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ALZHEIMER

Il morbo di Alzheimer è una malattia del cervello nella quale diventa progressivamente deficitaria la
zona cerebrale addetta alla memoria a breve termine, lentamente il cervello perde tutto ciò che ha
appreso ed avviene un vero e proprio decadimento delle funzioni cognitive. Le cause dell’insorgenza
del morbo di Alzheimer non sono ancora state scoperte, anche per il fatto che esordisce con lievi
sintomi di disattenzione e dimenticanza, che possono essere confusi facilmente con episodi comuni
legati allo stato fisiologico dell’invecchiamento. I primi sintomi che compaiono sono infatti i
problemi di memoria, più o meno gravi, che soltanto un’accurata valutazione medica può definire
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stato patologico. Questa malattia è irreversibile e progressiva, questo significa che comporta una
difficoltà sempre maggiore di svolgere le attività di vita quotidiane e porta progressivamente alla
perdita completa dell’autonomia. Secondo uno studio statunitense sull'Alzheimer sono dieci i sintomi
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a cui prestare attenzione: dimenticare fatti recenti, la difficoltà di eseguire compiti semplici come
abbottonarsi gli abiti o allacciarsi le scarpe, la difficoltà a riconoscere gli oggetti e a chiamarli con il
loro nome, perdere continuamente oggetti e ritrovarli nei luoghi più disparati, avere difficoltà ad
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eseguire semplici operazioni matematiche come contare il denaro, confondere luoghi familiari,
sbagliare la stagione, l’anno o il mese in cui si sta vivendo, essere confusi, depressi, ansiosi e timorosi.
Questi sintomi devono comparire in quantità per destare preoccupazione, perché presi singolarmente
possono semplicemente essere causati dallo stress o dallo stato di invecchiamento. Per avere una
diagnosi del morbo di Alzheimer, il medico ricorre ad una serie di test per la valutazione
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neuropsicologica e cognitiva che tiene in considerazione tutti gli aspetti specifici della memoria della
persona: la memoria a lungo termine e a breve termine per cifre, parole e frasi e l’aspetto relativo
all’attenzione, alla percezione e all’area verbale oltre alla sua storia familiare, alle analisi di
laboratorio e agli esami strumentali come la TAC, l’encefalogramma ecc.. ma la presenza di
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disorientamento unita al deficit della memoria delinea un quadro clinico compatibile con la diagnosi
di demenza di tipo Alzheimer.
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Quale assistenza può dare l’oss al paziente con Alzheimer?

L'oss può dare un valido aiuto per le attività quotidiane, per l'igiene del paziente ed è un valido
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supporto al cargiver, per il quale può diventare un sostegno emotivo ed educativo, tanto da poter
indicare alcuni accorgimenti su come approcciare in maniera corretta ai comportamenti tipici del
malato di Alzheimer, che subentrano nella fase acuta della patologia come: l'aggressività e
l'agitazione. La persona con Alzheimer manifesta aggressività fisica o verbale e il compito dell'oss,
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in queste circostanze, è di insegnare al cargiver a non sgridare il malato perché non sarebbe in grado
di capire, e di spiegare al caregiver che in realtà la rabbia del malato, seppur rivolta verso chi lo
assiste, è una manifestazione del suo disagio e della sua paura. Inoltre l’oss deve insegnare al cargiver
che il malato di Alzheimer non va contraddetto e per calmarlo è efficace proporgli delle attività per
distrarlo, ponendosi a lui con tranquillità e aspettando il momento più adatto. L’altro comportamento
tipico dello stadio avanzato della malattia è l’agitazione, in questo caso il malato è agitato al tal punto
da non riuscire a stare fermo e da non riuscire neppure a smettere di parlare o di fare domande, la
strategia che l’oss deve utilizzare e insegnare al caregiver è di avvicinarsi al paziente ed orientarlo
nel tempo, facendo riferimento all’ora del giorno e orientarlo nello spazio, ricordandogli dove si trova.
Inoltre il malato di Alzheimer vive anche momenti di delirio, nei quali vede cose, persone o sente
suoni e rumori che non sono reali, ma lui ha la percezione che lo siano, per questo motivo è bene
anche evitare che il malato si guardi allo specchio perché non riconoscendosi, potrebbe spaventarsi;
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l’approccio migliore in questo caso è di non deriderlo, assecondarlo e poi distrarlo su altri argomenti.
Infine l’oss ha il compito di insegnare al caregiver come porsi in maniera empatica soprattutto nei
momenti in cui il malato prova tristezza e piange, in questi casi bisogna fare sentire la propria
vicinanza al malato, non dirgli di non piangere ma ascoltarlo, fargli sentire sempre la nostra presenza
e non lasciarlo mai solo.

Filippo Menconi
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