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Collana di Studi Aziendali Applicati

La Collana di Studi Aziendali Applicati intende perseguire l’obiettivo di rappresen-


tare, in chiave aziendalistica, il passaggio dalla conoscenza, acquisibile attraverso lo
studio e la ricerca teorica di base, alla competenza, generale e specifica, esprimibile
nei vari campi operativi oggetto di studio, di analisi e di approfondimento.
Non v’è dubbio che, nell’intento di superare l’alternativa tra “teoria” e “pratica”,
ogni acquisizione di elementi teorici presenti implicazioni di ordine pratico e che,
viceversa, ogni abilità pratica trovi la sua origine in un determinato contesto teorico,
agendo da esso e su di esso, revisionandolo e modificandolo.
Dalle conoscenze teoriche di base si passa, pertanto, alle competenze, che possono
essere generali, se si è in grado di assumere decisioni in vari contesti specifici por-
tando a soluzione problemi di ampia portata; specifiche, se le decisioni che si vanno
ad assumere sono settoriali e limitate ad un solo campo del più ampio oggetto da in-
dagare.
In ambito aziendale, le conoscenze teoriche di base consentono parimenti di espri-
mere competenze generali, sull’intero sistema oggetto di analisi, ovvero specifiche,
su singole parti (o particolari) di esso.
Ma la conoscenza approfondita, trasformabile in competenza specifica dei subsiste-
mi in cui si scompone l’unitario sistema aziendale, presuppone necessariamente la
conoscenza di base dell’intero sistema, di cui si suppone una data scomponibilità.
Tra la conoscenza e la competenza viene, quindi, ad instaurarsi un circuito virtuoso
che, partendo dal livello della prima, consente di pervenire alla seconda, a sua volta
influenzante e condizionante la prima, con un andamento circolare continuo (teoria-
pratica-teoria).
La valutazione delle competenze non va però limitata alla loro fruibilità in ambito ri-
stretto, ma va intesa nella logica sistemica (conoscenza-competenza delle parti in-
terrelate), implicando processi di sperimentazione, di comprensione, di valutazione,
di decisione e di azione (con un feedback per l’analisi revisionale).
Il connubio tra teoria e pratica – e quindi tra conoscenza e competenza – si presenta
inscindibile e reversibile, per cui il sapere scientifico separato dalle abilità pratiche,
pur costituendo un importante patrimonio culturale del singolo, non concorre, se
non in misura ridotta, allo sviluppo ed alla crescita di un sistema complesso, quale è
quello aziendale.
Da ciò si deduce che il sapere va affrontato partendo dalle abilità/competenze ed av-
viando così il menzionato percorso circolare che dovrà tendere a migliorare la qua-
lità dei due livelli che lo caratterizzano (teoria e pratica), determinando il successo
di qualsivoglia attività economica.
Assunti ed esplicitati i principi teorici di base, condivisi dalla comunità scientifica di
riferimento, i contributi dei vari studiosi e ricercatori, che intendono collaborare per
la migliore riuscita della Collana, saranno incentrati su tematiche operative che con-
sentiranno di reintervenire con il carattere della continuità su tali principi, proceden-
do così alla loro revisione, ed eventuale modifica, per aderire alle mutevoli situazio-
ni ambientali da cui il sistema-azienda trae vitalità e sviluppo.
La Collana presenta, pertanto, il pregio di trattare argomenti teorici di cultura azien-
dale che investono i vari ambiti (organizzativo, strategico, gestionale, informativo,
psicosociologico, linguistico, ecc.), e che si possono tradurre in atti operativi con-
frontabili con le variegate realtà che l’attività dell’impresa sottopone all’attenzione
di studiosi, ricercatori ed operatori del settore. Essa ha, altresì, il vantaggio di acco-
gliere contributi che rappresentino un agile strumento per l’attività didattica che
deve essere sempre più aderente ad una realtà in continua evoluzione.

Giuseppe Paolone
373.8 30-06-2014 12:16 Pagina 2

Francesco Capalbo, Luciano D'Amico,


Armando Della Porta, Eleonora Monaco,
Riccardo Palumbo
L’economicità delle imprese
di trasporto pubblico locale
(TPL)
Comparazione dei costi, dei rendimenti
e dei risultati

FrancoAngeli
Volume pubblicato con il contributo finanziario del Dipartimento di Economia
Aziendale dell’Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti-Pescara. Le analisi
proposte sono il risultato di un progetto di ricerca finanziato da Autoservizi Irpini S.p.A.

Copyright © 2014 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy.

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INDICE

Introduzione pag. 13
1. L’analisi del contesto » 17
1.1. Il contesto normativo » 17
1.2. La normativa comunitaria » 18
1.3. La normativa nazionale prima del decreto Burlando » 28
1.4. La riforma del settore: dal decreto Burlando al decreto
Bersani bis » 31
1.5. La normativa regionale di recepimento della riforma » 40
1.6. Il settore del TPL – Autolinee in Italia » 43
1.7. Differenze regionali nell’impiego delle risorse » 51
2. Obiettivi e indicatori di performance delle aziende di TPL » 66
2.1. Premessa » 66
2.2. La performance delle aziende di trasporto pubblico tra
output e outcomes » 68
2.3. La crisi finanziaria del servizio di trasporto pubblico:
natura e cause principali » 69
2.3.1. Sussidi pubblici, eccesso di offerta e bassa effi-
cienza del servizio » 70
2.3.2. Ridefinizione degli obiettivi sociali da assegnare al
servizio di trasporto pubblico locale e loro compa-
tibilità con gli equilibri economico-finanziari » 74
2.4. L’aziendalità del servizio di trasporto pubblico espressa
attraverso gli indicatori di performance » 77
2.4.1. Produttività » 81
2.4.2. Efficienza » 83
2.4.3. Qualità » 85
2.4.4. Equilibrio economico-finanziario » 86

5
3. Misurazione della performance e limiti del reddito con-
tabile pag. 89
3.1. I limiti del concetto di reddito contabile nelle società a
partecipazione pubblica e l’urgenza di altri misuratori
di performance » 89
3.2. I rischi dell’eccessiva attenzione sui risultati di bilancio
e gli stimoli all’earnings management nelle società par-
tecipate » 95
4. L’economicità delle imprese di TPL e l’individuazione di
parametri di costo di riferimento » 101
4.1. L’economicità: concetto e misura » 101
4.2. Economicità e “proprietà” » 105
4.3. La metodologia di analisi » 113
4.3.1. Il campione » 113
4.3.2. Il modello per la stima dell’economicità attesa » 117
4.4. Economicità attesa e giudizi di economicità » 130
4.5. La definizione dei parametri di costo di riferimento » 131
Bibliografia » 161
Appendice » 169

6
INDICE DELLE FIGURE

Fig. 1.1 – Numero di aziende operanti – periodo 2000-2010 pag. 44


Fig. 1.2 – Numero di aziende operanti nel servizio urbano –
periodo 2000-2010 » 44
Fig. 1.3 – Numero di aziende operanti nel servizio extraurba-
no – periodo 2000-2010 » 45
Fig. 1.4 – Numero di aziende con oltre 100 addetti – periodo
2000-2010 » 45
Fig. 1.5 – Numero di aziende per milione di abitanti – perio-
do 2000-2010 » 46
Fig. 1.6 – Numero di addetti per migliaia di abitanti – perio-
do 2000-2010 » 47
Fig. 1.7 – Numero di autobus per migliaia di abitanti – perio-
do 2000-2010 » 47
Fig. 1.8 – Domanda soddisfatta: passeggeri-Km – periodo
2000-2010 » 48
Fig. 1.9 – Offerta per tipologia di servizio: posti offerti – pe-
riodo 2000-2010 » 48
Fig. 1.10 – Offerta per tipologia di servizio: posti-Km offerti –
periodo 2000-2010 » 49
Fig. 1.11 – Costi e proventi totali – periodo 2000-2010 » 49
Fig. 1.12 – Rapporto Proventi/Costi totali – periodo 2000-
2010 » 50
Fig. 1.13 – Costi e ricavi per Km percorso per regione – Ser-
vizio urbano (2010) » 52
Fig. 1.14 – Costi e ricavi per Km percorso per regione – Ser-
vizio extraurbano (2010) » 53
Fig. 1.15 – Incidenze Proventi/Costi per regione – Servizio ur-
bano (2010) » 54

7
Fig. 1.16 – Incidenze Proventi/Costi per regione – Servizio ex-
traurbano (2010) pag. 55
Fig. 1.17 – Costo medio per addetto per regione – Servizio ur-
bano (2010) » 57
Fig. 1.18 – Costo medio per addetto per regione – Servizio ex-
traurbano (2010) » 58
Fig. 1.19 – Percorrenza media annua per addetto per regione –
Servizio urbano (2010) » 59
Fig. 1.20 – Percorrenza media annua per addetto per regione –
Servizio extraurbano (2010) » 60
Fig. 1.21 – Percorrenza media annua per autobus per regione –
Servizio urbano (2010) » 61
Fig. 1.22 – Percorrenza media annua per autobus per regione –
Servizio extraurbano (2010) » 62
Fig. 4.1 – Associazione tra indicatori di economicità, indica-
tori di efficienza e altre caratteristiche aziendali (a) » 104
Fig. 4.2 – Associazione tra indicatori di economicità, indica-
tori di efficienza e altre caratteristiche aziendali (b) » 105
Fig. 4.3 – Revenues: trend delle mediane per socio di riferi-
mento » 107
Fig. 4.4 – Totale attivo (A): trend delle mediane per socio di
riferimento » 108
Fig. 4.5 – Risultato economico netto (NI): trend delle media-
ne per socio di riferimento » 108
Fig. 4.6 – ROE: trend delle mediane per socio di riferimento » 109
Fig. 4.7 – ROI: trend delle mediane per socio di riferimento » 109
Fig. 4.8 – ROS: trend delle mediane per socio di riferimento » 110
Fig. 4.9 – Incidenza dei costi del personale sui ricavi (S/Rev):
trend delle mediane per socio di riferimento » 110
Fig. 4.10 – Incidenza della velocità di circolazione degli inve-
stimenti (T): trend delle mediane per socio di rife-
rimento » 111
Fig. 4.11 – Patrimonio netto (E): trend delle mediane per socio
di riferimento » 111
Fig. 4.12 – Indice di indebitamento (DR): trend delle mediane
per socio di riferimento » 112
Fig. 4.13 – Incidenza delle gestioni non operative (NI/OI):
trend delle mediane per socio di riferimento » 112
Fig. 4.14 – Quick Ratio: trend delle mediane per socio di rife-
rimento » 113

8
Fig. 4.15 – Distribuzione della variabile “EBITDA/000” per
regione (2011) pag. 121
Fig. 4.16 – Distribuzione della variabile “Revenues/000” per
regione (2011) » 122
Fig. 4.17 – Distribuzione della variabile “EBITDA/Revenues”
per regione (2011) » 123
Fig. 4.18 – Distribuzione della variabile “Totale attivo/000”
per regione (2011) » 124
Fig. 4.19 – Distribuzione della variabile “Debiti/000” per re-
gione (2011) » 125
Fig. 4.20 – Distribuzione della variabile “Debiti/Revenues”
per regione (2011) » 126
Fig. 4.21 – Distribuzione della variabile “Debiti/Attivo” per
regione (2011) » 127
Fig. 4.22 – Distribuzione della variabile “Materie/Revenues”
per regione (2011) » 128
Fig. 4.23 – Distribuzione della variabile “Costo della produ-
zione” per regione (2011) » 144
Fig. 4.24 – Distribuzione della variabile “Costo della produ-
zione/Revenues” per regione (2011) » 145
Fig. 4.25 – Distribuzione della variabile “Godimento Beni di
terzi/Costo della produzione” per regione (2011) » 146
Fig. 4.26 – Distribuzione della variabile “Servizi/Costo della
produzione” per regione (2011) » 147
Fig. 4.27 – Distribuzione della variabile “Personale/Costo del-
la produzione” per regione (2011) » 148
Fig. 4.28 – Distribuzione della variabile “Ammortamenti e sva-
lutazioni/Costo della produzione” per regione
(2011) » 149
Fig. 4.29 – CP/Revenues vs. Giudizi di economicità (Unex-
pected) » 152
Fig. 4.30 – Personale/CP vs. Giudizi di economicità (Unex-
pected) » 153
Fig. 4.31 – Servizi/CP vs. Giudizi di economicità (Unexpected) » 154
Fig. 4.32 – Godimento Beni di Terzi/CP vs. Giudizi di econo-
micità (Unexpected) » 155
Fig. 4.33 – Ammortamenti e svalutazioni/CP vs. Giudizi di
economicità (Unexpected) » 156
Fig. 4.34 – Materie/CP vs. Giudizi di economicità (Unexpec-
ted) » 157

9
INDICE DELLE TABELLE

Tab. 1.1 – Matrice di correlazione tra indicatori regionali –


trasporto extraurbano pag. 63
Tab. 1.2 – Matrice di correlazione tra indicatori regionali –
trasporto extraurbano » 64
Tab. 1.3 – Matrice di correlazione tra indicatori regionali –
medie » 65
Tab. 2.1 – Indici di Produttività » 83
Tab. 2.2 – Indici di Efficienza » 84
Tab. 2.3 – Indicatori di equilibrio economico-finanziario » 88
Tab. 4.1 – Selezione del campione » 115
Tab. 4.2 – Distribuzione delle osservazioni per anno » 115
Tab. 4.3 – Distribuzione delle osservazioni per Regione » 116
Tab. 4.4 – Distribuzioni delle osservazioni per Veste Giuri-
dica » 116
Tab. 4.5 – Distribuzione delle osservazioni in relazione
all’adesione ad ASSTRA/ANAV » 117
Tab. 4.6 – Statistiche descrittive » 120
Tab. 4.7 – Matrice di correlazione » 129
Tab. 4.8 – Modello di regressione per la determinazione del-
le performance relative » 130
Tab. 4.9 – Performance (economicità) rilevata (1/3) » 133
Tab. 4.9 – Performance (economicità) rilevata (2/3) » 134
Tab. 4.9 – Performance (economicità) rilevata (3/3) » 135
Tab. 4.10 – Performance (economicità) attesa (1/3) » 136
Tab. 4.10 – Performance (economicità) attesa (2/3) » 137
Tab. 4.10 – Performance (economicità) attesa (3/3) » 138
Tab. 4.11 – Giudizi di economicità (1/4) » 139
Tab. 4.11 – Giudizi di economicità (2/4) » 140

11
Tab. 4.11 – Giudizi di economicità (3/4) pag. 141
Tab. 4.11 – Giudizi di economicità (4/4) » 142
Tab. 4.12 – Modello di regressione per la determinazione dei
parametri di costo » 143
Tab. 4.13 – Modello di regressione per la determinazione dei
parametri di costo » 150
Tab. 4.14 – Matrice di correlazione » 158
Tab. 4.15 – Panel data Unexpected vs. Compensi Organo di
Controllo » 159

12
INTRODUZIONE

Il presente lavoro analizza comparativamente costi, rendimenti e risulta-


ti delle imprese operanti nel trasporto pubblico locale (TPL), con specifico
riferimento al settore Autolinee allo scopo di fornire un modello di misura-
zione delle performance da impiegare, anche nell’ottica della valutazione
del costo pieno industriale, per individuarne i driver (determinanti) princi-
pali e per definire i parametri/standard di riferimento.
I corrispettivi definiti nei contratti di servizio sottoscritti dalle imprese
del TPL, in particolare da quelle a proprietà pubblica, come sarà chiarito
nei capitoli che seguono, non sono frutto di una piena contrattazione di
mercato, il che priva gli indicatori di sintesi (EBITDA, redditività net-
ta/operativa ecc.), atomisticamente considerati, della capacità di rappresen-
tare l’economicità intesa quale punto di sintesi tra efficienza ed efficacia
della gestione aziendale.
Si tratta di realtà aziendali la cui finalità prevalente non è quella lucrati-
va, il che complica notevolmente le modalità di misurazione della perfor-
mance1. Sebbene il subentrare di finalità differenti non muti i caratteri es-
senziali dell’azienda, che è e resta sempre un “fatto di produzione”2 cui
continuano ad applicarsi tutti i tradizionali principi della ragioneria e della
economia aziendale3, è indubbio che il venir meno dell’ “ancoraggio” che
la finalità lucrativa garantisce tra prezzi di mercato e valore della produzio-
ne rende decisamente più complessa la misurazione della performance
aziendale e del valore creato per il suo soggetto economico. Il grado di rag-
giungimento delle finalità assegnate alle società che erogano servizi stru-

1
Cfr. O. HUGHES, 1992.
2
Cfr. E. CAVALIERI, 2010.
3
Cfr. G. FARNETI, 2000; G. CATTURI, 2003; E. VIGANÒ, 2000.

13
mentali ed essenziali, in particolare a quelle partecipate, non è misurabile
attraverso la quantificazione dei flussi di cassa generati o da generare, in
quanto l’equilibrio economico di queste aziende raramente si definisce in
termini di remunerazione finanziaria del capitale investito4. Tanto impone
lo sviluppo di più ampi set di indicatori che vadano oltre la logica del reddi-
to contabile ancorato agli effetti finanziari delle operazioni di scambio e
che, focalizzandosi sugli aspetti sostanziali del processo produttivo, provi-
no a misurare distintamente il grado di soddisfazione delle diverse finalità
assegnate a tali aziende. Si tratta dell’esigenza di disaggregare nelle sue di-
verse componenti il complesso equilibrio finalistico di queste realtà e di as-
segnare a ciascuna di esse uno specifico indicatore, in modo da riuscire così
ad evidenziare distintamente i risultati conseguiti, ad esempio, nell’ambito
della qualità del servizio erogato, nelle relazioni con l’ambiente economico
circostante, nel miglioramento del grado di vivibilità di un’area, nel miglio-
ramento della sicurezza sul lavoro e così via.
Sono le stesse caratteristiche tipiche della produzione dei servizi pubbli-
ci che privano il profitto, e gli indicatori che a tale modello si ispirano, del-
la capacità informativa. Il profitto cessa di essere un riferimento autonomo,
una guida assoluta per il management, per cedere il passo ad un sistema di
indicatori – anche di derivazione contabile – da interpretare in modo rela-
zionale.
Le differenze che caratterizzano le diverse strutture produttive, ed inve-
ro gli stessi contesti urbani e geografici regionali, sono tanto rilevanti da
non poter essere ignorate in una analisi comparativa che voglia cogliere il
problema nella sua complessità.
Per tale ragione il modello di analisi delle performance impiegato tiene
conto di alcune condizioni di contesto, oltre che di talune variabili azienda-
li, per determinare la misura delle performance attese con cui confrontare i
risultati realizzati. Si ottiene in tal modo un giudizio di valore ponderato
rispetto alle aspettative sulla singola impresa.
Dopo aver determinato i giudizi di economicità aziendale, e grazie ad
essi, il lavoro propone una stima dell’impatto che i driver di costo possono
esercitare sulle stesse performance. È così possibile definire delle fasce di
4
Del resto i destinatari della rendicontazione pubblica non sono, generalmente, interes-
sati a valutare forme differenti di allocazione delle proprie risorse, ma avvertono piuttosto
l’esigenza di valutare la performance di manager che svolgono attività produttive che non
possono abbandonarsi. Coerentemente l’IPSASB (2010), nella sua proposta di conceptual
framework, ha riconosciuto alle finalità di valutazione degli amministratori (stewardship) un
ruolo decisamente superiore rispetto a quanto non sia accaduto nella framework sviluppata
da FASB e IASB per il settore privato.

14
variazione normale (parametri di riferimento) delle diverse tipologie di co-
sto individuate e, per mezzo delle misure di correlazione tra tali variabili,
individuare modelli di gestione (riferibili ai costi di produzione) alternativi.
Lo studio è articolato come segue:
• nel primo capitolo viene proposta una analisi del contesto normativo
ed economico-industriale, caratterizzato quest’ultimo da marcate dif-
ferenze interregionali; tali differenze vengono esplicitate tramite va-
riabili di contesto regionali riferite ai costi di produzione, alla contri-
buzione, all’economicità e all’efficienza aziendale;
• il secondo capitolo è dedicato all’analisi della letteratura in tema di
indicatori di performance delle imprese di trasporto pubblico locale,
inquadrate nell’ambito del più ampio filone di studio delle imprese
produttrici di servizi pubblici, e alla definizione/classificazione degli
indicatori di performance;
• nel terzo capitolo sono analizzati i limiti del reddito contabile nei
processi di misurazione delle performance;
• l’analisi dell’economicità delle imprese del TPL e dei parametri di
costo di riferimento è proposta nel terzo capitolo (campione, modelli
e risultati).
Lo studio è frutto del lavoro congiunto degli autori. Tuttavia la stesura
delle parti è così attribuibile: Luciano D’Amico e Riccardo Palumbo cap. 1;
Armando Della Porta cap. 2; Francesco Capalbo ed Eleonora Monaco cap.
3; Francesco Capalbo, Eleonora Monaco e Riccardo Palumbo cap. 4.

*****

Il presente lavoro è stato realizzato grazie al contributo di Autoservizi


Irpini S.p.A., cui va un sentito ringraziamento; è stato elaborato sulla base
dei dati disponibili nel database AIDA Bureau Van Dijk, nei bilanci di
esercizio e nel database del registro Imprese, nei siti aziendali, nell’annua-
rio ASSTRA e di dati raccolti tramite somministrazione diretta di questio-
nari alle imprese. Per quanto si tratti di fonti gestite da organismi di elevata
professionalità e affidabilità, in considerazione della metodologia adottata e
per evidenti ragioni di correttezza scientifica e professionale, occorre con-
siderare che eventuali errori o imprecisioni nei dati potrebbero riflettersi sui
risultati presentati nel lavoro.

15
1. L’ANALISI DEL CONTESTO

1.1. Il contesto normativo

Il settore del trasporto pubblico locale (TPL) ha subito, nel corso


dell’ultimo decennio, una trasformazione che ha riguardato la struttura, il
grado di concorrenza, l’operatività e gli assetti di governance di numerosi
operatori.
Tra le determinanti di tale cambiamento si possono annoverare:
• taluni fattori di mercato, tra cui le modifiche della domanda e della
tipologia di servizio;
• la disciplina del settore.
Date la valenza sociale e la rilevanza strategica del TPL nonché talune
caratteristiche economiche e tecnologiche del settore, l’intervento massic-
cio e diretto dello Stato ha condotto ad un assetto che fino a tempi relati-
vamente recenti presentava marcati caratteri monopolistici (tipicamente per
le ferrovie), ovvero di quasi-monopolio, ovvero ancora si caratterizzava per
una forte presenza di comportamenti collusivi che ne contenevano in ogni
caso il grado di competitività.
Tale situazione ha interessato, con l’eccezione rilevante del Regno Uni-
to, pressoché tutti i Paesi dell’Unione Europea.
Nel TPL, come in altri settori, le forme di autoproduzione hanno mani-
festato le inefficienze che tipicamente caratterizzano questo assetto produt-
tivo. Tra le varie cause si annoverano:
• l’assenza di un mercato efficiente nella formazione dei prezzi;
• il criterio di scelta del management aziendale e le interferenze di na-
tura politica;

17
• la difficoltà per l’azionista di misurare le performance per la commi-
stione di obiettivi economico-reddituali e di obiettivi sociali, con i
primi spesso subalterni ai secondi.
Esigenze di recupero di efficienza a livello di impresa (micro) e di mer-
cato (macro) hanno indotto i legislatori comunitario e nazionale/regionale
ad avviare una rilevante politica di privatizzazione delle aziende e di libera-
lizzazione del mercato, ferma restando la regolamentazione del settore vol-
ta ad assicurare livelli minimi del servizio.
In tale contesto è stato introdotto il Contratto di servizio (la tipologia e
la quantità del servizio richiesto nonché la compensazione necessaria sono
stabilite secondo le diverse modalità di management contract, gross cost
contract e net cost contract) ed è stata introdotta la Demsetz competition
(mediante il ricorso a procedure di gara per l’affidamento temporaneo dei
servizi si reintroduce un certo grado di competitività)1.
Avvenuta la societarizzazione delle aziende speciali e dei consorzi con
cui il gestore pubblico aveva svolto la gestione del servizio, la successiva
fase di privatizzazione ha subito una battuta di arresto, mentre l’avvio del
regime di affidamento a mezzo delle gare ha provocato il sorgere di varie
tipologie di aggregazione, derivandone una situazione in cui l’azionariato
delle neo costituite società permane nella sfera pubblica.
A seguito di questa privatizzazione, solo parzialmente compiuta, il set-
tore del TPL continua a caratterizzarsi per la massiccia presenza di gestori
pubblici, sebbene sovente affidatari del servizio all’esito di procedure com-
petitive.

1.2. La normativa comunitaria

Il Trasporto pubblico locale, inteso quale servizio pubblico, non è ogget-


to diretto di disciplina comunitaria, essendo disposta nel Titolo V del Trat-
tato istitutivo la disciplina dei trasporti in generale, e non essendo previsto

1
Un’asta “Demsetz” è un sistema che assegna un contratto di esclusiva per l’agente che
offre il prezzo più basso. Si tratta di un sistema contrapposto alla “concorrenza nel settore”,
che prevede due o più agenti per la concessione del contratto che forniscono il bene o il ser-
vizio in modo competitivo. Il sistema Demsetz presenta il limite che l’intero rischio associa-
to con il calo della domanda è a carico di un solo agente e che il vincitore della gara, una
volta chiuso il contratto, può accumulare un know-how non trasferibile che potrà utilizzare
per far leva per il rinnovo del contratto, limitando in tal modo la futura competizione.

18
un coordinamento delle politiche economiche e sociali che nella costruzio-
ne comunitaria restano di competenza esclusiva dei singoli Stati membri.
È solo il perseguimento dell’obiettivo di rendere compatibili la creazio-
ne di un mercato comune aperto alla concorrenza con il mantenimento della
riserva protezionistica di alcuni settori che conduce la normativa secondaria
e la giurisprudenza comunitaria a costruire progressivamente un quadro di
riferimento su cui, a partire dagli anni Novanta, si sviluppano nuovi orien-
tamenti in derivazione della maggiore sensibilità verso temi sociali che
l’Unione manifesta a partire dal Trattato di Maastricht, riconoscendo, peral-
tro, il ruolo assunto da alcuni servizi nello sviluppo economico2.
La disciplina del TPL, pertanto, può essere definita in una prima fase,
coincidente all’incirca con il primo trentennio di vita della Comunità, nella
prospettiva della regolamentazione delle eccezioni al mercato concorrenzia-
le per i settori protetti e riservati alle discipline nazionali, e in una seconda
fase in cui l’apertura del mercato del TPL a nuove forme di concorrenza
viene visto come lo strumento principale per assicurare, da un lato, servizi
di qualità e a prezzi contenuti ai cittadini, dall’altro, per rafforzare e poten-
ziare le leve per lo sviluppo e la crescita economica dell’Unione.
Uno schema generale e sintetico della legislazione comunitaria può es- se-
re tracciato a partire dal Trattato di Roma così come modificato dal Trattato
di Amsterdam (alla cui numerazione degli articoli si farà di seguito riferimen-
to); in tal senso è possibile distinguere alcuni macro-argomenti fra cui:
• nel titolo VI
− la tutela della concorrenza per quanto attiene le regole applicabili
alle imprese, con la previsione:
− nell’art. 81 del regime di divieto degli accordi tesi a una sua limi-
tazione3 e la previsione di un regime derogatorio collegato al mi-
glioramento della produzione e della distribuzione a al rafforza-
mento del progresso tecnico e sociale;

2
Cfr. Libro bianco di Delors; “Crescita, competitività e occupazione. Le sfide e le vie da
percorrere per entrare nel XXI secolo”, Bollettino CEE, supplemento 6/93, Lussemburgo,
1993.
3
Il divieto di accordi è esplicitato prevedendo una articolata casistica che comprende la
fissazione dei prezzi e delle condizioni di transazione, i condizionamenti della produzione,
la ripartizione dei mercati, la determinazione delle condizioni diverse per prestazioni equiva-
lenti, l’imposizione di condizioni e prestazioni supplementari non collegate con l’oggetto
delle prestazioni.

19
− nell’art. 82 del regime di divieto delle posizioni di mercato domi-
nanti nel caso in cui queste possano interferire nello svolgimento
delle attività commerciali4;
− la tutela della concorrenza estesa alle imprese pubbliche con la
previsione nell’art. 86 del divieto delle misure contrarie alle di-
sposizioni del Trattato e la consueta previsione di eccezioni atti-
vabili solo nel caso in cui gli obiettivi a esse affidati si rendano
non perseguibili;
− la tutela della concorrenza per quanto riguarda il regime degli aiu-
ti di Stato con il regime di divieto disciplinato nell’art. 87, il col-
legato regime derogatorio disciplinato nel successivo art. 885 in-
sieme alle procedure da attivarsi per l’eliminazione degli aiuti ri-
tenuti incompatibili e, infine, la possibilità prevista nell’art. 89
dell’emanazione di appositi Regolamenti;
• nel titolo V
− la definizione della politica comunitaria in materia di trasporti
nell’art. 70 con la perimetrazione comprendente i soli trasporti
terrestri così come disposto nell’art. 80, che tuttavia prevede la
delega al Consiglio in merito alla eventuale disciplina dei traspor-
ti marittimi e aerei; tale politica è disciplinata in riferimento a:
il divieto di qualsiasi norma discriminatoria per i vettori non re-
sidenti, come disposto nell’art. 72;
la ammissibilità di aiuti se finalizzati al coordinamento dei tra-
sporti o collegati a obblighi di servizio pubblico, come disposto
nell’art. 73;
la fissazione di prezzi e condizioni collegata alla preventiva
considerazione della condizione economica dei vettori, cosi co-
me disposto nell’art. 74;

4
La definizione delle posizioni di mercato dominanti è svolta facendo riferimento ad al-
cuni comportamenti fra cui l’imposizione di prezzi non equi, l’imposizione di limitazioni nei
processi di produzione e, come nella disciplina dell’art. 81, la determinazione delle condi-
zioni diverse per prestazioni equivalenti, l’imposizione di condizioni e prestazioni supple-
mentari non collegate con l’oggetto delle prestazioni.
5
Il regime di deroghe previsto per gli aiuti di Stato si articola in una casistica che ne ri-
conduce l’ammissibilità al carattere sociale nel caso di aiuti concessi ai singoli consumatori,
al fronteggiamento di eventi eccezionali (calamità naturali), al superamento delle criticità
nelle Regioni tedesche derivanti dalla divisione della Germania e, infine, alla promozione
delle sviluppo economico, sociale e culturale alternativamente nelle Regioni meno sviluppa-
te, in specifici settori, riferiti a specifici progetti di interesse comunitario, finalizzati alla
conservazione del patrimonio artistico.

20
l’eliminazione di ogni forma di discriminazione riferita alla fis-
sazione di prezzi e condizioni di trasporto in relazione al Paese
di origine o di destinazione, così come disposto nell’art. 75;
il divieto di imposizione di prezzi e condizioni di favore per
singole imprese, così come disposto nell’art. 76;
la determinazione dei criteri per la determinazione delle tasse e
dei canoni di passaggio frontaliero, così come disposto
nell’art. 77.
Le disposizioni previste nel Trattato hanno condotto alla emanazione di
numerosi Regolamenti che ne hanno consentito l’attuazione sia in più diret-
to riferimento alla disciplina della concorrenza, sia in relazione alla politica
comunitaria dei trasporti terrestri, marittimi e aerei, alla definizione di ser-
vizio pubblico e del collegato contratto di servizio, alle altre disposizioni
specifiche relative alle reti ferroviarie, al cabotaggio, alle procedure con-
corsuali e agli appalti dei servizi.
L’emanazione dei Regolamenti sulla tutela della concorrenza è stata
prodotta in breve tempo sia per quanto riguarda l’eliminazione di ogni for-
ma di discriminazione riferita alla fissazione di prezzi e condizioni di tra-
sporto in relazione al Paese di origine o di destinazione (art. 75) con il Re-
golamento 60/11/CEE, sia in relazione al divieto degli accordi (art. 81) e
alla disciplina delle posizioni di mercato dominanti (art. 82) con il Regola-
mento 62/17/CEE; inoltre, le peculiarità del settore nel processo di tutela
della concorrenza sono state disciplinate con il Regolamento 62/141/CEE6
e successivamente confermate con il Regolamento 65/165/CEE e il Rego-
lamento 67/1002/CEE.
Di contro, il primo intervento di disciplina specifica dei trasporti terre-
stri si realizza solo con il Regolamento 68/1017/CEE, che prevede le moda-
lità di applicazione al settore dei trasporti delle disposizioni in tema di di-
vieto di accordi (art. 81), di divieto di posizioni di mercato dominanti (art.
82) e di estensione di tale regime alle imprese pubbliche (art. 86) attraverso
disposizioni analitiche per i sistemi derogatori previsti in relazione ai ricor-
dati divieti; in quest’ultimo ambito, vengono considerate alcune peculiarità
del settore trasporti di natura tecnologica e organizzativa, nonché alcune
esigenze di razionalizzazione del sistema trasporti stico, nonché ulteriori
criteri di esenzione.

6
Con il quale è stato previsto un regime di esonero dalle disposizioni del Regolamento
62/17/CEE per i trasporti terrestri.

21
Un secondo intervento si realizza con l’emanazione del Regolamento
70/1107/CEE7 che disciplina il regime di aiuti alle imprese ad esclusione
delle ipotesi previste nel già emanato Regolamento 1191/69 che dispone in
merito agli obblighi di servizio pubblico, come meglio si vedrà in seguito.
Tralasciando l’esame dei Regolamenti riferiti al settore dei trasporti marit-
timi e aerei8, alla separazione tra rete e servizio ferroviario9, al cabotaggio
stradale, marittimo e aereo10, l’esame organico della normativa dell’Unione in
tema di servizio pubblico e di procedure di affidamento dei servizi richiede
propedeuticamente, per quanto di interesse in questo lavoro, l’inquadramento
dei concetti di impresa pubblica, di servizio pubblico e di contratto di servizio.
Ad iniziare dalla definizione del concetto di impresa pubblica, l’ordi-
namento comunitario si basa anzitutto sull’inquadramento del concetto di
impresa, quale entità che svolge una attività economica e, per questo, è og-
getto delle disposizioni in materia di tutela della concorrenza; nessun rilievo
assume a tal fine il regime giuridico che disciplina la proprietà dell’impresa,
essendo unico il regime previsto sia per le imprese a proprietà pubblica sia
per le imprese a proprietà privata. Affinché si possa pervenire all’inqua-
dramento dell’impresa pubblica la Direttiva 80/723/CEE ne ravvede la fatti-
specie in «ogni impresa nei confronti della quale i poteri pubblici possono
esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante per ragioni
di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa che li discipli-
na»11.
Ne consegue la centralità che viene ad assumere la natura dell’attività
svolta e, soprattutto, le particolari caratteristiche che ne rappresentano le
specificità su cui è costruito il sistema derogatorio alle disposizioni di tutela
della concorrenza e che vengono a collegarsi alla configurazione di servizio
pubblico12.

7
Quest’ultimo integrato e modificato dal Regolamento 82/1658/CEE, dal Regolamento
96/2255/CEE e dal Regolamento 97/543/CEE.
8
Per questi si rinvia al Regolamento 86/4056/CEE, al Regolamento 86/4057/CEE, al
Regolamento 87/3975/CEE, al Regolamento 87/3976/CEE e al Regolamento 92/2411/CEE.
9
In proposito si rinvia al Regolamento 69/1192/CEE, alla Direttiva 91/440/CEE e alla
Direttiva 95/19/CEE.
10
In proposito si rinvia al Regolamento 90/2343/CEE, al Regolamento 92/2408/CEE, al
Regolamento 92/3577/CEE, al Regolamento 93/3118/CEE, al Regolamento 98/12/CEE e al
Regolamento 98/2121/CEE.
11
Sul punto si rinvia a M. CAFAGNO, 2007; V. CERULLI IRELLI, 2006; F. MUNARI, 2006.
12
Afferma Ingratoci: «Il tale quadro l’“impresa pubblica” si caratterizza anzitutto non in
quanto di proprietà pubblica, ma nella misura in cui i pubblici poteri possono esercitare, di-
rettamente o indirettamente, un’influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipa-
zione finanziaria o in conseguenza della normativa che disciplina l’attività d’impresa. Essa è

22
Tali considerazioni vanno riferite anche alle altre fattispecie di imprese,
pubbliche o private, cui gli Stati riconoscono diritti speciali o esclusivi,
laddove nel primo caso si configura, nella normativa nazionale, il concetto
di impresa concessionaria di pubblico servizio.
Conseguentemente, diviene centrale la definizione di servizio pubblico
che, come noto, non è contemplato nell’ordinamento comunitario, in cui
assume rilievo il concetto di servizio di interesse economico generale, ossia
di un servizio che assolve a missioni di interesse generale e, secondo la giu-
risprudenza comunitaria, si caratterizza per i requisiti di universalità e di
soddisfacimento di esigenze di interesse pubblico13..
Pertanto, distinguendo i servizi di interesse generale dai servizi di inte-
resse economico generale14 sulla base del carattere economico assente nei
primi e caratterizzante i secondi, acclarata la definizione di servizi di inte-
resse economico generale in base allo scopo o missione di interesse genera-
le perseguita, sulla fornitura del servizio a fronte di retribuzione e sulla
conseguente assoggettabilità a obblighi di servizio pubblico, il modello
comunitario riferibile anche al settore del trasporto pubblico locale viene a
definirsi attraverso la progressiva definizione del regime previsto per i ser-
vizi universali.
Tale ultima categoria si caratterizza per la dimensione comunitaria di ta-
luni servizi che, per questo, includono necessariamente i servizi di interesse
economico generale, ma escludono quei servizi che, in una visione evoluti-
va, i singoli Stati membri ritengono finalizzati al perseguimento di una mis-
sione di interesse generale non condivisa a livello comunitario.
Così, mentre la definizione di servizi universali rinvia all’«insieme di
esigenze di interesse generale cui dovrebbero essere assoggettate, nell’inte-
ra comunità, attività come ad esempio le telecomunicazioni e le poste»15, la
definizione di servizi di interesse economico generale ben comprende il set-
tore dei trasporti e, per quanto di interesse in questo lavoro, il settore del

impresa al pari di quella di proprietà privata, solo che svolga attività economica di carattere
industriale e commerciale. […] La normativa di carattere eccezionale in materia di servizio
pubblico non deriva allora dalla natura giuridica del soggetto erogatore del servizio, o dai
connotati eziologici dell’attività, bensì dalle “caratteristiche” dell’attività stessa o meglio da
un “limite economico” che le è proprio», C. INGRATOCI, 2001, p. 124.
13
Cfr. Corte di Giustizia CE, 18 giugno 1998, causa C – 266/96, Corsica Ferries France
c. Gruppo Antichi Ormeggiatori porto di Genova.
14
Cfr. I servizi di interesse generale in Europa – Definizioni, All. II, Bruxelles 20 set-
tembre 2000, in GUCE 19 gennaio 2001, n. C 7.
15
Cfr. I servizi di interesse generale in Europa – Definizioni, All. II, Bruxelles 20 set-
tembre 2000, in GUCE 19 gennaio 2001, n. C 7.

23
trasporto pubblico locale di cui appare innegabile sia la missione di interes-
se generale perseguita, sia la prestazione del servizio dietro corrispettivo,
sia, da ultimo, l’imposizione di obblighi di servizio pubblico.
Pertanto, riprendendo dalla disciplina dei servizi universali – e segnata-
mente dalla disciplina comunitaria sulle telecomunicazioni e sul servizio
postale – la distinzione tra servizio di base, quale servizio da rendere acces-
sibile a tutti i cittadini a prezzi fissati in coerenza con l’assicurazione di tale
accessibilità, e servizi a valore aggiunto da lasciare alla concorrenza nel
mercato, si appalesa la necessità di demandare a una autorità indipendente
la fissazione dei prezzi del servizio di base e si completa l’intera architettu-
ra comunitaria tesa a disciplinare e ridurre progressivamente la sfera di de-
roghe al funzionamento del libero mercato.
Il processo di liberalizzazione e di regolamentazione che ne deriva viene
a caratterizzarsi conseguentemente per la netta distinzione tra:
• l’autorità pubblica che dispone gli obblighi del pubblico servizio fi-
nalizzati a riequilibrare distorsioni del mercato e, per rendere questi
obblighi compatibili con un equilibrio economico dell’impresa gesto-
re, eroga aiuti secondo il criterio della proporzionalità se tale equili-
brio non risulta conseguibile sul mercato;
• l’impresa gestore che, destinataria di un obbligo di servizio pubblico
finalizzato al perseguimento di obiettivi non economici, riceve sov-
venzioni da parte della pubblica autorità;
• l’ente indipendente di controllo che assicura, attraverso la fissazione
dei prezzi e il controllo della qualità dei servizi di base, la trasparen-
za e la proporzionalità dell’intervento in deroga alle norme di tutela
della concorrenza.
In tale contesto si colloca la Comunicazione della Commissione del lu-
glio 199816 che, nell’istituire un servizio europeo di informazioni sul tra-
sporto pubblico locale e al fine di evitare che le azioni dei singoli Stati
membri ostacolino la politica comunitaria di liberalizzazione, ribadisce che
la Commissione agirà «su tre fronti: la massima valorizzazione dell’aper-
tura dei mercati; il rafforzamento del coordinamento e della solidarietà in
Europa; l’elaborazione di altri contributi comunitari a sostegno dei servizi
di interesse generale».

16
Cfr. Sviluppare la rete dei cittadini. L’importanza di buoni trasporti passeggeri locali e
regionali ed il ruolo della Commissione nella loro attuazione, Bruxelles, 10 luglio 1998,
COM (1998) 431, Bollettino UE, 7/8, 1998.

24
La costruzione progressiva dell’ordinamento comunitario appare ben
evidente nel passaggio dalla disciplina prevista nel Regolamento
69/1191/CEE a quella contenuta nel Regolamento 91/1893/CEE e, quindi,
alle disposizioni introdotte con il Regolamento 07/1370/CEE17.
In particolare, assume grande rilievo il passaggio dalle disposizioni in
materia di obbligo di servizio pubblico, su cui è focalizzato il Regolamento
del 1969, alla disciplina del contratto di servizio pubblico, introdotto con il
Regolamento del 1991.
Procedendo ad un primo esame del Regolamento 69/1191/CEE, è possi-
bile affermare che con esso si avvia la realizzazione del disegno tracciato
nell’art. 73 del Trattato attraverso la previsione in linea generale della sop-
pressione di qualsiasi obbligo di servizio pubblico e disciplinando tutti quei
casi in cui ne è consentito il mantenimento.
Infatti, al fine di rimuovere gli interventi dei singoli Stati causa di di-
storsione della concorrenza mediante l’imposizione di particolari obblighi
alle imprese di trasporto, il regime ordinario di regolamentazione prevede
la soppressione degli obblighi di servizio pubblico imposti agli operatori
nel settore del trasporto ferroviario, su strada e per vie navigabili, laddove
per obblighi di servizio pubblico vengono intesi tutti quegli «obblighi che
l’impresa di trasporto, ove considerasse il proprio interesse commerciale,
non assumerebbe o non assumerebbe nella stessa misura né alle stesse con-
dizioni»18, distinguendo tali obblighi in:
• obblighi di servizio, ossia tesi ad assicurare che il servizio venga
erogato con continuità, regolarità e capacità, nonché finalizzati al
mantenimento in efficienza delle reti;
• obblighi di trasporto, ossia atti a garantire l’universalità del servizio e
la sua erogazione a prezzi determinati;
• obblighi tariffari, ossia validi ad assicurare l’erogazione del servizio
a «prezzi stabiliti od omologati dalla pubbliche autorità, in contrasto
con l’interesse commerciale dell’impresa»19.
L’eliminazione degli obblighi richiede in via ordinaria che siano le sin-
gole imprese ad attivare la procedura, pur non essendo escluso che
l’autorità competente possa provvedere direttamente.

17
Sul Regolamento 69/1191/CEE, sulle successive integrazioni e modifiche introdotte
con il Regolamento 91/1893/CEE e sulle conseguenze da essi prodotte negli ordinamenti
nazionali si rinvia, fra gli altri, a: GIAVAZZI, 1991; PICOZZA, 1996; TALICE, 1995.
18
Art. 2, comma 1, Regolamento 69/1191/CEE.
19
Le disposizioni sono contenute nell’art. 2 ai commi 2, 3, 4 e 5.

25
Definito in tal modo il sistema generale, è previsto un regime derogato-
rio nei casi in cui gli obblighi di servizio pubblico siano necessari per assi-
curare la fornitura di servizi sufficienti, derivandone la previsione di una
compensazione dei relativi oneri.
Il campo di applicazione del Regolamento include le imprese ferroviarie
nazionali degli Stati membri e tute le imprese di trasporto con l’esclusione di
quelle che svolgono in via principale trasporti a carattere regionale o locale.
Come appare evidente, con il Regolamento 69/1191/CEE è confermato il
tradizionale schema in cui l’autorità competente con propria decisione unila-
terale dispone il mantenimento di obbligo discorsivo della concorrenza poi-
ché da tale obbligo deriva una alterazione dell’equilibrio economico dell’im-
presa e, al fine di rimediare a questa distorsione, provvede a farsi carico degli
oneri economici relativi. Tali oneri, infine, devono essere determinati secon-
do il principio del minimo costo, ossia scegliendo la soluzione che a parità di
servizio minimizza gli oneri posti a carico della collettività.
La vera innovazione introdotta con il Regolamento 69/1191/CEE è in-
vece relativa alla affermazione del principio generale di divieto degli obbli-
ghi di servizio pubblico, derivandone la richiamata disciplina delle ecce-
zioni secondo i criteri della necessarietà (erogazione di servizi sufficienti) e
della proporzionalità (erogazione del servizio al minimo costo).
Avviata una prima liberalizzazione del settore con il Regolamento del
196920, il Regolamento 91/1893/CEE introduce rilevanti novità e crea le
premesse per la creazione di un mercato compiutamente concorrenziale nel
settore dei trasporti.
Elemento centrale nella riforma del 1991 è senza dubbio il superamento
del concetto di obbligo si servizio pubblico con l’introduzione dello stru-
mento del contratto di servizio pubblico: l’autorità competente non impone
più unilateralmente degli obblighi di esercizio, di trasporto e tariffari, ma al
fine di garantire servizi sufficienti, può raggiungere un accordo con
l’impresa di trasporto mediante la stipula di un contratto, il cui contenuto
minimale è disciplinato nel Regolamento, prevedendo non più una contri-
buzione finanziaria a risarcimento di oneri maturati in capo all’impresa a
seguito della imposizione di obblighi di servizio, bensì un corrispettivo a
fronte dell’erogazione di servizi sufficienti.

20
Il Regolamento 69/1191/CEE prevede anche cause di esclusione dal divieto di impo-
sizione di obblighi di servizio pubblico sia in riferimento a «una o più categorie sociali par-
ticolari» (art. 1, paragrafo 3), sia in relazione a «obblighi derivanti da misure generali di po-
litica dei prezzi» (art. 2, paragrafo 5, comma 2).

26
Il passaggio da un sistema impositivo, tipicamente riconducibile nella sfe-
ra amministrativa e nella potestà dell’autorità competente21, a un sistema ne-
goziato, tipicamente riconducibile nella sfera del diritto comune, rappresenta
un risultato di rilievo nel processo di liberalizzazione del settore, laddove
elimina gli stessi presupposti dei fenomeni distorsivi della concorrenza e ri-
pristina le condizioni di mercato potenzialmente offerte a tutte le imprese22.
Il contratto di servizio pubblico23, che viene a caratterizzarsi come lo
strumento principale per assicurare i servizi sufficienti, assume un contenu-
to minimale disciplinato dallo stesso Regolamento nelle sue parti fonda-
mentali, ossia nella definizione:
• dei contraenti, laddove a fronte dell’autorità competente, che perse-
gue l’obiettivo di assicurare un determinato livello di servizi, si pone
l’impresa di trasporto, sia a proprietà pubblica, sia a proprietà priva-
ta, che persegue obiettivi reddituali;
• dell’oggetto del contratto che, riferito all’erogazione di servizi suffi-
cienti, può essere declinato sia in termini di trasporti caratterizzati da
continuità, regolarità, capacità e qualità, sia quali servizi di trasporto
complementari, sia quali servizi di trasporto a determinate tariffe e
condizioni, in particolare per talune categorie di passeggeri o per ta-
luni percorsi, sia quali adeguamenti dei servizi alle reali esigenze24;
• del contenuto minimale del contratto che deve prevedere la regola-
mentazione delle caratteristiche dei servizi offerti, segnatamente le
norme di continuità, regolarità, capacità e qualità, il prezzo delle pre-
stazioni, le norme relative alla clausole addizionali e alle modifiche,
il periodo di validità25.
Nell’ambito del contenuto minimale del contratto, assume un particolare
rilievo la fissazione dei prezzi con la previsione di due sistemi alternativi di
calcolo: a costo netto (net cost contract), nel caso in cui il corrispettivo pat-
tuito è aggiuntivo e integrativo dei ricavi tariffari, a costo lordo (gross cost
contract), nel caso in cui i ricavi tariffari vengono conseguiti dall’autorità
competente e il corrispettivo erogato all’impresa rappresenta per quest’ul-

21
È da rilevare che anche il Regolamento 91/1893/CEE prevede la possibilità di ricorre-
re all’obbligo di servizio pubblico ma solo nel caso di fornitura di particolari servizi ovvero
nel caso di erogazione dei servizi a vantaggio di alcune categorie di utenti.
22
Sul punto si rinvia a S. CASSESE, 2007.
23
Cfr. M. CELLA, V. TERMINI, 2004; E. MARCUCCI, 2002.
24
Cfr. art. 14.1, comma 2, Regolamento 69/1191/CEE così come modificato dal Rego-
lamento 91/1893/CEE.
25
Cfr. art. 14.2, Regolamento 69/1191/CEE così come modificato dal Regolamento
91/1893/CEE.

27
tima l’unica forma di ricavo. Come meglio si vedrà in seguito, l’at-
tribuzione del rischio commerciale all’impresa (net cost contract), ovvero il
suo mantenimento in capo all’autorità competente (gross cost contract),
può stimolare in modo diverso comportamenti virtuosi tesi al potenziamen-
to dell’efficienza e al conseguimento di un adeguato livello di efficacia.
L’architettura prevista per la disciplina del settore trasporti basata sul
contratto di servizio pubblico viene confermata nella riforma realizzata con
il Regolamento 07/1370/CEE, le cui principali innovazioni riguardano
l’ampliamento della categoria dei soggetti contraenti con l’autorità compe-
tente, la disciplina del regime degli affidamenti, la previsione di una durata
massima del contratto, la previsione di un periodo transitorio.
Brevemente, in riferimento al primo punto, viene introdotto il concetto
di operatore in luogo di quello di impresa, laddove quest’ultimo è compreso
nel primo che, tuttavia, presenta confini più ampi, accogliendo anche tutti
quegli enti pubblici che gestiscono direttamente attività di trasporto.
In merito alla disciplina riguardante la scelta dell’operatore, il Regola-
mento prevede il ricorso a procedure di gara, l’aggiudicazione diretta per i
servizi ferroviari ovvero per i servizi c.d. sotto soglia, ossia il cui valore
annuo medio stimato è inferiore a 1 milione di euro o a 300.000 chilometri
annui, oppure la gestione diretta o a mezzo di propri operatori su cui viene
esercitato il c.d. controllo analogo. È lasciata ai singoli Stati membri la pos-
sibilità di derogare a tali modalità non prevedendo forme di aggiudicazione
diretta o di gestione diretta, ma non è possibile in nessun caso eliminare il
ricorso alle procedure di gara.
Infine la durata dei contratti di servizio è prevista in via ordinaria in 10
anni per i trasporti su gomma e in 15 anni per i trasporti su ferrovia o pre-
valentemente su rotaia; è previsto un regime derogatorio con la proroga del
50% della durata sia nel caso in cui l’operatore effettua investimenti di enti-
tà significativa rispetto al totale dei beni impiegati nel servizio, sia nel caso
di condizioni geografiche ultraperiferiche, sia nel caso in cui l’affidamento
è avvenuto attraverso una gara equa; di contro, per i trasporti su ferrovia
aggiudicati direttamente la durata è ridotta a 10 anni.
Infine, il Regolamento prevede un periodo transitorio di 10 anni.

1.3. La normativa nazionale prima del decreto Burlando

La normativa nazionale in materia di trasporti trae origine dai primi


provvedimenti di inizio Novecento relativi alla nazionalizzazione delle fer-
rovie (Legge 22 aprile 1905, n. 137), viene influenzata dalla normativa sul-

28
le municipalizzazioni (TU 15 ottobre 1925, n. 2578), si sviluppa con la re-
golamentazione delle tramvie (TU 9 maggio 1912, n. 1447), successiva-
mente delle filovie (RDL 14 luglio 1937, n. 1728) e perviene alla disciplina
delle autolinee (Legge 28 settembre 1939, n. 1822). Tutti i provvedimenti
ricordati hanno una comune caratterizzazione nella riserva alla mano pub-
blica del servizio con l’esercizio diretto delle attività, o a mezzo di ente
strumentale, e il ricorso all’istituto della concessione nel caso di gestione
affidata alle imprese26.
Una prima innovazione di rilievo è introdotta con l’istituzione delle Re-
gioni a statuto ordinario e il conseguente trasferimento di competenze, fra
cui quelle relative al settore trasporti.
Con due provvedimenti legislativi, il DPR 14 gennaio 1972, n. 5 e il
DPR 24 luglio 1977, n. 616 (di attuazione della delega contenuta nella
Legge 22 luglio 1975, n. 382), sono mossi i primi passi per la riforma del
settore che, con la Legge 10 aprile 1981, n. 151, viene organicamente com-
piuta sia attraverso una disciplina innovativa in tema di competenze pro-
grammatorie affidate alle Regioni di concerto con gli altri Enti locali, sia
per il sostegno finanziario fornito al settore con l’istituzione di due Fondi
nazionali, di cui il primo per il ripianamento delle perdite di esercizio delle
imprese di trasporto, il secondo per il finanziamento degli investimenti27.
L’aspetto più rilevante della riforma operata nel 1981 è relativo alla co-
struzione di un articolato sistema di attribuzioni in cui:
• allo Stato competono competenze residuali per la predisposizione del
Piano Generale dei Trasporti, da predisporsi con il contributo delle
Regioni;
• alle Regioni compete la programmazione dei trasporti da realizzarsi
mediante:
• la redazione dei Piani Regionali di Trasporto e dei Programmi Po-
liennali di Intervento, in armonia con il Piano Generale dei Trasporti;
• la definizione, in collaborazione degli Enti locali, dei Bacini di Traf-
fico;

26
Significativa appare la disciplina dettata dalla Legge 1822/39 in merito ai servizi di
trasporto non locale su gomma che vengono affidati in concessione con il riconoscimento di
una priorità dell’affidamento a favore di altri concessionari di servizi pubblici di trasporto su
ferro o a guida vincolata se suscettibili di integrazione, ovvero di altri concessionari finitimi,
ovvero ancora dei precedenti concessionari nel caso di trasformazione della concessione
provvisoria in definitiva.
27
Sulla riforma introdotta con la Legge 151/81 si rinvia a: A. ALIBRANDI, 1997; F.
MERLONI, P. URBANI, 1981; G. SIRIANI, 1993.

29
• agli Enti locali l’individuazione dei Bacini di Traffico, in raccordo
con le Regioni, quali unità di riferimento per l’approntamento dei
servizi di trasporto pubblico locale.
In coerenza con la lunga tradizione precedente, alle Regioni e agli Enti lo-
cali era riservata di fatto la gestione delle attività con la possibile scelta tra tre
diverse alternative: la gestione in economia, la gestione mediante aziende
speciali, la gestione in concessione ad aziende pubbliche o private28.
Infine, l’atra innovazione di rilievo introdotta con la Legge 151/81 è re-
lativa alla erogazione dei contributi sia in conto esercizio, sia in conto capi-
tale per il finanziamento degli investimenti; tale compito viene attribuito
alle Regioni con la specifica delle modalità di calcolo da seguire per la de-
terminazione dei contributi in conto esercizio, che deve essere calcolato
quale differenza tra i ricavi da traffico presunti secondo la politica tariffaria
decisa dalla Regione e il costo standardizzato del servizio, determinato
quest’ultimo secondo criteri tesi al miglioramento dell’efficienza.
Applicata la riforma del 1981 con i provvedimenti regionali di recepi-
mento e attuazione, una successiva innovazione è introdotta indirettamente
nel settore con la riforma delle autonomie locali di cui alla Legge 8 giugno
1990, n. 142; con tale provvedimento si disciplina in modo organico l’in-
sieme delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali. Sono previste le
seguenti possibilità:
«a) gestione in economia, quando per le modeste dimensioni o per le ca-
ratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o
un’azienda;
b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economi-
che e di opportunità sociale;
c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di ri-
levanza economica ed imprenditoriale;
d) a mezzo di istituzione, per l’esercizio di servizi sociali senza rilevan-
za imprenditoriale;
e) a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente
capitale pubblico locale costituite o partecipate dall’ente titolare del pubbli-
co servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all’ambito terri-
toriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici i privati»29.

28
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ad P. ALBERTI, 1989.
29
Così il testo dell’art. 22. Servizi pubblici locali, mentre nel successivo art. 23 Aziende
speciali ed istituzioni, dopo averne specificato la natura di ente strumentale e, per l’azienda
speciale, i requisiti di autonomia imprenditoriale e la personalità giuridica, per l’istituzione,
l’autonomia gestionale, viene enunciato l’obbligo di pareggio di bilancio e i criteri cui ordi-

30
L’innovazione principale introdotta con la Legge 142/90 è certamente
rappresentata dalla possibilità di costituire società di capitali30 a totale par-
tecipazione pubblica, ovvero a partecipazione maggioritaria o minoritaria
con la scelta del socio privato attraverso procedure di gara, procedure che
consentono di ricondurre l’attribuzione dei servizi nella tipologia dell’affi-
damento diretto e non nell’istituto della concessione.
Da ultimo, è previsto che nei casi in cui l’ente locale abbia utilizzato la
formula dell’azienda speciale, i rapporti con quest’ultima e la sua attività di
gestione devono conformarsi a quanto stabilito in un «piano-programma,
comprendente un contratto di servizio»31; il piano e il contratto vengono re-
datti dall’azienda speciale e approvati dall’ente locale e, proprio per questo
motivo, permanendo esclusivamente nella sfera decisionale dell’ente locale,
non è possibile in nessun modo assimilare tale figura di contratto di servi-
zio con quella del contratto di servizio pubblico precedentemente esaminata
e presente nella normativa comunitaria.

1.4. La riforma del settore: dal decreto Burlando al decreto Ber-


sani bis

La risistemazione generale del settore dei trasporti è realizzata nel più


ampio ambito della riforma radicale della Amministrazione pubblica avvia-
ta con le c.d. Leggi Bassanini32 grazie alle quali si è realizzato il decentra-
mento sostanziale della funzione pubblica agli Enti locali che, per quanto
attiene al settore dei trasporti ha comportato, in attuazione delle delega,

narne la gestione («l’azienda e l’istituzione informano la loro attività a criteri di efficacia,


efficienza ed economicità»), nonché le funzioni di indirizzo e di vigilanza proprie dell’ente
locale («l’ente locale conferisce il capitale di dotazione; determina le finalità e gli indirizzi;
approva gli atti fondamentali; esercita la vigilanza; verifica i risultati della gestione; provve-
de alla copertura degli eventuali costi sociali»).
30
L’introduzione dell’istituzione, altra novità di rilievo introdotta con la Legge 142/90
non interessa ai fini della gestione dei servizi di trasporto pubblico locale, essendo tale mo-
dalità riservata per attività prive di rilevanza imprenditoriale.
31
Cfr. DL 31 gennaio 1995, n. 26, art. 4, comma 5.
32
Ci si riferisce anzitutto alla Legge 15 marzo 1997, n. 59, conosciuta come Legge Bas-
sanini, e alle successive modificazioni introdotte con la Legge 15 maggio 1997, n. 127, co-
nosciuta come Legge Bassanini-bis, e con la Legge 16 giugno 1998, n. 191, conosciuta co-
me Legge Bassanini-ter.

31
l’emanazione del D.Lgs. 15 novembre 1997, n. 422, meglio conosciuto
come Decreto Burlando33.
Procedendo all’analisi della Legge 59/97 di delega al Governo per il
conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali, l’impianto
generale è dettato nell’art. 4 che stabilisce:
• i principi fondamentali per il conferimento delle funzioni34;
• la delega alle Regioni dei compiti di programmazione e ammi-
nistrazione in materia di servizi pubblici di trasporto di interesse re-
gionale e locale;
• l’attribuzione alle Regioni del compito di definire il livello dei servi-
zi minimi, d’intesa con gli enti locali;
• la previsione di Accordi di programma da stipularsi tra il Ministero
dei Trasporti e le Regioni entro il 30 giugno 1999 per disciplinare
l’attribuzione delle risorse;
• la previsione del contratto di servizio pubblico quale strumento per
regolare l’esercizio del servizio, operando un raccordo tra la norma-
33
Sulla riforma del TPL avviata con il Decreto Burlando è stata prodotta una ampia let-
teratura; osservando il tema da diverse prospettive, si rinvia, tra le tante opere, a: BOITANI,
CAMBINI, 2002; PETRETTO, 2004; PIGNATARO, 2004; PONTI, MALGIERI, 2000.
34
L’art. 4 dispone che: «I conferimenti di funzioni di cui ai commi 1 e 2 avvengono
nell’osservanza dei seguenti principi fondamentali: a) Il principio di sussidiarietà, con
l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle
province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e
organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesi-
me, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l’assolvimento di fun-
zioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla
autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati; b)il principio di
completezza, con la attribuzione alla regione dei compiti e delle funzioni amministrative non
assegnati ai sensi della lettera a), e delle funzioni di programmazione; c) il principio di effi-
cienza e di economicità, anche con la soppressione delle funzioni e dei compiti divenuti su-
perflui; d) il principio di cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali anche al fine di garan-
tire un’adeguata partecipazione alle iniziative adottate nell’ambito dell’Unione europea; e) i
principi di responsabilità ed unicità dell’amministrazione, con la conseguente attribuzione
ad un unico soggetto delle funzioni e dei compiti connessi, strumentali e complementari, e
quello di identificabilità in capo ad un unico soggetto anche associativo delle responsabilità
di ciascun servizio o attività amministrativa; f) il principio di omogeneità, tenendo conto in
particolare delle funzioni già esercitate con l’attribuzione di funzioni e compiti omogenei
allo stesso livello di governo; g) il principio di adeguatezza, in relazione all’idoneità orga-
nizzativa dell’amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti,
l’esercizio delle funzioni; h) il principio di differenziazione nell’allocazione delle funzioni
in considerazione delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e
strutturali degli enti riceventi; i) il principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei
costi per l’esercizio delle funzioni amministrative conferite; l) il principio di autonomia or-
ganizzativa e regolamentare e di responsabilità degli enti locali nell’esercizio delle funzioni
e dei compiti amministrativi ad essi conferiti».

32
tiva nazionale, con il richiamo ai modelli di gestione di cui alla Leg-
ge 142/90, e la normativa comunitaria, con il riferimento alle forme
di affidamento previste nel Regolamento 69/1191/CEE e nel Rego-
lamento 91/1893/CEE;
• il miglioramento delle condizioni economiche di erogazione del ser-
vizio con la previsione di un rapporto tra i ricavi da traffico e i costi
operativi pari almeno allo 0,35 al netto dei costi di infrastruttura per i
servizi ferroviari di interesse regionale e locale, rapporto da conse-
guirsi entro il 1° gennaio 200035;
• la necessità di superare gli assetti monopolistici nella gestione dei
servizi di trasporto urbano ed extraurbano;
• la necessità di introdurre regole di concorrenzialità nel periodico af-
fidamento dei servizi;
• la definizione delle modalità di subentro delle Regioni entro il 1°
gennaio 2000 con propri autonomi contratti di servizio regionale al
contratto di servizio pubblico tra Stato e Ferrovie dello Stato Spa per
servizi di interesse locale e regionale.

La delega al Governo ha condotto all’emanazione del ricordato D.Lgs.


15 novembre 1997, n. 422, successivamente modificato con il D.Lgs. 22
settembre 1998, n. 345 e integrato con il D.Lgs. 20 settembre 1999, n. 400.
Il Decreto Burlando, in aderenza a quanto previsto nella Legge 59/97,
dispone un riassetto organico dell’intero settore organizzandone la discipli-
na attraverso:
• l’attribuzione dei compiti e delle funzioni alle Regioni e agli enti lo-
cali mediante una chiara definizione dei Trasporti pubblici di interes-
se nazionale e, per esclusione, dei servizi pubblici di trasporto regio-
nale e locale;
• la ridefinizione della delega alle Regioni attraverso una analitica pre-
visione dei compiti di programmazione e di regolamentazione;
• la definizione dei servizi minimi e i criteri da adottare per la determi-
nazione del loro livello;
• il permanere dell’obbligo di servizio pubblico secondo i regimi dero-
gatori previsti dai Regolamenti comunitari;

35
Sul punto si rinvia al precedente paragrafo 1.4. in cui è stato presentato il Piano di ri-
strutturazione delle ferrovie in gestione commissariale governativa, che rappresenta la con-
creta realizzazione del recupero di economicità richiesto nella Legge 59/97.

33
• l’organizzazione dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale,
definendo le modalità di affidamento finalizzate al superamento degli
assetti monopolistici e all’introduzione di regole di concorrenzialità;
• il ricorso al contratto di servizio quale strumento per disciplinare i
rapporti tra Ente programmatore e impresa gestore, definendone il
contenuto minimale e ribadendo l’obiettivo dello 0,35 del rapporto
ricavi/costi per i servizi ferroviari;
• la scelta della formula del net cost contract quale modalità di deter-
minazione del corrispettivo.
Mentre il successivo D.Lgs. 345/98 disciplina la mancata adozione da
parte di alcune Regioni36 delle Leggi di recepimento della riforma, con il
D.Lgs. 400/99 sono introdotte e integrate alcune disposizioni, fra cui:
• il principio della separazione contabile o costituzione di imprese se-
parate per la gestione delle reti e dell’infrastruttura ferroviaria;
• l’esclusione dalle procedure concorsuali per la scelta del gestore del
servizio delle società che gestiscono servizi in affidamento diretto o
attraverso procedure non ad evidenza pubblica;
• la previsione di un termine per provvedere alla trasformazione delle
aziende speciali e dei consorzi in società di capitali, ovvero cooperati-
ve a responsabilità limitata, entro il 31 dicembre 2000, pena le revoca
del servizio e l’affidamento mediante procedura concorsuale;
• la previsione di un periodo transitorio entro il quale è possibile il
mantenimento degli affidamenti in essere e decorso il quale, 31 di-
cembre 2003, provvedere agli affidamenti esclusivamente tramite le
procedure concorsuali.
Ne deriva un’organica risistemazione del settore attraverso la creazione
delle necessarie premesse per dare concreto avvio ai processi di liberalizza-
zione, privatizzazione e regolamentazione.
Al fine di comprendere l’efficacia della riforma nel sostenere tali pro-
cessi (e il non pieno successo che ne è derivato a 10 anni dall’avvio), assu-
me rilievo osservare in dettaglio le procedure di affidamento, il contratto di
servizio e l’architettura complessiva del sistema.
Ad iniziare dalle procedure di affidamento, con il Decreto Burlando
viene definito per la prima volta il sistema delle gare37 che, a regime, do-

36
In dettaglio, Piemonte, Lombardia, Veneto, Umbria, Marche, Molise, Campania, Pu-
glia e Calabria.
37
Le procedure concorsuali per l’affidamento del servizio non hanno dato i frutti sperati.
Sulle determinanti del processo di vedano: A. BOITANI, C. CAMBINI, 2004; C. CAMBINI, F.
GALLEANO, 2005.

34
vrebbe rappresentare la formula ordinaria con cui la Regione e/o l’ente lo-
cale procedono alla selezione del gestore.
Come noto, le procedure concorsuali richiamate rappresentano la più ef-
ficace soluzione in tutti quei casi in cui ci si imbatte nei fallimenti del mer-
cato che non è in grado di assicurare condizioni di concorrenza perfetta e,
nello stesso tempo, si vuole evitare l’insieme di inefficienze che caratteriz-
zano tipicamente le situazioni di monopolio, pubblico o privato che sia.
In linea teorica, le condizioni di concorrenza perfetta si verificherebbero
in presenza di una pluralità di imprenditori che operano in un mercato ad un
tempo trasparente perché non vi sono distorsioni informative e libero in
quanto non vi sono barriere all’ingresso o all’uscita, i beni sono omogenei e
i processi produttivi utilizzati non generano economie di scala; in tali con-
dizioni il mercato assicurerebbe prezzi pari al costo marginale di produzio-
ne, consentendo la realizzazione di uno stato di efficienza allocativa delle
risorse e di efficienza tecnica della produzione, creando le premesse per il
raggiungimento di situazioni di efficienza paretiana.
Considerate le caratteristiche del settore del trasporto pubblico locale
appare di tutta evidenza la distanza da modelli di mercato di concorrenza
perfetta o, come anche si potrebbe dire in maggiore coerenza con le finalità
di questo lavoro, di concorrenza nel mercato; non a caso, nell’impossibilità
di perseguire situazioni di ottimo paretiano grazie alle sole forze del merca-
to, la risposta dello Stato e degli Enti locali è stata storicamente focalizzata
attraverso la proposta di regimi di autoproduzione in situazioni di monopo-
lio pubblico38.
Le ben note inefficienze che ne sono derivate e che hanno spinto in Ita-
lia il settore ai limiti del collasso, sia attraverso la riduzione dei livelli
quantitativi e qualitativi dei servizi offerti, sia attraverso la produzione di
crescenti disavanzi economici, hanno indotto sia il legislatore nazionale,
con la riforma avviata con il D.Lgs. 422/97, sia il legislatore comunitario,
con il Regolamento 07/1370/CEE, ad introdurre forme di concorrenza per il

38
Sugli assetti di mercato e sulle potenzialità dei sistemi di concorrenza/monopolio si
rinvia a: A. BOITANI, A. PETRETTO, 2002; A. CAVALIERE, F. OSCULATI, 2002; C. DE VIN-
CENTI, A. VIGNERI, 2006; F. PAMMOLLI, C. CAMBINI, A. GIANNACCARI, 2007; L. ROBOTTI,
2002; B.I. SPADONI, 2002; M. ARMOSTRONG, D. SAPPINGTON, 2006; C. SCARPA, A. BOITANI,
P. PANTEGHINI, L. PELLEGRINI, M. PONTI, 2005; T. BOERI, R. FAINI, A. ICHINO, G. PISAURO,
C. SCARPA, 2005; F. GIAVAZZI, A. PENATI, G. TABELLINI, 1998; M. FERRI, 2000; M. FORTIS,
A. QUADRIO CURZIO, 2000; M. ELEFANTI, 2003; A. CAVALIERE, F. OSCULATI, 2000; G.
SCIUTTO, 2003; A. BOITANI, 2004.

35
mercato attraverso il ricorso a procedure volte a garantirne una adeguata
contendibilità39.
È opportuno sottolineare, tuttavia, che anche le possibili forme di con-
correnza per il mercato richiedono il verificarsi di alcune condizioni per
consentire il recupero di efficienza con esse perseguito. Di particolare rilie-
vo per il settore del trasporto pubblico locale e, come si vedrà in seguito,
per l’assetto che il settore ha assunto in Italia nei 10 anni successivi alla
emanazione del Decreto Burlando, appare il ruolo dell’incumbent, la nume-
rosità degli operatori potenziali e le possibili situazioni di asimmetria in-
formativa tra l’operatore storico e i nuovi contendenti, che possono falsare
il significato delle procedure concorsuali di selezione del gestore non assi-
curando necessariamente la scelta migliore.
Inoltre, il ricorso a procedure concorsuali, non solo non elimina, ma po-
tenzia e trasforma la regolamentazione necessaria per il settore. In tal senso,
si pensi alla scelta tra i diversi modelli di determinazione del corrispettivo
che oscillano tra i ricordati gross cost contract, in cui il solo rischio indu-
striale è trasferito al gestore permanendo in capo all’affidante il rischio
commerciale legato all’andamento della domanda, e il net cost contract (si-
stema scelto dal legislatore nazionale), in cui tutti i rischi vengono trasferiti
al gestore, nonché all’introduzione di meccanismi di determinazione del
corrispettivo in riferimento alle migliori performance di imprese compara-
bili meglio noti come yardstick competition40.
Si pensi ancora, al diverso stimolo al miglioramento dell’efficienza che
può derivare dalla durata del periodo di affidamento dall’ampiezza dei ser-
vizi messi a gara, anche in termini di stimolo per gli investimenti di manu-
tenzione e sviluppo delle infrastrutture, nonché al trasferimento dei rapporti
di lavoro preesistenti in capo all’affidatario.
Appare evidente, quindi, come la scelta effettuata dal legislatore nazio-
nale di prevedere l’introduzione di forme di concorrenza per il mercato
quale regime ordinario di affidamento dei servizi con procedure concorsua-
li, assume pieno significato solo alla luce dello strumento di regolazione

39
Il modello di concorrenza per il mercato è stato teorizzato in maniera compiuta, come
noto, da Demsetz nel 1968; si veda in proposito H. DEMSETZ, 1968, pp. 55 e ss.
Sul punto si veda, per quanto attiene i profili più strettamente giuridici, quanto affermato
in R. FAZIOLI, 1997a, R. FAZIOLI, 1997b; G. FONTANELLA, 1997.
40
Sulle diverse modalità di determinazione dei corrispettivi e sulla struttura dei costi
delle aziende di TPL si veda: B. BUZZO MARGARI, M. PIACENZA, 2005; M. ELEFANTI, 2001;
D. FABBRI, 1998; M. PONTI, 2003; G. FRAQUELLI, M. PIACENZA, G. ABRATE, 2001; L. MON-
TANARI, A. ZARA, 2000.

36
previsto e sui vincoli per esso previsti, ossia alla luce del contenuto mini-
male e delle condizioni richieste per la definizione del contratto di servizio.
Molto chiaro appare in proposito il dettato dell’art. 19 del D.Lgs. 422/97
che ne definisce il contenuto in termini di:
• modello di determinazione del corrispettivo, operando la scelta di far
ricorso allo schema del net cost contract («I contratti di servizio assi-
curano la completa corrispondenza fra oneri per servizi e risorse di-
sponibili, al netto dei proventi tariffari»);
• definizione dei servizi sia specificandone le caratteristiche, sia gli
standard qualitativi («I contratti di servizio […] definiscono: […] b) le
caratteristiche dei servizi offerti ed il programma di esercizio; c) gli
standard qualitativi minimi del servizio, in termini di età, manutenzio-
ne, confortevolezza e pulizia dei veicoli, e di regolarità delle corse;
[…]»);
• regime di applicazione del contratto in termini di durata (a) periodo di
validità), di politica tariffaria (d) la struttura tariffaria adottata), di spe-
cificazione del corrispettivo (e) l’importo eventualmente dovuto
dall’ente pubblico all’azienda di trasporto per le prestazioni oggetto
del contratto e le modalità di pagamento, nonché eventuali adegua-
menti conseguenti a mutamenti della struttura tariffaria), nonché attra-
verso la previsione di altre condizioni tese ad assicurarne l’ap-
plicazione (f) le modalità di modificazione del contratto succes-
sivamente alla conclusione; g) le garanzie che devono essere prestate
dall’azienda di trasporto; h) le sanzioni in caso di mancata osservanza
del contratto; i) la ridefinizione dei rapporti, con riferimento ai lavora-
tori dipendenti e al capitale investito, del soggetto esercente il servizio
di trasporto pubblico, in caso di forti discontinuità nella quantità di
servizi richiesti nel periodo di validità del contratto di servizio;
• regime di tutela dei lavoratori dipendenti teso ad assicurarne il man-
tenimento delle condizioni già acquisite (l) l’obbligo dell’ap-
plicazione, per le singole tipologie del comparto dei trasporti, dei ri-
spettivi contratti collettivi di lavoro; e soprattutto l’integrazione ap-
portata con il D.Lgs. 400/99, così come sottoscritto dalle organizza-
zioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative e dalle asso-
ciazioni datoriali di categoria;
• misure di stimolo e miglioramento dell’efficienza sia con la previ-
sione di possibili revisioni annuali (Gli importi di cui al comma 3,
lettera e) [l’importo eventualmente dovuto dall’ente pubblico
all’azienda di trasporto] possono essere soggetti a revisione annuale
con modalità determinate nel contratto stesso allo scopo di incentiva-

37
re miglioramenti di efficienza), sia con la fissazione dell’obiettivo
del già ricordato rapporto tra ricavi e costi operativi («I contratti di
servizio pubblico devono […] prevedere un progressivo incremento
del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi, rapporto che, al
netto dei costi di infrastruttura, dovrà essere pari almeno allo 0,35 a
partire dal 1° gennaio 2000»).
Anche alla luce del contenuto minimale del contratto di servizio e ricor-
dando la diversa natura del contratto di servizio previsto nel D.Lgs. 422/97
rispetto al contratto di servizio previsto quale atto fondamentale con cui a
norma della Legge 142/90 l’ente locale disciplina il rapporto con la propria
azienda speciale (o con la propria istituzione)41, si delinea l’architettura
complessiva del sistema contenuta nella riforma.
I caratteri essenziali riguardano:
• la chiara tripartizione e attribuzione dei ruoli, laddove:
• lo Stato, per i servizi di interesse nazionale, le Regioni, per i servizi
di interesse regionale, e gli Enti locali, per i servizi di interesse loca-
le, mantengono le funzioni programmatorie e provvedono al finan-
ziamento dei servizi, avendo disposto la politica tariffaria e definito i
servizi minimi e gli eventuali obblighi di servizio pubblico;
• le imprese provvedono alla gestione del servizio affidato all’esito di
procedure concorsuali di selezione secondo standard qualitativi e vo-
lumi definiti, nell’ambito delle rispettive sfere di competenza, dallo
Stato, dalle Regioni, dagli Enti locali, garantiscono il continuo mi-
glioramento dell’efficienza e si assumo il rischio commerciale, oltre
che industriale nell’approntamento del servizio;
• un’autorità indipendente in grado di valutare il rispetto degli impegni
assunti con la stipula del contratto di servizio dai “due contraenti”,
ossia l’autorità pubblica affidante e l’impresa affidataria del servizio;
• la scelta di realizzare la concorrenza per il mercato, prevedendo a re-
gime l’affidamento dei servizi solo a mezzo di procedure concorsua-
li, introducendo il principio, di seguito disciplinato con i successivi
interventi in materia, del divieto di partecipazione ad esse per le im-
prese operanti con affidamenti diretti;
• il ricorso al contratto di servizio quale strumento ideale per assicura-
re la completa corrispondenza fra oneri per servizi e risorse disponi-

41
Dispone l’art. 4 del D.L. 31 gennaio 1995, n. 26 che «Ai sensi dell’art. 23, comma 6,
della legge 8 giugno 1990, n. 142, sono fondamentali i seguenti atti: a) il piano-programma,
comprendente un contratto di servizio che disciplini i rapporti tra ente locale ed azienda spe-
ciale; […]».

38
bili, nonché individuando nel modello del Net cost contract per le
modalità di determinazione del corrispettivo.
Dopo l’emanazione dei ricordati decreti legislativi ulteriori sviluppi nel-
la disciplina del settore sono stati introdotti indirettamente con:
• l’emanazione del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che innova le forme di
gestione prevedendo anche la forma «a mezzo di società per azioni
senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria a norma
dell’articolo 116», conferma che nel caso di gestione affidata ad
aziende speciali (o istituzioni) i rapporti con l’Ente locale vengono
disciplinati da un «piano-programma, comprendente un contratto di
servizio» (laddove quest’ultima denominazione appare ancor più im-
propria alla luce delle disposizioni contenute del decreto Burlando),
disciplina la trasformazione delle aziende speciali in società per
azioni, estendendo di fatto le disposizioni già contenute nel D.Lgs.
422/97 per il settore trasporti;
• l’integrazione della disciplina del TUEL con la Legge 28 dicembre
2001, n. 448, che all’art. 35 prevede la modifica dell’art. 113 con
l’introduzione della categoria dei servizi pubblici locali di rilevanza
industriale (e l’inserimento dell’art. 113 bis per i servizi pubblici lo-
cali privi di rilevanza industriale) e la previsione del divieto di parte-
cipazione a procedure concorsuali per le società «che, in Italia o
all’estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in vir-
tù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pub-
blica, o a seguito di rinnovi»;
• con il D.L. 2003, n. 269 che nell’art. 14 (Servizi pubblici locali) in-
troduce la modifica dell’art. 113 del TUEL sostituendo il criterio del-
la rilevanza industriale con quello della rilevanza economica e pre-
vede la possibilità di procedere ad affidamenti diretti del servizio so-
lo nel caso di «società a capitale misto pubblico privato nelle quali il
socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con pro-
cedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto
delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza» e nel
caso di «società a capitale interamente pubblico a condizione che
l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla
società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e
che la società realizzi la parte più importante della propria attività
con l’ente o gli enti pubblici che la controllano»;
• con la Legge 15 dicembre 2004, n. 308 che esclude il settore del tra-
sporto pubblico locale dall’applicazione delle disposizioni di cui

39
all’art. 113 del TUEL disponendo che «le disposizioni del presente
articolo non si applicano al settore del trasporto pubblico locale che
resta disciplinato dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e
successive modificazioni»;
• con il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, c.d. Decreto Bersani, con il quale
viene consentita ai soli Comuni l’apertura a forme concorrenziali nel
mercato per il «trasporto di linea di passeggeri accessibile al pubbli-
co, in ambito comunale e intercomunale»;
• con il D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, c.d. Decreto Bersani bis, che abro-
gando la limitazione prevista nel D.Lgs. 21 novembre 2005, n. 285
(«a condizione che le relazioni di traffico proposte nei programmi di
esercizio interessino località distanti più di 30 km da quelle servite
da relazioni di traffico comprese nei programmi di esercizio dei ser-
vizi di linea oggetto di concessione statale»), dispone l’anticipo della
liberalizzazione sulle linee interregionali di competenza statale origi-
nariamente prevista fino al 31 dicembre 2010.
Da ultimo, è da rilevare il rinvio della scadenza del periodo transitorio
previsto nel decreto Burlando al 31 dicembre 2003, prorogato una prima
volta al 31 dicembre 2005 (Legge 27 febbraio 2004, n. 47), successivamen-
te al 31 dicembre 2006 (Legge 23 dicembre 2005, n. 266), ancora al 31 di-
cembre 2007 (Legge 26 febbraio 2007, n. 17).

1.5. La normativa regionale di recepimento della riforma

L’avvio della riforma del settore del trasporto pubblico locale si è basato
sull’adozione da parte delle Regione dei provvedimenti legislativi di rece-
pimento e, conseguentemente, sulla predisposizione degli strumenti neces-
sari per la successiva delega agli enti locali dei servizi di interesse locale,
per la programmazione del servizio e, da ultimo, per il relativo affidamento
con procedure concorsuali, dopo aver realizzato la societarizzazione delle
aziende speciali e dei consorzi.
Per quanto attiene l’emanazione delle leggi regionali secondo le previ-
sioni del decreto Burlando42, è possibile affermare che ad oggi tutte le Re-
gioni hanno provveduto, con la sola eccezione della Sicilia e delle Province
autonome di Trento e Bolzano, mentre la Valle d’Aosta ha precorso i tem-

42
Sulle leggi regionali di recepimento della riforma e sulle prospettive del settore si rin-
via a: ISFORT, 2007; ASSTRA, 2007.

40
pi, anticipando nella propria Legge regionale, che è antecedente all’ema-
nazione del D.Lgs. 422/97, molte delle disposizioni successivamente con-
tenute nella Legge di riforma.
In dettaglio, i provvedimenti adottati sono i seguenti:

Regione Legge regionale


1997
Valle d’Aosta 29 Norme in materia di servizi di trasporto pubblico di linea
1998
Abruzzo 152 Norme per il trasporto pubblico locale
Riforma del Trasporto Pubblico Regionale e Locale in attuazione del Decreto Le-
Basilicata 22
gislativo del 19-11-1997, n. 422
Emilia
30 Disciplina generale del Trasporto Pubblico Regionale e Locale
Romagna
Lazio 30 Disposizioni in materia di Trasporto Pubblico Locale
Liguria 31 Norme in materia di Trasporto Pubblico Locale
Lombardia 22 Riforma del Trasporto Pubblico Locale in Lombardia
Marche 45 Norme per il riordino del trasporto pubblico regionale e locale nelle Marche
Toscana 42 Norme per il trasporto pubblico locale
Norme in materia di trasporto pubblico locale in attuazione del decreto legislativo
Umbria 37
19 novembre 1997, n. 422
Veneto 25 Disciplina ed organizzazione del trasporto pubblico locale
1999
Calabria 23 Norme per il trasporto pubblico locale
2000
Molise 19 Norme integrative della disciplina in materia di trasporto pubblico locale
Norme in materia di trasporto pubblico locale, in attuazione del decreto legislativo
Piemonte 1
19 novembre 1997, n. 422
2002
Riforma del Trasporto Pubblico Locale e Sistemi di Mobilità della Regione Cam-
Campania 3
pania
Puglia 18 Testo unico sulla disciplina del trasporto pubblico locale
2005
Sardegna 21 Disciplina e organizzazione del trasporto pubblico locale in Sardegna
2007
Attuazione del decreto legislativo 111/2004 in materia di trasporto
Friuli Venezia
23 – pubblico regionale e locale, trasporto merci, motorizzazione,
Giulia
– circolazione su strada e viabilità

41
L’emanazione delle leggi regionali conseguenti al decreto Burlando rap-
presenta il primo passo per l’attuazione della riforma che, tuttavia, per essere
concretamente realizzata richiede il successivo coinvolgimento degli Enti lo-
cali, sia per il trasferimento delle deleghe per quanto di loro competenza, sia
per il trasferimento delle relative risorse, l’approntamento degli strumenti pre-
visti quali il Piano Regionale dei Trasporti, il Programma Triennale dei Servi-
zi e la collegata definizione dei livelli di Servizi minimi, nonché l’eventuale
costituzione di Agenzie Regionali per la Mobilità che in posizione di terzietà
possano vigilare sull’esecuzione dei contratti di servizio. Richiede, infine, il
ricorso a procedure concorsuali per l’affidamento dei servizi.
Rinviando l’esame delle gare espletate al prossimo paragrafo, è possibi-
le verificare lo stato di attuazione della riforma a dieci anni dalla stessa43
per quanto attiene l’applicazione delle leggi regionali di recepimento.
Da ultimo, la definizione dei Servizi minimi, e la redazione dei Pro-
grammi Triennali dei Servizi, è stata realizzata solo parzialmente e con
modalità difformi. Infatti, mentre solo in Lombardia e Piemonte la defini-
zione e la conseguente programmazione ha riguardato, in modo non inte-
grato, sia i trasporti su ferro, sia i trasporti su gomma, in Veneto sono stati
definiti i Servizi minimi ma non si è dato seguito alla fase programmatoria
e solo altre 3 Regioni hanno provveduto integrando le diverse modalità
(Abruzzo, Emilia Romagna e Lazio), mentre la previsione e la programma-
zione per i soli trasporti su gomma ha interessato altre 9 Regioni (Basilica-
ta, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Valle
d’Aosta e Provincia autonoma di Trento), derivandone la redazione dei
Programmi Triennali dei Servizi solo in 6 Regioni (Liguria, Lombardia,
Marche, Piemonte, Puglia e Toscana44.

43
L’attuazione della riforma del trasporto pubblico locale è continuamente monitorata
dal Gruppo di lavoro Isfort – CARMINUCCI C., PROCOPIO M. – ai cui rapporti si rinvia, nel
caso di specie, all’ultimo rapporto disponibile aggiornato ad aprile 2007: Isfort, 2007; in es-
so, attraverso la somministrazione di questionari alle Direzioni regionali TPL vengono rile-
vate le informazioni principali sullo stato di avanzamento nell’introduzione degli strumenti
previsti dalla riforma.
44
Nel citato rapporto Isfort è evidenziata l’adozione di strumenti programmatori non
espressamente previsti nel D.Lgs. 422/97. In dettaglio, gli ulteriori strumenti programmatori
riguardano «l’Abruzzo (approvato il “Servizio Ferroviario Metropolitano Regionale”), la
Toscana (in corso di approvazione il “Piano di Indirizzo Territoriale”), la Campania (sono in
elaborazione le “Linee direttive per il trasporto pubblico locale”, i “Criteri attuativi per
l’applicazione delle linee direttive” e le “Metodologie per la valutazione di reti di servizi
minimi”), la Basilicata (delibera della Giunta in tema di “Approvazione dello schema tipo,
capitolato e schema di contratto per l’espletamento delle gare di TPL”), la Sicilia (in elabo-
razione il “Piano Attuativo del Trasporto Pubblico Locale”), la Sardegna (in elaborazione il

42
Per quanto attiene la costituzione delle Agenzie Regionali per la Mobili-
tà45, è da rilevare che solo le Regioni Piemonte, Campania, Puglia e Lazio
hanno provveduto, mentre sono in ritardo le Regioni Abruzzo, Molise, Sar-
degna, Sicilia e Toscana, non essendovi nessuna previsione per le altre Re-
gioni.
Infine, nelle Regioni Basilicata, Campania, Liguria, Puglia, Toscana e
Umbria risulta costituito l’Osservatorio Regionale dei Trasporti.

1.6. Il settore del TPL – Autolinee in Italia

Le rilevazioni del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che con-


ducono, a partire dal 1967, alla redazione del Conto Annuale delle Infra-
strutture e dei Trasporti (CNIT), consentono di definire compiutamente lo
stato del settore46.
Nel 2010, per il solo comparto delle autolinee, risultano attivi in Italia
1.093 operatori; di questi, 243 svolgono esclusivamente servizio di traspor-
to passeggeri urbano (22,2%) e 640 esclusivamente servizio extraurbano
(58,6%); sono, infine, 210 (19,2%) le aziende di tipo misto, che svolgono,
cioè, entrambe le modalità di servizio47.
I dati e le Figure che seguono – riferite al solo comparto Autolinee del
TPL – forniscono una sintesi efficace dell’evoluzione del settore.
La Figura 1.1 mostra come vi sia un numero molto elevato di operatori,
particolarmente nell’Italia meridionale e come proprio nelle regioni di tale
area nell’ultimo decennio vi sia stata una contrazione significativa (per un
processo di concentrazione conseguente alle politiche evidenziate nei para-
grafi precedenti).
Le Figure 1.2 e 1.3 mostrano lo spaccato dei dati sul numero degli ope-
ratori distinti secondo la dicotomia servizio urbano/extraurbano.
Si osserva la concentrazione di operatori nelle regioni settentrionali,
specialmente nel trasporto urbano, e come la riduzione di operatori nel Me-
ridione sia relativa soprattutto al trasporto extraurbano.
Fig. 1.1 – Numero di aziende operanti - periodo 2000-2010

“Piano Regionale del Trasporto pubblico locale”), la Valle d’Aosta (in elaborazione la revi-
sione del “Piano di bacino di traffico”)».
45
Sul tema si vada: M. MARTINEZ, 2003; E. ONGARO, 2006.
46
Un’analisi dettagliata della situazione esistente a fine anni Novanta è sviluppata sulla
elaborazio-ne dei dati contenuti in MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI,
1999b e in ID., 1999a, esposti in E. LAGHI, 2001, pp. 33 e ss.
47
Cfr. MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, 2011.

43
Fig. 1.1 – Numero di aziende operanti – periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

Fig. 1.2 – Numero di aziende operanti nel servizio urbano – periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

44
Fig. 1.3 – Numero di aziende operanti nel servizio extraurbano – periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

Le Figure 1.4 e 1.5 confermano la maggiore concentrazione del servizio


nelle regioni settentrionali, questa volta legata alla dimensione degli opera-
tori (Fig. 1.4) e al rapporto tra numero di operatori e residenti (Fig. 1.5).
Fig. 1.4 – Numero di aziende con oltre 100 addetti – periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

45
Fig. 1.5 – Numero di aziende per milione di abitanti – periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

Le Figure 1.6 e 1.7 mostrano l’impiego di risorse, in termini di persona-


le (Fig. 1.6) e di mezzi (Fig. 1.7), rispetto alla popolazione residente.
L’incidenza delle risorse è maggiore nelle regioni centrali. Si osserva come
nelle regioni settentrionali, a fronte di un minor numero di addetti viene
impiegato un maggior numero di mezzi. Tale indicatore può segnalare una
maggiore efficienza per un minor impegno di personale non viaggiante.
La Figura 1.8 mostra l’andamento della domanda soddisfatta, espressa
in termini di passeggeri-Km. Si osserva un incremento contenuto e costante
nel trasporto urbano e un recupero di domanda soddisfatta di trasporto ex-
traurbano, dopo il picco del 2006, negli anni 2010 e 2011.
Le Figure 1.9 e 1.10 mostrano l’offerta per tipologia di servizio in ter-
mini di posti offerti e di posti-Km offerti. Dopo il 2006 si assiste ad una ri-
duzione marcata dell’offerta di servizi di trasporto urbano, mentre
l’incremento dell’offerta dei servizi di trasporto extraurbano è pressoché
costante.

46
Fig. 1.6 – Numero di addetti per migliaia di abitanti – periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

Fig. 1.7 – Numero di autobus per migliaia di abitanti – periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

47
Fig. 1.8 – Domanda soddisfatta: passeggeri-Km – periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

Fig. 1.9 – Offerta per tipologia di servizio: posti offerti – periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

48
Fig. 1.10 – Offerta per tipologia di servizio: posti-Km offerti – periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

Le Figure 1.11 e 1.12 mostrano, rispettivamente, l’andamento dei costi e


dei proventi totali delle imprese del TPL-Autolinee e il loro rapporto. Si os-
serva una crescita significativa nel decennio nel rapporto Proventi/Costi che
passa dal 36% del 2000 al 55% del 2010, dunque registra un incremento nel
decennio del +53%.
Fig. 1.11 – Costi e proventi totali – periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

49
Fig. 1.12 – Rapporto Proventi/Costi totali - periodo 2000-2010

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2010: dati non definitivi

In sintesi, il decennio 2000-2010 può dirsi caratterizzato:


• da un processo di concentrazione, per riduzione del numero di opera-
tori, specie nel Meridione (l’area con maggiore dispersione) e nel
trasporto extraurbano; tale processo ha riguardato, seppure in misura
minore, anche le regioni del Centro e del Nord Italia (Fig. 1.5);
• da una riduzione del numero di addetti (Fig. 1.6), specie nelle regioni
centrali, quelle che registrano i valori più elevati di addetti per mi-
gliaia di abitanti;
• un incremento della copertura dei costi tramite proventi; la media
complessiva del rapporto proventi/costi passa dal 36% al 55%, regi-
stra dunque un incremento negli 11 anni considerati di oltre il 50%
(Fig. 1.12).
Dai dati considerati emergono anche le prime differenze interregionali,
per un grado di concentrazione del servizio (minor numero di imprese e
maggior presenza di imprese di grandi dimensioni) nel Settentrione.
Il paragrafo che segue approfondisce il tema.

50
1.7. Differenze regionali nell’impiego delle risorse

In merito ai costi e ai ricavi per il servizio urbano, a fronte di un costo


medio nazionale per Km percorso di 5 euro e di ricavi del traffico per Km
percorso di 1.7 euro, la Figura 1.13 mostra rilevanti differenze interregionali.
In particolare, osservando i costi per Km, si evidenzia come la media passi da
4,5 euro dell’Italia settentrionale a 4.8 euro dell’Italia meridionale e insulare,
fino a 5,9 euro dell’Italia centrale.
Allo stesso modo, nel confronto interregionale, sia i proventi totali per Km
percorso sia i ricavi del traffico per Km percorso mostrano differenze marcate.
I proventi variano da una media di 2,4 euro per Km dell’Italia settentrionale
a 2,2 euro delle regioni centrali fino a 2,1 di quelle meridionali e insulari.
A fronte di tali variazioni, a prima vista non così marcate, occorre rilevare
come i valori regionali vadano da 0,80 euro/Km delle Marche a 4,2 euro/Km
del Friuli Venezia Giulia (il valore massimo è oltre 5 volte il valore minimo).
I ricavi del traffico per Km percorso variano, a loro volta, da un minimo
di 0,4 euro/Km della Basilicata ad un massimo di 2,7 euro della Campania
(il valore massimo è quasi 7 volte il valore minimo), passando per 1,5 eu-
ro/Km dell’Italia centrale e 1,8 euro/Km di quella settentrionale e di quella
meridionale e insulare.
La situazione di forte variabilità interregionale non si modifica osser-
vando i valori riferiti al servizio extraurbano, dove, a fronte di una media
nazionale del costo medio per Km di 2,8 euro, i valori delle macro-aree
vanno da 2,8 euro dell’Italia settentrionale a 2,9 euro dell’Italia meridionale
e insulare, fino a 4,4 euro dell’Italia centrale (su cui indubbiamente si riflet-
tono i valori del Lazio).
I proventi totali per Km percorso variano tra un minimo di 0,8 euro del
Molise a 4,5 euro del Lazio (il valore massimo è oltre 5 volte il minimo),
passando per una media di 1,6 euro dell’Italia settentrionale, 1,8 euro delle
regioni centrali e 1,9 euro di quelle meridionali e insulari.
I ricavi del traffico per Km percorso variano da un minimo di 0,4 euro
del Molise a un massimo di 3,5 euro del Lazio (il valore massimo è quasi 9
volte il minimo), passando per una media di 1,2 euro delle regioni setten-
trionali, di 1,4 di quelle meridionali e insulari e di 1,8 euro di quelle centrali
(valore che certamente riflette, come tutti quelli delle regioni centrali, la
posizione di outlier del Lazio).
Le Figure 1.15 e 1.16 mostrano la copertura dei costi con i proventi (to-
tali e del traffico) rispettivamente per il servizio urbano e per quello ex-
traurbano.

51
Fig. 1.13 – Costi e ricavi per Km percorso per regione – Servizio urbano (2010)

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: dati provvisori

52
Fig. 1.14 – Costi e ricavi per Km percorso per regione – Servizio extraurbano (2010)

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: dati provvisori

53
Fig. 1.15 – Incidenze Proventi/Costi per regione - Servizio urbano (2010)

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: dati provvisori

54
Fig. 1.16 – Incidenze Proventi/Costi per regione – Servizio extraurbano (2010)

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: dati provvisori

55
La media della copertura dei costi totali con ricavi del traffico per il ser-
vizio urbano è del 34% a livello nazionale e presenta variazioni significati-
ve tra le Regioni, con una media che va dal 21% del Molise al 48% della
Puglia.
La media nazionale del medesimo indicatore per il servizio extraurbano
è del 49%, con valori che vanno dal 21% del Molise al 79% del Lazio.
Gli indicatori rappresentati nelle Figure 1.17-1.22 sono particolarmente
significativi per comprendere le differenze in termini di economicità ed ef-
ficienza tra le imprese delle diverse regioni italiane. Si tratta del costo me-
dio per addetto (servizio urbano, Fig. 1.17, e servizio extraurbano, Fig.
1.18), della percorrenza media annua per addetto (servizio urbano, Fig.
1.19, e servizio extraurbano, Fig. 1.20) e della percorrenza media annua per
autobus (servizio urbano, Fig. 1.21, e servizio extraurbano, Fig. 1.22).
Il costo medio per addetto nazionale è di 41.900 euro per il servizio ur-
bano e di 42.300 euro per il servizio extraurbano. Anche per questo indica-
tore la variabilità interregionale è molto elevata. Escludendo le province
autonome, si passa da 30.500 euro nel trasporto urbano nelle Marche e da
27.700 euro nel trasporto extraurbano in Puglia a 48.100 euro per il traspor-
to urbano nel Lazio e 51.200 euro per quello extraurbano in Calabria.
La percorrenza media annua nazionale per addetto [per addetto alla guida]
è di 16.500 [25.600] Km per il servizio urbano e di 26.000 [37.300] Km per
quello extraurbano. I valori più bassi si rilevano in Campania e in Calabria
per il trasporto urbano e in Campania e Sardegna per quello extraurbano.
La percorrenza media annua nazionale per autobus è di 38.300 Km per
il servizio urbano e di 40.400 Km per quello extraurbano. I valori più bassi
nell’uso di tali risorse si registrano in Campania e Calabria nel trasporto ur-
bano e in Basilicata e Sardegna per il trasporto extraurbano.
In sintesi, si deve osservare come le differenze interregionali in termini
di struttura dei costi, struttura dei ricavi ed efficienza delle risorse (Km per
autobus, Km per addetto e Km per addetto alla guida) siano tali da rendere
irrilevante la stessa tradizionale classificazione del Paese nelle tre aree
coincidenti con le regioni del Nord, del Centro e del Mezzogiorno.
Per tali ragioni l’analisi che segue terrà conto di tali differenze struttura-
li, controllando, rispetto ad esse, l’effetto delle variabili esplicative sulla
performance aziendale e determinando, anche in relazione a tali differenze
strutturali, le performance attese rispetto alle quali giudicare le performance
effettive.

56
Fig. 1.17 – Costo medio per addetto per regione - Servizio urbano (2010)

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: dati provvisori

57
Fig. 1.18 – Costo medio per addetto per regione – Servizio extraurbano (2010)

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: dati provvisori

58
Fig. 1.19 – Percorrenza media annua per addetto per regione – Servizio urbano (2010)

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: dati provvisori

59
Fig. 1.20 – Percorrenza media annua per addetto per regione Servizio extraurbano (2010)

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: dati provvisori

60
Fig. 1.21 – Percorrenza media annua per autobus per regione – Servizio urbano (2010)

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: dati provvisori

61
Fig. 1.22 – Percorrenza media annua per autobus per regione – Servizio extraurbano
(2010)

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: dati provvisori

62
Le Tabelle 1.1-1.3 mostrano le correlazioni (in grassetto quelle giudica-
te significative e rilevanti) tra le variabili rilevate nel Conto Nazionale delle
Infrastrutture e dei Trasporti rispettivamente per il trasporto urbano, per
quello extraurbano e per le medie dei due valori.
Con riferimento a tali medie, che saranno impiegate nel modello di sti-
ma delle performance relative, si osservano correlazioni reciproche, talune
di intensità particolarmente elevata (superiore a 0.9), tali per cui sarà suffi-
ciente scegliere un indicatore relativo ai proventi medi annui per Km e un
indicatore di efficienza (Km medi annui percorsi per addetto alla guida) per
rappresentare al contempo anche le misure di economicità ed efficienza ad
essi associate (costo medio complessivo per Km, proventi/costi medi ecc.).

Tab. 1.1 – Matrice di correlazione tra indicatori regionali - trasporto extraurbano

63
Tab. 1.2 – Matrice di correlazione tra indicatori regionali – trasporto extraurbano

1 2 3 4 5 6 7 8

1 CostoM_E 1

2 ProventiM_E 0,7531 1
0,0001

3 RicaviTraffM_E 0,7669 0,9737 1


0,0001 0

4 ProventiM/CostiM_E 0,3492 0,8556 0,8209 1


0,1313 0 0

5 RicTraff/CostiM_E 0,3979 0,8107 0,8669 0,919 1


0,0823 0 0 0

6 CostoM/Addetto_E 0,4154 0,1751 0,2405 -0,0869 0,0501 1


0,0685 0,4602 0,3072 0,7157 0,8338

7 PercorrenzaMedia/Bus_E -0,0411 0,2087 0,1864 0,2381 0,1841 -0,136 1


0,8633 0,3773 0,4313 0,3121 0,4372 0,5675

8 PercorrenzaMedia/Addetto_E -0,6054 -0,4254 -0,405 -0,2492 -0,2364 0,3114 0,2504 1


0,0047 0,0615 0,0765 0,2895 0,3156 0,1814 0,287

PercorrenzaMedia/ -0,5807 -0,3756 -0,3397 -0,2138 -0,1684 0,2669 0,3498 0,9405


9
AddettoAllaGuida_E
0,0073 0,1026 0,1429 0,3654 0,478 0,2553 0,1306 0

64
Tab. 1.3 – Matrice di correlazione tra indicatori regionali – medie
1 2 3 4 5 6 7 8

1 CostoM 1

2 ProventiM 0,7881 1
0

3 RicaviTraffM 0,8718 0,9087 1


0 0

4 ProventiM/CostiM 0,2163 0,7591 0,5514 1


0,3598 0,0001 0,0117

5 RicTraff/CostiM 0,3655 0,7077 0,7645 0,7677 1


0,113 0,0005 0,0001 0,0001

6 CostoM/Addetto 0,4794 0,3003 0,3312 -0,0951 0,0224 1


0,0324 0,1983 0,1537 0,69 0,9253

7 PercorrenzaMedia/Bus 0,0165 0,2013 0,0504 0,2174 0,1696 0,1108 1


0,9448 0,3946 0,8329 0,3572 0,4746 0,6419

8 PercorrenzaMedia/Addetto -0,6986 -0,5123 -0,6414 -0,1432 -0,3362 0,0262 0,2091 1


0,0006 0,0209 0,0023 0,5468 0,1473 0,9125 0,3763

PercorrenzaMedia/
9 AddettoAllaGuida -0,6442 -0,432 -0,5534 -0,084 -0,2211 0,0214 0,4287 0,9424

0,0022 0,0572 0,0114 0,7248 0,3489 0,9285 0,0593 0

65
2. OBIETTIVI E INDICATORI DI PERFORMANCE
DELLE AZIENDE DI TPL

2.1. Premessa

Da quando il servizio di trasporto collettivo o pubblico è stato sottratto


alla sfera privata ed assorbito in quella pubblica1 la dimensione aziendale,
rappresentata sinteticamente dall’efficienza e dalla redditività, ha perso si-
gnificato e visibilità2 rispetto a quella sociale, riassumibile nella copertura
capillare del territorio. Se è vero che a tale sottrazione ha contribuito il de-
clino dell’utenza e dei conseguenti ricavi da traffico per effetto dell’af-
fermazione dell’auto privata, la cura pubblica a base di sussidi in conto ca-
pitale ed in conto esercizio non ha funzionato ed è “responsabile” della
grave crisi economica e finanziaria3 in cui attualmente versa e dalla quale
sta cercando disperatamente di uscire attraverso una profonda revisione dei
meccanismi di regolazione4. La via d’uscita individuata in un primo mo-

1
Da un punto di vista teorico gli economisti faticano a comprendere i vantaggi della
proprietà pubblica rispetto alla regolazione della produzione di servizi pubblici affidata a
privati (P.B. PASHIGIAN, 1976). Shleifer (A. SHLEIFER, 1998b) sottolinea che quando il go-
verno sa quello che vuole può utilizzare un contratto. Se è preoccupato per situazioni di mo-
nopolio e per problemi di prezzi può ricorrere alla regolazione. Se il governo non è in grado
di sapere esattamente ciò che vuole (teoria dei contratti incompleti) deve capire quale assetto
proprietario sia più incentivante per la produzione di quegli elementi della performance non
conoscibili in anticipo (qualità, efficienza, innovazione). La conclusione è che la proprietà
pubblica è un assetto non incentivante perché i manager ottengono solo una piccola frazione
dei miglioramenti che producono. Di conseguenza non hanno gli incentivi adatti per innova-
re e per essere sempre più efficienti. Di qui la superiorità teorica della proprietà privata ri-
spetto alla proprietà pubblica. La proprietà privata, di conseguenza, appare come l’assetto
più efficiente per raggiungere qualsiasi tipo di finalità.
2
Cfr. P.B. PASHIGIAN, 1976.
3
Cfr. R. BUHELER, J. PUCHER, 2011.
4
Cfr. A. DELLA PORTA, A. GITTO, 2013.

66
mento è stata quella più drastica della deregulation, ovvero della restituzio-
ne delle leve del governo del servizio ai privati attraverso, appunto, la pri-
vatizzazione e la previsione della libera concorrenza nel mercato, e della ri-
attribuzione all’efficienza e alla redditività di quella visibilità e di quel si-
gnificato che era stato loro sottratto per effetto del precedente passaggio nel
settore pubblico.
Gli esiti negativi della deregulation sperimentati principalmente nel Re-
gno Unito ad esclusione di Londra (alti profitti in capo a grandi gruppi pri-
vati e drastico calo dell’utenza) hanno indotto, però, il legislatore europeo a
fare un rapido passo indietro e a rivalutare l’idea di una regolazione non
“vecchio stile”, tutta protesa, cioè, a rispettare e tutelare solo il servizio e
non l’azienda che lo produceva, ma incentivante, ovvero in grado, questa
volta, di recuperare in pieno la dimensione aziendale senza sacrificare ec-
cessivamente quella sociale, come era avvenuto, invece, con la deregula-
tion. La soluzione più equilibrata, peraltro suggerita dalla dottrina più mo-
derata (Demsetz), come sappiamo è quella della concorrenza per il merca-
to. A differenza della concorrenza nel mercato, il meccanismo delle gare o
del monopolio regolato, se usato in modo responsabile, genera meno danni
collaterali nel senso che consente di trovare un compromesso tra economi-
cità aziendale e socialità del servizio. La concorrenza per il mercato pre-
suppone, infatti, l’adozione di logiche di performance measurement e di
controllo che, come è noto enfatizzano una più chiara definizione degli
obiettivi5 ed un uso massiccio di indicatori di performance che danno la
giusta e doverosa visibilità a tutte le dimensioni della complessa perfor-
mance di tale servizio. Riteniamo, infatti, ma non tutti sono d’accordo, che
la chiarezza negli obiettivi da assegnare al servizio e il potenziamento del
controllo attraverso l’utilizzo di indicatori di performance, più che la con-
correnza in sé, siano le leve principali per avviare il servizio di trasporto
pubblico su un sentiero di miglioramento.
L’obiettivo del presente capitolo è quello di mostrare, in sintesi, quali
effetti si sono verificati nel momento in cui la dimensione sociale ha preso
il sopravvento su quella aziendale ed in che modo l’introduzione di logiche
di performance measurement possa recuperarla restituendole la visibilità ed
il significato che le spetta.

5
J. WALKER, 2008.

67
2.2. La performance delle aziende di trasporto pubblico tra out-
put e outcomes

L’approfondimento critico dei problemi legati alla misurazione e


all’interpretazione della complessa performance delle aziende di TPL prende
avvio sostanzialmente dopo la pubblicizzazione del servizio e la conseguente
crescita dei deficit delle aziende. A partire, infatti, dalla metà degli anni Set-
tanta nei Paesi occidentali, con varie sfumature e percorsi6, la proprietà pub-
blica e i sussidi fanno perdere all’efficienza e alla redditività il loro significa-
to di dimensioni di sintesi della performance del servizio di trasporto. Il loro
posto viene preso principalmente da indicatori di impatto sociale, di copertu-
ra del territorio, di incremento della produzione chilometrica che sanciscono
in modo netto il primato della dimensione sociale su quella aziendale.
Alla luce di ciò7 l’efficienza aziendale e l’equilibrio economico-finan-
ziario delle aziende di trasporto non assumono più un valore in sé ma un si-
gnificato strumentale all’efficacia sociale del servizio. Centrale diventa la va-
lutazione dell’efficacia sociale del servizio di trasporto, poiché è stata proprio
la difesa di quest’ultima ad aver determinato l’intervento pubblico, piuttosto
che la salvaguardia dell’economicità delle singole aziende minacciate da av-
versi cambiamenti ambientali.
Gli obiettivi aziendali, incentrati tipicamente sul miglioramento dell’ef-
ficienza e della redditività del capitale investito, vanno, di conseguenza, in-
terpretati come strumentali e subordinati agli obiettivi sociali, ambientali e
di politica economica perseguiti dai governi.
Portata all’estremo, nel corso degli anni tale prospettiva ha contribuito a
far perdere al servizio di trasporto pubblico locale la sua natura aziendale8
ed imprenditoriale. L’idea che il TPL non debba essere associato in senso
stretto all’idea di azienda ma a quella di un investimento necessario per
rendere più attrattivo il territorio e per ridurre gli squilibri sociali, che deb-
ba essere concepito come un servizio strumentale alla creazione di esterna-
lità positive, quali l’accessibilità alle città, la riduzione della congestione,
dell’inquinamento e della suburbanizzazione ha enfatizzato oltremisura gli
outcomes sociali e messo in secondo piano gli output aziendali. Gli indica-
tori di outcomes, di impatto, di creazione di esternalità positive, in questa
prospettiva, sono stati ritenuti, più nella teoria che nella pratica attuazione,

6
Cfr. K. GWILLIAMS, 2008.
7
Cfr. J.S. DAJANI, G. GILBERT, 1978.
8
Cfr. G. MARLETTO, 2004.

68
più importanti degli indicatori di processo e di output, tipicamente riferiti
all’azienda produttrice del servizio rappresentando una specie di alibi per
impedire l’introduzione di rigorose logiche di accountability.
Di fronte però alla simultanea presenza di deficit crescenti e di calo del-
la domanda non si poteva più far finta di niente ed alcuni studiosi hanno
cominciato a mettere in discussione il primato della dimensione sociale re-
plicando che quello che si osservava nella realtà era piuttosto un fenomeno
di “cattura” perpetuato dal soggetto pubblico e incentivato dalla quasi totale
assenza di controlli. Occorreva di conseguenza rimettere al centro la di-
mensione aziendale9 e ripensare, di conseguenza, le logiche di regolazione
e di controllo del servizio.
Fielding, Glauthier, Lave10 ma soprattutto Talley e Anderson11 osserva-
vano, inoltre, che quello della creazione di esternalità positive era un obiet-
tivo troppo complesso ed ambizioso che non poteva essere assegnato alle
sole aziende di trasporto. Altri attori e altre politiche dovevano essere mo-
bilitati a tal fine (es. congestion charges, limitazioni alla circolazione delle
auto, divieti all’espansione edilizia e alla suburbanizzazione ecc.). Pertanto,
aveva poco senso continuare a finanziare incondizionatamente il servizio,
peraltro senza alcun serio controllo, nella speranza che tale finanziamento
da solo contribuisse a migliorare gli impatti (outcomes). A lungo andare
una politica del genere avrebbe generato solo deficit senza alcun beneficio
di tipo sociale, quale la riduzione della congestione o dell’inquinamento.
Cosa che poi puntualmente è avvenuta. È stata proprio questa, infatti, la ra-
gione principale della crisi finanziaria ed economica del servizio di traspor-
to e dell’inizio della stagione riformatrice dello stesso. L’eccesso di atten-
zione agli outcomes avrebbe distolto irresponsabilmente l’attenzione dai
processi e dagli output generando nel corso del tempo l’accrescimento dei
deficit e il bisogno di continue ricapitalizzazioni.

2.3. La crisi economico-finanziaria del servizio di trasporto pub-


blico: natura e cause principali

La crisi del trasporto pubblico, ovvero il gap crescente tra risorse finan-
ziarie disponibili (poche) e risorse consumate per la produzione del servizio

9
Cfr. A.R. TOMAZINIS, S.K. GUPTA, 1976.
10
Cfr. G.J. FIELDING, R.E. GLAUTHIER, C.A. LAVE, 1978.
11
Cfr. W.K. TALLEY, P.P. ANDERSON, 1979.

69
(elevate), non è, infatti, una crisi da imputare solo a politiche tariffarie non
collegate all’andamento dei costi, alla caduta dei ricavi da traffico conse-
guenti al calo dei passeggeri a causa della centralità assunta dall’auto priva-
ta. Non la si può, infatti, attribuire solo al declino dei ricavi da traffico, an-
che se questa ne ha rappresentato una componente rilevante. Se il servizio
di trasporto fosse rimasto nel settore privato, di fronte al declino dell’utenza
le imprese avrebbero reagito con una riduzione dell’offerta attraverso stra-
tegie di ridimensionamento, di ristrutturazione e di riposizionamento12. La
crisi del servizio di trasporto pubblico è principalmente una crisi derivante
dallo scarso controllo dei costi che sono aumentati in maniera esponenziale.
Una volta passato nelle mani pubbliche il servizio di trasporto, grazie alla
garanzia offerta dai sussidi pubblici, ha continuato a perseguire obiettivi di
crescita e di espansione territoriale in modo non coerente con l’evoluzione
del contesto ambientale (crescita dei redditi pro-capite e del possesso di au-
to di proprietà), determinando eccessi di offerta non coordinata e, soprattut-
to, non rispondente agli effettivi bisogni di mobilità espressi dall’utenza.

2.3.1. Sussidi pubblici, eccesso di offerta e bassa efficienza del servi-


zio

Uno degli obiettivi principali delle riforme del servizio di TPL è quello
di provare a ri-trovare un equilibrio tra output aziendali e outcomes sociali,
tra organizational effectiveness e public service improvement (Boyne,
2003). La ragione è quella di provare a rimettere al centro le ragioni
dell’azienda di trasporto e non più solo quelle del servizio, di restituire im-
portanza all’economicità aziendale e non più solo ad una concezione, l’uni-
versalismo del servizio, che alla luce dei fatti ha finito col ritorcersi contro
mostrando tutta la sua insostenibilità finanziaria e minacciando, parados-
salmente, l’esistenza stessa del servizio di trasporto pubblico. Numerosi
studi, infatti, hanno mostrato lo stretto legame tra peggioramento dell’eco-
nomicità aziendale ed erogazione dei sussidi pubblici.
Tra i primi studi empirici che hanno indagato la relazione tra sussidi ed
efficienza citiamo quello di Lave (1991). Si tratta di uno studio longitudina-
le che ha utilizzato bilanci e indicatori di efficienza di un campione di
aziende di trasporto americane per dimostrare come gli aiuti pubblici hanno
contribuito a rendere inefficiente l’intero settore.

12
GA. BOYNE, 2004.

70
L’intervento pubblico iniziò dapprima con un’iniezione “una tantum” di
sussidi in conto capitale giustificata dal fatto che il declino dell’utenza non
consentiva alle imprese di ricavare a sufficienza per coprire anche gli am-
mortamenti e, quindi, per rinnovare il parco veicoli.
Doveva trattarsi di un aiuto sporadico ma non andò a finire così perché
la politica aiutò le aziende di trasporto non solo a sostituire gli autobus ma
le spinse anche ad espandersi in aree a bassa domanda. Tale espansione de-
terminò una seconda ondata di aiuti sotto forma di sussidi permanenti in
conto esercizio.
Per dimostrare l’effetto perverso di tali aiuti sui costi, Lave utilizzò co-
me indicatore il costo operativo orario perché ritenuto più attendibile rispet-
to al costo per km (in quanto influenzato da fattori esterni, es. congestione)
o al costo per passeggero (in quanto influenzato da fattori politici e da ob-
blighi di servizio, es. servire aree meno densamente popolate o fasce orarie
prive di domanda).
L’analisi di Lave mostra un incremento notevole dei costi orari come
conseguenza dell’erogazione di sussidi pubblici.
Lave attribuisce, però, l’aumento esponenziale dei costi più all’intro-
duzione dei contributi in conto esercizio che a quelli in conto capitale. I
contributi in conto capitale per il rinnovo del parco dei bus non esimevano
comunque i manager dall’adottare accorte politiche di gestione perché il
raggiungimento dell’equilibrio dipendeva, in ultima analisi, dalla capacità
di coprire i costi operativi (esclusi gli ammortamenti) con i ricavi da traffi-
co. I contributi in conto esercizio, al contrario, segnalavano al management
e al personale priorità errate, disincentivandoli del tutto dalla ricerca
dell’equilibrio.
Se agli inizi i sussidi in conto capitale erano limitati al solo scopo di
provvedere, una tantum, all’ammodernamento dei mezzi ma non a coprire
interamente i costi di gestione, successivamente con la volontà politica di
espansione territoriale del servizio si decise di erogare anche i contributi in
conto esercizio che ebbero come effetto centrale quello di disincentivare
completamente il controllo dei costi.
I sussidi pubblici mandarono un segnale errato sia ai manager che ai la-
voratori responsabili dell’erogazione del servizio di trasporto.
I manager ed i dirigenti interpretarono la copertura finanziaria garantita
come un modo per comunicare che il controllo dei costi e l’efficienza erano
meno importanti dell’espansione del servizio sul territorio, anche in quelle
aree a bassissima domanda. L’esigenza di copertura del territorio aveva
preso il sopravvento sull’esigenza di copertura dei costi tramite ricavi da

71
traffico. Gli aspetti sociali del servizio avevano preso il sopravvento su
quelli aziendali.
I dipendenti e le associazioni sindacali che li rappresentavano decodifica-
rono il segnale nel senso che i sussidi potevano essere utilizzati per incre-
mentare le assunzioni di personale non strettamente necessario, per migliora-
re i salari, per ridurre le ore di lavoro effettive grazie alla disponibilità di una
più ampia base di occupati e, più in generale per migliorare le condizioni la-
vorative lasciando sullo sfondo le problematiche relative all’efficienza, alla
produttività e all’innovazione del servizio nell’ottica dell’utente.
L’intervento pubblico non riuscì, purtroppo, a fermare il calo dei pas-
seggeri, né a raggiungere pienamente quegli obiettivi di socialità e di crea-
zione di esternalità positive, ma solo a far crescere i costi.
Viton13 prosegue ed estende l’analisi di Lave arricchendola però di ulte-
riori considerazioni. Innanzitutto ritiene parziale la focalizzazione esclusiva
sull’efficienza, come fatto da Lave con l’indicatore del costo orario. Viton
ritiene che prima dell’efficienza vada esaminata la produttività, ovvero il
numero di Km per addetto prima che il costo orario. L’aumento del costo
orario, sicuramente importante, di per sé non è, però, sufficiente ad espri-
mere un giudizio sulla performance di tali aziende. Accanto all’efficienza
occorre valutare anche la produttività, ovvero la quantità di output chilome-
trico erogata rapportata al numero degli addetti, dato che l’incremento dei
chilometri erogati da seguito ad una precisa politica governativa di copertu-
ra del territorio. L’efficienza deve essere valutata non in sé ma alla luce de-
gli obiettivi che la politica pone al servizio. Nel periodo 1988-1992 le
aziende pubbliche di trasporto americano mostrano un deciso incremento di
produttività per addetto e di consolidamento territoriale dell’offerta.
Inoltre, Viton osserva per lo stesso periodo anche un lieve recupero di
efficienza.
Ciò, in senso più generale, sta a significare che occorre mettere in rela-
zione i vari aspetti della complessa performance del servizio di trasporto,
che l’analisi dell’efficienza deve essere messa in relazione con quella della
produttività ed anche con quella relativa all’utilizzo del servizio stesso
(passeggeri/km). L’utilizzo del servizio appare, però, la vera nota dolente in
quanto il numero dei passeggeri è continuato a scendere e con esso i ricavi
da traffico e l’autofinanziamento. Il servizio offerto, considerato dal punto
di vista della qualità del suo disegno, non è riuscito ad intercettare la multi-
forme e complessa domanda di trasporto (non solo, ad esempio, pendolari-

13
Cfr. P.A. VITON, 1998.

72
smo lavorativo di studenti e lavoratori, di anziani, ma servizio completo per
soddisfare esigenze di mobilità legate al tempo libero, allo shopping, al tu-
rismo, agli eventi ecc.). Non è riuscito a generare ricavi autonomi ma solo
bisogni continui di ricapitalizzazioni pubbliche e/o di indebitamento. La
qualità del suo disegno è, infatti, un’altra dimensione da mettere in relazio-
ne alle precedenti.
Se Lave si focalizza sull’efficienza denunciando un peggioramento della
stessa e Viton, al contrario, mostra un incremento nella produttività, Obeng14
(2011), vuole capire, però, l’effetto netto delle due dimensioni, ovvero vuole
capire se, in seguito alla pubblicizzazione del servizio, a prevalere sia stata
l’inefficienza (l’aumento ingiustificato dei costi, il peggioramento degli out-
put) o la produttività (nel senso di creazione di welfare attraverso la copertura
territoriale e/o il miglioramento della qualità del servizio).
In altri termini non è detto che i sussidi pubblici abbiano fatto aumentare
solo i salari, gli occupati, migliorato le condizioni lavorative degli addetti e
prodotto solo inutili duplicazioni di linee ed eccessi di offerta come sembre-
rebbe trasparire dall’analisi di Lave, ma potrebbero aver contribuito ad au-
mentare anche il welfare come sostenuto da Viton, con un incremento della
quantità e qualità del servizio offerta, ad es. in termini di incremento di chi-
lometri e/o delle frequenze, e a centrare così, seppur in modo parziale, quegli
obiettivi di outcomes che ne hanno giustificato il passaggio nelle mani pub-
bliche. Esistono, infatti, esempi virtuosi, di successo, non certo numerosi, che
mostrano che i sussidi pubblici sono stati utilizzati per migliorare la qualità
del servizio, della rete e non solo la qualità della vita dei dipendenti delle
aziende di trasporto. Alla pari di Viton, Obeng ritiene che l’incremento dei
chilometri e delle frequenze offerte non possono venire condannati aprioristi-
camente come, per certi versi fa Lave, esclusivamente alla stregua di inutili e
costose espansioni in territori a bassa domanda. Obeng stima che gli effetti
netti del sovvenzionamento pubblico sono positivi in termini di welfare, an-
che se di poco. I sussidi generano un incremento dei costi (noto fenomeno
della cattura), ma anche un moderato miglioramento degli outcomes del ser-
vizio. Ad aumentare non sarebbero solo gli stipendi e gli occupati ma anche i
servizi offerti, seppure in percentuale ridotta.
Solo recentemente, alla luce del peggioramento delle condizioni finan-
ziarie dei governi e della riduzione dei fondi a disposizione, la dimensione

14
Cfr. K. OBENG, 2011.

73
dell’efficienza e della riduzione dei costi torna ad occupare un posto centra-
le mettendo in “secondo piano” la questione degli outcomes15.
Come appare evidente da questi rapidi cenni il conflitto tra la dimensio-
ne soggettiva e politica, sintetizzata nell’efficacia sociale, nella creazione di
esternalità positive e la dimensione aziendale della performance del servi-
zio di trasporto pubblico, sintetizzata nell’efficienza, si solleva sin dalle
origini.
Una seconda chiave di lettura, strettamente collegata alla prima, lega la
crisi alla scarsa chiarezza e all’ambiguità degli obiettivi assegnati a tale
servizio. Finora abbiamo contrapposto obiettivi aziendali e obiettivi sociali,
presupponendo l’omogeneità di questi ultimi. In realtà, ad un esame più at-
tento, gli obiettivi di outcomes non sono omogenei tra di loro. La mancata
chiarezza sui differenti obiettivi sociali che dovrebbero essere assegnati al
servizio di trasporto pubblico ha contribuito non poco ad aggravare la crisi
finanziaria del servizio stesso. Occorre infatti distinguere non solo tra obiet-
tivi aziendali ed obiettivi sociali ma anche tra obiettivi sociali di copertura
delle aree territoriali a bassa domanda ed obiettivi sociali di lotta alla con-
gestione ed all’inquinamento. Si tratta di obiettivi differenti che hanno dif-
ferenti implicazioni di natura economico-finanziaria nel senso che non tutti
gli obiettivi sociali sono incompatibili con quelli aziendali.

2.3.2. Ridefinizione degli obiettivi sociali da assegnare al servizio di


trasporto pubblico locale e loro compatibilità con gli equilibri
economico-finanziari

Per quanto possa apparire strano, il problema di come coniugare obietti-


vi sociali e aziendali non è stato affrontato esplicitamente. In letteratura si
osservano, infatti, due distinti approcci che procedono in parallelo ignoran-
dosi a vicenda:
• l’approccio cosiddetto tecnico-ingegneristico, che guarda al servizio
di trasporto nel suo complesso al fine di incrementarne le performan-
ces strettamente tecniche, ossia di incremento degli utenti, di ridu-
zione dei tempi di attesa, ecc.. senza considerare in modo esplicito i
riflessi di tali miglioramenti sugli equilibri economico finanziari del-
le aziende16;

15
Cfr. R. BUHELER, J. PUCHER, 2011.
16
Cfr. G. NIELSEN et al., 2002.

74
• l’approccio cosiddetto economico-quantitativo17 che guarda alle
aziende e meno al servizio, che esclude dall’analisi la dimensione
degli outcomes, dell’efficacia e della qualità del servizio per concen-
trarsi in modo più deciso sulla sola dimensione dell’efficienza azien-
dale ritenuta più oggettiva e meno arbitraria. In queste analisi i bene-
fici e gli impatti del servizio non sono considerati. Prevalgono consi-
derazioni sull’efficienza dell’impiego delle risorse attraverso analisi
comparate (es. scarsa produttività del personale, eccesso di colletti
bianchi, eccessi di indennità e di benefit, basso numero di ore effetti-
ve di guida rispetto a quelle retribuite ecc.).

Solo recentemente è aumentata la consapevolezza di integrare i due ap-


procci, ossia di verificare la compatibilità di determinati obiettivi con gli
equilibri economico-finanziari delle aziende.
Tra gli studiosi che si sono occupati del tema, citiamo van de Velde18
che ha proposto il noto framework a tre livelli STO (Strategico, Tattico ed
Operativo) per valutare la complessiva performance del servizio, includen-
do anche quella economico-finanziaria e Walker19. Quest’ultimo, in parti-
colare, ha ribadito l’esigenza di distinguere i differenti obiettivi sociali as-
segnati al servizio. Gli obiettivi sociali che spesso si assegnano al servizio
di trasporto sono tra di loro differenti. Un cosa è la lotta alla congestione e
all’inquinamento e una cosa è la copertura di zone a bassa domanda. Fare
chiarezza sui differenti obiettivi sociali contribuisce anche a fare chiarezza
sui modi di copertura finanziaria più adeguati del servizio. L’autore in par-
ticolare ha proposto di esprimere in modo più chiaro gli obiettivi assegnati
alle aziende di trasporto ricorrendo ai concetti di patronage e di coverage.
L’obiettivo di patronage, ovvero l’obiettivo sociale di attrarre il maggior
numero di utenti allo scopo di decongestionare le città e di ridurre
l’inquinamento attraverso la progettazione di un servizio di trasporto di alta
qualità potrebbe essere perfettamente compatibile con quello di assicurare
economicità al servizio. In tal caso l’investimento di capitale potrebbe auto-
rigenerarsi come avviene in città come Londra, Zurigo, Monaco, Bogotà,
che rappresentano esempi di eccellenza di come il settore pubblico abbia
saputo creare allo stesso tempo valore sociale ed economico. In presenza di
determinate condizioni di contesto, prima fra tutte l’elevata densità abitati-
va, gli obiettivi sociali di riduzione della congestione e dell’inquinamento
17
Cfr. B. DE BORGER et al., 2002.
18
Cfr. D.M. VAN DE VELDE, 1999.
19
Cfr. J. WALKER, 2008.

75
non sono incompatibili con gli obiettivi aziendali di mantenimento delle
condizioni di equilibrio economico-finanziario. Cosa che non appare possi-
bile con riferimento alle aree a bassa densità di domanda, dove gli obiettivi
realisticamente raggiungibili sono solo quelli della minimizzazione dei co-
sti. Di qui un trade-off tra differenti obiettivi che impone una preliminare e
consapevole scelta politica di allocazione delle risorse scarse alla luce delle
differenti priorità. È prioritaria la lotta alla congestione nei centri densa-
mente popolati o, al contrario è più importante progettare una rete capillare
per collegare tra di loro tutte le aree anche quelle a bassissima domanda?
Gli obiettivi sociali di riduzione dell’inquinamento e di lotta alla conge-
stione e di riduzione del numero delle auto in circolazione si possono rag-
giungere, infatti, solo se gli utenti utilizzano in modo massiccio il trasporto
pubblico e se, allo stesso tempo, sono dissuasi dall’uso del mezzo privato
con apposite politiche pubbliche. E gli utenti lo utilizzeranno solo se sarà
un servizio di alta qualità, con elevate frequenze e scambi, con corsie dedi-
cate che le autorità pubbliche avranno reso disponibili. Può apparire sconta-
to ma la maggior parte dei servizi di trasporto esistenti assorbe enormi ri-
sorse per raggiungere generiche e indistinte finalità sociali di copertura ter-
ritoriale più che di attrazione dell’utenza. Alla luce di questa distinzione
potremmo affermare che autori come Lave, citati in precedenza, stavano in
realtà mostrando gli effetti negativi sull’efficienza di confuse politiche di
trasporto finalizzate all’espansione e alla mera copertura territoriale e non
all’incremento della qualità dello stesso. Si tratta, come visto, di politiche
che, però, assorbono risorse e che depotenziano il servizio nelle aree dove,
invece, dovrebbe essere migliorato. A tale scopo Walker20 propone di di-
stinguere chiaramente tra obiettivi di patronage e obiettivi di coverage e
conseguentemente di decidere quante risorse devono essere destinate al
raggiungimento degli uni piuttosto che degli altri. L’inefficienza lamentata
da molti studiosi in realtà trarrebbe origine dalla confusione, da un conflitto
non risolto tra differenti obiettivi sociali da perseguire in differenti contesti
ambientali e con differenti volumi di risorse. Un servizio di trasporto pro-
gettato e gestito principalmente per raggiungere obiettivi di inclusione terri-
toriale tra aree disomogenee (coverage) sebbene importante non consente
di raggiungere obiettivi di sostenibilità ambientale, quali la lotta alla conge-
stione, in aree densamente popolate. Di conseguenza, è necessario prelimi-
narmente studiare la natura del servizio in relazione ai contesti e alle risorse
disponibili. Le soluzioni tecniche da adottare per realizzare servizi di tra-

20
Cfr. J. WALKER, 2008.

76
sporto ispirati ad obiettivi di coverage dovrebbero essere valutate princi-
palmente in termini di efficienza. Le soluzioni tecniche da adottare per rea-
lizzare servizi di trasporto ispirati ad obiettivi di patronage dovrebbero es-
sere valutate non solo in termini di efficienza ma anche di redditività attesa.
Ciò faciliterebbe anche il coinvolgimento di privati che, attratti dalle pro-
spettive di alti rendimenti avrebbero tutto l’interesse ad investire e collabo-
rare con il soggetto pubblico nella predisposizione di un servizio di eccel-
lenza coordinato e integrato dal quale attendersi un ritorno sui capitali inve-
stiti.
In conclusione, la crisi finanziaria del servizio di trasporto pubblico, se-
condo questa breve rassegna potrebbe essere affrontata in modo più rigoro-
so tramite un uso più accorto dei sussidi in relazione ad una più chiara defi-
nizione degli obiettivi di outcome da perseguire in relazione ai differenti
contesti territoriali. Espansioni irragionevoli e utopistiche del servizio in
aree a bassa domanda hanno sottratto risorse utili per potenziare il servizio
nelle aree ad alta domanda generando a livello complessivo un calo genera-
lizzato nell’utenza e un incremento dei deficit.

2.4. L’aziendalità del servizio di trasporto pubblico espressa at-


traverso gli indicatori di performance

Come visto nei precedenti paragrafi il declino nell’uso del trasporto col-
lettivo, attribuibile in larga parte a fattori esterni (l’ascesa dell’auto priva-
ta), non ha portato al ridimensionamento del servizio ma, al contrario, ad
una sua espansione. Ciò è stato possibile grazie alla volontà da parte dei
governi di considerare il trasporto collettivo come un investimento di natu-
ra strategica funzionale, seppure in modo confuso, alla lotta alla congestio-
ne e ad altri fini sociali e ambientali21. Ciò ha provocato una prevaricazione
della dimensione sociale nel suo complesso su quella aziendale con una
conseguente massiccia iniezione di capitali sotto forma di sussidi che hanno
avuto l’effetto di privare di significato concetti quali efficienza ed equili-
brio economico-finanziario. Molti sono, infatti, i dubbi sul fatto che tali
sussidi abbiano contribuito a migliorare il servizio da un punto di vista qua-
litativo e quantitativo, che abbiano creato valore pubblico. Numerose ricer-
che segnalano un peggioramento dell’efficienza ed un incremento di costi
più che un miglioramento dell’attrattività dello stesso. In tempi di crisi co-

21
Cfr. O. BUCCI, 2006.

77
me quelli che stiamo attraversando non è, però, più possibile proseguire con
politiche del genere. Diventa fondamentale recuperare la dimensione azien-
dale attraverso politiche che promuovano la sopravvivenza del servizio at-
traverso la ricerca dell’autonomia economica e finanziaria. Per fronteggiare
la riduzione dei sussidi pubblici, infatti non sarà più possibile incrementare
i debiti ma sarà obbligatorio ridurre i costi per ritrovare l’equilibrio econo-
mico e per sopravvivere. Per fare ciò sarà necessario un forte cambiamento
culturale perché si tratterà di adottare logiche e tecniche output-oriented e
non solo outcome-oriented come è avvenuto nel passato. Per dare avvio al
cambiamento, per implementare efficacemente quella che potremmo defini-
re la svolta aziendalistica nel trasporto pubblico locale sarà fondamentale,
tra gli altri, assicurare la massima trasparenza e visibilità ai vari indicatori
che esprimono la performance di tali aziende. Quali sono le dimensioni ri-
levanti che devono essere rese visibili e che recuperano, come più volte
scritto in precedenza, la dimensione aziendale? Il New Public Manage-
ment22, come sappiamo, ha fatto della lotta contro l’ambiguità degli obietti-
vi (goal ambiguity), la burocrazia, la scarsa efficienza e produttività la sua
principale raison d’etre. Uno degli elementi centrali di tali riforme è il co-
siddetto performance management, la gestione, appunto, per obiettivi e ri-
sultati. Di qui l’insistenza sulla chiara definizione di obiettivi, di target e di
indicatori di performance per legare in modo più chiaro le azioni ai risultati
e per rendere più efficaci le azioni correttive che si dovessero ritenere ne-
cessarie. Per rendere meno ambigui e per ridurre il grado di soggettività de-
gli obiettivi delle aziende pubbliche numerosi modelli sono stati elaborati
per concettualizzare in modo più accurato la performance di tali aziende
nelle sue molteplici dimensioni. Come Boyne (2002) osserva alla base di
tutti questi modelli (es. Balanced Scorecard) ve ne sono due fondamentali
che sono tra di loro collegati ma non perfettamente sovrapponibili. Si tratta
del modello delle 3E, Economicità, Efficienza ed Efficacia e il modello
IOO, Input, Outputs, Outcomes. Le dimensioni rilevanti da rendere visibili
e che recuperano la dimensione aziendale vanno trovate nell’integrazione di
questi due modelli di base. Con riferimento al modello delle 3E, per eco-
nomicità si intende principalmente la spesa necessaria per acquisire gli in-
puts. Se a prima vista può apparire sensato darsi come obiettivo la riduzio-
ne delle spese di acquisizione degli inputs, ad un’analisi più attenta appare
evidente come una spesa alta o bassa di per sé non dica nulla circa gli stan-

22
Per un’analisi dell’impatto del New Public Management in sulla Pubblica Ammini-
strazione in Italia cfr. M. SARGIACOMO (2013).

78
dard, alti o bassi, dei servizi offerti. Per tali motivi gli studiosi tendono a
non considerare troppo tale termine, che pure è presente nella terna, a causa
dell’estrema soggettività politica con la quale i differenti livelli di spesa so-
no decisi, preferendo concentrarsi, invece, sugli altri due, efficienza ed effi-
cacia. L’efficienza può essere intesa in senso tecnico, come il costo per uni-
tà di output (es. costo per km) o in senso allocativo come rispondenza del
servizio ai bisogni dell’utenza. In questo secondo senso l’efficienza alloca-
tiva fa riferimento alla soddisfazione dell’utenza. Di solito si usa nel primo
senso. L’efficacia può essere intesa in tanti modi ma l’interpretazione pre-
valente è quella legata al raggiungimento degli obiettivi formali che
l’azienda si pone. L’informazione sul raggiungimento degli obiettivi forma-
li (es. erogare un determinato numero di km di servizio di trasporto, servire
una determinata percentuale di utenti sul territorio) è necessaria ma non
sufficiente per valutare la performance delle aziende produttrici di servizi
pubblici. Qui si ferma il modello delle 3E. Per ovviare a tali lacune il mo-
dello IOO offre un più ampio numero di criteri per valutare in modo più ac-
curato e completo tale performance. Tale modello include il precedente del-
le 3E ma rende esplicite alcune dimensioni, soprattutto dell’efficacia che
erano implicite nel primo. Gli inputs sono equivalenti alla prima E e sono
soggetti alle stesse critiche. Gli outputs e gli outcomes occupano una posi-
zione centrale. Gli outputs ricomprendono la quantità e la qualità degli out-
put erogati, riflettono cioè le caratteristiche quali-quantitative del servizio
offerto. L’efficienza può essere espressa come rapporto tra outputs e inputs.
Gli outcomes includono a loro volta non solo l’efficacia formale ma esplici-
tano anche quella sostanziale, ovvero gli impatti che il servizio ha avuto
sulla collettività. Ad esempio, si tratterà di valutare non solo la quantità di
km erogati ma anche il numero di passeggeri che ha utilizzato il bus.
L’informazione sul consumo del servizio di trasporto è altrettanto impor-
tante e rappresenta un impatto del servizio. Un altro vantaggio del modello
IOO è che lega inputs e outcomes, ovvero l’inizio e la fine del processo.
Ciò consente di esprimere giudizi in termini di value for money. Nel caso
specifico, se per valore si intende il numero di passeggeri che hanno effetti-
vamente usato il servizio (obiettivo sostanziale del servizio di trasporto),
possiamo valutare quanto è costato approntare un servizio che ha soddisfat-
to un preciso numero di utenti e non solo una determinata percentuale (po-
tenziale) di utenti residenti in un determinato territorio (obiettivo formale
del servizio di trasporto). Ulteriori considerazioni potrebbero essere fatte
circa l’inclusione di ulteriori dimensioni quali, ad esempio, la soddisfazione
del personale e non solo dell’utenza, la valutazione delle aziende pubbliche
non solo come provider di servizi ma come istituzioni democratiche dove la

79
correttezza, l’accountability, la lotta alla corruzione, le pari opportunità as-
sumono lo stesso rilievo, se non maggiore di quello accordato alla dimen-
sione economica. In tal senso il value for money, il valore pubblico com-
plessivo creato dovrebbe includere anche quella parte di valore che sia
espressione del rispetto delle pratiche democratiche. Ciò detto, rimane co-
munque centrale far risaltare e dare visibilità, in questa sede al valore
aziendale che rappresenta una significativa quota del valore pubblico com-
plessivamente creato. Una delle prime e più note applicazioni di tali concet-
ti generali al settore del trasporto pubblico è quella di Fielding et al. (1978)
sintetizzata di seguito:

Inputs, Outputs ed Outcomes delle aziende di TPL


SERVICE INPUTS (labor, capital, fuel)

Cost-efficiency Cost-effectiveness

Service effectiveness
SERVICE OUTPUTS SERVICE CONSUMPTION
Vehicle-hours Passengers
Vehicle km Passengers-km
Capacity-km Operating revenues

Fonte: adattato da Fielding et al. (1978)

La figura mostra, in estrema sintesi, in che modo gli inputs ovvero le ri-
sorse acquisite (lavoro, capitale tecnico – bus – e carburante) si trasformano
in outputs e in outcomes. Tale trasformazione deve avvenire nel rispetto
dell’efficienza e dell’ efficacia. Come detto in precedenza sono questi i carat-
teri fondamentali dell’aziendalità che devono essere visibili e diventare og-
getto di valutazione. Come tutti i servizi pubblici, anche il servizio di traspor-
to deve essere distribuito sulla base del bisogno avvertito dall’utenza e non
sulla base della preventiva individuazione della disponibilità a pagarlo ed ap-
pare evidente che il soggetto pubblico offre una distribuzione territoriale del
servizio diversa da quella offerta dal mercato. In ogni caso anche se l’offerta

80
è stata progettata prevalentemente per rispondere a criteri di equità territoria-
le, i criteri che devono ispirare l’utilizzo delle risorse rimangono sempre
quelli dell’efficienza e dell’efficacia. Gli outputs sono di tipo prevalentemen-
te quantitativo. Le ore-bus, i km-bus e i posti-km rappresentano indicatori di
offerta del servizio. Il numero di passeggeri, il numero di passeggeri per km e
i ricavi operativi indicano il grado di utilizzo del servizio da parte dell’utenza
e i ricavi da traffico derivanti da tale utilizzo. Il rapporto tra inputs e outputs
esprime l’efficienza del servizio (il costo per offrire un’ora di servizio, il co-
sto per percorrere un km, il costo per trasportare un determinato numero di
persone per km). Il rapporto tra consumi e inputs esprime in senso stretto il
value for money, il risultato ottenuto dall’investimento. L’investimento ha
prodotto un determinato numero di passeggeri, un determinato numero di
passeggeri per km ed infine determinati ricavi operativi. Il rapporto tra out-
comes e outputs esprime più in generale l’efficacia del servizio ovvero la ca-
pacità mostrata dal management, attraverso le scelte di quanti km di servizio
offrire, con quali frequenze, con quale capacità disponibile in termini di po-
sti-km, di attrarre passeggeri e, quindi, ricavi. Il numero dei passeggeri è im-
portante perché il suo incremento in senso assoluto è compatibile con una
molteplicità di obiettivi sociali che si assegnano al servizio di trasporto (de-
congestionare e disinquinare le città). Appare evidente che se gli obiettivi as-
segnati al servizio di trasporto pubblico sono prevalentemente di coverage, la
valutazione dell’efficienza (cost efficiency) assumerà una posizione centrale.
Se gli obiettivi assegnati al servizio di trasporto pubblico sono, invece, di pa-
tronage la valutazione della qualità del servizio offerta (service-effectiveness)
sarà più importante perché è da questa che dipenderà l’incremento dei pas-
seggeri e dei conseguenti ricavi.
Alla luce di quanto sopra, possiamo esplicitare quattro distinte dimen-
sioni che esprimono l’aziendalità23 del servizio: la produttività, l’efficienza
in senso stretto, la qualità e l’equilibrio economico-finanziario. Esaminia-
mole in quest’ordine.

2.4.1. Produttività
Per produttività del servizio intendiamo la capacità delle aziende di tra-
sporto di massimizzare il loro outputs a parità di risorse impiegate.
La produttività in economia può essere definita, in via di prima appros-
simazione, come il rapporto tra la quantità di output e le quantità di uno o

23
Cfr. G. PAOLONE, L. D’AMICO, 2008.

81
più inputs utilizzati per la sua produzione. Da tale punto di vista un aumen-
to di produttività può essere visto genericamente come un risparmio di in-
puts in termini fisici, sia esso dovuto a progresso tecnico, miglioramento
dell’efficienza produttiva ricollegabile ad economie di scala, riduzione del-
la capacità produttiva inutilizzata o ad altro. Analizzando nello specifico le
aziende di trasporto pubblico locale, i fattori da considerare come input so-
no rappresentati dai dipendenti, in particolare principalmente autisti e per-
sonale di bordo, dai mezzi e dal carburante, dalle ore di servizio effettiva-
mente prestato. Invece, con riferimento ai fattori di output, l’indicatore di
capacità produttiva maggiormente significativo è rappresentato dai chilo-
metri offerti o erogati, che possono, quindi, essere considerati come
l’output finale principale del servizio di trasporto pubblico assieme alle ore
di servizio. La letteratura mostra come la produttività delle aziende pubbli-
che di TPL (misurata attraverso gli indicatori km per addetto oppure ore di
servizio effettive per addetto), sia più bassa di quella delle aziende private24
grazie principalmente alla forza esercitata dai sindacati25.
Mettendo in relazione tra loro i fattori di input e quelli di output diviene
possibile ricavare degli indicatori idonei ad analizzare la produttività delle
aziende di trasporto pubblico locale.
Alcuni degli indicatori che meglio analizzano la produttività derivano
dal rapporto tra i ricavi ed il numero totale dei dipendenti. Allo scopo di
rendere maggiormente significativa l’analisi, diviene fondamentale suddi-
videre ulteriormente i ricavi nella componente pubblica e privata. In questo
modo si ottengono tre differenti indicatori, vale a dire ricavi totali su nume-
ro di dipendenti, ricavi da traffico su numero di dipendenti ed infine i ricavi
pubblici o sussidi su numero di dipendenti.
Un altro indicatore particolarmente significativo si ottiene mettendo in
relazione i chilometri erogati con il numero dei dipendenti, in questo modo
si indaga il quantitativo di chilometri prodotti da ciascun dipendente, nello
specifico da ciascun autista. Così facendo si può valutare anche l’eventuale
eccesso di input, rappresentato dagli autisti, in relazione al quantitativo di
output prodotto, vale a dire i chilometri erogati.
L’indicatore che pone a rapporto i chilometri erogati con il numero di
automezzi, alla stregua di quanto già descritto per l’indicatore precedente,
mette in luce il quantitativo di chilometri prodotti da ciascun automezzo.
Conseguentemente diviene semplice individuare eventuali eccessi dal punto

24
Cfr. M. KARLAFTIS, P. MCCARTHY, 1999.
25
Cfr. C. LAVE, 1991.

82
di vista numerico della flotta a disposizione dell’azienda di trasporto.
Infine, rapportando i ricavi totali con il numero di automezzi a disposi-
zione dell’azienda, si ottiene l’indice di produttività per automezzo, per
mezzo del quale è possibile investigare l’ammontare del ricavo prodotto da
ciascun automezzo. Come visto per gli indicatori di produttività per dipen-
dente, è possibile rendere maggiormente particolareggiata l’analisi suddivi-
dendo i ricavi totali nelle sue due componenti, quella pubblica e quella pri-
vata. Potremmo anche calcolare la percentuale dei veicoli operanti nelle ore
di punta per capire il grado di dimensionamento della flotta rispetto alla
domanda massima.
La Tabella 2.1 riepiloga gli indicatori di produttività che sono stati ap-
pena descritti.
Tab. 2.1 – Indici di Produttività
Classe di indicatore Formula

Ricavi Totali / Numero Dipendenti

Ricavi Privati / Numero Dipendenti


Indici di produttività per dipendente
Ricavi Pubblici / Numero Dipendenti

Km annuali totali/ Numero Autisti

Ricavi Totali / Numero Automezzi

Ricavi Privati / Numero Automezzi

Indici di produttività per automezzo Ricavi Pubblici / Numero Automezzi

Km annuali totali /Numero Automezzi

Km Erogati / Numero Automezzi

2.4.2. Efficienza
Il trasporto pubblico locale in Italia è sempre stato considerato un merit
good, difficile da regolare in chiave efficientistica26 e il cui consumo è stato
favorito attraverso il mantenimento di basse tariffe per gli utenti e lo stan-
ziamento di elevati contributi a favore delle aziende pubbliche27. L’utilizzo

26
Cfr. M. PONTI, 2006.
27
Cfr. L. D’AMICO, R. PALUMBO, 2008.

83
indiscriminato dei sussidi erogati ex post è stato, infatti, di ostacolo al mi-
glioramento dell’efficienza contribuendo alla creazione di disavanzi di bi-
lancio degli operatori crescenti nel tempo28.
In termini generali l’efficienza può essere intesa come la capacità di ri-
durre il consumo di inputs, di fattori, di risorse a parità di output ottenuti.
Nelle aziende di trasporto i principali fattori di input sono individuabili ne-
gli automezzi, nel carburante e nei dipendenti, costituiti in maniera prepon-
derante dagli autisti. Invece, dal lato degli output, è possibile individuare i
cosiddetti chilometri offerti o erogati, nonché le ore di servizio. A parità di
outputs, come detto, è più efficiente chi consuma meno inputs.
Conseguentemente è possibile indagare l’efficienza delle aziende di tra-
sporto servendosi di una serie di appositi indicatori.
Gli indicatori di efficienza maggiormente significativi pongono in rela-
zione ciascuna classe di costo con il numero dei dipendenti, nonché con il
numero degli automezzi, con il numero di km e con il numero di ore. Nello
specifico si ricava l’indicatore dato dal rapporto tra i costi totali della pro-
duzione ed il numero dei dipendenti, il quale permette di conoscere il costo
unitariamente generato da ciascun dipendente. L’indicatore dato dal rappor-
to tra il costo del lavoro ed il numero dei dipendenti descrive il costo del
lavoro unitario per addetto.
Volendo rapportare, invece, ciascuna tipologia di costo con il numero
degli automezzi si ottengono due interessanti indicatori dati dal rapporto tra
costi della produzione e automezzi e da costi esterni ed automezzi. Altri in-
dicatori sono il costo orario per vettura dato dal rapporto tra i costi della
produzione e le ore vettura effettive ed il costo per km erogato.
La Tabella 2.2 mostra un quadro riassuntivo degli indicatori di efficien-
za appena enunciati.
Tab. 2.2 – Indici di Efficienza
Classe di indicatore Formula
Costi della Produzione / N° Dipendenti
Indici di efficienza per dipendente Costo del Lavoro / N° Dipendenti
Costo Esterni / N° Dipendenti
Costi della Produzione / N° Automezzi
Indici di efficienza per automezzo Costi Esterni / N° Automezzo
Costi della produzione/ ore vetture
Indici di efficienza per chilometro Costi della produzione / Km

28
Cfr. E. VENEZIA, 2005.

84
2.4.3. Qualità

Il miglioramento della qualità del servizio di trasporto è diventato una


condizione necessaria per assicurare al servizio la possibilità di sopravvive-
re in condizioni di equilibrio. Assume un ruolo strategico soprattutto nei
casi in cui le autorità politiche intendano perseguire obiettivi di patronage,
ossia di incremento del numero degli utenti.
Con particolare riferimento agli utenti, la qualità del servizio di traspor-
to passa attraverso degli specifici parametri sulla base dei quali risulta pos-
sibile valutare l’effettiva qualità del servizio offerto. Tra questi parametri, è
possibile individuarne alcuni che possono essere considerati maggiormente
significativi, quali:
• comfort;
• puntualità e regolarità del servizio, come pure la frequenza delle corse;
• coordinamento ed integrazione del servizio;
• informazione e comunicazione;
• integrazione tariffaria.
Con riferimento al comfort dei mezzi di trasporto, è indubbio il ruolo gio-
cato dall’abbassamento dell’età media della flotta attraverso l’acquisizione di
bus di nuova generazione dotati di tutti gli aggiornamenti consentiti dalla
tecnologia (collegamenti wireless ecc.).
La puntualità e regolarità del servizio, nonché la frequenza delle corse
sono dei parametri che possono essere ricondotti al più ampio concetto di
velocità commerciale media. Se si incrementa la velocità commerciale me-
dia aumenta allo stesso tempo l’attrattività dello stesso e l’efficienza attra-
verso la riduzione del costo complessivo. Un altro elemento centrale è dato
dall’integrazione e dalla coordinazione, dalla possibilità cioè di utilizzare
un’intera rete attraverso un sistema di scambi come avviene ad esempio nei
casi di maggiore successo come Zurigo, Monaco, Berlino, Parigi.
La qualità del servizio di trasporto passa anche attraverso la comunica-
zione tempestiva relativa agli orari, alle frequenze, ai nodi di scambio.
L’integrazione tariffaria attraverso sistemi di bigliettazione elettronica
(smart cards) rappresentano, infine, ulteriori elementi di miglioramento del-
la qualità. I risultati derivanti dall’applicazione di tali leve possono essere
sintetizzati dall’indicatore dato dal rapporto servizio consumato/servizio
offerto (passeggeri-km/vetture-km).
Altri indicatori sono il fattore di carico (load factor), il numero di inci-
denti per anno/bus/autista, la percentuale di popolazione servita, la percen-
tuale di soggetti dipendenti (captives) servita, la percezione dell’utente sui
vantaggi nell’utilizzare il mezzo pubblico rispetto al mezzo privato, la fre-

85
quenza del servizio, l’affidabilità del servizio, la velocità dello stesso nel
senso di ridurre quanto più possibile il tempo che intercorre tra l’origine e
la destinazione del viaggio, il numero di reclami, la percentuale di arrivi in
orario, il grado di interconnessione e di transfert all’interno della rete, la
tempestività e l’aggiornamento delle informazioni di viaggio, ecc.29

2.4.4. Equilibrio economico-finanziario

Le condizioni di equilibrio sono quelle che consentono all’azienda di dura-


re nel tempo e di mantenere una situazione di relativa autonomia, permetten-
dole così di continuare a perseguire le proprie finalità istituzionali. L’e-
quilibrio30 va esaminato sotto diversi profili, proprio per questo motivo risulta
possibile distinguerne diverse nozioni, vale a dire equilibrio economico31, pa-
trimoniale, finanziario e monetario. Le aziende di trasporto pubblico nel corso
del tempo, a causa del prevalere di finalità sociali, hanno fatto ricorso preva-
lentemente a sussidi pubblici per garantirsi la sopravvivenza. Come visto in
precedenza un politica di tal genere ha prodotto deficit non più sostenibili ed è
giunto il momento anche per queste aziende di intraprendere un percorso di
miglioramento per ritrovare gradualmente nel tempo l’autonomia e per resti-
tuire significato agli indicatori di efficienza e di efficacia.
Un primo passo in questa direzione è stato compiuto dalla legge 204 del
1995 che ha introdotto il cosiddetto coefficiente di esercizio, ovvero un in-
dicatore standard di settore per misurare la capacità di copertura, da parte
dei cosiddetti ricavi da traffico, ossia i ricavi derivanti dalla vendita di bi-
glietti ed abbonamenti, dei costi di produzione. In particolare, la regola-
mentazione contenuta nel decreto legislativo 400 del 1999 ha previsto che
le politiche tariffarie siano definite nella prospettiva di favorire il rispetto
del vincolo della copertura, da parte dei ricavi da traffico, di almeno il 35%
dei correlati costi di produzione, al netto dei costi di infrastruttura. Conse-
guentemente, nel caso in cui l’azienda non riuscisse a coprire attraverso i
ricavi da traffico il 35% dei costi di produzione, l’ente locale, almeno in
teoria, si troverebbe obbligato a rivedere l’entità del sussidio erogato o ad-

29
Cfr. L. ANSELMI, 2010.
30
Cfr. G. PAOLONE, L. D’AMICO, 2008.
31
L’equilibrio economico è direttamente connesso sia alla capacità di acquisire i fattori
produttivi necessari, che alla costruzione di un adeguato patrimonio in grado di permettere
all’azienda di mantenere ed accrescere le molteplici condizioni operative e strategiche per il
conseguimento delle finalità proprie.

86
dirittura, in alcuni casi estremi, a sospendere l’erogazione del sussidio stes-
so32. Si tratta di disposizioni di fatto non attuate ma che rappresentano co-
munque un passo importante. Recentemente sono state previste ulteriori
misure per consolidare tale processo di riconquista dell’autonomia, quali la
reintroduzione dei costi standard, la riprogrammazione del servizio da parte
delle regioni per esplicitare meglio gli obiettivi ad esso assegnati (patrona-
ge, coverage), la riorganizzazione del servizio attraverso accorpamenti e
fusioni e la rimozione dei vertici manageriali e politici con l’introduzione di
commissari ad acta qualora gli obiettivi di miglioramento non siano rag-
giunti.
Alla luce di tali previsioni una serie di indicatori di equilibrio tornereb-
bero a riacquistare significato. Tra questi al primo posto non possiamo non
citare il reddito di esercizio che dovrà tornare ad essere positivo.
Altri indicatori più analitici che hanno il compito di qualificare meglio il
significato del reddito di esercizio includono il rapporto tra ricavi da traffi-
co su sussidi per capire il grado di dipendenza da fonti esterne. Nel futuro
le aziende di TPL dovranno incrementare i ricavi da traffico e diminuire la
dipendenza dai sussidi. La ridotta dipendenza dai sussidi potrebbe essere
letta anche attraverso l’incremento di ricavi diversi da quelli da traffico. Po-
tremmo in tal modo individuare un indice di autonomia, il quale, mettendo
a rapporto i ricavi totali, escluso l’ammontare dei contributi, ed i costi tota-
li, permetterebbe di valutare la capacità dell’azienda di porre in essere una
strategia di diversificazione dei ricavi.
Dopo il reddito di esercizio, il reddito operativo, dato dalla differenza
tra i ricavi (inclusivi anche di altri ricavi e non solo quelli da traffico) ed i
costi operativi, diventerà allo stesso modo fondamentale così come l’indice
ROS, Return On Sales, il quale scaturisce dal rapporto fra il reddito opera-
tivo e i ricavi, il ROI dato dal rapporto tra reddito operativo e capitale com-
plessivamente investito e il ROE dato dal rapporto tra reddito netto e capi-
tale netto.
In ultimo, ma non per importanza, la determinazione del cash flow, as-
sumerà un valore ancora più decisivo per le sorti di tali aziende.
La Tabella 2.3 offre un riepilogo di quanto sopra succintamente descrit-
to. L’economicità complessiva sarà più approfonditamente descritta e ana-
lizzata nel capitolo successivo.

32
Cfr. C. IAIONE, 2008.

87
Tab. 2.3 – Indicatori di equilibrio economico-finanziario

I ndice Formula
Reddito di esercizio Ricavi totali - Costi totali
Indice di Autonomia Ricavi totali (esclusi sussidi) / Costi totali
Reddito operativo Ricavi operativi - Costi operativi
ROI Reddito operativo / Capitale investito
ROS Reddito operativo / Ricavi
ROE Reddito netto / Capitale netto
Cash flow Entrate totali - Uscite totali

88
3. MISURAZIONE DELLA PERFORMANCE
E LIMITI DEL REDDITO CONTABILE

3.1. I limiti del concetto di reddito contabile nelle società a parte-


cipazione pubblica e l’urgenza di altri misuratori di perfor-
mance

Scopo della contabilità economica è la misurazione della variazione del-


la ricchezza complessiva di una data entità in un dato intervallo di tempo1.
Nella sua applicazione al modello di financial reporting delle società di ca-
pitali tale affermazione trova due limitazioni:
a) la prima relativa ai soggetti nella cui prospettiva si definisce la ric-
chezza;
b) la seconda relativa ai rapporti tra la misurazione della produzione e
la misurazione della fruizione di tale ricchezza.
Quanto alla prima limitazione, i soggetti rispetto ai quali la contabilità
economica definisce la ricchezza sono quelli rispetto ai quali l’equazione
fondamentale della contabilità economica (A-P=N) definisce il concetto di
1
«Ogni sistema di contabilità, per definizione, assume ad oggetto una grandezza com-
mensurabile e mutabile» (D. AMODEO, 1950) e ne misura la variazione complessiva in un
dato intervallo di tempo, attraverso la rilevazione delle variazioni elementari generate da
singoli eventi. Nelle contabilità di magazzino, ad esempio, la grandezza oggetto è la giacen-
za di materie e gli eventi da rilevare sono i carichi e gli scarichi. Nel sistema della contabili-
tà finanziaria la grandezza assunta ad oggetto è, invece, la “ricchezza finanziaria”, intesa
come somma algebrica di cassa, banca, crediti e debiti e gli eventi da rilevare sono tutti
quelli, e “solo” quelli, che generano entrate o uscite (F. CAPALBO, in corso di pubblicazio-
ne). La scelta dell’oggetto naturalmente non è casuale, ma, come opportunamente già rileva-
to in letteratura (cfr. E. BORGONOVI, 1984; E. ANESSI PESSINA, 1993) è funzione delle diver-
sa finalità assegnate alla contabilità pubblica cui si chiede sostanzialmente di esprimere
«l’equilibrio tra ricchezza prelevata dall’azienda pubblica in virtù dei poteri sovraordinati e
ricchezza impegnata dall’azienda stessa per lo svolgimento delle proprie funzioni» (E. BOR-
GONOVI, 2005).

89
Netto, e quindi con riferimento al bilancio delle società di capitali si tratta
solo degli azionisti e solo nella loro qualità di proprietari dei diritti residuali
sul Netto, ovvero su quello che resta delle Attività dopo aver coperto le
Passività. Ne consegue che:
a) se la società crea valore per altri soggetti, quali ad esempio eventuali
operatori economici che operano sul territorio o più in generale con-
corre al miglioramento del reddito pro capite dell’area (il c.d. indot-
to) tanto è consapevolmente ignorato dal modello;
b) se la società crea valore per l’azionista attraverso meccanismi diffe-
renti dalla distribuzione di dividendi o dalla alienazione delle quote,
come ad esempio nel caso in cui concede loro notorietà spendibile in
altri campi (si pensi ai soci delle società di calcio), del pari tale valo-
re è ignorato dalla contabilità.
Quanto alla seconda limitazione, la contabilità economica si basa sulla
netta distinzione tra fase della produzione di ricchezza realizzata dell’a-
zienda, e fase della erogazione di tale ricchezza ai soggetti rispetto ai quali si
definisce il netto (in generale gli azionisti). Il valore deve prima affluire
all’azienda e poi può essere erogato. Una attività è tale se genera flussi di
cassa per l’azienda, e l’azionista beneficerà poi di tali flussi quando gli ver-
ranno distribuiti come dividendi. In tal modo entrambi i flussi, sia quello in
ingresso che quello in uscita verranno tracciati contabilmente. Diversamente,
nel caso in cui l’azionista dovesse utilizzare direttamente una attività azien-
dale, l’incremento di ricchezza che egli ne deriverebbe sarebbe completa-
mente ignorato dalla contabilità, e, di conseguenza, i risultati di sintesi che
questa produce non sarebbero più in grado di offrire una misurazione ragio-
nevole dei vantaggi o dei danni che egli ha tratto dalla partecipazione in quel-
la società. La contabilità della società rileverà infatti i costi di acquisto e di
mantenimento della attività usata direttamente dal socio ma non avrà per con-
tro alcun ricavo. Tali costi sono di fatto erogazioni di utili, ma evidentemente
esiste la convenienza fiscale a trattarli come tali e questo spiega in larga parte
i motivi per i quali gran parte delle aziende familiari chiudono in perdita. La
fase della erogazione del valore creato viene anticipato attraverso l’uso diret-
to delle attività dell’azienda o anche attraverso il pagamento di enormi com-
pensi e retribuzioni per soci che sono formalmente assunti come dirigenti o
semplici dipendenti senza però realmente lavorare per l’azienda. Si tratta,
evidentemente, di una prassi non corretta e discutibile anche sotto il profilo
fiscale in quanto tali costi non sarebbero pertinenti all’attività aziendale. Nel-
la permanenza del fenomeno, il problema, sotto il profilo contabile, potrebbe
semplicemente risolversi stabilendo una tariffa per la fruizione diretta delle
attività di modo che l’azienda potrebbe rilevare un ricavo e, corrispondente-

90
mente, un credito verso gli azionisti che poi, sotto profilo finanziario, potreb-
be eventualmente compensarsi poi con il debito derivante dalla decisione di
distribuire dividendi, al fine di evitare inutili passaggi di denaro.
Le due limitazioni appena descritte appaiono particolarmente rilevanti
quando i soci sono pubblici e le società sono effettivamente destinate
all’adempimento dei fini istituzionali delle amministrazioni.
Quanto alla prima limitazione, gli stretti confini del riferimento per la in-
dividuazione del valore creato e la conseguente impossibilità di considerare i
vantaggi dell’indotto per il territorio è tanto più grave proprio quanto più isti-
tuzionale è il fine dell’azienda. Anche se la specifica azienda è in perdita
l’investimento può essere comunque conveniente nell’ottica dell’ammini-
strazione se i ritorni economici per il territorio sono superiori alla perdita così
subita. In altri termini, la perdita se vissuta come un costo netto per sviluppa-
re economicamente un territorio è accettabile fin tanto che genera probabili
ritorni almeno superiori alla sua entità. Tuttavia, il limite descritto appare en-
demico a qualsiasi modello di misurazione di stampo microeconomico e
qualsiasi adattamento si voglia proporre non porterà probabilmente mai ad
una piena soluzione del problema. Di certo alcune correzioni si potrebbero
apportare, quali ad esempio quelle legate ad una diversa analisi dell’IRAP
pagata dalle società partecipate dalla regione che, contabilmente, è trattata
come costo, ma la cui natura nella prospettiva del socio è probabilmente
quella di una distribuzione di utili. Verosimilmente per avere una soluzione
soddisfacente al problema in discussione occorrerebbe estendere l’analisi fi-
no a inglobare strumenti di stampo più macroeconomico e si ritiene pertanto
opportuno rimandare la discussione ad altra sede.
Quanto alla seconda limitazione la fruizione diretta da parte dei soci è
spesso di fatto connaturata alle prestazioni svolte dalle società partecipate.
Nel settore delle utilities, ad esempio, i soggetti rispetto ai quali il patrimo-
nio deve essere misurato sono in ultima analisi i cittadini del posto e quindi,
in definitiva, coincidono con clienti che fruiscono del servizio prodotto.
Certo in questi casi esiste generalmente una tariffa che quindi, per quanto
detto in precedenza, potrebbe risolvere il problema offrendo una forma di
misurazione del valore creato, ma se, come generalmente accade, tale tarif-
fa generalmente non rispecchia il valore equo della prestazione erogata il
problema è solo parzialmente risolto. Si assiste, pertanto, comunque ad una
anticipazione del processo erogativo e la contabilità non è più in grado di
intercettare il valore creato dalla società a fronte di quello consumato per la
acquisizione dei fattori produttivi che invece sarà stato correttamente indi-
viduato. Tanto inficia fortemente la tradizionale valenza del reddito come
indicatore della perfomance. Ma la problematica non è ignota alla prassi

91
aziendale ed è sostanzialmente risolvibile. Occorre ragionare su correttivi
in grado di isolare contabilmente il “costo” della fruizione anticipata, indi-
viduandolo magari per differenza rispetto al prezzo che si sarebbe dovuto
richiedere in condizioni normali. In questo senso può essere la stessa espe-
rienza del settore privato a offrire soluzioni, dal momento che anche tale
settore, è frequente che si realizzi una sostanziale coincidenza tra soci e
fruitori del servizio. Questo, tipicamente, accade in tutte le ipotesi di inte-
grazione verticale in cui una azienda compra il proprio fornitore. A quel
punto, il cliente, ormai proprietario del fornitore, decide in via unilaterale i
prezzi delle proprie forniture e se li definisce in modo irrispettoso del valo-
re del servizio fornito, anticipa la fase della fruizione del valore creato dalla
azienda fornitrice inquinandone anche la significatività del bilancio.
Esistono quindi una serie di tecniche volte a definire tali valori che, noti
come “transfer prices”, prestandosi all’uso di veicoli per il trasferimento di
ricchezza tra diversi soggetti di imposta trovano larga applicazione anche in
campo tributario. Contabilizzando il ricavo ideale in base al transfer price
nel valore della produzione, la differenza con il ricavo reale dato dalla tarif-
fa effettivamente pagata, potrebbe poi essere evidenziato a parte, nel valore
della produzione col segno meno o tra i costi della produzione, per essere
poi disponibile per una riclassificazione che tenda a restituire al risultato di
esercizio anche la quota di valore creato ma ceduto gratuitamente ai soci.
Altre volte, a privare il reddito contabile della sua tradizionale capacità
di misurare la performance non è la scelta di anticipare la fase erogativa
adottando prezzi di cessione inferiori a quelli equi, ma piuttosto la partico-
lare struttura dei settori in cui tipicamente operano le società partecipate. In
condizioni normali di mercato i ricavi sono tarati sui costi medi di produ-
zione ed i clienti hanno una alternativa rispetto a diversi fornitori. Pertanto
se una azienda produce a prezzi più alti (inefficiente) prima o poi chiude in
perdita ed, allo stesso modo, se pur essendo efficiente nell’uso delle proprie
risorse produce beni o servizi che non soddisfano il cliente (inefficace) ve-
drà le sue vendite e quindi i suoi ricavi contrarsi fino a chiudere in perdita.
Il reddito assume così il valore di indicatore sintetico della presenza di con-
dizioni di efficienza e di efficacia. Ma nei settori in cui spesso operano le
partecipate manca una reale concorrenza ed in cui i ricavi sono definiti a
tavolino sulla base di più o meno affidabili e più o meno aggiornate deter-
minazioni di costi standard. Se il corrispettivo del contratto di servizio è de-
finito sulla base di costi standard calcolati in condizioni di inefficienza,
l’azienda potrà chiudere in utile anche se inefficiente. Se, invece, i costi
standard sono di molto inferiori a quelli che effettivamente si devono soste-
nere anche in ipotesi di assoluta efficienza, magari perché misurati negli

92
anni precedenti e non adeguati, anche la azienda più efficiente potrà chiu-
dere in perdita. Quanto al lato dell’efficacia, grazie alla sostanziale posizio-
ne di monopoliste, queste aziende rischiano di vedere immutati i loro fattu-
rati anche in ipotesi di totale inefficacia del servizio erogato in quanto il cit-
tadino utente non ha alternativa.
A ben vedere tutti i limiti del concetto di reddito appena richiamati deri-
vano dalla perdita di significato dei ricavi. Difatti, tanto il consumo diretto
quanto l’assenza di concorrenza incidono sulla significatività del valore
della produzione, che nel primo caso è misurato solo parzialmente e nel se-
condo è influenzato dalle particolari condizioni del mercato.
Fortunatamente esiste però un altro lato del conto economico sul quale
agire per analizzare i risultati della gestione. I costi della produzione sono
infatti tutti definiti su mercati normalmente efficienti e non influenzati dalle
scelte erogative. In costanza di tale modello, la efficienza di tali aziende
non va quindi ricercata nel segno del conto economico (utile o perdita),
quanto piuttosto sviluppando una accorta analisi dei costi che, per supplire
alla scarsa capacità dei ricavi di esprimere il valore della produzione, ponga
in relazione i dati finanziari dei costi con i dati quantitativi della produzio-
ne. Più che il risultato netto, quindi, per conoscere, ad esempio, l’efficienza
di una società di trasporti potrà essere più utile calcolare il costo trazione
per chilometro, o il costo medio della manodopera, o il numero autisti per
vettura, o il numero sinistri per chilometro. Si tratta di indicatori noti come
Key Performance Indicators (KPI) e che sono normalmente accolti nei co-
siddetti “rapporti di gestione”, documenti già particolarmente diffusi nella
contabilità delle aziende pubbliche anglosassoni. I KPI, naturalmente, non
hanno senso in assoluto ma devono essere confrontati nel tempo (con i KPI
della stessa azienda a distanza di periodi) e nello spazio (con i KPI di altre
aziende dello stesso settore). L’azienda di trasporto di Modena ha un costo
trazione superiore o uguale a quello dell’azienda di Parma? Rinviando a fu-
turi approfondimenti si può quindi segnalare come i KPI da accogliersi nei
rapporti di gestione dovrebbero essere:
• non numerosi;
• sufficienti a spiegare l’uso delle principali risorse;
• integrati da indicatori di efficacia;
• standardizzati e direttamente ed oggettivamente derivabili dalla con-
tabilità generale.
Mentre le prime due caratteristiche sono intuitive, è possibile soffermar-
si sulle ultime due.
Eccessiva attenzione all’efficienza può portare in un calo dell’efficacia.
Per ridurre il costo trazione al chilometro si potrebbe essere ad esempio

93
spinti ad evitare le tratte in salita, ma questo comporterebbe una perdita di
efficacia allungando i percorsi o non servendo alcune zone, perdita che non
si rifletterebbe sul modello di bilancio per i motivi appena esposti. È bene
quindi sempre che tali KPI vengano integrati con analisi di efficacia.
Una opportuna definizione di misuratori dell’efficacia di queste aziende
passa però inevitabilmente da una preventiva declinazione, puntuale e pre-
cisa, delle finalità che le pubbliche amministrazioni assegnano a tali società
(Farneti, 2008). Sin dall’inizio bisognerebbe dire i motivi per cui si costi-
tuisce la partecipata. Tanto del resto è coerente con la richiesta di economi-
cità anche nella costituzione stessa della partecipazione.
Nelle Tabelle esposte di seguito un esempio di KPI e di indicatori di ef-
ficienza e di efficacia per il settore del trasporto.
Quanto alla standardizzazione e al legame con la contabilità generale, una
diretta derivabilità da documenti ufficiali e magari sottoposti a certificazione
è l’unica condizione che permette una verificabilità ed una stabilità di indica-
tori che altrimenti correrebbero il rischio di essere esposti a frequenti ridefi-
nizioni e alterazioni dettate dalle specifiche esigenze del management.
In sintesi quindi la prima sensazione è che, a parte i problemi connessi
con la incapacità di considerare il valore creato per il c.d indotto, non sia tan-
to la natura del socio a rendere il reddito poco significativo, quanto piuttosto
specifiche scelte di governance o particolari assetti del mercato, entrambi pe-
rò risolvibili con una maggiore attenzione in fase di definizione dei ricavi o
con l’opportuna integrazione del modello con i rapporti di gestione.

94
3.2. I rischi dell’eccessiva attenzione sui risultati di bilancio e gli
stimoli all’earnings management nelle società partecipate

La attenzione prevalente al risultato dell’esercizio può stimolare com-


portamenti tesi alla alterazione dei dati di bilancio.
Il problema dell’earnings management, endemico nella contabilità eco-
nomica, può presentarsi prevalentemente aggravato da molte delle peculia-
rità che distinguono le società partecipate pubbliche dalle altre società.
La prima, quanto mai evidente, riguarda la natura della proprietà. Dalla
natura pubblica possono discendere almeno due condizioni che, in astratto,
possono favorire il ricorso all’EM.
Tipicità del rapporto di agenzia. La precedente letteratura ha dimostrato
l’esistenza di numerose possibili motivazioni alla base delle politiche di
E.M. Molti studi postulano l’incremento dei costi discrezionali in presenza
di risultati di bilancio altrimenti positivi al fine di realizzare una politica di

95
stabilizzazione dei rendimenti aziendali (income smoothing o cookie jar)2,
altri postulano l’incremento dei costi discrezionali in occasione di risultati
comunque altrimenti negativi (big bath)3, altri ancora disconoscono en-
trambe queste teorie4 ovvero evidenziano una più generale tendenza ad an-
dare incontro alle previsioni del mercato per non sconfessarne le attese5 al-
tri, infine, legano l’incremento delle politiche di EM a singoli eventi, quali
il cambio di management (clearing the deck)6 o l’esistenza di particolari si-
stemi di remunerazione7 o ancora l’urgenza di rispettare i “debt cove-
nants”8. Ne emerge un contesto in cui non sembra possibile dimostrare
l’esistenza di una struttura tipica di EM, ma piuttosto si segnala l’esistenza
di una prassi volta a piegare l’uso della discrezionalità agli interessi volta
per volta emergenti9. Quanto più numerosi questi interessi tanto più intensa
l’attività di EM, e nel cotesto delle imprese partecipate questi interessi sono
particolarmente intensi. Il tradizionale rapporto di agenzia a due tra princi-
pal ed agent diventa, in questi casi, un rapporto a tre, in quanto la proprietà
“formale” riveste, a sua volta, il ruolo di agent nei confronti di un terzo li-
vello individuabile nel consiglio dell’ente proprietario o, più in generale,
nell’opinione pubblica10 che rappresenta la voce della proprietà sostanziale
dell’azienda. In questo contesto, i risultati di bilancio assumono una rile-
vanza assolutamente superiore rispetto a quello che la dimensione e le mo-
dalità di finanziamento di queste imprese lascerebbero intendere. In altri
termini, in queste realtà i manager, per definizione, non possono coincidere
con la proprietà sostanziale e, invero, neanche con la proprietà formale (gli
organi elettivi delle pubbliche amministrazioni socie) e questo giustifica la
permanenza di elevati obblighi di accountability anche in presenza di realtà
dimensionalmente poco significative. Il bilancio resta il principale strumen-
2
Cfr. M. ALCIATORE, C.C. DEE, P. EASTON, N. SPEAR, 1998; D.A. BUCKMASTER, 2001;
J.A. ELLIOTT, J.D. HANNA, 1996; A. LEVITT, 1998; J. RONEN, S. SADAN, 1981; K. SCHIPPER,
1989; B. TRUEMAN, S. TITMAN, 1988.
3
Cfr. L. ZUCCA, D. CAMPBELL, 1992.
4
Cfr. J. FRANCIS, J. HANNA, L. VINCENT, 1996.
5
Cfr. D. BURGSTAHLER, M. EAMES, 2006.
6
Cfr. J. FRANCIS, J. HANNA, L. VINCENT, 1996.
7
Cfr. J.J. GAVER, K.M. GAVER, 1998; F. GUIDRY, 1999; P. M. HEALY, 1985; R. W. HOL-
THAUSEN, D.F. LARCKER, R.G. SLOAN, 1995; A. QUAGLI, F. AVALLONE, P. RAMASSA, 2007.
8
Cfr. M.L. DEFOND, J. JIAMBALVO, 1994; B. JAGGI, 2002; A.P. SWEENEY, 1994.
9
Cfr. F. CAPALBO, 2003; A. LEVITT, 1998; W.P. SCHUETZE, 2001.
10
Si consideri nel sistema di contabilità finanziaria, a differenza di quanto accade con la
contabilità economica, raramente il conto del patrimonio viene movimentato correttamente;
dunque la riduzione di valore che la partecipazione subisce a seguito della erosione del pa-
trimonio della partecipata non lascia traccia nella contabilità del socio a meno che, chiara-
mente, non imponga un esborso monetario.

96
to attraverso cui questi obblighi vengono adempiuti, tanto che la dottrina
richiama come, in ambito pubblico, a tale strumento debba riconoscersi una
prevalente funzione di stewardship (Australian Accounting Standards
Board, 2006). Tutto ciò aumenta gli incentivi ad attività di earnings mana-
gement.
La seconda tipicità riguarda la Minore efficacia dei sistemi di controllo
delle società pubbliche. Diversi studi hanno dimostrato come alla natura
pubblica della proprietà si accompagni in genere una più scarsa qualità del-
la governance e del controllo11 il che, evidentemente, favorisce comporta-
menti opportunistici da parte dei manager nei termini in cui aumenta il loro
controllo sulla società rispetto a quello dei soci12. Nella maggior parte dei
casi, soprattutto a livello locale, si tratta di persone con scarsa dimestichez-
za con i bilanci redatti su base accrual, le quali tendono a concentrare la
propria attenzione sull’ultima linea del bilanci, ragionando quasi esclusi-
vamente in termini di reddito netto e variazione patrimoniale. Gli stessi,
quindi, a differenza di quanto accade nel settore privato13, sono facilmente
ingannabili anche con politiche di bilancio non particolarmente sofisticate.
Tanto può spingere ad un uso più spregiudicato anche di politiche di EM
meno sofisticate che si limitino ad esempio ad un uso massiccio dell’area
dei componenti straordinari14, in quanto chi legge tende a concentrare la
propria attenzione solo sul risultato finale.
Ulteriore tipicità è connessa al maggior rilievo pubblicistico dei risultati
ed, in generale, alla maggiore attenzione dell’opinione pubblica e degli orga-
ni di controllo istituzionali (Corte dei Conti). È noto infatti che, sebbene la
Corte abbia da tempo sdoganato l’errata equivalenza tra perdita e danno, essa
tenda comunque a concentrare la propria attenzione sulle società in perdita. È
lecito ritenere che questa circostanza accentui la naturale tendenza ad evitare
l’iscrizione di valori negativi già dimostrata da ampia letteratura15. Quanto
all’opinione pubblica, la natura del denaro impiegato e della finalità persegui-
ta rende queste aziende “politically visible”16 e pone le basi per una “amplifi-
cazione” di ogni risultato che possa essere letto come indice di “spreco di ri-
sorse pubbliche”. D’altra parte, sono spesso altrettanto temuti utili che possa-

11
Cfr. A.A. ALCHIAN, A. ALBERT, 1977; A. SHLEIFER, 1998a.
12
Cfr. E.D. SMITH, 1976.
13
Cfr. W.H. BEAVER, R.E. DUKES, 1973; R.M. COPELAND, 1968.
14
Cfr. V. BEATTIE, S. BROWN, D. EWERS, B. JOHN, S. MANSON, D. THOMAS, M. TURNER,
1994.
15
Cfr. D. BURGSTAHLER, I. DICHEV, 1997; D. KAHNEMAN, A. TVERSKY, 1979; D.A.
MATSUMOTO, 2002; L. MYERS, D. SKINNER, 1998.
16
Cfr. R.L. WATTS, J.L. ZIMMERMAN, 1978.

97
no generare: pressioni per riduzioni tariffarie, richieste di incremento dei ser-
vizi senza variazione nei corrispettivi, riduzioni nei trasferimenti da parte dei
soci/committenti, pressioni politiche per assunzioni, forniture, sponsorizza-
zioni e altri strumenti per la raccolta del consenso.
Ad incentivare l’EM può infine concorrere la già ricordata diversità dei
sistemi contabili della società e del socio. Se anche le amministrazioni pub-
bliche socie avessero un sistema di contabilità economica le perdite della
società partecipata avrebbero una ricaduta diretta sul loro reddito e sul loro
patrimonio netto per il tramite della svalutazione della partecipazione. No-
nostante le varie disposizioni normative le amministrazioni pubbliche con-
tinuano, nella stragrande maggioranza dei casi, ad operare in regime di con-
tabilità finanziaria per cui la perdita della società partecipata non ha di fatto
quasi alcun impatto sulla propria contabilità o comunque non interessa i da-
ti e gli equilibri di bilancio che ne influenzano la capacità di agire e soprat-
tutto la capacità di spesa.
Questa insensibilità cessa però quando l’intensità della perdita, o della
successione delle perdite, è tale da ridurre il patrimonio netto della parteci-
pata al di sotto dei due terzi del capitale. In questi casi le amministrazioni
che non intendano liquidare l’azienda saranno chiamate alla ricapitalizza-
zione17 che per la sua natura generalmente finanziaria interrompe
l’insensibilità del sistema contabile del socio alle sorti della società.
L’esborso per la ricapitalizzazione per perdite, che non può essere finanzia-
to con indebitamento, si traduce in una contrazione della potenzialità di
spesa corrente. Pertanto, quale che sia la scelta che la amministrazione in-
tenda seguire, sia la liquidazione sia la ricapitalizzazione, in presenza di
una sottocapitalizzazione non sarà più possibile evitare l’impatto che il di-
svelamento della situazione di crisi aziendale può avere nei confronti del
consiglio dell’ente o dell’opinione pubblica. Gli stessi amministratori as-
sommano alle tradizionali resistenze legate alla presentazione di risultati
gestionali negativi ulteriori motivazioni nel caso in cui tali risultati siano
tali da dover richiedere la ricapitalizzazione per legge da parte del socio. Le
pratiche di EM che potrebbero consentire di attenuare l’erosione del capita-
le netto sono tradizionalmente riconducibili, da un lato, al realizzo di plu-

17
Invero, una prima opzione sarà quella della riduzione del capitale purché si sia entro i
limiti di legge, ma è evidente che a lungo andare l’opzione sarà tra liquidare e ricapitalizza-
re. Sugli aspetti contabili della ricapitalizzazione per perdite nel bilancio delle società parte-
cipate si rinvia a A. DI CARLO, 1997; L. POTITO, 2009. Sugli aspetti legali si rinvia a D.
CORRADO, 2003.

98
svalenze, sia attraverso la cessione di asset non essenziali a terzi18, sia at-
traverso scambi fittizi di asset in un contesto infragruppo; dall’altro, al ri-
corso a rivalutazioni di asset che, prevedendo l’anticipazione di costi (im-
poste sostitutive) a fronte di benefici futuri e non trovando motivazioni
economiche per le imprese che chiudono tendenzialmente in perdita, appa-
lesano politiche di EM. Si è infatti dimostrato che le società partecipate con
con patrimonio netto positivo solo in virtù dei componenti straordinari po-
sitivi (ossia che avrebbero un patrimonio netto negativo se non ci fossero i
componenti straordinari positivi) hanno una maggiore attività di EM tesa ad
evitare azioni altrimenti obbligatorie sul capitale e osservabile attraverso
l’incidenza dei medesimi componenti straordinari di reddito19.
Altro elemento che favorisce l’EM è la volatilità della proprietà. La gran
parte, se non la totalità, degli interventi di EM sono a termine e i “vantaggi”
conseguiti nel periodo si scontano nei periodi successivi. È questo il caso di
rivalutazioni che si trasformano in maggiori ammortamenti, o di iscrizioni
di crediti “dubbi” che si trasformano in perdite su crediti, o di accantona-
menti effettuati od omessi che si trasformano in liberazioni fondi o perdite
straordinarie. Ma le persone fisiche che rappresentano la proprietà di queste
aziende non hanno il medesimo grado di continuità esistente di norma nel
settore privato e la loro scarsa “stabilità”, connessa al succedersi delle am-
ministrazioni in carica, può favorire il ricorso ad opportunismi contabili. In
altri termini, è lecito ipotizzare che in prossimità della fine del mandato de-
gli amministratori si possa, con maggiore probabilità, realizzare una comu-
nanza di interessi di socio e gestore nel miglioramento dei risultati in corso
indipendentemente dalla considerazione delle ricadute su esercizi futuri.
Questo rende inoltre verosimile la diffusione di un comportamento esat-
tamente opposto a quello descritto in letteratura per le imprese non parteci-
pate secondo cui l’accentramento della proprietà genera una riduzione
dell’attività di EM. In questi casi, infatti, dal momento che gli interessi dei
soci “formali” (gli amministratori dell’ente proprietario), non coincidono
necessariamente con gli interessi dei soci sostanziali (la cittadinanza e i

18
L’impostazione conservativa del bilancio favorisce la creazione di riserve di valore
nelle immobilizzazioni che vengono tipicamente iscritte a valori inferiori al mercato. Per far
emergere tali differenze e utilizzarle per contenere fenomeni di sottocapitalizzazione sono
frequenti forme di cessione, più o meno parziale, di asset non essenziali, in modo che le plu-
svalenze aiutino a contenere le perdite (E.L. BLACK, K.F. SELLERS, T.S. MANLY, 1998). Tut-
tavia, sebbene il codice civile lo richieda, non sempre i bilanci del campione offrono una
indicazione precisa di tali plusvalenze che vengono invece generalmente incluse nell’area
straordinaria.
19
Cfr. F. CAPALBO, L. D’AMICO, R. PALUMBO, 2010.

99
contribuenti), l’allineamento degli interessi dei primi con quelli degli am-
ministratori non necessariamente riduce la spinta ad attività di EM ma anzi
rischia di aumentarla. Con riferimento ad una realtà dove la proprietà pub-
blica è particolarmente diffusa si è dimostrato20 come pubblico non vi sia
quel progressivo allineamento tra finalità dell’azionista e finalità del mana-
gement che nel settore privato di fatto, riducendo l’intensità del rapporto di
agenzia, annulla gran parte di quella asimmetria informativa tra manager e
azionista che è tipicamente alla base della gran parte delle attività di EM.

20
Cfr. Y. DING, H. ZHANG, J. ZHANG, 2007.

100
4. L’ECONOMICITÀ DELLE IMPRESE DI TPL
E L’INDIVIDUAZIONE DI PARAMETRI
DI COSTO DI RIFERIMENTO

4.1. L’economicità: concetto e misura

Si è visto nel precedente capitolo come l’attenzione della letteratura in


tema di performance delle imprese di servizi pubblici sia classificabile a
seconda del binomio outcomes/output ovvero padronage/coverage. Si è
avuto anche modo di osservare come le performance delle imprese produt-
trici di servizi pubblici, ivi incluse le imprese del TPL, difficilmente posso-
no essere sintetizzate in un’unica misura. Il modello proposto, ponendo
l’attenzione sul grado di economicità aziendale, sostituisce dunque alla mi-
surazione assoluta del profitto (e degli indicatori ad esso associati) una mi-
sura relativa della capacità dell’impresa di raggiungere condizioni di equi-
librio economico.
Se ciascuna azienda è un sistema economico finalizzato alla trasforma-
zione di risorse originarie in nuove risorse, ossia il luogo ideale in cui rea-
lizzare un processo di trasformazione economica che abbia l’obiettivo di
massimizzare la distanza tra il valore degli input (acquistati sui mercati di
approvvigionamento) e il valore degli output (percepito dai mercati di
sbocco), l’obiettivo di economicità può essere definito in relazione alla ca-
pacità di generare, attraverso processi di trasformazione, un “maggior valo-
re” rispetto a quello delle risorse acquisite da terze economie, che potrà es-
sere successivamente messo a disposizione del soggetto aziendale per il
soddisfacimento di bisogni di varia natura.
Nel processo di trasformazione è sempre possibile individuare degli in-
put in ingresso e degli output in uscita.
Adottando una prospettiva economico-aziendale, ciò che appare è la tra-
sformazione di investimenti in realizzi. Misurando gli investimenti attraver-

101
so i costi ed i realizzi attraverso i ricavi, siamo portati a misurare il grado di
successo dell’intero processo attraverso indicatori di economicità.
Esiste, dunque, un aspetto economico (globale) rivolto al complesso si-
stema delle scelte aziendali, cui viene universalmente assegnato un obietti-
vo di ottimizzazione del processo di trasformazione. Tale obiettivo, deno-
minato economicità (o equilibrio economico), viene identificato nella rela-
zione esistente tra il flusso dei costi (misuratori degli investimenti) e il flus-
so dei ricavi (misuratori dei realizzi, ossia delle risorse rigenerate).
La differenza tra il flusso dei ricavi e il flusso dei costi determina un
“margine” il cui significato di alfa viene a dipendere dalla configurazione
di costo che viene confrontata con i ricavi.
I costi infatti si prestano ad essere classificati secondo configurazioni
diverse.
Il margine di economicità può rappresentare, a seconda della configura-
zione di costo da contrapporre ai ricavi:
• il reddito netto;
• l’EBIT (earning before interest and tax, o reddito operativo);
• l’EBITDA (earning before interest, tax, depreciation and amortiza-
tion);
• il valore aggiunto;
• Il margine di contribuzione;
• il profitto (o creazione di valore);
• ecc.

Il raggiungimento di un soddisfacente livello di economicità presuppone


che la correlazione tra il flusso dei costi e il flusso dei ricavi sia “adeguata”
rispetto alle aspettative del soggetto economico, date le condizioni che qua-
lificano gli investimenti e i realizzi aziendali, confrontate con quelle della
concorrenza

La misura che si propone è relativa in quanto il dato rilevato viene con-


frontato con le performance attese in funzione di alcune variabili esplicati-
ve e di controllo. Si procederà quindi alla determinazione delle performan-
ce relative (giudizi di economicità) solo dopo aver misurato quelle attese e
per differenza tra le performance rilevate (effettive) e quelle attese.

102
Una prima misura di economicità è il ROS (return on sales), dato dal
rapporto tra il reddito operativo e i ricavi di vendita, dunque, a ben vedere,
da un rapporto di costi e ricavi (ROS = 1- C/R)1.
Nella stima del reddito operativo incidono diversi elementi di soggetti-
vità, primi tra tutti la determinazione degli accruals, ossia di quei compo-
nenti del reddito operativo che rispondono al principio di competenza eco-
nomica piuttosto che a quello della cassa (si pensi in primo luogo agli am-
mortamenti, agli accantonamenti, alle svalutazioni, alla variazione delle ri-
manenze di magazzino).
È stato dimostrato come, se in tutte le imprese le politiche di bilancio
(accruals management) possono ridurre la capacità informativa di tali valo-
ri soggettivi (dunque di quegli indicatori di bilancio che ne fanno uso), il
problema è maggiormente avvertito nelle imprese con forte separazione tra
la proprietà e il management. Tra queste si annoverano certamente le im-
prese a proprietà pubblica, per le quali esiste un doppio problema di agen-
zia: i cittadini-proprietari sono rappresentati da un agente che, a sua volta,
controlla il management, esercitando le prerogative tipiche della proprietà.
Considerando che le imprese partecipate rappresentano una parte molto ri-
levante del TPL, si comprende come il problema delle politiche di bilancio
non possa essere trascurato.
Per tale ragione si è preferito utilizzare, quale misura di economicità
aziendale, un indicatore più oggettivo, che vede al numeratore l’EBITDA e
al denominatore i ricavi di vendita (Revenues).
Se, da un lato, infatti, l’EBITDA viene determinato prima e indipenden-
temente dalla stima degli accruals, dall’altro i ricavi di vendita non incor-
porano le variazioni del valore della produzione che pure risentono del pro-
cesso di determinazione della competenza economica (incrementi per lavori
interni, variazione delle rimanenze di prodotti ecc.). L’EBITDA, essendo
formato dalla contrapposizione di costi e ricavi operativi numerari, si diffe-
renzia dal flusso di cassa della gestione operativa essenzialmente per la
considerazione di costi e di ricavi misurati da debiti e crediti di funziona-
mento.
È stato peraltro già dimostrato2 come lo stesso indicatore (EBIT-
DA/Revenues) rivesta una posizione di collegamento (in relazione ai livelli
di associazione tra le variabili) tra gli indicatori di performance, l’area geo-
grafica e l’area dell’efficienza operativa.

1
Dove C ed R indicano rispettivamente i costi e i ricavi operativi.
2
Cfr. L. D’AMICO, R. PALUMBO, 2008.

103
D’Amico e Palumbo (2008) propongono le rappresentazioni di cui alle
Figure 3.1 e 3.2: la prima prendendo le variabili associate significativamen-
te con indice di correlazione >|0,7| ovvero con phi >0,4; la seconda sotto
l’ipotesi di un abbassamento della soglia minima del grado di correlazione
a |0,5| e del phi a 0,3.
La Figura 4.1 mostra distinti aggregati di indicatori riconducibili alla
redditività, alla liquidità, alle dimensioni, all’area geografica, alla concen-
trazione della proprietà e all’incidenza del personale (efficienza operativa).

Fig. 4.1 – Associazione tra indicatori di economicità, indicatori di efficienza e altre caratte-
ristiche aziendali (a)

Al ridursi della soglia di intensità della correlazione minima si rendono


palesi nuovi legami tra variabili prima latenti.
La Figura 4.2 mostra le relazioni tra variabili e i raggruppamenti che de-
rivano dall’abbassamento della soglia di significatività.

104
Fig. 4.2 – Associazione tra indicatori di economicità, indicatori di efficienza e altre caratte-
ristiche aziendali (b)

4.2 Economicità e “proprietà”

Il lavoro citato3 mette in evidenza come la “tipologia del socio di riferi-


mento” (ente territoriale/impresa)4 sia associata ai seguenti raggruppamenti:
• alla struttura finanziaria, in considerazione di un maggiore indebita-
mento delle aziende di TPL controllate da imprese rispetto a quelle
controllate da enti territoriali;
• alla redditività, in considerazione di una maggiore redditività opera-
tiva sul capital employed, di una minore incidenza dei costi del per-
sonale sui ricavi, di maggiori ricavi per dipendente e inferiori costi
del personale per dipendente riscontrati per le aziende di TPL con-
trollate da imprese rispetto a quelle controllate da enti territoriali.

La sintesi proposta per il periodo 2004-07 evidenzia alcuni significativi


caratteri utili a distinguere le aziende di TPL partecipate da imprese (primo
raggruppamento) da quelle controllate da enti territoriali (secondo raggrup-
pamento):
3
Cfr. ibid.
4
SocioEnte: variabile qualitativa dicotomica con modalità “ente territoriale” e “impre-
sa”.

105
• in entrambi i raggruppamenti si rileva un incremento dei ricavi di
vendita, con valori più elevati per le aziende del primo raggruppa-
mento (Fig. 4.3);
• sono correlativamente aumentati i valori del capitale investito, con
una prevalenza questa volta per le aziende del secondo raggruppa-
mento (Fig. 4.4);
• solo per le aziende del primo raggruppamento, l’incremento dei rica-
vi corrisponde ad un incremento, seppur di lieve entità, del risultato
netto (Fig. 4.5) e ad un incremento della redditività netta (ROE5, Fig.
4.6);
• l’incremento della redditività netta per le aziende di TPL del primo
tipo non è riferibile ai valori della redditività operativa (ROI6, Fig.
4.7), che, sebbene si attestino su livelli sensibilmente più elevati per
le aziende del primo raggruppamento, hanno visto una crescita so-
prattutto per le aziende partecipate da enti territoriali;
• il miglioramento della redditività operativa delle aziende del secondo
raggruppamento si deve in particolare al miglioramento dei livelli di
economicità aziendale (ROS7, Fig. 4.8), laddove la velocità di circo-
lazione degli investimenti subisce una sostanziale flessione in en-
trambi i raggruppamenti (T8, Fig. 4.9);
• il miglioramento dei livelli di economicità si deve attribuire ad una
minore incidenza dei costi del personale sui ricavi (S/Rev, Fig. 4.10),
cui concorre, chiaramente, anche l’incremento dei valori al denomi-
natore;
• se la redditività operativa non sembra essere la causa principale delle
migliori performance nette delle aziende del primo raggruppamento,
la flessione dei valori di patrimonio netto (E9, Fig. 4.11), correlata
all’incremento dei livelli di indebitamento (DR, Fig. 4.12), sembra
fornire una prima spiegazione;
• una seconda, rilevante, spiegazione risiede nell’incidenza delle ge-
stioni non operative (NI/OI10, Fig. 4.13); nel periodo 2004-07 si assi-
ste ad una inversione dei valori di questo indicatore, con un netto

5
ROE (return on equity) = reddito netto / capitale netto.
6
ROI (return on investment) = reddito operativo / capitale investito.
7
ROS (return on sales) = reddito operativo / ricavi operativi.
8
T (turnover o velocità di circolazione del capitale investito) = revenues / capitale inve-
stito.
9
E (equity) = patrimonio netto.
10
NI = net income (reddito netto); OI = other items (risultati gestioni accessorie).

106
miglioramento per le aziende del primo raggruppamento e un netto
peggioramento per quelle del secondo raggruppamento;
• per queste ultime aziende si osserva una netta erosione di disponibili-
tà liquide (QR11, Fig. 4.14), inizialmente su valori certamente esube-
ranti rispetto alle necessità della gestione di tesoreria.

Fig. 4.3 – Revenues: trend delle mediane per socio di riferimento

11
QR (quick ratio) = disponibilità liquide / debiti a breve.

107
Fig. 4.4 – Totale attivo (A): trend delle mediane per socio di riferimento

Fig. 4.5 – Risultato economico netto (NI): trend delle mediane per socio di riferimento

108
Fig. 4.6 – ROE: trend delle mediane per socio di riferimento

Fig. 4.7 – ROI: trend delle mediane per socio di riferimento

109
Fig. 4.8 – ROS: trend delle mediane per socio di riferimento

Fig. 4.9 – Incidenza dei costi del personale sui ricavi (S/Rev): trend delle mediane per socio
di riferimento

110
Fig. 4.10 – Incidenza della velocità di circolazione degli investimenti (T): trend delle me-
diane per socio di riferimento

Fig. 4.11 – Patrimonio netto (E): trend delle mediane per socio di riferimento

111
Fig. 4.12 – Indice di indebitamento (DR): trend delle mediane per socio di riferimento

Fig. 4.13 – Incidenza delle gestioni non operative (NI/OI): trend delle mediane per socio di
riferimento

112
Fig. 4.14 – Quick Ratio: trend delle mediane per socio di riferimento

4.3. La metodologia di analisi

4.3.1. Il campione

Le analisi proposte si riferiscono ad un campione finale di 342 imprese e


2.049 osservazioni Impresa-Anno per il decennio 2002-2011 (si tratta dunque
di dati Panel; indicheremo con i l’impresa e con t l’anno di riferimento)12.
Si è arrivati alla selezione di tale campione acquisendo ed integrando i
dati inclusi nelle seguenti fonti13:
• elenchi degli associati ASSTRA e ANAV;

12
Per la precisione si tratta di un Panel non bilanciato, non essendo stato possibile ac-
quisire per tutte le imprese incluse nel campione i dati di tutti gli anni considerati.
13
Si ringrazia il dott. Michele Tarice per la preziosa collaborazione nelle fasi di raccolta
e informatizzazione di dati.

113
• imprese presenti nel database AIDA Bureau Van Dijk aventi codice
ATECO 2007 493100 (Trasporto Terrestre Di Passeggeri In Aree
Urbane E Suburbane);
• database disponibile da precedenti ricerche composto con dati (riferi-
ti agli anni 2004-07) estratti dal Registro delle Imprese (dati di bilan-
cio e dati relativi alla governance);
• rilevazione mediante questionario relativa ai Km percorsi nel corso
del 2010;
• bilanci di esercizio delle imprese per la rilevazione dei compensi
erogati agli amministratori e agli organi di controllo.

La Tabella 4.1 mostra l’iter di selezione del campione: per garantire una
sufficiente comparabilità dei risultati, da un numero iniziale di 5.586 osser-
vazioni Impresa-Anno si è passati ad un numero finale di 2.049, escludendo
le imprese che non esercitano nel ramo “Gomma”, quelle non attive, le im-
prese e gli esercizi in cui il Costo della produzione non supera il milione di
euro e le osservazioni Impresa-Anno in cui sono stati rilevati dati non coe-
renti e anomalie contabili.
La Tabella 4.2 mostra la distribuzione delle osservazioni finali per anno
(si rinvia all’appendice – Tabella B – per un elenco completo delle osserva-
zioni per impresa e per anno). L’anno con il maggior numero di osserva-
zioni è il 2010.
La Tabella 4.3 mostra la distribuzione delle osservazioni per Regione. Si
va dalla Lombardia. Tutte le Regioni sono rappresentate.
Le imprese selezionate nel campione rappresentano il 23% circa di tutte
le imprese censite con riferimento al 2010 dal Ministero delle Infrastrutture
e dei Trasporti14 (25115 su 1.093). La rappresentatività deve considerarsi
chiaramente ben maggiore nell’ambito delle imprese che possiedono le ca-
ratteristiche impiegate per selezionare il campione (i dati iniziali si riferi-
scono a un numero circa pari a quello censito nel CNIT).

14
Cfr. Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti - Anni 2010/2011, 2012
15
Il dato si riferisce per omogeneità al 2010.

114
Tab. 4.1 – Selezione del campione

N° obs N° Imprese
Osservazioni/Imprese decennio 2002-12 5.586 1.073

Di cui: Osservazioni/Imprese che non esercitano attività nel settore “Gomma” 1.223 436

4.333 637
Di cui: Osservazioni/Imprese non attive o in liquidazione 188 31
4.145 606

Di cui Osservazioni/Imprese che oltre al ramo “Gomma” esercitano attività in


69 9
uno dei seguenti settori: “Navigazione” | “Mezzi a fune” | Multiutilities

4.076 597
Di cui: Osservazioni/Imprese con Costo totale di produzione non superiore a 1
1.557 206
milione di euro

2.519 391
Di cui: con un rapporto Materie/Revenues al di fuori del range 4%-30% 470 49
Campione finale 2.049 342

Tab. 4.2 – Distribuzione delle osservazioni per anno


Anno Freq. Percent Cum.
2002 109 5,32 5,32
2003 121 5,91 11,22
2004 210 10,25 21,47
2005 221 10,79 32,26
2006 226 11,03 43,29
2007 245 11,96 55,25
2008 222 10,83 66,08
2009 239 11,66 77,75
2010 251 12,25 90
2011 205 10 100
Total 2.049 100

115
Tab. 4.3 – Distribuzione delle osservazioni per Regione
Regione Freq. Percent Cum.
Abruzzo 80 3,9 3,9
Basilicata 47 2,29 6,2
Calabria 167 8,15 14,35
Campania 116 5,66 20,01
Emilia Romagna 102 4,98 24,99
Friuli Venezia Giulia 17 0,83 25,82
Lazio 122 5,95 31,77
Liguria 47 2,29 34,07
Lombardia 305 14,89 48,95
Marche 128 6,25 55,2
Molise 33 1,61 56,81
Piemonte 251 12,25 69,06
Puglia 90 4,39 73,45
Sardegna 41 2 75,45
Sicilia 199 9,71 85,16
Toscana 105 5,12 90,29
Trentino Alto Adige 28 1,37 91,65
Umbria 17 0,83 92,48
Valle d'Aosta 18 0,88 93,36
Veneto 136 6,64 100
Total 2.049 100

La Tabella 4.4 mostra come la veste giuridica più frequente sia rappre-
sentata dalla “Società a responsabilità limitata” (57% delle osservazioni);
segue la forma di “Società per azioni” (32%) e di “Società cooperativa a
responsabilità limitata” (5%). Il dato sulla veste giuridica non è disponibile
nel 5% delle osservazioni del campione iniziale.

Tab. 4.4 – Distribuzioni delle osservazioni per Veste Giuridica


Veste Giuridica Freq. Percent Cum.
. 106 5,17 5,17
SCARL 105 5,12 10,3
SPA 667 32,55 42,85
SRL 1.171 57,15 100
Total 2.049 100

116
La Tabella 4.5 mostra la distribuzione dei dati in relazione alla adesione
delle imprese alle due principali associazioni di categoria: l’ASSTRA16 e
l’ANAV17. Si osserva come 651 osservazioni siano riferite ad imprese non
associate, 510 ad imprese associate solo ad ASSTRA, 820 ad imprese asso-
ciate solo ad ANAV e 68 ad imprese associate sia ad ASSTRA sia ad
ANAV.

Tab. 4.5 – Distribuzione delle osservazioni in relazione all’adesione ad ASSTRA/ANAV


ANAV
0 1 Total
0 651 820 1.471

ASSTRA
1 510 68 578

Total 1.161 888 2.049

4.3.2. Il modello per la stima dell’economicità attesa

I modelli utilizzati in questo studio sono relativi:


• in una prima fase alla stima dei valori di economicità attesi;
• in una seconda fase, dopo aver stimato i giudizi di economicità per
differenza tra i valori rilevati e quelli attesi, alla stima dei coefficienti
di variazione delle performance in relazione ai costi e
all’individuazione per parametri di costo di riferimento.

Per la stima dei valori attesi dell’indice di economicità e della conse-


guente determinazione delle misure di performance relativa (differenze
inattese o unexpected o abnormal, date dagli scostamenti dei valori effettivi
rilevati rispetto ai valori attesi), è stata adottata la metodologia del Panel
Data con effetti temporali (random).

16
ASSTRA (Associazione Trasporti) è un’Associazione datoriale, nazionale, delle
aziende di trasporto pubblico locale in Italia, prevalentemente a proprietà pubblica. Aderi-
scono ad ASSTRA le aziende del trasporto urbano ed extraurbano, esercenti servizi con au-
tobus, tram, metropolitane, impianti a fune, tutte le ferrovie locali (non appartenenti a Treni-
talia S.p.A) nonché le imprese di navigazione lagunare e lacuale. Cfr. www.asstra.it.
17
ANAV (Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori) è un’associazione di im-
prese di trasporto passeggeri con autobus, che nasce dalla fusione fra ANAC ed ENAT, due
associazioni di categoria con ampia rappresentatività fra le imprese italiane del settore che si
riconoscono nel sistema di Confindustria. Cfr. www.anav.it.

117
La scelta di un modello con effetti temporali consente di controllare per
variabili che sono costanti tra le entità (imprese) ma che si evolvono nel
tempo (è il caso ad esempio della tecnologia, della regolamentazione, delle
condizioni economiche generali ecc.).
Come anticipato, per misurare il grado di economicità è stato scelto
l’indicatore EBITDA/Revenues, dove:
• Revenues è dato dai ricavi di vendita al netto degli accruals (somma
delle voci 1 e 5 del conto economico redatto ai sensi degli artt. 2423
e ss. del c.c.);
• EBITDA (earnings before interest, tax, depreciation and amortiza-
tion) è il risultato economico ottenuto dalla differenza tra i ricavi e i
costi monetari della gestione operativa.

Il modello di regressione utilizzato è il seguente:

Eit = α + ∑ β k Xkit + ε it
k

dove i = 1 . N indica la specifica impresa e t = 1 . T indica lo specifico


anno.
Nel modello il grado di economicità (EBITDA/Revenues) è spiegato in
termini di k variabili esplicative X (X1 . Xk) per le quali si stimano i coeffi-
cienti β1 . βk.
In particolare, le variabili esplicative sono le seguenti:

Dati per Impresa-Anno:


Dimensione come misura della dimensione vengono im-
piegati l’inverso del totale attivo (1/A) e
l’inverso del totale costo della produzione
(1/CostoProd);
Equilibrio finanziario l’equilibrio finanziario è sintetizzato da un in-
dicatore che mette a confronto la parte
dell’attivo che si ritiene possa realizzarsi nel
breve periodo (12 mesi) con la parte dei debiti
che provocheranno uscite di cassa nello stesso
breve periodo; si tratta del Current Ratio dato
dal rapporto tra attivo corrente e debiti scaden-
ti entro 12 mesi; per ragioni di omogeneità
espositiva con gli altri indicatori, nel modello
si è utilizzato l’inverso del current ratio
(1/Current);

118
Struttura dei costi la struttura dei costi è rappresentata dal rap-
porto tra il costo delle materie prime e il totale
revenues (Materie/Revenues). Tale costo (Ma-
terie) viene scelto perché difficilmente - a dif-
ferenza di altri - è strettamente legato al volu-
me di attività (Km percorsi). Il coefficiente di
correlazione sul campione selezionato con-
ferma questa ipotesi (corr. 0.9782, sig.
0.0000)18.
Dati per Impresa:
Specificità attività si è utilizzata la dummy “Noleggio” che vale 1
nel caso in cui la specifica impresa svolga
l’attività di noleggio; 0 negli altri casi19;
Specificità gov. le specificità della governance delle imprese
partecipate sono sintetizzate dalla dummy
“ASSTRA” che vale 1 nel caso in cui la speci-
fica impresa risulti iscritta a tale associazione;
0 negli altri casi.
Dati su base regionale (per differenze di struttura produttiva):
Copertura dei costi si tratta della media su base regionale del rap-
porto Proventi/Costi per km rilevata dal Mini-
stero delle Infrastrutture e dei Trasporti20;
Efficienza il grado di efficienza regionale è rappresentato
dall’inverso della percorrenza media (in Km)
per addetto (1/KmAddetto) così come viene ri-
levata dal Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti.
Come anticipato, le ultime due variabili sono inserite nel modello come
controllo per le differenze presenti nelle strutture produttive regionali. Ciò
chiaramente, se da un lato conduce a valori di performance attese che incor-
porano tali differenze, rispondendo in tal modo all’esigenza di tener conto del

18
Per testare tale ipotesi è stato inviato un questionario per la rilevazione del numero di
Km riferita al 2010.
19
Tale variabile è stata rilevata dalla tipologia di attività presente nel database AIDA.
20
I dati disponibili si riferiscono agli anni 2003, 2005, 2007, 2008 e 2010. Il 2002 è fatto
pari al 2003; il 2004 è fatti pari al 2005; il 2006 è fatti pari al 2007; il 2009 è fatto pari al
2008; il 2011 è fatto pari al 2010.

119
complesso sistema di condizioni economiche/politiche/operative/sociali/mor-
fologiche/regolamentari in cui le imprese si trovano ad operare, dall’altro
porta ad un sistema di valori che consente:
• giudizi di valore relativi infra e interregionali
• giudizi di valore assoluti esclusivamente infra-regionali.

La Tabella 4.6 illustra le principali statistiche descrittive delle variabili


considerate (quelle su base regionale sono già state esposte nel § 1.7).

Tab. 4.6 – Statistiche descrittive


Variable Obs Mean Std. Dev. Min Max
EBITDA/000 2049 1080,858 2825,456 -37966,05 42883,51
Revenues/000 2049 14683,7 47487,47 560,521 882510
EBITDA/Revenues 2049 11,04997 10,26698 -55,84123 51,36
A/000 2049 25083,17 114403,1 340,02 2330187
1/A 2049 3,13E-07 3,5E-07 4,29E-10 2,94E-06
1/Current 1918 0,9502124 2,026722 0,0001206 39,71888
Materie/Revenues 2049 0,1705034 0,0499109 0,0403146 0,2982628
1/CostoProd 2049 3,29E-07 2,83E-07 1,1E-09 1E-06
Proventi/Costi 2049 49,34412 11,49519 26,4 88,45
1/KmAddetto 2049 0,0448539 0,0123324 0,0251054 0,090005

Si osserva una elevata variabilità di tutte le variabili considerate e la li-


mitazione a 1918 osservazioni (che si rifletterà sul modello di regressione)
relative alla variabile 1/Current21.
La Figura 4.15 mostra la distribuzione dei valori della variabile EBIT-
DA (espressa in migliaia di euro) per regione (valori 2011). È evidente co-
me la variabilità di questa grandezza (che risente chiaramente della dimen-
sione) è particolarmente accentuata in Campania (per i valori minimi) e in
Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Umbria (per i valori massimi).
La Figura 4.16 mostra la distribuzione dei valori della variabile Reve-
nues (espressa in migliaia di euro) per regione (valori 2011). Si osserva an-
che in questo caso una accentuata variabilità e un rilevante numero di out-
liers (si osservi che dal grafico è stata esclusa la ATM Milano per evitare
un eccessivo effetto di “schiacciamento” del grafico).
La Figura 4.17 mostra la distribuzione dei valori della variabile EBIT-

21
Tale limitazione è dovuta alla disponibilità per le sole imprese censite in AIDA del
dato sui debiti scadenti nel breve periodo (che vengono dunque distinti dai debiti totali); da-
to utilizzato al denominatore dell’indicatore.

120
DA/Revenues per regione (anno 2011). Si osservano valori mediani partico-
larmente bassi in Trentino-Alto Adige e in Campania.
Le Figure 3.18-22 mostrano, nell’ordine, le distribuzioni dei valori delle
variabili “Totale attivo” (espressa in migliaia di euro), “Debiti” (espressa in
migliaia di euro),”Debiti/Revenues”, “Debiti/Attivo” e “Materie/Revenues”.
Tutti i valori sono riferiti al 2011.

Fig. 4.15 – Distribuzione della variabile “EBITDA/000” per regione (2011)

121
Fig. 4.16 – Distribuzione della variabile “Revenues/000” per regione (2011)22

22
Per evitare un eccessivo effetto di appiattimento, dal grafico è stata esclusa la ATM
Milano.

122
Fig. 4.17 – Distribuzione della variabile “EBITDA/Revenues” per regione (2011)

123
Fig. 4.18 – Distribuzione della variabile “Totale attivo/000” per regione (2011)23

23
Per evitare un eccessivo effetto di appiattimento, dal grafico è stata esclusa la ATM
Milano.

124
Fig. 4.19 – Distribuzione della variabile “Debiti/000” per regione (2011)24

24
Per evitare un eccessivo effetto di appiattimento, dal grafico è stata esclusa la ATM
SpA Milano, la Roma TPL SCARL e la Umbria TPL e Mobilità SpA.

125
Fig. 4.20 – Distribuzione della variabile “Debiti/Revenues” per regione (2011)

126
Fig. 4.21 – Distribuzione della variabile “Debiti/Attivo” per regione (2011)

127
Fig. 4.22 – Distribuzione della variabile “Materie/Revenues” per regione (2011)

128
Si osserva:
• un numero di outliers particolarmente elevato per le variabili
“Debiti” e “Debiti/Revenues”;
• un indebitamento rispetto ai ricavi di vendita particolarmente elevato
(valori mediani) nelle regioni Trentino-Alto Adige, Umbria e Lazio;
• un indebitamento rispetto al totale attivo particolarmente elevato
(valori mediani) nelle regioni Lazio, Emilia Romagna e Puglia;
• un rapporto “Materie/Revenues relativamente più elevato (valori
mediani) in Sardegna, Campania e Sicilia e meno elevato in Friuli-
Venezia Giulia, Veneto e Toscana.
La Tabella 4.7 mostra le reciproche correlazioni tra le variabili conside-
rate nel modello.

Tab. 4.7 – Matrice di correlazione


1 2 3 4 5 6 7 8
1 EBITDA 1

2049

2 Revenues 0,2461 1
0
2049 2049

3 EBITDA/Revenues 0,3614 -0,0692 1


0 0,0017
2049 2049 2049

4 1/A -0,2484 -0,2227 -0,0726 1


0 0 0,001
2049 2049 2049 2049

5 1/Current -0,0506 -0,035 -0,1167 0,037 1


0,0267 0,1254 0 0,1053
1918 1918 1918 1918 1918

6 Materie/Revenues -0,1383 -0,1865 -0,0248 0,1287 -0,0236 1


0 0 0,261 0 0,3007
2049 2049 2049 2049 2049 2049

7 1/CostoProd -0,2945 -0,2838 0,0791 0,7968 0,1427 0,1906 1


0 0 0,0003 0 0 0
2049 2049 2049 2049 2049 2049 2049

8 Proventi/Costi 0,0736 -0,0287 0,1405 0,0109 -0,0951 -0,0035 -0,0256 1


0,0009 0,1947 0 0,6219 0 0,8757 0,2466
2049 2049 2049 2049 2049 2049 2049 2049

9 1/KmAddetto -0,1594 0,073 -0,2279 -0,0322 -0,0212 0,018 -0,0132 -0,227


0 0,0009 0 0,1452 0,353 0,4159 0,5498 0
2049 2049 2049 2049 2049 2049 2049 2049

129
4.4. Economicità attesa e giudizi di economicità

La Tabella 4.8 mostra i risultati del modello di regressione.


Come anticipato, il panel data non è bilanciato (la media di osservazioni
per impresa nel decennio è di 6,2). I risultati del modello sono significativi
(Prob > chi2=0.0000) e sono significativi tutti i coefficienti stimati (P>|z|
sempre sotto il 5%).
Chiaramente le variabili esplicative sono legate a sistema ed associate
(si veda la Tab. 4.2). Per questo non è pensabile che la modifica di una lasci
inalterate le altre. Ciò nonostante i coefficienti forniscono un’idea
dell’impatto che le diverse variabili esplicative (determinanti) possono pro-
durre sull’indice di economicità.

Tab. 4.8 – Modello di regressione per la determinazione delle performance relative


EBI TDA/Revenues Coef. Std. Err. z P>|z| [95% Conf. I nterval]
1/A -9264488 1119128 -8,28 0 -1,15E+07 -7071038
1/CostoProd 1,16E+07 1699918 6,83 0 8273659 1,49E+07
1/Current -0,3372512 0,1106531 -3,05 0,002 -0,5541272 -0,1203751
Materie/Rev -57,63178 4,987902 -11,55 0 -67,40788 -47,85567
ASSTRA -5,730649 1,237476 -4,63 0 -8,156058 -3,305239
Noleggio 2,499764 0,9780478 2,56 0,011 0,5828259 4,416703
Proventi/Costi 0,0361551 0,0170243 2,12 0,034 0,0027881 0,0695222
1/KmAddetto -82,61935 33,32697 -2,48 0,013 -147,939 -17,2997
_cons 22,39964 2,242547 9,99 0 18,00433 26,79495
sigma_u 7,3427687
sigma_e 5,8297021
rho 0,61336999 (fraction of variance due to u_i)

Random-effects GLS regression Number of obs = 1918


Number of groups = 310

R-sq: within = 0,1107 Obs per group: min = 1


between = 0,1413 avg = 6,2
overall = 0,1359 max = 10

Wald chi2 = 248,35


corr(u_i, X) = 0 (assumed) Prob>chi2 = 0

130
Pur tuttavia l’analisi fornisce una significativa stima dei pesi (coeffi-
cienti) associati al mutamento di ciascuna variabile esplicativa e dei relativi
segni:
• l’incremento dell’inverso del rapporto corrente (dunque una
riduzione dell’attivo corrente a parità di debiti a breve) è associato ad
una riduzione del livello di economicità attesa;
• l’incremento dell’incidenza del costo delle materie sul costo della
produzione è associato ad una riduzione del livello di economicità
attesa;
• l’appartenenza al gruppo di imprese associate ad ASSTRA è
associata ad una riduzione della performance attesa;
• l’esercizio di attività di noleggio è associato ad un incremento della
performance attesa;
• l’incremento del grado medio regionale di copertura dei costi con i
proventi è associato ad un incremento della performance attesa;
• l’incremento del grado medio regionale di efficienza (riduzione di
1/KmAddetto) è associato ad un incremento della performance
attesa.

Le Tabelle che seguono mostrano, rispettivamente, (1) la performance


rilevata, (2) la performance attesa (stimata attraverso il suesposto modello)
e (3) i giudizi di economicità ottenuti come differenza tra la performance
rilevata e quella attesa25.

4.5. La definizione dei parametri di costo di riferimento

A completamento del lavoro, si propone una analisi dei costi di riferi-


mento nelle imprese del campione considerato.
Muovendo dalla determinazione dei giudizi di economicità (Unexpec-
ted), è possibile:
• verificare il tipo di associazione delle categorie di costo ai giudizi di
economicità tramite indici di correlazione;
• verificare il tipo di associazione delle stesse categorie sulla perfor-
mance grazie ad una regressione sul panel data che tenga conto degli
effetti temporali;

25
Per sintesi si riportano solo i dati delle imprese associate ASSTRA.

131
• individuare tramite analisi grafica le fasce di costo tipiche delle im-
prese con performance positiva.
La Tabella 4.12 mostra la matrice di correlazione. Dalle classi di costo è
stato escluso il rapporto Materie/CP perché già considerato nel modello per
la stima delle performance attese.
Si osserva come, a fronte di una significatività statistica sempre molto
elevata, le uniche associazioni che possano dirsi marcatamente intense sono
quelle dei giudizi di economicità con il rapporto tra il costo della produzione
complessivo e i revenues (CP/Revenues) e con l’incidenza degli ammorta-
menti e delle svalutazioni sui costi di produzione (AmmtiESvalutaz/CP), da
un lato, e dell’incidenza del costo del personale sull’incidenza del costo dei
servizi e del costo del godimento di beni di terzi dall’altro. Si sottolinea inol-
tre che l’associazione tra l’incidenza degli ammortamenti e delle svalutazioni
sul costo di produzione e i giudizi di economicità è positiva; dunque le per-
formance migliori sono associate a maggiori ammortamenti e svalutazioni.

132
Tab. 4.9 – Performance (economicità) rilevata (1/3)

133
Tab. 4.9 – Performance (economicità) rilevata (2/3)

134
Tab. 4.9 – Performance (economicità) rilevata (3/3)

135
Tab. 4.10 – Performance (economicità) attesa (1/3)

136
Tab. 4.10 – Performance (economicità) attesa (2/3)

137
Tab. 4.10 – Performance (economicità) attesa (3/3)

138
Tab. 4.11 – Giudizi di economicità (1/4)

139
Tab. 4.11 – Giudizi di economicità (2/4)

140
Tab. 4.11 – Giudizi di economicità (3/4)

141
Tab. 4.11 – Giudizi di economicità (4/4)

142
Le Figure 3.26-31 mostrano le distribuzioni di frequenza delle medesi-
me variabili (rif anno 2011).
Si osserva come:
• in alcuni casi le mediane dell’incidenza del costo della produzione
sui revenues (CP/Revenues) siano superiori all’unità; chiaramente in
tutti questi casi il conto economico potrà chiudere in utile solo per
effetto delle componenti non monetarie del valore della produzione
e/0 per le componenti non incluse nel costo della produzione (in
particolare delle poste straordinarie, atteso che generalmente gli
oneri finanziari superano di gran lunga i proventi finanziari);
• a conferma dell’associazione negativa tra il costo del personale e i
costi per servizi e per godimento di beni di terzi, le regioni con la
maggiore incidenza del costo del personale26 (Sardegna, Campania,
Calabria e Sicilia) presentano livelli più bassi di incidenza dei costi
per servizi e per godimento di beni di terzi.

Tab. 4.12 – Modello di regressione per la determinazione dei parametri di costo di riferi-
mento
1 2 3 4 5 6
1 Unexpected 1

1918

2 CP/Revenues -0,6729 1
0
1918 2049

3 Personale/CP -0,151 0,0568 1


0 0,0101
1918 2049 2049

4 Servizi/CP -0,144 -0,0433 -0,6056 1


0 0,05 0
1918 2049 2049 2049

5 GodimentoBeniTerzi/CP -0,1768 -0,024 -0,4621 0,0529 1


0 0,02768 0 0,0166
1918 2049 2049 2049 2049

6 AmmtiESvalutaz/CP 0,445 0,1638 0,2353 -0,1803 -0,2337 1


0 0 0 0 0
1918 2049 2049 2049 2049 2049

26
Il riferimento è alle mediane.

143
Fig. 4.23 – Distribuzione della variabile “Costo della produzione” per regione (2011)27

27
Per evitare un eccessivo effetto di appiattimento, dal grafico è stata esclusa la ATM
Milano.

144
Fig. 4.24 – Distribuzione della variabile “Costo della produzione/Revenues” per regione
(2011)28

28
Per evitare un eccessivo effetto di appiattimento, dal grafico è stata esclusa la GTM di
Garbagnate Milanese.

145
Fig. 4.25 – Distribuzione della variabile “Godimento Beni di terzi/Costo della produzione”
per regione (2011)

146
Fig. 4.26 – Distribuzione della variabile “Servizi/Costo della produzione” per regione
(2011)

147
Fig. 4.27 – Distribuzione della variabile “Personale/Costo della produzione” per regione
(2011)

148
Fig. 4.28 – Distribuzione della variabile “Ammortamenti e svalutazioni/Costo della produ-
zione” per regione (2011)

149
La Tabella 4.13 propone una regressione sul panel data con effetti tem-
porali e consente di stimare l’impatto relativo di ciascuna componente di
costo sui giudizi di economicità. Chiaramente, essendo le variabili esplica-
tive tra loro parzialmente correlate, non è immaginabile che possa modifi-
carsi l’una lasciando le altre invariate. Pur tuttavia l’analisi fornisce una si-
gnificativa stima dei pesi (coefficienti) associati al mutamento di ciascuna
variabile esplicativa:
• l’incremento di 1 punto percentuale del costo della produzione sui
revenues incide per -0.71 punti percentuali sul giudizio di
economicità;
• l’incremento di 1 punto percentuale dell’incidenza del costo del
personale sul costo della produzione incide per -0.22 punti;
• l’incremento di 1 punto percentuale dell’incidenza dei costi dei servizi
sul costo della produzione incide per -0.25 punti percentuali;
• l’incremento di 1 punto percentuale dell’incidenza dei costi per il
godimento di beni di terzi sul costo della produzione incide per -0.26
punti percentuali;
• l’incremento di 1 punto percentuale dell’incidenza degli ammor-
tamenti e delle svalutazioni sul costo della produzione incide per +0.68
punti percentuali. Su questo punto si sottolinea la possibilità che le
imprese che versano in difficoltà economiche possano essere tentate da
politiche di bilancio che si traducono in minori svalutazioni e minori
ammortamenti rispetto a quelli che sarebbero dovuti. Proprio per la
possibilità di queste politiche di bilancio si è scelto di adottare
l’indicatore di economicità EBITDA/Revenues.

Tab. 4.13 – Modello di regressione per la determinazione dei parametri di costo di riferi-
mento
Random-effects GLS regression Number of obs = 1918

Number of groups = 310

R-sq: within = 0,8516 Obs per group: min = 1


Between = 0,7851 avg = 6,2
Overall = 0,8068 max = 10

Wald chi2(5) = 10014,6


corr(u_i, X) = 0 (assumed) Prob > chi2 = 0

150
Unexpected Coef. Std. Err. z P>|z| [95% Conf. Int erval]
CP/Revenues -70,5949 0,7983 -88,42 0 -72,1597 -69,0301
Personale/CP -22,1408 1,9332 -11,45 0 -25,9298 -18,3517
Servizi/CP -24,9937 1,8242 -13,7 0 -28,5692 -21,4182
GodimBeniTerzi/CP -26,0316 2,3541 -11,06 0 -30,6458 -21,4175
AmmtiESvalutaz/CP 68,2307 2,1369 31,93 0 64,0423 72,4192
_cons 79,7359 1,6212 49,18 0 76,5584 82,9135
Sigma_u = 3,6116
Sigma_e = 2,2601
Rho = 0,7185 (fraction of variance due to u_i)

Le Figure 3.32-37 mostrano i grafici di dispersione tra le variabili del


modello e i giudizi di economicità (Unexpected).
Essendo le diverse incidenze di costo tra loro variamente e correlativa-
mente associate e non potendo escludere la bontà di modelli di governance
alternativi (che prediligano ad esempio il costo del personale sul costo dei
servizi), l’analisi grafica si rivela particolarmente utile per individuare le
fasce di valori normalmente associati alla positività dell’indice di economi-
cità.
Le fasce evidenziate nei grafici sono le seguenti:

CP/Revenues:
85% - 105%
Personale/CP:
20% - 65%
Materie/CP:
12% - 25%
Servizi/CP:
7% - 30%
GodimentoBeniTerzi/CP: 0% -
15%
AmmortamentiESvalutazioni/CP: 3% - 18%

Chiaramente, nell’ambito di tali fasce (che possono fungere da orienta-


mento e che non devono considerarsi limiti invalicabili), l’aspettativa è che
a fronte di uno spostamento dell’incidenza dei costi del personale dal 20%
verso il 65% vi sia una correlata riduzione dei costi per servizi e dei costi
per godimento di beni di terzi.

151
Fig. 4.29 – CP/Revenues vs. Giudizi di economicità (Unexpected)

152
Fig. 4.30 – Personale/CP vs. Giudizi di economicità (Unexpected)

153
Fig. 4.31 – Servizi/CP vs. Giudizi di economicità (Unexpected)

154
Fig. 4.32 – Godimento Beni di Terzi/CP vs. Giudizi di economicità (Unexpected)

155
Fig. 4.33 – Ammortamenti e svalutazioni/CP vs. Giudizi di economicità (Unexpected)

156
Fig. 4.34 – Materie/CP vs. Giudizi di economicità (Unexpected)

157
A completamento dell’analisi si è voluta testare l’ipotesi di associazione
dei giudizi di economicità con i compensi pagati agli Amministratori e
all’organo di controllo29.
La tabella che segue mostra i coefficienti di correlazione tra le variabili
considerate30. Si osserva che le variabili “Compensi Amministratori” e
“Compensi Organo di Controllo” sono state scalate per Revenues. Solo
quest’ultima presenta una correlazione – negativa – con i giudizi di economi-
cità. Dunque a fronte di maggiori compensi (per revenues) erogati agli organi
di controllo ci si può aspettare una performance economica più bassa.

Tab. 4.14 – Matrice di correlazione


1 2
Unexpected 1

1918

CompensiAmministratori/Revenues 0,027 1
0,5672
452 526

CompensiOrganoControllo/Revenues -0,1486 0,4344


0,0018 -
441 501

La regressione sui dati panel (Tab. 4.15) conferma l’associazione e con-


sente una stima del coefficiente di variazione per cui ad un incremento di
1000 euro di compensi su 1 milione di revenues (1 per mille) è associata la
riduzione di 0.35 punti percentuali del giudizio di economicità.

29
I dati sono stati raccolti direttamente dalle note integrative dei bilanci disponibili.
30
Il numero di osservazioni è limitato a 441 e 452 in considerazione dei dati disponibili
sui compensi rispettivamente pagati ad Amministratori e Sindaci.

158
Tab. 4.15 – Panel data Unexpected vs. Compensi Organo di Controllo
Random-effects GL S regression Number of obs = 441
Number of grou ps = 97

R-sq: within = 0,0089 Obs per group: min = 1


between = 0,012 avg = 4,5
overall = 0,0221 max = 6

Wald chi2(1) = 4,33


corr(u_i, X) = 0 (assumed) Prob > chi2 = 0,0374

Unexpected Coef. Std. Err. z P>|z| [95% Conf. Int erval]


CompensiControllo/Rev -347,2439 166,8179 -2,08 0,037 -674,2011 -20,2868
_cons 1,750025 0,8486415 2,06 0,039 0,0867178 3,413331
Sigma_u = 7,0292941
Sigma_e = 4,0621236
Rho = 0,74965269 (fraction of variance due to u_i)

159
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167
APPENDICE

A.1 – Elenco delle variabili considerate » 171


A.2 – Osservazioni per regione e anno » 173
A.3 – Elenco imprese incluse nel campione (e osservazioni
per anno) » 175
A.4 – Personale/CP vs. Servizi/CP – Posizionamento imprese
ASSTRA (2010) » 184
A.5 – Personale/CP vs. Godimento beni di terzi/CP – Posizio-
namento imprese » 185
A.6 – Personale/CP vs. Ammortamenti e svalutazioni/CP –
Posizionamento imprese » 186
A.7 – Personale/CP vs. Materie/CP – Posizionamento imprese
ASSTRA (2010) » 187
A.8 – EBITDA/Revenues vs. Dimensioni (A) » 188
A.9 – ROI (EBIT/capitale investito) vs. Dimensioni (A) » 189
A.10 – ROS (EBIT/Revenues) vs. Dimensioni (A) » 190
A.11 – Revenues/A vs. Dimensioni (A) » 191
A.12 – ROE (Net Income/Equity) vs. Dimensioni (A) (con
Equity>0) » 192
A.13 – Proventi e oneri straordinari/Revenues vs. Dimensioni
(A) » 193
A.14 – Proventi e oneri straordinari/Revenues vs. Dimensioni
(A) (con ordinata compresa tra -0,2 e +0,2) » 194
A.15 – Rettifiche di attività finanziarie/Revenues vs. Dimen-
sioni (A) » 195
A.16 – Rettifiche di attività finanziarie/Revenues vs. Dimen-
sioni (A) » 196
A.17 – Current ratio (attivo corrente/debiti a breve) vs. Di-
mensioni (A) » 197

169
A.18 – Quick ratio (disponibilità liquide/debiti a breve) vs.
Dimensioni (A) » 198
A.19 – Attività finanziarie/A vs. Dimensioni (A) » 199
A.20 – D/A (debiti/attivo) vs. Dimensioni (A) » 200
A.21 – D/E (Debit/Equity) vs. Dimensioni (A) (con D/E <50
ed E>0) » 201
A.22 – D/E vs. Dimensioni (A) (con D/E < 5) » 202
A.23 – E (Equity) vs. Dimensioni (A) » 203
A.24 – E/000 vs. Dimensioni (A) (con E<50 mil) » 204
A.25 – Grado di ammortamento vs. Dimensioni (A) » 205
A.26 – Riserve di rivalutazione/A vs. Dimensioni (A) » 206
A.27 – Compensi Amministratori/A vs. Dimensioni (A) » 207
A.28 – Compensi Amministratori/A vs. Dimensioni (A) (con
ordinata<5%) » 208
A.29 – Compensi Organo di Controllo/A vs. Dimensioni (A) » 209
A.30 – Compensi Organo di Controllo/A vs. Dimensioni (A)
(con ordinata <10) » 210
A.31 – Numero soci vs. Dimensioni (A) (con Numero soli
<50) » 211

170
A.1 – Elenco delle variabili considerate
Variabili type format

Riferimenti (livello impresa, rif. 2011)


Nome impresa str66 %66s
Anno double %ty
CCIAA Id str9 %9s
CF double %10.0g
Partita IVA double %10.0g
Indirizzo str35 %35s
Cap str5 %9s
Città str244 %244s
Prov str2 %9s
Regione str244 %244s
Stato Giuridico str21 %21s

Attività (livello impresa, rif. 2011)


Tipologia Attività str8 %9s
Gomma

Ferro

Navigazione

Parcheggi
Variabili dummy

Mezzi a Fune

Condutture

Multiutilities

Governance (livello impresa, rif. 2011 con eccezioni)


N° Soci int %10.0g
Veste Giuridica str19 %19s
Data di Costituzione int %td
Affidatario Controllo Contabile (rif. 2007) str244 %20s
N° Amministratori (rif. 2007) double %10.0g

Dimensione (livello impresa-anno)


N° Dipendenti double %10.0g
Totale Attivo double %10.0g
1/ Totale attivo float %9.0g

171
Struttura finanziaria (livello impresa-anno)
Patrimonio Netto double %10.0g
Totale Debiti double %10.0g
Posizione_finanziaria_netta long %10.0g
Debiti / Patrimonio netto float %9.0g
Debiti/Attivo float %9.0g

Struttura economica (livello impresa-anno)


Ricavi di vendita double %10.0g
Costo delle materie double %10.0g
Costo della produzione double %10.0g
EBITDA double %10.0g
Utile/Perdita di Esercizio double %10.0g
Materie / Costo della produzione float %9.0g
Materie / Ricavi di vendita float %9.0g
EBITDA / Ricavi di vendita float %9.0g

Dati di bilancio (livello impresa-anno)


Tutte le righe del bilancio redatto ai sensi dell'art. 2423 e ss del c.c. double %10.0g

Altro
Associazione (livello impresa, rif 2012) str53 %53s
ASSTRA (livello impresa, rif 2012) byte %10.0g
Compensi Organo di Controllo (livello impresa-anno) double %10.0g
Compensi Amministratori (livello impresa-anno) double %10.0g

Dati per Regione (rif. 2010) (* )


Costo medio per Km percorso (euro) double %10.0g
Proventi totali per Km percorso (euro) double %10.0g
Ricavi del traffico per Km percorso (euro) double %10.0g
Rapporto proventi totali/costi totali TOT double %10.0g
Rapporto ricavi del traffico/costi totali double %10.0g
Costo medio per addetto (€/000) double %10.0g
Percorrenza media annua per autobus utilizzato (Km/000) double %10.0g
Percorrenza media annua per addetto (Km/000) double %10.0g
Percorrenza media annua per addetto alla guida (Km/000) float %9.0g

(*) I dati sono ottenuti dalla media dei valori riferiti all’esercizio urbano ed extraurbano.
Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti

172
A.2 – Osservazioni per regione e anno
Regione 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Total
Abruzzo 4 4 10 9 9 10 7 9 8 10 80
Basilicata 2 1 4 4 5 6 8 7 7 3 47
Calabria 11 13 18 18 18 20 18 20 21 10 167
Campania 5 6 13 12 13 14 14 16 15 8 116
Emilia Romagna 5 5 10 12 12 14 11 10 12 11 102
Friuli Venezia Giulia 0 0 3 3 3 3 1 1 1 2 17
Lazio 7 9 11 13 14 15 13 14 14 12 122
Liguria 2 3 6 7 5 6 5 5 6 2 47
Lombardia 17 22 29 29 29 33 36 35 37 38 305
Marche 9 10 13 14 14 14 14 14 15 11 128
Molise 1 2 3 3 3 4 5 4 5 3 33
Piemonte 15 14 23 25 25 28 31 29 32 29 251
Puglia 2 2 12 12 13 13 8 9 10 9 90
Sardegna 1 1 4 4 5 4 5 6 5 6 41
Sicilia 14 15 18 22 22 23 17 25 25 18 199
Toscana 4 4 12 12 12 13 10 13 14 11 105
Trentino Alto Adige 0 0 2 3 3 6 3 4 4 3 28
Umbria 0 0 2 2 2 2 1 1 3 4 17
Valle d'Aosta 1 1 2 2 2 2 2 2 2 2 18
Veneto 9 9 15 15 17 15 13 15 15 13 136
Total 109 121 210 221 226 245 222 239 251 205 2.049

173
I mpresa 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Total
ACIERNO (BAIANO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
ACMS (CASERTA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
ACT (REGGIO NELL'EMIL 0 0 0 0 1 1 0 1 1 1 5
ACTS (SAVONA) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 7
ACTT (TREVISO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AE (REGGIO EMILIA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
AESERNIA (ISERNIA) 0 0 0 0 0 1 1 0 1 0 3
AETERNAL (SCIACCA) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1
AGESP (BUSTO ARSIZIO) 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 7
AGOUNO (APRILIA) 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
AIM (VICENZA) 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
AIR (AVELLINO) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 7
ALA (PIAN DI SCO) 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
ALIBUSINTERNATIONAL ( 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
AM TAB (BARI) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 7
AMA (L'AQUILA) 1 1 1 1 0 1 1 1 1 1 9
AMACO (COSENZA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AMAT (PALERMO) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
AMI (URBINO) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
AMPEZZO (CORTINA D'AM 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0 8
AMT (VERONA) 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 3
AMTS (BENEVENTO) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 7
AMU (ARIANO IRPINO) 0 0 1 1 0 1 1 1 1 1 7
ANM (NAPOLI) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 7
APAM (MANTOVA) 1 0 1 1 1 1 1 1 1 0 8
APS (PADOVA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
APTV (VERONA) 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 5
ARFEAAZIENDERIUNITE ( 1 0 1 1 1 1 1 1 1 1 9
ARPA (CHIETI) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
ARRIVEDERCIAROMA 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
(ROM
ARST (CAGLIARI) 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 2
ASARA (BERCHIDDA) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1
ASASERVIZI (ANDRIA) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
ASF (COMO) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
ASPO (OLBIA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AST (PALERMO) 0 0 1 1 1 1 1 0 0 0 5
ATAF (FIRENZE) 1 0 1 1 1 1 1 1 1 0 8

174
A.3 – Elenco imprese incluse nel campione (e osservazioni per anno)
ATAF (FOGGIA) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
ATAM (REGGIO CALABRIA 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
ATAP (BIELLA) 1 0 1 1 1 1 1 1 1 1 9
ATAP (PORDENONE) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 1 5
ATAV (TORINO) 1 0 1 1 1 1 1 1 1 1 9
ATB (BERGAMO) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
ATB Mob (BERGAMO) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
ATC (LA SPEZIA) 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1
ATC (TERNI) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
ATC (VITULAZIO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
ATI (AVELLINO) 0 1 1 1 1 1 1 1 0 1 8
ATI (SALUZZO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
ATL (LIVORNO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
ATM (ALESSANDRIA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
ATM (MILANO) 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
ATM (PIOMBINO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
ATM (TRAPANI) 0 0 0 0 1 1 0 1 1 0 4
ATM (VITTORIO VENETO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
ATP (CARASCO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
ATP (FORMIA) 0 1 1 1 1 1 1 1 0 0 7
ATP (NUORO) 0 0 1 1 1 0 1 1 0 0 5
ATRAL (ROMA) 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 7
ATS (CORBETTA) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
ATV (VERONA) 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
ATVO (SAN DONA' DI PI 1 0 1 1 1 1 1 1 1 1 9
AUTOCORRIERECAVERZA 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
N
AUTOINDUSTRIALEVIGO ( 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
AUTOLINEASOMMATINES 0 1 0 0 0 0 0 0 1 0 2
E
AUTOSTRADALE 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
(MILANO)
AUTOTRSONDRIOCHIESA 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
(
AutALLASIA (SAVIGLIAN 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
AutASCHEDAMINI 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
(CREMA
AutBAIRE (CAPOTERRA) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1
AutBALDELLI (FOSSOMBR 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
AutBELTRAMINI (GOLASE 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1

175
AutBUCCI (PESARO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutBUDA (GIARRE) 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1
AutCAPOZZO (LUGO DI V 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
AutCERELLA (VASTO) 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1
AutCERSOSIMO (ROTA GR 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 4
AutCHIRUZZI (BERNALDA 0 0 0 0 1 1 1 1 1 0 5
AutCIVITARESE (ORTONA 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1
AutCOMAZZI 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
(BORGOMANE

AutCORNACCHINI (BONDE 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
AutCROGNALETTI (CINGO 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutCUFFARO (CASTELTER 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 6
AutCURCIO (POLLA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutDELGOLFO (CAGLIARI 0 0 1 0 1 1 1 1 1 1 7
AutEREDI (PIEDIMONTE 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1
AutFABBRI (LATERINA) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1
AutFEDERICO (REGGIO D 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutFERRARI (MODENA) 1 0 1 1 1 1 1 0 1 0 7
AutFIORINO (CASTIGLIO 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1
AutGALLO (PALERMO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutGARBARINI (SANNAZZ 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
AutGARBIN (PEDAVENA) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1
AutGASPARI (TERAMO) 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1
AutGIACHINO (VILLANOV 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutGIAMPORCARO 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
(PALER

AutGIORDANO 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
(MONREALE
AutGLC (VARESE) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutGRASSANI (POLICORO 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
AutINZERILLO (PALERMO 1 0 1 1 0 1 0 0 0 1 5
AutIZZO (MONTESARCHIO 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 2
AutLISCIO (POTENZA) 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 2
AutLOCATELLI (BERGAMO 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutLOMBARDO (CEFALU') 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1
AutLORENZI (VALDAGNO) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1
AutLORENZINI (ORTONOV 1 1 1 1 0 1 1 1 0 0 7
AutMAGISTRO (BROLO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutMARINO (ALTAMURA) 0 0 1 0 1 1 1 1 1 1 7

176
AutMIGLIAVACCA (PAVIA 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutMORETTI (MELFI) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
AutMORICONI (ROMA) 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 2
AutMURGIA (CAGLIARI) 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 3
AutNUOVA (CUNEO) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
AutPASQUALINI (VERONA 1 1 1 1 1 1 1 1 0 1 9
AutPORTESI (MONTEGIOR 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 3
AutRENI (ANCONA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutRICCITELLI (MINTUR 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutRUOCCO (TEGGIANO) 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 3
AutRUSSO 0 0 0 1 1 0 0 1 1 1 5
(CASTELLAMMA

AutSABBA (CIVIDATE CA 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 2
AutSCAT (AGROPOLI) 0 0 0 0 1 0 0 1 1 0 3
AutSILVESTRI (LIVIGNO 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
AutTAORMINA (CARINI) 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
AutTOSCANANORD 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 3
(CARRA

AutTROIANI (ROMA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutUNIVERSAL (CASTELL 0 1 0 0 1 1 1 1 1 0 6
AutVALBORBERA 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
(CABELL
AutVALLEPESIO (CHIUSA 0 1 0 1 1 1 1 1 1 1 8
AutVARESINE (VARESE) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutVITALI (FANO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutZAGANELLI (LUGO) 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 7
AutZANI (BERGAMO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
AutosMORETTI (MELFI) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
BALDIOLI (LUINO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
BALTOUR (TERAMO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
BARANZELLI 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
(ROMAGNANO

BARGAGLI 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
(PIANCASTAGN
BARZI (MASERADA SUL P 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
BASCHETTI (SANSEPOLCR 0 1 1 1 0 1 1 1 1 1 8
BILOTTA (LAMEZIA TERM 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 2
BONOMI (ROGNO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
BRESCIATrasp (BRESCIA 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
BUCCI (SENIGALLIA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10

177
BUONOTOURIST (CASTEL 0 0 1 0 1 1 1 1 1 1 7
BYBUS (SIENA) 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 6
CAMARDAEDRAGO 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 7
(SANT'A
CAMPAGNAECICCOLO 0 0 0 0 1 0 0 1 1 1 4
(MES
CANIL (ROMANO D'EZZEL 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
CAPS (GUALDO 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
CATTANEO
CAPUTO (CONZA DELLA C 1 0 1 0 0 0 0 1 1 0 4
CARONTE (SESTO SAN GI 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
CARPI (CARPI) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1
CASAM (MATERA) 1 0 1 1 1 1 1 1 1 0 8
CAT (CARRARA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
CAVOURESE (TORINO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
CENTRA (SAN GIOVANNI 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 3
CIALONE (FERENTINO) 1 1 0 1 1 1 1 1 1 0 8
CIT (NOVI LIGURE) 0 0 1 1 0 0 1 0 1 1 5
CLAP (LUCCA) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 7
COMPAGNIAPISANA (PISA 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 7
CONCORD (CARPI) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
CONEROBUS (ANCONA) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 7
CONTRAM (CAMERINO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
COOPORISTANESE (ORIST 0 0 0 1 0 0 1 1 1 0 4
COOPSERVTIBURTINI (TI 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
COPIT (PISTOIA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
COSEA (ROMA) 1 1 1 1 1 0 1 1 0 1 8
COSTA (VILLA SAN GIOV 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
COSTABILE (RENDE) 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 3
COTRAL (ROMA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
CPT (PISA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
CSTP (SALERNO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
CTM (CAGLIARI) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
CTM (CASTELFRANCO 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
VEN
CTP (NAPOLI) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 7
CTP (TARANTO) 1 0 1 1 1 0 1 0 1 1 7
CTRT (RIOLO TERME) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
CUFFARO 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1
(CASTELTERMIN
CitySITALY (FIRENZE) 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 3

178
ConsAut (COSENZA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
DBHOLDING (ASCOLI PIC 1 1 0 1 1 1 1 0 0 0 6
DIFONZO (VASTO) 1 0 1 1 1 1 1 1 1 0 8
DIGIACOMO (LISCIA) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1
DOLOMITIBUS (BELLUNO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
DOSSENA (PADERNO D'AD 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1
EAVBUS (NAPOLI) 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 3
ELIOS (CALIMERA) 0 0 0 0 0 1 0 1 1 1 4
EREDICALDANA 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
(TOSCOLA
ETM (CIVITAVECCHIA) 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 2
EUROBUS 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
(MONTECOSARO)

EUROBUSCOMO (CUNEO) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1
FAL (BARI) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
FAS (LANCIANO) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
FATA (SAN MARCO ARGEN 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
FDG (BARI) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
FER (BOLOGNA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
FERLOC (CATANZARO) 0 0 0 0 1 1 1 0 0 0 3
FIRENZECityS (FIRENZE 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 3
FNM Autos (MILANO) 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
FSE (BARI) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
FTV (VICENZA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
FlliPATTI (FAVARA) 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
FlliROMANO (STRONGOLI 0 0 0 0 0 1 1 1 1 0 4
GASPARI (GIULIANOVA) 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
GBV (VIBO VALENTIA) 0 0 0 0 1 1 1 1 1 0 5
GEAF (FROSINONE) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
GELOSOBUS (CANELLI) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
GENCO (VIBO VALENTIA) 0 0 0 1 1 1 1 1 1 0 6
GIUNTABUS (MONFORTE S 1 1 1 1 1 1 0 1 1 0 8
GTM (GARBAGNATE 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
MILAN

GTM (TERMOLI) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
GTM SPA (PESCARA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
GUNETTO (FOSSANO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
HOLIDAYBUS 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
(MONTENERO

IAS (CORIGLIANO CALAB 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0 8

179
IBLATOUR (RAVANUSA) 0 1 1 1 1 1 0 1 0 1 7
INBUS (OVIGLIO) 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
INTERBUS (ENNA) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
INTERBUSFEDERICO (REG 0 0 0 0 0 1 0 1 1 1 4
INTERBUSIN (PALERMO) 0 0 0 1 0 1 0 0 1 1 4
INTERSAJ (TREBISACCE) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
ISEA (MISTERBIANCO) 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 2
KLOECKER (FALZES) 0 0 0 1 0 1 0 0 0 0 2
KM (CREMONA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
LALINEA (VENEZIA) 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 5
LAMARCA (TREVISO) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
LARIVERA 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
(CAMPOBASSO)
LFI (AREZZO) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
LI-NEA (SCANDICCI) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
LINE-SERVIZI (PAVIA) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
LINEE LECCO (LECCO) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
LIROSIAut (GIOIA TAUR 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
LIROSILINEE (GIOIA TA 1 1 1 1 0 0 0 0 1 0 5
LVL (CASTROVILLARI) 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 3
MADE (ASCOLI PICENO) 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 2
MARCOZZI (MONTORIO 0 0 0 1 1 0 0 0 1 1 4
AL

MAROZZI (BARI) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
MEDICOOP (ROMA) 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 3
MEDITERRANEABUS 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 6
(REGG

MILANOCityS (MILANO) 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
MIOBUS (MILANO) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1
MOLISE (CAMPOBASSO) 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 3
MORANDI (VARESE) 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 6
MORETTIETENORE 0 0 0 0 0 1 1 0 1 1 4
(MELFI
MOVIBUS (MILANO) 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
NET (MILANO) 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 4
NORDESTMOBILITY 0 0 0 0 1 1 0 1 1 0 4
(VENE
NUOVASAAR 1 1 0 0 1 1 1 1 1 0 7
(FARIGLIANO
NUOVATESEI (APRILIA) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1
OGNIVIA (L'AQUILA) 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 2

180
PERRONE (FAGNANO 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 7
CAST
PIANA (PALMI) 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0 8
PICULIN (SAN MARTINO 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
PIRAZZI (NEBBIUNO) 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 2
PRESTIAECOMANDE 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
(PALE
RAMA (GROSSETO) 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1
RICCI (BAGNARA DI ROM 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
RITTNERHORN (RENON) 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 6
RIVIERA (IMPERIA) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1
RIVIERALINEA (IMPERIA 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0 8
ROCCO (DIAMANTE) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
ROCCOAut (LAGONEGRO) 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 3
ROMA (ROMA) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
ROMANO (CROTONE) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
RT (IMPERIA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
RTPIEMONTE (ORMEA) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
SAAMO (OVADA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
SAB (BERGAMO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
SAC (CERVIA) 0 0 0 1 1 1 1 0 1 1 6
SACSA (JESI) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
SAD (BOLZANO) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
SAF (CRESSA) 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 7
SAI (FARA GERA D'ADDA 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
SAL (AGRIGENTO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
SAP (POTENZA PICENA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
SAP (ROMA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
SAPO (VOGHERA) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
SASA (BOLZANO) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
SASP (SAN GINESIO) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
SAT (BRESSANONE) 0 0 0 0 0 1 1 1 1 0 4
SATAM (SAN GIOVANNI T 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
SCAV (AVEZZANO) 0 0 1 0 0 1 0 1 0 1 4
SEA (MODENA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
SEAC (CAMPOBASSO) 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
SEAG (VILLAFRANCA PIE 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
SEAL (BORGHETTO DI VA 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
SEGESTAAut (PALERMO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9

181
SEGESTAINTERNAZIONAL 1 1 1 1 1 1 0 1 1 1 9
E
SETA (MODENA) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
SGM (LECCE) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
SIA (BRESCIA) 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
SICILBUS (PALERMO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
SIMET (ROSSANO) 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1
SIRA (ROMA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
SOCMARINO (ALTAMURA) 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
SOGEA (REGGIO NELL'EM 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
SOLFRINI (CESENA) 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1 2
SORDILLI (SPOLETO) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
SOTRAM (ROMA) 0 0 0 0 0 1 0 0 0 1 2
SSIT (SPOLETO) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
SST (FERRARA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
STAAV (CALUSO) 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 5
STAC (CASALE 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
MONFERRA
STAR (LODI) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1
STARFLY (MILANO) 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
START (ASCOLI PICENO) 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
STATTur (CASALE MONFE 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
STEAT (FERMO) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
STN (NOVARA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
STP (BARI) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
STP (CUNEO) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
STP (SAN CESARIO DI L 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
SUN (NOVARA) 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9
SVAP (CHARVENSOD) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
TAI (MESSINA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 9
TBSO (OSIO SOTTO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
TEAMBUS (BERGAMO) 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 3
TEP (PARMA) 0 1 0 1 0 0 1 1 1 0 5
TESSITORE (VASTO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
TIEMME (AREZZO) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
TIL (REGGIO EMILIA) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
TNC (CASTROVILLARI) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8
TPLLINEA (SAVONA) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
TRAIN (SIENA) 0 0 0 1 1 1 1 1 0 0 5
TRAMBUSOPEN (ROMA) 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 8

182
TRENTINO (TRENTO) 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 3
TT (TRIESTE) 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 4
TUA (PALERMO) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
TUNDO (SOLETO) 0 0 0 1 1 1 1 1 0 0 5
TUV (VARESE) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 2
TraspMONREGALESI (MON 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 7
UMBRIA (PERUGIA) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1
VASANELLO (ORTE) 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1
VCO Trasp (VERBANIA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
VENETABUS (VENEZIA) 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 2
VISINONI (COSTA VOLPI 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
VITA (AOSTA) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
ZAGANELLI (LUGO) 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 2
ZANCONATO 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1
(ARZIGNANO)

ZAPPALA (ACIREALE) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10
ZARANTONELLO 0 0 1 1 1 0 1 1 1 0 6
(MONTECC

ZETAWAY (BOLOGNA) 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 1
Total 109 121 210 221 226 245 222 239 251 205 2.049

183
A.4 – Personale/CP vs. Servizi/CP – Posizionamento imprese ASSTRA (2010)

Il quadrato verde indica il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); il cerchio il posizionamento delle impre-
se con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo).

184
A.5 – Personale/CP vs. Godimento beni di terzi/CP – Posizionamento imprese ASSTRA
(2010)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi il posizionamento delle imprese
con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo).

185
A.6 – Personale/CP vs. Ammortamenti e svalutazioni/CP – Posizionamento imprese AS-
STRA (2010)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi il posizionamento delle imprese
con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo).

186
A.7 – Personale/CP vs. Materie/CP – Posizionamento imprese ASSTRA (2010)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi il posizionamento delle imprese
con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo).

187
A.8 – EBITDA/Revenues vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

188
A.9 – ROI (EBIT/capitale investito) vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

189
A.10 – ROS (EBIT/Revenues) vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

190
A.11 – Revenues/A vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

191
A.12 – ROE (Net Income/Equity) vs. Dimensioni (A) (con Equity>0)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

192
A.13 – Proventi e oneri straordinari/Revenues vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

193
A.14 – Proventi e oneri straordinari/Revenues vs. Dimensioni (A) (con ordinata compresa
tra -0,2 e +0,2)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

194
A.15 – Rettifiche di attività finanziarie/Revenues vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

195
A.16 – Rettifiche di attività finanziarie/Revenues vs. Dimensioni (A) (con ordinata compresa
tra -0,05 e +0,05)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

196
A.17 – Current ratio (attivo corrente/debiti a breve) vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

197
A.18 – Quick ratio (disponibilità liquide/debiti a breve) vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

198
A.19 – Attività finanziarie/A vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

199
A.20 – D/A (debiti/attivo) vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

200
A.21 – D/E (Debit/Equity) vs. Dimensioni (A) (con D/E <50 ed E>0)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

201
A.22 – D/E vs. Dimensioni (A) (con D/E < 5)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

202
A.23 – E (Equity) vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

203
A.24 – E/000 vs. Dimensioni (A) (con E<50 mil)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

204
A.25 – Grado di ammortamento vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

205
A.26 – Riserve di rivalutazione/A vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

206
A.27 – Compensi Amministratori/A vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

207
A.28 – Compensi Amministratori/A vs. Dimensioni (A) (con ordinata<5%)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

208
A.29 – Compensi Organo di Controllo/A vs. Dimensioni (A)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

209
A.30 – Compensi Organo di Controllo/A vs. Dimensioni (A) (con ordinata <10)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

210
A.31 – Numero soci vs. Dimensioni (A) (con Numero soli <50)

I quadrati verdi indicano il posizionamento delle imprese con performance economica infe-
riore rispetto ai valori attesi (unexpected negativo); i cerchi blu il posizionamento delle im-
prese con performance economica superiore rispetto ai valori attesi (unexpected positivo);
l’anno si riferisce ai valori di AIR S.p.A.

211
Collana di Studi Aziendali Applicati
diretta da Giuseppe Paolone
 
1. Giuseppe Paolone, L’economia aziendale e la ragioneria nella teoria e nelle
specializzazioni
2. Giuseppe Paolone, Francesco De Luca, Le rilevazioni sistematiche in contabi-
lità generale
3. Giuseppe Paolone, Francesco De Luca, Il bilancio di esercizio, principi, pro-
cedure e valutazioni
4. Claudia Salvatore, Il sistema degli strumenti integrati di rilevazione aziendale
5. Michele Borgia, L’economia delle aziende operanti nell’ambito della formazione
6. Giuseppe Paolone, Gaetano Aita (a cura di), Governance, adeguatezza e fun-
zionamento organizzativo delle imprese. I doveri degli organi delegati e del
Collegio sindacale
7. Galliano Cocco, La comunicazione interna. Strategie e strumenti psicosocio-
logici per le organizzazioni motivanti
8. Giuseppe Paolone, Gli istituti della cessazione aziendale. Cause originatrici e
forme di manifestazione
9. Manuel De Nicola, La responsabilità sociale dell’azienda. Strategie, processi,
modelli
10. Luca Ianni, Profili economico-aziendali e contabili nel nuovo sistema informati-
vo sanitario (NSIS)
11. Daniela Di Berardino, La gestione del capitale intellettuale nell’impresa al-
berghiera
12. Michelina Venditti, Social Housing. Logica sociale e approccio economicoa-
ziendale
13. Giuseppe Paolone, Gli istituti societari riferibili ai vari tipi di imprese in fun-
zionamento
14. Silvia Angeloni, L’aziendabilità. Il valore delle risorse disabili per l’azienda e il
valore dell’azienda per le risorse disabili
15. Ciro Esposito, La gestione concorsuale della crisi d’impresa
16. Galliano Cocco, Giuseppe Zanghi, Leadership & Coaching. Cambiamento e svi-
luppo delle persone
17. Riccardo Palumbo, Dall’Università al mercato. Governance e performance
degli spinoff universitari in Italia
18. Giuseppe Paolone, Stefania Migliori, Introduzione alla Contabilità industriale.
Scopi, sistemi, procedimenti di rilevazione
19. Lorenzo Lucianetti, Alfonso Cocco, Risorse immateriali e value relevance
dell’informativa contabile
20. Eva Leccese, Danno all’ambiente e danno alla persona
21. Alberto Dell’Atti, I piani di risanamento nelle operazioni di ristrutturazione
d’impresa
22. Stefania Migliori, Crisi d’impresa e corporate governance
23. Giuseppe Paolone, Le vesti giuridiche idonee a rappresentare i vari tipi di im-
prese in funzionamento
24. Daniela Di Berardino, La valutazione e la disclosure delle risorse intangibili
delle università
25. Claudia Salvatore, Il processo di trasformazione dei sistemi di controllo conta-
bile e gestionale nelle aziende pubbliche
26. Armando Della Porta, Antonio Gitto (a cura di), La riforma del trasporto pub-
blico locale in Italia nella prospettiva aziendale. Il difficile compromesso tra
economicità aziendale ed efficacia sociale
27 Carla Del Gesso, La visione sistemica dell’azienda sanitaria pubblica. Tenden-
ze evolutive dell’organizzazione, della gestione e della rilevazione nel sistema
di tutela della salute
28 Francesco Capalbo, Luciano D’Amico, Armando Della Porta, Eleonora Mona-
co, Riccardo Palumbo, L’economicità delle imprese di trasporto pubblico loca-
le (TPL). Comparazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati

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