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PA R T E P R I M A :
IL MALE
L’inferno di Treblinka¹
«É stupefacente come quelle bestie riutilizzas- «Il mondo tace, schiacciato, asservito dai ban-
sero ogni cosa - cuoio, carta, stoffa, tutto ciò diti in camicia bruna che lo hanno in pugno.
che era servito agli esseri umani serviva, torna- Eppure a molte migliaia di chilometri sulle rive
va utile anche alle bestie. Solo la cosa più pre- lontane del Volga, l’artiglieria sovietica tuo-
ziosa al mondo - la vita - veniva calpestata. na ancora, proclamando ostinatamente la
Intelletti generosi e robusti, anime pure, occhi volontà del popolo russo di lottare fino alla
innocenti di bambino, cari volti di anziani, bel- morte per la libertà, e risvegliando, chiaman-
le teste altere di ragazza che la natura aveva do alla lotta i popoli del mondo».
faticato secoli e secoli a creare, scivolarono
come un fiume silenzioso e infinito nell’abisso
del nulla».
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Tutto scorre...¹
«Guardano quella gente da dekulakizzare kulaki. Persino le bestie feroci, neanche quelle
come fosse del bestiame, dei porci, per loro erano le più terribili. I più perfidi erano quelli
tutto nei kulaki è repellente: non hanno per- che facevano i loro affari spargendo del san-
sonalità né anima, e puzzano, e sono tutti si- gue, quelli che parlavano a gran voce di co-
filitici, e – quel che più conta – sono nemici scienza, e intanto si facevano i loro calcoli e
del popolo e sfruttano il lavoro altrui. La po- depredavano. Pronti a rovinarti per interesse,
vera gente invece, e il komsomol, e la milizia – per delle cianfrusaglie, per un paio di stivali;
sono tutti dei Capaev, degli eroi; ma se andavi rovinare uno era facile: scrivi su di lui, senza
a guardarli, quegli attivisti erano gente qualsi- neanche firmare, scrivi che dei braccianti la-
asi, trovavi fra loro anche dei mocciosi, anche vorano per lui, e che possiede tre mucche – ed
la canaglia prendevano con loro. è bell’e pronto un kulak. Tutte queste cose io
Quelle parole cominciarono a fare effetto an- le vedevo, mi agitavano, ma in fondo non ne
che su di me, che ero proprio una ragazzetta; soffrivo – se in fattoria non avessero abbattu-
allora – e assemblee, e corsi sociali d’istruzio- to il bestiame secondo le regole, naturalmen-
ne, e trasmettono per radio, e proiettano al ci- te mi sarei grandemente agitata, ma non ci
nema, e scrittori che scrivono, e Stalin in per- avrei perso il sonno».
sona – tutti a battere sullo stesso tasto: i kulaki [p. 133-134]
sono dei parassiti, bruciano il grano, ammaz- «Un ordine che diceva: uccidere per fame i
zano i bambini. Ce lo dichiaravano apertamen- contadini dell’Ucraina, del Don, del Kuban’,
te: bisognava sollevare contro di loro la collera uccidere loro e i loro bambini. Un’ordinanza
delle masse, distruggerli tutti in quanto classe, che diceva di requisire anche tutto il grano ri-
i maledetti... Anch’io cominciai a restarne af- servato alla semina. Lo cercavano come se non
fascinata; mi convincevo sempre più che tut- fosse grano, ma bombe, mitragliatrici. Saggia-
ti i guai provenissero dai kulaki, e che se li vano la terra con le baionette, con le canne dei
avessimo distrutti, per i contadini sarebbero fucili, misero sossopra, scavarono in tutte le
subito giunti tempi felici. cantine, scassarono tutti i pavimenti, cercaro-
Niente pietà per loro: non erano degli uomini, no negli orti. A certuni sequestrarono il grano
non capivi neppure che razza di esseri fosse- che tenevano in casa, dentro un vaso, una ti-
ro. Così entrai fra gli attivisti; ce n’erano di tut- nozza. A una donna sequestrarono il pane che
ti i tipi: di quelli che ci credevano e odiavano aveva cotto, lo caricarono sul carro e portaro-
i parassiti e stavano dalla parte dei contadini no al distretto anche quello. I carri cigolavano
poveri; e c’erano di quelli che facevano i loro giorno e notte, la terra sembrava avvolta dalla
affari; ma per lo più c’erano quelli che esegui- polvere. In mancanza di sili, versavano il grano
vano gli ordini – tipi che avrebbero ammazzato per terra, e attorno mettevano sentinelle. Con
madre e padre, pur di eseguire le istruzioni. E l’avvicinarsi dell’inverno il grano s’imbevve di
non erano neppure i più cattivi, ché credevano pioggia, cominciò a marcire: il potere sovie-
in una vita felice, qualora si fossero eliminati i tico non aveva abbastanza tela incatramata
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per ricoprire il grano dei contadini. «Adesso, quando ricordo l’abolizione dei ku-
Quando poi trasportavano il grano dai villaggi, laki, vedo tutto in modo diverso, l’incanta-
tutto attorno si alzava un polverone, tutto era mento è passato. Vedo in loro degli uomini.
immerso in una foschia: il villaggio, i campi e, Perché mi ero tanto indurita? Come soffriva
di notte, la luna. Uno diventò pazzo: brucia, il la gente, quante gliene facevano! E io a dire:
cielo brucia, la terra brucia! Gridava! No, non non sono uomini, questi, è solo kulakaglia. E
era il cielo a bruciare, bruciava la vita. Fu allo- poi rivango, rivango e penso: chi ha inventato
ra che capii: per il potere sovietico, prima di quella parola: kulakaglia? Che sia stato Lenin?
tutto viene il piano. Esegui il piano! Consegna Quale tormento si è addossato! Per ucciderli,
la quota prescritta, la fornitura! In primo luo- si è dovuto spiegare che i kulaki non erano
go, lo Stato. La gente: zero, meno di zero. I uomini. Sì, come quando i tedeschi dicevano:
padri, le madri, volevano salvare i bambini, na- i giudei non sono uomini. Allo stesso modo Le-
scondere almeno un po’ di grano, ma gli dice- nin e Stalin: i kulaki non sono uomini. Ma que-
vano: voi avete un odio feroce per il Paese del sta è una menzogna! Uomini! Uomini erano.
socialismo, voi volete far fallire il piano, paras- Ecco ciò che principiai a capire. Tutti uomi-
siti, fiancheggiatori dei kulaki, canaglie. Non ni!».
vogliamo far fallire il piano, vogliamo salvare [p. 135]
i bambini, noi stessi. La gente ha pur bisogno
di mangiare. Tutto posso raccontare, solamen-
te che nel racconto sono parole, mentre lì era
vita, sofferenze, morte per fame. Tra l’altro, al
momento di requisire il grano spiegavano agli
attivisti che avrebbero nutrito la gente con le
riserve. Era una menzogna, neanche un gra-
nello diedero, agli affamati».
[p. 140-141]
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PA R T E S E C O N D A :
ESISTE UN BENE
Vita e destino¹
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La nuova Auschwitz¹
Io suonavo il violino ad Auschwitz mentre mori- Ora siamo tornati ad Auschwitz dove c’è stato
vano gli altri ebrei, fatto tanto male,
io suonavo il violino ad Auschwitz mentre ucci- ma non è morto il male nel mondo e noi tutti
devano i fratelli miei, lo possiamo fare
mentre uccidevano i fratelli miei, mentre ucci- e noi tutti lo possiamo fare e noi tutti lo pos-
devano i fratelli miei… siamo fare…
Ci dicevano di suonare, suonare forte e non Non è difficile essere come loro,
fermarci mai, non è difficile essere come loro...
per coprire l’urlo della morte, suonare forte e
non fermarci mai, Ora suono il violino al mondo mentre muoiono
suonare forte e non fermarci mai, suonare for- i nuovi ebrei,
te e non fermarci mai… ora suono il violino al mondo mentre uccidono
i fratelli miei,
Non è possibile essere come loro, mentre uccidono i fratelli miei, mentre uccido-
non è possibile essere come loro… no i fratelli miei…
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Il fuoco sotto la cenere¹
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Vita e destino
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fece sedere sulla panca, si chinò e gli asciugò «E questa bontà sciocca è quanto di umano
quelle gambe che sembravano bastoni; poi gli c’è nell’uomo, è ciò che lo contraddistingue,
infilò la camicia e le mutande e gli abbottonò è l’altezza a cui lo spirito umano si eleva. La
la biancheria, i bottoncini bianchi ricoperti di vita non è il male, ci dice. «È una bontà senza
stoffa. Versò l’acqua nera e lurida della tinozza voce, senza senso. Istintiva, cieca».
in un secchio e la portò fuori. Stese sulla stufa [p. 458]
una pelle di montone, la coprì con un panno a
righe, tolse dal letto un grosso cuscino e lo si-
stemò in cima al giaciglio. Poi sollevò Semën-
ov con facilità, come fosse un pollo, e lo aiutò
a salire sulla stufa. Semënov era in una sorta
di deliquio. Qualcosa era cambiato, il suo cor-
po lo percepiva: quel mondo senza pietà non
voleva più eliminare la povera bestia stremata
che era. (…) Era come un bambino che crede
nell’esistenza di due maghi, uno buono e uno
cattivo, e ha paura che il mago cattivo scon-
figga di nuovo quello buono, facendo sparire
il mondo bello, caldo e satollo, mentre lui si ri-
troverà un’altra volta a biascicare sotto i denti
un pezzo di cintura».
[p. 625-627]
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La Madonna Sistina¹
«Ciò che nell’uomo vi è di umano, va incontro «Questo quadro ci dice quanto la vita sia pre-
al suo destino, e in ogni epoca questo destino ziosa e magnifica, e che non c’è forza al mondo
è particolare, è diverso da quello dell’epoca capace di costringerla a trasformarsi in qual-
precedente. Ciò che accomuna questi diver- cosa che, pur somigliandole esteriormente,
si destini è il fatto di essere tutti ugualmente non sia più la vita. La forza della vita, la forza
difficili… Ma ciò che nell’uomo vi è di umano, di ciò che vi è di umano nell’uomo è una for-
ha continuato ad essere anche quando lo si za immensa, e la violenza più estrema e più
inchiodava alla croce, anche quando lo si tor- assoluta non può soggiogare questa forza,
turava in prigione. [...] La Madonna con suo perché può solamente ucciderla. È per que-
figlio fra le braccia, è ciò che c’è di umano sto che il volto della madre e del figlio sono
nell’uomo, e sta in questo la sua immortalità». tanto sereni: sono invincibili. In questi tempi
[p. 45-46] di ferro, la morte della vita non coincide con la
sua sconfitta».
[p. 50]
1 “La Madonna Sistina” è un breve testo scritto da Grossman
a celebrare la bellezza di quel dipinto di Raffaello del 1513.
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Vita e destino
«“Perché dovrei firmare… non ne posso più, cettava la professione di amicizia. Ecco, erano
lasciatemi il diritto a una coscienza tranquilla”. queste proteste di stima e di fiducia a paraliz-
Tutto ciò accompagnato da un sentimento di zarlo, a togliergli ogni forza. Se avessero alzato
impotenza, di attonito stupore; la condiscen- la voce, pestato i piedi, se l’avessero picchia-
denza, la remissività dell’animale ingrassato e to, forse si sarebbe ribellato, sarebbe stato più
viziato, la paura di avere la vita distrutta un’al- forte. Stalin aveva parlato con lui. Le persone
che ora gli sedevano accanto lo ricordavano
tra volta, la paura di avere ancora paura. Ec-
perfettamente. Ma, Dio mio che lettera spa-
coci dunque [queste impressioni le conoscia-
ventosa gli avevano chiesto di sottoscrivere.
mo tutti bene, basti guardare nel nostro posto
Di che orrori parlava! […] Bisognava essere dei
di lavoro] di nuovo bisognava contrapporsi mostri per calunniare così i due medici.
al collettivo? Di nuovo la solitudine? Faceva Che creatura strana e sorprendente l’uomo!
il suo lavoro in tutta libertà circondato di at- Strum aveva trovato in sé la forza per rinun-
tenzioni e premure. Non aveva chiesto niente, ciare alla vita, e adesso era incapace di ri-
non aveva avuto bisogno di fare ammenda. Il nunciare a qualche zuccherino».
vincitore era lui! Che cosa voleva ancora? Gli [p. 936]
aveva telefonato Stalin! «Non era troppo tardi, lo capiva, aveva ancora
Estrasse la stilografica. Proprio allora si accor- la forza di tirare su la testa, di tornare ad es-
se che Shishakov era rimasto a bocca aperta sere il figlio di sua madre. [...] Ogni giorno e
perché anche lui, il più tenace, aveva cedu- ogni ora di ogni anno a venire avrebbe lotta-
to. Strum non riuscì a lavorare tutto il giorno. to per conquistarsi il diritto a essere uomo, a
Nessuno lo disturbava, il telefono non squilla- essere buono e onesto. Una conquista che non
va, ma non poteva lavorare. Non lavorava per- doveva conoscere né orgoglio né vanagloria,
ché il lavoro, quel giorno, gli sembrava noioso, ma solo umiltà. E se anche si fosse ritrovato in
vuoto, sciocco […] Aveva voglia di nascon- un vicolo cieco, non doveva aver paura di mo-
dersi dietro a qualcuno, ma rifiutare non era rire, non doveva aver paura di restare uomo.
possibile. Equivaleva al suicidio. No, niente «Chi vivrà vedrà,» disse «magari le troverò, le
del genere. No, no, andava bene così». forze. Le tue forze, mamma».
[p. 334-335] [p. 938]
«Viktor Pavlovic riappese il ricevitore e si coprì «Benché né lei né nessuno di loro possa dire
il volto con le mani. Ormai capiva appieno tut- cosa li aspetti, e benché essi sappiano che in
to l’orrore della sua situazione: oggi non erano un tempo così terribile l’uomo non è più arte-
i nemici a punirlo. Erano le persone care con fice della propria felicità, e che il destino del
la loro fiducia in lui». mondo ha ricevuto il diritto di graziare o pu-
«La cosa più sorprendente era che persone nire, portare alla gloria o coprire di fango, e
fino a poco addietro piene di disprezzo e di so- trasformare in polvere di lager; tuttavia, non
è concesso al destino del mondo e alla Sto-
spetto verso di lui, ora manifestavano nei suoi
ria, alla mano irosa dello Stato, alla gloria,
confronti, con assoluta spontaneità, fiducia e
o all’infamia della lotta di trasformare coloro
amicizia, e altrettanto sorprendente era la na-
che hanno nome di uomini».
turalezza con cui egli, che non aveva dimenti- [p. 961]
cato la loro crudeltà nei suoi confronti, ne ac-
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Contro la guerra¹
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