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Dentro al male un volto umano

Un percorso attraverso i testi di Vasilij S. Grossman

Vasilij S. Grossman a Schwerin nel 1945

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PA R T E P R I M A :
IL MALE

L’inferno di Treblinka¹

«É stupefacente come quelle bestie riutilizzas- «Il mondo tace, schiacciato, asservito dai ban-
sero ogni cosa - cuoio, carta, stoffa, tutto ciò diti in camicia bruna che lo hanno in pugno.
che era servito agli esseri umani serviva, torna- Eppure a molte migliaia di chilometri sulle rive
va utile anche alle bestie. Solo la cosa più pre- lontane del Volga, l’artiglieria sovietica tuo-
ziosa al mondo - la vita - veniva calpestata. na ancora, proclamando ostinatamente la
Intelletti generosi e robusti, anime pure, occhi volontà del popolo russo di lottare fino alla
innocenti di bambino, cari volti di anziani, bel- morte per la libertà, e risvegliando, chiaman-
le teste altere di ragazza che la natura aveva do alla lotta i popoli del mondo».
faticato secoli e secoli a creare, scivolarono
come un fiume silenzioso e infinito nell’abisso
del nulla».

1 “L’inferno di Treblinka” è uno dei primi reportage dai campi


di morte nazisti.
La prima pubblicazione di questo testo avviene nel 1944 sulla
rivista russa “Znamja”.

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Tutto scorre...¹

«Guardano quella gente da dekulakizzare kulaki. Persino le bestie feroci, neanche quelle
come fosse del bestiame, dei porci, per loro erano le più terribili. I più perfidi erano quelli
tutto nei kulaki è repellente: non hanno per- che facevano i loro affari spargendo del san-
sonalità né anima, e puzzano, e sono tutti si- gue, quelli che parlavano a gran voce di co-
filitici, e – quel che più conta – sono nemici scienza, e intanto si facevano i loro calcoli e
del popolo e sfruttano il lavoro altrui. La po- depredavano. Pronti a rovinarti per interesse,
vera gente invece, e il komsomol, e la milizia – per delle cianfrusaglie, per un paio di stivali;
sono tutti dei Capaev, degli eroi; ma se andavi rovinare uno era facile: scrivi su di lui, senza
a guardarli, quegli attivisti erano gente qualsi- neanche firmare, scrivi che dei braccianti la-
asi, trovavi fra loro anche dei mocciosi, anche vorano per lui, e che possiede tre mucche – ed
la canaglia prendevano con loro. è bell’e pronto un kulak. Tutte queste cose io
Quelle parole cominciarono a fare effetto an- le vedevo, mi agitavano, ma in fondo non ne
che su di me, che ero proprio una ragazzetta; soffrivo – se in fattoria non avessero abbattu-
allora – e assemblee, e corsi sociali d’istruzio- to il bestiame secondo le regole, naturalmen-
ne, e trasmettono per radio, e proiettano al ci- te mi sarei grandemente agitata, ma non ci
nema, e scrittori che scrivono, e Stalin in per- avrei perso il sonno».
sona – tutti a battere sullo stesso tasto: i kulaki [p. 133-134]
sono dei parassiti, bruciano il grano, ammaz- «Un ordine che diceva: uccidere per fame i
zano i bambini. Ce lo dichiaravano apertamen- contadini dell’Ucraina, del Don, del Kuban’,
te: bisognava sollevare contro di loro la collera uccidere loro e i loro bambini. Un’ordinanza
delle masse, distruggerli tutti in quanto classe, che diceva di requisire anche tutto il grano ri-
i maledetti... Anch’io cominciai a restarne af- servato alla semina. Lo cercavano come se non
fascinata; mi convincevo sempre più che tut- fosse grano, ma bombe, mitragliatrici. Saggia-
ti i guai provenissero dai kulaki, e che se li vano la terra con le baionette, con le canne dei
avessimo distrutti, per i contadini sarebbero fucili, misero sossopra, scavarono in tutte le
subito giunti tempi felici. cantine, scassarono tutti i pavimenti, cercaro-
Niente pietà per loro: non erano degli uomini, no negli orti. A certuni sequestrarono il grano
non capivi neppure che razza di esseri fosse- che tenevano in casa, dentro un vaso, una ti-
ro. Così entrai fra gli attivisti; ce n’erano di tut- nozza. A una donna sequestrarono il pane che
ti i tipi: di quelli che ci credevano e odiavano aveva cotto, lo caricarono sul carro e portaro-
i parassiti e stavano dalla parte dei contadini no al distretto anche quello. I carri cigolavano
poveri; e c’erano di quelli che facevano i loro giorno e notte, la terra sembrava avvolta dalla
affari; ma per lo più c’erano quelli che esegui- polvere. In mancanza di sili, versavano il grano
vano gli ordini – tipi che avrebbero ammazzato per terra, e attorno mettevano sentinelle. Con
madre e padre, pur di eseguire le istruzioni. E l’avvicinarsi dell’inverno il grano s’imbevve di
non erano neppure i più cattivi, ché credevano pioggia, cominciò a marcire: il potere sovie-
in una vita felice, qualora si fossero eliminati i tico non aveva abbastanza tela incatramata

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per ricoprire il grano dei contadini. «Adesso, quando ricordo l’abolizione dei ku-
Quando poi trasportavano il grano dai villaggi, laki, vedo tutto in modo diverso, l’incanta-
tutto attorno si alzava un polverone, tutto era mento è passato. Vedo in loro degli uomini.
immerso in una foschia: il villaggio, i campi e, Perché mi ero tanto indurita? Come soffriva
di notte, la luna. Uno diventò pazzo: brucia, il la gente, quante gliene facevano! E io a dire:
cielo brucia, la terra brucia! Gridava! No, non non sono uomini, questi, è solo kulakaglia. E
era il cielo a bruciare, bruciava la vita. Fu allo- poi rivango, rivango e penso: chi ha inventato
ra che capii: per il potere sovietico, prima di quella parola: kulakaglia? Che sia stato Lenin?
tutto viene il piano. Esegui il piano! Consegna Quale tormento si è addossato! Per ucciderli,
la quota prescritta, la fornitura! In primo luo- si è dovuto spiegare che i kulaki non erano
go, lo Stato. La gente: zero, meno di zero. I uomini. Sì, come quando i tedeschi dicevano:
padri, le madri, volevano salvare i bambini, na- i giudei non sono uomini. Allo stesso modo Le-
scondere almeno un po’ di grano, ma gli dice- nin e Stalin: i kulaki non sono uomini. Ma que-
vano: voi avete un odio feroce per il Paese del sta è una menzogna! Uomini! Uomini erano.
socialismo, voi volete far fallire il piano, paras- Ecco ciò che principiai a capire. Tutti uomi-
siti, fiancheggiatori dei kulaki, canaglie. Non ni!».
vogliamo far fallire il piano, vogliamo salvare [p. 135]
i bambini, noi stessi. La gente ha pur bisogno
di mangiare. Tutto posso raccontare, solamen-
te che nel racconto sono parole, mentre lì era
vita, sofferenze, morte per fame. Tra l’altro, al
momento di requisire il grano spiegavano agli
attivisti che avrebbero nutrito la gente con le
riserve. Era una menzogna, neanche un gra-
nello diedero, agli affamati».
[p. 140-141]

1 “Tutto scorre...” è un romanzo scritto fra il 1955 e il 1963,


viene pubblicato postumo in Germania occidentale nel 1970.
Il tema fondamentale del romanzo è quello della colpa e delle
responsabilità dei sopravvisuti nei confronti delle vittime dei
regimi totalitari.

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PA R T E S E C O N D A :
ESISTE UN BENE

Vita e destino¹

«Ho visto la forza incrollabile dell’idea del


bene sociale, che è nata nel mio paese. L’ho
vista nel periodo della collettivizzazione for-
zata e nel Trentasette. Ho visto uccidere nel
nome di un ideale bello e umano come quel-
lo cristiano. Ho visto le campagne morire di
fame, e i figli dei contadini che morivano tra
le nevi della Siberia; ho visto le tradotte che
da Mosca, Leningrado e altre città della Rus-
sia portavano in Siberia centinaia di migliaia di
uomini e donne, i nemici della grande, lumi-
nosa idea del bene sociale. Era un’idea bella e
grande, e ha ucciso senza pietà, ha rovinato le
vite di molti, ha separato le mogli dai mariti, i
figli dai padri. (…)Ma anche questi crimini –
inauditi non solo per l’Universo, ma anche per
gli uomini di questa Terra – sono compiuti in
nome del bene».
[p. 455]

1 “Vita e destino” è l’ultimo romanzo scritto da Grossman, lo


scrive nel 1959 in Unione Sovietica ma viene pubblicato po-
stumo 20 anni dopo, nel 1980, in Svizzera.
Il romanzo è una bruciante riflessione sul male spiegata attra-
verso la menzogna di bene propogandata dai regimi totalitari.

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La nuova Auschwitz¹

Io suonavo il violino ad Auschwitz mentre mori- Ora siamo tornati ad Auschwitz dove c’è stato
vano gli altri ebrei, fatto tanto male,
io suonavo il violino ad Auschwitz mentre ucci- ma non è morto il male nel mondo e noi tutti
devano i fratelli miei, lo possiamo fare
mentre uccidevano i fratelli miei, mentre ucci- e noi tutti lo possiamo fare e noi tutti lo pos-
devano i fratelli miei… siamo fare…

Ci dicevano di suonare, suonare forte e non Non è difficile essere come loro,
fermarci mai, non è difficile essere come loro...
per coprire l’urlo della morte, suonare forte e
non fermarci mai, Ora suono il violino al mondo mentre muoiono
suonare forte e non fermarci mai, suonare for- i nuovi ebrei,
te e non fermarci mai… ora suono il violino al mondo mentre uccidono
i fratelli miei,
Non è possibile essere come loro, mentre uccidono i fratelli miei, mentre uccido-
non è possibile essere come loro… no i fratelli miei…

Nel mondo nuovo che ora abbiamo creato


c’è la miseria, c’è l’odio ed il peccato,
c’è l’odio ed il peccato, c’è l’odio ed il peccato…

1 “La nuova Auschwitz” è una canzone scritta nel 1971 e can-


tata da Claudio Chieffo.

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Il fuoco sotto la cenere¹

«Ed ecco che, a fianco del minaccioso grande


bene, esiste una bontà quotidiana (ecco la sua
ipotesi di soluzione!). E’ la bontà della vecchia
che porta da bere dalla sua borraccia al nemi-
co ferito, della gioventù che ha pietà della vec-
chiaia, del contadino che nasconde nel fienile
un vecchio ebreo, dei guardiani che mettono
in pericolo la loro stessa libertà consegnando
le lettere dei prigionieri non ai loro compagni
di fede ma alle madri e alle mogli. Questa bon-
tà privata del singolo individuo nei confronti
di un suo simile è senza testimoni, una picco-
la bontà senza ideologia. La si può chiamare
“bontà insensata».

2 “Il fuoco sotto la cenere. Invito alla lettura di Ilia ed Alberto,


Vita e destino, Corpi e anime e lettere sul dolore” di Enzo Pic-
cini pubblicato nel 2018.

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Vita e destino

«L’undicesimo giorno di viaggio, mentre la ve avidamente, faticando a deglutire. Lo finì e


tradotta era ferma alla stazione di Chutor Mi- gli venne da vomitare. Si contorceva, aveva le
chajlovskij, le guardie trascinarono fuori dal lacrime agli occhi, aspirava l’aria rantolando
vagone Semënov, che aveva perso conoscen- come se stesse per morire e poi si svuotava:
za, e lo consegnarono alle autorità ferroviarie. una volta, poi un’altra e un’altra ancora. Cer-
Un vecchio tedesco, il comandante, osservò cava di trattenersi, aveva un solo pensiero in
per qualche istante il soldato russo più morto testa: quella donna l’avrebbe cacciato, sporco
che vivo addossato alla parete della rimessa e lercio com’era. Vide con i suoi occhi infiam-
dei pompieri e disse all’interprete: «Lasciamo- mati che era andata a prendere uno straccio,
lo andare in paese. In cella morirebbe doma- che stava pulendo per terra.
ni, e non ho motivo di fucilarlo». Semënov si Avrebbe voluto dirle che, se non lo manda-
trascinò fino al villaggio, poco distante dalla va via, ci avrebbe pensato lui, al pavimen-
stazione. Nella prima casa non lo fecero entra- to, gliel’avrebbe lavato lui. Ma gli usciva solo
re. «Non abbiamo più niente. Cerca da un’altra qualche mugugno, qualche gesto con le dita
parte» gli disse da dietro la porta la voce di una che gli tremavano. Il tempo passava. La vec-
vecchia. Bussò a lungo al secondo casale, ma chia usciva e rientrava. Ma non lo cacciava via.
nessuno rispose. O era disabitato, o era sbar- Che andasse dalla vicina a chiederle di chia-
rato dal di dentro. Nella terza casa la porta era mare i polizei o una pattuglia tedesca? La don-
socchiusa; Semënov varcò la soglia, nessuno na mise sulla stufa un calderone d’acqua. E fu
rispose alla sua domanda e lui entrò. Il calore subito caldo, con il vapore che sbuffava sopra
lo avvolse, gli diede alla testa, lo costrinse a l’acqua. Il viso della vecchia pareva cattivo,
sedersi su una panca accanto alla porta. Face- torvo. Prima mi manda via, poi disinfetta tutto
va respiri frequenti e profondi, e intanto osser- quanto, pensò. La donna prese della bianche-
vava i muri bianchi, le icone, il tavolo, la stu- ria e un paio di pantaloni da un baule. Aiutò
fa. Dopo le baracche del lager, era uno shock. Semënov a spogliarsi e fece un fagotto con le
Un’ombra alla finestra; entrò una donna, lo sue cose. Lui sentì l’odore del suo corpo lurido,
vide e diede un grido: «Lei chi è?». delle mutande impregnate di urina e di feci san-
Lui non rispose. Si capiva, chi era. Quel giorno guinolente. La vecchia lo aiutò a sedersi nella
non furono le forze spietate di nazioni potenti tinozza, e il corpo di lui, mangiato dalle pulci,
a decidere della sua vita e del suo destino, ma percepì il contatto delle mani forti e ruvide di
un essere umano, la vecchia Christja Cunjak. lei, l’acqua calda e saponata che gli scivolava
Dalle nuvole grigie il sole faceva capolino sul sulle spalle e sul petto. Di colpo si sentì man-
mondo in guerra, e il vento, il vento che sfer- care il respiro, tremò tutto, e inghiottendo il
zava le trincee e le postazioni dei mitra, il filo moccio che gli colava gridò: «Mamma... mam-
spinato dei lager, i tribunali e le sezioni spe- mina...».Lei gli asciugò gli occhi bagnati di la-
ciali, ululava anche alla finestra dell’izba. La crime, i capelli e le spalle con un asciugamano
donna gli diede una tazza di latte e lui la bev- di tela grigia. Poi lo afferrò sotto le ascelle, lo

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fece sedere sulla panca, si chinò e gli asciugò «E questa bontà sciocca è quanto di umano
quelle gambe che sembravano bastoni; poi gli c’è nell’uomo, è ciò che lo contraddistingue,
infilò la camicia e le mutande e gli abbottonò è l’altezza a cui lo spirito umano si eleva. La
la biancheria, i bottoncini bianchi ricoperti di vita non è il male, ci dice. «È una bontà senza
stoffa. Versò l’acqua nera e lurida della tinozza voce, senza senso. Istintiva, cieca».
in un secchio e la portò fuori. Stese sulla stufa [p. 458]
una pelle di montone, la coprì con un panno a
righe, tolse dal letto un grosso cuscino e lo si-
stemò in cima al giaciglio. Poi sollevò Semën-
ov con facilità, come fosse un pollo, e lo aiutò
a salire sulla stufa. Semënov era in una sorta
di deliquio. Qualcosa era cambiato, il suo cor-
po lo percepiva: quel mondo senza pietà non
voleva più eliminare la povera bestia stremata
che era. (…) Era come un bambino che crede
nell’esistenza di due maghi, uno buono e uno
cattivo, e ha paura che il mago cattivo scon-
figga di nuovo quello buono, facendo sparire
il mondo bello, caldo e satollo, mentre lui si ri-
troverà un’altra volta a biascicare sotto i denti
un pezzo di cintura».
[p. 625-627]

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La Madonna Sistina¹

La Madonna Sistina di Raffaello, 1513

«Ciò che nell’uomo vi è di umano, va incontro «Questo quadro ci dice quanto la vita sia pre-
al suo destino, e in ogni epoca questo destino ziosa e magnifica, e che non c’è forza al mondo
è particolare, è diverso da quello dell’epoca capace di costringerla a trasformarsi in qual-
precedente. Ciò che accomuna questi diver- cosa che, pur somigliandole esteriormente,
si destini è il fatto di essere tutti ugualmente non sia più la vita. La forza della vita, la forza
difficili… Ma ciò che nell’uomo vi è di umano, di ciò che vi è di umano nell’uomo è una for-
ha continuato ad essere anche quando lo si za immensa, e la violenza più estrema e più
inchiodava alla croce, anche quando lo si tor- assoluta non può soggiogare questa forza,
turava in prigione. [...] La Madonna con suo perché può solamente ucciderla. È per que-
figlio fra le braccia, è ciò che c’è di umano sto che il volto della madre e del figlio sono
nell’uomo, e sta in questo la sua immortalità». tanto sereni: sono invincibili. In questi tempi
[p. 45-46] di ferro, la morte della vita non coincide con la
sua sconfitta».
[p. 50]
1 “La Madonna Sistina” è un breve testo scritto da Grossman
a celebrare la bellezza di quel dipinto di Raffaello del 1513.

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Vita e destino

«“Perché dovrei firmare… non ne posso più, cettava la professione di amicizia. Ecco, erano
lasciatemi il diritto a una coscienza tranquilla”. queste proteste di stima e di fiducia a paraliz-
Tutto ciò accompagnato da un sentimento di zarlo, a togliergli ogni forza. Se avessero alzato
impotenza, di attonito stupore; la condiscen- la voce, pestato i piedi, se l’avessero picchia-
denza, la remissività dell’animale ingrassato e to, forse si sarebbe ribellato, sarebbe stato più
viziato, la paura di avere la vita distrutta un’al- forte. Stalin aveva parlato con lui. Le persone
che ora gli sedevano accanto lo ricordavano
tra volta, la paura di avere ancora paura. Ec-
perfettamente. Ma, Dio mio che lettera spa-
coci dunque [queste impressioni le conoscia-
ventosa gli avevano chiesto di sottoscrivere.
mo tutti bene, basti guardare nel nostro posto
Di che orrori parlava! […] Bisognava essere dei
di lavoro] di nuovo bisognava contrapporsi mostri per calunniare così i due medici.
al collettivo? Di nuovo la solitudine? Faceva Che creatura strana e sorprendente l’uomo!
il suo lavoro in tutta libertà circondato di at- Strum aveva trovato in sé la forza per rinun-
tenzioni e premure. Non aveva chiesto niente, ciare alla vita, e adesso era incapace di ri-
non aveva avuto bisogno di fare ammenda. Il nunciare a qualche zuccherino».
vincitore era lui! Che cosa voleva ancora? Gli [p. 936]
aveva telefonato Stalin! «Non era troppo tardi, lo capiva, aveva ancora
Estrasse la stilografica. Proprio allora si accor- la forza di tirare su la testa, di tornare ad es-
se che Shishakov era rimasto a bocca aperta sere il figlio di sua madre. [...] Ogni giorno e
perché anche lui, il più tenace, aveva cedu- ogni ora di ogni anno a venire avrebbe lotta-
to. Strum non riuscì a lavorare tutto il giorno. to per conquistarsi il diritto a essere uomo, a
Nessuno lo disturbava, il telefono non squilla- essere buono e onesto. Una conquista che non
va, ma non poteva lavorare. Non lavorava per- doveva conoscere né orgoglio né vanagloria,
ché il lavoro, quel giorno, gli sembrava noioso, ma solo umiltà. E se anche si fosse ritrovato in
vuoto, sciocco […] Aveva voglia di nascon- un vicolo cieco, non doveva aver paura di mo-
dersi dietro a qualcuno, ma rifiutare non era rire, non doveva aver paura di restare uomo.
possibile. Equivaleva al suicidio. No, niente «Chi vivrà vedrà,» disse «magari le troverò, le
del genere. No, no, andava bene così». forze. Le tue forze, mamma».
[p. 334-335] [p. 938]
«Viktor Pavlovic riappese il ricevitore e si coprì «Benché né lei né nessuno di loro possa dire
il volto con le mani. Ormai capiva appieno tut- cosa li aspetti, e benché essi sappiano che in
to l’orrore della sua situazione: oggi non erano un tempo così terribile l’uomo non è più arte-
i nemici a punirlo. Erano le persone care con fice della propria felicità, e che il destino del
la loro fiducia in lui». mondo ha ricevuto il diritto di graziare o pu-
«La cosa più sorprendente era che persone nire, portare alla gloria o coprire di fango, e
fino a poco addietro piene di disprezzo e di so- trasformare in polvere di lager; tuttavia, non
è concesso al destino del mondo e alla Sto-
spetto verso di lui, ora manifestavano nei suoi
ria, alla mano irosa dello Stato, alla gloria,
confronti, con assoluta spontaneità, fiducia e
o all’infamia della lotta di trasformare coloro
amicizia, e altrettanto sorprendente era la na-
che hanno nome di uomini».
turalezza con cui egli, che non aveva dimenti- [p. 961]
cato la loro crudeltà nei suoi confronti, ne ac-

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Contro la guerra¹

«L’uomo non è onnipotente, da solo non ce l’ha


può fare. E se estromette Dio, finisce per ado-
rare le cose terrene. Serviamo Dio, per uscire
dalla schiavitù dell’io, perchè Dio ci spinge ad
amare. Ecco la vera religiosità: adorare Dio e
amare il prossimo.
Si, abbiamo bisogno di uscire da noi stessi,
perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. La
pandemia ci ha fatto comprendere che nes-
suno si salva da solo. Eppure ritorna sempre
la tentazione di prendere le distanze dagli al-
tri. Ma il si salvi chi può si tradurrà rapidamen-
te nel tutto contro tutti, e questo sarà peggio
di una pandemia».

1 “Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace” è il libro


scritto da Papa Francesco quest’anno in occasione del con-
flitto tra Russia e Ucraina.

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