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DIARIO DI UN MAESTRO

Titolo originale: Diario di un maestro


Paese: Italia
Anno: 1973
Miniserie televisiva
Durata: 4 puntate (290 minuti)
Genere: drammatico
Regista: Vittorio De Seta
Sceneggiatore: Vittorio De Seta

Basato sul libro Un anno a Pietralata (1968) di Albino Bernardini, Diario di un maestro
illustra l’esperienza in una scuola della periferia romana di un giovane maestro elementare,
Bruno D’Angelo, cui viene assegnata una classe composta dai casi più difficili e senza spe-
ranza.
Se già per l’insegnante risulta arduo riempire l’aula, dovendo andare alla ricerca degli alunni
per le strade e la campagna romana, deve anche scontrarsi con il pregiudizio e il disinteresse
dei colleghi e del direttore, i quali considerano un’inutile perdita di tempo tentare di insegnare
qualcosa a dei ragazzi ribelli, il cui futuro è già segnato dall’abbandono degli studi e un de-
stino sulla strada e nelle file del lavoro minorile. Il suo impegno si infrange sulle prime anche
sulle famiglie, di umilissima condizione, che non riescono a comprendere che la scuola non
è un obbligo per i figli, un ostacolo alla possibilità di lavorare, ma un beneficio, uno strumento
con cui poter migliorare la loro condizione.
Essersi “procacciato” gli studenti e averli riportati in aula non basta, il maestro D’Angelo
deve riuscire a tenerceli, e non può né vuole farlo facendo uso dell’autorità, stando dietro a
una cattedra. Necessita di un approccio che possa interessarli, coinvolgerli. Alla prima le-
zione, ponendo alcune domande, si rende conto che i ragazzi imparano nozioni a memoria
solo per prendere un voto, senza comprenderle. Deve trovare il modo di “passare dalla loro
esperienza diretta allo studio vero e proprio”. Decide così di entrare nel loro mondo, nel loro
ambiente, accompagnarli nelle attività giornaliere per capire come tradurle in insegnamento
didattico e pedagogico. Ecco allora la caccia alle lucertole e la questione della violenza sugli
animali, l’analisi della condotta giornaliera per imparare il rispetto per gli altri e riflettere sul
destino che li aspetta in fondo a quella strada, e l’incontro con la guerra tramite l’esperienza
dei familiari. Via, dunque, i più tradizionali metodi di insegnamento: realizzano cartelloni
tramite lavori in cooperazione; stampano autonomamente giornalini dove raccolgono le co-
noscenze apprese; la pedana della cattedra viene trasformata in una libreria con una piccola
opera di falegnameria; i banchi riuniti a isole corrispondenti ai tre diversi quartieri da cui
provengono. Perfino un percorso di responsabilizzazione tramite il regolare versamento di
una cifra compartecipata per acquistare i materiali scolastici. In questo modo i ragazzi assu-
mono via via interesse per una scuola che non è più noioso luogo di costrizione, ma spazio in
cui acquisire mezzi utili alla vita che li aspetta e a fondare la loro etica. L’esperienza diretta,
l’incontro con la realtà dei quartieri in cui abitano, rimane lo strumento principe di questo
apprendimento: la conoscenza dell’ex-detenuto Ralph, la partecipazione di alcuni genitori
nello studio della seconda guerra mondiale, riflettendo su come abbia determinato la trasfor-
mazione delle borgate.
Bruno si oppone a un sistema di insegnamento antiquato, retrogrado e ipocrita, con supporti
educativi, come il sussidiario, obsoleti. Ma per queste ragioni viene ostacolato dal direttore,
imprigionato in una visione conservatrice per cui il solo scopo della scuola è apprendere no-
zioni di carattere formale e ottenere una licenza, senza alcun interesse per la crescita personale
ed emotiva degli studenti. Sostiene di considerare i ragazzi tutti uguali, ma non si fa problemi
nel relegare i casi più difficili in una classe senza speranze, solo per poter adempiere, dalla
sua parte, all’obbligo legale di far loro frequentare la scuola. Al contrario di quanto afferma,
non ha alcun interesse verso di essi e il loro futuro, trattandoli in maniera diversa dagli altri
alunni. Così non si esce dalla situazione di degrado culturale e sociale di quei luoghi.
Emblematico il ricorrente confronto col collega Badalucco, l’esatto opposto di Bruno, che lo
incoraggia a seguire le istruzioni del direttore solo per mantenere il lavoro e lo stipendio,
senza preoccuparsi dei risultati e la formazione dei ragazzi. Ma, come gli ricorda la lettera
ricevuta dall’amico Guido, il maestro D’Angelo non è un insegnante, ma un educatore, il suo
obiettivo è permettere a questi giovanissimi ragazzi di trovare un posto nel mondo, la propria
giusta collocazione, lontano dall’illegalità e da vite di stenti.

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