a volgere
verso Dio tutta la sua attenzione, desiderando e ricevendo ia sua pietà
[... ].Nel tempo della preghiera, lo spirito contemplativo è attento so-
lo a Dio, tende verso di lui con tutti i suoi movimenti, e non cessa di
rivolgergli con fervore e calore le suppliche del cuore. È, dunque, in
questo tempo in cui l'anima si applica all'unico necessario che dovrà
sgorgare la benevolenza divina»371 . Ecco perché i Padri raccomanda-
no costantemente di essere attenti alla preghiera372 , perché la preghie-
ra pura deriva anche dall' attenzione373 . Qui l'attenzione assume la for-
ma di una perfetta attenzione a Dio, e la vigilanza consiste nel veglia-
re per essere sempre completamente presenti a lui374 . Attenzione e
vigilanza perseguono come fine il perfetto raccoglimento dello spiri-
to375 e, più ancora, la concentrazione di tutte le facoltà dell'uomo in
Dio nella preghiera. Abbiamo visto, infatti, che uno degli effetti che
cerca di ottenere il <<metodo di orazione esicasta» è quello dell'unio-
ne tra spirito e cuore nella preghiera, in modo che tutto l'uomo (con
tutte le facoltà della sua anima e del suo corpo) preghi con purezza e
divenga totalmente preghiera pura.
Quando, dunque, i Padri dicono che la conoscenza/visione di Dio
è data all'uomo che ha raggiunto lo stato della preghiera pura, essi in-
tendono con questo, da una pa..-re, lo stato di un uomo che prega con
il cuore puro da ogni passione e con lo spirito puro da ogni rappre-
sentazione, e, dall'altra parte, lo stato di un uomo perfettamente at-
tento a Dio376, ossia di un uomo in cui non solo tutto il potere del pen-
siero è concentrato nella preghiera e attraverso essa in Dio, ma in cui,
inoltre, tutto l'essere, attraverso il cuore che è il suo centro e al quale
lo spirito è unito, è divenuto preghiera. È così che l'uomo intero può
371 Ibid.
372 Vedi per esempio Apoftegmi, XI, 87. EsICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 90; 94. FI-
LOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 4. L'associazione dei termini proseucht e prosocht
è molto frequente. La troviamo in particolare nel titolo del celebre trattato falsamente attribui-
to a SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO: Metodo della santa orazione e attenzione.
373 Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 149.
374 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 4; 7; 106. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla Genesi, XXX,
5; Omelia sulla Settimana Santa, 5; Commento a san Matteo, XIX, 2. CALLINICO, Vita di Ipazio,
48. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli Il), IX, 11. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnosti-
ci, 56. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 8; ill, 50-51. ESICHIO DI BATOS, Capitoli
sulla vigilanza, 98.
375 çfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVIII, 34.
376 E così che san Niceforo il Solitario scrive: <<L'attenzione è il principio della contempla,
769
ricevere questa visione/contemplazione, e può completamente, spiri-
to, anima e corpo, essere deificato da essa.
È in queste condizioni che l'anima, come afferma san Gregorio Pa-
lamas, <<servendosi della preghiera come di una serratura, penetra gra-
zie a essa [nei] misteri che l'occhio non ha visto [. .. ],manifestati dal
solo Spirito a coloro che ne sono degni>>377 • Al vertice della preghiera
pura, possiamo distinguere due stati, spiega san Massimo: «Indizi del
primo stato: lo spirito si raccoglie, si astrae da tutti i pensieri del mon-
do e, nel pensiero che Dio è presente - ed egli in realtà lo è-, prega
senza distrazioni né turbamenti»378• Quando l'uomo che ha raggiunto
questo stato è ritenuto degno da Dio, egli accede al secondo, il quale
è il dono, che appare bruscamente e in modo imprevedibile, della vi-
sione di Dio nella luce. <<Indizi [di questo] secondo stato: lo spirito è
rapito, nello slancio stesso della preghiera, dall'infinita luce di Dio;
perde ogni senso e di se stesso e degli altri esseri, eccetto di Colui che
con l'amore opera in lui questa illuminazione»379 •
770
le cose divine, è la potenza dello Spirito Santissimo che le compie per
grazia, quando essa viene ad abitare in noi. Ma all'inizio, a causa del
peccato, il Maligno ha inchiodato queste facoltà alla natura delle cose
visibili. Così, non vi era un solo uomo che ascoltasse e cercasse Dio,
perché tutto quanto riguardava la natura aveva la potenza della sua in-
telligenza e della sua ragione rinchiusa nella manifestazione delle co-
se sensibili, e non possedeva alcuna nozione delle cose elevate sopra
i sensi. È, dunque, a giusto titolo che la grazia.dello Spirito Santissi-
mo, in coloro che non si erano deliberatamente sottomessi ali' errore
nella loro vita interiore, ha ristabilito la potenza che era stata inchio-
data alle cose materiali, dopo averla da esse distaccata. Dotati di que-
sta facoÌtà nel suo stato originale di purezza, questi uomini hanno pri-
ma pregato e poi hanno cercato di scoprire e di conoscere, con l' aiu-
to della grazia. In seguito, essi hanno potuto cercare e conoscere più
profondamente: per la grazia stessa dello Spirito»380 • Altri Padri sot-
tolineano ugualmente la necessità per le facoltà wnane, e in partico-
lare per lo spirito (nous), di essere purificate, di ritrovare la loro con-
dizione naturale, in altri termini di essere in buona salute, al fine di es-
sere disposte a ricevere l'energia dello Spirito Santo che opererà
nell'anima la conoscenza/visione di Dio. <<La luce del sole attrae I' oc-
chio sano. Allo stesso modo la conoscenza di Dio attrae naturalmen-
te a sé, con la carità, lo spirito purificato», nota san Massimo381 • San
Basilio Magno si esprime in modo simile: «Come la potenza di vede-
re risiede nell'occhio. sano, così l'energia dello Spirito è nell'anima pu-
rificata»382. Sant'Isacco il Siro così scrive a questo proposito: «La con-
templazione mistica si rivela allo spirito dopo che lanima ha recupe-
. rato la salute»383 ; <<lo spirito che vede i misteri nascosti dello Spirito,
se però ha conservato in sé la salute della sua natura, contempla per-
fettamente la gloria del Cristo»384 •
E i Padri ricordano che la salute dell'anima, che dispone l'uomo
al dono della conoscenza di Dio, è il frutto dell'ascesi. «La cono-
scenza nasce dalla salute dell'anima» e <<la salute dell'anima è una po-
tenza che proviene da una lunga pazienza>>, osserva sant'Isacco385 . A
772
nella contemplazione naturale3 93 che la libera dall'ignoranza di Dio re-
lativamente agli esseri creati. Tale guarigione diviene totale per mezzo
della guarigione/contemplazione di Dio. È così che Evagrio scrive: «La
conoscenza guarisce lo spirito (nous)>>3 94 ; «quando la natura raziona-
le riceverà la contemplazione che la riguarda, allora anche tutta la po-
tenza dello spirito sarà sana>>395 • San Massimo nota in altri termini: <<Lo
spirito è perfetto quando [. ..] possiede nella super-ignoranza la super-
conoscenza del super-inconoscibile»396 • In questa «conoscenza>>, in-
fatti, lo spirito ritrova la finalità della sua natura ed esercita nella sua
perfezione l'attività che gli è propria secondo il disegno di Dio: cono-
scere e contemplare la Santissima Trinità. Ciò non significa, tuttavia,
sottolineano i Padri, che lo spirito sia esso stesso capace di questa
conoscenza che, lo abbiamo visto, supera le possibilità della sua na-
tura e avviene, secondo un modo incomprensibile, per la potenza del-
lo Spirito divino. Lo spirito (nous), afferma Evagrio, è dektik6s della
contemplazione della Santissima Trinità397 , dektik6s, cioè «capace di
ricevere e non di produrre né acquisire in senso stretto»398• Evagrio lo
precisa: «Per il fatto che siamo capaci di ricevere qualcosa, non ne con-
segue in alcun modo che ne abbiamo anche la potenza (dynamis)»399 •
Anche sant'Isacco il Siro precisa che «lo spirito ha in séJa potenza na-
turale di tendere verso la contemplazione divina>>, ma non di giungervi
da se stesso, perché «né lo spirito umano né lo spirito angelico sono
capaci con la sola loro natura di giungere alla contemplazione della
Divinità»; in realtà, questa «non è donata con la natura, ma per la
grazia>>400.
Benché lo spirito, in ragione della sua natura e del posto superiore
che egli occupa nel composto umano, sia il primo a beneficiare di que-
sta guarigione per mezzo della conoscenza, non è solo lui, ma tutta l' a-
nima che la riceve, come nota Evagrio stesso che vede nella conoscenza
<<la salute dell'anima>>, come vedeva nell'ignoranza la sua malattia401 , e
come osserva anche san Talassio: «La salute dell'anima è [ ... ] la cono-
"'Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, VI, 35. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie.sul-
la carità, II, 5.
394 Capitoli gnostici, m, 35~
395 Ibid., II, 15.
3% Centurie sulla carità, ill, 99. Cfr. I, 33.
m J. LEMAìTRE (=I. HAusHERR), «Contemplarion chez !es orientaux chretiens», in Diction-
naire de spiritualité, t. 1, 1953, col. 1845.
398 Ibid., col. 1846.
399 Lettere, 43, éd. Frankenberg, p. 595.
400 Discorsi ascetici, 84.
401 Capitoli gnostici, II, 8.
773
scenza.>>402 • Potremmo aggiungere che il corpo stesso, nella misura in
cui partecipa a questa conoscenza, vi trova la salute spirituale.· È così
che san Gregorio Palamas scrive in senso generale: <<L'unione sopran-
naturale con la luce più che risplerrdente [ ... ]ha come effetto di sta-
bilire e di far muovere conformemente alla natura le potenze interio-
ri dell'anima e del corpo»403 • Infatti, se è vero che lo spirito, in primo
luogo, ritorna nella conoscenza/contemplazione al destino che Dio gli
ha assegnato404 , ritrova la sua vera natura che è quella di conoscere e
di contemplare Dio, altrettanto è vero che l'uomo nella sua anima e
nel suo corpo è destinato per natura a questa conoscenza/contempla-
zione, che consiste nel ricevere in tutto il suo essere la grazia dello Spi-
rito che fa di lui un uomo-dio a somiglianza del Dio-uomo.
È nell'illuminazione per mezzo dello Spirito che si compie nella sua
perfezione la somiglianza a Dio alla quale Dio ha destinato l'uomo
creandolo, e che le virtù non avevano realizzato che parzialmente. <<La
grazia di Dio», scrive san Diadoco di Foticea, «quando ci vede aspi-
rare con tutta la nostra volontà alla bellezza della somiglianza [ ... ],
allora, facendo fiorire virtù su virtù ed elevando la bellezza dell'anima
di splendore in splendore, essa le fa acquisire il marchio della somi-
glianza [ .. .]. Ma la perfezione di questa, noi la conosceremo solo per
mezzo dell'illuminazione»405 • San Simeone il Nuovo Teologo nota a
proposito di quest'ultima: <<È allora che si realizza quanto ha detto il
profeta Davide: "Io dico: siete dèi, tutti figli dell'Altissimo" (Sai
82[81],6); figli dell'Altissimo; cioè secondo l'immagine dell'Altissi-
mo e la sua somiglianza»406 • Ciò è quanto insegna anche l'apostolo san
Giovanni quando scrive: «Sappiamo che quando [Dio] si sarà mani-
festato, saremo simili a lui, poiché lo vedremo come egli è» (lGv 3,2).
774
ne», nota sant'Isacco il Siro407 , che aggiunge: «La vera contemplazio-
ne della Santissima Trinità è, dunque, data nella pienezza della rivela-
zione del Cristo. È lui che l'ha insegnata e mostrata agli uomini, in-
nanzitutto quando egli ha rinnovato la natura umana nella propria ipo-
stasi, poi quando egli ci ha tracciato in sé un cammino affinché
attraverso i suoi comandamenti vivificanti potessimo giungere alla
verità>>408 •
775
CONCLUSIONE
778
Colui al quale è stata data la grazia d'incontrare un santo ha certa-
mente percepito di avere di fronte a sé qualcuno in cui l'umanità era
pienamente compiuta,· qualcuno che era perfettamente uomo perché
egli non era più un uomo decaduto, amputato di una parte di se stes-
so, mutilato nella sua natura, ma un uomo già in una certa misura dei-
ficato, portatore dello Spirito, divenuto per grazia un uomo-.dio a so-
miglianza del Dio-uomo.
Ma se è vero che, come evidenzia in particolare sant'Isacco, la stes-
sa perfezione comporta dei gradi, si può dire che accede a una salute
più perfétta ancora colui che ha avuto la grazia, eccezionale, della
conoscenza/visione· di Dfo. Questi ha intravisto, già in questo mondo,
il fine ultimo per il quale è stato creato; nell'esperienza della luce dei-
ficante, energia comune delle tre Persone della Trinità, ha trovato il
suo pieno compimento, la sua perfezione.
Pertanto, tale esperienza in questo mondo, oltre alla sua rarità, non
può essere duratura. Inoltre, l'uomo rimane con il suo corpo legato al-
le vicissitudini del cosmo decaduto. Ciò che i santi ricevono quaggiù
è la caparra dello Spirito, ciò che essi sperimentano sono le primizie
del Regno. È solo nel secolo futuro, dopo la risurrezione, che essi po-
tranno, per grazia di Dio, conoscere permanentemente e pienamente
la deificazione e i suoi effetti. È là che colui che ne sarà giudicato de-
gno potrà, in modo stabile e definitivo, godere in tutto il suo essere,
spirito, anima e corpo, con la pienezza dei mezzi che Dio gli ha dato
nel crearlo a questo scopo, dei beni divini che per natura egli è desti-
nato a ricevere, cioè Dio stesso che si comunica completamente nelle
sue energie increate.
779
vita spirituale cristiana, che si parlasse della conoscenza/visione di Dio
che in questo mondo ne è il più alto compimento. Ma si sarà notato
che nel lungo sviluppo che abbiamo dedicato alla conoscenza/visio-
ne, il tema della guarigione e della salute hanno occupato un posto
molto modesto. Se è permesso, infatti, dire che in questo stato l'uomo
raggiunge una salute ancora più perfetta che nei precedenti, poiché
non solo il suo spirito, ma anche la sua anima e il suo corpo raggiun-
gono qui pienamente la loro finalità, non bisogna dimenticare che
un tale stato supera ampiamente la nozione di salute, e sarebbe sicu-
ramente uno dei limiti dell'ultima parte della nostra ricerca il non aver-
lo fatto sufficientemente apparire.
Non bisogna, peraltro, dire che il nostro lavoro spinge a conclu-
dere che tutto ciò a cui l'uomo deve mirare con la vita in Cristo è la
guarigione dalle sue malattie e l'acquisizione della salute, il che ne ri-
durrebbe considerevolmente la portata. Occorre prendere coscienza
che la salute, anche quella spirituale, non è fine a se stessa. Essa è so-
lo la condizione affinché l'uomo possa divenire «una creatura nuova>>
(cfr. Gal 6,15), condurre una vita nuova, compiere il suo qestino che
è alla fine quello di glorificare Dio degnamente e con la pienezza dei
mezzi che il Creatore gli ha dato, e vivere pienamente in Dio essen-
do lui stesso deificato dalla grazia.
781
BIBLIOGRAFIA
Sacra Scrittura
Testi conciliari
Testi liturgici
La prière des Églises de rite byzantin: I.:office divin, la liturgie, les sacrements,
Chevetogne 1937; Lesfetesfixes, Chevetogne 1953; Les/etes mobiles, Che-
vetogne 1948; J;O/fice selon les huit tons, Chevetogne 1972; La prière des
heures, Chevetogne 1975.
Fonti patristiche
Vengono indicati i nomi ed eventualmente.soprannome/i dell'autore, testo/i di riferimento,
traduzione/i francesi utilizzate dall'autore nella presente opera; le versioni italiane vengono in-
dicate tra parentesi quadre: [ ... ] .
783
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pensiero occidentale, Milano 2001; La città di Dio: I (libri I-X), Città Nuo-
va, Roma 1978; II (libro XI-XVID), idem 1988; ID (libri XIX-XXII), idem
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- Le Confessioni. Testo dell'edizione benedettina. Traduzione. di J. Trabucco,
Paris 1964. [Le Confessioni, Paoline, Milano 20009].
AMBROGIO DI MILANO, La morte è un bene: PL 14, 567-596. Traduzione di
P. Cras in CYPRIEN et A.MBROISE, Le chrétien devant l,a mort, Paris 1980.
- Nabot il povero: PL 14, 731-756. Traduzione dei Benedettini di Caluire et
Cuire in Riches et pauvres dans l'Église ancienne, «Lettres chrétiennes» n.
6, Paris 1962.
- Sui sacramenti. Testo latino e traduzione di Dom B. Botte, «Sources chré-
tiennes» n. 25 bis, Paris 1961.
AMMONA, Istruzioni. Testo greco e traduzione di E Nau, Patrologia Orienta-
lis, XI, 4.
- Lettere. Testo greco stabilito da E Nau, Patrologia Orientalis, XI, 4. Tra-
duzione dal siriaco, dal georgiano e dal greco di Dom B. Outtier et Dom
L. Régnault in Lettres des Pères du désert, «Spiritualité orientale>> n. 42, Bel-
lefontaine 1985 (abbiamo seguito la numerazione adottata nella traduzio-
ne) .
.ANASTASIO lL SINAITA, Omelie per l,a festa della Trasfigurazione di Cristo. Te-
sto greco stabilito da A. Guillou, Mélanges d'archéologie et d'histoire, 67,
1955, pp. 217-258. Traduzione di Dom M. Coune in]oie de la Trans/igu-
ration d'après !es Pères d'Orient, «Spiritualité orientale» n. 39, Bellefontai-
ne 1985.
- Questioni e risposte: PG 89, 329-824.
ANDREA DI CRETA, Grande canone penitenziale. Testo greco in Triodion ka-
tanuktikon, Atene 1960. Traduzione anonima, Paris 1979.
- Omelia 7. Sull,a Trasfigurazione del Signore: PG 97, 932-957. Traduzione di
Dom. M. Coune in]oie de l,a Transfiguration d'après !es Pères d'Orient, «Spi-
ritualité orientale>> n. 39, Bellefontaine 1985.
ANONIMO, A Diogneto. Testo greco e traduzione di H.-I. Marrou, <<Sources
chrétiennes» n. 33, Paris 1951. [A Diogneto, Edizioni Paoline, Alba 1991].
- Discorso molto utile su Abba Filemone. In Philokalfa ton hieron neptikon, t.
2, Atene 1976, pp. 241-252. Traduzione diJ. Touraille in Philocalie des
Pères neptiques, t. 1, Paris 1995, pp. 604-614. [La Filocalia, 4 voll., Gribaudi,
Torino 1982, 1983, 1985, 1987: Discorso utilissimo sull'Abate Filemone,
II, pp. 357-371].
-Interpretazione del «Kyrie eleison». Testo greco in Philokalia ton hieron nep-
tikon, t. 5, Atene 1976, pp. 69-72. Traduzione di]. Touraille in Philocalie
des Pères neptiques, t. 2, Paris 1995, pp. 801-803. [La Filocalia, cit., IV, Spie-
gazione del «Signore, pietà>>, pp. 493-496].
- La Didachè. Testo stabilito da H. Hemmer, G. Oger et A. Laurent, <<Hem-
784
mer et Lejay», Paris 1926. Traduzione di F. Refoulé in Les écrits des Pères
apostoliques, «Chrétiens de tous les temps» n. 1, Paris 1963. [Didachè. In-
segnamento degli Apostoli, Paoline, Milano 2000].
- Le Costituzioni apostoliche. Testo e traduzione di M. Metzger, «Sources chré-
tiennes» n. 320 (Libri I-II), 329 (Libri III-VI), 336 (Libri VII-VIII), Paris
1985, 1986, 1987.
-Storia dei monaci d'Egitto. Testo greco di A.-J. Festugière, Subsidia Hagio-
graphica, 34, 1961. Traduzione di A.-J. Festugière in Les moines d'Orient,
t. IV/1, Paris 1964.
- Sulle parole della santa preghiera: <<Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi
pietà di me». Testo greco in Philokalia ton hieron neptikon, t. 5, Atene 1976,
pp. 63-68. Traduzione di J. Touraille in Philocalie des Pères neptiques, t. 2,
Paris 1995, pp. 796-800. [La Filocalia, cit., IV, Discorso mirabile sulle pa-
role della divina preghiera, cioè «Signore Gesù Cristo Figlio di Dio abbi pietà
di me», pp. 486-492].
- Vita di sant'Atanasio l'Atonita. Testo stabilito da L. Petit, Analecta Bollan-
diana, 25, Bruxelles 1906. Traduzione di D.O.R, Chevetogne 1963.
- Vita di san Daniele lo Stilita. Testo stabilito da le P. Delehaye in Les saints
stylites, Bruxelles 1923. Traduzione di A.-J. Festugière in Les moines d'O-
rient, t. II, Paris 1961.
- Vita di san Pacomio (Prima vita greca). Testo stabilito da Halkin, Sancti Pa-
chomii Vitae Graecae, Bruxelles 1932. Traduzione di A.-J. Festugière in Les
moines d'Orient, t. IV/2, Paris 1965.
ANTONIO (EREMITA, IL GRANDE), Esortazioni sui costumi degli uomini e sulla
vita virtuosa (attribuzione dubbia) in Phz1okalia ton hieron neptikon, t. 1,
Atene 1976, pp. 4-27. Traduzione diJ. Touraille in Philocalie des Pères nep-
tiques, t. 1, Paris 1995, pp. 44-64. [La Filocalia, cit., I, Avvisi sull'indole uma-
na e la vita buona, pp. 58-85].
- Lettere. Versione latina: PG 40, 977-1000; versione georgiana stabilita da
G. Garitte, Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium, 148 (testo) et
149 (traduzione latina); versione siriaca (1 ère lettre): edizione F. Nau, Revue
de l'Orient chrétien, 14, pp. 282-297. Traduzione francese dei Monaci del
Mont des Cats, «Spiritualité orientale» n. 19, Bellefontaine 1976. [A'rANA-
SIO - ANTONIO ABATE, Vita di Antonio. Detti e lettere, Paoline, Milano 2001 2].
ANTONIO STUDITA, Opere. Testo greco edito da A. Papadopoulos-Kerameus,
Gerusalemme 1905.
APOFIEGMI DEI PADRI, Collezione alfabetica: PG 65, 71-440, completata da
J.-Cl. Guy, <<R.echerche sur la tradition grecque des Apophthegmata Pa-
trum», Subsidia Hagiographica, 36, Bruxelles 1962, pp. 19-36. Traduzione
di a) J.-Cl. Guy, Les apophtegmes des Pères du désert. Série alphabétique,
«Spiritualité orientale» n. 1, Bellefontaine 1966, pp. 17-317; b) Doro L. Ré-
gnault, Les sentences des Pères du désert. Collection alphabétique, Sole-
srnes 1981. Noi utilizziamo la numerazione diJ.-Cl. Guy. [Cfr. Apoftegmi
785
di sapienza latina, ossia Florilegio di parecchie migliaia di locuzioni latine, Jo-
vene, Napoli 1921].
- Collezione anonima. Testo greco stabilito da F Nau, Revue de l'Orient Chré-
tien, 12-14; 17-18 (1907-1913). Traduzione di Dom L. Régnault, Les sen-
tences des Pères du désert. Série des anonymes, Solesmes 1985 (apoftegmi
numerati N 133 a N 339). Tavola di corrispondenza con la numerazione di
J.-Cl. Guy in Les sentences des Pères du désert. Troisième recuezl, Solesmes
1976, pp. 254-266.
- Collezione sistematica: Versione latina di Pelagio e Giovanni, PL 73, 851-
1052. Traduzione diJ. Dion et G. Oury, Les sentences des Pères du désert,
Solesmes 1966. Testo greco e traduzione dei capitoli I-IX diJ.-Cl. Guy, Les
apophtegmes des Pères. Collection systématique, 1, «Sources chrétiennes» n.
387, Paris 1993.
- Collezioni diverse: a) Apoftegmi inediti o poco conosciuti raccolti e. pre-
sentati da Dom L. Regnault. Traduzione dal greco (Ms. Coislin 126 = N;
Paul Evergetinos = PE), dal latino (R, Pa, M), dal siriaco (Bu), dall'arme-
no (Arm), dal copto (Eth. Coll.), dall'etiopico (Eth. Coll., Eth. Pat.) dei Mo-
naci di Solesmes, Les sentences des Pères du désert. Nouveau recueil, Sole-
smes 1970; b) Complementi della collezione alfabetico-anonima, comple-
menti della collezione sistematica greca Q-XXI, H, QRf), apoftegmi tradotti
dal latino (PA, CSP), apoftegmi tradotti dal copto (Am), da Dom L. Ré-
gnault, Les sentences des Pères du désert. Troisième recueil, Solesmes 1976.
Quest'ultima opera riporta le tavole di tutte le collezioni.
ARsENIO, Lettere. Traduzione dal georgiano di Dom B. Outtier, in Lettres des
Pères du désert, <8piritualité orientale» n. 42, Bellefontaine 1985.
ATANASIO D'ALESSANDRIA, Apologia contro gli Ariani: PG 25, 248-409.
- Commento ai Salmì: PG 27, 59-546.
- Contro i pagani. Testo e traduzione di P. Tu. Camelot, «Sources chrétien-
nes» n. 18 bis, Paris 1983.
- Lettere a Serapione: PG 26, 520-67 6. Traduzione di J. Lebon, «Sources
chrétiennes» n. 15, Paris 1947. [Lettere a Serapione: sulla divinità dello Spi-
rito Santo, EMP, Padova 1983; Lettere a Serapione: lo Spirito Santo, Città
Nuova, Roma 1986].
-Sull'Incarnazione del Verbo. Testo e traduzione di C. Kannengiesser, «Sour-
ces chrétiennes» n. 199, Paris 1973. [L'incarnazione del Verbo, Città Nuo-
va, Roma 199YJ.
- Vita di Antonio. Testo greco e traduzione di G. J. M. Bartelink, «Sources
chrétiennes» n. 400, Paris 1994. [Vita di Antonio. Detti e lettere (di Anto-
nio abate), Paoline, Milano 200I2]. .
BARSANUFIO, Lettere. Testo greco stabilito da Nicodemo l'Agiorita, Venezia
1816; ried. Tessalonica 1984. Traduzione di Dom L. Régnault, P. Lemaire
et B. Outtier in BARSANUPHE et }EAN DE GAZA, Correspondance, Solesmes
1972. La numerazione adottata è quella della traduzione.
786
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dreau, Saint-Benoit 1981.
BASILIO DI CESAREA (IL GRANDE), Commento a Isaia: PG 30, 117 -668.
- Costituzioni ascetiche: PG 31,1321A-1428C. Traduzione di}.-M. Bague-
nard, in Dans la tradition basilienne, «Spiritualité orientale» n. 58, Bel-
lefontaine 1994, pp. 109-232 (attribuzione dubbia).
- Lettere. Testo e traduzione di Y Courtonne, «Collection des Universités
de France», Paris 1957 (t. I), 1961 (t. Il), 1966 (t. III). [Le lettere, SEI,
Torino s.i.d.]. . .
- Omelie sull'Hexaemeron. Testo e traduzione di S. Giet, «Sources chré-
tiennes» n. 26 bis, Paris 1968. [Sulla Genesi: omelie sull'Esamerone, Fon-
dazione Lorenzo Valla, Roma 1990].
- Omelie sull'origine dell'uomo. Testo e traduzione di A. Smets et M. Van
Esbroeck, «Sources chrétiennes» n. 160, Paris 1970.
- Omelie: PG 31, 163-618 et 1429-1514.
-Regole brevi: PG 31, 1080-1305. Traduzione di L. Lèbe, SAINT BASILE, Les
Règles monastiques, Maredsous 1969. [Le Regole, cit.].
-Regole lunghe. PG 31, 889-1052. Traduzione di L. Lèbe, SAINT BASILE, Les
Règles monastiques, Maredsous 1969. [Le Regole: regulae /usius tractatae,
regulae brevius tractatae, Qiqajon, Magnano 1993].
-Regole morali: PG 31, 653-869. Traduzione di L. Lèbe, SAINT BASILE, Les
Règles morales, Maredsous 1969. [Regole morali, Città Nuova, Roma 1996].
-Sul battesimo. Testo e traduzione di J. Ducatillon, «Sourc~ chrétiennes» n.
357, Paris 1989.
- Sullo Spirito Santo. Testo e traduzione di B. Pruche, «Sources chrétiennes»
n. 17 bis, Paris 1968. [Lo Spirito Santo, Città Nuova, Roma 1993].
CALLINICO, Vita d'Ipaziq. Testo e traduzione di G. J. M. Bartelink, «Sources
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CALLISTO CATAFIGIOTES (CATAPHUGIOTA), Sull'unione con Dio e la vita con-
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res neptiques, t. 2, Paris 1995, pp. 732-787. [La.Filocalia,.cit., IV; !}unione
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CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO (XANTHOPOULOS), Centuria spirituale.
· Testo greco in Philokalia ton hieron neptikon, t. 4, Atene 1976, pp. 197-295.
Traduzione diJ. Touraille in Philocalie des Pères neptiques, t. 2, Paris 1995,
pp. 546-643. [La Fzlocalia, cit., IV, Metodo e canone rigoroso ... , pp. 150-
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CALLISTO Il (IL PATRIARCA), Capitoli sulla preghiera. Testo greco in Philokalia
ton hieron neptikon, t. 4, Atene 1976, pp. 296-298, e PG 147, 813-817. Tra-
duzione diJ. Touraille in Philocalie des Pères neptiques, t. 2, Paris 1995, pp.
647-714. [La Filocalia, cit., IV; Capitoli sulla preghiera, pp. 287-385].
CALLISTO TELIKUDES, Sulfri; pratica dell'esicasmo. Testo greco in Phzlokalia ton
787
hieron neptikon, t. 4, Atene 1976, pp. 368-372, e PG 147, 817-825. Tradu-
zione di}. Touraille in Philocalie des Pères neptiques, t. 2, Paris 1995, pp.
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Scriptorum Ecclesiastz"corum Latinorum, 3. Traduzione di D. Gorce in Saint
Cyprien, «Les écrits des saints», Namur 1958. [Trattati, Ezio Cantagalli, Sie-
na 1932]. .
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rum Latinorum, 3. Traduzione di D. Gorce in Saint Cyprien, <<Les écrits des
saints», Namur 1958. [Opere di san Cipriano, UTET, Torino 1980].
-Sulla morte. PL 4, 583-602. Traduzione di M. H. Stébé in CYPRIEN-AM-
BROISE, Le chrétien devant la mort, «Les Pères dans la foi>>, Paris 1980.
CIRILLO D' ALEssANDRIA, Commento a san Giovanni, Iv, 2; 3: PG 73, 560-605.
Traduzione di H. Delanne in La messe, «Lettres chrétiennes» n. 9, Paris
1964. [Commento al Vangelo di Giovanni, 3 voll., Città Nuova, Roma 1994].
- Commento at1a lettera ai Romani: PG 74, 775-856. [Commento alla lettera
ai Romani, Città Nuova, Roma 1991].
- Dialoghi sulla Trinità. Testo e traduzione di G.-M. de Durand, «Sources
chrétiennes», nn. 231, 237, 246, Paris 1976, 1977, 1978. (Dialoghi sulla Tri-
nità, Città Nuova, Roma 1992].
-Dialogo sull'incarnazione dell'Unigenito. Testo e traduzione di G.-M. de Du-
rand, «Sources chrétiennes » n. 97, Paris 1964.
- Glaphyra sull'Esodo: PG 69, 485-537.
- Glaphyra sulla Genesi: PG 69, 13-385.
- Il Cristo è uno. Testo e traduzione di G.-M. de Durand, «Sources chré-
tiennes» n. 97, Paris 1964. [Perché Cristo è uno, Città Nuova, Roma 1983].
-Spiegazione dei dogmi. Testo stabilito da P. E. Pusey, vol. 5 delle Opere com-
plete (7 voll.), Oxford 1868-1877.
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nes d'Orient, III/1, Paris 1961.
- Vita di san Giovanni l'Esicasta. Testo stabilito da E. Schwartz, Texte und
Untersuchungen, XLIX, 2, Leipzig 1939. Traduzione di A.-J. Festugière
in Les moznes d'Orient, III/3, Paris 1963.
788
- Vita di san Kyriakos. Testo stabilito da E. Schwartz, Texte und Untersu-
chungen, XLIX, 2, Leipzig 1939. Traduzione di A.-J. Festugière in Les moi-
nes d'Orient, III/3, Paris 1963.
- Vita di san Sabas (Sabba). Testo stabilito da E. Schwartz, Texte und Unter-
suchungen, XLIX, 2, Leipzig 1939. Traduzione di A--J. Festugière in Les
moines d'Orient, III/2, Paris 1961.
- Vita di san Teodosio. Testo stabilito da E. Schwartz, Texte und Untersu-
chungen, XLIX, 2, Leipzig 1939. Traduzione di A-J. Festugière in Les moi-
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- Vita di san Theognios. Testo stabilito da E. Schwartz, Texte und Untersu-
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- Capitoli gnostici. Testo greco in Philokalia ton hieron neptikon, t. 2, Atene
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- Capitoli gnostici. Testo siriaco e traduzione di A. Guillaumont, Patrologia
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-Commento ai Salmi: PG 12, 1053-1685; PG 27, 60-545;J.-B. Pitra,Analecta
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to proposto da M. Rondeau in Orientalia Christuma Periodica, 26, 1960, pp.
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- Gli otto spiriti della malvagità: PG 79, 1145-1164. [Gli otto spiriti della mal-
vagità; Sui diversi pensieri della malvagità, San Paolo, Cinisello Balsamo
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- Grande lettera a Melania l'Anziana, II. Testo siriaco e traduzione di Vite-
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-Le basi della vita monastica. Testo: PG 40, 1252-1254, e Philokalia ton hieron
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- Lettere. Testo della versione siriaca con retroversione greca di W. Franken-
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- Lo gn'ostico. Testo e traduzione di A. Guillaumont, «Sources chrétiennes»
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-Parenetico. Testo della versione siriaca, retroversione gi-eca di W. Franken-
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- Riflessioni(= Sk"emmata). Testo edito da J. Muyldermans, Evagriana, Pa-
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- Scolii ai Proverbi. Testo e traduzione di P. Géhin, «Sources chrétiennes»
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n. 397, Paris 1993.
-Sentenze: PG 40, 1264-1269, e PG 79, 1236-1264.
-Sui diversi pensieri della malvagità: PG 79, 1200-1233; PG 40, 1240-1244;
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- Trattato al monaco Eulogio: PG 79, 1093-1140. Traduzione di M.-A. Jour-
dan-Gueyer in ÉVAGRE, De la prière à la per/ection, «Les Pères dans la foi>>,
Paris 1992.
- Trattato pratico sulla vita monastica. Testo, traduzione e note di A. e C. Guil-
laumont, «Sources chrétiennes» n. 171, Paris 1971. [Trattato pratico sulla
vita monastica, Città Nuova, Roma 19982].
- Trattato sull'orazione: PG 79, 1165-1200. Traduzione di I. Hausherr, Les
leçons d'un contemplati/. Le Traité de l'oraison d'Évagre le Pontique, Paris
1960. Questo trattato si trova anche sotto il nome di san Nilo, in Phi'lokalia
ton hieron neptikon, t. 1, Atene 1976, pp. 177-189; traduzione diJ. Tou-
raille in Philocalie des Pères neptiques, t. 1, Paris 1995, pp. 98-111. [La pre-
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- Discorso ascetico. Testo greco in Philokalia ton hieron neptikon, t. 1, Atene
1971, pp. 297-301, e PG 85, 1857-1860. Traduzione cliJ. Touraille in Phi-
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chréti.ennes» n. 270, Paris 1980.
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- Discorsi 24-26. Testo e traduzione di J. Mossay, «Sources chrétiennes» n.
284, Paris 1981.
- Discorsi 27 -31. Testo e traduzione di P. Gallay, «Sources chrétiennes» n.
250, Paris 1978.
-Piscorsi 32-37. Testo stabilito da C. Moreschini. Traduzione di P. Gallay,
«Sources chrétiennes» n. 318, Paris 1985.
- Discorsi 38-41. Testo stabilito da C. Moreschini. Traduzione di P. Gallay,
«Sources chrétiennes» n. 358, Paris 1989. [Omelie sulla natività: discorsi
38-40, Città Nuova, Roma 19982].
- Discorsi 42-43. Testo e traduzione di]. Bemardi, «Sources chrétiennes»
n. 384, Paris 1992.
-Discorsi 4-5. Testo e traduzione di]. Bemardi, «Sources chrétiennes» n.
309, Paris 1983.
- Discorsi 45: PG 36, 624-661. Traduzione di E. Devolder, «Les écrits des
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-Discorsi 6-12. Testo e traduzione di M.-A. Calvet, «Sources chrétiennes» n.
405, Paris 1995.
- Lettere teologiche. Testo e traduzione di P. Gallay, «Sources chrétiennes» n.
208, Paris 1974.
- Lettere. Testo e traduzione di P. Gallay, «Collection des Universités de Fran-
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-Poesie dogmatiche: PG 37, 397-522.
-Poesie morali: PG 37, 522-968.
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- Omelie sugli usurai: PG 46, 434-452. Traduzione di F. Quéré-Jaulmes in Ri-
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- Omelie sull'Ecclesiaste. Texte grec de l' éd. P. Alexander. -Traduzione di F.
Vinel, «Sources chrétiennes» n. 416, Paris 1996. [Omelie sull'Ecclesiaste,
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J. Millet in GRÉGOIRE DE NYSSE, Écrits spirituels, «Les Pères dans la foi>>,
Paris 1990.
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[La Filocalia, cit., ill, Come l'esicasta deve starsene seduto nella preghiera e
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le in Philocalie des Pères neptiques, t. 2, Paris 1995, pp. 411415. [La Filo-
calia, cit., III, Rigorosa notizia sull'esichia e sulla preghiera, pp. 578~583].
-Sul!'esichia e i due modi della preghiera. Testo greco in Philokalia ton hieron
neptikon, t. 4, Atene 1976, pp. 71-79, e PG 150, 1313-1329. Traduzione
cliJ. Touraille in Philocalie des Pères neptiques, t. 2, Paris 1995, pp. 417424.
[La Filocalia, cit., ill, I:esichia e i due modi della preghiera in quindici ca-
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(VC)J.
796
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- Vita di san Simeone il folle. Testo e traduzione di A.-J. Festugière, Paris
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Traduzione: idem. [La Filocalia, cit., I, A proposito di quelli che credono di
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807
INDICE
Introduzione pag. 5
PARTE PRIMA
PREMESSE ANTROPOLOGICHE
SALUTE ORIGINALE E ORIGINE DELLE MALATTIE
809
6. Patologia dell'immaginazione pag. 107
7. Patologia dei sensi e delle funzioni corporee .» 117
PARTE SECONDA
NOSOGRAFIA, SEMIOLOGIA E PATOGENESI
DELLE MALATTIE SPIRITUALI
LE PASSIONI
X. LA CENODOSSIA » 226
810
PARTE TERZA
CONDIZIONI GENERALI DELLA TERAPIA
PARTE QUARTA
APPLICAZIONE DELLA TERAPIA
PARTE QUINTA
TERAPIA DELLE PASSIONI E ACQUISTO DELLE VIRTÙ
812
VI. TERAPIA DELLA COLLERA. LA DOLCEZZA
E LA PAZIENZA pag. 611
PARTE SESTA
LA SALUTE RI1ROVATA
I. l.:IMPASSIBILITÀ » 677
CONCLUSIONE » 777
BIBLIOGRAFIA » 783
813