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vincitore del
premio di studi
Vittorio Sainati
2012
Edizioni ETS
www.edizioniets.com/premiosainati

Giuria del Premio


Francesca Brezzi, Adriano Fabris,
Gianfranco Fioravanti, Giovanni Manetti,
Augusto Sainati, Leonardo Samonà,
Alessandra Borghini

Comitato d’onore
Presidente del Senato della Repubblica
Presidente della Camera dei Deputati
Presidente della Provincia di Pisa
Sindaco di Pisa
Magnifico Rettore dell’Università di Pisa
Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa
Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Pisa
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philosophica
[126]
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philosophica

serie rossa

diretta da Adriano Fabris

comitato scientifico
Bernhard Casper, Claudio Ciancio,
Francesco Paolo Ciglia, Donatella Di Cesare, Félix Duque,
Piergiorgio Grassi, Enrica Lisciani-Petrini,
Flavia Monceri, Carlo Montaleone, Ken Seeskin,
Guglielmo Tamburrini
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Michela Bordignon

Ai limiti della verità


Il problema della contraddizione
nella logica di Hegel

Edizioni ETS
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www.edizioniets.com

© Copyright 2014
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com

Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884674100-4
ISSN 2420-9198
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Alle mie papere e alla mia panchina

Al mio lago e al mio salice piangente


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RINGRAZIAMENTI

Questo volume è la rielaborazione della mia tesi di dottorato, in-


titolata La contraddizione nella logica hegeliana, discussa a Padova nel
2011. Di essa è stato relatore il Prof. Luca Illetterati.
Desidero innanzitutto ringraziare la commissione del premio di
studi intitolato a Vittorio Sainati, per il conferimento di un riconosci-
mento così prestigioso e per avermi dato l’opportunità di pubblicare
questo testo. Ringrazio inoltre il Collegio dei Docenti dell’indirizzo di
Filosofia teoretica e pratica della Scuola di Dottorato di Ricerca in Fi-
losofia dell’Università di Padova, che nei tre anni del dottorato di ri-
cerca, con le loro diverse sensibilità filosofiche, hanno fornito stimoli
sempre nuovi al mio percorso di ricerca.
Nel secondo anno di dottorato ho avuto l’opportunità di tra-
scorrere un periodo di ricerca presso il Department of Philosophy del-
la Warwick University, dove ho svolto le mie ricerche sotto la guida
del Prof. Stephen Houlgate. Con lui ho discusso di questioni di fonda-
mentale importanza rispetto al mio lavoro. Il confronto con lui, le sue
riflessioni e i suoi consigli hanno rappresentato un contributo essen-
ziale allo sviluppo di questa ricerca. Per tutto questo e per la sua di-
sponibilità desidero qui ringraziarlo.
Un pensiero di gratitudine particolare va anche a tutti i colleghi
del seminario “Temi e problemi della filosofia hegeliana” della Scuola
di Dottorato in Filosofia di Padova, coordinato dai proff. Luca Illette-
rati, Francesca Menegoni e Antonio Nunziante. Il lavoro fatto con lo-
ro ha migliorato il mio modo di fare di ricerca e raffinato le mie capa-
cità di confronto con i testi hegeliani.
Non posso mancare di ringraziare i colleghi e gli amici della
Scuola di Dottorato, che sono stati di fondamentale importanza nel
mio percorso di ricerca sia per le discussioni e i confronti in campo fi-
losofico, sia per la loro preziosa amicizia, che ha reso i tre anni di dot-
torato un’esperienza veramente speciale.
Mi sta particolarmente a cuore ringraziare quelle persone che mi
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10 Ai limiti della verità

hanno aiutato e sostenuto nella fase finale del lavoro che ha portato al-
la pubblicazione di questo volume. Non posso che esprimere la più
sentita gratitudine al Prof. Paolo Giuspoli e al Prof. Venanzio Raspa. I
loro preziosi consigli, le loro critiche e i loro suggerimenti hanno avuto
un’importanza fondamentale nel permettermi di chiarire e risolvere al-
cune questioni cruciali all’interno del mio lavoro. Per i loro consigli,
per la lettura e la revisione del manoscritto desidero ringraziare gli
amici e colleghi Alberto Gaiani, Luca Corti, Andrea Altobrando, Gio-
vanna Battistella, Francesca Mazzucato, Alessandro Gasparetti, Gio-
vanna Miolli e Francesco Campana.
Sento di dover esprimere una gratitudine speciale al Prof. Fran-
co Chiereghin, per avermi fatto innamorare della filosofia hegeliana
con i suoi corsi all’inizio dei miei studi universitari, ma anche per tutti
i consigli e le discussioni sulla ricerca che presento in questo volume, e
per il suo sostegno e incoraggiamento, che sono stati per me essenziali
soprattutto nella fase conclusiva di questo lavoro.
Sono grata ancora una volta ai miei genitori, a tutti i miei amici e
a Denny per l’affetto e la pazienza con cui hanno sempre sopportato il
mio esserci e il mio non esserci.
Un sincero ringraziamento, infine, va al Prof. Luca Illetterati,
che mi ha seguito nel corso di tutto il lavoro di ricerca. Gli sono
profondamente debitrice per i suoi insegnamenti, per lo scambio
scientifico e per i molti consigli che spero di aver messo a frutto al me-
glio in questo mio lavoro. Desidero ringraziarlo anche per il profondo
sostegno e per l’amicizia che mi ha sempre dimostrato. Devo quanto
c’è di buono in questo lavoro soprattutto a lui.
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Barney: “All my life, I have dared to go past


what is possible”

Interviewer: “To the impossible?”

Barney: “Actually, past that... to the place


where the possible and the impossible meet to
become... the possimpible.

If I can leave you with one thought, it’s this:


Nothing... and everything... is possimpible”.

(How I met your mother? Season 4, Episode 14)


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ABBREVIAZIONI

Nel presente lavoro, ci si riferisce alle opere di Hegel nella ver-


sione dell’edizione critica: G.W.F. Hegel, Gesammelte Werke, in col-
laborazione con la Hegel-Kommission della Rheinisch-Westfälischen
Akademie der Wissenschaften e con lo Hegel-Archiv della Ruhr Uni-
versität Bochum, Meiner, Amburgo 1968 ss. (d’ora in avanti GW).
Per quanto riguarda gli scritti di Kant, ci si riferisce alla Akade-
mie-Ausgabe (Kants Gesammelte Schriften), a cura della Königlich
Preußische [poi: Deutsche] Akademie der Wissenschaften, Reimer
[poi: de Gruyter], Berlin 1900 ss. (d’ora in poi GS).
Nel testo si sono utilizzate le abbreviazioni qui di seguito elencate,
che nelle citazioni sono seguite dal numero della pagina dell’edizione te-
desca e, tra parentesi, da quello della corrispondente traduzione italiana.

Diss G.W.F. Hegel, Dissertatio philosophica de orbitis planetarum, in


GW, vol. V, Schriften und Entwürfen (1799-1808), a cura di M.
Baum e K.R. Meist, Meiner, Amburgo 1998, pp. 223-253 (trad.
it. di A. Negri, Le orbite dei pianeti, Laterza, Roma-Bari 1984).
Diff. G.W.F. Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen
Systems der Philosophie, in Beziehung auf Reinhold’s Beyträge
zur leichtern Uebersicht des Zustandes der Philosophie zu An-
fang des neunzehnten Jahrhunderts, in GW, vol. IV, Jenaer kri-
tische Schriften, a cura di H. Buchner e O. Pöggeler, Meiner,
Amburgo 1968, pp. 4-92 (trad. it. di R. Bodei, Differenza fra il
sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, in Primi scritti
critici, Mursia, Milano 1990, pp. 1-120).
Nohl G.W.F. Hegel, Hegels theologische Jugendschriften, a cura di
H. Nohl, Mohr, Tubinga 1907 (trad. it. di N. Vaccaro ed E.
Mirri, Scritti teologici giovanili, Guida, Napoli 1972).
Skept G.W.F. Hegel, Verhältnis des Skeptizismus zur Philosophie. Dar-
stellung seiner verschiedenen Modifikationen, und Vergleichung
des neuesten mit dem alten, in GW, vol. IV, Jenaer kritische
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14 Ai limiti della verità

Schriften, a cura di H. Buchner e O. Pöggeler, Meiner, Ambur-


go 1968, pp. 197-238 (trad. it. di N. Merker, Rapporto dello
scetticismo con la filosofia, Laterza, Bari 1984).
PdG G.W.F. Hegel, Die Phänomenologie des Geistes, in GW, vol.
IX, a cura di W. Bonsiepen e R. Heede, Meiner, Amburgo 1980
(trad. it. di E. De Negri, Fenomenologia dello spirito, 2 voll.,
La Nuova Italia, Firenze 1960).
WdL I G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, vol. I, Die objektive Lo-
gik, libro 1, Die Lehre vom Sein (1832), in GW, vol. XXI, a cura
di F. Hogemann e W. Jaeschke, Meiner, Amburgo 1985 (trad. it.
di A. Moni, revisione della trad. e nota introduttiva di C. Cesa,
Scienza della logica, Laterza, Roma-Bari 1968, pp. 9-430).
WdL II G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, vol. I, Die objektive
Logik, libro 2, Die Lehre vom Wesen (1813), in GW, vol. XI, a
cura di F. Hogemann e W. Jaeschke, Meiner, Amburgo 1978,
pp. 233-409 (Scienza della logica, cit., pp. 431-646).
WdL IIIG.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, vol. II, Die subjektive
Logik. Die Lehre vom Begriff (1816), in GW, vol. XII, a cura
di F. Hogemann e W. Jaeschke, Meiner, Amburgo 1981 (Scien-
za della logica, cit., pp. 647-957).
Enz G.W.F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaf-
ten im Grundrisse (1830), in GW, vol. XX, a cura di W. Bon-
siepen e H.-Ch. Lucas, Meiner, Amburgo 1992 (trad. it. di B.
Croce, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio,
Laterza, Roma-Bari 2002).
ND I. Kant, Principiorum primorum cognitionis metaphysicae no-
va dilucidatio, in GS, vol. I, a cura di K. Lasswitz, pp. 385-416
(trad. it. di P. Carabellese, quindi di R. Assunto e R. Hohenem-
ser, ampliata da A. Pupi, Nuova illustrazione dei primi principi
della conoscenza metafisica (1755), in Scritti precritici, Laterza,
Roma-Bari 1990, pp. 3-54).
Ver I. Kant, Versuch den Begriff der negativen Größen in die
Weltweisheit einzuführen, in GS, vol. II, a cura di K. Lasswitz,
pp. 165-204 (Tentativo di introdurre nella filosofia il concetto
di quantità negative, in Scritti precritici, cit., pp. 249-291).
KrV I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, in GS, vol. III, a cura di B.
Erdmann (trad. it. di G. Gentile e G.L. Lombardo Radice, Cri-
tica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 1996).
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Introduzione
ATTRAVERSO E OLTRE KANT

«È impossibile che la stessa cosa, ad un tempo, appartenga e


non appartenga a una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto»1:
questa è la prima formulazione del principio di non contraddizione
(d’ora in poi PNC), fornita da Aristotele nel libro Γ della Metafisica2.
Secondo la concezione classica della contraddizione è impossibile che
esista qualcosa di contraddittorio. La contraddizione è necessariamen-
te falsa. Essa rappresenta il punto di massima distanza del pensiero
dalla verità.
Questo non significa che la contraddizione non abbia nulla a che
fare con la verità. Anzi, la contraddizione può assumere una funzione
costitutiva all’interno della conoscenza della verità. Essa può essere,
infatti, utilizzata come spia per indagare quelli che sono i limiti del
pensiero stesso, quei punti in cui il pensiero, cadendo appunto in con-
traddizione, si trova a essere respinto lontano da quella verità cui pure
aspira. La contraddizione, in questo senso, viene ad assumere un ruolo
critico-negativo per cui, proprio in quanto necessariamente falsa, ci
permette di circoscrivere negativamente la verità e la nostra capacità di
comprenderla. In questo modo, la contraddizione diviene il riflesso
negativo della verità.
Un esempio paradigmatico di questo utilizzo critico-negativo

1 ARISTOTELE, Metafisica Γ, 1005 b 19-20, trad. it. di G. Reale, Bompiani, Mi-


lano 2000, pp. 143-145.
2 In realtà si possono rintracciare riferimenti al PNC già in Parmenide, nella
formulazione della ‘prima via’ per cui l’essere «è e non è possibile che non sia» (PARME-
NIDE, Poema sulla natura, trad. it. di G. Reale, Rusconi, Milano 1991, p. 91) e in Plato-
ne, ad esempio nella Repubblica: «È chiaro che l’identico soggetto nell’identico rappor-
to e rispetto all’identico oggetto non potrà contemporaneamente fare o patire cose op-
poste» (PLATONE, La Repubblica, trad. it. di F. Sartori, Laterza, Roma-Bari 2001,
p. 269). Sul PNC cfr. E. BERTI, Contraddizione e dialettica negli antichi e nei moderni,
L’Epos, Palermo 1987; V. RASPA, In-Contraddizione, Parnaso, Trieste 1999; G. PRIEST -
J.C. BEALL - B. ARMOUR-GARB (a cura di), The Law of Non-Contradiction. New Philo-
sophical Essays, Clarendon, Oxford 2004.
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16 Ai limiti della verità

della contraddizione è la dottrina kantiana delle antinomie3.


Nella Critica della ragion pura, all’interno della dialettica tra-
scendentale, Kant delinea un’analisi critica dei risultati contraddittori
cui si perviene nell’applicazione dei concetti e dei principi dell’intellet-
to a oggetti che vanno al di là del campo della nostra esperienza. La
nostra conoscenza, infatti, ha origine da due fonti. La prima, che «è la
facoltà di ricevere rappresentazioni (ricettività delle impressioni)»4 e
che dà quindi corpo al lato materiale della conoscenza, è quella me-
diante cui l’oggetto ci viene dato; la seconda è la facoltà «di conoscere
un oggetto mediante queste rappresentazioni (spontaneità dei concet-
ti)»5, e costituisce invece il lato formale della conoscenza, ossia le con-
dizioni di pensabilità dell’oggetto dato tramite l’intuizione sensibile.
Di per sé ognuna di queste facoltà rappresenta una condizione solo
necessaria e non ancora sufficiente al costituirsi della conoscenza6.
Kant definisce la dialettica trascendentale come una «critica del-
l’intelletto e della ragione riguardo al loro uso iperfisico»7. Solo all’in-
terno dell’esperienza ci viene messa a disposizione, tramite l’intuizione
sensibile, la materia della conoscenza. Perciò ogni tentativo di compren-
dere unicamente tramite i concetti e i principi dell’intelletto la natura di
oggetti che stanno al di là dell’esperienza ha a che fare con una materia
che non gli è propriamente data e produce soltanto mere illusioni.
In questo modo la dialettica trascendentale sviluppa un’analisi
critica delle pretese di porsi come scienza della metafisica, la cui atten-
zione si rivolge appunto a oggetti che stanno al di là del campo dell’e-
sperienza. La dialettica considera criticamente le tre parti della metafi-
sica speciale – psicologia razionale, cosmologia razionale, teologia ra-
zionale – nel loro sforzo di conoscere quegli oggetti metafisici, che so-
no rispettivamente l’anima, il mondo e Dio. Nel confronto con la co-
smologia razionale Kant sviluppa la dottrina delle antinomie. La man-
canza di fondamento delle pretese scientifiche della cosmologia razio-

3 Per un’analisi della dottrina kantiana delle antinomie cfr. J. BENNET, Kant’s
Dialectic, Cambridge University Press, Cambridge 1974; E. BERTI, Contraddizione e
dialettica negli antichi e nei moderni, cit., pp. 164-175; W. MALZKORN, Kants Kosmolo-
gie-Kritik. Eine formale Analyze der Antinomienlehre, Walter de Gruyter, Berlino 1999;
M. WOLFF, Der Begriff des Widerspruchs. Eine Studie zur Dialektik Kants und Hegels,
Hein, Königstein/Ts 1981, pp. 45-61.
4 KrV, p. 74 (p. 77).
5 Ibidem.
6 «I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cie-
che» (ivi, p. 75 (p. 78)).
7 Ivi, p. 82 (p. 85).
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Introduzione 17

nale e l’illusorietà della conoscenza in essa dispiegata vengono dimo-


strate da Kant, ponendo in evidenza la necessaria antinomicità della
ragione nel momento in cui essa cerca di comprendere il mondo come
totalità dei fenomeni, ovvero il mondo come cosa in sé.
Assunta la concezione del mondo come cosa in sé, la ragione
produce argomenti che implicano conclusioni ugualmente dimostrabi-
li – e quindi ugualmente necessarie – che sono però allo stesso tempo
antinomiche fra loro: l’una è la negazione dell’altra. Le antinomie della
ragion pura sono quattro e si suddividono, come noto, in antinomie
matematiche e dinamiche.
Nella prima antinomia, ad esempio, vengono dimostrate le due
proposizioni: (tesi) «il mondo nel tempo ha un cominciamento, e inol-
tre, per lo spazio, è chiuso dentro limiti»8, e (antitesi) «il mondo non
ha né cominciamento né limiti spaziali, ma è, così rispetto al tempo co-
me rispetto allo spazio, infinito»9. Sia la tesi sia l’antitesi vengono di-
mostrate apagogicamente, cioè attraverso la dimostrazione dell’impos-
sibilità della tesi opposta: viene mostrata la contraddittorietà di questa
tesi, che implica la sua necessaria negazione e quindi la verità della tesi
da dimostrare. Questo tipo di procedimento argomentativo viene svi-
luppato sia in relazione alla tesi sia in relazione all’antitesi, per cui en-
trambe risultano essere, seppur opposte, vere. Di qui l’antinomia, vale
a dire la contraddizione che segna necessariamente la ragione che cer-
ca di conoscere il mondo in quanto cosa in sé.
La soluzione kantiana dell’antinomia consiste nel riconoscere il
carattere apparente dell’antinomia stessa. Se esaminata con attenzione,
la relazione contraddittoria tra tesi e antitesi si basa sul presupposto
per cui sussiste il mondo come cosa in sé10. Senza questo presupposto,
che in effetti non siamo in alcun modo legittimati ad assumere, essen-
do la nostra conoscenza limitata al campo dei fenomeni, le due propo-
sizioni sono entrambe false: esse non sono contraddittorie, ma contra-
rie e, in effetti, i due predicati “finito” e “infinito” non sono termini
contraddittori, ma contrari. Essi risultano contraddittori solo nella mi-
sura in cui vengono attribuiti a un medesimo soggetto, che nel caso in
questione è il mondo come cosa in sé. Se non sussiste questo soggetto,
entrambe le proposizioni – “il mondo è finito” e “il mondo è infinito”
– sono false, non essendoci alcun mondo a cui attribuire la finitezza o

8 Ivi, p. 294 (p. 290).


9 Ivi, p. 295 (p. 291).
10 Cfr. M. WOLFF, op. cit., p. 50.
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18 Ai limiti della verità

l’infinitezza. La soluzione dell’antinomia, la falsità sia della tesi sia del-


l’antitesi, mette in luce quale sia la tesi effettivamente contraddittoria
rispetto a entrambe, e cioè quella per cui il mondo non è né finito né
infinito, in quanto non è affatto determinato rispetto alla sua grandez-
za. Questa tesi, in effetti, è la negazione del presupposto comune alla
tesi e all’antitesi di partenza, ovvero che il mondo sia determinabile ri-
spetto alla sua grandezza, e questo corrisponde al presupposto della
sussistenza del mondo in quanto cosa in sé.
La diagnosi kantiana delle antinomie dinamiche è in parte diversa
da quella delle antinomie matematiche, anche se la strategia argomenta-
tiva è la stessa. La relazione tra tesi e antitesi è sempre quella di una
contraddittorietà apparente, che però nasconde un rapporto tra i predi-
cati che non è di contrarietà, ma di subcontrarietà. Tesi e antitesi, in
quanto proposizioni subcontrarie, possono essere entrambe vere se si
distinguono i riguardi in cui il predicato viene attribuito al soggetto. Più
in particolare, questa distinzione di riguardi chiama in causa quella tra
fenomeno e cosa in sé. Si consideri la prima antinomia dinamica. Nella
tesi si afferma che «la causalità secondo le leggi della natura non è la so-
la da cui possono esser derivati tutti i fenomeni del mondo. È necessa-
rio ammettere per la spiegazione di essi anche una causalità per
libertà»11. Nell’antitesi, al contrario, si sostiene che «non c’è nessuna li-
bertà, ma tutto nel mondo accade unicamente secondo leggi della natu-
ra»12. Mentre da una parte si afferma che ci sono cose che agiscono
spontaneamente, dall’altra si nega l’esistenza di cose di questo tipo. Tesi
e antitesi sembrano implicare un’inevitabile contraddizione per la ragio-
ne. In realtà, sia l’antitesi sia la tesi possono essere vere dal momento
che esse non sono propriamente contraddittorie: il termine “cose” assu-
me in esse due significati diversi. Nella tesi, che si riferisce alla causalità
per libertà, si ha a che fare con le cose in quanto cose in sé; nell’antitesi,
in cui si sostiene che tutto avviene secondo leggi di natura, si fa riferi-
mento alle cose in quanto oggetti della nostra esperienza fenomenica.
Anche in questa seconda antinomia, la contraddizione non affet-
ta le cose in se stesse, ma il modo in cui noi le conosciamo. Essa de-
nuncia la mancanza di una chiara distinzione tra il piano noumenico e
il piano fenomenico, tra ciò che possiamo e non possiamo conoscere.
Essa però mette in evidenza, allo stesso tempo, la necessità di tracciare
questa distinzione, che corrisponde a una chiara definizione delle no-

11 KrV, p. 308 (p. 502).


12 Ivi, p. 309 (p. 503).
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Introduzione 19

stre capacità conoscitive, ovvero della nostra possibilità di cogliere la


verità delle cose in se stesse.
Viene quindi in evidenza un legame intrinseco tra verità e con-
traddizione. Questo legame assume, nella dottrina delle antinomie, una
valenza particolarmente significativa. La contraddizione, infatti, non
sussiste semplicemente come momento accidentale in cui si imbatte un
pensiero che si allontana dalla verità delle cose. Essa rappresenta, piut-
tosto, un momento necessario nella ricerca della verità da parte della
ragione, che è inevitabilmente spinta verso la conoscenza di ciò che sta
oltre i limiti dell’esperienza. La ragione è, per sua stessa natura, la fa-
coltà dell’incondizionato. Proprio per questo, incorre necessariamente
in quelle contraddizioni che derivano dall’uso illecito delle categorie
dell’intelletto al di là del confine dell’esperienza, mettendo in evidenza,
allo stesso tempo, la necessità di tracciare il limite oltre cui il nostro
pensiero non dovrebbe spingersi nella ricerca della verità.
Il contributo kantiano della dottrina delle antinomie incarna
quindi perfettamente il paradigma della non-contraddittorietà, per il
quale la contraddizione equivale alla non-verità, a un limite, a un im-
passe per il pensiero, ma anche alla possibilità per il pensiero stesso di
definire le potenzialità conoscitive che gli competono e l’orizzonte en-
tro cui può muoversi.
Ma è possibile per il pensiero andare al di là di questi limiti e
aprire nuovi orizzonti di significato? E la contraddizione può assume-
re un qualche ruolo in questo tipo di apertura? Un pensatore che trac-
cia una via verso una prospettiva teoretica di questo tipo è Hegel, che
si pone proprio in un serrato confronto con Kant, con la sua concezio-
ne della contraddizione e con l’impianto di pensiero a essa sotteso13.

13 Sul confronto critico di Hegel con la dottrina kantiana delle antinomie cfr. F.

BOSIO, Le antinomie kantiane della totalità cosmologica e la loro critica in Hegel, in «Il
Pensiero», IX (1964), n. 1-3, pp. 39-104; R. BODEI, “Tenerezza per le cose del mondo”.
Sublime sproporzione e contraddizione in Kant e in Hegel, in V. VERRA (a cura di), He-
gel interprete di Kant, Prismi, Napoli 1981, pp. 179-218; G. BAPTIST, Hegel e l’antiteti-
ca della Critica della ragion pura, in «Paradigmi», IV (1986), n. 11, pp. 271-297; F. BIA-
SUTTI, Sulle implicazioni kantiane del concetto di dialettica in Hegel, Editrice Antenore,
Padova 1991, pp. 379-392; K. DÜSING, Hegels Metaphysikkritik. Dargestellt am Beispiel
seiner Auseinandersetzung mit Kants Antinomienlehre, in H. OOSTERLING - F. DE JONG
(a cura di), Denken unterwegs. Philosophie im Kräftefeld sozialen und politischen En-
gagements. Festschrift für Heinz Kimmerle zu seinem 60. Geburtstag, B.R. Grüner, Am-
sterdam 1990, pp. 109-125; S. SEDGWICK, Hegel on Kant’s Antinomies and Distinction
between General and Transcendental Logic, in «The Monist», LXXIV (1991), n. 3, pp.
403-420; K. BRINKMANN, Hegel’s Critique of Kant and Pre-Kantian Metaphysics, in T.
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20 Ai limiti della verità

Innanzitutto, Hegel sottolinea lo straordinario merito della ri-


flessione kantiana in relazione alla questione della contraddizione:
Qui si viene a dire che il contenuto stesso, cioè le categorie per sé, sono
quelle che producono la contraddizione. Questo pensiero, che la contraddi-
zione, posta dalle determinazioni intellettuali nel razionale, è essenziale e ne-
cessaria, è da considerare come uno dei più importanti e profondi progressi
della filosofia nei tempi moderni14.

Allo stesso modo nella Scienza della logica Hegel sottolinea come
L’idea generale, che Kant pose per base e fece valere, è l’oggettività del-
la apparenza, e la necessità della contraddizione appartenente alla natura delle
determinazioni di pensiero15.

Per Hegel il contributo della dottrina kantiana delle antinomie è


imprescindibile, perché mette in evidenza il ruolo essenziale della con-
traddizione nello sviluppo dialettico delle determinazioni di pensiero.
Allo stesso tempo, però, Hegel prende radicalmente le distanze da
Kant, perché questi resta prigioniero del lato critico-negativo della
contraddizione, riconoscendovi la struttura logica che dà voce ai limiti
contro cui un pensiero finito necessariamente si scontra nel tentativo
di cogliere il modo in cui la realtà, in se stessa, si costituisce16. La con-
traddizione, nella dottrina kantiana delle antinomie, non sussiste sul
piano della realtà, ma solo su quello della ragione che cerca di com-
prenderla:
La soluzione è, che la contraddizione non cade nell’oggetto in sé e per
sé, ma concerne soltanto la ragione conoscitrice […] e che consiste in una sor-
ta di tenerezza per le cose del mondo. L’essenza del mondo non deve essere
essa ad avere in sé la macchia della contraddizione; questa macchia deturpa
solo la ragione pensante, l’essenza dello spirito 17.

La soluzione kantiana della contraddizione nella dottrina delle


antinomie è quindi dettata, secondo Hegel, da quella che egli definisce

PINKARD - H.T. ENGELHARDT (a cura di), Hegel Reconsidered, Kluwer Academic Publi-
shers, Dordrecht-Boston-Londra 1994, pp. 57-68; S. SEDGWICK, Hegel’s Critique of
Kant. From Dichotomy to Identity, Oxford University Press, Oxford 2012.
14 Enz, p. 84 (p. 58).
15 WdL I, p. 40 (pp. 38-39).
16 «In quanto ci si ferma al lato astratto-negativo della dialettica, il resultato è

semplicemente la nota affermazione che la ragione è incapace di conoscer l’infinito» (ivi,


p. 40 (p. 39)).
17 Enz, p. 84 (p. 58).
00d_intro_15_00d_intro_15 07/05/15 11.08 Pagina 21

Introduzione 21

come una «tenerezza per le cose del mondo», per cui è impossibile
pensare che la contraddizione stia nelle cose stesse. Essa è il segnale
dell’assoluta inconsistenza della conoscenza cui afferisce e dell’impos-
sibilità per questa conoscenza di cogliere veramente il modo in cui so-
no le cose.
È proprio su questo punto che Hegel si scontra in maniera deci-
siva con Kant. Hegel, infatti, lungi dal vedere nella contraddizione ciò
che tiene lontano il pensiero dalla realtà e dalla verità delle cose in se
stesse, ne fa il principio di determinazione di ogni cosa, la loro concre-
ta verità.
Nella prima tesi dello scritto che presenta a Jena nel 1801 per ot-
tenere l’abilitazione all’insegnamento, egli afferma: «contradictio est re-
gula veri, non contradictio falsi»18. Nella Scienza della logica, egli ritor-
na in modo ancor più deciso sul ruolo speculativo della contraddizione:
«Tutte le cose sono in se stesse contraddittorie», e ciò propriamente nel
senso che questa proposizione esprima […] la verità e l’essenza delle cose19.

Con queste parole Hegel mette in campo nel dibattito filosofico


una tesi scandalosa, rivoluzionaria e altamente ambiziosa. Egli sembra
mettere in questione quello che fin da Aristotele è stato ritenuto «il
principio più sicuro di tutti»20, quello «intorno al quale è impossibile
cadere in errore»21, «il principio più noto»22, «che di necessità deve
possedere colui che voglia conoscere qualsivoglia cosa»23. Ma la que-
stione non è solo questa, e sarebbe comunque già molto. La messa in
questione del PNC in Hegel non è fine a se stessa, ma è volta a un pro-
getto teoretico ben preciso, attraverso cui il filosofo di Stoccarda in-
tenderebbe superare i limiti dell’impianto filosofico kantiano. Nel cer-
care di andare oltre il paradigma della non contraddittorietà, Hegel in-
tende mettere in questione l’utilizzo della contraddizione come stru-
mento critico per definire i limiti di un pensiero costitutivamente fini-
to, cioè necessariamente incapace di cogliere la verità delle cose in se
18 Diss, p. 227 (p. 88). In modo significativo, Rosenkranz nota come la formula-

zione delle tesi che accompagnavano lo scritto del 1801 «era in parte paradossale – il
che non vuol essere un rimprovero, bensì una lode –, poiché le tesi devono incitare alla
discussione e provocare il prurito della contraddizione» (K. ROSENKRANZ, Vita di Hegel,
a cura di R. Bodei, Arnoldo Mondadori, Milano 1974).
19 WdL II, p. 286 (p. 490).
20 ARISTOTELE, Metafisica Γ, 1005 b 11-12 e 17-18, cit., p. 143.
21 Ivi, 1005 b 12, p. 143.
22 Ivi, 1005 b 13, p. 143.
23 Ivi, 1005 b 15, p. 143.
00d_intro_15_00d_intro_15 07/05/15 11.08 Pagina 22

22 Ai limiti della verità

stesse. Si potrebbe dire che, se da un lato Kant anticipa ed estende la


valenza del teorema di Gödel, per cui un pensiero coerente è necessa-
riamente incompleto, dall’altro lato Hegel cerca di aprire lo sguardo
all’altra faccia, al lato oscuro del teorema, esplorando la possibilità di
un pensiero che, proprio in quanto tende alla completezza, è disposto
ad accettare la sfida di pensare la verità della contraddizione. Per que-
sto, nell’ottica hegeliana, la vera soluzione delle antinomie consiste nel
riconoscimento del valore oggettivo della contraddittorietà delle deter-
minazioni logiche:
la vera soluzione delle antinomie può consistere solo in ciò, che due de-
terminazioni, in quanto siano opposte e necessarie a un solo e medesimo con-
cetto, non possono valere nella loro unilateralità, ciascuna per sé, ma hanno la
loro verità soltanto nel loro esser tolte (in ihrem Aufgehobensein), nell’unità
del loro concetto24.

La contraddizione, dunque, come unità delle determinazioni op-


poste, non rappresenta il limite di un pensiero finito che non è in gra-
do di concepire il modo in cui le cose sono in se stesse, ma è al contra-
rio l’unica struttura tramite cui accediamo alla verità delle cose.
La sfida del pensiero hegeliano è quella di superare quella tene-
rezza kantiana verso le cose del mondo che porta il pensiero a tenere
la contraddizione per sé, a non sporcare il modo d’essere delle cose
stesse e allo stesso tempo a non sporcarsi le mani con le cose del mon-
do, dal momento che proprio la contraddizione rappresenta un con-
traccolpo che lo tiene lontano dalla realtà e gli permette di guardarla
solo da una prospettiva esterna. Hegel intende sviluppare un nuovo
paradigma di razionalità in cui la contraddizione è invece la struttura
che permette al pensiero di fare i conti con la realtà, di farsi uno con le
cose del mondo e di attingere a piene mani dalla verità che le sue scis-
sioni, il suo dinamismo, la sua intrinseca vitalità dispiegano25.
Per essere ciò il pensiero ha da essere un pensiero oggettivo, un
pensiero che non è una semplice facoltà del soggetto, che non è un
semplice strumento, un filtro concettuale con cui il soggetto legge una
realtà che rimane costitutivamente separata da lui e che proprio per
questo non riuscirà mai a rendere completamente e compiutamente
trasparente. La concezione hegeliana del pensiero come pensiero og-
gettivo intende cioè andare con Kant oltre Kant, tenendo insieme og-

24 WdL I, p. 181 (pp. 203-204).


25 Cfr. F. CHIEREGHIN, L’eco della caverna, Il Poligrafo, Padova 2004, p. 73.
00d_intro_15_00d_intro_15 07/05/15 11.08 Pagina 23

Introduzione 23

gettività e soggettività, essere e pensiero26. Un tale pensiero corrispon-


de a quell’insieme di dinamiche che compenetrano necessariamente e
universalmente la realtà e il soggetto che la pensa. Il pensiero oggetti-
vo è una sorta di dimensione in cui interagiscono in modo costitutivo
le dinamiche della soggettività e dell’oggettività, dove le determinazio-
ni di pensiero non sono né schemi concettuali che il soggetto impone
sulla realtà, né semplici strutture ontologiche già date che il soggetto
riflette in maniera passiva. Nella dimensione del pensiero oggettivo,
soggetto e oggetto non sussistono in questa contrapposizione, cui con-
segue necessariamente o una riduzione della realtà agli schemi del sog-
getto, sulla scia di Kant, o una proiezione di strutture date nella realtà
sull’orizzonte epistemologico del soggetto, secondo le direttive della
metafisica pre-kantiana. Il pensiero oggettivo è invece una sorta di
spazio logico-ontologico in cui la soggettività e l’oggettività si costitui-
scono come un’unica dinamica. Da una parte, quelle che il soggetto
porta alla luce tramite il pensiero concettuale sono le dinamiche gene-
rali e universali della realtà stessa (in questo senso il pensiero oggettivo
si muove in uno spazio ontologico). Dall’altra parte, queste dinamiche
ontologiche necessitano di una soggettività che, proprio tramite il pen-
siero concettuale, lavori criticamente su di esse per superare il caratte-
re contingente delle loro singole istanziazioni e il carattere soggettivo
del modo in cui queste istanziazioni si riflettono nel singolo soggetto
(in questo senso il pensiero oggettivo si muove in uno spazio episte-
mologico). L’esplicitazione dell’universalità, della necessità e dell’og-
gettività di queste dinamiche è l’esplicitazione della loro verità, ovvero
l’esplicitazione della verità delle cose stesse27.
In questo lavoro cercherò di mostrare come la contraddizione
assuma un ruolo costitutitivo nel processo di articolazione del pensie-

26 «Il contenuto della scienza pura è appunto questo pensare oggettivo» (WdL

I, p. 34 (p. 31)).
27 «La vera natura dell’oggetto, a cui il soggetto, attraverso la riflessione, pervie-

ne, è vera non perché il soggetto la rende vera, ma perché egli, con il pensiero, è in gra-
do di andare al di là dei limiti soggettivistici della propria esperienza della cosa, perché
il soggetto, nel pensiero e con il pensiero, trascende i limiti soggettivistici della sua espe-
rienza della cosa e può dunque coglierla nella sua essenza» (L. ILLETTERATI - P. GIUSPO-
LI - G. MENDOLA, Hegel, Carocci, Roma 2010, p. 129). Christoph Halbig, in modo simi-
le scrive: «Für Hegels Wahrheitstheorie ist in diesem Zusammenhang entscheidend, daß
die “Aufnahme” auch hier nicht ein passives Rezipieren möglichst vieler Eindrücke in
die tabula rasa des wahrnehmenden Subjekts meint, sondern die aktive Explizierung
der begrifflichen Strukturen der Wirklichkeit, die zunächst noch “in Objekte versenkt”
sind» (C. HALBIG, Objektives Denken, Frommann-Holzboog, Stoccarda 2002, p. 211).
00d_intro_15_00d_intro_15 07/05/15 11.08 Pagina 24

24 Ai limiti della verità

ro oggettivo, venendo ad assumere proprio quella doppia valenza –


ontologica ed epistemologica – che contraddistingue l’orizzonte all’in-
terno del quale proprio il pensiero stesso si costituisce, nel tentativo di
portare alla luce la sua verità come verità delle cose stesse. Il pensiero
oggettivo, per Hegel, deve essere in grado di pensare logicamente
la contraddizione e di pensarla ontologicamente come la verità delle
cose28.
Hegel si riferisce a questo nuovo paradigma di razionalità anche
con l’espressione “pensiero speculativo”, che è appunto il pensiero
che non evita la contraddizione e non si lascia dominare da essa come
qualcosa di fronte a cui è costretto ad allontanarsi, allontanandosi a un
tempo anche dalla realtà29. Il pensiero speculativo, piuttosto, è quel
pensiero che è in grado di tenersi fermo sulla contraddizione che sta al
cuore dell’essenza delle cose e, quindi, che è in grado di essere tutt’u-
no con le cose stesse, dispiegandone la concreta verità:
il pensare speculativo consiste solo in ciò che il pensiero tien ferma la
contraddizione e nella contraddizione se stesso, non già, come per la rappre-
sentazione, in ciò che si lasci dominare dalla contraddizione, e a cagion di que-
sta lasci che le sue determinazioni si risolvano solo in altre, oppur nel nulla30.
Tramite l’analisi critica di queste tesi hegeliane, nelle pagine che
seguono cercherò di vagliare in che senso e dentro quali coordinate
Hegel pensa la verità della contraddizione. L’attenzione sarà in parti-
colare concentrata sul sistema logico hegeliano, nella sistematizzazione
in cui esso viene esposto all’interno della Scienza della logica.

28 In questo capitolo introduttivo non mi soffermerò specificatamente sullo sta-

tus quaestionis relativo alla contraddizione in Hegel. Avrò infatti modo di richiamare le
voci principali del dibattito su questo problema nel primo capitolo, nella discussione
critica delle diverse accezioni e interpretazioni della struttura logica della contraddizio-
ne nella logica hegeliana. Per un’analisi critica aggiornata e di ampio respiro sulle diver-
se interpretazioni della contraddizione nel pensiero hegeliano si vedano anche i lavori di
S. SCHICK, Contradictio est regula veri, Hegel-Studien, Beiheft 53, Meiner, Amburgo
2010; P. BETTINESCHI, Contraddizione e verità nella logica di Hegel, Vita e Pensiero, Mi-
lano 2010; A. COLTELLUCCIO, Hegel e la contraddizione, in «Filosofia italiana», (2013)
n. 1, http://www.filosofiaitaliana.net/wpcontent/uploads/2013/04/Adalberto_Coltelluc-
cio_La_contraddizione_in_Hegel_1.pdf.
29 «L’abituale Horror che dinanzi alla contraddizione prova il pensiero rappre-

sentativo, non speculativo, cotesto orrore, simile a quello della natura per il vacuum, ri-
getta questa conseguenza; perché quel pensiero si ferma alla considerazione unilaterale
della risoluzione della contraddizione nel nulla, e non conosce il lato positivo della con-
traddizione, secondo cui essa è attività assoluta e diventa assoluto fondamento o ragion
d’essere» (WdL II, p. 289 (p. 494)).
30 Ivi, p. 287 (p. 492).
00d_intro_15_00d_intro_15 07/05/15 11.08 Pagina 25

Introduzione 25

Nel percorso che delineerò cercherò di spiegare cosa intenda


Hegel con il concetto di contraddizione e cosa significhi per Hegel di-
re che la contraddizione è vera. Inoltre, cercherò di chiarire se la con-
cezione hegeliana della contraddizione implichi una critica al PNC e
se una concezione della contraddizione come quella hegeliana sia so-
stenibile.
Per affrontare tali questioni, strutturerò la ricerca in due parti: la
prima sarà dedicata a un’analisi generale del concetto di contraddizio-
ne in Hegel; la seconda si focalizzerà invece sull’analisi di passaggi spe-
cifici del testo hegeliano.
Più in particolare, nel primo capitolo analizzerò i tre principali
significati che il concetto di contraddizione assume all’interno del si-
stema logico hegeliano: il significato metaforico, quello critico-negati-
vo e il significato ontologico. Mostrerò quindi come il significato che
caratterizza in modo peculiare la concezione hegeliana della contrad-
dizione – e con cui è necessario fare i conti – sia quello ontologico.
Nel secondo capitolo prenderò in considerazione l’ossatura logi-
ca del concetto di contraddizione, ossia il tipo di negazione che ne sta
alla base. Traccerò un’analisi comparativa della negazione nella logica
classica e nella logica hegeliana, al fine di mostrare come quest’ultima,
pur differenziandosi dalla prima per il suo valore ontologico, ne condi-
vida il carattere escludente. Allo stesso tempo, metterò in luce la strut-
tura autoreferenziale della negazione in Hegel e, sulla base di queste
considerazioni, svilupperò un modello esplicativo generale della con-
traddizione implicata da questo tipo di negazione.
Nel terzo capitolo, metterò a confronto la concezione hegeliana
della contraddizione con le diverse accezioni della nozione di contrad-
dizione nella logica formale e nella filosofia del linguaggio.
Sulla scorta di queste considerazioni di carattere generale, nel
quarto, quinto e sesto capitolo svilupperò la seconda parte del lavoro,
nella quale analizzarò alcuni passaggi cruciali della Scienza della logica
per vagliare il modo in cui le caratteristiche del concetto di contraddi-
zione esposte nella prima parte del testo trovano declinazioni diverse
nelle tre sezioni del sistema logico hegeliano.
Il capitolo conclusivo sarà infine dedicato all’analisi del valore
transcategoriale della contraddizione nel sistema logico hegeliano, a
partire dal ruolo che questo concetto gioca nel momento conclusivo
del sistema, ovvero l’idea assoluta.
00d_intro_15_00d_intro_15 07/05/15 11.08 Pagina 26
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Capitolo Primo
POLISEMIA DEL CONCETTO HEGELIANO
DI CONTRADDIZIONE

1.1. Contradictio regula veri?


Nella prima delle 12 tesi che accompagnano il De orbitis planeta-
rum del 1801, Hegel afferma: «contradictio est regula veri, non contra-
dictio falsi»1. Cosa intende Hegel con l’espressione «regula veri»? La
regula, in latino, era lo strumento usato per tracciare la linea retta. A
partire da questo significato originario, il termine viene ad assumere,
in ambito scientifico, giuridico e religioso, il significato di norma, mo-
do, principio o legge2. Se si fa riferimento, ad esempio, alle cartesiane
Regulae ad directionem ingenii 3, il termine regula è inteso come princi-
pio metodologico per lo sviluppo della conoscenza nell’ambito della
scienza. In questo senso, la regola non corrisponde di per sé alla ve-
rità, ma è piuttosto ciò che porta a essa.
Su questa linea, l’affermazione di Hegel per cui la contraddizio-
ne sarebbe la regula veri potrebbe far pensare a questa struttura logica
come ad uno strumento critico che permette di togliere di mezzo ciò
che vero non è e, quindi, di portare per via negativa alla verità. Una
concezione di questo tipo può essere fatta per lo più corrispondere al
ruolo che la contraddizione gioca all’interno degli scritti della forma-
zione e della fase jenese del pensiero hegeliano4. Negli scritti sistemati-

1 Diss, p. 227 (p. 88).


2 In ambito giuridico, il termine regula fu usato per la prima volta dal giurista
Labeone (nato nel 45 a.C.) per indicare un principio normativo (cfr. E. PATTARO, Intro-
duzione al corso di filosofia del diritto, Clueb, Bologna 1987, p. 39). Anche in ambito re-
ligioso, ed in particolare monastico, il termine mantiene questa accezione, indicando la
condotta che il monaco deve seguire.
3 Cfr. R. DESCARTES, Regulae ad directionem ingenii, in Oeuvres de Descartes,
vol. X, a cura di C. Adam e P. Tannery, Librairie philosophique J. Vrin, Parigi 1996, pp.
359-469 (trad. it. di B. Widmar, Regole per la guida dell’intelligenza, in Opere filosofiche,
Utet, Torino 1969, pp. 45-127).
4 Sul ruolo della contraddizione nella fase presistematica della filosofia hegelia-
na cfr. N. MERKER, Le origini della logica hegeliana, Feltrinelli, Milano 1961; M. ROSSI,
Da Hegel a Marx. La formazione del pensiero politico di Hegel, Feltrinelli, Milano 1976;
01_capI_27_01_capI_27 07/05/15 11.13 Pagina 28

28 Ai limiti della verità

ci Hegel sembra però voler sostenere qualcosa di diverso e rivoluzio-


nario rispetto al tradizionale modo di intendere la contraddizione.
Quando nella Scienza della logica scrive che «tutte le cose sono in se
stesse contraddittorie»5, egli sembra infatti vedere nella contraddizio-
ne una struttura logica in grado di dispiegare la verità delle cose stesse.
La tesi hegeliana implica una violazione del PNC? E quali con-
seguenze ha questa eventuale violazione rispetto alla consistenza logica
del discorso hegeliano? Popper, in What is Dialectic6, mette in eviden-
za la problematicità radicale del concetto hegeliano di contraddizione:
chi accettasse le contraddizioni dovrebbe abbandonare ogni specie di
attività scientifica: ne seguirebbe così un radicale insuccesso della scienza7.
La critica di Popper a Hegel è basata sul principio dell’ex falso
quodlibet, per cui l’affermazione della verità di una contraddizione al-
l’interno di un sistema implica la verità di qualsiasi proposizione del si-
stema stesso: il sistema perde, in questo modo, ogni carattere informa-
tivo e non può vantare alcuna pretesa scientifica. Quello di Popper è
un attacco radicale al pensiero hegeliano, soprattutto se si considera
che per Hegel la filosofia non è semplicemente una scienza, ma è la
scienza8. La logica, in particolare, è «la scienza pura, vale a dire, il sa-
pere puro nell’intiero ambito del suo sviluppo»9.

P.E. CAIN, Widerspruch und Subjektivität. Eine problemgeschichtliche Studie zum jungen
Hegel, Bouvier, Bonn 1978; G. VARNIER, Ragione, negatività, autocoscienza. La genesi
della dialettica hegeliana a Jena tra teoria della conoscenza e razionalità assoluta, Guida,
Napoli 1990; D. GOLDONI, Il riflesso dell’assoluto. Destino e contraddizione in Hegel
(1797-1805), Guerini e Associati, Milano 1992; S.-J. KANG, Reflexion und Widerspruch.
Eine entwicklungsgeschichtliche und systematische Untersuchung des Hegelschen Begriffs
des Widerspruchs, Hegel-Studien, Beiheft 41, Bouvier, Bonn 1999; R. SCHÄFER, Die Dia-
lektik und ihre besonderen Formen in Hegels Logik, Hegel-Studien, Beiheft 45, Meiner,
Amburgo 2001; M. BISCUSO, Hegel, lo scetticismo antico e Sesto Empirico. Lo scetticismo
e Hegel, La Città del Sole, Napoli 2005.
5 WdL II, p. 286 (p. 490).
6 K. POPPER, What is Dialectic, in «Mind», XLIX (1940), n. 196, pp. 403-426
(trad. it. di G. Pancaldi, Che cos’è la dialettica?, in ID., Congetture e confutazioni, Il Mu-
lino, Bologna 1972, pp. 531-570).
7 Ivi, p. 408 (p. 539). Cfr. anche R.-P. HORSTMANN, Schwierigkeiten und Vo-
raussetzungen der dialektischen Philosophie Hegels, in ID. (a cura di), Seminar. Dialektik
in der Philosophie Hegels, Suhrkamp, Francoforte sul Meno 1978, pp. 9-30, p. 19.
8 «La filosofia, nell’orizzonte hegeliano […] è scienza nel senso radicale del ter-
mine, in quanto essa solamente è, per Hegel, scienza dell’intero, scienza della totalità, scien-
za, cioè, che ha in sé e non in altro il fondamento di se stessa: scienza che trova la giustifica-
zione di sé in se stessa e nel proprio svolgimento, e la sua necessità, perciò, in nient’altro
che nel suo concetto» (L. ILLETTERATI - P. GIUSPOLI - G. MENDOLA, op. cit., p. 105).
9 WdL I, p. 55 (p. 53).
01_capI_27_01_capI_27 07/05/15 11.13 Pagina 29

Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 29

Inoltre Popper sostiene che l’unica possibile funzione produttiva


della contraddizione all’interno della conoscenza scientifica sia quella
basata sulla sua definizione semantica standard per cui la contraddizio-
ne è necessariamente falsa. Essa sarebbe quindi sempre indice della pre-
senza di un errore, che rende necessaria la revisione delle premesse che
lo hanno implicato. Per questo, affermare, come sembra fare Hegel, che
le determinazioni logiche si articolano in modo contraddittorio, com-
porta non solo la banalizzazione del sistema, ma anche l’impossibilità di
utilizzare la contraddizione come strumento critico all’interno del siste-
ma stesso: «l’accettazione delle contraddizioni conduce necessariamen-
te […] all’esaurimento della critica, e quindi al crollo della scienza»10.
Sia il ricorso all’ex falso quodlibet sia il riferimento all’impossibi-
lità per Hegel di utilizzare la contraddizione come strumento critico
implica due presupposti: (1) il concetto hegeliano di contraddizione
corrisponde ad una vera e propria contraddizione logica; (2) Hegel
ascrive la verità a questa struttura logica. Questi presupposti sono i
due punti su cui si tratta inizialmente di lavorare per determinare il si-
gnificato e la funzione della contraddizione nella logica hegeliana.
Quindi ci si deve innanzitutto chiedere:
1. Hegel si riferisce a una struttura logica effettivamente con-
traddittoria?
2. Hegel intende veramente affermare la verità della contraddi-
zione?
Nella letteratura secondaria, le risposte sono principalmente tre.
La prima replica negativamente alla prima domanda e positiva-
mente alla seconda, per cui la contraddizione in Hegel è la verità delle
determinazioni logiche, ma non corrisponde ad una struttura logica
propriamente contraddittoria. La seconda soluzione, al contrario, for-
nisce una risposta positiva alla prima domanda e negativa alla seconda,
per cui la contraddizione in Hegel è una contraddizione logica, ma
non corrisponde alla verità delle determinazioni logiche. Nella terza
soluzione, invece, entrambe le domande hanno una risposta positiva,
per cui la contraddizione in Hegel è una contraddizione logica ed è la
verità delle determinazioni logiche.
Ciascuna delle tre corrisponde a una caratterizzazione peculiare
del concetto hegeliano di contraddizione. Nella prima accezione la
contraddizione è vera e consiste sostanzialmente nella cosiddetta unità
degli opposti, che non è, però, propriamente contraddittoria o è con-

10 K. POPPER, op. cit., p. 546.


01_capI_27_01_capI_27 07/05/15 11.13 Pagina 30

30 Ai limiti della verità

traddittoria in senso solo metaforico. Nella seconda accezione le strut-


ture logiche sono effettivamente contraddittorie, ma non propriamen-
te vere; esse corrispondono a errori della concezione intellettualistica
delle determinazioni logiche e la loro risoluzione porta alla definizione
della verità delle determinazioni. Nella terza accezione le strutture ef-
fettivamente contraddittorie fungono da principio di determinazione
all’interno del sistema logico hegeliano11.
Nelle prossime pagine, analizzerò le caratteristiche principali di
ogni interpretazione e farò riferimento ad alcuni passi del testo in cui
esse trovano una rilevante corrispondenza testuale.

1.2. La contraddizione metaforica


La contraddizione metaforica si riferisce alla cosiddetta unità de-
gli opposti, che è la verità delle determinazioni, ovvero la relazione ne-
cessaria che lega ogni determinazione a quella opposta e la costituisce
in modo essenziale. Secondo questa lettura, l’unità dei termini opposti
non è propriamente contraddittoria, ma corrisponde a un qualche al-
tro tipo di opposizione.
L’interpretazione metaforica trova giustificazione in alcune oc-
correnze del termine “contraddizione” all’interno della logica hegelia-
na. Da un punto di vista generale, l’unità degli opposti è definita da
Hegel in termini contraddittori: «ogni determinazione, ogni concreto,
ogni concetto è essenzialmente una unità di momenti distinti e distin-
guibili, che diventano contraddittori mediante la differenza determina-
ta, essenziale»12. In queste righe, però, Hegel non dice che i termini
opposti sono identici, ma che stanno in unità. Solo l’identità dei termi-
ni opposti implicherebbe la sussistenza di una contraddizione13. La lo-

11 La distinzione tra queste tre accezioni della contraddizione – metaforica,

contraddizione come errore dell’intelletto, ontologica – riprende e approfondisce uno


schema elaborato con Luca Illetterati. Cfr. L. ILLETTERATI, Contradictio regula falsi? In-
torno alla teoria hegeliana della contraddizione, in F. PUPPO (a cura di), La contradizion
che nol consente. Forme del sapere e valore del principio di non contraddizione, F. Angeli,
Milano 2010, pp. 85-114.
12 WdL II, p. 289 (p. 494).
13 Landucci sottolinea appunto che l’unità degli opposti non implica la loro

identità e non comporta, quindi, alcuna contraddizione: «il punto di partenza è la tesi
che, nel caso degli opposti, ognuno è il «suo altro» […] giacché è proprio la relazione
con tale altro che costituisce il termine stesso in questione […]. Ora, questa relazione di
unità inscindibile […] viene poi tradotta da Hegel come relazione di identità […] allor-
ché egli passa a riformulare la tesi attraverso l’asserzione che ognuno degli opposti «è se
01_capI_27_01_capI_27 07/05/15 11.13 Pagina 31

Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 31

ro semplice unità può avere alla base anche un tipo di opposizione


non contraddittoria, come la correlazione, la relazione di privazione e
possesso, etc.14.
Nella dottrina del concetto, ad esempio, Hegel introduce il pro-
cesso meccanico in termini contraddittori:
Si ha con ciò la contraddizione fra la perfetta indifferenza reciproca degli
oggetti e la identità della determinatezza loro, ossia la contraddizione della loro
perfetta estrinsecità nell’identità della loro determinatezza. Questa contraddi-
zione è pertanto l’unità negativa di più oggetti che in essa assolutamente si re-
spingono, – il processo meccanico15.
I due lati della contraddizione alla base dell’oggetto meccanico
sono:
(a) l’indifferenza reciproca tra i diversi oggetti;
(b) l’identità del modo in cui essi sono determinati16.
La contraddizione alla base del processo meccanico consiste
quindi nel fatto che (a) da una parte, esso è un aggregato di diverse
componenti indipendenti; (b) dall’altra parte, sussiste un qualche tipo
di relazione tra tali componenti, per cui esse, pur indipendenti, hanno
una loro specifica determinatezza, sulla base della quale si distinguono
e si respingono reciprocamente.
C’è una contraddizione tra (a) e (b)? Se la relazionalità sulla base
della quale le diverse parti si distinguono e si respingono, cioè «la for-
ma che costituisce la loro differenza e le stringe in una unità», è – co-
me la definisce Hegel – «una forma estrinseca e indifferente»17, allora

stesso e il suo altro»; dalla quale è effettivamente deducibile che allora ognuno è anche
l’altro, quindi che A è anche non A, e viceversa. Ma di fronte a un siffatto passaggio da
una “unità” a una “identità” non pare azzardato esprimere l’impressione che si tratti di
un paralogismo» (S. LANDUCCI, Opposizione e contraddizione nella logica di Hegel, in
«Verifiche», X (1981), n. 1-3, pp. 89-105, p. 96).
14 Nel decimo capitolo delle Categorie Aristotele distingue quattro tipi di oppo-

sizione: la correlazione, la contrarietà, la privazione e il possesso, e la contraddittorietà.


Sulla teoria dell’opposizione in Aristotele cfr. E. BERTI, La contraddizione in Aristotele,
Kant, Hegel e Marx, in E. BERTI (a cura di), La contraddizione, Città Nuova, Roma 1977,
pp. 9-31. Nello stesso testo cfr. N. BELLIN, I diversi tipi di opposizione nelle Categorie di
Aristotele, pp. 33-41. Cfr. anche M.C. BARTOLOMEI, Problemi concernenti l’opposizione e
la contraddizione in Aristotele, in «Verifiche», X (1981), n. 1-3, pp. 163-193.
15 WdL III, p. 136 (p. 811).
16 «Nel meccanismo il concetto presenta una contraddizione tale per cui gli og-

getti sono meccanicamente esterni uno all’altro, e al contempo, si determinano recipro-


camente» (L. DI CARLO, Tempo, autocoscienza e storia in Hegel, Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, Napoli 2004, p. 36).
17 WdL III, p. 135 (p. 810).
01_capI_27_01_capI_27 07/05/15 11.13 Pagina 32

32 Ai limiti della verità

non c’è una vera e propria contraddizione. Tra l’indifferenza delle di-
verse componenti e la loro relazione reciproca sussiste una distinzione
di riguardi. Infatti, da una parte l’indipendenza è una proprietà loro
intrinseca, dall’altra parte la relazionalità è invece una caratteristica lo-
ro attribuibile solo a partire da una prospettiva esterna.
Si tratta però di capire perché Hegel, in alcuni casi, utilizzi il ter-
mine “contraddizione” in quest’accezione metaforica. Spesso l’utilizzo
metaforico del termine contraddizione ha una valenza anticipatoria in
relazione a determinazioni non propriamente contraddittorie, ma il cui
sviluppo dialettico porta a ulteriori determinazioni che invece risulta-
no articolate in modo contraddittorio. La contraddizione del processo
meccanico, ad esempio, consiste in una tensione tra l’indipendenza
delle singole componenti del processo e la loro implicita relazione re-
pulsiva. In questa tensione non è ancora presente una vera e propria
contraddizione, ma è già implicita la contraddizione che troverà com-
piuta espressione nelle determinazioni del chimismo e della teleologia.
Il chimismo infatti si basa su una tensione che lega, ma allo stesso tem-
po esclude, i diversi elementi chimici18. Nella teleologia questa con-
traddizione viene compiutamente esplicitata poiché lo scopo è ciò che
diventa identico con sé (realizza compiutamente se stesso) in ciò che è
diverso da sé, l’oggettività19.
Alla contraddizione metaforica è attribuibile anche una funzione
provocatoria contro quella che può essere definita come “logica del-
l’intelletto”, ovvero la logica dei sistemi di pensiero prigionieri del pa-
radigma dell’astratta identità delle determinazioni logiche20. L’utilizzo

18 «L’oggetto chimico, che è così la contraddizione del suo immediato esser po-

sto e del suo immanente concetto individuale, è una tendenza a toglier la determinatezza
del suo esser determinato e a dar l’esistenza alla totalità oggettiva del concetto» (ivi,
p. 149 (p. 827)).
19 In relazione alla teleologia, Hegel usa il termine «contraddizione» nell’Enci-

clopedia: «lo scopo è il concetto entrato nella libera esistenza […], mediante la negazio-
ne dell’oggettività immediata. […] Essendo lo scopo questa contraddizione della sua
identità con sé verso l’antitesi e la negazione posta in esso, è esso stesso un negare, l’atti-
vità di negare l’antitesi in modo da porla identica con sé. Questa è la realizzazione dello
scopo; nella quale esso, facendosi l’altro della sua soggettività e conquistando l’oggetti-
vità, ha superato la differenza di entrambe, si è congiunto solo con sé, e si è conservato»
(Enz, p. 209 (pp. 191-192)).
20 «Si donc, en appelant «contradiction» la relation essentielle, Hegel veut dire

que, par suite de la dualité qu’elle implique, elle peut paraître à première vue logique-
ment contradictoire […] au point de vue partiel et provisoire de l’entendement, il s’en-
suit que l’expression «contradiction» est employée ici par métaphore. Et cette mé-
taphore est d’intention polémique» (F. GREGOIRE, Études Hégélienne. Les points capi-
01_capI_27_01_capI_27 07/05/15 11.13 Pagina 33

Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 33

del termine “contraddizione” per esprimere la relazionalità costitutiva


tra determinazioni opposte metterebbe in luce il radicale cambiamen-
to di prospettiva rispetto al paradigma dell’intelletto, che fa consistere
l’identità delle determinazioni nella loro astratta indipendenza21.
Molti interpreti hanno visto nell’utilizzo metaforico il significato
autentico del concetto hegeliano di contraddizione. Quest’interpreta-
zione permette di assumere la tesi hegeliana della verità della contrad-
dizione, evitando i problemi derivanti dall’ex falso quodlibet. L’inter-
pretazione di Findlay è paradigmatica:
Per presenza di “contraddizioni” nel pensiero o nella realtà Hegel inten-
de, è chiaro, la presenza di tendenze opposte e antitetiche, tendenze che operano
in direzioni contrarie, che mirano, ciascuna, a dominare tutto quanto il campo e
a sconfiggere il proprio avversario, ma che esigono anche, ciascuna, il proprio
avversario per essere ciò che esse sono e per avere qualcosa contro cui lottare22.
Secondo Findlay, Hegel con il termine “contraddizione” non si
riferisce al segnale di un errore all’interno di un procedimento argo-
mentativo, ma a qualcosa che ha a che fare col modo in cui si articolano
le cose nel mondo, come lo stare insieme di forze e tendenze opposte.
Questi tipi di opposizioni, però, non sono per Findlay propriamente
contraddittori, perché ciò che classicamente si intende per contraddi-
zione pertiene solo all’ambito del discorso e non a quello del reale23. La
paradossalità della concezione hegeliana della contraddizione sarebbe
dunque solo apparente e dipenderebbe da una confusione concettuale

taux du système, Publications universitaires-Ed. Béatrice-Nauwelaerts, Louvain-Paris


1958, p. 92).
21 Per Berti la nozione hegeliana di contraddizione è il tentativo di dire, all’in-

terno di un paradigma di pensiero che si basa sull’identità di ogni cosa con se stessa,
quello che risulta essere l’altro tratto costitutivo delle cose, ossia la loro differenza. In un
sistema di pensiero di questo tipo, però, anche la minima differenza è in contraddizione
rispetto all’identità di riferimento. Cfr. E. BERTI, La critica di Hegel al principio di non
contraddizione, in «Filosofia», XXXI (1980), n. 4, pp. 629-654; ID., Contraddizione e dia-
lettica negli antichi e nei moderni, cit.; ID., La contraddizione in Aristotele, Kant, Hegel e
Marx, in ID. (a cura di), La contraddizione, cit., pp. 9-31. Una linea interpretativa simile
a quella di Enrico Berti viene sviluppata anche da Fulvio Longato (cfr. F. LONGATO,
Note sul significato del «principio d’identità o di contraddizione» nella formazione del
pensiero hegeliano, in E. BERTI (a cura di), La contraddizione, cit., pp. 121-160; ID., Es-
senza e contraddizione in Hegel, in «Verifiche», X (1981), n. 1-3, pp. 271-289) e Renato
Milan (cfr. R. MILAN, Il concetto di contraddizione nella «Scienza della logica» di Hegel,
in E. BERTI (a cura di), La contraddizione, cit., pp. 161-181).
22 J.N. FINDLAY, Hegel oggi, trad. it. di L. Calabi, Istituto Librario Internazio-

nale, Milano 1972, pp. 72-73.


23 Cfr. anche K. POPPER, op. cit., p. 547.
01_capI_27_01_capI_27 07/05/15 11.13 Pagina 34

34 Ai limiti della verità

derivante da un utilizzo del termine “contraddizione” per esprimere


qualcosa che contraddittorio non è.
L’interpretazione metaforica si basa su due presupposti. In pri-
mo luogo assume che quelle che si possono definire propriamente co-
me contraddizioni pertengano solo alla sfera del discorso e del pensie-
ro sulle cose, ma non a quella delle cose stesse. Colletti scrive:
Non esistono «contraddizioni reali», fatti contraddittori tra loro, «con-
traddizioni» oggettive. La contraddizione è solo ed esclusivamente «logica»,
del pensiero. Parlare di una «realtà autocontraddittoria» è un non senso. […]
Ciò non significa, ovviamente, che nella realtà non si diano opposizioni, con-
flitti, lotte, scontri. Si danno e come! Ma, in questo caso, si tratta di ciò che
Kant ha chiamato «opposizione reale»24.
Il fatto che la contraddizione sia qualcosa che non può avere a che
fare con la sfera ontologica è discutibile. Come mostrerò nel terzo capi-
tolo, è possibile parlare di vere e proprie contraddizioni ontologiche.
Il secondo presupposto dell’interpretazione metaforica è una di-
stinzione tra due tipi di opposizione – logica e reale – che dipende dal-
la distizione marcata tra il piano logico e quello ontologico cui sopra
ho fatto riferimento. La contraddizione in Hegel corrisponderebbe al
concetto kantiano di opposizione reale e non implicherebbe quindi al-
cuna contraddizione.
Nel Tentativo di introdurre nella filosofia il concetto di quantità
negative Kant esplicita la differenza tra opposizione logica e opposi-
zione reale25:

24 L. COLLETTI, Contraddizione dialettica e non contraddizione, in «Verifiche»,

X (1981), n. 1-3, pp. 7-62, p. 7. Cfr. anche N. HARTMANN, Hegel et le problème de la dia-
lectique du réel, in «Revue de Métaphysique et de Morale», XXXVIII (1931), n. 3, pp.
285-316, pp. 314-315. Nell’analisi di Colletti la mancanza di una vera e propria distin-
zione, in Hegel, tra opposizione logica e opposizione reale, si basa su una concezione
negativa del sensibile molteplice di derivazione platonica. In questa linea di lettura Col-
letti si rifa sostanzialmente alla lezione del suo maestro Galvano della Volpe. Cfr. G.
DELLA VOLPE, Critica ai principi logici, D’Anna, Messina 1942, poi in Opere, vol. III, a
cura di I. Ambrogio, Editori Uniti, Roma 1973, pp. 135-266; ID., Logica come scienza po-
sitiva, D’Anna, Messina-Firenze 1956. La necessità di una distinzione tra il piano del lo-
gico e quello del realtà è anche il focus della classica obiezione di Trendelenburg alla
dialettica hegeliana: «o la negazione, attraverso la quale soltanto si media il passaggio
dal secondo al terzo momento, è negazione puramente logica (a, non-a), ma allora non
può né produrre qualcosa di determinato nel secondo momento, né fornire una riunifi-
cazione nel terzo momento; oppure è un’opposizione reale, ma allora non è raggiungibi-
le per via logica e la dialettica non è dunque dialettica del pensiero puro» (F.A. TRENDE-
LENBURG, Il metodo dialettico, trad. it. di M. Morselli, Il Mulino, Bologna 1990, p. 31).
25 Per un’analisi della distinzione tra opposizione reale a gli altri tipi di opposi-
01_capI_27_01_capI_27 07/05/15 11.13 Pagina 35

Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 35

[l’opposizione logica] consiste nell’affermare o negare contemporanea-


mente un predicato di una cosa. La conseguenza di tale nesso logico è nulla
[nihil negativum irrepraesentabile], come è detto nel principio di contraddizio-
ne. […] La seconda opposizione, reale, è quella in cui i due predicati di una co-
sa siano opposti ma non per il principio di contraddizione. Anche qui l’uno an-
nulla ciò che è posto dall’altro, ma la conseguenza è qualcosa [cogitabile]26.

L’opposizione logica è un’opposizione “per contraddizione”.


Può aver luogo o in un giudizio, se si nega un predicato incluso nel
concetto del soggetto, o tra due giudizi, se in uno si afferma del sog-
getto un predicato che l’altro, sempre rispetto al medesimo soggetto,
nega. Si tratta quindi sempre dell’affermazione di due termini, uno po-
sitivo e uno negativo, ovvero di una determinazione e della mancanza
di questa stessa determinazione, che, applicati allo stesso soggetto, si
annullano reciprocamente e allo stesso tempo annullano il soggetto cui
vengono applicati. Quest’opposizione ha per risultato il puro nulla, un
nihil negativum irrepraesentabile (ad es. un corpo contemporaneamen-
te in moto e non in moto non è in alcun modo concepibile).
L’opposizione reale, invece, non implica alcuna contraddizione,
non riguarda l’ambito logico e non viola il PNC. È un’opposizione tra
determinazioni reali, che di per sé non sono né positive né negative (la
negatività che contraddistingue il loro rapporto non è una qualità loro
intrinseca). L’opposizione si basa sulla loro omogeneità funzionale, ri-
spetto alla quale esse agiscono in senso inverso. Le due determinazioni
reali non si annullano reciprocamente, né annullano il soggetto cui so-
no applicate, ma si limitano ad annullare ciò che è posto dal loro oppo-
sto, i suoi effetti. Il risultato è un nihil privativum repraesentabile, ovve-
ro un risultato positivo, determinato (ad es. due forze di uguale inten-
sità esercitate in direzione opposta sullo stesso corpo annullano ciascu-
na l’effetto dell’altra e ne risulta lo stato di quiete del corpo stesso).
L’applicazione alla logica hegeliana di questa distinzione concet-
tuale kantiana risulta fuorviante, perché non tiene conto del fatto che
il sistema logico hegeliano si costituisce su un’identità di essere e pen-
siero, all’interno della quale la separazione tra i diversi tipi di opposi-
zione invocata da Kant viene messa radicalmente in questione27.

zione in Kant cfr. M. WOLFF, op. cit., pp. 69-77; G. MANIGO, L’opposizione reale in
Kant, in E. BERTI (a cura di), La contraddizione, cit., pp. 71-81.
26 Ver, p. 171 (p. 255). Cfr. anche KrV, p. 222 (pp. 220-221).
27 «Ogni pensiero sembra presupporre un soggetto, sia esso il nous divino o lo

spirito di singoli individui, di cui è appunto pensiero, e una realtà ad esso esterna cui si
riferisce. Il sistema di Hegel, nel suo insieme, può essere interpretato come il tentativo
01_capI_27_01_capI_27 07/05/15 11.13 Pagina 36

36 Ai limiti della verità

Vi è un ultimo punto problematico nell’interpretazione metafori-


ca. Nell’orizzonte di pensiero hegeliano, dire che la contraddizione
equivale all’unità delle determinazioni opposte significa dire che è la lo-
ro verità. In questo modo resta inspiegato come la contraddizione possa
essere il motore della dialettica. Se la contraddizione come unità degli
opposti corrispondesse alla verità di una data determinazione logica,
non si capirebbe la necessità di ulteriori sviluppi del processo dialettico.
La contraddizione metaforica sembra quindi essere ciò in cui si chiude
la dialettica di una determinazione, piuttosto che ciò che la muove.
Se si assume il paradigma della logica standard, solo una con-
traddizione intesa come strumento critico-negativo può spiegare il
passaggio da una determinazione all’altra, dato che la contraddizione
implica la revisione delle assunzioni che la implicano. Proprio sul si-
gnificato critico-negativo della contraddizione si basa la seconda acce-
zione del concetto hegeliano di contraddizione.

1.3. La contraddizione come errore dell’intelletto


Il concetto hegeliano di contraddizione assume anche un significa-
to critico-negativo. Rispetto alle due domande da cui si è partiti, e cioè:
1. Hegel si riferisce a una struttura logica effettivamente con-
traddittoria?
2. Hegel intende veramente affermare la verità della contraddi-
zione?
è possibile rispondere positivamente alla prima domanda e nega-
tivamente alla seconda. In alcuni passaggi della logica hegeliana il ter-
mine “contraddizione” sta per un’effettiva contraddizione logica.
Questa struttura logica, però, non è di per sé vera, nel senso che non
esprime la struttura di ciò cui si riferisce. La contraddizione ha un
ruolo essenziale all’interno della dialettica, in quanto principio di falsi-
ficazione di tematizzazioni inadeguate delle determinazioni logiche28.

di fare radicalmente a meno di entrambe queste premesse: il suo idealismo si autointer-


preta come assoluto. […] [È] presentata l’identità di essere e pensiero» (C. HALBIG,
Pensieri oggettivi, in «Verifiche», XXXVI (2007), n. 1-4, pp. 33-60, pp. 42-43).
28 La contraddizione nella logica hegeliana avrebbe quindi quella funzione pro-

duttiva cui lo stesso Popper fa riferimento: «Le contraddizioni sono proficue, fertili, por-
tatrici di progresso, […] se non accettiamo mai una contraddizione, è soltanto per questa
nostra determinazione che è la critica, cioè il rilievo che diamo alle contraddizioni, ci indu-
ce a cambiare le nostre teorie e dunque a progredire» (K. POPPER, op. cit., p. 538). Cfr. an-
che C. BUTLER, Hegel in an Analytic Mode, in D.G. CARLSON (a cura di), Hegel’s Theory of
the Subject, Palgrave Macmillan, New York 2006, pp. 162-174, p. 170).
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Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 37

La contraddizione è quindi regula veri in senso indiretto. Non è la


struttura della verità delle determinazioni logiche, ma traccia la via che
porta ad essa, perché il riconoscimento e la risoluzione delle contrad-
dizioni permettono di circoscrivere negativamente la verità.
Questa funzione critico-negativa della contraddizione si basa
sulla definizione semantica standard per cui la contraddizione è neces-
sariamente falsa. Nella logica hegeliana la contraddizione assume que-
sta valenza critica quando indica l’errore dell’intelletto, un errore che
viene riconosciuto e risolto dalla ragione. Questo modo di intendere la
contraddizione si basa quindi su una decisa distinzione tra il piano
dell’intelletto e quello della ragione:
L’intelletto determina e tien ferme le determinazioni. La ragione è nega-
tiva e dialettica, perché dissolve in nulla le determinazioni dell’intelletto. Essa
è positiva, perché genera l’universale e in esso comprende il particolare29.

La distinzione tra intelletto e ragione, nei tre momenti della dia-


lettica, è tale per cui le contraddizioni:
(a) sono generate nel primo momento, astratto-intellettuale;
(b) vengono esplicitate nel secondo momento, negativo-razionale;
(c) vengono risolte nel terzo momento, positivo-razionale.
Nel primo momento della dialettica viene sviluppata la tematiz-
zazione intellettualistica di una data determinazione logica: «il pensie-
ro, come intelletto, se ne sta alla determinazione rigida e alla differen-
za di questa verso altre: siffatta limitata astrazione vale per l’intelletto
come cosa che è e sussiste per sé»30. La determinazione si articola in
un modo preciso e stabile, che si fonda sulla sua astratta identità con
sé. Essa è concepita nella sua autosussistenza e indipendenza dalle al-
tre perché un rapporto con l’altro da sé, in quest’ottica identitaria, po-
trebbe viziare la purezza della sua natura e comportare un qualche ti-
po di cambiamento al suo interno, compromettendo quella stabilità
cui l’intelletto mira.
Di contro a questo primo momento interviene quello specifica-
mente dialettico o negativo-razionale, in cui l’attore principale è la ra-
gione: «il momento dialettico è il sopprimersi da sé di siffatte determi-
nazioni finite e il loro passaggio nelle opposte»31. Se l’intelletto è volto
a individuare e tenere fermo il modo in cui ogni determinazione si

29 WdL I, p. 8 (p. 6).


30 Enz, p. 118 (p. 96).
31 Ivi, p. 119 (p. 96).
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38 Ai limiti della verità

articola, lo sforzo della ragione è innanzitutto quello di mostrare la


non sussistenza di questo tipo di struttura. L’articolazione immediata
dell’intelletto è indeterminata perché in essa non trova spazio la costi-
tutiva relazione ad altro che definisce la natura delle determinazioni
logiche. La vera natura delle determinazioni logiche è sempre relazio-
nale e le determinazioni dell’intelletto sono la negazione di questa ve-
rità, la contraddicono, perché cercano di coglierla attraverso strutture
concettuali caratterizzate da un’articolazione atomistica.
Il processo dialettico si conclude con il terzo momento in cui la
ragione mette in luce, per ogni determinazione, il valore costitutivo del
rapporto con la determinazione opposta. Viene così risolta la contrad-
dizione della determinazione astratta dell’intelletto: «il momento spe-
culativo, o positivo-razionale, concepisce l’unità delle determinazioni
nella loro opposizione; ed è ciò che vi ha di affermativo nella loro solu-
zione e nel loro trapasso»32. La ragione mostra il proprio lato positivo
perché, proprio a partire dalla critica della determinazione intellettua-
listica, muove verso la sua concreta ridefinizione. La determinazione
non sussiste più nell’unilaterale identità con se stessa, ma viene ricono-
sciuta nella sua costitutiva unità con la determinazione opposta.
Alla base di questa concezione della dialettica sta l’idea di un
«necessario contrasto delle determinazioni dell’intelletto con se
stesso»33, cui consegue la negazione delle assunzioni da cui questo
contraddirsi dipende: «La dialettica […] è questa risoluzione imma-
nente, nella quale l’unilateralità e limitatezza delle determinazioni in-
tellettuali si esprime come ciò che essa è, ossia come la sua
negazione»34. Uno degli esempi più chiari di questo uso critico-negati-
vo della contraddizione sta nell’infinito dell’intelletto:
Cotesta contraddizione si trova subito in ciò, che all’infinito resta di
contro il finito quale un esserci. Son quindi due determinatezze; si danno due
mondi, un mondo infinito, e un mondo finito, e nella relazione loro l’infinito
non è che il limite del finito, epperò solo un infinito determinato, un infinito il
quale è esso stesso finito35.

32 Ivi, p. 120 (p. 97).


33 WdL I, p. 30 (p. 27).
34 Enz, p. 119 (p. 96).
35 WdL I, p. 127 (p. 141). Stephan Schick interpreta questa contraddizione nei

termini di una discrepanza semantico-pragmatica: «Die Kategorien meinen etwas ande-


res als sie sind. Der Begriff der Unendlichkeit meint das Unendliche, ist aber, weil er
der Endlichkeit entgegengesetzt ist, endlich» (S. SCHICK, op. cit., p. 335). Su questo tipo
di lettura cfr. anche V. HÖSLE, Hegels System. Der Idealismus der Subjektivität und das
Problem der Intersubjektivität, Meiner, Amburgo 1988, p. 174.
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Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 39

L’infinito dell’intelletto è posto di contro al finito sulla base del


principio dell’astratta identità che definisce il paradigma intellettuali-
stico di pensiero. L’infinito è un “al di là” rispetto al finito. Allo stesso
tempo, la contrapposizione dell’infinito al finito implica la sussistenza
di quest’ultimo a limitare l’orizzonte dell’infinitezza. L’infinito trova il
finito fuori da sé a limitarlo e a renderlo finito. L’intelletto, nel voler
tenere l’infinito distinto, non viziato dalla finitezza e lontano dalla con-
traddittorietà che ne deriverebbe, rimane invischiato proprio in una
concezione dell’infinito segnata costitutivamente dal suo contrario, os-
sia di un infinito che è in se stesso finito36. L’infinito dell’intelletto è
un esempio perfetto di come accada che «il pensiero si avvolga in con-
traddizioni […] cosicché non raggiunga se stesso, anzi resti implicato
nel suo contrario»37.
La contraddizione dell’intelletto ha una doppia valenza. Da una
parte, ha una valenza propriamente critica, consistente nella negazione
delle assunzioni da cui la contraddizione dipende. Essa porta a esplici-
tazione l’indeterminatezza delle determinazioni dell’intelletto38. Nel
contrapporre l’infinito al finito e nel caratterizzarlo come un semplice
al di là rispetto al finito, non si è ancora detto nulla sull’infinito stesso.
La tematizzazione astratta dell’infinito non è in grado di dispiegare la
verità dell’infinito39. Dall’altra parte, la contraddizione dell’intelletto
ha anche una valenza positiva, consistente nella necessaria revisione
delle assunzioni che hanno implicato la contraddizione. La concezione
astratta dell’infinito come assolutamente separato dal finito ha mostra-
to la sua inconsistenza. La sua negazione implica l’affermazione della
concezione opposta per cui l’infinito è costitutivamente in relazione al
finito40. Questa relazione costitutiva è l’unità degli opposti, l’insepara-
bilità di finito e infinito nella quale soltanto queste determinazioni si
mostrano nella loro verità.
Ne risulta una concezione della dialettica in cui il PNC, lungi

36 Cfr. A.F. KOCH, Dasein und Fürsichsein (Hegels Logik der Qualität), in A.F.
KOCH - F. SCHICK (a cura di), G.W.F. Hegel. Wissenschaft der Logik, Akademie Verlag,
Berlino 2002, pp. 27-50, p. 42.
37 Enz, p. 51 (pp. 17-18).
38 «Questo infinito […] ha soltanto il contenuto del nulla, di ciò che è espressa-

mente posto come non essere» (WdL I, p. 138 (pp. 154-155)).


39 Si ha cioè «la falsificazione, che l’intelletto intraprende col finito e l’infinito,

consistente nel tener ferma come una diversità qualitativa la relazione loro l’uno all’al-
tro, nell’affermarli nella loro determinazione come separati» (ivi, p. 133 (p. 148)).
40 «Il finito e l’infinito, in quanto son così ciascuno in lui stesso e in base alla sua

propria determinazione il porre il proprio altro, sono inseparabili» (ivi, p. 128 (p. 142)).
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40 Ai limiti della verità

dall’essere messo in questione, è piuttosto il fondamento del processo


dialettico stesso, che si sviluppa proprio sulla base della necessità di
togliere di mezzo le contraddizioni dell’intelletto. Gregoire scrive:
Loin de supposer le rejet du principe de non-contradiction, ce proces-
sus est, tout au contraire, entièrement et visiblement appuyé sur lui41.

Così pure McTaggart:


If […] the dialectic rejected the law of contradiction, it would reduce
itself to an absurdity […] so far is the dialectic from denying the law of con-
tradiction, that it is especially based on it42.

Brandom, in termini simili, enuncia il ruolo chiave del PNC nel-


la dialettica hegeliana: «Hegel, lungi dal rigettare la legge di non-con-
traddizione, la radicalizza e la colloca al centro stesso del suo pensie-
ro»43. Allo stesso modo, Marconi scrive: «it is a basic principle of He-
gelian dialectic that there be an urge […] to get away from contradic-
tion – or, rather, over it»44. O addirittura, come sottolinea Paolo Betti-
neschi, «non solo la logica hegeliana sembra mantenersi fedele al prin-
cipio di non contraddizione; essa pare addirittura svilupparne il senso
concreto che lo lega inscindibilmente all’identità e lo oppone a ogni
sua possibile assunzione intellettualistica»45. In questo senso pare op-
portuno definire – come fa Francesco Berto – questo tipo di letture
come «interpretazioni coerentiste» del processo dialettico46.
Nelle interpretazioni coerentiste, il PNC non viene messo in di-
scussione né nel secondo momento della dialettica, in cui è portata alla
luce la contraddizione dell’intelletto, né nel terzo momento, in cui vie-

41 F. GREGOIRE, op. cit., p. 61. L’interpretazione di Gregoire mette in luce, co-

me abbiamo visto, anche il valore metaforico della contraddizione.


42 J. MCTAGGART, Studies in the Hegelian Dialectic, Batoche Books, Kitchener-

Ont. 2000, p. 15.


43 R.B. BRANDOM, Olismo e idealismo nella Fenomenologia di Hegel, in L. RUGGIU

- I. TESTA, (a cura di), Hegel contemporaneo. La ricezione americana di Hegel a confronto


con la tradizione europea, Guerini e Associati, Milano 2003, pp. 247-289, p. 249.
44 D. MARCONI, Contradiction and the Language of Hegel’s Dialectic. A Study of

the Science of Logic, University Microfilms International, Pittsburgh 1980, p. 168.


45 P. BETTINESCHI, op. cit., p. 9. Cfr. anche G. MURE, An Introduction to Hegel,

Clareton, Oxford 1940 (trad. it. di R. Franchini, Introduzione a Hegel, Ricciardi, Mila-
no-Napoli 1943); ID., A Study of Hegel’s Logic, Clareton, Oxford 1950; C. BUTLER, On
the Reducibility of Dialectical to Standard Logic, in «The Personalist», LIV (1975), n. 4,
pp. 414-430.
46 Cfr. F. BERTO, Che cos’è la dialettica hegeliana?, Il Poligrafo, Padova 2005,

p. 33.
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Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 41

ne risolta la contraddizione tramite l’unità delle determinazioni oppo-


ste. Tale unità, infatti, non è contraddittoria, perché esprime semplice-
mente la necessaria relazionalità negativa sulla base della quale ognuna
delle determinazioni si costituisce:
nell’unità, l’uno non è l’altro […] stando in relazione all’altro, riesce ad
essere sé senza dissolversi nell’altro, riesce ad essere una determinazione. In
questo senso, l’unità degli opposti (cioè la relazione all’altro) lungi dall’essere
violazione del p.d.n.c., è addirittura la condizione trascendentale del costituir-
si di tale principio. […] L’opposizione non è una violazione del p.d.n.c., ma è
la stessa non-contraddizione47.

Il risultato della dialettica è il «toglimento del necessario con-


traddirsi della determinazione isolata, il risultato del metodo – l’unità
degli opposti – è il nesso necessario – tra le determinazioni»48.
Le letture coerentiste spiegano così l’aspetto fondamentale della
contraddizione che non trova un efficace resoconto nelle letture me-
taforiche, esplicitano cioè la funzione “motrice” della contraddizione
all’interno della dialettica: il riconoscimento della contraddizione del-
l’intelletto genera l’esigenza della revisione delle assunzioni che la im-
plicano e ne guida la revisione. Se la causa della contraddizione è l’a-
strazione dell’intelletto rispetto alla relazionalità intrinseca alle deter-
minazioni, la soluzione della contraddizione implica la reintegrazione
di questa relazionalità, da cui deriva la messa in campo dell’unità delle
determinazioni opposte.
In questo modo, la contraddizione ha una funzione costitutiva e
necessaria nella dialettica, che non implica però che essa sia vera o che
abbia un valore ontologico. La stessa tesi hegeliana per cui «tutte le co-
se sono in se stesse contraddittorie»49 indica, secondo questi interpreti,
che la contraddittorietà è una caratteristica essenziale delle cose non
per come si danno nella realtà effettiva, ma per come sono determinate
all’interno della comprensione astratta dell’intelletto50. In quest’ottica,
il ruolo della contraddizione è primariamente epistemologico51.

47 E. SEVERINO, La struttura originaria, Adelphi, Milano 1981, p. 39.


48 Ivi, p. 55.
49 WdL II, p. 286 (p. 490).
50 «Questa “opposizione logica”, lungi dall’essere l’essenza della realtà, è per

Hegel il contenuto inadeguato che sta dinanzi al pensiero che, in quanto intelletto, non
riesce a scorgere quell’essenza. Per Hegel il contraddirsi […] non è l’essenza della
realtà, ma è l’essenza dell’intelletto» (E. SEVERINO, Gli abitatori del tempo, Armando,
Roma 1978, p. 41).
51 In alcune interpretazioni coerentiste la dialettica è stata letta come una teoria
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42 Ai limiti della verità

Seguendo queste direttive interpretative, le letture coerentiste ri-


vendicano il fatto di rendere la dialettica hegeliana una teoria pratica-
bile a cui può essere ascritto un ruolo rilevante all’interno del dibattito
filosofico contemporaneo52.
In realtà, il confronto del dibattito filosofico del secolo scorso e
di quello attuale con la concezione hegeliana della contraddizione e
della dialettica mostra come le cose non stiano proprio così. Tale con-
fronto, infatti, si è dimostrato particolarmente fruttuoso proprio in
quei casi in cui la concezione hegeliana della contraddizione è stata as-
sunta nella direzione opposta a quella coerentista, ovvero come radica-
le messa in discussione del PNC. Basti pensare allo sviluppo delle logi-
che paraconsistenti, ossia di quei sistemi logici in cui viene messa in di-
scussione la validità dell’ex falso quodlibet. Tali sistemi si sono svilup-
pati proprio a partire dal tentativo di formalizzare la dialettica hegelia-
na53. In particolare, il dialeteismo è una proposta filosofica che ha tro-
vato nella nozione hegeliana di contraddizione un punto di riferimen-

semantica, ossia come processo di determinazione del significato. Cfr. H.F. FULDA, Un-
zulängliche Bemerkungen zur Dialektik, in R.-P. HORSTMANN (a cura di), Seminar, cit.,
pp. 33-69; D. MARCONI, La formalizzazione della dialettica, in ID. (a cura di), La forma-
lizzazione della dialettica. Hegel, Marx e la logica contemporanea, Rosenberg & Sellier,
Torino 1979, pp. 9-84; P. STEKELER-WEITHOFER, Hegels Analytische Philosophie. Die
Wissenschaft der Logik als kritische Theorie der Bedeutung, Schöningh, Paderborn 1992;
F. BERTO, Che cos’è la dialettica hegeliana?, cit.; A. NUZZO, Vagueness and Meaning. Va-
riance in Hegel’s Logic, in ID. (a cura di), Hegel and the Analytic Tradition, Continuum,
Londra-New York 2010, pp. 61-82. La dialettica si configurerebbe come una sorta di
analisi critica del linguaggio naturale operata attraverso il linguaggio stesso. In tale criti-
ca sono portate alla luce le inconsistenze implicite negli usi convenzionali di determinati
concetti. Per un’analisi critica di questo filone interpretativo cfr. M. BORDIGNON, Dialec-
tic and Natural Language. Theories of Vagueness, in «Teoria», XXXIII (2013), n. 1,
pp. 173-197; ID., I limiti della lettura coerentista della dialettica hegeliana, in «Verifiche»,
XXXIX (2010), n. 1-4, pp. 83-134.
52 «Sulla base della lettura del metodo come teoria semantica […] credo sia

possibile rendere – come dicono gli inglesi – palatable almeno qualche tratto della dot-
trina hegeliana sulle essenzialità e sulle “leggi del pensiero”» (F. BERTO, Che cos’è la dia-
lettica hegeliana?, cit., p. 313).
53 A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso si iniziò a lavorare ad alcuni

tentativi di formalizzazione della «logica dialettica». A partire dalla tesi hegeliana e


marxiana sulla possibilità della sussistenza di contraddizioni reali, l’obiettivo di questi
tentativi di formalizzazione era quello di costruire sistemi di calcolo formale inconsisten-
ti, che tuttavia non risultassero banali, cioè sistemi di calcolo in cui è disattivato il mec-
canismo dell’ex falso quodlibet. Per un’introduzione alle logiche paraconsistenti e al dia-
leteismo cfr. J.C. BEALL, Introduction. At the Intersection of Truth and Falsity, in G.
PRIEST - J.C. BEALL - B. ARMOUR-GARB (a cura di), op. cit., pp. 1-21; F. BERTO, Teorie
dell’assurdo, Carocci, Roma 2006.
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Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 43

to fondamentale nella storia della filosofia. Il dialeteismo è infatti quel-


la tesi filosofica in cui viene affermata la verità di alcune contraddizio-
ni. Graham Priest, il maggiore esponente della tesi dialeteista, apre il
manifesto del dialeteismo – In Contradiction – sottolineando come He-
gel abbia ragione nel dire che i nostri concetti, o almeno parte di essi,
siano inconsistenti54.
Le criticità delle interpretazioni coerentiste riguardano però an-
che il loro assetto interno. In queste interpretazioni la causa della con-
traddizione è l’indeterminatezza delle determinazioni dell’intelletto.
L’intelletto, nell’astrarre dall’essenziale relazionalità che costituisce
qualsiasi cosa sia determinato, lascia il determinato stesso in una spe-
cie di sotto-determinazione: «sembra che si abbia una sorta di failure
of determinacy: qualcosa, in qualche misura, non è determinato»55. La
contraddizione deriva dal fatto che la dimensione dell’alterità, dell’in-
dividualità e della differenza, che l’intelletto esclude dalla definizione
di una qualsiasi determinatezza, risulta essere invece l’essenza della de-
terminatezza stessa:
l’idea centrale della dialettica, dunque, sarebbe che se A è in relazione
necessaria a B, allora in qualche senso teoreticamente molto denso B determi-
na A, individua A, ne affetta le condizioni di identità. Perciò quando isoliamo
A da B, potremmo dire, non abbiamo più lo stesso A di prima (bensì, ponia-
mo, un A)56.

Questa lettura non dà conto del modo in cui Hegel intende il


necessario contraddirsi dell’intelletto. Le determinazioni dell’intellet-
to, nel sistema logico hegeliano, non sono contraddittorie rispetto a
qualcosa d’altro – la loro concezione concreta, cioè la loro verità – ma
risultano essere in se stesse contraddittorie o, meglio, sono autocon-
traddittorie. Il cattivo infinito non è contraddittorio rispetto alla con-
cezione concreta dell’infinito, ma è contraddittorio perché si mostra
essere un infinito che è in se stesso finito.
Nelle interpretazioni coerentiste, invece, le determinazioni intel-

54 Cfr. G. PRIEST, In Contradiction. A Study of the Transconsistent, Oxford Uni-

versity Press, Oxford 2006, p. 4.


55 F. BERTO, Che cos’è la dialettica hegeliana?, cit., p. 195; così anche Bloch:

«l’astratto è quindi l’indeterminato o l’in sé che poggia solamente su se stesso» (E. BLO-
CH, Soggetto-Oggetto. Commento a Hegel, trad. it. a cura di R. Bodei, Il Mulino, Bologna
1975, p. 26).
56 F. BERTO, Che cos’è la dialettica hegeliana?, cit., p. 215. Cfr. anche G. LEBRUN,

La patience du concept. Essai sur le discours hégélien, Gallimard, Parigi 1972, p. 78.
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44 Ai limiti della verità

lettualistiche non sono contraddittorie in se stesse. Esse anzi sono in se


stesse concetti perfettamente coerenti e consistenti57. Il primo momen-
to dialettico è indeterminato, manchevole rispetto alla determinazione
concreta che si sviluppa solo nel terzo momento, come viene sottoli-
neato dallo stesso Hegel:
il cominciamento […] è manchevole. L’universalità è il puro, semplice
concetto, e il metodo, come coscienza del concetto, sa che l’universalità è sol-
tanto un momento e che in essa il concetto non è ancora determinato in sé e
per sé. Ma con questa coscienza, che vorrebbe portare avanti il cominciamen-
to solo a cagione del metodo, questo sarebbe un che di formale, posto nella ri-
flessione esterna. Ora invece siccome il metodo è la forma oggettiva, imma-
nente, l’immediato del cominciamento dev’essere in lui stesso il manchevole,
ed esser fornito dell’impulso a portarsi avanti58.
Hegel sottolinea come non sia l’indeterminatezza della determi-
nazione intellettualistica rispetto alla sua concreta articolazione a spin-
gere in avanti il processo dialettico. Se così fosse, questo avverrebbe
solo sulla base di una relazione del primo momento intellettualistico
con l’articolazione concreta delle determinazioni logiche, che viene
sviluppata solo nel terzo momento. Questo potrebbe avvenire cioè so-
lo sulla base di una riflessione esterna alla determinazione intellettuali-
stica stessa. Nell’impianto logico hegeliano ciò sarebbe impossibile,
dato che il processo dialettico procede sulla base dello «sviluppo im-
manente del concetto […] dell’anima immanente del contenuto stes-
so»59. Per di più, proprio il terzo momento dell’unità degli opposti,
lungi dal contribuire a muovere la dialettica mettendo in evidenza l’in-
determinatezza dell’articolazione immediata delle determinazioni, do-
vrebbe essere il risultato dello sviluppo dialettico di questa immedia-
tezza. Ogni determinazione, nella sua immediatezza e nella sua astra-
zione, deve avere in sé l’impulso a “portarsi avanti”, e questo impulso
consiste nella sua intrinseca contraddittorietà60.

57 «Nel semplice concetto astratto di A, non si realizza di per sé alcuna contrad-


dizione: pensando A, ossia ciò che risulta dall’astrazione di A da B, non ci si sta imme-
diatamente contraddicendo; si sta solo pensando qualcos’altro rispetto ad A» (F. BERTO,
Che cos’è la dialettica hegeliana?, cit., p. 377).
58 WdL III, p. 240 (pp. 940-941).
59 WdL I, p. 8 (p. 7).
60 «Così tutti i contrapposti [Gegensätze] che si ritengon fissi, come p. es. il fini-

to e l’infinito, il singolo e l’universale, non si trovano già in contraddizione a cagione di


un loro collegamento esteriore, ma anzi, secondo che fece vedere la considerazione della
lor natura, sono in sé e per se stessi il passare; la sintesi, e il soggetto in cui appariscono,
sono il prodotto della propria riflessione del lor concetto» (WdL III, p. 244 (p. 945)).
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Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 45

Un ulteriore punto problematico nell’interpretazione coerentista


riguarda la tesi per cui la contraddizione è regula veri solo in quanto è
principio di falsificazione di concezioni astratte delle determinazioni lo-
giche. L’affermazione hegeliana della necessità del superamento della
contraddizione, per cui «il pensiero non rinunzia a se stesso» e tende
alla «soluzione delle sue proprie contraddizioni»61, potrebbe sembrar
supportare questa tesi, che però viene messa radicalmente in questione
dal modo in cui Hegel esplicita le dinamiche di questa soluzione:
L’accennata riflessione consiste nel sorpassare il concreto Immediato, e
nel determinarlo e dividerlo. Ma la riflessione deve anche sorpassare queste sue
determinazioni divisive, e metterle anzitutto in relazione tra loro. Ora in questo
punto del metterle in relazione vien fuori il loro contrasto. Cotesto riferire della
riflessione appartiene in sé alla ragione; il sollevarsi sopra a quelle determina-
zioni che va fino alla visione del loro contrasto, è il gran passo negativo verso il
vero concetto della ragione. Ma quella visione cade, in quanto non sia condotta
a termine, nell’errore per cui si crede esser la ragione, quella che viene a con-
traddire se stessa. Essa non si accorge che la contraddizione è appunto il solle-
varsi della ragione sopra le limitazioni dell’intelletto, e il risolver queste62.
In queste righe Hegel riassume le dinamiche del processo dialet-
tico, in cui entra in gioco una riflessione che lavora su due livelli, quel-
lo astratto dell’intelletto e quello concreto della ragione. Il primo tipo
di riflessione separa e divide le determinazioni del “concreto immedia-
to”, ossia le determinazioni di pensiero contenute implicitamente nel
linguaggio ordinario. Il secondo tipo di riflessione esplicita il contenu-
to di queste determinazioni, le toglie dall’unilateralità che le caratteriz-
za e ne porta alla luce l’intrinseca relazionalità. Nel far questo, mette
in evidenza «il contrasto delle determinazioni dell’intelletto con se
stesso». L’approccio coerentista si limiterebbe a rilevare in questa con-
traddittorietà il segnale dell’errore dell’intelletto e della necessità del
superamento dell’astrazione delle sue determinazioni, superamento
che implica la loro altrettanto necessaria messa in relazione.
Hegel sembra però dire qualcosa di diverso. La messa in relazio-
ne delle determinazioni che porta in evidenza il loro necessario contra-
sto non costituisce semplicemente il contraddirsi dell’intelletto. Que-
sto contrasto appartiene alla riflessione della ragione. Il fatto che l’infi-
nito sia in se stesso finito è certo una contraddizione che mostra come
l’infinito dell’intelletto non possa sussistere, ma è anche la soluzione di

61 Enz, p. 51 (p. 18).


62 WdL I, p. 30 (p. 27).
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46 Ai limiti della verità

questa astrazione, è «il sollevarsi della ragione sopra le limitazioni del-


l’intelletto», è il loro necessario sviluppo nell’articolazione concreta
delle determinazioni logiche. Il cattivo infinito mostra di avere in se
stesso la determinazione opposta, il finito, come proprio necessario
momento. Infatti, il vero infinito è in se stesso contraddittorio proprio
perché si costituisce come il processo di toglimento della finitezza63.
Intelletto e ragione sembrano quindi avere a che fare con una
medesima contraddizione. Si tratta di capire come essa venga ad avere
due risultati così diversi. La contraddizione per l’intelletto è principio
di falsificazione, è regula falsi. Per la ragione, invece, la contraddizione
è regula veri, corrisponde cioè alla struttura concreta delle determina-
zioni logiche in cui le astrazioni dell’intelletto trovano un loro effettivo
superamento. Il diverso valore che la contraddizione assume rispetto
all’intelletto e alla ragione dipende dalla loro diversa caratterizzazione
interna. La caratteristica essenziale dell’intelletto è l’unilateralità, in ra-
gione della quale esso è strutturalmente portato a considerare ogni co-
sa sulla base di un unico punto di vista e a esaminarne ogni volta un
singolo aspetto nella separazione da tutti gli altri. Per l’intelletto la sus-
sistenza di qualcosa di contraddittorio risulta inconcepibile. Per que-
sto, la conoscenza dell’intelletto, implicante essa stessa una contraddi-
zione, viene schiacciata da questa stessa contraddizione: le determina-
zioni dell’intelletto, strutturate sulla base del principio d’identità, ven-
gono annullate dalla contraddizione che esse stesse implicano. Al con-
trario, la ragione, che è invece in grado di tenere insieme gli opposti
nella loro unità, riesce a tenersi ferma sulla contraddizione e vedere in
essa la verità delle determinazioni logiche.
È come se la contraddizione avesse due lati, uno negativo e uno
positivo. Il primo, rivolto contro l’intelletto, mostra la contradditto-
rietà e l’unilateralità della sua comprensione; il secondo, rivolto non
più contro ma verso la ragione, viene accolto da essa e riconosciuto
come principio di determinazione.
Proprio per questo, il presupposto dell’approccio coerentista –
la netta distinzione tra il piano dell’intelletto e quello della ragione –
va messo radicalmente in questione. Questa separazione corrisponde a
due modi di considerare un unico sviluppo immanente delle determi-
nazioni di pensiero. Se ci si ferma al primo momento di questo svilup-

63 «La finità è solo come un sorpassar se stesso. In essa è quindi contenuta l’in-
finità, il suo proprio altro. In pari maniera l’infinità è solo come un sorpassare il finito.
Contien dunque essenzialmente il suo altro» (ivi, p. 133 (p. 149)).
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Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 47

po e ci si limita ad una considerazione immediata del contenuto logico


si rimane prigionieri del piano dell’intelletto – che è una condizione
necessaria ma non ancora sufficiente al dispiegarsi della concreta ve-
rità di quel contenuto. Se si procede nello sviluppo di questo contenu-
to logico fino a portare alla luce l’intrinseca unità tra le determinazioni
opposte, si considera il medesimo contenuto dal punto di vista della
ragione e se ne coglie la concreta verità. I due piani non sono affatto
distinti. Al contrario, sono necessari l’uno all’altro e intrinsecamente
connessi tra loro:
A quella stessa maniera che si suol prendere l’intelletto come un che di
separato a fronte della ragione in generale, così anche la ragione dialettica si
suol prendere come un che di separato di fronte alla ragione positiva. Ma nella
sua verità la ragione è spirito; e lo spirito sta al di sopra di tutti e due, della ra-
gione intellettuale [verständige Vernunft], o dell’intelletto razionale [vernünfti-
ger Verstand]64.
La separazione di intelletto e ragione non permette di cogliere
l’effettivo sviluppo del processo che porta alla verità speculativa. Da
una parte, l’espressione «verständige Vernunft» indica il momento in-
tellettuale che ha però necessariamente in sé il passaggio al momento
della ragione; dall’altra, «vernünftiger Verstand» indica un intelletto
che si è fatto razionale. Nella ragione i diversi momenti di sviluppo di
una determinazione logica – astratto, dialettico-negativo, positivo-ra-
zionale – sono momenti di un unico processo e solo nel loro insieme
costituiscono una condizione necessaria e sufficiente a dispiegare la
verità delle determinazioni.
A questo punto, rimane da spiegare il senso in cui la contraddi-
zione possa essere effettivamente assunta come regula veri, ovvero co-
me principio di determinazione all’interno della logica hegeliana.

1.4. La contraddizione ontologica


Il terzo significato della contraddizione nella Scienza della logica
è quello per cui essa è la verità delle determinazioni logiche. Rispetto
alle due domande
1. Hegel si riferisce a una struttura logica effettivamente con-
traddittoria?

64 Ivi, p. 8 (p. 6); «è pertanto sotto ogni rapporto da rigettarsi la separazione


dell’intelletto e della ragione così come comunemente vien fatta» (WdL III, p. 42 (pp.
692-693)).
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48 Ai limiti della verità

2. Hegel intende veramente affermare la verità della contraddi-


zione?
la risposta è positiva per entrambe. La contraddizione corrispon-
de a un’effettiva struttura contraddittoria e questa struttura contrad-
dittoria è vera, dove la verità non è la corrispondenza o meno di una
proposizione a uno stato di cose, ma l’articolazione concreta delle de-
terminazioni logiche. Se le determinazioni consistono, come ho antici-
pato nell’introduzione, nelle dinamiche che permeano il modo d’esse-
re della realtà ma che allo stesso tempo vengono esplicitate solo all’in-
terno dell’attività critica del pensiero concettuale, allora la contraddit-
torietà che viene a strutturare concretamente queste determinazioni,
nella sua verità, caratterizza sia il modo in cui le cose vengono ad arti-
colarsi, sia il nostro portare a compiuta esplicitazione questa verità
delle cose stesse65.
In questa terza accezione del concetto di contraddizione trova
compiuta giustificazione l’affermazione hegeliana per cui «tutte le cose
sono in se stesse contraddittorie»66. Il valore veritativo della contrad-
dizione, il suo essere principio di determinazione, trova degli esempi
particolarmente rilevanti nei passi che seguono:
Il divenire si contraddice dunque in se stesso, poiché unisce in sé quello
che è contrapposto a se stesso; ma una tale unione si distrugge67.
L’altra determinazione è l’inquietudine del qualcosa, che consiste nel-
l’essere, nel suo limite in cui è immanente, la contraddizione, che lo spinge ol-
tre se stesso68.
La determinazione riflessiva contiene in sé la determinazione opposta e
solo per ciò non è relazione verso un esterno, ma consiste anche immediata-
mente in ciò che la determinazione è se stessa ed esclude da sé la sua determi-
nazione negativa. Così la determinazione è la contraddizione69.
C’è chi dice che la contraddizione non si può pensare: ma essa nel dolo-
re del vivente, è piuttosto una esistenza reale70.

65 «Die Pointe der Wissenschaft der Logik besteht gerade in der Behauptung,
dass es sich bei der absoluten Idee um etwas handelt, das real existiert» (G. SANS, Die
Realisierung des Begriffs, Akademie Verlag, Berlino 2004, p. 19).
66 «L’oggetto della logica sono le pure determinazioni di pensiero, quelle pure

essenzialità che sono alla base del modo stesso in cui la realtà si struttura, ovvero, detto
diversamente ancora, i puri concetti che costituiscono la verità delle cose» (L. ILLETTE-
RATI - P. GIUSPOLI - G. MENDOLA, op. cit., p. 138).
67 WdL I, p. 95 (p. 99).
68 Ivi, p. 115 (p. 127).
69 WdL II, p. 279 (pp. 481-482).
70 WdL III, p. 188 (p. 874).
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Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 49

Tutte queste determinazioni logiche si costituiscono in termini


esplicitamente contraddittori, per cui l’essere di ognuna di esse si arti-
cola nell’avere in sé il suo stesso non essere, il suo altro. Il divenire è
l’identità dell’essere e del nulla. Il finito si costituisce come il passag-
gio di un essere determinato nel suo non essere, passaggio in cui è
identico con questo non essere. Questa contraddittorietà trova una
nuova declinazione nella tematizzazione delle determinazioni della ri-
flessione, più precisamente nella relazione che caratterizza le determi-
nazioni del positivo e del negativo. Nella dottrina del concetto, invece,
l’utilizzo ontologico della contraddizione viene in piena evidenza nel-
l’idea logica della vita, rispetto alla quale Hegel parla di esistenza reale
della contraddizione.
Tutte queste determinazioni hanno qualcosa in comune. Il dive-
nire, il finito, la struttura oppositiva al cuore dell’essenza, l’idea logica
della vita sono determinazioni costituite da una contraddittorietà che
ne mette in luce l’intrinseco dinamismo. Non si tratta di strutture logi-
che che appartengono al nostro modo di leggere la realtà e che, per
poter fotografarla e rifletterla adeguatamente, devono in qualche mo-
do fissarla. Si tratta piuttosto di strutture della realtà stessa, che come
tali ne esprimono l’intrinseco movimento, il continuo sviluppo, l’im-
manente dinamicità. È proprio la contraddizione a portare alla luce
questa caratteristica. La contraddizione del divenire esprime il passare
dall’essere al nulla e viceversa. Il finito non è nient’altro che il modo
in cui il divenire stesso si trova declinato sul piano dell’essere determi-
nato: ogni finito è il passare di ogni cosa per cui il suo essere è il suo
stesso non essere71. E così l’essenza si articola secondo un’autocon-
traddittorietà per cui non sussiste come un al di là rispetto alla cosa
stessa, ma è il suo stesso movimento interno, il suo continuo processo
di riarticolazione in cui ha in sé quell’altro da sé, quella parvenza, in
cui viene a compiuta manifestazione e realizzazione di sé72. Questa di-
namica trova un’articolazione ancora più concreta nella dottrina del
concetto con l’idea logica della vita. L’organismo sussiste come viven-
te non in una statica identità in cui trova anzi il proprio opposto, ov-
vero la morte, ma in un continuo processo in cui esso si sviluppa nel

71 «Tanto il finito quanto l’infinito son così questo movimento, di tornare cia-

scuno a sé per mezzo della propria negazione» (WdL I, p. 135 (p. 151)).
72 «La considerazione di tutto ciò che è mostra in lui stesso che nella sua egua-

glianza con sé esso è diseguale a sé e contraddittorio, e che nella sua diversità, nella sua
contraddizione, è identico con sé, e ch’esso è in lui stesso questo movimento del passare
l’una di queste determinazioni nell’altra» (WdL II, p. 261 (p. 458)).
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50 Ai limiti della verità

costitutivo rapporto con l’altro da sé73.


In tutte queste determinazioni logiche la contraddizione non è e
non può essere la struttura di uno stato di cose. Se lo fosse, rimande-
rebbe ad un paradigma di pensiero che tradirebbe lo spirito di quello
hegeliano. Essa sarebbe inquadrata all’interno di un pensiero posto di
contro al proprio oggetto, un pensiero costretto a fissare l’oggetto che
ha di fronte per coglierlo e rifletterlo adeguatamente. E così anche per
poter pensare il divenire, il finito, l’essenza e la vita sarebbe costretto a
pensarli come stati di cose, la cui fissità non permetterebbe di coglier-
ne il dinamismo e l’intrinseca contraddittorietà che ne sta alla base74.
Solo un pensiero che non si pone di contro al proprio oggetto, ma che
cerca di farsi uno con esso, riesce a coglierne la verità e a vedere nella
contraddizione il modo d’essere interno alle cose stesse nel loro dive-
nire, nel loro finire, nel processo di realizzazione della loro essenza,
nel loro essere qualcosa di vivo75.
La contraddizione del divenire, del finito, dell’essenza, della vita,
non è quindi una contraddizione che caratterizza il nostro pensiero co-
me pensiero di stati di cose, ma è ciò che destruttura e mostra l’insuffi-
cienza di questo modo finito di pensare la realtà. È la contraddizione
di un pensiero, per il quale essa è la ragione d’essere del divenire, del
finito, dell’essenza, della vita. Essa costituisce il modo in cui queste di-
namiche si autodeterminano nella realtà, il modo in cui esse realizzano
se stesse. Così la contraddizione del divenire non esprime un divenuto,
non esprime cioè il divenire come uno stato di cose in cui il divenire
stesso, propriamente, non sussiste più. Essa esprime piuttosto il movi-
mento interno al processo del divenire stesso, e cioè il divenire come
tale. Allo stesso modo, la contraddizione del finito non riflette l’esser
finito di qualcosa – la cosa finita di per sé non è più, non sussiste più
73 «L’astratta identità con sé non è ancora vitalità, ma perché il positivo è in se

stesso la negatività, perciò esso esce fuori di sé ed entra nel mutamento. Qualcosa dun-
que è vitale solo in quanto contiene in sé la contraddizione ed è propriamente questa
forza, di comprendere e sostenere in sé la contraddizione» (ivi, p. 287 (p. 492)).
74 «One of Hegel’s constant complaints about the type of cognition characteri-

stic of the Understanding is its static, mechanical and lifeless nature which he contrasts
to the much more organic and dialectical form of thinking of ‘Reason’, and notoriously
he here appeals to ‘contradiction’ to capture the vitality of genuine thought» (P. RED-
DING, Analytic Philosophy and the Return of Hegelian Thought, Cambridge University
Press, Cambridge 2007, p. 200).
75 «La considerazione inconcettuale sta ferma al rapporto esteriore di cotesti

contrapposti, li isola e li lascia come presupposizioni stabili: ma è invece il concetto,


quello che fissa in loro stessi lo sguardo, li muove come loro anima e sprigiona la lor dia-
lettica» (WdL III, p. 244 (pp. 945-946)).
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Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 51

come tale – ma esprime il modo d’essere della cosa nel suo finire, nel
suo essere il suo non essere. E ancora, la contraddizione dell’essenza
non esprime ciò che la cosa deve diventare per realizzare se stessa.
Questa contraddizione corrisponde, invece, al movimento dinamico
della struttura interna alla cosa, che ne guida la ristrutturazione gene-
rale e la porta a completa realizzazione, ossia a divenire effettivamente
ciò che è. Infine, la contraddizione della vita rappresenta l’essenza del-
la vita stessa, che sussiste solo come continuo sviluppo della propria
forma nel rapporto con l’ambiente esterno.
La contraddizione è dunque l’articolazione logica alla base della
dinamica su cui si costituiscono le determinazioni logiche. Ognuna di
esse si costituisce nell’essere identica con sé nella propria differenza da
sé, è l’identità dell’identità e della non identità con se stessa, e solo co-
me tale realizza la propria intrinseca dinamicità76.
Il significato ontologico e veritativo della contraddizione nella
logica hegeliana comporta necessariamente alcuni problemi. In primis,
il render conto della messa in questione del PNC e, non meno impor-
tante, la difesa dall’ex falso quodlibet. Come sostiene Horstmann, la lo-
gica hegeliana, si mostra incompatibile con gli schemi della logica tra-
dizionale:
Hegel thinks of his new logic as being in part incompatible with tradi-
tional logic. […] his belief in the validity of his new logic, together with his
conviction that this new logic is partly incompatible with the traditional one,
implies the request for a new, Hegelian conception of rationality which is not
just a refinement or an improvement of our normal, traditional concept of ra-
tionality, but which is fundamentally at odds with it77.

Hegel sviluppa un nuovo concetto di razionalità, che ha tra i


suoi tratti essenziali proprio la tesi della contraddizione come regula
veri. Dire che la contraddizione è principio di determinazione delle
strutture ontologiche fondamentali della realtà significa dire che esi-
stono cose in se stesse contraddittorie e che il pensiero che intende
pensarne l’essenza e il linguaggio che dovrebbe esprimerla devono im-
parare a far spazio alla verità della contraddizione. Hegel mette dun-

76 «Nell’unità la distinzione, nella distinzione l’unità: è questo il processo in cui

consiste lo sviluppo immanente del concetto, e lo stesso metodo dialettico, il metodo cui
deve attenersi la filosofia speculativa» (M. CINGOLI, La qualità nella Scienza della Logi-
ca di Hegel, Guerini e Associati, Milano 1997, p. 26).
77 R.-P. HORSTMANN, What is Hegel’s Legacy, and what should we do with it?,

in «European Journal of Philosophy», VII (1999), n. 2, pp. 275-287, p. 280.


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52 Ai limiti della verità

que in questione la validità del PNC a tutti i livelli: quello delle cose,
quello del pensiero e del linguaggio.
Una proposta interpretativa che si mantiene fedele alla tesi hege-
liana della verità della contraddizione è quella di Franco Chiereghin:
in ogni cosa, in ogni concetto o in ogni concreto vi è un punto, essenzia-
le al loro costituirsi, in cui la stessa cosa, ad un tempo, appartiene e non ap-
partiene allo stesso soggetto sotto il medesimo rispetto78.

Secondo Chiereghin, quella di Hegel è una concezione incon-


traddittoria della contraddizione, dove il piano incontraddittorio in
cui si assume la contraddizione come principio di determinatezione è
quello dell’assoluto. Infatti, l’assoluto, proprio in quanto tale, non ha
un opposto fuori di sé a limitarlo; esso contiene al proprio interno
ogni contrario, ogni finito, ogni determinato, che si costituiscono ap-
punto in termini contraddittori. In questo senso, da un lato la contrad-
dizione è la «legge immanente dell’assoluto», ma dall’altro «la con-
traddizione non è a sua volta legge della legge dell’assoluto o dell’inte-
ro, pena l’inintelligibilità di ogni discorso»79. L’assoluto è quindi quel-
la dimensione che nel contenere in sé ogni determinato contiene allo
stesso tempo in sé la struttura contraddittoria che lo costituisce. Ma
proprio avendo al proprio interno questa struttura non ne è dominato,
non subisce la contraddizione, ma riesce a tenerla ferma come struttu-
ra della determinatezza. L’assoluto ha in sé la contraddizione non co-
me ciò che lo vanifica, ma come la propria struttura interna80.
In questo modo, l’assoluto costituisce l’orizzonte in cui sorge
ogni determinatezza e in cui si manifesta l’imprescindibilità del PNC
aristotelico. Questa determinatezza, però, nel suo concreto sviluppo, si
mostra caratterizzata in termini contraddittori. Allo stesso tempo, la
determinatezza, proprio nella sua contraddittorietà, ha alle spalle co-
me condizione di possibilità proprio quell’incontraddittorietà che le
permette di darsi e di essere pensata nella sua costitutiva contradditto-
rietà, ovvero nella sua stessa verità. Negare questo livello originario di
incontraddittorietà non può che portare ad una totale dissoluzione
della realtà e del pensiero che cerca di comprenderla81.

78 F. CHIEREGHIN, Incontraddittorietà e contraddizione in Hegel, in «Verifiche», X

(1981), n. 1-3, pp. 257-270, p. 262. Cfr. anche ID., L’eco della caverna, cit., pp. 73-92.
79 F. CHIEREGHIN, Incontraddittorietà e contraddizione in Hegel, cit., p. 258.
80 Cfr. S.-J. KANG, Reflexion und Widerspruch, cit., p. 212.
81 Anche Hahn mette in evidenza il problema in questione: «The problem is

how to talk about contradictions in a way that somehow takes us beyond the law of con-
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Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 53

Chiereghin mostra quindi come il PNC mantenga una sua vali-


dità all’interno del discorso hegeliano. Rimane da chiarire il modo in
cui il piano dell’incontraddittorietà entra in relazione con la costitutiva
contraddittorietà delle determinazioni logiche. La proposta di Chiere-
ghin sembra basarsi su una distinzione di piani, quello dell’assoluto e
quello dell’effettivo sviluppo contraddittorio delle determinazioni lo-
giche82. Questa distinzione sembra riflettere quella proposta da Re-
scher in relazione ai mondi possibili non standard, cioè mondi schema-
tici e contraddittori, in cui viene meno la validità, rispettivamente, del
principio del terzo escluso e del PNC83. L’idea di Rescher è quella di
distinguere tra il livello oggettuale del pensiero – ciò che il pensiero
descrive, ovvero la teoria della contraddittorietà della realtà – e il me-
ta-livello, in cui si parla di questa teoria e che deve invece rispettare il
PNC. Un pensiero che riconosce la contraddittorietà come caratteri-
stica essenziale di un oggetto non ha alcuna ragione di assumere su di
sé questa stessa caratteristica, perché essa rimane appunto una caratte-
ristica dell’oggetto e non del pensiero che la coglie:
I mondi contraddittori, così sosterremo, sono possibili oggetti di consi-
derazione razionale e di indagine accurata. Anch’essi possono essere assunti,
supposti, ipotizzati, ecc. E supporre tali mondi non significa per nulla invitare
al caos logico. Si può ragionare attorno ad essi in modo perfettamente convin-
cente e coerente. (Il pensiero non deve necessariamente assumere gli attributi
dei suoi oggetti: tutto sommato uno studio sobrio dell’ubriachezza è possibile,
e così uno studio non-contraddittorio della contraddittorietà). […] Una descri-
zione di un mondo può essere considerata come un’asserzione che afferma che
certe cose accadono. Nell’ammettere mondi contraddittori siamo di conse-
guenza protetti dall’auto-contraddizione perché un altro assertore – la descri-
zione del mondo in questione – è effettivamente introdotto come intermedio
tra noi e la contraddizione. Contraddittorio è il mondo in questione, ma non
necessariamente il nostro discorso su di esso. […] Proponendo la prospettiva
di mondi contraddittori si può dunque assumere una posizione che è – o può
essere – perfettamente convincente e non contraddittoria all’interno di essa84.

tradiction, yet in a logically non-contradictory way that still respects our rational aver-
sion to genuine contradictions» (S. HAHN, Contradiction in Motion. Hegel’s Organic
Concept of Life and Value, Cornell University Press, Ithaca 2007, p. 60).
82 Su questa distinzione cfr. anche S. SCHICK, op. cit., pp. 304-305.
83 L’obiettivo di Rescher è costruire un sistema in cui si eviti che la parziale

contraddittorietà di mondi di questo tipo vizi il pensiero che la riconosce e che la pensa
proprio in quanto vera.
84 N. RESCHER, Mondi possibili e non standard, in D. MARCONI (a cura di), La

formalizzazione della dialettica, cit., pp. 354-416, p. 362. Una distinzione di questo tipo è
rinvenibile anche in Vasil’ev, che in Logica immaginaria sottolinea la differenza tra la
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54 Ai limiti della verità

Rescher profila la possibilità di un pensiero che è in grado di


concepire in modo incontraddittorio la contraddizione e che corri-
sponderebbe a quel pensiero che, hegelianamente, è capace di tener
ferma e dominare la contraddizione nel suo valore veritativo.
L’applicazione di una strategia di questo tipo al discorso hegelia-
no è però problematica. La distinzione tra il livello oggettuale e con-
traddittorio del pensiero – ciò che il pensiero descrive – e il meta-livel-
lo incontraddittorio in cui si parla di questa teoria, corrisponderebbe a
una distinzione tra il pensiero come processo di autodeterminazione,
che è lo sviluppo del sistema stesso, e un livello incontraddittorio della
dimensione dell’assoluto in cui si costituiscono le diverse determina-
zioni. Questi due livelli però, nel sistema logico hegeliano, non sono
propriamente distinti. L’assoluto si costituisce proprio attraverso il
processo di autodeterminazione del pensiero e attraverso la contrad-
dittorietà che muove la dialettica delle sue determinazioni. La dimen-
sione incontraddittoria dell’assoluto, in cui sono ricompresi ogni op-
posizione, ogni finito, ogni determinato, è riconoscibile solo a partire
da quella radicale consapevolezza cui siamo consegnati nel pieno di-
spiegamento della totalità sistematica. L’orizzonte incontraddittorio
dell’assoluto, nel corso di questo sviluppo del sistema, non è ancora
costituito come base sufficiente a tenersi fermi sulla contraddittorietà
delle determinazioni che questo sviluppo stesso attraversa, pur giustifi-
candola nell’ottica retrospettiva da cui si può guardare il sistema quan-
do si è giunti al suo compimento.
Un’altra lettura che si muove sulla stessa direzione è quella di
Venanzio Raspa, che vede nella contraddizione un concetto operativo

legge di contraddizione e la legge di assoluta differenza tra verità e falsità. Quest’ultima


«riguarda il soggetto conoscente e gli proibisce di contraddirsi, mostrando che un giudi-
zio vero è sempre vero e uno falso è sempre falso, e che per questo egli non può dichia-
rare che uno stesso giudizio è sia vero sia falso. Questa legge proibisce l’autocontraddi-
zione, esige la coerenza interna, la concordanza nelle affermazioni del conoscente. Per-
ciò questa legge potrebbe essere chiamata legge di non-autocontraddizione». Invece, il
PNC «riguarda il mondo, gli oggetti, e afferma che in essi non possono realizzarsi con-
traddizioni, che in nessuna cosa possono essere uniti predicati contraddittori, che non
possono esistere i fondamenti per un giudizio affermativo e per quello negativo. Questa
legge bandisce le contraddizioni dal mondo, come la prima le bandisce dal soggetto. La
legge di contraddizione ha un significato oggettivo, mentre la legge di assoluta differenza
tra verità e falsità ne ha uno soggettivo. Quindi è chiaro che è possibile, senza infrangere
la legge di assoluta differenza tra verità e falsità, o legge di non-autocontraddizione, vio-
lare o escludere la legge di contraddizione» (N.A. VASIL’EV, Logica immaginaria, trad. it.
di V. Raspa e G. Di Raimo, Carocci, Roma 2012, pp. 196-197).
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Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 55

atto ad esprimere realtà caratterizzate da una struttura complessa85.


Egli non si riferisce specificatamente alla Scienza della logica, ma agli
scritti del periodo giovanile fino alla Differenzschrift. Il suo contributo
si basa sulla considerazione del fatto che lo sviluppo del valore specu-
lativo della contraddizione in Hegel nasce non tanto da questioni teo-
riche, ma dal confronto di Hegel con la dimensione socio-culturale in
cui si trovava a vivere, un mondo lacerato da opposizioni che pareva-
no incomponibili. Le contraddizioni cui Hegel si riferisce non appar-
tengono tanto al pensiero, ma alla realtà. Hegel vuole costruire un
pensiero che sappia rendere conto di una realtà di questo tipo:
La contraddizione, non una contraddizione del pensiero, interna ad una
teoria – che come tale è rifiutata anche da Hegel, in ciò d’accordo con Aristo-
tele nel riconoscere la validità del principio di contraddizione –, ma la con-
traddizione intesa come concetto impiegato per esprimere una certa realtà,
non indica la falsità del discorso o impossibilità ontologica, bensì denota una
difficoltà concettuale ad esprimere una certa realtà complessa; in certi casi, è
l’unica nozione atta ad esprimere tale complessità concettuale, senza perciò
costituire una barriera insormontabile per il pensiero […]. Un simile pensiero
non contiene nessuna contraddizione logica, bensì fa uso della figura logica
della contraddizione86.

La distinzione tra la contraddittorietà interna ad una teoria e la


contraddittorietà come struttura concettuale in grado di esprimere de-
terminate realtà complesse sembra ricalcare, da una parte, la distinzio-
ne di Chiereghin tra il piano incontraddittorio dell’assoluto e il piano
contraddittorio della determinatezza, dall’altra, la distinzione di Re-
scher tra meta-linguaggio e linguaggio-oggetto. Peraltro, Raspa inten-
de la contraddizione come un concetto operativo, una sorta di stru-
mento concettuale per giungere col pensiero là dove gli strumenti con-
cettuali tradizionali non permettono di arrivare. O meglio, la logica
tradizionale ci permette di spiegare alcuni aspetti anche complessi del-
la realtà, ma nel farlo li semplifica, li aggiusta sui propri schemi con-

85 Nella proposta di Raspa risulta particolarmente interessante il rapporto tra

razionalità e contraddizione, dove la contraddizione non azzera, ma amplia le potenzia-


lità del pensiero e le capacità espressive del discorso. Solo facendo ricorso alla contrad-
dizione, il pensiero è in grado di rendere conto di alcuni aspetti fondamentali della
realtà, aspetti particolarmente complessi, non accessibili se si resta imprigionati all’inter-
no degli schemi delineati dai principi logici tradizionali.
86 V. RASPA, Sulle origini del concetto di contraddizione negli scritti giovanili di

Hegel, in «Studi Urbinati. B. Scienze umane e sociali», LXVII (1997/1998), pp. 107-
156, p. 149.
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56 Ai limiti della verità

cettuali, e in questo modo non riesce a darne un resoconto oggettivo,


perché non ne restituisce un’immagine fedele, non li sa cogliere per
ciò che sono in realtà, non riesce ad esprimerne quella complessità cui
solo la contraddizione riesce a dar voce87.
Tuttavia, nella lettura di Raspa vi sono alcuni aspetti problemati-
ci. Vi è un utilizzo “strumentale” del concetto di contraddizione, quasi
che la contraddizione fosse una struttura di cui noi disponiamo e che
ci permette di leggere in maniera adeguata determinate realtà. In que-
sto modo, viene però sostanzialmente mitigato il valore ontologico del-
la contraddizione. Non solo, viene anche messa in campo una nozione
di pensiero che risulta non del tutto congruente con l’orizzonte hege-
liano. Il pensiero, in Hegel, non è costituito da una serie di strutture
concettuali che noi abbiamo a disposizione per ingabbiare la realtà. E
se il pensiero non è dunque una rete che il soggetto butta sul mondo
per cogliere le cose, quanto piuttosto la struttura razionale dentro cui
le cose sono quello che sono, l’emergere di strutture contraddittorie
non riguarda semplicemente il pensiero inteso come l’attività di un
soggetto, ma anche la verità della cose stesse. Non siamo noi a essere i
proprietari delle strutture logiche e ad averle a nostra disposizione. So-
no le determinazioni logiche stesse, il pensiero come tale, ad averci in
possesso e, proprio in quanto “posseduti” dalla dimensione del pen-
siero e costituiti da esso, siamo in grado di riflettere il modo in cui tali
determinazioni costituiscono la realtà88. Quindi, la contraddizione non
può essere semplicemente uno strumento concettuale di cui disponia-
mo per spiegare adeguatamente la struttura delle determinazioni logi-
co-ontologiche: questa struttura risulta adeguatamente esplicata dalla
contraddizione perché è in se stessa contraddittoria.
Considerate le criticità delle letture interpretative cui si è fatto
riferimento, il problema che rimane aperto è quello di capire come sia

87 Cfr. Nohl, p. 348 (p. 475). Con la contraddizione Hegel intende esprimere

l’essenza della vita stessa: «il discorso hegeliano non cade in contraddizioni esso stesso,
non si autoannulla, bensì opera con contraddizioni, quelle stesse che Hegel scorge esse-
re presenti nella realtà effettuale» (V. RASPA, Sulle origini del concetto di contraddizione
negli scritti giovanili di Hegel, cit., p. 151); «solo facendo uso della figura della contrad-
dizione è possibile portare ad espressione quella complessità che non si lascia ricondur-
re all’ambito delle rigide leggi dell’intelletto» (V. RASPA, Dalla Differenzschrift agli scritti
giovanili, in M. CINGOLI (a cura di), L’esordio pubblico di Hegel, Guerini e Associati,
Milano 2004, pp. 41-55, p. 55).
88 «Quindi è che meno che mai possiam credere che quelle forme di pensiero

[…] servano a noi; che cioè siamo noi, che le abbiamo in nostro possesso, e non piutto-
sto quelle, che hanno in possesso noi» (WdL I, p. 14 (p. 14)).
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Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 57

effettivamente possibile pensare la verità della contraddizione e spie-


garne il valore ontologico.
Determinazioni come il divenire, il finito, l’essenza, la vita si arti-
colano in modo contraddittorio. Esse non sono né momenti marginali
del sistema, né dinamiche locali del modo in cui si determina la
realtà89. Per Hegel, la contraddizione è un momento fondamentale
della realtà e, con essa, del pensiero che intende comprenderne e por-
tarne alla luce la verità. La sfida a cui è necessariamente chiamato un
pensiero che intende cogliere questa verità della realtà è, quindi, quel-
la di sopportare il peso del paradosso della verità della contraddizione.
L’analisi che segue cercherà proprio di rispondere a tale sfida.
Innanzitutto, sarà necessario chiarire l’elemento costitutivo del
concetto di contraddizione in Hegel, cioè la negazione. In secondo
luogo, spiegherò in che senso il concetto di contraddizione implicato
da questo tipo di negazione possa definirsi una vera e propria contrad-
dizione e lo farò mettendo in evidenza la relazione tra questo concetto
di contraddizione e le diverse definizioni della nozione di contraddi-
zione in logica e nella filosofia del linguaggio.

89 La prospettiva hegeliana sulla verità della contraddizione si distingue dalla

tesi dialeteista per cui esistono contraddizioni vere, ma queste contraddizioni costitui-
scono aspetti marginali di sistemi in gran parte consistenti. Cfr. G. PRIEST, What is so
Bad about Contradictions?, in «The Journal of Philosophy», XCV (1998), n. 8, pp. 410-
426, p. 423).
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Capitolo Secondo
QUALE NEGAZIONE?

Se si vuole capire il concetto hegeliano di contraddizione è ne-


cessario analizzare innanzitutto la negazione su cui si articola. Infatti,
non c’è contraddizione senza negazione. In tutti i modi di intendere la
contraddizione sussiste un qualche rapporto di negazione tra elementi
incompatibili, che siano proposizioni, valori di verità, credenze, stati
di cose, proprietà. In questo capitolo spiegherò in che senso il concet-
to hegeliano di negazione possa propriamente definirsi come una ne-
gazione, nella misura in cui incorpora la caratteristica essenziale della
concezione standard della negazione, vale a dire il suo carattere esclu-
dente. Inoltre, sottolineerò in che senso la negazione in Hegel non sia
comunque riducibile a questa concezione standard sulla base di un ca-
rattere fondamentale che entra in gioco nella sua struttura, ovvero
l’autoreferenzialità.
Prendo le mosse da una domanda. Se la negazione è sempre nega-
zione di qualcosa, nella logica hegeliana la negazione che cosa nega? La
negazione, nell’ottica hegeliana, è una caratteristica interna alle determi-
nazioni logiche e ha essenzialmente a che fare col loro modo di costituir-
si. Ma se, come ho già mostrato, le determinazioni logiche hanno un va-
lore ontologico, allora anche la dinamica negativa che le costituisce avrà
una valenza di questo tipo. Angelica Nuzzo mette bene in luce come «la
negazione non sia un’operazione formale astratta del pensiero», ma co-
me «sia innanzitutto una struttura formale propria sia del pensiero che
della realtà (ed abbia pertanto un valore oggettivo) e che sia quindi sem-
pre legata ad un contenuto – ovvero sia sempre contenutisticamente de-
terminata»1. La negatività è quindi uno specifico tipo di relazionalità
che ogni determinazione instaura nello sviluppo dialettico del proprio
contenuto, cioè nel proprio processo di articolazione2. La negatività –

1 A. NUZZO, La logica, in C. CESA (a cura di), Guida a Hegel, Laterza, Roma-


Bari 1997, pp. 41-82, p. 70.
2 «Ogni determinatezza […] è in se stessa una negazione. Quindi quelle nega-
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60 Ai limiti della verità

scrive Hegel – è «quello, per cui il concetto si spinge avanti […] cotesto
è il vero elemento dialettico»3.
L’oggetto della negazione determinata sono quindi le determina-
zioni cui essa afferisce o, meglio, il contenuto logico di queste stesse
determinazioni, dove però l’essere oggetto di negazione non implica
l’annullamento e la falsificazione di questo contenuto, ma la sua com-
piuta articolazione, il suo completo sviluppo. Per questo, la negatività
non ha un carattere semplicemente negativo. Anzi, essa ha una funzio-
ne eminentemente positiva all’interno della dialettica, essendo la strut-
tura logica che guida lo sviluppo di ogni determinazione verso la rea-
lizzazione della propria vera natura. Hegel afferma che «il negativo è
insieme anche positivo»4, perché proprio la negatività interna alle de-
terminazioni logiche porta le determinazioni stesse alla posizione della
loro vera determinatezza. Ogni determinazione, infatti, si costituisce
sulla base di un particolare tipo di negatività, si articola cioè sulla base
di un particolare tipo di dinamica negativa che dipende dal suo stesso
contenuto. In questo senso, Hegel afferma che «la determinatezza è la
negazione posta come affermativa; è la proposizione di Spinoza: Om-
nis determinatio est negatio»5.
La negatività ha quindi un valore costitutivo nel processo di arti-
colazione delle determinazioni logiche, perché proprio sulla base di que-
sta negatività esse vengono a dispiegare compiutamente la loro specifica
determinatezza. La negazione in Hegel è una negazione determinata.

2.1. Negazione proposizionale e negazione predicativa


Dire che la negazione è determinata significa innanzitutto distin-
guerla dalla negazione della logica proposizionale, ovvero da un ope-
ratore logico che muta il valore di verità della proposizione cui è appli-
cato: secondo la tavola di verità classica della negazione, se una propo-
sizione p è vera, non-p è falsa, e viceversa. Se una proposizione p
esprime il sussistere dello stato di cose espresso da p, e cioè si dà il ca-
so che p, la negazione di questa proposizione (¬p) esprime il non sus-
sistere di questo stato di cose, cioè che non si dà il caso che p.
Il concetto hegeliano di negazione si distingue da questa conce-

zioni sono un nulla negativo. Ora un nulla negativo è qualcosa di affermativo» (WdL I,
p. 89 (p. 94)).
3 Ivi, p. 39 (p. 38).
4 Ivi, p. 38 (p. 36).
5 Ivi, p. 101 (p. 108).
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Quale negazione? 61

zione della negazione, in primo luogo perché non è un operatore ap-


plicabile a partire da una prospettiva esterna alle determinazioni logi-
che, ma delinea la struttura interna delle determinazioni stesse. In se-
condo luogo, la negazione determinata non afferisce primariamente al-
l’ambito linguistico-proposizionale, ma al piano ontologico6. Conse-
guentemente, la negazione determinata non ha nulla a che fare con la
verità o meno delle proposizioni o con la sussistenza o meno di deter-
minati stati di cose, ma con le dinamiche che stanno alla base dell’arti-
colazione stessa della realtà.
La negazione determinata sembrerebbe essere per certi versi più
vicina a una negazione di tipo predicativo. Infatti, entrambe afferisco-
no a singoli termini. Però, nel caso della negazione predicativa, i ter-
mini in questione sono contenuti linguistici dati, caratterizzati da una
struttura fissa e stabile. Nel caso della negazione determinata, invece, i
termini sono determinazioni logico-ontologiche caratterizzate da uno
sviluppo interno, per cui ognuna è in sé il proprio opposto grazie alla
propria interna negatività.
Più specificatamente, se per negazione di un predicato si intende
il nomen infinitum – ad esempio, dato il termine “rosso”, il nomen infi-
nitum corrispondente è “non-rosso” – la negazione in questione rimane
esterna rispetto al termine che essa affetta. Tale termine ha un significa-
to anche indipendentemente dalla negazione. La negazione determina-
ta, invece, è una dinamica intrinseca alle determinazioni logiche, che
non hanno una vera e propria sussistenza indipendente da essa.
Aspetto ancor più rilevante, il nomen infinitum è un termine ne-
gativo del tutto indeterminato, che denota qualsiasi cosa non possieda
la qualità positiva cui la negazione afferisce: ha un valore semplice-
mente negativo7. Dire, ad esempio, che qualcosa è non-rosso, implica
la possibilità di attribuire al qualcosa qualsiasi predicato diverso dal
rosso, senza però determinare ancora quale di questi predicati effetti-
vamente gli spetti. La negazione determinata è invece la dinamica ne-
gativa che guida la specifica articolazione della determinazione logica
cui afferisce.

6 Cfr. D. HENRICH, Hegels Grundoperation. Eine Einleitung in die Wissen-


schaft der Logik, in U. GUZZONI - B. RANG - L. SIEP (a cura di), Der Idealismus und sei-
ne Gegenwart, Meiner, Amburgo 1976, pp. 208-230, p. 214.
7 «Hegel è fermissimo nell’espungere completamente dalla sua Logica questo
significato dell’opposizione contraddittoria; e per una ragione evidente: anche in questo
caso il negativo sarebbe soltanto negativo, a cagione […] della sua completa indetermina-
tezza» (S. LANDUCCI, La contraddizione in Hegel, La Nuova Italia, Firenze 1978, p. 11).
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62 Ai limiti della verità

Il nomen infinitum corrisponde a quello che Hegel, nella tratta-


zione dell’identità, definisce «il puro altro dell’A»8, per cui A e ¬A so-
no indifferenti l’uno rispetto all’altro, ognuno può sussistere indipen-
dentemente dal proprio negativo. ¬A è, rispetto ad A, il semplice altro
che sussiste di contro ad esso ma che non affetta in alcun senso il mo-
do d’essere di A. Allo stesso tempo, A è il semplice negativo di ¬A
(equivale a ¬¬A). Anch’esso è semplicemente diverso da ¬A e non in-
fluisce sul modo in cui ¬A si costituisce. Al contrario, la negazione de-
terminata non è indifferente alla determinazione cui afferisce. Tale ne-
gazione anzi rappresenta una condizione necessaria alla costituzione
della determinazione stessa, ha una relazione interna con questa deter-
minazione, è il suo non essere, non un altro in generale, ma il suo al-
tro:
La negazione è sempre negazione di qualcosa […]. La negazione deter-
minata di qualcosa, in quanto negazione specifica di quella cosa, determina
specificamente quel qualcosa come suo «negatum». Il punto fondamentale
consiste dunque nell’affermare che la negazione, determinata precisamente in
questo modo, produce a sua volta determinazione9.

Nell’ottica hegeliana, la negazione del nomen infinitum, come


semplice non essere di qualcosa, corrisponde al modo astratto e intel-
lettualistico di intendere la negatività:
[…] a questo proposito importa assai distinguere la negazione come ne-
gazione prima, o come negazione in generale, dalla negazione seconda, la ne-
gazione della negazione. Quest’ultima è la negatività concreta, assoluta; la pri-
ma, invece, non è che la negatività astratta10.

8 WdL II, p. 265 (p. 463). Hegel sottolinea il carattere indeterminato del risul-

tato della negazione formale: «Se il negativo viene tenuto fermo nella determinazione af-
fatto astratta dell’immediato non essere, il predicato non è che l’affatto indeterminato
non-universale. Di questa determinazione si tratta d’altra parte nella logica a proposito
dei concetti cotraddittorii, inculcandosi come cosa importante che nel negativo di un
concetto ci si deve attenere solo al negativo, e che questo dev’essere preso come la sem-
plice estensione indeterminata dell’altro del concetto positivo» (WdL III, p. 66 (p.
723)). Cortella sostiene appunto che «è giusto sottolineare la totale «improduttività»
della negazione logico-formale (in quanto essa di fronte ad una determinazione si limita
a negare ciò che essa è e quindi ad affermare tutto ciò che essa non è, vale a dire l’inde-
terminato)» (L. CORTELLA, Dopo il sapere assoluto. L’eredità hegeliana nell’epoca post-
metafisica, Guerini e Associati, Milano 1995, p. 387).
9 A. NUZZO, La logica, cit., pp. 70-71. Cfr. anche F. BERTO, Che cos’è la dialet-

tica hegeliana?, cit., pp. 113-114.


10 WdL I, p. 103 (p. 111).
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Quale negazione? 63

La distinzione fra le due negazioni è cruciale nella dialettica. La


negazione prima è quella tramite cui l’intelletto definisce le determina-
zioni attraverso l’astratto rapporto di negazione del loro non essere.
La negazione seconda è la negazione concreta attraverso cui le deter-
minazioni sviluppano compiutamente la propria determinatezza.
Un esempio di negazione prima è quella in atto nella determina-
zione del cattivo infinito:
L’infinito è con ciò ricondotto alla categoria ch’esso ha il finito quale un
altro di contro a sé; la sua natura negativa è posta come la negazione che è, ep-
però come negazione prima e immediata. L’infinito è in questa maniera affetto
dall’opposizione contro il finito […], questo è il non-finito [Nicht-Endliche],
– un essere nella determinatezza della negazione. Contro il finito […] è l’infi-
nito, l’indeterminato vuoto, l’al di là del finito, il quale non ha il suo essere in
sé nel suo esserci11.

L’infinito determinato sulla base della negazione prima è il non


essere indeterminato della determinazione opposta, è cioè il non-fini-
to, l’al di là del finito. L’infinito non ha una determinatezza specifica, è
solo l’astratta negazione del finito, rimanendo così una determinazione
vuota e indeterminata.
È necessario che la prima negazione si sviluppi in una seconda
negazione, in cui si dispiega la concreta natura delle determinazioni lo-
giche. Allo stesso tempo, però, la prima negazione non va intesa in as-
soluta opposizione rispetto alla seconda, allo stesso modo in cui il mo-
mento astratto intellettuale dello sviluppo delle determinazioni logiche
non va inteso in una rigida opposizione rispetto al loro concreto svi-
luppo all’interno dell’orizzonte della ragione. La negazione astratta
non è altro che il primo momento di sviluppo della negatività imma-
nente a ogni determinazione logica, il punto di partenza della loro
concreta realizzazione e, quindi, una condizione necessaria, anche se
non ancora sufficiente, al dispiegarsi della loro verità12.
La prima negazione ha modo di svilupparsi nella seconda solo
nella misura in cui istanzia una relazione tra termini che raggiunge un
certo grado di determinatezza. Se si vuole cercare un modello di ne-
gazione che renda conto del concetto hegeliano di negazione determi-

11 Ivi, p. 126 (pp. 140-141).


12 «Hegel does not oppose abstract and absolute negativity, but conceives of
abstract negativity as a particular moment, guise, or determination of absolute negativity
itself» (K. DE BOER, On Hegel. The Sway of the Negative, Palgrave Macmillan, Basing-
stoke-New York 2010, p. 73).
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64 Ai limiti della verità

nata, si dovrà allora guardare a una relazione tra termini opposti che
non lasci sussistere il termine negativo come l’assolutamente indeter-
minato.

2.2. Negazione determinata e relazione di esclusione


Si consideri la teoria aristotelica dei diversi tipi di opposizione.
Secondo Aristotele, termini opposti attribuiti a uno stesso soggetto,
siano essi contraddittori, contrari, correlativi o in una relazione di pri-
vazione e possesso, danno origine a una contraddizione. Se alla base di
ogni accezione della contraddizione sta un qualche tipo di negazione,
allora anche alla base delle diverse opposizioni delineate da Aristotele
vi è un qualche modo di intendere la negazione13. Inoltre, la negazione
in gioco in queste diverse relazioni di opposizione non ha un carattere
astratto e indeterminato, perché ogni opposto è caratterizzato da una
determinatezza specifica (eccetto il caso dell’opposizione tra contrad-
dittori). Dicendo questo, non intendo ricondurre la struttura della ne-
gazione determinata a una di queste opposizioni14. L’articolazione del-
la negazione determinata ha una declinazione diversa in ogni determi-
nazione, perché costituisce il modo in cui il contenuto specifico di
quella determinazione si struttura. La negazione determinata non può
quindi essere ridotta ad una particolare struttura oppositiva applicabi-
le a tutte le determinazioni15.
Il riferimento alla teoria aristotelica dell’opposizione può, però,

13 Per una panoramica storica sul concetto di negazione, cfr. L.R. HORN, A Na-

tural History of Negation, The University of Chicago Press, Chicago 1989.


14 Un lavoro che mette in luce le insufficienze e la superficialità di questo tipo

di approcci è quello di S. LANDUCCI, La contraddizione in Hegel, La Nuova Italia, Fi-


renze 1978.
15 Come struttura interna alle determinazioni logiche, la negatività si specifica

in modo diverso nelle diverse determinazioni. La negazione determinata non è una ne-
gazione formale e qualsiasi tentativo di formalizzare la dialettica è destinato a fallire (sui
diversi tentativi di formalizzazione della dialettica cfr. D. MARCONI (a cura di), La for-
malizzazione della dialettica, cit.). La logica hegeliana non è e non può essere compren-
sibile nei termini di una logica formale. La logica hegeliana ha a che fare con la pura for-
ma del pensiero, ma questa pura forma è il suo stesso contenuto: «È fuor di proposito il
dire che la logica astragga da ogni contenuto, che insegni soltanto le regole del pensare,
senza entrare a considerare il pensato e senza poter tener conto della sua natura» (WdL
I, p. 28 (p. 24)). Indagare la natura della forma delle determinazioni logiche significa in-
dagare il loro contenuto: «questo pensare oggettivo […] la vera materia, […] cui la for-
ma non è un che di esterno, poiché questa materia è anzi il puro pensiero, e quindi l’as-
soluta forma stessa» (ivi, p. 34 (p. 31)).
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Quale negazione? 65

risultare fruttuoso se si cerca di individuare l’idea alla base dei quattro


tipi di opposizione. Il tratto comune alle diverse opposizioni è quella
caratteristica sulla base della quale i termini opposti si determinano
come reciprocamente negativi e che implica, perciò, la contradditto-
rietà del loro sussistere insieme all’interno di uno stesso soggetto. Se
questa caratteristica fosse ascrivibile anche al concetto hegeliano di ne-
gazione, avremmo trovato una ragione sufficiente per considerare la
negazione determinata come una vera e propria negazione.
La caratteristica comune ai differenti tipi di opposizione è quella
per cui gli opposti non possono trovarsi, allo stesso tempo e sotto il
medesimo rispetto, nello stesso soggetto. Tale caratteristica consiste
quindi nella loro esclusione reciproca. Ogni termine contiene in sé, in
quanto opposto, il rapporto di esclusione del suo stesso opposto. Que-
sto rapporto escludente caratterizza anche la negazione proposiziona-
le: il valore di verità della proposizione negativa è opposto ed esclude
il valore di verità della proposizione affermativa.
L’idea che l’esclusione rappresenti il tratto costitutivo della nega-
zione trova uno sviluppo interessante nell’interpretazione di Brandom
della negazione determinata. Per Brandom la negazione determinata
non può consistere nell’astratto non essere di una determinazione, ma
deve corrispondere al suo non essere, cioè a un termine negativo che
non è semplicemente diverso dalla determinazione in questione, ma è
il suo specifico opposto. Ad esempio, il finito non si determina sempli-
cemente in relazione a tutto ciò che finito non è, ma in relazione all’in-
finito. Allo stesso modo, la grandezza continua si determina in relazio-
ne alla grandezza discreta, la causa in relazione all’effetto, l’universale
al particolare e così via.
Brandom usa l’espressione “incompatibilità materiale” per defi-
nire la specifica relazione di esclusione tra le determinazioni opposte16.
La negazione astratta mette in campo una relazione di semplice diver-
sità priva di ogni valore determinante, in cui la negazione sussiste solo
nella riflessione esterna che compara i diversi termini in questione.
L’incompatibilità materiale, invece, mette in campo una negazione che
ha a che fare con la struttura interna dei termini stessi, con la materia
di cui sono fatti e, cioè, con il loro contenuto concettuale. L’incompati-
16 «L’essenza della determinatezza è l’esclusione modalmente robusta. Com-

prendiamo le cose […] come determinate, solo nella misura in cui le comprendiamo co-
me cose che stanno le une con le altre in relazioni di incompatibilità materiale» (R.B.
BRANDOM, op. cit., pp. 249-250). Cfr. anche F. BERTO, ’Aduvnaton and Material Exclu-
sion, in «Australasian Journal of Philosophy», LXXXVI (2008), n. 2, pp. 165-190.
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66 Ai limiti della verità

bilità materiale ha perciò un carattere più originario di quello che spet-


ta alla negazione logico-formale. Infatti, quest’ultima è una semplice
operazione mentale su contenuti dati, è quindi un’operazione acciden-
tale, la cui sussistenza o meno non tocca la struttura oggettiva di questi
contenuti. Invece, l’incompatibilità materiale ha un carattere necessa-
rio, perché corrispondente a un rapporto di esclusione che determinati
contenuti sviluppano l’uno contro l’altro sulla base della loro stessa na-
tura interna. L’essere rosso di un oggetto esclude di per sé la sussisten-
za, all’interno dello stesso oggetto – allo stesso tempo e sotto il medesi-
mo rispetto – di altri colori, e lo fa nello stesso modo in cui, nella logi-
ca hegeliana, il finito si determina in una relazione di esclusione dell’in-
finito, la causa esclude l’effetto, l’universale esclude il particolare17.
La distinzione di Brandom è efficace. L’unico punto critico è il
riferimento alla nozione di incompatibilità, in cui è implicita l’impossi-
bilità per i termini opposti di costituire un’unità contraddittoria. Nel-
l’utilizzo del termine “incompatibilità” è in effetti presupposta una de-
terminata lettura del concetto di contraddizione in Hegel, una lettura
che sostanzialmente si rifà agli schemi della concezione standard della
contraddizione, per cui la contraddizione non può darsi né nel pensie-
ro, né nelle cose18. La concezione standard della contraddizione è
però, come ho cercato di sostenere, proprio la concezione della con-
traddizione che Hegel intende mettere in questione. Quindi, più che
all’idea di incompatibilità, si farà riferimento all’idea di esclusione re-
ciproca dei termini opposti, senza assumere che questo implichi l’im-
possibilità del loro stare insieme in uno stesso oggetto.

2.3. Negazione determinata e autoriferimento


Sulla base di quanto detto sinora, la negazione determinata si
definisce sostanzialmente tramite due caratteristiche principali:
(a) ha un ruolo costitutivo rispetto all’articolazione specifica di
ogni determinazione;

17 L’incompatibilità come modello di negazione alternativo alla negazione for-


male viene ripreso anche da Henrich. Cfr. D. HENRICH, Hegels Grundoperation, cit.,
pp. 213-214.
18 Già Vasil’ev sottolinea che la concezione della negazione come incompatibi-

lità implica il PNC: «Senza l’esistenza di predicati incompatibili, non ci sarebbe la nega-
zione nel nostro senso del termine, e quindi non ci sarebbe nemmeno la nostra legge di
contraddizione, che è solo una conseguenza della definizione di negazione e della sua
proprietà basilare di essere riducibile all’incompatibità» (N.A. VASIL’EV, op. cit., p. 194).
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Quale negazione? 67

(b) consiste in una relazione di esclusione, che si declina in mo-


do diverso a seconda del contenuto della determinazione di volta in
volta in questione.
Non si capisce però in che modo, sulla base di questo tipo di ne-
gazione, le determinazioni vengano ad articolarsi in termini contrad-
dittori. In fin dei conti, è proprio nell’escludere da sé il proprio altro
che una determinazione rimane perfettamente e coerentemente identi-
ca con sé.
Si comprende in che senso questo rapporto escludente implichi
un qualche tipo di contraddittorietà se si coglie una caratteristica es-
senziale del concetto hegeliano di negazione. È lo stesso Hegel a espli-
citare quale sia questa caratteristica quando distingue la negazione ca-
ratterizzata dalla struttura dell’incompatibilità materiale da quello che
per lui è il vero e proprio concetto di negazione determinata. Nel pri-
mo tipo di negazione qualcosa è ciò che è in quanto differisce dal pro-
prio altro, e questo naturalmente non implica alcuno sviluppo con-
traddittorio delle determinazioni logiche. Il secondo tipo di negazione,
invece, porta allo sviluppo di strutture logiche propriamente contrad-
dittorie, in quanto è una negazione che nega se stessa:
La determinatezza è negazione; questo è il principio assoluto della filoso-
fia spinozistica. Cotesta veduta vera e semplice fonda l’assoluta unità della so-
stanza. Se non che Spinoza resta fermo alla negazione come determinatezza o
qualità; non si avanza fino alla conoscenza di essa come negazione assoluta; vale
a dire come negazione che si nega [absoluter, d. h. sich negirender Negation]19.

La negazione che è determinante nella misura in cui qualcosa è


ciò che è in quanto si distingue dall’altro da sé è la concezione della
negazione che Hegel attribuisce a Spinoza. Essa è la base fondamenta-
le, ma non ancora il compiuto sviluppo, della nozione hegeliana di ne-
gazione. Non è ancora quella che Hegel definisce come «negazione as-
soluta», che si distingue dalla prima per un carattere specifico, ovvero
l’autoriferimento: la negazione è, come scrive Hegel, «una negazione
che si nega»20.
19 WdL II, p. 376 (p. 604).
20 «Die Selbstbeziehung und die Differenz der Unvereinbarkeit sind also glei-
chermaßen formelle Eigenschaften des Gedankens der absoluten Negativität, der aus
der Negationsform der Andersheit gebildet worden ist» (D. HENRICH, Hegels Logik der
Reflexion. Neue Fassung, in ID. (a cura di), Die Wissenschaft der Logik und die Logik
der Reflexion, Hegel-Studien, Beiheft 18, Bouvier, Bonn 1978, p. 265); «Die Beson-
derheit der Hegelsche Negation hat damit zu tun, dass sie in Selbstanwendung auftreten
kann» (A.F. KOCH, Dasein und Fürsichsein, cit., p. 29).
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68 Ai limiti della verità

Nel mettere in luce la dinamica della negazione determinata,


Henrich rimanda al concetto platonico di heterótes, cioè di una nega-
zione non come semplice non essere, ma come altro determinato21.
Henrich però sottolinea che la relazione di esclusione tra due relata
messa in campo da Platone, viene rideclinata da Hegel come una rela-
zione di esclusione tra un termine e se stesso, ovvero come un’auto-
esclusione. La determinazione, nella propria auto-esclusione, diviene il
proprio altro. Hegel definisce questa relazione «negatività assoluta»22.
Per sottolineare il carattere autoreferenziale del concetto hege-
liano di negazione e i suoi sviluppi paradossali, Henrich confronta
questa nozione con il concetto classico di doppia negazione. La dop-
pia negazione è una negazione applicata a un’altra negazione, che a
sua volta afferisce a una proposizione. La doppia negazione non impli-
ca l’autoreferenzialità della negazione, perché sussiste una differenza
di grado tra la prima e la seconda negazione: la prima è applicata a
una proposizione, la seconda alla negazione di questa proposizione.
Invece, quella che Hegel chiama «negatività assoluta» è una negazione
che nega se stessa, poiché non sussiste alcuna differenza di grado tra la
prima e la seconda negazione. La negatività assoluta è propriamente
autoreferenziale perché è, allo stesso tempo e sotto il medesimo rispet-
to, la negazione negante e la negazione negata.
Quest’identità di negazione negante e negazione negata è però
problematica. Infatti, se la negazione implica l’esclusione di qualcosa
da sé, negare qualcosa implica anche porlo come distinto. Così la ne-
gazione negante, nel negare la negazione negata, la esclude e la pone
come distinta da sé. Allo stesso tempo, però, come si è appena visto, le
due negazioni sono identiche, sono un’unica e stessa negazione. Nega-
zione negante e negazione negata sono perciò, allo stesso tempo e sot-
to il medesimo rispetto, identiche e distinte. Di qui, l’esito contraddit-
torio della negazione hegeliana23.
La negazione non è una struttura logica statica, ma una struttura
21 Cfr. D. HENRICH, Hegels Logik der Reflexion, cit., p. 262.
22 «Der Gedanke von selbstbezüglicher Andersheit kann das Prinzip definie-
ren, das Hegel ‚absolute Negativität‘ nennt» (ivi, p. 263).
23 Sulla relazione tra auto-riferimento e contraddizione nella dialettica hegelia-

na cfr. A. KULENKAMPFF, Antinomie und Dialektik. Zur Funktion des Widerspruchs in


der Philosophie, Metzlersche Verlagbuchandlung, Stoccarda 1970; L. APOSTEL, Logica
e dialettica in Hegel, in D. MARCONI (a cura di), La formalizzazione della dialettica, cit.,
pp. 85-113; J.N. FINDLAY, Reflexive Asymmetry. Hegel’s Most Fundamental Methodo-
logical Ruse, in F. WEISS (a cura di), Beyond Epistemology, M. Nijhoff, The Hague
1974, pp. 154-173; F. BERTO, Che cos’è la dialettica hegeliana?, cit., pp. 101-138.
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Quale negazione? 69

dinamica che, a partire dall’identità con sé, mette in atto la sua intrin-
seca potenza escludente. Quello che esclude è il suo stesso contenuto.
Così, negandosi, passa nel proprio opposto. Allo stesso tempo, met-
tendo in atto la propria negatività, che è la sua dinamica costitutiva,
non fa altro che realizzare compiutamente se stessa. Proprio questa
auto-negatività è l’anima dialettica di ogni determinazione logica:
La negatività qui considerata costituisce ora il punto in cui si ha la svol-
ta del movimento del concetto. Essa è il semplice punto del riferimento nega-
tivo a sé [der negativen Beziehung auf sich], l’intima fonte di ogni attività, di
ogni spontaneo movimento della vita e dello spirito, l’anima dialettica che
ogni vero possiede in se stesso e per cui soltanto esso è un vero; perocché solo
su questa negatività riposa il togliere dell’opposizione tra concetto e realtà e
quell’unità che è la verità24.

Ogni determinazione si costituisce in un «riferimento negativo a


sé»25. Questo suo auto-negarsi è ciò che la spinge a svilupparsi concre-
tamente, è ciò che muove il suo processo di autodeterminazione, è la
sua anima dialettica; esso è ciò che la porta a togliere la distanza che
sussiste tra la sua realtà e il suo concetto, tra ciò che la determinazione
è a livello immediato e la sua concreta verità26. La negatività è quindi
una relazione dinamica negativa in cui qualcosa viene a realizzarsi nel-
l’escludersi da sé, in quell’auto-negazione per la quale quel qualcosa
diviene un altro dove incontra allo stesso tempo la sua concreta realiz-
zazione.
È possibile rintracciare esempi di questa dinamica negativa auto-
referenziale in ogni passaggio dialettico del sistema logico hegeliano. Si
analizzeranno più avanti alcuni passi paradigmatici all’interno delle tre
sezioni della Scienza della logica. Per il momento, mi limito a richiama-

24 WdL III, p. 246 (p. 948). «Inherent in the concept is a negativity or dialectic

which moves it from one form to another. Negation is not the negation of a predicate; it
is not discursive negation but a more general principle obtaining in all reality» (A. FER-
RARIN, Hegel and Aristotle, Cambridge University Press, Cambridge 2001, p. 69).
25 Franco Chiereghin sottolinea come proprio l’autoriferimento rappresenti una

delle dinamiche costitutive del sistema logico hegeliano, poiché mette in atto ogni volta
un processo di totalizzazione sul contenuto concettuale che apre il contenuto stesso a
nuovi e ulteriori sviluppi: «l’autoreferenzialità mostra di obbedire a una logica della
totalizzazione che lungi dal bloccare il movimento del pensiero, ogni volta lo riapre»
(F. CHIEREGHIN, Rileggere la Scienza della logica di Hegel, Carocci, Roma 2011, p. 42).
26 «Hegel considers every possible content of speculative science – whether a

concept, a living being, or a mode of thought – as driven by the urge to resolve the ten-
sion between that which it is in itself and its actual determination» (K. DE BOER, On
Hegel, cit., p. 44).
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70 Ai limiti della verità

re un esempio tra i più significativi, così da dare sostanza alle strutture


logiche generali individuate fin qui: la determinazione del finito.
La determinazione del finito si realizza secondo una dinamica
per cui «le cose finite sono, ma la loro relazione a se stesse è che si ri-
feriscono a se stesse come negative [sie als negativ sich auf sich selbst
beziehen], che appunto in questa loro relazione a sè si mandano al di
là di se stesse, al di là del loro essere»27. Quindi la natura stessa del fi-
nito consiste nel suo negarsi, un negarsi che lo porta appunto a finire,
a passare nel proprio altro. Ma proprio questo finire e questo passare
nel proprio non essere comporta la sua stessa realizzazione, il compier-
si della sua stessa finitezza. L’autoriferimento negativo del finito non è
la struttura statica di ciò che è finito, ovvero del finito inteso come ciò
che è passato e non è più. Esso piuttosto è la struttura dinamica del
processo del passare, del finire, in cui il finito stesso realizza concreta-
mente se stesso, perché proprio nel processo del passare realizza la
propria finitezza. L’esito di questa autoreferenzialità della negazione
del finito è paradossale: l’essere del finito è il suo stesso non essere.
Fin qui è stato messo in evidenza che la negazione in Hegel
(1)è la struttura costitutiva delle determinazioni logiche;
(2)ha un carattere escludente;
(3)ha una struttura autoreferenziale;
(4)ha una struttura dinamica, che è data dalla sua stessa autore-
ferenzialità;
(5)ha sviluppi paradossali.
Mi concentrerò ora proprio su quest’ultima caratteristica. La no-
zione di paradosso, infatti, è intrinsecamente connessa al modo in cui
l’autoriferimento della negazione implica esiti contraddittori e risul-
terà particolarmente rilevante per l’analisi che seguirà.

2.4. Autoriferimento della negazione e paradossi logici


Il modello di negazione autoreferenziale individuato nella logica
hegeliana non è del tutto estraneo ad alcuni fenomeni analizzati nella
logica formale e nella filosofia del linguaggio. Più precisamente, esso
trova un parallelo in un particolare fenomeno linguistico, ovvero quel-
lo dei paradossi dell’autoriferimento:
I paradossi sono tutti argomenti che prendono avvio da principi appa-
rentemente analitici riguardanti la verità, l’appartenenza a una classe, ecc., e
27 WdL I, p. 116 (p. 128).
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Quale negazione? 71

procedono attraverso un ragionamento apparentemente valido per giungere a


una conclusione contraddittoria28.

Ci sono sostanzialmente due tipi di paradossi: i paradossi insie-


mistici e i paradossi semantici. I primi implicano «contraddizioni che,
se non si prendessero provvedimenti contro di esse, si presenterebbe-
ro negli stessi sistemi logici o matematici. Esse involgono solo termini
logici o matematici come classe e numero e mostrano che ci deve esse-
re qualcosa di sbagliato nella nostra logica e matematica»; i secondi,
invece, implicano contraddizioni che «non sono puramente logiche e
non possono venir enunciate in soli termini logici; poiché tutte conten-
gono qualche riferimento al pensiero, al linguaggio o al simbolismo,
che non sono termini formali ma empirici»29.
Il riferimento ai paradossi semantici risulta essere particolarmen-
te interessante rispetto a un possibile parallelismo con il concetto he-
geliano di negazione. Così come in questo tipo di paradossi l’auto-ne-
gazione di uno specifico contenuto semantico implica l’autocontrad-
dittorietà della conclusione, nella logica hegeliana l’autoreferenzialità
della negazione di un particolare contenuto logico implica l’autocon-
traddittorietà della struttura della determinazione di volta in volta in
questione.
In particolare, qui farò riferimento al paradosso del mentitore.
Nel paradosso del mentitore si ha una proposizione che nega se stessa,
perché predica la propria falsità. Data la concezione standard della ne-
gazione, per cui un enunciato è falso se la sua negazione è vera, un
enunciato che predica la propria falsità è un enunciato che asserisce la
propria negazione o, in altre parole, è un enunciato che nega se stes-
so30. In termini hegeliani, si potrebbe caratterizzare la negazione del
paradosso del mentitore come una negatività immanente alla proposi-
zione stessa.
Questo paradosso può essere formulato in termini generali nel-
l’enunciato autoreferenziale: «questo enunciato è falso». Se ci si chiede

28 G. PRIEST, In Contradiction, cit., p. 11.


29 F.P. RAMSEY, I fondamenti della matematica e altri scritti di logica, trad. it. di
E. Belli - Nicoletti e M. Valente, Feltrinelli, Milano 1964, pp. 36-37. In realtà questa di-
stinzione è problematica. Su questo cfr. G. PRIEST, The Structure of the Paradoxes of
Selfreference, in «Mind», CIII (1994), n. 409, pp. 25-34.
30 Koch fa riferimento al paradosso del mentitore come esempio di una nega-

zione che nega se stessa sul piano specificamente logico-semantico. Cfr. A.F. KOCH, Die
Selbstbeziehung der Negation in Hegels Logik, in «Zeitschrift für philosophische For-
schung», LIII (1999), n. 1, pp. 1-29, p. 4.
02_capII_59_02_capII_59 07/05/15 11.15 Pagina 72

72 Ai limiti della verità

se l’enunciato sia vero o falso e si suppone che l’enunciato sia vero, al-
lora il contenuto che esprime è vero; ma l’enunciato dice di se stesso
di essere falso, quindi l’enunciato è falso. Se invece si suppone che l’e-
nunciato sia falso, allora il contenuto che esprime è falso; ma questo
contenuto consiste nell’asserzione della propria falsità, asserzione che
va pertanto negata. Quindi l’enunciato è vero. Dunque, se l’enunciato
è vero allora è falso, se l’enunciato è falso allora è vero. È possibile
esprimere i diversi passi dell’argomento paradossale in termini forma-
li. Se V è il predicato di verità e F il predicato di falsità, ed e corri-
sponde all’enunciato in questione, il paradosso si struttura nel modo
seguente
(1) V(e) → F(e)
(2) F(e) → V(e)
allora
(3) V(e) ↔ F(e)31
La conclusione di questo paradosso semantico è un’autocon-
traddizione, ovvero un enunciato che è vero se e solo se è falso.
Nel paradosso del mentitore la contraddizione è implicata dal-
l’autoriferimento della negazione. La domanda è, dunque, se proprio
la struttura del paradosso sopra esposta non possa fornirci un buon
modello per spiegare il modo in cui, all’interno della logica hegeliana,
l’autoriferimento della negazione porta agli sviluppi contraddittori
delle determinazioni logiche. Si riprenda la struttura del paradosso:

31 La contraddittorietà di (3) non è immediatamente evidente, perché non ri-

flette la definizione sintattica della contraddizione, per cui una contraddizione consiste
nella congiunzione di due enunciati, di cui uno è la negazione dell’altro. Non tutti am-
mettono che la conclusione dei paradossi logici sia propriamente contraddittoria. Ad
esempio, per coloro che sostengono che vi siano dei gap nei valori di verità, l’equivalen-
za tra le due formule indicate è problematica. Se però si presuppone la validità del prin-
cipio di bivalenza è possibile dimostrare l’equivalenza delle due formule:
1. (1) V(e) ↔ F(e) A
2. (2) V(e) = df. ¬ F(e) A
3. (3) F(e) =df.¬ V(e) A
4. (1) V(e) → F(e) 1
5. (1) F(e) → V(e) 1
6. (1)(3) V(e) → ¬ V(e) 3, 4 Sostituzione
7. (1)(2) F(e) → ¬ F(e) 2, 5 Sostituzione
8. (1)(3) ¬ V(e) 6 RAA (consequentia mirabilis)
9. (1)(2) ¬ F(e) 7 RAA (consequentia mirabilis)
10. (1)(2)(3) ¬ V(e) ∧ ¬F(e) 8, 9 Introduzione ∧
11. (1)(2)(3) F(e) ∧ V(e) 10, 2, 3 Sostituzione
02_capII_59_02_capII_59 07/05/15 11.15 Pagina 73

Quale negazione? 73

(1) V(e) → F(e)


(2) F(e) → V(e)
allora
(3) V(e) ↔ F(e)
Consideriamo che se e è vero, allora si dà il caso che e; se e è fal-
so, allora non si dà il caso che e, cioè ¬e. Allora (1) se si dà il caso che
e, allora non si dà il caso che e, cioè ¬e. Mentre (2) se non si dà il caso
che e, cioè ¬e, allora si dà il caso che e. Quindi è possibile riformulare
la struttura del paradosso nel modo seguente:
(1) e → ¬e
(2) ¬e → e
allora
(3) e ↔ ¬e
Se si considera la dinamica autoreferenziale della negatività in-
trinseca alle determinazioni della logica hegeliana, il loro processo di
autodeterminazione si articola secondo uno sviluppo che ripercorre, in
termini generali, i tre passi dello schema formale del paradosso del
mentitore sopra riportato. Naturalmente il confronto che voglio met-
tere in campo è estrinseco, dato che il sistema logico hegeliano non è
aperto ad alcun tipo di riduzione formalistica delle dinamiche su cui si
costituisce. Ciò non toglie però che si possa tracciare in modo efficace
quella che è una regolarità generale dello sviluppo dialettico, che trova
poi sviluppi specifici nella specifica dialettica della determinazione di
volta in volta in questione a seconda del contenuto che essa dispiega.
Quindi, data una determinazione d, è possibile, proprio sulla ba-
se della struttura generale individuata nell’analisi del paradosso del
mentitore, delineare uno schema esplicativo della dinamica logica sulla
base della quale, all’interno del sistema hegeliano, vengono ad artico-
larsi strutture logiche autocontraddittorie in ragione della loro negati-
vità autoreferenziale, del tipo
(1) d → ¬d
(2) ¬d → d
allora
(3) d ↔ ¬d
dove (1) rappresenta l’auto-negazione della determinazione in
cui la determinazione, nel riferimento negativo a sé, si fa altro da sé;
(2) rappresenta la realizzazione della determinazione, che nel proprio
02_capII_59_02_capII_59 07/05/15 11.15 Pagina 74

74 Ai limiti della verità

processo di negazione diviene concretamente identica con sé; (3) rap-


presenta l’intero processo di autodeterminazione e ne mette in luce la
struttura autocontraddittoria.
Per ricondurre il modello esplicativo a un linguaggio più vicino a
toni hegeliani, i tre momenti indicati corrispondono rispettivamente a
(1) la negazione determinata: la cosa si nega, si fa altro da sé;
(2) la negazione della negazione: nel farsi altro, la cosa è identica
con sé;
(3) il risultato della negatività assoluta: la struttura autocontrad-
dittoria delle determinazioni logiche.
E dunque, qual è il valore dell’autocontraddizione implicata dal-
l’autoriferimento negativo delle determinazioni logiche? La risposta
sta in uno dei passaggi più noti della Scienza della logica:
L’unico punto, per ottenere il progresso scientifico, – e intorno alla cui
semplicissima intelligenza bisogna essenzialmente adoprarsi, – è la conoscenza
di questa proposizione logica, che il negativo è insieme anche positivo, ossia
che quello che si contraddice non si risolve nello zero, nel nulla astratto, ma si
risolve essenzialmente solo nella negazione del suo contenuto particolare, vale
a dire che una tal negazione non è una negazione qualunque, ma la negazione
di quella cosa determinata che si risolve, ed è perciò negazione determinata.
Bisogna, in altre parole, saper conoscere che nel risultato è essenzialmente
contenuto quello da cui esso risulta; – il che è propriamente una tautologia,
perché, se no, sarebbe un immediato, e non un risultato. Quel che risulta, la
negazione, in quanto è negazione determinata, ha un contenuto. Cotesta nega-
zione è un nuovo concetto, ma un concetto che è superiore e più ricco che
non il precedente. Essa è infatti divenuta più ricca di quel tanto ch’è costitui-
to dalla negazione, e dall’opposto di quel concetto. Contiene dunque il con-
cetto precedente, ma contiene anche di più, ed è l’unità di quel concetto e del
suo opposto32.

In questo passo Hegel esplicita il valore determinante della ne-


gazione e il modo in cui va inteso il suo sviluppo autocontraddittorio.
Innanzitutto, sulla base di una negatività costitutivamente autoreferen-
ziale, ogni determinazione nega se stessa. Questo primo passaggio cor-
risponde a (1) d → ¬d. Esso viene ben illustrato nelle ultime pagine
della Scienza della logica, dove Hegel chiarisce le dinamiche generali
del metodo assoluto, ovvero del processo dialettico sulla base del qua-
le si sviluppa l’intero sistema logico:
Un Primo universale, considerato in sé e per sé, si mostra come l’altro

32 WdL I, p. 38 (p. 36).


02_capII_59_02_capII_59 07/05/15 11.15 Pagina 75

Quale negazione? 75

di se stesso. […] Quello che era prima un immediato sia con ciò come un me-
diato, sia riferito ad un altro, vale a dire che l’universale sia come un particola-
re. Il secondo, che così è sorto, è pertanto il negativo del primo e, se guardia-
mo anticipatamente allo sviluppo che verrà poi, è il primo negativo. L’imme-
diato, da questo lato negativo, è tramontato nell’altro33.

Nel primo momento dialettico una determinazione immediata,


nel dispiegare la propria negatività, si fa altro da sé, diviene il suo al-
tro. Questo altro è il «negativo del primo», non più un immediato, ma
una determinazione mediata da questo stesso processo di negazione.
In secondo luogo, questa negazione non implica l’astratto non
essere della determinazione in questione, perché, il negativo è anche
positivo:
l’altro però non è essenzialmente il vuoto Negativo, il nulla [das leere
Negative, das Nichts], che si prende come il resultato ordinario della dialetti-
ca, ma è l’altro del primo, il negativo dell’immediato; dunque è determinato
come il mediato [das Vermittelte], – contiene in generale in sé la determina-
zione del primo. Il primo è pertanto essenzialmente anche conservato e man-
tenuto nell’altro34.

La negazione nel primo momento non è il suo indeterminato


non essere (nihil negativum), la sua negazione astratta. Ciò che si nega
– e che negandosi si contraddice – non si risolve nello zero, nel nulla
astratto, ma in un contenuto determinato che è tale in quanto ha in sé
la mediazione del primo momento. È il suo altro, ovvero quell’altro
che la determinazione diviene sulla base di quella negatività che costi-
tuisce la sua specifica natura, il suo specifico modo d’essere35. Il pas-
saggio corrisponde al punto (2) ¬d → d.
In tal senso, questo altro, questo negativo, è altrettanto un posi-
tivo: è il porsi del primo momento nel suo negativo, un negativo che è
determinato, che ha un contenuto, perché in esso è contenuta la deter-
minazione da cui risulta. Questo negativo non è altro che lo sviluppo
del contenuto logico del primo momento e, proprio per questo, lo
mantiene e conserva al proprio interno36. Questo è il concreto risulta-
33 WdL III, pp. 244-245 (p. 946).
34 Ibidem.
35 «Nell’assolutamente fluida continuità del concetto e delle sue determinazioni

il Non [Nicht] è immediatamente un positivo, e la negazione non è soltanto determina-


tezza, ma è accolta nell’universalità e posta come identica con questa. Il non universale è
quindi subito il particolare» (ivi, p. 67 (p. 724)).
36 La doppia valenza del negativo, che è un negativo ma anche un positivo, cor-

risponde al doppio significato della Aufhebung, per cui una determinazione nel suo to-
02_capII_59_02_capII_59 07/05/15 11.15 Pagina 76

76 Ai limiti della verità

to della dialettica di ogni determinazione, che trova la sua struttura ge-


nerale nel punto (3) d ↔ ¬d e che nelle ultime pagine della Scienza
della logica si trova espresso come segue:
Tener fermo il positivo nel suo negativo, il contenuto della presupposi-
zione nel resultato, questo è ciò che vi ha di più importante nel conoscere ra-
zionale […] e per quanto riguarda gli esempi di prove a proposito, l’intiera lo-
gica non consiste in altro37.

Così, da una parte, il passaggio dal primo momento al suo negati-


vo è una tautologia, perché non si tratta d’altro che dell’intrinseco svi-
luppo di una stessa determinazione che nega se stessa. Dall’altra parte,
il negativo è un nuovo concetto, ovvero un «concetto superiore e più
ricco che non il precedente», e lo è perché contiene sia il primo mo-
mento sia la sua negazione, è «l’unità» – intrinsecamente contradditto-
ria – «di quel concetto e del suo opposto». Il pensiero speculativo con-
siste appunto nel saper pensare lo sviluppo autocontraddittorio delle
determinazioni logiche sulla base della loro immanente negatività:
in questo elemento dialettico, come si prende qui, epperciò nel com-
prendere l’opposto nella sua unità, ossia il positivo nel negativo, consiste lo
speculativo 38.

In questo senso ogni determinazione, nella propria costitutiva


auto-negazione, è se stessa e il suo altro, è identica con sé ma allo stes-
so tempo diversa da sé e, in questo altro da sé, realizza se stessa39.
Ogni determinazione è, in modo più o meno esplicito, in se stessa con-
traddittoria.
gliersi è allo stesso tempo anche conservata: «Ciò che è tolto, all’incontro, è un mediato; è
un non essere, ma come resultato derivato da un essere. Quindi ha ancora in sé la determi-
natezza da cui proviene. La parola togliere ha nella lingua il doppio senso, per cui val
quanto conservare, ritenere, e nello stesso tempo quanto far cessare, metter fine. Il conser-
vare stesso racchiude già in sé il negativo, che qualcosa è elevato dalla sua immediatezza e
quindi da una esistenza aperta agl’influssi estranei, affin di ritenerlo. – Così il tolto è insie-
me un conservato, il quale ha perduto soltanto la sua immediatezza, ma non perciò è an-
nullato» (WdL I, pp. 94-95 (p. 100)). La Aufhebung, perciò, non è altro che l’effettivo svi-
luppo della negazione determinata: «il peso speculativo che Hegel intende fare sopportare
al verbo aufheben consiste nell’esprimere il principio essenziale stesso della dialettica, vale
a dire il principio della negazione determinata» (F. CHIEREGHIN, Nota sul modo di tradur-
re «Aufheben», in «Verifiche», XXV (1996), n. 2-3, pp. 233-249, p. 240).
37 WdL III, pp. 244-245 (p. 946).
38 WdL I, pp. 40-41 (p. 39).
39 «Noi chiamiamo invece dialettica il superior movimento razionale, dove tali,

che sembrano assolutamente separati, passano l’uno nell’altro per se stessi, mediante
quello ch’essi sono» (ivi, p. 92 (pp. 97-98)).
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Quale negazione? 77

Sulla base delle dinamiche logiche sopra delineate, credo sia


possibile affermare che l’autocontraddittorietà del compiuto sviluppo
delle determinazioni logiche ha una struttura generale simile a quella
che caratterizza la conclusione del paradosso del mentitore. Lo stesso
Hegel fa esplicitamente riferimento al termine “paradosso” quando
esplicita il valore positivo della negatività intrinseca alle determinazio-
ni logiche:
Ogni determinatezza […] è essa stessa una negazione. Quindi quelle
negazioni sono un nulla negativo. Ora un nulla negativo è qualcosa di afferma-
tivo. Il risolversi del nulla per mezzo della sua determinatezza […] in un affer-
mativo, cotesto risolversi appare come il maggior paradosso alla coscienza che
si tien ferma all’astrazione intellettuale40.

La risoluzione dell’auto-negatività di una determinazione in un


risultato positivo costituisce un paradosso per l’astrazione intellettua-
le. Infatti, il risultato di questa negatività autoreferenziale è caratteriz-
zato dalla medesima struttura che contraddistingue la conclusione di
un argomento paradossale: la determinazione si sviluppa in modo au-
tocontraddittorio. La contraddizione costituisce il suo principio di de-
terminazione, la sua regula veri.
L’intelletto, di fronte a questo paradosso, si blocca: la contraddi-
zione ha per risultato il nulla. Questa però corrisponde alla maniera
semplicemente astratta di intendere il paradosso. Hegel, invece, mette
in luce la determinatezza del risultato del paradosso e il valore costitu-
tivo dell’autocontraddittorietà che esso implica. Koch, proprio facen-
do riferimento al risultato autocontraddittorio del paradosso del men-
titore, sottolinea come la soluzione propriamente hegeliana sia quella
di accettare la contraddizione come verità del paradosso stesso:
Haben wir ja die Möglichkeit […] den Lügner als sinnvollen Satz zu
akzeptieren: Auch wenn die Negation uns in Antinomien verstrickt, so lassen
wir sie uns (und unserem Denken) nicht nehmen; wir müssen den Widerspru-
ch beherrschen lernen, ihn zähmen, ihn nützliche theoretische Arbeit leisten
lassen. Dazu würde uns Hegel raten41.

L’approccio hegeliano all’autocontraddittorietà del paradosso


consiste nell’accettarla come struttura in cui viene a determinarsi l’au-
toriferimento negativo che caratterizza il modo d’essere del paradosso
stesso e di non lasciarsi sopraffare dalla contraddizione, ma di impara-

40 Ivi, p. 89 (p. 94).


41 A.F. KOCH, Die Selbstbeziehung der Negation in Hegels Logik, cit., p. 8.
02_capII_59_02_capII_59 07/05/15 11.15 Pagina 78

78 Ai limiti della verità

re a tenersi fermi su di essa e a carpirne il senso:


il pensare speculativo consiste solo in ciò che il pensiero tien ferma la
contraddizione e nella contraddizione se stesso, non già, come per la rappre-
sentazione, in ciò che si lasci dominare dalla contraddizione, e a cagion di que-
sta lasci che le sue determinazioni si risolvano solo in altre, oppur nel nulla42.
Si potrebbe dire che Hegel adotta un approccio dialeteista alla
paradossalità degli sviluppi autocontraddittori delle determinazioni lo-
giche43. Spesso coloro che vedono nel dialeteismo uno sviluppo delle
intuizioni hegeliane sulla contraddizione o i sostenitori della tesi diale-
teista che si richiamano a Hegel si concentrano solo su quel tipo di
contraddizioni in cui il riferimento a Hegel è esplicito, come nel caso
della soglia (limite) o del movimento. Ciò di cui molti non si rendono
conto, e a cui solo Priest fa brevi accenni, è che il richiamo a Hegel è
altrettanto cruciale anche in relazione all’autoreferenzialità e ai para-
dossi logici:
For no one before this century tried harder than Hegel to think through
the consequences of thought thinking about itself, or the categories applying
to itself. And this is just the kind of selfreferential situation that gives rise to
the logical paradoxes44.
Lo schema esplicativo cui sopra ho fatto riferimento è volto pro-
prio a mettere in evidenza la relazione tra autoreferenzialità della ne-

42 WdL II, p. 287 (p. 492).


43 «For Priest, not only does Hegel question the law of non-contradiction, he de-
nies it, and while this would be sufficient to damn Hegel in the eyes of most modern logi-
cians, Priest defends Hegel on just this count. Hegel’s position is consistent, he claims,
with the existence of systems of ‘paraconsistent’ logic» (P. REDDING, op. cit., p. 201).
Priest si confronta direttamente col pensiero hegeliano e con la questione della contrad-
dizione in Beyond the Limits of Thought, Oxford University Press, Oxford 2002.
44 G. PRIEST, Dialectic and Dialetheic, in «Science and Society», LIII (1989),

n. 4, pp. 388-415, p. 388. In relazione al paradosso del mentitore, Priest mostra come
ogni soluzione che cerchi di liberarsi dell’autocontraddittorietà della conclusione del-
l’argomento paradossale non funzioni, e come si debba piuttosto accettare tale conclu-
sione e cercare di darne conto. L’obiettivo hegeliano, nel dispiegare il contenuto delle
determinazioni logiche, non è diverso da quello di Priest. Hegel mostra come ogni ten-
tativo di togliere di mezzo l’autocontraddittorietà delle determinazioni logiche, secondo
il paradigma intellettualistico, non funzioni, e come sia invece necessario accettare que-
st’autocontraddittorietà e cercare di darne conto, di comprenderne il valore speculativo.
Priest risponde a quest’esigenza costruendo un sistema logico-formale a tre valori di ve-
rità in cui sia possibile bloccare le conseguenze esplosive dell’ex falso quodlibet. Hegel,
invece, porta a trasparenza concettuale la contraddittorietà delle determinazioni logiche
in un sistema che non è logico-formale, e nel quale quindi gestisce la contraddittorietà
delle determinazioni attenendosi allo sviluppo del loro contenuto logico.
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Quale negazione? 79

gazione e sviluppi contraddittori delle determinazioni logiche, proprio


sulla scia di una dinamica logica che è in atto all’interno dei paradossi
dell’autoriferimento.
Vanno però allo stesso tempo sottolineati alcuni limiti forti del
modello e del confronto con la struttura logica del paradosso del men-
titore. In primo luogo, l’autoriferimento negativo del paradosso del
mentitore e quello delle determinazioni logiche lavorano su piani dif-
ferenti. Nel primo caso il piano è linguistico, e più specificatamente
proposizionale; nel secondo è ontologico, e in particolare è il piano
delle pure forme (le determinazioni logiche) su cui si struttura il modo
d’essere di tutto ciò che è45.
In secondo luogo, il paradosso del mentitore offre un modello
esplicativo che descrive in termini molto generali lo svilupparsi del
processo dialettico. La negazione autoreferenziale non va letta come
un operatore formale da applicare ricorsivamente alle determinazioni
al fine di derivarne delle contraddizioni. Ogni determinazione ha un
contenuto specifico e si sviluppa secondo un tipo di negatività che è
legato a tale contenuto. Quello che il modello può fornire è la descri-
zione di una regolarità nello sviluppo della dialettica delle diverse de-
terminazioni logiche.
Inoltre, il modello è veramente efficace solo se la negatività in-
trinseca alla determinazione logica di volta in volta in questione è ef-
fettivamente autoreferenziale, cioè solo se la relazione escludente che
la determinazione mette in atto è effettivamente rivolta verso la deter-
minazione stessa. Per Henrich l’intero sistema logico hegeliano si co-
stituisce sulla base di una concezione della negatività intesa in senso
strettamente autoreferenziale46. A ben guardare, però, la questione è
problematica. Vi sono determinazioni che si individuano sulla base di
una relazionalità che rimane, almeno parzialmente, esterna ad esse.
Questa relazionalità ha un carattere negativo, ma comporta un’esclu-
sione che non è auto-referenziale, ma etero-referenziale, ovvero non è
una relazione di esclusione di sé, ma del proprio altro da sé. Ad esem-
pio, nel rapporto tra qualcosa e il suo altro, il primo si determina sulla
base di una relazione negativa rispetto al secondo: il qualcosa è quel

45 Per un’analisi dettagliata della relazione tra dialettica e dialeteismo Cfr. M.

BORDIGNON, Contradiction or Non-Contradiction. Hegel’s Dialectic between Brandom


and Priest, in «Verifiche», XLI (2012), n. 1-3, pp. 221-245; H. PONZER, Una sintesi dia-
lettica tra tradizioni differenti. Il caso Hegel, in «Rivista internazionale di filosofia e psi-
cologia», I (2010), n. 1-2, pp. 40-54.
46 Cfr. D. HENRICH, Hegels Grundoperation, cit., p. 215.
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80 Ai limiti della verità

qualcosa perché esclude da sé il proprio altro. Questo tipo di negati-


vità non è autoreferenziale e non porta all’articolazione autocontrad-
dittoria delle determinazioni, che infatti rimangono ben distinte o al
massimo uguali solo sotto il punto di vista di una riflessione esterna47.
Le determinazioni, che si costituiscono sulla base di questa rela-
zionalità esterna, non hanno in se stesse la propria ragion d’essere e,
quindi, risultano di per sé indeterminate. La relazione tra il qualcosa e
il suo altro, ad esempio, presenta una configurazione superficiale del
modo in cui si costituisce l’essere determinato. Questo però non signi-
fica che la struttura delle determinazioni che si costituiscono sulla base
di una relazionalità negativa esterna non abbia nulla a che fare con la
contraddizione. Proprio queste determinazioni contengono implicita-
mente la contraddizione nella tensione che comunque esse manifesta-
no tra i momenti opposti. La loro stessa determinatezza, infatti, tro-
verà una concreta realizzazione proprio in determinazioni che porte-
ranno a compiuto sviluppo questa contraddizione. La determinatezza
alla base della relazione tra il qualcosa e il suo altro trova la sua com-
piuta realizzazione nella determinazione del finito, in cui si passa da
una relazione estrinseca – il rapporto di esclusione del qualcosa rispet-
to al suo altro – a una relazione intrinseca – il rapporto di esclusione
del qualcosa rispetto a se stesso, ovvero all’autoriferimento negativo
che fonda la costitutiva autocontraddittorietà della determinazione del
finito.
Fin qui ho quindi delineato le caratteristiche fondamentali della
negatività in atto all’interno del processo dialettico – il suo carattere
escludente e la sua struttura autoreferenziale – per mostrare come essa
porti all’articolazione contraddittoria delle determinazioni logiche.
Nelle pagine che seguono, mi soffermerò più specificatamente sulla
struttura e sul valore della contraddizione nella logica hegeliana. Lo
farò attraverso un’analisi comparativa in cui userò come sponda le di-
verse accezioni della nozione di contraddizione all’interno della logica
formale e della filosofia del linguaggio.

47 «Perciò son lo stesso, e non v’è ancora una lor differenza. Questa medesi-

mezza delle determinazioni cade però anch’essa soltanto nella riflessione esterna» (WdL
I, p. 106 (p. 114)).
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Capitolo Terzo
LA CONTRADDIZIONE SI DICE IN MOLTI MODI

Considerate le sostanziali differenze che distinguono il modo


classico di intendere la negazione dalla negazione determinata in He-
gel, c’è da chiedersi in che senso la contraddizione che ha per base
questo particolare tipo di negazione possa definirsi come una vera e
propria contraddizione. Per rispondere a questa domanda è necessario
chiarire che cosa si intenda ordinariamente con il termine “contraddi-
zione”. Vi sono sostanzialmente quattro modi di intendere la contrad-
dizione: la concezione semantica, sintattica, pragmatica e quella onto-
logica della contraddizione1.

3.1. La definizione semantica


La contraddizione può essere innanzitutto definita in termini se-
mantici, ovvero in termini di valori di verità. Verità e falsità, in questa
definizione, sono proprietà di enunciati. In questa prima accezione la
contraddizione afferisce quindi al piano linguistico. Più in particolare,
la contraddizione è la congiunzione di due enunciati di cui uno è ne-
cessariamente vero, mentre l’altro è necessariamente falso2. Se una
congiunzione è vera se e solo se entrambi i congiunti sono veri, allora
una contraddizione è sempre necessariamente falsa3. Questa necessità
trova espressione nella formulazione semantica del PNC, che ha la sua
enunciazione classica in Aristotele: «le affermazioni contraddittorie

1 Cfr. P. GRIM, What is a Contradiction?, in G. PRIEST - J.C. BEALL - B. AR-


MOUR-GARB (a cura di), op. cit., pp. 49-72.
2 «Contraddittorie sono due proposizioni, una delle quali deve essere vera e
l’altra falsa» (A. DE MORGAN, On the Syllogism I, rist. in A. DE MORGAN, On the Syllo-
gism and the Other Logical Writings, a cura di P. Heath, Routledge and Kegan Paul,
Londra 1966, p. 4). Naturalmente questa definizione implica il principio del terzo esclu-
so, per cui almeno una delle due proposizioni contraddittorie è vera.
3 «Un enunciato è contraddittorio se e solo se è impossibile che sia vero» (D.
BONEVAC, Deduction. Introductory Symbolic Logic, Blackwell, Malden (MA)-Oxford
(UK) 2003, p. 28).
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82 Ai limiti della verità

non possono essere vere insieme»4.


Hegel fa riferimento alla formulazione semantica del PNC nella
tematizzazione della determinazione della contraddizione:
La contraddizione viene ordinariamente allontanata, in primo luogo,
dalle cose, da ciò che è e dal vero in generale. […] La contraddizione vale in
generale, sia nella realtà, sia nella riflessione pensante, come un’accidentalità,
quasi un’anomalia e un transitorio parossismo morboso5.

Nel paradigma del pensiero ordinario la contraddizione rappre-


senta una sorta di malattia del pensiero. Essa è il punto in cui il pensie-
ro si trova massimamente distante dalla verità.
Il concetto hegeliano di contraddizione mette in campo una cri-
tica radicale della definizione semantica standard della contraddizione.
Un luogo paradigmatico di questa critica è un passo de Il rapporto del-
lo scetticismo con la filosofia:
il cosiddetto principio di non contraddizione ha quindi per la ragione
una così scarsa verità anche soltanto formale che, al contrario, ogni proposi-
zione di ragione deve contenere […] una trasgressione di esso6.

In termini simili, nella prima tesi dello scritto che Hegel presen-
ta a Jena nel 1801, egli afferma: «contradictio est regula veri, non con-
tradictio falsi»7. Nella Scienza della logica la contraddizione è il princi-
pio di determinazione delle categorie logiche. Se queste corrispondo-
no alle dinamiche attraverso cui si articola l’intera realtà, la contraddi-
zione, lungi dall’essere necessariamente falsa, è ciò che è massimamen-
te vero8.
Cosa significa affermare che la contraddizione è vera? Nella logi-
ca hegeliana la verità non è una proprietà di enunciati. La verità della
contraddizione in Hegel non ha quindi un carattere primariamente ed
esclusivamente linguistico. Questa verità ha invece a che fare con il
modo di costituirsi delle determinazioni logiche come strutture onto-

4 ARISTOTELE, Metafisica Γ, 1011 b 13-14, cit., p. 177.


5 WdL II, pp. 286-287 (p. 491). In termini simili, nell’Enciclopedia Hegel affer-
ma: «quando in un qualsiasi oggetto o concetto viene mostrata la contraddizione […] si
suol trarne la conclusione: dunque, questo oggetto è niente» (Enz, p. 129 (p. 108)).
6 Skept, pp. 208-209 (p. 80).
7 Diss, p. 227 (p. 88).
8 «Ein weiterer Unterschied zur traditionellen formalen Logik besteht darin,
daß Hegel den logischen Widerspruch für sinnvoll denkbar hält» (R. SCHÄFER, Hegels
Ideenlehre und die dialektische Methode, in A.F. KOCH - F. SCHICK (a cura di), op. cit.,
pp. 243-264, p. 263).
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La contraddizione si dice in molti modi 83

logiche fondamentali del reale. Il valore della verità della contraddizio-


ne sarà perciò primariamente ontologico.
Il valore ontologico della verità della contraddizione, come strut-
tura costitutiva delle determinazioni logiche, non è caratterizzabile in
termini di stati di cose. Koch sottolinea come gli stati di cose siano una
sorta di proiezione delle strutture proposizionali che li esprimono e
che possono essere vere o false. In quest’ottica Koch distingue gli stati
di cose [Sachverhalte] dalle Ursachverhalte, che sono stati di cose pre-
proposizionali [vorpropositionalen Sachverhalte] oggetto dell’intuizione
sensibile o intellettuale. Le determinazioni della logica hegeliana corri-
spondono, secondo Koch, a Ursachverhalte9.
Dire che il pensiero coglie una Ursachverhalt non significa dire
che coglie qualcosa come determinato in un modo piuttosto che in un
altro, ma semplicemente che coglie quel qualcosa. Il pensiero è uno con
quel qualcosa e, in questo senso, non può essere falso. Le determinazio-
ni della logica hegeliana non possono essere vere o false nello stesso
senso in cui può esserlo una proposizione. A ragione, non possono es-
sere proprio false perché, in quanto Ursachverhalte, sono in se stesse il
vero. La verità delle determinazioni è cioè qualcosa di più originario
della verità delle proposizioni, che dipende dalla loro corrispondenza
rispetto a stati di cose dati10. La verità delle determinazioni, in quanto
Ursachverhalte, appartiene alle determinazioni in se stesse, che sono in
se stesse vere11. Esse dispiegano compiutamente questa verità poiché
9 Cfr. A.F. KOCH, Dasein und Fürsichsein, cit., p. 28.
10 Per Hegel la teoria corrispondentista è un modo di intendere la verità pro-
prio di un pensiero ‘finito’ che non coglie la struttura intrinseca del proprio oggetto, ma
che cerca semplicemente di adattarsi ad esso: «Questi due elementi poi […] vengono
ordinati l’uno di fronte all’altro per modo che l’oggetto sia un che di già per sé compiu-
to, un che di già pronto, che per la sua realtà possa perfettamente fare a meno del pen-
siero, e che all’incontro il pensiero sia qualcosa di manchevole cui occorra completarsi
in una materia, e cioè rendersi a questa adeguato quale una cedevole forma indetermina-
ta» (WdL I, p. 28 (p. 25)). Chiereghin sottolinea come un pensiero di questo tipo sia fi-
nito in quanto destinato a fallire nel tentativo di cogliere la verità del proprio oggetto:
«La coscienza distingue da sé un oggetto e in pari tempo vi si rapporta: se l’oggetto in sé
costituisce per la coscienza il vero e il suo rapportarsi all’oggetto costituisce il sapere che
ne ha, la coscienza vuole verificare se l’oggetto corrisponde al concetto e se il proprio sa-
pere è adeguato alla cosa. È evidente che in tal modo la coscienza produce da se stessa
la dissoluzione del concetto di adeguazione: avendo predeterminato l’oggetto come l’in
sé indipendente, ogni possibile forma di adeguazione, in quanto rapporto all’oggetto, ne
distruggerà proprio l’indipendenza, così che nulla risulterà più radicalmente inadeguato
alla verità dell’oggetto che il tentativo di adeguarlo» (F. CHIEREGHIN, Essere e verità,
Verifiche, Trento 1984, p. 40).
11 «Qui non si ha già da fare con un pensiero intorno a qualcosa, che stia per sé
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84 Ai limiti della verità

realizzano ciò che sono, vale a dire la concreta articolazione del loro
contenuto, quello che Hegel chiama il loro «concetto»12. Nella misura
in cui il compiuto sviluppo delle determinazioni si realizza in una strut-
tura contraddittoria, la contraddizione è la regula veri delle determina-
zioni stesse.
Dire che vi sono contraddizioni vere significa quindi, per Hegel,
affermare che la realtà si articola attraverso processi e dinamiche che si
configurano in modo contraddittorio. Questi processi e queste dina-
miche trovano espressione linguistica in enunciati contraddittori che,
nell’ottica hegeliana, non possono essere detti falsi. Questo implica
una critica radicale alla concezione semantica standard della contrad-
dizione, cui sopra ho fatto riferimento. Vi è però un senso in cui Hegel
assume la tesi della necessaria falsità della contraddizione. Più pro-
priamente, Hegel riconfigura questa tesi declinando la falsità nei ter-
mini di un’insostenibilità che si gioca però non più sul piano linguisti-
co, ma su quello ontico13. L’insostenibilità della contraddizione non
equivale all’impossibilità per un soggetto di affermare una contraddi-
zione vera, ma è l’impossibilità per ciò che è in se stesso contradditto-
rio di sussistere sul piano ontico. Si badi bene, questo non significa
che la contraddizione non esista, cosa che renderebbe la tesi hegeliana
del tutto compatibile con la concezione semantica standard della con-
traddizione. Piuttosto, l’insostenibilità della contraddizione corrispon-
de all’impossibilità per le “contraddizioni oggettive” di sussistere co-
me uno stato di cose dato. A essere contraddittori non sono stati di co-
se, ma dinamiche o processi, la cui contraddittorietà si toglie nel corso
dello sviluppo e del compimento del processo stesso.
Questo è piuttosto chiaro in quello che, per Hegel, è un esempio
paradigmatico di contraddizione oggettiva, ovvero il movimento. Un
oggetto O in movimento, nel momento in cui attraversa un determina-
to punto P,

come base fuori del pensiero, non si ha da fare con forme che debban fornire semplici
note della verità; ma le forme necessarie e le proprie determinazioni del pensiero sono il
contenuto e la suprema verità stessa» (WdL I, p. 34 (p. 31)).
12 «La verità è il rispondere dell’oggettività al concetto, – non già che cose

esterne rispondano a mie rappresentazioni; queste son soltanto rappresentazioni esatte


[richtige Vorstellungen], che io ho come questo individuo» (Enz, p. 215 (p. 198)). Halbig
sottolinea come Hegel utilizzi il concetto di verità nel senso di proprietà di proposizioni,
ma «lo considera come un concetto derivato rispetto al concetto ontologico di verità.
[…] Un’entità per Hegel è vera nella misura in cui realizza il suo concetto in modo ade-
guato» (C. HALBIG, Pensieri oggettivi, cit., pp. 50-51).
13 Questa è anche la tesi di Michael Wolff. Cfr. M. WOLFF, op. cit., p. 34.
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La contraddizione si dice in molti modi 85

(a) è in P perché, nell’attraversare P, si trova esattamente in P;


(b) non è in P perché non è semplicemente fermo in P, ma è il
suo non essere ancora e il suo non essere più in P.
Il punto (a) è di per sé è una condizione necessaria ma non anco-
ra sufficiente a dire il passare di O in P. È necessaria perché O può at-
traversare P solo se è in P. Non è ancora sufficiente perché di per sé
potrebbe significare anche il semplice stare fermo di O in P.
Il punto (b) è di per sé è una condizione necessaria ma non an-
cora sufficiente a dire il passare di O in P. È necessaria perché, per at-
traversare P e non stare semplicemente fermo in esso, O deve essere,
prima e dopo l’attraversamento, in un punto diverso da P. Non è an-
cora sufficiente perché di per sé potrebbe significare anche il semplice
stare fermo o in movimento di O fuori da P.
(a) e (b) solo insieme sono condizioni necessarie e sufficienti ad
esprimere il movimento di O in P14. Gli antichi dialettici, di fronte alla
contraddizione del movimento, negavano l’esistenza del movimento
stesso. Hegel, invece, vede nella contraddittorietà del movimento l’ef-
fettiva struttura in cui esso si articola15. Allo stesso tempo, nel movi-
mento, viene in evidenza anche l’insostenibilità della contraddizione.
L’insostenibilità non riguarda la contraddittorietà del discorso che de-
scrive il movimento, che è contraddittorio in modo derivato, ovvero
poiché descrive una realtà in se stessa contraddittoria. L’insostenibilità
della contraddizione, quindi, non equivale all’impossibilità che sussista
uno stato di cose che verifichi una contraddizione a livello linguistico,

14 Qui in realtà entra in gioco il tradizionale problema del continuo. Un’interes-

sante trattazione della questione che chiama in causa anche la contraddizione e il valore
del PNC è offerta da Peirce: «The very word continuity implies that the instants of time
or the points of a line are everywhere welded together» (C. PEIRCE, The New Elements of
Mathematics, vol. 3, a cura di C. Eisele, Mouton Publishers-Humanities Press, The Ha-
gue-Paris-Atlantic Highlands N.J. 1976, p. 61).
15 «La contraddizione […] è il principio di ogni muoversi […]. Persino l’este-

rior moto sensibile non è che il suo esistere immediato. Qualcosa si muove, non in quan-
to in questo Ora è qui, e in un altro Ora è là, ma solo in quanto in un unico e medesimo
Ora è qui e non è qui, in quanto in pari tempo è e non è in questo Qui» (WdL II, p. 287
(p. 491)). Sulla concezione hegeliana del divenire e del movimento cfr. G. MOVIA, Esse-
re, nulla, divenire. Sulle prime tre categorie della Logica di Hegel, in «Rivista di filosofia
neo-scolastica», LXXVIII (1986), n. 4, pp. 513-44 e LXXIX (1987), n. 1, pp. 3-32. Un
significativo e recente contributo sul tema del divenire è quello di F. PERELDA, Hegel e il
divenire, Cleup, Padova 2009. Per un tentativo di formalizzazione della dialettica del di-
venire in Hegel cfr. L. ROGOWSKI, La logica direzionale e la tesi hegeliana della contrad-
dittorietà del mutamento, in D. MARCONI (a cura di), La formalizzazione della dialettica,
cit., pp. 117-219.
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86 Ai limiti della verità

né alla falsità del discorso che lo esprime.


L’insostenibilità della contraddizione, come la contraddizione
stessa, ha un valore ontologico. Nell’esempio del passaggio di O in P,
l’insostenibilità della contraddizione, che caratterizza la struttura di
quel passare, consiste proprio nel passare stesso di O in P, il cui risulta-
to è l’esser passato di O in P e, con esso, il superamento della contrad-
dizione che caratterizzava il passare di O in P. In questo esser passato,
O semplicemente non è più in P ed è tolta la contraddizione del passa-
re, per cui O è e non è in P. Questo non significa che la contraddizione
non sia affatto esistita, né tanto meno che sia definitivamente eliminata.
Superata la contraddizione del passare di O in P, immediatamente ne
sorge un’altra corrispondente al passare di O in P1, e così via all’infini-
to. Nel movimento, quindi, la contraddizione è insostenibile tanto
quanto necessariamente sempre presente. Il movimento consiste nel-
l’infinito porre e togliere le contraddizioni che caratterizzano il passare
di un oggetto in infiniti punti. In questo senso, la contraddizione è la
verità del movimento. Senza contraddizione, non c’è movimento, ma il
movimento è il superamento stesso della contraddizione.
In relazione alla definizione semantica standard della contraddi-
zione, si potrebbe obiettare che la contraddizione ontologica hegeliana
non è una vera e propria contraddizione perché
a) la contraddizione è qualcosa che sussiste solo all’interno della
sfera del linguaggio;
b) secondo l’argomento change of semantic, change of subject16,
nell’espressione linguistica della contraddizione ontologica, la semanti-
ca della negazione e della congiunzione è diversa da quella standard.
Affronterò il punto a) nella trattazione della definizione ontolo-
gica della contraddizione. Per quanto riguarda il punto b), analizzerò
il modo in cui la contraddittorietà delle determinazioni logiche è
espressa a livello linguistico, i cambiamenti nella semantica della nega-
zione e della congiunzione in questa espressione e le loro implicazioni.
Hegel chiama in causa queste modifiche in relazione alla contraddizio-
ne del divenire:
Essere e nulla è lo stesso, esprime l’identità di queste determinazioni, ma

16 L’argomento trova la sua formulazione classica nella critica di Kripke al su-

pervalutazionismo. Cfr. S. KRIPKE, Outline of a Theory of Truth, in «The Journal of Phi-


losophy», LXXII (1975), n. 19, pp. 690-716; rist. in R.L. MARTIN (a cura di), Recent Es-
says on Truth and the Liar Paradox, Oxford University Press, Oxford 1984 (Lineamenti
di una teoria della verità, in S. KRIPKE, Esistenza e necessità. Saggi scelti, Ponte alle Gra-
zie, Firenze 1992).
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La contraddizione si dice in molti modi 87

nel fatto le contiene anche tutte e due come diverse […]. Nell’intento di espri-
mere la verità speculativa, a cotesto difetto si ripara anzitutto coll’aggiungere
la determinazione opposta, cioè che essere e nulla non sono lo stesso17.

La natura del divenire è espressa dalla congiunzione di due pro-


posizioni di cui una è la negazione dell’altra, cioè l’essere e il nulla sono
lo stesso e l’essere e il nulla non sono lo stesso. La forma logica messa in
campo è quella di una vera e propria contraddizione, ovvero p ∧ ¬ p.
Vi sono due cambiamenti rilevanti nella semantica della con-
giunzione e della negazione. Per quanto riguarda la congiunzione, non
vale l’inferenza dell’eliminazione della congiuzione, per cui la verità di
una congiunzione implica la verità dei singoli congiunti. Dall’espres-
sione della verità del divenire – l’essere e il nulla sono lo stesso e l’esse-
re e il nulla non sono lo stesso – non è possibile dedurre la verità dei
singoli congiunti. I congiunti di per sé non sono veri o, meglio, sono
condizioni solo necessarie ma non ancora sufficienti ad esprimere
compiutamente la verità del divenire. Solo congiuntamente sono con-
dizioni necessarie e sufficienti all’espressione di questa verità18. Natu-
ralmente, questo cambio nella semantica della congiunzione è legato
alla concezione specificamente hegeliana della verità, per cui «il vero è
l’intero»19 e in cui la verità non è altro che il compiuto sviluppo di una
data determinazione logica. Per questo, il singolo momento dello svi-
luppo della verità di per sé può essere al massimo corretto [richtig],
ma non è propriamente vero [wahrhaft].
Per quanto riguarda la negazione, questa non equivale, come si è
detto, a un operatore vero-funzionale che muta il valore di verità della
proposizione cui è applicato. Nell’espressione linguistica della con-
traddittorietà del divenire la verità di p, “l’essere e il nulla sono lo stes-
so”, non implica la falsità di ¬p, “l’essere e il nulla non sono lo stesso”:
p e ¬p sono entrambe vere e sono vere solo nella loro unità.
Questi cambiamenti nella semantica della congiunzione e della
negazione sono forse una condizione sufficiente a ritenere che il con-
cetto hegeliano di contraddizione non sia – secondo l’argomento chan-
ge of semantics, change of subject – una vera e propria contraddizione?

17 WdL I, pp. 77-78 (p. 80). Sulla declinazione di questa stessa dinamica logica

all’interno della dialettica di finito e infinito cfr. ivi, p. 139 (p. 155).
18 «La sintesi contiene e mostra la non verità di quelle astrazioni. Queste vi

stanno in unità col loro altro, epperò non come sussistenti per sé, non come assolute, ma
semplicemente come relative» (ivi, p. 85 (p. 89)).
19 PdG, p. 19 (p. 69).
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88 Ai limiti della verità

La cosa non è scontata. L’idea di mettere in questione la validità assolu-


ta della semantica standard degli operatori logici è una strada di ricerca
che è stata percorsa con risultati interessanti. Ad esempio, in relazione
all’argomento kripkeano contro il supervalutazionismo, Varzi scrive:
In un certo modo, un’obiezione di questo genere può essere congedata
sulla base del suo inopportuno appello all’intuizione. Cambio di semantica,
cambio di argomento – dice l’obiezione. Benissimo. Ma chi decide qual è la se-
mantica giusta? Ovviamente, la giusta semantica è quella che si adatta meglio ai
fenomeni pragmatici osservabili: disposizioni ad assentire o dissentire, e simili20.

La validità della semantica standard della negazione e della con-


giunzione può non essere assunta dogmaticamente. Ho già spiegato
come la negazione determinata possa essere intesa come una negazio-
ne, pur non essendo riducibile alla negazione standard. Dei diversi
modi di intendere la negazione, la negazione determinata mantiene
proprio il carattere ad essi comune, ovvero il carattere escludente.
Riguardo alla congiunzione, vanno sottolineati tre punti.
In primo luogo, il venir meno della regola dell’eliminazione della
congiuzione non tocca la sostanza della semantica della congiunzione
– il suo essere vera se entrambi i congiunti sono veri – sulla base della
quale due congiunti di cui l’uno è la negazione dell’altro sono effetti-
vamente contraddittori.
In secondo luogo, il venir meno di questa inferenza mostra come
all’interno della logica hegeliana le contraddizioni vere non comporti-
no la banalizzazione del sistema secondo l’ex falso quodlibet. La dimo-
strazione di questo principio, infatti, si basa proprio sulla regola dell’e-
liminazione della congiunzione21. Per disattivare la critica popperiana,
quindi, non è nemmeno necessario rimandare alla questione della ne-
gazione determinata e a come essa si distingua dalla negazione stan-
dard. Già l’analisi del significato della congiunzione mette in evidenza
come l’argomento di Popper non possa scalfire la tesi hegeliana della
verità della contraddizione.

20 A. VARZI, Congiuzione e contraddizione, in F. ALTEA - F. BERTO (a cura di),

Scenari dell’impossibile, Il Poligrafo, Padova 2007, pp. 63-86, p. 79.


21 La regola dell’eliminazione interviene nel secondo e nel terzo passaggio della

dimostrazione:
1. (1) p Λ ¬ p A
2. (1) p 1.EΛ
3. (1) ¬ p 1.EΛ
4. (1) p V q 2.IV
5. (1) q 3, 4 . MTP
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La contraddizione si dice in molti modi 89

In terzo luogo, il cambiamento non sussiste se si sposta il concet-


to di verità sullo stesso piano in cui la validità della regola d’inferenza
è comunemente assunta. Se si pensa alla verità non in senso hegeliano,
ma come proprietà di una proposizione di essere verificata da uno sta-
to di cose, allora la regola in questione non viene messa in dubbio da
Hegel. Si consideri l’esempio dell’espressione della verità del divenire
o, più in particolare, di un divenire determinato, del mutamento di
qualcosa in qualcos’altro. Ebbene, l’istante del mutamento verifica sia
la proposizione “il qualcosa e il suo altro sono lo stesso”, sia la propo-
sizione “il qualcosa e il suo altro non sono lo stesso”.
Per Hegel, infatti, le due proposizioni che insieme esprimono la
contraddittorietà del divenire, considerate singolarmente, sono corret-
te, «ciò che si dichiara è esatto [richtig]»22, anche se non è ancora vero
[wahr], perché è solo una parte, un momento della verità. La Rich-
tigkeit corrisponde alla verità come proprietà di proposizioni in un pa-
radigma di pensiero finito che si mantiene distinto dal suo oggetto23.
Hegel riconosce la validità della regola dell’eliminazione della con-
giunzione all’interno di questo tipo di pensiero. La Wahrheit, invece,
in senso specificamente hegeliano, è il processo di autodeterminazione
di un dato contenuto ontologico-concettuale, rispetto al quale la rego-
la dell’eliminazione della congiunzione non può sussistere, perché la
sua validità afferisce al piano del pensiero meramente soggettivo sulle
cose. Tramite questa regola, infatti, il pensiero estrae un momento da
uno specifico processo di determinazione. Il momento viene a perdere
quel sistema di relazioni in cui solo riesce a sussistere e in cui consiste
la sua verità, vale a dire il suo concreto modo di articolarsi.
Fin qui ho mostrato come il concetto hegeliano di contraddizio-
ne metta in campo una critica radicale contro la concezione semantica
standard della contraddizione e come, allo stesso tempo, la nozione di
insostenibilità della contraddizione trovi in Hegel una riconfigurazio-
ne ontologica. Poi ho messo in luce i punti deboli delle critiche al con-

22 WdL I, p. 78 (p. 81). Sulla stessa dinamica logica all’interno della dialettica di

finito e infinito cfr. ivi, p. 141 (p. 158).


23 «È una delle idee essenziali della logica ordinaria che giudizi qualitativi co-

me: «la rosa è rossa», o «non è rossa», possano contener verità. Essi possono essere esat-
ti [richtig], vale a dire nella cerchia limitata della percezione, del rappresentare e del
pensare finiti: ciò dipende dal contenuto, il quale è altresì un qualcosa di finito, di non
vero per sé. Ma la verità riposa solo sulla forma, cioè sul concetto che si pone, e sulla
realtà, che gli corrisponde: e siffatta verità, nel giudizio qualitativo, non si trova» (Enz,
p. 186 (p. 169)).
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90 Ai limiti della verità

cetto di contraddizione in Hegel di chi sostiene l’imprescindibilità del-


la definizione semantica standard di questa struttura logica.

3.2. La definizione sintattica


Sintatticamente la contraddizione si definisce sulla base della
forma logica degli enunciati che la compongono. Nella logica proposi-
zionale, la contraddizione consiste in una coppia di enunciati di cui
uno è la negazione dell’altro24. Nella logica predicativa, secondo il
quadro aristotelico delle opposizioni, la contraddizione è una qualsiasi
inferenza da un enunciato universale affermativo a un enunciato parti-
colare negativo, o da un enunciato universale negativo a un enunciato
particolare affermativo.
Il PNC corrispondente afferma che non si dà il caso che enunciati
della forma p ∧ ¬p possano essere veri. In termini formali: ¬ (p ∧ ¬p).
Il concetto hegeliano di contraddizione non è riconducibile alla
definizione sintattica di tale struttura logica. Ciononostante, vi sono del-
le relazioni tra questi due modi di comprendere la contraddizione. Per
Michael Wolff, la contraddizione, hegelianamente intesa, necessita di
una contraddizione formale per essere rappresentata linguisticamente25.
Dal momento che le determinazioni si costituiscono nel riferi-
mento negativo a loro stesse e quindi proprio nella loro identità si fanno
altro da sé, la rappresentazione linguistica della loro struttura logica ne-
cessita del giudizio positivo “S è P”, ma allo stesso tempo e sotto il me-
desimo rispetto anche del corrispondente negativo “S non è P”. Il pri-
mo esprime l’astratta identità di una determinazione con se stessa e non
ancora la sua altrettanto necessaria differenza da sé, che trova voce solo
nel secondo26. La verità delle determinazioni è espressa solo dallo stare

24 «Contraddizione: una formula ben formata della forma ‘A & ¬A’; un enun-

ciato della forma ‘A e non A’» (E.J. LEMMON, Beginning Logic, Thomas Nelson and
Sons Ltd., Londra 1965, p. 244). È possibile distinguere due tipi di definizione sintattica
della contraddizione. La prima, la definizione sintattica collettiva, secondo la quale una
contraddizione è una congiunzione di due enunciati di cui uno è la negazione dell’altro
(P ∧ ¬ P). La seconda, la definizione sintattica distributiva, secondo la quale una con-
traddizione è una coppia di enunciati di cui uno è la negazione dell’altro (P; ¬ P). Cfr. A.
VARZI, op. cit., pp. 63-86.
25 Cfr. M. WOLFF, op. cit., pp. 35-36.
26 «Judgment […] expresses identity while suppressing the essential noniden-

tity or difference, and thus it distorts or even suppresses speculative truth» (R.R. WIL-
LIAMS, Double Transition, Dialectic and Recognition, in P.T. GRIER (a cura di), Identity
and Difference, SUNY, Albany (NY) 2007, pp. 31-62, p. 42).
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La contraddizione si dice in molti modi 91

insieme dei giudizi opposti. Nell’esempio di riferimento, la verità del di-


venire viene espressa solo dalla congiunzione degli enunciati “l’essere e
il nulla sono lo stesso” e “l’essere e il nulla non sono lo stesso”.
Alla necessità per la verità concreta delle determinazioni logiche
di trovare espressione linguistica in una vera e propria contraddizione
sintattica è sottesa una critica radicale della struttura giudiziale27. Nel
giudizio, un singolare (soggetto) viene sussunto sotto un universale
(predicato) attraverso la copula, che però lascia indeterminata la rela-
zione tra i due:
la proposizione, in forma di giudizio, non è atta a esprimere le verità
speculative. […] Il giudizio è una relazione identica fra soggetto e predicato.
Nel giudizio si prescinde da ciò che il soggetto ha altre determinatezze oltre
quella del predicato, come vi si prescinde da ciò che il predicato è più esteso
del soggetto. Se ora il contenuto è speculativo, anche il non identico, del sog-
getto e del predicato, è un momento essenziale; ma questo nel giudizio non è
espresso28.

L’incapacità della struttura giudiziale di esprimere le verità spe-


culative riflette linguisticamente l’incapacità dell’intelletto di dispiega-
re queste verità29. La contraddizione sintattica, invece, riflette lingui-
sticamente il risultato dell’autoriferimento negativo inerente alla dia-
lettica delle determinazioni: la congiunzione del giudizio negativo con
il giudizio positivo corrisponde ad una sorta di negazione di quest’ulti-
mo. Così come la negazione delle determinazioni non comporta la loro

27 Chiereghin mette in relazione la concezione corrispondentista della verità


con la struttura del giudizio: «come in quest’ultimo [nel rapporto veritativo come ade-
guazione] il concetto sta da un lato e l’oggetto dall’altro e l’accordo tra i due dev’essere
prodotto a partire dalla loro esistenza indipendente e anteriore al rapporto, altrettanto
nel giudizio il soggetto è accostato estrinsecamente al predicato, l’uno e l’altro sono ac-
colti come dati nella loro precostituita indipendenza e ciò che dovrebbe legarli, la copu-
la, non è che un legame vuoto, la manifestazione dell’impossibilità di attingere la neces-
saria identità dei differenti, che pure il giudizio ha di mira» (F. CHIEREGHIN, Essere e ve-
rità, cit., p. 42).
28 WdL I, p. 78 (p. 80).
29 «The structure of ordinary language reflects an inadequate theory of predica-

tion – itself the offshoot of an inadequate ontology. It takes the logical subject as fixed,
ready-made and selfidentical at the outset, whereas the predicates “hinge” or depend
upon this subject unilaterally. This is the logical view of the “Understanding”. Dialecti-
cal reason, however, grasps the subject and predicates as mutually dependent. The
subject is constituted qua subject only by the process of its explication and transforma-
tion in the dialectical system of predicates» (Y. YOVEL, Hegel’s Dictum that the Rational
is Actual and the Actual is Rational, in W. BECKER - W.K. ESSLER (a cura di), Konzepte
der Dialektik, Vittorio Klostermann, Francoforte sul Meno 1981, p. 116).
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92 Ai limiti della verità

eliminazione (negazione determinata), anche la negazione del giudizio


positivo non equivale alla sua falsità, ma alla necessaria unità dei giudi-
zi opposti.
È importante chiarire il valore della congiunzione che lega i due
giudizi p ∧ ¬p. Essi sono giudizi su uno stesso contenuto e ne esprimo-
no la struttura autocontraddittoria:
queste proposizioni non son tra loro collegate, epperò presentano il
contenuto soltanto nell’antinomia, mentre d’altra parte il contenuto loro si ri-
ferisce a uno stesso, e le determinazioni, che si trovano espresse nelle due pro-
posizioni, debbono assolutamente essere unite (unione che si può allora desi-
gnare come una inquietudine d’incomparabili, o come movimento)30.

Per dar voce alla verità speculativa, le due proposizioni contrad-


dittorie non vanno intese semplicemente come in relazione l’una all’al-
tra, ma come esplicitazione del contenuto di una stessa verità che è in
se stessa contraddittoria.
Questo punto è particolarmente importante. La contradditto-
rietà che caratterizza la struttura di ogni determinazione non è la con-
traddittorietà della determinazione rispetto a un’altra determinazione,
ma è la contraddittorietà della determinazione in se stessa. È solo una
riflessione esterna a vedere nella contraddittorietà una relazione tra
determinazioni diverse. Un punto di vista esterno non riesce a portare
in luce la vera natura della contraddittorietà delle determinazioni logi-
che, perché coglie l’identità e la differenza di una determinazione co-
me due momenti distinti. Non coglie l’identità dell’identità e della non
identità di questi due momenti opposti, che sono inerenti e definisco-
no costitutivamente il modo di articolarsi di un’unica determinazio-
ne31. Si tratta di
cogliere ed enunciare la contraddizione. Benché certo non esprima il
concetto delle cose e dei loro rapporti, ed abbia per materiale e contenuto sol-
tanto delle determinazioni della rappresentazione, pur le mette in una relazio-
ne che ne contiene la contraddizione e per mezzo di questa ne lascia trasparire
il concetto. – La ragione pensante poi acuisce, per così dire, l’ottusa differenza

30 WdL I, p. 78 (pp. 80-81).


31 «Quindi il rappresentare ha bensì dappertutto per suo contenuto la contrad-
dizione, ma non perviene alla coscienza di essa; resta riflessione estrinseca, che passa
dall’eguaglianza all’ineguaglianza, o dalla relazione negativa all’esser riflessi in sé dei di-
versi. Esso tien queste due determinazioni estrinsecamente contrapposte fra loro ed ha
in vista soltanto quelle, non già il passare, che è l’essenziale e che contien la contraddizio-
ne» (WdL II, p. 288 (p. 493)).
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La contraddizione si dice in molti modi 93

del diverso, la semplice molteplicità della rappresentazione fino a farne la dif-


ferenza essenziale, l’opposizione. Solo quando sono spinti all’estremo della
contraddizione, i molteplici diventano attivi e viventi l’uno di fronte all’altro, e
nella contraddizione acquistano la negatività, che è la pulsazione immanente
del muoversi e della vitalità32.

Per far emergere l’autocontraddittorietà delle determinazioni logi-


che bisogna pensare speculativamente la contraddizione sintattica in cui
essa trova espressione a livello linguistico. La congiunzione che mette in
relazione i due enunciati opposti non va pensata come una relazione
esterna, ma come la loro identità. Se la congiunzione (S è S) ∧ (S è ¬S) è
vera, allora entrambi i congiunti lo sono e S si determina quindi sia co-
me S sia come ¬S. I due enunciati mostrano come uno stesso soggetto si
determini in due modi che si escludono a vicenda – come identico e di-
verso da sé – e quindi come esso incorpori la struttura dell’identità del-
l’identità e della non identità e sia così in se stesso contraddittorio33.
La questione dell’identità dell’identità e della non identità come
struttura della verità speculativa e il problema della sua esprimibilità a
livello proposizionale trovano una trattazione particolarmente interes-
sante nella Fenomenologia e, più precisamente, nella teoria della pro-
posizione speculativa:
la natura del giudizio o della proposizione in generale – natura che in-
clude entro sé la differenza di soggetto e predicato – viene distrutta dalla pro-
posizione speculativa, e così la proposizione speculativa diviene una proposi-
zione formalmente identica che contiene però il contraccolpo subito dal rap-
porto tra soggetto e predicato34.

L’ordinaria struttura proposizionale si costruisce, da una parte,


sulla differenza tra soggetto e predicato; dall’altra, è tale per cui toglie
questa differenza. La proposizione, quindi, pone una differenza che al-
lo stesso tempo toglie, esprimendo l’appartenere del soggetto al predi-
cato. In questo senso, è possibile affermare che questo tipo di struttu-
ra “si contraddice”. La proposizione speculativa non consiste in una
forma proposizionale alternativa a quella standard, ma in un modo di-

32 Ibidem.
33 Così all’inizio del sistema abbiamo «il concetto dell’unità dell’essere col non
essere, […] oppure quello dell’identità della identità e della non identità. Questo con-
cetto si potrebbe riguardare come la prima e più pura (cioè più astratta) definizione del-
l’Assoluto; […] così tutte le ulteriori determinazioni e sviluppi ne sarebbero semplice-
mente definizioni più determinate e più ricche» (WdL I, pp. 60-61 (p. 60)).
34 PdG, p. 43 (p. 127).
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94 Ai limiti della verità

verso di intendere questa stessa forma. La proposizione speculativa è


cioè quel modo di intendere la proposizione che riconosce nella sua
contraddizione interna, nel suo avere in sé tanto l’identità quanto la
differenza di soggetto e predicato, la sua verità. Ciò significa che la
proposizione riesce effettivamente a esprimere il vero solo se esprime
l’intero, ovvero solo se riesce a tenere insieme, in equilibrio, tanto l’i-
dentità quanto la differenza di soggetto e predicato:
nella proposizione filosofica l’identità di soggetto e predicato non deve
annullare la loro differenza espressa nella forma della proposizione, bensì, al
contrario, la loro unità dev’essere un’armonia35.

La proposizione speculativa è quindi quel modo d’intendere la


proposizione in cui soggetto e predicato non sono come due elementi
sussistenti l’uno accanto all’altro, ma l’uno realizza se stesso solo nella
relazione con l’altro. Allora la proposizione, concretamente intesa, non
è altro che il movimento dialettico che porta a questa realizzazione per
cui il soggetto è distinto dal predicato, ma allo stesso tempo trova nel
predicato la propria stessa essenza.
In questo modo, la struttura della proposizione speculativa met-
te in luce le insufficienze della concezione standard della proposizione,
ma può anche dire qualcosa sulla verità della struttura proposizionale
stessa o, meglio, su come la proposizione può portare efficacemente
ad espressione la verità speculativa. L’identità dell’identità e della non
identità di soggetto e predicato è implicitamente contenuta nella nor-
male struttura proposizionale. Da una parte, questa struttura mostra
l’inadeguatezza a esprimere la verità speculativa del rapporto di predi-
cazione standard, dal momento che tale rapporto non è in grado di
supportarne la contraddittorietà. Dall’altra, se esplicitata, questa strut-
tura mostra in che senso la proposizione possa diventare il luogo in cui
trova espressione la verità speculativa.
L’espressione linguistica della struttura dell’identità dell’identità
e della non identità è, allora, necessariamente contraddittoria dal pun-
to di vista sintattico. Solo un’espressione contraddittoria è in grado di
dire questa struttura, questa verità. Dire che un’espressione è contrad-
dittoria, o che contiene una contraddizione, non equivale però a dire
che un’espressione “si contraddice”. Si tratta di una differenza impor-
tante, che verrà sottolineata con la tematizzazione dell’accezione prag-
matica della contraddizione.

35 Ibidem.
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La contraddizione si dice in molti modi 95

3.3. La definizione pragmatica


La definizione pragmatica della contraddizione fa riferimento
agli atti linguistici. Un agente razionale si contraddice quando asseri-
sce e nega il medesimo enunciato36. Il PNC corrispondente sostiene
l’impossibilità per un medesimo individuo di accettare e rifiutare un
medesimo enunciato: «Chiunque rigetti A non può simultaneamente
accettarlo, più di quanto una persona possa simultaneamente prendere
e perdere un autobus, o vincere e perdere una gara di scacchi»37.
Se si mettono in relazione asserzione e diniego con gli stati men-
tali che esprimono, ossia l’accettazione e la credenza, da una parte, e il
rifiuto, dall’altra, allora la definizione pragmatica della contraddizione
trova una sua declinazione particolare nella definizione psicologica
della contraddizione. Un esempio della corrispondente formulazione
del PNC è rintracciabile in Aristotele: «è impossibile a chicchessia di
credere che una stessa cosa sia e non sia»38. Una contraddizione sussi-
ste a livello psicologico se un individuo possiede stati mentali opposti.
Il PNC corrispondente si basa naturalmente sull’incompatibilità di
opinioni o, più in generale, di stati mentali opposti.
In relazione alla formulazione pragmatico-psicologica del PNC,
è però necessario fare una distinzione. Da una parte, questo principio
può affermare l’impossibilità che un agente razionale creda/asserisca
un determinato contenuto mentale p e, allo stesso tempo e sotto il me-
desimo rispetto, creda/asserisca il contenuto mentale opposto, cioè
¬p. Dall’altra parte, il principio può affermare l’impossibilità che un
agente razionale creda/asserisca p e, allo stesso tempo e sotto il mede-
simo rispetto, neghi/rifiuti p. Nel primo caso, il principio asserisce
l’impossibilità di pensare la contraddizione. Nel secondo, il principio
asserisce l’impossibilità di pensare contraddittoriamente.
Nel ricordare come, secondo il paradigma del pensiero ordina-
rio, la contraddizione «non si troverebbe nemmeno in questa riflessio-
ne [soggettiva], perché il contraddittorio, si dice, non si può né rappre-
sentare né pensare»39, Hegel fa riferimento alla prima accezione del

36 «Contraddizione: asserzione di una proposizione congiunta con il suo dinie-

go» (B. BRODY, Logical Terms, Glossary of, in P. EDWARDS (a cura di), The Encyclopedia
of Philosophy, Macmillan and Free Press, New York 1967, p. 61).
37 G. PRIEST - R. ROUTLEY - J. NORMAN (a cura di), Paraconsistent Logic. Essays

on the Inconsistent, Philosophia Verlag, Monaco 1989, p. 618.


38 ARISTOTELE, Metafisica Γ, 1005 b 23-24, cit., p. 145.
39 WdL II, p. 287 (p. 491).
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96 Ai limiti della verità

principio, e non alla seconda. Hegel nega la prima accezione dal mo-
mento che l’intero sviluppo del sistema logico non è altro che la dimo-
strazione della possibilità di pensare la contraddizione come la verità
delle determinazioni stesse. Questo, però, non significa ancora che
Hegel intenda affermare la possibilità, per il pensiero, di contraddirsi.
In effetti, rispetto alle determinazioni dell’intelletto, Hegel asse-
risce che esse sono false proprio perché l’intelletto si contraddice:
A far sì che l’intelletto si accorga che, mentre crede di aver raggiunto il
suo appagamento nella conciliazione della verità, si trova invece nella inconci-
liata, ancora aperta, assoluta contraddizione, dovrebber servire le contraddi-
zioni in cui l’intelletto stesso da ogni parte s’impiglia, non appena passa all’ap-
plicazione e alla esplicazione di queste sue categorie40.

Ma cosa distingue il contraddirsi dell’intelletto dal pensiero della


contraddizione della ragione? Perché la contraddizione dell’intelletto
implica la falsità della tematizzazione astratta delle determinazioni,
mentre quella della ragione dispiega la loro concreta verità? La risposta
sta nelle assunzioni dell’intelletto. La contraddizione dell’intelletto im-
plica la falsità del modo in cui esso definisce le determinazioni logiche.
La contraddizione, in questo caso, non ha a che fare tanto con il conte-
nuto intrinseco delle determinazioni, quanto con il modo in cui questo
contenuto sta in relazione con le assunzioni di cui implicitamente l’in-
telletto si fa carico. Si consideri il valore critico-negativo della contrad-
dizione dell’infinito dell’intelletto. Questo valore non dipende tanto dal
contenuto dell’infinito che, tenuto fermo di contro al finito, si mostra
essere esso stesso un finito. Quest’autocontraddittorietà dell’infinito è
in fondo quella che viene accolta nel suo valore positivo dalla ragione,
che concepisce l’infinito come avente necessariamente in sé il momento
della finitezza41. Il valore critico della contraddittorietà dell’infinito del-
l’intelletto dipende invece dal fatto che essa implica la negazione del-
l’assunzione dell’intelletto, secondo la quale ogni determinazione è
astrattamente identica con sé. Nella tematizzazione del cattivo infinito,
l’intelletto accetta il paradigma dell’astratta identità dell’infinito con se

40 WdL I, p. 127 (p. 141). Col criticismo «venne scorto il necessario contrasto

delle determinazioni dell’intelletto con se stesso» (ivi, p. 30 (p. 27)).


41 «La cattiva infinità sarebbe, infatti, fraintesa se dovesse essere concepita co-

me lo sbocco inconcludente di un percorso errato che dev’essere tralasciato. Essa svol-


ge, invece, l’importante funzione di elaborare i termini di una contraddizione che
dev’essere portata a compimento e sviluppata fino alle sue ultime conseguenze nella “ve-
ra infinità”» (F. CHIEREGHIN, Rileggere la Scienza della logica di Hegel, cit., p. 47).
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La contraddizione si dice in molti modi 97

stesso, ma allo stesso tempo finisce anche per rifiutarlo.


La ragione, invece, pensa la contraddizione dell’infinito, ma non
si contraddice, perché la sua considerazione dello sviluppo delle deter-
minazioni logiche non si basa su assunzioni preliminari che possano
venir contraddette nel corso dello sviluppo stesso. La ragione non fa
altro che mantenersi ferma sul contenuto della determinazione e di-
spiega il modo in cui questo si articola.
In questo senso l’intelletto, nel cercare di evitare la contraddizio-
ne, ne viene dominato; la ragione, invece, nell’accettare la contraddi-
zione, riesce a dominarla e a gestirne il valore speculativo42.
La ragione, allora, pur pensando la contraddizione, non si con-
traddice. Ci si potrebbe chiedere se ciò non implichi un’assunzione,
proprio da parte della ragione, del PNC pragmatico, che asserisce
l’impossibilità di pensare contraddittoriamente. Questo sarebbe pro-
blematico per un pensiero che si pretendesse privo di presupposti. In
realtà, l’incontraddittorietà del pensiero speculativo non va ricondotta
a un’assunzione preliminare del PNC pragmatico, ma sta, ancora una
volta, nella natura del pensiero stesso. Un pensiero, in effetti, può con-
traddirsi solo in quanto è soggettivisticamente inteso. Il pensiero spe-
culativo non è un pensiero di questo tipo, non essendo identificabile
con una qualche sorta di agente razionale che accetti o neghi determi-
nati contenuti mentali.
Il pensiero speculativo – la ragione – è incontraddittorio perché
non fa altro che seguire lo sviluppo intrinseco del contenuto delle de-
terminazioni logiche. Anzi, esso è questo stesso sviluppo. La riflessione
della ragione non è la riflessione di un qualche tipo di soggetto su un
oggetto dato, ma è la rete di relazioni tramite cui si costituiscono le de-
terminazioni logiche stesse, ovvero è un tutt’uno con la loro dialettica.
L’incontraddittorietà del pensiero speculativo, quindi, non è as-
sunta dogmaticamente, ma consiste nel mantenersi ancorato di questo
pensiero allo sviluppo del contenuto intrinseco delle determinazioni,
anche quando questo si mostra in se stesso contraddittorio. Questo
sviluppo è il suo stesso processo di autodeterminazione. L’incontrad-
dittorietà del pensiero speculativo, anche nella contraddizione, consi-
ste nel mantenersi fedele del pensiero a se stesso, al modo in cui esso
viene necessariamente ad articolarsi secondo la sua stessa natura43.

42 Cfr. WdL II, p. 287 (p. 492).


43 La concezione hegeliana della contraddizione non è quindi viziata dalla me-
desima presupposizione dell’accezione pragmatica del PNC che caratterizza il dialetei-
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98 Ai limiti della verità

3.4. La definizione ontologica


L’ultima accezione del concetto di contraddizione non fa riferi-
mento al piano linguistico, ma a quello ontologico. Oggetto della defi-
nizione non sono quindi enunciati, ma stati di cose. Più in particolare,
si ha una contraddizione a livello ontologico quando un individuo
possiede e non possiede una determinata proprietà oppure possiede
proprietà incompatibili allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto:
Una situazione contraddittoria è una dove si dà, per una qualche situa-
zione B, sia B (è il caso che B), che ¬B (non è il caso che B)44.
K ha b e nello stesso tempo non ha b. Per questo motivo, K è un oggetto
contraddittorio45.

Il PNC corrispondente è quello per cui non si danno oggetti ca-


ratterizzati da due proprietà incompatibili e trova la sua formulazione
classica ancora una volta in Aristotele: «è impossibile che la stessa co-
sa, ad un tempo, appartenga e non appartenga a una medesima cosa,
secondo lo stesso rispetto»46.
Una classica obiezione rispetto alla definizione ontologica della
contraddizione è quella per cui la contraddittorietà è una proprietà di
enunciati o dei sensi che questi esprimono e non ha nulla a che fare
con il modo in cui stanno le cose nel modo47. Questa obiezione viene
spesso utilizzata anche contro il concetto hegeliano di contraddizione,
come fa ad esempio Colletti quando sottolinea il carattere puramente
logico della contraddizione e la necessità di ricondurre invece il con-
cetto hegeliano di contraddizione al concetto kantiano di opposizione
reale48.
Data un’obiezione di questo tipo, si tratta di spiegare in che sen-
so si possa parlare di contraddizioni ontologiche. Nella prospettiva he-
geliana non è possibile affermare che una contraddizione ontologica

smo. La formulazione pragmatica del PNC è l’unica accezione del principio che il diale-
teismo non sembra poter rifiutare. Cfr. F. BERTO, Non dire Non! (Una proposta che Prie-
st non potrà rifiutare), in F. BERTO - F. ALTEA, op. cit., pp. 45-61.
44 R. ROUTLEY - V. ROUTLEY, Negation and Contradiction, in «Revista Colom-

biana de Matemàticas», XIX (1985), n. 1-2, pp. 201-231, p. 204.


45 J. ŁUKASIEWICZ, Del principio di contraddizione in Aristotele, trad. di G. Fran-

ci e C.A. Testi, Quodlibet, Macerata 2003, p. 64.


46 ARISTOTELE, Metafisica Γ, 1005 b 19-20, cit., pp. 144-145.
47 Cfr. A. BOBENRIETH, Five Philosophical Problems Related to Paraconsistent

Logic, in «Logique et Analyse», XLI (1998), n. 161, pp. 21-30, pp. 28-29.
48 L. COLLETTI, op. cit., p. 7.
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La contraddizione si dice in molti modi 99

sia uno stato di cose che verifica una proposizione contraddittoria (se
un enunciato p è vero se si dà il caso che p, allora la contraddizione (p
∧ ¬p) è vera se si dà il caso che p e non si dà il caso che p). Lo stato di
cose che verifica (p ∧ ¬p) si può definire solo in senso derivato uno
stato di cose contraddittorio. Nel caso della concezione hegeliana della
contraddizione non è possibile parlare né di stati di cose, né tantome-
no di una relazione di verificazione tra uno stato di cose e un enuncia-
to. Da una parte, infatti, le determinazioni logiche non sono riducibili
a stati di cose. Gli stati di cose corrispondono a una situazione oggetti-
va data fuori dal pensiero, una situazione che il pensiero assume nella
sua stabilità e che quindi non ha nulla a che fare con la dinamicità che
caratterizza lo sviluppo intrinseco delle determinazioni logiche. Dal-
l’altra parte, la relazione di verificazione tra stati di cose ed enunciati si
basa su una concezione corrispondentista della verità che Hegel mette
radicalmente in questione49.
Invece di “stati di cose”, si potrebbe usare l’espressione “struttu-
ra ontologica”, dove il termine “struttura” va inteso in senso
dinamico50. Inoltre, invece di dire che questa struttura verifica una
proposizione contraddittoria, sarebbe più appropriato dire che essa
trova espressione in una proposizione contraddittoria. In questo modo,
viene mantenuto il carattere originario delle determinazioni rispetto
alla loro espressione linguistica. Le determinazioni non sono cioè qual-
cosa che verifica una contraddizione, ma qualcosa che è in se stesso
49 Secondo Nuzzo, nella dialettica hegeliana c’è una vera e propria messa in di-

scussione del paradigma rappresentazionale del linguaggio. Nell’analisi della prima tria-
de del sistema logico, Nuzzo prende in considerazione il confronto di Hegel con filosofi
come Parmenide ed Eraclito: «The language of these philosophers is a representational
language empirically or metaphysically referred to (or denoting) things and events – it is
a language referred to a “substrate” or to entities necessarily presupposed from which
abstraction is then (more or less explicitly) made. Within this metaphysical language the
proposition “pure being and pure nothing are the same” is by no means expression of
becoming, i.e., does not imply the proposition “pure being and pure nothing are not the
same” but rather excludes it. For, in this language the identity of the terms is referred to
the substrates that they allegedly denote; it is not taken “in and for itself” in a merely
syntactical sense. The transition to the dialectical “language of the concept” (that rejects
representation and denotation or reference to empirical or metaphysical substrates, enti-
ties, and things) is required by dialectic’s commitment to think and express the recipro-
cal implication of identity and difference» (A. NUZZO, Hegel and the Analytic Tradition,
cit., pp. 68-69).
50 «Le categorie e i momenti non sono “cose” del pensiero, statiche e bell’e fat-

te, […] sono reticoli mobili di rapporti, ciascuno dei quali è connesso a tutti gli altri in
modo plurimo, all’interno di un’incessante processualità» (F. CHIEREGHIN, Rileggere la
Scienza della logica di Hegel, cit., p. 24).
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100 Ai limiti della verità

contraddittorio e che trova voce in un linguaggio caratterizzato dalla


contraddittorietà51.
In particolare, le determinazioni della logica hegeliana sono
strutture ontologiche in se stesse contraddittorie perché, sulla base del
loro autoriferimento negativo, si determinano come il proprio oppo-
sto, in cui allo stesso tempo realizzano compiutamente se stesse. Sulla
base di questa concezione ontologica della contraddizione, Hegel met-
te radicalmente in crisi il PNC nella sua formulazione ontologica:
La considerazione di tutto ciò che è mostra in lui stesso che nella sua
eguaglianza con sé esso è diseguale a sé e contraddittorio, e che nella sua di-
versità, nella sua contraddizione, è identico con sé52.
La comune esperienza riconosce poi essa stessa che si dà per lo meno
una quantità di cose contraddittorie, di contraddittorie disposizioni etc., la cui
contraddizione non sta semplicemente in una riflessione esteriore, ma in loro
stesse53.
“Tutte le cose sono in se stesse contraddittorie”, e ciò propriamente nel
senso che questa proposizione esprima […] la verità e l’essenza delle cose54.

Dire che tutte le cose sono in se stesse contraddittorie significa


dire che ogni cosa si caratterizza secondo quell’autocontraddittorietà
per cui è allo stesso tempo se stessa ma anche il proprio opposto. Ogni
cosa è un qualcosa che diventa l’altro da sé, è un finito che si fa infini-
to e quindi contiene in sé il momento dell’infinità, è un uno che divie-
ne molteplice, è un’identità con sé che implica allo stesso tempo una
radicale differenza da sé, un universale che si fa particolare, etc. Se
ogni determinazione può essere considerata come una definizione del-
l’assoluto, di tutto ciò che è, e se altrettanto ogni determinazione ha
necessariamente in se stessa il proprio opposto o, detto altrimenti, la
propria incompatibilità con sé, allora l’autocontraddittorietà è pervasi-
va e si espande in ogni angolo del reale. In questo senso, la critica di
Hegel al PNC nella sua formulazione ontologica è radicale.
È evidente che con la tesi della verità e del valore ontologico del-
la contraddizione Hegel non intende minare il PNC come fondamento

51 «Vielmehr verwendet Hegel den Ausdruck „Widespruch“ so, daß er etwas

Objektives, etwas an den Dingen selbst bezeichnet, über das wir sprechen» (M. WOLFF,
op. cit., p. 19).
52 WdL II, p. 261 (p. 458).
53 Ivi, p. 287 (p. 491).
54 Ivi, p. 286 (p. 490).
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La contraddizione si dice in molti modi 101

della consistenza del discorso razionale55. La tesi hegeliana della verità


della contraddizione non implica che tutte le contraddizioni siano ve-
re. Non implica cioè la tesi trivialista per cui sarebbe veramente possi-
bile affermare, all’interno del sistema hegeliano, tutto e il contrario di
tutto. La contraddizione, in Hegel, non è qualcosa che ha a che fare
primariamente con il discorso, ma con la realtà. Compito del pensiero
razionale e del discorso è portare ad esplicitazione ed espressione la
verità del reale. Dire che ogni cosa è in se stessa contraddittoria non si-
gnifica quindi che ogni contraddizione sia vera, ma che sono vere
quelle contraddizioni che costituiscono la verità delle cose stesse.
La tesi dell’autocontraddittorietà di tutte le cose non implica
nemmeno che di ogni cosa in se stessa sia possibile affermare tutto e il
contrario di tutto. L’autocontraddittorietà che costituisce l’essenza
della cose è tale per cui essa si determina non come l’identità di una
cosa con il suo astratto non essere, ma come l’identità della cosa con il
suo non essere, con il suo altro, ovvero con un opposto che sta allo
stesso tempo nella sua intrinseca natura, cioè con quell’altro da sé che
essa diventa proprio nel processo di sviluppo della sua essenza.
Il valore produttivo della contraddizione, il suo essere la verità
delle cose, non implica dunque l’inconsistenza, la destrutturazione
delle cose stesse, ma il pieno dispiegamento di ciò che sono. In questo
senso, nella logica hegeliana è possibile individuare un approccio dia-
leteista alla contraddizione. Come Priest, anche Hegel intende soste-
nere la verità non di tutte, ma di alcune contraddizioni. Come per
Priest, però, anche per Hegel si pone la questione di individuare un
criterio per distinguere tra contraddizioni vere e contraddizioni false.
Il dialeteismo si richiama alla loro valenza esplicativa – come nel caso
dei paradossi o del movimento – per cui l’ammissione della verità di
alcune specifiche contraddizioni spiega più e meglio che non la loro
negazione56. Per Hegel non è possibile usare la stessa strategia. C’è
però un criterio di verificazione all’interno del processo dialettico. So-
no vere tutte quelle contraddizioni che sono derivate tramite lo svilup-
po del contenuto intrinseco alle determinazioni logiche. Sono le deter-
minazioni stesse, in base al loro contenuto, a svilupparsi in modo auto-

55 Venanzio Raspa, in riferimento all’idea dell’unità degli opposti in Eraclito,

Cusano e Hegel, sottolinea come con questa idea essi non intendessero «contestare la
non-contraddittorietà del discorso, ma che si ponessero piuttosto il problema di dare
espressione, nel discorso, a determinate ‘realtà complesse’» (V. RASPA, In-Contraddizio-
ne, cit., p. 22).
56 Cfr. G. PRIEST, What is so Bad about Contradictions?, cit., p. 423.
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102 Ai limiti della verità

contradditorio, e quindi a mettere in luce come l’autocontraddittorietà


costituisca la loro stessa verità.

3.5. La contraddizione hegeliana


Il tratto comune delle diverse accezioni della contraddizione è
una qualche forma di negazione che, nelle sue diverse declinazioni,
consiste sostanzialmente in un qualche tipo di incompatibilità. Nella
formulazione semantica abbiamo a che fare con un’incompatibilità tra
valori di verità. Nella definizione sintattica l’incompatibilità si gioca
tra un enunciato e la sua negazione. Nel caso della formulazione prag-
matica l’incompatibilità riguarda atti linguistici. Nella formulazione
ontologica, infine, l’incompatibilità sussiste tra stati di cose.
L’intuizione per cui l’incompatibilità ha un ruolo chiave nelle
contraddizioni è presente, come mette bene in evidenza Raspa, anche
nel nostro ordinario modo di avere a che fare con la contraddizione:
Se ci fermiamo a riflettere sulla nostra esperienza personale, risulta che
usiamo comunemente il termine “contraddizione” per indicare l’esistenza di
una relazione di incompatibilità fra pensieri, proposizioni, convinzioni, oppu-
re fra pensieri e azioni, dire e fare57.

Il presupposto che sta dietro al concetto di incompatibilità, e


che trova espressione nelle diverse formulazioni del PNC, è che i di-
versi tipi di componenti, che vengono a formare i diversi tipi di con-
traddizione e che nella contraddizione risultano essere l’uno il negati-
vo dell’altro (valori di verità, enunciati, atti linguistici, stati di cose),
non possano sussistere insieme allo stesso tempo e sotto il medesimo
rispetto nello stesso soggetto. Caratterizzare gli elementi della contrad-
dizione come incompatibili presuppone già di per sé l’impossibilità
della sussistenza di un qualche tipo di contraddizione (nel discorso,
nel pensiero, nella realtà).
Quest’idea di incompatibilità viene messa radicalmente in di-
scussione nel discorso hegeliano sulla contraddizione58. Nell’analisi
della negazione determinata si è visto come essa non esprima tanto un
qualche tipo di incompatibilità, quanto piuttosto una sorta di esclusio-
ne tra ciò che nega e ciò che viene negato. Ma ciò che nega e ciò che

57 V. RASPA, In-Contraddizione, cit., p. 17.


58 Un tentativo di disattivare il valore ontologico del PNC sulla base di un con-
cetto di negazione senza incompatibilità è sviluppato anche da N.A. VASIL’EV, op. cit.,
pp. 212-213.
03_capIII_81_03_capIII_81 07/05/15 11.22 Pagina 103

La contraddizione si dice in molti modi 103

viene negato sono un unico e medesimo termine, un’unica e medesima


determinazione. La negazione in Hegel ha una struttura autoreferen-
ziale. Una medesima determinazione quindi nega o, meglio, esclude se
stessa e, nell’escludere se stessa, diventa il proprio altro. Questa dina-
mica mette radicalmente in questione l’idea dell’incompatibilità tra ciò
che nega e il termine negato: la medesima determinazione, negandosi,
diventa altro da sé, ma allo stesso tempo, in questo altro, rimane nella
propria identità con sé. In altri termini, nella propria auto-negazione,
non è incompatibile con se stessa, ma realizza compiutamente se stessa.
Il concetto hegeliano di contraddizione, dunque, si costruisce
sull’idea che dall’autoriferimento negativo di una determinazione, dal
suo escludersi da sé, dal suo determinarsi come qualcosa di altro da sé,
non derivi ancora il suo caratterizzarsi in modo incompatibile con la
sua stessa natura. Questa dinamica paradossale non implica la sua in-
consistenza, cioè l’impossibilità della sua effettiva sussistenza. Al con-
trario, è proprio solo sulla base di questa dinamica paradossale, in cui
ogni cosa è identica con se stessa solo in quanto si distingue da sé, che
ogni cosa non rimane ferma alla sua identità astratta, ma dispiega il
suo effettivo sviluppo. L’identità concreta della cosa non consiste in-
fatti nella sua fissa sussistenza in un particolare stato piuttosto che in
un altro. La sua concreta identità consiste piuttosto in un continuo
processo di auto-differenziazione, nel quale soltanto la cosa in questio-
ne è veramente ciò che è.
Ma in che modo la dinamica logica autocontraddittoria – che fin
qui è stata caratterizzata nei suoi tratti generali – si articola all’interno
del sistema logico hegeliano? Alla risposta a questa domanda sarà de-
dicata la seconda parte di questo lavoro, in cui esaminerò le diverse
declinazioni del concetto di contraddizione all’interno delle tre sezioni
della Scienza della logica. Per quanto riguarda la dottrina dell’essere,
esaminerò la contraddittorietà della prima triade dialettica di essere,
nulla e divenire e gli sviluppi contraddittori interni alla determinazio-
ne del finito. Mi concentrerò poi sullo sviluppo dialettico della con-
traddizione nelle determinazioni della riflessione all’interno della dot-
trina dell’essenza. Infine, analizzerò il ruolo che la contraddizione gio-
ca all’interno della dottrina del concetto, focalizzando la mia analisi
sulla dialettica che porta l’universalità a svilupparsi nella particolarità e
nella singolarità, e sulla funzione cruciale che la contraddizione assu-
me nella dinamica che caratterizza l’idea logica della vita.
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Capitolo Quarto
ESSERE E CONTRADDIZIONE

All’interno della Scienza della logica la contraddizione trova la


sua specifica trattazione nella dottrina dell’essenza. Nel sistema logico
hegeliano essa ha però una funzione transcategoriale perché gioca un
ruolo fondamentale nell’articolazione di tutte le determinazioni logi-
che, a partire da quelle della dottrina dell’essere1. In questo capitolo
mostrerò il modo in cui strutture contraddittorie entrano in gioco in
due determinazioni chiave della prima parte del sistema logico hegelia-
no, cioè il divenire e il finito.
Prenderò le mosse da alcune osservazioni preliminari sulla dia-
lettica della dottrina dell’essere. Procederò poi all’analisi del modo in
cui la dinamica dell’autoriferimento della negazione si trova declinata
all’interno di questa prima parte della logica ed esaminerò come essa
porti allo sviluppo dell’articolazione autocontraddittoria delle deter-
minazioni del divenire e del finito.

4.1. La dialettica dell’Übergehen


La dialettica dell’essere, cioè il modo in cui l’essere si articola e si
autodetermina, dipende dal contenuto logico dell’essere stesso. Ebbe-
ne, l’essere è «il concetto in sé [Begriff an sich]»2, cioè è già concetto, la
concreta struttura logica interna al reale, ma lo è ancora solo in sé, ov-
vero solo nella sua forma più immediata. L’essere – inteso come la pri-
ma sfera di determinazioni del sistema logico hegeliano – consiste in
quelle dinamiche che corrispondono alle relazioni tra le cose nel loro
semplice esser date, al modo in cui le cose sussistono l’una accanto al-

1 Per un inquadramento generale sulla dottrina dell’essere cfr. S. HOULGATE,


The Opening of Hegel’s Logic, Purdue University Press, West Lafayette-Indiana 2006;
A. ARNDT - C. IBER (a cura di), Hegels Seinslogik. Interpretationen und Perspektiven,
Akademie Verlag, Berlino 2000.
2 WdL I, p. 45 (p. 44).
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106 Ai limiti della verità

l’altra e al tipo di relazioni che si instaurano tra loro3. Ciò con cui non
si ha ancora a che fare è il modo in cui le cose vengono a porsi nella
realtà, a esistere, a essere fondate (di questo si occupa la dottrina del-
l’essenza), o il modo in cui si dispiegano concretamente da se stesse (di
ciò si occupa la dottrina del concetto). Sono cioè tematizzate determi-
nazioni come il qualcosa e il suo altro, il rapporto tra l’uno e i molti, re-
lazioni di carattere quantitativo ecc. e non ancora categorie che chiama-
no in causa relazioni di fondazione, di condizione, di causa-effetto, di
auto-sviluppo. In questo immediato essere date delle cose nella loro au-
tosussistenza, assumono un ruolo costitutivo determinazioni che tendo-
no a strutturarsi in modo altrettanto immediato e autosussistente.
L’identificazione di questi tratti generali delle determinazioni
dell’essere permetterà di delineare le dinamiche generali del loro pro-
cesso di autodeterminazione, ovvero, la loro dialettica. Quelle che in-
dicherò sono però solo le caratteristiche generali di queste dinamiche
e non regole che ne guidano prescrittivamente lo sviluppo. La delinea-
zione di queste caratteristiche risponde a un’esigenza di generalizza-
zione volta a mettere in luce il movimento generale della sezione, sen-
za però ancora spiegare il modo in cui questo movimento è declinato
all’interno delle singole determinazioni.
Il carattere principale delle determinazioni dell’essere è l’imme-
diatezza. Le determinazioni dell’essere, nella loro autosussistenza, non
si determinano relazionalmente, ma sulla base di una immediata ugua-
glianza con loro stesse. Esse si delimitano rispetto alle categorie oppo-
ste e sussistono non nel riferimento a queste, ma sulla base della loro
indifferenza rispetto ad esse. Tuttavia, le determinazioni dell’essere, nel
mettere in atto il proprio processo di determinazione, implicano neces-
sariamente un qualche tipo di negazione (omnis determinatio est nega-
tio), e questa negazione è sostanzialmente un «passare [Übergehen]»4.
L’Übergehen delle determinazioni dell’essere non è un passaggio
in cui la prima determinazione si mantiene nella seconda. Nella secon-
3 «Die Seinslogik ist die Sphäre der Unmittelbarkeit, weil sie die Bestimmun-
gen gegenständlicher Denkformen, d.h. Bestimmungen an gegenständlichen Substraten
erörtet» (C. IBER, Kleine Einführung in Hegels Logik, in A. ARNDT - C. IBER (a cura di),
Hegels Seinslogik. Interpretationen und Perspektiven, cit., pp. 13-32, p. 24).
4 WdL I, p. 109 (p. 119). «Concept such as ‘being’‚ ‘determinate being’, and
‘something’, although referring to their counterparts, have always pretended themselves
as more or less isolated concepts. For that reason they are merely suited to determine fi-
nite objects» (K. DE BOER, On Hegel, cit., p. 60); cfr. anche S. BUNGAY, The Hegelian
Project, in H.T. ENGELHARDT - T. PINKARD (a cura di), Hegel reconsidered, Kluwer Aca-
demic Publisher, Dordrecht-Boston-Londra 1994, pp. 19-42, p. 26.
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Essere e contraddizione 107

da determinazione la prima non si dà più. Nel § 84 dell’Enciclopedia


Hegel riassume i caratteri fondamentali della dialettica dell’essere:
L’essere è il concetto soltanto in sé; le determinazioni dell’essere sono
soltanto in quanto sono, e nella loro distinzione restano estranee le une alle
altre; la loro ulteriore determinazione (la forma dialettica) è un trapassare in al-
tro [ein Uebergehen in Anderes]. Questa ulteriore determinazione è, insieme,
un por fuori, e con ciò uno svolgersi del concetto che prima era in sé, e pari-
menti un insearsi dell’essere, un profondarsi di questo in se stesso5.

Hegel sottolinea l’estraneità e l’indipendenza di ogni determina-


zione, l’escludere da sé la determinazione opposta. Questa esclusione
però è già di per sé una relazione ad altro che necessariamente sta fuo-
ri dalla sua pretesa autosussistenza. La determinazione si rapporta a
quella stessa determinazione da cui, per sua natura, si pretende indi-
pendente6 e, proprio in questa relazione, toglie immediatamente se
stessa – la propria immediata autossistenza – e passa nel proprio altro.
In altri termini, nella sua immediatezza e indipendenza la determina-
zione non riesce a sostenere il necessario rapporto con la determina-
zione opposta che essa stessa implica. Quindi, non potendo mantener-
si in questa alterità, non può fare altro che trapassare in essa.

4.2. La negatività nella dottrina dell’essere


Il trapassare di ogni determinazione nella determinazione oppo-
sta è la manifestazione della negatività intrinseca alle determinazioni
dell’essere. Questa negatività è implicitamente contenuta già nella
semplice immediatezza di queste determinazioni, che sono caratteriz-
zate dalla autosussistenza e indipendenza dalle determinazioni oppo-
ste. L’im-mediatezza, l’auto-sussistenza e l’in-dipendenza non sono al-
tro che la negazione della mediazione, della sussistenza e della dipen-
denza delle determinazioni dalle determinazioni opposte. Ma questa
negazione è già un rapporto di mediazione, è già una sussistenza nelle
e una dipendenza dalle determinazioni opposte che per loro natura
escludono.
La negatività delle determinazioni dell’essere consiste, perciò, in
un’esclusione del rapporto ad altro che è già un rapporto ad altro.

5 Enz, p. 121 (p. 99).


6 «The categories of the logic of being […] ‘pass over’ into other categories
with which they appear to be unrelated» (S. HOULGATE, Freedom, Truth and History.
An Introduction to Hegel’s Philosophy, Blackwell, Malden 2005, p. 58).
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108 Ai limiti della verità

Quest’esclusione, quindi, è tale per cui essa esclude se stessa. Alla base
di questa dialettica sta l’autoriferimento della negatività sulla base del
quale le determinazioni logiche si costituiscono in modo autocontrad-
dittorio. Infatti, nell’escludere la propria stessa esclusione, una deter-
minazione toglie se stessa nella determinazione opposta. Questa nega-
tività fonda il passaggio nella determinazione opposta. Le determina-
zioni dell’essere realizzano la propria concreta natura proprio in que-
sto passaggio in cui sono, allo stesso tempo e sotto il medesimo rispet-
to, se stesse e la determinazione opposta.
Non è possibile distinguere il rispetto secondo cui le determina-
zioni sono indipendenti e autosussistenti da quello per cui esse si costi-
tuiscono nel necessario rapporto all’altro. La negatività che fonda il te-
nersi lontano di ogni determinazione da quella opposta è la stessa che
implica il suo necessario rapporto con essa, proprio perché tale tenersi
lontano, tale esclusione, è già di per sé questo costitutivo rapporto, che
culmina nel contraddittorio passaggio nella determinazione opposta7.
L’effettivo modo di articolarsi delle determinazioni dell’essere è
piuttosto precario, perché si radica sulla contraddittorietà di un pas-
saggio che si toglie nel compimento del passaggio stesso. È una con-
traddittorietà che le determinazioni non sono in grado di sopportare.
Nell’essere la contraddizione è principio di una determinatezza che è
portata a togliere immediatamente se stessa, come avviene ad esempio
nelle determinazioni del divenire e del finito.

4.3. La contraddizione del puro essere e del puro nulla


La pretesa di individuare già all’inizio del sistema logico il seme
della contraddizione può sembrare paradossale. L’essere cui Hegel fa
qui riferimento è «puro essere, – senza nessun’altra determinazione»8.
Com’è possibile anche solo pensare di cercare la contraddizione, di
cercare qualcosa, in ciò che non è caratterizzato da nulla, cioè nell’as-
solutamente immediato, privo di ogni determinazione?
Hegel definisce l’essere così:
Essendo indeterminato, è un essere privo di qualità; ma in sé il carattere
dell’indeterminatezza non gli compete che per contrapposto al determinato,
ossia al qualitativo. […] ma con questo è la sua indeterminatezza stessa, quella

7 «Nell’esserci è già posto ciò che contiene e produce la contraddizione di


quelle astrazioni, e quindi il loro passare» (WdL I, p. 86 (p. 90)).
8 Ivi, p. 68 (p. 70).
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Essere e contraddizione 109

che costituisce la sua qualità. Si mostrerà quindi che il primo essere è un essere
in sé determinato9.

L’essere è assolutamente indeterminato, ma questa indetermina-


tezza è la sua propria determinatezza10. L’essere è quindi implicita-
mente autocontraddittorio.
L’autocontraddittorietà dell’essere si struttura sulla sua negati-
vità, che è pura astrazione. Esso prescinde da qualsiasi rapporto con
ciò che è altro da sé o, in altri termini, è ciò che nega qualsiasi tipo di
relazione ad altro. Quindi, se omnis determinatio est negatio e se la ne-
gatività dell’essere è l’assoluta astrazione da qualsiasi rapporto ad al-
tro, allora l’essere si determina come l’assolutamente astratto, assoluta-
mente indeterminato11. La sua astratta negatività si esplicita nella sua
immediata identità con se stesso. Nell’astrarre da ogni relazione ad al-
tro, l’essere è semplicemente identico solo a sé, perché è in relazione
solo a se stesso12.
Proprio sulla base di questa astrazione e di questa immediata
identità con sé, però, l’essere perviene altrettanto a negare se stesso e a
passare nella determinazione opposta, il nulla13:
L’indeterminatezza è opposta alla determinatezza. Come opposto, è
quindi essa stessa il determinato, o negativo, e precisamente il negativo puro,
del tutto astratto. È questa indeterminatezza o negazione astratta, che l’essere
ha così in se stesso, ciò che la riflessione tanto esterna quanto interna enuncia,
in quanto pone l’essere come eguale al nulla, ossia lo dichiara un vuoto «ente
di ragione», un nulla14.

Sulla base della sua pura negatività, l’essere astrae da ogni deter-
minazione e si determina come l’assolutamente indeterminato: il nulla.
La sua è una determinatezza che toglie se stessa perché la stessa negati-
vità sulla base della quale dovrebbe determinarsi è tale per cui toglie se

9 Ivi, p. 68 (p. 69).


10 «L’essere, nella sua immediata indeterminatezza, è negativamente determina-
to» (L. LUGARINI, Orizzonti hegeliani di comprensione dell’essere, Guerini e Associati,
Milano 1998, p. 150).
11 «Si tratta soltanto della negazione astratta, immediata, del nulla preso pura-

mente per sé, della negazione irrelativa» (WdL I, p. 70 (p. 71)).


12 «Nella sua indeterminata immediatezza esso è simile soltanto a se stesso» (ivi,

p. 68 (p. 70)).
13 «Gerade insofern das reine Sein unbestimmte Unmittelbarkeit ist, negiert es si-

ch selbst, geht ins Nichts über, ist dasselbe wie das Nichts» (G. MOVIA, Über den Anfang
der Hegelschen Logik, in A.F. KOCH - F. SCHICK (a cura di), op. cit., pp. 11-26, p. 20).
14 WdL I, p. 86 (p. 90).
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110 Ai limiti della verità

stessa, nega se stessa. Infatti, proprio questa negatività è un rapporto ad


altro, perché la negazione di qualsiasi rapporto ad altro è già di per sé
un qualche tipo di rapporto ad altro. In quanto negazione di ogni rap-
porto ad altro, essa però nega anche se stessa e lascia il contenuto del-
l’essere completamente indeterminato e privo di qualsiasi sussistenza
logica. Si tratta di una negatività che ha un carattere autoreferenziale e
che porta l’essere a determinarsi in modo autocontraddittorio.
Infatti, nella negazione di qualsiasi tipo di negatività, di qualsiasi
tipo di rapporto ad altro che lo porterebbe a determinarsi in un qual-
che modo, l’essere nega se stesso, è l’assolutamente indeterminato. Il
suo contenuto non ha alcun tipo di consistenza e passa quindi nel pro-
prio altro, il nulla. Nella sua negatività l’essere contiene già in sé il mo-
mento dell’alterità. Allo stesso tempo, nell’esplicitazione di questa ne-
gatività, l’essere non ha alcuna autosussistenza e non può che trapassa-
re nel nulla15. Proprio in questo passaggio, in questo togliersi nella de-
terminazione opposta, l’essere è in se stesso contraddittorio.
Quella in questione è una contraddizione dell’essere non rispetto
alla determinazione opposta, ma rispetto a se stesso; è cioè un’autocon-
traddizione, che si origina sulla base del contenuto logico dell’essere e,
in particolare, dell’astratta negatività che fa sì che esso si costituisca co-
me l’assolutamente indeterminato. La contraddizione non è dunque il
segnale dell’errore dell’intelletto che pensa l’essere in modo astratto.
Hegel fa riferimento anche alla contraddizione in questo senso critico-
negativo: l’intelletto considera solo l’immediata autosussistenza dell’es-
sere di fronte al nulla, la sua immediata identità con sé, e non riconosce
il necessario passaggio nella determinazione opposta che la sua stessa
autosussistenza implica. L’intelletto tende a «fissare ciascuno per sé
quei suoi prodotti, l’essere e il nulla, e mostrarli come garantiti contro il
passare»16, ma questo fissare l’essere nella sua astratta identità implica
proprio quella contraddizione da cui l’intelletto rifugge.
In una tal determinazione sta in sé e per sé il suo proprio opposto […],
quella determinazione riflessiva è da confondere in se stessa col prenderla tal

15 Il passaggio dell’essere nel nulla non si basa semplicemente sulla constatazio-

ne che entrambi sono l’assolutamente indeterminato e vuoto. Se così fosse, l’identità tra
le due determinazioni sarebbe semplicemente esterna. L’essere passa nel nulla perché è
l’assolutamente vuoto e indeterminato, ma questo non significa che il passaggio si basi
su una semplice identità di caratterizzazione. Il dileguarsi dell’essere nel nulla si fonda
sul fatto che il suo essere vuoto e indeterminato lo porta all’impossibilità di sussistere di
per se stesso e, quindi, alla necessità di passare nel proprio altro.
16 Ivi, p. 81 (p. 83).
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Essere e contraddizione 111

quale si dà e col mostrare in lei stessa il suo altro. Sarebbe una fatica vana di vo-
ler come precludere tutti i ripieghi e tutte le trovate della riflessione e del suo
ragionamento, affin di toglierle e di renderle impossibili quei sotterfugi e quelle
scappatoie con cui nasconde a se stessa la propria contraddizione contro di sé17.

L’essere, nella sua assoluta astrazione è assolutamente indetermi-


nato e assolutamente identico al nulla. Un pensiero che tiene fermo
l’essere alla propria astratta identità non riesce a scampare la contrad-
dizione che costituisce la natura stessa dell’essere, il suo immediato e
contraddittorio passaggio nella determinazione opposta.
La contraddizione dell’intelletto non è però priva di relazioni
con quella che segna la concreta natura dell’essere. Anzi, non è altro
che il riflesso negativo di tale contraddizione:
la sintesi contiene e mostra la non verità di quelle astrazioni. Queste vi
stanno in unità col loro altro, epperò non come sussistenti per sé, non come
assolute, ma semplicemente come relative18.

L’unità dell’essere con il nulla, la loro contraddizione mostra la


non sussistenza delle determinazioni considerate semplicemente come
indipendenti e autosussistenti. Nella loro autosussistenza le determina-
zioni si mostrano come non sussistenti – contraddizione dell’intelletto –
ma questa non sussistenza è il loro sussistere solo nel contraddittorio
passaggio nella determinazione opposta – contraddizione della ragione.
La contraddizione dell’intelletto e la contraddizione della ragio-
ne sono in realtà la stessa contraddizione, che consiste nel passaggio
dall’essere al nulla, in cui le determinazioni opposte sono identiche.
Dal lato dell’intelletto, questo passaggio è contraddittorio rispetto al-
l’assunzione di partenza dell’astratta identità di ogni determinazione
con se stessa, assunzione che quindi va necessariamente tolta. Dal lato
della ragione, questo passaggio è contraddittorio in se stesso e non è
altro che lo sviluppo del contenuto logico dell’essere. Esso corrispon-
de alla dinamica logica che consegue alla sua astratta indeterminatezza
ed è quindi la sua verità. Ma se la contraddizione è la verità dell’essere,
che cosa spinge il processo dialettico ad andare oltre questa verità?
In una concezione standard della verità intesa come proprietà di
proposizioni, la contraddizione fa progredire un processo argomenta-
tivo solo in quanto falsa, sulla base di un avanzamento conoscitivo per
tentativi ed errori. In Hegel la verità non è però la proprietà di una

17 Ivi, p. 81 (p. 84).


18 Ivi, p. 89 (p. 89).
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112 Ai limiti della verità

proposizione che esprime lo stare dell’essere in un modo piuttosto che


in un altro. La verità di ogni determinazione logica è la dinamica attra-
verso cui essa viene a realizzare ciò che effettivamente è o, in altri ter-
mini, ad articolare compiutamente il proprio contenuto logico. Nel ca-
so dell’essere, questa dinamica logica – la sua verità – è il suo contrad-
dittorio passaggio nel nulla, che implica però altrettanto il togliersi
dell’essere in questa nuova determinazione. La contraddizione, quindi,
è sia la verità dell’essere, sia il motore del processo dialettico, perché la
verità dell’essere che essa dispiega è il toglimento dell’essere stesso nel
nulla e quindi il passaggio in una nuova determinazione.
La dialettica interna all’essere e la contraddittorietà che essa impli-
ca contraddistinguono anche la determinazione opposta, il nulla. Anche
il nulla si determina in base a una negatività del tutto astratta e immedia-
ta – è «completa vuotezza, assenza di determinazione e di contenuto»19
– per cui sta nella sua astratta e immediata uguaglianza con sé – il nulla è
nulla, «è semplice somiglianza con sé […] indistinzione in se stesso»20.
Questa astratta negatività è quella di un’assoluta indeterminatezza che,
proprio in quanto opposta alla determinatezza, ha una propria determi-
natezza, e quindi è essere. Il nulla come tale, nella sua assoluta astrazio-
ne e negazione di ogni rapporto ad altro, si determina infatti come il
non sussistente, l’immediato dileguare nella determinazione opposta: «il
nulla è così la stessa determinazione o meglio assenza di determinazione,
epperò in generale lo stesso, che il puro essere»21.
La dinamica dell’autocontraddittorietà dell’essere e del nulla, nel
passaggio dall’uno all’altro, rimanda allo schema esplicativo della con-
traddizione delineato in riferimento all’autoreferenzialità della nega-
zione nei paradossi logici. Se e è l’essere e n il nulla, si ha che:
(1) e → ¬e (¬e = n)
(2) (n = ¬e) n→e
allora
(3) e ↔ n
In (1) l’essere si determina sulla base di un rapporto ad altro, di
una negatività, che è la negazione di qualsiasi tipo di rapporto ad altro.
Quella dell’essere è una negatività che nega se stessa (e → ¬e), una ne-
gatività che lo lascia completamente indeterminato, il nulla (¬e = n).

19 Ivi, p. 69 (p. 70).


20 Ibidem.
21 Ibidem.
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Essere e contraddizione 113

In (2) il nulla è la negazione di qualsiasi tipo di rapporto ad altro (n =


¬e). Ma questa è già una negatività che lo determina, e lo determina
come opposto alla determinatezza. Il nulla è il vuoto essere assoluta-
mente indeterminato (n ↔ e). In (3) si dispiega il risultato di questa
dialettica, per cui l’essere è una determinazione che si mostra assoluta-
mente indeterminata e che, quindi, dilegua nel nulla, mentre il nulla è
un assolutamente indeterminato che si mostra essere una determina-
zione e che, quindi, dilegua nell’essere. Dal momento che l’uno è il ne-
gativo dell’altro, sia essere sia nulla sono in se stessi contraddittori.
Proprio questo autocontraddittorio svanire dell’essere nel nulla
e del nulla nell’essere porta allo sviluppo della prima unità degli oppo-
sti – il divenire – in cui essi trovano la propria verità:
La verità dell’essere e del nulla è pertanto questo movimento consisten-
te nell’immediato sparire dell’uno di essi nell’altro: il divenire; movimento in
cui l’essere e il nulla son differenti, ma di una differenza, che si è in pari tempo
immediatamente risoluta22.

La Wahrheit dell’essere e del nulla non consiste quindi nella loro


sussistenza astratta e indipendente dalla determinazione opposta, ma
nel loro immediato sparire l’uno nell’altro, nel venir meno della loro
autosussistenza. Tra di essi sussiste immediatamente una differenza
che viene altrettanto immediatamente tolta.
Il divenire raccoglie in sé l’autocontraddittorietà dei due momen-
ti su cui si costituisce ed è «questa unità di essere e nulla» che «sta or-
mai una volta per sempre per base qual verità prima, costituendo l’ele-
mento di tutto quel che segue, tutte le ulteriori determinazioni logiche
[…], l’esser determinato, la qualità, e in generale tutti i concetti della fi-
losofia, sono esempi di essa unità»23. Nel divenire, sia l’essere che il
nulla sono il movimento logico in cui ognuna delle due determinazioni
è se stessa non solo pur essendo il proprio altro, ma proprio perché è,
ossia diviene, questo suo altro. Far luce sul modo in cui questa contrad-
dittorietà si trova implementata nel divenire consentirà quindi di mette-
re in chiaro una dinamica che permea l’intero sistema logico.

4.4. L’identità dell’identità e della non identità di essere e nulla


Condizioni necessarie al costituirsi del divenire sono sia l’iden-

22 Ivi, pp. 69-70 (p. 71).


23 Ivi, p. 72 (pp. 73-74).
04_capIV_105_04_capIV_105 07/05/15 11.30 Pagina 114

114 Ai limiti della verità

tità che la differenza di essere e nulla:


Il puro essere e il puro nulla son dunque lo stesso. Il vero non è né l’esse-
re né il nulla, ma che l’essere, – non passa, – ma è passato, nel nulla, e il nulla
nell’essere. In pari tempo però il vero non è la loro indifferenza, la loro indi-
stinzione, ma è anzi ch’essi non son lo stesso, ch’essi sono assolutamente diver-
si, ma insieme anche inseparati e inseparabili, e che immediatamente ciascuno
di essi sparisce nel suo opposto24.

Prendo le mosse dall’identità di essere e nulla. Essa si dà nel di-


venire non come «l’unilaterale o astratta unità dell’essere e del nul-
la»25, non è cioè un’identità che si pone sul piano della prospettiva
esterna di un soggetto che considera determinazioni logiche che, pur
definite dalle stesse caratteristiche, rimangono distinte e indipenden-
ti26. Essa è piuttosto un’identità che si origina sulla base della natura
stessa dell’essere e del nulla, ovvero della loro dialettica che, nella loro
astrazione, li porta necessariamente a passare l’uno nell’altro27. Il dive-
nire è appunto «questo movimento, che il puro essere è immediato e
semplice, che perciò esso è parimenti il puro nulla, che la loro diffe-
renza è, ma insieme anche si toglie e non è»28. Il divenire è il risultato
del costante dileguare dell’essere nel nulla e viceversa, e del togliersi,
in questo dileguare, della loro differenza, per cui essi risultano pro-
priamente identici.
L’identità è quindi una condizione necessaria al costituirsi del
divenire. Ciò non significa che essa sia anche una condizione sufficien-

24 Ivi, p. 69 (p. 71).


25 Ivi, p. 79 (p. 81).
26 «Das Nichts setzt sich daher nicht von außen dem Sein entgegen, sondern

das Sein ist Nichts an sich selbst. Die absolute Unbestimmtheit des Seins sorgt dafür,
daß es, gerade durch seine einfache Identität mit sich selbst, sich selbst negiert, sich wi-
derspricht und sein Gegenteil übergeht» (G. MOVIA, Über den Anfang der Hegelschen
Logik, cit., p. 18).
27 Hegel individua negli infinitesimali un esempio dell’identità dell’essere e del

nulla all’interno della scienza che sembra attenersi nel modo più fermo al paradigma
dell’intelletto, ossia la matematica. Gli infinitesimali sono grandezze tali che, nel loro
sparire, si determinano come intrinsecamente contraddittorie, poiché sussistono in una
sorta di stato intermedio tra l’essere e il nulla. Cfr. WdL I, pp. 91-92 (p. 97). Sulla que-
stione degli infinitesimali nella Scienza della Logica cfr. A. MORETTO, Matematica e con-
traddizione nella “Logica di Jena” (1804-1805) di Hegel, in «Verifiche», X (1981), n. 1-3,
pp. 291-301; ID., Hegel e la matematica dell’infinito, Verifiche, Trento 1984; ID., Que-
stioni di filosofia della matematica nella Scienza della Logica di Hegel, Verifiche, Trento
1988; ID., Filosofia della matematica e della meccanica nel sistema hegeliano, Il Poligrafo,
Padova 2003.
28 WdL I, p. 79 (p. 81).
04_capIV_105_04_capIV_105 07/05/15 11.30 Pagina 115

Essere e contraddizione 115

te all’articolazione di tale struttura logica. Lo svanire di ciascuna de-


terminazione nell’altra è il venir meno della loro differenza. Senza la
sussistenza di questa differenza, però, la differenza stessa non può es-
sere tolta e, quindi, il divenire non può costituirsi come tale: «L’essere
e il nulla stanno nel divenire solo come dileguantesi; ma il divenire, co-
me tale, non è che in forza della loro diversità»29.
Quindi non solo l’identità, ma anche la differenza di essere e nul-
la è una condizione necessaria alla costituzione del divenire. L’identità
delle due determinazioni non è fissa e stabile, ma si articola come to-
glimento immediato della differenza tra le due determinazioni e, quin-
di, implica necessariamente questa differenza. Solo a partire dalla loro
differenza esse possono passare l’una nell’altra.
Ma che tipo di differenza può sussistere tra due determinazioni
del tutto indeterminate, astratte e immediate? La loro – scrive Hegel –
è «una differenza solo opinata [gemeynten]»30:
s’intende, o si opina [man meynt], che l’essere sia anzi l’assoluto Altro
che il nulla, e niente è più chiaro della loro assoluta differenza, e niente sem-
bra più facile, che di poterla assegnare31.

Quando Hegel fa riferimento a questo meinen sembra indicare il


senso comune, il piano del noto, un noto che però può essere solo in-
tuito e non conosciuto: quello in questione non è un contenuto che è
possibile portare a trasparenza concettuale. Ciò dipende non dai limiti
del pensiero che pensa il divenire, ma dalla natura stessa della diffe-
renza tra essere e nulla. Queste determinazioni sono assolutamente in-
determinate e immediate e perciò la loro stessa differenza è assoluta-
mente indeterminata e immediata32. Per questo non può essere artico-
lata tramite il pensiero, che è l’attività mediatrice per eccellenza. La
differenza tra essere e nulla può essere solo intuita33. Ciò non significa

29 Ivi, p. 93 (p. 99).


30 Ivi, p. 79 (p. 81).
31 Ibidem.
32 «La lor differenza è quindi intieramente vuota. Ciascuno dei due è in egual

misura l’indeterminato» (ivi, p. 79 (p. 82)).


33 Per Hegel si tratta di una differenza «ineffabile» perché «se l’essere e il nulla

avessero qualche determinatezza, per cui si distinguessero, allora […] sarebbero un es-
sere e un nulla determinati, e non già quel puro essere e quel puro nulla» (ivi, p. 79 (pp.
81-82)). La differenza può essere solo intuita e, in questo senso, Hegel ricorre all’imma-
gine della pura luce e del puro buio come metafore dell’essere e del nulla: «nell’assoluta
chiarezza non si vede né più né meno che nell’assoluta oscurità, e che così l’uno come
l’altro vedere sono un puro vedere, un veder nulla. La pura luce e la pura oscurità son
04_capIV_105_04_capIV_105 07/05/15 11.30 Pagina 116

116 Ai limiti della verità

che non sussista, ma che è una differenza immediata, assolutamente


indeterminata34. Non solo: la differenza tra essere e nulla è tale per cui
immediatamente si toglie, ma altrettanto immediatamente risorge.
Questo immediato togliersi e risorgere della differenza fra essere e nul-
la è proprio ciò in cui consiste il perenne movimento del reciproco di-
leguare di essere e nulla. Tale dileguare è la dialettica di quell’intero
che è la verità di queste determinazioni, ossia il divenire:
La differenza non sta perciò in loro stessi, ma solo in un terzo, nell’inten-
dere e nell’opinare. Ma l’intendere od opinare è una forma del soggettivo, e il
soggettivo non si appartiene a quest’ordine d’esposizione. Se non che il terzo, in
cui l’essere e il nulla hanno la loro sussistenza, si deve presentare anche qui; e si
è presentato anche qui: è il divenire. È nel divenire, che l’essere e il nulla sono
come diversi: il divenire è solo in quanto essi sono diversi. Un tal terzo è un altro
che l’essere e il nulla. Dir che questi sussistono solo in un altro, è dire insieme
che non sussiston per sé. Il divenire è il sussistere tanto dell’essere, quanto del
non essere. Vale a dire che il loro sussistere non è che il loro essere in uno. È ap-
punto questo loro sussistere, che toglie [aufhebt] insieme la lor differenza35.

La differenza tra l’essere e il nulla, quindi, sta solo in quel terzo


in cui l’essere e il nulla hanno la loro effettiva sussistenza, cioè la loro
verità. Questo terzo è il divenire, che si sostanzia di questa stessa diffe-
renza. Ciascuna delle due determinazioni opposte, nel togliersi e pas-
sare immediatamente nel proprio altro, implica già la differenza dal
proprio altro.
Quindi la differenza tra l’essere e il nulla è immediata e non arti-
colabile concettualmente, ma è anche già immediatamente implicata
da quella che si mostra essere la loro intrinseca verità, il loro divenire.
L’essere e il nulla – e la loro stessa differenza – sussistono solo nel di-
venire, perché solo nel divenire si dà la loro verità, una verità che con-
siste nel loro dileguarsi nella determinazione opposta.
Ma qual è la relazione che lega l’identità e la differenza tra essere
e nulla all’interno del divenire? Entrambe, identità e differenza, imme-

due vuoti, che son lo stesso» (ivi, p. 80 (p. 83)). Questa metafora rende l’idea di come
essere e nulla siano assolutamente indeterminati, come la pura luce e il puro buio sono
l’indeterminatezza del vedere. Questo però non impedisce di intuire un’assoluta diffe-
renza tra i due.
34 Proprio perché la loro differenza è immediata, il passaggio dall’essere al nulla

è immediato, «sta ancora nascosto. Poiché l’essere viene posto soltanto come immediato,
il nulla vi prorompe solo immediatamente» (ivi, p. 86 (p. 90)). Proprio perché immedia-
to, il passaggio non è comprensibile ed esplicitabile concettualmente.
35 Ivi, p. 79 (p. 82).
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Essere e contraddizione 117

diatamente si pongono e si tolgono nel processo del divenire. Nel pas-


saggio dall’essere al nulla, la loro differenza si toglie e si dà la loro
identità. Allo stesso tempo, questo dileguare dell’essere nel nulla con-
duce al nulla e all’immediato risorgere della differenza tra i due. Anco-
ra una volta, però, la differenza è tale per cui immediatamente si toglie
nello svanire del nulla nell’essere. Da ciò consegue il nuovo immediato
ricostituirsi della differenza dell’essere rispetto al nulla, da cui riparte
la dialettica del passaggio immediato dell’uno nell’altro.
Questa immediata posizione e l’immediato toglimento dell’iden-
tità e della differenza di essere e nulla sono un unico movimento dia-
lettico, ovvero il movimento dialettico del divenire. Identità e differen-
za stanno nell’identità di quest’unica dinamica logica, che quindi si
struttura come un’identità dell’identità e della differenza (non identità)
di essere e nulla: il divenire è l’essere che non è, e il nulla che è. Ognu-
no sussiste solo nel movimento in cui si toglie nell’altro e solo come
momento immediatamente dileguantesi all’interno del divenire36.
Quest’identità dell’identità e della non identità di essere e nulla sta alla
base della struttura autocontraddittoria del divenire:
Il divenire è lo sparire dell’essere nel nulla, e del nulla nell’essere, e lo
sparire, in generale, dell’essere e del nulla; ma allo stesso tempo riposa sulla lo-
ro differenza. Il divenire si contraddice dunque in se stesso, poiché unisce in
sé quello che è contrapposto a se stesso37.

L’essere e il nulla sussistono in una differenza che toglie se stessa


nello svanire dell’uno nell’altro. È una differenza che ha il proprio
tratto caratterizzante solo nel suo essere, allo stesso tempo, la sua stes-
sa negazione. Questa differenza che toglie se stessa non è altro che
l’autoreferenziale negatività su cui si costituisce la natura autocontrad-
dittoria dell’essere e del nulla e che viene compiutamente esplicitata
nell’autocontraddittorietà della struttura logica del divenire.

4.5. L’Aufhebung della contraddizione del divenire


Il divenire, e con esso la struttura contraddittoria che ne sta alla

36 «Ma in quanto l’essere e il nulla son ciascuno come non separato dal suo al-

tro, non sono. L’essere e il nulla, dunque, sono, in questa unità, ma però come dileguan-
tisi, soltanto come tolti. Dall’indipendenza in cui erano stati presi prima essi decadono a
momenti, i quali sono ancora diversi, ma nello stesso tempo son tolti [aufgehobenen]»
(ivi, p. 92 (p. 98)).
37 Ivi, pp. 93-94 (p. 99).
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118 Ai limiti della verità

base, si toglie nell’essere determinato. Il dileguarsi di essere e nulla


è quindi il dileguarsi del divenire o il dileguarsi del dileguarsi stesso. Il
divenire è una sfrenata inquietudine che precipita in un risultato calmo […]. Il
divenire si contraddice dunque in se stesso, poiché unisce in sé quello che è
contrapposto a se stesso; ma una tale unione si distrugge38.

Il divenire è portato a togliere se stesso perché è il togliersi del-


l’assoluta differenza di essere e nulla nel passaggio da una determina-
zione all’altra. Ma il divenire si alimenta di questa stessa differenza, il
cui venir meno quindi comporta il venir meno del divenire stesso. Il
venir meno del divenire corrisponde a quello che Hegel definisce co-
me il «dileguarsi del dileguare», che implica anche il superamento
[Aufhebung] della contraddittorietà che caratterizza la processualità
stessa del dileguare o, detto più semplicemente, implica il toglimento
della contraddizione del divenire. Il divenire è un divenuto e il divenu-
to non è altro che l’essere determinato39.
Visto che il divenire viene superato nell’essere determinato, allo-
ra si potrebbe pensare che esso sia un processo meramente apparente
e che la sua contraddittorietà sia qualcosa di semplicemente falso.
Niente sarebbe però più lontano dal modo hegeliano di concepire il
processo dialettico. Il superamento del divenire nell’essere determina-
to non comporta l’eliminazione del divenire, ma il suo essere contrad-
distinto da uno specifico tipo di processualità che non si esaurisce in
se stessa, che non è tutto ciò che è e che ha un esito determinato che
va al di là di se stessa40. Il suo venir meno non implica che la contrad-
dittorietà che ne contraddistingue la struttura sia qualcosa di falso di
cui ci si debba liberare per sviluppare una conoscenza adeguata della

38 Ibidem.
39 «Per esserci il concetto del divenire occorre che ci siano l’essere e il nulla; il
divenire si basa sulla loro diversità, sul fatto che dall’uno si va all’altro. Ma siccome non
si tengon fermi, dileguano e sparisce questa loro diversità: ma, con ciò, sparisce anche il
divenire che a quella diversità si teneva» (M. CINGOLI, La qualità della Scienza della Lo-
gica di Hegel, cit., p. 106).
40 Per Hegel ogni determinazione può essere vista come una definizione dell’as-

soluto. Allo stesso tempo, però, ogni determinazione è una definizione dell’assoluto che
mostra necessariamente la propria inadeguatezza perché non in grado di dispiegare
compiutamente ciò che l’assoluto è (una vera e propria articolazione dell’assoluto si dà
solo con il completo sviluppo del sistema logico, in cui viene portato a compimento il
processo di autodeterminazione del pensiero). Questo spiega perché nel sistema logico
hegeliano ogni determinazione attraversi uno sviluppo del proprio contenuto che va al
di là della determinazione stessa verso ulteriori determinazioni che articolano nuovi
campi del pensiero e della realtà.
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Essere e contraddizione 119

cosa in questione. La contraddizione del toglimento della differenza


dell’essere e del nulla nel passaggio da una determinazione all’altra è la
verità del divenire stesso, la sua concreta articolazione. Proprio questa
stessa articolazione è ciò che porta la processualità del divenire a esau-
rirsi nell’essere determinato.
Il fatto che la contraddizione costituisca la verità del divenire
non è perciò incompatibile col fatto che il divenire, per sua stessa na-
tura, sia superato nell’essere determinato. Anzi, è la contraddittorietà
stessa del divenire a far sì che in esso avvenga questo passaggio. La ve-
rità stessa del divenire in quanto divenire – e quindi nella sua autocon-
traddittorietà – è quella di divenire un divenuto, ovvero di togliersi
nell’essere determinato. Il togliersi del divenire nell’essere determinato
è la compiuta realizzazione della contraddittorietà intrinseca al diveni-
re, perché non è altro che ciò che risulta da essa.
In questo modo, l’Aufhebung della contraddizione del divenire è
effettivamente un passaggio in cui questa determinazione è tolta e su-
perata in una nuova determinazione, ma allo stesso tempo è anche
conservata in questa. Infatti, è proprio l’unità di essere e nulla a per-
manere nell’essere determinato non più come unità di due elementi di-
leguantesi l’uno nell’altro, ma come «risultato calmo», come quieta
unità di questi due elementi41.

4.6. La contraddizione dell’essere determinato. Il finito


La contraddizione emersa al cuore del divenire trova una nuova
declinazione con la determinazione del finito all’interno dell’essere de-
terminato. Nelle pagine che seguono analizzerò il processo di autode-
terminazione del finito, l’autoreferenzialità della negatività che lo co-
stituisce e lo specifico modo in cui la contraddizione viene a giocare
un ruolo chiave al suo interno42.

41 «La parola togliere [Aufheben] ha nella lingua il doppio senso, per cui val

quanto conservare, ritenere [aufbewahren, erhalten], e nello stesso tempo quanto far ces-
sare, metter fine [aufhören lassen, ein Ende machen]» (WdL I, p. 94 (p. 100)). Cfr. F.
CHIEREGHIN, Nota sul modo di tradurre «Aufheben», cit., pp. 233-249.
42 Per un’analisi della dialettica del finito cfr. G. MOVIA, Finito e infinito e l’i-

dealismo della filosofia. La logica hegeliana dell’essere determinato, in «Rivista di filosofia


neoscolastica», LXXXVI (1994), n. 1, pp. 110-133 (prima parte) e n. 2, pp. 323-357 (se-
conda parte); G. MENDOLA, Lo statuto logico del ‘finito’ in Hegel, in «Verifiche», XXXII
(2003), n. 3-4, pp. 211-254.
04_capIV_105_04_capIV_105 07/05/15 11.30 Pagina 120

120 Ai limiti della verità

4.6.1. Dal limite al finito. La negatività costitutiva della finitezza


La determinazione del finito viene messa a tema all’interno della
sezione sull’essere determinato, e cioè della sfera logica che include
ogni cosa in quanto è un qualcosa che si distingue e si determina attra-
verso la relazione negativa a ciò che è altro da sé. Più in particolare,
nella determinazione del finito viene dispiegata la dinamica che costi-
tuisce il modo d’essere delle cose appunto in quanto finite, in quanto
cessano e passano in qualcosa d’altro da ciò che sono.
La determinazione del finito è lo sviluppo dialettico della deter-
minazione del limite e ne esplicita compiutamente l’intrinseca con-
traddittorietà43. Il finito «è l’inquietudine del qualcosa, che consiste
nell’essere, nel suo limite in cui è immanente, la contraddizione, che lo
spinge oltre se stesso»44. Nel limite il qualcosa è separato ma allo stes-
so tempo identico con il suo altro45. Il limite è il punto di scontro del
qualcosa con tutto ciò che è altro da sé, è il punto che distingue il
qualcosa dal suo altro; ma, allo stesso tempo, è anche il punto in cui il
qualcosa incontra il proprio altro ed è identico con esso46. Ma quest’i-

43 In questa seconda parte del capitolo chiamerò in causa la dialettica di due


determinazioni fondamentali all’interno della sezione dedicata all’essere determinato,
ovvero il concetto di limite (Grenze) e di termine (Schranke). La distinzione tra i due ter-
mini è di derivazione kantiana. Il primo concetto, in Kant, è il luogo di distinzione tra
grandezze disomogenee, il secondo è invece il luogo di distinzione tra grandezze omoge-
nee. Per un approfondimento su questa distinzione concettuale cfr. P. FAGGIOTTO, “Li-
miti” e “confini” della conoscenza umana secondo Kant. Commento al paragrafo 57 dei
Prolegomeni, in «Verifiche», XV (1986), n. 3, pp. 231-242; A. MORETTO, “Limite” e
“analogia” in alcuni aspetti della filosofia critica di Kant, in «Verifiche», XV (1986), n. 4,
pp. 341-364; F. CHIEREGHIN, Die Metaphysik als Wissenschaft und Erfahrung der Gren-
ze. Symbolisches Verhältnis und praktische Selbstbestimmung nach Kant, in D. HENRICH -
R.-P. HORSTMANN (a cura di), Stuttgarter Hegelkongreß 1987. Metaphysik nach Kant?,
Klett-Cotta, Stoccarda 1988, pp. 469-493; L. ILLETTERATI, Figure del limite, Verifiche,
Trento 1999; Ö. SÖZER, Grenze und Schranke. Das Mal des Endlichen, in A. ARNDT - C.
IBER (a cura di), op. cit., pp. 173-185.
44 WdL I, p. 115 (p. 127).
45 «Mit der Grenze ist die Symmetrie des logischen Raumes für das reine

Denken wiederherstellt und daher schlägt, wenn E1 seinen Stand im logischen Raum auf
Kosten von E2 gewinnt, dies unmittelbar auf E1 zurück, weil auch E2 seinen Stand auf
Kosten von E1 gewinnt. Wir haben hier den Widerspruch eines logischen Raumes, der
aus zwei primitiven Welten, E1 und E2, besteht» (A.F. KOCH, Dasein und Fürsichsein,
cit., p. 40).
46 Il limite «è il punto in cui tanto ciò che è determinato, quanto ciò che nella

determinazione stessa viene negato, insieme ricevono il loro essere e cessano di essere»
(L. ILLETTERATI, Figure del limite, cit., p. 40); «This contradiction is not just in our con-
cept of the limit but in the very structure of being limited. On the one hand, the limit is
the point between the being or Dasein of something and its other at which both cease.
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Essere e contraddizione 121

dentità è ciò che spinge proprio il qualcosa a passare nel proprio altro,
nel proprio non essere, per cui il qualcosa non si realizza solo in quan-
to limitato, ma si mostra anche nella sua intrinseca finitezza:
Il qualcosa posto col suo limite immanente come la contraddizione di se
stesso, dalla quale è indirizzato e cacciato oltre a sé, è il finito47.

Il qualcosa in quanto limitato si sviluppa nel qualcosa in quanto


finito con il passaggio dall’articolazione statica all’articolazione dina-
mica del limite. Nella prima, il limite è il non essere sia del qualcosa sia
dell’altro dal qualcosa o, detto più semplicemente, è il luogo che tiene
separate queste due determinazioni opposte. Nella seconda, invece, il
limite è il luogo del passaggio del qualcosa nel proprio altro, in quanto
l’alterità dispiega la sua funzione determinante rispetto alla definizione
del modo d’essere del qualcosa. Il limite è quindi per il qualcosa un
non essere in cui, allo stesso tempo, il qualcosa ha il suo essere, la sua
specifica determinatezza. In questo modo il qualcosa ha in sé il suo
non essere, accenna in sé al suo altro e quindi passa in esso:
Ma questa negazione sviluppata, per modo che l’opposizione dell’esser-
ci e della negazione come limite immanente al qualcosa sia essa stessa, questa
opposizione, l’esser dentro di sé del qualcosa, e questo non sia perciò in se
stesso altro che un divenire, – questo fa la finità del qualcosa48.

La costitutiva negatività alla base della natura concreta del limite


altro non è che l’opposizione interna al qualcosa stesso. Il qualcosa, fin
dal suo immediato darsi accanto all’altro da sé, si determina come la
relazione negativa a questo altro: qualcosa è ciò che è perché non è ciò
che è altro da sé. Però, nel compiuto sviluppo dell’articolazione del li-
mite, l’alterità, il non essere del qualcosa, si mostra come componente
interna al qualcosa stesso. Quindi, avendo il suo non essere in sé, il
qualcosa si respinge da se stesso, passa necessariamente nel proprio al-
tro e si mostra come finito49:

Insofar as the limit is the nonbeing of each, it does not belong to their being as such but
falls between what each one is. What each is thus lies within, or on the other side of,
their common boundary. On the other hand, the limit is nothing apart from the two
things it conjoins and disjoins but belongs irreducibly to both of them. It is the common
boundary at which each thing stops and through which each gains a definite identity»
(S. HOULGATE, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 367).
47 WdL I, p. 116 (p. 128).
48 Ibidem.
49 Cingoli sottolinea come il finito non sia altro che il compimento del processo

di interiorizzazione della negazione nella determinatezza, per cui l’altro toglie progressi-
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122 Ai limiti della verità

Quando delle cose diciamo che son finite, con ciò s’intende che […] la
lor natura, il loro essere, è costituito dal non essere50.

La negatività interna al finito è radicalmente autoreferenziale:


«le cose finite sono, ma la lor relazione a se stesse è che si riferiscono a
se stesse come negative, che appunto in questa relazione a sé si manda-
no al di là di se stesse, al di là del loro essere»51. Questo mandarsi al di
là di se stesse delle cose è la loro auto-negazione, il loro passare nel
proprio non essere, il loro finire.
L’identità tra il qualcosa e l’altro dispiegata all’interno del finito
è ancora più esplicita di quella che caratterizza l’articolazione logica
del limite. Il limite è lo stare insieme del qualcosa e del suo altro nel li-
mite stesso, ovvero nel luogo che unisce ma anche separa il qualcosa e
il suo altro. Nel finito il non essere del qualcosa non è più una compo-
nente che affetta costitutivamente il modo d’essere del qualcosa ma,
allo stesso tempo, rimane esterno e separato rispetto ad esso. Nel fini-
to il non essere è interno e compiutamente integrato nel qualcosa, è la
sua costitutiva natura. Quindi la contraddittorietà non è più la struttu-
ra della relazione – il limite – tra il qualcosa e il suo altro, ma è interna
al qualcosa stesso. Il qualcosa stesso, in quanto finito, è in se stesso
contraddittorio.
Lo sviluppo dell’autocontraddittorietà del limite nell’autocon-
traddittorietà del finito dipende, quindi, dalla compiuta integrazione
dell’elemento dell’alterità, del non essere o della negatività all’interno
del qualcosa, per cui essa non lascia più alcun residuo esterno al qual-
cosa ed è compiutamente ripiegata all’interno del qualcosa stesso. Il
rapporto negativo ad altro su cui si costituisce il qualcosa, la sua nega-
zione dell’altro da sé, diviene un rapporto negativo a sé, diviene cioè la
negazione di se stesso. Questa negatività autoreferenziale è la dinamica

vamente la propria indifferenza rispetto al qualcosa per diventare parte integrante, anzi,
essenziale, del qualcosa stesso: «La dialettica del qualcosa ed un altro ci conduce al finito,
al suo intimo contraddirsi. Ciò che viene approfondito in modo sempre più determinato è
proprio la categoria della negazione. In origine noi siamo in presenza dei qualcosa indiffe-
renti gli uni agli altri; se si osserva il limite dei qualcosa (che è ciò per cui ciascuno limita
l’altro) si vede la negazione posta come immanente, come costitutiva, in quanto ciascuno
contiene dentro di sé l’altro, e dunque ciascuno contiene dentro di sé la contraddizione: il
finito è dunque contraddittorio e per sua natura tende dunque ad andare oltre se stesso»
(M. CINGOLI, La qualità nella Scienza della Logica di Hegel, cit., p. 175).
50 WdL I, p. 116 (p. 128).
51 Ibidem. «Finite involves coming to an end through one’s own being. Finite

things can thus be said to negate themselves» (S. HOULGATE, The Opening of Hegel’s Lo-
gic, cit., p. 372).
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Essere e contraddizione 123

logica che struttura il finito e fa sì che esso venga a determinarsi in


modo radicalmente autocontraddittorio.

4.6.2. L’autocontraddittorietà del finito


La dialettica del finito e lo sviluppo della sua autocontradditto-
rietà si struttura in tre momenti: a) la concezione immediata del finito;
b) il termine e il dover essere; g) il passaggio del finito nell’infinito.
a) L’immediatezza della finità
L’articolazione immediata del finito è quella che risulta dalla
dialettica del limite. Questa prima articolazione del finito è però anco-
ra unilaterale e astratta. Il finito è semplicemente ancora qualcosa di
dato, dotato di una propria autosussistenza posta di contro ed esclu-
dente la sussistenza dell’altro da sé, l’infinito.
Emerge così solo l’esito negativo della struttura del finito, cioè
quello per cui il qualcosa, nell’avere in sé il proprio non essere, si nega
e passa in questo non essere. Il finito è solo questo non essere. Non
viene ancora preso in considerazione l’esito positivo di questo passare,
ossia la realizzazione del finito come tale proprio in questo processo di
auto-negazione. La finità, nella sua immediatezza, è ancora solo
la negazione come fissata in sé, epperò si erge rigida di contro al suo af-
fermativo. Il finito […] consiste appunto in questo, nell’esser destinato alla fi-
ne, ma soltanto alla sua fine; – anzi è il rifiuto di lasciarsi affermativamente
portare al suo affermativo, all’infinito, di lasciarsi unire con quello52.

Se si sottolinea l’unilateralità della negatività su cui si struttura


questo primo momento del finito, si capisce il riferimento di Hegel al-
l’intelletto, che si contraddistingue per questo modo unilaterale di in-
tendere la negazione. Per l’intelletto la negazione è proprio il vuoto e
astratto non essere di qualcosa. L’intelletto non ne intravede la funzio-
ne determinante. Si potrebbe quindi dire che l’articolazione immedia-
ta del finito corrisponde all’articolazione intellettualistica del finito.
Questa concezione intellettualistica del finito si mostra però es-
sere in se stessa contraddittoria, perché «persiste in questa mestizia
della finità, facendo del non essere la destinazione delle cose e pren-
dendolo insieme come imperituro e assoluto»53. L’intelletto tiene fer-
mo il finito nell’astratta identità con se stesso, non intaccata dal suo
opposto, dall’infinito. Il finito è il semplice non essere in cui le cose,

52 WdL I, p. 117 (p. 129).


53 Ibidem.
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124 Ai limiti della verità

proprio in quanto finite, si estinguono. L’intelletto si tiene fermo a


questa determinazione negativa del finito per evitare la contraddizio-
ne, per evitare l’identità del finito con il suo altro. Eppure, proprio nel
tentativo di evitare la contraddizione, l’intelletto resta impigliato nella
contraddizione stessa per cui il finito viene assolutizzato: «di contro al-
l’infinito si continua a tener fermo il finito, come suo negativo. Posto
come tale che non si possa unire coll’infinito, il finito rimane assoluto
da parte sua»54. Il finito è l’astratto e statico non essere in cui ogni co-
sa determinata è destinata a trapassare. In questa astrattezza e staticità,
il non essere in cui consiste il finito è un assoluto, un eterno, un impe-
rituro in cui ogni cosa finisce: il finito è un infinito.
Questa contraddizione è interna alla struttura del finito e, come
ogni contraddizione all’interno del processo dialettico, ha due lati. Da
una parte, mette in luce l’insostenibilità dell’iniziale e immediata con-
cezione del finito che entra, appunto, in contraddizione con se stessa.
Dall’altra, però, mostra anche lo sviluppo concreto della dialettica del
finito, che è portato dalla propria stessa natura a passare e a realizzarsi
nella determinazione opposta, ovvero nell’infinito.
In questo primo momento immediato della finitezza emerge an-
cora solo il lato negativo della contraddizione, per cui essa ha una fun-
zione meramente critica rispetto all’articolazione intellettualistica della
finitezza. Per questo Hegel sottolinea che «la contraddizione appare
nel finito come soggettiva»55, è ancora solo il segnale dell’unilateralità e
della non sostenibilità dell’articolazione astratta del finito.
Implicitamente, però, si intravede già il valore speculativo della
contraddizione, perché proprio la contraddittorietà del finito posto di
contro all’infinito non fa altro che mostrare la non sussistenza di que-
sto finito assolutizzato e imperituro, il suo distruggersi e il suo passare
nella determinazione opposta, nell’infinito. La contraddittorietà si mo-
strerà come la struttura di questo passare, che corrisponde alla concre-
ta articolazione dinamica del finito stesso, al fatto che il perire «non è
l’ultimo, ossia il definitivo, ma perisce»56. Questo perire che perisce è
il finito stesso nella sua vera natura, e questa sua vera natura è in se
stessa contraddittoria. È proprio questo che si deve «portare alla co-
scienza», ossia il fatto che la contraddittorietà che nel primo momento
appare come soggettiva, in realtà non lo è, perché costituisce «lo svi-

54 Ivi, pp. 117-118 (p. 130).


55 Ivi, p. 118 (p. 130).
56 Ibidem.
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Essere e contraddizione 125

luppo del finito» che, «essendo questa contraddizione, […] si distrug-


ge da sé»57.
b) il termine e il dover essere
Il primo momento della dialettica del finito ha portato all’espli-
citazione della contraddizione interna al finito stesso, cioè la contrad-
dizione per cui «il finito è»58. La contraddizione consiste nel fatto che
il finito è sostanzialmente un non essere, ma se il finito è, il finito è un
non essere che è. Proprio questa contraddizione è quella che porta al-
l’abbandono dell’articolazione fissa e astratta del finito come sussisten-
te di contro all’infinito. Il finito, in quanto è un non essere che è, o un
essere che ha per sua natura il non essere, è necessariamente portato a
passare nell’altro da sé.
Questo passaggio è considerato innanzitutto nella sua valenza
negativa. Il passaggio del finito nel proprio altro è il luogo in cui il fini-
to finisce, è cioè il suo termine. Il primo momento immediato della fi-
nità si distingue dal termine perché, nel primo caso, il finito viene te-
nuto fermo di contro al suo altro, nel secondo, viene invece ricono-
sciuto il suo necessario passaggio in esso. La struttura del finito contie-
ne in sé questo passare che ora emerge nel suo valore costitutivo. Di
esso vengono però messe a fuoco solo le implicazioni negative:
il proprio limite del qualcosa, posto così da lui come un negativo, che è
in pari tempo essenziale, non è soltanto limite come tale, ma termine59.
Nel termine il passaggio del finito nel proprio altro è visto come
il semplice negarsi del finito. Il termine, però, non è rivolto negativa-
mente solo verso il finito, ma anche verso l’altro del finito, la sua nega-
zione, ciò in cui il finito necessariamente finisce e in cui necessaria-
mente passa. È il dover essere del finito. Ma questo dover essere, pro-
prio in quanto dover essere, non è ancora l’essere del finito stesso:
il termine non è soltanto quello che è posto come negato; la negazione è
a due tagli, in quanto quello che è posto da essa come negato è il limite. Il li-
mite è infatti in generale il comune del qualcosa e dell’altro […]. In quanto re-
lazione negativa al suo limite, che da lui è anche distinto, e a sé come termine,
questo essere in sé è così dover essere60.
Il necessario passaggio del finito nel suo altro trova nel termine

57 Ibidem.
58 Ibidem.
59 Ivi, p. 119 (p. 131).
60 Ibidem.
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126 Ai limiti della verità

ciò che impedisce al finito di realizzare compiutamente ciò che vera-


mente è, il suo dover essere. Nel termine il qualcosa «si riferisce in lui
stesso ad esso come a un non essere»61. Nel dover essere, nell’al di là
del termine, il qualcosa sussiste solo come quell’in sé che non trova
possibilità di realizzarsi proprio in virtù del termine in cui esso incon-
tra, invece, il suo tramonto. Al di là del proprio termine il qualcosa è
cioè «il negativo essere in sé contro di esso»62.
Proprio come nel primo momento del finito Hegel mostra la
non sussistenza della determinazione astratta, unilaterale e fissa di un
finito posto di contro al proprio altro e il suo necessario passaggio in
altro, così qui mostra la non sussistenza del dover essere come deter-
minazione astratta, unilaterale, fissa e posta di contro al finito, e il suo
necessario e concreto accogliere in sé il finito stesso. Anche la strategia
è la stessa. Viene esplicitata la contraddittorietà interna al dover esse-
re, a significare il suo necessario passaggio e l’unità con la determina-
zione opposta:
il dover essere contien dunque la determinazione raddoppiata, cioè una
volta la determinazione come determinazione che è in sé contro la negazione,
e l’altra volta la determinazione come un non essere, che come termine è di-
stinto da quella, ma nello stesso tempo è però esso stesso determinazione che è
in sé63.

Da una parte, dunque, il dover essere è un essere, in quanto è


l’essere in sé del qualcosa, ciò che il qualcosa appunto deve essere.
Dall’altra parte, il dover essere è questo vero essere solo in sé, ovvero,
rimane un non essere rispetto al qualcosa, un non essere che rappre-
senta la vera natura che il qualcosa ancora non è. In questo senso, per
Hegel, il dover essere «è e in pari tempo non è»64, cioè è sia l’essere
che il non essere in relazione al qualcosa affetto dal termine.
Anche questa contraddizione ha due lati. Il lato negativo è quel-
lo per cui il dover essere è la vera natura del finito che, in questo rap-
porto fisso del termine di contro al dover essere, sussiste sempre e solo
come negata, ovvero come un al di là del finito. Il dover essere, pro-
prio in quanto dover essere, non è mai qualcosa che compiutamente è.
Il lato positivo della contraddizione è invece quello per cui essa è la
concreta struttura del vero finito nel suo passaggio nell’infinito. Infat-

61 Ibidem.
62 Ibidem.
63 Ivi, p. 119 (p. 132).
64 Ivi, p. 120 (p. 132).
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Essere e contraddizione 127

ti, nel rapporto tra il termine e il dover essere è messo in evidenza co-
me l’essenza stessa di ogni cosa finita, il suo proprio essere, sia il suo
stesso non essere65.
Lo sviluppo dialettico delle determinazioni in questione porta,
in questo modo, al riconoscimento di come il qualcosa, nonostante sia
affetto dal termine e, anzi, proprio in quanto affetto da questo termi-
ne, sia necessariamente il superamento del termine stesso, in quanto
ha il suo essere in sé, la sua vera natura, al di là del termine: «come do-
ver essere, il finito oltrepassa anche il suo termine»66.
In questo passaggio Hegel sviluppa un cambiamento totale di pro-
spettiva rispetto al non essere. Il dover essere, concretamente compreso,
non è più un al di là assolutamente distinto rispetto al finito. Non è l’in
sé del finito che rimane irrealizzabile per il finito stesso. Al contrario, es-
so è un non essere che ha una valenza primariamente ontologica, perché
è ciò in cui il finito in quanto finito deve necessariamente passare supe-
rando il suo termine67. Il dover essere è ciò che ogni cosa deve diventare
nel suo concreto sviluppo. Nell’esempio hegeliano, il germe deve diven-
tare pianta, poi fiore e quindi frutto e così via68.
La concreta natura della relazione tra termine e dover essere
mette quindi in luce come il necessario passaggio del finito nel proprio
altro non debba essere considerato solo in termini negativi, per cui in
questo passaggio il finito perisce, finisce, è un nulla. In questo passag-
gio proprio il finito si realizza in quanto finito. Il finito non è solo ciò
che necessariamente ha una fine, ma anche ciò che nella sua costitutiva
mancanza e insufficienza non può permanere nell’astratta e perenne
identità con se stesso ed è perciò destinato a passare in un altro, nel
suo non essere, un non essere cui va incontro come alla propria com-
piuta realizzazione.
Da questa articolazione concreta del rapporto tra termine e do-
ver essere emerge l’autocontraddittorietà del finito come tale.
g) Il passaggio del finito nell’infinito
I componenti della contraddizione del finito sono il qualcosa in

65 «The core of a finite thing’s being is nonbeing; and what it should be but is

not is unambiguous being. No wonder Hegel thinks that finite things are inherently self-
contradictory» (S. HOULGATE, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 388).
66 WdL I, p. 120 (p. 133).
67 In questo modo si spiega in che senso Hegel affermi che «quella stessa deter-

minatezza, che è la sua negazione, è anche tolta, ed è così il suo essere in sé. Il suo limite
in pari tempo non è il suo limite» (ibidem).
68 Cfr. ivi, p. 122 (p. 134).
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128 Ai limiti della verità

quanto affetto dal termine e il dover essere. Ognuno di essi è la nega-


zione dell’altro: il dover essere è il non essere che il qualcosa affetto
dal termine non ha ancora realizzato e il qualcosa in quanto affetto dal
termine è il non essere del dover essere, perché in sé non è ancora ciò
che deve essere.
Termine e dover essere non stanno però in un’astratta relazione
negativa per cui ognuno rimarrebbe costitutivamente separato dall’al-
tro: «il dover essere, per sé, contiene il termine, e il termine il dover
essere»69. Il risultato del loro sviluppo dialettico è appunto il fatto che
il finito è il continuo sorpassare il proprio termine nel proprio dover
essere, il proprio continuo essere il proprio non essere: «il finito è così
la contraddizione di sé in sé; si toglie via, perisce»70.
La contraddizione del finito non fa altro che esprimere la forma
logica della dinamicità intrinseca alla realtà e, in effetti, ha la stessa
struttura della contraddittorietà del divenire, ossia è l’identità dell’i-
dentità e della non identità di essere e non essere determinati71.
Nel finito l’essere e il suo non essere determinato sono una e una
stessa cosa. Sulla base del compiuto autoriferimento della negatività
interna al finito, la sua struttura contraddittoria si sviluppa secondo il
modello esplicativo della contraddizione delineato nelle considerazio-
ni preliminari. Infatti se il finito è f, è possibile affermare che:
(1) f → ¬f
(2) ¬f → f
allora
(3) f ↔ ¬f 72

69 Ivi, p. 123 (p. 137).


70 Ibidem.
71 Questo dar voce all’aspetto dinamico della realtà, secondo Priest, segna la

differenza fondamentale tra logica formale e logica speculativa, e questa differenza ha a


che fare proprio con la capacità della logica speculativa di dare spazio alla verità della
contraddizione: «The law of non-contradiction holds in formal logic; but formal logic is
correctly applicable only in a limited and well defined area (notably the static and chan-
geless); in dialectical logic, which applies in a much more general domain, the law of
non-contradiction fails» (G. PRIEST, Dialectic and Dialetheic, cit., p. 391). Anche Marcu-
se mette in evidenza come proprio la struttura della finitezza dà voce al carattere dina-
mico del reale: «l’ente è finito; l’essere dell’ente finito è mobilità; in questa mobilità l’en-
te in ogni trascorrere ritorna soltanto a se stesso, si realizza soltanto in questa mobilità»
(H. MARCUSE, L’ontologia di Hegel e la fondazione di una teoria della storicità, trad. it. di
E. Arnaud, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 77).
72 Koch esplicita la natura del finito attraverso la stessa struttura formale e af-

ferma che abbiamo: «den Ursachverhalt Etwas mit seiner immanenten Grenze oder End-
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Essere e contraddizione 129

(1)il finito, nel realizzare se stesso, non è se stesso, perché impli-


ca il suo non essere, il suo finire, il suo cessare, il suo passare nell’altro
da sé;
(2)il finito, nel non essere se stesso, è compiutamente se stesso,
perché nel suo non essere realizza la sua stessa finitezza;
(3)ne risulta lo stare insieme dei primi due momenti. Il finito si
determina quindi in due modi che si escludono a vicenda – il suo esse-
re e il suo non essere – ma che allo stesso tempo stanno, proprio all’in-
terno della struttura del finito, in una concreta identità.
Quindi, il finito, in quella auto-negazione che lo porta a passare
nel proprio non essere, realizza la propria finitezza e viene a essere
compiutamente identico con sé. Il finito è la contraddizione di sé in sé,
è cioè intrinsecamente contraddittorio nella misura in cui è questo
passare in cui realizza il proprio essere in questo suo non essere, ed è
questo non essere che è. Essere e non essere – nel finito – sono un’uni-
ca e medesima cosa.
La contraddizione del finito non è dunque la sua contradditto-
rietà rispetto al suo altro, quanto piuttosto la contraddizione del finito
in se stesso. Essa non rappresenta primariamente il segnale dell’inade-
guatezza dell’articolazione astratta e unilaterale del finito stesso. Essa
ha questa funzione critico-negativa solo in senso derivato. La contrad-
dizione del dover essere, da cui emerge la necessità del passaggio del
finito nel proprio non essere, mette infatti in luce come il finito nella
sua indipendenza e assoluta separazione rispetto al proprio altro – l’in-
finito – non possa sussistere. Ma questa funzione critica rappresenta in
qualche modo solo il riflesso negativo della contraddizione costitutiva
del finito, ovvero di quella contraddizione che funge da principio di
determinazione del finito stesso.
Infatti, la funzione determinante dell’autocontraddizione del fi-
nito è quella per cui essa rappresenta la verità del finito stesso. Essa
mette in luce il cessare e il passaggio nella determinazione opposta co-
me tratto costitutivo del finito e, quindi, dispiega quello che è l’effetti-
vo modo in cui il finito si determina come tale.
La contraddizione del finito ha perciò un valore primariamente
ontologico. Essa è la struttura che sta alla base del modo in cui si arti-

liches, der sich sodann als mit seiner Negation äquivalent erweist: e → ¬e […]. Das
Endliche in seinem Widerspruch geht über in sein Gegenteil, das wiederum das Endli-
che ist usf., in einem infiniten Progress der Selbstzerstörung, einem paradoxen
unvergänglichen Vergehen» (A.F. KOCH, Dasein und Fürsichsein, cit., p. 40).
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130 Ai limiti della verità

cola ogni cosa finita. All’interno della sezione dedicata alla quantità,
Hegel torna sulla questione della finitezza e, nel riferimento critico alla
prima antinomia kantiana, sottolinea il valore ontologico della con-
traddizione proprio come principio di determinazione di ogni cosa fi-
nita: «il cosiddetto mondo […] non manca perciò menomamente della
contraddizione; se non che non la può sopportare, e questa è la ragio-
ne per cui è dato in preda al nascere e al perire»73.
Il non poter sopportare la contraddizione non è l’impossibilità
del darsi della contraddittorietà all’interno del mondo, ma l’impossibi-
lità per le cose finite di mantenersi su quella contraddizione che esse
stesse sono e l’esser portate, da questa stessa contraddittorietà, ad
esaurirsi nell’altro da sé. Si tratta dello stesso tipo di insostenibilità
della contraddizione incontrata nel divenire. Il finito è il togliersi della
differenza di un essere determinato dal suo non essere nel contraddit-
torio passaggio dall’uno all’altro in cui entrambi si mostrano nella loro
sostanziale identità. Una volta tolta questa differenza e tolto questo
passare, è tolta anche la contraddizione del finire:
è la natura stessa del finito, di sorpassarsi, di negare la sua negazione e di
diventare infinito. L’infinito non sta quindi come un che di già per sé dato so-
pra il finito, cosicché il finito continui a restar fuori o al di sotto di quello. E
nemmeno andiamo soltanto noi, come una ragione soggettiva, al di là del finito
nell’infinito. […] Ma è il finito stesso che vien sollevato nell’infinito, […] il fi-
nito è soltanto questo, di diventare infinito esso stesso per la sua natura74.

La soluzione della contraddizione è quindi il togliersi del finito


nell’infinito, in cui il finito necessariamente passa. Questo togliersi del
finito e della sua contraddizione non è dettato da un principio esterno
al finito, ma dallo sviluppo del suo contenuto logico. Questa Aufhe-
bung del finito nell’infinito non equivale all’eliminazione della sua
contraddittorietà, che anzi rimane come momento costitutivo ed es-
senziale del sistema in quanto verità e principio di determinazione del
finito. Inoltre, proprio questa contraddizione permane all’interno del-
la struttura dell’infinito stesso, il quale si costituisce come il processo
dell’infinito togliersi del finito e, quindi, si sostanzia appunto delle
contraddizioni che fondano il suo processo di toglimento75.

73 WdL I, p. 232 (p. 260).


74 Ivi, p. 125 (p. 139).
75 «La finità è solo come un sorpassar se stesso. In essa è quindi contenuta l’in-

finità, il suo proprio altro. In pari maniera l’infinità è solo come un sorpassare il finito.
Contien dunque essenzialmente il suo altro, ed è perciò in lei l’altro di se stessa. Il finito
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Essere e contraddizione 131

La dinamica autocontraddittoria che caratterizza lo sviluppo


dialettico del divenire e del finito è paradigmatica rispetto al ruolo che
la contraddizione gioca all’interno della dottrina dell’essere. Questa
dinamica trova ulteriori sviluppi nella dottrina dell’essenza. Nel pros-
simo capitolo prenderò in esame questi sviluppi e il modo in cui la
struttura logica della contraddizione si trova specificatamente tematiz-
zata all’interno della dialettica delle determinazioni della riflessione.

non vien tolto dall’infinito quasi da una potenza che fosse data fuori di lui, ma è la sua
infinità, di toglier via se stesso» (ivi, p. 133 (p. 149)).
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Capitolo Quinto
ESSENZA E CONTRADDIZIONE

Il concetto di contraddizione trova la sua specifica trattazione


nella dottrina dell’essenza e, più precisamente, nella sezione dedicata
alle determinazioni della riflessione. In questo capitolo prenderò in
analisi proprio questa sezione, cercando di mettere in luce la struttura
logica della determinazione della contraddizione e il significato che es-
sa assume rispetto alle determinazioni della riflessione e all’essenza in
generale1.
Come nel capitolo precedente, partirò da una caratterizzazione
generale della dialettica dell’essenza. In secondo luogo, mi concen-
trerò sul modo in cui la negatività si trova declinata al suo interno, per
procedere poi all’effettiva analisi dello sviluppo dialettico delle deter-
minazioni della riflessione e della loro intrinseca contraddittorietà.
Chiuderò infine il capitolo con alcune osservazioni sul valore transca-
tegoriale della contraddizione.

5.1. La dialettica della Reflexion


La dialettica dell’essenza è il processo di auto-determinazione
dell’essenza stessa. L’essenza è la verità dell’essere2. Per capire cosa
questo significhi, bisogna in primo luogo analizzare il passaggio dal-
l’essere all’essenza, in cui l’essere «per sua natura […] s’interna [sich

1 Per un inquadramento generale sulla dottrina dell’essenza e sulle determina-


zioni della riflessione cfr. D. HENRICH, Hegels Logik der Reflexion. Neue Fassung, in ID.
(a cura di), Die Wissenschaft der Logik und die Logik der Reflexion, Hegel-Studien,
Beiheft 18, Bouvier, Bonn 1978; C. IBER, Metaphysik absoluter Relationalität. Eine Stu-
die zu den beiden ersten Kapiteln von Hegels Wesenslogik, Walter de Gruyter, Berlin-
New York 1990; G.M. WÖLFLE, Die Wesenslogik in Hegels Wissenschaft der Logik. Ver-
such einer Rekonstruktion und Kritik unter besonderer Berücksichtigung der philosophi-
schen Tradition, Frommann-Holzboog, Stoccarda 1994; F. CIRULLI, Hegel’s Critique of
Essence, Routledge, New York 2006; B. LONGUENESSE, Hegel’s Critique of Metaphysics,
Cambridge University Press, Cambridge 2007.
2 Cfr. WdL II, p. 241 (p. 433).
05_capV_133_05_capV_133 07/05/15 12.01 Pagina 134

134 Ai limiti della verità

erinnert], e con questo andare in sé [Insichgehen] diventa l’essenza»3.


La dottrina dell’essere si chiude con la trattazione dello smisura-
to [Masslose], che è il modo in cui si declina l’infinito all’interno della
misura. Se nella qualità l’infinito consiste nel togliersi del finito nell’in-
finito e nella quantità l’infinito è invece il continuarsi del quanto al di
là di se stesso, nella misura «questa infinità […] pone tanto il qualitati-
vo quanto il quantitativo come tali che si risolvono uno nell’altro, e
con ciò pone la loro prima immediata unità»4. Lo smisurato è il pro-
cesso di mutamento in cui una cosa si determina sulla base della co-di-
pendenza del mutamento della sua caratterizzazione qualitativa e
quantitativa. La cosa stessa [die Sache selbst] è questa unità dinamica
di qualità e quantità, è il suo processo di auto-differenziazione in cui
essa rimane identica con sé5. In questa identità con sé, la cosa stessa
viene considerata a livello immediato ancora solo un sostrato indiffe-
rente ai suoi cambiamenti qualitativi e quantitativi e, in quanto tale, è
indifferenza assoluta [absolute Indifferenz].
L’indifferenza assoluta costituisce un ritorno all’indifferenza del
puro essere. Sia nell’indifferenza assoluta che nel puro essere si ha una
determinazione uguale a sé nell’indifferenza rispetto alle sue implicite
distinzioni. Quella alla fine della dottrina dell’essere, però, non è più
un’indifferenza immediata, ma appunto assoluta, perché non è l’imme-
diata astrazione da queste distinzioni, ma è il togliere di quella diffe-
renza che essa stessa pone nel proprio processo di autodeterminazio-
ne: «questo vuoto distinguere è l’indifferenza stessa come resultato. E
propriamente essa è così il concreto, ciò ch’è in se stesso mediato con
sé per via della negazione di tutte le determinazioni dell’essere»6.
In questo modo non c’è più un substrato indifferente da una
parte, e gli stati del suo mutamento dall’altra. Il sostrato permane nella
sua uguaglianza con sé non nonostante, ma proprio grazie all’avvicen-
darsi dei diversi stati, delle diverse determinatezze che esso attraversa.
Questo mutamento non è infatti esterno al sostrato, ma è l’immanente
processo di autodeterminazione del sostrato stesso, è un distinguere

3 Ibidem.
4 WdL I, p. 370 (p. 415).
5 Cfr. A. HAAS, Hegel and the Problem of Multiplicity, Northwestern Univer-
sity Press, Evanston 2000, p. 158.
6 WdL I, p. 373 (p. 418). «Eine solche Indifferenz muss sich also auch sich
selbst heraus in Differenz zu sich bringen und darin eine Bestimmtheit gewinnen, die
nicht an ihr statthat, sondern Ergebnis ihrer Selbestimmung ist» (D. HENRICH, Hegels
Logik der Reflexion, cit., p. 231).
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Essenza e contraddizione 135

dell’indifferenza «che le è immanente e che si riferisce a se stesso»7. Il


sostrato quindi supera la propria statica identità con sé e diviene una
totalità che si determina nella propria distinzione da sé e, quindi, nel
riferimento negativo a sé8. Quest’unità è l’essenza:
essa è semplice e infinito riferimento negativo a sé, l’incomportabilità
sua con se stessa, il suo respingersi da se stessa. Il determinare e venir determi-
nato non è un passare, né una mutazione esteriore, né un presentarsi delle de-
terminazioni in lei, ma è il suo proprio riferirsi a sé, il quale è la negatività di
lei stessa, del suo essere in sé9.
L’essenza è questa totalità autodeterminantesi nel riferimento
negativo a sé, che la porta a porre il proprio altro e a porre se stessa in
questo altro. La determinatezza non sussiste quindi più come imme-
diata. L’essenza è il toglimento dell’immediatezza, in quanto le deter-
minazioni logiche a questo punto sussistono solo come poste dall’es-
senza stessa:
Le determinazioni, in quanto così respinte, non appartengono però ora
a se stesse, non si presentano come indipendenti o esteriori, ma sono come
momenti in primo luogo appartenenti all’unità che è in sé, non lasciati liberi da
lei, ma da lei portati come dal substrato e solo da lei riempiti, e in secondo
luogo come le determinazioni che, immanenti all’unità che è per sé, hanno l’es-
sere solo mediante il suo respingersi da sé. […] Coteste determinazioni sono
ormai solo come poste [Gesetzte]; poste assolutamente colla determinazione e
significato di esser riferite alla loro unità, epperò ciascuna alla sua altra e alla
sua negazione, – e son caratterizzate con questa loro relatività10.
Nell’essenza la determinatezza sussiste come posta tramite il rife-
rimento negativo a sé dell’essenza stessa. Entra quindi in gioco la ca-
ratteristica costitutiva dell’essenza, cioè la relazionalità delle sue deter-

7 WdL I, p. 373 (p. 418).


8 «L’in-differenza assoluta, dunque l’essere stesso, non è solamente sostrato, né
soltanto una totalità determinata estrinsecamente, bensì totalità “autodeterminantesi”, la
“totalità del determinare”» (L. LUGARINI, op. cit., p. 233). L’indifferenza assoluta contie-
ne già in sé l’autocontraddittorietà dell’essenza perché contiene già in sé l’altro – le dif-
ferenze – da cui si pretende indifferente, è «questa contraddizione la quale toglie se stes-
sa, […] non più l’unità soltanto indifferente, ma quell’unità in se stessa immanentemen-
te negativa ed assoluta, che è l’essenza» (WdL I, p. 377 (p. 423)).
9 Ivi, p. 382 (p. 428). L’essenza, dunque, è il risultato di questo «movimento

infinito dell’essere […] essendo un respingersi da sé o una indifferenza di fronte a sé, un


negativo riferimento a sé, si pone con ciò di fronte a se stessa, ed è infinito esser per sé
solo in quanto è l’unità con se stessa in questa sua differenza da sé» (WdL II, p. 242
(pp. 434-435)).
10 WdL I, p. 382 (p. 428).
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136 Ai limiti della verità

minazioni. Questa relazionalità è diversa da quella dell’essere, in cui le


determinazioni trapassano immediatamente nella determinazione op-
posta. Nell’essenza l’altro è interno al processo di mediazione delle de-
terminazioni, un processo di mediazione in cui queste mantengono la
propria uguaglianza con sé e in relazione al quale soltanto esse hanno
una sussistenza effettiva.
Con l’essenza sorge dunque una nuova dinamica di autodetermi-
nazione del pensiero. Il concetto non è più immediato, dato, bensì è
posto: l’immediatezza dell’essere mostra la propria non sussistenza, si
mostra cioè come tolta, negata. L’essere sussiste solo come qualcosa
posto da qualcos’altro, cioè in una necessaria relazione con un altro da
sé che lo pone e che è l’essenza stessa.
L’essenza è quindi «come concetto posto [als gesetzter Begriff]»11
in quanto è la negazione dell’immediatezza del concetto, ovvero dell’es-
sere come concetto in sé. In questo senso l’essenza è «la prima negazio-
ne dell’essere»12. Il rapporto di mediazione in cui l’essere si mostra non
più come immediato, ma come un posto, è la riflessione [Reflexion]. La
riflessione non va intesa in senso soggettivo – secondo la comune con-
cezione mentalistica della riflessione – ma in senso primariamente og-
gettivo, ovvero come la dialettica sulla base della quale l’essenza si au-
todetermina13. Dunque, «l’essenza è in primo luogo riflessione»14, è cioè
quella stessa dinamica di posizione dell’essere, in cui l’essere sussiste al-
l’interno del processo di mediazione che è l’essenza stessa.
Inizialmente questa mediazione si articola come rapporto tra es-
senziale e inessenziale, per cui l’essenza è semplicemente «l’essere che
è tolto [aufgehobene]. […] È la negazione della sfera dell’essere»15. Es-
sere ed essenza stanno in primo luogo l’uno di contro all’altra nella lo-
ro immediatezza. L’essere è il negativo dell’essenza, «ha di fronte al-
l’essenza la determinazione del tolto»16. Esso è quindi l’inessenziale.

11 Enz, p. 143 (p. 123).


12 WdL II, p. 243 (p. 435).
13 «Wichtig ist, daß Hegels Begriff der Reflexion enphatisch antisubjektivistisch

und antipsycologisch ist. Reflexion meint nicht den Akt des Reflektierens eines denken-
den Subjekts, sondern die objektiv-logische Bewegungsstruktur der Denkbestimmun-
gen» (C. IBER, Kleine Einführung in Hegels Logik, cit., p. 26); «Die Entwicklung der Re-
flexion und ihre Bestimmungen erweist sich somit schließlich als Dialektik in ontologi-
scher Bedeutung» (K. DÜSING, Das Problem der Subjektivität in Hegels Logik, Hegel-
Studien, Beiheft 15, Bouvier, Bonn 1984, p. 227).
14 WdL II, p. 244 (p. 437).
15 Ivi, p. 245 (p. 438).
16 Ibidem.
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Essenza e contraddizione 137

Parimenti l’essenza, come semplice negativo di questo inessenziale, è


l’essenziale. Ma questa è una relazione ancora solo esterna e non espri-
me il processo di mediazione, in cui l’essere viene a togliersi nell’essen-
za e in cui l’essenza viene a togliere l’essere nella sua immediatezza e a
mediarlo come qualcosa che essa stessa pone.
La negatività sussistente tra essenziale e inessenziale è ancora
astratta e vuota: i due termini sussistono in una fissa contrapposizione,
in cui ognuno è semplicemente altro rispetto al proprio opposto. La
differenza che li distingue ma allo stesso tempo li costituisce, il loro es-
sere l’uno la negazione dell’altro, resta sostanzialmente indetermina-
ta17. Nella relazione che lega l’essere all’essenza c’è tuttavia qualcosa di
più rispetto a questa astratta negazione:
L’essenza invece è la negatività assoluta [die absolute Negativität] del-
l’essere; è l’essere stesso, ma non solo determinato quale un altro, […] ma è
l’immediato in sé e per sé nullo; è solo una non-essenza, la parvenza [der
Schein]18.

La relazione negativa che lega essere ed essenza non è una sem-


plice negazione, ma negatività assoluta. L’essenza non è l’altro dell’es-
sere, ma è ciò in cui l’essere si toglie. L’essere è ciò che è in sé e per sé
nullo, è non essere, e lo è in due sensi: quello immediato, per cui non
ha una sussistenza di per se stesso19; quello mediato, per cui è il non
essere dell’essenza, non come semplice altro dell’essenza, ma come il
negarsi dell’essenza che si pone nell’essere come ciò in cui appare e,
quindi, come parvenza. Il non essere della parvenza è «la negatività
dell’essenza in lei stessa […] la natura negativa dell’essenza stessa […]
è il proprio assoluto essere in sé dell’essenza»20.
La natura negativa dell’essenza è quindi quella per cui essa è ne-
gativamente in relazione a sé, è la propria auto-negazione. In questa
negazione di sé l’essenza si fa altro da se stessa e si pone come parven-
za. Questo negarsi è frutto della sua stessa negatività assoluta. Quindi,
in questo suo porsi nella parvenza tramite la sua auto-negazione, l’es-

17 «L’essenza non è in questa guisa se non la prima negazione, ossia la negazio-

ne che è determinatezza, mediante la quale l’essere diventa soltanto un essere determina-


to, o l’esser determinato soltanto un altro» (ivi, p. 245 (p. 439)). Cfr. T.M. SCHMIDT, Die
Logik der Reflexion, in A.F. KOCH - F. SCHICK (a cura di), op. cit., p. 102.
18 WdL II, pp. 245-246 (p. 439).
19 L’inessenziale «è il di per sé insussistente, che è solo nella negazione» (ivi,

p. 246 (p. 439)).


20 Ivi, p. 247 (p. 441).
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138 Ai limiti della verità

senza è uguale a se stessa perché non fa altro che portare a manifesta-


zione la sua intrinseca negatività. In questo modo, essenza e parvenza
non sono più due momenti distinti l’uno di contro all’altro, ma sono
due momenti del processo attraverso il quale l’essenza viene a realiz-
zarsi come tale, esplicitando la propria intrinseca negatività: «la par-
venza nella essenza non è la parvenza di un altro, ma è la parvenza in
sé, la parvenza dell’essenza stessa»21.
Già in questa sua prima articolazione, l’essenza fa trasparire co-
me essa venga portata dalla sua negatività a determinarsi in modo au-
tocontraddittorio. Nella sua auto-negazione, nel suo riflettersi in un al-
tro – la parvenza – essa rimane nella sua uguaglianza con sé. L’essenza
è una relazione negativa a sé, è un’auto-negazione, che è una relazione
ad altro. Allo stesso tempo, l’essenza è una relazione ad altro che è una
relazione a sé, perché la parvenza non è che l’apparire dell’essenza
stessa, la negatività che porta l’essenza a uscire da sé:
L’essenza contiene anzi la parvenza in se stessa, come l’infinito movi-
mento in sé che determina la sua immediatezza come la negatività, e la sua ne-
gatività come l’immediatezza, ed è così il suo proprio parere in se stessa22.
Questo movimento di una relazione a sé che è una relazione ad
altro e viceversa, tale per cui le due relazioni opposte costitutive del-
l’essenza si riflettono l’una nell’altra, è il movimento della riflessione23.
Questa dialettica di essenza e parvenza è «il movimento dal nulla
al nulla, e così il movimento di ritorno a se stesso»24. Ognuna è in sé nul-
la, perché ognuna non ha una sussistenza in se stessa. Da una parte, la
parvenza non è tale in se stessa, ma solo come parvenza di un’essenza
che viene a determinarsi in essa e che quindi la pone come parvenza.
Dall’altra, l’essenza si realizza solo nella sua stessa negazione, perché
solo tramite tale negazione viene portata fuori dalla propria immediata
identità e si configura come parvenza. La riflessione è il movimento
dall’una all’altra in cui entrambe, nel mostrare la propria nullità, la pro-
pria non-autosussistenza, tornano a se stesse e portano alla luce la pro-
pria vera natura. Tale natura non è altro che il sussistere solo in un de-
terminato tipo di relazionalità negativa con la determinazione opposta.
21 Ivi, p. 248 (p. 442).
22 Ivi, p. 248 (p. 443).
23 «L’essenza, che è l’essere che si media con sé per mezzo della negatività di se

stesso, è il riferimento a se stessa, solo in quanto è riferimento ad altro; il quale altro


però non è immediatamente come qualcosa che è, ma come qualcosa di posto e mediato»
(Enz, p. 143 (p. 123)).
24 WdL II, p. 250 (p. 444).
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Essenza e contraddizione 139

In primo piano non stanno quindi più i relata come tali, ma la


pura relazionalità intrinsecamente negativa che lega l’uno all’altro e ne
costituisce la determinatezza specifica. L’essenza è questa pura relazio-
nalità, è cioè «questo movimento come l’assoluta parvenza stessa, la
pura negatività, che non ha nulla fuori di sé da negare, ma nega solo il
suo negativo stesso, il quale è solo in questo negare»25.
La pura relazionalità della dialettica della riflessione contraddi-
stingue il modo di articolarsi di tutte le determinazioni dell’essenza:
La determinazione riflessiva è la relazione al suo essere altro in lei stessa.
– Essa non è come una essente, quieta determinatezza, che venga riferita ad un
altro, così che il riferito e il suo riferimento sian diversi uno dall’altro, e quello
sia un essente in se stesso, un qualcosa che esclude da sé il suo altro e il suo ri-
ferimento a questo altro. Ma la determinazione riflessiva è in lei stessa il lato
determinato e la relazione di questo lato determinato come determinato, vale a
dire alla sua negazione26.

Così come l’essenza si determina nella relazione al suo altro – la


parvenza – perché è il porre questo altro da sé, allo stesso modo ogni
determinazione dell’essenza si determina in relazione al suo altro. An-
che nelle determinazioni dell’essere la relazione ad altro ha un ruolo
fondamentale, che però è tale per cui ognuno degli opposti tende a
porsi fuori dall’altro, indipendente ed autosussistente rispetto ad esso.
Nel caso delle determinazioni dell’essenza, invece, ognuno degli oppo-
sti è di per sé la relazione al suo altro. Questa relazione implica la loro
stessa negazione, il loro farsi altro, ma allo stesso tempo il loro essere
uguali a se stesse in questo altro, proprio come l’essenza si nega nella
parvenza e rimane identica con sé nella parvenza.
Proprio per questo, mentre le determinazioni dell’essere sono
transeunti, perché escludono da sé un altro che necessariamente impli-
cano per loro stessa natura, le determinazioni dell’essenza, al contrario
resistono quindi ostinatamente al loro movimento, il loro essere è la loro
identità con sé nella loro determinatezza, secondo la quale, benché per vero
dire si presuppongano reciprocamente, pure in questa relazione si mantengo-
no assolutamente separate27.

25 Ibidem. «La riflessione è la pura mediazione in generale […]. Quella, il movi-

mento per cui il nulla torna attraverso il nulla a se stesso, è il suo proprio apparire in un
altro. […] La mediazione pura è soltanto puro riferimento, senza i riferiti» (ivi, p. 292
(p. 497)).
26 Ivi, p. 257 (pp. 453-454).
27 Ivi, p. 255 (pp. 450-451).
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140 Ai limiti della verità

Le determinazioni dell’essenza si costituiscono dunque su una re-


lazionalità in cui l’alterità risulta essere un loro momento costitutivo. In
questa relazionalità non perdono se stesse, ma vengono a costituire la lo-
ro effettiva identità28. Esse non si costituiscono più in quella presunta
immediatezza che si perde nella sua costitutiva relazione ad altro. Le de-
terminazioni dell’essenza sono anzi la posizione di questa mediazione:
La determinazione riflessiva […] ha ripreso in sé il suo esser altro. Essa
è esser posto, negazione, che però ricurva in sé la sua relazione ad altro, ed è
negazione che è uguale a se stessa, negazione che è unità di se stessa e del suo
altro e solo perciò è essenzialità. È dunque esser posto, negazione; ma come ri-
flessione in sé è in pari tempo l’esser tolto di questo esser posto, è infinito rife-
rimento a sé29.

Le determinazioni dell’essenza, quindi, nel costitutivo riferimen-


to ad altro sono il costitutivo riferimento a se stesse. In questo senso
sono determinazioni il cui carattere principale non è solo la relaziona-
lità, ma l’autorelazionalità30. Proprio quest’autorelazionalità sta alla
base della negatività all’interno della dialettica della Reflexion.

5.2. La negatività nella dottrina dell’essenza


La dialettica della riflessione si articola sulla base di una dinami-
ca spiccatamente autoreferenziale, che ha un ruolo costitutivo rispetto
all’articolazione dell’intera sfera dell’essenza. La riflessione è una sorta
di relazione dell’essenza a se stessa e questa relazione ha un carattere
radicalmente negativo. Il riflettersi in sé dell’essenza non è altro che il
dispiegarsi della sua intrinseca negatività: «la negatività dell’essenza è
la riflessione»31.
Per capire come si costituisca il carattere autoreferenziale della
negatività alla base del modo di determinarsi dell’essenza, è necessario
28 «Die Wesenskategorien […] sind Relationskategorien. Jede Bestimmtheit

des Wesens enthält für Hegel die jeweilige Andere, auf das sie sich negativ bezieht, des-
sen Sein sie negiert und zum „Schein“ macht, zugleich in sich […]. Eine Bestimmung
des Wesens bezieht sich daher durch die Negation des Anderen negativ auf sich selbst,
oder sie „scheint“ in sich. Dasselbe trifft auf ihr konträres Gegenteil zu. So ergibt sich
als positives Resultat eine Einheit beider, die als der Grund ihrer jeweiligen negativen
Beziehung aufeinander angesehen werden kann» (K. DÜSING, Das Problem der Subjekti-
vität in Hegels Logik, cit., p. 330).
29 WdL II, p. 257 (p. 454).
30 Cfr. T.M. SCHMIDT, op. cit., p. 101.
31 WdL II, p. 243 (p. 435). La riflessione è «die negative Beziehung des Wesens

auf sich selbst» (K. DÜSING, Das Problem der Subjektivität in Hegels Logik, cit., p. 215).
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Essenza e contraddizione 141

far luce sul movimento dialettico della riflessione, che attraversa tre
momenti: (1) la riflessione che pone [die setzende Reflexion]; (2) la ri-
flessione esterna [die äußere Reflexion], (3) la riflessione determinante
[die bestimmende Reflexion].
Prendo le mosse dalla riflessione che pone, ossia la riflessione co-
me semplice relazione formale e immediata tra un porre e un esser po-
sto. L’essenza è, innanzitutto, il porre la parvenza e il riflettersi in essa.
Sulla base della negatività ad essa immanente, l’essenza nega se
stessa e si pone come il proprio altro. Quindi non è più mediazione,
ma immediatezza. Non è più essenza, ma parvenza. La parvenza, però,
non sussiste come tale nella sua immediatezza, perché non è altro che
ciò che è posto dall’essenza attraverso la sua relazione negativa a sé. La
parvenza non solo si costituisce nella relazione a quell’altro che è l’es-
senza, ma è in se stessa questa relazione, è cioè in se stessa il ritorno in
sé dell’essenza, si riflette in essa:
Questa immediatezza è l’eguaglianza con sé del negativo, e quindi l’e-
guaglianza che nega se stessa, l’immediatezza, che è in sé il negativo, il negati-
vo di lei stessa, consiste nell’essere ciò ch’essa non è. Il riferimento del negati-
vo a se stesso è dunque il suo ritorno in sé [Die Beziehung des Negativen auf si-
ch selbst ist also seine Rückkehr in sich]. È immediatezza come togliere del ne-
gativo, ma immediatezza assolutamente solo come questo riferimento o come
ritorno da uno, epperò immediatezza che toglie se stessa. – Questo è l’esser po-
sto, l’immediatezza puramente come determinatezza o come riflettentesi32.

L’esser posto è quindi il negativo dell’essenza che è, allo stesso


tempo, identico con essa. Esso è un momento necessario al costituirsi
dell’essenza, che si articola concretamente solo in quanto si nega e si
pone come questa immediatezza. L’essenza si costituisce infatti solo co-
me toglimento di questa immediatezza, come mediazione in cui tale im-
mediatezza sussiste nella propria stessa negazione, ovvero solo in quan-
to relazione ad altro. Ma se l’essenza si costituisce come ritorno in sé a
partire da tale immediatezza, allora questa immediatezza stessa, questo
esser posto, è allo stesso tempo presupposto dall’essenza. In altri termi-
ni, per costituirsi come il ritorno in sé a partire dal proprio negativo,
l’essenza deve presupporre la sussistenza di questo stesso negativo33.
La dinamica della riflessione mostra già a questa altezza la sua
contraddittorietà «quale assoluto contraccolpo in se stesso [als absolu-

32 WdL II, pp. 250-251 (p. 445).


33 «La riflessione in sé è essenzialmente il presupporre quello da cui essa costi-
tuisce il ritorno» (ivi, p. 251 (p. 446)).
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142 Ai limiti della verità

ter Gegenstoß in sich selbst]»34. L’immediatezza può essere tolta (e po-


sta) solo nella misura in cui viene allo stesso tempo presupposta. Ma
nell’essere presupposta, questa medesima immediatezza viene allo
stesso tempo tolta:
Il movimento, come movimento in avanti, si volta immediatamente in
lui stesso e solo così è movimento di sé, – movimento che viene da sé, in quan-
to la riflessione che pone è riflessione che presuppone, ma come riflessione che
presuppone è assolutamente riflessione che pone35.

La parvenza come posta dall’essenza è anche presupposta dal-


l’essenza stessa, perché, solo nel riflettersi nella parvenza e nel tornare
in sé dalla parvenza, l’essenza realizza compiutamente la sua natura ri-
flessiva. Ma l’esser posto della parvenza da parte dell’essenza è la ne-
gazione di questo presupposto. L’essenza è quindi, allo stesso tempo e
sotto il medesimo rispetto, un presupporre l’immediatezza, il proprio
altro, la parvenza, da una parte, e un togliere, un negare, questo stesso
presupposto, dall’altra.
La negatività dell’essenza mostra, fin dalla sua articolazione im-
mediata, i tratti dell’autoreferenzialità: è una negatività riflessa in sé,
cioè una negatività per cui l’essenza è il togliere del suo stesso porre,
per cui «la riflessione è se stessa e il suo non essere; ed è solo se stessa
in quanto è il negativo di sé, giacché solo così il togliere del negativo è
in pari tempo come un fondersi con sé»36.
Questa dinamica viene ulteriormente esplicitata nella seconda
declinazione della riflessione – la riflessione esterna – che «ha una pre-
supposizione e comincia dall’immediato come dal suo altro»37. Essa
consiste in una relazione che presuppone l’indipendenza dei relata ri-
spetto alla loro relazionalità. Ciò che sussiste come tale non è la rela-
zione, ma i relata, non è la mediazione, ma l’immediatezza con cui la
riflessione entra in relazione in modo estrinseco38.
In realtà questa immediatezza non è presupposta e indipendente

34 Ivi, p. 252 (p. 447).


35 Ibidem.
36 Ibidem. «Nel fondo della Cosa dianzi vedevamo colta, all’originario livello

dell’essenza, una pura e semplice negatività dispiegantesi attraverso il riflessivo movi-


mento da nulla a nulla, ma anche compenetrata dalla contraddizione di esser se stessa e
insieme non se stessa. Ora il fondo della Cosa appare scossa da quell’assoluto contrac-
colpo; nel quale la contraddizione già divampa» (L. LUGARINI, op. cit., p. 261).
37 WdL II, p. 252 (p. 447).
38 «Quello che la riflessione estrinseca determina e pone nell’immediato, son

pertanto delle determinazioni ad esso estrinseche» (ivi, p. 253 (p. 448)).


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Essenza e contraddizione 143

dalla relazione che la lega all’altro da sé. Essa è piuttosto un’immedia-


tezza e un presupposto tolto, e sussiste solo in quella relazione ad altro
che in prima battuta sembrava esserle semplicemente esterna. Questa
immediatezza – la parvenza – non consiste in altro che in tale relazio-
ne, che è la riflessione dell’essenza stessa. L’essenza, infatti, è questo
movimento del negarsi nella parvenza e del negare questo stesso ne-
garsi tornando in sé dalla parvenza. Solo attraverso questo movimento
l’essenza esplicita compiutamente l’assoluta negatività ad essa imma-
nente e si realizza, appunto, come essenza:
L’immediato […] è determinato cioè dalla riflessione come il suo nega-
tivo o come il suo altro, ma appunto la riflessione è quella che nega questo de-
terminare. – Con ciò è tolta l’esteriorità della riflessione di fronte all’immedia-
to. Il suo porre, che nega se stessa, è il fondersi di essa col suo negativo, col-
l’immediato, e questo fondersi è l’immediatezza essenziale stessa. Si ha dun-
que che la riflessione esterna non è riflessione esterna, ma è anche riflessione
immanente dell’immediatezza stessa; si ha cioè che quello che è mediante la ri-
flessione che pone, è l’essenza che è in sé e per sé39.
La riflessione non è esterna all’essenza, perché è l’autodetermi-
narsi dell’essenza stessa. È riflessione assoluta poiché è una relazione
in altro (la parvenza) che è allo stesso tempo una relazione in sé (l’es-
senza concretamente intesa).
La riflessione è quindi riflessione determinante, in cui viene com-
piutamente in evidenza l’autoreferenzialità della negatività immanente
all’essenza:
il porre è ora in unità colla riflessione esterna. In tale unità questa è as-
soluto presupporre, cioè respingersi della riflessione da se stessa, è il porre la
determinatezza come lei stessa. L’esser posto è quindi, come tale negazione;
ma in quanto presupposto, è questa negazione come in sé riflessa. Così l’esser
posto è determinazione riflessiva40.
La riflessione determinante è unità della riflessione che pone e
della riflessione esterna. Quindi
(1) nella riflessione che pone, l’essenza è un porre che è allo stes-
so tempo un presupporre, ovvero è una dinamica che si costituisce so-
lo in quanto si nega nel proprio altro e pone questo altro, ossia la par-
venza. In questo modo, però, l’essenza presuppone allo stesso tempo
questo altro in cui mette in atto il processo di posizione grazie al quale
soltanto realizza se stessa;
39 Ivi, pp. 253-254 (p. 449).
40 Ivi, p. 256 (p. 452).
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144 Ai limiti della verità

(2) nella riflessione esterna, l’essenza si definisce come il ritorno


in sé della riflessione a partire da questo presupposto – la parvenza –
che si rivela come l’esser posto dell’essenza stessa e in cui l’essenza è
identica con sé;
(3) l’unità di questi due processi è la riflessione determinante,
tramite cui l’essenza si pone in quell’altro da sé che è la parvenza, ma
che allo stesso tempo è il ritorno in sé da questo altro. La riflessione è,
quindi, il negarsi dell’essenza nella parvenza e il suo essere allo stesso
tempo compiutamente identica con sé in questo processo di riflessione
nella parvenza, che infatti sussiste solo nel processo di mediazione po-
sto dall’essenza.
In questo senso, l’essenza è assoluta negatività, una negatività
che si realizza in un compiuto riferimento a se stessa41. È sulla base di
quest’autoriferimento della negazione che l’essenza si determina in
modo intrinsecamente contraddittorio. Infatti, la riflessione, come ne-
gatività assoluta, si articola in tre fasi:
(1) l’essenza è innanzitutto l’identità con sé, la relazione a sé an-
cora immediata, in cui non ha ancora esplicitato la sua intrinseca nega-
tività, che quindi è «negatività in sé; è il suo riferimento a sé, e così es-
sa è in sé immediatezza»42;
(2) l’essenza è identità che è una non identità, in quanto la nega-
tività interna alla relazione a sé dell’essenza spinge l’essenza stessa a
negarsi, a distinguersi da sé, a porre l’altro da sé, la parvenza, per cui
la relazione a sé diventa una relazione ad altro: «è riferimento negativo
a sé, è un repellente negar se stessa, e così l’immediatezza in sé è di
fronte a lei il negativo ovvero il determinato»43;
(3) la non identità dell’essenza è la sua identità, perché è nega-
zione della sua negazione, ossia la negazione del suo stesso negarsi.
L’esser posto, il negativo nell’essenza, la parvenza, si rivela essere l’es-
senza stessa in quanto negata. In questo modo, essa si mostra altrettan-
to in identità con sé in questa auto-negazione. La relazione ad altro è
41 «Il posto è quindi un altro, ma in modo che l’uguaglianza della riflessione

con sé è assolutamente conservata; perché il posto è solo come un tolto, come riferimen-
to al ritorno in se stesso» (ivi, p. 255 (p. 451)). «Die Negation in der Sphäre der Re-
flexion ist hingegen Negativität, in sich selbst reflektierte Negation, die keinen Grund
im Sein, sondern im aufgehobenen Sein, dem Wesen besitzt. […] Damit hat aber auch
jene Negation, welche Bestimmtheit setzt, die Selbstbezüglichkeit reiner Negativität in
sich aufgenommen. […] Die Negation der Reflexion bezieht sich in ihrem Bestimmen
auf sich selbst» (T.M. SCHMIDT, op. cit., p. 110).
42 WdL II, p. 248 (p. 442).
43 Ibidem.
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Essenza e contraddizione 145

una relazione a sé: «questa determinatezza è essa stessa l’assoluta nega-


tività e questo determinare che immediatamente come determinare è il
toglier se stesso, è il ritorno in sé»44.
Sulla base della negatività che la contraddistingue, l’essenza si
costituisce quindi come una relazione a sé che è una relazione ad altro e
come una relazione ad altro che è una relazione a sé; un’identità che è
una non identità e una non identità che è la sua stessa identità.
L’autocontraddittorietà delle determinazioni dell’essenza è di-
versa da quella delle determinazioni dell’essere. Non è un’identità che
si dà nel passare di ogni determinazione nella determinazione opposta,
ma un’identità con la propria non identità. Nell’essere, le determina-
zioni immediate, determinandosi tramite una relazione ad altro, fini-
scono per passare in questo altro. Nell’essenza, invece, determinazioni
non immediate, cioè poste, non stanno di contro al loro altro, ma in-
cludono questo altro nella loro costitutiva relazionalità e, quindi, tor-
nano in sé in questo altro, costituendo la propria autosussistenza solo
sulla base della relazionalità ad altro45.
Per questo nell’Enciclopedia Hegel scrive che l’essenza «è anche
la sfera in cui è posta esplicitamente la contraddizione, la quale nella
sfera dell’essere è solo in sé»46. Nell’essere, infatti, la contraddizione è
tolta nello stesso momento in cui è posta, perché è la struttura logica
che è alla base dell’immediato passare delle determinazioni nel loro
opposto e che quindi viene meno con questo stesso passare. È una
contraddizione ancora in sé, in quanto è l’articolazione di una deter-
minatezza che non ha ancora una vera e propria sussistenza. La con-
traddizione dell’essenza, invece, è una contraddizione posta, perché
permane come struttura logica di determinazioni che si costituiscono
nell’essere non solo in relazione ad altro, ma anche nell’essere esse
stesse questa relazione.
Questa contraddizione ha origine dall’immanente e autoreferen-
ziale negatività dell’essenza. Nella propria negazione, l’essenza incon-
tra paradossalmente se stessa:

44 Ibidem.
45 «L’essenza è riflessione, il movimento del divenire e del passare, che rimane
in se stesso, dove il diverso è determinato assolutamente come l’in sé negativo, come
parvenza. […] Il movimento riflessivo all’incontro è l’altro come la negazione in sé che
ha un essere solo come negazione che si riferisce a sé. Ovvero, in quanto questo riferi-
mento a sé è appunto questo negare della negazione, si ha la negazione come negazione,
come quello che ha l’essere suo nel suo negato» (ivi, p. 249 (p. 444)).
46 Enz, p. 145 (p. 125).
05_capV_133_05_capV_133 07/05/15 12.01 Pagina 146

146 Ai limiti della verità

Questa negatività che si riferisce a sé è dunque il negar se stessa. Essa è


così tanto negatività tolta, quanto negatività. Ossia è appunto il negativo e la
semplice eguaglianza con sé o immediatezza. Consiste dunque nell’essere e nel
non essere se stessa, e ciò in una sola e medesima unità47.

La contraddizione dell’essenza non è una contraddizione sogget-


tiva, non affetta semplicemente il pensiero che pensa l’essenza, ma ri-
guarda il modo in cui l’essenza si articola. Essa ha un valore radical-
mente ontologico. Come nel caso del divenire e del finito, anche qui si
ha a che fare con un unico e medesimo processo che si caratterizza
sulla base di due dinamiche che si escludono a vicenda, ossia l’essere
in un’identità con sé dell’essenza che è altrettanto la sua sostanziale
differenza da sé.
Questa dinamica intrinsecamente contraddittoria trova piena
espressione nello sviluppo dialettico delle determinazioni della rifles-
sione.

5.3. La contraddizione nelle determinazioni della riflessione


Nell’affrontare la questione della contraddizione, l’analisi dello
sviluppo dialettico delle determinazioni della riflessione costituisce un
passaggio obbligato. In particolare, qui esaminerò il modo in cui la di-
namica negativa e autoreferenziale che contraddistingue la dialettica
dell’essenza si trova declinata nello sviluppo delle determinazioni della
riflessione e come queste vadano a concretizzarsi nell’articolazione
della determinazione della contraddizione48.
Le determinazioni della riflessione sono i diversi momenti in cui
è articolato il movimento della riflessione stessa, ovvero la dialettica
tramite cui l’essenza si costituisce. L’essenza, nella sua riflessione in-
terna, cioè nella sua costitutiva relazionalità a sé, è innanzitutto identi-
ca a se stessa. L’identità della riflessione si sviluppa però concretamen-
te solo nella misura in cui l’essenza si distingue da sé e, nel suo riflet-
tersi in altro, diviene differente da sé. L’identità dell’essenza che con-
tiene in sé la sua stessa differenza mostra infine di avere una struttura
oppositiva, e poi evidentemente contraddittoria. La contraddizione, che

47 Ivi, p. 250 (p. 445). Cfr. anche WdL II, p. 243 (p. 435). Infatti Iber scrive:

«Das Wesen als Reflexion ist nur als sich auf sich beziehende Negativität. […] Als abso-
lute Negativität ist sie zugleich reine Selbstnegation» (C. IBER, Kleine Einfürung in
Hegels Logik, cit., p. 26).
48 Cfr. T. WEGERHOFF, Hegels Dialektik. Eine Theorie der positionalen Diffe-

renz, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottinga 2008, p. 30.


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Essenza e contraddizione 147

contiene in sé l’identità nella differenza dell’essenza da se stessa, è


quindi la dinamica su cui l’essenza stessa si fonda, ciò su cui effettiva-
mente costituisce il suo movimento riflessivo. In questo modo, i diver-
si momenti del suo riflettersi in sé sono:
(1) L’identità [Die Identität]
(2) La differenza [Der Unterschied]
(3) L’opposizione [Der Gegensatz]
(4) La contraddizione [Der Widesrpruch]
(5) Il fondamento [Der Grund]

5.3.1. L’identità
L’identità è il modo in cui si determina, a livello immediato, il
movimento riflessivo dell’essenza. L’essenza è «semplice identità con
sé»49, che non si costituisce però tramite la mera astrazione dall’altro
da sé50. Per Hegel la concezione astratta dell’identità, che corrisponde
al modo comune di intendere questa relazione, è del tutto triviale e
non dispiega il processo tramite il quale si costituisce l’essenza e, più
in generale, il modo in cui l’identità si trova declinata nell’articolazio-
ne di ogni cosa.
La concezione astratta, o potremmo dire anche intellettualistica,
dell’identità è immediatamente contraddittoria. Hegel esplicita questa
contraddittorietà in due modi.
In primo luogo, fa riferimento al principio d’identità51: «questo
principio nella sua espressione positiva di A=A non è anzitutto altro
che l’espressione della vuota tautologia […] è senza contenuto»52. L’i-
dentità astrattamente intesa contiene «soltanto una verità formale, una
verità astratta, incompleta»53. Nel dire che qualcosa è identico con se
stesso, non si dice ancora nulla sul qualcosa stesso e non si spiega in

49 WdL II, p. 260 (p. 457).


50 L’identità astratta «fuori di essa ed accanto ad essa ha davanti a sé la diffe-
renza» (ivi, p. 261 (p. 458)).
51 Nella filosofia moderna si trovano diverse formulazioni del principio d’iden-

tità. Ad esempio Descartes: «Impossibile est idem simul esse et non esse» (R. DESCARTES,
Principia Philosophiae, in Ouvres, vol. VIII, a cura di C. Adam e P. Tannery, Vrin,
Parigi 1996, p. 18); o la formulazione di Leibniz: «chaque chose est ce qu’elle est» (G.W.
LEIBNIZ, Nuoveaux essais sur l’entendement humain, in Die philosophischen Schriften, vol.
VII, a cura di C.J. Gerhardt, Olms, Hidesheim 1978, p. 343), ripresa poi da Wolff e
Baumgarten. Ricordo infine anche la formulazione kantiana: «ciò che è, è» e la sua acce-
zione negativa «ciò che non è, non è» (ND, p. 389 (p. 9)).
52 WdL II, p. 262 (p. 459).
53 Ivi, p. 262 (p. 460).
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148 Ai limiti della verità

alcun modo come esso si costituisca: «quando infatti alla domanda p.


es.: Che cos’è una pianta? si risponde: Una pianta è – una pianta, […]
con ciò non è stato detto nulla»54. L’identità astratta risulta contrad-
dittoria perché, nel pretendere di esprimere la verità di qualcosa, fini-
sce per non dire nulla sulla cosa stessa:
Cotesto parlare identico contraddice dunque se stesso. L’identità, invece
di essere in lei la verità e la verità assoluta, è quindi anzi il contrario; invece di
essere l’immota semplicità, è il sorpassar se stessa per andare alla sua risolu-
zione55.
L’identità astratta non sussiste come essenza della cosa e necessi-
ta di una determinazione ulteriore, vale a dire della differenza.
Fin qui si è mostrato in che senso sia contraddittoria non tanto
l’identità in se stessa, ma l’assolutizzazione dell’identità sulla base della
quale si intende fare dell’identità l’essenza di ogni cosa. Hegel, però,
mostra anche come l’identità sia contraddittoria in se stessa, usando un
argomento che fa riferimento al Sofista di Platone56. Sulla base della de-
finizione hegeliana, l’identità lascia fuori di sé la differenza, è differente
dalla differenza e, quindi, ha già in sé il momento della differenza57.
Allo stesso modo, facendo riferimento alla forma della proposi-
zione che esprime il principio d’identità, mostra che:
Vi è dunque nella forma della proposizione, in cui è espressa l’identità,
più che non la semplice, astratta identità; vi è questo puro movimento della ri-
flessione, movimento in cui l’altro si affaccia soltanto come parvenza, come
immediato dileguarsi. A è, è un cominciare, cui sta dinanzi un diverso, al quale
si deve riuscire; ma esso non arriva al diverso; A è –A; la diversità è soltanto
un dileguarsi. Il movimento rientra in se stesso. […] Nell’espressione del-
l’identità si presenta anche immediatamente la diversità58.
Nel principio d’identità A=A, abbiamo un A soggetto, da una
parte, e un A predicato, dall’altra, che enuncia ciò che A è. Senza la
non identità dei due A non sarebbe possibile dire quella che pure ri-
mane una semplice tautologia, perché il riferimento di A a se stesso è
54 Ivi, p. 264 (p. 461).
55 Ivi, p. 264 (p. 462).
56 «L’identico, in quanto tale, perché sia identico è necessario si distingua dal

diverso, e cioè che sia diverso dal diverso; e lo stesso dicasi del diverso, che è tale, solo se
identico a sé» (V. VITIELLO, Filosofia teoretica. Le domande fondamentali, Mondadori,
Milano 1997, p. 28). Cfr. PLATONE, Sofista, (254b-260b), trad. it. di A. Zadro, in Opere
complete, vol. II, Laterza, Bari 1982, pp. 233-241.
57 Cfr. WdL II, p. 262 (pp. 459-460).
58 Ivi, pp. 264-265 (p. 462).
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Essenza e contraddizione 149

possibile solo in questo momentaneo rapportarsi di A rispetto all’altro


da sé per ritornare subito in se stesso. La relazione, anche se di sempli-
ce identità, implica la presenza di almeno due relata.
La relazione tra i due A può, in realtà, essere interpretata come
la relazione sulla base della quale si articola l’essenza di un unico A. A
è qualcosa di immediato nella pura e astratta identità con sé. Ma su
questa pura e astratta identità non può strutturarsi la sussistenza di A.
A infatti, in quanto immediato, si fonda ed è posto da qualcos’altro da
sé. La sua è un’identità che contiene costitutivamente in sé la differen-
za da sé, la sua costitutiva relazionalità con il proprio altro. Se A è la
parvenza, A non sussiste di per sé, ma solo come posto all’interno del
movimento riflessivo in cui l’essenza si porta a manifestazione, realizza
se stessa e rimane veramente e concretamente identica con se stessa59.
L’identità non sussiste come statica identità dell’essenza a se
stessa, ma come dinamico processo di identificazione che si costituisce
come toglimento della differenza. Ma la differenza può essere tolta so-
lo in quanto è posta. L’identità dell’essenza è quindi l’identità dell’es-
senza nel suo distinguersi da sé:
Questa identità è innanzitutto l’essenza stessa, non ancora una determi-
nazione di essa; è l’intiera riflessione […]. Come negazione assoluta essa è la
negazione che nega immediatamente se stessa, un non essere e una differenza
che sparisce nel suo sorgere, ossia un distinguere per cui non vien distinto nul-
la, ma che rovina immediatamente in se stesso. Il distinguere è il porre il non
essere come non essere dell’altro. Ma il non essere dell’altro è il togliersi del-
l’altro e quindi dello stesso distinguere. Così però si ha qui il distinguere come
negatività riferentesi a sé [als sich auf sich beziehende Negativität], come un
non essere che è il non essere di se stesso, un non essere che ha il suo non es-
sere non in un altro, ma in se stesso. Si ha dunque la differenza riferentesi a sé,
riflessa, ossia la differenza pura, assoluta60.
L’identità è la negatività dell’essenza immediatamente riflessa in
sé, nella sua immediata autoreferenzialità. L’essenza, negandosi, pone
immediatamente la differenza (prima negazione), ma allo stesso tempo
immediatamente la toglie (seconda negazione). Così essa è immediata-
59 Questa interpretazione del principio d’identità come pura riflessione che

contiene in sé il momento della differenza è esplicitata in quello che Hegel chiama


«principio di contraddizione» e che risulta essere la formulazione negativa del principio
d’identità: «A non può essere insieme A e non-A. […] Questa forma sta però in ciò che
l’identità, come puro movimento della riflessione, è la semplice negatività, la quale è
contenuta in maniera più sviluppata nell’accennata seconda espressione del principio»
(ivi, p. 265 (p. 463)).
60 Ivi, pp. 261-262 (pp. 458-459).
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150 Ai limiti della verità

mente identica con sé61. Nell’identità, quindi, la pura negatività riflessa


in se stessa è la pura differenza. La pura differenza è immanente alla dia-
lettica riflessiva in base alla quale l’identità dell’essenza si costituisce62.
In questa identità con sé, l’essenza si riflette in sé come identica
con sé, in quanto si proietta anche solo per un istante nell’altro da sé,
per ritornare poi subito in se stessa. L’identità sussiste solo nella diffe-
renza dei termini che vengono identificati, anche se si tratta di una dif-
ferenza che subito scompare. L’essenza è identica con sé solo in quanto
ritorna a sé, ovvero in quanto è una relazione a sé a partire da un essere
altro. In questo modo, però, l’altro va posto, e va posto tramite la dialet-
tica dell’essenza stessa. L’identità dell’essenza si costituisce, quindi, co-
me la posizione di una differenza che è immediatamente tolta. In altri
termini, l’identità è quel movimento per cui l’essenza si respinge imme-
diatamente da sé per tornare altrettanto immediatamente in se stessa:
l’identità è la riflessione in se stessa, che è questo solo come un respin-
gere interno, e questo respingere è come riflessione in sé, un respingere che
immediatamente si riprende in sé. Essa è pertanto identità come differenza
identica con sé63.

Da una parte, l’identità, in quanto identità, pone la propria dif-


ferenza da sé; dall’altra parte, nel porre la propria differenza da sé, l’i-
dentità allo stesso tempo toglie questa stessa differenza. Sulla base del-
la propria negatività autoreferenziale, l’identità è dunque, allo stesso
tempo e sotto il medesimo rispetto, il porre e il togliere la propria dif-
ferenza da se stessa. Nell’essere identica con sé, si differenzia da sé; ma
nella sua auto-differenziazione, allo stesso tempo, realizza la sua con-
creta identità con sé.
A essere assolutamente identica con sé è la negatività stessa del-
l’essenza, nella sua riflessione in sé. L’assoluta identità è quindi assolu-
ta differenza e, altrettanto, l’assoluta differenza sussisterà solo nell’as-
soluta identità con se stessa, nell’assoluta riflessione in se stessa64:

61 «Die Reflexion bezieht sich auf sich, indem sie das Unterschiedene aufhebt

und als interne Momente in die Bewegung selbstbezüglicher Negativität integriert»


(T.C. SCHMIDT, op. cit., p. 111).
62 «Identity means the self-difference of identity itself and the self-identity of

difference. The concept of identity, in other words, is the movement, transition, process,
the becoming of both; it is the identity and difference of identity and difference»
(A. HAAS, op. cit., p. 256).
63 WdL II, p. 262 (p. 459).
64 Hegel anticipa così anche la struttura contraddittoria della differenza, che è

identica con sé in quanto è assoluta non identità. Cfr. WdL II, p. 262 (p. 459).
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Essenza e contraddizione 151

la considerazione di tutto ciò che è mostra in lui stesso che nella sua
eguaglianza con sé esso è diseguale a sé e contraddittorio, e che nella sua di-
versità, nella sua contraddizione, è identico con sé65.
La struttura contraddittoria dell’identità è la verità dell’identità
stessa66. La contraddizione è il principio di determinazione dell’iden-
tità: la regula veri dell’identità, sia in senso critico-negativo, poiché
porta al superamento della concezione astratta dell’identità, sia in sen-
so positivo-speculativo, dal momento che l’articolazione concreta del-
l’identità – e quindi la sua verità – contiene costitutivamente in se stes-
sa il momento della differenza.
Inoltre, proprio nel portare alla luce come l’identità sia in se
stessa assoluta differenza, la contraddizione conduce il processo dia-
lettico verso un nuovo momento all’interno dello sviluppo delle deter-
minazioni della riflessione, ossia verso la differenza.

5.3.2. La differenza
La differenza è lo sviluppo della relazione riflessiva contenuta
nell’identità. È quel distinguersi da sé dell’essenza, sulla base del quale
essa costituisce la propria identità67.
Come l’identità, anche la differenza non è una relazione tra due
relata distinti, ma una relazione interna all’essenza stessa: «questa diffe-
renza è la differenza in sé e per sé, la differenza assoluta, la differenza del-
l’essenza»68. Non è la differenza di qualcosa rispetto a qualcos’altro, ma
di qualcosa in se stesso, dell’essenza in se stessa. È la differenza che l’es-
senza ha in sé come assoluta negatività, per cui essa nega se stessa, si di-
stingue da sé. Quella dell’essenza «è la differenza che si riferisce a se
stessa»69, è cioè la differenza dell’essenza da se stessa nella parvenza.
È proprio l’autoreferenzialità della negatività alla base della diffe-
renza che fa sì che essa non sia una relazione statica tra due cose diver-
se tra loro, ma un processo intrinsecamente dinamico di differenziazio-
ne di uno stesso, e cioè dell’essenza70. L’essenza è diversa in se stessa e,
65 Ivi, p. 261 (p. 458).
66 «La verità è completa solo nell’unità dell’identità colla diversità» (ivi, p. 263
(p. 460)).
67 «La differenza è la negatività che la riflessione ha in sé; […] è il momento es-

senziale dell’identità stessa, la quale in pari tempo si determina come negatività di lei
stessa» (ivi, p. 265 (p. 464)).
68 Ivi, p. 266 (p. 464).
69 Ibidem.
70 «Der Unterschied der Reflexion ist nicht Unterscheidung von einem andern,

sondern Selbstdifferenzierung» (T.C. SCHMIDT, op. cit., p. 111).


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152 Ai limiti della verità

proprio nel distinguersi da sé, realizza concretamente il suo essere dif-


ferenza e risulta concretamente identica con sé. La differenza quindi
«ha il suo altro, l’identità, in lei stessa»71 perché, in quanto differenza
in se stessa, è un distinguersi da sé in cui rimane identica con sé.
In questo modo, (1) in quanto identica con sé, la differenza è di-
versa da sé perché realizza il suo essere differenza in se stessa solo nel
distinguersi da sé; (2) in quanto diversa da sé, la differenza è identica
con sé perché nel distinguersi da sé realizza il suo essere differenza in
sé. Anche per la differenza, dunque, l’autoreferenzialità della negati-
vità implica uno sviluppo autocontraddittorio della sua articolazione
logica. Essa è una differenza che «ha questi due momenti, l’identità e
la differenza»72. Essa non è altro che il negativo riferimento dell’essen-
za a sé, è il suo distinguersi da sé nella parvenza e, allo stesso tempo, il
suo rimanere identica con sé in quest’ultima.

5.3.3. La diversità
Finora la riflessione si è determinata nei suoi primi due momenti
nei quali si pone o come un’identità che ha in sé il momento della dif-
ferenza, o come una differenza che ha in sé il momento dell’identità. Si
ha a che fare quindi con una setzende Reflexion, una riflessione che si
pone come tale, ma che non è ancora compiutamente determinata. Af-
finché essa realizzi la sua compiuta determinazione, la riflessione
dev’essere una bestimmende Reflexion, una riflessione che determina
se stessa a partire da sé. I primi due momenti della riflessione, i due
processi di auto-identificazione e auto-differenziazione dell’essenza,
sono un unico e medesimo movimento dell’essenza nel suo processo di
riflessione in se stessa.
Quest’unità di identità e differenza non può però essere assunta:
essa va dimostrata, e va dimostrata a partire dalla distinzione di queste
determinazioni. Il medio che quindi porta dalla setzende Reflexion alla
bestimmende Reflexion è l’äußere Reflexion, in cui i due momenti del-
l’identità e della differenza sono considerati come l’uno esterno all’al-
tro, l’uno diverso dall’altro, «diversi in generale, […] indifferenti fra
loro e di fronte alla loro determinatezza»73.
I processi di identificazione e di differenziazione perdono il loro
carattere dinamico e vengono fissati in due relazioni che non stanno

71 WdL II, p. 266 (p. 465).


72 Ivi, p. 267 (p. 465).
73 Ivi, p. 267 (p. 466).
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Essenza e contraddizione 153

nelle cose stesse e nel modo in cui queste si costituiscono, ma sussisto-


no solo in una riflessione soggettiva ed esterna rispetto ad esse74. Que-
ste relazioni non sono altro che l’identificazione o la differenziazione
tra cose indipendenti, l’una esterna all’altra. L’identità diventa egua-
glianza; la differenza diventa diseguaglianza. Tali relazioni sono estrin-
seche e non toccano dunque in alcun modo le cose in se stesse, che
nella loro essenza sussistono come indipendenti rispetto ad esse:
La riflessione esterna riferisce il diverso all’eguaglianza e ineguaglianza.
Questo riferimento […] è estrinseco a queste determinazioni stesse; perciò anche
non vengon esse riferite l’una all’altra, ma soltanto ciascuna per sé ad un terzo75.
La riflessione esterna tende a tenere separate eguaglianza e ine-
guaglianza come diverse per evitare la contraddizione che deriverebbe
da una loro unità. Nella loro separazione, però, eguaglianza e inegua-
glianza sono entrambe semplicemente uguali a sé e indifferenti rispet-
to ad altro, per cui si trovano determinate allo stesso modo: «la diffe-
renza è sparita, poiché esse non hanno alcuna determinatezza l’una di
fronte all’altra, ossia ciascuna è così soltanto eguaglianza»76. Nell’op-
posizione estrinseca della diversità queste stesse determinazioni perdo-
no la loro determinatezza specifica, si confondono, e «per via di que-
sta lor reciproca separazione esse non fanno che togliersi»77.
La relazione che tiene i due termini l’uno esterno all’altro, allo
stesso tempo, porta i due termini a confondersi l’uno con l’altro e fini-
sce quindi per contraddirsi78. Questa contraddizione ha la funzione
critico-negativa di mettere in luce le insufficienze della relazione di di-
74 «Si potrebbe parlare a questo proposito di una cristallizzazione del preceden-

te processo, per cui ora i due momenti dell’identità e della differenza non si determina-
no più reciprocamente, ma si irrigidiscono l’uno contro l’altro, riferendosi unicamente
alla propria astratta identità con se stessi, e la differenza finisce così per cadere al di fuo-
ri della loro determinazione» (A.M. NUNZIANTE, Monade e contraddizione. L’interpreta-
zione hegeliana di Leibniz, Verifiche, Trento 2001, p. 112).
75 WdL II, p. 268 (pp. 467-468).
76 Ivi, p. 269 (p. 468).
77 Ibidem. Il punto di vista della riflessione esterna, che considera eguaglianza e

ineguaglianza come diverse, è lo stesso che le tiene distinte nei processi di identificazio-
ne e distinzione delle cose tramite la distinzione dei riguardi: «da un lato e sotto un ri-
spetto sono eguali, dall’altro lato e sotto l’altro rispetto sono invece disuguali. Con ciò
l’unità dell’eguaglianza e dell’ineguaglianza vien rimossa dalla cosa, e quella che sarebbe
la sua propria riflessione e la riflessione dell’eguaglianza e dell’ineguaglianza in sé vien
tenuta ferma come riflessione estrinseca alla cosa» (ivi, p. 272 (p. 472)).
78 «Come momenti della riflessione esterna e come estrinseche a se stesse,

l’eguaglianza e l’ineguaglianza spariscono insieme nella loro eguaglianza» (ivi, p. 269


(p. 469)).
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154 Ai limiti della verità

versità, ma anche la funzione speculativo-positiva di mostrare che la


determinatezza specifica dei momenti opposti sussiste solo in una dif-
ferenza in cui esse sono intrinsecamente unite l’una all’altra79.
In effetti, l’uguaglianza tra due cose può essere posta solo se sus-
sistono appunto due cose distinte tra loro. L’uguaglianza presuppone
la diseguaglianza e si sviluppa come una relazione che unisce ciò che è
diverso. Parallelamente, l’ineguaglianza sussiste solo in relazione a un
eguale aspetto per cui due cose si distinguono (due cose si possono di-
stinguere perché hanno, ad esempio, un colore diverso, ma la diversità
rispetto al colore presuppone l’avere, da parte di entrambe, un colo-
re). L’ineguaglianza presuppone l’uguaglianza e si sviluppa come una
relazione che distingue ciò che è uguale.
Perciò, l’eguaglianza contiene in sé l’ineguaglianza come proprio
momento costitutivo e viceversa. Esse stanno in «un’unità negativa»
che non è solo quella della riflessione esterna, ma anche della riflessio-
ne interna a queste stesse determinazioni: «questa unità negativa è
[…] posta in loro», è cioè anche «la natura dell’eguaglianza e dell’ine-
guaglianza stesse»80.
L’eguaglianza e l’ineguaglianza, concretamente intese, sono dun-
que relazioni che hanno a che fare con le cose stesse, col modo in cui
si determinano e col modo in cui si determina l’essenza. Qualcosa si
determina come uguale con qualcos’altro se pone in sé, allo stesso
tempo, la differenza rispetto ad altro. Qualcosa si determina come di-
seguale rispetto ad altro solo se ha allo stesso tempo posto un sostrato
comune, un’identità a partire dalla quale si sviluppa la sua differenza.
Così l’essenza è uguale alla parvenza solo se ha già posto la parvenza
di contro a sé; parallelamente, l’essenza è diseguale rispetto alla par-
venza solo se pone la parvenza come l’identità dell’essenza con sé,
frutto della sua intrinseca negatività.
Eguaglianza e ineguaglianza non sussistono più come diverse,
ma come due momenti di unico processo di riflessione dell’essenza, la
quale costituisce la loro unità negativa:
Ciascuno è pertanto questa riflessione, l’eguaglianza perché questa è
lei stessa e l’ineguaglianza, l’ineguaglianza, perché questa è lei stessa e l’egua-
glianza81.

79 «Questo riguardo indifferente, ossia la differenza estrinseca, toglie quindi se

stesso ed è in se stesso la sua propria negatività» (ibidem).


80 Ibidem.
81 Ivi, pp. 269-270 (p. 469).
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Essenza e contraddizione 155

È stata superata l’esteriorità della riflessione che teneva le deter-


minazioni opposte separate l’una dall’altra. La riflessione ha in se stes-
sa questi opposti come propri momenti, è l’unità in cui solo essi sussi-
stono e realizzano il loro processo di determinazione e in cui si deter-
mina compiutamente anche la riflessione stessa. Quest’unità negativa
di uguaglianza e ineguaglianza nella riflessione interna all’essenza è in-
trinsecamente contraddittoria.

5.3.4. L’opposizione
L’unità negativa dei momenti opposti non è più determinata dal
punto di vista di una riflessione esterna, ma da quello della riflessione
intrinseca ai momenti che essa lega. Questi momenti sono l’eguaglian-
za e l’ineguaglianza, non più come relazioni statiche di una riflessione
esterna, bensì come processi tramite cui l’essenza viene a determinarsi
come eguale e diseguale a sé. Sono cioè i momenti del processo di ri-
flessione dell’essenza, ognuno dei quali è, come si è visto, l’unità di sé
e della determinazione opposta:
L’eguaglianza è solo nella riflessione che confronta secondo l’inegua-
glianza, ed è quindi mediata dal suo altro momento indifferente. In pari ma-
niera l’ineguaglianza è solo in quella medesima relazione riflessiva in cui è l’e-
guaglianza. – Ciascuno di questi due momenti è dunque nella sua determina-
tezza l’intiero. È l’intiero, in quanto contiene anche il suo altro momento. Ma
questo suo altro è un indifferente essere82.

L’eguaglianza è quindi la relazione che contiene il riferimento al-


l’ineguaglianza, ma sussiste anche come un termine indipendente ri-
spetto ad essa, il suo semplice negativo. L’eguaglianza, all’interno del-
l’opposizione, si determina di contro all’ineguaglianza ed è quindi il
positivo. L’ineguaglianza si determina, invece, come il negativo ed è
quella relazione che contiene in sé il riferimento all’eguaglianza, ma
sussiste allo stesso modo come un termine indipendente da essa.
In questa prima tematizzazione della relazione di opposizione,
positivo e negativo sussistono come indipendenti, ma la loro indipen-
denza, la loro determinatezza, si costituisce solo nel contenere allo
stesso tempo il proprio altro in sé:
Ciascuno è se stesso e il suo altro, epperò ciascuno ha la sua determina-
tezza non in un altro, ma in lui stesso. – Ciascuno si riferisce a se stesso, solo
in quanto si riferisce al suo altro. Questo ha un doppio lato; ciascuno è rela-

82 Ivi, p. 272 (p. 473).


05_capV_133_05_capV_133 07/05/15 12.01 Pagina 156

156 Ai limiti della verità

zione al suo non essere come togliersi di questo esser altro in sé; così il suo
non essere è solo un momento in lui. Ma d’altra parte l’esser posto è divenuto
qui un essere, un indifferente sussistere; l’altro da sé, che ciascuno contiene, è
quindi anche il non essere di quello in cui esso dev’esser contenuto solo come
momento. Ciascuno è quindi solo in quanto il suo non essere è, e ciò appunto
in una relazione identica83.

In queste righe Hegel mette in luce i due lati della relazione di


opposizione:
(1) da una parte, i termini opposti si costituiscono solo nella ne-
cessaria relazione negativa ad altro e quindi lo includono in sé come
proprio momento costitutivo;
(2) dall’altra parte, i termini opposti hanno una loro determina-
tezza specifica, dotata di una sussistenza indipendente che si basa pro-
prio sul toglimento, sull’esclusione della determinazione opposta.
Questi due lati dell’opposizione sono contraddittori. Il primo
consiste nella necessaria inclusione negativa del termine opposto in
ciascuno dei termini dell’opposizione. Il secondo consiste nell’indi-
pendenza di ogni termine dell’opposizione, e quindi nella necessaria
esclusione negativa del termine opposto.
Nella dialettica dell’opposizione vengono quindi analizzati in-
nanzitutto questi due lati dell’opposizione, che corrispondono rispetti-
vamente al primo e al secondo momento della dialettica delle determi-
nazioni della riflessione, ossia l’identità e la differenza. Il primo lato
dell’opposizione corrisponde alla negazione reciproca dei termini op-
posti, in cui essi sono identici in quanto ognuno è la semplice negazio-
ne del termine opposto. Il secondo lato dell’opposizione corrisponde
all’indipendenza dei termini opposti, per cui essi sono diversi. La dia-
lettica dell’opposizione si compie con un terzo momento che risulta
dall’unità dei primi due.

5.3.4.1. L’opposizione tra termini semplicemente negativi


Il primo lato dell’opposizione, l’opposizione nella sua immedia-
tezza, è la relazione in cui il negativo e il positivo sono semplicemente
il negativo l’uno dell’altro:
Il positivo e il negativo sono in primo luogo momenti assoluti dell’oppo-
sizione; il loro sussistere è inseparabilmente un’unica riflessione; è un’unica
mediazione, quella in cui ciascuno è mediante il non essere del suo altro, e
quindi mediante il suo altro ossia il proprio non essere. – Così il positivo e il

83 Ivi, p. 273 (p. 474).


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Essenza e contraddizione 157

negativo sono in generale termini opposti; ossia ciascuno è soltanto l’opposto


dell’altro84.

Nell’articolazione immediata dell’opposizione, i termini opposti


non dispiegano ancora la loro specifica determinatezza. Il positivo non
riesce a costituirsi come positivo, né il negativo come negativo. Ognu-
no è semplicemente il negativo dell’altro. Positivo e negativo non sono
quindi opposti in se stessi, ma si caratterizzano come tali solo sulla ba-
se dell’esclusione da sé del proprio altro. Ognuno è solo il primo lato
dell’opposizione, la necessaria relazione negativa all’altro, e non riesce
ancora a costituirsi nella sua autosussistenza. Entrambi sono solo un
negativo o, meglio, sono semplicemente l’esser negato della determina-
zione opposta85. In sostanza, le due determinazioni sono interscambia-
bili perché si caratterizzano nello stesso modo.
Hegel individua un esempio concreto di questo tipo di opposi-
zione all’interno dell’ambito della matematica nella relazione tra gran-
dezze opposte del tipo di +a e –a, in cui «il –a è bensì designato come
il negativo, e il +a come il positivo, ma l’uno è altrettanto un contrap-
posto quanto l’altro»86. Le grandezze opposte +a e –a sono tali solo
nella loro relazione di opposizione, e cioè in quanto si trovano in una
stessa serie all’interno della quale vengono aggiunte o sottratte l’una
all’altra. I simboli + e – non stanno rispettivamente per l’essere in sé
positivo del primo a e per l’essere in sé negativo del secondo, ma per
la loro relazione reciproca di addizione del primo rispetto al secondo e
di sottrazione del secondo rispetto al primo. È solo questa relazione a
renderle grandezze opposte. Di per se stesse, queste grandezze sono
un a indifferente, neutro, cioè il loro valore assoluto.
Il valore assoluto a sembra rappresentare la base indifferente ri-
spetto all’opposizione dei due termini. In realtà è quella riflessione sulla
base della quale soltanto ognuno dei termini opposti si costituisce attra-
verso il non essere dell’altro: «a non è soltanto la semplice unità che sta
per base, ma come +a e –a è la riflessione di questi contrapposti in
sé»87. Nella serie numerica, a rappresenta quel valore che, nell’essere
sottratto o aggiunto, costituisce l’opposizione tra +a e –a. O ancora –
per riprendere un altro esempio cui Hegel fa riferimento – nel conside-

84 Ivi, p. 273 (pp. 474-475).


85 «L’uno non è ancora positivo, e l’altro non è ancora negativo, ma entrambi
sono negativi uno rispetto all’altro» (ivi, p. 273 (p. 475)).
86 Ivi, p. 276 (p. 478).
87 Ibidem.
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158 Ai limiti della verità

rare l’opposizione nel medesimo cammino, tra un’ora di cammino ver-


so levante e una verso ponente, è quell’unico pezzo di cammino percor-
so prima da una parte e poi dall’altra a costituire l’opposizione tra i due
termini: l’opposizione non sussiste tra due pezzi di strada diversi, ma
sulla base di un unico pezzo di strada percorso in direzioni diverse.
Questo riferimento al valore assoluto, o in generale alla base indifferen-
te dell’opposizione, mette in evidenza come i termini dell’opposizione
siano solo apparentemente diversi. Essi, in realtà, sono entrambi quel-
l’unico valore assoluto, o quell’unico pezzo di cammino, considerato
nella relazione di opposizione rispetto al termine opposto.
In questo senso, i termini dell’opposizione sono indistinguibili,
sono entrambi il negativo, perché entrambi caratterizzati dalla medesi-
ma relazione nei confronti dell’altro88.
L’esempio delle grandezze matematiche, quello dell’ora di cam-
mino verso levante e verso ponente, o altri come l’opposizione tra le
ricchezze disponibili e i debiti, richiamano chiaramente la trattazione
kantiana dell’opposizione reale. Il riferimento a Kant assume una va-
lenza critica. Le determinazioni opposte, infatti, nell’essere l’una il ne-
gativo dell’altra, non sono negative in se stesse, ma solo rispetto all’al-
tro fuori di sé, proprio come nell’opposizione reale kantiana. Esse
hanno il loro essere positive o negative solo nella relazione di opposi-
zione con la determinazione opposta: «l’ora di cammino verso levante,
in pari tempo, non è il cammino positivo in sé, né il cammino verso
ponente è il cammino negativo; ma coteste direzioni sono indifferenti
di fronte a questa determinatezza dell’opposizione»89. Come nell’op-
posizione reale, è indifferente quale determinazione si designi come
positiva e quale come negativa. Questo viene determinato solo sulla
base di una riflessione esterna90.
Inoltre, nell’opposizione dei termini negativi, come nell’opposi-
zione reale, il risultato dell’opposizione è lo zero: «secondo quel primo
lato +y – y = 0» e, più in generale, «gli opposti si tolgon bensì nella lor
relazione per modo che il resultato è uguale a zero»91. Ma questo zero
– ciò che resta dal togliersi degli opposti – non è il nihil privativum, os-
sia il fatto che ogni opposto toglie ciò che è posto dall’altro. Il vero ri-
sultato di quest’opposizione è, secondo Hegel, «la lor relazione identi-

88 Cfr. M. WOLFF, op. cit., p. 92.


89 WdL II, p. 276 (p. 478).
90 «Solo un terzo riguardo che cade fuor di loro rende l’una positiva, e l’altra

negativa» (ibidem).
91 Ibidem.
05_capV_133_05_capV_133 07/05/15 12.01 Pagina 159

Essenza e contraddizione 159

ca, che è indifferente di fronte all’opposizione stessa, e così costitui-


scono un medesimo»92. La relazione identica degli opposti è il modo in
cui essi si determinano, la loro negatività ancora solo astratta. Ognuno
è opposto solo in una relazione ad un altro che sta fuori di lui, in
quanto è il semplice non essere di questo altro.
Con l’opposizione reale Kant intendeva sviluppare un concetto
di opposizione diverso da quello dell’opposizione logica, basata su una
negatività differente da quella astratta, formale. Hegel mette qui in lu-
ce come il tipo di negatività su cui si costituisce l’opposizione reale
non abbia un carattere effettivamente determinante rispetto ai termini
opposti, perché li pone in una astratta diversità in cui ognuno finisce
per confondersi con l’altro. Il risultato del primo momento dell’oppo-
sizione è quindi tale per cui le determinazioni reciprocamente negati-
ve, in quanto reciprocamente negative, sono semplicemente positive.
Sono positive se considerate in se stesse, ovvero fuori dal rapporto con
la determinazione opposta; ma lo sono anche se considerate in questo
stesso rapporto: ciascuna è identica con la determinazione opposta, in
quanto ciascuna è determinata come opposta sulla base della medesi-
ma relazione di negazione.
Questa positività delle determinazioni opposte è messa a tema
nella seconda declinazione dell’opposizione. Per ora, il risultato del-
l’opposizione immediata è quello per cui gli opposti, reciprocamente
negativi, confondendosi l’uno con l’altro, non risultano ancora deter-
minati in se stessi come opposti. La relazione negativa ad altro, perciò,
pur essendo una condizione necessaria alla determinazione dell’oppo-
sizione, non è ancora sufficiente ad articolarla compiutamente.
In questo primo momento dell’opposizione, come anticipato, si
mostra l’identità delle determinazioni opposte, cioè il loro identico
strutturarsi come la necessaria relazionalità all’altro da sé. Ma l’iden-
tità dei termini opposti, solo nella loro altrettanto necessaria diversità
riesce ad articolare concretamente la relazione di opposizione. Questo
secondo elemento – la diversità – viene messo in evidenza nel secondo
momento della relazione di opposizione.

5.3.4.2. L’opposizione tra termini indipendenti


Nel secondo momento dell’opposizione, positivo e negativo so-
no posti come indipendenti l’uno rispetto all’altro. Viene in evidenza il
secondo lato dell’opposizione, ossia l’autosussistenza e l’indifferenza

92 Ibidem.
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160 Ai limiti della verità

delle determinazioni opposte, il loro porsi come due determinazioni


specifiche e distinte l’una rispetto all’altra. Ognuno dei due termini è
diverso rispetto all’opposto:
Il positivo e il negativo sono, secondo questo momento della riflessione
esterna, indifferenti di fronte a quella prima identità in cui sono soltanto mo-
menti; ossia, siccome quella prima riflessione è la propria riflessione del positi-
vo e del negativo in se stessi, e ciascuno è in lui stesso il suo esser posto, così
ciascuno è indifferente a fronte di questa sua riflessione nel suo non essere, a
fronte del suo proprio esser posto93.

Questo secondo momento dell’opposizione si determina sulla


base di un punto di vista estrinseco rispetto alle determinazioni stesse.
Le due determinazioni sono l’una esterna all’altra. L’opposizione di
positivo e negativo, in quest’ottica, non è un unico processo di media-
zione tramite cui ognuno si individua come il negativo dell’altro, ma è
un’opposizione che si scinde in due processi distinti. Da una parte, il
positivo si determina come l’esclusione del negativo; dall’altra, il nega-
tivo si determina come l’esclusione del positivo. Questi due processi
non sono però in relazione tra loro. Ciascuno degli opposti si costitui-
sce come membro della relazione di opposizione, ma allo stesso tempo
esso è assolutamente autosussistente rispetto all’altro.
Anche in questo secondo momento dell’opposizione, le due de-
terminazioni risultano interscambiabili perché, pur essendo una deter-
minatezza in sé, ciascuna si determina in base ad una dinamica identi-
ca a quella della determinatezza opposta: «a ciascun lato compete ben-
sì una delle determinatezze di positivo e negativo, ma queste possono
essere scambiate, e ciascun lato è cosiffatto, che può esser preso egual-
mente tanto come positivo, quanto come negativo»94.
Inoltre, vi è ancora il riferimento alle grandezze opposte in mate-
matica: «in –8 e +3 vi sono in generale undici unità»95. Non si ha an-
cora a che fare con grandezze in sé positive o in sé negative, ma con
due grandezze entrambe positive. Tali grandezze sono caratterizzate
da una determinatezza specifica, in una relazione di opposizione che
però rimane estrinseca rispetto ad esse. Quelle in questione sono quin-
di due grandezze distinte, come membri diversi di una medesima se-
rie. Per recuperare l’esempio del cammino verso levante e verso po-
nente, si consideri qui un medesimo pezzo di strada, il cammino però

93 Ivi, p. 274 (p. 475).


94 Ibidem.
95 Ivi, p. 277 (p. 479).
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Essenza e contraddizione 161

viene percorso in due direzioni opposte, assunte come indipendenti,


un cammino che infatti «è la somma di una doppia fatica»96.
Infine, anche in questa seconda declinazione della relazione di
opposizione è chiaro il riferimento all’opposizione reale kantiana, per-
ché entrambi gli opposti sono dei positivi e la relazione di opposizione
è esterna rispetto ad essi. Ancora una volta, Hegel mette indirettamen-
te in evidenza i limiti della concezione kantiana dell’opposizione reale.
Gli opposti sussistono come termini che, in realtà, sono indifferenti ri-
spetto alla loro relazione di opposizione. Ma in questa relazione, in cui
gli opposti stanno semplicemente nella loro diversità, la negatività che
li lega e che li costituisce effettivamente in quanto opposti resta ancora
una volta indeterminata, astratta, perché non è posta negli opposti
stessi, ma in una riflessione loro estrinseca.
In questo secondo momento dell’opposizione viene in evidenza
la diversità delle due determinazioni. La diversità, però, come si è vi-
sto, consiste in una distinzione ancora esterna agli opposti, una distin-
zione non ancora determinata: positivo e negativo sono già distinti, ma
non emerge ancora ciò per cui essi si distinguono. La diversità dei ter-
mini opposti, la loro indipendenza è, come la loro identità, una condi-
zione necessaria ma non ancora sufficiente a determinare compiuta-
mente il modo in cui si articola la relazione di opposizione. Ciò che
manca è la comprensione di come l’altro entri in campo nel processo
di mediazione in cui ogni opposto costituisce se stesso. Quest’aspetto
è quello tematizzato nel primo momento dell’opposizione.
Per articolare compiutamente tale relazione, si tratta quindi di
mettere insieme questi due momenti. Solo congiuntamente essi sono
condizioni necessarie e sufficienti a dispiegare concretamente ciò in
cui consiste l’opposizione. Questa prospettiva d’insieme viene messa a
tema nel terzo momento dell’opposizione.

5.3.4.3. L’opposizione tra l’in sé negativo e l’in sé positivo


Il terzo momento dell’opposizione riunisce insieme i primi due
momenti, quello della relazionalità negativa dei due opposti e il loro
essere allo stesso tempo delle determinazioni diverse, autosussistenti,
caratterizzate da una determinatezza specifica:
Il positivo e il negativo non sono soltanto un posto, né semplicemente
un indifferente, ma il loro esser posto o riferimento all’altro in una unità, che
essi stessi non sono, è ripreso in ciascuno97.
96 Ibidem.
97 Ivi, p. 274 (p. 475).
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162 Ai limiti della verità

È in base all’intrinseca relazione al proprio opposto che ognuno


dei termini opposti si costituisce, rispettivamente, in quanto positivo e
in quanto negativo. Ognuno degli opposti realizza la propria autosus-
sistenza, la propria indipendenza, solo nella sussistenza e dipendenza
dal proprio opposto. Non sussiste quindi più un positivo di contro a
un negativo o un negativo di contro a un positivo98. Nel terzo momen-
to dell’opposizione, il positivo è in se stesso positivo, cioè non è più
positivo in relazione ad un altro che ha fuori di sé, perché ha in se stes-
so l’altro rispetto al quale si mostra come positivo. Allo stesso modo, il
negativo non è più tale in quanto si determina negativamente in rela-
zione ad un altro che ha di contro a sé, ma è negativo in se stesso,
avendo in se stesso l’altro rispetto al quale si mostra come negativo:
«positivo o negativo in sé essi non son dunque fuor del riferimento ad
altro, ma perché questo riferimento […] costituisce la loro determina-
zione o essere in sé»99. Entrambe le determinazioni opposte, quindi,
sono quel riferimento ad altro che, allo stesso tempo, respingono da sé
in quanto indipendenti: «ciascuno […] è una unità con sé indipenden-
te, che è per sé»100.
In questa terza declinazione della relazione di opposizione, He-
gel si richiama alle grandezze matematiche positive e negative non più
solo in quanto addizionate o sottratte, e neanche in quanto «positive e
negative per sé»101. La positività o negatività delle grandezze matema-
tiche qui non ha più a che fare con operazioni ad esse esterne, ma con
le grandezze in se stesse, i numeri positivi e i numeri negativi. Hegel
sottolinea la distinzione in questione con un esempio: «in 8 – (– 3) il
primo meno significa opposto contro 8, il secondo meno invece (–3)
vale come opposto in sé, fuor da questa relazione»102. Questo secondo
tipo di grandezze negative si costituisce su una negatività che è imma-
nente ad esse.
Per capire il modo in cui ciascuno degli opposti si costituisce
concretamente come una determinatezza autosussistente non nono-
stante, ma proprio in quanto contiene costitutivamente in sé il proprio

98 «Il positivo e negativo […] sono tali in sé, in quanto si astrae dalla loro esclu-

siva relazione ad altro, e vengon presi secondo la determinazione loro. Qualcosa è posi-
tivo o negativo in sé, in quanto non dev’esser determinato così semplicemente rispetto
ad altro» (ivi, p. 275 (p. 476)).
99 Ivi, p. 275 (p. 477).
100 Ivi, p. 274 (p. 476).
101 Ivi, p. 277 (p. 479).
102 Ibidem.
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Essenza e contraddizione 163

altro, ognuno va pensato all’interno del movimento riflessivo dell’es-


senza. Essi non sono semplicemente come due termini opposti e fissi
l’uno di contro all’altro. La loro relazionalità intrinseca si contraddi-
stingue per quella stessa dinamicità sulla base della quale l’essenza
stessa si articola come tale. Quindi, ciò che è da pensare è l’opporsi di
ogni termine all’altro, quell’opporsi sulla base del quale ognuno si de-
termina, appunto, come opposto in se stesso. Nello specifico:
(1) «Il positivo è […] un esser posto, ma in modo che per lui
l’esser posto è soltanto esser posto come tolto [das Gesetztseyn nur
Gesetztseyn, als aufgehobenes ist]. È il non contrapposto [Nichtentge-
gengesetzte], l’opposizione tolta ma come lato dell’opposizione stessa.
[…] la negativa riflessione del positivo in sé è determinata ad escluder
da sé questo suo non essere»103. Se si considera la dialettica riflessiva
dell’essenza, il positivo è l’essenza stessa che nella sua relazione di au-
to-negazione rimane identica con sé. In effetti, in questo processo, l’es-
senza ha appunto le caratteristiche che definiscono l’in sé positivo:
a. si definisce nel necessario rapporto ad altro: l’essenza si deter-
mina come positiva in relazione a quel negativo che è la parvenza, ed è
positiva perché si mostra essere «l’opposizione tolta», in quanto toglie
la parvenza come sussistenza indipendente e la mostra come quell’im-
mediato che essa stessa pone e toglie;
b. ha questo altro in se stessa: l’essenza ha in se stessa il farsi al-
tro nella parvenza e, quindi, anche il togliere la parvenza stessa – il suo
negativo – nella sua immediata sussistenza.
(2) «Il negativo […] è come tolto esser posto [als aufgehobenes
Gesetztsein], il negativo in sé e per sé, che riposa positivamente su se
stesso. Come riflessione in sé esso nega la sua relazione ad altro; il suo
altro è il positivo, un essere per sé stante; – la sua negativa relazione a
quello è quindi di escluderlo da sé. Il negativo è l’opposto sussistente
per sé [Das Negative ist das für sich bestehende Entgegengesetzte], con-
tro il positivo, che è la determinazione dell’opposizione tolta, – l’intie-
ra opposizione, in quanto riposa su di sé, per contrapposto all’esser po-
sto con sé identico»104. Se si considera la dialettica riflessiva dell’essen-
za, il negativo è la parvenza, che è appunto il «negativo posto come
negativo»105. La parvenza, infatti, ha le caratteristiche che definiscono
l’in sé negativo:

103 Ivi, p. 274 (p. 476).


104 Ivi, pp. 274-275 (p. 476).
105 Ivi, p. 246 (p. 439).
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164 Ai limiti della verità

a. si definisce nel necessario rapporto negativo ad altro: la par-


venza si determina come il negativo, in quanto è l’esclusione del positi-
vo, ovvero l’essenza.
b. ha questo altro in se stessa: la parvenza ha in sé il positivo,
perché essa non è altro che il risultato (ciò che è posto) della mediazio-
ne consistente nel distinguersi da sé dell’essenza.
In questo modo, sia positivo che negativo costituiscono la pro-
pria autosussistenza come l’esclusione di quell’opposto che, allo stesso
tempo, contengono in sé. Questo tipo di dinamica fa sì che l’opposi-
zione venga a strutturarsi in modo autocontraddittorio.

5.3.5. La contraddizione
Ogni opposto, nell’escludere da sé il suo opposto – che allo stes-
so tempo contiene in sé e che gli permette di determinarsi come oppo-
sto – finisce per negare se stesso. L’autoriferimento della negazione
implica l’autocontraddittorietà della dinamica su cui si struttura l’op-
posizione:
Ma il positivo e il negativo sono la contraddizione posta, perché come
unità negative sono appunto il loro porsi, e in ciò ciascuno il suo togliersi e il
porre il suo contrario106.

Ogni opposto, in quanto in sé opposto, include in sé il proprio


altro ma, in quanto opposto, lo esclude da sé. Quindi l’opposto è sia
l’unità con la determinazione opposta, sia la negazione di questa unità.
L’opposto nega ciò che esso stesso è. Questo riferimento negativo a sé
fa sì che l’opposto in sé si strutturi in modo autocontraddittorio per-
ché, allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto, ha e non ha in sé il
proprio opposto, è e non è la propria unità con esso:
Come questo intiero, ciascuno è mediato con sé dal suo altro e lo contie-
ne. Ma è inoltre mediato con sé dal non essere del suo altro; così è unità per sé
ed esclude da sé l’altro. Escludendo l’altra sotto quel medesimo riguardo sotto
cui la contiene, ed è però indipendente, la determinazione riflessiva indipen-
dente, nella sua stessa indipendenza, esclude da sé la propria indipendenza;
perocché questa consiste in ciò che la determinazione riflessiva contiene in sé
la determinazione opposta e solo per ciò non è la relazione verso un esterno,
ma consiste anche immediatamente in ciò che la determinazione è se stessa ed
esclude da sé la sua determinazione negativa. Così la determinazione è la con-
traddizione107.

106 Ivi, p. 279 (p. 482).


107 Ivi, p. 279 (pp. 481-482).
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Essenza e contraddizione 165

L’autocontraddittorietà dell’opposizione consiste, quindi, nel


fatto che ognuno degli opposti si determina, allo stesso tempo e sotto
il medesimo rispetto, in due processi – l’esclusione e l’inclusione del-
l’opposto – reciprocamente negativi108. Oppure, in termini ancora più
espliciti, poiché l’esclusione è un’opposizione e l’inclusione è una non
opposizione, ognuno dei termini della relazione in questione si deter-
mina sia come l’opposizione che come la non opposizione del termine
opposto109. Infatti, l’opposto in sé (l’unità negativa di positivo e nega-
tivo), in quanto opposto in sé (in quanto è l’unità negativa per cui con-
tiene in sé il proprio altro) esclude il suo essere opposto (esclude que-
sta unità negativa nell’escludere il proprio altro), e quindi viene a to-
gliere se stesso e a porre la determinazione opposta. In quanto in sé
opposti, gli opposti escludono l’opposto che hanno in sé, ovvero, nella
loro opposizione, escludono il loro stesso essere opposti.
I due termini dell’opposizione non sono semplicemente contrad-
dittori l’uno rispetto all’altro, ma ognuno è in se stesso contraddittorio
o, meglio, è autocontraddittorio110. Questo meccanismo si trova decli-
nato in modo specifico nei due membri dell’opposizione, il positivo e
il negativo.
Da una parte, il positivo si costituisce in quanto positivo nell’e-
sclusione da sé del negativo, ma in questa attività escludente esso stes-
so è negativo: «il positivo è […] la contraddizione che, in quanto è il
porre l’identità con sé mediante l’esclusione del negativo, si riduce a
essere esso stesso un negativo»111. Dall’altra parte, il negativo in quan-
to tale esclude da sé il positivo, ma nel fare questo è identico con sé, si
relaziona positivamente rispetto a sé, è positivo: «il negativo è appunto

108 Cfr. C. IBER, Kleine Einführung in Hegels Logik, cit., p. 27.


109 «They are independent, indifferent to one another, non-oppositional; and si-
multaneously, dependent, co-constituting, that is, negating, excluding, opposing one
another. In this sense the concept of opposition thinks the opposition and non-opposi-
tion of opposition and non opposition» (A. HAAS, op. cit., p. 263).
110 «By no means does Hegel claim, I would contend, that the positive and the

negative – or any other opposites – contradict one another. Hegel would certainly agree
that mutually exclusive concepts give rise to a contradiction if they are simultaneously
attributed to the same thing. But the Logic is not concerned with the attribution of con-
cepts to things. Hegel’s point is rather that both the positive and the negative, qua con-
cepts, contradict themselves. For insofar as they actually posit themselves as indepen-
dent of their contrary, they contradict their ultimate principle, that is, their unity or mu-
tual dependence» (K. DE BOER, Hegel’s Account of Contradiction in the Science of Logic
reconsidered, in «Journal of the History of Philosophy», XLVIII (2010), n. 3, pp. 345-
373, p. 363).
111 WdL II, p. 280 (p. 482); cfr. anche ivi, p. 283 (p. 487).
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166 Ai limiti della verità

il diseguale, il non essere di un altro; perciò la riflessione nella sua ine-


guaglianza è anzi il suo riferimento a se stesso»112. Sulla base di questa
dinamica logica, allora:
(1) il positivo, nella misura in cui è positivo (nell’escludere il ne-
gativo), è negativo.
(2) il negativo, nella misura in cui è negativo (identico con sé), è
positivo.
La differenza tra i due tipi di contraddizione consiste nel fatto
che «il positivo è questa contraddizione solo in sé [an sich dieser Wi-
derspruch]; il negativo all’incontro è la contraddizione posta [der ge-
setzte Widerspruch]»113. Gli opposti sono in se stessi contraddittori, in
quanto sono il riferimento negativo a sé. Ma il positivo è questo riferi-
mento negativo a sé, solo in quanto si rivela essere anche negativo. Il
negativo, invece, è già di per se stesso questo riferimento negativo a sé.
Il negativo si costituisce come la propria stessa negazione ed è identico
con sé solo in questa negazione di sé: «esso è questo, di essere identico
con sé contro l’identità, e così, per mezzo della sua riflessione esclusiva,
di escludere se stesso da sé»114.
Ma qual è il valore di quest’autocontraddittorietà degli opposti?
Come entra in relazione col modo in cui si determina l’essenza in ge-
nerale e con la dialettica che la costituisce?

5.4. La contraddizione dell’essenza


La contraddizione chiude ed è la verità della dialettica delle de-
terminazioni della riflessione, è ciò in cui essa trova il proprio fonda-
mento. Infatti, il fondamento è la determinazione che segue la con-
traddizione, ciò in cui essa risulta e si risolve, e che è caratterizzato
dalla medesima relazione auto-esclusiva sviluppata nella dialettica del-
le determinazioni della riflessione.
Il passaggio al fondamento si dà però solo con l’Aufhebung della
contraddizione:
La contraddizione si risolve [Der Widerspruch löst sich auf]. Nella rifles-
sione escludente se stessa, che è stata considerata, ciascuno, tanto il positivo
quanto il negativo, toglie nella sua indipendenza se stesso [hebt das Positive
und das Negative jedes in seiner Selbständigkeit sich selbst auf]. Ciascuno è

112 Ivi, p. 280 (p. 482).


113 Ivi, p. 280 (p. 483).
114 Ibidem.
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Essenza e contraddizione 167

assolutamente il passare o meglio il suo proprio trasportarsi nel suo opposto115.

Alcuni interpreti fanno riferimento a queste righe per mostrare


come la contraddizione per Hegel sia semplicemente il segnale dell’i-
nadeguatezza della concezione astratta dell’opposizione, in cui l’intel-
letto assume i termini opposti come indipendenti l’uno dall’altro. Essa
implicherebbe la negazione di questa stessa indipendenza e l’esplicita-
zione dell’intrinseca relazionalità su cui invece si basa la concreta co-
stituzione dei termini opposti116.
In quest’interpretazione, l’assunzione dei termini opposti come
indipendenti da parte dell’intelletto non tiene conto del fatto che, come
abbiamo visto, la concezione astratta e immediata dei termini opposti
sia quella per cui essi stanno in quella costitutiva relazione reciproca
dove sono l’uno il negativo dell’altro. Inoltre, il significato del termine
“indipendenti” viene frainteso: il toglimento della propria indipenden-
za da parte degli opposti non implica il toglimento della propria sussi-
stenza indifferente rispetto all’altro da sé. Quest’autosussistenza unila-
terale è già stata superata con il passaggio dal secondo al terzo momen-
to dell’opposizione, cioè con il passaggio dagli opposti come indifferen-
ti – secondo un tipo di relazionalità costruita su una riflessione esterna
ai termini in questione – agli opposti come indipendenti. L’indipenden-
za [Selbständigkeit] cui Hegel fa riferimento nelle righe citate non equi-
vale al determinarsi degli opposti senza far riferimento all’altro da sé,
ma al loro avere in sé l’altro che escludono da sé117.
La loro indipendenza è quindi la loro specifica determinatezza
concretamente dispiegata. Questa determinatezza, o indipendenza, si
costituisce su un riferimento negativo a sé ed è, quindi, una determina-
tezza e un’indipendenza che toglie se stessa. La contraddizione si arti-
cola proprio su questo riferimento negativo e implica il togliersi di
ogni opposto in se stesso, proprio in quanto è opposto in se stesso.

115 Ivi, p. 280 (p. 483).


116 «Yet external reflection, we have seen, tends to disregard the mutual depen-
dence of the positive and the negative. Due to the force of external reflection, even the
positive and the negative tend to present themselves as independent concepts: the posi-
tive posits itself as that which is not the negative and vice versa. In this respect, both
contrary determinations attempt to affirm their independence of their counterpart, thus
excluding the latter from themselves» (K. DE BOER, Hegel’s Account of Contradiction in
the Science of Logic reconsidered, cit., p. 362).
117 «Ma la lor riflessione esclusiva toglie via questo lor esser posto, li fa essere in-

dipendenti per sé, li fa essere tali, che sono indipendenti, non soltanto in sé, ma median-
te il lor negativo riferimento ad altro» (ivi, p. 281 (p. 484)).
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168 Ai limiti della verità

Questo non significa che la contraddizione non sia vera. Anzi, la verità
di ogni opposto è proprio questo suo stesso autoriferimento negativo e
questo suo togliersi, che trova come sua struttura fondamentale il tipo
di autocontraddittorietà che sopra ho delineato.
Naturalmente, col togliersi dell’opposto si toglie anche l’autocon-
traddittorietà che ne caratterizza la struttura costitutiva. In questo sen-
so, la contraddizione si risolve. Come sempre, però, l’Aufhebung è un
togliersi che è allo stesso tempo un conservare. Infatti, ognuno degli
opposti, proprio nel suo toglimento, rimane identico con sé: «si distrug-
gono, in quanto si determinano come l’identico con sé, ma in ciò anzi si
determinano come il negativo, come un identico con sé che è relazione
ad altro»118. Il riferimento negativo a sé di ogni opposto consiste nell’e-
scludere da sé proprio l’opposto che ha in sé. Nell’escluderlo, l’oppo-
sto toglie se stesso, ma allo stesso tempo pone il proprio opposto come
escluso, e quindi come un opposto indipendente. Questo opposto è
identico con sé perché anch’esso si costituisce come il riferimento nega-
tivo a sé che finisce per togliersi, escludendo da sé il proprio opposto e
ponendolo come indipendente. Questo implica il ritorno in sé al primo
opposto, che rimette in moto la dinamica da cui si erano prese le mos-
se. Gli opposti, perciò, non sono solo opposti in se stessi, ma sono an-
che momenti di questo complessivo movimento dell’opposizione, in cui
la determinatezza di ciascuno si dispiega compiutamente nel momento
in cui viene a togliere se stessa. In questo movimento complessivo, la
contraddizione mostra quindi di avere due valori:
Questo incessante sparire dei contrapposti in loro stessi è la prossima
unità, che viene ad essere mediante la contraddizione. Essa è lo zero [sie ist die
Null]. La contraddizione non contien però semplicemente il negativo, ma an-
che il positivo; ossia, la riflessione che esclude se stessa è in pari tempo rifles-
sione che pone; il risultato della contraddizione non è soltanto lo zero [das Re-
sultat des Widerspruchs ist nicht nur Null]. – Il positivo e il negativo costitui-
scono l’esser posto della indipendenza; la negazione loro per opera di loro stes-
si toglie l’esser posto dell’indipendenza. Questo è quel che veramente nella
contraddizione cade giù [zugrunde geht]119.

Hegel sostiene che la contraddizione sia lo zero, ma non solo.


Dietro quest’ambivalenza del risultato della contraddizione sta l’ambi-
valenza del valore della contraddizione stessa.
La contraddizione è lo zero, poiché è un’unità negativa che nella

118 Ibidem.
119 Ivi, pp. 280-281 (p. 483).
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Essenza e contraddizione 169

sua negatività toglie se stessa; ma essa non è solo lo zero nella misura in
cui l’unità negativa, togliendo se stessa in quanto unità negativa – in
quanto esclude da sé l’altro che ha in sé – allo stesso tempo pone l’altro
come opposto in sé indipendente120. Questo opposto istanzia nuova-
mente la dialettica contraddittoria dell’opposizione e finisce per toglier-
si nel primo opposto121. Ne consegue un ritorno in sé del primo oppo-
sto e una dialettica in cui ogni opposto, nell’articolare la propria con-
creta determinatezza, toglie se stesso, la propria determinatezza (la con-
traddizione è lo zero); ma, allo stesso tempo, nel togliere la propria de-
terminatezza, pone il proprio opposto. Quindi, il togliersi di ognuno
degli opposti costituisce complessivamente l’intero movimento dell’op-
posizione, che si fonda appunto sulla contraddittoria struttura auto-
esclusiva dei singoli opposti (la contraddizione non è solo lo zero). La
contraddizione, in questa prospettiva d’insieme, non è eliminata, ma è
anzi il fondamento della relazione di opposizione compiutamente deter-
minata: «essa è una indipendenza in sé [ansichseyende Selbständigkeit],
ed è il togliere di questo esser posto [das Aufheben dieses Gesetztseyns],
e solo per via di questo togliere è unità per sé ed effettivamente indi-
pendente [fürsichseiende und in der That selbständige Einheit]»122.
I due valori della contraddizione possono essere ulteriormente
esplicitati, inquadrando la dialettica dell’opposizione all’interno del
movimento riflessivo dell’essenza e facendo riferimento al modello
esplicativo della contraddizione delineato in relazione ai paradossi del-
l’autoriferimento. Infatti, la contraddizione conclude la dialettica delle
determinazioni della riflessione ed è quindi la verità della riflessione
stessa, ossia l’effettivo modo in cui la riflessione determina se stessa.
L’essenza, come si è visto fin dall’inizio di questo capitolo, si costituisce
sulla base di una dinamica riflessiva auto-esclusiva che si articola secon-
do una struttura autocontraddittoria. Anzi, l’essenza è la dinamica stes-
sa della contraddizione, la dinamica di un’indipendenza sussistente in
sé che allo stesso tempo esclude se stessa, tale per cui, posta l’essenza
come e e la parvenza – ovvero il suo altro – come ¬e, si ha che:
(1) e → ¬e
(2) ¬e → e

120 «Col togliere dell’esser altro o dell’esser posto si riaffaccia bensì l’esser posto,

il negativo di un altro» (ivi, p. 281 (p. 484)).


121 «L’esclusiva riflessione dell’indipendenza, in quanto è esclusiva, si riduce a

un esser posto, ma è anche in pari tempo un togliere il suo esser posto» (ibidem).
122 Ibidem.
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170 Ai limiti della verità

allora
(3) e ↔ ¬e
Questa struttura formale, pur nella sua astrazione, delinea la di-
namica fondamentalmente autocontraddittoria su cui si costituisce
l’essenza. Il momento (1) è quello per cui l’essenza «è un riferimento a
sé, un riferimento che toglie [aufhebende Beziehung auf sich]; toglie
costì anzitutto il negativo [das Negative], e poi si pone come un negati-
vo [setzt sie sich als Negatives]». Il momento (2) è, invece, quello per
cui «soltanto questo è quel negativo ch’essa toglie; nel togliere il nega-
tivo essa in pari tempo lo pone e lo toglie [setzt und hebt sie zugleich es
auf]»123. In questo modo, l’essenza è il positivo in sé che ha già in sé il
negativo, un negativo per cui essa è portata a riferirsi negativamente a
sé e a togliersi nel proprio altro. La contraddizione che caratterizza
questo processo di auto-alienazione dell’essenza è lo zero: l’essenza si
nega e toglie se stessa nel proprio negativo, cioè la parvenza. Questa
contraddizione, però, non è solo lo zero: il processo in cui l’essenza
viene a togliersi nella parvenza è il processo di manifestazione in cui
essa non solo rimane identica con sé, ma anzi viene a realizzare com-
piutamente se stessa, la propria identità con sé. Questo è il risultato
che emerge nel momento (3), all’interno del quale l’essenza toglie il
proprio negativo come negativo e, in questo processo di auto-negazio-
ne, si costituisce positivamente in se stessa.
L’essenza, nel costituire questa positiva identità con sé, non to-
glie l’autocontraddittorietà dei processi attraverso cui è venuta a rea-
lizzare se stessa: essa è questi stessi processi. Quindi, l’essenza è di per
se stessa caratterizzata dalla struttura autocontraddittoria dei momenti
opposti su cui si fonda:
La sussistenza indipendente è così una unità rientrante in sé per mezzo
della sua propria negazione, in quanto rientra in sé mediante la negazione del
suo esser posto. È l’unità dell’essenza, di essere identica con sé per mezzo del-
la negazione non di un altro, ma di lei stessa124.
Questa contraddittoria riflessione esclusiva, questa negativa rela-
zione a sé, in cui l’essenza si pone come un altro, cioè come la parvenza,
è dunque anche ciò in cui l’essenza è identica con sé. Questo contraddit-
torio autoriferimento negativo dell’essenza è non solo ciò in cui l’essenza
si toglie, ma anche ciò in cui si pone, realizza se stessa, è il suo fonda-
mento.
123 Ibidem.
124 Ibidem.
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Essenza e contraddizione 171

Nell’essenza come fondamento abbiamo la contraddizione risol-


ta, ma allo stesso tempo conservata, appunto, nel suo valore fondante.
La soluzione della contraddizione, dunque, non consiste in altro che
nella messa in evidenza del valore positivo-speculativo della contrad-
dizione stessa. La contraddizione è quella auto-relazione esclusiva
sulla base della quale l’essenza determina se stessa: «come fondamen-
to dunque l’essenza è riflessione esclusiva [ausschließende Reflexion]
[…] esclude sé da se stessa, si pone; il suo esser posto, – che è l’esclu-
so, – è soltanto come esser posto, come identità del negativo con se
stesso»125.
La contraddizione è dunque la verità delle determinazioni della
riflessione. Essa è l’esplicitazione del modo autocontraddittorio in cui
si articolano già l’essenza in generale, e poi l’identità e la differenza126.
In quanto verità dell’identità, la contraddizione mostra come l’identità
sia processo di identificazione in cui ogni cosa è identica con sé nel
suo farsi altro da sé. In quanto verità della differenza, la contraddizio-
ne mostra come la differenza sia un processo di autodifferenziazione,
ovvero del differenziarsi di uno stesso che rimane identico nel proprio
distinguersi da sé. L’insieme di questi due processi di identificazione e
differenziazione si declina come opposizione, ossia come processo in
cui ogni cosa si autodetermina e realizza la propria essenza, in cui è
identica con sé nel differenziarsi da sé e in cui nel differenziarsi da sé è
identica con sé. In questo senso, il modo di articolarsi di ogni cosa,
della sua essenza, risulta essere intrinsecamente contraddittorio:
“Tutte le cose sono in se stesse contraddittorie”, e ciò propriamente nel
senso che questa proposizione esprima anzi, in confronto delle altre, la verità e
l’essenza delle cose127.

Quando Hegel afferma che tutte le cose sono in se stesse con-


traddittorie, non intende quindi in alcun modo sostenere che di ogni
cosa sia possibile affermare tutto e il contrario di tutto. La contraddi-
zione cui fa riferimento Hegel non ha a che fare specificatamente ed
esclusivamente con l’ambito del discorso. Essa è implicata a ragione
dal nostro discorso sulle cose, in quanto porta alla luce una verità che
è la verità delle cose stesse, ovvero il modo in cui ogni cosa si autode-

125 Ivi, p. 282 (p. 485); «l’opposizione e la sua contraddizione son quindi nel

fondamento così tolte come conservate» (ivi, p. 282 (pp. 485-486)).


126 «La contraddizione, che vien fuori dall’opposizione, non è che lo sviluppo di

quel nulla che è contenuto nell’identità» (ivi, p. 283 (p. 490)).


127 Ibidem.
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172 Ai limiti della verità

termina secondo la propria intrinseca natura128.


La contraddizione dell’essenza, inoltre, è intrinsecamente con-
nessa con le strutture contraddittorie già incontrate nella dottrina del-
l’essere – il divenire e il finito. Essa, infatti, non è altro che la struttura
auto-esclusiva tramite cui l’essenza diviene ciò che è. Non è un caso
che nelle note sulla contraddizione vi siano numerosi riferimenti al di-
venire, al mutamento e alla contraddizione come principio di determi-
nazione di questi processi:
La contraddizione […] è il negativo nella sua determinazione essenzia-
le, il principio di ogni muoversi, muoversi che non consiste se non in un espli-
carsi e mostrarsi della contraddizione. Persino l’esterior moto sensibile non è
che il suo esistere immediato. Qualcosa si muove […] in quanto in un unico e
medesimo Ora è qui e non qui, in quanto in pari tempo è e non è in questo
Qui. […] Il moto è la contraddizione stessa nella forma dell’esserci [die Bewe-
gung der daseiende Widerspruch selbst ist]129.

La contraddizione è il principio di ogni movimento sia del pen-


siero, in quanto è ciò che guida il processo di autodeterminazione del
pensiero stesso, sia delle dinamiche che permeano la realtà. Per quanto
concerne il moto sensibile, come si è già visto, il corpo in movimento in
un punto p, allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto, è e non è nel
punto p. La contraddizione, perciò, non costituisce un’anomalia del
pensiero, ma è la struttura delle dinamiche generali sulla base delle
quali si costituisce la realtà stessa nel suo essenziale dinamismo.
La struttura della contraddizione rimanda anche alla determina-
zione del finito:
Le cose finite nella loro indifferente molteplicità consistono quindi in
generale nell’esser contraddittorie in se stesse, nell’esser rotte in sé e nel torna-
re al lor fondamento130.

In questi passaggi, Hegel mette in relazione la contraddittorietà


delle cose in se stesse e la loro finitezza. Quando afferma che ogni cosa
è in se stessa contraddittoria, vuol dire che il modo in cui ogni cosa si
determina, il modo in cui essa realizza la propria essenza, è segnato

128 «Die Dinge als „an sich selbst widersprechend“ erkennen, bedeutet nach

Hegel nicht nur: an ihnen nichts erkennen. Es bedeutet vielmehr: sie als dasjenige
erkennen, was sich in seiner Identität negativ zu sich verhält und was in seiner Negati-
vität identisch mit sich bleibt» (M. WOLFF, op. cit., p. 163).
129 Ivi, p. 287 (p. 491).
130 Ivi, pp. 289-290 (p. 494).
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Essenza e contraddizione 173

dalla finitezza. Il fatto che la finitezza affetti l’essenza delle cose signifi-
ca che esse realizzano ciò che sono tramite una mediazione che chiama
necessariamente in causa il loro non essere, la loro negazione. Le cose
stesse, in quanto finite, sono proprio questa loro negazione. Il passo
ulteriore messo in atto nella dottrina dell’essenza, rispetto alla logica
dell’essere, consiste nel fatto che la contraddizione non viene sempli-
cemente mostrata come la verità delle cose in quanto finite, ma come
la verità dell’essenza delle cose in se stesse.
La contraddizione non è quindi solo la verità della finitezza, ma
anche la «radice di ogni movimento e di ogni vitalità; qualcosa si muo-
ve, ha un istinto e un’attività, solo in quanto ha in se stesso una con-
traddizione»131. In queste righe, in cui Hegel chiama in causa concetti
come la vitalità e l’automovimento, emerge in modo evidente la fun-
zione della contraddizione come principio di determinazione. In que-
sto modo, egli anticipa anche il ruolo costitutivo che la contraddizione
assumerà nella dottrina del concetto:
Il muoversi interno, il vero e proprio muoversi [Selbstbewegung], l’istin-
to in generale […] non consiste in altro, se non in ciò che qualcosa è, in se
stesso, sé e la mancanza, il negativo di se stesso, sotto un unico e medesimo ri-
guardo. L’astratta identità con sé non è ancora vitalità, ma perché il positivo è
in se stesso la negatività, perciò esso esce fuori di sé ed entra nel mutamento.
Qualcosa dunque è vitale solo in quanto contiene in sé la contraddizione ed è
propriamente questa forza, di comprendere e sostenere in sé la contraddizio-
ne. Quando invece un esistente non può nella sua determinazione positiva
estendersi fino ad abbracciare in sé in pari tempo la determinazione negativa e
tener ferma l’una nell’altra, non può avere in lui stesso la contraddizione, allo-
ra esso non è l’unità vivente stessa, non è fondamento o principio, ma soccom-
be nella contraddizione132.

Il tipo di movimento che qui Hegel chiama in causa non è mec-


canico – dove la forza motrice è esterna all’oggetto moventesi – ma è
l’auto-movimento messo in atto nel vivente tramite l’istinto. Il vivente
ha in sé il principio del proprio movimento perché ha in sé il proprio
altro, ciò verso cui tende col proprio movimento. Anzi, il vivente è po-
sitivo, si pone come ciò che è, come un vivente, solo in quanto ha in se

131 Ivi, p. 286 (p. 491).


132 Ivi, p. 287 (pp. 491-492). Più in generale, Chiereghin sottolinea come nell’ot-
tica hegeliana «ciò che conferisce stabilità a qualcosa, al soggetto, al concetto, è l’intrec-
cio di contraddizioni da cui è costituito; qualcosa è tanto più permanente quanto più è
in grado di tenere ferma l’una nell’altra la sua determinazione positiva e la sua determi-
nazione negativa» (F. CHIEREGHIN, Rileggere la Scienza della logica, cit., p. 116).
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174 Ai limiti della verità

stesso il suo negativo, il suo altro. Esso ha tale altro in sé nella forma
della mancanza e, più specificamente, nella forma del bisogno di ciò
che gli è necessario per vivere. Il bisogno è appunto la presenza del
negativo in quanto negativo nel positivo, nel vivente. Nell’avere in sé il
proprio altro, il vivente nega se stesso, la propria statica sussistenza e si
muove verso l’altro. In questo riferimento negativo a sé prende corpo
il movimento verso l’altro. Questo contraddittorio avere in sé il pro-
prio altro, su cui si instaura il riferimento negativo a sé, è ciò che lo
muove, ciò che fa sì che esso sia vivo133.
La vita, e più in generale la dinamica dell’autosviluppo, ha al
cuore della propria essenza un’articolazione intrinsecamente contrad-
dittoria. Il modo in cui si declina specificatamente la contraddizione
proprio all’interno della dinamica dell’autosviluppo viene messo a te-
ma nella terza parte della Scienza della logica, la dottrina del concetto.

133 «Solo quando sono spinti all’estremo della contraddizione, i molteplici

diventano attivi e viventi l’uno di fronte all’altro, e nella contraddizione acquistano la


negatività, che è la pulsazione immanente del muoversi e della vitalità» (WdL II, p. 288
(p. 493)).
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Capitolo Sesto
CONCETTO E CONTRADDIZIONE

Il concetto di contraddizione trova sviluppi particolarmente si-


gnificativi nell’ultima sezione del sistema logico hegeliano.
In questo capitolo mi soffermerò proprio su tale sezione, cercan-
do innanzitutto di delineare una caratterizzazione generale della dia-
lettica su cui essa si costruisce e descrivendo poi i caratteri della nega-
tività che ne sta alla base. Analizzerò, infine, il modo in cui questa ne-
gatività implica lo sviluppo autocontraddittorio di due determinazioni
chiave all’interno della dottrina del concetto, il concetto in generale e
l’idea logica della vita1.

6.1. La dialettica della Entwicklung


La dialettica della dottrina del concetto segue una dinamica ge-
nerale che Hegel descrive come uno sviluppo [Entwicklung]. Tale dia-
lettica assume, all’interno delle varie determinazioni, configurazioni
diverse a seconda del contenuto logico di ognuna. Cercherò qui di in-
dividuarne alcuni caratteri fondamentali.
La dialettica del concetto, il modo in cui esso si autodetermina,
dipende dalla natura del concetto stesso. Il termine “concetto” [Be-
griff] assume in Hegel diversi significati. Innanzitutto, il Begriff non ha
il significato ordinario di immagine mentale di qualcosa, che corri-
sponde invece a quella che Hegel definisce “rappresentazione” [Vor-
stellung]2. La rappresentazione, infatti, è qualcosa di noto, che però
non è ancora stato portato a trasparenza concettuale, non è ancora co-

1 Per un inquadramento generale sulla dottrina del concetto cfr. A.F. KOCH -
A. OBERAUER - K. UTZ (a cura di), Der Begriff als die Wahrheit, Ferdinand Schöning, Pa-
derborn 2003; A. ARNDT - C. IBER - G. KRUCK (a cura di), Hegels Lehre vom Begriff, Ur-
teil und Schluss, Akademie Verlag, Berlino 2006.
2 «Indeed the concept of a bowl or of redness is not, in his terminology, a con-
cept [Begriff] at all, but rather a conception [Vorstellung]» (M.J. INWOOD, Hegel, Rou-
tledge & Kegan Paul, Londra 1983, pp. 10-11).
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176 Ai limiti della verità

nosciuto. Nel processo in cui una rappresentazione viene portata a tra-


sparenza concettuale, i presupposti impliciti nella rappresentazione
vengono esplicitati e analizzati criticamente per far emergere il modo
in cui si articola il contenuto della rappresentazione e le mediazioni
che lo costituiscono. L’articolazione razionale concreta di questo con-
tenuto è, appunto, il suo concetto. Il termine Begriff assume anche il
significato della verità di qualcosa, per cui una cosa è vera se corri-
sponde al suo concetto. Concetto e verità sono, in questo senso, la
stessa cosa, ovvero la concreta dinamica in cui qualcosa viene a realiz-
zare la propria natura3.
In questo modo, è possibile intendere anche il significato più
specifico del termine concetto, cioè quello che lo vede come oggetto
della terza parte della Scienza della logica, per cui esso è la «base e ve-
rità»4 della logica dell’essere e dell’essenza. La logica oggettiva è «l’e-
sposizione genetica del concetto»5. Più in particolare:
la sostanza è già l’essenza reale, ossia l’essenza in quanto è unità coll’esse-
re ed è entrata nella realtà. Perciò il concetto ha la sostanza per sua presuppo-
sizione immediata. […] Il movimento dialettico della sostanza attraverso la
causalità e l’azione reciproca è quindi l’immediata genesi del concetto, per la
quale viene esplicato il suo divenire6.
Il divenire del concetto non è dunque altro che il modo in cui il
concetto stesso si autodetermina. Se si vuole mettere in luce questo
processo di autodeterminazione, sarà necessario innanzitutto andare ad
analizzare come il concetto viene a costituirsi e, quindi, bisognerà esa-
minare il passaggio dalla dottrina dell’essenza alla dottrina del concet-
to, ovvero la dialettica della causalità, che si suddivide in tre momenti.
Il primo momento è la semplice forma della relazione causale: la
causa è posizione di un effetto e l’effetto è ciò che è posto dalla causa.
Entrambi sono ciò che sono solo all’interno di questo processo di po-
sizione, che consiste nel respingersi da sé della causa al fine di porre
3 «Questo concetto non cade né sotto la intuizione sensibile, né sotto la rap-
presentazione; esso è soltanto oggetto, prodotto e contenuto del pensiero; ed è l’essen-
ziale quale è in sé e per sé, il logos, la ragione di ciò che è, la verità di quello che porta il
nome delle cose» (WdL I, p. 17 (p. 19)). Il concetto e la verità che esso dispiega hanno
sostanzialmente un valore ontologico: «Im Falle der Wahrheit handelt es sich dabei um
eine ontologiche Struktur» (C. HALBIG, Ist Hegels Wahrheitsbegriff geschichtlich?, in B.
MERKER - G. MOHR - M. QUANTE (a cura di), Subjektivität und Anerkennung, Mentis,
Paderborn 2004, pp. 32-46, p. 37).
4 WdL III, p. 11 (p. 651).
5 Ivi, p. 11 (p. 652).
6 Ibidem.
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Concetto e contraddizione 177

l’effetto7. Il risultato di questo processo è il togliersi ma, allo stesso


tempo, il realizzarsi della causa nell’effetto. Una volta estinta nell’effet-
to, però, la causa non sussiste più e, senza causa, non sussiste più nem-
meno l’effetto stesso. Ciò che rimane è un contenuto indifferente.
Il secondo momento della causalità è il rapporto di causalità de-
terminato. Il contenuto indifferente non è di per se stesso né causa né
effetto, ma è l’uno o l’altro sulla base di una riflessione esterna. A par-
tire da qui prendono avvio due tipi di processo infinito: o quello di
effetto in effetto, o il regresso di causa in causa. In entrambi ogni
membro della serie infinita si mostra essere sia causa sia effetto. Que-
st’identità di causa ed effetto, però, non è solo esteriore. Infatti, da
una parte, l’effetto è in se stesso causa o, meglio, è la causa della pro-
pria causa, perché è la condizione del suo darsi in quanto causa – la
causa si realizza come tale solo nel porre il proprio effetto. Dall’altra
parte, la causa è in se stessa effetto o, meglio, è l’effetto del proprio ef-
fetto, perché dipende intrinsecamente dall’esser posto dell’effetto co-
me tale: il porsi dell’effetto implica il realizzarsi della causa come tale.
Il terzo momento della causalità è l’azione reciproca di una so-
stanza sull’altra, per cui ognuna è il processo di riflessione all’interno
del quale, togliendosi nell’altra, realizza se stessa.
Proprio in questo passaggio dialettico emerge la struttura che
contraddistingue la dialettica del concetto: «così la causalità è tornata
al suo assoluto concetto, e in pari tempo è giunta al concetto stesso»8.
L’esito della dialettica della causalità è l’identità di ciò che pone (cau-
sa) e di ciò che è posto (effetto), che corrisponde all’identità di essere
e di riflessione, che caratterizza il modo di articolarsi del concetto:
il concetto è quest’assoluta unità dell’essere e della riflessione, che l’essere
in sé e per sé è solo per ciò ch’esso è insieme riflessione ovvero esser posto, e che
l’esser posto è l’essere in sé e per sé. – Questo risultato astratto si chiarisce coll’e-
sposizione della sua genesi concreta. Essa contiene la natura del concetto9.

Nell’azione reciproca l’effetto, l’altro dalla causa, «ciò ch’è posto

7 Cfr. S. HOULGATE, Substance, Causality, and the Question of Method, in S.


SEDGWICK (a cura di), The Reception of Kant’s Critical Philosophy. Fichte, Schelling, and
Hegel, Cambridge University Press, Cambridge 2000, pp. 232-252, p. 240.
8 WdL II, p. 408 (p. 644).
9 WdL III, p. 12 (p. 652). «This is the decisive move that takes us forward to
the concept: for it introduces the strict identity of the positing and the posited moments
[…] causality is itself an effect, and passivity is itself activity» (S. HOULGATE, Why He-
gel’s Concept is not the Essence of Things, in D.G. CARLSON (a cura di), Hegel’s Theory
of the Subject, cit., pp. 19-29, p. 23).
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dalla causa, è la causa stessa che nell’operare è identica con sé […].


Parimenti riguardo alla sostanza attiva a) l’operare è il tradursi della
causa nell’effetto, nel suo altro, l’esser posto, e b) nell’effetto la causa
si mostra come quello che essa è; l’effetto è identico colla causa, non
un altro»10. L’identità di causa ed effetto, del porre e dell’essere posto,
è l’identità di ciò che determina e di ciò che è determinato: è il proces-
so di autodeterminazione, che viene a caratterizzare costitutivamente il
modo di articolarsi del concetto11.
Il concetto è quindi autodeterminazione, sviluppo di qualcosa a
partire da se stesso, in cui il diventare altro è immanente processo di de-
terminazione, sviluppo interno12. Per questo, nell’ottica hegeliana, con
il concetto incontriamo la vera e propria struttura della soggettività, che
è, appunto, la dinamica per cui qualcosa si determina da sé ed è auto-
movimento. Per lo stesso motivo, Hegel definisce la dottrina del concet-
to come “logica soggettiva”, dove il termine “soggettiva” non si riferisce
ai modi attraverso cui il soggetto si rapporta alle cose, ma alla capacità
di autodeterminazione che è propria di ciò che è soggetto.
La dialettica del concetto è quindi uno sviluppo, in cui abbiamo
due lati contrapposti – la negazione e l’identità con sé, ovvero il tra-
sformarsi in altro e il concreto processo di realizzazione di una deter-
minazione – che sono uno ed uno stesso processo:
tutti e due i lati, tanto dell’identico, quanto del negativo riferirsi dell’al-
tro a lui, ciascuno diventa il contrapposto di se stesso; questo contrapposto
però diventa ciascuno in modo che l’altro, e quindi anche ciascuno, rimane
identico con se stesso. – Ma entrambi, il riferirsi identico e il riferirsi negativo,
sono un solo e medesimo13.

La dialettica del concetto è questa Entwicklung in cui ogni de-


terminazione è come il «contrapposto di se stesso», in quanto ha il
proprio altro compiutamente in se stessa e si realizza compiutamente
nell’unità con questo altro.
Già nella sua genesi questa dialettica implica degli sviluppi con-

10 WdL III, p. 13 (pp. 653-654).


11 Cfr. R. WINFIELD, From Concept to Objectivity, Ashgate, Aldershot 2006,
p. 60.
12 «In this move, being shows itself […] to be wholly selfdetermining and self-

developing being» (S. HOULGATE, Why Hegel’s Concept is not the Essence of Things,
cit., p. 19); «the concept has determinacy that it has imposed upon itself, the determi-
nacy of its self-determination» (R. WINFIELD, Concept, Individuality and Truth, in «Bul-
letin of the Hegel Society of Great Britain», XXXIX-XXXX (1999), pp. 35-46, p. 42).
13 WdL III, p. 13 (p. 654).
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Concetto e contraddizione 179

traddittori. Nell’azione reciproca, l’unità di causa ed effetto è definita


come «unità originaria di una diversità sostanziale», per cui è già «l’as-
soluta contraddizione»14. La contraddizione è assoluta perché l’altro
non è più un momento in cui una determinazione passa immediata-
mente, né un momento in cui essa si riflette, ma è compiutamente
compreso nella determinazione stessa. Il concetto ha in sé il proprio
altro e in questo altro è compiutamente presso se stesso:
Le categorie dell’essere erano essenzialmente […] queste identità delle
determinazioni con se stesse, nel loro termine o nel loro essere altro; questa
identità però era soltanto in sé il concetto; non era ancora manifestata. Quindi
è che la determinazione qualitativa come tale tramontava nella sua altra ed
aveva per sua verità una determinazione da lei diversa. L’universale all’incon-
tro, anche quando si pone in una determinazione, vi rimane quello che è. È l’a-
nima del concreto, nel quale risiede, non impedito ed eguale a se stesso nella
molteplicità e diversità di quello. Non vien trascinato via nel divenire, ma si
continua non turbato attraverso ad esso ed ha la virtù di una immutabile, im-
mortale conservazione.
Nello stesso tempo però non appare, soltanto, nel suo altro, come la de-
terminazione riflessiva. Questa in quanto è un che di relativo non si riferisce
soltanto a sé, ma è un riferire. Si fa conoscere nel suo altro, ma non fa che appa-
rire in quello, e l’apparire di ciascuno nell’altro, ossia il loro reciproco deter-
minarsi ha, col loro star per sé, la forma di un’attività estrinseca. – Al contrario
l’universale è posto come essenza della determinazione, come la propria natura
positiva di essa15.

Nell’essere, la verità di ogni determinazione consiste nel passag-


gio di tale determinazione in quella opposta, in cui la prima però sva-
nisce16. Nell’essenza, le determinazioni si articolano secondo la rela-
zione di riflessione nella determinazione opposta, per cui ogni deter-

14 WdL II, p. 408 (p. 644). La dinamica all’origine di questa contraddittorietà è,

come la descrive Iber, l’unità di una semplice identità con sé e di una negatività che si ri-
ferisce a sé. Cfr. C. IBER, Hegels Konzeption des Begriffs, in A.F. KOCH - F. SCHICK (a cu-
ra di), op. cit., pp. 181-202, p. 182). Infatti, l’essenza «nel porre in lei la negazione o de-
terminazione […] è uguale al suo essere in sé, e diventa il concetto» (ivi, p. 423
(p. 435)).
15 WdL III, p. 34 (pp. 681-682).
16 «The universal remains the same in the process of its determination. […]

The universal requires differentiation and manifoldness, but in the very process whe-
reby these elements are actualized, the universal explicitly persists as one and the same.
Being does not behave in this way; in each categorial transformation being becomes ex-
plicitly something other than it was. Being is essentially becoming; the universal is essen-
tially persistence (or continuation)» (I. TRISOKKAS, The Speculative Logical Theory of
Universality, in «The Owl of Minerva», XL (2009), n. 2, pp. 141-172, p. 146).
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minazione include il suo altro nel proprio processo dialettico, ma allo


stesso tempo si mantiene anche indipendente rispetto ad esso. La dia-
lettica del concetto, invece, è uno sviluppo per cui ogni momento si
genera da quello precedente e in cui quello precedente si mantiene
compiutamente e si realizza in quello successivo17.
Il concetto, in questo senso, è il maggiormente concreto, proprio
perché è lo stare insieme delle determinazioni opposte, non l’una di
contro all’altra (come nell’essere), né semplicemente l’una in relazione
all’altra (come nell’essenza), ma l’una nell’altra: ogni determinazione è
se stessa nell’altro, perché si sviluppa e si realizza solo nell’essere com-
piutamente questo altro18.
L’assoluta contraddizione che deriva dal modo in cui l’alterità si
trova integrata all’interno dell’articolazione concettuale non è sintomo
della destrutturazione del concetto, della sua inconsistenza, ma del
concreto grado di determinatezza da esso raggiunto. Se infatti la nega-
tività è determinatezza e se il concetto ha in sé il proprio negativo, al-
lora il concetto ha in sé l’elemento della differenza che fonda il suo
processo di determinazione. Le strutture logiche della terza parte del
sistema logico sono perciò quelle caratterizzate da un maggior grado
di determinatezza, sono cioè le strutture logiche più concrete. L’asso-
luta contraddizione, lungi dunque dal costituire il momento dello
scacco per il pensiero, si rivela piuttosto come il principio di determi-
nazione nella sua declinazione più concreta19.

6.2. La negatività nella dialettica del concetto


La negatività ha un ruolo costitutivo nello sviluppo della logica
soggettiva. Già in relazione a quella che Hegel definisce come la «di-
chiarazione del concetto», e che corrisponde a quella che ordinaria-

17 Mentre nell’essenza l’altro è un momento che le determinazioni hanno in sé

al fine di costituire la propria sussistenza, il concetto si sviluppa spontaneamente nell’al-


tro da sé e, in esso, si trova a essere compiutamente presso se stesso: «The universal, as
persistence, does not relate to an other from a prior or superior standpoint. It is rather
absolutely present in the determinations that are so bound in relations of otherness»
(ivi, p. 146).
18 «Each moment produces, yet presupposes, its counterpart, generating an in-

timate togetherness. Conceiving integrates this synthesis into a unity» (J. BURBIDGE, The
Logic of Hegel’s Logic, Broadview Press, Peterborough 2006, p. 82).
19 «The ontological perspective opened up by the concept as such gives rise

[…] to concepts that truly exhibit the unity of their contrary determinations» (K. DE
BOER, On Hegel, cit., p. 78).
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Concetto e contraddizione 181

mente indichiamo come «definizione», egli sottolinea come «oltre al


genere […] si richiede espressamente anche la determinatezza specifi-
ca»20, e cioè la differenza specifica, che è il modo in cui qualcosa si di-
stingue dagli altri elementi del genere cui appartiene, per cui «il distin-
guere è ritenuto un momento essenziale del concetto»21.
Questo distinguere è, però, un modo ancora immediato di inten-
dere la negatività alla base del concreto sviluppo dialettico del concet-
to. Essa non è tale solo nel suo distinguersi da altri concetti all’interno
dello stesso genere, ma è ciò su cui si costituisce la compiuta determi-
natezza del concetto stesso:
il concetto, in quanto non è la volgare vuota identità, ha nel momento del-
la sua negatività, ovvero dell’assoluto determinare, le diverse determinazioni22.

Il concetto non è vuota forma logica astratta semplicemente


identica con se stessa. Al contrario, esso sviluppa la propria specifica
determinatezza in un’identità che è compiutamente se stessa solo in
quanto realizza una negatività che è già immanente in esso.
Il processo di autodeterminazione del concetto implica l’esplicita-
zione di questa negatività immanente. Ogni momento di questa esplici-
tazione è interno agli altri e ognuno è interno allo sviluppo immanente
del concetto come tale. La determinatezza del concetto, il modo in cui
questa si sviluppa, è una determinatezza assoluta, e lo è in quanto non
ha fuori di sé alcun altro che risulti costitutivo rispetto alla propria indi-
viduazione. La negatività che guida il processo di autodeterminazione
del concetto è completamente e compiutamente interna al concetto stes-
so, completamente e compiutamente riferita a se stessa23.
La negatività del concetto è quindi compiutamente autoreferen-
ziale. Esso nega se stesso per svilupparsi in un altro e, in questo negar-
si, rimane identico con sé, in quanto il suo sviluppo in altro è la sua
stessa concreta realizzazione24. Questa negatività specifica del concet-

20 WdL III, p. 22 (p. 665).


21 Ibidem.
22 Ivi, p. 25 (p. 669).
23 «Der hegelsche Begriff ist insofern bestimmt, als er sich negativ auf sich selb-

st bezieht» (G. SANS, op. cit., p. 26).


24 «Der Begriff ist Einheit von einfacher Selbstbeziehung und Negativität» (C.

IBER, Hegels Konzeption des Begriffs, cit., p. 184). Il modo in cui il concetto risulta iden-
tico con sé nel riferimento negativo a sé è il risultato della dialettica della causalità: «Im
Gedanken der über ihre eigene Negativität vermittelte Selbstbezüglichkeit der Ursache
zeichnet sich die intendierte Begründungsstruktur des Begriffs als Einheit von Selbst-
bezüglichkeit und Negativität ab. Den Begriff konzipiert Hegel als seine sich durch den
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182 Ai limiti della verità

to si fonda sul suo essere l’unità di essere ed essenza:


L’essenza è la prima negazione dell’essere, che perciò è divenuto par-
venza; il concetto è la seconda, ossia la negazione di cotesta negazione; è dun-
que l’essere ristabilito, ma come la sua infinita mediazione e negatività in se
stesso25.

La dialettica del concetto, incarnando dunque compiutamente la


dinamica della doppia negazione, non è contraddistinta dalla datità e
dall’immediatezza dell’essere, né dalla negazione di questa datità e di
questa immediatezza che è propria dell’essenza. Essa, piuttosto, si co-
stituisce come la negazione di questa negazione, in cui viene superato
il dualismo tra ciò che pone e l’immediatezza posta, per mostrare co-
me l’uno e l’altra siano momenti di un unico e medesimo processo di
autodeterminazione, in cui il concetto, nel suo altro, è compiutamente
presso se stesso.
Il compiuto autoriferimento della negatività interna al concetto
porta il concetto stesso a svilupparsi in modo autocontraddittorio, co-
me viene messo in evidenza già nell’anticipazione della dialettica di
universale, particolare e singolare26 all’interno delle pagine dedicate
alla tematizzazione generale del concetto:
Il concetto, nella sua semplice relazione a se stesso, è assoluta determi-
natezza, determinatezza però che come riferentesi soltanto a sé, è anche imme-
diatamente semplice identità. Ma questa relazione della determinatezza a se
stessa, essendo il suo fondersi con sé, è in pari tempo la negazione della deter-
minatezza, e il concetto è, come questa uguaglianza con sé, l’universale27.

Il concetto si riferisce, nel suo costituirsi, solo a se stesso. Esso si


realizza in una dialettica che non chiama in causa qualcosa di esterno
e, proprio per questo, la sua determinatezza è assoluta. La componen-
te negativa necessaria al processo di determinazione del concetto non
è un altro che sta fuori dal concetto a limitarlo o con cui sta in un
qualche tipo di relazione riflessiva, ma è un altro interno al concetto

Selbstwiderspruch ihre Negation selbst begründende Selbstbegründungsstruktur» (C.


IBER, Übergang zum Begriff, in A.F. KOCH - A. OBERAUER - K. UTZ (a cura di), Der Be-
griff als die Wahrheit, cit., pp. 49-68, p. 62).
25 WdL III, p. 29 (p. 673).
26 Nell’edizione italiana della Scienza della Logica Arturo Moni traduce Einzelne

e Einzelnheit con i termini individuo e individualità. Qui si preferirà – anche nelle cita-
zioni dalla traduzione italiana – utilizzare invece singolo/singolare e singolarità, scelta
che permetterà di evitare ogni confusione tra il concetto di Einzelnheit e Individualität.
27 Ivi, p. 16 (p. 657).
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Concetto e contraddizione 183

stesso. Perciò, se la determinazione è la negazione, allora il concetto,


per determinarsi, non ha bisogno di altro che di stare in relazione a se
stesso. A livello immediato, però, questa relazione è la semplice iden-
tità tautologica del concetto con sé come astratto concetto universale.
Nel suo concreto sviluppo, però, quest’identità del concetto si
realizza negandosi nel proprio altro e essendo presso se stesso in que-
sto altro, esplicitando compiutamente la negatività ad esso immanente.
In questa identità negativa con sé il concetto viene a determinarsi in
una struttura fondamentalmente autocontraddittoria:
Ma questa identità ha insieme la determinazione della negatività; è la
negazione o determinazione che si riferisce a sé [die Negation oder Be-
stimmtheit, welche sich auf sich bezieht], e così il concetto è un singolo. Ciascu-
no di quelli è la totalità, ciascuno contiene in sé la determinazione dell’altro,
epperò queste totalità non sono in pari tempo che una sola. […] Quello che
qui sopra si è esposto è da riguardare come il concetto del concetto28.

Il concetto si realizza in uno sviluppo che passa attraverso tre mo-


menti: universalità, particolarità e singolarità. Ogni momento sta para-
dossalmente in una relazione di differenza ma anche di sostanziale iden-
tità con gli altri e, dunque, è in sé intrinsecamente contraddittorio. Il
concetto consiste in un’unità che è «il suo proprio dirimersi nella libera
parvenza di questa dualità»29. Tra universale e singolare sussiste una
differenza che Hegel definisce come una «perfetta opposizione»30,
un’opposizione in cui universale e singolare sono, allo stesso tempo,
una e una stessa cosa, ovvero il concetto stesso nel suo processo di auto-
determinazione. In questa radicale autocontraddittorietà la struttura del
concetto non viene meno, ma trova anzi il suo specifico fondamento.
Questa dinamica logica anticipa la prima parte dello sviluppo
della Begriffslogik, che ha per oggetto la dialettica del puro concetto.
Per capire quale ruolo giochi la contraddizione all’interno della dottri-
na del concetto vale dunque inizialmente la pena concentrarsi proprio
su questa dialettica del concetto universale, particolare e singolare.

6.3. La contraddizione nel puro concetto


Il processo dialettico che porta il concetto nella sua universalità
a particolarizzarsi e infine a realizzarsi compiutamente nella singolarità

28 Ibidem.
29 Ibidem.
30 Ibidem.
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184 Ai limiti della verità

apre la prima parte della dottrina del concetto, ossia la soggettività.


A livello immediato, il concetto non si è ancora sviluppato nella
sua compiuta verità, non è ancora Idea31, «unità del concetto e del-
l’oggettività»32. Allo stesso tempo, però, il concetto come tale è già
«l’identità sua colla realtà; l’espressione indeterminata di realtà non
vuol infatti dir altro in generale che l’essere determinato, e questo l’ha
il concetto nella sua particolarità e singolarità»33. All’inizio dello svi-
luppo dialettico del concetto è già in atto la sua negatività, che costi-
tuisce l’«identità del concetto, la quale è appunto l’essenza interna o
soggettiva di quelle determinazioni»34. Proprio in questa fase iniziale
del processo di autodeterminazione del concetto, questa negatività e la
dialettica che essa istanzia si trovano implementate al loro livello più
puro e immediato e quindi anche più cristallino.
L’analisi della dialettica del concetto universale, particolare e
singolare risulta quindi essere un luogo privilegiato per mettere in luce
come l’autoriferimento della negatività si trovi declinato all’interno
della dottrina del concetto e per capire il modo in cui esso porti all’ar-
ticolazione di strutture logiche contraddittorie.

6.3.1. L’universale
L’universale è «il concetto puro»35, nella sua immediatezza e nel
suo puro riferimento negativo a se stesso:
Il concetto è pertanto dapprima l’assoluta identità con sé in modo che
questa è tale identità solo come negazione della negazione o come infinita
unità della negatività con se stessa. Questo puro riferimento del concetto a sé
(che è questo riferimento in quanto si pone mediante la negatività) è l’univer-
salità del concetto36.
Nella sua universalità immediata, il concetto sta in una relazione
di semplice identità con sé. Quest’identità non è astratta. Proprio in
quanto costitutiva del concetto nella sua universalità, è un’identità as-
soluta e, come tale, comprende al proprio interno il momento dell’as-
soluta opposizione. Essa si costituisce come negazione della negazio-

31 «L’Idea è il concetto adeguato, il Vero oggettivo ossia il Vero come tale. Quan-

do qualcosa ha verità, l’ha per la sua idea, ossia qualcosa ha verità solo in quanto è idea»
(ivi, p. 173 (p. 857)).
32 Ivi, p. 174 (p. 859).
33 Ivi, p. 176 (p. 860).
34 Ivi, p. 30 (p. 674).
35 Ivi, p. 33 (p. 679).
36 Ivi, p. 33 (p. 680).
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Concetto e contraddizione 185

ne, si sviluppa tramite «l’assoluta negatività» per cui «contiene dentro


di sé la più alta differenza e determinatezza»37. L’identità del concetto
viene a porsi mediante la sua assoluta negatività.
Da una parte, questa negatività è prima negazione: il concetto co-
me universale nega se stesso, si particolarizza ed è la sua riflessione in
altro. Dall’altra parte, essa è anche seconda negazione, poiché lo svilup-
po e la singolarizzazione nel proprio altro è l’essere identico con sé nel
proprio altro, l’immanente processo di realizzazione del concetto stes-
so. Questa è la riflessione in sé del concetto, che è «la riflessione totale,
il doppio parere, una volta il parere di fuori, la riflessione in altro, l’altra
volta il parere al di dentro, la riflessione in sé»38. Essa è la relazione di
identità con sé del concetto, la quale si costituisce nel contenere e di-
spiegare al proprio interno il momento dell’assoluta differenza39. Que-
sto tipo di negatività è radicalmente autoreferenziale e fa sì che il con-
cetto venga a strutturarsi in modo radicalmente autocontraddittorio.
L’autocontraddittorietà del concetto si esplicita nel suo compiuto
sviluppo, cioè con la singolarità. Ciononostante, ogni momento del con-
cetto ha già implicitamente in sé lo sviluppo negli altri momenti e, quin-
di, già nell’universalità c’è il seme della contraddizione. L’universale
è se stesso e invade il suo altro; […] come tale che in quello è quieto ed
è presso se stesso, […] essendo un rapporto di sé al differente solo come a se
stesso; nel differente esso è tornato a se stesso40.

L’universale è identico con sé ma anche con il suo altro, che è ri-


compreso all’interno del suo concreto sviluppo41. La sua è quindi un’i-
dentità contraddittoria, che non è una semplice identità dell’universale
con un altro – il particolare – a lui esterno, ma un’identità interna, per
cui l’universale è in se stesso il suo processo di particolarizzazione, è in
se stesso la dinamica attraverso cui esso viene a realizzare la propria
specifica determinatezza.
Il particolare e il singolare sono il contenuto di cui l’universale

37 Ibidem. Hegel specifica che il concetto nella sua universalità contiene la de-

terminatezza «nella sua assoluta negatività in sé e per sé. La determinatezza non si assu-
me dunque dal di fuori, quando se ne parla a proposito dell’universale» (ivi, p. 35
(p. 683)).
38 Ibidem.
39 «Das Allgemeine […] ist das Negative als Negative; es ist als die mit sich iden-

tische Negativität gesetzt» (L. ELEY, Hegels Wissenschaft der Logik. Leitfaden und Kom-
mentar, Wilhelm Fink Verlag, Monaco 1976, p. 149).
40 WdL III, p. 35 (p. 683).
41 Cfr. WdL I, p. 60 (p. 60).
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186 Ai limiti della verità

astratto si sostanzia e in cui esso realizza compiutamente se stesso, cioè


«un contenuto per mezzo del suo concetto, – un contenuto in cui non
solo esso si mantiene, ma che gli è proprio e immanente»42. L’identità
tra le determinazioni opposte corrisponde, quindi, alla loro compiuta
integrazione, per cui ognuna è il proprio sviluppo nell’altra. L’univer-
sale «è una potenza creativa come negatività assoluta, che si riferisce a
se stessa. È come tale il distinguere in se stesso, e questo è un determi-
nare perciò che il distinguere è uno coll’universalità»43. Sulla base di
questa struttura autocontraddittoria e dell’autoreferenzialità della ne-
gatività, il concetto universale non si articola come una struttura logica
statica nell’astratta identità con sé, ma come una struttura costitutiva-
mente dinamica44.
Va pur detto, però, che nella semplice universalità, la negatività
del concetto, la contraddittorietà che ne deriva e la maniera in cui essa
viene a costituire la sua determinatezza sono ancora solo implicite,
non compiutamente sviluppate. Il concetto «è quindi in primo luogo il
semplice riferimento a se stesso; […] esso è ancora in sé quella media-
zione assoluta che è appunto la negazione della negazione o l’assoluta
negatività»45, tramite cui sviluppa la propria determinatezza. Questa
viene dispiegata nel suo valore determinante nel processo di autode-
terminazione del concetto universale, che porta alla sua particolarizza-
zione e singolarizzazione.

6.3.2. Il particolare
Il primo passo del processo di autodeterminazione dell’universa-
lità si dà nel passaggio dall’universale al particolare, dove si dispiega la
prima negazione del concetto, ossia l’auto-negazione del concetto uni-
versale. L’universale si particolarizza:
Il concetto, in quanto si determina o si distingue, è indirizzato negativa-
mente verso la sua unità [negativ auf seine Einheit gerichtet]46.
Il concetto sta in una relazione negativa a sé, che lo porta a svi-
42 WdL III, p. 35 (p. 683).
43 Ivi, p. 36 (p. 685).
44 «Universality is […] a dynamic category that transforms itself and thereby re-

lates itself to additional content that it encompasses» (R. WINFIELD, From Concept to
Objectivity, cit., p. 80).
45 WdL III, pp. 33-34 (p. 681).
46 Ivi, p. 39 (p. 688). «The concept’s creativity, therefore, means self-negation,

the power to posit the difference of particularity as its difference» (A. HAAS, op. cit.,
p. 172).
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Concetto e contraddizione 187

lupparsi in un altro rispetto alla sua astratta universalità iniziale e a de-


terminarsi in modo specifico: «come negatività in generale, ossia se-
condo la negazione prima, immediata, l’universale ha in lui la determi-
natezza in generale come particolarità»47. La particolarità è quindi la
posizione – anche se non ancora la compiuta realizzazione – della de-
terminatezza del concetto come tale, una determinatezza che è imma-
nente al concetto stesso e che era già implicitamente presente nel con-
cetto nella sua universalità:
Questo [il concetto] non è quindi, nella particolarità, presso un altro,
ma assolutamente presso se stesso. […] Il particolare non contien dunque, sol-
tanto, l’universale, ma lo espone anche, ossia lo mette innanzi, per mezzo della
sua determinatezza48.

In questo senso, «il particolare è l’universale stesso, ma è la sua


differenza o relazione ad un altro, il suo rispecchiarsi al di fuori»49. Il
particolare è quindi l’universale che, nel suo determinarsi, diventa un
altro da sé50.
In questa dialettica, per cui la particolarità implica un primo svi-
luppo dell’universale nel proprio altro e con ciò la prima – benché non
ancora compiuta – articolazione della sua determinatezza, si ha pure
anche la prima – benché non ancora compiuta – esplicitazione della
contraddittorietà intrinseca al concetto. In questo sviluppo dell’uni-
versale nel particolare, l’universale si costituisce come l’effettiva unità
di sé e del proprio altro, perché si mantiene nel particolare e viene a
realizzarsi solo nella propria particolarizzazione:
L’universale si determina, e così è esso stesso il particolare. La determi-
natezza è la sua differenza. Esso è distinto soltanto da se stesso. Le sue specie
son quindi soltanto a) l’universale stesso e b) il particolare51.

L’universale si sviluppa nel particolare perché (1) l’universale, nel


suo processo di autodeterminazione, è innanzitutto l’universalità nella
sua immediatezza e quindi l’universale astratto e indeterminato; (2) pro-
prio questo universale immediato viene a costituire una specie, un parti-
colare di fronte al suo altro, cioè al particolare come tale; (3) l’universa-

47 Ivi, p. 35 (p. 683).


48 Ivi, p. 37 (pp. 685-686).
49 Ivi, pp. 37-38 (p. 686).
50 Come sostiene Winfield, il particolare è l’auto-differenziarsi dell’universale.

Cfr. R. WINFIELD, From Concept to Objectivity, cit., p. 80.


51 WdL III, p. 38 (p. 686).
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188 Ai limiti della verità

lità si trova quindi a essere determinata in un modo specifico e la sua de-


terminatezza è il suo essere assolutamente astratto e indeterminato.
L’universale, dunque, si specifica sulla base dell’astrazione e del-
l’indeterminatezza che lo distingue da ciò che è altro da sé e che lo
rende un particolare di fronte al proprio altro52. L’universalità è in se
stessa un particolare. In questo modo, universalità e particolarità sono
identiche non in quanto definite dalle stesse caratteristiche, «quasi che
solo per la riflessione esterna fossero eguali nell’esser dei particolari»,
ma perché sono due momenti di una stessa dinamica logica, «nel senso
che la determinatezza che hanno uno di fronte all’altro è in pari tempo
essenzialmente soltanto una sola determinatezza, la negatività, che nel-
l’universale è semplice»53.
La determinatezza che li caratterizza è la medesima, e cioè la ne-
gatività tramite cui questo processo di autodeterminazione del concet-
to si dispiega. Sulla base di questa negatività il concetto è spinto a
uscire dall’indeterminatezza iniziale per realizzarsi come universalità
non più astratta, ma concreta, come universalità che è effettivamente
tale, perché si fa particolarità e si attua quindi in questo abbracciare in
sé il proprio altro:
L’universale come il concetto è se stesso ed il suo opposto, che è a sua
volta lui stesso come la determinatezza posta; lo invade, e in esso è presso di
sé. Così esso è la totalità e il principio della sua diversità, la quale è determina-
ta solo da lui stesso54.
Il concetto universale è, allo stesso tempo, se stesso e la determi-
nazione opposta, universalità e particolarità, non sotto due rispetti di-
versi, ma in un unico e medesimo senso. L’universale è quindi segnato
da un’autocontraddittorietà che viene ereditata dal particolare. Essa
consiste nell’auto-alienazione dell’universale che nella sua distinzione
da sé rimane identico con sé.
La contraddittorietà che contraddistingue il farsi particolare del-
l’universale segna la progressiva articolazione della determinatezza del
concetto, il suo divenire che, come il divenire di essere e nulla, tiene
52 Cfr. ivi, p. 38 (p. 687).
53 Ibidem. «The differentiation that universality immediately generates is parti-
cularity as such, not a particular, already contrasted with others, but the particular con-
cept as a whole» (R. WINFIELD, From Concept to Objectivity, cit., pp. 81-82).
54 WdL III, p. 38 (p. 686). «The universal must still be universal, must behave

as determinate for the particular, taking it […] as an opportunity to embody or instan-


tiate itself, to exercise power, to cause that which is identical with itself» (A. HAAS, op.
cit., p. 171).
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Concetto e contraddizione 189

insieme l’identità e la differenza delle determinazioni opposte.


Quindi, l’identità di universale e particolare è una condizione
necessaria ma non sufficiente all’articolazione del concetto nella sua
concretezza. Come il divenire si sostanzia della differenza tra essere e
nulla, perché consiste nel passaggio da una determinazione all’altra, e
senza questa differenza sarebbe la fissa e ferma identità di due deter-
minazioni solo apparentemente opposte, allo stesso modo il concreto
sviluppo del concetto non potrebbe sussistere senza la differenza tra
universale e particolare, perché nello sviluppo da una determinazione
all’altra il concetto rimarrebbe semplicemente e immediatamente iden-
tico a se stesso55. Se così fosse, la sua identità, la sua stessa determina-
tezza, rimarrebbe vuota, indeterminata.
L’identità tra universalità e particolarità non è statica, ma dina-
mica, proprio perché si sostanzia della radicale differenza tra le deter-
minazioni opposte. Nel passaggio dall’universalità alla particolarità, il
concetto viene ad assumere un maggiore grado di determinatezza e
questo è possibile solo sulla base del fatto che nel particolare viene po-
sto qualcosa in più, qualcosa di diverso rispetto all’universale imme-
diato. In questo senso, la differenza tra universale e particolare è «un
momento essenziale del concetto»56.
Universale e particolare si integrano quindi in una compiuta
identità in cui, però, è mantenuta allo stesso tempo tutta la tensione
della loro differenza interna. In questo compiuto essere uno di identità
e differenza, «la differenza si mostra […] nella sua verità»57. Il rappor-
to tra universalità e particolarità non è una relazione estrinseca di dif-
ferenziazione, non è una semplice diversità, una «differenza priva di
unità», bensì una differenza interna ad una stessa unità, un’opposizio-
ne, cioè una «relazione immanente tra i diversi»58. La differenza che
distingue universalità e particolarità è immanente al medesimo movi-
mento logico del concetto, che si distingue da se stesso nello sviluppo
della propria intrinseca determinatezza59.
55 «The moment of particularity emerges over and against universality, each of

these terms figures both as a stage and as a coeval differentiation of the unitary subject
determining itself through their development. Instead of having just one self-same parti-
cularity, the differentiation of the concept now has two contrastable, qualitatively di-
stinct terms, namely the particular and the universal» (R. WINFIELD, From Concept and
Objectivity, cit., p. 82).
56 WdL III, p. 43 (p. 693).
57 Ivi, p. 38 (p. 687).
58 Ivi, p. 37 (p. 686).
59 «There is no violent confrontation with otherness in the relation between
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190 Ai limiti della verità

L’uso dei termini «diversità» ed «opposizione» in questo passag-


gio fa riferimento alla dialettica delle determinazioni della riflessione,
che viene ripresa esplicitamente anche nella nota seguente alla tratta-
zione della particolarità:
Nel concetto l’identità è sviluppata ad universalità, la differenza a parti-
colarità, l’opposizione, che torna nel fondamento, a singolarità. In queste for-
me quelle determinazioni riflessive son come sono nel loro concetto. L’univer-
sale si mostrò non solo come l’identico, ma in pari tempo come il diverso o il
contrario di fronte al particolare e al singolare, e poi anche come contrapposto
a quelli, ossia come contraddittorio; in questa opposizione è però identico con
loro ed è il lor vero fondamento in cui essi son tolti. Lo stesso vale della parti-
colarità e della singolarità, che sono parimenti la totalità delle determinazioni
della riflessione60.

Vi è una stretta corrispondenza tra identità e universalità, diffe-


renza e particolarità, opposizione e singolarità. Infatti, mentre la Be-
griffslogik si apre con il concetto universale, che è l’immediata rifles-
sione in sé del concetto, la Wesenslogik si apre con quell’immediata ri-
flessione in sé dell’essenza in cui essa si determina come semplice
identità con se stessa. Universalità e identità sono entrambe caratteriz-
zate dall’indeterminatezza e dall’astrazione, che sono l’indeterminatez-
za e l’astrazione del concetto, da una parte, e dell’essenza, dall’altra.
Inoltre, come l’identità trova nel proprio altro, nella differenza, quella
componente necessaria alla propria concreta costituzione, così anche il
concetto necessita, per sviluppare la determinatezza che lo contraddi-
stingue, di aprirsi al rapporto con l’altro, di volgere l’immediata rifles-
sione in sé in una riflessione nell’altro da sé, di particolarizzarsi e di-
ventare così il proprio altro. Ma anche il momento della differenza, del
rivolgersi negativo contro la prima immediata determinazione, non va
fissato e considerato in modo unilaterale. Esso contiene in sé l’identità
da cui è emerso. La vera natura della riflessione, da una parte, e del
concetto, dall’altra, si costituiscono proprio in questo stare insieme di
identità e differenza, di universalità e particolarità. Nell’essenza lo sta-
re insieme di identità e differenza si articola nella relazione di opposi-

universal and particular, no fear of otherness or of loss of one’s self, no need for border
crossing, no clash of identity and difference. […] Particularity is the universal’s immanent
self-differentiation» (A. NUZZO, Changing Identities, in P.T. GRIER (a cura di), op. cit., pp.
131-154, pp. 149-150); «The universal is thus free power. While remaining self-identical it
overreaches that which is other, not by force, but by quietly being present in it» (J. BUR-
BIDGE, On Hegel’s Logic, Humanities Press, Atlantic Highlands (NJ) 1981, p. 113).
60 WdL III, p. 46 (p. 697).
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Concetto e contraddizione 191

zione, contraddistinta da una struttura intrinsecamente contradditto-


ria. Nel concetto lo stare insieme di universalità e particolarità, il com-
piuto sviluppo dell’una nell’altra nella loro altrettanto essenziale di-
stinzione, si attua in quella struttura anch’essa contraddittoria che è la
singolarità61.
La singolarità è il compiuto sviluppo di quella struttura autocon-
traddittoria che soggiace già all’articolazione dell’universale e del par-
ticolare. Nel singolo l’universale si mostra compiutamente come iden-
tico ma, allo stesso tempo, anche come diverso rispetto al particolare e
all’universale e, in questo senso, è il «contraddittorio»62.
Questa struttura autocontraddittoria, nell’essenza come nel con-
cetto, sorge sulla base dell’autoriferimento della negatività intrinseca
alle determinazioni logiche. Come nelle determinazioni della riflessio-
ne il positivo costituisce la propria autosussistenza (la relazione positi-
va a sé) solo nella relazione negativa in cui esclude da sé il proprio al-
tro (nell’essere esso stesso negativo), allo stesso modo l’universale tor-
na riflessivamente in sé nella concreta articolazione della propria de-
terminatezza solo attraverso la propria auto-negazione e l’intrinseco
sviluppo nel proprio altro – il particolare. Per converso, come il nega-
tivo nella relazione negativa al proprio altro realizza la propria positiva
relazione a sé, la propria negatività, così la relazione negativa del con-
cetto a sé nel processo di particolarizzazione è, allo stesso tempo, la re-
lazione positiva a sé, ovvero quella relazione in cui esso viene a dispie-
gare la propria interna determinatezza. La dinamica paradossale che
nell’essenza si struttura in quella contraddizione che sta al cuore della
determinazione dell’opposizione, nel concetto si trova istanziata come
l’alienazione dell’universale nel particolare che si concreta compiuta-
mente nel singolo.

6.3.3. Il singolo
La singolarità è il compiuto sviluppo della negatività immanente
alla struttura del concetto. La prima negazione viene esplicitata nel
processo di particolarizzazione del concetto universale e comporta una
prima posizione della determinatezza del concetto. Questa stessa de-
terminatezza, però, trova il suo concreto e compiuto sviluppo solo con
61 «Die Begriffsbestimmungen aber als Inhalte der reinen Logik des Begriffs sind

nicht verschiedene, sondern einander entgegengesetzte. Dieser Gedanke beruht auf dem
notwendigen Fortgang von der „Verschiedenheit“ zum „Gegensatz“ in der Logik der Re-
flexion» (K. DÜSING, Das Problem der Subjektivität in Hegels Logik, cit., pp. 247-248).
62 WdL III, p. 46 (p. 697).
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192 Ai limiti della verità

la seconda negazione, nella singolarizzazione del concetto:


La determinatezza nella forma dell’universalità è unita con lei in un
semplice; questo universale determinato è la determinatezza riferita a se stessa,
la determinatezza determinata o la negatività assoluta posta per sé. Ma la de-
terminatezza che si riferisce a sé è la singolarità63.

La singolarità rappresenta il terzo momento della dialettica del


concetto e, come terzo momento del concetto, si distingue dalle prime
due determinazioni concettuali. Allo stesso tempo, porta con sé il gua-
dagno dei momenti precedenti. Essa comporta la concreta realizzazio-
ne dell’universalità iniziale tramite un processo di determinazione che
viene messo in atto con la sua particolarizzazione, la quale trova però
una configurazione concreta proprio nel singolo: «la singolarità è poi,
come questa negatività, la determinatezza determinata, il distinguere
come tale; mediante questa sua riflessione in sé la distinzione si raffer-
ma; il determinare del particolare non è che mediante la singolarità»64.
La singolarità è la compiuta esplicitazione dell’autoriferimento
della negatività del concetto. Essa è «negatività riferentesi a sé, immedia-
ta identità del negativo con sé»65. Nel singolo il concetto è in grado di te-
nere insieme, in una piena integrazione, il momento dell’universalità del
concetto con quello della sua compiuta singolarizzazione tramite il suo
processo di particolarizzazione, per cui «come negazione della negazione
esso è assoluta determinatezza, ovvero singolarità e concrezione»66.
La dinamica strutturata sulla negatività autoreferenziale del con-
cetto è quindi intrinsecamente contraddittoria. Se si ricalibra sullo svi-
luppo del concetto c il modello esplicativo della contraddizione basato
sui paradossi dell’autoriferimento, si ha che:
(1) c →¬c
(2) ¬c →c
allora
63 Ivi, p. 43 (p. 693).
64 Ivi, p. 51 (p. 703).
65 Ibidem.
66 Ivi, p. 35 (p. 683). «Damit ist der Begriff drittens negative Selbstbeziehung,

Bestimmtheit als Negation oder Einzelnes» (A. ARNDT, Die Subjektivität des Begriffs, in
A. ARNDT - C. IBER - G. KRUCK (a cura di), op. cit., p. 18); «Die in diesem Selbstbestim-
mungsprozess, der zugleich ein Selbstnegieren darstellt, enthaltene Negativität muss,
Hegels spekulativer Logik zufolge, in ihrer Negativität negiert werden» (M. QUANTE,
«Die Persönlichkeit des Willens» und das «Ich als Dieser», in M. QUANTE - E. RÓZSA (a
cura di), Vermittlung und Versöhnung, LIT, Münster-Amburgo-Berlino-Londra 2001,
pp. 53-68, p. 57).
06_capVI_175_06_capVI_175 07/05/15 12.01 Pagina 193

Concetto e contraddizione 193

(3) c ↔ ¬c
Il momento (1) sta per la prima negazione del concetto, è il suo
uscire da sé e farsi altro rispetto all’indeterminatezza iniziale dell’uni-
versalità immediata, è il suo particolarizzarsi per porre la propria deter-
minatezza. Il momento (2) rappresenta la seconda negazione, ovvero la
negazione di questo farsi altro, intesa come compimento – e quindi fine
– del processo di particolarizzazione: «il suo esser altro si è daccapo fat-
to un altro, per cui è restaurato il concetto come uguale a se stesso, ma
nella determinazione dell’assoluta negatività»67. Il distinguersi del con-
cetto universale nel momento della particolarità «si rafferma», si sedi-
menta in un singolo che non è più solo il diventare altro dell’universale
nel particolare, ma l’essere divenuto altro in una determinatezza con-
creta e l’essersi realizzato in essa. Il singolo non è più solo il porsi della
determinatezza, ma il realizzarsi del concetto in una determinatezza
compiutamente posta, in una «determinatezza determinata».
Il momento (3) rappresenta il concetto nella sua compiuta auto-
contraddittorietà, ovvero il concetto che nella sua differenziazione da
sé è altrettanto compiutamente identico con se stesso. Il singolo è quin-
di come la totalità che contiene in sé tutti i momenti del suo sviluppo.
Contiene l’universale immediato, che si particolarizza nel secondo mo-
mento e si singolarizza nel terzo momento, in cui viene ad assumere la
sua articolazione specifica. Nel singolo l’universale è universale concre-
to: «la singolarità appare come riflessione del concetto dalla sua deter-
minatezza in se stesso. […] Il ritorno di questo lato nell’universale è
[…] mediante la singolarità, alla quale l’universale discende nella deter-
minatezza stessa. […] La singolarità […] è il profondo in cui il concet-
to afferra se stesso ed è posto come concetto»68.
Da una parte, quindi, vi è una differenza tra il singolo e le deter-
minazioni concettuali precedenti: «la singolarità, essendo il ritorno del
concetto, in quanto negativo, in sé […] può essere collocato e contato
come un momento indifferente accanto agli altri»69. Infatti, uno svilup-

67 WdL III, p. 49 (p. 701).


68 Ibidem. «Die Allgemeinheit geht eben nicht in ein Anderes über, sondern sie
ist in der Einzelheit gesetzt, was sie an und für sich ist» (L. ELEY, op. cit., p. 154). «La
Singolarità è «l’universalità determinata», in essa si realizza […]. L’universale discende
alla «determinatezza stessa», o «Determinato determinato». Ebbene la Singolarità espri-
me la realizzazione di questa seconda via, che rappresenta l’autentica espressione del
contenuto del concetto» (P. LIVIERI, Sul problema della sezione «Oggettività», in «Verifi-
che», XXXVI (2007), n. 1-4, pp. 157-186, p. 178).
69 WdL III, p. 50 (p. 702).
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194 Ai limiti della verità

po è effettivo solo se sussiste una differenza tra il punto di partenza


del processo di sviluppo e il suo punto d’arrivo. Dall’altra parte, però,
il passaggio da una determinazione concettuale all’altra è il realizzarsi
della prima nella seconda, il loro essere un unico e medesimo processo
di autodeterminazione del concetto. La singolarità «vien tenuta ferma
contro i primi due momenti, ma deve poi anche esser considerata co-
me l’assoluto ritorno del concetto in sé»70. Essa è quindi identica con
le determinazioni precedenti:
il particolare, per la medesima ragione per cui è soltanto l’universale de-
terminato, è anche un singolo, e viceversa, poiché il singolo è l’universale de-
terminato, è parimenti anche un particolare71.

Il particolare è un universale determinato, in quanto rappresenta


il processo in cui l’universale esce dall’astrazione iniziale e, nel farsi al-
tro, viene ad assumere una determinatezza specifica. Ma il particolare
è anche un singolo, perché il processo di particolarizzazione giunge ad
un compimento: la concretizzazione dell’universale nel particolare as-
sume una determinata stabilità, l’universale non è più semplicemente
un particolare piuttosto che un altro, ma un particolare determinato,
ovvero proprio quel singolo in cui esso ha realizzato la propria iden-
tità. Allo stesso modo, il singolo è sia un universale che un particolare.
È un universale in quanto rappresenta la concreta realizzazione dell’u-
niversale, che all’inizio del processo di determinazione del concetto è
ancora solo astratto e indeterminato. È un particolare in quanto la de-
terminatezza che lo contraddistingue si sviluppa sulla base del proces-
so di particolarizzazione di questo medesimo universale72.
Nella singolarità le diverse determinazioni concettuali stanno in
una perfetta unità. Ognuna non è nient’altro che un momento del di-
venire dell’altra dove, proprio come nel puro divenire dell’essere nel
nulla e viceversa, è fondamentale tanto la loro identità, quanto la loro
differenza. Così, quando Hegel sottolinea che «soltanto la semplice
rappresentazione […] è capace di tener fermi uno fuori dall’altro l’uni-
versale, il particolare e il singolare»73, non intende dire che la differen-
za tra le determinazioni concettuali sussista solo nella considerazione
astratta ed esterna della rappresentazione, che tende a separare i diver-
si momenti l’uno dall’altro. Il fatto che «ogni determinazione […] si è
70 Ivi, p. 43 (p. 693).
71 Ivi, p. 50 (p. 702).
72 Cfr. C. IBER, Übergang zum Begriff, cit., p. 65.
73 WdL III, p. 50 (p. 703).
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Concetto e contraddizione 195

immediatamente risoluta [aufgelöst] e perduta nella sua altra»74 non


implica che la differenza tra le diverse determinazioni concettuali ven-
ga ad estinguersi nella singolarità, perché la concretezza della singola-
rità si sostanzia proprio di questa stessa differenza.
In realtà, la differenza tra universale, particolare e singolare si
perde proprio nella considerazione intellettualistica del concetto che
tiene le diverse determinazioni concettuali nella loro fissa distinzione
l’una dall’altra75. La prospettiva intellettualistica vede, ad esempio, l’u-
niversale e il particolare in un rapporto di contrapposizione: si ha l’u-
niversale assolutamente astratto da una parte e il particolare dall’altra,
senza rendersi conto che in questo modo l’universale non è più vera-
mente tale, ma è anch’esso un particolare di contro ad un altro parti-
colare e perde la sua natura di universale. La differenza tra la prospet-
tiva astratta dell’intelletto e quella concreta della ragione consiste nel
fatto che la prima vede in questo processo una semplice perdita della
determinazione iniziale e il suo confondersi con la determinazione op-
posta. La ragione è invece in grado di mantenersi ferma sul movimen-
to immanente al concetto e di riconoscere, in questo passaggio dell’u-
niversale nel particolare, lo sviluppo della natura stessa dell’universa-
lità, il suo particolarizzarsi, la sua concreta realizzazione e, quindi, la
sua verità, che si articola compiutamente nella singolarità76.
Il punto di vista intellettualistico è perciò quello di una riflessio-
ne esterna che, nel cercare di tenere le diverse determinazioni ferma-
mente distinte l’una dall’altra, le determina, a sua volta, sulla base di
una negazione astratta che le lascia sostanzialmente indeterminate.
L’intelletto non coglie la dinamica intrinseca in cui l’una si sviluppa
nell’altra e che costituisce la loro verità. La ragione, invece, coglie la
negatività autoreferenziale che soggiace a questo sviluppo e la costitu-
tiva autocontraddittorietà che essa implica, in cui le diverse determina-
zioni, lungi dal perdere la propria consistenza logica, trovano invece il
principio della propria concreta determinatezza:
Nella singolarità quel vero rapporto, l’inseparabilità delle determinazio-

74 Ibidem.
75 «Ogni distinzione si confonde nella considerazione che deve isolare e tener
ferme quelle determinazioni» (ibidem).
76 «Nach Hegel ist die analytisch-diskursive Allgemeinheit ein Produkt des

trennenden, endlichen Verstandes, der die abstrakte Identität zu seinem Gesetz hat und
daher nicht in der Lage ist, die konkrete Allgemeinheit mit dem von ihr implizierten
Widerspruch des Besonderen und des Einzelnen in dem Allgemeinen zu denken» (R.
SCHÄFER, Die Dialektik und ihre besonderen Formen in Hegels Logik, cit., p. 236).
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196 Ai limiti della verità

ni del concetto, è posto; poiché come negazione della negazione la singolarità


contien l’opposizione di esse determinazioni, e la contiene in pari tempo nel
suo fondamento o unità, l’essersi ciascuna di esse fusa colla sua altra77.

La ragione riesce ad abbracciare in sé l’unità del concetto che ha


in sé l’assoluta opposizione dei suoi momenti, è in grado di tenersi in
equilibrio sulla dinamica logica che porta allo sviluppo dell’uno nel-
l’altro e di riconoscere la verità del concetto nell’autocontraddittorietà
che viene a caratterizzare la sua concreta articolazione.
La contraddizione, ancora una volta, è principio di determina-
zione, l’effettiva regula veri delle determinazioni logiche. Il concetto è
l’assoluta contraddizione: l’universale non passa (come nell’essere), né
si riflette (come nell’essenza) nell’altro da sé; ma è compiutamente
presso se stesso nel proprio altro. Questa dinamica logica trova un ul-
teriore e ancora più concreto sviluppo nell’idea logica della vita.

6.4. La contraddizione nell’idea logica della vita


L’idea logica della vita apre l’ultima sezione della logica soggetti-
va, ovvero l’idea78. La struttura logica che caratterizza il vivente costi-
tuisce la prima e più immediata istanziazione dell’idea come «unità del

77 WdL III, pp. 50-51 (p. 703).


78 «L’idea immediata è la vita» (ivi, p. 179 (p. 864)). Hegel distingue la prospet-
tiva logica dalla prospettiva scientifica di indagine sulla vita. La prospettiva scientifica,
che viene presa in esame nella filosofia della natura, presuppone la sussistenza del mon-
do esterno, della natura, in cui la vita viene a formarsi. Questo tipo di presupposto è as-
sente nella Scienza della Logica, dove la vita viene analizzata nella sua pura forma e si ba-
sa semplicemente sullo sviluppo dialettico del concetto che porta alla sua articolazione:
«la vita logica […] seppure costituisca la struttura intelligibile del vivente nel modo in
cui questo giunge ad esistenza nel mondo fisico, è comunque la vita in quanto libera
tanto dalla oggettività presupposta e condizionante della natura, quanto dalla relazione
agli scopi e all’attività dello spirito» (L. ILLETTERATI, Natura e ragione, Verifiche, Trento
1995, p. 232). Su questo cfr. anche K. DÜSING, Die Idee des Lebens in Hegels Logik, in
R.-P. HORSTMANN - M.J. PETRY (a cura di), Hegels Philosophie der Natur. Beziehungen
zwischen empirischer und spekulativer Naturerkenntnis, Klett-Cotta, Stoccarda 1986, pp.
276-289; F. CHIEREGHIN, Finalità e idea della vita. La recezione hegeliana della teleologia
di Kant, in «Verifiche», XIX (1990), n. 1-2, pp. 127-229; S. ROTERBERG, Das logische Le-
ben und seine Realität, in A. ARNDT - P. CRUYSBERGHS - A. PRZYLEBSKI (a cura di), Das
Leben denken (Teil 1), Hegel-Jahrbuch, Akademie Verlag, Berlino 2006, pp. 164-167.
Sull’idea della vita in Hegel cfr. A. DE CIERI, Filosofia e pensiero biologico in Hegel, Lu-
ciano Editore, Napoli 2002; J. KREINES, The Logic of Life. Hegel’s Philosophical Defense
of Teleological Explanation of Living Beings, in F. BEISER (a cura di), The Cambridge
Companion to Hegel and Nineteenth-Century Philosophy, Cambridge University Press,
New York 2008.
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Concetto e contraddizione 197

concetto e dell’oggettività»79. In questo senso, «l’idea è la verità, per-


ché la verità è il rispondere [entspricht] dell’oggettività al concetto»80.
Analizzare il ruolo che la contraddizione gioca all’interno dell’idea lo-
gica della vita fornirà dunque un ulteriore accesso alla questione della
contraddizione e della verità nel sistema logico hegeliano81.
Inoltre, l’analisi dell’idea logica della vita mostrerà il modo in cui
le strutture logiche del concetto e l’autocontraddittorietà che le con-
traddistingue penetrano, a livello immediato, l’oggettività. Infatti, la
vita è «il concetto che, distinto dalla sua oggettività, semplice in sé, pe-
netra la sua oggettività e come scopo a se stesso ha in lei il suo mezzo e
la pone come suo mezzo, ma in questo mezzo è immanente e in esso è
il realizzato scopo identico con sé»82.
Non è un caso che la struttura logica della contraddizione giochi
un ruolo determinante proprio nella tematizzazione del singolo viven-
te. Si è visto come proprio la determinazione della singolarità costitui-
sca la compiuta realizzazione del concetto come tale, della negatività
ad esso immanente e della struttura autocontraddittoria cui essa dà
origine. Nell’idea logica della vita la contraddizione sussiste come con-
traddizione reale all’interno del singolo vivente. La vita è «una con-
traddizione assoluta» per la riflessione, perché è «l’onnipresenza del
semplice nella esteriorità molteplice»83 e questo semplice non è altro

79 WdL III, p. 174 (p. 859). «Die Objektivität, das Leben, ist vom Subjekt, der

individuellen Einzelheit, gesetzt. Hier zeigt sich die allgemeine Struktur der Idee als
Subjekt-Objekt Einheit» (R. SCHÄFER, Hegels Ideenlehre und die dialektische Methode,
in A.F. KOCH - F. SCHICK (a cura di), op. cit., pp. 243-264, p. 249).
80 Enz, p. 215 (p. 198).
81 Sull’idea logica della vita cfr. L. ILLETTERATI, Natura e ragione, Verifiche,

Trento 1995, pp. 219-288; A. SELL, Leben, in P. COBBEN - P. CRUYSBERGHS - P. JONKERS


- L. DE VOS (a cura di), Hegel-Lexikon, WBG, Darmstadt 2006, pp. 301-305; ID., Das
Leben in der Wissenschaft der Logik, in H. SCHNEIDER (a cura di), Sich in Freiheit en-
tlassen. Natur und Idee bei Hegel, Peter Lang, Francoforte sul Meno 2004, pp. 189-205;
J. D’HONDT, Le Concept de la Vie, chez Hegel, in R.-P. HORSTMANN - J. PETRY (a cura
di), Hegels Philosophie der Natur, Klett-Cotta, Stoccarda 1986, pp. 138-150; M. GREE-
NE, Hegel’s Concept of Logical Life, in W.E. STEINKRAUS - K.I. SCHMITZ (a cura di), Art
and Logic in Hegel’s Philosophy, Humanities Press-Harvester Press, New Jersey-Sussex
1980, pp. 121-149; M. SPIEKER, Wahres Leben denken, Hegel Studien, Beiheft 51, Mei-
ner, Amburgo 2009, pp. 356-370; P. STEKELER-WEITHOFER, Gehört das Leben in die Lo-
gik?, in H. SCHNEIDER (a cura di), Sich in Freiheit entlassen, cit., pp. 157-188; D. FER-
RER, La fonction systematique de l’idée de la vie dans la Science de la Logique de Hegel,
in A. ARNDT - P. CRUYSBERGHS - A. PRZYLEBSKI (a cura di), op. cit., pp. 154-158; G.
CANTILLO, L’istinto della ragione, Luciano Editore, Napoli 2012, pp. 38-40.
82 WdL III, p. 177 (p. 862).
83 Ivi, p. 181 (p. 866).
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198 Ai limiti della verità

che l’unità del concetto che rimane identica con sé anche nella più ra-
dicale differenza da sé. La vita, come il concetto,
è impulso e precisamente l’impulso specifico della differenza particolare e
altrettanto essenzialmente unico e universale impulso dello specifico che ri-
conduce questa sua particolarizzazione nell’unità e ve la mantiene84.
Andrò, quindi, ad analizzare come si trova declinata questa unità
nella differenza all’interno della struttura logica che caratterizza il mo-
do di articolarsi del vivente e del suo rapporto con il mondo esterno.
Mostrerò come questa struttura rifletta la dialettica della Entwicklung
che caratterizza il concetto e come questa stessa dialettica porti allo
sviluppo di una vera e propria contraddizione nell’individuo vivente.

6.4.1. Il vivente
La vita è «l’idea nella forma della singolarità come semplice, ma
negativa identità con sé»85. In essa «le determinazioni che stanno tra
loro in rapporto sono la negativa unità del concetto la quale si riferisce
a sé, e l’oggettività»86, ovvero sono l’unità della relazione negativa a sé
del vivente, da una parte, e della relazione ad altro, all’oggettività, dal-
l’altra. Questa relazionalità si costituisce come una negatività che è co-
stitutivamente autoreferenziale.
La negatività su cui si articola il modo d’essere del vivente riflet-
te la dialettica del puro concetto, nonché la dialettica delle determina-
zioni della riflessione. Essa consta di tre momenti.
In primo luogo, il vivente è la sensibilità rispetto all’ambiente
esterno, che corrisponde al momento dell’universalità. Il vivente sussi-
ste nella semplice identità con se stesso: come nell’essenza, ogni diffe-
renza si toglie immediatamente nell’immediata relazione del vivente a
se stesso. Ogni determinatezza esteriore è ricondotta al semplice sen-
tirsi del singolo, alle sue sensazioni e impressioni:
La sensibilità è l’esser dentro di sé, non come semplicità astratta, ma co-
me una infinita ricettività determinabile che nella determinatezza sua non di-
venta un molteplice e un esterno, ma è assolutamente riflessa in sé87.
La negatività su cui si costituisce il vivente in quanto semplice-
mente sensibile è ancora soltanto «come assoluta negatività in sé»88.
84 Ivi, p. 181 (p. 867).
85 Ivi, p. 183 (p. 869).
86 Ivi, p. 185 (p. 871).
87 Ivi, p. 185 (p. 872).
88 Ivi, p. 185 (p. 871).
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Concetto e contraddizione 199

L’alterità non è riconosciuta come tale e ogni relazione ad altro è ri-


condotta ad una relazione a sé, al semplice sentimento di sé del viven-
te. In questo tipo di negatività, il vivente non determina ancora il pro-
prio altro, né tantomeno determina se stesso nella relazione al proprio
altro, ma è semplicemente e passivamente determinato da esso.
In secondo luogo, il vivente è irritabilità, che corrisponde al mo-
mento della particolarità del concetto. L’identità con sé del vivente
chiama in causa il momento della differenza, del rapporto ad altro. La
relazione a sé del vivente diventa una relazione ad altro. Esso comincia
a determinarsi perché reagisce agli stimoli, si apre al mondo esterno:
Il determinarsi del vivente è il suo giudizio ossia il suo rendersi finito,
per cui esso si riferisce all’esterno come ad una oggettività presupposta ed è
con questa in azione reciproca89.

Il vivente, nella sua irritabilità, sviluppa quella relazione ad altro


che nella sensibilità ripiega al proprio interno: è «il dischiudersi della ne-
gatività che nel semplice sentimento di sé è chiusa»90. Il vivente non è
più solo l’essere determinato dall’ambiente esterno, ma anche il determi-
narsi sulla base degli stimoli provenienti dall’esterno e l’agire su di esso.
In terzo luogo, il vivente è la riproduzione, che corrisponde al mo-
mento della singolarità91. La relazione ad altro del vivente diventa una re-
lazione a sé e si articola nella struttura dell’opposizione. La riproduzione
è il processo di autodeterminazione del singolo vivente, un processo che
si attua nell’unità negativa con l’oggettività. L’altro non solo è ricono-
sciuto come tale e non è neppure solo un altro con cui il vivente si trova
in un rapporto di co-determinazione reciproca. Il vivente è concreta-
mente unito con questo altro – in quest’unità è compiutamente se stesso
– perché in essa realizza compiutamente la propria vitalità:
l’unità del concetto si pone nell’oggettività esteriore di esso quale unità
negativa, – la riproduzione. […] Nella riproduzione la vita è un che di concreto
ed è vitalità; ed anche soltanto in essa, come nella sua verità, ha sentimento e
forza di resistenza92.
Nella riproduzione «il vivente si pone quale individualità rea-
89 Ivi, p. 186 (p. 872).
90 Ivi, p. 185 (p. 872).
91 La riproduzione di cui parla Hegel in queste righe non è la riproduzione che

presuppone una differenza sessuale, quanto piuttosto l’autoproduzione dell’individuo in


se stesso. Hegel sta cioè facendo riferimento al fatto che l’organismo si “costruisce” per
quanto riguarda la materia, come dice Kant, da se stesso.
92 Ivi, p. 186 (pp. 872-873).
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200 Ai limiti della verità

le»93, perché, proprio come il singolo nella dialettica del concetto, è


compiutamente presso se stesso nel proprio altro94.
Nel loro insieme, i momenti della sensibilità, dell’irritabilità e
della riproduzione si strutturano su una negatività che consiste in una
relazione a sé che è, allo stesso tempo, una relazione ad altro e in una
relazione ad altro che è, allo stesso tempo, una relazione a sé. È una
negatività autoreferenziale che fa sì che il vivente realizzi se stesso, la
propria vitalità, negandosi e andando incontro al proprio altro fino a
realizzare una compiuta unità con esso:
il processo della vita racchiuso dentro l’individuo trapassa nel riferi-
mento alla presupposta oggettività come tale per ciò che l’individuo, mentre si
pone qual totalità soggettiva, diventa anche il momento della sua determinatez-
za come riferimento all’esteriorità, diventa totalità95.

Il vivente è una totalità che determina se stessa all’interno del


processo vitale, un processo in cui esso è identico con sé nello svilup-
po nell’altro da sé96.
Questa struttura si fonda sull’autoriferimento della negatività in-
terna al vivente, che implica la sussistenza di una contraddizione reale
all’interno dell’organismo vivente stesso.

6.4.2. La contraddizione del vivente


Nella trattazione del processo vitale viene messo a tema quell’in-
sieme di relazioni in cui il vivente realizza concretamente se stesso nel
rapporto con l’ambiente esterno. Il punto d’inizio di questo processo è
il bisogno. In esso si dispiega già la negatività intrinseca al vivente, che
ancora una volta è una negazione della negazione. Il bisogno si articola
essenzialmente in due momenti.
In primo luogo, il bisogno è la relazione del vivente all’altro da
sé. Il vivente «si riferisce ad un’oggettività altra rispetto a sé»97, a ciò
di cui sente la mancanza e «si pone […] come negato»98. È il non esse-

93 Ivi, p. 186 (p. 873).


94 «La relazione immediata del soggetto all’oggettività […] è insieme come
unità negativa del concetto in se stesso» (ivi, p. 184 (pp. 870-871)).
95 Ivi, p. 186 (p. 873).
96 «The “system” is a totality that while “closed” to a mere mechanical addic-

tion of entities is nonetheless “open” to organic growth and change. In other words,
otherness and difference do not simply generate Veränderung but immanent transforma-
tion – or growth – of self-identity» (A. NUZZO, Changing Identities, cit., p. 150).
97 WdL III, p. 187 (p. 874).
98 Ibidem.
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Concetto e contraddizione 201

re di ciò di cui abbisogna. Questa è la struttura immediata del biso-


gno, in cui la negatività del vivente è semplicemente la prima negazio-
ne. Nel bisogno, il vivente è la negazione stessa nel proprio altro.
Emerge già in questo primo momento il carattere autoreferenziale del-
la negazione interna alla struttura del vivente che sente la mancanza
dell’altro da sé. In questa mancanza, in questa negazione di ciò che gli
manca, il vivente sembra semplicemente perdere se stesso.
In secondo luogo, la relazione all’altro del vivente è una relazione
a sé. Infatti, nella negazione presente nel singolo vivente in quanto bi-
sognoso dell’altro da sé, il vivente è compiutamente presso se stesso:
in questa sua perdita esso in pari tempo non va perduto, ma vi si mantie-
ne e rimane l’identità del concetto a sé uguale; perciò è desso l’impulso a porre
per sé, uguale a sé quel mondo ch’è per lui altro, a toglierlo [aufzuheben] e ad
oggettivarsi99.
Il bisogno, quindi, non è solo come la prima negazione, cioè
semplice non essere di ciò di cui il vivente sente la mancanza, ma an-
che la seconda negazione: il vivente, proprio nel bisogno, è allo stesso
tempo il suo altro, avendolo in sé proprio come ciò di cui manca.
L’oggettività, nel bisogno, è costitutivamente presente nel vivente,
ed è presente nella sua radicale alterità, perché sussiste in esso come ne-
gata, tolta, come ciò di cui l’individuo manca. L’altro, nel bisogno, è la
presenza dell’assenza. In questo modo, nel bisogno l’individuo non è la
semplice negazione nel proprio altro, ma è il rimanere, proprio in questa
negazione, in una costitutiva relazione alla propria individualità. Il biso-
gno è anzi ciò che muove l’individuo a determinarsi per rendere la pre-
senza dell’assenza, la presenza dell’altro da sé, una presenza effettiva. Il
bisogno permette al vivente, quindi, di far proprio ciò di cui sente la
mancanza100. Il bisogno è dunque l’impulso che spinge l’individuo a
realizzarsi nella concreta identità con l’altro da sé:
il suo proprio determinarsi ha la forma di una esteriorità oggettiva, e che
siccome il vivente è insieme identico con sé, esso è l’assoluta contraddizione101.
Il processo vitale, ovvero il processo di autodeterminazione del

99 Ibidem.
100 «Il modo d’essere del vivente è quello della permanente trasformazione di sé
in un processo in cui l’organismo si rivolge verso se stesso – agendo su di sé –, e verso
l’esteriorità – agendo verso ciò che è altro rispetto a sé –, al fine di mantenersi in quanto
processo, ovvero per poter essere ciò che esso già è» (L. ILLETTERATI, Figure del limite,
cit., p. 65).
101 WdL III, p. 187 (p. 874).
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202 Ai limiti della verità

vivente, è quindi costitutivamente segnato dalla struttura della con-


traddizione102. Tale struttura ha origine dalla negatività autoreferen-
ziale del vivente, per cui nella propria negazione, nella propria man-
canza, nel proprio non essere, il vivente è spinto a farsi altro da sé e a
realizzarsi compiutamente in questo altro103. Il vivente, nel bisogno, è
la propria negazione, perché la sua individualità sembra esaurirsi nel
non essere ciò di cui manca; allo stesso tempo, quest’alienazione del
vivente è ciò che lo muove verso il proprio altro, non per annullarsi in
esso ma per farlo proprio, ossia per determinare se stesso nell’unità
con questo altro104.
La contraddizione, anche nella determinazione del processo vi-
tale, è principio di movimento, di autodeterminazione ed esprime
compiutamente «la vita come anima», il suo essere «il concetto di se
stesso, che è perfettamente determinato in sé, come il principio che co-
mincia, che muove se stesso»105. Solo la contraddizione restituisce la
natura propriamente dinamica della vita, che non si configura sempli-
cemente in uno specifico rapporto statico tra le parti e il tutto dell’or-
ganismo vivente, ma è un processo dinamico in cui l’organismo viven-
te si sviluppa compiutamente solo nell’essere in se stesso il proprio al-
tro da sé. Anche nell’essenza la contraddizione viene riconosciuta co-
me struttura costitutiva del processo di autodeterminazione del viven-
te come istinto, impulso, auto-movimento e auto-mutamento:
il muoversi interno, […] l’istinto in generale […] non consiste in altro,
se non in ciò che qualcosa è, in se stesso, sé e la mancanza, il negativo di se
stesso, sotto un unico e medesimo riguardo. L’astratta identità con sé non è
ancora vitalità, ma perché il positivo è in se stesso la negatività, perciò esso
esce fuori di sé ed entra nel mutamento. Qualcosa dunque è vitale solo in
quanto contiene in sé la contraddizione ed è propriamente questa forza, di
102 «L’organismo sopporta in sé la contraddizione di essere l’unità dell’identico

e del diverso, dell’unità e della molteplicità, dell’essere-se-stesso e della propria negazio-


ne» (G. CANTILLO, op. cit., 41).
103 Il bisogno è «quel senso della mancanza a partire dal quale l’individuo, per

realizzarsi e ritrovare se stesso nella propria integrità, è costretto ad uscire da sé, a sdop-
piarsi e a negarsi, rimanendo però, in ciò, identico con sé, ovvero mantenendosi in sé
anche in questo suo esser-altro e farsi altro da sé» (L. ILLETTERATI, Natura e ragione, cit.,
p. 236).
104 «Il bisogno e l’impulso […] costituiscono il passaggio a ciò che l’individuo,

come è per sé qual negazione di sé, così diventi per sé anche quale identità» (WdL III, p.
188 (pp. 874-875)).
105 Ivi, p. 183 (p. 869); «la dialettica, per la quale l’oggetto si nega come nullo in

sé, è l’attività del vivente sicuro di se stesso; il quale, in questo processo verso una natura
inorganica, conserva se stesso, si svolge e si oggettiva» (Enz, p. 220 (p. 203)).
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Concetto e contraddizione 203

comprendere e sostenere in sé la contraddizione. Quando invece un esistente


non può nella sua determinazione positiva estendersi fino ad abbracciare in sé
in pari tempo la determinazione negativa e tener ferma l’una nell’altra, non
può cioè avere in lui stesso la contraddizione, allora esso non è l’unità vivente
stessa, non è fondamento o principio, ma soccombe nella contraddizione106.

La contraddizione, quindi, non è semplicemente una categoria


logica con cui noi pensiamo la vita, ma è una struttura ontologica che
caratterizza essenzialmente il modo d’essere della vita stessa. Lo stesso
Hegel sottolinea la valenza ontologica della contraddizione in relazio-
ne a una particolare declinazione del bisogno, ossia il dolore.
Il dolore costituisce il primo momento del bisogno, ciò a partire
da cui il bisogno stesso si origina. Nel dolore il vivente è radicalmente
scisso non da un altro, ma in se stesso:
il concetto è sdoppiato nell’assoluta sua diseguaglianza con sé; e sicco-
me esso è in pari tempo in questo sdoppiamento l’assoluta identità, così il vi-
vente è per se stesso questo sdoppiamento ed ha quel sentimento di questa
contraddizione che è il dolore107.

Il dolore rappresenta la negazione che è interna all’individuo


stesso, una negazione che quindi implica la scissione dell’individuo,
ma in cui, allo stesso tempo, l’individuo rimane identico con sé108. In-
fatti, le creature viventi, proprio nel dolore, sono «in sé la negatività di
loro stesse», ovvero sono tali per cui «questa loro negatività è per loro,
ch’esse si mantengono nel loro esser altro»109. In questo loro mante-
nersi nel loro altro, i viventi si articolano sulla base di una contraddi-
zione che ha una valenza eminentemente ontologica:
c’è chi dice che la contraddizione non si può pensare: ma essa nel dolo-
re del vivente, è piuttosto una esistenza reale [eine wirkliche Existenz]110.

106 WdL II, p. 287 (pp. 491-492).


107 WdL III, p. 187 (p. 874).
108 «In this moment the living individual strives to determine itself as the nega-

tion of another; yet this is just as much the determination of itself as the negated of the
other – the negator is the negated. Yet this self-negation, this negation of the indivi-
dual’s identity as negator, is not merely a loss of self, it is the process whereby the
subject also preserves itself, maintains its self-identity and self-conceptualization, its sa-
meness and its concept of self, its subjectivity» (A. HAAS, op. cit., p. 221).
109 WdL III, p. 188 (p. 874).
110 Ibidem. In questo senso Greene afferma: «Hegel’s comprehension of pain

affords a prime example of what he regarded to be speculative logic’s fundamental insi-


ght: that the negative is at the same time the positive» (M. GREENE, Hegel’s Concept of
Logical Life, cit., p. 134).
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204 Ai limiti della verità

La contraddizione è quindi la struttura ontologica sulla base del-


la quale si definisce il modo d’essere di ciò che è vivente. Anzi, se pro-
prio il dolore è «il privilegio delle nature viventi»111, la contraddizione
stessa viene ad essere il privilegio di ciò che è vita, in quanto proprio la
vita è ciò che incarna la struttura della contraddizione in modo radica-
le. La contraddizione, perciò, lungi dall’essere ciò che annienta un
pensiero che vuole portare alla luce la verità della realtà, è invece pro-
prio la via d’accesso che lo porta a svelarne l’intrinseca vitalità e l’im-
manente dinamismo. In questo senso si potrebbe affermare che la con-
traddizione non è solo regula veri, ma è anche regula vitae, ovvero il
principio della vita, che non è solo la vita del pensiero, ma è anche la
vita della realtà che il pensiero è chiamato a dispiegare.

111 Ibidem.
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Capitolo Settimo
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Dopo aver visto nei paragrafi precedenti in che senso la contrad-


dizione abbia una funzione costitutiva, ontologica e veritativa in alcuni
momenti centrali del sistema logico hegeliano, in sede conclusiva pre-
senterò alcune considerazioni volte a mettere in evidenza la fondamen-
tale funzione transcategoriale di tale struttura logica1, funzione che
trova la propria più alta espressione nel compimento del sistema logi-
co stesso, ovvero nell’idea assoluta.
Nell’idea assoluta viene messo a tema il metodo dialettico, cioè
la dinamica generale sulla base della quale l’intero sistema logico viene
ad articolarsi:
La determinatezza dell’idea e tutto quanto il corso di questa determina-
tezza ha ora costituito l’oggetto della scienza logica, dal qual corso è sorta per
sé l’assoluta idea stessa; per sé però essa si è mostrata come questo, che la de-
terminatezza non ha la figura di un contenuto, ma è assolutamente come forma
e che per conseguenza l’idea è come l’idea assolutamente universale. Quello
che rimane dunque ancora da considerar qui non è un contenuto come tale,
ma l’universale della forma del contenuto, – vale a dire il metodo2.
L’idea assoluta, quale compimento del processo di autodetermi-
nazione del pensiero, contiene lo sviluppo dialettico di ogni momento
di tale processo. Essa è la pura forma di questo processo, attraverso il
quale essa viene a conoscere se stessa.
Quando si parla di pura forma del processo dialettico, si è però
lontani dal voler sviluppare un resoconto formalistico del metodo. Co-
me la pura forma di ogni determinazione logica corrisponde al modo
in cui la determinazione in questione articola concretamente il proprio

1 «La contraddizione presenta tuttavia una struttura che ci consente di ricono-


scerla come una sorta di metacategoria attiva ovunque e di vederla estendersi da mo-
mento particolare dello sviluppo dell’essenza a forza costruttiva che attraversa e permea
di sé l’intero percorso logico» (F. CHIEREGHIN, Rileggere la Scienza della logica, cit.,
p. 117).
2 WdL III, p. 237 (pp. 936-937).
07_capVII_205_07_capVII_205 07/05/15 12.02 Pagina 206

206 Ai limiti della verità

contenuto, così la pura forma dell’idea assoluta, nella quale si compie


ed è contenuta la dialettica di ogni determinazione, non è altro che l’e-
splicitazione delle dinamiche che muovono l’intero sviluppo del siste-
ma logico. Il metodo non va inteso in senso strumentale, non è un in-
sieme di regole astratte secondo cui determinati contenuti vanno svi-
luppati. Il metodo ha una valenza primariamente oggettiva e corri-
sponde al «movimento del concetto stesso»3. Per questo ogni tentativo
di ridurre a termini formali le dinamiche del processo dialettico, e con
esse il ruolo costitutivo che la contraddizione gioca al suo interno, è
destinato a fallire.
Anche se la dialettica è contraddistinta da un carattere non-for-
male e non-strumentale, lo sviluppo delle determinazioni di cui essa si
compone è comunque segnato da un certo tipo di regolarità. Nell’ana-
lisi sviluppata nella seconda parte di questo lavoro, ho cercato di mo-
strare come questa regolarità includa due ingredienti fondamentali:
l’autoriferimento della costitutiva negatività delle determinazioni e la
struttura autocontraddittoria cui questo tipo di negatività dà origine.
Cercherò ora di vagliare il modo in cui questi due ingredienti si
trovano declinati nell’idea assoluta, al fine di mettere in luce come essi
entrino in azione nel movimento sulla base del quale ogni determina-
zione si struttura e di esplicitare così il valore transcategoriale della
contraddizione nella dialettica hegeliana.

7.1. I tre momenti del metodo


Il metodo dialettico costituisce un processo unitario che si strut-
tura in tre momenti fondamentali: (i) momento astratto-intellettuale;
(ii) momento dialettico o negativo-razionale; (iii) momento speculativo
o positivo-razionale. Per chiarire la dinamica che attraversa questi tre
momenti, Hegel mette in luce il modo in cui le determinazioni logiche
portano a sviluppi contraddittori tramite una struttura sillogistica che
è riconducibile al modello esplicativo della contraddizione che ho deli-
neato sulla base dell’autoreferenzialità della negazione nella logica he-
geliana. Dunque, data una determinazione d, si ha che:
(1) d → ¬d
(2) ¬d → d
allora
(3) d ↔ ¬d
3 Ivi, p. 238 (p. 937).
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Considerazioni conclusive 207

Il primo passaggio (1) corrisponde alla prima premessa del sillo-


gismo messo in campo da Hegel: «la prima [premessa] […] si può
considerare come il momento analitico, in quanto l’immediato vi si ri-
ferisce immediatamente al suo altro e quindi passa o meglio è passato
in quello»4. Questa prima premessa corrisponde alla prima negazione,
in cui ogni determinazione nega se stessa e passa nell’altro da sé.
Il passaggio (2) rimanda alla «relazione del negativo a se stesso»
che «è da riguardarsi come la seconda premessa di tutto il sillogismo»5.
Essa corrisponde alla seconda negazione, per cui l’altro, in cui la deter-
minazione passa, non è il suo semplice non essere, ma il suo altro de-
terminato, ossia quell’altro in cui essa si sviluppa sulla base del suo
stesso contenuto e in cui realizza la sua concreta natura.
Il passaggio (3) equivale alla conclusione della struttura sillogisti-
ca chiamata in causa da Hegel, per cui «in quanto negatività assoluta il
momento negativo dell’assoluta mediazione è l’unità, che è la soggetti-
vità e l’anima»6. Per questo motivo, «il terzo […] è in generale l’unità
del primo e del secondo momento»7. La conclusione raccoglie in unità
i risultati delle due premesse, l’essere se stessa nel proprio altro di ogni
determinazione, ovvero l’unità degli opposti.
Hegel analizza i tre momenti della dialettica non solo in riferi-
mento alla struttura sillogistica sopra descritta, ma anche chiamando
in causa i tre momenti della dialettica del concetto.
(i) Il momento astratto-intellettuale
Il primo momento della dialettica corrisponde all’astratta uni-
versalità:
essendo il cominciamento, il contenuto suo è un immediato, tale però che
ha il senso e la forma di universalità astratta. O che sia un contenuto dell’essere o
dell’essenza o del concetto, il cominciamento, in quanto è un immediato, è un
che di assunto, di trovato, di assertorio […] è un semplice e un universale8.

Ogni determinazione sussiste innanzitutto nella sua immediatez-


za. È un universale che nella sua astrazione non ha ancora portato a
compimento la sua intrinseca natura e risulta essere in se stesso qual-
cosa di «manchevole»9. Esso, però, non è manchevole a causa di una
4 Ivi, p. 246 (p. 948).
5 Ibidem.
6 Ivi, p. 247 (p. 948).
7 Ivi, p. 247 (p. 949).
8 Ivi, p. 239 (p. 939).
9 Ivi, p. 240 (p. 940).
07_capVII_205_07_capVII_205 07/05/15 12.02 Pagina 208

208 Ai limiti della verità

riflessione esterna che ne conosce la compiuta realizzazione e compara


questa realizzazione con l’iniziale immediatezza della determinazio-
ne10. Al contrario, la determinazione è manchevole in se stessa. Il mo-
do in cui va intesa la mancanza corrisponde, in un certo senso, alla
struttura del bisogno esaminata all’interno dell’idea logica della vita.
L’immediato, come il vivente, «dev’essere in lui stesso il manchevole,
ed esser fornito dell’impulso a portarsi avanti»11 in quanto ha in sé uno
sviluppo logico da condurre a esplicitazione. Questo sviluppo implica
il suo diventare qualcosa d’altro rispetto alla sua iniziale immediatezza
e rappresenta, perciò, un negativo rispetto a questa immediatezza. Una
determinazione immediata contiene in sé il suo negativo allo stesso
modo in cui il vivente, nel bisogno, contiene già in sé il proprio negati-
vo – l’oggettività – proprio come negativo. Così come nell’idea logica
della vita questa negatività è ciò che muove l’individuo verso l’oggetti-
vità in quel processo di assimilazione che costituisce la sua stessa auto-
determinazione, allo stesso modo la negatività interna alla determina-
zione immediata è ciò che spinge la determinazione stessa a portare
avanti il proprio sviluppo dialettico.
L’implicita ma determinante negatività del primo momento del
metodo costituisce un tratto costitutivo di tutte le determinazioni ana-
lizzate nella seconda parte del lavoro. L’essere è in se stesso l’assoluta
mancanza, l’assoluta astrazione da ogni contenuto determinato, che
però corrisponde a quell’assoluta indeterminatezza per cui esso è già
in se stesso il proprio altro, cioè il nulla. Proprio questo passaggio im-
mediato nel proprio negativo permette all’essere di determinarsi nella
sua verità, ossia nel divenire. Allo stesso modo, il finito ha in sé il pro-
prio non essere e questa intrinseca negatività è ciò che lo porta a rea-
lizzarsi nel trapassare e cessare nel proprio altro. Nelle determinazioni
della riflessione, l’essenza è un positivo contrapposto al proprio nega-
tivo – la parvenza – che essa esclude da sé. In questa stessa esclusione
l’essenza stessa è, però, anche un negativo e si determina solo nel ri-
flettersi nel suo stesso negativo, che è appunto la parvenza. Infine, il
concetto universale, nella sua astrazione, è il concetto che manca anco-
ra di una determinatezza specifica, ma proprio questa mancanza è la

10 «L’universalità è il puro, semplice concetto, e il metodo, come coscienza del

concetto, sa che l’universalità è soltanto un momento e che in essa il concetto non è an-
cora determinato in sé e per sé. Ma con questa coscienza, che vorrebbe portar avanti il
cominciamento solo a cagione del metodo, questo sarebbe un che di formale, posto nel-
la riflessione esterna» (ibidem.).
11 Ivi, p. 240 (pp. 940-941).
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Considerazioni conclusive 209

sua specifica determinatezza. Esso si pone come concetto universale


distinto dal particolare ed è così esso stesso un particolare. La negati-
vità del concetto è ciò che permette al concetto stesso di porre la pro-
pria determinatezza nel suo processo di particolarizzazione.
La negatività costitutiva delle determinazioni logiche è, quindi,
una negatività interna alle determinazioni stesse, una negatività che
guida il loro processo di sviluppo e le porta alla propria concreta rea-
lizzazione:
Nel metodo assoluto l’universale ha valore non già di semplice astratto,
ma di universale oggettivo, vale a dire tale che è in sé la totalità concreta, ma
che non è ancora posto, non è ancora per sé cotesta totalità. Perfino l’universa-
le astratto, considerato come tale nel concetto, cioè secondo la sua verità, è
non soltanto il semplice, ma come astratto è già posto come affetto da una ne-
gazione12.

La negatività è intrinseca alle determinazioni già nella loro im-


mediatezza e corrisponde al loro essere qualcosa di “manchevole”, ov-
vero va ricondotta all’astrazione che le caratterizza. La negazione, in
questo primo momento, ha quindi un carattere ancora immediato, co-
me immediate sono le determinazioni cui afferisce. Essa consiste nel
semplice fatto che le determinazioni sono un non essere, sono ancora
il non essere della propria concreta natura13. Questa stessa negazione
è, però, ciò che guida il processo di autodeterminazione delle determi-
nazioni logiche e le conduce alla loro effettiva realizzazione14.

(ii) Momento dialettico o negativo-razionale


Il momento dialettico raccoglie ed esplicita i risultati del primo
momento. Data una determinazione d, si ha che (1) d → ¬d. In questo
momento viene dunque esplicitata l’intrinseca contraddittorietà della
determinazione d: essa mostra di essere in se stessa il proprio altro.
Nella dialettica del concetto questo momento corrisponde al passaggio
dall’universale al particolare, in cui «l’universale iniziale si determina
da lui stesso come l’altro di sé»15, come l’altro rispetto alla sua iniziale
indeterminatezza. Ma se l’universale si determina, in se stesso, come

12 Ivi, p. 240 (p. 941).


13 «Il primo ossia l’immediato è il concetto in sé, e quindi è anche soltanto in sé
il negativo» (ivi, p. 245 (p. 947)).
14 «La totalità concreta che costituisce il cominciamento ha come tale in lei stes-

sa il cominciamento dell’andar oltre e dello sviluppo» (ivi, p. 241 (p. 942)).


15 Ivi, p. 242 (p. 943).
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210 Ai limiti della verità

l’altro da sé, allora è allo stesso tempo se stesso e il proprio altro ed è


perciò in se stesso contraddittorio. La contraddittorietà si costituisce
sull’autoreferenzialità della negatività intrinseca ad ogni determinazio-
ne, che è in se stessa portata a negarsi e a passare nel proprio altro:
un Primo universale, considerato in sé e per sé, si mostra come l’altro di
se stesso. […] quello che era prima un immediato sia con ciò come un media-
to, sia riferito ad un altro, vale a dire che l’universale sia come un particolare.
Il secondo, che così è sorto, è pertanto il negativo del primo e, se guardiamo
anticipatamente allo sviluppo che verrà poi, è il primo negativo. L’immediato,
da questo lato negativo, è tramontato nell’altro16.

L’universale immediato, nel mostrarsi come l’altro di se stesso,


nega se stesso: l’immediato passa nel mediato. Ogni determinazione è
autocontraddittoriamente il proprio altro17. Così, l’essere si nega e
passa immediatamente nel nulla; il finito passa immediatamente nel
proprio non essere; l’essenza sussiste solo nel manifestarsi nella pro-
pria stessa negazione, la parvenza; il concetto universale si nega nel
proprio processo di particolarizzazione; la vita non è altro che il non
essere di ciò di cui si sostanzia, dell’oggettività di cui abbisogna.
Il risultato della prima negazione, cioè dell’auto-negazione di
ogni determinazione e della contraddittorietà che ne deriva, è il sem-
plice non essere della determinazione stessa:
La totalità concreta che costituisce il cominciamento […] come concre-
to, è distinta in sé; ma a cagione della sua prima immediatezza i primi distinti
sono anzitutto dei diversi18.

Nel momento dialettico negativo, la prima negazione implica il


toglimento dell’immediatezza iniziale, il cui risultato non è però anco-
ra compiutamente sviluppato. L’altro, in cui l’immediatezza si toglie, è
visto ancora come la semplice negazione dell’immediato, il suo sempli-
16 Ivi, p. 244 (p. 946).
17 Per questo motivo, il metodo dialettico è descritto come un metodo che è sia
analitico che sintetico. È analitico perché procede portando semplicemente ad esplicita-
zione il contenuto delle determinazioni logiche stesse; è sintetico perché quest’esplicita-
zione implica lo sviluppo delle determinazioni in qualcosa d’altro da sé: «Il metodo del
conoscere assoluto è pertanto analitico. Che esso trovi esclusivamente nell’universale del
cominciamento l’ulteriore determinazione di esso stesso, ciò deriva dall’assoluta oggetti-
vità del concetto, della quale il metodo è la certezza. Questo medesimo metodo è però
insieme anche sintetico, in quanto che l’oggetto suo, determinato immediatamente come
semplice universale, viene, per via della determinatezza che ha nella sua stessa immedia-
tezza e universalità, a mostrarsi come un altro» (ivi, p. 242 (p. 942)).
18 Ivi, p. 241 (p. 942).
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Considerazioni conclusive 211

ce non essere. Perciò, la contraddizione che questo passaggio implica


assume un valore ancora solo critico-negativo nei confronti dell’inde-
terminatezza e dell’astrazione dell’immediatezza iniziale:
Ora la conclusione che si trae da cotesta dialettica è in generale quella
della contraddizione e nullità delle affermazioni stabilite. […] Il pregiudizio fon-
damentale in proposito è che la dialettica abbia soltanto un resultato negativo19.

Così la contraddittorietà dell’essere, per cui esso è identico al


nulla, sembra implicare semplicemente il venir meno dell’essere stesso.
Allo stesso modo, il finito, nell’essere esso stesso qualcosa di infinito
proprio nella fissa contrapposizione all’infinito, porta a manifestazione
un’intrinseca contraddittorietà che sembra togliere di mezzo la deter-
minatezza del finito stesso. La medesima dinamica logica vale per l’au-
tocontraddittorietà dell’essenza e del concetto universale che, rispetti-
vamente nella riflessione nella parvenza e nello sviluppo nella partico-
larità, sembrano semplicemente perdere se stessi.
In realtà, il passaggio dialettico in cui ogni determinazione si to-
glie nel proprio altro costituisce il primo passo verso il suo concreto
sviluppo, verso la realizzazione della verità della determinazione stes-
sa: «il momento dialettico vi consiste in questo, che la differenza ch’es-
so [il concetto] contiene in sé vi vien posta»20. Il toglimento dell’im-
mediatezza iniziale che caratterizza la determinazione di volta in volta
in questione e la contraddittorietà del suo passaggio nell’altro da sé
non implicano il venir meno della determinazione stessa, bensì del-
l’immediatezza che la contraddistingue nella fase iniziale del suo svi-
luppo dialettico. Questo toglimento sta per un procedere oltre quel-
l’immediatezza, verso uno sviluppo della mediazione intrinseca alla
determinazione stessa; sta quindi per il dispiegarsi della sua concreta
natura, della sua verità. Il compiuto sviluppo della determinazione si
dà, però, soltanto nel terzo momento del metodo.

(iii) Momento speculativo o positivo-razionale


Il terzo momento del metodo è quello in cui ogni determinazio-
ne si realizza compiutamente. Questo momento corrisponde, nella dia-
lettica del concetto, al momento della singolarità, ossia al concreto svi-
luppo della determinatezza del concetto.

19 Ivi, p. 243 (pp. 943-944).


20 Ivi, p. 245 (p. 947); «Questa riflessione è il primo grado dell’andar oltre, – il
sorgere della differenza, il giudizio, il determinare in generale» (ivi, p. 241 (p. 942)).
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212 Ai limiti della verità

La negazione dell’universalità immediata del concetto, ovvero il


suo processo di particolarizzazione, non ha per risultato il semplice non
essere del concetto stesso, ma la posizione della sua specifica determina-
tezza. Allo stesso modo, la negatività, intrinseca al primo momento del
metodo e dispiegata nel secondo momento, non ha per risultato un sem-
plice non essere, ma un non essere determinato, un non essere in cui
l’immediatezza iniziale si toglie ed è allo stesso tempo conservata. Ogni
determinazione, nella sua immediatezza, implica la propria negazione.
Questa negazione, però, lungi dal comportare il venir meno della deter-
minazione stessa, è ciò che guida il suo sviluppo concreto. Si potrebbe
dire che la famosa proposizione che Hegel riprende da Spinoza – deter-
minatio negatio est – sia compresa nella sua verità solo se letta in due
sensi inversi che, non a caso, corrispondono rispettivamente alla prima e
alla seconda premessa sulla base delle quali Hegel cerca di ricostruire il
procedere del metodo (e al primo e secondo momento del nostro mo-
dello esplicativo di riferimento): (1) ogni determinazione è negazione (d
→ ¬d) e (2) questa negazione è la determinazione stessa, perché in essa
la determinazione realizza la propria verità (¬d → d).
Così il passaggio dell’essere nel nulla è quello su cui si costituisce
il divenire, che è la verità dell’essere stesso. Allo stesso modo, il pas-
saggio del finito nel suo non essere è la compiuta realizzazione dell’es-
sere del finito stesso. Sulla base della stessa dinamica generale, l’essen-
za è quel positivo che, nella riflessione nel suo negativo, non fa altro
che portare a compimento il proprio processo di determinazione; il
concetto universale, nel processo di particolarizzazione in cui diventa
qualcosa d’altro da sé, non fa altro che sviluppare concretamente la
propria determinatezza; e il vivente, nell’unità con l’oggettività, non fa
altro che sostanziare il proprio processo di sviluppo.
La prima negazione, quindi, si rivela essere una seconda negazio-
ne o, meglio, una negazione della negazione. Il momento speculativo-
razionale è questa negazione della negazione, in cui viene tolta la pri-
ma negazione e la contraddittorietà cui essa dà origine. Questo togli-
mento [Aufhebung], però, è una risoluzione della contraddizione che
non implica una dissoluzione della contraddizione: la contraddizione
viene tolta, ma è, allo stesso tempo, altrettanto conservata. Il toglimen-
to della contraddizione non consiste cioè nell’operazione della rifles-
sione esterna che, riconosciuta la contraddittorietà di una determina-
zione, ne deriva l’assoluta inconsistenza21, ma corrisponde piuttosto al

21 «Il secondo negativo, il negativo del negativo, al quale siamo giunti, è quel to-
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Considerazioni conclusive 213

toglimento del valore semplicemente negativo della contraddizione in-


terna alle determinazioni logiche e allo sviluppo del suo valore deter-
minante:
L’altro però non è essenzialmente il vuoto Negativo, il nulla, che si pren-
de come il resultato ordinario della dialettica; ma è l’altro del primo, il negativo
dell’immediato; dunque è determinato come il mediato, – contiene in generale
in sé la determinazione del primo. Il primo è pertanto essenzialmente anche
conservato e mantenuto nell’altro. Tener fermo il positivo nel suo negativo, il
contenuto della presupposizione nel resultato, questo è ciò che vi è di più im-
portante nel conoscere razionale […] e per quanto riguarda gli esempi di pro-
ve in proposito, l’intiera logica non consiste in altro22.

Nella negazione della negazione, il negativo è tolto perché si mo-


stra non come l’astratto non essere del primo momento, ma come il
suo altro, quell’altro in cui il primo momento passa necessariamente in
base alla sua stessa natura. In tal senso, questo altro contiene in sé il
primo momento e ne costituisce lo sviluppo interno, ciò che il primo
momento è nella sua verità: «il primo è anche contenuto nel secondo e
questo è la verità di quello»23.
Il questo modo, ogni determinazione è in se stessa il proprio al-
tro, realizza se stessa in questo altro. Essa, quindi, finisce per costituir-
si in termini contraddittori:
È dunque l’altro non già quasi di uno di fronte a cui fosse indifferente
(così non sarebbe un altro, né una relazione o rapporto), ma l’altro in se stesso,
l’altro di un altro. Perciò racchiude in sé il proprio altro ed è pertanto, qual
contraddizione, la posta dialettica di se stessa24.
Ogni determinazione, in modo più o meno esplicito, è in se stes-
sa autocontraddittoria e quest’autocontraddittorietà non è altro che la
dialettica intrinseca alla determinazione stessa, ossia il processo di me-
diazione sulla base del quale essa porta a compimento il proprio pro-
cesso di autodeterminazione. Così l’essere è in se stesso il nulla, il fini-
to è in se stesso il passaggio nell’infinito, l’essenza è in se stessa par-
venza, il concetto universale è in se stesso la propria particolarizzazio-
gliere della contraddizione; ma neppur esso, non meglio che la contraddizione, è l’opera
di una riflessione esteriore» (ivi, p. 245 (p. 948)).
22 Ivi, p. 245 (p. 946); «la seconda determinazione, la determinazione negativa o

mediata, è inoltre in pari tempo quella che media. Sulle prime può essere presa come una
determinazione semplice, ma secondo la sua verità è una relazione ossia un rapporto;
poiché è il negativo, ma del positivo, e racchiude in sé questo» (ivi, p. 246 (p. 947)).
23 WdL III, p. 245 (p. 964).
24 Ivi, p. 245 (p. 947).
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214 Ai limiti della verità

ne e la propria concreta determinazione nel singolare, la vita si costi-


tuisce nell’unità intrinseca del vivente con il proprio altro.
Quest’autocontraddittorietà è la verità delle determinazioni stes-
se, il loro compiuto sviluppo, l’unità degli opposti, che corrisponde alla
conclusione della struttura sillogistica indicata da Hegel. Nel terzo
passo del modello di riferimento qui proposto, una determinazione è
in se stessa il proprio opposto e nell’opposto non trova altro che se
stessa (d ↔ ¬d). Con l’unità degli opposti si conclude la dialettica di
ogni determinazione, poiché, proprio in questa struttura, ogni deter-
minazione realizza compiutamente se stessa dispiegando compiuta-
mente la propria concreta articolazione logica.

7.2. La verità della contraddizione


Ogni determinazione si costituisce come l’unità degli opposti:
questa è la sua contraddittoria verità. È in questo senso che la contrad-
dizione, nella logica hegeliana, funge da principio di determinazione
delle categorie logiche. La contraddizione che sta alla base della loro
articolazione ha un carattere fondamentalmente dinamico. Tale dina-
mismo si alimenta proprio del carattere autoreferenziale della negati-
vità intrinseca alle determinazioni logiche e della contraddittorietà che
essa implica. È questa negatività che spinge ogni determinazione verso
il proprio altro per realizzare in questo altro la sua stessa verità:
La negatività qui considerata costituisce ora il punto in cui si ha la svolta
del movimento del concetto. Essa è il semplice punto del riferimento negativo a
sé, l’intima fonte di ogni attività, di ogni spontaneo movimento della vita e del-
lo spirito, l’anima dialettica che ogni vero possiede in se stesso e per cui sol-
tanto esso è un vero; perocchè solo su questa soggettività riposa il togliere del-
l’opposizione fra concetto e realtà e quell’unità che è la verità25.
In queste righe vengono richiamati alcuni dei termini chiave del
percorso che ho delineato in questo lavoro: «negatività», «riferimento
negativo a sé», «attività», «movimento», «vita», «verità». Tutte queste
espressioni stanno in stretta relazione al concetto di contraddizione.
La contraddizione si fonda infatti sul riferimento negativo a sé di ogni
determinazione. Sulla contraddizione si costruisce lo sviluppo dinami-
co di ogni determinazione. Questa negatività e questa contraddizione
sono quindi il principio tramite cui ogni determinazione articola se
stessa; esse sono il principio di un movimento e di un’attività che non
25 Ivi, p. 246 (p. 948).
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Considerazioni conclusive 215

ha la propria ragion d’essere fuori dalla determinazione stessa, ma nel


suo stesso contenuto. In questo senso, la contraddizione è la regula ve-
ri di ogni determinazione, perché caratterizza il modo in cui ogni de-
terminazione nel suo concreto sviluppo si articola nella sua verità.
La verità della struttura contraddittoria delle determinazioni lo-
giche rappresenta l’aspetto radicalmente rivoluzionario della concezio-
ne hegeliana della contraddizione, che finisce per sovvertire gli schemi
della logica classica, rappresentando una critica radicale a quello che è
uno dei suoi principi fondamentali, ovvero il PNC. Tale principio af-
ferma che la contraddizione non si può dare né nel pensiero, né tanto-
meno nella realtà. La logica hegeliana mostra, invece, che la contraddi-
zione si dà ed è reale, e che il pensiero può comprendere la realtà e la
verità delle cose solo in quanto accetta la sfida di pensare la contraddi-
zione.
Molti tra i tentativi di attualizzazione del pensiero hegeliano so-
no rivolti a relativizzare la critica di Hegel al PNC, svolgendo linee di
ricerca che cercano di edulcorare le tesi hegeliane rendendole più ac-
cettabili, in particolare cercando di riportarle all’interno degli schemi
della logica classica. Questi tentativi rischiano però di dissolvere la ci-
fra specifica del discorso hegeliano sulla contraddizione, riconducen-
do questo stesso discorso all’interno di quello che per Hegel è il para-
digma della rappresentazione.
Il paradigma rappresentativo si lascia dominare dalla contraddi-
zione, che comporta in esso l’inconsistenza e l’annullamento di una
data determinazione26. La rappresentazione è quindi schiava del valo-
re negativo che viene classicamente assegnato alla contraddizione, per-
ché convinta che la contraddizione non sia qualcosa che si possa in
qualche modo gestire, qualcosa che possa avere un significato o un va-
lore determinato e determinante:
quel pensare si dà quindi il fermo principio che la contraddizione non
sia pensabile, mentre nel fatto, invece, il pensamento della contraddizione è il
momento essenziale del concetto. Anche il pensiero formale effettivamente la
pensa; soltanto torce subito via da essa lo sguardo, e con quel dire non fa che
passare dalla contraddizione alla negazione astratta27.

Hegel mette pertanto radicalmente in questione il modo tradi-

26 «La contraddizione vale in generale, sia nella realtà, sia nella riflessione pen-

sante, come un’accidentalità, quasi un’anomalia e un transitorio parossismo morboso»


(ivi, pp. 286-287 (p. 491)).
27 Ivi, p. 246 (pp. 947-948).
07_capVII_205_07_capVII_205 07/05/15 12.02 Pagina 216

216 Ai limiti della verità

zionale di intendere la contraddizione. Nella riflessione hegeliana la


contraddizione non è solo regula falsi, non è cioè solo un principio di
falsificazione, ma più originariamente essa è regula veri, è principio di
verità, perché costituisce l’effettivo modo di determinarsi delle cose
nella loro verità e dunque l’effettiva struttura del loro costituirsi.
Contraddizione e verità, nel pensiero hegeliano, costituiscono un
binomio inscindibile. Non solo perché la contraddizione è una via di
accesso al vero; non solo cioè perché l’ambito della verità implica lo
svelamento delle contraddizioni cui l’intelletto rimane impigliato nella
sua pretesa di dire astrattamente il vero. Tutto questo è certo presente
nel discorso di Hegel. Ma quello che quel discorso ci invita a pensare è
qualcosa di più e di più radicale: l’idea che il vero sia nella sua struttu-
ra di fondo contraddizione, che pensare la verità, nella misura in cui
questo significa pensare la cosa, significhi pensare la contraddizione,
significa riconoscere la contraddizione che abita nel cuore stesso della
cosa.
Solo se si accetta la sfida di dar voce alla contraddizione e si af-
fronta lo scandalo di pensarla dentro la verità stessa, si fanno davvero i
conti con un pensiero radicale come quello di Hegel; solo se la con-
traddizione viene pensata per ciò che essa è senza essere ridotta, per
evitarne gli aculei, a un suo simulacro o a una sua immagine sbiadita,
ci si potrà porre seriamente sul percorso aperto da Hegel, vagliandone
così criticamente i limiti e apprezzandone la straordinaria forza nel
rendere ragione della struttura dinamica, complessa e stratificata del
mondo e dunque della vita e della storia.
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BIBLIOGRAFIA

Nota bibliografica
La presente nota bibliografica si divide in tre sezioni. La prima com-
prende tutte le opere di Hegel utilizzate nel corso della ricerca. La seconda
comprende i testi di letteratura secondaria sull’autore e sulla questione affron-
tata in questa ricerca. La terza comprende le opere di altri autori, cui s’è fatto
esplicito riferimento o che si sono rivelate particolarmente utili nel corso della
ricerca.

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09_indice_231_09_indice_231 07/05/15 12.07 Pagina 231

INDICE

Introduzione. Attraverso e oltre Kant 15

1. Polisemia del concetto hegeliano di contraddizione 27


1.1. Contradictio regula veri? 27
1.2. La contraddizione metaforica 30
1.3. La contraddizione come errore dell’intelletto 36
1.4. La contraddizione ontologica 47

2. Quale negazione? 59
2.1. Negazione proposizionale e negazione predicativa 60
2.2. Negazione determinata e relazione di esclusione 64
2.3. Negazione determinata e autoriferimento 66
2.4. Autoriferimento della negazione e paradossi logici 70

3. La contraddizione si dice in molti modi 81


3.1. La definizione semantica 81
3.2. La definizione sintattica 90
3.3. La definizione pragmatica 95
3.4. La definizione ontologica 98
3.5. La contraddizione hegeliana 102

4. Essere e contraddizione 105


4.1. La dialettica dell’Übergehen 105
4.2. La negatività nella dottrina dell’essere 107
4.3. La contraddizione del puro essere e del puro nulla 108
4.4. L’identità dell’identità e della non identità di essere e nulla 113
4.5. L’Aufhebung della contraddizione del divenire 117
4.6. La contraddizione dell’essere determinato. Il finito 119
4.6.1. Dal limite al finito.
La negatività costitutiva della finitezza 120
4.6.2. L’autocontraddittorietà del finito 123
09_indice_231_09_indice_231 07/05/15 12.07 Pagina 232

232 Ai limiti della verità

5. Essenza e contraddizione 133


5.1. La dialettica della Reflexion 133
5.2. La negatività nella dottrina dell’essenza 140
5.3. La contraddizione nelle determinazioni della riflessione 146
5.3.1. L’identità 147
5.3.2. La differenza 151
5.3.3. La diversità 152
5.3.4. L’opposizione 155
5.3.4.1. L’opposizione tra termini semplicemente negativi 156
5.3.4.2. L’opposizione tra termini indipendenti 159
5.3.4.3. L’opposizione tra l’in sé negativo e l’in sé positivo 161
5.3.5. La contraddizione 164
5.4. La contraddizione dell’essenza 166

6. Concetto e contraddizione 175


6.1. La dialettica della Entwicklung 175
6.2. La negatività nella dialettica del concetto 180
6.3. La contraddizione nel puro concetto 183
6.3.1. L’universale 184
6.3.2. Il particolare 186
6.3.3. Il singolo 191
6.4. La contraddizione nell’idea logica della vita 196
6.4.1. Il vivente 198
6.4.2. La contraddizione del vivente 200

7. Considerazioni conclusive 205


7.1. I tre momenti del metodo 206
7.2. La verità della contraddizione 214

Bibliografia
1. Opere di Hegel 217
2. Letteratura secondaria utilizzata 218
3. Altre opere utilizzate 230
09_indice_231_09_indice_231 11/05/15 13.02 Pagina 233

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09_indice_231_09_indice_231 07/05/15 12.07 Pagina 234
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4. Amoroso Leonardo, Scintille ebraiche. Spinoza, Vico e Benamozegh,
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6. Pons Alain, Da Vico a Michelet. Saggi 1968-1995 tradotti da Paola Cat-
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7. Priarolo Mariangela, Visioni divine. La teoria della conoscenza di Male-
branche tra Agostino e Descartes, 2004, pp. 298.
8. Altini Carlo, La storia della filosofia come filosofia politica. Carl Schmitt
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9. Paoletti Giovanni, Homo duplex. Filosofia e esperienza della dualità,
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10. Capitini Aldo, Le ragioni della nonviolenza. Antologia dagli scritti, a cu-
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13. Meazza Carmelo, Note, appunti e variazioni sull’attualismo. Passando per
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