Sei sulla pagina 1di 337

Testatina 1

IL PENSIERO CONTEMPORANEO
SECONDO J. MARITAIN
2 Testatina

Pubblicazione a cura dell’Istituto Internazionale Jacques Maritain (*)

L’ISTITUTO INTERNAZIONALE JACQUES MARITAIN, nato nel 1974 per ini-


ziativa di un gruppo di intellettuali ed esponenti del mondo culturale,
artistico, accademico, ecclesiastico e politico di molti paesi, che si richia-
mavano idealmente alla ispirazione personalista del filosofo francese, è
un’associazione culturale internazionale, giuridicamente riconosciuta,
che promuove ricerche e studi sui temi dell’uomo, della cultura e della
società contemporanea.
Ha sede a Roma dove è ospitata la “Biblioteca della Persona”. L’Istituto
si è diffuso nel mondo e conta numerosi soci in tutti i continenti; in molti
paesi operano gruppi nazionali affiliati (Sezioni Nazionali ed Associazio-
ni collaboratrici) che collaborano alla sua attività.
Ha “relazioni operative” con l’UNESCO ed uno “statuto di collegamen-
to” con la FAO e collabora con altre organizzazioni internazionali, centri
di ricerca, Ong, governi ed agenzie specializzate dell’ONU. Nel 1999 è
stata istituita presso l’Istituto la Cattedra UNESCO su “Pace, Sviluppo
culturale e Politiche culturali”.
Ha organizzato centinaia di incontri scientifici nel mondo (seminari,
grandi convegni, incontri di ricerca, master, ecc.); ha curato la pubbli-
cazione di oltre duecento volumi nelle principali lingue occidentali e
pubblica la rivista internazionale quadrimestrale Notes et Documents (in
francese, inglese, italiano e spagnolo).

(*) ISTITUTO INTERNAZIONALE JACQUES MARITAIN


Via Torino, 125/A - 00184 Roma
Tel. 06.4874336 - Fax 06.4852188
E-mail: segreteria@istitutomaritain.org
Sito web: www.istitutomaritain.org

E-mail dell’autore Prof. Piero Viotto: pieroviotto@alice.it


Testatina 3

Piero Viotto

IL PENSIERO CONTEMPORANEO
SECONDO J. MARITAIN
4 Testatina

In copertina:
sul dorso: Marek Szwarc, Ritratto di Jacques Maritain
Grafica di Rossana Quarta

© 2012, Città Nuova Editrice


Via Pieve Torina, 55 - 00156 Roma
tel. 063216212 - e-mail: comm.editrice@cittanuova.it

ISBN 978-88-311-1635-0

Finito di stampare nel mese di febbraio 2012


dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M.
Via Pieve Torina, 55
00156 Roma - tel. 066530467
e-mail: segr.tipografia@cittanuova.it
Testatina 5

In memoria di Aurelia Leletta d’Isola (1926-1993),


mia compagna di studi all’Università di Torino,
che per motivi di salute ha dovuto rinunciare alla sua vocazione domenicana,
ma ha trascorso tutta la vita nella preghiera, nello studio, nell’insegnamento,
secondo lo spirito di san Tommaso d’Aquino.
Da lei ho appreso che la ricerca della verità è la ricerca di Dio.
6 Testatina
Introduzione. Dal criticismo al pensiero debole 7

Introduzione.
Dal criticismo al pensiero debole

La filosofia dei tempi moderni si è talmente rimpicciolita


a forza di guardare a se stessa e di distrarsi dalla realtà,
che oramai tutto ciò che si domanda a proposito del conoscere è,
rileva Bergson, «Come sia possibile la scienza?» (I, p. 148).

Questo volume rintraccia nel criticismo kantiano le premesse per


la postmodernità e il germe del pensiero debole e considera l’idealismo
hegeliano e il positivismo francese le grandi ideologie della moder-
nità. Infatti, Kant si trova al crocevia della filosofia moderna e in lui
confluiscono l’empirismo e il razionalismo: dal primo eredita la con-
vinzione che la conoscenza debba partire dall’esperienza e sia una
sintesi; dal secondo la necessità di costruire questa sintesi cognitiva di
materia e forma a priori. Da lui derivano il positivismo e l’idealismo:
il primo riduce tutto l’universo all’evoluzione della materia, il secon-
do alla dialettica della forma. L’empirismo e il razionalismo sono state
nella modernità le grandi filosofie del conoscere, il positivismo e l’i-
dealismo, recuperandole metafisicamente, hanno generato l’età delle
ideologie. Kant, imperturbabile nella sua solitudine, con la sua sintesi
a priori di materia e forma, inizia a decostruire i grandi sistemi filoso-
fici preparando la postmodernità, spostando l’attenzione dalla meta-
fisica alla antropologia.
Non è possibile in questa sede sviluppare dettagliatamente l’a-
nalisi della filosofia contemporanea con la diaspora del pensiero
debole nel pluralismo delle sue correnti, perché Jacques Maritain
(1882-1973) si è appena affacciato su questo mondo multiforme; è
possibile, invece, presentare le sue proposte per uscire dalla crisi del
relativismo e del nichilismo con il recupero del pensiero scolastico,
del realismo di san Tommaso, senza perdere i valori espressi dalla
modernità, tanto da parlare di realismo critico. Il termine postmo-
dernità, non usato da Maritain, è un termine complesso e ambiguo,
non indica una particolare corrente di pensiero, ma rileva il clima di
sfiducia nella ragione e nelle grandi ideologie nate dall’illuminismo,
8 Introduzione. Dal criticismo al pensiero debole

che con l’idealismo e il marxismo hanno generato i totalitarismi


di destra e di sinistra. Il termine postmodernità si trova definito in
un’opera La condizione postmoderna (1979) di Jean-François Lyo-
tard (1924-1998), un filosofo francese, che ibrida fenomenologia e
psicoanalisi e, constatato il frantumarsi della ricerca filosofica, fa del
pluralismo delle opinioni una filosofia, per cui il relativismo diventa
la regola delle relazioni culturali. In questa postmodernità sono pro-
tagonisti anche l’esistenzialismo di Martin Heidegger, il positivismo
logico di Ludwig Wittgenstein, lo strutturalismo di Roland Barthes,
l’ermeneutica di Hans Georg Gadamer. La postmodernità era sta-
ta preparata anche dalla letteratura e dalle arti figurative, infatti il
termine viene introdotto nella storia della cultura da un critico let-
terario spagnolo, Federico de Onís (1885-1966), in un saggio sulla
letteratura sudamericana e dallo storico inglese Arnold J. Toynbee
(1889-1975) nei tre volumi della sua storia della civiltà A Study of
History; entrambe le opere sono state pubblicate nel 1934. Toynbee
sostiene che tutte le civiltà confluiscono in una civiltà universale, in
una sorta di religione universale nella quale il cristianesimo si dissol-
verebbe. Maritain dedica un paragrafo di Per una filosofia della sto-
ria (51) ad analizzare le questioni poste da Toynbee, che considera
«più uno storico appassionatamente innamorato di generalizzazioni
filosofiche che un vero filosofo della storia» (X, p. 757), ma non par-
la della postmodernità.
A Maritain interessa soprattutto il destrutturarsi della filosofia co-
me ricerca metafisica, iniziatosi con il criticismo kantiano, il ridursi
del sapere filosofico ai problemi antropologici del linguaggio e della
sociologia. Ha avuto modo di percepire il nascere di questo rifiuto
della ragione che ha generato il relativismo contemporaneo con l’af-
fermarsi nella letteratura e nelle arti figurative del surrealismo, feno-
meno culturale di cui parla ne L’intuizione creativa nell’arte e nella
poesia (49), dove scrive: «Non voglio intraprendere una discussione
completa di questo fenomeno. È sufficiente, osservare che col surre-
alismo non abbiamo più semplicemente un processo di liberazione
dalla ragione concettuale, logica, discorsiva. Abbiamo un processo di
liberazione dalla ragione, propriamente parlando: un desiderio deciso
e sistematico di negare la suprema autonomia di un potere che è spi-
rituale per natura, di respingere ovunque e in ogni modo il controllo
della ragione consapevole e, perfino nella vita preconscia, la superio-
rità intuitiva dell’intelletto, e di scatenare i poteri infiniti dell’irrazio-
nale che sono nell’uomo. Questo rifiuto della ragione, questo distacco
Introduzione. Dal criticismo al pensiero debole 9

totale dalla ragione, non solo nella sua vita concettuale e discorsiva ma
incondizionatamente, segna il limite essenziale che separa il surreali-
smo da tutte le altre correnti» (X, p. 202).
Maritain considera anche la crisi epistemologica, perché l’e-
pistemologia medievale, che raccorda il sapere scientifico al sapere
filosofico e questo al sapere teologico, nell’età moderna viene pro-
gressivamente demolita. Cartesio nega la teologia come scienza, Kant
nega la scientificità della stessa filosofia, dichiarando l’impossibilità
per la ragione umana di conoscere il soprasensibile, per cui imma-
gina che la metafisica sia l’illusione di un visionario; la filosofia con-
temporanea, come rileva Bergson, si riduce a cercare le ragioni della
ricerca scientifica fisico-matematica e in molte correnti come l’empi-
riocriticismo, il pragmatismo, il positivismo logico si giunge a negare
la scientificità della stessa scienza, i cui risultati sono considerati utili
per la vita pratica ma non veri. Maritain aveva già visto in Galileo il
germe di questo scetticismo nel passaggio da un sapere percettivo ad
un sapere costruttivo, per cui le scienze fisico-matematiche si sostitu-
iscono alla filosofia della natura. La filosofia contemporanea abban-
dona la logica formale di Aristotele, che raccorda gli enti di ragione
agli enti reali, e si riduce ad una logica simbolica, che considera gli
enti di ragione solo come segni e simboli convenzionali.
Articolo l’analisi del multiforme mondo delle correnti di pen-
siero contemporaneo in due parti, perché pur riconoscendo tutte il
valore, la libertà, l’autonomia della persona umana nella sua indivi-
dualità, alcune, dipendendo dall’impostazione kantiana, riconosco-
no questa dignità solo come un valore morale, e rimandano ad una
soggettività empirica, mentre altre, rifacendosi, in modo più o meno
esplicito, alla filosofia dell’essere, riconoscono l’ontologicità dell’es-
sere uomo. Per gli uni i diritti della persona umana nascono nell’in-
tersoggettività delle relazioni sociali, per gli altri i diritti dell’uomo
sono oggettivamente fondati nel diritto naturale che rimanda al-
la legge eterna e a un Dio legislatore. L’età moderna iniziatasi con
l’umanesimo, dopo avere esaltato la ragione con l’illuminismo e le
grandi ideologie, nell’età postmoderna, iniziatasi da lontano con il
criticismo kantiano, finisce in un disumanesimo, che le deforma-
zioni della persona umana introdotte nella storia dell’arte da Pablo
Picasso, da Francis Bacon, da Salvador Dalì bene significano. Per
Maritain bisogna superare il relativismo conseguenza del pensiero
debole, bisogna considerare il pluralismo non come una filosofia,
ove tutte le opinioni sono vere, ma solo una metodologia politica per
10 Introduzione. Dal criticismo al pensiero debole

garantire la libertà di coscienza in una società democratica, senza


rinunciare alla verità. Ma soprattutto bisogna ritrovare una ragione
forte, capace di confrontarsi con i problemi della metafisica.
In questo secondo volume non sono presenti alcuni protagoni-
sti della filosofia contemporanea che Maritain, per limiti cronologici,
non ha avuto modo di conoscere e di studiare, ma sono presenti altri
protagonisti, che sono trascurati dalla cultura laica, come, per ricor-
darne alcuni, il russo Nikolaj Berdjaev, il francese Étienne Gilson, il
tedesco Peter Wust, il franco-americano Yves René Simon, lo svizze-
ro Charles Journet, le cui opere restano momenti fondamentali nella
storia della filosofia. In questo volume utilizzo anche le corrisponden-
ze intercorse tra Jacques Maritain e filosofi, teologi, scrittori contem-
poranei, perché il pensiero di Maritain non è il pensiero di un uomo
solo, ma un pensiero in dialogo, capace di trovare la verità ovunque
essa sia, anche nei sistemi più diversi dal proprio, non essendo la veri-
tà esclusiva di un sistema filosofico, ma inclusiva di tutti coloro che la
cercano. Maritain in L’educazione al bivio (36), dopo avere sottolinea-
to che nell’insegnare a filosofare non basta esercitare l’intelligenza, ma
bisogna soddisfare l’intelligenza, che non si tratta di insegnare a cercare
ma di insegnare a trovare la verità, precisa che il maestro è ben lieto
in questo cammino di vedersi superare dall’allievo. Chi pretende l’e-
sclusiva della verità, non la condivide, non accetta che altri, per altre
strade, possano raggiungere la medesima verità.
Come già indicato nell’Avvertenza preliminare al volume Il pen-
siero moderno secondo J. Maritain, tutti i testi citati del filosofo fran-
cese sono riferiti alle Oeuvres complètes, indicando per ciascun testo
il volume e la pagina, secondo l’Elenco cronologico delle opere di Jac-
ques Maritain, riportato alle pagine 301-311. Talvolta segnalo il titolo
del singolo volume, perché in quel volume l’argomento in questione
è trattato in modo approfondito; anche in questo caso, dopo il titolo,
indico la sua collocazione nella bibliografia di Maritain. A partire dal
III capitolo, visto il polverizzarsi della ricerca filosofica in numerosis-
sime correnti di pensiero, le biografie dei singoli filosofi sono breve-
mente riportate in nota. Nel paragrafo dedicato alla Nuova Scolastica,
ovviamente, non presento J. Maritain, il cui pensiero è rintracciabile,
argomento per argomento, attraverso l’Indice degli argomenti, e a cui
ho dedicato il primo volume di questa collana, con il volume Il dizio-
nario delle opere di Jacques Maritain nel 2000, nel quale analizzo, ad
una ad una, tutte le sue 65 opere, pubblicate tra il 1913 e il 1973, com-
presa quella pubblicata postuma dai suoi discepoli.
I. Oltre l’illuminismo 11

I. Oltre l’illuminismo

1. Il crocevia della filosofia moderna


L’illuminismo, alla confluenza tra empirismo e razionalismo,
non ha prodotto grandi sistemi filosofici, è stato un’età di divulga-
zione, più attenta ai problemi della prassi che alle speculazioni del-
la teoresi. Voltaire e Rousseau non sono dei metafisici; mancava un
pensatore che ricapitolasse e sapesse unificare il fermento di quella
stagione della storia della filosofia. Ma esplode il criticismo di Im-
manuel Kant che elabora una sintesi originale, distrugge la metafi-
sica come scienza e apre da lontano alla postmodernità, che con il
pensiero debole, superata l’illusione delle grandi ideologie, finisce
per affiancare la religione e la scienza negando proprio quella filoso-
fia che i maestri dell’illuminismo avevano posto a fondamento della
loro rivoluzione culturale. L’eredità storica dell’illuminismo deriva
più dalle conseguenze della Rivoluzione francese che dalla riflessio-
ne filosofica.
Pensatore originale e solitario, Kant si pone al crocevia della
filosofia moderna, perché in lui confluiscono i sistemi precedenti
dell’empirismo e del razionalismo, e da lui, disputandosene l’eredi-
tà, si dipartono i sistemi successivi dell’idealismo e del positivismo,
e la sua influenza si prolunga sulla filosofia contemporanea soprat-
tutto attraverso la fenomenologia. Kant non ha avuto veri e propri
maestri che gli segnassero il cammino, né sicuri discepoli che gli
restassero fedeli; isolato, domina con la sua personalità inquieta la
storia della filosofia. Il suo sistema rifiuta la metafisica, si limita a cri-
ticare i poteri della ragione umana, formulando un criticismo, che
vuol stabilire i limiti della conoscenza umana e i principi del com-
portamento morale. Kant, che conosce la scienza e la filosofia mo-
derna, ma non altrettanto la filosofia antica e la filosofia medievale,
di cui ha avuto sentore solo attraverso i riferimenti polemici dei ra-
zionalisti e degli empiristi, non poteva che concludere in una sintesi
instabile di empirismo e di razionalismo, di realismo e di idealismo,
12 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

che nessun altro filosofo avrebbe potuto continuare, se non alteran-


do e modificando l’impostazione kantiana.

Kant al crocevia della filosofia moderna - tav. n. 1

2. Dalla crisi dell’illuminismo alla postmodernità


Proprio questa scarsa conoscenza della storia della filosofia pre-
cedente l’età moderna, la dipendenza dall’ambiente culturale illumi-
nistico, che celebrava il culto della scienza fisico-matematica, spiega
lo spirito del criticismo kantiano, che limita la conoscenza all’espe-
rienza e fonda autonomamente la morale sull’uomo, ponendo di fat-
to tra parentesi Dio, come Creatore e Legislatore, senza negarne
l’esistenza, ma riducendola ad un postulato, accettato più per fede
che riconosciuto dalla ragion d’essere. Infatti in Kant la conoscenza
non coglie l’essere, non si riferisce all’essere, non esce da se stessa,
perché i poteri della ragione umana si limitano al mondo dell’espe-
rienza e del fenomeno. Ma l’essere intelligibile, oggetto della meta-
fisica, che la conoscenza non può raggiungere, viene fondato dalla
morale. Si ha così un dualismo tra la sfera della conoscenza, limitata
al mondo del sensibile, e la sfera della morale, che esige il mondo
dell’intelligibile. Maritain dedica molta attenzione a Kant, lo cita in
I. Oltre l’illuminismo 13

quasi tutte le sue opere, a lui dedica buona parte del corso Il ruolo
della Germania nella filosofia moderna (I, pp. 889-1026) tenuto a Pa-
rigi negli anni 1914-1915, e nel 1960 un intero capitolo della Storia
della filosofia morale (XI, pp. 397-438). Riconosce a Kant il merito
di avere valorizzato l’apporto del soggetto nel processo gnoseolo-
gico, tanto da chiamare il suo realismo, radicato nella filosofia di
Aristotele e di san Tommaso, realismo critico, scandalizzando l’ami-
co Gilson, ma rimprovera a Kant di essersi chiuso in un fenomeni-
smo assoluto, dimenticando il riferimento del conoscere all’essere.
«Kant aveva ragione ad affermare, contro gli empiristi, la sovrana
attività dello spirito, il suo errore è stato di non avere visto la sovra-
na immanenza, ossia il carattere propriamente spirituale di questa
attività. L’essenza di una tale attività non è quella di produrre, ma di
divenire o di essere, per cui diventando con l’intellezione ciò che noi
conosciamo, la conoscenza non procede interamente solo dallo spi-
rito che conosce, ma insieme procede interamente dall’oggetto che
conosce» (I, p. 46). Precisa: «La risposta che bisogna dare a Kant è
che l’intelligenza vede concependo e non concepisce che per vedere;
la sua operazione non consiste nell’assumere sotto una forma vuota
un contenuto sensibile, ma nell’attingere in un verbo interiore, pu-
ramente intelligibile, che trascende tutto l’ordine della sensazione,
la realtà stessa, portata all’altezza del nostro spirito» (I, p. 43). Con
Kant si passa da un sapere percettivo per cui lo spirito attraverso l’a-
strazione libera in se stesso la forma intelligibile presente nella mate-
ria, riferendosi pertanto alla metafisica, ad un sapere costruttivo tutto
riferito alla gnoseologia. Si sposta così la problematica filosofica dal
rapporto materia sensibile e forma intelligibile sulla relazione sog-
getto-oggetto del conoscere. Maritain riconosce l’attività dello spiri-
to, che diventa immaterialmente ciò che conosce, e rileva: «Kant ha
avuto il sentimento profondo della spontaneità della natura intellet-
tuale, dell’attività immanente della nostra intelligenza, ma siccome
credeva che l’atto del conoscere consistesse nel produrre, anziché
nel divenire qualcos’altro, ha rovesciato l’ordine di dipendenza tra
l’oggetto e l’intelligenza umana, facendo di questa la misura e la leg-
ge di quello» (II, p. 776). Così noi non possiamo conoscere la realtà
oggettiva di ciò che conosciamo, ma solo le formule del nostro sa-
pere, le costruzioni della nostra mente. Maritain rileva che la verità
per Kant non è la corrispondenza del pensiero con la realtà, ma è, e
cita dai Prolegomeni, «il legame delle rappresentazioni in conformi-
14 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

tà con le regole che determinano la loro interdipendenza nella con-


cezione di un oggetto» (III, p. 434).
Questa sintesi a priori tra un materiale empirico fornito dall’e-
sperienza e le forme del soggetto conoscente era una soluzione
arbitraria, che solo Kant fu in grado di sostenere in un equilibrio in-
stabile. Dopo di lui la filosofia si divideva di nuovo tra i filosofi dell’i-
dealismo, che risolvono tutto il conoscere nel soggetto e i filosofi del
positivismo che bloccano tutto il conoscere nell’oggetto. Per com-
prendere Kant occorre accettare le modulazioni del suo linguaggio,
che modificano il senso e il significato tradizionale dei termini del
discorso filosofico.

3. Immanuel Kant e il criticismo


Aristotele e tutti i grandi filosofi
hanno avuto una teoria della conoscenza,
ma bisognò attendere Kant per vederla considerata come disciplina propria.
E questo è stato un progresso nella struttura del corpus delle discipline filosofiche
(X, p. 672).

Una vita solitaria e metodica

La filosofia critica è stata elaborata da Kant ed esposta organi-


camente nelle sue opere con uno stile rigoroso, che non indulge a
divagazioni, con una metodicità pari al suo stile di vita, tanto che, si
dice, i suoi concittadini regolassero i loro orologi al momento della
sua passeggiata. C’è stato nella sua formazione un periodo precriti-
co, ma una volta delineatasi nella sua mente la nuova concezione
filosofica, questa è venuta sempre più compiutamente esprimendo-
si, senza modificazioni e alterazioni, malgrado alcuni punti incer-
ti e oscuri. La vita di Immanuel Kant (1724-1804), caratterizzata
dall’ordine e dal metodo, trascorre serena, è tutta impegnata nella
ricerca filosofica e nell’insegnamento universitario, senza vicissitudi-
ni particolari. Il filosofo che inizia il passaggio dal moderno al post-
moderno nasce a Koenigsberg da una famiglia protestante da cui
riceve un’educazione severa, improntata al pietismo, che forma in lui
una rigida coscienza morale e una fervida fede religiosa. Trascorre la
fanciullezza e l’adolescenza nel Collegio Federiciano e di qui passa
all’Università, iscrivendosi alla facoltà di filosofia. Durante gli anni
I. Oltre l’illuminismo 15

universitari aderisce alla filosofia razionalistica di Wolff, mentre at-


tende a studi di fisica e di matematica. Nel 1755 pubblica la Storia
universale della natura e teoria del cielo, nella quale espone l’ipotesi
sulla formazione dei mondi da una nebulosa primitiva, che verrà poi
ripresa dall’astronomo Pierre Simon Laplace nell’Esposizione del si-
stema del mondo (1796). Kant, ottenuta la libera docenza, inizia, sot-
to l’influenza degli empiristi inglesi e delle opere di Rousseau, una
revisione del razionalismo leibnizio-wolffiano. Il periodo precritico
è documentato da una serie di scritti minori, tra cui la Ricerca sulla
chiarezza dei principi della teologia e della morale, dove si delinea la
separazione tra il piano della conoscenza e il piano dell’azione, tra la
gnoseologia e la morale. La crisi scettica, che scuote Kant da quello
che egli chiama il suo sonno dogmatico, appare ne I sogni di un visio-
nario illustrati con i sogni della metafisica, pubblicato anonimo nel
1766 ove, ironizzando le pretese visioni del mondo del soprasensibi-
le, dichiara l’impossibilità di qualsiasi metafisica.
L’inizio dell’attività alla cattedra di logica e metafisica dell’Uni-
versità di Koenigsberg coincide con l’inizio del periodo critico, che
si apre con la dissertazione De mundi sensibilis atque intelligibilis
forma et principiis (1770), dove si imposta la negazione della cono-
scenza che pretenda di volere andare oltre l’esperienza sensibile, e si
valorizza la scienza matematica come vera e sicura scienza del sen-
sibile, espresso nello spazio (geometria) e nel tempo (meccanica).
Questa dissertazione, dopo 11 anni, trova la sua definizione nella
Critica della ragion pura (1781), che espone la dottrina della cono-
scenza, a cui fanno seguito nel 1783 i Prolegomeni ad ogni metafisica
futura che voglia presentarsi come scienza, per chiarire alcuni punti
oscuri e rispondere alle critiche suscitate dal nuovo punto di vista
gnoseologico. La dottrina della morale è contenuta nella Fondazione
della metafisica dei costumi (1785) e nella Critica della ragion prati-
ca (1788). Con la Critica del giudizio (1790) il sistema kantiano può
considerarsi compiuto, infatti con questa opera Kant intende trova-
re un raccordo tra la dottrina della conoscenza e la dottrina dell’a-
zione, superando il dualismo tra il regno della natura e il regno dello
spirito.
Gli amici sopra la tomba di Kant fecero scolpire questa espres-
sione del Maestro, che riassume tutta la sua dottrina e la sua vita: Il
cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me.
16 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

La Critica della ragion pura

Con la Critica della ragion pura, cioè della ragione speculati-


va, Kant intende vagliare le possibilità e i limiti di quella ragione
che il razionalismo aveva esaltato e l’empirismo denigrato. Esami-
na dettagliatamente le posizioni dei filosofi illuministi, accusando il
razionalismo di dogmatismo, perché pretende che alle idee innate
corrisponda la realtà, senza che vi sia stata esperienza, e l’empirismo
di scetticismo, perché, fondandosi soltanto sull’esperienza sensibile,
non può giungere ad affermazioni definitive e certe. I giudizi analiti-
ci a priori dei razionalisti (i corpi sono estesi) sono necessari e univer-
sali, perché costituiti a priori dall’attività del soggetto conoscente,
ma sono infecondi e si risolvono in una tautologia, perché il predi-
cato del giudizio, derivando per analisi dal soggetto, non aggiunge
nulla di nuovo al medesimo, limitandosi a metterne in evidenza un
aspetto. I giudizi sintetici a posteriori degli empiristi (i corpi sono
gravi) sono invece accrescitivi di sapere, perché il predicato viene
aggiunto al soggetto, ma non sono universali e necessari, perché la
sintesi viene operata a posteriori, e può sempre venir modificata da
una successiva esperienza. Poiché, secondo Kant, una conoscenza
è valida se ha i caratteri dell’accrescitività e dell’universalità, biso-
gna trovare un giudizio sintetico a priori, fecondo, in quanto relativo
all’esperienza, ma universale e necessario, in quanto costruito a priori.
Due sono gli elementi costitutivi di un tale giudizio: la materia, cioè
il contenuto del giudizio, data al soggetto conoscente dall’esperien-
za, e la forma, cioè il modo con cui il soggetto conoscente organizza
i dati forniti dalla materia, ossia il legame per cui il soggetto e il pre-
dicato del giudizio vengono sintetizzati.
La forma del giudizio non è trascendente i dati e l’esperienza, nel
qual caso sarebbe un’idea innata, nemmeno è immanente, perché al-
lora deriverebbe dall’esperienza, ma è trascendentale, in quanto non
deriva dall’esperienza, ma non ne è fuori, essendo il modo con cui il
soggetto conoscente organizza l’esperienza. Cercando un’immagine
didattica: per l’empirismo la conoscenza è una serie di anelli separa-
ti; per il razionalismo è una catena di anelli tenuta insieme da un filo
che li attraversa, come una collana di perle; per il criticismo è una
catena di anelli, intrecciati tra di loro, che da loro stessi formano una
catena. La forma è questo legame tra gli anelli, che non è né dentro,
né fuori di ciascun anello.
I. Oltre l’illuminismo 17

Con questa sintesi a priori Kant compie nella storia della filo-
sofia una rivoluzione copernicana, perché il processo gnoseologico,
anziché partire dall’oggetto conosciuto, parte dal soggetto cono-
scente, per cui la conoscenza non è più una rappresentazione og-
gettiva, ma una creazione soggettiva. Si afferma il nuovo principio
della creatività dello spirito, anche se questa creatività del soggetto
è limitata, per cui la sua attività si limita a creare la forma della co-
noscenza, l’organizzazione formale dei dati dell’esperienza. In altri
termini il soggetto non crea la realtà dell’oggetto, ma soltanto la sua
conoscibilità, cioè non l’oggetto in se stesso, ma nella sua relazione
con il soggetto conoscente. Noi conosciamo la natura come ci appa-
re nelle forme del soggetto, ma non in se stessa; noi conosciamo solo
il fenomeno, ciò che ci appare, e non il noumeno, ciò che è. I trascen-
dentali che nella filosofia medievale erano connotazioni dell’essere
diventano connotazioni del conoscere.
Maritain fa un’analisi accurata di questa sintesi a priori che ir-
rompe nella storia della filosofia, «cosa ammirevole, la ricerca di una
evidenza quasi angelica, l’ambizione di rendere lo spirito umano
pienamente indipendente, ma finisce per asservire lo spirito ad una
necessità che lo opprime. Perché se un termine non è contenuto
in un altro, che cosa dunque può forzare lo spirito ad unire a prio-
ri questi due termini? Non certamente l’evidenza. Forse per Kant
si tratta di una specie di necessità cieca, interiore al soggetto stes-
so; per Cartesio, ingannato dall’immaginazione matematica, sembra
piuttosto che fosse l’interferenza di schemi matematici nella vita del-
lo spirito» (I, p. 865). In Kant la formazione del concetto è il frutto
di un giudizio sintetico a priori, mentre Maritain nella Piccola logica
(7) rileva che «i concetti sono prodotti dallo spirito prima di essere
assemblati, nel senso che le parti della proposizione (prese separa-
tamente e in loro stesse) sono conosciute prima di questa; perché la
semplice apprensione precede il giudizio» (II, p. 410). Kant anticipa
arbitrariamente il giudizio sulla intellezione.
Maritain in Riflessioni sull’intelligenza (89) riconosce che «non è
nell’intellezione ma nel giudizio che l’intelligenza possiede propria-
mente la verità» (III, p. 80), e che «Kant ha avuto ragione nel volere
restituire, sia contro Hume che contro Leibniz, il movimento progres-
sivo e sintetico della ragione» (III, p. 86), ma «ha cercato tutta la leg-
ge e tutta la regolamentazione dal lato del soggetto e delle sue pretese
forme a priori, mentre essa è tutta dalla parte dell’oggetto e delle ne-
cessità intelligibili iscritte nei concetti» (III, p. 87). «Kant ha confuso
18 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

la vita della ragione con la vita vegetativa di un organismo materiale,


che non si muove se non quanto all’esecuzione del movimento; a dire
il vero ne ha fatto più l’attività di un automa che quella di un vivente»
(ibid.). Precisa, approfondendo la sua analisi: «Kant non ha conserva-
to della conoscenza intellettuale se non il meccanismo umano che essa
comporta in noi e che, una volta separato dall’attività vitale dell’intel-
ligenza, non costituisce la conoscenza, allo stesso modo che delle ossa
non costituiscono la vita» (III, p. 362), ma soprattutto ha sganciato la
conoscenza dall’esistenza, aprendo la strada all’idealismo: «Per Kant
il giudizio ha per sé una funzione ideale, non esistenziale, spetta a lui
fare il concetto sussumendo una materia empirica sotto una categoria
e l’esistenza è una posizione assolutamente vuota di qualsiasi valore
intelligibile» (IX, p. 26). Detto ciò, Maritain costata che Kant «affran-
ca completamente l’intelligenza umana dall’oggetto del conoscere, per-
ché è lei stessa la misura del conoscibile e nel suo lavoro non dipende
che da se stessa. Il mondo gira intorno alla conoscenza che essa ne ha»
(III, p. 348).
La sintesi a priori di Kant conclude in un fenomenismo, perché
limita la conoscenza al sensibile, e afferma l’impossibilità di cogliere,
al di là dell’esperienza, l’intelligibile, l’essere, il pensabile (noumeno);
e di conseguenza sarà possibile la scienza, la fisica, ma non la filosofia,
la metafisica. Per Kant, se l’uomo volesse andare oltre l’esperienza
sensibile, sarebbe come una colomba che pretendesse di volare sen-
za il sostegno dell’aria. Ma l’esperienza da sola non può fare scienza,
essa ha bisogno di essere compresa e organizzata nelle forme a priori
del soggetto: restano così fissati le condizioni, i limiti, e il valore della
conoscenza. «Kant domanda alle forme a priori della nostra sensibi-
lità e del nostro intendimento, sotto la direzione delle forme a priori
della ragione, di costituire il mondo conoscibile, il mondo dei feno-
meni, perfettamente codificato secondo la struttura stessa del nostro
spirito» (II, p. 269). «Kant ammetta la cosa “das Ding an sich” nasco-
sta dietro l’oggetto, ma considerando questo oggetto come costruito
dall’attività dello spirito secondo le sue leggi a priori, arresta la nostra
conoscenza al fenomeno e la cosa resta inconoscibile» (IV, p. 495).

I tre gradi della conoscenza

Per Kant la conoscenza non è un’astrazione dell’intelligibile


dal sensibile, come in Aristotele e san Tommaso, ma è un giudizio
espresso nei limiti dell’esperienza sensibile, una sintesi a priori di
I. Oltre l’illuminismo 19

materia e di forma. Tre sono i gradi di questa conoscenza: il senso


organizza le impressioni sensibili, l’intelletto formula i giudizi con
i materiali ricevuti, la ragione vuol ridurre i giudizi a unità ultime e
definitive. L’opera del senso costituisce l’estetica trascendentale, l’o-
pera dell’intelletto e della ragione formano la logica trascendentale,
che è una logica formale perché può darci solo la forma con cui noi
unifichiamo la realtà, e non può raggiungere la realtà. La logica si
articola in analitica trascendentale che considera l’attività dell’intel-
letto e in dialettica trascendentale che valuta l’attività della ragione.
a) L’estetica trascendentale: fin dal suo grado inferiore la cono-
scenza si presenta come una costruzione a priori. Infatti nessuna espe-
rienza è possibile se non si esprime nello spazio e nel tempo, e lo
spazio e il tempo non possono derivare dall’esperienza, perché, essen-
do essi stessi la condizione necessaria affinché l’esperienza avvenga,
sono forme a priori mediante le quali il soggetto ordina il fluire disor-
dinato e caleidoscopico delle sue sensazioni. Lo spazio e il tempo non
sono idee innate, trascendenti l’esperienza, a cui debba corrispondere
una realtà in sé, come li intendevano i razionalisti; nemmeno sono im-
manenti all’esperienza, risultanti dell’accostarsi dei singoli spazi e del-
le singole durate, come ritenevano gli empiristi; ma sono nostri modi
trascendentali di cogliere e costituire l’esperienza, quasi lenti colorate
attraverso le quali il soggetto conosce l’oggetto modificandolo. Per-
tanto la realtà sensibile non si presenta a noi nello spazio e nel tempo,
come intende il realismo di Aristotele e di san Tommaso, ma siamo
noi che la spazializziamo e la temporalizziamo. Lo spazio e il tem-
po sono le forme del senso, chiamate da Kant intuizioni pure, perché
inderivabili dall’esperienza. L’unione di queste forme con la materia
costituisce la prima sintesi, cioè l’intuizione empirica, che a sua volta
diventa materia per la successiva sintesi operata dall’intelletto.
b) L’analitica trascendentale: poiché l’intelletto è la capacità di
giudicare, Kant ricerca le forme a priori che debbono determinare
l’attività dell’intelletto, raccogliendole in dodici categorie e formula
una nuova tavola dei giudizi. Si ha così una seconda sintesi, che non
avviene successivamente alla prima, bensì contemporaneamente, ma
esige come suo contenuto la sintesi precedente. Perciò le categorie, o
concetti puri, perché non ricavabili dall’esperienza, non sono gli attri-
buti dell’essere più generali e quindi più universali e perciò in grado
di fare da predicamento ad un gran numero di concetti, ma sono le
leggi, le forme, i modi con cui, a priori, l’intelletto costruisce i suoi
giudizi. Nel realismo classico le categorie derivano dall’essere, hanno
20 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

un contenuto, sono oggettive, nel criticismo kantiano, invece, sono


proprie del conoscere, forme pure, modi di funzionare del soggetto
conoscente.
Le dodici categorie sono da Kant raggruppate in quattro classi
di tre categorie ciascuna, corrispondenti ai diversi modi di giudicare
dell’intelletto, di cui sono le forme: la quantità è relativa alla deter-
minazione quantitativa del soggetto, la qualità è relativa alla funzione
del predicato, la relazione si riferisce al rapporto tra soggetto e predi-
cato, e la modalità riguarda il modo con cui è attribuito il predicato
al soggetto.

I giudizi e le categorie - tav. n. 2

La terza categoria di ogni gruppo è in certo qual modo la sinte-


si delle precedenti. Tra le intuizioni empiriche del senso e i giudizi
dell’intelletto, Kant pone un’immaginazione trascendentale che me-
diante un processo di schematizzazione ordina per immagini il ma-
teriale sensibile onde predisporlo all’opera delle categorie.
Due sono le categorie più importanti: quella di sostanza e acciden-
ti, che crea l’unità nella coesistenza spaziale, e quella di causa ed effet-
to, che crea la successione temporale. La sostanza e la causa non sono
I. Oltre l’illuminismo 21

come in Hume associazioni casuali dovute all’abitudine, ma principi


a priori del nostro conoscere, che permettono la fisica. Esse valgono
soltanto nei limiti del sensibile, per cui non si può fondare una meta-
fisica, conoscere la realtà come essa è. Maritain rileva: «Il principio di
causa non è l’espressione di un semplice abito mentale acquisito per
abitudine, come dice Hume, o come pretende Kant un giudizio sinte-
tico a priori, la cui portata sarebbe limitata all’esperienza; il principio
di causa è un principio conosciuto di per sé o per una intuizione in-
tellettuale immediata, che si impone in virtù dell’evidenza intrinseca
degli oggetti del concetto, la cui portata passa al di là dell’esperienza,
perché le cause che esige sono ragioni di essere richieste dalle cose in
quanto il loro essere è contingente» (X, pp. 26-27). Secondo Maritain
queste categorie ci fanno conoscere l’oggetto in se stesso, nella sua
intelligibilità. Per Kant, invece, l’attività unificatrice dell’intelletto si
risolve nell’io penso del soggetto conoscente, che nella sua soggettivi-
tà garantisce l’oggettività della conoscenza, in quanto i singoli giudizi
si collegano nella fonte dell’unificazione, perché alla radice di ciascun
giudizio, sta sempre l’attività pensante dell’io che pensa. Come potrei
ritenere che il medesimo oggetto, che vedo prima in a, sia lo stesso
che poi vedo in b, se non esistesse a fondamento delle singole perce-
zioni un medesimo io che pensa? Così Kant costruisce soggettivamen-
te l’oggettività della conoscenza, riferendola all’identità del soggetto
con se stesso nella pluralità delle sue percezioni; mentre il realismo
classico fonda l’oggettività della conoscenza sull’identità dell’oggetto
con se stesso. Per Kant quel dato oggetto è il medesimo anche se di
esso ho diverse percezioni, non perché sia in sé lo stesso, ma perché
io resto identico con me pur nella diversità delle percezioni che gli ri-
ferisco. Questo io penso è la categoria delle categorie, l’autocoscienza,
che Kant chiama, con terminologia leibniziana, appercezione origina-
ria, per distinguerla dalle singole percezioni. L’io penso non è quindi la
coscienza di questo o di quel giudizio particolare, bensì la coscienza
in generale; e non è una realtà in sé, un essere, una sostanza, ma come
tutte le categorie è una pura attività trascendentale.
Questo io, che è il fondamento dell’oggettività della conoscen-
za, non è l’io empirico individuale, che varia da uomo a uomo, ma
un io superindividuale, universale, trascendentale rispetto ai singoli
io empirici, che è in ciascuno di noi, uno e identico come in tutti gli
altri, senza essere ciascuno di noi: una specie di io più largo che però
non è una realtà a noi trascendente, ma l’unità delle nostre coscien-
ze. Perciò chi è coerente con la propria coscienza è contemporanea-
22 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

mente in accordo con la coscienza di tutti gli altri io, e quindi viene
così garantita soggettivamente l’universalità della conoscenza, per
cui ciò che è vero per me è anche vero per tutti gli altri io che, come
me, si conformino alle forme trascendentali del conoscere. Solo chi
non è coerente con il suo io è in disaccordo con gli altri io.
c) La dialettica trascendentale: la ragione non si accontenta del-
la sintesi operata dall’intelletto e vuol procedere oltre ad una sintesi
definitiva in cui tutta la molteplicità sia racchiusa in un’unità. La ra-
gione cerca di unificare i giudizi in tre idee: l’idea psicologica, o idea
di io, come fondamento di tutti i fenomeni interni; l’idea cosmologi-
ca, o idea del mondo, come fondamento di tutti i fenomeni esterni;
e l’idea teologica, o idea di Dio, come ragione ultima di tutte le cose
e di tutte le persone.
Queste idee non sono rappresentazioni sensoriali soggettive, co-
me per l’empirismo; né principi razionali innati, come per il raziona-
lismo; né realtà ontologiche trascendenti, come per Platone; né realtà
logiche, modelli esemplari delle cose, proprie del pensiero divino, co-
me in san Tommaso, ma sono i principi regolatori dell’attività della
ragione, che tendono ad unificare nella totalità incondizionata e asso-
luta la molteplicità multiforme dell’esperienza. Per Kant questa ope-
razione non è possibile, perché ogni nostra conoscenza, essendo una
sintesi, ha bisogno di una molteplicità concreta di dati da unificare,
mentre le idee pretendono di risolvere la molteplicità nell’unità del
tutto. Esse perciò, ponendosi al di là del sensibile, non ci danno cono-
scenza, ma puro pensiero. Quindi l’io, il mondo, Dio sono pensabili
ma non conoscibili, si riferiscono al soprasensibile, al metafisico, al
noumeno, che noi non possiamo raggiungere. La cosa in sé è per noi
inconoscibile perché, se fosse conosciuta, verrebbe limitata nel tempo
e nello spazio, sarebbe fenomenizzata dalle nostre forme soggettive di
conoscenza. Questo non significa che l’uomo non possa soddisfare il
suo bisogno di metafisica per via diversa da quella conoscitiva. Kant
passa poi alla critica di ciascuna di queste idee. Nei paralogismi della
ragion pura rileva che non è possibile conoscere l’anima come sostan-
za, ma solo come attività, come io penso formale, perché non si può
passare dall’attività all’essere. Così è un paralogismo pretendere con
Cartesio di ricavare dal pensare la sostanza pensante, di passare dal
cogito al sum. Si può dire cogito ergo cogito e non cogito ergo sum, per-
ché nell’autocoscienza si coglie soltanto una funzione pensante.
Nelle antinomie della ragion pura Kant critica l’idea cosmolo-
gica, che ci fa cadere in gravi contraddizioni, antinomie, perché ad
I. Oltre l’illuminismo 23

ogni affermazione posta come tesi è possibile contrapporre un’affer-


mazione contraria come antitesi. Vengono elencate quattro antino-
mie: il mondo è limitato nel tempo e nello spazio, il mondo è infinito
ed eterno; il mondo è costituito da elementi semplici in numero fi-
nito, il mondo è divisibile all’infinito; il mondo è retto dalla necessi-
tà, nel mondo esiste la libertà; il mondo ha il suo fondamento in un
Essere necessario, il mondo non rimanda ad un Essere necessario.
L’idea teologica ci porta ad una serie di sofismi che Kant elenca
negli ideali della ragion pura, facendo la critica delle diverse prove
dell’esistenza di Dio. L’argomento ontologico passa arbitrariamente
dall’ordine logico all’ordine ontologico, dall’idea di Dio all’esistenza
Dio. Rileva Kant altro è pensare di avere cento talleri (moneta del tem-
po), altro è averli realmente. L’argomento cosmologico è invalidato da
Kant in quanto il principio di causa è applicabile solo al mondo sen-
sibile; con la prova cosmologica, invece, si trasferirebbe il principio di
causa sul piano metafisico, passando da un effetto fisico (mondo) ad
una causa metafisica (Dio). Infine l’argomento teleologico provereb-
be l’esistenza di un ordinatore, e non di un creatore. Kant finisce per
sovrapporre queste diverse prove. Maritain rileva la confusione tra
la prova ontologica e la prova cosmologica, osservando che non è la
mia idea di perfezione che esige che Dio sia (argomento ontologico),
ma è la perfezione di Dio, riscontrata a partire dalla mia imperfezio-
ne, che esige che Lui sia (argomento cosmologico). «Ho intravisto le
perfezioni proprie di un pensiero che ha se stesso come sua esistenza
e suo oggetto; ora so che questi privilegi sono quelli di un esistente
reale. Bastante assolutamente a se stesso per esistere, esso è atto puro,
e dunque infinitamente perfetto: sapendo che esiste, deduco dalla sua
aseità la sua infinita perfezione. Solo per un sofisma palpabile Kant
pretende che tale deduzione poggi implicitamente sull’argomento on-
tologico, e che rovini insieme. L’argomento ontologico, infatti, non
consiste affatto nell’identificare l’esistenza a sé con l’assoluta perfezio-
ne, ma piuttosto nella pretesa che dalla semplice idea di perfezione
assoluta si possa dedurre la sua esistenza reale. Se preliminarmente
so, e per altra via (per esempio, partendo dal fatto della esistenza del
mio pensiero) che l’essere a sé esiste, io sono evidentemente autoriz-
zato a concludere, senza il minimo ricorso all’argomento ontologico,
che, poiché la nozione di aseità implica quella di perfezione assoluta
(e viceversa), questo essere a sé che esiste, è effettivamente perfezio-
ne assoluta» (IV, p. 667). Kant non intende negare l’esistenza di Dio,
in cui crede fermamente e che porrà sul piano della morale, ma la
24 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

possibilità per l’uomo di dimostrarla con argomenti teoretici, perché


la realtà divina è al di là delle possibilità gnoseologiche dell’uomo.
L’esistenza di Dio non può essere né affermata, né negata. La Critica
della ragion pura conclude riconoscendo il valore della matematica,
che nell’estetica trascendentale viene garantita dalle forme a priori del
tempo (aritmetica) e dello spazio (geometria), e della fisica, e nell’ana-
litica trascendentale trova la sua giustificazione nel principio di causa.
La metafisica invece è impossibile come scienza, perché il tentativo
di rappresentare l’incondizionato produce le idee della ragione, che
sono illusorie. La matematica e la fisica sono possibili, perché pure
costruzioni a priori operate dallo spirito senza riferimento alla realtà
in sé, mentre la metafisica non è possibile proprio perché vorrebbe
l’accordo tra la realtà e il nostro modo di conoscerla. La verità non è
più la relazione tra ciò che pensiamo e ciò che è, tra l’ordine logico e
l’ordine ontologico, ma è l’accordo formale delle attività conoscitive
fra di loro. L’oggettività della conoscenza per Kant è data dall’accor-
do del soggetto con se stesso, e l’universalità dalla concordanza nell’io
trascendentale di tutti i soggetti conoscenti. Non si ha più il sogget-
tivismo empiristico, ma un soggettivismo trascendentale, comunque
sempre un soggettivismo.

La Critica della ragion pura - tav. n. 3


I. Oltre l’illuminismo 25

La Critica della ragion pratica

Maritain rileva che «Nella storia della filosofia morale, dal Ri-
nascimento in avanti, solo con Kant appare qualcosa di veramente
e positivamente nuovo. […] Egli si trova al punto di convergenza
di due tradizioni opposte, il razionalismo e il cristianesimo… due
eredità intellettuali contrastanti, due mondi di pensiero in conflitto.
[…] Egli è stato condotto ad una specie di rivoluzione copernica-
na nell’ordine pratico come nell’ordine speculativo […] a centrare
tutta la vita morale, non più sul bene, ma sulla pura forma del dove-
re» (XI, p. 403). Questo capovolgimento ha portato ad una morale
«acosmica, costituita puramente sui dati interiori della coscienza»
(XI, p. 405). Maritain ha stima per la filosofia morale di Kant, ma ne
individua i limiti e ne sottolinea le contraddizioni.
Come il conoscere, anche l’agire è una sintesi a priori compo-
sta da una materia e una forma. La materia è data dal contenuto
dell’azione, dal che cosa si deve fare, mentre la forma è data dal co-
me bisogna fare. Ma mentre nella sintesi teoretica la materia entra
a costituire il valore del giudizio, nella sintesi pratica tutto il valore
dell’azione sta nella forma trascendentale con cui si opera. Il valore
morale non dipende dall’intenzione o dal risultato, ma dall’adesio-
ne incondizionata alla legge morale; il contenuto è necessario affin-
ché possa esprimersi la forma, ma è indifferente alla forma stessa.
Chi compisse il dovere spontaneamente, per inclinazione naturale,
e non per la pura obbedienza agli imperativi della coscienza mora-
le, non avrebbe compiuto un atto morale. Anche sul piano della ra-
gion pratica si ha un rovesciamento radicale, Maritain rileva come
«il dovere è posto prima del bene, è posto come un assoluto al posto
del bene, un atto non deve essere compiuto perché è buono, ma è
buono perché dev’essere fatto» (I, p. 977). Maritain nelle Nove le-
zioni sulle prime nozioni della filosofia morale (47) fa un confronto
diretto tra la morale secondo Aristotele e Tommaso e la morale se-
condo Kant, che illustra con una tavola didattica: la prima riferisce
il bene dell’azione da intraprendere al bene dell’oggetto da porre
come fine, è una morale cosmico-realistica a base sperimentale nor-
mativa; la seconda, che si propone il bene dell’azione staccato dal
bene dell’oggetto, è una morale acosmico-idealistica a base dedutti-
vo-normativa. Nella prima la ragione umana è una misura misurata,
nella seconda la ragione umana è una misura puramente misurante.
Secondo Kant «è la ragione che misura gli atti umani, ma non più
26 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

nel senso della tradizione classica, perché ora si tratta della ragione
pura, pura da ogni materia conoscibile, si tratta della ragione consi-
derata in maniera puramente formale, dal solo punto di vista delle
esigenze della universalità logica» (IX, pp. 743-744). L’atto è mora-
le, vale per se stesso in relazione alla sua formulazione, indipenden-
temente dal contenuto e dal fine. Nella storia della filosofia si passa
da una morale fondata sull’essere e su Dio ad una morale fondata
sull’agire e sull’io. Anche sul piano della filosofia pratica Kant pre-
para la postmodernità.

L’essere dovuto e il dovere per l’essere - tav. n. 4


I. Oltre l’illuminismo 27

L’imperativo categorico

Kant distingue due tipi di leggi a cui l’uomo è sottoposto: quelle


necessarie a cui non può sottrarsi e che perciò non sono comanda-
bili (es. respirare), e quelle libere, che l’uomo è libero di rispettare o
meno, e che perciò sono comandabili (es. lavorare). Le prime sono
dovute ai nostri impulsi sensibili, le seconde sono riferibili alla vo-
lontà, che non è altro che la ragion pratica, cioè la capacità di agire
secondo principi, che Kant chiama imperativi. Gli imperativi sono
di due tipi: gli imperativi ipotetici, che comandano un’azione con-
dizionata da un’ipotesi, per cui l’azione stessa non è che un mezzo
per raggiungere il fine proposto dall’ipotesi (es. se non vuoi vivere in
miseria da vecchio, devi lavorare da giovane); e l’imperativo catego-
rico, che comanda un’azione incondizionata, assolutamente fine a se
stessa (tu devi). Gli imperativi ipotetici non possono essere fonte di
valore morale, sono giudizi analitici, perché comandano mezzi che
sono già contenuti in un fine, per il quale vengono appunto posti in
atto; invece l’imperativo categorico, che si esprime con un giudizio
sintetico a priori, il cui valore sta tutto nella forma, è il fondamento
dell’azione morale. L’imperativo categorico si pone perciò a priori
indipendentemente dall’esperienza e quindi dalla conoscenza; infat-
ti ciò che è moralmente buono, sempre e dovunque, non può essere
ricavato a posteriori dalla mutevolezza dell’esperienza sensibile, ma
dev’essere posto a priori come principio universale e necessario. Co-
sì l’imperativo della moralità è interamente formale, non ci dice che
cosa bisogna fare, ma in che modo dobbiamo comportarci. Il con-
tenuto dell’azione non può essere soppresso, ma per valere dev’es-
sere voluto nella forma della razionalità: solo a questa condizione i
fatti naturali diventano atti spirituali. Nessun fine, nessun oggetto
può essere posto all’azione umana, se si vuole garantire la dignità
dell’uomo, che è fine a se stessa. Maritain cita questo testo di Kant:
«Una persona non è soggetta ad altre leggi se non a quelle che essa
dona a se stessa (sia da sola, sia in accordo con altre)» (IX, p. 576) e
osserva che «Non obbedire che a se stessi è la prima rivendicazione
della morale di Kant, come della politica di Rousseau» (I, p. 977) ed
è la radice profonda del radicalismo laico. Poi osserva contro Kant
che «la volontà è un appetito, caratterizzato dal desiderio, il suo atto
primordiale è l’amore, non è quella immaginaria e puritana facoltà
che vuole, senza desiderare» (I, p. 440). Precisa, inoltre, che l’uomo
è una creatura, che non è fine a se stessa, perché deriva dal Creatore
28 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

e cerca il suo Creatore. «Riferire il bene della creatura a se stessa e


prescriverle di non tendere al bene divino, a Dio come suo fine ul-
timo, significa eliminare la sua dipendenza dal creatore, ed erigerla
come un dio di fronte a Dio» (I, p. 981). Kant costruisce intorno
all’imperativo categorico alcune massime e alcuni postulati come cri-
teri di orientamento, ma che non modificano la struttura di fondo
del tu devi, come autoregolazione dell’agire umano. I giudizi morali
visti in loro stessi costituiscono la legge e considerati in rapporto al-
la volontà formano le massime. Perciò le massime morali fanno da
mediazione fra la legge universale e la concreta azione morale da
porsi in atto. Solo un essere ragionevole può agire secondo principi,
secondo massime, cioè secondo una rappresentazione della legge,
ma poiché la ragione può essere sollecitata da motivi contrari, pro-
venienti dalla sensibilità, la razionalità si presenta come dovere. Se la
volontà fosse di per se stessa conforme alla legge, non ci sarebbe bi-
sogno del dovere, e sarebbe una volontà santa. Il dovere deve essere
voluto per se stesso: un’azione conforme a dovere, ma non compiuta
esplicitamente solo per dovere, non è un’azione morale. Il bene del-
la nostra azione sta nella bontà del nostro volere: la volontà buona
non riceve valore dalle sue operazioni, ma anzi è essa stessa a dare
valore morale alle sue azioni. Kant, pur riconoscendo nel Vangelo il
più alto codice di moralità, critica il comandamento cristiano dell’a-
more di Dio e dell’amore del prossimo, perché il dovere compiuto
per amore perderebbe la sua rigorosità e assolutezza, tanto da non
essere più morale. Kant «si immagina il cristianesimo sul modello
dei culti idolatri che ha rovesciato» (XI, p. 376), ma il cristianesimo
non propone di amare Dio per essere felici, bensì è la rivelazione
che nell’amare Dio, perché è Dio, l’uomo trova la sua beatitudine.
«Kant contemporaneamente taglia fuori la vita morale dalla felicità
aristotelica e dalla beatitudine cristiana» (XI, p. 411).
In questa rigorosità del dovere per il dovere, che va oltre l’apa-
tia degli stoici, perché non si tratta di conquistare l’indifferenza di
fronte alla sensibilità, ma il trionfo sulle passioni, le massime della
morale indicano la via per attuare l’imperativo categorico. La prima,
Opera in modo che tu possa volere che la massima delle tue azioni di-
venga universale, fonda l’universalità della legge. L’universalità del
comportamento è quindi la forma della morale. Maritain rileva co-
me questa massima subordini il singolo io fenomenico alla volontà
universalistica dell’io noumenico, un po’ come la volontà generale
di Rousseau e fa sì che «la giustizia consista nella relazione (intersog-
I. Oltre l’illuminismo 29

gettiva) tra gli uomini e non nella conformità alla legge (oggettiva)
di Dio» (III, p. 920). La seconda massima, Opera in modo da tratta-
re l’umanità, sia nella tua persona, sia in quella di ogni altro, sempre
come fine, e mai semplicemente come mezzo, sottolinea il finalismo
della morale, in quanto in nessun caso l’uomo può essere considera-
to mezzo, perché è assolutamente fine a se stesso. L’uomo è l’unico
essere libero dai determinismi della natura, perciò mentre tutti gli
altri esseri sono cose e hanno un prezzo, perché possono essere usati
come mezzo, solo l’uomo è persona e ha una dignità, propria di chi
è fine a se stesso. La terza massima, Agisci in modo che la tua volontà
possa essere considerata come istituente una legislazione universale,
conferma l’autonomia della ragion pura, che è legislatrice a se stessa,
collegando la prima massima, che stabilisce l’universalità oggettiva
della norma, con la seconda, che enuncia la finalità soggettiva della
norma. L’uomo è principio e fine della legge morale, suddito e re.
Ma le massime morali non sono ancora sufficienti a spingere l’uomo
ad aderire alla legge, per cui Kant cerca una motivazione dell’azione
morale nel sentimento di rispetto per la legge, un sentimento morale,
un sentimento puro, che non è però un estrinseco movente alla mo-
ralità, ma la stessa moralità considerata come movente, la stima di-
sinteressata per la legge. Maritain rileva che per Kant «Il dovere per
il dovere è l’unica motivazione autenticamente morale e in questa
motivazione pura un solo impulso del cuore è possibile: il rispetto
per la legge» (XI, p. 410). Siamo nel punto più critico del pensiero
kantiano, perché non è cosa facile sostenere un sentimento a priori
e ritenere che una pura rappresentazione della legge sia obbligante.
Maritain passa poi ad analizzare il problema della libertà, rilevan-
do che in Kant c’è una confusione tra il libero arbitrio, come capacità
di scegliere (libertà psicologica), e la libertà di autonomia, come ade-
sione alla legge (libertà morale). La libertà coincide con la moralità,
perché consiste nel dare a se stessi la legge, nell’essere indipendenti da
qualsiasi condizionamento esterno, sia esso un’inclinazione della sen-
sibilità o una rappresentazione della ragione, provenga dall’esperien-
za personale o si fondi sull’autorità di altri. Maritain rileva: «La libertà
di scelta è un prerequisito della moralità, non la sua forma. Essa è la
materia propria della moralità, perché solo degli atti liberi sono capaci
di regolamentazione morale, come la materia lavorata dallo scultore
o la musica sono capaci di regolamentazione artistica, nei due casi è
la ragione che dona la misura e la forma» (V, p. 350). Maritain in Una
filosofia della libertà (V, pp. 325-387) precisa che l’uomo diventa ve-
30 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

ramente libero, conquista la sua autonomia, quando regolamenta le


sue azioni secondo la verità, che la ragione conosce nella realtà della
sua esistenza, come prescrive una morale cosmica. «La morale non è
un mondo di imperativi discesi dal cielo della libertà, estranei al mon-
do dell’essere, essa ha le sue radici nella realtà totale di cui manifesta
un certo ordine di leggi» (V, p. 722). Kant, invece, intende la libertà
come facoltà di incominciamento assoluto, volontà autolegislatrice,
volontà pura autosufficiente. L’autonomia è perciò l’origine e la for-
ma stessa della moralità. Sono di conseguenza eteronome tutte quelle
morali che hanno un fondamento diverso dalla volontà umana, per-
ché vincolerebbero l’azione ad una motivazione esteriore. Kant elen-
ca quattro casi di eteronomia, due dipendenti dal principio sensibile
e soggettivo della felicità, e due dipendenti dal principio razionale e
oggettivo della perfezione. Una morale fondata sul sentimento fisico
del piacere, come quella epicurea, o sul sentimento morale del be-
ne, come quella dei moralisti inglesi, è una morale eteronoma, per-
ché condiziona il dovere ad un sentimento di felicità, variabilissimo
e istintivo. Una morale fondata sull’ideale della perfezione razionale
considerata come effetto della virtù, come in Wolff e nei razionalisti,
è eteronoma perché non è la perfezione a fondare il bene, ma al con-
trario è il bene a costituire la perfezione. Infine è eteronomica anche
la morale cristiana, che pone la perfezione in Dio e fa della Ragione
divina la legge morale, subordinando la legge morale ad una realtà
estranea alla nostra volontà.
L’autonomia per Kant significa indipendenza della volontà dal-
l’intelligenza (e della virtù dalla felicità) e agire secondo la pura for-
ma dell’universalità della legge. Infatti l’autonomia in Kant non va
intesa come la capacità dell’uomo di operare secondo la propria na-
tura, secondo la legge del proprio essere, liberamente accolta; ma va
intesa in senso assoluto, come radicale indipendenza della volontà
umana. Mentre nel realismo è la metafisica a fondare la morale, e il
bene è bene in se stesso, nel criticismo kantiano è la morale a fondare
la metafisica, e il bene è bene per se stesso, come dovere formale. La
ragion pura pratica nel creare la legge morale si pone al di là di ogni
condizionamento sensibile, essa fonda ed esige quel mondo del sovra-
sensibile, che la ragion pura teoretica invano cercava e si illudeva di
trovare. Il mondo dell’incondizionato, dell’intelligibile, del metafisi-
co, è il frutto della legislazione morale; esso non è conoscibile, perché
non è rappresentabile nelle forme della conoscenza, ma è reale perché
necessario, affinché possa sussistere la stessa vita morale.
I. Oltre l’illuminismo 31

I postulati della ragion pratica

Kant, che di fatto fa della volontà morale il tipo della cosa in sé,
in quanto il Regno dei fini si pone oltre il mondo della sensibilità,
recupera la libertà e l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio con
i postulati della ragion pratica, che sono proposizioni teoretiche non
dimostrabili, ma che devono essere presupposte dall’azione morale.
I postulati non estendono la conoscenza oltre i limiti dell’esperien-
za, perché la loro funzione è pratica e non teoretica. Se i postulati
richiamano le tre idee della ragione, relative alla psicologia, alla co-
smologia, alla teologia, non sono però dei contenuti di conoscenza,
nulla ci dicono della natura del mondo intelligibile, ma sono delle
intuizioni morali, proprie della fede della ragion pratica. Il primo
postulato è la libertà di scelta, perché senza libertà non ci sareb-
be responsabilità morale. Non si può avere esperienza della libertà,
perché nel mondo dell’esperienza tutto è determinato dalla legge di
causa ed effetto, ma di essa si ha certezza in quanto è la ratio essendi
della moralità, perché se devi, puoi. La soddisfazione che nasce dal
compiere il proprio dovere, non distrugge il valore morale, perché
non è la causa del nostro comportamento, ma la conseguenza. Il be-
ne supremo è la moralità, ma ciò non esclude che nel sommo bene
possa essere anche inclusa la felicità. Questa coincidenza tra virtù e
felicità è possibile se si ammettono gli altri due postulati, l’immorta-
lità dell’anima e l’esistenza di Dio. In questo mondo non è possibile
raggiungere la perfezione morale, perciò l’immortalità dell’anima è
necessaria affinché l’uomo possa proseguire il suo perfezionamento;
e poiché in questo mondo non sempre chi è onesto è felice, è necessa-
ria l’esistenza di Dio onnipotente e giusto che possa premiare ciascu-
no secondo i suoi meriti. Maritain rileva, che questa riconciliazione
tra la legge del mondo della libertà (il dovere per il dovere) e la legge
del mondo della natura (il desiderio della felicità) è «una riconcilia-
zione tra pura riverenza per la legge e il puro eudemonismo. Kant
respingendo il desiderio della felicità dall’ordine proprio della mo-
rale, rinuncia a fargli trascendere se stesso e ad affrancarlo dall’eude-
monismo. […] Egli, che ha cercato qualcosa di più del disinteresse
della morale dei santi, propone il superdisinteresse di un’etica nella
cui struttura il fine ultimo soggettivo non ha alcun posto» (XI, p.
412). Nella morale kantiana «Dio non ha alcun ruolo» (XI, p. 413),
interviene «a cose fatte» (ibid.), al di fuori della struttura dell’ordi-
ne morale; «Dio è un’appendice della morale, non il fondamento di
32 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

questa» (XI, p. 415). Il bene, come valore oggettivo e come fine, è


stato escluso dalla motivazione dell’atto morale. «Ciò che fa il valore
dell’atto morale non è la bontà del suo contenuto e del suo oggetto,
ma è la sua conformità universale al tu devi, puro e vuoto»1 (XI, p.
423). Il bene in sé come la cosa in sé sono estranei alla filosofia kan-
tiana, che «trasferisce l’universalità dal piano della realtà, che è la
natura umana, al piano dell’essere di ragione, che costituisce l’ogget-
to della logica» (XI, p. 430). Con il mondo del sovrasensibile fonda-
to e richiesto dalla morale si ha un primato della ragion pratica sulla
ragion pura, dell’azione sul pensiero. Kant ritiene che l’uomo può
meritare la dignità umana perché la sua conoscenza è limitata, men-
tre la sua azione è libera. Infatti se l’uomo potesse conoscere la liber-
tà, l’immortalità e l’esistenza di Dio, con la felicità che comportano,
non sarebbe più in grado di comportarsi disinteressatamente. Così
è moralmente necessaria l’esistenza di Dio, ma è altrettanto impos-
sibile dimostrarla, e Kant afferma che doveva distruggere la scien-
za per salvare la fede, concludendo in un atteggiamento fideistico:
«noi dobbiamo agire come se fossimo liberi, come se l’anima fosse
immortale, come se Dio esistesse» (II, p. 269). Maritain rileva che
«Kant ha costruito il suo sistema morale in funzione solo dell’ordine
della causalità formale ed eliminando totalmente l’ordine della cau-
salità finale» (XI, p. 417). «Kant ha retto l’autonomia ad assoluto,
perché l’ha separata dall’Assoluto» (XI, p. 421). La morale della
Ragion pura è «un’etica cristiana che è stata decapitata del piano
teologale» (XI, p. 417). L’ipermoralismo kantiano finisce per tenere
l’uomo schiavo della legge, escludendo Dio, nega all’uomo l’accesso
alla suprema autonomia, che consiste, come dice san Paolo, nel
fare per amore di Dio ciò che la legge comanda come dovere. «Il
grande merito di Kant è di avere riconosciuto l’irriducibile originalità
dell’ordine morale, il suo errore di averla sganciata dall’ordine
metafisico per sospenderla ad un imperativo categorico, come
ad un assoluto staccato dall’essere» (VI, p. 1213). «L’universalità
puramente logica della legge, senza radici nella natura, tiene questa
legge divisa dalla soggettività individuale» (XI, p. 431). Per questo
motivo Kierkegaard vorrà recuperare la soggettività della coscienza
morale. «Fu un’illusione di Kant quella di credere che il valore ba-
sti da solo come movente dell’azione morale. La bontà o la malizia
intrinseca di un atto ci forniscono il perché formale, ma quando

1
Cf. il celebre Inno al dovere della Critica della ragion pratica, I, 1, 8.
I. Oltre l’illuminismo 33

si tratta di passare all’azione, per avere presa sull’esistenza, i valori


debbono essere inseriti nel dinamismo della nostra naturale e neces-
saria tendenza alla felicità» (IX, p. 839). «L’universalità non appar-
tiene all’essenza della norma, è una conseguenza della razionalità
della norma» (IX, p. 887). Maritain riscontra nella morale kantiana
un residuo di occamismo, con la differenza che in Occam la legge
dipendeva dall’arbitrio della volontà di Dio, mentre in Kant dipen-
de dall’arbitrio della volontà umana (cf. XI, p. 396).

La Critica del giudizio

La terza Critica costituisce lo sviluppo delle prime due e il supe-


ramento del dualismo tra la conoscenza teoretica e la vita morale, tra
il fenomenismo proprio del Regno della natura e la libertà propria
del Regno dei fini. Kant, limitando la conoscenza al mondo dell’e-
sperienza sensibile e fondando il mondo del sovrasensibile sull’azio-
ne morale, apre un contrasto tra la scienza della ragion pura, che ha
del mondo una visione rigorosamente meccanicistica, e la fede della
ragion pratica, che proclama il finalismo della vita razionale. Il dua-
lismo tra meccanicità e finalità, tra mondo sensibile e mondo intelli-
gibile, non è però radicale come tra il mondo delle idee e il mondo
delle cose di Platone o come tra la res cogitans e la res extensa di
Cartesio, perché Kant li pone in relazione sia sul piano del conosce-
re, in quanto senza i dati provenienti dalla cosa in sé non è possibile
costituire mediante le forme a priori l’esperienza gnoseologica, sia
sul piano dell’agire, perché la natura sensibile è l’ostacolo che la vo-
lontà deve superare per attuare la sua legge morale. Ma era neces-
sario completare e concludere l’edificio intrapreso con l’esame delle
forme a priori di una terza attività, intermedia tra il conoscere e l’a-
gire, e perciò capace di stabilire un collegamento tra il mondo della
natura e il mondo della libertà. Questa nuova attività è il sentimento
inteso come giudizio riflettente, capace di subordinare un contenuto
di conoscenza (ragion pura) ad un fine (ragion pratica). Il giudizio
riflettente si differenzia dal giudizio determinante della ragion pura,
con il quale si determina il mondo dell’esperienza subordinandolo
ad una categoria. Invece con il giudizio riflettente il soggetto si ri-
piega su se stesso e cerca, nella rappresentazione sensibile, l’accordo
tra senso e intelletto, senza riferimento alla conoscenza dell’ogget-
to, per cui in questa sintesi, di cui è forma il sentimento e contenu-
34 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

to l’esperienza, il predicato non aggiunge nulla alla conoscenza del


soggetto. Vi sono due specie di giudizio riflettente: se il fine è riferi-
to al soggetto, cioè al puro sentimento di sé, considerando l’oggetto
per l’azione esercitata su di noi, si ha il giudizio estetico; se il fine è
riferito all’oggetto, mediante il quale l’oggetto è considerato come
rispondente ad una finalità secondo le esigenze della ragione, si ha
il giudizio teleologico.
Maritain osserva: «Sfortunatamente le osservazioni dirette, inte-
ressanti, e talora profonde, che si riscontrano in questa Critica molto
più frequentemente che nelle altre due, sono viziate dalla sua mania
di sistema e di simmetria e soprattutto dal soggettivismo della sua
teoria della conoscenza» (I, p. 738).
Kant inizia l’estetica moderna, senza però separare il bello dal-
l’universalità della ragione e della legge morale. Il bello piace per
la sola forma, a cui è interna la sua finalità, che è inintenzionale in
quanto non si riferisce ad alcun oggetto, scopo, interesse, ma consi-
ste nell’effetto che provoca in noi, prescindendo dal contenuto con-
creto dell’oggetto bello. Il sentimento non trova il bello nell’oggetto,
ma se lo crea, presuppone soltanto il contenuto sensibile, che esso
trasfigura e rende bello, contemplandolo, elevando così la natura al
livello dello spirito universale. Il bello quindi non è dato al sogget-
to, ma è posto dal soggetto nel giudizio estetico, che è sintesi di in-
tuizione e di concetto, ove l’universale intelligibile è espresso nel
particolare sensibile. Il sentimento del bello non solo non dipende
dall’oggetto, ma nemmeno dalle condizioni empiriche individuali;
è una forma a priori, trascendentale, propria della struttura dello
spirito umano. In questo senso e con questo significato va intesa la
soggettività del bello, secondo Kant. Il bello è formale perché non
dipende dal contenuto dell’opera d’arte, è soggettivo perché costi-
tuito a priori dalle forme del sentimento. Non ha compiti didattici
o morali: così la natura è bella quando non è considerata conosciti-
vamente o moralmente, ma esteticamente. Kant sgancia il bello dal
concetto, ma non del tutto dall’intelligenza, se il giudizio estetico è
una forma speciale di giudizio. Ha ragione Kant nel ritenere che «la
percezione del bello non sia, come intende la scuola Leibniz-Wolff,
una concezione confusa della perfezione della cosa o della sua con-
formità ad un tipo ideale» (ibid.). Maritain approfondisce l’analisi:
«Kant ha ragione nel ritenere che l’emozione, nel senso comune del-
la parola, sia un fatto posteriore e consecutivo nella percezione del
bello. Ma per lui il fatto primo ed essenziale è il giudizio estetico, per
I. Oltre l’illuminismo
35

Il giudizio riflettente - tav. n. 5


36 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

noi è la gioia intuitiva dell’intelligenza e secondariamente dei sensi»


(ibid.). Ma «il veleno soggettivistico ha spinto fatalmente i filosofi a
cercare l’essenziale della percezione estetica nell’emozione, a dispet-
to dello stesso Kant» (I, p. 739).
Kant distingue, poi, il bello, ove c’è accordo e armonia fra sensibili-
tà e intelletto, dal sublime, quando la sensibilità è incapace di adeguar-
si all’intelletto e l’uomo si sente soccombere di fronte alla grandiosità
della natura, ma poi prende coscienza della superiorità dello spirito
sulla natura e questo sentimento dell’infinito diventa sublimante, ci
umilia come esseri sensibili e ci esalta come esseri razionali. Kant trat-
ta preferibilmente del bello di natura, a cui sostanzialmente riporta il
bello d’arte, che il genio produce e il gusto apprezza.
Nel giudizio teleologico la subordinazione di un contenuto di
conoscenza è riferita ad un fine relativo all’oggetto, secondo l’idea di
finalità che si ha di esso. Non si tratta più, come nel giudizio estetico,
di una finalità formale riferita al soggetto, per cui si ha un giudizio di
gusto, ma di una finalità reale, considerata nella natura secondo un
giudizio di scopo. Naturalmente questa visione finalistica delle cose
non ha valore gnoseologico, nulla ci dice circa la realtà delle cose,
non è né vera, né falsa, è una nostra maniera di sentire la natura come
se Dio l’avesse ordinata secondo fini, per cui essa nel suo insieme de-
ve subordinarsi allo spirito. Così il mondo è stato creato per l’uomo,
non per il dominio materiale o per la felicità sensoriale, ma affinché
la libertà prevalga sui determinismi e dia uno scopo a tutte le cose:
il massimo finalismo della natura si trova di conseguenza nell’uomo
inteso come persona, fine a se stesso. Così gli esseri viventi non ap-
paiono più delle macchine rette dal principio della necessità causale
(meccanicismo illuministico), ma come organismi viventi ove le sin-
gole parti sono organi subordinati al fine del tutto.

La politica, il diritto, la religione, la storia

Negli scritti minori Kant si confronta con queste problemati-


che. In L’idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico
rileva una finalità razionale immanente alla storia che, al di là degli
scontri tra gli individui e i popoli, spinge l’umanità verso la libertà,
facendo passare gli individui dallo stato di barbarie alla società ci-
vile, e gli Stati dall’indipendenza alla federazione. Con Per la pace
perpetua invita i popoli ad accordarsi per garantire la pace perpetua
I. Oltre l’illuminismo 37

e universale. Sul problema della religione pubblica La religione nei


limiti della sola ragione risolve il cristianesimo in una fede morale,
e intende la Chiesa come una comunità di spiriti liberi. La costitu-
zione legale della società è lo Stato; lo stato di natura è uno stato di
lotta, solo lo stato legale garantisce all’individuo sicurezza e libertà.
L’atto con cui si costituisce lo Stato è il contratto sociale, in cui cia-
scuno rinuncia alla sua libertà esteriore individuale, ma per riaver-
la arricchita come membro della comunità. Dalla separazione dei
tre poteri, che devono completarsi senza identificarsi, deriva il bene
dello Stato. Il potere legislativo, dal quale dipendono gli altri due,
spetta interamente e direttamente alla volontà generale del popolo
(Rousseau). Compito principale dello Stato è l’educazione dei citta-
dini alla libertà, perciò lo Stato deve garantire l’indipendenza della
cultura e la libertà della critica.
Kant distingue tra diritto e virtù, tra politica e morale, senza se-
parare i due aspetti dell’azione umana che insieme confluiscono nel
dovere, distinguendosi solo nella diversità del comportamento, che
riguarda l’uso esterno della libertà, come accordo esteriore dell’a-
zione con la legge, e il comportamento morale, che riguarda l’u-
so interno della libertà, come accordo interiore dell’intenzione con
la legge. La legalità si accontenta dell’azione conforme al dovere,
la moralità esige invece un’azione compiuta per convinzione. Kant,
come Machiavelli, come Lutero, non distingue ma separa la legalità
dalla moralità, l’ordine giuridico e l’ordine morale (cf. XI, p. 510),
anche se sembra auspicare che «la legge positiva accolga le esigenze
della ragion pura» (XVI, p. 795), per cui si può intravedere una leg-
ge naturale razionalista. In concreto per Kant l’unico diritto, innato
e universale, che l’uomo possiede è quello della libertà; tutti gli altri,
compreso quello di proprietà, ne derivano. L’autonomia della ragion
pratica si oppone a qualsiasi forma di autorità. «L’autorità, quella di
Dio come quella degli uomini, non può regolare che le azioni este-
riori, non può che fondare la legalità, che è estranea alla moralità e
che non può costituire una obbligazione morale» (I, p. 978).
Kant riconosce che il contrasto tra virtù e felicità, tra moralità e
natura, è dovuto ad un male radicale, che è proprio della stessa liber-
tà, come possibilità di venir meno alla legge. Così nell’uomo sono pre-
senti insieme il principio del bene e il principio del male. L’origine di
questo male è oscura e incomprensibile, le religioni ne promettono la
liberazione ad opera di Dio, per Kant questa liberazione è possibile
all’uomo da solo, grazie al suo sforzo di perfezionamento. Riesce dif-
38 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

ficile conciliare la morale autonoma, fondata sull’indipendenza della


ragion pratica, con lo spirito religioso, fondato sulla dipendenza da
Dio, così Kant riduce la religione nei limiti della ragione e la riduce
ad un valore puramente pratico. L’idea di Dio è un concetto vuoto, la
fede non ci aumenta la scienza, ma semplicemente conferma i precet-
ti della morale, non ha un valore gnoseologico, ma soltanto morale.
Kant, che critica il deismo illuministico, il quale con la ragione preten-
deva di conoscere Dio, non fa che sostituire al deismo razionalistico
di Voltaire, e al deismo sentimentale di Rousseau, un deismo morale.
La religione non ha bisogno di dogmi, di riti, di sacramenti. Il cristia-
nesimo stesso segnerebbe l’inizio di questa religione tutta interiore,
fatta di perfezione morale, per cui quelli che vivono l’ideale morale
possono dirsi figli di Dio. Maritain commenta «Dio comanda la legge
da parte sua, nel medesimo tempo che essa, per se stessa, si impone nel
profondo della nostra volontà, senza che questo comandamento di
Dio aumenti per nulla la maestà della legge» (I, p. 984). È un mettere
Dio tra parentesi. Come in Locke e in Rousseau, il cristianesimo viene
laicizzato e naturalizzato, perché è svuotato di quel contenuto sopran-
naturale di relazione con Dio, che, invece, ne costituisce l’essenza. E
pensare che Kant ha scritto: «Ho dovuto demolire il sapere per fare
posto alla fede» (II, p. 1169). Il razionalismo agnostico dell’illumini-
smo fa posto al fideismo.

Una ristrutturazione soggettivistica della persona

Il criticismo va esaminato nella reciprocità delle tre Critiche:


fermarsi alla Critica della ragion pura sarebbe unilaterale, e insuffi-
ciente, per potere comprendere il sorgere della postmodernità, an-
che se è stato proprio questo aspetto del pensiero di Kant ad essere
subito sviluppato, e assimilato, dalla scuola idealistica. Considerato
nell’integralità del suo sistema e nel significato delle sue conclusio-
ni, Kant non sembra lontano dal realismo tradizionale, nel senso
che per lui la realtà esiste indipendentemente da noi, è fondamento
del conoscere, è condizione dell’agire morale, è contenuto del sen-
timento. Se è svalutata la ragione conoscitiva, per l’atteggiamento
fenomenologico, la ragion pratica pone l’essere, nella sua intrinseca
finalità morale e nel suo rapporto con Dio, cosa che il sentimento
col giudizio teleologico conferma. Come Locke supera il soggettivi-
smo empiristico per ammettere la realtà dell’anima, del mondo e di
I. Oltre l’illuminismo 39

Dio, e come Cartesio esce dalle premesse idealistiche del cogito per
ammettere, al di là dell’io, un Dio trascendente e il mondo della ma-
teria estesa, così Kant, e meno contraddittoriamente dei precedenti,
anche se con altrettanta difficoltà, ammette la realtà metafisica come
limite dell’esperienza, come postulato della morale, come esigenza
del sentimento. Soprattutto è l’uomo che si ripresenta ricostituito
nella sua unità di conoscere, di volere e di sentire, anche se tra que-
ste forme dell’attività dello spirito non vi è quella intima reciprocità
e circolarità tipiche del pensiero greco e cristiano. Di fronte all’intel-
lettualismo cartesiano e al meccanicismo hobbesiano, che finivano
per negare la libertà dell’uomo, il criticismo kantiano rivaluta l’uo-
mo come persona libera.
Kant supera le posizioni unilaterali dell’empirismo e del razio-
nalismo riconciliando l’esperienza con la ragione, il senso con l’intel-
letto, la materia con la forma, ma mentre in Aristotele questa sintesi
ha un valore oggettivo e reale, per Kant ha solo un valore soggetti-
vo e fenomenologico. Materia e forma nel realismo costituiscono in
singolo l’essere, per il criticismo costituiscono in sintesi il conosce-
re. Per Kant oggettività significa soltanto universalità trascendenta-
le, per cui una conoscenza è vera e un’azione è buona quando siano
formulate dall’io penso e dall’imperativo categorico secondo le for-
me universali del conoscere e dell’agire; ciò non significa riferimento
all’essere, all’oggetto in sé, e quindi si resta sempre nel soggettivi-
smo, anche se non si tratta più di un soggettivismo empiristico, per
cui ciascun singolo soggetto ha la sua opinione particolare e cerca il
proprio utile individuale, ma di un soggettivismo universale.
È costantemente presente nel sistema kantiano l’esigenza di
Dio, come idea della Ragion pura, come postulato della Ragion
pratica, come fine della natura nella visione teleologica, ma l’auto-
nomia dell’imperativo categorico stabilisce che non Dio, ma l’io è il
fondamento dell’ordine morale, per cui è la metafisica dei costumi a
porre l’ordine metafisico. D’altra parte la riduzione della religione
nei limiti della ragione umana conferma questa posizione, malgrado
la sincera fede personale di Kant. Per garantire la dignità dell’uomo,
Kant oppone la morale e la religione, dimenticando che, essendo una
creatura, l’uomo non può dare legge a se stesso se non accettando
l’essere di cui è costituito e che gli è donato da Dio per partecipazio-
ne. L’autonomia assoluta riferita all’uomo rappresenta la conclusio-
ne dell’antropocentrismo dell’umanesimo-rinascimento sviluppato
dall’illuminismo. Ma a queste conclusioni Kant non giunge per de-
40 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

molire il culto di Dio, ma vi giunge a causa della struttura stessa del


suo sistema, che, avendo sganciato la conoscenza dalla metafisica,
lo porta a derivare dalla morale la metafisica, con il primato della
Ragion pratica. Si ha un’altra rivoluzione copernicana, perché non
è più l’essere, attraverso il conoscere, a fondare l’agire come dover
essere, ma al contrario è l’agire a fondare l’essere; cosicché il critici-
smo porta il suo contributo alla costruzione di un nuovo tipo di ci-
viltà, non più fondato sulla contemplazione e sul pensiero, ma sull’a-
zione, che in Kant resta ancora un’azione di disciplina morale nell’u-
niversalità della legge, mentre nella filosofia contemporanea diventa
pragmatisticamente un’azione fine a se stessa in vista del successo e
dell’utile individuale.
Dall’esame dei singoli problemi balzano evidenti i punti debo-
li del criticismo: nel conoscere, la contraddizione della cosa in sé
posta a fondamento della conoscenza e considerata inconoscibile;
nell’agire, la difficoltà di ammettere la libertà della volontà, che deve
ubbidire a se stessa senza aver motivo per dover ubbidire o disubbi-
dire; nella Critica del giudizio, l’illusorietà del sentimento, che pone
un fine all’ordine degli esseri, senza potersi assicurare della validità
di tale atteggiamento teleologico. Kant è stato un maestro non tanto
per il suo sistema, irripetibile nel suo equilibrio instabile tra empiri-
smo e razionalismo, tra realismo e idealismo, tra oggettivismo e sog-
gettivismo, quanto per l’impostazione problematicistica della sua
filosofia. Il criticismo antepone la critica dei mezzi di conoscenza e
di azione al loro uso, dubita di poterli usare prima ancora di averli
usati. Si deve dubitare di ciò che non si è conosciuto con sufficiente
sicurezza, invece Kant dubita deliberatamente di poter conoscere.
Questo a priori dogmatico del criticismo, che in Kant non giunge a
forme radicali di scetticismo, solo perché la metafisica e la morale
sono garantite dalla Ragion pratica, continua nella fenomenologia.
Maritain avverte: «Non si trascende il realismo e l’idealismo, non
c’è una posizione superiore che li sorpassi e li riconcili, bisogna sce-
gliere tra l’uno o l’altro, come tra il vero e il falso» (IV, p. 445); e
annota: «anche Rudolf Euchen2, in campo protestante, oppone san
Tommaso e Kant come due mondi che sono in conflitto irriducibi-
le» (IV, p. 142).

2
Rudolf Euchen (1846-1926), filosofo tedesco che ha studiato soprattutto il pro-
blema della morale in Storia e critica dei concetti fondamentali del nostro tempo (1878)
e Il significato e il valore della vita (1908).
I. Oltre l’illuminismo 41

Una seconda osservazione di Maritain è molto importante.


«Dopo Kant, l’opposizione tra natura e libertà è diventata un luogo
comune per la filosofia moderna. Da una parte si immagina una
natura senza alcun rapporto con la moralità, come un insieme di
fenomeni sottoposti al determinismo. Dall’altra parte vi è l’ordine
della moralità e della coscienza, del bene e del male umani, separato
dall’ordine della natura» (V, p. 325). Maritain riconosce a Kant
il merito di averci fatto comprendere che i risultati delle scienze
empiriologiche, soprattutto quelle che si servono della matematica,
riguardano il mondo dei fenomeni e non hanno alcuna portata
metafisica: «A questo titolo dobbiamo una certa riconoscenza a
Kant, per avere reso usuale in filosofia il termine fenomeno, non in
quanto si riferisce alla sua teoria della conoscenza, ma in quanto
qualifica esattamente l’ambito epistemologico della scienza dei fe-
nomeni come tali» (V, p. 865). Ma aggiunge: «Kant ha visto molto
bene questo, il suo errore è stato quello di avere voluto generalizza-
re questo punto di vista, di averne voluto trarre tutto un sistema, ri-
guardante la natura della conoscenza presa in se stessa» (V, p. 864).
Per Kant all’uomo non è possibile che la conoscenza fenomenolo-
gica. «Come Cartesio aveva separato la filosofia dalla teologia, Kant
separa la scienza dalla metafisica; come Cartesio aveva negato la pos-
sibilità di una teologia come scienza, Kant nega la possibilità della
metafisica come scienza» (VI, pp. 44-45). Maritain riconosce anche
un altro merito a Kant: quello di avere aiutato l’uomo «a prendere
coscienza dell’importanza del problema della personalità morale»
(V, p. 1109), della necessità di dovere conquistare la propria libertà,
ma avendo confuso la libertà di scelta con la libertà di autonomia,
facendo della volontà umana la regola delle proprie azioni, ha gene-
rato un superuomo «che si è rapidamente decomposto, di modo che
dopo avere rivendicato un’indipendenza divina, l’uomo del materia-
lismo psicologico o sociologico contemporaneo cerca invano se stes-
so nei conflitti e nei fantasmi del mondo sotterraneo dell’inconscio o
nei meccanismi della vita sociale» (V, p. 1110). «Il grande merito di
Kant è di avere riconosciuto l’irriducibile originalità dell’ordine mo-
rale, il suo errore di averla sganciata dall’ordine metafisico per so-
spenderla ad un imperativo categorico come ad un assoluto staccato
dall’essere» (VI, p. 1213). Ma, soprattutto, Maritain sottolinea come
la morale kantiana abbia sconnesso il piano dell’etica dal suo fon-
damento teologico, perché un’obbligazione morale, per vincolare
realmente la coscienza, deve essere fondata solo sull’assoluto di Dio.
42 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

La distruzione della metafisica come scienza, la riduzione del


concetto ad una forma vuota, può ricordare Occam e la sua scuola,
ma Maritain precisa: «I terministi avrebbero trovata assurda la pre-
tesa di fare ruotare la verità intorno all’io umano; e la loro filosofia
rappresenta piuttosto una deviazione, una corruzione dell’oggettivi-
smo della scolastica che la fondazione di un sistema soggettivistico.
Tra Occam e Kant, in un certo senso così vicini, c’è una differenza
di intenzione intellettuale, dall’uno all’altro l’asse dell’orientamento
della vita intellettuale si è interamente rovesciato» (I, p. 932). Con
Kant si approfondisce la deviazione introdotta da Cartesio nella sto-
ria della filosofia, quando ha trasferito il rapporto tra materia e for-
ma dal campo dell’essere a quello del conoscere, dalla cosmologia
alla gnoseologia. «Cartesio e Kant si sono ugualmente sbagliati per
avere concepito la conoscenza, e in particolare la conoscenza intel-
lettuale, che è quanto esiste di più elevato nella natura, per avere
confuso le cose del conoscere con le cose dell’azione transitiva. Co-
noscere per l’uno è ricevere un’impronta, per l’altro fabbricare un
oggetto. Ma una tale unione di una materia e di una forma, unione
costituente un terzo termine la “materia informata”, che noi incon-
triamo nel mondo dei corpi, privi di conoscenza, è precisamente
ciò che non è caratteristico della conoscenza. Strana disavventura e
incresciosa disgrazia per non essersi accorti del problema. Cartesio
e Kant, i quali dirigono il loro sforzo principale sulla teoria della co-
noscenza, sono passati completamente a fianco della conoscenza»
(III, p. 59).
In Riflessioni sull’intelligenza (8) Maritain non esita a rintrac-
ciare le cause remote di questa deviazione nella Scolastica della de-
cadenza: «L’errore capitale, qui, è di confondere ciò che attiene
all’ordine entitativo con ciò che attiene all’ordine intenzionale, e di
pretendere di spiegare la conoscenza con una composizione entitati-
va qualunque, ricezione di un’impronta o formazione di una rappre-
sentazione. Da questo punto di vista bisogna dire che tutti gli errori
di Cartesio e di Kant dipendono originariamente dal cedimento del
pensiero scolastico al tempo di Suárez. Questi autori, materializ-
zando la dottrina di san Tommaso, credevano che l’intellezione non
consistesse per l’intelligenza che nell’essere informata dalla qualità
rappresentativa (dal verbo mentale), che non consistesse che nel ri-
cevere l’impronta di un’immagine; teoria che non lascia sussistere
della conoscenza se non ciò che essa non è, e che potremmo chia-
mare la teoria dell’intelligenza come scatola a schede automatiche:
I. Oltre l’illuminismo 43

sotto l’impulso dell’intelletto agente essa traccia un’iscrizione su una


scheda, l’iscrizione è ricevuta, la scheda è archiviata, ed è detto tut-
to. Schede e iscrizioni diventeranno con Cartesio innate al pensiero,
che le riceve direttamente da Dio; con Kant, che ne fa il prodotto
della nostra attività, lo schedario diventerà il mondo della rappre-
sentazione» (III, pp. 78-79).
Ma la vita dell’Intelligenza non è quella di un archivista; è mol-
to più attiva e conosce il reale in profondità. «L’intelligenza non rag-
giunge il suo compimento se non mediante la sua stessa attività. Essa
è vinta dall’oggetto, ma l’oggetto in atto ultimo di intelligibilità è essa
stessa in atto ultimo di intellezione. E soggiogata dall’evidenza, ma
l’evidenza dell’oggetto è anche la luce che essa porta a completa per-
fezione nella sua spontaneità vitale. Ecco perché le ripugna l’assog-
gettamento alla cieca costrizione delle forme a priori kantiane» (III,
p. 90).
44 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain
II. L’età delle ideologie 45

II. L’età delle ideologie

1. La filosofia come realtà totale


La modernità, che ha raggiunto il culmine nell’illuminismo,
nell’età delle ideologie si sclerotizza generando sistemi compatti e
chiusi come l’idealismo, il positivismo, il marxismo, che provoche-
ranno una reazione irrazionalistica, preludio alla postmodernità con
il pensiero debole e la diaspora delle correnti nel pensiero contem-
poraneo. L’ideologia scambia per filosofia un sistema di idee costru-
ite a priori, indipendentemente dall’esperienza, che identifica con la
realtà stessa, e genera sistemi politici totalitari. Si presenta in forme
diverse, ma alla radice c’è sempre la presunzione che sia la ragio-
ne umana, individuale o collettiva, a determinare il divenire della
storia. Maritain analizza in profondità la grande sofistica hegeliana,
l’ideologia borghese di Auguste Comte, il materialismo dialettico
di Karl Marx. A questa ideologia incominciano a reagire, in ordine
sparso, le filosofie dell’irrazionalismo di Nietzsche e di Kierkegaard,
per la verità più letteratura che filosofia, e dello spiritualismo italia-
no, ma le une si chiudono nella soggettività individuale, mentre Ro-
smini finisce per tentare un compromesso tra idealismo e realismo,
pur salvando una metafisica pluralista.

2. L’idealismo
L’idealismo ha fatto cadere la barriera che divideva
l’essere logico dall’essere reale e il reale,
introdotto di forza, nell’essere logico di ragione,
fa violenza alla logica (XI, pp. 455.457).

Il razionalismo francese, attraverso il criticismo, diventa ideali-


smo in Germania, risolvendo l’oggettività dell’esistere nella sogget-
tività del conoscere, finendo per assorbire nella razionalità la stessa
46 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

irrazionalità. La creatività dello spirito che per Kant, fermandosi alla


forma della conoscenza, creava solo la conoscibilità delle cose, nell’i-
dealismo, estendendosi alla materia, giunge a creare l’essere stesso
delle cose. Maritain rileva come l’idealismo, pur derivandone, rap-
presenti un superamento del criticismo kantiano «che era solo una
specie di crisalide da rigettare una volta che la filosofia aveva trovato
le sue ali. L’ispirazione era radicalmente diversa. Se la rivoluzione
kantiana aveva liberato lo spirito dalla regolazione esercitata su di
essa dalle cose, lo aveva fatto solo per limitare il campo del sapere e
restringere le ambizioni della ragione. Bisognava portare a termine
questa rivoluzione, liberare lo spirito dalle regolazioni esercitate su
di lui dalle cose, fare cadere ogni barriera che restringa il dominio
del sapere filosofico, in breve dare via libera alle ambizioni metafi-
siche della ragione. Si trattava di superare il dualismo kantiano, la
cosa in sé, il fenomeno, che pur nella sua inconoscibilità, continua-
va ad appartenere al mondo dell’essere extra-mentale, e restava una
realtà indipendente dallo spirito» (XI, p. 446). Con l’idealismo «lo
spirito abolisce la cosa in sé, prendendone il posto, mentre i fenome-
ni non saranno che una manifestazione di essa» (ibid.).

La grande sofistica

L’idealismo predetermina le condizioni di intelligibilità e Maritain


commenta: «Quanto alla formula “fare delle condizioni di intelligibi-
lità le condizioni della realtà”, se significa semplicemente riconoscere
che ogni essere è intelligibile nella natura stessa in cui è (ens et verum
convertuntur) non si vede come essa non possa imporsi a qualsiasi fi-
losofo, che non rinunci a pensare; ma se significa un intellettualismo
assoluto, si vede bene come si possa applicare a Parmenide, a Spino-
za, a Hegel, ma non si vede come essa si possa applicare ad una filoso-
fia che riconosca nelle cose un principio (la materia) per se stesso non
intelligibile, come dice Aristotele» (I, pp. 598-599). Hegel trasforma
le cose in idee, «fa del pensiero l’essere stesso delle cose, e pretende di
trarre dal pensiero l’universo intero», giunge all’«aseità del pensiero»
(I, p. 999). Tutte le conoscenze, da quelle delle scienze naturali all’e-
sperienza mistica, sono risolte dall’idealismo nella filosofia. Maritain
parla di un «totalitarismo della ragione» (IX, p. 121). Per il realismo
l’intelligenza umana ha un limite inferiore, infraintelligibile, nella ma-
teria come pura potenza, e un limite superiore, sovraintelligibile, in
II. L’età delle ideologie 47

Dio come atto puro; per il razionalismo tutto è intelligibile, tutto è


alla portata della ragione umana, per cui la materia non è più «un ele-
mento di opacità radicale, di non-intelligibilità per sé» che solo l’In-
telligenza divina può conoscere, «perché conosce tutte le cose nella e
mediante la loro essenza e intelligibilità increata» (XI, p. 475). Per l’i-
dealismo non ci deve essere realtà che non sia riconducibile alla ragio-
ne umana, per cui la trascendenza di Dio e l’irrazionalità della materia
vengono risolti nella filosofia.
Maritain delinea lo svilupparsi dell’idealismo nella Storia della
filosofia morale (57). «Si possono considerare i tentativi di Fichte e
di Schelling come preparazione della filosofia hegeliana, ma nella
forma di approssimazioni imperfette e di abbozzi mancati, perché
qui l’Io e là l’Assoluto, pur interni al pensiero, si offrono ancora co-
me distinti da esso, e anche se posti da esso, in qualche modo sono
guardati dallo stesso pensiero e perciò ancora segnati da qualche re-
siduo della realtà, della cosa in sé. Il colpo di genio di Hegel è stato
quello di fare del pensiero o dello spirito lo stesso Assoluto» (XI,
p. 447). Per Maritain il padre dell’idealismo moderno è Hegel, con
cui si ha l’intuizione della «realtà in quanto storia» cioè dell’essere
mobile, «ma ciò che conduce Hegel a concettualizzare questa intui-
zione in un sistema errato, che è una grande sofistica, non è solo il suo
idealismo, ma c’è innanzitutto il modo con cui ha deciso di porta-
re il razionalismo all’assoluto e di eguagliare la ragione umana alla
ragione divina, trasformando la dialettica in un sapere assoluto ed
assorbendo l’irrazionale nella ragione» (X, p. 630). Osserva inol-
tre che «Tommaso precisava che il filosofo, il dialettico e il sofista
hanno tutti e tre lo stesso oggetto, cioè l’universalità dell’essere, ma
in tre prospettive incompatibili tra di loro. Avrebbe anche certa-
mente detto che, trasformando la dialettica in metafisica, Hegel ne
ha fatto una suprema sofistica. Schopenhauer, ritorcendo su Fichte,
Schelling ed Hegel la famosa diatriba, li ha chiamati i Tre impostori,
espressione che si applica ad Hegel in modo eminente. Hegel ha for-
giato con la sua dialettica uno strumento di straordinaria potenza,
un organon altrettanto perfettamente congeniato per la soperchieria
dogmatica, quanto quello di Aristotele per il sapere; una macchina
per illudere l’intelligenza e della quale la filosofia moderna (oramai
sommersa dalla opinione come sapere) e i tempi moderni non hanno
ancora cessato di sperimentare l’efficacia» (XI, pp. 468-469).
Maritain fa qualche accenno ad un quarto filosofo tedesco ideali-
sta, Friedrich Schleiermacher (1768-1834), autore dei Discorsi sulla
48 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

religione (1799), che riduce l’esperienza religiosa ad un’intuizione o


ad un sentimento dell’infinito, per collocarlo nella storia del razio-
nalismo religioso e del protestantesimo liberale, che porta ad Adolf
Harnach (1851-1930). Concludendo questa premessa, si può dire
che l’idealismo è una forma di angelismo, è il desiderio di una cono-
scenza, come quella degli angeli, degli spiriti puri, che possono co-
noscere «senza l’umiliante contatto con la realtà materiale» (VIII, p.
121), una conoscenza impossibile all’uomo. L’idealismo finisce per
«fare della critica della conoscenza, che dovrebbe essere solo un at-
to di riflessione sulla conoscenza della realtà, un’attività costruttiva»
(IV, p. 400) che la porta ad un ripiegarsi all’infinito su se stessa, che
«non può che sorpassarsi senza fine, sostituendo verità a verità, e
non cogliendo mai nulla» (IV, p. 497) in un divenire perpetuo.

Johann Gottlieb Fichte

Il primo dei filosofi tedeschi che introduce all’idealismo, riela-


borando la filosofia di Kant, Johann Gottlieb Fichte (1762-1814),
nasce in una modesta famiglia, riesce a frequentare, grazie all’aiuto
di un mecenate, i corsi di teologia prima all’Università di Jena, poi
in quella di Lipsia, incerto se dedicarsi alla carriera ecclesiastica o
all’insegnamento della filosofia. Per un certo tempo fa il precettore
in Sassonia, poi nella Svizzera tedesca, a Zurigo dove conosce il pe-
dagogista Enrico Pestalozzi e dove incontra e sposa Marie Johanna
Rahn, nipote di Friedrich Klopstock, famoso per il poema Il Messia,
capolavoro della letteratura del movimento pietista impegnato nel
rinnovamento del protestantesimo in Germania. Nel 1791 inizia gli
studi filosofici con Kant e pubblica anonimo un volumetto Critica
di ogni rivelazione, che viene attribuito al suo maestro. La lettura di
Kant fu per Fichte una rivelazione e Maritain riporta questa signifi-
cativa confessione: «Io scoprivo infine la filosofia, che riduce ad una
semplice apparenza le circostanze dove noi viviamo e che lascia alla
nostra libertà personale e all’io il potere di svilupparsi, malgrado le
cose» (I, p. 993). Chiamato all’Università di Jena, pubblica diverse
opere tra cui Dottrina della scienza; sospettato di ateismo si trasferi-
sce a Berlino. Qui pubblica la sua opera più importante Sulla missio-
ne del dotto e collabora alla fondazione dell’Università, dove insegna,
accanto a Schleiermacher, fino alla morte, avvenuta durante le guerre
napoleoniche, avendo contratto un’infezione dalla moglie, che pre-
II. L’età delle ideologie 49

stava servizio come infermiera all’ospedale militare. Famosi sono i


suoi Discorsi alla nazione tedesca (1807-1808), che se aiutarono il
popolo a resistere alle invasioni francesi, furono anche il germe di
quel pangermanesimo che resterà a lungo nella cultura e nella poli-
tica tedesca.

L’idealismo etico

Maritain non dedica molta attenzione a questo filosofo, ma nel-


la Storia della filosofia morale (57) ne sintetizza il pensiero: «L’ideali-
smo di Fichte, di ispirazione soprattutto morale, fa uscire tutto
dall’Io attraverso un processo di sviluppo i cui termini si pongono
opponendosi; e concepisce la vita etica come una realizzazione pro-
gressiva della sovrana indipendenza dell’Io trascendentale e sovrain-
dividuale (dato che per i soggetti individuali Fichte diceva che “non
c’è sicuramente nulla di buono”)» (XI, p. 446). In principio c’è un
Io puro, che non è essere ma attività, una forma non trascendente ma
trascendentale, rispetto ai singoli io empirici in cui si esprime. Risa-
lire al di là di questa attività iniziale, che non si giustifica ma si pone
da se stessa, è impossibile. Ammettere un oggetto anteriore e indi-
pendente dal conoscere del soggetto significherebbe cadere nel dog-
matismo o finire nello scetticismo; molto più sicura è la posizione
dell’idealismo, che partendo dall’io puro non presume di uscirne
fuori, perché tutto ne deriva, per cui l’oggetto si identifica con il sog-
getto. Maritain vede in questo Io puro, in questa attività trascenden-
tale, pura forma, «un’Esistenza senza essenza, una libertà senza
natura, un Io senza volto, che si pone per propria volontà in diveni-
re» (XIII, pp. 547-548).
L’attività dell’Io, trascendentale e dialettica, si sviluppa attra-
verso un’intrinseca opposizione tra io e non-io, che viene superata
in una sintesi, per poi ricostruirsi in una nuova opposizione, e così
all’infinito, perché se l’Io cessasse di divenire cesserebbe di esse-
re. Tre sono i momenti di questo divenire: la tesi in cui l’Io pone se
stesso come attività, l’anti-tesi, in cui l’io inconsciamente si oppo-
ne al non-io, lo spirito si oppone alla natura, e infine la sintesi, ove,
nell’autocoscienza, l’io s’accorge di identificarsi con il non-io, lo spi-
rito si accorge di aver superato in se stesso la natura. Fichte analizza
i momenti fondamentali di questa attività: il momento teoretico (che
chiama fantasia produttiva), in cui il soggetto pone l’oggetto e quindi
si sente limitato dall’oggetto, che lo finitizza e lo determina: e questa
50 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

è l’antitesi; e il momento pratico (che chiama riflessione consapevo-


le), in cui il soggetto supera in sé l’oggetto, conquistando così la sua
libertà oltre il limite che si era posto: e questa è la sintesi. Si confer-
ma il primato kantiano della ragion pratica, perché l’Io teoretico è
per l’Io pratico, il soggetto si pone l’oggetto allo scopo di superar-
lo e di celebrare in questo modo la sua libertà di fronte alla natura.
Ma mentre in Kant l’io teoretico e l’io pratico erano separati, erano
come paralleli, in Fichte sono relazionati, sono posti in rapporto da
mezzo a fine: l’io che pensa è lo stesso io che agisce, anzi pensa per
agire, così pensiero e azione sono coordinanti. Maritain commenta:
«Per Fichte l’azione, che è vita, viene prima dell’essere, che è mor-
te» (II, p. 1062).
Mentre l’io puro è una forma assoluta, i singoli io empirici, uo-
mini e cose, in cui si esprime, sono esseri contingenti, allo stesso
modo che una sinfonia è una pura attività, che si esprime attraver-
so il suono dei singoli strumenti musicali, che sono realtà concrete
e finite. Come ogni strumento deve suonare la sua parte, affinché
la sinfonia possa svolgersi nella sua compiutezza, così nell’armonia
dell’io trascendentale ogni uomo ha una sua particolare missione da
compiere, subordinando il suo interesse particolare alla legge del
dovere. L’imperativo categorico diventa: Agisci sempre in conformi-
tà della tua missione. L’uomo non deve disperdersi nel caleidosco-
pio della sensibilità, ma deve dedicarsi l’azione, deve credere nel
dovere, vivendo il quale raggiunge l’immortalità. C’è in Fichte un’i-
dentificazione della religione con la morale, perché l’Assoluto non
è inteso come realtà trascendente i singoli esseri, ma è immanente
al divenire della storia; come in Spinoza la Natura naturans è imma-
nente alla natura naturata, con la differenza che qui si tratta di un
Ordo ordinans. L’Assoluto altro non è che la stessa legge morale, la
forma trascendentale superindividuale, che invita l’uomo a vivere il
dovere come missione. Maritain rileva: «Dio non è per Fichte che
l’ordine morale, che si realizza nel mondo attraverso la nostra libertà
e la nostra moralità, un ordine che si realizza in uno sviluppo conti-
nuo e senza fine: un panteismo evoluzionista e ateo» (I, p. 994).
Come i singoli individui, anche ogni popolo ha la sua missione
da compiere; per Fichte, la missione del popolo tedesco è quella di
ammaestrare gli altri popoli. Maritain rileva che «la cristianità viene
sostituita dalla germanità» (I, p. 921) e si giunge a «identificare gli
istinti tedeschi con la legge divina» (I, p. 925). Il popolo tedesco è
chiamato attraverso la cultura a superare la contraddizione tra dirit-
II. L’età delle ideologie 51

to e moralità. Il diritto è necessario per l’organizzazione della socie-


tà, per garantire a ciascuno la sua libertà, ma deve usare la coazione
e la forza dello Stato per assicurare la libertà ai cittadini. Solo attra-
verso l’educazione, si riesce a superare l’antitesi tra legge e libertà, e
a interiorizzare la legge ottenendole il rispetto senza dover usare la
forza. Lo Stato nel suo sviluppo passa attraverso diverse fasi e deve
diventare da Stato di polizia, che garantisce a tutti la libertà, e da Sta-
to commercialmente chiuso, autonomo e autosufficiente, che garanti-
sce a tutti il lavoro, uno Stato etico, cioè uno Stato educatore capace
di assoggettare alla legge comune le coscienze degli individui. La
missione del dotto è quella di illuminare e stimolare gli uomini a vi-
vere nel dovere e nella socialità, contribuendo ad attuare nella storia
il regno dell’Assoluto. Alla filosofia politica nazionalistica di Fichte
risale anche quella Kulturkampf portata avanti da Bismarck contro
la Chiesa cattolica. In conclusione Maritain rileva che «il machiavel-
lismo assoluto è stato preparato anche, e soprattutto, dalla filosofia
romantica tedesca di Fichte e di Hegel» e annota: «Si sa che l’autore
dei Discorsi alla nazione tedesca ha scritto anche un saggio titolato
Carattere di Machiavelli» (VIII, p. 322).
Alcuni motivi comuni, e la loro parallela missione storica pos-
sono avvicinare Fichte a Giuseppe Mazzini (1805-1872). Per en-
trambi la vita è missione, entrambi celebrano il culto del dovere, in
entrambi il pensiero diventa azione allo scopo di unificare la Patria;
ma assai diverso è il significato delle due filosofie, perché quella di
Fichte è idealistica e nazionalista, mentre quella di Mazzini è spiri-
tualistica e internazionalista.

Friedrich Schelling

Studente con Hegel all’Università di Tubinga, Friedrich Schel-


ling (1775-1854) passa dagli studi teologici a quelli filosofici medi-
tando le opere di Spinoza, di Kant e di Fichte, da cui però presto
si stacca per elaborare una sua filosofia, caratterizzata da continue
e progressive evoluzioni, per cui si possono individuare le varie fasi
del suo pensiero.
Il primo scritto, Idee per una filosofia della natura (1797), già
segna il distacco dall’idealismo etico fichtiano. Professore all’Uni-
versità di Jena, grazie all’appoggio di Goethe e di Schiller, pubblica
diverse opere tra cui L’anima del mondo (1798) e Rappresentazione
52 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

del mio sistema (1801), che costituiscono gli scritti più organici e si-
stematici del primo momento della sua ricerca, quando si muove tra
Fichte e Hegel, e segnano il passaggio dell’idealismo tedesco da po-
sizioni soggettivistiche a posizioni oggettivistiche.
Poi, abbandonata l’Università di Jena, va pellegrinando per al-
tre università, mentre Hegel è al colmo del suo successo a Berli-
no. Si verifica in questo periodo una crisi che lo porta verso forme
di irrazionalismo e di critica all’idealismo. Sono di questo perio-
do due opere importanti, Filosofia e religione e Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti con questa connessi. Nel
1841, chiamato da Federico Guglielmo IV, ottiene la cattedra di He-
gel all’Università di Berlino, ma non può far dimenticare la gloria
dell’antico condiscepolo, e poco dopo abbandona la cattedra.

L’idealismo estetico

In Fichte la natura era considerata negativamente come ostaco-


lo per l’attività dello spirito, che la poneva allo scopo di superarla,
per manifestare così la sua libertà. Schelling vuole rivalutare la na-
tura e, anziché contrapposta allo spirito, la concepisce parallela, alla
maniera di Spinoza. Tra natura e spirito viene ad esserci una diffe-
renziazione non più qualitativa, ma solo quantitativa: la natura è spi-
rito inconscio e lo spirito è natura conscia; e la natura nel divenire
dell’unica realtà è come la preistoria dello spirito. All’inizio del di-
venire, anziché un atto puro come in Fichte, c’è un’Unità indifferen-
ziata di natura e di spirito, di io e di non-io, di soggetto e di oggetto,
dalla quale si svolgono prima la natura e poi lo spirito, senza che ci
sia mai una natura pura o uno spirito puro. All’inizio la natura pre-
vale sullo spirito e alla fine lo spirito trionfa sulla natura, ma sempre
persiste la relazione natura-spirito. Questo divenire avviene per in-
trinseche opposizioni, perché l’attività per produrre deve limitarsi e
per esprimersi deve concretizzarsi. Maritain rileva: «L’idealismo di
Schelling formula già il principio della triade (ma in termini ancora
superficiali e troppo legati al discorso umano, tesi, antitesi, sintesi) e
fa uscire tutto dall’Assoluto, ma da un Assoluto di pura indetermi-
nazione che, come dice Hegel, “è come una notte dove tutte le vac-
che sono nere”» (XI, p. 447). Con l’idealismo di Schelling riprende
significato la relazione ontologica tra la materia e la forma, tra natu-
ra e spirito, senza risolversi nella relazione gnoseologica tra il sog-
getto e l’oggetto del conoscere come era capitato nell’empirismo di
II. L’età delle ideologie 53

Hume. I momenti fondamentali di questo divenire dell’Unità, che


va differenziandosi, sono quattro: la materia, la vita, la sensibilità,
l’intelligenza. Schelling, prima di Darwin e di Spencer, intuisce e
formula un’ipotesi evoluzionistica, ma non in senso materialistico-
deterministico, bensì in senso spiritualistico, perché questo divenire
ha un’intima finalità, in quanto un’Anima del mondo, un’Intelligen-
za immanente, presiede e dirige lo sviluppo di tutta la realtà ver-
so un’autoliberazione dello spirito dalla materia. In questa filosofia
l’influenza di Spinoza e di Bruno è rilevante, sia per il monismo che
per la riduzione dei singoli esseri concreti, cose e uomini, a modi di
essere dell’unica realtà. Negli uomini prevale lo spirito e nelle cose
prevale la natura; ma tutti questi esseri finiti sono provvisorie mani-
festazioni del divenire dell’Unità differenziata che in loro si esprime
e si concretizza.

Il divenire secondo Schelling - tav. n. 6

In Schelling si trova il punto di maggior connessione tra l’ideali-


smo e il romanticismo; la sua filosofia alimenta la letteratura roman-
tica tedesca. Goethe, Schiller, Novalis gli sono amici e lui partecipa
al loro movimento. L’unità della natura e dello spirito, la concezione
del divenire come un inconscio emergere dello spirito dalla natura,
erano convinzioni comuni. Ma la radice profonda della simpatia de-
gli scrittori romantici per Schelling sta nel fatto che questo filosofo,
nello svilupparsi della sua riflessione, finisce per considerare l’arte co-
me l’organo fondamentale della filosofia, perché soltanto l’artista in
un’intuizione lirica può cogliere l’intima essenza delle cose, che è in-
54 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

sieme natura e spirito, sensibilità e intelligibilità, razionalità e irrazio-


nalità. Infatti l’io teoretico, cioè l’attività gnoseologica, e l’io pratico,
cioè l’attività morale, non possono raggiungere l’anima profonda del-
la realtà, perché nel primo è l’oggetto che prevale sul soggetto e nel
secondo è il soggetto che prevale sull’oggetto, mentre nella creazione
artistica e nella fruizione estetica soggettività e oggettività si fondono
nell’immaginazione contemplativa. In questa immaginazione creativa
c’è un’indistinzione tra soggettività e oggettività. Maritain in L’intui-
zione creativa nell’arte e nella poesia (49) cita questo testo di Schelling:
«Tanto l’artista è spinto involontariamente, e malgrado se stesso, al-
la creazione […] altrettanto i materiali per le sue opere gli vengono
forniti, senza il suo contributo, dal di fuori» (X, p. 401). Anche Mari-
tain riconosce il valore dell’intuizione creatrice del poeta, come sog-
gettività-oggettività, ma non la confonde con l’intuizione del filosofo;
riconosce l’autonomia della poetica rispetto alla prassi e alla teoresi,
distingue ma non separa questi tre momenti dell’attività dello spirito.
Cartesio e il razionalismo avevano portato ad un’identificazione
tra filosofia e matematica, per cui l’evidenza e la deduzione matema-
tica erano il criterio di ricerca; l’idealismo di Schelling fa coincidere
l’arte con la filosofia, sostituendo al concetto l’intuizione. Sarà Hegel
che supererà questo equivoco, ma per subordinare l’arte alla filosofia
in un nuovo intellettualismo. Con l’idealismo estetico si è fuori dell’i-
dealismo puro, perché la razionalità viene ad essere mescolata con
l’irrazionalità, infatti nell’ultimo periodo della sua riflessione Schel-
ling si porta all’opposizione netta dell’idealismo, verso forme di puro
irrazionalismo, fino a considerare il male come una necessità metafi-
sica. Di fronte alla difficoltà di ogni filosofia di derivare gli esseri fini-
ti dall’Assoluto, di trarre dall’Uno i molti, Schelling riconosce che il
moltiplicarsi dell’Uno nei motti è un male radicale, che l’individualità
in se stessa è una colpa, in quanto significa lo staccarsi dell’individuo
dal Tutto. A questa Iliade deve seguire un’Odissea con il ritorno dei
molti all’Uno, i quali nell’Assoluto perdono la loro individualità e la
loro finitezza per immergersi completamente nel Tutto. Schelling, in
questo doppio processo di discesa dell’Uno nei molti e di ritorno dei
molti all’Uno, che ricorda la filosofia di Plotino, stabilisce le relazioni
tra Dio e gli uomini. Ma, non potendosi immaginare come Dio nella
sua unità abbia bisogno di produrre la molteplicità, Schelling finisce
di porre l’irrazionalità nella stessa Divinità.
Maritain sottolinea anche un altro aspetto di Schelling, rilevan-
do che questo monismo non è altro che una grande antropolatria,
II. L’età delle ideologie 55

perché è l’io che pretende di essere Dio, la soggettività che si fa og-


gettività, il pensiero che si fa essere. Nel riportare tutto all’Assolu-
to come unica sostanza «Schelling ha preparato la strada ad Hegel,
quando ispirandosi ad un tempo a Spinoza e a Kant, senza sospet-
tare minimamente il senso assolutamente nuovo che tale formula
avrebbe potuto assumere in Hegel, gli scriveva nel 1795 “Dio non è
nient’altro che l’io assoluto”» (XI, p. 497). Per Hegel l’Assoluto non
sarà solo l’unica Sostanza, ma la stessa Soggettività razionale.

3. Georg Wilhelm Friedrich Hegel


Hegel, lo sappiamo, ed è la sua gloria, ha voluto superare il dualismo kantiano
tra la natura e la libertà, di fatto e di diritto,
ma il suo geniale tentativo ha finito per identificarle (V, p. 326).
Rendiamo omaggio a Hegel, al maestro dei maestri,
davanti al quale lo spirito dell’uomo moderno è in ginocchio (XIII, p. 1007).

Il più importante filosofo tedesco, Georg Wilhelm Friedrich


Hegel (1770-1831), nasce a Stoccarda in una famiglia piccolo-bor-
ghese, si forma nel seminario protestante di Tubinga, studiando filo-
sofia e teologia, risentendo l’influenza di Rousseau e di Kant. Sono
suoi compagni di studio Schelling e Hölderlin. Per più di cinque
anni fa il precettore, prima a Berna poi a Francoforte, ampliando
la sua cultura a contatto con il pensiero di Fichte, di Schiller e di
Lessing. In quegli anni scrive una serie di saggi teologici, che saran-
no pubblicati postumi. A poco a poco perviene ad una sua visione
del sapere, staccandosi sia dall’illuminismo che dal romanticismo,
per elaborare una filosofia come pura concettualizzazione e ragio-
namento, nella quale essere e pensiero dialetticamente coincidono,
fino ad identificarsi.
La sua vasta erudizione lo porta ad interessarsi ai diversi proble-
mi della cultura, filosofici, estetici, religiosi, morali, politici, giuridici,
storici, che analizza nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in com-
pendio del 1817, riscritta e ampliata nel 1827 e riveduta ancora nel
1830. L’opera si struttura articolandosi nelle tre parti del suo sistema
filosofico: la Logica, le Lezioni sulla filosofia della natura, la Filosofia
dello Spirito. Ottenuta la cattedra universitaria insegna prima a Je-
na, accanto a Schelling, dove pubblica La fenomenologia dello spirito,
56 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

poi ad Heidelberg, infine a Berlino, capitale del Regno di Prussia, dal


1817 fino alla morte. Tra le altre opere sono da ricordare La scienza
della logica (1812) e i Lineamenti di filosofia del diritto (1821). I disce-
poli pubblicano dopo la sua morte, sulla base di manoscritti inediti e
dei loro appunti, le Lezioni sulla filosofia della storia, le Lezioni di este-
tica e Filosofia della religione. Il pensiero hegeliano ebbe una vasta in-
fluenza, non solo sulla filosofia europea, ma anche sulle stesse vicende
politiche, dando origine a due scuole di pensiero, la destra hegeliana e
la sinistra hegeliana, che portarono l’una al pangermanesimo militari-
sta, prussiano, e poi nazista, e l’altra al comunismo sovietico, dilagan-
do in tutto il mondo. Anche la filosofia italiana del primo novecento,
con Benedetto Croce e Giovanni Gentile, e la politica del fascismo,
trassero ispirazione dall’idealismo hegeliano.

Il metafisico del divenire

Maritain dedica ad Hegel i primi capitoli della seconda par-


te della Storia della filosofia morale (57) con un triplice approccio:
L’idealismo hegeliano (XI, pp. 445-494), La persona umana – la
Sittlichkeit (XI, pp. 495-543), Il Dio di Hegel (XI, pp. 545-595), sot-
tolineando come in lui si consumi la più completa e radicale secola-
rizzazione del cristianesimo, portando a termine il processo iniziato
da Cartesio. Rileva con preoccupazione: «Ogni filosofia, come quel-
la di Hegel, che pretenda di assumere in sé e di integrare la religione,
è in definitiva una mistificazione» (IX, p. 74), perché la religione è
una relazione da persona a persona, mentre la filosofia si risolve in
un rapporto cognitivo tra soggetto e oggetto.
Mentre la filosofia di Aristotele si radica nell’intuizione dell’es-
sere, quella di Hegel deriva dalla intuizione del divenire, ma poi que-
sta intuizione viene assorbita nella dialettica dello spirito, che celebra
se stesso e si autocostruisce. Maritain in un seminario Nessun sape-
re senza intuitività (XIII, pp. 931-994) dedica una lunga riflessione a
Tre grandi menti filosofiche, Cartesio, Hegel, Heidegger in cui di Hegel
scrive: «Egli ha avuto un’intuizione primordiale, quella della mobilità
e dell’inquietudine essenziali della vita umana, l’intuizione del diveni-
re tragico di un vivente, che deve, senza sosta, contemplare la morte
e la negatività e superare il loro potere con l’energia del pensiero. Ma
nello stesso tempo porta l’idealismo all’assoluto, negando ogni realtà
extramentale e facendo della realtà – la natura, la storia, il mondo –
II. L’età delle ideologie 57

una manifestazione del Pensiero, cioè dello Spirito pensante discor-


sivamente se stesso» (XIII, p. 949). Hegel risolve tutte le conoscenze,
da quelle scientifiche a quelle teologiche, nel sapere filosofico; e ridu-
ce e comprime il metodo della ricerca filosofica nella dialettica: «La
dialettica diventa sapere e il solo unico autentico sapere; e la ragione
diventa assolutamente libera da ogni controllo della intuitività dello
spirito rivolto verso il reale, poiché non c’è assolutamente più il reale
extramentale a cui il pensiero dovrebbe conformarsi» (XII, p. 950).
Il metodo diventa il sistema, la dialettica è trasformata in metafisica.
«L’idealismo ha fatto cadere la barriera che divideva l’essere logico
dall’essere reale» (XI, p. 455), di qui la grande sofistica hegeliana che
– grazie a due stratagemmi per cui «questa dialettica non compor-
ta alcun punto fisso di prospettiva (la si potrebbe chiamare strategia
dello spostamento focale)» (XI, p. 467) e «tutto l’universo della cono-
scenza delle cose viene trasferito nel mondo del puro pensiero (la si
potrebbe chiamare strategia del mascheramento del reale nel processo
logico)» (XI, p. 164) – giunge alla conclusione che la filosofia coincide
con la storia. Maritain sottolinea che la dialettica hegeliana, sostituen-
do come legge fondamentale della realtà il principio di contraddizione
al principio di identità, abbia portato la stessa contraddizione all’in-
terno dell’essere, risolto nel divenire; cita questo testo di Hegel: «La
natura intima delle cose è una contraddizione realizzata» (I, p. 328)
e raccorda e confronta questa posizione con quella del sofista Gor-
gia (II, p. 68). Una buona intuizione, quella della realtà come storia,
cioè come mobilità, flusso, cambiamento è stata mal concettualizzata.
Maritain precisa: «Ciò che ha condotto Hegel a concettualizzare tale
intuizione in un sistema erroneo, il quale non è altro che una grande
sofistica, non è solamente il suo idealismo, ma soprattutto il modo in
cui ha deciso di assolutizzare il razionalismo e di uguagliare la ragio-
ne umana alla ragione divina, trasformando la dialettica in un sapere
assoluto e assorbendo l’irrazionale nella ragione, da cui il movimento
dialettico, che è ad un tempo la stessa vita e la rivelazione della realtà»
(X, p. 630).
Hegel è il filosofo più radicale dell’idealismo, in lui l’idealismo si
trova allo stato puro, tutte le conseguenze possibili ne sono tratte con
coerente conseguenzialità fino al controsenso: tutta la realtà, il divino
e l’umano, la persona e la società, l’eterno e il tempo, lo spirito e la na-
tura, la religione e la filosofia, le scienze e l’arte, tutto viene risolto in
una visione sintetica, che abbraccia e comprende il sapere universale.
Questo argomentare del filosofo non concede più nulla al sentimento,
58 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

alla narrazione, ma procede con rigorose deduzioni dai principi stabi-


liti, attraverso un pesante e arido discorrere dialettico. Non si trovano
più come in Schelling diverse e successive fasi di pensiero, ma un’u-
nica filosofia, che a poco a poco si dipana in tutte le sue articolazioni,
fino ad esprimersi in un sistema organico, compiuto, definitivo.

L’idealismo assoluto

La ricerca filosofica non può essere morale come in Fichte, né


sentimento come in Schelling, né religione come in Schleiermacher,
perché è essenzialmente ragione concettuale, ossia riduzione della
realtà in termini di pensiero. Con Hegel la filosofia torna così al suo
metodo proprio, la logica, perché il suo oggetto è l’intelligibile, ed
essa lo possiede in quanto l’essere è razionale. Ma da questo ricono-
scimento della razionalità del reale, Hegel passa all’identificazione
della razionalità con la realtà, affermando che «tutto ciò che è reale
è razionale, e tutto che è razionale è reale», e quindi «ogni cosa è un
sillogismo» (XI, p. 450). Ne deriva che la realtà non è più solo se-
condo ragione, perché ha la sua ragion d’essere, ma è essa stessa la
razionalità, la Ragione.
Mentre Aristotele distingue tra l’essere e il pensiero, pur ricono-
scendo il pensiero immanente all’essere come sua forma intelligibile,
Hegel identifica l’essere con il pensiero. Di conseguenza non è più
possibile separare la logica come studio del pensiero, dalla metafi-
sica come studio dell’essere, perché metafisica e logica coincidono.
Maritain rileva: «L’antica nozione di logica, come scienza delle in-
tenzioni seconde, presuppone una concezione realistica del mondo.
Il concetto è anzitutto una presa sul reale extramentale, poi la logica
lo considera a parte, in uno stato e con le proprietà che esso ha solo
nella mente, come ente di ragione. Il ragionamento, di cui la logica
studia le leggi, serve da strumento alla scienza del reale, ma questa
è per natura distinta dalla logica, e la forma più elevata della scienza
del reale non è la logica, ma è la filosofia. La dialettica fa parte della
logica, e resta nella logica per edificare la scienza del reale, la filo-
sofia. Per i filosofi antichi era un non senso fare della dialettica un
sapere, una filosofia, quando invece non è che un primo tentativo di
esplorazione delle cose, preliminare al sapere e incapace per natura
di procurare il sapere, «perché lungi dal cercare con essa le strutture
e le ragioni proprie delle cose, ci accontentiamo di passare sulle cose
II. L’età delle ideologie 59

dei quadri logici, degli enti di ragione, che sono estrinseci alle cose e
non esistono che nella nostra mente» (XI, p. 451). Maritain cita un
testo di san Tommaso: «Il dialettico, come il metafisico, considera
tutte le cose […] in quanto convengono in una certa unità […] tut-
te le cose non convengono che nell’essere […] è dunque chiaro che
l’oggetto della dialettica è l’essere […] ma l’essere considerato dal
filosofo è l’essere reale, quello considerato dal dialettico è l’essere di
ragione ossia l’essere de-realizzato» (XI, p. 453) che esiste solo nel
pensiero, attraverso il concetto, come segno cognitivo. Invece in He-
gel, il più coerente degli idealisti, si ha un’identificazione tra essere e
pensiero, tra cosa e concetto. La dialettica viene posta a fondamen-
to di tutto il sistema filosofico. Si ha un idealismo oggettivo, perché
l’oggetto coincide con il soggetto, la realtà con la razionalità. L’Idea
non è l’idea in un soggetto che la pensa, nel mondo della logica, ma
l’Idea è per se stessa autocosciente e ontologica, pensiero reale. L’af-
fermazione cartesiana è portata alle estreme conseguenze, si trasfe-
risce il cogito dal soggetto all’oggetto: l’essere è in quanto si pensa.
Secondo Hegel quello di Platone non è un idealismo coerente,
perché accanto alle idee ammette le cose, perché non vi è una sola
idea, ma molteplici idee coordinate e finalizzate verso l’idea di Bene,
perché l’idea è ontologicamente precedente e anteriore al concetto.
In Hegel si ha un idealismo assoluto, perché vi è una sola Idea, e
nulla esiste al di fuori di quest’unica Idea, e questa Idea è essa stessa
concetto e non l’oggetto del concetto. Si ha quindi l’assoluta imma-
nenza dell’ideale nel reale, dell’universale nel particolare, del pensiero
nell’essere, dell’Uno nei molti, di Dio nel mondo. Come in Spinoza
i singoli individui non sono altro che provvisorie e fenomeniche mo-
dificazioni dell’unico essere, puri modi di essere; ma con la differen-
za che in Spinoza l’unico essere era Dio, e qui invece è l’Idea, per
cui anziché un monismo panteistico si ha un monismo idealistico.
Hegel si pone quindi in quell’indirizzo monista che attraverso Spi-
noza si riallaccia a Bruno nel rinascimento, a Cusano nell’umanesimo,
a Scoto Eriugena nel medioevo, a Plotino e agli stoici nell’ellenismo e
a Parmenide nei presocratici.
Per Maritain, Hegel non ha compreso l’analogicità dell’essere,
non ha compreso che l’essere è un trascendentale, che si diversifica
in ogni essere concreto, pur restando se stesso. Ha concepito l’esse-
re in maniera univoca, al limite del nulla, un genere logico privo di
consistenza. Maritain ne I gradi del sapere (17) rileva: «In un senso,
non vi è nulla di più povero dell’essere, giacché per scorgerlo biso-
60 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

gna lasciar cadere tutto il mantello del sensibile e del particolare. In


un altro senso l’essere è la nozione più consistente e più solida giac-
ché in tutto ciò che noi possiamo sapere non vi è nulla che non le
appartenga. Questa solidità sfugge a coloro che prendono l’essere
come univoco e che ne fanno un genere, il più vasto e il più nudo.
In tal caso sarebbe, come l’ha visto Hegel, al limite del nulla, e mai
indiscernibile dal nulla. Al contrario, per il fatto che è analogo, es-
so è un oggetto di pensiero consistente e differenziato, su cui una
scienza può radicarsi, senza con ciò ipetrofizzarsi in un panlogismo
distruttore delle essenze» (IV, p. 652)3. Maritain vede nel monismo
di Hegel che risolve tutta la realtà nell’Idea una sorta di «materiali-
smo virtuale» (VI, p. 347) che il marxismo renderà esplicito.

Lo storicismo

In Per una filosofia della storia (51) Maritain dedica un intero


capitolo ad Hegel (X, pp. 229-637) e riconosce al filosofo tedesco il
merito di avere recuperato la filosofia della storia, che già sant’Ago-
stino e Giambattista Vico avevano studiato, ma precisa che quella
hegeliana non è un’autentica bensì una falsa filosofia della storia.
Infatti risolve la realtà in divenire nel pensiero, identificando filo-
sofia e storia in uno storicismo assoluto, per cui a livello di teoresi
l’ultimo sistema filosofico, riassumendo in se stesso tutto il passato,
è quello vero; a livello di prassi colui che vince ha sempre ragione,
perché nessun valore trascende il divenire della storia. Vediamo in
che modo Hegel struttura questo universo in divenire. L’Idea non
è statica, ma dinamica; non è in atto, ma in un continuo farsi, at-
traverso un processo logico di contrapposizioni, perché l’Assoluto
si esprime nella molteplicità degli esseri che lo vanno costituendo.
All’inizio del divenire non c’è più, come in Schelling, un’unità in-
differenziata, ma un’unità che va differenziandosi e costituendosi
attraverso la differenziazione. Mentre l’Assoluto nella filosofia gre-
ca e cristiana è l’Atto puro, che non diviene, che trascende il dive-
nire, nell’idealismo l’Assoluto coincide col divenire, si costituisce

3
Maritain precisa: «L’essere in quanto essere, oggetto del metafisico, che lo coglie
con l’abstractio formalis, con la consistenza intelligibile essenzialmente variata dalla sua
comprensione analogica, va del tutto distinto dall’essere colto con l’abstractio totalis,
come il più universale dei nostri quadri logici» (IV, p. 652).
II. L’età delle ideologie 61

divenendo, perché è immanente al divenire stesso. L’essere non è


più in quanto è essere, ma in quanto incessantemente diviene nel
suo opposto, nel non-essere. Al principio di identità, che la filosofia
classica aveva ereditato da Parmenide, Hegel contrappone il princi-
pio di contraddizione, recuperato da Eraclito, tanto da proclamare:
«Non c’è alcuna affermazione di Eraclito che io non abbia accol-
to nella mia logica». Questo divenire continuo è un passaggio dal
non-essere all’essere, perché l’essere per essere deve contrapporsi al
suo opposto; quindi il divenire non è più il passaggio dalla potenza
all’atto, attraverso il quale l’essere muta restando se stesso, anzi di-
venendo sempre più se stesso, ma è il confronto con il suo opposto,
il non essere. Quindi l’essere è perché si contrappone al non-essere.
Maritain fa un’analisi approfondita. «Il concetto non è più un se-
gno che fa conoscere una natura intelligibile scoperta nella cosa, ma
l’autoaffermazione del pensiero avvolge e genera il diverso da ciò
che pone, il no è presente nel sì e il sì è presente nel no; come voleva
Böhme, ma con questa differenza che in Böhme si trattava di una
esperienza mistica, in Hegel di un assioma della ragione, cioè l’iden-
tità dell’identità e della non-identità. È come se tutto Eraclito distil-
lato in un potente alcol passasse in Parmenide e prendesse possesso
di lui per ubriacarlo» (XIII, pp. 949-950). Mentre nella filosofia di
Aristotele c’è un Essere che non muta, Dio, e gli esseri che mutano,
gli uomini e le cose, e quindi è possibile fare distinzione tra la filoso-
fia, che ha per oggetto la realtà che non muta, e la storia, che ha per
oggetto ciò che muta, in Hegel filosofia e storia coincidono, perché
l’essenza e l’esistenza, l’universale e il particolare si risolvono nel di-
venire. L’unica Idea è in divenire, per cui tutta la realtà coincide con
la storia e nulla trascende questo divenire. Così la storia non si può
giudicare, perché si giustifica da se stessa: tutto è bene, tutto è vero,
nell’atto in cui si compie, diventa falso, male, dopo, quando, essen-
do sopraggiunto un altro momento del divenire, lo si può giudicare
da quel nuovo punto di vista; ma al momento dell’azione in corso
non vi è alcun criterio superiore, alcuna regola trascendente, per
potere giudicare gli avvenimenti: la storia è il tribunale della storia.
Si ha così lo storicismo, cioè l’identificazione della metafisica con
la storia, la negazione di qualsiasi valore assoluto, trascendente la
storia. Si ha una sorta di relativismo assoluto, perché «la Storia con-
danna in un’epoca ciò che ha benedetto in un’altra» (XI, p. 584).
Se Hegel imbriglia la storia nella rigidità del suo sistema, molti suoi
discepoli, meno metafisici di lui, pretendono di ricavare la filosofia
62 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

dalla storia. Maritain precisa: il vero «storicista non è colui che rac-
corda la successione degli avvenimenti a qualche sistema di cause
fisse e permanenti; al contrario è colui che pretende si spiegare tut-
to con un concatenamento di cause accidentali, di cause semplice-
mente storiche» (III, p. 1378). Maritain ritiene che l’idealismo di
Hegel sia una sorta di gnosticismo, perché tutto il sapere umano si
risolve nella storia, perché Hegel ha scambiato la filosofia della sto-
ria per una metafisica, mentre «essa appartiene alla filosofia morale
in quanto considera gli atti umani visti nell’evoluzione dell’uma-
nità» (X, p. 644) tenendo conto del libero arbitrio dell’uomo. Ma
«Hegel ha misconosciuto l’incidenza della libera iniziativa umana
nella storia» (X, p. 635). Infine Maritain, rileva la contraddizione
fondamentale di questa filosofia della storia, perché la storia non è
più un libero divenire dell’umanità, ma si fissa nel momento presen-
te, considerato come definitivo: «La libertà del filosofo riguardo al
tempo, la possibilità di dire ciò che è vero per sempre, è così essen-
ziale alla filosofia, che i filosofi, per i quali nulla emerge al di sopra
del tempo, sono costretti a porsi essi stessi alla fine del tempo, come
faceva Hegel» (XI, p. 731).

La logica del concreto come dialettica degli opposti

Mentre la logica classica, data la distinzione tra essere e pen-


siero, tra universale e particolare, porta al concetto astratto in quan-
to attraverso l’astrazione disindividualizzante il soggetto conoscente
astrae dall’oggetto particolare conosciuto l’universale che vi e im-
manente, come sua forma intelligibile, la logica hegeliana, data la
coincidenza tra l’essere e il pensiero, tra l’universale e il particolare,
non astrae il pensiero dall’essere, l’universale dal particolare, perché
universale e particolare si identificano nel concetto concreto. La co-
noscenza dell’universale astratto nella filosofia aristotelica avviene
a posteriori dopo il processo di astrazione e si definisce secondo il
principio di identità, per cui da uno o più oggetti bianchi si astrae il
concetto di bianchezza, in quanto un oggetto è bianco perché ha in
sé la bianchezza. Invece, non potendosi più derivare dall’essere indi-
viduale il concetto universale, con la logica di Hegel si pone il prin-
cipio di contraddizione, confrontando un particolare con un altro
particolare, per cui un oggetto bianco non è bianco perché è bianco,
ma è bianco perché non è nero, cioè perché non è il suo opposto,
II. L’età delle ideologie 63

che deve dialetticamente coesistere al bianco. Il bene non è bene


perché è bene, ma è bene perché non è male. Mentre la definizione
della logica classica è un’astrazione, quella hegeliana è una contrap-
posizione. Se ci si fermasse a questa contrapposizione si ricadrebbe
nel dualismo tra essere e non essere come in Platone, Cartesio, Kant,
ma in Hegel la contrapposizione è solo provvisoria, in quanto viene
superata dialetticamente in una sintesi ove gli opposti si annullano
nell’unità che li comprende. A questa sintesi ne succede poi un’altra,
perché immediatamente essa diventa tesi di un’ulteriore antitesi, e
così all’infinito, fino a trovare nell’Assoluto una unità onnicompren-
siva di tutta la molteplicità, e conclusiva di tutte le contraddizioni.
L’Assoluto viene così inteso, alla maniera di Cusano e di Bruno, co-
me coincidentia oppositorum. Maritain cita questo testo di Hegel:
«La ragione cerca il suo Altro, sapendo bene che lei non possiede-
rà altro che se stessa, si riposa solamente nella sua propria infinità»
(XIII, p. 949).
Alla logica dicotomica per cui alla tesi si contrappone l’antitesi
(ma l’antitesi non ha un valore in se stessa, perché il suo oggetto non
esiste: il non-essere non è) Hegel sostituisce una logica tricotomica
ove la tesi si contrappone all’antitesi, ma poiché l’antitesi è altrettan-
to reale che la tesi, la contrapposizione deve superarsi nella sintesi.
Non vi è quindi mai verità assoluta, ma ogni verità è solo tale prov-
visoriamente, in quel dato momento, in attesa di un ulteriore supe-
ramento. La distinzione tra vero e falso, tra bene e male, tra bello e
brutto, si smarrisce nella loro fusione nel processo storico, che anzi-
ché separare e distinguere le opposizioni, le sintetizza. «Hegel inau-
gura così una fase completamente nuova del razionalismo moderno
[…] nella quale l’irrazionale, anziché essere rifiutato e negato dalla
ragione, diventa consostanziale alla ragione, come realtà da ricono-
scere […] che la ragione supererà riconciliandoselo» (XI, p. 477).
Maritain rileva: «L’irrazionale è fin dall’inizio al centro della ragione
e nella forma più flagrante: l’essere è il nulla. Il razionalismo ha re-
cuperato tutto, il mondo e Dio, grazie ad un’accettazione trionfante
dell’impurità della ragione» (XI, p. 481). In questo perenne divenire
tra essere e non essere, tra il vero e il falso, tra il bene e il male, l’uo-
mo, scrive Hegel, «non è mai quello che è ed è sempre quello che
non è» (XI, p. 478).
64 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Il divenire dell’Idea

Il divenire dell’Idea segue il processo triadico indicato dalla


logica, avviene cioè per continue contrapposizioni che si risolvono
nella sintesi e si ripropongono all’infinito. Tre sono le grandi fasi di
questo divenire: l’Idea in sé o Logica, che consiste nell’organizzarsi
dei concetti come possibilità del reale, ma che non sono separati e
precedenti al reale (come le idee platoniche), dando origine all’Idea
per sé o Natura, che è l’insieme della realtà vista nella sua oggettivi-
tà, cioè l’estrinsecarsi delle idee nello spazio e nel tempo. Ma que-
sta contrapposizione della Logica alla Natura è provvisoria, perché
questa alienazione (come la chiama Hegel, introducendo nella sto-
ria della filosofia questo termine, poi molto usato nel marxismo e
nella psicoanalisi) dello Spirito (Idea in sé) che si fa altro nella Na-
tura (Idea per sé) si risolve nell’Assoluto (Idea in sé e per sé) cioè
nell’autocoscienza terminale allo sviluppo, dove tutto il reale viene
a coincidere con il pensiero, la natura con la logica, l’oggetto con il
soggetto. Ciascuna tappa del divenire dell’Idea è a sua volta il risul-
tato del divenire dialettico interno ad ogni fase, per cui la grande
triade: Logica-Natura-Spirito si struttura in diverse triadi minori.
a) La filosofia della logica è l’insieme del sistema delle catego-
rie, inteso come determinazioni del puro pensiero e come essenza
del reale. In Kant le categorie sono pure funzioni cognitive, qui ri-
tornano ad avere un contenuto, anzi ad identificarsi col loro con-
tenuto, perché sono insieme dell’essere e del pensiero. Il sistema
dei concetti della logica si può considerare anteriore alla natura e
allo spirito, ma ciò non significa che sia realmente, cronologicamen-
te precedente. La triade in cui si struttura questo primo momento
dell’Idea consiste nella contrapposizione tra l’essere e l’essenza che
si sintetizza nel concetto. Nella dottrina dell’essere Hegel considera
le categorie della quantità e della qualità, nella dottrina dell’essenza
le categorie della sostanza e della causalità, nella dottrina del con-
cetto considera anche il giudizio e il ragionamento. Poiché per He-
gel la logica coincide con l’ontologia, il concetto, nella concretezza
dell’esistere, si articola nella triade universalità, particolarità, singo-
larità. Maritain commenta: «Con Hegel abbiamo un’Idea che pone
se stessa e si sviluppa dialetticamente. In questo caso non possia-
mo dire di essere di fronte ad un’essenza senza esistenza, né ad una
libertà senza natura, ma, viceversa, troviamo un’Idea, un’essenza,
che fa derivare tutto da se stessa, ma il punto di forza esistenzia-
II. L’età delle ideologie

Lo sviluppo dell’idea in Hegel - tav. n. 7


65
66 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

le viene trasportato all’interno di questa essenza, per cui questa è


intrinsecamente contraddittoria, antinomica, l’essere assolutamente
indeterminato essendo identico al non-essere, allora produrrà il fa-
moso sviluppo dialettico. Così, grazie a questo sviluppo l’esistere,
che è ormai un divenire, viene reintrodotto nell’essenza stessa e nel-
la logica, spezzando l’una e l’altra» (XIII, p. 548).
b) La filosofia della Natura. Quando la logica ha raggiunto la sua
massima strutturazione come totalità organica dei concetti, si passa
alla natura, parallelamente, nel senso che alla triade delle categorie
corrisponde la triade della natura, così, all’essere corrisponde nella
natura la meccanica, all’essenza la fisica, e al concetto la teleologia.
Anche Hegel, seguendo in certo qual modo lo sviluppo evolutivo
di Schelling, fa emergere dalla natura lo spirito, la natura produce
un organismo nel quale le parti sono finalizzate al tutto. Maritain
commenta: «La logica è diventata l’anima del reale. La filosofia della
natura invece di essere ontologica, come dovrebbe, è ora dialettica»
(XIII, p. 803).
c) La filosofia dello spirito è la parte più importante della rifles-
sione hegeliana, nella quale tutti i valori della civiltà umana vengono
costretti a subordinarsi allo sviluppo triadico dell’Idea. Lo spirito
dapprima si manifesta come Spirito soggettivo individuale, a cui si
contrappone lo Spirito oggettivo sociale, ed entrambi si riuniscono
nello Spirito assoluto divino. Ciascun momento di questa triade e il
risultato di triadi interne. Lo Spirito soggettivo individuale si ma-
nifesta come coscienza delle cose (oggettività), poi come autoco-
scienza di se stesso (soggettività), momenti dialettici che si risolvono
nella ragione. Nella ragione ogni io empirico, mentre si sente supe-
riore agli altri esseri della natura, sente pure di essere partecipe di
un’autocoscienza universale, come già aveva detto Fichte. Si passa
così allo Spirito oggettivo sociale che si esprime nella triade diritto,
moralità ed eticità, momenti che Maritain analizza dettagliatamente,
perché gravidi di conseguenze non solo nella storia della filosofia,
ma anche nella storia della politica.
II. L’età delle ideologie 67

Il diritto, la morale, la politica

I tre stadi dello sviluppo dello spirito oggettivo, che si attua


dapprima esternamente, poi internamente e infine completamente
(esternamente e internamente ad un tempo) sono quelli del Dirit-
to astratto, della Moralità della coscienza e dell’Eticità connessa al
gruppo sociale e soprattutto allo Stato (XI, p. 510).
a) Il diritto, che «è il mondo delle relazioni tra persone proprie-
tarie di cose» (XI, p. 510) consiste nella legalità, ossia nell’aspetto
esteriore dei rapporti umani e riguarda l’adesione passiva dell’in-
dividuo alla legge sociale e non riguarda l’intenzione del soggetto,
perché secondo Hegel «il diritto si costituisce prima dello stadio
della morale» (XI, p. 510) e non esiste legge naturale che vincoli la
coscienza. Il diritto «riguarda i bisogni privati e trova la sua realizza-
zione nella società civile, che Hegel distingue dallo Stato, guastando
questa distinzione nei peggiori dei modi», perché per lui «la società
civile è una collezione atomistica di individui, che ha a che vedere
solo con un ordine economico» (XI, pp. 510-511). La libertà a que-
sto livello giuridico è soltanto negativa, cioè consiste nel non impe-
dire gli altri nelle proprie azioni e di non essere impediti dagli altri
nelle proprie.
b) La moralità, invece, esige la convinzione, l’adesione interio-
re della coscienza alla legge del dovere, richiede una partecipazione
attiva all’ordine sociale, e a questo livello noi troviamo la vera liber-
tà, la libertà di autonomia, la libertà di essere se stessi rispettando la
legge morale. «Per Hegel la moralità del bene e della coscienza non
è che la morale dell’ispirazione privata delle buone intenzioni e dei
buoni propositi» (XI, p. 515). Kant si ferma a questa distinzione tra
la legalità come comportamento esteriore e la moralità come coeren-
za interiore, e conclude in una morale puramente formale del dovere
per il dovere, non potendo ancorare la morale alla metafisica. Hegel,
invece, vuole trovare un contenuto al dovere, per lui non basta pro-
clamare che bisogna fare il dovere, ma bisogna anche indicare in che
cosa consista il dovere. Il contenuto della legge morale deve essere
indicato dal gruppo sociale, dove il comportamento individuale si
apre alla morale sociale, nella subordinazione del singolo all’ordine
oggettivo superindividuale, che viene espresso dalle diverse comuni-
tà che sorgono via via nella storia a costituire i costumi.
c) L’eticità. Il diritto e la moralità confluiscono nell’eticità, e l’e-
tica hegeliana finisce per essere «altrettanto normativa e imperio-
68 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

samente normativa quanto quella di Kant» (XI, p. 286), in quanto


un’azione non è comandata perché è giusta, ma è giusta perché è
comandata. In questa filosofia morale, osserva Maritain, «il fine non
soltanto viene integrato, ma ha il primato sul valore», quella di He-
gel «è talmente un’etica della finalità, che in essa tutto viene giustifi-
cato, in ultima analisi, con i fini della storia» (XI, p. 588), si tratta di
un’etica metafisica che non lascia spazio all’iniziativa e alla respon-
sabilità del singolo soggetto, per cui «la nozione di fine ha perduto
in questo sistema la sua autenticità razionale e la sua intelligibilità»
(XI, p. 589). Questa eticità si struttura nella triade famiglia, società,
Stato. Già nella famiglia l’uomo esce dalla sua soggettività empirica
per svolgere la sua attività a favore dei membri della comunità fami-
liare, ma questa prima comunità è ancora legata al fatto istintivo, né
tantomeno è autosufficiente. Così si passa alla società, con l’intrec-
ciarsi delle varie classi sociali, e questo complesso gioco di doveri e
di diritti per evitare l’anarchia va subordinato allo Stato, massima
espressione dell’eticità.
Per Hegel la società non nasce per un patto concordato tra gli
uomini (Locke, Rousseau), né deriva dalla natura umana (Aristote-
le, san Tommaso), ma si autopone, si autogiustifica, è il risultato del
divenire storico dei popoli e nulla gli è superiore in Autorità. Lo
Stato è uno Stato etico, lo Stato è la radice della legge morale, non
è subordinato ad un diritto naturale a lui precedente, ma è lui stes-
so creatore del diritto, della legge, della moralità. Nel dualismo tra
ideale e reale, tra Dio e il mondo, è possibile distinguere tra il di-
ritto naturale proprio dell’uomo in quanto tale, e il diritto positivo
proprio dello Stato e dell’uomo in quanto cittadino, per cui le leggi
civili sono ingiuste se vanno contro il diritto naturale ed è garantita
al cittadino l’obiezione di coscienza. In Hegel, invece, data l’identifi-
cazione dell’ideale con il reale, dell’essere con il divenire, dell’Asso-
luto con la storia, questa distinzione non è più possibile; non vi sono
più leggi civili ingiuste, ma tutto quanto comanda lo Stato è bene, e
quanto vieta è male. Lo Stato, come spirito del popolo, diventa, così,
la ragione immanente nella storia, a cui il singolo deve subordinarsi,
a cui deve ubbidire in coscienza. Lo Stato è l’Assoluto, nell’eticità
confluiscono legalità e moralità. A questo proposito Maritain ripor-
ta alcune affermazioni di Hegel: «Dio deve essere concepito come
spirito nella comunità»; «il mondo temporale è l’impero spirituale
reale» (XIII, p. 951), fino a questo testo paradossale per un tedesco,
ma coerente nel sistema idealistico: «Napoleone è Dio che si mani-
II. L’età delle ideologie 69

festa» (XIII, p. 953). Maritain aggiunge questa osservazione: «L’o-


perazione mistica con la quale, per Rousseau, le volontà individuali
muoiono nella volontà generale, passa in Hegel dal piano sociale al
piano metafisico» (XI, p. 521)4.
La storia vede la lotta tra i diversi Stati, la guerra è l’anima della
storia perché nella contrapposizione tra i popoli la Ragione sceglie
lo Stato più forte, quello a cui affidare la missione di guidare l’uma-
nità intera. Una volta questa missione era affidata all’Oriente, poi
questo decadde e la guida passò prima alla Grecia e poi a Roma, ora
spetta al popolo germanico guidare il mondo. Hegel parla di un’a-
stuzia della ragione, una sorta di provvidenza, laica e immanente,
che regola i processi della storia nel senso che in essa opera l’Asso-
luto, che legittima il vincitore, il cui diritto di governare il mondo è
giusto, perché nulla trascende la storia. Maritain ritiene che con He-
gel non solo si passi da un machiavellismo moderato, che separa la
politica dalla morale, ad un machiavellismo assoluto, che identifica
la morale con la politica, ma si giunga ad una sorta di machiavelli-
smo metafisico. In Principi di una politica umanista (38) scrive: «La
stessa etica è inghiottita nella negazione politica dell’etica, il potere
e il successo diventano i supremi criteri morali» e cita questi testi
di Hegel: «Il corso della storia del mondo si tiene in disparte dalla
virtù, dall’errore e dalla giustizia», «la storia è il giudizio di Dio», e
commenta: «Oramai il machiavellismo non è più una politica, è una
metafisica, una religione, un entusiasmo profetico e mitico» (VIII,
pp. 322-323). Per Hegel lo Stato è «la suprema incarnazione dell’I-
dea, una specie di superuomo collettivo» (IX, p. 495) che non è sog-
getto al diritto e alla morale, ma è lui stesso la fonte del diritto e della
morale. «L’uomo non è libero che quando compie, e come in virtù
di una seconda natura, la legge dello Stato, oggettivizzazione nello
Spirito; e in definitiva agli occhi di Hegel la suprema coscienza della
libertà risiede nell’amor fati, nella riconciliazione con il destino, con
la storia del mondo» (XI, p. 535).

4
Maritain osserva che i tre stadi della filosofia dello spirito di Hegel sono più di
ordine metafisico che di ordine storico, ma facendo un’analisi storica constata che «il
diritto astratto ha avuto la sua tipica manifestazione ai tempi dell’Impero romano, la
morale nei secoli del cattolicesimo e nel secolo dell’illuminismo, l’eticità quando la co-
munità tedesca protestante prende forma politica» (X, p. 691).
70 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

L’arte, la religione, la filosofia

Lo Stato è una concretizzazione dell’Assoluto nello spazio e nel


tempo, ma il divenire dell’Idea non si arresta allo Spirito oggetti-
vo sociale e passa allo Spirito assoluto divino, che si struttura in tre
momenti dialettici: l’arte, la religione, la filosofia. L’arte consiste nel
cogliere l’Assoluto in un’intuizione soggettiva, l’infinito nel finito,
l’intelligibile nel sensibile. L’arte è la manifestazione sensibile dell’i-
dea nella sua piena autonomia, libera da intenzioni didattiche o mo-
ralizzatrici, ma nella creazione artistica e nella fruizione estetica lo
spirito è ancora legato alla sensibilità, per cui nello sviluppo triadico
si passa alla religione, dove l’Assoluto viene raggiunto mediante una
rappresentazione oggettiva. Si trascende così il mondo sensibile e si
pone Dio come trascendente, come un oggetto esterno, con cui il
soggetto comunica mediante simboli. Ma l’Assoluto che in se stes-
so è razionalità, può essere raggiunto solo mediante la filosofia, con
il concetto, dove il soggetto e l’oggetto si identificano nell’autoco-
scienza, nella consapevolezza del soggetto di porsi come oggetto. In
questo divenire dell’Idea, la religione è inferiore alla filosofia, perché
il Dio di Hegel non è trascendente e sovraintelligibile, per cui l’uo-
mo ha bisogno di una rivelazione per raggiungerlo, ma è un Dio al
livello della razionalità umana, che l’uomo può concepire in se stes-
so, come concetto. Maritain commenta: «Dio, dopo essersi alienato
da sé nel mondo, vi si reintegra in sé stesso e riconduce tutte le cose
a sé attraverso l’uomo e il pensiero dell’uomo» (XIII, p. 951). «Il
Pensiero hegeliano non è che la Ragione kantiana definitivamente
deificata» (XI, p. 449). La filosofia rappresenta, così, il sapere asso-
luto, e la religione si risolve nella filosofia, Maritain cita questo testo
di Hegel: «Il contenuto della filosofia, i suoi bisogni e i suoi interessi,
le sono comuni con la religione, il suo oggetto è la vita eterna, e spie-
gando se stessa, spiega la religione […] così la religione e la filosofia
coincidono» (XI, p. 547) e commenta: «L’Incarnazione del Verbo
diventa, così, la legge fondamentale della dialettica!!!» (XI, p. 550),
e con ironia aggiunge: «Tutte le verità della fede vengono appese al
mattatoio della ragion pura» (XI, p. 547). Hegel traccia anche una
storia delle religioni secondo la quale si è passati dal naturalismo
primitivo delle religioni orientali al politeismo greco e romano, so-
stanzialmente antropomorfico, per giungere al cristianesimo, che è
la forma assoluta della religione con l’Incarnazione del Verbo, che
è un’anticipazione simbolica dell’unità del divino e dell’umano, che
II. L’età delle ideologie 71

si realizza con la filosofia. L’Idea ha raggiunto nella filosofia la sua


autoliberazione, attraverso il divenire ha superato tutte le contraddi-
zioni che la limitavano, e nell’autocoscienza si è posta come assoluta
totalità, come coincidenza di essere e di pensiero. Ora lo Spirito può
ripercorrere in sé le tappe del suo divenire, prendendo sempre più
coscienza di essere tutta la realtà. Per Maritain si ha una contraffa-
zione del cristianesimo perché «Hegel mentre domanda alla filosofia
di salvare la religione e risolve tutto il contenuto della religione nei
supremi enunciati metafisici della pura ragione, introduce in realtà
il movimento stesso della Redenzione nella dialettica della storia e
in realtà fa dello Stato il corpo mistico attraverso il quale l’uomo ac-
quisirebbe la libertà di figlio di Dio» (VI, p. 321). Maritain osserva,
inoltre, che il Dio hegeliano «è un Dio immanente, che si va facendo
da sé, attraverso la storia umana, prima causa del male, interamente
immerso nel fango e nel sangue dell’automovimento dell’umanità»
(X, p. 687). Hegel ha avuto il coraggio di affrontare il problema del
male, cioè del non-essere, del nulla, ma non ha saputo risolverlo,
perché l’ha considerato un momento della dialettica, lo ha calato nel
divenire necessario, discorrendo «sul potere e sulla fecondità del po-
lo negativo della storia» (XI, p. 891) non lo ha visto nella sua realtà
di nientificazione dell’essere, nella tragicità dell’offesa che l’uomo fa
all’innocenza di Dio, che esige una riparazione che l’uomo non può
soddisfare, che solo la redenzione di Cristo compensa (cf. Dio e la
permissione del male [58]). Invece Hegel vuole che l’uomo si immoli
per lo Stato, perché in questa subordinazione trova la sua salvezza;
Maritain commenta: «Hegel ha tentato di portare dal piano religio-
so dell’obbedienza alla legge di Dio al piano politico dell’obbedien-
za alla legge dello Stato la nozione di libertas christana, così come il
pensiero protestante l’aveva elaborata interpretando nella propria
prospettiva i testi di san Paolo» (XI, p. 534). Conclude: «Nietzsche,
proclamando la morte di Dio, non farà che svelare ciò che il mantel-
lo dell’idealismo dialettico copriva. La fede di Kierkegaard griderà
vendetta su di essa, erigendosi contro la ragione» (XI, p. 553).

L’immolazione dialettica della persona

Maritain dedica un capitolo intero all’analisi del posto dell’uomo


nel sistema hegeliano partendo da questa premessa: «Per il realismo
cristiano la persona, in quanto sostanza individuale, era un tutto e
72 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

si definiva per la sua indipendenza […] ma era nello stesso tempo


parte dell’universo materiale e parte del gruppo sociale, possedeva sì
l’indipendenza, ma solo nella sua radice in mezzo a tutte le servitù
che la materia e il mondo facevano pesare su di lei. Indipendenza
limitata, fragile e minacciata […], il dramma della vita consisteva
nel renderla sempre più effettiva e vigorosa […] per conquistare la
propria libertà di autonomia nella misura possibile della creatura»
(XI, pp. 495-496).
Per Hegel, che assorbe tutto l’irrazionale nella ragione, l’uomo
non ha da accettare e convivere con il suo limite di creatura, perché
deve superarlo: «L’hegelismo è la rivendicazione del superamento di
ogni limitazione» (XI, p. 496); l’individualità della persona, con tut-
to il mistero della sua soggettività carnale nella sua irrazionalità, non
è che un momento transeunte del divenire dell’Idea. «La notte del-
la soggettività individuale è per Hegel solo una tenebra vuota dalla
quale sorgono i fantasmi del sogno e dove sonnecchiano il molte-
plice e l’apparente» (XI, p. 499). Al processo morale della conquista
dell’autonomia da parte dell’uomo concreto, pur «nelle angosce del
libero arbitrio di ciascuno […] Hegel sostituisce uno sviluppo onto-
logico prodotto dalla dialettica dello spirito» (XI, p. 501) nel quale
il singolo trova la sua libertà «annientandosi come tutto individuale
nella comunità» (XI, p. 505), per lasciarsi assorbire nello Spirito As-
soluto. «Kant aveva affermato la dignità assoluta della persona uma-
na come fine […] Hegel procede all’operazione inversa, la persona
umana non è che un flutto che passa nell’oceano della storia e che
crede di spingere le onde quando, invece, ne è sopraffatta» (XI, pp.
501-502). La persona crede di essere libera, ma non lo è, «ciò che le
appare come scelta tra diverse pressioni non è che un evento» (XI,
p. 506) nel divenire della Storia; «il libero arbitrio non è che un mo-
mento illusorio» (XI, p. 507).
L’hegelismo è una filosofia complessa e organica che si presenta
in un blocco compatto e coerente, dove tutti i problemi sono risol-
ti alla luce del medesimo principio, il divenire dialettico dell’Idea.
Tutto viene sintetizzato, tutte le contraddizioni vengono risolte in
un razionalismo allo stato puro, ove l’Assoluto finisce per coinci-
dere con la razionalità umana, non certo presa nel senso empirico-
individuale di ogni uomo, ma nel suo insieme superindividuale. In
un certo qual senso Sigieri di Brabante potrebbe essere il precursore
di Hegel, con la sua concezione di un’anima comune in cui tutti gli
individui comunicano e da cui ricevono valore, verità e moralità. Da
II. L’età delle ideologie 73

Hegel prenderà le mosse il marxismo con la subordinazione dell’in-


dividuo alla comunità. Lo Stato, come razionalità immanente alla
storia, viene ad essere la divinità in terra, e l’uomo vi viene violente-
mente subordinato.
Lo storicismo hegeliano elimina ogni valore assoluto, trascen-
dente la storia, risolvendo tutti i valori morali, religiosi, estetici, po-
litici, filosofici nel divenire; nulla vi è di sicuro e di definitivo, tutto
diviene e muta attraverso la contraddizione nella dialettica degli op-
posti. Maritain rileva che la filosofia di Hegel è un sistema chiuso,
contraddice se stessa, perché dopo avere affermato che l’essere è
il divenire, lo risolve, staticamente, senza vie di uscita nel sapere
filosofico. «Hegel ha riconosciuto nella sua filosofia la sommità su-
prema di tutto lo sforzo umano (in realtà era solo la sommità del
pensiero di un’epoca). Per il fatto stesso che essa era ai suoi occhi
la suprema rivelazione non poteva più considerarla come uno stru-
mento per future scoperte senza termine» (XIII, p. 527).
Maritain, considerando la portata storica della filosofia hegelia-
na, in una nota osserva: «È curioso constatare che Marx, come teo-
logo pratico della rivoluzione che deve liberare l’umanità, ha giocato
a riguardo di Hegel un ruolo trasfiguratore analogo a quello che san
Tommaso ha giocato come teologo speculativo dell’Incarnazione re-
dentrice» (XIII, p. 786). Ma Hegel, liberato dallo schematismo sco-
lastico della sua logica e dalla prospettiva immanentistica, ha saputo
vedere, come lui stesso la definisce, quella «elasticità infinita dello
spirito» che permette «allo spirito di agire come fermento nella mas-
sa» (ma purtroppo «Hegel, rifiutando di ammettere la differenza tra
dover essere e essere, ratificava così tutti i crimini della storia» [X,
p. 789]). Nell’idealismo «il pensiero è stato eretto ad assoluto, non
come atto puro di intellezione, ma come ragione discorsiva, proces-
so di un Tutto infinito che non è trascendente alle cose e al divenire
[…] un tale immanentismo assoluto è più panteista del panteismo
volgare» (XI, p. 558).
74 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

4. L’irrazionalismo
L’ondata irrazionalistica è la tragica peripezia dell’umanesimo razionalistico.
Essa reagisce contro l’umanesimo della ragione chiusa in se stessa,
ma aprendo l’uomo alle potenze inferiori,
imprigionando la creatura nell’abisso della vitalità animale (VII, p. 17).

Il sistema hegeliano con l’identificazione dell’essere con il pen-


siero, della logica con la metafisica e la risoluzione dell’individualità
nello Spirito assoluto, fino a comprendere l’irrazionalità e il male,
provoca una reazione nella stessa cultura tedesca, reazione che Mari-
tain analizza seguendo alcuni dei protagonisti principali. Nelle Sette
lezioni sull’essere (21) troviamo un confronto preliminare: «Abbia-
mo da una parte i sistemi d’intellettualismo assoluto, lo spinozismo
per esempio, e, all’estremo opposto, filosofie dell’irrazionalismo as-
soluto, come quella di Schopenhauer; e abbiamo un vertice tra que-
sti due errori, un sistema come quello di Aristotele che riconosce
che l’essere si accompagna all’intelligibilità e che per conseguenza
tutti gli esseri diversi da Dio implicheranno, insieme a un elemento
di non-essere relativo, anche un elemento di inintelligibilità relativa
nella loro struttura metafisica» (V, p. 633).
Contro il razionalismo dell’idealismo Schopenhauer ritorna alla
distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno e approda ad un vo-
lontarismo pessimistico che Maritain presenta così: «L’essere come
tale è inintelligibile, il fondo dell’essere è irrazionalità pura, discor-
dia, tenebra, male assoluto. Ecco il vecchio Mefistofele tedesco, il
male positivo e radicale che riappare, divenuto questa volta la so-
stanza stessa comune a tutte le cose, il miserabile dio del panteismo
pessimistico» (I, p. 1013). Anche Johann Herbart, già discepolo di
Fichte, ritorna al fenomenismo kantiano in una prospettiva di plu-
ralismo, ma a questo filosofo Maritain dedica poca attenzione. Con
più violenza Friedrich Nietzsche si oppone all’idealismo, secondo
cui tutto ciò che è razionale è reale, «perché credere alla verità è una
servitù, la servitù per eccellenza, in quanto significa affermare un al-
tro mondo che il nostro, che il mondo della vita, della natura, della
storia, della immediata esperienza in cui noi siamo immersi con tutti
i nostri sensi» (I, p. 1015).
A queste forme di irrazionalismo si affianca il fondatore dell’e-
sistenzialismo, Søren Kierkegaard, che supera il pessimismo dei due
precedenti filosofi in un’autentica fede cristiana, apportatrice di
II. L’età delle ideologie 75

verità, ma vissuta nella tragicità dell’angoscia, elevata da uno stato


psicologico soggettivo ad una categoria filosofica. A proposito del-
la riduzione della verità alla soggettività individuale di ogni uomo
Maritain cita questa riflessione di Erik Peterson5, ordinario di Storia
della Chiesa nella Facoltà evangelica di Bonn: «La soggettività è la
verità, questa frase, che non si può applicare che a Cristo, è da Kier-
kegaard applicata ad ogni uomo, continua la divinizzazione dell’io e
dell’immanenza!» (XI, p. 858).
C’è in tutte queste forme di irrazionalismo un difetto di concet-
tualizzazione e la filosofia diventa letteratura, attraverso l’analisi dei
sentimenti in tutte le loro variazioni da quelle più istintuali e carnali
a quelle sublimate nell’ascesi morale e nella fede religiosa. Nell’età
moderna Cartesio ed Hegel hanno sottratto la ragione alle influenze
superiori della religione, Schopenhauer, Nietzsche e Marx, e poco
dopo Freud, l’hanno precipitata nell’abisso delle influenze inferio-
ri dell’istintualità carnale, dalla quale non sarà l’esistenzialismo di
Kierkegaard a salvarla, perché bisognerà recuperare l’oggettività
razionale della verità in dialogo con la soggettività della coscienza,
nell’integralità della persona umana.

Arthur Schopenhauer

Nato a Danzica da una famiglia di commercianti, Arthur Scho-


penhauer (1788-1860), discepolo di Fichte, studioso di Platone e di
Kant, fu tra i primi in Occidente a studiare la filosofia indiana. Fece
molti viaggi in Europa con lunghi soggiorni in Francia, in Inghilter-
ra, in Italia. Dopo la morte del padre si stabilì a Weimar con la ma-
dre, scrittrice, che lo introdusse nei circoli letterari, dominati allora
da Goethe. Indifferente alla vita mondana, studia filosofia e nel 1813
si laurea a Jena con una tesi Sulla quadruplice radice del principio di
ragion sufficiente analizzando la filosofia di Leibniz e di Wolff, subi-
to pubblicata. Il capolavoro, che segna un ritorno a Kant con la netta
distinzione tra fenomeno e noumeno e che ebbe numerose edizioni, è
Il mondo come volontà e rappresentazione (1818). Libero docente nel
1820, al tempo di Hegel, all’Università di Berlino, si oppose con ac-
canimento all’idealismo, ma senza successo. Abbandonato l’insegna-

5
Cf. P. Viotto, Erik Peterson, in Id., Grandi amicizie. I Maritain e i loro contempo-
ranei, Città Nuova, Roma 2008, p. 15.
76 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

mento si stabilisce a Francoforte nel 1833, dedicandosi alla ricerca nel


campo della filosofia morale, nel 1839 pubblica Sulla libertà del volere
umano e nel 1840 Sul fondamento della morale. Ma il successo arriva
con Parerga e paralipomena (1851), scritti di varia filosofia e letteratu-
ra, composto in uno stile facile e brillante. Il suo pensiero demolitore
dell’illuminismo si diffonde in Europa interessando un vasto pubbli-
co, raggiungendo attraverso Tolstoj anche la Russia. Maritain dedica
a Schopenhauer una delle lezioni tenute all’Institut Catholique di Pa-
rigi il 19 maggio 1915 nella quale afferma: «Schopenhauer chiamava
Fichte, Schelling, Hegel i tre giocolieri e non è solamente per gelosia
che egli li detestava. Tuttavia gli assomiglia, come loro trae una meta-
fisica dalla sua immaginazione, ma la sua è irrazionalista e il suo pan-
teismo è pessimistico» (I, pp. 1012-1013).

Il mondo come rappresentazione e come volontà

La filosofia di Schopenhauer è molto eterogenea, vi confluisco-


no apporti dell’illuminismo razionalistico, di cui rifiuta l’ottimismo,
del romanticismo, di cui accoglie l’istanza sentimentale, e in parti-
colare della mistica orientale, al punto che non può essere adeguata-
mente compresa senza una conoscenza delle Upanisad indiane. Ma
l’approccio iniziale è un ritorno alla distinzione kantiana tra feno-
meno e noumeno, perché la cosa in sé non è intelligibile come pre-
tende l’idealismo. La conoscenza del mondo fenomenico è data da
una sintesi a priori tra l’esperienza e le forme dell’intelletto, ridotte
a tre: causa, spazio e tempo. Schopenhauer non articola in due tem-
pi la conoscenza, perché la conoscenza dell’intelletto assorbe imme-
diatamente i dati sensoriali nella relazione di causa ed effetto, l’unica
categoria kantiana conservata, che costituisce la ragion sufficiente
per comprendere il mondo dei fenomeni. La conoscenza è quindi
una rappresentazione attraverso la categoria di causa come relazione
tra soggetto e oggetto, che non riguarda l’oggetto come per il mate-
rialismo, o solo il soggetto come per l’idealismo, ma si risolve nella
loro relazione fenomenologica. «Schopenhauer pretende di essere il
solo discepolo autentico di Kant, per lui il mondo che la conoscenza
ci presenta non è che un mondo fenomenico» (I, p. 1013).
L’uomo può scavalcare questa rappresentazione se si ripiega su
se stesso, cogliendo la natura profonda del suo esistere, che è fatto di
impulsi riconducibili alla volontà. La cosa in sé, il noumeno, l’essen-
za del mondo, è una cieca e irrazionale volontà, che nel suo divenire
II. L’età delle ideologie 77

si esprime negli esseri individuali, che sono dei modi di essere prov-
visori di un’unica volontà. Dalla gravitazione universale ai processi
molecolari, dalla cristallizzazione dei minerali alla vita vegetativa,
dall’istinto animale alla volontà umana, è sempre la stessa e unica
Volontà irrazionale che si manifesta. Schopenhauer sostituisce al mo-
nismo razionalistico di Hegel, che si esprime nel divenire di un’unica
Idea, il monismo irrazionalistico, che si esprime nel divenire di un’u-
nica Volontà. Questa volontà in un primo tempo si particolarizza
nelle grandi specie, eterne come le idee platoniche, poi nei singoli
individui, provvisori e transeunti, come le onde di un oceano. La
specie umana è eterna, mentre i singoli uomini nascono e muoiono
senza avere alcuna sussistenza personale. L’amore umano, l’amore
di coppia, secondo Schopenhauer, è una trappola della specie uma-
na per mantenere la sua sopravvivenza.
Il noumeno, l’essere, è dunque volontà, se cessasse di volere non
sarebbe più, cesserebbe di essere; ma volere significa desiderare qual-
cosa, avere bisogno di qualcosa, mancare di ciò che si vuole, perciò
volere significa soffrire. La volontà è quindi dolore. Se un desiderio
viene soddisfatto sopraggiunge la noia, ma dura poco. Il piacere è so-
lo una cessazione momentanea del dolore, perché subito insorge un
nuovo dolore. L’uomo è prigioniero, non può evadere dalla sua con-
dizione, anche il suicidio sarebbe inutile, perché l’uomo potrebbe so-
lo liberarsi del suo corpo, ma non della sua anima che appartiene alla
specie umana e all’eterna volontà. Ma l’uomo può progressivamente
sedare la sua volontà, sostituendo ai motivi per vivere dei quietivi, fino
a raggiungere uno stato di non-volontà. Schopenhauer descrive i tre
momenti di questo percorso di liberazione: l’arte, la morale, l’ascesi.
Nella fruizione estetica l’uomo sospende la sua volontà di vive-
re nella contemplazione della bellezza, che lo allontana dall’ogget-
tualità del mondo fenomenico, dal mondo della rappresentazione
intellettuale. A questo riguardo Schopenhauer fa una gerarchia tra
le arti, elencandole secondo il maggiore o il minor grado di ogget-
tualità di ciascuna: l’architettura, la scultura, la pittura, la poesia, la
musica. Maritain in Arte e scolastica (2) osserva che, come in Kant,
anche qui si sgancia completamente la percezione del bello dall’in-
telligenza: «Così è sbocciata in Schopenhauer, e nei suoi discepoli,
una divinizzazione anti-intellettualistica della musica» mentre san
Tommaso afferma che il bello «è ciò che piace, essendo visto, essen-
do cioè l’oggetto di una intuizione» (I, p. 738). L’arte è solo un primo
momento di questo processo di liberazione e bisogna passare al mo-
78 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

mento successivo della compassione, che è un sentimento universale


che spinge gli uomini a condividere il dolore altrui dimenticando il
proprio. Schopenhauer recupera le posizioni degli illuministi inglesi
e critica il formalismo della morale kantiana, dando un contenuto
e un fine all’agire morale. Ma anche questo secondo momento non
basta per una liberazione completa dal desiderio di vivere, ed è so-
lo nell’ascesi, attraverso la castità, la povertà, la santità, rinuncian-
do alla sessualità, alla ricchezza e allo spirito mondano, che l’uomo
può raggiungere lo stato di non-volontà, che è nulla di ciò che noi
conosciamo, ma qualcosa di ciò che noi ignoriamo, il nirvana, di cui
parlano i buddisti, come assenza di ogni desiderio, come assoluta
indifferenza, come un venir meno a se stessi.
L’influenza di Schopenhauer sulla cultura è stata più letteraria
che filosofica, si riscontrano tracce del suo pessimismo romantico
in Tolstoj, Kafka, Thomas Mann. «È la filosofia della disperazione,
contropartita della divinizzazione hegeliana dell’uomo» (I, p. 1013).

Friedrich Wilhelm Nietzsche

Il pensatore tedesco Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900)


non appartiene alla storia della filosofia in senso stretto, non ha una
metafisica né una gnoseologia, ma i suoi scritti ne hanno fatto un’ico-
na della cultura contemporanea per il radicalismo delle sue posizioni.
«Nietzsche non è un filosofo, ma un poeta, il più grande poeta liri-
co della Germania dell’Ottocento» (I, p. 1014). Figlio di un pasto-
re protestante, studia filologia classica nelle Università di Bonn e di
Lipsia, e giovanissimo ottiene la cattedra nell’Università di Basilea.
L’incontro con il pensiero di Schopenhauer e l’amicizia con Wagner
sono all’origine delle sue riflessioni. Nel 1872 pubblica La nascita del-
la tragedia dallo spirito della musica, in cui elabora una nuova visione
della classicità, sostenendo che la tragedia greca nasce dall’impulso di
uno spirito dionisiaco e da un impulso apollineo, la musica rappresen-
ta l’elemento dionisiaco, mentre lo svilupparsi della trama l’elemento
apollineo. Ma questa sintesi vitale, che si trova nelle opere di Eschilo e
di Sofocle, si perde con Euripide, a causa dell’influenza del razionali-
smo socratico. Nietzsche, per gravi motivi di salute, deve abbandona-
re la cattedra e vive con una modesta pensione soggiornando al mare
sulla riviera francese e italiana. Nascono in questo periodo le opere
della maturità: La gaia scienza (1882), Così parlò Zarathustra (1883),
II. L’età delle ideologie 79

Al di là del bene e del male (1886), Genealogia della morale (1887). La


malattia si aggrava, a Torino nel 1888 il filosofo è colpito da una grave
crisi di pazzia, dalla quale non riesce più a sollevarsi. Trascorre in una
blanda follia gli ultimi undici anni, assistito dalla sorella Elisabeth, che
dopo la morte riordina i manoscritti inediti nel volume La volontà di
potenza. Tra gli scritti postumi occorre ancora segnalare Sulla verità e
sulla menzogna in senso extramorale nel quale si sviluppa una critica
allo scientismo positivistico.

L’antropologia del superuomo

Secondo Nietzsche non c’è alcuna verità, perché la credenza nel


valore della verità non è che il risultato dei condizionamenti psicolo-
gici e sociali che l’uomo subisce nella sua vita. Tutto ciò che di volta
in volta si impone come verità non è che un impulso prevalente subi-
to da un dato individuo o da un dato gruppo sociale. Per Nietzsche,
rileva Maritain, «credere nella verità è in effetti avere fede in qualche
cosa (Dio, la cosa in sé, la scienza moderna […]) di diverso dal nostro
mondo, dalla vita, dalla natura, dalla storia, dall’immediata esperienza
nella quale siamo immersi in tutti in sensi» (I, p. 1014). Poi cita que-
sto testo di Nietzsche: «L’errore della filosofia consiste nel fatto che in
luogo di vedere nella logica e nelle categorie della ragione un mezzo
per dominare il mondo secondo la propria utilità (per conseguenza
in vista di una falsificazione utile), ha creduto di trovare dei criteri di
verità o di realtà. Il criterio di verità in fondo non è che l’utilità bio-
logica» (II, p. 1146). L’uomo è un punto determinato dell’universo,
animato da un movimento ciclico che si ripete attraverso un eterno
ritorno, come avevano visto i filosofi presocratici. L’uomo che com-
prende questa realtà ha risolto l’enigma di Dioniso, votandosi, con
l’amor fati, alla necessità del divenire cosmico, a cui non può sfuggire.
Ma questa accettazione non significa rassegnazione, perché l’uomo
può con la volontà di potenza, con un’autoaffermazione, partecipare
attivamente a questo divenire e diventare un superuomo al di là di
ogni regola morale, perché lui stesso è regola delle sue azioni. L’uomo
comune, che non lotta per la vita, è un fallito nella scala dell’evolu-
zione; mentre il superuomo, con la volontà di potenza, può trasmu-
tare tutti i valori conosciuti, assumendo nuovi criteri come punti di
rottura delle convenzioni fino ad ora stabilite, opponendosi ad ogni
forma di monismo in cui tutti dovrebbero confluire, come nel sistema
hegeliano. Nietzsche, osserva Maritain, mette a confronto due grandi
80 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

categorie di uomini: «quella degli uomini superiori, uomini da preda,


per i quali il bene è la forza, l’orgoglio, la crudeltà, l’astuzia e tutto ciò
che può assicurare loro il successo; e quella degli uomini-schiavi, dei
vinti, della massa, per i quali il bene è la pietà, la dolcezza, l’umiltà, la
compassione, la pazienza. Il cristianesimo è la negazione della volontà
di potenza, il trionfo della rivolta degli schiavi» (I, p. 1015). Conviene
scegliere la morale del superuomo, perché non essendoci alcuna ve-
rità assoluta si può andare al di là del bene e del male per affermare la
propria originale individualità. Maritain commenta: «Nietzsche non
fa che svelare ciò che il mantello dell’idealismo dialettico copriva»
(XI, p. 553). Nietzsche annuncia che Dio è morto: e Dioniso, che Cri-
sto ha umiliato, tornerà di nuovo a regnare sulla terra. Il superuomo è
libero da ogni convinzione dogmatica, da ogni tradizione sociale, per
esercitare il raffinato eroismo della solitudine, accettando il dolore e
disprezzando il benessere, in un processo incessante di metamorfosi.
Il filosofare di Nietzsche è più letteratura che filosofia, non procede in
modo sistematico, con coerenza logica, ma in maniera frammentaria,
per aforismi. Lui stesso afferma di scrivere «non con parole, ma con
illuminazioni». Qualcuno ha detto che si può citare Nietzsche contro
Nietzsche, ma il filosofo precisa che il suo pensiero è celato dietro
una maschera che ciascuno deve scoprire e svelare. Proprio per que-
sta frammentarietà la filosofia di Nietzsche ha dato luogo a moltepli-
ci interpretazioni, viene accolta con entusiasmo dalle ideologie della
violenza, come il nazismo e il fascismo, alimenta col suo nichilismo il
pensiero debole e il suo estetismo ha influenzato la letteratura da Gide
a D’Annunzio. L’etica del superuomo porta alle estreme conseguen-
ze la morale kantiana, sganciandola da quei formalismi di universalità
che la sostenevano. «Una volta che l’egocentrismo della morale kan-
tiana viene liberato dai suoi elementi estranei che lo mascherano, la
moralità consisterà per l’uomo nell’affermare se stesso, nel realizzare
a tutti i costi la propria volontà, disprezzando i doveri formali della
legalità. Da questo punto di vista, Stirner e Nietzsche sono i veri con-
tinuatori di Kant» (I, p. 979).

L’estetica

Maritain nelle sue opere di estetica cita più volte Nietzsche, uti-
lizza anche il suo linguaggio, oramai acquisito dalla cultura contem-
poranea, ma non condivide la contrapposizione tra l’apollineo e il
dionisiaco, perché l’apollineo non rivela solo gli elementi di intelligi-
II. L’età delle ideologie 81

bilità dell’arte e il dionisiaco non si riduce all’istintualità. Per Mari-


tain nella creazione artistica entra in gioco anche un inconscio so-
vraconscio: «L’opera d’arte porta il marchio dell’artista, è figlia della
sua anima e del suo spirito» (I, p. 704). L’arte non deve essere
cerebrale, tutti gli accademismi la feriscono, perché l’emozione non
è un fatto intellettuale, ma raggiunge l’essere ontologico nella sua
intimità profonda, e in modo particolare attraverso la musica. Ne La
chiave dei canti6 scrive: «Meno legato all’universo delle idee umane
e dei valori umani di colui il quale crea con i vocaboli del linguaggio
degli uomini; meno legato del pittore e dello scultore alle forme e alle
immagini delle cose; meno legato dell’architetto alle condizioni di uso
della cosa da creare, nel musicista si verificano nella maniera più lim-
pida le esigenze metafisiche della poesia. Quando l’arte non le soddi-
sfa, nel musicista si nota più che in ogni altro la carenza» (V, p. 797).
Maritain sottolinea l’influenza di Wagner, ricordando prima l’ammi-
razione entusiasta, poi la delusione subita: «Nessun altro all’infuori di
un elaboratore di opere come Wagner, poteva istruire un Nietzsche
con una delusione così perfettamente decisiva» (ibid.). L’artista e il
poeta nella loro ricerca dell’assoluto impegnano tutta l’anima; se que-
sta ricerca è fatta contro la natura dello spirito, con un’ostinazione che
non vuole accettare i limiti umani, può portare alla pazzia. Maritain si
domanda: «Continuare ad ogni costo, rifiutare eroicamente di rinun-
ciare alla crescita dello spirito creatore, quando una simile esperienza,
postulata da tutto l’essere, è resa, tuttavia, impossibile, è questo forse
il segreto del crollo di Nietzsche?» (V, p. 796).
Nella lettura di Nietzsche, è proprio questo elemento ontologico
che nell’emozione poetica raggiunge, in un modo misterioso, l’essere,
che colpisce Maritain, tanto che ama definire musica ontologica le
composizioni del suo amico Arthur Lourié. In un articolo del 1936
su «La Revue Musicale», dedicato a questo compositore musicale,
Maritain scrive, prendendo posizione con “il gruppo dei sei” contro
Debussy e Wagner: «In opposizione al fenomenismo musicale e al
puro costruttivismo, si può dire che la musica di Lourié è una mu-
sica ontologica. Essa prende vita e si compie nel centro sconosciuto
in cui si incarna la vita della persona» (VI, p. 1062)7. Aggiunge una

6
Cf. La clef des chants, in «La Nouvelle Revue Française», 260 (1° marzo 1935),
pp. 673-702 (V, pp. 778-809).
7
J. Maritain, Sur la musique d’Arthur Lourié, in «La Revue Musicale», 165 (feb-
braio 1936), pp. 266-271; tr. it. in «Vita e Pensiero», LXXXI, 7-8 (luglio-agosto 1998),
pp. 529-539 (VI, pp. 1060-1066). Cf. P. Viotto, Arthur Lourié: una lunga amicizia, in Id.,
82 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

riflessione di Nietzsche sulla musica contemporanea: «Di cosa sof-


fro, quando soffro del destino della musica? Soffro perché l’hanno
spogliata delle sue virtù purificatrici, del suo carattere affermativo,
perché è diventata musica di decadenza, perché non è più il flauto
di Dioniso» (VI, p. 1060).
Maritain in L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia (49), sul-
la base delle tre caratteristiche della bellezza trascendentale indicate
da san Tommaso, cioè l’integrità, la proporzione e lo splendore, indi-
vidua i tre momenti della creazione artistica e scrive: «Lo splendore
o chiarità, che è la proprietà prima della bellezza, appare principal-
mente nel senso poetico o melodia interiore dell’opera; l’integrità si
manifesta nell’azione o tema e la proporzione nella struttura armoni-
ca» (X, p. 555)8. Per quanto riguarda la struttura armonica, relativa,
in un certo senso, alla quantità, all’estensione, cioè a qualcosa che si
può indicare come numero, precisa: «C’è per la pittura o la musica
o la danza o architettura, come per la poesia, uno spazio poetico nel
quale l’unità dell’opera si dispiega […] nella reciproca extraposizio-
ne di parti estese o nel tempo o nello spazio» (X, p. 548) e cita un
testo di Nietzsche: «Quando si perde il senso del numero abbiamo
quello che Nietzsche chiama anarchia degli atomi scrivendo: “Da
che cosa è caratterizzata la decadenza in letteratura? Dal fatto che
in essa la vita non anima più l’insieme. Le parole diventano predo-
minanti e debordano dalla frase alla quale appartengono. Le frasi
stesse trasgrediscono i loro limiti e rendono oscuro il senso di tutta
la pagina e la pagina, a sua volta, acquista vigore a spese dell’insie-
me, per cui l’insieme non è più un insieme”» (ibid.). Questa com-
posizione armonica che salva l’opera d’arte dalla disgregazione, per
Nietzsche è un fatto vitale, ma per Maritain è anche un atto intellet-
tuale, perché la bellezza è lo splendore della verità.
Infine un’osservazione sulle relazioni tra gusto estetico e critica
d’arte, che coinvolge i rapporti tra la creazione artistica e la ricerca
filosofica: «Il giudizio di gusto è cosa diversa che il giudizio dell’ar-
te, che è di ordine speculativo […]. Molti grandi artisti avevano un
pessimo gusto, e molti uomini di gusto perfetto erano mediocri crea-
tori; che cosa è la musica scritta da Nietzsche nei confronti dei suoi

Grandi amicizie, cit., pp. 350-353; P. Viotto, Honegger, Milhaud e il gruppo dei Sei, in
ibid., pp. 346-350.
8
P. Viotto, Fruizione e creazione della bellezza in Maritain, in AA.VV., Filosofia e
Arte, Urbaniana University Press, Roma 2006, pp. 23-44.
II. L’età delle ideologie 83

giudizi sulla musica?» (I, p. 771). Ma dopo avere riconosciuto i me-


riti della sua estetica Maritain ritiene che Nietzsche rappresenti la
punta estrema dell’irrazionalismo, dell’odio contro la ragione, e lo
colloca nell’alveo aperto dal darwinismo: «Faccio allusione a queste
visioni etiche eccessivamente povere, sottoprodotti del darwinismo
e dei quali Darwin per parte sua non è responsabile, soltanto perché
hanno fornito a Nietzsche una base, o piuttosto una decorazione e
un apparato decorativo, sedicente scientifico, al quale poteva rife-
rirsi per fare appello (per molti altri motivi, in realtà) alla volontà di
potenza come all’autentica morale dei padroni e condannare come
morale da schiavi il rispetto della persona umana, il senso dell’amo-
re e della pietà, insegnati dalla tradizione giudeo-cristiana» (XI, p.
929). Osserva, infine, che la sua opposizione tra la vita e lo spirito
«può essere valida contro la ragione idealista (Hegel riassorbe tutta
la realtà nel divenire dialettico), ma è falsa assolutamente parlando»
(VI, p. 801). Soprattutto accusa Nietzsche «di avere messo realmen-
te e seriamente in dubbio la veracità delle nostre capacità di cono-
scenza» (V, p. 177), mentre l’uomo ha bisogno proprio della verità
per vivere.

Søren Kierkegaard

Un pensatore danese che nei suoi scritti fortemente autobiogra-


fici riversa le inquietudini e le speranze che lo animano, è all’origine
delle multiformi correnti filosofiche dell’esistenzialismo contem-
poraneo. L’esistenzialismo come atteggiamento dello spirito, come
percezione della drammaticità della condizione umana, come ab-
bandono fiducioso in Dio, non è nuovo nella storia della filosofia,
da quando il cristianesimo ha messo in crisi l’apollinea fiducia nella
ragione del paganesimo. In questo senso Tertulliano, sant’Agosti-
no, Pascal possono essere considerati filosofi esistenzialisti, ma con
Kierkegaard l’esistenzialismo da atteggiamento morale diventa me-
tafisica, come decisa opposizione all’idealismo hegeliano, che aveva
assorbito e risolto l’esistenza individuale nello Spirito assoluto.
Søren Kierkegaard (1813-1855) nasce e vive a Copenaghen, a
parte un breve soggiorno a Berlino, dove assiste alle lezioni di Schel-
ling. Le inquietudini dell’ambiente familiare (il padre si sente male-
detto da Dio e fa pesare il suo tormento sul figlio) favoriscono nel
giovane il ripiegamento su se stesso. Si laurea in teologia nel 1841
84 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

con la tesi Sul concetto dell’ironia con particolare riguardo a Socrate,


in cui già si delinea la critica all’estetismo romantico, e soprattut-
to all’idealismo hegeliano. Maritain commenta questa tesi: «Socra-
te non è stato affatto un ironista in senso kierkegaardiano, cioè un
ironista la cui grande vittoria è di rendere tutto problematico» (XI,
p. 254) perché l’ironia in lui era propedeutica alla ricerca della veri-
tà, come intelligibilità dell’essere. E aggiunge: in Kierkegaard, «tor-
mentato senza fine da se stesso, nascondendosi sotto maschere e
pseudonimi che erano sempre lui, e lasciando ad intervalli vedere
il suo viso, in modo da rendere il travestimento ancora più intri-
gante, l’ironia era il testimone e il mantello del suo segreto» (XI, p.
851). Kierkegaard si avvicina alla filosofia di Fichte, si entusiasma
per Pascal, ma poi decide di essere assolutamente solo con se stesso.
Rompe il fidanzamento, rinuncia a diventare pastore protestante,
per combattere la sua battaglia contro il sistema, cioè il dominio del-
la filosofia hegeliana, contro la cristianità, cioè le Chiese-istituzioni,
che tradiscono lo spirito evangelico, contro la stampa, che manipola
il pensiero individuale. Per combattere questa battaglia pubblica la
rivista «Il momento» e scrive diversi libri: Aut Aut (1843), Timore e
tremore (1843), Il concetto dell’angoscia (1844), La malattia mortale
(1849), che, per la vivacità dello stile e le polemiche suscitate, hanno
un buon successo. Per comprendere il suo pensiero, che non pro-
cede per articolazioni logiche, ma per frammenti slegati tra di loro,
bisogna leggere il suo Diario. Maritain dedica al filosofo un lungo
capitolo della sua storia della filosofia morale: La protesta Kierke-
gaardiana: meditazione sul singolo (XI, pp. 849-879) e rimanda con-
tinuamente a lui nel Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente (43)
per sostenere che il tomismo è il vero esistenzialismo, perché la re-
altà ultima dell’essere è la sua sussistenza individuale, cioè la sog-
gettività. Ne traccia anche un profilo: «Kierkegaard non era né un
filosofo, né un teologo, era un uomo inquieto e dolorante, attratto
dal mondo e tormentato dal desiderio della santità, singolarmente
ricco di doni e percezioni mistiche […] per lui non c’era che un pro-
blema, che si poneva in termini tragici, il problema della fede. Ma
in lui la fede era essa stessa una fede senza corteccia, priva di ogni
elemento di certezza e di conseguenza tanto più legata all’angoscia e
al laceramento interiore quanto più era reale nella sostanza della sua
anima» (VIII, p. 21).
II. L’età delle ideologie 85

L’esistenza del singolo come contraddizione

Il punto di attacco della filosofia di Kierkegaard è soggettivo,


non in senso logico, come principio del processo cognitivo, alla ma-
niera di Cartesio, ma in senso psicologico, come principio del vivere
e dell’esistere. L’errore dell’idealismo consisteva nel fare coincidere
l’essere con il pensiero, e di conseguenza l’esistenza con l’essenza,
per cui l’individuo singolo veniva annullato nel tutto, perdendo la
sua libertà e la sua responsabilità. Secondo Kierkegaard per salvare
l’individuo e la sua libertà bisogna partire dall’esistenza, sgancian-
dola dall’essenza. Anche per Aristotele nella ricerca filosofica, che
nasce nell’esperienza, bisogna partire dall’individuo, ma questo in-
dividuo è un insieme di essenza e di esistenza, mentre per Kierke-
gaard il singolo è un’esistenza pura, contrapposta all’essenza pura,
che trascende infinitamente l’uomo, Dio. L’individuo è solo con se
stesso e davanti a Dio, la sua vita è chiusa nell’esistenza da cui, inva-
no, cerca di uscire. La vita non è un fluire regolare per contrappo-
sizioni dialettiche, che sempre si risolvono nella sintesi, come pensa
Hegel, ma una continua frattura, perché bisogna scegliere tra due
opposti, che non si possono conciliare (aut-aut), una scelta che im-
plica un rischio e genera uno stato di angoscia. Ma questa angoscia
non nasce solo dalla scelta, perché è la stessa esistenza del singolo
che, contrapponendosi a Dio, è colpa. La metafisica di Kierkegaard
è una sorta di individualismo radicale, di pluralismo ateleologico,
ogni individuo chiuso in se stesso, isolato dagli altri, cerca invano il
suo essere, che solo Dio gli darà, quando avrà rinunciato ad essere se
stesso. Questo individualismo radicale riguarda anche la conoscen-
za, perché ciascun individuo ha la sua verità, che non nasce dalla
conciliazione degli opposti, ma è paradosso e scandalo, perché tiene
uniti gli opposti.
Maritain osserva: «Non che Kierkegaard negasse la ragione, la
rifiutava, perché fidarsi del razionale è pura vanità di spirito e mon-
danità idolatra […]. Per ritrovare il vero singolare e il suo unico
valore etico e religioso Kierkegaard ha voltato le spalle all’universo
della dimostrazione e delle certezze oggettive, all’universo proprio
della ragione. Ha domandato la scoperta dell’Assoluto ad un lavorio
di escavazione nel singolo, nella sua propria soggettività incomuni-
cabile: la soggettività è la verità» (XI, pp. 857-858). «Il suo pensiero
introverso era tutto incentrato sulla sua propria soggettività e sulla
sua unica propria singolarità» (XI, p. 856). Kierkegaard non è ide-
86 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

alista, non riduce la realtà al pensiero, la realtà che lui cerca, al di là


delle apparenze, non si oggettivizza in un pensiero; lui va oltre il co-
nosci te stesso di Socrate, perché cerca l’Assoluto e tenta di entrare
nei segreti dell’essenza incomunicabile. Maritain constata: «Kierke-
gaard, che è cristiano, al termine della sua dialettica esistenziale si
trova di fronte a Dio come un ateo si trova di fronte al nulla» (XI, p.
862). Ma è per una fede soggettiva, spogliata di ogni oggettività, con
un atto di rottura con la ragione, che Kierkegaard trova Dio e questo
approfondimento della soggettività «se è assolutamente valido per il
singolo, nel seno del quale si produce, non vale in realtà che per lui,
ed è, di sua natura, interamente privo di necessità razionale, rispetto
ad un altro singolo resta arbitrario e ambiguo» (ibid.).
Maritain riconosce l’importanza di questa intuizione secondo
cui l’esistere sta nella singolarità: «Kierkegaard è stato il campione del
singolo, dell’unicità e dell’incomunicabilità che caratterizzano ogni
persona individuale» (IX, p. 863). Ma precisa che la parola “singo-
lo” ha due sensi: «Il destino di Kierkegaard è stato quello di essere
il campione del singolo non solo nel senso in cui il singolo è l’indivi-
duale, ma anche nel senso in cui il singolo è l’eccezionale, in cui l’uo-
mo singolare è un uomo strano e sospetto, che non è come gli altri,
un insolito, uno stravagante, un fuori posto, come secondo Platone
era Socrate» (ibid.).

I tre stadi della vita

Il divenire della vita umana procede attraverso salti qualitativi,


non è uno sviluppo preordinato dalla ragione, ma dipende dalle li-
bere scelte della volontà di ciascun individuo e Kierkegaard descri-
ve tre momenti fondamentali di questo divenire. Maritain osserva:
«La sua concettualizzazione resta disgraziatamente assoggettata allo
schema dialettico, specialmente alla categoria dialettica degli stadi
di esistenza, ma questa dialettica soggettiva perde ogni pretesa di
sapere e di spiegazione per divenire in lui puramente descrittiva»
(XI, p. 857). Contro l’ottimismo «della soddisfazione idealista e il
suo implacabile Giove, Kierkegaard, ferito e trionfante, si rivolta in
nome della soggettività (in altre parole, in nome della persona uma-
na) e ponendosi al centro della sua angoscia spirituale» (XI, p. 606).
Lo stadio iniziale è lo stadio estetico, rappresentato dalla figu-
ra di don Giovanni, nel quale l’individuo si abbandona al caleido-
scopio delle sue sensazioni e delle sue emozioni senza imporre loro
II. L’età delle ideologie 87

una coerenza intellettuale o morale. L’individuo considera il mondo


come uno spettacolo da godere, dà libero sfogo alle passioni, dissi-
pandosi e cadendo nell’illusione. Ma questo passare di fiore in fiore
per nutrirsi dell’ebbrezza della primavera senza avere il coraggio di
aspettare l’estate che spoglia il fiore della sua corolla per donare il
frutto, conduce alla noia e alla disperazione, perché l’uomo è fatto
per l’infinito, l’eternità, e il finito, il provvisorio, non lo può soddi-
sfare, perché le gioie della carne sono effimere. Questa disperazione
può essere purificatrice. Per Kierkegaard la verità non nasce sempli-
cemente dal dubbio, come pensa Cartesio, ma emerge da una crisi
più profonda, che coinvolge tutta l’esistenza, cioè dalla disperazio-
ne, che è la malattia mortale della natura umana.
L’uomo passa allo stadio etico, che si può rappresentare nella figu-
ra del padre di famiglia, quando impara a ritirarsi in se stesso, quando
non si disperde più nel mondo, non vuole più questa e quella soddi-
sfazione dei sensi, ma impara a scegliere con responsabilità. Non vive
più chiuso nel suo egoismo, ma si sente fratello con il prossimo, accet-
ta i suoi legami e i suoi compiti sociali, la famiglia, la professione, la
patria. È uno stadio migliore del precedente, perché l’uomo fermo al-
lo stadio estetico confonde la realtà con la rappresentazione, si ferma
all’effimero, vive di illusione, mentre l’uomo morale vive nella real-
tà e realizza se stesso. Ma questa autonomia, fondata sull’universalità
della legge, formulata dall’io con l’imperativo categorico, è colpevo-
le, perché l’uomo pretende di essere legge a se stesso. Maritain rile-
va: «L’universalità puramente logica della legge kantiana, universalità
senza radici nella natura, tiene questa legge divisa dalla soggettività ed
esteriore ad essa. È Kant che ha spinto Kierkegaard a cercare, per le
richieste più profonde della coscienza morale, un’uscita nella rivolta
contro la generalità della legge» (XI, p. 431). Si passa allo stadio re-
ligioso in un colloquio intimo e individuale, da soggetto a soggetto,
con Dio, rimettendosi con fede a Lui, come ha fatto Abramo a cui fu
richiesto di sacrificare suo figlio. La religione non ha bisogno, come la
morale, di regole oggettive e universali. La fede è pura gratuità, non
richiede giustificazioni intellettuali. Il cristianesimo non ha bisogno
di apologia e di un’organizzazione ecclesiale, è un incontro personale
dell’io con Dio. La religione è fiducia in un Dio che può donare ciò
che si perde e ciò che si lascia per Lui. Ma in questo stadio religioso
l’angoscia si fa ancora più dolorosa, perché l’uomo si sente tanto più
colpevole quanto più si avvicina a Dio; e la sofferenza e la tristezza so-
no il segno di avere preso coscienza del significato dell’esistenza.
88 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Maritain analizza in particolare il passaggio dallo stato etico allo


stato religioso, sottolineando come la sovramorale della religione sia
un superamento della morale, che sospende ma non abolisce la mo-
rale. Bisogna comprendere Kierkegaard nella sua contrapposizione
a Kant e a Hegel: «L’etica kantiana svuota il singolo di se stesso, lo
riduce a farsi un puro punto astratto, o un soggetto logico svuotato
di realtà davanti all’universale astratto, che è la legge. L’etica hege-
liana restituisce il singolo a se stesso in quanto obbedisce volontaria-
mente allo Stato e si identifica con l’universale concreto, dove egli
raggiunge il suo essere e la sua sostanza, che è la volontà universale
dello Spirito oggettivato nello Stato. È contro questi due generi di
etica che la singolarità kierkegaardiana grida vendetta» (XI, p. 873).
Non c’è opposizione tra la morale e la religione: «Non solo l’e-
roe tragico come Agamennone, ma Abramo stesso che sacrifica Isac-
co, appartiene sempre all’universo dell’etica. Abramo, colpito nel
cuore dall’ordine personale di Dio, e lacerato dalla contraddizione,
aveva ancora una legge universale, e la prima di tutte: tu adorerai Id-
dio incomprensibile e gli obbedirai; e Abramo sapeva oscuramente,
non dai trattati di teologia morale, ma dall’istinto dello Spirito San-
to, che l’omicidio di suo figlio sfuggiva alla legge, che proibisce il
delitto, perché gli era comandato dal Signore della vita» (IX, p. 61).
Kierkegaard non ha compreso questo passaggio, lo ha considerato
come un salto, una frattura nel divenire: «Il suo grande errore, in
mezzo alle sue grandi intuizioni, è stato quello di separare e di op-
porre, come se fossero eterogenei, il mondo della generalità, o della
legge universale, e quello della testimonianza unica, ingiustificabile
davanti alla ragione dell’uomo, resa dal cavaliere della fede»9 (ibid.).
Non ha saputo correlare l’universale della riflessione filosofica con il
particolare dell’esperienza religiosa.

Esistenzialismo e tomismo

La filosofia di Kierkegaard è stata una polemica contro l’ideali-


smo, contro la società del suo tempo, contro la Chiesa danese, per
affermare l’individualità del singolo, fino al paradosso di ritenere
che l’essere nato è una colpa e che solo una religione, come cieca fe-

9
Maritain rimanda a R. Maritain, Storia di Abraham, Massimo, Milano 1978 (XIV,
pp. 567-617); cf. scheda n. 9, in P. Viotto, Dizionario delle opere di Raïssa Maritain, Cit-
tà Nuova, Roma 2005, pp. 76-84.
II. L’età delle ideologie 89

de in Dio, può risolvere questa contraddizione. Maritain riconosce


che Kierkegaard è più un poeta che un filosofo, ma dalle sue intui-
zioni trae conferme alle sue riflessioni filosofiche.
In primo luogo Maritain riconosce che l’essenza è un’astrazio-
ne, nell’oggettivazione della mente, che essa in realtà esiste solo uni-
ta all’esistenza nella soggettività individuale e ripropone il problema
metafisico del suppositum: «San Tommaso chiama suppositum ciò
che noi chiamiamo soggetto. L’essenza è ciò che cosa una cosa è, il
supposito, il soggetto, è chi ha un’essenza, chi esercita l’esistenza e
l’azione, chi sussiste» (IX, p. 65). Ma questa soggettività è impene-
trabile alla conoscenza intellettuale, che ha sempre bisogno di un
oggetto, anche a livello di fede. «Resta tuttavia, e questo Kierke-
gaard l’ha mirabilmente visto, che è il singolo che esercita l’atto di
esistere, che è il singolo che esercita l’atto di conoscere […] che è
il singolo che si salva o si perde per sempre, che con le sei azioni e
nientificazioni, nella sua relazione con Dio e con le creature, contri-
buisce a dar forma ai destini del mondo» (XI, p. 863). Maritain si
richiama ad una seconda intuizione kierkegaardiana: la coscienza è
più importante della legge, non sostituisce la legge ma la applica al
caso individuale e concreto; al riguardo rimanda a san Tommaso, il
quale afferma che «non c’è vita morale senza il giudizio personale
della coscienza; che ci insegna che in ogni atto autenticamente mo-
rale, l’uomo, per applicare e nell’applicare la legge, deve incarnare
e cogliere l’universale nella sua singola esistenza, in cui egli è solo
di fronte a Dio» (IX, p. 63). Kierkegaard non ha saputo raccordare
l’universalità della legge alla soggettività della coscienza, si è fermato
alla contraddizione, chiudendosi nell’angoscia. Maritain commen-
ta: «Siamo grati a Kierkegaard e ai suoi successori di avere, contro
Hegel, insegnato ai filosofi la grande lezione dell’angoscia» (IX, p.
136); ma «l’angoscia non vale nulla come categoria filosofica» (IX,
p. 137). «Noi siamo ben al di là dell’angoscia. L’angoscia non è che
una forma dell’esperienza spirituale del filosofo» (IX, p. 138). Non
bisogna confondere la soggettività del filosofare nella biografia del
filosofo con l’oggettività della filosofia nell’universo della scienza.
«Il limite insormontabile contro il quale urta la filosofia è dovuto
al fatto che essa conosce senza dubbio i soggetti, ma li conosce co-
me oggetti, per cui risulta totalmente circoscritta entro la relazione
intelligenza-oggetto, mentre la religione si iscrive nella relazione tra
soggetto e soggetto» (IX, p. 74). Maritain conclude: «Al di qua delle
virtù divine, non c’è nulla nell’uomo che testimoni la sua grandezza
90 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

meglio del tremore. Ma non è per suo mezzo che la filosofia fa la sua
opera. Il delirio è permesso al profeta, è proibito al filosofo» (IX, p.
127).
Maritain riconosce «che l’intuizione centrale che animava l’e-
sistenzialismo di Kierkegaard sia in fin dei conti la stessa che è nel
cuore del tomismo: l’intuizione del valore assolutamente singola-
re dell’esistere, dell’existentia ut esercita, ma nata in seno ad una
fede angosciata» (IX, 295). In Kierkegaard «il termine intuizione
dell’essere non è più lecito, diciamo che egli viveva del senso asso-
luto del mistero della trascendenza infinita, attestata dai Patriarchi
e dai Profeti» (IX, p. 125). In lui, come nei filosofi russi emigrati a
Parigi, suoi discepoli, Lev Šestov (1866-1938) e Benjamin Fondane
(1898-1944)10 si manifesta «una colpa gravida di conseguenze, che è
quella di credere che per glorificare la trascendenza occorresse spez-
zare la ragione, mentre bisognava umiliarla davanti al suo Creatore e
con ciò stesso salvarla» (IX, p. 126). Per combattere la presunzione
dell’hegelismo, che riduce tutto alla razionalità, gli esistenzialisti so-
no scivolati in un irrazionalismo «che non rende giustizia ai mistici»
(IX, p. 127), i quali sanno raccordare l’esperienza dell’Assoluto me-
diante l’intuizione dell’essere, come san Giovanni della Croce, senza
contrapporre la mistica alla filosofia.

5. Il socialismo utopistico
Tutto ciò che nel socialismo, e nella lotta di classe,
vuol prendere il posto della salvezza e instaurare la felicità universale è falso,
ma una verità inoppugnabile esiste: lo stato attuale è tale che la lotta
contro l’ingiustizia sociale è necessaria (XII, p. 156).

Jacques Maritain in gioventù è stato anarchico e socialista, da stu-


dente ha conosciuto Raïssa Oumançoff mentre faceva volantinaggio
davanti alla Sorbona a favore dei socialisti russi perseguitati dallo zar.
Alla boutique dei “Cahiers de la Quinzaine” di Charles Péguy (1873-
1914), un poeta che si muove tra cristianesimo e socialismo11, di cui
presto diventa un collaboratore, fa amicizia con Georges Sorel. Fre-

10
Cf. P. Viotto, Benjamin e Geneviève Fondane, in ibid., pp. 258-260.
11
P. Viotto, Charles Péguy tra socialismo e cristianesimo, in Id., Grandi amicizie,
cit., pp. 179-184.
II. L’età delle ideologie 91

quenta l’“Ècole socialiste”, tiene conversazioni nelle Università Po-


polari, scrive articoli su «Jean-Pierre», un periodico per ragazzi di
ispirazione socialista fondato da Marcel Debré e da sua sorella Jeanne
Maritain. L’incontro con Bergson, la conversione al cattolicesimo e la
scoperta di san Tommaso mettono in crisi le convinzioni socialiste,
gli fanno superare un ateismo radicale e l’anticlericalismo dei primi
anni, ma non modificano le sue convinzioni circa le gravi ingiustizie
sociali prodotte dal capitalismo, di cui è responsabile la classe bor-
ghese. Un suo alunno all’Institut Catholique di Parigi, Yves Simon,
poi suo collaboratore in Francia e in America, studia il pensiero di
Pierre-Joseph Proudhon e trova qualche correlazione tra il pensiero
del filosofo francese e san Tommaso a proposito del valore del lavoro
e il senso sociale della proprietà12. Insieme a Maritain nel 1934 firma il
manifesto Per il bene comune (V, pp. 1022-1041) con un doppio no, al
fascismo e al comunismo. Maritain collabora con Emmanuel Mounier
alla fondazione della rivista «Esprit», ma poi si allontana dal gruppo,
perché esso finisce per diventare un movimento politico, che si muove
verso il socialismo. La sua proposta di Umanesimo integrale (1936) va
oltre il liberalismo e il socialismo perché pone al centro delle relazioni
sociali la persona, non l’individuo o la società.

I primi teorici

Il socialismo in Inghilterra e in Francia nasce nella stessa clas-


se borghese come reazione immediata e spontanea alle ingiustizie
sociali conseguenti all’organizzazione capitalistica della vita econo-
mica, e risulta un fenomeno collaterale del positivismo che trova in
A. Comte il teorico più significativo. In Germania, invece, si muove
nell’ambito dell’idealismo, si definisce come sinistra hegeliana e si
propone come socialismo scientifico, avvia la rivoluzione comunista,
auspica la dittatura del proletariato e si contrappone al socialismo
utopistico dei francesi e degli inglesi, che considera moderato per il
suo muoversi all’interno della democrazia liberale. Nell’ambito di
questo movimento Karl Marx diventa il profeta di un nuovo umane-

12
Cf. P. Viotto, Yves René Simon e gli amici americani, in ibid., pp. 67-76. Cf. M.
Fourcade, Yves Simon entre saint Thomas et Proudhon, in «Cahiers Jacques Maritain»,
47 (dicembre 2003), pp. 4-22.
92 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

simo, che troverà in Russia con Stalin e in Cina con Mao Tze-Tung
le realizzazioni più radicali.
Maritain da filosofo rileva come l’ateismo sia intrinsecamente
connesso con il marxismo e la rivoluzione comunista per sua stes-
sa natura anticristiana, ma rileva che anche il socialismo utopistico
tiene Dio fuori dei processi della storia, tanto da scrivere in Rifles-
sioni sull’intelligenza (8): «Esiste su questo punto una tradizione
repubblicana e socialista. Proudhon proclama decaduto il sovrano
assoluto del mondo, Fourier non ammette che una collaborazione
societaria tra Dio e l’uomo» (III, p. 326). L’ateismo degli uni e il dei-
smo degli altri sono ancora le conseguenze dell’umanesimo antro-
pocentrico, nato nel rinascimento e sviluppatosi con illuminismo, e
straripa nel mondo, verso altre popolazioni che, attratte dal progres-
so tecnologico del mondo occidentale, finiscono per assorbirne la
mentalità borghese, perdendo la loro identità culturale originaria. Il
caso della Cina è emblematico. Maritain aveva previsto questo pro-
cesso fin dal 1927 quando in Primato dello spirituale (12) scrive: «È
molto significativo che questa invasione dell’ateismo, dello scientifi-
smo, del socialismo occidentali, capace di distruggere tutto ciò che
di spirituale c’è nell’antica cultura cinese […] sia anche capace di
esasperare in odio contro gli altri tutto ciò che di materiale (in senso
aristotelico) e di strettamente nazionale c’è in questa stessa cultura.
Per un diabolico paradosso i cinesi intossicati dai peggiori prodotti
dell’Occidente, si ergono contro il cristianesimo, oggi, proprio per
difendere i diritti della loro cultura» (III, p. 937).
Fatte queste considerazioni di base a livello di filosofia, perché il
socialismo veicola una filosofia materialistica, Maritain mette a fuo-
co il nodo centrale del socialismo, la riabilitazione del proletariato,
chiamato a diventare protagonista della vita politica. Riconosce che
il proletariato ha una sua missione nella storia, ma bisogna liberarla
dalla lotta di classe. Osserva che nella nozione socialista e comunista
di coscienza di classe si riscontrano due errori: «Da una parte un er-
rore di tipo liberale e borghese (in questo dapprima Proudhon, poi
anche Marx, restano dei piccoli borghesi) che fa dell’affrancazione
della classe operaia un ultimo episodio della lotta della libertà contro
il cristianesimo e la Chiesa ritenute forze di asservimento e di oscuran-
tismo. Dall’altra un errore di origine rivoluzionaria ed escatologica,
che è il concetto marxista della lotta di classe e il compito messianico
devoluto al proletariato» (VI, p. 549). Nella storia si giunge così ad un
processo di sostituzione con il quale i socialisti e i comunisti occupano
II. L’età delle ideologie 93

lo spazio lasciato libero dai cristiani, attraverso una triplice azione cul-
turale: a) la riabilitazione della causalità materiale, trascurata per una
sovravalutazione delle energie spirituali, b) la ricerca della salvezza at-
traverso la dialettica della storia, dimenticata per l’accentuazione del
fine ultimo della vita, la salvezza dell’anima, c) la valorizzazione del
proletariato a cui si riconosce una missione redentrice.
Maritain riconosce che questo atteggiamento di ostilità verso Dio
è dovuto al peccato di omissione dei cristiani, che non si sono suffi-
cientemente impegnati per realizzare la giustizia in questo mondo, e
nella Lettera sull’indipendenza (VI, pp. 253-288) invita i cristiani a re-
cuperare l’iniziativa sociale con un’azione politica cristianamente ispi-
rata superando la contrapposizione capitalismo-socialismo, perché
«in realtà non esiste nulla di più scandaloso, e in un certo senso di più
rivoluzionario (perché è rivoluzionario persino rispetto alla rivoluzio-
ne), del credere ad una politica cristiana e del pretendere di dare l’av-
vio in questo mondo ad un’azione politica cristiana. Ma il cristiano sa
che la prima maniera di servire il bene comune temporale consiste nel
rimanere fedeli ai valori di verità, di giustizia, di amicizia fraterna, che
ne costituiscono l’elemento principale» (VI, p. 297).
Il termine socialismo nasce in Inghilterra e probabilmente il no-
me fu usato per la prima volta da Robert Owen (1781-1838) nel
1827 nella sua rivista «Co-operative Magazine», e fu poi ripreso in
Francia da Pierre Leroux (1797-1871) in un saggio su L’individua-
lismo e il socialismo (1833). In Inghilterra e in Francia il socialismo
nasce come istanza morale per superare il liberalismo, non si defini-
sce come lotta di classe, né prevede la violenza come strumento di
rivendicazione sociale. Questo movimento viene chiamato nel 1839
da Jerome Adolphe Blanqui (1798-1854) socialismo utopistico nella
sua Storia dell’economia politica (1839), mentre in Germania, poco
dopo, il Manifesto del partito comunista (1848) denuncia che «questi
sistemi ravvisano il contrasto tra le classi, ma non vedono nel prole-
tariato una funzione storica e un movimento politico autonomo» e
proclama la lotta di classe come strumento per la rivoluzione, pro-
ponendo un socialismo scientifico che Engels analizza in L’evoluzione
del socialismo dall’utopia alla scienza (1888).
Sul piano della vita politica queste ambiguità si manifestano an-
che nel travaglio della storia dei partiti che si ispirano a queste filo-
sofie. Alcuni accettano la democrazia parlamentare e il pluralismo,
definendosi socialdemocrazia, altri si orientano verso il comunismo
e impongono la dittatura del partito unico. Ma il socialismo, come
94 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

utopia, riguarderà, in seguito, anche i partiti di destra, che propon-


gono il nazionalsocialismo come superamento dello Stato liberale in
Germania e in Italia. La biografia di Georges Sorel (1847-1922) do-
cumenta questo travaglio storico, come si può constatare nei suoi
ultimi scritti Le illusioni del progresso e La decomposizione del mar-
xismo. Il suo pensiero nasce da una lettura disordinata di Proudhon
e di Marx, di Nietzsche e di Bergson; il suo comportamento politico
passa da un’adesione sincera al regime parlamentare ad un’adesione
al comunismo, per poi opporvisi, e finisce per aderire al movimento
nazionalista dell’Action Française. Il socialismo, pur nelle sue diverse
forme, risente del razionalismo dell’illuminismo e dello scientifismo
del positivismo. Ma al di là delle teorie filosofiche, Maritain indivi-
dua nell’organizzazione capitalistico-industriale del lavoro, che, nella
sua ripetitività e monotonia, non favorisce più la creatività del fare
umano, la causa profonda dell’avvento del comunismo. In una nota
di Arte e Scolastica (2) scrive: «Quando il lavoro diventa inumano o
sottoumano, perché il suo carattere di attività artistica viene cancellato
e la materia prende il sopravvento sull’uomo, è naturale che la civil-
tà tenda al comunismo e a una produzione che dimentica il vero fine
del fare umano e che metterà in pericolo la produzione stessa» (I, p.
732). In queste poche parole c’è l’analisi del successo e del fallimento
del comunismo nella storia contemporanea. Maritain in Umanesimo
integrale (26) considera e approfondisce il concetto di utopia. «Quan-
do un Tommaso Moro o un Fénelon, un Saint-Simon o un Fourier
costruiscono un’utopia, costruiscono un essere di ragione, isolato da
ogni esistenza data e da ogni clima storico particolare, esprimente un
massimo assoluto di perfezione sociale e politica dell’architettura, del
quale ogni dettaglio immaginario è spinto quanto più lontano possi-
bile, poiché si tratta di un modello fittizio proposto allo spirito al po-
sto della realtà» (VI, p. 438). Si tratta di un’ideologia. Nel socialismo
scientifico persiste questo impulso utopistico, ad incominciare dall’i-
potesi che la dittatura del proletariato sia solo una fase transitoria in
vista della realizzazione di una società perfetta. È per questo che Ma-
ritain, nel fare la proposta di una nuova cristianità, non parla più di
utopia, ma di un ideale storico concreto (VI, pp. 437-437).
II. L’età delle ideologie 95

Pierre-Joseph Proudhon

In Francia il regime repubblicano genera un ambiente propizio al


sorgere di correnti di pensiero rivoluzionarie ma rispettose delle liber-
tà individuali e della convivenza democratica, pur nella critica violen-
ta alla società borghese. Le premesse di questo movimento si possono
rintracciare nella seconda metà del XVIII secolo. L’aristocratico Saint-
Simon (1760-1825), che forse ebbe come precettore d’Alambert, do-
po aver partecipato con la spedizione francese alla Rivoluzione
americana, rivolgendosi agli uomini del mondo economico e politico
con la sua rivista «L’industria», propone una riorganizzazione della
società più razionale, più scientifica, più giusta, nella quale i lavorato-
ri possano avere parte agli utili della produzione. Dal 1817 al 1824 ha
come collaboratore A. Comte. Il filosofo economista Charles Fourier
(1772-1837) è il profeta disarmato di un’utopia rivoluzionaria che, cri-
ticando la famiglia come base della società, propone la creazione di
piccole comunità, denominate falangi, alloggiate in unità urbane, nel-
le quali ogni individuo possa svolgere un ruolo attraente senza essere
sfruttato. Il filosofo più importante di questo indirizzo è Pierre-Jo-
seph Proudhon (1809-1865). Sia per le sue numerose opere, sia per la
diretta partecipazione alla vita politica come parlamentare, che con il
saggio Che cosa è la proprietà (1848), si impose all’attenzione dell’opi-
nione pubblica anche per il suo contrapporsi a Marx.
Proudhon partecipa alla rivoluzione del 1848 e ne narra le tra-
vagliate vicende in Le confessioni di un rivoluzionario (1849). Passato
all’opposizione del regime repubblicano-conservatore viene incarce-
rato per tre anni. Dopo la pubblicazione di La giustizia nella rivolu-
zione e nella Chiesa (1858) subisce una nuova condanna, ma riesce
a rifugiarsi all’estero. Rientrato in patria nel 1862 dopo il condono
della pena, scrive ancora diverse opere, tra cui Teoria della proprie-
tà, pubblicata postuma nel 1866. Proudhon, convinto che gli interes-
si sul denaro siano una delle cause dell’ingiustizia sociale, lavora per
l’organizzazione di prestiti gratuiti. Il nucleo centrale della sua rifles-
sione riguarda la proprietà, che ritiene la struttura portante dei privi-
legi sociali, ma anche una garanzia di libertà per l’individuo, per cui
considera la statalizzazione proposta da Marx una soluzione errata.
Una seconda idea portante della sua filosofia riguarda la giustizia, che
intende come uguaglianza di soggetti indipendenti. Di conseguenza
bisognerebbe evitare la centralità dello Stato, affidando le funzioni
pubbliche a piccoli gruppi, che dovrebbero potersi federare, anche al
96 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

di là dei limiti nazionali. Proudhon si professa non credente, diffida


della giustizia fondata sull’esistenza di Dio, che dovrebbe realizzarsi
nella comunità ecclesiale, crede nell’autosufficienza dell’uomo.
Maritain rimprovera a Proudhon di concepire la giustizia solo in
senso quantitativo, rilevando che questo ideale di giustizia è astratto,
frutto del razionalismo cartesiano, e con un certo umorismo chiama
questa idea «la giustizia dei geometri […]. Essa non è che un idolo
morto e mortifero. Essa ha ingannato molti spiriti generosi, è lei che
ha guastato quella passione della giustizia che in un Proudhon fu un
sentimento così grande e così sacro […] Proudhon pensava la giu-
stizia, secondo il tipo elementare di giustizia commutativa. La giusti-
zia, concepita in questo modo, si riferisce agli uomini come a delle
quantità, tra le quali (come nel caso del giusto scambio) essa esige
l’uguaglianza pura e semplice» (III, p. 188). Maritain, nel saggio Per-
sona e società (V, pp. 487-507), riconosce che Proudhon non vuole la
collettivizzazione della proprietà, perché la proprietà individuale ga-
rantisce la libertà della persona e la difende dalla subordinazione al-
lo Stato, ma rileva anche che la proprietà privata ha una spiegazione
più profonda, ha una «sua radice metafisica, concernente la persona
umana (e la famiglia) anteriormente alla considerazione delle sue re-
lazioni con lo Stato» (V, p. 507). Bisogna trovare forme di proprietà
societaria, evitando la statalizzazione della proprietà. Maritain rico-
nosce la necessità di giungere all’uguaglianza tra uomo e donna, sulla
quale Proudhon e Sorel insistono, precisando che bisogna promuo-
vere non un’uguaglianza puramente quantitativa, ma una uguaglian-
za qualitativa, una uguaglianza proporzionale alle differenze reali tra
l’uomo e la donna. «Quello che Proudhon non ha compreso è che,
nell’ambito delle relazioni tra il tutto sociale e le sue parti, l’ugua-
glianza di proporzione costituisce la giustizia stessa» (VIII, p. 274),
perché si deve dare a ciascuno secondo il suo bisogno e secondo il
merito. Proudhon non ha compreso le funzioni dello Stato, imma-
ginando una democrazia senza gerarchia, senza un’autorità, perché
ogni uomo deve ubbidire solo a se stesso. Nella società umana l’uo-
mo è un individuo e una persona: come persona riferisce a se stesso
il bene comune, ma come individuo è subordinato al tutto sociale e
alle autorità, che gestiscono il bene comune. Maritain osserva che la
società immaginata da Proudhon non può esistere in questo mondo.
«Una totalità senza gerarchia, un tutto senza alcuna subordinazione
delle parti al tutto; non si trova questa meraviglia che nella Trini-
tà divina, nella società increata in cui appunto le Persone non sono
II. L’età delle ideologie 97

parti» (VIII, p. 216). Proudhon resta prigioniero di una concezione


antropocentrica della filosofia della storia, che affida all’uomo la sua
liberazione, che non comprende il mistero del male nella storia, e
contrappone Dio al mondo. «Egli si è completamente ingannato sul-
la nozione cristiana della trascendenza; e questo deriva non soltanto
dal fatto che egli (come capita a tanti francesi di formazione classica)
prendeva per concezioni cattoliche delle concezioni in realtà gianse-
nistiche. Ciò deriva anche da un errore filosofico molto profondo.
Se arrivò a bloccare nell’idea di trascendenza ogni specie di assoluti-
smo: assolutismo dello Stato, dei ricchi, dei preti, per farlo culminare
nel dispotismo supremo del tiranno celeste, ciò avvenne perché egli
giungeva a spingere fino alle sue ultime conseguenze una concezione
radicalmente univoca del Dio trascendente» (V, p. 402). Maritain ap-
profondisce la sua analisi, rilevando che Proudhon non comprende
l’ambivalenza della storia, rifiuta Dio perché nel mondo c’è il male.
«Nella concezione dell’ateo, o, se si vuole, del “nemico di Dio”, co-
me Proudhon si chiamava, è impossibile che Dio sia al servizio del
nemico di Dio. Mentre nella concezione del cristiano il nemico di
Dio è al servizio di Dio. Dio ha i suoi avversari (non nell’ordine meta-
fisico, ma nell’ordine morale). Ma i suoi avversari sono sempre al suo
servizio. È servito dai martiri e dai carnefici che fanno i martiri» (V,
p. 397). Dio rispetta la libertà dell’uomo, chi fa il male si serve delle
forze che Dio gli dona, usandole male, ma Dio sa trarre il bene anche
dal male. È il mistero della storia, che Proudhon non sa decifrare,
anche se tutta la sua filosofia è impregnata di valori morali, come do-
vere, moralità, giustizia (XIII, p. 657).
Maritain conclude la sua analisi in Cristianesimo e democrazia
(35): «Proudhon credeva che la sete della giustizia fosse il privile-
gio della rivoluzione […] la sete della giustizia è nata e cresciuta
nell’anima dei secoli cristiani, ad opera del Vangelo. E il Vangelo e
la Chiesa ci hanno insegnato a non obbedire che a ciò che è giusto»
(VII, p. 729). Sul piano filosofico l’errore fondamentale del sociali-
smo è quello di considerare l’uomo solo come individuo, dimenti-
cando la persona e le sue naturali relazioni sociali, ad incominciare
dalla famiglia, che è la cellula base dell’organismo sociale.
98 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

6. Karl Marx e la sua scuola


Marx ha parlato della mistificazione della dialettica hegeliana.
La sua dialettica, per il fatto stesso che si crede realistica,
raddoppia questa mistificazione (VII, p. 231).

Maritain in diverse opere studia il marxismo nella sua genesi,


nella sua evoluzione nei diversi continenti attraverso i movimenti
e i partiti che ad esso si ispirano, e titola un capitolo della sua sto-
ria della filosofia morale Marx e la sua scuola (XI, pp. 597-686). La
sua analisi è particolarmente profonda, rileva come la filosofia di
Marx dipenda da quella di Feuerbach per il suo ateismo e da quella
di Engels per il suo materialismo dialettico e sottolinea come que-
sta filosofia porti al primato della prassi, perché compito primario
della conoscenza è la trasformazione della società. Maritain sottoli-
nea l’incompatibilità tra la filosofia cristiana e la filosofia marxista,
anche se vede nel comunismo, per il suo messianismo umanitario,
l’ultima eresia cristiana. Queste analisi documentano come sia com-
pletamente falsa l’accusa rivolta a Maritain di essere un “marxista
cristiano”.

Dal socialismo utopistico al socialismo scientifico

Karl Marx è l’esponente più noto di questa ideologia, in lui l’he-


gelismo diventa materialismo dialettico, ma senza la collaborazione
di Engels non avrebbe scritto il Manifesto del partito comunista e non
avrebbe nemmeno pubblicato Il capitale (1885), che Engels comple-
ta con altri due volumi nel 1898. Il loro ateismo militante deriva dalla
critica al cristianesimo fatta da Ludwig Feuerbach e dalla convinzio-
ne che la religione sia una forma di alienazione dell’uomo, perché
l’uomo è dio a se stesso. Il marxismo si sviluppa in Russia, attraverso
l’interpretazione radicale di Nikolaj Lenin (1870-1924), e raggiunge
l’Oriente in Cina, coinvolgendo con l’azione politica di Mao Tze-
Tung (1893-1976) un intero popolo, malgrado le resistenze dei nazio-
nalisti. Secondo Maritain con Lenin il materialismo dimostra il suo
vero volto di falso realismo: «Le polemiche di Lenin contro Avena-
rius e Mach sono molto significative a questo riguardo. Solamente i
marxisti confondono realtà e materia, realismo e materialismo» (V, p.
II. L’età delle ideologie 99

175)13. Con Lenin la morale socialista diventa la morale di un partito


politico, tanto che in un discorso afferma: «la nostra etica è intera-
mente subordinata agli interessi della lotta di classe del proletariato»
(XI, p. 668). In Russia, nel 1917, con la Rivoluzione di ottobre con-
tro il regime autocratico degli zar, «gli intellettuali che volevano una
rivoluzione spirituale hanno scambiato per radicalismo dello spirito
gli sconvolgimenti visibili e Lenin si è sbarazzato di essi con mez-
zi spicci, dopo essersi servito di loro» (V, p. 439). Lenin proclama
la dittatura del proletariato. Maritain nella Lettera sull’indipendenza
(25), analizzando gli schieramenti politici di destra e di sinistra ope-
ranti nella storia, e considerando il carattere psicologico degli uomini
che militano in questi schieramenti, scrive: «Le situazioni si ingarbu-
gliano per il fatto che a volte uomini di destra fanno una politica di
sinistra e viceversa. Penso che Lenin sia un buon esempio del primo
caso. Le rivoluzioni di sinistra fatte da temperamenti di destra sono
le più terribili» (VI, p. 276). Maritain analizza le radici teoretiche del
marxismo, ma considera anche le ricadute sociali nella vita dei po-
poli, denunciando le responsabilità del mondo occidentale, che per
interessi di realismo politico collabora con i regimi comunisti. Nel
1932, nelle conclusioni de I gradi del sapere (17) a proposito della si-
tuazione nella Russia Sovietica scrive: «Più cinica e più brutale dell’e-
ducazione mediante il vuoto, sotto la quale il liberalismo occidentale
asfissia l’infanzia, un’attenta chirurgia pedagogica opera le anime per
cancellare in loro l’immagine di Dio; ma, nonostante tutto, questa
immagine rinasce; un povero fanciullo che si crede ateo, se veramen-
te ama ciò che ritiene come il volto del bene, si volge verso Dio, sen-
za saperlo […]. È con rispetto che parliamo del popolo russo e della
tragedia spirituale in cui è coinvolto» (IV, pp. 899-900). A riguar-
do della Cina, sottolineando le connessioni che nella storia si sono
stabilite tra marxismo e darwinismo, dopo avere rilevato che «certe
malattie, trasportate sotto altri climi, trovando organismi non immu-
nizzati, diventano flagelli fulminanti» (III, p. 934), constata: «Nelle
scuole primarie si insegna ai bambini dagli otto ai dodici anni la di-
scendenza dalla scimmia nella forma più cruda, agli adolescenti dai
dodici ai quindici anni il socialismo di Marx e il comunismo di Le-
nin, ai liceali l’empietà scientifica e agli studenti universitari l’ateismo
russo nella formula di Gregorio Zinoviev (1883-1936): finiremo per

13
Cf. Lenin, Materialismo e empiriocriticismo, in Opere Complete, Editori Riuniti,
Roma 1963, vol. XIV.
100 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

detronizzare Dio dal suo cielo! Non più religione, non più morale, non
più legge, non più riti, non più genitori, non più maestri» (III, p. 935).
Tutto questo nell’indifferenza del mondo occidentale, preoccupato
solo dei suoi interessi economici.
Troviamo in Maritain diversi rimandi agli ultimi discepoli di
Marx, che tentano alcune varianti sul marxismo: György Lukács
(1885-1971), filosofo ungherese che applica il marxismo alla criti-
ca estetica; Louis Althusser (1918-1990), filosofo algerino che, in
una raccolta di scritti Per Marx (1965), riassume e rielabora gli inse-
gnamenti di Marx, Lenin, Mao Tze-Tung. Roger Garaudy (1913),
filosofo francese, recentemente convertitosi all’islam, che cerca pos-
sibili connessioni tra il marxismo e la religione. Nessuna particolare
attenzione ai filosofi della Scuola di Francoforte, ma a Maritain inte-
ressa soprattutto la formazione del marxismo, e in questa ricerca si
serve anche degli studi del teologo svizzero Georges Cottier14.

Ludwig Feuerbach

Le radici storiche del marxismo vanno ricercate in Ludwig


Feuerbach (1804-1872), «che ha trasferito l’ateismo dalla critica re-
ligiosa alla critica sociale, che ha determinato l’adesione di Marx
al comunismo, perché la genesi del comunismo di Marx non è di
ordine economico, come quella di Engels, ma di ordine filosofico e
metafisico» (VI, p. 337). L’idea che il lavoro umano sia alienante a
causa della proprietà privata è venuta dopo «l’idea feuerbachiana
che la coscienza umana è disumanizzata dalla idea di Dio» (VII, p.
24).
Feuerbach, nato in una famiglia luterana, dopo aver studiato
teologia ad Heidelberg, attratto dal successo di Hegel, nel 1825 si
iscrive all’Università di Berlino, dove segue i corsi di metafisica e
di filosofia della religione e annota: «Bastò che per un semestre se-
guissi le sue lezioni e la mia testa e il mio cuore furono rimessi sulla
loro via; io seppi ciò che dovevo e volevo: non teologia, ma filoso-
fia! Non vaneggiare e fantasticare, ma imparare! Non credere, ma
pensare!». Si laurea nel 1828 discutendo la tesi De ratione, una, uni-
versale, infinita, che consegna al Maestro con una lettera nella qua-

14
G. Cottier, L’athéisme du jeune Marx, ses origines hégéliennes, Vrin, Paris 1959;
cf. G. Cottier, Itinéraire d’un croyant, CDL, Tours 2007.
II. L’età delle ideologie 101

le espone la sua convinzione della necessità che la filosofia, intesa


come un idealismo panteistico, prenda il posto della religione. Ot-
tenuta la libera docenza, tiene corsi su Cartesio e Spinoza in quella
stessa università, ma la pubblicazione di Pensieri sulla morte e l’im-
mortalità, in cui nega l’immortalità dell’anima, lo mette in conflitto
con il corpo accademico e deve abbandonare i suoi corsi. Riesce
ancora a pubblicare una Storia della filosofia moderna da Bacone a
Spinoza, poi abbandona l’insegnamento per dedicarsi solo allo stu-
dio. Feuerbach è convinto che già nel rinascimento è avvenuta una
progressiva emancipazione della filosofia dalla teologia e pubblica
L’Essenza del cristianesimo (1841), a cui segue L’Essenza della reli-
gione (1846), suscitando nuove polemiche. Questi libri ebbero suc-
cesso e fecero di lui non solo il leader della sinistra hegeliana, ma il
punto di riferimento del movimento radicale tedesco. In queste due
opere Feuerbach afferma che tutti i predicati che si attribuiscono a
Dio sono riconducibili ai predicati che si attribuiscono all’uomo e
pertanto sono relativi all’uomo e non possono essere estesi all’Asso-
luto. Maritain rileva: «Feuerbach afferma che l’idea di Dio e i dogmi
religiosi non sono altro che una creazione spontanea del sentimento
e del desiderio, per cui Dio non è che un nome che l’uomo dà a se
stesso oggettivandosi. Dell’uomo stesso Feuerbach ha un’idea mate-
rialistica» (I, p. 1005); tanto che scrive, in una recensione del volume
Teoria degli alimenti di J. Moleschott, un fisiologo positivista: «L’ali-
mentazione umana è alla base della cultura. L’uomo è ciò che man-
gia […]. Gli alimenti si trasformano in sangue, il sangue nel cuore e
nel cervello, nei pensieri e nei sentimenti, e se il popolo, in una rivo-
luzione futura, ricevesse migliori alimenti avrebbe migliori probabi-
lità di successo» (ibid.). Secondo Feuerbach l’uomo trasferirebbe le
qualità che trova in se stesso dalla sua soggettività all’oggettività. A
ben guardare siamo di fronte al problema cruciale della conoscen-
za, alla relazione tra la soggettività del conoscere e l’oggettività del
sapere, che solo il realismo critico risolve, senza assorbire Dio nella
ragione. Ma questo problema gnoseologico non viene approfondito
da Feuerbach che, nel suo antropocentrismo, sviluppando l’affer-
mazione di Hobbes homo homini lupus, giunge ad affermare homo
homini deus preparando la formula di Marx «l’uomo è per l’uomo
l’essere supremo» (XIII, p. 212).
102 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Friedrich Engels

Se in Feuerbach troviamo le radici filosofiche dell’ateismo di


Marx, in Friedrich Engels (1820-1895) troviamo i presupposti eco-
nomici della sua dottrina politica. Anche questo pensatore e uomo
politico tedesco aveva rigettato il cristianesimo, dopo aver letto la
Vita di Gesù di Friedrich Strauss (1808-1874), il capofila della sini-
stra hegeliana, che considera la religione un mito, ed essersi accosta-
to alle posizioni di Feuerbach. Emigrato in Inghilterra per lavorare
in una fabbrica di cui il padre era comproprietario, nel 1845 pubbli-
ca il suo primo libro, La situazione della classe operaia in Inghilterra,
e l’anno seguente incontra Marx a Bruxelles e inizia una lunga col-
laborazione intellettuale e politica. Insieme, per incarico della Lega
dei Comunisti, stendono il Manifesto del partito comunista. Falli-
ta l’insurrezione, che analizza in Rivoluzione e controrivoluzione in
Germania (1852), torna in Inghilterra a lavorare con un posto diret-
tivo nella fabbrica del padre e aderisce all’Internazionale socialista.
Influenzato dalle teorie di Henry Morgan (1818-1881), antropolo-
go statunitense, che applica all’antropologia i criteri evoluzionisti di
Darwin, ritiene che le istituzioni sociali dipendano e possano essere
modificate dal divenire della storia, e nell’opera Dialettica della na-
tura (1885) sostiene che le leggi della filosofia hegeliana sono le leg-
gi dell’evoluzione. È proprio Engels a proclamare di «rimettere sui
suoi piedi» (XII, p. 806) la logica hegeliana, trasformando la dialet-
tica dell’Idea nella dialettica della Materia, per cui tutti i fenomeni
della vita sociale, la religione, la filosofia, la politica, l’arte non sono
che epifenomeni dell’economia e dell’evoluzione storica. Grazie a
questa evoluzione lo Stato è destinato a sparire, come pure tutte le
divisioni in classi, in una totalità sociale senza gerarchia, dove tut-
ti gli uomini saranno eguali. Ecco come Engels applica la dialettica
hegeliana all’analisi sociologica: al principio c’era una proprietà co-
mune del suolo (tesi), poi si passò alla proprietà privata individuale
e familiare (antitesi) e ora si torna ad un livello superiore alla pro-
prietà comune collettiva (sintesi).
Engels è anche affascinato dal positivismo di Comte, ma la sua
guida intellettuale rimane Hegel, se in una lettera del 7 luglio 1866
a Marx scrive: «I francesi e gli inglesi sono attratti da questo nome,
ciò che li seduce è il carattere enciclopedico, la sintesi. Tutto questo
è disdicevole se si paragona Comte ai lavori di Hegel» (XI, p. 698).
Sul piano filosofico si delinea il materialismo dialettico, perché En-
II. L’età delle ideologie 103

gels, quando affronta i problemi della conoscenza, non fa alcun rife-


rimento ad un’attività spirituale del soggetto conoscente, parlando
solo di «riflessi della realtà oggettiva nella coscienza» (XI, p. 598)
e perché per lui, come scrive testualmente, «la libertà consiste nel
comprendere la necessità» (XI, p. 642).

Karl Marx

Il più importante filosofo del socialismo scientifico, Karl Marx


(1818-1883), nasce a Treviri, da famiglia ebrea convertitasi al prote-
stantesimo, studia prima diritto e poi filosofia a Berlino, dove stringe
amicizia con i giovani hegeliani. Si laurea a Jena nel 1841 con una tesi
su Differenze tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epi-
curo. Fa il giornalista e, convinto che la società politica debba essere
rappresentativa dell’intera società civile, propone le elezioni politiche
a suffragio universale. Nel 1843 si trasferisce a Parigi, incontra Engels
a Bruxelles, entra in contatto con i circoli socialisti e comunisti, e par-
tendo da Feuerbach estende il concetto di alienazione dalla religione
all’economia e alla politica, affermando che la proprietà privata disu-
manizza l’uomo, lo priva della sua dignità, espropriandolo del prodot-
to del suo lavoro. Il distacco dal socialismo utopistico avviene con le
Tesi su Feuerbach, scritte nel 1845 ma pubblicate da Engels solo nel
1888. Espulso dalla Francia su richiesta della Prussia, ripara a Bru-
xelles, dove nel 1847 scrive contro Proudhon Miseria della filosofia e
insieme ad Engels prepara il Manifesto dei comunisti che viene pub-
blicato a Londra nel 1848 e, adottato dalla Prima Internazionale nel
1864, si diffonde in tutto il mondo. La loro collaborazione si definisce
meglio nel volume La sacra famiglia, nel quale irridono alla carità bor-
ghese, rifiutano il socialismo di Stato, proclamano che il comunismo è
una filosofia e che solo il materialismo può liberare l’uomo dall’aliena-
zione e dallo sfruttamento. Nel volume L’ideologia tedesca prendono
le distanze da Hegel, il socialismo sarà il risultato di una evoluzione
storica quando la classe operaia prenderà coscienza della sua missio-
ne. Nella conferenza Il crepuscolo della civiltà (29) Maritain analizza
questo processo storico: «In Marx, la genesi del comunismo è di or-
dine filosofico, deriva dagli impulsi ricevuti dalla sinistra hegeliana
e da Feuerbach. Nella concezione di Marx l’idea che il lavoro uma-
no viene disumanizzato dalla proprietà privata è derivata dall’idea di
Feuerbach che la coscienza umana è disumanizzata dall’idea di Dio.
104 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Ad un livello più profondo, la teoria del materialismo storico veicola


una posizione ateistica assoluta; essa implica, infatti, un processo uni-
versale di sostituzione del movimento dialettico della storia ad ogni
causalità trascendente e all’universo del cristianesimo; comporta, di
conseguenza, l’idea che il mondo della natura e quello umano sono
un divenire, che si pone di per se stesso, e questa idea esclude ogni
esistenza di Dio» (VII, p. 24).

Il primato della prassi

L’approccio di Maritain al marxismo è più filosofico che politi-


co, va subito al cuore della problematica epistemologica e rileva il
pragmatismo intrinseco a quel filosofare, che finisce per approdare
ad un falso realismo: «Sulla base della convinzione che conoscere
significa trasformare, Marx fonde in un’unica essenza il filosofo e
l’uomo di azione, riconosce come autentico filosofo soltanto colui
che milita per la rivoluzione. Ogni filosofo che non sia un pensatore
rivoluzionario viene così rigettato a priori fra gli pseudo-pensatori.
Tale idea della coscienza, consistente, nella sua stessa essenza, in un
processo trasformatore del mondo (una delle idee più profonde in
Marx e senza dubbio la più rivoluzionaria), a mio giudizio, è un er-
rore che svuota ogni libertà spirituale e ogni vera filosofia. Da essa
consegue che tutto quanto il pensiero è coinvolto nel movimento
stesso dell’azione transitiva e della dialettica del divenire, tutto inte-
ro immerso nella storia. Agli occhi di un metafisico abbiamo qui la
quintessenza dell’immanentismo e del materialismo di Marx» (VI,
pp. 255-256). Maritain si richiama ad Aristotele e alla sua distinzio-
ne tra conoscenza speculativa (conoscere per conoscere) e conoscen-
za pratica (conoscere per agire, al servizio della prudenza o conoscere
per fare al servizio dell’arte). Marx disconosce questa distinzione,
per lui «ogni conoscenza è essenzialmente trasformatrice delle cose
e la sua verità consiste nel suo verificarsi nella prassi» (VI, p. 926).
Così l’uomo non è ciò che è, o ciò che pensa, ma è ciò che fa, e Marx
identifica questa tesi nella dialettica hegeliana applicata alla mate-
ria. Nelle sue Tesi su Feuerbach si può leggere all’undicesima: «La
questione di sapere se il pensiero umano può raggiungere una veri-
tà oggettiva non è una questione teorica, ma una questione pratica.
È nella prassi che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà, la
potenza, la precisione del proprio pensiero. La controversia sulla
realtà o non realtà del pensiero, isolato dalla prassi, è una questione
II. L’età delle ideologie 105

puramente scolastica. I filosofi non hanno fatto altro finora che dare
diverse interpretazioni del mondo, ciò che importa è trasformarlo»
(VI, p. 345). Così la filosofia coincide con la storia, il pensiero con il
divenire. «Ciò che è più grave nel marxismo è il fatto che ci presen-
ta un filosofo che precipita la filosofia nell’attività pratica, sociale e
politica» (VII, p. 200). Il marxismo non solo ordina il pensiero all’a-
zione, ma identifica il pensiero nell’azione come tale, «fa consistere
la conoscenza stessa in un’attività sulle cose, un’attività di lavoro e
di dominazione della materia e di trasformazione del mondo» (VII,
p. 229).
Maritain analizza i «due caratteri dell’epistemologia marxista
che si possono chiamare praticismo e dialetticismo» e rileva che «il
modo con cui Marx afferma l’uno e l’altro significa la distruzione
della scienza» (VII, p. 228). Infatti Marx «non ordina solamente
all’azione la conoscenza come tale, ma fa consistere la conoscenza
stessa nell’azione […] in un’attività di lavoro e di trasformazione
del mondo» (ibid.). Marx «pretende di trovare nelle scienze stesse
il processo tipico della dialettica: l’automovimento del concreto per
negazione della posizione precedente», risolvendo la scienza nella
sua storia. «Questo processo consiste nel servirsi della storia di una
cosa per conoscere la natura della cosa, per spiegare la cosa stessa
con la sua storia» (VII, p. 230). Ma la poesia non è la storia della po-
esia, la fisica non è la storia della fisica.
Questi due aspetti, la prassi e la dialettica, si intersecano e si con-
dizionano reciprocamente, perché il successo di cui parla Marx non
è la riuscita individuale, come nel pragmatismo americano: «Non
si tratta, affatto, di una concezione pragmatistica che sostituisca il
rendimento pratico all’adeguazione alla realtà, per definire la verità.
L’operazione è più sottile e radicale insieme. È la verità stessa, l’ade-
guazione alla realtà, che è resa dipendente dalla prassi; e cambia, in
un senso o nell’altro, in ragione del fine pratico verso cui si muove,
in quel momento, il sapere dialettico» (XI, p. 627). I valori vengono
così storicizzati. «Verità, giustizia, bene, male, fedeltà, tutte le nor-
me della coscienza, oramai rese perfettamente relative, non sono più
che delle forme mutevoli del processo della storia, allo stesso modo
che per Cartesio esse non erano che delle creazioni contingenti del-
la libertà divina» (XI, p. 639). La verità muta a misura che il tempo
trascorre.
106 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Il rovesciamento dell’hegelismo
e la riabilitazione della causalità materiale

Maritain analizza la posizione di Marx nella storia della filoso-


fia, cercando di valutare il significato del ritorno al realismo dopo
l’illuminismo e l’idealismo: «Ciò che ha innanzitutto motivato il ca-
povolgimento marxistico, è stato l’istinto realista proprio dell’intel-
ligenza, una forte reazione del senso comune, convinto del primato
della cosa sull’idea e che non dubita del fatto che l’oggetto dell’in-
telletto umano sia la realtà extranozionale. Ma fin dall’inizio questo
realismo è stato concepito come un materialismo, la realtà extra-
mentale è stata confusa con la materia» (XI, p. 598). Si poteva ritor-
nare all’ilemorfismo di Aristotele, raccordando la causalità materiale
alla causalità formale ma «da più di due secoli, dopo Malebranche
e Spinoza, i filosofi avevano preso l’abitudine di considerare la cop-
pia soggetto-oggetto come equivalente alla coppia pensiero-materia»
(XI, p. 599). Per di più Marx veniva da una formazione hegeliana,
apparteneva alla sinistra hegeliana, per lui «una concettualizzazione
di questo genere era semplicemente impossibile: da un lato perché
la sua avversione per ogni forma di trascendenza gli impediva di
riconoscere l’autonomia dell’elemento spirituale nell’uomo e nella
storia umana; dall’altro lato perché, incorporando la dialettica
hegeliana nel reale extranozionale, egli cercava di capire il dinamismo
della realtà nella prospettiva dell’automovimento del discorso. Di
conseguenza la relazione di causalità reciproca nel senso aristotelico
veniva esclusa e sostituita dalla relazione dialettica» (XI, p. 600).
Mentre Hegel fa emergere dallo sviluppo dell’Idea la natura e
l’umanità, Marx fa uscire dall’evoluzione della Natura l’umanità e
l’idea. Il marxismo risulta così un hegelismo rovesciato, di cui con-
serva il monismo e lo sviluppo dialettico per opposizione, ma attri-
buisce alla materia tutte le caratteristiche che Hegel aveva attribuito
allo spirito. Esiste un unico essere, che è materia e, in questo unico
essere, i singoli individui, come in Spinoza, sono modi di essere, in-
consistenti, provvisori, immersi nel divenire evolutivo. La materia
non è una massa statica, ma è una realtà dinamica, vivente, animata
dalla dialettica della tesi e dell’antitesi, che si risolve in una sintesi,
che diventa tesi di un’ulteriore antitesi, per cui l’essere non è in di-
venire, ma è il divenire. Essere e divenire coincidono, l’essere è in
quanto assolutamente diviene il suo opposto; essere e non essere, ve-
ro e falso, bene e male si condizionano reciprocamente nel continuo
II. L’età delle ideologie 107

divenire. Marx conferma lo storicismo di Hegel, il suo è un materia-


lismo dialettico. «È ben chiaro che il materialismo di Marx non è il
materialismo volgare, né quello dei materialisti francesi del XVIII
secolo, né il materialismo meccanicistico, ma, avendo una qualità
tutta hegeliana, e confondendosi con un immanentismo perfetto è,
per un metafisico, più reale e più profondo» (VI, p. 345). Si tratta
di un immanentismo realista assoluto che rivaluta la causalità ma-
teriale, ma esclude dal divenire storico le altre cause, rovesciando
la posizione hegeliana che aveva risolto tutto nella causalità forma-
le. «L’assurdo misconoscimento idealistico della causalità materiale
doveva condurre, per reazione, ad una rivincita di quest’ultima, giu-
stificata nella sua origine, ma ugualmente insostenibile nei suoi risul-
tati; perché le due causalità sono richieste insieme come principio di
spiegazione della realtà» (VI, p. 347). Tutto nasce dalla materia in
evoluzione, non sono dunque il pensiero e la coscienza a determi-
nare la vita e la storia, ma al contrario è il divenire a determinare la
vita in evoluzione, che genera l’uomo, le società, le civiltà. L’econo-
mia diventa l’anima dello sviluppo della società, tutti gli altri proces-
si socioculturali, la filosofia, l’arte, la religione, diventano strutture
secondarie ininfluenti, che Marx chiama sovrastrutture. Maritain in
Umanesimo integrale (17) osserva: «Capisco bene che è necessario
rivedere l’interpretazione corrente del materialismo storico, secon-
do la quale tutta l’ideologia della vita spirituale non è che un epi-
fenomeno dell’economia. È questa l’interpretazione del marxismo
volgare, ed è ben lungi dall’essere trascurabile, perché è diventata
una forza storica. Marx però vedeva le cose con maggiore profon-
dità […] egli ha creduto sempre ad un’azione reciproca tra i fattori
economici e gli altri, l’economico considerato a sé non era dunque
per lui l’unica energia della storia» (VI, p. 346). Tuttavia, appro-
fondendo l’analisi, Maritain precisa alcuni snodi fondamentali del
marxismo: «Da una parte l’intuizione delle condizioni di alienazione
fatte nel mondo capitalistico alla forza-lavoro e della disumanizza-
zione da cui il possidente e il proletario simultaneamente sono col-
piti, Marx l’ha concettualizzata in una metafisica monistica, dove il
lavoro ipostatizzato diventa l’essenza stessa dell’uomo e dove, recu-
perando la propria essenza mediante la trasformazione della società,
l’uomo è chiamato a rivestire gli attributi, che l’illusione religiosa at-
tribuiva a Dio» (VI, p. 348), «dall’altra parte, se il fattore economi-
co, isolato in sé, non è per Marx l’unica energia della storia, rimane
il fatto che il dinamismo essenziale da cui procede l’evoluzione, es-
108 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

sendo quello delle contraddizioni economiche e degli antagonismi


sociali del regime di produzione, è il fattore economico a svolgere la
parte primariamente determinante rispetto alle diverse sovrastruttu-
re in azione reciproca con esso» (VI, p. 349). Terzo, di conseguen-
za, «queste sovrastrutture perdono ogni autonomia propria; per
esistere nella storia e per agirvi non solamente sono condizionate
dall’economico e dal sociale, ma ne derivano la loro determinazio-
ne primaria e ne ricevono il loro senso, il loro reale significato per
la vita umana» (VI, p. 351). Marx scrive in L’ideologia tedesca: «La
morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le
forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano la
loro autonomia, non hanno storia, non hanno sviluppo […]. Non è
la coscienza che determina la vita, ma è la vita che determina la co-
scienza» (XI, p. 601). Maritain in Per una filosofia della storia (51)
descrive la filiazione da Hegel del materialismo dialettico: «In Marx
come in Hegel si trova sostanzialmente la stessa idea e lo stesso ido-
lo; in ultima analisi, infatti, la dialettica marxistica è la stessa dialetti-
ca hegeliana che passa dal mondo dell’Idea al mondo della materia.
Questa derivazione hegeliana è la sola spiegazione dell’espressione
“materialismo dialettico”. La materia stessa per il marxismo è atti-
vata e pervasa da un movimento logico, dialettico. In altri termini,
nell’idealismo hegeliano si trovano degli enti di ragione, quegli enti
di cui si occupa la logica – in cui consiste la realtà, in virtù della co-
noscenza sperimentale forzatamente introdottavi – inabitata nella
realtà; mentre nel marxismo si trova la realtà, o la materia, inabitata
dagli enti di ragione» (X, p. 632). Poi precisa: «La filosofia marxista
della storia altro non è che la filosofia della storia di Hegel divenuta
atea, invece di essere panteista, e che vede la storia avanzare verso la
divinizzazione dell’uomo in virtù del moto dialettico della materia»
(X, p. 633).
Ma poiché l’uomo, nella lotta per la sua esistenza contro le forze
della natura, deve associarsi ad altri uomini per trovare nuovi mezzi
di produzione dei beni di consumo, la storia dell’umanità è la storia
economica dell’evoluzione dei mezzi e dei modi di produzione, che
Marx analizza e valuta secondo la legge hegeliana della dialettica per
contrapposizione.
II. L’età delle ideologie 109

La società capitalistica, il plusvalore e la lotta di classe

Secondo Marx in ogni tipo di società si possono distinguere due


classi contrapposte: i proprietari degli strumenti di produzione e
coloro che li usano. Le società variano e si modificano con il variare
delle forme e dei mezzi di produzione. La sua filosofia della storia
individua le grandi fasi dell’evoluzione dell’umanità. Nella comuni-
tà primitiva, quando gli uomini usano strumenti di pietra, cacciano
la selvaggina e vivono in comune, la proprietà era collettiva. Con
l’inizio dell’agricoltura e l’uso di strumenti di metallo come l’ascia e
l’aratro, i più forti si spartiscono le terre e nasce il latifondo e si ha
un regime di schiavitù. Nel regime feudale, grazie all’invenzione di
strumenti per il lavoro artigianale, si costituisce la piccola proprie-
tà accanto alla grande proprietà terriera; ma con l’invenzione della
macchina e la necessità di grandi capitali nasce la grande industria.
In questa situazione economica il possesso dei mezzi di lavoro è con-
centrato nelle mani di pochi proprietari, e la massa dei lavoratori
è costretta a vendere la propria forza-lavoro, che diventa così una
merce. Si è determinata una situazione storica in cui alla società di
produzione di modo collettivo si contrappone una società di consu-
mo ancora a base individuale e familiare, con grande svantaggio per
i lavoratori. Secondo Marx si può porre rimedio a questa ingiusti-
zia solo con la collettivizzazione anche dei consumi, e sarà lo stesso
capitalismo a creare le premesse per l’avvento di una società comu-
nista. Bisogna sostituire ad un’economia dove il lavoro aumenta il
capitale, dove l’economia è fine a se stessa, e impoverisce il lavorato-
re, dove si giunge ad una sovraproduzione con grande riserve di be-
ni e pochi acquirenti, un’economia socializzata nella quale il capitale
sia utilizzato per migliorare il tenore di vita dei lavoratori. Maritain
nella conferenza Gli ebrei tra le nazioni raccolta nel volume Il miste-
ro di Israele (59) rileva che anche in Marx c’è una forma di antisemi-
tismo, perché egli ritiene che ci sia «una specie di pre-adattamento
e di mutuo concorso tra lo spirito di avventura ebraico e lo spirito
di avventura capitalista e che in nessuna parte la giudaicità sia più in
casa che nella civiltà capitalista» (XII, p. 489).
La lotta di classe implica la necessità di usare la violenza. Marx
la legittima moralmente, in una sorta di nuovo machiavellismo, per-
ché, anche per lui, il fine giustifica i mezzi. «La constatazione che
la forza è la levatrice della storia pone per Marx un solo problema,
quello di poterla conquistare» (VI, p. 570). La lotta di classe e la dit-
110 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

tatura del proletariato sono una necessità storica, perché «il prole-
tariato ha la missione sacra di salvare il mondo» (VI, p. 414) e solo
quando tutto il mondo sarà conquistato al comunismo sarà possibile
la pace. Maritain rileva che Marx ha operato nella società una sorta
di secessione di una parte rispetto al tutto «e ha chiesto agli operai
di tutto il mondo di non cercare altro bene comune che quello della
propria classe» (XI, p. 39) sostituendo al concetto di popolo come
corpo politico il concetto di classe, proprio come il nazionalsociali-
smo sostituisce al concetto di popolo il concetto di razza.
Maritain, in uno dei suoi ultimi scritti, Una società senza denaro
(XVI, pp. 1137-1152), osserva che è un’illusione credere alla fecon-
dità del denaro e che il concetto di plusvalore non è un concetto solo
marxistico, perché già la Chiesa per un certo tempo aveva ritenuto
illecito il guadagno ottenuto con gli interessi sul capitale. Infatti «la
somma di cui si tratta, stabilita prima ad un certo tasso di rendimento,
non può essere in realtà che un prelievo su quanto dovuto al lavoro
dell’uomo. È questa la qualità che caratterizza il regime capitalista.
Questo concetto non è stato inventato da Marx; egli non aveva che da
constatarlo, come possiamo fare noi, se abbiamo occhi per vedere. Ciò
che è proprio di Marx è di averne fatto, proclamando la lotta di classe,
uno strumento per la sua rivoluzione» (XVI, p. 1150). «Tanto quanto
Marx, anche san Tommaso ha la percezione dell’umiliazione inflitta
all’uomo dall’alienazione del lavoro al profitto altrui, che Tommaso
chiama servitù» (VIII, p. 89). Il marxismo promette, attraverso la lotta
del proletariato, una liberazione dell’uomo, e risolve il problema con
la violenza, trasferendo allo Stato ogni forma di proprietà. Maritain
osserva che malgrado il profitto sia il male radicale del capitalismo,
è preferibile vivere in libertà in un regime capitalista, cercando degli
strumenti per rimediare ai danni provocati dalla ricerca del profitto,
piuttosto che in un regime comunista, il quale come regime totalitario,
come dittatura del proletariato, toglie all’uomo la libertà, che è il dono
più prezioso della persona umana.

L’antropologia dell’uomo collettivo

Il marxismo vorrebbe liberare la persona umana dalla sua alie-


nazione, dovuta all’organizzazione capitalistica del lavoro, che fa del
denaro un valore assoluto, ma, a causa della sua filosofia, finisce per
negarle la dignità, l’identità personale, riducendola ad un modo di
essere del tutto collettivo e, a causa della sua politica, la subordi-
II. L’età delle ideologie 111

na allo Stato e al partito unico che vi si identifica. Marx scrive nel-


le tesi su Feuerbach: «Il materialismo storico considera che la vera
natura umana è costituita dalla sua attività sociale» (VI, p. 500) e
Maritain commenta: «Di qui la sua concezione immanentistica del
lavoro considerato come una specie di sostanza comune e assoluta,
ove si attualizza l’essenza dell’uomo e che non è messa in rapporto
né a oggetti, né all’attività creatrice della persona» (ibid.). L’analisi è
molto precisa: «Come ogni uomo, soprattutto come ogni grande uo-
mo di azione, Marx credeva praticamente nel libero arbitrio, cioè in
quella padronanza della volontà sui propri atti, mediante la quale la
volontà domina interiormente tutto il condizionamento dei suoi at-
ti, ma speculativamente la sua filosofia gli interdiceva questa creden-
za spiritualistica e riduceva la libertà dell’uomo alla spontaneità di
un’energia vitale che, mediante la presa di coscienza del movimento
della storia, diveniva la forza più efficace e più profonda di questa»
(VI, p. 439). «L’uomo, agli occhi di Marx, non è un prodotto passivo
dell’ambiente, l’uomo è attivo, agisce sull’ambiente per trasformar-
lo, ma nel senso fissato dall’evoluzione economica e sociale» (ibid.).
Fa parte anche lui del determinismo universale, per cui la libertà è
un postulato fittizio della filosofia, perché chi esiste, non è la singo-
la persona, ma è l’umanità nella sua interezza in un dato momento
storico del divenire dialettico, il singolo è solo un modo di essere.
In realtà, il marxismo non può ammettere la libertà di scelta, ma
solo la libertà di chi aderisce al divenire della storia. Maritain preci-
sa: «Marx cerca una libertà infinitamente più ambiziosa, perché per
lui la volontà umana è, a dire il vero, l’unico spirito della storia, di
una storia, che nessun Dio trascendente governa dall’alto; e quando
la volontà umana sarà uscita dal suo stato di alienazione, la storia tut-
ta intera andrà dove la volontà umana vuole, sarà il Dio della storia,
farà la storia da sovrana assoluta» (VI, p. 441). Osserva, inoltre, che
la liberazione finale con la fine dello Stato resta un’illusione politica,
proprio per la collettivizzazione dei mezzi di produzione: «La libera-
zione che esso si propone sarebbe in realtà la liberazione dell’uomo
collettivo, non della persona individuale; e se supponiamo che alla fi-
ne lo Stato sia abolito, in compenso la società come comunità econo-
mica subordinerebbe a sé tutta la vita delle persone» (IX, p. 229). Ma,
a prescindere da queste considerazioni, etico-sociologiche, Maritain
rileva che Marx svaluta la stessa attività intellettuale dell’uomo. «A
differenza di ogni realismo autenticamente filosofico, il realismo mar-
xista non ha alcuna idea dell’attività specifica dello spirito nell’opera
112 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

di conoscenza e della libertà di movimento con la quale l’intelligenza


produce in se stessa, compone, divide, manipola i suoi concetti, al fi-
ne di rendersi, attraverso essi, conforme alla realtà» (XI, p. 619). Per
Marx la nostra conoscenza è solo un riflesso della realtà nello spec-
chio del nostro cervello, e Lenin considera i concetti una copia, una
fotografia, della realtà, come un doppione delle cose, alla maniera di
Cartesio. Per il marxismo «il fatto che gli oggetti conosciuti, proprio
in quanto conosciuti, abbiano una loro vita nello spirito umano, che è
caratteristica dell’universo della logica, viene completamente ignora-
to» (XI, p. 620). Tutta l’attività dell’uomo è risolta nell’attività sociale,
per realizzare il comunismo, che per Marx è il compiuto umanesimo;
come scrive nei Manoscritti economico-filosofici è «la vera soluzione
del contrasto dell’uomo con la natura, e dell’uomo con l’uomo, la vera
soluzione del conflitto tra esistenza ed essenza, fra oggettivazione e
affermazione soggettiva, fra libertà e necessità […] è risolto l’enigma
della storia» (XI, p. 641).

La morale comunista

Maritain constata: «La prospettiva di Hegel era innanzitutto


metafisica, quella di Marx innanzitutto sociale, nessuno dei due ha
scritto un trattato consacrato all’etica, tuttavia i problemi e la dot-
trina del comportamento umano occupano un posto nelle loro ri-
flessioni» (XI, p. 656). L’affermazione di Benedetto Croce secondo
cui «dissertare sull’etica secondo Marx è fatica vana per mancanza
di materia»15 è inesatta. Avere considerato l’etica una sovrastruttura
non impedisce a Marx di avere un’etica, pur facendola un semplice
riflesso dell’infrastruttura economica, pur rifiutando «nozioni come
quella di giustizia, di diritto naturale, di verità eterna, di precetto
immutabile, nozioni ritenute contaminate di platonismo e di ipo-
crisia» (XI, p. 657). Anche Marx ha il suo «imperativo categorico
che risulta dal fatto che l’uomo è l’essere supremo per l’uomo […]
un imperativo etico, perché l’uomo è la suprema necessità della sto-
ria» (XI, p. 659). In base allo storicismo, per cui non esistono valo-
ri assoluti, non può esistere un dover essere, ma, osserva Maritain,
«qui abbiamo a che fare con il santo dei santi, con l’anima hegeliana
del marxismo» (ibid.), perché l’uomo è il sommo legislatore e tutto
quanto avviene nella storia è per il suo bene, e cita una riflessione

15
B. Croce, Materialismo storico ed economia marxista, Laterza, Bari 1944.
II. L’età delle ideologie 113

di Garaudy: «La morale sarà veramente laicizzata solo se rinuncerà


all’opposizione metafisica tra bene e male, a questo dualismo che
non è che l’ombra terrestre della religione»16.
Marx ed Engels credono «alla bontà naturale degli uomini, alla
loro uguaglianza di attitudini intellettuali, all’onnipotenza dell’espe-
rienza, dell’abitudine, dell’educazione»; secondo loro l’ingiustizia, lo
sfruttamento nascono dalle strutture sociali; così criticano «l’ipocrisia
della morale borghese, la sua buona coscienza, le sue sanzioni legali,
che trattano il criminale come una pura libertà astratta» (XI, p. 659).
Il male non è nell’uomo, ma nella società borghese, che bisogna ab-
battere. «Le virtù fondamentali sono quelle richieste dallo sforzo per
l’avvento del comunismo: la solidarietà di classe, la disciplina, l’odio
inesorabile contro ogni oppressione e sfruttamento, l’entusiastico do-
no di se stessi alla costruzione della società comunista» (XI, p. 674).
Alla fine di questa lotta l’uomo troverà la pienezza della libertà: «Io
non lavorerò più per vivere, il mio lavoro sarà la mia vita. La produ-
zione, diventata umana, non sarà più che un’oggettivazione dell’in-
dividuo» (XI, p. 671). Ne consegue che «la morale marxistica è una
morale escatologica» (XI, p. 665), cerca il Regno di Dio nella storia.
Maritain rileva la contraddizione della morale marxiana che vuo-
le essere insieme relativista, perché non esistono valori assoluti, in
quanto la moralità è una categoria storica, che cambia con il mutarsi
della situazione socioeconomica, e fondamentalista «perché impone i
suoi precetti (per quanto variabili essi siano, a seconda delle fasi del-
lo sviluppo) in modo incondizionato» (XI, p. 675) e conclude: «Dal
punto di vista veramente etico, domandare all’uomo di sentirsi asso-
lutamente obbligato in coscienza ad una condotta il cui oggetto non
comporta in sé alcuna bontà intrinseca e risponde soltanto ad un inte-
resse sociale momentaneo o al movimento della storia, è una sfida alla
ragione come alla dignità della coscienza» (XI, p. 676).

L’ultima eresia cristiana

Maritain vede nel comunismo un’eresia cristiana17, in se stessa


contraddittoria, perché da una parte vuole realizzare la solidarietà tra

16
R. Garaudy, Le Communisme et la morale, Editions Sociales, Paris 1945, p. 17.
17
Gli Stati totalitari-nazionali, eredi del vecchio antagonismo dell’Impero pagano
contro il Vangelo, rappresentavano una forza esterna eretta contro il cristianesimo per
asservirlo o annientarlo in nome del Potere politico divinizzato. «Al contrario, nono-
stante la filosofia materialista nella quale si concettualizza e che gli travisa il proprio
114 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

gli uomini e tra i popoli, mentre dall’altra è legato al filosofie come


l’hegelismo e il marxismo che sono delle teologie rovesciate; nel Breve
trattato dell’esistenza e dell’esistente (42) si domanda: «Il panlogismo
di Hegel è stato il supremo sforzo della filosofia moderna di assorbi-
re tutti i cieli dello spirito nell’assolutismo della ragione. E dopo si è
avuta la disperazione della ragione, ma di una ragione sempre posse-
duta, sempre ferita dall’ossessione teologica, diventata ossessione an-
titeologica. Quando Feuerbach ha dichiarato che Dio era creazione e
alienazione dell’uomo, quando Nietzsche ha proclamato la morte di
Dio, essi sono stati i teologi delle nostre filosofie contemporanee. Per-
ché sono così carichi di amarezza, se non perché si sentono incatena-
ti, loro malgrado, ad una trascendenza e ad un passato che debbono
sempre uccidere e nella cui negazione affondano le loro stesse radi-
ci?» (IX, p. 131). «L’ateismo è il termine finale della dialettica interna
dell’umanesimo antropocentrico» (IX, p. 368).
Charles Péguy aveva iniziato il giovane Maritain al socialismo
sulla base di un criterio morale, insegnandogli che la rivoluzione sarà
morale o non sarà vera rivoluzione. Al termine della vita Maritain de-
ve constatare il fallimento di questa prospettiva socialista: «Di fatto
la rivoluzione si è prodotta nella forma di una rivoluzione marxista e
atea, in una certa parte del mondo, in Russia. È qui che la rivoluzio-
ne ha avuto luogo ed è stata una rivoluzione interiormente corrotta,
non, quindi, la rivoluzione etica di Péguy, ma la rivoluzione materia-
listica di Lenin» (X, p. 669). Questa rivoluzione si è diffusa in tutto
il mondo, in Asia, nell’America Latina, in Africa, contaminandosi
anche con il capitalismo come in Cina. Maritain constata, non sen-
za tristezza: «La possibilità di vedere prodursi, ora, una rivoluzio-
ne péguystica, se così posso dire, una rivoluzione sociale cristiana, è
sparita dalla storia […]. Ciò che i cristiani debbono fare oggi non
è sognare una rivoluzione sociale cristiana, ma sforzarsi di fare pre-
valere l’ideale cristiano nei progressivi adattamenti secondo i quali
il mondo non comunista attuerà i cambiamenti richiesti da quella
stessa giustizia sociale che è stata il vero stimolo della rivoluzione
comunista, anche se l’ideologia di quest’ultima non ha permesso di

significato essenziale, il comunismo, che si situa nella linea storica del razionalismo mo-
derno, dell’umanesimo antropocentrico e delle aspirazioni democratiche passate sotto
l’obbedienza immanentista (e in lotta ideologica con le proprie fonti cristiane), in real-
tà deve essere considerato come un’eresia cristiana, l’ultima e del tutto radicale eresia
cristiana», «donde consegue che i comunisti e i cristiani hanno cattiva coscienza gli uni
verso gli altri» (IX, p. 233).
II. L’età delle ideologie 115

farne menzione» (ibid.). La rivoluzione comunista «si è condanna-


ta ad un’opera distruttiva, che voleva cambiare la faccia della terra,
senza prima cambiare il proprio cuore» (V, p. 439). Alla radice del-
la rivoluzione socialista Maritain vede il primato dell’azione sulla
contemplazione cioè «il primato faustiano dell’azione in Marx e la
prassi considerata come criterio di verità» (XII, p. 806). La filosofia
della prassi è diventata l’ideologia del partito comunista, tanto che
Antonio Gramsci (1891-1937) giunge a scrivere: «Ogni filosofia è
una politica e ogni filosofo è essenzialmente un uomo politico» (XI,
p. 630) e Lukács precisa, in coerenza con il materialismo dialettico,
che «il criterio di valutazione non è il semplice successo, ma il suc-
cesso voluto dalla storia» (XI, p. 683).
Infine nel suo giudizio sugli avvenimenti della storia moderna
Maritain ritorna a sottolineare la responsabilità dei cristiani e cita
questa riflessione del filosofo russo Nikolaj Berdjaev: «La posizione
del mondo cristiano di fronte al comunismo non è solo la posizione
di colui che porta in se stesso la verità eterna e assoluta; è anche la
posizione del colpevole, che non ha saputo realizzare questa verità e
che l’ha tradita» (V, p. 426).
La critica di Maritain al comunismo si basa sulla filosofia politi-
ca di san Tommaso, secondo la quale la proprietà è, per sua natura,
privata, in ragione stessa della produzione cioè della recta ratio facti-
bilium (la virtù dell’arte), mentre l’uso di questa proprietà deve essere
comune per la recta ratio agibilium (la virtù della prudenza). Maritain
sviluppa: «La legge dell’appropriazione personale (in forma individuale
o associata) è altrettanto importante della legge dell’uso comune» (VI,
p. 499). Rileva come il capitalismo e il comunismo abbiano alterato
le condizioni del fare umano che possono essere soddisfatte solo
nella libertà, nell’amicizia civile, con una politica economicamente
avveduta. Il comunismo porta al collettivismo e alla tirannide, perché
nella società socialista «se l’individuo si prende cura della buona
gestione dei beni, non è perché egli sia direttamente responsabile
dell’opera stessa, che produce, che non è più la sua cosa, e la cui riusci-
ta e il cui naufragio non lo tocca più, non lo interessa più; ma è perché
è responsabile davanti alla collettività, di cui è servitore, di fronte ad
altri uomini che lo castigheranno, se svolge male il suo compito» (V,
p. 506). Per Marx è la società, organizzata in Stato, non la coscienza
responsabile davanti a Dio, ad essere il punto fondamentale di riferi-
mento. In questo senso Maritain scrive: «Il marxismo resta tributario
del messianismo utopico inerente, fin dall’inizio, alla tradizione sociali-
116 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

sta. A dispetto delle esigenze teoriche della dialettica, vede sorgere dai
conflitti della storia una umanità comunista, che appare come il punto
conclusivo, dove tutto sarà riconciliato, come nel Verbo di Dio» (VI,
p. 361). Il marxismo vuole realizzare sul piano della natura e della sto-
ria quell’umanità perfetta, che si potrà realizzare ad opera della grazia
di Dio sul piano della soprannatura solo alla fine della storia nel Re-
gno di Dio. «Nella lotta di classe e in questo messianismo escatologico
è stata falsata la presa di coscienza della dignità della classe operaia.
Questo culto dell’assoluto nella storia segna il passaggio dall’hegeli-
smo rudimentale del nazionalsocialismo, che aveva divinizzato la raz-
za, ad un hegelismo più profondo, che divinizza la classe proletaria
nel divenire dialettico della lotta di classe» (VI, p. 414).
L’errore dei socialismi consiste nella convinzione di poter mo-
dificare e migliorare l’uomo modificando le strutture sociali: «L’am-
biente è qualche cosa di esteriore all’uomo, non è per nulla l’uomo
stesso. Nel migliore ambiente possibile l’uomo stesso, con le sue
grandezze e le sue miserie, non potrebbe essere cambiato di un so-
lo iota» (XVI, p. 1144). Secondo Maritain il male non è solo nelle
strutture sociali sbagliate, ma soprattutto nel cuore dell’uomo, che
solo la grazia e la misericordia di Dio possono rimediare.

7. Lo spiritualismo italiano
Come in Francia, anche in Italia troviamo un indirizzo filoso-
fico che parte dall’illuminismo e si propone lo studio dell’origine
delle idee. I filosofi di questa scuola furono detti “ideologi” e nel-
la loro difesa dell’attività dello spirito, inderivabile dall’esperienza,
si avvicinano a Kant, che, non conoscendo direttamente, ma attra-
verso traduzioni imperfette o da citazioni di altri pensatori, spes-
so fraintendono, sempre però evitando di chiudere la conoscenza
nei limiti del fenomeno. Iniziata da Melchiorre Gioia (1767-1829)
nel Collegio Alberoni di Piacenza, centro di diffusione e di critica
del sensismo, questa scuola trovò con Giandomenico Romagnosi
(1761-1835) una posizione di equilibrio tra l’empirismo e il razio-
nalismo, indicando il processo gnoseologico in una componenza di
senso e di intelletto. L’inizio del conoscere è nella sensazione, per-
ché nulla vi è di innato, se non la capacità di conoscere, ma la sensa-
zione da sé non fa conoscenza se non interviene, con le sue forme a
II. L’età delle ideologie 117

priori, lo spirito, che se è una tabula rasa, non è però passività, ben-
sì attività. Ma il vero iniziatore dello spiritualismo è Pasquale Gal-
luppi (1770-1846), docente dell’Università di Napoli, che scrive la
prima storia italiana della filosofia moderna con le Lettere filosofiche
su le vicende della filosofia da Cartesio a Kant (1827). Il suo pensiero
ebbe una vasta diffusione; i suoi sei volumi di Elementi di filosofia
(1820-1827) erano diffusissimi nelle scuole del tempo, ma l’avvento
di Rosmini e di Gioberti, la mancanza di una solida metafisica fecero
declinare la sua fama.
Maritain non prende in considerazione questi pensatori (si può
rintracciare un solo rimando a Rosmini in una nota in una conferen-
za su Lo spirito della filosofia moderna tenuta all’Institut Catholique
di Parigi nel 1914 [I, p. 855]), ma dobbiamo considerare almeno
Rosmini e Gioberti. Nel primo, a prescindere dall’impostazione
gnoseologica legata a Kant, che falsa l’impostazione di base del suo
sistema, sul piano della metafisica e dell’etica si può riscontrare un
certo parallelismo tra i due filosofi. Il secondo, criticando Rosmini,
rimanda a quell’ontologismo, che Maritain aveva indicato come uno
degli errori radicali del pensiero moderno.

Antonio Serbati Rosmini

Il più importante esponente dello spiritualismo, Antonio Serba-


ti Rosmini (1797-1855), nasce a Rovereto, studia nell’Università di
Padova, viene ordinato sacerdote a Chioggia e in seguito si trasfe-
risce a Milano. Nel 1830 fonda a Domodossola una Congregazione
di religiosi dediti all’educazione della gioventù, e a Borgomanero
un collegio. Rosmini, amico di Tommaseo e di Manzoni, ben rap-
presenta lo spirito della cultura italiana di questo periodo. Era sua
intenzione compilare un’enciclopedia in diversi volumi, da contrap-
porre a quella francese degli illuministi e a quella tedesca di Hegel,
ma la mole del lavoro intrapreso non poté essere portata a termine.
Ci rimangono numerose opere, che rivelano la profondità e l’origi-
nalità del suo pensiero, la sua preparazione storica, il suo interesse
verso tutti i problemi dibattuti in quel tempo. L’opera più nota agli
storici della filosofia riguarda il problema della conoscenza, Nuovo
saggio sulle origini delle idee (1830), che doveva essere l’introdu-
zione di un’Enciclopedia filosofica. Rosmini prima di presentare il
suo parere, fa la storia della questione trattata ed esamina le solu-
118 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

zioni precedenti. Nell’Introduzione alla filosofia (1850) dichiara che


si debbono cercare i punti di accordo tra i vari sistemi filosofici,
per giungere ad una conciliazione critica, non eclettica; indica come
principi fondamentali del metodo la libertà del ricercatore e la dedu-
zione delle affermazioni da una prima verità, conoscibile per intuito.
Al problema morale dedica due opere: i Principi della scienza morale
(1831) in cui espone la sua dottrina e la Storia comparativa e critica
dei sistemi intorno al principio della morale (1837). Un’operetta, pub-
blicata postuma, riassume il suo sistema: Breve schizzo dei sistemi di
filosofia moderna e del proprio sistema. Rosmini si interessa di psicolo-
gia e di pedagogia, scrivendo numerose opere tra cui Dell’educazione
cristiana (1823), Sull’unità dell’educazione (1827), Del principio su-
premo della metodica (postumo). Rosmini nel 1848 svolge per conto
del governo piemontese una missione a Roma. Il suo pensiero politi-
co-religioso, per l’arditezza di alcune affermazioni e anche per il suo
liberalismo, suscitò dubbi e perplessità negli ambienti conservatori e
due opere del 1848, Le cinque piaghe della Chiesa e La Costituzione
secondo giustizia sociale, furono poste all’Indice. Ma è stato riabilita-
to, nel 1994 è iniziata la causa di beatificazione, nel 1998 Giovanni
Paolo II nell’enciclica Fides et ratio lo elenca tra i filosofi cristiani.
Ma, a questo proposito, bisogna distinguere tra la filosofia e il filoso-
fare dei cristiani. È questione di verità, perché o ha ragione chi affer-
ma che l’intuizione dell’essere nasce a posteriori nell’esperienza o chi
ritiene che sia un’idea a priori, quasi una funzione dello spirito come
dice Rosmini. È questo un nodo cruciale della storia della filosofia,
basti ricordare la questione dell’intelletto attivo nel pensiero arabo
e cristiano. Per Maritain c’è una sola filosofia cristiana ed è quella
aristotelico-tomista. Ma a prescindere dalla gnoseologia il pensiero
rosminiano in metafisica, in morale, in politica, in filosofia del diritto
non è lontano dal realismo tomistico. Dal 1906 esce una «Rivista ro-
sminiana di filosofia e di cultura», nel 1966 a Stresa è stato fondato il
Centro internazionale di studi rosminiani. È in corso la pubblicazio-
ne dell’opera omnia presso l’editrice Città Nuova di Roma.

L’idea dell’essere in generale

Come per Kant, anche per Rosmini la conoscenza, anziché por-


si come processo astrattivo del pensiero dall’essere, è una sintesi a
priori di materia e di forma, ma diverse sono le conclusioni nei due
pensatori. In Rosmini si hanno due elementi nuovi, l’idea dell’essere
II. L’età delle ideologie 119

in generale e il sentimento fondamentale. L’idea dell’essere in generale


è l’a-priori di Rosmini; essa non deriva dall’esperienza, perché l’espe-
rienza non può darci che oggetti particolari, non deriva dal nostro io,
perché è limitato e finito, mentre l’idea in questione è proprio l’idea
dell’essere indeterminato. Questa idea è innata; l’uomo non può pen-
sare a nulla senza presupporla, quando noi conosciamo una qualsiasi
cosa, immediatamente applichiamo a questo concetto, che pensiamo,
l’idea dell’essere che abbiamo in noi. Dunque il trascendentale, la for-
ma per eccellenza del nostro conoscere, non è l’io, il pensiero, ma
è l’essere. Questa idea, che Rosmini chiama essere ideale, perché è
un’entità logica, e non va confusa con l’essere reale, è una pura for-
ma, una funzione, ma ha un contenuto di conoscenza. Non è l’idea
di qualche cosa, ma di un essere possibile, universale e indetermina-
to, è l’idea più generale che si possa avere, dotata di queste caratte-
ristiche: oggettività, semplicità, necessità, universalità, immutabilità.
Mentre nell’innatismo platonico e cartesiano vi erano molte idee ed
erano concrete, qui invece vi è una sola idea, ed è indeterminata. Non
è l’idea di Dio, perché Dio, essere assoluto, non può essere scambiato
con un’idea generalissima, ma è la luce interiore posta da Dio in ogni
uomo che nasce. Rosmini così definisce questa idea: «L’idea dunque
universalissima di tutte, che è anche l’ultima delle astrazioni, è l’essere
possibile, che si esprime semplicemente nominandolo idea dell’esse-
re. L’idea dunque dell’essere è l’universalissima, è quella che rimane
dopo l’ultima astrazione possibile, è quella idea tolta la quale è tolto
interamente il pensare, ed è resa impossibile qualsiasi altra idea»18.
Definizioni che veicolano una certa ambiguità perché, se questa idea
universalissima è «l’ultima astrazione possibile», deriverebbe dall’e-
sperienza e non sarebbe una forma a priori.
Il sentimento fondamentale è la sensazione di essere sostanzial-
mente uniti al proprio corpo, il senso generale di benessere e di
malessere, il punto di unione tra l’anima e il corpo, cioè quel sen-
so organico che la psicologia moderna chiamerà cenestesi, in altri
termini è la sensazione della propria esistenza. Il sentimento fon-
damentale e l’idea dell’essere sono rispettivamente le forme trascen-
dentali della sensazione e dell’intellezione.

18
A. Rosmini, Nuovo saggio sull’origine delle idee, Libraria Editoriale Sodalitas-
Centro internazionale di studi rosminiani, Stresa, riproduzione anastatica in due volu-
mi dell’edizione Intra del 1875-1876, vol. I, pp. 440-442.
120 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Il processo gnoseologico avviene così in due momenti: la perce-


zione sensitiva, in cui il soggetto avverte di essere stato modificato nel
sentimento fondamentale, ma non ha coscienza dell’oggetto, che ha
causato la modificazione. A differenza quindi di Galluppi e di Aristo-
tele la sensazione non coglie l’oggetto sensibile, ma solo la modifica-
zione soggettiva provocata da questi. Segue la percezione intellettiva,
che consiste in un giudizio sintetico a priori, in cui il soggetto cono-
scente applica alla sensazione l’idea dell’essere: il sentimento fonda-
mentale modificato fa da materia, l’idea dell’essere da forma.
Ma proprio qui, dove il pensiero rosminiano sembra avvicinar-
si al criticismo kantiano, se ne distacca. Infatti le categorie kantiane
(che sono dodici, mentre qui ce n’è una sola) sono create dal sog-
getto, sono forme, attività, trascendentali, e non contenuto di cono-
scenza; invece l’idea dell’essere rosminiana è oggettiva, innata, data
da Dio all’uomo, realtà logica e non attività fenomenica. Ne risulta
l’oggettività della conoscenza, proprio perché si tratta della catego-
ria dell’essere, che applicata alla sensazione ci fa conoscere l’oggetto
nella sua realtà intelligibile. Più che al soggettivismo kantiano sia-
mo vicini all’oggettivismo aristotelico, ma diverso è il procedimento
gnoseologico: infatti in Aristotele la categoria dell’essere, la princi-
pale, era tratta per astrazione dall’oggetto, qui invece è innata nel
soggetto. Per analisi derivano dall’idea dell’essere le idee pure, cioè
non ricavabili dall’esperienza, come l’identità, la non-contraddizio-
ne, la sostanza, la causa; mentre sono idee non pure quelle derivanti
dall’unione dell’idea dell’essere con l’esperienza, come il tempo, la
sostanza materiale, lo spazio, il moto. Tutto questo sul piano della
ragione e della filosofia, accanto al quale va considerato il piano del-
la fede e della religione, per quelle verità non intelligibili all’uomo,
ma intelligibili a Dio, e quindi sovrarazionale e non irrazionali, e ri-
velate da Dio all’uomo. Tra ragione e fede, come in san Tommaso
e Galileo, vi è dunque distinzione e non opposizione. Di fronte a
questa gnoseologia Maritain osserverebbe che Rosmini non ricono-
sce l’intelligibilità propria dell’essere, perché gliela fa attribuire dal
soggetto conoscente.

La metafisica e la morale

La filosofia di Rosmini, a parte il processo gnoseologico, non


si stacca dal realismo di san Tommaso. In metafisica abbiamo un
pluralismo di esseri che hanno l’essere, ordinati verso Dio, che è
II. L’età delle ideologie 121

l’essere, che li crea e li chiama a sé Ma il modo di formulare que-


sta metafisica è diverso, perché la riflessione rosminiana si sviluppa
intorno all’idea dell’essere. Rosmini, superando la coincidenza ide-
alistica tra essere e pensiero, distingue tra essere ideale, cioè essere
mentale, logico, ed essere reale, cioè essere reale, metafisico. Poiché
l’idea dell’essere, che deriva appunto dall’essere, per essere ogget-
tiva, non può derivare da esseri particolari e contingenti, deve pure
esistere un Essere reale infinito, necessario, da cui essa possa deri-
vare. Superando il monismo degli idealisti, Rosmini distingue tra
esseri reali finiti ed Essere reale infinito, Dio. Infine gli esseri finiti si
distinguono in fisici e spirituali, cose e uomini, distinguendo così la
natura dallo spirito, anziché fare emergere la natura dallo spirito, o
lo spirito dalla natura.
Dio è l’Essere assoluto, ove essere ideale ed essere reale coincido-
no fino all’identità, ed è, perciò stesso, anche il sommo bene, perché
l’essere morale è appunto l’adeguazione dell’essere reale all’essere
ideale. Così la morale si fonda sulla metafisica, l’agire sull’essere.
Lontano dal formalismo kantiano del dovere per il dovere, lonta-
no dall’utilitarismo inglese del dovere per il piacere, in Rosmini il
dovere è per l’essere; non è cioè una forma vuota, né ha un conte-
nuto estraneo, ma ha un contenuto suo proprio: è la realizzazione
dell’intelligibile, della pienezza della natura umana. Il valore mora-
le dipende quindi dal grado di entità dell’oggetto posto come fine
dell’azione; ora l’oggetto può essere sensibile particolare o intelligi-
bile universale: nel primo caso si ha l’utile, nel secondo il bene. Il be-
ne quindi è l’essere, non una forma universale alla maniera kantiana,
il cui soggettivismo, anche se universale (perché l’uomo deve agire
in modo che anche gli altri uomini possano agire come lui) e non in-
dividuale e utilitaristico, resta sempre un soggettivismo.
L’agire umano dipende da un giudizio di stima sul valore dell’a-
zione da intraprendere formulato dall’intelligenza, a cui la volon-
tà deve adeguarsi, ma liberamente, perché tra il conoscere e l’agire
c’è il libero arbitrio, che rende possibile la responsabilità dell’azio-
ne morale. La morale di Rosmini è equidistante dall’intellettualismo
etico, per cui l’intelletto determina la volontà, e dal volontarismo
etico, per cui è la volontà stessa a formulare la legge, perché questa
non ha contenuto, impegna tutta la personalità dell’uomo: conosce-
re e agire, intelletto e volontà. Anzi è proprio nell’atto morale che
si ha il raccordo tra l’essere ideale e l’essere reale, nell’essere mora-
le: l’uomo diventa liberamente se stesso, adeguando la sua azione al
122 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

suo pensiero. Come in san Tommaso l’atto morale risulta da due ele-
menti: uno oggettivo, la legge colta dall’intelletto, e uno soggettivo,
l’intenzione propria della volontà. La legge morale non è quindi au-
tonoma, formulata dalla volontà umana, ma eteronoma, perché for-
mulata dall’Intelligenza divina, mentre l’esecuzione dell’atto morale
è autonoma, perché l’io liberamente aderisce alla regola morale. L’io
non stabilisce la regola, ma autonomamente la realizza. Ma l’uomo
non si accontenta di essere solo uomo: in lui c’è un’inquietudine do-
vuta allo scarto tra la sua intuizione dell’essere ideale infinito e la sua
realtà di essere reale finito; per questo non trova soddisfazione nei
fini particolari che riesce a raggiungere, ma aspira al fine ultimo suo,
che è Dio, pienezza di essere, coincidenza di essere ideale e essere
reale. Ma come per conoscere Dio, in se stesso, è necessario l’appor-
to trascendente della rivelazione, che mediante la fede ci fa parteci-
pare alla conoscenza che Dio ha di sé, così per raggiungere Dio sul
piano della morale occorre l’apporto trascendente della redenzione
che, mediante la grazia, ci fa partecipare alla vita di Dio. Il cristia-
nesimo si pone così come coronamento dell’umanesimo. Maritain a
questo riguardo introdurrebbe la differenziazione tra le aspirazioni
connaturali e le aspirazioni transnaturali della persona umana.

La filosofia dell’essere secondo Rosmini - tav. n. 8


II. L’età delle ideologie 123

Il diritto e la politica
Stabilito un diritto naturale fondato sulla morale, Rosmini ne de-
riva che il diritto positivo dello Stato deve uniformarvisi concretiz-
zandolo, adattandolo alle singole situazioni. Lo Stato non è quindi
fonte del diritto, non è Stato etico, ma è esso stesso subordinato al
diritto. Rosmini circa l’origine dello Stato concorda con Aristotele e
san Tommaso, affermando che la persona umana è il fondamento
della società, la quale non nasce artificiosamente per un contratto,
ma naturalmente, attraverso l’unione delle famiglie, e sottolinea co-
me lo Stato abbia una funzione sussidiaria rispetto all’iniziativa delle
persone e delle famiglie. Il fine dello Stato è il bene comune, e la sua
massima virtù è la giustizia, per cui la politica va subordinata alla mo-
rale. Rosmini sottolinea come la carità non può surrogare, ma solo
integrare, la giustizia, che è la virtù fondamentale dell’ordine sociale,
tanto che nelle Massime di perfezione cristiana (1830) afferma, nella
prima massima, che occorre «Desiderare unicamente e infinitamente
di piacere a Dio, cioè di essere giusto»19. C’è un aspetto interessante
nella filosofia del diritto di Rosmini, che affianca il suo pensiero a
quello di Maritain, quando entrambi, pur ponendo la legge eterna di
Dio a fondamento del diritto naturale, riconoscono che la persona
umana è un soggetto di «diritto sussistente»20 e quando, Rosmini di
fatto e Maritain esplicitamente, ritengono che questi diritti e doveri
naturali siano percepiti dall’uomo in una conoscenza istintuale, pre-
razionale, perché, come osserva Giuseppe Goisis, entra «in gioco il
sentimento fondamentale dell’esistere quel sentire, precategoriale e
perfino preriflessivo, che non coincide col moto di assimilazione dei
valori, configurandone, invece, la precondizione fondamentale. È
proprio in virtù di tale sentimento fondamentale che la vita umana si
presenta, nel suo assieme, come apprezzabile e degna di essere vissu-
ta compiutamente, nonostante contraddizioni e delusioni, anche
amarissime»21. Maritain ritiene che l’uomo conosca questa legge non
per deduzione logico-concettuale, al modo di una serie geometrica,
ma mediante «una conoscenza per connaturalità o simpatia, in cui
l’intelletto arriva ai suoi giudizi consultando le inclinazioni interiori,

19
A. Rosmini, Massime di perfezione cristiana, Città Nuova, Roma 1976, p. 37.
20
Cf. M. D’Addio, Capograssi e Rosmini, in «Quaderni sardi di filosofia e scienze
umane», 15-16 (1896-97), pp. 97-113.
21
G. Goisis, Rosmini e Maritain: uno scrigno di valori a confronto con il vuoto del
nichilismo, in «Rivista Rosminiana», CIV, fasc. II-III (aprile-settembre 2010), p. 282.
124 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

prestando ascolto alla vibrazione delle tendenze profonde» (XVI, p.


711). Si tratta di una conoscenza oscura, asistematica, prevalente-
mente vitale, che progressivamente sorge nella coscienza dell’umani-
tà, «all’interno del duplice tessuto protettivo delle inclinazioni
naturali da una parte e della società umana dall’altra» (XVI, p. 713).
D’altra parte non si tratta di regole concettuali, ma di schemi dinami-
ci fondamentali di quadri tendenziali con cui orientare la propria con-
dotta. In conclusione, la filosofia di Rosmini si caratterizza come una
filosofia dell’essere, come un realismo integrale, come una concezio-
ne pluralistica nella quale metafisica, conoscenza, morale e politica
sono colte nelle loro intime e reciproche relazioni; ma questa pro-
spettiva ontologica, essendo ancorata ad un’incerta gnoseologia, for-
mulata in termini che rimandano all’ideologia sette-ottocentesca,
finisce per allontanarla dalla tradizione aristotelico tomista.

Vincenzo Gioberti

Nell’ambito dello spiritualismo italiano trova posto anche Vin-


cenzo Gioberti (1801-1852), un sacerdote senza troppa vocazione,
più attento ai problemi politici che a quelli religiosi. Cappellano alla
Corte Sabauda, per le sue idee liberali ripara in esilio a Bruxelles, e
qui attende all’insegnamento e alla compilazione delle sue principali
opere. Sono di questo periodo Introduzione allo studio della filosofia
(1840) e due volumetti Del bello (1841) e Del buono (1843), e un’o-
pera di vasta risonanza pratica, il Primato morale e civile degli italia-
ni (1843), che può considerarsi il suo capolavoro, in cui vagheggia
un ideale politico federalista e neoguelfo, che suscitò non solo ap-
provazioni, ma anche polemiche, particolarmente da parte degli an-
ticlericali e dei gesuiti, a cui rispose con scritti astiosi e aspri come
Prolegomeni al Primato (1845), Il gesuita moderno (1847), Apologia
del gesuita moderno (1848).
L’elezione di Pio IX, le riforme, l’inizio della guerra di indipen-
denza del 1848 sembrano realizzare il sogno giobertiano; ma ben
presto il papa si ritira dal conflitto, subito seguito da Ferdinando II,
e rimane il solo Piemonte a continuare la guerra all’Austria. Di qui
una crisi di Gioberti, che modifica il suo piano politico e nel Rinno-
vamento civile d’Italia (1851) non assegna più al papa la direzione
del moto unificatore della penisola, ma ai Savoia, e non parla più di
unione federale, ma di unità nazionale. Gioberti partecipa attiva-
II. L’età delle ideologie 125

mente alla vita politica sabauda, come Primo ministro e poi come
inviato plenipotenziario di Vittorio Emanuele II a Parigi; ma qui si
ritira a vita privata. Maritain non cita mai questo filosofo, il cui pen-
siero è poco chiaro, impreciso nelle relazioni tra filosofia e teologia,
per cui la sua filosofia sembra ora ammettere la trascendenza ora
chiudersi nell’immanenza.

La critica a Rosmini e l’ontologismo

Nel breve scritto Degli errori filosofici di A. Rosmini (1841)


Gioberti accusa Rosmini di psicologismo e di soggettivismo frain-
tendendolo, perché ritiene che l’idea dell’essere sia prodotta dal
soggetto conoscente, e quindi sia una rappresentazione soggettiva,
mentre Rosmini distingue tra essere ideale in noi ed essere reale fuori
di noi, e l’idea dell’essere non è creata dal soggetto, bensì ricevuta da
Dio. Secondo Gioberti il soggetto conoscente coglie direttamente
l’Idea, non l’essere logico, l’idea dell’Idea, ma l’essere ontologico in
se stesso, cioè l’essere reale. Si avrebbe così un panteismo, in quanto
l’uomo coglierebbe in sé Dio, e non l’idea di Dio, se Gioberti non
precisasse, non senza ambiguità, che questo Ente ideale, che l’uomo
intuisce, non è Dio in se stesso, ma la forza di Dio, che ci crea inces-
santemente, cioè il suo atto creativo. Preoccupato di evitare il pan-
teismo e di garantire la trascendenza di Dio, Gioberti distingue tra
essere ed esistere, tra essenza ed esistenza, tra l’Ente, che ha l’essere
in proprio, la cui essenza esige l’esistenza, e l’esistente, che ha l’es-
sere partecipato, e la cui essenza non esige l’esistenza, ma rimanda
all’Ente che lo crea.
Tutto nasce da Dio e tutto ritorna a Dio, vi è un processo di di-
scesa da Dio alle creature, e un processo di ritorno dalle creature a
Dio, che Gioberti esprime sinteticamente nella formula: L’Ente crea
l’esistente, l’esistente ritorna all’Ente. Non si tratta di un processo
naturalistico alla maniera di Plotino o di Scoto Eriugena, perché
l’atto creativo di Dio, anche se continuo (perché esistere significa es-
sere continuamente creati), è trascendente e libero, poiché Dio non
ha bisogno di manifestarsi nella creazione. L’essere creato è quindi
attività, un continuo farsi, cosciente negli uomini, incosciente nelle
cose. Così Gioberti distingue anche tra natura e spirito, oltre che tra
Dio e il mondo.
Il processo gnoseologico avviene in due momenti; nell’intuizio-
ne l’uomo coglie in sé l’Idea, non però Dio in se stesso, bensì la sua
126 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

forza creatrice, cioè il legame intimo che ci unisce a Dio, cioè la


creazione, l’Ente-creante-l’esistente; ma poiché questa intuizione è
indeterminata, a causa della finitezza della creatura, è necessario un
chiarimento, una spiegazione, che avviene mediante la riflessione,
che è la stessa parola di Dio, la sua rivelazione primitiva, rinnovata
dal cristianesimo, che permette all’uomo di comprendere le verità
razionali e di conoscere in forma analogica le verità a lui sovrain-
telligibili. Vi è qui, direbbe Maritain, una confusione tra filosofia e
religione, sia perché la prima intuizione ha per oggetto lo stesso atto
creativo, sia perché è necessaria la rivelazione per poter capire anche
le verità naturali; per cui la Chiesa diventa garante della filosofia; in
queste condizioni è spiegabile il primato morale e civile della Chiesa
e la sua partecipazione diretta alla costruzione della civiltà politica,
come viene delineato nel Primato.

La morale e la politica

Mentre tutti gli altri esseri ritornano necessariamente e incon-


sciamente a Dio, l’uomo vi deve ritornare liberamente e coscien-
temente. Questo ritorno dell’umanità a Dio è un ritorno divino e
umano ad un tempo: divino perché l’uomo da solo, senza l’aiuto di
Dio, non sarebbe in grado di raggiungerLo, umano perché l’uomo,
come causa seconda e libera, deve attivamente collaborare. La crea-
zione divina si prolunga così nella civiltà, mediante le azioni dell’uo-
mo, collaboratore di Dio, nel creare la storia. Come già in Rosmini,
ma in modo diverso, Dio non è soltanto l’Essere, ma è anche la Verità
e il Bene a cui l’uomo tende come fine ultimo, che può raggiungere
solo mediante la grazia. Circa il rapporto intelletto-volontà nell’atto
morale, Gioberti concorda con Rosmini nel riconoscere che la legge
è formulata dall’intelletto e la volontà è libera nell’eseguirla, evitando
ogni forma di intellettualismo o di volontarismo.
La concezione della civiltà come progresso umano e divino in
Gioberti si riflette sulla sua concezione politica, che indica nella reli-
gione il motivo ispiratore di tutta la civiltà, capace di ricostituire l’u-
nità dei popoli su di una base morale e religiosa, pur nell’autonomia
delle diverse tradizioni nazionali. L’Italia, che, per la presenza del
papa, ha il primato di avere unita la sua civiltà con la religione, ha la
missione di ammaestrare il mondo. La nuova civiltà dovrà trovare,
distinti ma collaboranti, i laici e i chierici, evitando il predominio
clericale, ma anche il laicismo anticlericale; lo Stato e la Chiesa non
II. L’età delle ideologie 127

devono confondersi, ma nemmeno separarsi, in modo che la fede


sia la ispiratrice della cultura e della civiltà. L’unità dei popoli deve
poi attuarsi come confederazione, prima tra i vari stati d’Italia, poi
d’Europa, poi del mondo intero. Si potrà avere così un cosmopoliti-
smo organico. Passando al piano della tecnica politica, che è contin-
gente, sperimentale, perché va adattata alle reali situazioni storiche,
abbiamo due momenti nel pensiero di Gioberti corrispondenti alle
due opere maggiori: nel Primato infatti si auspica una confederazio-
ne di Stati italiani, sotto la presidenza del pontefice, e organizzata
per iniziativa dei principi, che però debbono concedere delle rifor-
me, in particolare la libertà di stampa, per permettere agli scrittori
di educare il popolo, perché non con le armi o con la diplomazia, ma
solo con l’educazione si potrà formare l’unità morale dell’Italia; nel
Rinnovamento invece si abbandona l’idea di federazione, indican-
do nei Savoia la forza politica e militare capace di unificare l’Italia,
si esclude il potere temporale e si propone l’istituzione di assem-
blee non solo consultive, ma rappresentative e deliberative. Il primo
scritto giobertiano preparò il 1848, il secondo ispirò il 1859.

L’estetica

A differenza dell’utile e del piacevole, che sono sensoriali e sog-


gettivi, il bello è immateriale e oggettivo, anche se si presenta sotto
forme sensibili. Poiché anche il criterio di valutazione è in noi a prio-
ri, come il vero e il bene, per giudicare una cosa bella dobbiamo già
avere l’idea del bello. È la fantasia, intermediaria tra la sensibilità e
l’intelligenza, l’attività creatrice e fruitrice del bello, non solo in chi
lo produce, ma anche in chi lo gusta. Il bello varia così in rapporto
all’immaginazione di coloro che lo contemplano, e non è fine a se
stesso, ma prepara l’uomo al vero e al bene, perché invita alla signo-
ria dello spirito sul corpo, essendo più intelligenza che sensibilità.
Gioberti, come Kant, distingue tra bello e sublime, a cui aggiunge il
meraviglioso, mescolanza di umano e di soprannaturale, caratteristi-
co dell’arte cristiana. Secondo l’estetica di Maritain manca in Gio-
berti l’autonomia dell’arte.
128 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

8. Il positivismo
Non deve sorprendere che l’empirismo sia stato portato
dallo sviluppo della sua logica interna a sfociare nel positivismo,
che non è una filosofia, ma un’evasione pseudoscientifica dalla filosofia,
un sostituto della filosofia (XI, p. 57).

I Maritain hanno avuto con i positivisti un rapporto diretto, per-


ché alla Sorbona seguivano le lezioni del biologo materialista Félix
Le Dantec (1869-1917). Raïssa ricorda che prometteva loro «un
brillante avvenire scientifico se avessimo voluto lavorare nel senso
che ci consigliava. Dovevamo cercare la sintesi della materia vivente
e dimostrare, realizzandola, che la vita non è altro che una combina-
zione chimica particolare» (XIV, p. 683), e commenta: «Ignoravo il
credo dei cristiani e non volevo neanche saperne di quella fede ma-
terialista […] e la tristezza mi penetrava, il gusto amaro del vuoto
dell’anima davanti alla quale si spengono a poco a poco tutte le luci»
(ibid.). Fu Bergson, che al Collège de France commentava Plotino,
a liberare i due giovani dall’inquietudine esistenziale che li aveva
portati sulla soglia del suicidio. Maritain fu alunno e poi in corri-
spondenza con un discepolo di Durkheim, il sociologo ed etnologo
Lucien Lévy-Bruhl di cui Raïssa scrive: «Il professore per il quale
Jacques ha conservato la più alta gratitudine (benché le proprie idee
fossero già da allora molto lontane dalle sue) era Lucien Lévy-Bruhl
che insegnava storia della filosofia moderna con una freddezza e una
tristezza che colpivano stranamente gli studenti, ma la cui bontà era
incomparabile» (XIV, p. 687).
Jacques Maritain analizza il positivismo e subito si accorge
dell’equivoco metodologico di questa filosofia che ritiene di potere
studiare le leggi del comportamento senza studiare la loro causa, e
fa di questa conoscenza fenomenologica una filosofia che dovrebbe
esaurire la conoscenza della realtà, risolvendo i diversi approcci al
reale ad una sola metodologia, quella del calcolo matematico. Ne La
grande logica (7) scrive: «Si tratta del problema della causa e della
legge. Sorge questo problema in relazione alle scienze dei fenomeni
(scienze dell’osservazione e scienze sperimentali) sul modello delle
quali il positivismo nel XIX secolo considerava tutte le scienze, di-
menticandosi che esistono anche, e meritano maggiormente questo
nome, le scienze sapienziali. Nello schema che il positivismo aveva
costruito e che ha regnato per molto tempo, la scienza era una cono-
II. L’età delle ideologie 129

scenza delle leggi ad esclusione delle cause. Il mondo dei fenomeni


era un mondo di leggi senza cause. La legge, la relazione di legalità
entro fenomeni era eretta contro la causa, contro la relazione di cau-
salità. La scienza, secondo i positivisti, cerca il come, non il perché;
essa non cerca le cause ma le leggi che regolano le une alle altre con
delle relazioni costanti le apparenze osservate» (II, pp. 688-689).

La radice del relativismo

Il positivismo caratterizza la cultura e la civiltà della seconda


metà del XIX secolo. Le triadi hegeliane a priori avevano costretto
la scienza a sistematizzarsi secondo principi a lei estranei, cosicché
adesso le scienze, in pieno sviluppo per il progresso dei mezzi tecni-
ci di sperimentazione, si prendono la rivincita e vogliono staccarsi e
contrapporsi alla filosofia. Meno schemi trascendentali a priori e più
ricerche sperimentali: occorre partire dai fatti positivi, non da idee
astratte. Malgrado questo atteggiamento anti-ideologico il positivi-
smo «è il prodotto ultimo del metodo razionalista, la pretesa della
ragione di erigersi essa stessa come misura della verità, che conduce
in definitiva a ridurre tutte le cose alle nozioni. che troviamo in noi
attraverso il minimo contatto sperimentale con la realtà, alle nozioni
matematiche e geometriche» (I, p. 190).
Il positivismo finisce di essere il continuatore dell’idealismo,
perché a poco a poco viene a dare un significato metafisico alle sue
scoperte, e a porre sotto i fenomeni un unico sostrato, la materia,
che attraverso l’evoluzione genera tutti gli esseri e tutti gli stati di
vita, dall’inorganico allo spirituale. Il positivismo continua il mo-
nismo e lo storicismo dell’idealismo, contrapponendosi solo per il
fatto che al divenire dell’idea sostituisce il divenire della materia. In
questo senso anche il marxismo appartiene al positivismo. Il po-
sitivismo si manifesta soprattutto in Francia, in Inghilterra, in Ita-
lia, meno in Germania e con caratteristiche diverse nei vari Paesi
in cui si sviluppa. Il positivismo francese è sociologico, da Comte a
Durkheim, quello inglese fenomenologico in Stuart Mill, utilitarista
in Bentham, evoluzionista in Darwin e Spencer, quello tedesco ma-
terialista in Haeckel e Moleschott, e infine quello italiano, più meto-
dologico che metafisico, a parte Ardigò. In gnoseologia, ritornando
a Kant, il positivismo dichiara di fermarsi al fenomeno, salvo poi
dare un valore assoluto alle leggi della scienza, dimostrandosi altret-
130 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

tanto dogmatico dell’idealismo. In etica, nega l’esistenza di principi


morali universali, trasformando l’edonismo in utilitarismo. In poli-
tica sta a fondamento del liberalismo in Inghilterra, teorizzando la
libertà del singolo nella ricerca del proprio utile, e del socialismo sul
Continente, trasferendo l’utilitarismo dal piano individuale al piano
collettivo, per cui lo Stato non deve più garantire l’utile individuale,
ma l’utile della comunità; comunque in entrambi i casi lo scopo del-
la vita resta la produzione e il consumo dei beni materiali. In meta-
fisica, dovrebbe essere agnostico, ma finisce per porre un monismo
materialistico-evoluzionistico. Pur svalutandola, il positivismo non
giunge alla negazione della religione perché al di là del fenomeno
esiste una realtà inconoscibile all’uomo, il mistero, che è oggetto di
rivelazione e di fede. Ma con il positivismo si verifica un grave equi-
voco, perché l’oggetto della fede è il soprasensibile, cioè l’intelligi-
bile proprio della ragione e della filosofia, e non il sovraintelligibile
proprio della religione. Infatti il positivismo, fermandosi ai fatti po-
sitivi, nega la realtà dell’intelligibile, per cui la filosofia perde il suo
oggetto per diventare una semplice metodologia di classificazione
delle diverse scienze, nella loro origine storica e nei loro recipro-
ci rapporti. Si ripete così l’atteggiamento unilaterale dell’idealismo:
questo negava ogni valore alle scienze risolvendole nella filosofia, il
positivismo al contrario nega ogni valore alla filosofia riducendola a
scienza. C’è in sostanza una confusione di oggetti e di metodi, non
si distingue tra l’oggetto proprio della fede, il sovraintelligibile, l’og-
getto proprio della filosofia, l’intelligibile, e l’oggetto proprio della
scienza, il sensibile. In alcuni pensatori il positivismo da agnostico
diventa materialista, nega la esistenza del sovrasensibile, e quindi
dell’anima e di Dio.
Le ricerche del positivismo portarono al sorgere di due nuove
scienze, o meglio a studiare scientificamente argomenti che fino ad
allora erano stati considerati solo filosoficamente: si tratta della psi-
cologia, o scienza del comportamento umano, e della sociologia, o
scienza delle relazioni sociali. Già prima del positivismo i filosofi si
erano interessati a questi problemi, ma da un altro punto di vista,
cioè come antropologia e come politica. Infatti la filosofia si doman-
da “che cos’è l’anima”, “che cos’è la società”, mentre le scienze si
domandano “come funziona l’anima”, “quali sono le inter-relazioni
sociali”. I due aspetti della ricerca umana, razionale l’uno, e speri-
mentale l’altro, sono complementari, ma distinti per il loro oggetto
e per il diverso metodo: la filosofia studia l’essere, la natura dell’a-
II. L’età delle ideologie 131

nima, la scienza il funzionamento, il comportamento dell’anima. I


positivisti, confondendo i due piani, diedero un’interpretazione ma-
terialistica dei fatti umani, dimenticando che al di là, e proprio a
fondamento dei determinismi fisiologici e dei condizionamenti psi-
cologici, c’è la libertà e la spontaneità dello spirito. In questo mo-
do i principi etici si ridussero a leggi psicologico-sociali, finendo di
conseguenza in un relativismo morale. Il positivismo fu un vasto
movimento culturale, improntò di sé la politica, l’arte, la letteratu-
ra, espresse un’estetica e una storiografia in contrapposizione all’e-
stetica e alla storiografia dell’idealismo, sostituendo alle idee i fatti,
all’interpretazione la descrizione. «Uno dei più rilevanti effetti del
positivismo fu quello di diffondere in molti spiriti l’idea che anche i
valori morali sono relativi, come tutto il resto» (XI, p. 734). Maritain
distingue tra «un positivismo puramente scientifico o secolarizzato»
(IX, p. 694) e «un positivismo messianico» come quello di Auguste
Comte, che pretende «di essere la filosofia definitiva» (IX, p. 757).

Il positivismo in Francia, erede dell’illuminismo

Il positivismo nasce in Francia, il suo nome è stato coniato da


Saint-Simon e adottato da Auguste Comte, che ne diventerà il più
significativo rappresentante, anche se con lui il positivismo si colora
di connotazioni teologiche. Si diffonde in Inghilterra, grazie al sag-
gio di J. Stuart Mill Comte e il positivismo (1865), ibridandosi con la
tradizione empiristica. In Francia una serie di filosofi, sviluppando
l’illuminismo, si muovono nell’ambito del positivismo. Claude Henri
de Rouvroy conte di Saint-Simon (1760-1825) nell’opera Nuovo cri-
stianesimo (1825) proclama la fine dell’aristocrazia, auspica una civil-
tà fondata sul lavoro industriale, perché lo sviluppo tecnologico può
portare il benessere anche alla «classe più numerosa e più povera».
Questo movimento intellettuale ha radici nell’età illuministica.
Già il naturalista George Buffon (1707-1788) nella sua monumen-
tale Storia naturale in 44 volumi, terminata dai suoi collaboratori,
supera il metodo classificatorio di Linneo e si propone di partire
dall’osservazione per studiare l’evoluzione delle diverse specie, che
considera ciascuna fissa in se stessa. Il naturalista Jean-Baptiste de
Lamarck (1744-1829) con il volume Filosofia zoologica (1809) è uno
dei primi sostenitori dell’evoluzionismo da specie semplici a specie
più complesse attraverso le modificazioni che si verificano nel pro-
132 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

cesso di adattamento all’ambiente, ma secondo una linea di continuo


perfezionamento voluto dal Creatore. Secondo Maritain si tratta di
una buona intuizione male concettualizzata (cf. XIII, p. 982).
Con Félix Le Dantec22, discepolo di Helvétius e di d’Holbach,
si giunge ad un ateismo radicale e un monismo materialistico e mec-
canicistico. Infatti nei suoi scritti, da La materia vivente (1895) a
L’ateismo (1907), afferma che non vi è differenza qualitativa tra il
mondo della pura materia e il mondo della vita. Maritain in un ar-
ticolo in cui studia la funzione dell’assimilazione, che distingue il
vivente dal non vivente, osserva che «Le Dantec, grande teorico del
materialismo, ritiene che l’assimilazione sia il carattere fondamen-
tale, che distingue essenzialmente l’organismo vivente, dal non vi-
vente. Quando un corpo vivente è una sostanza individuale e non
solamente una collezione di molecole giustapposte, allora il fatto
dell’assimilazione acquista un valore non solamente sperimentale,
ma un valore ontologico» (VI, p. 990)23. Infatti si tratta di una diffe-
renza di natura ontologica, che Le Dantec non coglie, perché per lui
«non c’è che una differenza a medesimo livello, per cui l’organismo
vivente è perfettamente riducibile ad una costellazione di fattori fisi-
co-chimici. È semplicemente una differenza all’interno dell’universo
della chimica» (VI, p. 991). Maritain riporta questo testo di Le Dan-
tec: «Ho fatto un grande sforzo per sapere quale sia il mio metodo,
mi sembra che esso consista unicamente in una fede ardente nel
meccanicismo universale […] io credo che tutti i fatti siano suscetti-
bili di una narrazione matematica […] è per questo che non sono a
favore del finalismo» (I, p. 1088).
Bisogna ricordare anche Ernest Renan (1823-1892), nonno da
parte di madre di Ernest Psichari24, autore di “drammi filosofici”
che nella Vita di Gesù (1863) nega la divinità di Cristo pur rico-
noscendo la storicità dei Vangeli. Così Maritain ricorda l’influenza
di Renan sul nipote, suo amico e compagno al Liceo: «L’influenza
intellettuale del nonno si ripercuoteva sul nipote soprattutto attra-
verso l’ambiente familiare e sociale. E ciò che Ernest incontrava, da
questo punto di vista, nel suo ambiente familiare era una vita morale
completamente areligiosa e agnostica, con una sfumatura di libero

22
Jacques Maritain redige una recensione per la «Revue de Philosophie» su F. Le
Dantec, La crise du trasformisme, Alcan, Paris 1910 (I, pp. 1082-1085).
23
Cf. Philosophie de l’organisme. Note sur la fonction de nutrition, in «Revue tho-
miste», XLIII, 2 (settembre 1937), pp. 263-275 (VI, pp. 981-1000).
24
Cf. Ernest Psichari, in P. Viotto, Grandi amicizie, cit., pp. 104-108.
II. L’età delle ideologie 133

pensiero umanistico e combattivo da parte di suo padre, un tempo


credente, poi distolto dalla sua fede dal prestigio filosofico di Re-
nan» (II, p. 1105). Maritain è preoccupato dello scientifismo e dello
storicismo di Renan, che priva l’intelligenza dell’oggetto stesso del
sapere, l’intelligibile, per ridurla a classificare i fatti empirici, senza
valutarli, limitando l’orizzonte della ricerca al mondo sensibile. Ne
parla in Riflessioni sull’intelligenza (8): «Rinunciando al luogo suo
proprio, l’intelligenza ferita si ripiega sul concreto sentito, come se il
fatto singolo, iscritto in un documento o su un apparecchio registra-
tore, le desse infine quella sicurezza che essa non si aspetta più dalla
contemplazione dell’essere. Ahimé! il fatto stesso, allorché l’intel-
ligenza rifiuta di usare la propria luce per coglierlo e giudicarlo, si
sottrae e si liquefa davanti a lei, poiché essa insegue allora un bene
che è il bene proprio del senso, e che essa non raggiungerà mai, da-
to che essa stessa non sarà mai sensazione. Consegnandosi alla legge
della materia e alla sua deludente infinità, l’intelligenza intrapren-
de una mortale avventura, che non ha a che vedere con la scienza
positiva, certo, ma con quella pusillanimità orgogliosa, scientista o
storicista, comunque si voglia chiamarla, che propone alla ragione,
come suo fine supremo, di procurarsi il sapere, dispensandosi dal
pensare, di esaurire materialmente il dettaglio sensibile, e di conta-
re, secondo l’espressione di san Tommaso, i ciottoli che giacciono nel
letto di un fiume. Questa fascinazione del positivo è stato il male che
ha raggiunto un grande numero di intelletti nel secolo di Comte e di
Renan» (III, p. 48)25.
Renan negò la divinità di Cristo. Un altro maestro del positivi-
smo, Émile Littré (1801-1881), discepolo di Comte, ma contrario al
suo orientamento religioso misticheggiante, più noto come autore
del Dizionario della lingua francese (1862) che come filosofo, giunge
ad immaginare che «Dio è contrario alla religione e il supremo be-
neficio della religione positiva sarà quello di togliere di mezzo Dio
come irreligioso» (XI, p. 771). D’altra parte per il positivismo la
sostanza non è che «un luogo vuoto, un quadro immaginario in cui
collocare i fenomeni» (I, p. 200), come sostiene Hippolyte Taine
(1828-1893) che vorrebbe ridurre la filosofia in psicologia e risolvere
l’antropologia in linguistica e che nella Filosofia dell’arte considera

25
Cf. la recensione di Maritain nella «Revue Universelle» (15 luglio 1925) al vo-
lume P. Lasserre, La jeunesse d’Ernest Renan, Histoire de la critique religieuse au XIX
siècle, Garnier, Paris 1925 (III, pp. 1367-1382).
134 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

l’opera d’arte come il frutto dei determinismi sociali del momento.


Maritain ricorda anche il sociologo e pedagogista Emile Durkheim
(1858-1917) «che fa della società un grande io, di cui ciascuno di noi
sarebbe come un organo» (I, p. 966), e che può essere considerato
l’ultima espressione del positivismo in Francia. Nel volume Le forme
elementari della vita religiosa ripropone la visione evoluzionistica del
divenire umano anche per le forme superiori della cultura, e Mari-
tain commenta: «Tutto si evolve, tutto cambia, tutto muta, le verità,
i dogmi, l’intelligenza, le leggi metafisiche, il bene, il male; l’energia
diventa pensiero, la magia diventa religione, le rappresentazioni so-
ciali del clan primitivo diventano la coscienza morale di Durkheim e
dei suoi discepoli, il totem diventa il loro dio, e lo slancio vitale, con
il superuomo vago ed evanescente che cerca di realizzarsi, produce
ciascuno di noi, mentre i suoi rifiuti lasciati per strada si perdono
nell’animalità e nel mondo vegetale. Insomma l’evoluzionismo s’af-
faccenda per far uscire qualcosa dal nulla, e per estrarre genetica-
mente, soltanto con la forza del tempo, il superiore dall’inferiore, il
determinato dall’indeterminato» (II, p. 983). Inoltre Maritain sotto-
linea la deriva sociologica della pedagogia di Durkheim, che risolve
l’educazione nel processo di socializzazione, subordinando la perso-
na alla società (III, p. 1409)26.
Maritain ebbe rapporti di amicizia con l’etnologo Lucien Lévy-
Bruhl (1857-1939) che sviluppa una ricerca sulla formazione della
coscienza nelle popolazioni primitive in una serie di opere. Maritain
nei Quattro saggi sullo spirito incarnato (30), analizzando l’evoluzio-
ne del linguaggio nella storia dell’umanità, si confronta più volte con
l’etnologo. Il linguaggio è ciò che distingue l’uomo dall’animale, ma
questa funzione si è evoluta nel tempo perfezionandosi, passando
dal linguaggio primitivo di tipo magico al linguaggio adulto di tipo
logico. Questo fatto non riguarda la natura del pensiero, ma lo sta-
to di funzionamento del linguaggio, perché nell’uomo, nel primitivo
come nel bambino, non esiste un pensiero prelogico, ma uno stato
notturno della logica inizialmente legata ad un’«immaginazione in-
telligenziata» (VII, p. 129). Una lettera di Lévy-Bruhl a Maritain con-
ferma e documenta questa concordanza: «Mio caro amico sembra
che i nostri invii si siano incrociati. Mentre io ricevevo il suo Segno e
simbolo (VII, pp. 97-147) lei trovava senza dubbio il mio Esperienza

26
Cf. J. Maritain, Prefazione a F. De Hovre, La pedagogia cristiana e le ideologie del
mondo contemporaneo, La Scuola, Brescia 1973, pp. 1-6.
II. L’età delle ideologie 135

mistica e simbolo presso i primitivi […]. Come Lei dice, giustamente,


la mentalità primitiva è uno stato della mentalità umana e io posso
accettare i caratteri con cui la definisce […]. Quando Olivier Leroy27
è venuto a parlare con me, come lei gli ha cortesemente consigliato,
l’ho rassicurato che le sue più vivaci critiche non mi avevano toccato.
Del prelogismo (che brutta parola) che egli ostenta, non ho avuto io
l’idea. Penso solo che questo stato, descritto e analizzato sotto il no-
me di mentalità primitiva, ha i suoi caratteri propri, senza per questo
supporre che questi spiriti siano costruiti in modo diverso da noi» (8
maggio 1938). Così Maritain e Lévy-Bruhl concordano nel ritenere
che il passaggio dal pensiero magico al pensiero logico riguardi le fasi
di una medesima attività intellettuale28. Comunque, malgrado que-
ste convergenze, Maritain non esita a criticare i caratteri negativi del
positivismo di Lévy-Bruhl che, come Comte, fa dipendere la morale
dalla sociologia quando afferma che «nessuna morale è possibile in-
dipendentemente dalla sociologia» e «domanda una morale alla so-
ciologia, come un’igiene alla medicina» (XI, p. 697).

Il positivismo in Inghilterra e il darwinismo

Il positivismo in Inghilterra è uno sviluppo dell’empirismo, si


esprime come utilitarismo in etica e come liberismo in politica, men-
tre formula una nuova logica induttivistica e introduce nella cultura
europea l’evoluzionismo come chiave di lettura dei fenomeni natu-
rali, in una serie di pensatori minori. Solo in Herbert Spencer trova
una sistemazione organica e un sistema filosofico.
Jeremy Bentham (1748-1832), il fondatore dell’utilitarismo, eb-
be una vasta influenza sulla cultura e sulla politica inglese; la sua
opera Deontologia è un’esposizione del nuovo criterio per valutare
le azioni umane. L’uomo è per natura un egoista, che cerca il proprio
benessere, per lui il bene è l’utile; la morale non deve soffocare que-
sta tendenza originaria, ma deve razionalizzarla, deve cioè rendere
scientifica la ricerca del piacere. Bentham elabora una sorta di arit-

27
Olivier Leroy (1884-1966?), autore di libri più volte citati da Maritain: La raison
primitive, essai de réfutation de la théorie du prelogisme, Geuther, Paris 1937; Sainte Jeanne
d’Arc, 2 voll., Alsatia, Paris 1954-1958. Maritain e Journet pubblicano nella loro collana
“Questions disputées” il libro di Leroy Les hommes salamandres (Desclée, Paris 1931) con
una postfazione di Journet.
28
Cf. Segno e simbolo, in Quattro saggi sullo spirito umano (30).
136 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

metica morale, indicando il modo di calcolare ogni azione dal punto


di vista del massimo piacere che ne può derivare. In questo modo il
grossolano edonismo si trasforma in un raffinato utilitarismo. Que-
sto nuovo criterio di “massimizzare la felicità e minimizzare i dolo-
ri” non è però un criterio soggettivo e individuale, ma un principio
oggettivo e universale. Il vizioso cerca un piacere individuale, che
non è il suo vero interesse, il virtuoso invece cerca il piacere pro-
prio dell’uomo, di tutti gli uomini, perché il fine della morale è la
più grande felicità per il più gran numero possibile di uomini. Co-
sì l’egoismo si muta in altruismo e dall’interesse di ciascuno nasce
l’interesse di tutti. Si sente nel pensiero del Bentham uno schietto
positivismo, perché la felicità è biologicamente calcolata, e inoltre
un ingenuo liberalismo perché dall’utile individuale dovrebbe sor-
gere il benessere sociale. Maritain rileva l’equivoco che sta alla radi-
ce di questa filosofia, cioè il ritenere «che l’egoismo sia più naturale
dell’altruismo» (I, p. 1075) misconoscendo la socialità della persona
umana, perché per il positivismo l’uomo è solo un individuo.
Charles Darwin (1809-1882) più che un filosofo è un naturali-
sta, ma poiché dalle sue ricerche e osservazioni ha tratto conclusioni
teoriche, dando origine alla famosa legge dell’evoluzione dal meno
perfetto al più perfetto, interessa la storia della filosofia, perché ben
esprime lo spirito del positivismo. L’origine delle specie per selezione
naturale (1859) e L’origine dell’uomo (1871) sono le opere di Darwin
che ebbero una grande diffusione. Mentre si era sempre ritenuto che
da ogni specie animale non potessero nascere che individui di quel-
la medesima specie, Darwin, come Lamarck, afferma che le specie si
trasformano, e al fissismo di Georges Buffon, contrappone l’evoluzio-
nismo, ma, mentre per Lamarck è soprattutto l’ambiente a determi-
nare le trasformazioni, per Darwin è l’ereditarietà la causa di queste
variazioni: per l’uno predominano i fattori esterni, per l’altro i fatto-
ri interni. Secondo Darwin nella lotta per la vita e nell’adattamento
all’ambiente prevalgono gli individui più forti, che trasmettono ai di-
scendenti caratteristiche perfezionate, migliorando le specie. Anche
l’uomo deriva da animali inferiori per evoluzione, e precisamente da
una scimmia ominide: la coscienza intellettiva e la coscienza morale
non sarebbero altro che trasformazioni per evoluzione di sensazioni e
di istinti. Maritain, che si era laureato in biologia ed era stato in Ger-
mania alla scuola di Hans Driesch, riconosce l’evoluzione delle specie,
ma ne rifiuta l’interpretazione meccanicistica, e sottolinea le ambi-
guità epistemologiche del darwinismo, sia perché fa di una scienza
II. L’età delle ideologie 137

fenomenologica una filosofia, sia perché sostituisce una spiegazione


storica alla conoscenza della natura degli organismi (cf. VII, p. 232).
«Il darwinismo rompe l’unità dell’essere vivente, rompe l’unità della
specie e considera gli organismi come sistemi meccanici di particelle
materiali giustapposte» (I, p. 891) e in questo meccanismo naturali-
stico non trova un fine che dia un senso allo sviluppo. Quella di Dar-
win è un’intuizione male concettualizzata, falsata dall’immaginazione:
«L’immagine di un mondo vivente, attraversato durante le età dal mo-
vimento da una durata creatrice, era soggiacente ad un’intuizione ori-
ginale, per quanto mal concettualizzata questa abbia potuto essere da
Lamarck con la sua nozione di adattamento all’ambiente e da Darwin
con la sua nozione di selezione naturale e di lotta per la vita» (XIII,
p. 982). Maritain nel seminario Verso un’idea tomista dell’evoluzione
(XIII, pp. 573-648) precisa che l’uomo nasce nell’evoluzione, ma non
dall’evoluzione, perché dalla materia non può derivare lo spirito; e
l’anima intellettiva di ciascun uomo è creata direttamente, di volta in
volta, da Dio. Nel XX secolo, il gesuita Pierre Teilhard de Chardin
cercherà di stabilire una connessione tra l’evoluzione cosmica e il cri-
stianesimo e Maritain in diverse occasioni rileverà le contraddizioni di
una simile prospettiva, perché la ricapitolazione in Cristo di tutte le
cose di cui parla san Paolo non sarà un evento biologico, ma un even-
to metastorico29.
John Stuart Mill (1806-1873) è figlio di James Mill (1773-1836),
autore dell’Analisi dei fenomeni della mente umana, in cui tenta di
spiegare tutta l’attività psichica dell’uomo con l’associazionismo, ri-
ducendo gli atti spirituali a fatti puramente psicofisici. Su di lui in-
fluirono tanto Bentham che Comte, per cui supera l’individualismo
liberistico del primo con l’esigenza sociologica appresa dal secondo.
Nel 1843 pubblica il Sistema di logica formulando un nuovo metodo
induttivo. Si interessa di politica nei due scritti La libertà e Conside-
razioni sul governo rappresentativo. Critica la morale di Bentham in
Utilitarismo, e ammette la possibilità della cosa in sé, indipendente-
mente dall’esperienza. La sua influenza sul pensiero inglese fu note-
vole, soprattutto in logica. Per Stuart Mill tutta la nostra conoscenza
nasce dall’esperienza e dall’associazione dei dati forniti dalla sensa-
zione. Unico criterio valido è il ragionamento induttivo, non come
quello di Bacone che dalla serie dei giudizi particolari pretendeva di

29
Cf. Pierre Teilhard de Chardin e l’evoluzionismo, in P. Viotto, Grandi amicizie,
cit., pp. 62-67.
138 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

indurre un giudizio universale, ma come induzione da un giudizio


particolare ad un giudizio particolare. Se Antonio, Maria, Giovanni,
Ambrogio sono morti, non si può indurre che tutti gli uomini mo-
riranno, ma semplicemente che anche Gerolamo morirà. Per Stuart
Mill non è valida la deduzione, perché la premessa maggiore, da cui
si deriva la conclusione, non può essere stabilita, in quanto non si
danno giudizi universali, non potendosi con l’esperienza verificare
tutti i casi possibili. Non si può dire che tutti gli uomini moriranno,
e quindi Socrate che è un uomo morirà, perché non si può speri-
mentare che tutti gli uomini moriranno finché non sia morto l’ulti-
mo uomo. Per Maritain c’è qui un equivoco, perché non è che tutti
gli uomini moriranno, perché finora sono morti, ma perché la natura
umana è mortale; cioè il giudizio universale non è tratto dal ripetersi
dell’esperienza, ma dall’analisi della natura dell’uomo: non bisogna
confondere un’astrazione con una comparazione. Maritain commen-
ta: «Un ragionamento induttivo è tutt’altra cosa che la ricerca spe-
rimentale della causa di un fenomeno» (III, p. 1357). La filosofia
di Stuart Mill, che recupera l’empirismo di Hume, avrebbe dovuto
concludere in un fenomenismo, risolvendo la realtà nella percezione
sensoriale, ma invece distingue tra sensazioni immediate e sensazio-
ni possibili, ammette tanto l’oggetto quanto il soggetto come possi-
bilità permanenti di sensazioni. Resta così, accanto all’esperienza,
la possibilità della realtà. Stuart Mill vuole limitare la conoscenza
all’esperienza, ma sente il bisogno di non annullare nella sensazione
la realtà. Ma questa possibilità della cosa in sé non è in Mill ogget-
tivamente fondata. Maritain osserva: «Se dico questo tavolo, queste
parole non significano per lo scienziato una sostanza che mi si pre-
senta con una determinata figura e certe qualità, e di cui, in quanto
fisico, del resto, non può sapere nulla. Esse stanno a significare un
certo insieme di percezioni legate da alcune regolarità esprimibili.
La possibilità permanente di sensazione, di cui parla Stuart Mill, è le-
gata ad un certo numero di determinazioni matematiche e logistiche
che la rendono intersoggettivabile» (VII, p. 202).
Anche Dio non è un assoluto, Maritain ricorda che Stuart Mill
scrive nei suoi Saggi sulla religione: «“Ecco dunque i chiari risultati
della teologia naturale sulla questione degli attributi divini: un esse-
re un potere, grande ma limitato, senza che noi possiamo neppure
sospettare come e da che cosa sia limitato; un’intelligenza grande,
forse illimitata, ma fors’anche racchiusa entro limiti più ristretti del-
la sua potenza, la quale desidera la felicità delle sue creature e fa
II. L’età delle ideologie 139

qualcosa per procurarla, ma che sembra avere anche altri motivi di


azione ai quali tiene maggiormente”. Mirabile formula del perfetto
empirismo religioso, di cui i nuovi teologi dell’inizio del secolo come
William James e i suoi amici non hanno avuto che da sviluppare il
programma» (III, p. 319).
Anche per Stuart Mill non esistono principi morali universali a
priori, ma le regole dell’azione derivano dall’esperienza, però cor-
regge la pura aritmetica di Bentham introducendo, accanto al cri-
terio quantitativo di valutazione dei piaceri, un criterio qualitativo,
rivalutando quelli spirituali su quelli materiali. Mentre Bentham si
ferma al puro utile individuale, da estendersi al maggior numero di
individui, Stuart Mill cerca di introdurre accanto al calcolo un sen-
timento di coscienza e, influenzato Comte, di amor del prossimo,
per cui bisogna fare agli altri ciò che si desidera che sia fatto a noi.
Non esce dall’utilitarismo, perché la ricerca della felicità altrui resta
sempre un mezzo per affermare la propria. È impossibile un’azione
disinteressata, chi crede di cercare disinteressatamente la felicità al-
trui, non pensa che a forza di cercare la felicità altrui come mezzo
per raggiungere il proprio interesse, si è così abituato da scambiare
il mezzo con il fine. Anche l’altruismo non è che il frutto di un’as-
sociazione psichica nata dall’esperienza. Stuart Mill corregge il li-
beralismo, perché riconosce le esigenze sociali, senza però uscire
dall’utilitarismo per cui lo scopo della società resta sempre solo un
maggior benessere. La libertà è il principio cardine che va mante-
nuto a tutti i costi, contro ogni assolutismo o egualitarismo: libertà
di pensiero, perché la verità riceve vigore solo dalla critica, libertà
di azione, perché in questo modo ciascuno può manifestare la sua
personalità. Lo Stato deve garantire la libertà, la quale non ha altro
limite che se stessa, cioè essa non deve nuocere alla libertà degli altri.
Il sistema rappresentativo garantisce la libertà, ma sono da evitare
la tirannia della maggioranza e la tirannia dell’opinione pubblica, la
prima con un sistema bicamerale, la seconda con il favorire lo svi-
luppo di grandi personalità intellettuali e morali, capaci di influire
sull’opinione dei più. Sono valide le leggi economiche di Smith, di
Ricardo e di Malthus, quali l’interesse personale, la libera concor-
renza, per quanto riguarda la produzione dei beni di consumo, ma
per quanto riguarda la distribuzione dei beni il diritto può modifi-
care quelle leggi per una migliore distribuzione della ricchezza pro-
dotta. In conclusione, Maritain rileva che il positivismo risolve la
persona umana nell’insieme degli stati psichici. «Analizzando la no-
140 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

stra vita psichica alla maniera di Stuart Mill, non vedendovi che dei
fenomeni in successione, si giunge a dichiarare che tutto si riduce in
noi a degli stati di coscienza legati gli uni agli altri in virtù delle leggi
dell’associazione; tutto come gli atomi materiali per la filosofia del-
la natura della fine del XVIII secolo erano tra loro uniti in virtù di
certe leggi di attrazione, che non erano che un caso particolare della
grande legge dell’attrazione universale» (I, p. 195).
Il più importante esponente del positivismo inglese, Herbert
Spencer (1820-1903), trasferisce l’evoluzionismo dal piano biologi-
co al piano cosmologico, finendo col dargli un significato metafisico.
Accolta la dottrina di Lamarck, in un primo tempo intende l’evolu-
zione iniziata per un atto di creazione e da questo orientata verso
un fine, ma poi si limita alla descrizione delle cause esterne che la
producono, attribuendole all’ambiente, prima di Darwin, che lo cita
nella prefazione de L’origine delle specie. Spencer formula un piano
di lavoro per Un sistema di filosofia sintetica, che realizza in diversi
volumi tra il 1860 e il 1893. Un posto a parte ha l’Educazione intel-
lettuale, morale e fisica, del 1861, l’opera classica del positivismo pe-
dagogico, che ebbe larga diffusione nei paesi anglosassoni.
Il sistema di Spencer inizia, alla maniera di Kant, con una di-
scussione sui limiti della conoscenza umana, riconducendoli al pia-
no del fenomeno, oltre il quale non ci è dato di andare se non ci
soccorre una rivelazione. La scienza ha per oggetto lo sperimenta-
bile, il fenomeno, oltre il quale c’è il mistero; la religione ha per og-
getto il soprasensibile, la cosa in sé, il noumeno. Così Spencer salva
la fede, distinguendo tra conoscibile e inconoscibile, ma la contrap-
pone alla scienza. L’esperienza è limitata al fenomeno, i dati che ne
riportiamo, pur non dandoci la realtà in sé, ne sono un simbolo;
per questo ci è possibile ammettere, al di sotto dei fenomeni, una
forza persistente, che è la causa dei fenomeni e che rimane costan-
te nel suo doppio aspetto di materia e di movimento. I singoli esseri
emergono dalla materia per il raccogliersi di elementi che prima era-
no dispersi, e scompaiono nella materia per il dissolversi di questa
composizione: all’evoluzione segue l’involuzione. Tutto il processo
cosmico si riduce perciò a fenomeni di integrazione e di disgrega-
zione. L’evoluzione è un’integrazione di materia, che va costituendo
l’individuo attraverso un processo che si articola in tre aspetti. La
concentrazione segna il passaggio dal semplice al composto (dalla
nebulosa primitiva al sistema solare); ma questa concentrazione av-
viene mediante una differenziazione, passaggio dall’omogeneo all’e-
II. L’età delle ideologie 141

terogeneo (mentre si passa dalla nebulosa al sistema solare i singoli


pianeti si differenziano); e questa differenziazione avviene attraver-
so una determinazione, passaggio dal disordinato all’ordinato (nel
sistema solare i pianeti si pongono in rapporto tra di loro e con il
sole, in modo da costituire un’armonia delle parti col tutto). Spencer
applica queste leggi dell’evoluzione alla biologia, alla psicologia, alla
sociologia e all’etica, finendo, come faceva anche Hegel, per forza-
re la realtà, per farla corrispondere a principi a priori. L’evoluzione
in biologia si manifesta come passaggio da forme inferiori a forme
superiori per l’adattamento delle strutture degli individui alle mo-
dificazioni dell’ambiente esterno. Spencer in psicologia e in etica
nega l’esistenza di principi a priori, derivandoli tutti per evoluzione
dall’esperienza. Quei criteri di conoscenza e quelle regole di morali-
tà che ci sembrano a priori, innati, costitutivi della nostra natura, so-
no invece solo a priori per noi, non per i nostri progenitori, che sono
giunti a tali principi attraverso l’esperienza e poi ce li hanno tra-
mandati per ereditarietà. Infine in sociologia si passa per evoluzione
dall’individuo alla società attraverso il libero organizzarsi delle classi
sociali, fino ad un perfetto equilibrio tra egoismo e altruismo, senza
sacrificare la libertà dell’individuo. Sul piano pedagogico Maritain
contro Spencer precisa che non basta esercitare l’intelligenza per mi-
gliorarla, perché per migliorarla, bisogna soddisfarla; e l’intelligenza
è soddisfatta quando ha intelletto l’intelligibile, cioè quando ha rag-
giunto la verità. Approfondendo precisa: «L’opposizione tra valore
di conoscenza e valore di esercizio deriva dall’ignorare che cos’è la
conoscenza e dal supporre che conoscere sia accumulare materiali
in un sacco, e non già l’azione più vitale, per mezzo della quale le
cose vengono spiritualizzate per fare un tutt’uno con lo spirito. Nel-
la conoscenza che è della specie più degna, se si desse la precedenza
all’esercizio o alla ginnastica mentale o al puro esame dialettico su
come sono fatte le grandi opere o come si svolgono i grandi pensieri,
se si desse a questa ginnastica la precedenza sulla bellezza nella qua-
le dilettarsi o sulla verità da apprendere e a cui aderire, si andrebbe
contro la tendenza naturale dello spirito» (VII, p. 827).
Maritain nella Storia della filosofia morale (57) conclude l’anali-
si sul positivismo anglosassone: «Dall’utilitarismo di Bentham e di
Stuart Mill non credo che la filosofia morale abbia nulla d’importan-
te da apprendere. Questo edonismo social-minded e ben pensante,
che concepisce il fine della vita umana in termini di statistica, e che
in Bentham ha un sapore piuttosto mercantile, in John Stuart Mill è
142 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

colorato delle virtù proprie del gentleman, resta di molto inferiore al


sentimento morale, che gli serve da sostrato nella coscienza comune,
e che l’edonismo in parola tenta di razionalizzare. Esso dimentica
del resto che Mandeville aveva mostrato anticipatamente l’estrema
ingenuità del principio benthamiano secondo il quale la più grande
felicità del più gran numero risulta dai piaceri e dall’utilità di ciascu-
no, quando siano ben calcolati. Tutto quello che l’utilitarismo della
fine del XVIII secolo e dell’inizio del XIX è riuscito ad operare è il
completo svuotamento, nel campo stesso di questi difensori della
virtù, dell’idea del bene morale propriamente detto, del bonum ho-
nestum (bene come rettitudine) sostituita da quella del vantaggio, o
del good state of affairs» (XI, p. 401).

Il positivismo in Germania e in Italia

Maritain non dedica particolare attenzione al positivismo ita-


liano e tedesco, ma nei suoi scritti si trovano alcune osservazioni
rilevanti. Il positivismo in Germania non ebbe un ampio sviluppo,
ma si trasformò in materialismo, con Ernest Haeckel (1834-1912),
insegnante all’Università di Jena, che negli Enigmi dell’universo fa
derivare tutti gli esseri da una materia originaria composta di azoto,
ossigeno, idrogeno e carbonio, in una prospettiva, sotto l’influenza
della filosofia della natura di Goethe, di un vago panteismo. Haeckel
ritiene la filosofia una sintesi di chimica, fisica e meccanica come
studio della forma, della materia e della forza; ed elabora la legge
biogenetica generale secondo la quale l’ontogenesi, cioè lo svilup-
po individuale degli embrioni, sarebbe una ricapitolazione della fi-
logenesi, cioè lo sviluppo evolutivo della specie. Maritain, che si è
specializzato in embriologia ad Heidelberg alla scuola di Hans Dri-
esch30, ritiene che questa teoria sia una falsificazione (I, p. 933) e
precisa che l’uomo nasce nell’evoluzione, ma non dall’evoluzione,
perché la vita spirituale dipende ma non deriva dalla vita biologica,
in quanto l’anima intellettiva è creata direttamente da Dio. Contrap-
pone al meccanicismo di Haeckel il finalismo di Driesch, la cui filo-
sofia della natura rivendica, contro ogni trasformismo, «l’autonomia
della vita» (II, p. 1153) e per via sperimentale afferma «che il corpo

30
Cf. La filosofia della natura: Hans Driesch, in P. Viotto, Grandi amicizie, cit., pp.
26-30.
II. L’età delle ideologie 143

vivente è qualche cosa di assolutamente irriducibile ad una macchi-


na fisico-chimica» (II, pp. 1259-1260)31. Anche l’Italia partecipò al
moto culturale che predominò nella seconda metà dell’Ottocento e
che segnò una reazione al romanticismo; ma, a parte il suo princi-
pale esponente, Roberto Ardigò (1828-1920), il positivismo italiano
non giunse alle conclusioni materialistiche del positivismo europeo;
si caratterizzò come un positivismo metodologico, richiamandosi in
questo senso alla tradizione sperimentalistica di Leonardo e di Ga-
lileo per la scienza, di Machiavelli e di Guicciardini per la storia e
la politica, di Muratori per la storiografia. Fu una reazione allo spi-
ritualismo che aveva sostenuto gli ideali risorgimentali: fatta l’unità
politica dell’Italia, occorreva risolvere i problemi pratici che questa
unità comportava, era necessaria una conoscenza dei dati positivi,
della situazione reale, occorreva partire dall’esperienza. Questo ri-
ferimento all’esperienza si riallaccia alla tradizione ideologica fiorita
nella seconda metà del Settecento e nei primi anni dell’Ottocento.
Carlo Cattaneo (1801-1869), discepolo di Romagnosi, è l’iniziato-
re del positivismo italiano che invita i giovani a tornare agli studi
positivi, a fare delle esperienze, e si interessa di studi psicologici
tentando una psicologia delle menti associate, ossia una psicologia
dei rapporti sociali. Un federalista repubblicano, Giuseppe Ferrari
(1811-1876), anche lui discepolo di Romagnosi, volse in scetticismo
l’empirismo del maestro.
Ma il più noto positivista italiano è Cesare Lombroso (1836-
1909), animatore a Torino della Scuola positiva italiana di diritto
penale, che con le sue opere Genio e follia (1864) e L’uomo delin-
quente (1878) contribuì a promuovere la psicologia criminale, anche
se giunse a derivare le capacità psichiche dalla struttura somatica e a
considerare il genio come un anormale. Si può considerare tra i po-
sitivisti italiani anche il fisiologo Jacob Moleschott (1822-1893), do-
cente prima in Olanda e in Svizzera, poi in Italia, a Torino e a Roma,
senatore del Regno, membro dell’Associazione nazionale del libero
pensiero “Giordano Bruno” che, in Circolazione della vita (1852)
tradotta in italiano da Lombroso, riduce il pensiero a circolazione
di fosfati.

31
Cf. gli articoli nei «Cahiers de philosophie de la nature» promossi da Maritain
con un gruppo di scienziati dal 1925 al 1932.
144 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

9. Auguste Comte: una nuova ideologia utopistica


Profeta di una rivoluzione la quale non ha direttamente investito
che la sfera delle idee, ma il cui potere di diffusione
e il cui indice di universalità sono certo più considerevoli di quelle
della rivoluzione marxistica nella sfera sociale (XI, pp. 746-747).

Maritain dedica particolare attenzione a questo filosofo, perché


lo considera il padre del relativismo, nella sua Storia della filosofia mo-
rale (57) gli dedica due capitoli (XI, pp. 689-844) e utilizzando anche
uno studio monografico fatto da Lucien Lévy-Bruhl32, che era stato
suo insegnante alla Sorbona. Auguste Comte (1798-1857), discepo-
lo e segretario di Saint-Simon, da cui fu profondamente influenzato,
dopo una grave crisi nervosa e un tentativo di suicidio si avvia all’in-
segnamento all’“École polytecnique” e si dedica ad elaborare una sin-
tesi enciclopedica in sei volumi, Corso di filosofia positiva, pubblicati
tra il 1839 e il 1842, che diventano il più importante testo del positi-
vismo francese. Ma proprio questo lavoro suscita polemiche e deve
abbandonare l’incarico e vive grazie ai sussidi dei suoi ammiratori.
Dopo una seconda crisi nervosa, da cui si salva grazie al legame con
Clotilde de Vaux, la cui influenza lo inclina verso una visione mistico-
umanitaria, scrive i quattro volumi del Trattato di sociologia, riassun-
ti in uno scritto divulgativo dal titolo Catechismo positivista (1852).
Comte si riavvicina al socialismo utopistico, formula in tutti i suoi det-
tagli i principi e i riti di una nuova religione che sostituisce al culto di
Dio il culto dell’umanità; la scienza diventava così una religione dando
origine a sette che si diffondono anche in America. A Porto Alegre, in
Brasile, si trova ancora un tempio con scritto sul frontone «L’amore
per principio, l’Ordine come fondamento, il Progresso come fine». È
una sintesi del credo di Auguste Comte.
Maritain inizia la sua analisi rilevando che Comte, rispetto a Kant,
«è profondamente e deliberatamente acritico» perché per lui «è un
puro non-senso pensare che lo spirito possa scrutare se stesso, esa-
minare il proprio potere di conoscere e il valore della conoscenza»
(XI, p. 690). «Egli si serve dello spirito senza curarsi minimamente
di sapere che cosa esso sia» (XI, p. 691). Comte rappresenta nello
sviluppo della riflessione filosofica uno snodo nella reazione anti-
kantiana perché per il suo monismo si affianca ad Hegel e Marx e

32
L. Lévy-Bruhl, La philosophie d’Auguste Comte, Alcan, Paris 1900.
II. L’età delle ideologie 145

La morale dopo Kant - tav. n. 9


146 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

prepara Sartre e Dewey e per il suo vago misticismo accenna ad una


morale sovraumana radicata nella soggettività individuale come si
può trovare in Kierkegaard e in Bergson. Si confronti la tavola che
Maritain inserisce nella sua Filosofia morale (57) che allego riman-
dando per gli approfondimenti alle pagine di commento dell’opera.

Il relativismo e l’epistemologia positivista

Comte a diciott’anni proclama questo principio: «Tutto è rela-


tivo, ecco la sola cosa assoluta», che qualche anno dopo, diventato
gran sacerdote dell’umanità, formula in: «Tutto è relativo, ecco il
solo principio assoluto». Maritain rileva che questa formula «dove-
va procurare una profonda soddisfazione viscerale a generazioni di
borghesi» (XI, p. 723) e osserva che si tratta di un’intuizione mal
concettualizzata perché «il tempo è il grande relativizzatore, ma si
tratta di sapere se tutto sia sottoposto al tempo e da esso misurato, e
se tutte le cose di conseguenza siano relativizzate dal tempo» (XI, p.
724). Ma Comte, «invece di pensare ad una relatività dello stato del-
le nostre conoscenze, pensa alla relatività della verità» (ibid.). Così,
contraddicendosi, fa del relativismo un assoluto. «Si è voluto relati-
vizzare tutto, fenomenizzare tutto, ed erigere a filosofia la negazione
del sapere filosofico […] ma la relatività non ha senso, che essendo
relativa essa stessa, non ha senso che in rapporto all’assoluto» (XI,
p. 732). «Comte pretende di fondare una filosofia, pur rifiutando al-
la filosofia un suo oggetto e un ambito indipendenti» (XI, p. 739).
Comte nega il principio di finalità e lo sostituisce «con il principio
positivo delle condizioni di esistenza: l’uccello vola perché ha le ali,
non ha le ali per volare» (III, p. 1060). La scienza si limita a consta-
tare, di volta in volta, il fatto, non cerca spiegazioni ultime; per il po-
sitivismo non vi è altra scienza.
Nell’età positiva tutte le scienze si liberano delle sovrastruttu-
re teologiche e filosofiche, nasce una nuova scienza, la sociologia,
nella quale la filosofia morale diventa un’indagine sperimentale per
poter stabilire scientificamente le leggi della vita associata. Comte
stabilisce una nuova classificazione delle scienze, studiate nella loro
successione storica, secondo la legge dell’evoluzione da una maggior
astrazione e minore complessità a una maggior complessità e minor
astrazione. Con questo criterio di valutazione si stabilisce una pro-
gressione epistemologica: matematica, astronomia, fisica, chimica,
II. L’età delle ideologie 147

biologia, sociologia, e infine morale «come sintesi soggettiva e stru-


mento della religione» (XI, p. 804). La filosofia, avendo perso il suo
oggetto specifico cioè l’intelligibile, viene ridotta ad un compito di
classificazione delle altre scienze. Non esiste la metafisica, ma solo le
conoscenze fenomenologiche dei fatti positivi, tanto che Comte affer-
ma: «Mentre Hume rappresenta il mio principale precursore, Kant vi
si trova accessoriamente legato: la sua concezione fondamentale non
fu veramente sistematizzata e sviluppata che dal positivismo» (XI,
p. 692). A proposto di questa riduzione della filosofia a semplice se-
gretaria delle altre scienze Maritain osserva: «Comte è stato il primo
di quei filosofi, la cui specie è divenuta comune, che filosofano con
tanta maggiore arroganza, quanto più cacciano la filosofia da casa sua
e le vietano i suoi propri territori, quei filosofi per i quali la filosofia
non ha né oggetto, né sfera indipendenti, non avendo altra sfera ed
altro oggetto che quello delle scienze. Spingendo alle estreme conse-
guenze l’idea dell’unità essenziale del sapere, tanto cara a Cartesio, e
raccogliendo al puro livello dei fenomeni tutto il sapere umano ormai
completamente omogeneo, egli così inaugura in modo sistematico
quello che si potrebbe chiamare il giacobinismo o il sanculottismo
epistemologico, per il quale la filosofia è un’aristocratica diventata
portinaia e custode del Museo della Scienza» (XI, p. 691).
Ma a parte il riscontro di queste esasperazioni ideologiche,
Maritain riconosce a Comte il merito di avere riconosciuto che la
scienza moderna, «che consiste nell’osservare e misurare, nell’or-
ganizzare i risultati in una costruzione matematica o in una altra
specie di costruzione simbolica» (XI, p. 714), ha acquisito la sua
autonomia dalla filosofia. Però Comte di una distinzione ha fatto
una separazione, giungendo a contrapporre le scienze alla filosofia:
«Ha dunque definito in modo sommario e semplicistico i caratteri
che differenziano il modo di pensare proprio della scienza da quello
proprio della filosofia, come sapere indipendente. Resta che egli ha
visto tra questi due modi di pensare un’irriducibile differenza. E l’a-
ver visto questo è quanto importa anzitutto, questo fa il merito e la
forza storica di Comte. Si dovrà formulare questa verità in maniera
diversa da lui, ma si è tenuti a riconoscerla» (XI, p. 713). E aggiun-
ge: «L’equivoco insensato è stato di credere che il modo di pensa-
re proprio delle scienze dei fenomeni respingesse nel nulla il modo
di pensare proprio della metafisica; in altri termini, che il secondo
modo di pensare fosse illusorio e che soltanto il primo costituisse
un valido approccio alla realtà» (XI, p. 715). Cartesio aveva risolto
148 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

tutte le scienze in filosofia, con Comte la filosofia si riduce ad una


metodologia di ricerca, elenca e cataloga le altre scienze. Le scienze
dei fenomeni sono relative, perché con il continuo progredire degli
strumenti di ricerca, assumono sempre nuovi punti di vista, ma que-
sto fatto non autorizza a fare del relativismo una filosofia.

La filosofia della storia

L’umanità è pervenuta allo stato attuale attraverso tre grandi


fasi storiche che Comte descrive inquadrando il suo sistema in una
visione storica e considerandola, come già faceva Hegel, il punto
terminale e perfetto dell’evoluzione. Nell’età teologica gli uomini ri-
feriscono, mediante l’immaginazione, le cause dei fenomeni ad es-
seri trascendenti, a delle divinità. La religione passa attraverso vari
gradi, dal feticismo primitivo al politeismo e infine al monoteismo.
In questo periodo la società è organizzata monarchicamente. Nell’e-
tà metafisica gli uomini, abbandonando le precedenti spiegazio-
ni antropomorfiche, riferiscono, mediante la ragione, le cause dei
fenomeni ad enti astratti, razionali, a principi filosofici. In questo
periodo la società si dissolve, la discussione, l’egoismo, il dubbio
la sgretolano, l’individuo si sottomette allo Stato, ridotto ad una
convenzione nata per contratto. Nell’età positiva, invece, gli uomi-
ni rinunciano alla spiegazione ultima della realtà e si accontentano,
mediante l’osservazione, di spiegare i fenomeni con i fatti positivi,
senza pretendere di cercare l’origine e lo scopo delle cose. Si stu-
diano così le condizioni in cui avvengono i fenomeni, per stabilire
le leggi del loro comportamento, per poterli utilizzare. Questa è la
legge dei tre stati a cui sono sottoposte tutte le conoscenze: «Lo sta-
to teologico o fittizio, lo stato metafisico o astratto, e infine lo stato
scientifico o positivo» (XI, p. 717). Per Comte, osserva Maritain, «il
regno della metafisica non è considerato che come una specie di ma-
lattia cronica transitoria» (XI, p. 721). Questa legge presuppone il
principio fondamentale del progresso necessario: «È sotto la sua in-
fluenza che Comte, con Saint-Simon, guarda la Rivoluzione francese
come l’irrevocabile avvenimento di una nuova Gerusalemme, di cui
si era riservato di fondare la religione» (II, p. 862).
Maritain rileva una stretta connessone tra la filosofia della storia
e l’epistemologia di Comte: «Dal punto di vista positivistico si è con-
dotti ad affermare che le scienze matematiche e fisico-matematiche,
II. L’età delle ideologie 149

e tutto l’insieme delle varie scienze fenomeniche, rappresentano il


solo organo, la sola funzione di verità (o di verificazione) del pensie-
ro umano, e che, pertanto, la religione, l’esperienza mistica, la meta-
fisica, la poesia si trovano nella mentalità incivilita come un’eredità
della mentalità primitiva e prelogica. Questo è un punto fondamen-
tale nella filosofia della storia dei positivisti. Questi tipi di attività
mentale non sarebbero che metamorfosi dell’antica magia, giustifi-
cabili, forse nell’ordine pratico e affettivo, ma direttamente opposti,
come la magia stessa, alla linea della scienza e della verità. L’era della
scienza è succeduta all’era della magia; e magia e scienza sono essen-
zialmente nemiche e incompatibili» (X, pp. 696-697). Per Maritain,
come scrive in Segno e simbolo (VI, pp. 97-147), l’uomo ha sempre
impostato e giudicato le sue azioni attraverso il pensiero, non c’è
stata nell’umanità una mentalità prelogica, anche se la coscienza sto-
rica, la coscienza scientifica, la coscienza religiosa sono tutte passa-
te attraverso il regime notturno dello spirito, prima di giungere allo
stato adulto, allo stato logico della perfezione concettuale. Infine
Maritain rileva che risolvere tutto il problema della conoscenza nei
limiti della storia, negando la trascendenza del pensiero sul divenire
dell’uomo, come fanno Comte, Hegel e Marx, è una sorta di «gno-
sticisno della storia» (X, p. 639).

La religione dell’umanità

A questo punto Comte si lascia trasportare dal sentimento: il suo


sistema di politica positiva acquista accenti di ingenuo misticismo.
Afferma che l’individuo è solo un’astrazione, chi esiste realmente è
l’Umanità; i singoli uomini nascono e periscono, ma l’Umanità è im-
mortale ed eterna, è sempre stata e sempre sarà. L’immortalità di cia-
scuno è solo nel ricordo degli altri, non è un’immortalità reale, ma è
«un’immortalità soggettiva» (IX, 303), in quanto ogni uomo parteci-
pa ad un’unica anima collettiva. Preso sempre più dal sentimento di
appartenenza all’unica umanità di quelli che furono, che sono e che
saranno, Comte invita al culto di questa nuova divinità, subordinan-
dole l’individuo, non solo politicamente (sociocrazia), ma anche spi-
ritualmente (sociolatria). Ogni uomo è uomo grazie alla società in cui
vive: «l’individuo umano come tale è un oggetto puramente biologi-
co, le funzioni propriamente umane, come l’intelligenza e la moralità,
sono sociali in tutta la forza del termine» (XI, p. 792). L’Essere supre-
150 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

mo è l’umanità, che è il Grande essere (cf. XI, pp. 792-793), il quale


con il Grande Feticcio, cioè la terra e il Grande Mezzo, cioè lo spa-
zio, costituisce una sorta di trinità positivista. La religione di Comte,
che conserva, travisandoli, molti caratteri del cristianesimo, e «pro-
pone nove sacramenti sociali» (III, p. 359), è una laicizzazione della
religione perché riduce Dio al collettivo dell’umanità e considera la
salvezza, anziché l’opera soprannaturale di Dio nella storia di ogni uo-
mo, il risultato del progresso naturale dell’umanità. Comte non è solo
agnostico, ma è ateo, proprio come Marx. Maritain fa un confronto
tra l’ateismo rivoluzionario del secondo e l’ateismo conservatore del
primo. Comte aveva l’intenzione di scrivere un trattato di morale, ma
riuscì solo a tracciarne l’indice, indicando due aspetti, l’uno riguar-
dante l’ordine del mondo, che si sviluppa come fatalità, a cui bisogna
adattarsi, come consiglia lo stoicismo, e l’altro riguardante l’ordine
della società al quale bisogna collaborare sulla base dell’amore come
principio, cercando di far prevalere la simpatia sull’egoismo. L’amore
non è un valore in se stesso, come la carità per il cristianesimo, virtù
che Comte e Marx disprezzano, ma è solo un mezzo. Maritain rile-
va che «la finalità ha in quest’etica, che è essenzialmente sociale, una
preponderanza sul valore» (XI, p. 836). Comte, a differenza di Kant,
«reintegra i legami dell’universo della natura con l’universo della mo-
ralità» (XI, p. 839) in un sistema morale «cosmico-chiuso», fenome-
nologizzato e relativizzato, perché «nella prospettiva positivistica la
ragione è per l’universo morale un principio regolatore estrinseco,
solo i sentimenti e gli istinti sono principi regolatori intrinseci della
condotta umana» (XI, p. 841). Maritain osserva: «Non c’è alcun va-
lore assoluto, c’è solo un fine relativamente supremo: l’Umanità e il
suo progresso» (XI, p. 837). Maritain in Riflessioni sull’intelligenza
(8) mette a confronto Comte e san Tommaso: «Il fondatore del po-
sitivismo ha giustamente veduto che tutto il nostro sapere poggia su
una base sperimentale. E san Tommaso avrebbe potuto spiegargli
che così è perché solo i nostri sensi ci danno l’intuizione immediata
di ciò che esiste fuori di noi, in quanto le nostre idee non si risolvo-
no in Dio, come credeva Cartesio, ma nelle cose, e ciò per mezzo dei
sensi. Ma poi avrebbe cercato di fargli comprendere che questa non
è che la risoluzione materiale, come noi diciamo, della nostra scienza;
che dal dato sensibile, la luce dell’intelletto trae delle nature e delle
leggi, tutto un ordine di necessità intelligibili, che vale per sé, e si ri-
solve formalmente nella nozione oggettiva dell’essere; e infine che la
ragione, basandosi sulle sole esistenze sensibili, immediatamente per-
II. L’età delle ideologie 151

cepite, può e deve passare all’affermazione scientifica dell’esistenza


delle realtà spirituali» (III, p. 358).

Conclusioni sull’età del positivismo

Iniziatosi come una critica dell’idealismo in nome del fenome-


nismo, il positivismo finì per ereditarne le caratteristiche strutturali,
quali il monismo e l’evoluzionismo, ma soprattutto la pretesa di aver
trovato un metodo di ricerca uguale per tutti i campi del sapere. Ma
non è il metodo a determinare la realtà, bensì è la realtà a richiede-
re un metodo a lei adeguato, e poiché la realtà è molteplice nei suoi
aspetti, occorreranno diversi metodi per i diversi aspetti. Cartesio
aveva creduto di aver trovato nella matematica il metodo universale,
dopo di lui Hegel indica nella filosofia l’unico metodo di ricerca; i
positivisti riducono tutto a scienza, e in questo senso avrebbero do-
vuto limitarsi alla constatazione dei fatti, nelle loro concatenazioni,
senza pretendere di assurgere poi a valutare con il medesimo metro
il perché ultimo e la causa prima di quei fatti; invece, proprio loro,
i nemici della metafisica, diventarono dei metafisici e dei materiali-
sti. Così sono caduti in due gravi contraddizioni: la prima consiste
nell’aver voluto trasferire nella materia le caratteristiche dello spiri-
to, cioè nell’aver attribuito alla natura, che di per se stessa è ripeti-
zione, l’evoluzione storica e il progresso; la seconda, che è il rovescio
della prima, consiste nell’aver attribuito allo spirito le caratteristiche
della materia, per cui si è derivato per evoluzione l’uomo dall’anima-
le, l’anima dal corpo, lo spirituale dal fisico. Il positivismo pretese
di spiegare ogni cosa, anche le più complesse, con semplici variazio-
ni quantitative, passando dalla fisica alla chimica, dalla chimica alla
biologia, dalla biologia alla psicologia, dalla psicologia alla filosofia.
Accanto al preteso metodo universale, il positivismo trascina altri
equivoci derivati dal monismo, sia perché venivano svalutati i sin-
goli esseri, ridotti a provvisori anelli di un’evoluzione senza scopo,
sia perché era impossibile derivare dall’unità originaria, indistinta
e imperfetta, tutta l’infinita serie degli esseri distinti e nel loro li-
mite perfetti, che ne sono scaturiti. Così l’evoluzionismo si poneva
dogmaticamente, senza giustificazione, a chiave di volta di tutto un
sistema. La prima metà del secolo fu romantica ed ebbe per l’arte
quasi un culto, la seconda metà fu positiva e volle adorare la tecni-
ca; il secolo successivo vive l’antinomia tra arte e tecnica, tra spirito
152 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

e materia, tra libertà e necessità, in una serie di correnti filosofiche


che reagiscono ad ogni monismo, ad ogni assolutismo, rivalutando
il singolo, l’esistenziale, la pluralità. «Se John Stuart Mill trovava
che la frequentazione degli scritti di Hegel depravava l’intelletto, un
qualunque hegeliano avrebbe potuto rispondere che cercare lumi
nel Corso di filosofia positiva di Comte è un segno di anemia dello
spirito» (XI, pp. 699-700).
In un certo qual senso il positivismo, attraverso Kant, è lo svilup-
po dell’empirismo. Maritain osserva: «Il disaccordo tra positivismo
e kantismo in materia speculativa è profondo. Ma esso non impedi-
sce, sul piano delle opinioni comunemente diffuse e delle idee filo-
sofiche volgarizzate, una specie di intesa cordiale e di convergenza
effettiva tra i due sistemi. Fusi in una stessa nozione, i fenomeni
constatati dal positivismo e i fenomeni costruiti da Kant dovevano
segnare, per una moltitudine di esseri pensanti della specie uomo
moderno, il limite a cui si arresta la conoscenza umana, e sul qua-
le sta scritto in tutte le lingue del mondo: proibito andare oltre. Al
contrario, sul piano dell’etica il positivismo si oppone al kantismo
in modo assolutamente irriducibile e nella misura in cui esso ha al-
largato il suo dominio, la reazione anti-kantiana che prende in esso
la sua forma estrema non ha potuto che approfondirsi e fortificarsi.
L’apriorismo kantiano richiamava esso stesso una tale reazione e la
rendeva inevitabile. Lo stato d’animo positivistico si rifiuta a questo
apriorismo, si sente offeso dalla teoria dell’imperativo categorico e
dalle sue esigenze puramente formali, come il carattere arbitrario
del suo tu devi. L’assolutismo e il purismo etici, i comandamenti
del Sinai trasferiti alla volontà noumenica dell’uomo, non gli dicono
nulla di valido. E ciò di cui, non senza ragione, innanzitutto si scan-
dalizza, è del fermo proposito kantiano di tagliare ogni legame tra il
mondo della moralità e il mondo della natura» (XI, p. 691).
Maritain nella sua analisi sottolinea come accanto e in relazio-
ne al positivismo utopistico e pseudomistico di Comte si sia svilup-
pato un «positivismo puramente scientista o secolarizzato» che ha
raggiunto il mondo contemporaneo, di cui rileva tre connotazioni
ereditate dal pensiero debole. «Il primo atteggiamento dottrinale
è quello dello storicismo, che risale a Comte (agli occhi del quale,
tuttavia, il relativismo storico non si applicava, beninteso, alla pro-
pria dottrina, considerata come definitivamente fissata). Lo storici-
smo ritiene che ogni pensiero umano è storicamente condizionato,
non solo riguardo alle sue modalità accidentali, ma riguardo alla sua
II. L’età delle ideologie 153

stessa relazione con l’oggetto […]. Donde segue che nessun giu-
dizio, quale che esso sia, e in particolare nessun giudizio morale, è
universalmente valido, e che tutte le nostre norme di condotta sono
relative al tempo e alla diversità dei momenti storici» (XI, pp. 694-
695). Il pensiero debole si muove in questo relativismo. «Il secondo
atteggiamento dottrinale è quello del positivismo logico e dei suoi
succedanei i quali, spingendo più lontano di Comte talune vedute di
Comte stesso, considerano come fornite di senso e capaci di essere
estese a validità intersoggettiva soltanto le asserzioni proprie delle
scienze dei fenomeni, che hanno a che fare solo con i dati e con i me-
todi di osservazione e di misura» (XI, p. 695). Il pensiero debole ri-
nuncia alla metafisica. «Il terzo atteggiamento dottrinale è quello del
sociologismo, che non si confonde con la sociologia più che lo stori-
cismo si identifichi con la storia, e che ritiene (era questa particolar-
mente la posizione di Émile Durkheim) che tutto quanto concerne
la condotta umana, il comportamento degli individui come quello
del gruppo, le idee, le credenze e le regole che vi presiedono, mette
capo ad un unico sapere, la sociologia, pura scienza d’osservazione
dei fatti sociali o fenomeni sociali» (XI, pp. 694-696). Il pensiero de-
bole si ferma all’opinione.
In conclusione il positivismo si presenta più come un’ideologia
che come una filosofia, al punto da fare violenza alla scienza stessa.
Infatti, osserva Maritain: «I teorici della scienza e della sua propria
logica, soprattutto Meryerson in Francia, hanno dimostrato che lo
scienziato, se si osserva non ciò che dice ma ciò che fa, senza fare ca-
so delle sue opinioni e dei suoi pregiudizi filosofici, e delle sue sud-
ditanze teoriche al positivismo, mette realmente in opera, una logica
che non ha nulla a che vedere con le costruzioni del positivismo clas-
sico o dell’empirismo» (XI, p. 71). Il positivismo, avendo sganciato
le scienze dal sapere filosofico, avendo ridotto la filosofia a fare la
segretaria delle scienze, privandola del suo oggetto proprio, si pone
oltre il criticismo kantiano. «Nell’ordine speculativo il positivismo è
una reazione contro Kant nel senso che Kant, pur rendendo critica
e non più dottrinale, l’opera della filosofia, restava un filosofo del-
la tradizione aristocratica, stimava cioè la filosofia una disciplina di
rango superiore, una disciplina-regina, incentrata su un oggetto che
le apparteneva in proprio, che costituiva per essa un ambito o ter-
ritorio noetico indipendente. Proprio mentre si persuadeva dell’im-
possibilità di ogni metafisica come scienza, egli rimaneva tutto preso
dalla metafisica e si dava a restaurarla nella sua verità, mediante la
154 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

credenza. L’idea dell’attività dello spirito, per quanto male del re-
sto l’abbia potuta intendere, era all’origine della sua ricerca. E se
limitava la nostra conoscenza ai fenomeni e al mondo dell’esperien-
za, collocava però nelle regioni non attinte dal sapere l’esistenza del
noumeno o cosa in sé» (XI, p. 690). Il positivismo non è una filosofia
critica o una filosofia dottrinale, ma un’ideologia.
Ciò detto Maritain distingue nella selva dei positivisti un posi-
tivismo di destra e un positivismo di sinistra: «Vi è un positivismo
di sinistra liberale, umanitario, ingenuo e incoerente, che milita per
la giustizia, per la fraternità umana e per i diritti umani ritenendo
nullo e come mai avvenuto tutto ciò che fonda razionalmente tali
nozioni. Vi è d’altronde un positivismo di destra cinico e articolato,
utopico al pari del positivismo di sinistra, ma all’insegna dell’ordine
e della forza, che in nome della natura e delle sue necessità, e di un
realismo sedicente scientifico, nutre una profonda avversione per
la giustizia e per i valori morali» (XI, p. 694). Malgrado il giudizio
critico sull’insieme del positivismo, Maritain, a riguardo dell’ipote-
si di un evoluzionismo biologico, si dimostra possibilista tanto da
scrivere in Verso un’idea tomista dell’evoluzione (XIII, pp. 573-648):
«Notiamo di sfuggita che, nonostante il dubbio radicale a cui si ras-
segnano oggi molti scienziati quanto alla possibilità di trovare una
spiegazione scientifica delle cause dell’evoluzione, significherebbe
fare ingiuria allo spirito umano il rinunciare alla speranza che questa
spiegazione, sempre soggetta a revisione, come tutte le spiegazioni
della scienza, possa essere un giorno trovata» (XIII, p. 600). Ma si
tratta di verificare, al di là dell’evoluzione biologica, il tutto con una
sicura filosofia della storia e non fermarsi all’elencazione dei fatti,
senza pretendere che la storia sia la scienza ultima. «La storia come
pura elencazione dei fatti corrisponde ad una necessità assoluta. Ma
essa non è affatto una scienza, come immaginava l’ingenuo positi-
vismo del XIX secolo. Essa è una parte integrante della storia, una
tecnica e una disciplina indispensabili (critica dei documenti, critica
delle testimonianze, paleografia, ecc.), avente come scopo quello di
osservare le situazioni del passato e di preparare del materiale atten-
tamente verificato e vagliato, che lo storico dovrà in seguito pesare,
valutare, interpretare ed organizzare al fine di comprendere il suc-
cedersi degli avvenimenti nella loro interdipendenza» (X, p. 754).
Anche perché la storia non è fine a se stessa: «Un filosofo cristiano
della storia non potrà mai installarsi, come hanno fatto Hegel, Marx
e Comte al termine del tempo» (X, p. 749).
II. L’età delle ideologie 155

L’eredità più perniciosa che il positivismo lascia alla storia della


filosofia è la rinuncia al sapere filosofico, è il suo nominalismo, per
cui il concetto è un puro nome, utile ma non vero, è il suo fermarsi
al primo grado di astrazione «da cui è esclusa ogni intellezione meta-
fisica» (XVI, p. 974). È da questa cultura empiriologica che nasce il
mondo contemporaneo dominato dalla tecnocrazia, con il prevalere
dei mezzi sui fini, mentre «è la verità che è la sorgente e la misura
della stessa efficienza» (XIII, p. 518). Viviamo in un’epoca «di impe-
rialismo scientifico, che ha abbassato il livello di ricerca della ragio-
ne pur ottenendo una splendida dominazione tecnica della natura
materiale» (VII, p. 262). È la rinuncia al sapere filosofico che Mari-
tain analizza in profondità nel volume Ragione e ragioni (44): «Que-
sta soluzione del dibattito tra scienza e filosofia presuppone che la
scienza, per conquistare il divenire sensibile e il flusso dei fenomeni,
lavori per così dire in controtendenza alle tendenze naturali dell’in-
telligenza e utilizzi, come propri strumenti, dei simboli esplicativi
che sono enti di ragione fondati nella realtà, soprattutto enti di ragio-
ne matematici costruiti sulle osservazioni e misurazioni captate dal
senso. A questa condizione lo spirito umano può dominare scienti-
ficamente il divenire sensibile e i fenomeni, ma rinuncia nel medesi-
mo tempo a cogliere l’essere in sé delle cose» (IX, p. 251). Maritain
riconosce che accanto «agli scienziati esclusivi sistematicamente
convinti che la scienza sia l’unico tipo di conoscenza razionale di cui
l’uomo sia capace» (XII, p. 1185), ci sono anche gli scienziati libera-
li «pronti a cercare un modo di cogliere razionalmente le cose che
vada al di là dei fenomeni» (XII, p. 1186), ma aggiunge che per fare
filosofia occorrono strumenti adeguati, perché «non si può fare della
filosofia con strumenti non filosofici più di quanto si possa dipinge-
re con un flauto o con un pianoforte» (XII, p. 1189). Il positivismo
sul piano della filosofia del diritto ha comportato «il rifiuto dell’idea
di legge naturale e un discredito dei diritti dell’uomo» (IX, p. 573)
dimostrando di essere la filosofia della classe borghese del XIX se-
colo. Ma lo spirito del positivismo, attraverso il pragmatismo ameri-
cano, è diventato costume, ha invaso il mondo: la gente lavora e vive
per fare soldi e si distrae nei divertimenti. Maritain nel 1966 scrive:
«Il fatto è che noi viviamo nel mondo di Auguste Comte: la Scienza
(dal lato della ragione) completata dal Mito (dal lato del sentimen-
to). Egli è stato un profeta di prima grandezza» (XII, p. 675). Ma
sul piano intellettuale il positivismo ci ha portato al pensiero debole,
perché «lo scienziato, come lo immagina lo schema positivista, finirà
156 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

per analizzare perfettamente la realtà nell’ordine quantitativo e ma-


teriale, ma a condizione di conoscere solo cadaveri di realtà» (V, p.
871). Maritain conclude: «Il positivismo è semplicemente incapace
di stabilire una filosofia morale, o l’assorbe nella religione con il po-
sitivismo messianico o la fa scomparire nella scienza con il positivi-
smo secolarizzato» (XI, p. 844).
III. La crisi della modernità 157

III. La crisi della modernità

1. La diaspora del pensiero debole


I due conflitti mondiali del 1915-1918 e del 1939-1945 non solo
hanno modificato la geografia politica del mondo con la fine del co-
lonialismo e la crisi dello Stato-nazione, ma hanno portato alla dis-
soluzione delle ideologie e alla fine della modernità. Maritain nel
1943 in Cristianesimo e democrazia (35) descrive la genesi di questa
dissoluzione: «Noi assistiamo alla liquidazione del mondo moderno,
di quel mondo che è stato indotto dal pessimismo di Machiavelli a
scambiare la forza ingiusta per l’essenza della politica; a cui lo sci-
sma di Lutero, tagliando fuori la Germania dalla comunità europea,
ha fatto perdere l’equilibrio; in cui l’assolutismo dell’ancien régime
ha mutato a poco a poco l’ordine cristiano in un ordine di costrizio-
ne sempre più lontano dalle sorgenti cristiane della vita; di quel
mondo che il razionalismo di Cartesio e degli Enciclopedisti ha get-
tato in un ottimismo illusorio, che il naturalismo pseudo-cristiano di
Jean-Jacques Rousseau ha indotto a confondere le sacre ispirazioni
del cuore umano con l’attesa di un regno di Dio sulla terra, procura-
to dallo Stato e dalla Rivoluzione; al quale il panteismo di Hegel ha
insegnato a deificare il proprio movimento storico, e di cui hanno
affrettato la rovina, l’avvento della classe borghese, il regime del
profitto capitalistico, i conflitti imperialistici e l’assolutismo sfrenato
degli Stati nazionali» (VII, p. 709).
Dopo la presunzione prima del razionalismo e poi del positivi-
smo, che non riconosceva i diversi gradi del sapere, ciascuno nei
suoi limiti e nelle sue correlazioni, per risolvere tutto lo scibile nel
sapere umano, è nato il pensiero debole. Maritain nel Breve trattato
sull’esistenza e sull’esistente (42) fa un’analisi di questo processo:
«San Tommaso distingueva per unire. E di conseguenza distingueva
in modo tanto più preciso e più forte. In un momento della storia e
della cultura in cui al pensiero cristiano, dominato dalla tradizione
agostiniana, ripugnava far posto alle discipline puramente razionali,
158 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

uno dei fini principali della sua opera è stato quello di distinguere la
filosofia dalla teologia, e di stabilire così l’autonomia della filosofia.
Questa autonomia è stata da lui fondata in linea di principio. Dopo
di lui non è riuscita a fondarsi veramente di fatto; non vi è ancora
riuscita. Il nominalismo degli scolastici succeduti a san Tommaso
non poteva che compromettere questa autonomia, privando la me-
tafisica delle sue certezze, per riservarle esclusivamente al dominio
sovrarazionale della fede. L’imperialismo filosofico dei grandi pen-
satori succeduti a Cartesio l’ha compromessa in un altro modo, del
tutto opposto, privando delle sue spettanze la sapienza teologica per
gravare la metafisica e la filosofia morale di quei compiti e responsa-
bilità supremi di cui la teologia era stata la depositaria e che la filo-
sofia prendeva ormai su di sé, dapprima con un vanaglorioso
ottimismo, poi con il nero pessimismo delle grandi disillusioni. Il
sistema di Malebranche è una teofilosofia; il monadismo di Leibniz
è una trasposizione metafisica del trattato degli Angeli di Tommaso,
la morale di Kant è una trasposizione filosofica del decalogo. Alla
fine il positivismo di Auguste Comte è sfociato nella religione dell’u-
manità» (IX, p. 130). Questo scientifismo, che riduce tutto il sapere
a conoscenza empirica, attraverso il pragmatismo americano è dila-
gato nel mondo, facendo del capitalismo la regola delle relazioni tra
i popoli, diffondendo un’ideologia materialistica, più o meno espli-
citamente legata ad un’indifferenza per i valori religiosi. Maritain in
Riflessioni sull’America (52) conclude: «Resta che la diffusione uni-
versale di una specie di positivismo anonimo e volgarizzato, al quale
in America il pragmatismo ha dato una spinta intellettuale, non può
che rendere più insidioso questo materialismo» (X, p. 785).
Nella filosofia contemporanea le correnti di pensiero si interseca-
no e si confondono, la filosofia dei valori si accompagna al neokanti-
smo, l’esistenzialismo deborda nella fenomenologia, il tomismo, in
alcuni pensatori, si diluisce nel personalismo; i filosofi del pensiero
debole non sviluppano una riflessione sistematica, le loro argomenta-
zioni sono più intuizioni slegate che ragionamenti consolidati. Mari-
tain si è appena affacciato al mondo postmoderno, anche se ha colto
le linee fondamentali di quanto stava accadendo nell’universo del sa-
pere. Nella cultura e nella società c’è ancora un prevalere delle scienze
sulla saggezza, ma, a poco a poco, anche il mondo scientifico sta pren-
dendo coscienza della necessità di un’apertura al sapere filosofico, su-
perando le chiusure dello scientifismo positivista, Maritain constata:
«I magnifici rinnovamenti di cui la fisica è debitrice da un lato a Lo-
III. La crisi della modernità 159

rentz, Poincaré, Einstein, e d’altro lato a Planck, Louis de Broglie,


Dirac, Heisenberg, rinnovano in essa il senso del mistero ontologico
del mondo della materia. Le grandi dispute e scoperte delle matema-
tiche moderne, che riguardano il metodo assiomatico, il transfinito e
la teoria del numero, il continuo e le geometrie trascendenti, esigono
una messa a punto filosofica, di cui si può vedere solo un inizio, anco-
ra assai incerto, nei lavori di Russell e di Whitehead, o di Brun-
schvicg. Dal lato dei filosofi, le idee di Bergson e quelle di Meyerson
in Francia, quelle dei fenomenologi in Germania, di Max Scheler
particolarmente, e d’altra parte la rinascita tomista, hanno preparato
le condizioni per una ripresa alla chetichella di ricerche che dipen-
dono da una conoscenza ontologica del reale sensibile» (V, p. 964).
Si tratta di timidi approcci, ancora molto legati alla soggettività, di
una metafisica che non sa concettualizzare con esattezza questi ap-
procci: «Non c’è che una metafisica riflessiva e apertamente idealista,
come quella di Léon Brunschvicg33, che cerca la spiritualità nella co-
scienza dell’opera di scoperta scientifica, dove lo spirito supera senza
fine se stesso; o riflessiva e occultamente idealista, come quella di Hus-
serl e di molti neorealisti; o riflessiva e inefficacemente realista, come
quella di Bergson, che cerca all’interno della scienza fisico-matemati-
ca una stoffa metafisica, che questa non possiede, e che si scopre sol-
tanto nell’intuizione del divenire puro; o riflessiva tragica, come tante
metafisiche contemporanee, dove, specialmente in Germania, è nel
dramma dell’esperienza morale, o dell’esperienza dell’angoscia che lo
spirito si sforza di ritrovare il senso dell’essere e dell’esistenzialità»
(VI, p. 60). Per consolidarsi, questi approcci hanno bisogno di trovare
una sicura metafisica dell’essere, che solo un meditato ritorno al reali-
smo critico di Aristotele può garantire, raccordando la soggettività
della coscienza all’oggettività del sapere. Bisogna superare il persi-
stente equivoco di un sapere universale, riconoscendo che nell’espe-
rienza esistono fatti di conoscenza diversi e complementari perché
«non tutti i fatti possiedono lo stesso rango, essi non costituiscono una
folla indistinta e senza gerarchia, ammassata sul mercato dell’espe-
rienza sensibile, dove le diverse scienze vengono a cercare le derrate
di cui hanno bisogno. I fatti sono anch’essi inseriti nelle gerarchie del-

33
Léon Brunschvicg (1869-1944), docente di filosofia in diversi Licei e poi alla
Sorbona, incontrò più volte Maritiain alla Société française de philosophie. Tra le
opere: Introduzione alla vita della mente (1910), Natura e libertà (1929), Cartesio e Pa-
scal lettori di Montaigne (1942).
160 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

la conoscenza: vi sono fatti di senso comune, fatti scientifici (cioè che


interessano le scienze della natura), fatti matematici (per esempio, l’e-
sistenza di enti ragione, di funzioni continue senza derivate), fatti lo-
gici, fatti filosofici» (IV, p. 364). Bisogna riconoscere che la filosofia
trascende le scienze: «Nell’ordine speculativo, la metafisica è il sapere
supremo. Si può, con Kant, chiedersi se la metafisica sia possibile co-
me scienza (al che rispondiamo affermativamente); si può, con Maine
de Biran e Bergson, chiedersi se anch’essa, e per sé, sia una scienza
sperimentale (al che rispondiamo negativamente). Ma in ogni caso
non v’è altro sapere, non v’è, in particolare, alcuna scienza sperimen-
tale che si ripartisca con la metafisica l’universo del trans-sensibile, o
del terzo grado di astrazione. Inversamente, non v’è filosofia né cono-
scenza ontologica che si ripartisca con le matematiche l’universo del
preter-reale, o del secondo grado di astrazione» (IV, p. 512). Maritain
evidenzia come la crisi della filosofia sia dovuta proprio al metodo di
lavoro intellettuale usato, alla logica simbolica. «Molti moderni, so-
prattutto dopo Kant e Hamilton, chiamando formale la logica in un
senso diverso dagli antichi, ne fanno una scienza delle leggi e delle for-
me del pensiero separata dalle cose, indipendente dalle cose; e in que-
sta concezione della logica non sono più le cose in se stesse, ma in
quanto interiorizzate nello spirito, sono le pure forme del pensiero,
che divengono oggetto del logico, come se la conoscenza avesse la sua
struttura e le sue forme indipendentemente dalle cose; e sono queste
forme e questa struttura della conoscenza che il logico studierebbe.
Allora si tagliano i ponti tra il pensiero e le cose, e l’essere del logico
non presupporrà l’essere reale, ma sarà una pura forma del pensiero»
(V, p. 563). I logicisti della Scuola di Cambridge e della Scuola di
Vienna, sostituiscono la dialettica alla filosofia, il sapere costruttivo al
sapere percettivo.
La filosofia contemporanea si frantuma e si disperde in multi-
formi indirizzi, i suoi rappresentanti non sempre sono classificabili
con esattezza, perché si muovono in correnti di pensiero diverse,
Martin Heidegger tra fenomenologia ed esistenzialismo, Jean-Paul
Sartre tra esistenzialismo e fenomenologia, Max Weber tra fenome-
nologia e filosofia dei valori, Edith Stein tra fenomenologia e tomi-
smo, Charles Renouvier tra neo-criticismo e spiritualismo, Simon
Weil tra esistenzialismo e spiritualismo. Si tratta di un periodo della
storia della filosofia che Maritain ha affrontato da un punto di vista
storiografico solo marginalmente e di cui lui stesso è stato un pro-
tagonista.
III. La crisi della modernità 161

2. La fenomenologia
Questa scuola filosofica nelle sue intenzionalità non è del tut-
to lontana dal tomismo, perché vorrebbe approdare all’essere, e ha
un precursore in Franz Brentano, studioso di Aristotele, e uno svi-
luppo in Edith Stein, alunna del suo maggiore esponente, Edmund
Husserl, che cerca una conciliazione tra fenomenologia e realismo
nell’ambito di una filosofia cristiana; mentre altri discepoli del mae-
stro come Max Scheler e Martin Heidegger contaminano la fenome-
nologia l’uno con la filosofia dei valori l’altro con l’esistenzialismo.
Maritain scrive ne I gradi del sapere (17): «È curioso constatare che
all’origine del movimento fenomenologico è avvenuta una specie di
attivazione della filosofia post-kantiana, attraverso un contatto con
germi aristotelici e scolastici trasmessi da Brentano. Le nozioni di
Wesenschau e di intenzionalità lasciano chiaramente riconoscere i
loro ascendenti. Ma fin dall’origine tutto è deviato per il fatto che
la riflessività è stata utilizzata come primum, ci si è installati in es-
sa per percepire a priori l’immediato, come se la riflessione, ritor-
nando sulle operazioni dirette e sul loro oggetto inizialmente colto,
potesse ritagliarsi in questo un oggetto, un oggetto attinto prima di
questo stesso oggetto, più immediatamente di esso» (IV, pp. 445-
446). E rileva che non si possono fare dei primi passi un ritorno
sui propri passi, non si può percepire l’oggetto partendo a priori,
dalla soggettività. Franz Brentano34, più interessato alla psicologia
che alla filosofia, porta avanti la sua ricerca sulle intenzionalità del
soggetto, non parte dalle cose esistenti esternamente alla coscienza,
ma dai fenomeni psicologici della coscienza, anche se ammette che
non può esserci udire senza qualcosa di udito. Parte dalla psicolo-
gia perché garantisce la certezza dei fenomeni che esamina e coglie
in un colpo solo (mit einem Schlage) con un’evidenza assoluta le
leggi che li governano. Brentano vorrebbe uscire dal soggetto, per-
ché non vi è soggettività senza oggettività, ma vi rimane prigioniero
in quanto la coscienza intenzionale fa riferimento ad un oggetto di-
stinto da essa ma presente in essa. E. Husserl delinea con maggiore
precisione l’impostazione fenomenologica della filosofia, che non

34
Franz Brentano (1838-1917). Domenicano, nel 1973 abbandona il cattolicesi-
mo. Professore a Würzburg e a Vienna, nel 1895 si ritira dall’insegnamento e vive gli
ultimi anni in Svizzera. Tra le opere: Psicologia dal punto di vista empirico (1874), Intor-
no all’origine della conoscenza morale (1889), Della classificazione dei fenomeni psichici
(1911).
162 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

rinuncia all’essere, ma lo mette tra parentesi, che nelle relazioni


umane supera l’empirismo, ma considera le regole comuni solo co-
me intersoggettività.

Edmund Husserl

Maritain presenta così il principale esponente di questa corrente,


Edmund Husserl (1859-1938)35, che giunge alla filosofia dopo studi
di matematica e di psicologia: «Egli era un grande spirito, fondamen-
talmente retto, degno della gratitudine e dell’affetto che Edith Stein
conservò per lui, anche quando se ne emancipò. Ma fu una vittima,
come tanti altri, di Cartesio e di Kant. La tragedia di Husserl consiste
nel fatto che, instradato da Brentano, fece uno sforzo disperato per
liberare l’eros filosofico e nel momento in cui stava per raggiunge-
re lo scopo lo respinge nel suo carcere legandolo (poiché egli stesso
era preso in trappola) con catene di una sottigliezza estrema, ma in-
comparabilmente più potenti di quelle del vecchio cogito, a illusio-
ni molto più fallaci di tutte quelle cartesiane e destinate a condurre
l’ideosofia, presa per la filosofia, alla sua forma più insidiosa per lo
spirito» (XII, p. 808). Husserl delinea con maggiore precisione l’im-
postazione fenomenologica della filosofia, che non rinuncia all’essere
ma lo mette tra parentesi, che nelle relazioni umane supera l’empiri-
smo, ma considera le regole comuni solo come intersoggettività.
Maritain analizza il grande equivoco, che ha introdotto nella
storia della filosofa: «Credendo come Cartesio che uno sguardo ri-
flessivo sull’io pensante possa essere impiegato per costruire una fi-
losofia, erige a principio la sospensione del giudizio, cara a Pirrone,
stabilendo, come regola metodologica, assolutamente principale per
l’intelletto, che esso è obbligato (grazie ad un diktat a priori e ad un
postulato idealista mai esaminato criticamente) a mettere tra paren-
tesi tutto il registro dell’essere extramentale (il pane medesimo di
cui vive l’intelletto!) quando esercita l’atto di conoscere. Con un de-
plorevole taglio netto si deve dunque separare l’oggetto, percepito
dall’intelligenza, e che si pone all’interno del conoscere, dalla cosa,

35
Ebreo, si converte al cristianesimo nella Chiesa evangelica; dopo studi di mate-
matica sotto l’influenza di Brentano si dedica alla ricerca filosofica e insegna prima a
Gottinga poi a Friburgo. Tra le opere: Idee per una fenomenologia (1913, più edizioni),
Meditazioni cartesiane (1932).
III. La crisi della modernità 163

che essa percepisce, e che viene respinta all’esterno del conoscere


(nella parentesi). Come se l’oggetto percepito non fosse la cosa stessa
in quanto intelligibilmente percepita! La cosa stessa condotta nel se-
no dell’intelligenza per formare un tutt’uno col suo atto vitale!» (XII,
p. 809). L’intelligenza non percepisce dunque la realtà, non coglie
l’essere, ma è prigioniera del suo pensare, conosce solo oggetti-feno-
meno all’interno della sua coscienza. Maritain continua la sua analisi:
«Che significa questo? Significa che l’intelligenza deve pensare l’es-
sere rifiutando di pensarlo come tale; ossia: pensando l’essere, penso
del pensato, non penso l’essere; conosco l’essere a condizione di por-
lo tra parentesi o di fare astrazione da esso» (XII, p. 810).
A questa filosofia Maritain fa due critiche. Primo, la razionalità
non si può definire a priori, e in modo puramente formale, perché
è una relazione tra lo spirito umano e la realtà, tra l’intelligenza e
l’intelligibilità dell’essere; secondo, la verità non sta nella rettitudi-
ne formale delle operazioni della logica, ma proprio nel vedere la
realtà mediante l’intuizione dell’essere. «Questa verità è che l’intel-
letto umano, benché sia una ragione che amministra i suoi concetti,
ligia alla più stretta logica (e questo gli proviene dalla sua condizio-
ne carnale), è anche un intelletto, cioè una potenza capace di vedere
nell’ordine intelligibile come vede l’occhio, e con incomparabilmente
maggiore sicurezza di quanto non veda un occhio nell’ordine sensibi-
le» (XII, p. 814). Secondo Husserl, nel suo radicalismo filosofico, la
coscienza di sé precede la conoscenza delle cose, nel senso che il co-
noscere precede l’essere e costituisce se stesso. Maritain osserva: «La
coscienza di sé presuppone un sé, e ciò vale a tutti i gradi del sapere: al
supremo grado del sapere (metafisica) come ai gradi inferiori (scien-
ze particolari)» (IV, p. 413). Vi è un ritorno su se stessi, ma prima si
è se stessi. Husserl confonde il processo cognitivo (gnoseologia) con
la sua valutazione (critica).
Nella lunga nota sulle Meditazioni Cartesiane (IV, pp. 445-457)
si legge: «Misconoscendo la vita propria dell’intelligenza in quanto
tale e confondendola con quella del senso, si presuppone che questa
prima certezza debba concernere l’attualmente dato, ecco che la si
cerca nel puro cogito, e si dice: ego cogito cogitatum, per assegnare il
punto di partenza della filosofia intiera là dove, se si restasse fedeli
alla prima evidenza intuitiva, bisognerebbe dire: ego cogito ens, per
assegnare il punto di partenza non della filosofia intera, ma di quella
parte riflessiva della filosofia prima, che è la critica» (IV, p. 449). L’in-
tenzionalità dell’atto cognitivo dei filosofi scolastici riguarda anche
164 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

l’intelligibilità dell’essere, non è soltanto una qualità della coscienza,


mentre nella fenomenologia «si materializza la pura trasparenza del-
la intenzionalità, considerandola costituente l’oggetto del conoscere
per mezzo delle sue regole, chiedendole di costituire l’altro e di con-
ferendogli il suo senso proprio, come scrive Husserl, “partendo dal
mio stesso essere” (mentre, al contrario, essa porta in me l’altro par-
tendo dalla cui stessa alterità e mi fa essere l’altro» (IV, pp. 450-451).
Così, muovendosi da Cartesio, la fenomenologia ritorna alla tradizio-
ne kantiana, ma con la differenza, come scrive Husserl, di non «la-
sciare aperta la possibilità di un mondo delle cose in sé, nemmeno
a titolo di concetto limite» (IV, p. 452). Maritain fa altri riferimenti:
«Tenuto conto di tutte le riserve imposte dalle differenti situazioni,
si potrebbe dire che la posizione di Husserl di fronte a Kant è com-
parabile a quella di Berkeley di fronte a Cartesio. Anche Berkeley,
nella sua lotta contro la cosa, credeva di rivendicare l’intuizione: sop-
primendo la materia extramentale credeva di ritrovare, anch’egli, il
senso che questo mondo [il mondo oggettivo delle realtà] ha per noi
tutti, anteriormente ad ogni filosofia. Husserl, per liberare l’ideali-
smo trascendentale dalle assurde cose in sé, ricostituisce tutto l’uni-
verso del realismo in seno all’ego trascendentale con processi sempre
più artificiosi e «partendo dalle sorgenti del suo proprio essere» (IV,
p. 453). Questa maniera fenomenologica di filosofare, questo voler
cogliere le essenze intelligibili all’interno del soggetto conoscente,
porta a disarticolare il rapporto tra essere e divenire. «D’altra parte,
per il fatto che le essenze percepite dallo spirito non sono più colte
in soggetti trans-oggettivi esistenti fuori dello spirito e non sono più
compenetrate nel flusso del tempo, gli oggetti extratemporali dell’in-
telligenza, per un inaspettato ritorno di platonismo, si trovano sepa-
rati dall’esistenza reale e temporale; e per raggiungere tale esistenza
non resterà altro che invertire l’intelligenza dando la precedenza al
tempo sull’essere, sia che si cerchi con Bergson di sostituire il tem-
po all’essere, sia che si cerchi con Heidegger di fondare l’essere sul
tempo. Ma ciò significa voler garantire il realismo distruggendone il
primo fondamento» (IV, pp. 456-457). Maritain conclude: «Non si
trascende, constatiamolo una volta di più, il realismo e l’idealismo,
non esiste una posizione superiore che li superi e li riconcili: bisogna
scegliere tra l’uno e l’altro, come tra il vero e il falso. Ogni realismo
che venga a patti con Cartesio e con Kant deve accorgersi, un giorno,
che viene meno al suo nome» (IV, p. 445). A margine bisogna rilevare
che la posizione di Maritain verso la fenomenologia è motivata anche
III. La crisi della modernità 165

da preoccupazioni teologiche, perché troppi, laici o ecclesiastici, per


voler essere alla moda cercano compromessi con le filosofie contem-
poranee. «In effetti, ci furono parecchi tentativi di teologie cartesia-
ne, malebranchiane, kantiane, hegeliane, ma non gettarono mai gran
luce nella Chiesa. E attualmente geni creatori lavorano con sotto-
prodotti fenomenologici. Non sarebbe affare da poco per la teologia
dover rinnovare i suoi modelli ad ogni stagione come i fabbricanti di
automobili» (XII, p. 859).

Edith Stein

Maritain non ha analizzato in profondità le riflessioni di Edith


Stein (1891-1942)36, assistente di Husserl, laureatasi nel 1917 con
una tesi su Il problema dell’empatia, che cerca un’impossibile conci-
liazione tra fenomenologia e tomismo, perché ha avuto solo un’occa-
sione di un breve incontro a Juvisy nel 1932 alle “Journées d’études
sur la phénoménologie” organizzate da padre Marie Dominique
Chenu e di uno scambio di una breve corrispondenza (1932-1936)37.
Maritain, inaugurando i lavori di Juvisy, rileva: «L’interesse di una
giornata come questa non è solamente documentario, ma quello
di dimostrare se e come fenomenologi e tomisti possano avere una
comprensione reciproca e se può esserci un germe di comunicazio-
ne intellettuale tra scuole diverse, che non derivi da eclettismo e
da una conciliazione superficiale, ma al contrario da un’intelligenza
precisa dei punti di accordo e di disaccordo e soprattutto dello spi-
rito proprio di ciascuna dottrina» (XVI, p. 437).
Un accordo non è stato possibile; infatti, ancora molti anni do-
po, ne Il contadino della Garonna (61) Maritain continua a denuncia-

36
Edith Stein, di famiglia ebrea, negli anni dell’università si dichiara atea. L’incon-
tro con Max Scheler la porta a maturare la conversione al cattolicesimo (1922). A Got-
tinga frequenta il gruppo dei fenomenologi, e riordina i manoscritti di Husserl.
Insegnante a Munster, scopre la Scolastica, nel 1933 entra nel Carmelo di Colonia, du-
rante la guerra ripara in un Carmelo olandese. Catturata dai nazisti muore ad Au-
schwitz. Tra le opere: La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso (1929),
Potenza e atto (1932), Essere finito ed eterno, La scienza della Croce, Studio su san Gio-
vanni della Croce, La donna, il suo compito secondo la natura e la grazia (postume) L’o-
pera omnia è in corso di edizione presso l’editrice Città Nuova di Roma. Su di lei, cf.
H.B. Gerl, Edith Stein, vita, filosofia, mistica, Morcelliana, Brescia 1998.
37
Cf. P. Viotto, Edith Stein e Simone Weil, incontri fugaci, in Id., Grandi amicizie,
cit., pp. 242-245.
166 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

re l’ambiguità della fenomenologia, che nella sua radice cartesiana


vorrebbe raggiungere l’oggetto a partire dal soggetto, cercando inu-
tilmente una conciliazione tra idealismo e realismo. Riconosce, con
la fenomenologia, che l’oggetto del pensiero è interno al soggetto,
ma precisa che il soggetto lo ha ricevuto dalla cosa, perché l’intel-
ligenza si è fatta intelletto essendo stata fecondata dall’intuizione
dell’essere, perché nell’esperienza ha colto l’intelligibilità, che è il
fondamento dell’essere. La cosa precede il concetto, l’essere prece-
de il pensiero. Maritain analizza con estrema precisione l’atto del co-
noscere: «Il pensiero non deve uscire da se stesso per raggiungere la
cosa extramentale. L’essere per sé, posto fuori del pensiero, cioè pie-
namente indipendente dal suo atto proprio, è reso dal pensiero stes-
so esistente nel pensiero, posto per il pensiero e integrato al suo atto
proprio, di modo che ormai ambedue [essere e pensiero] esistono
in quest’ultimo con una sola e medesima esistenza sovra-soggettiva.
Così l’essere extramentale è raggiunto appunto nel pensiero stesso,
e il reale è toccato e manipolato nel concetto medesimo. È là che il
reale è afferrato, che il pensiero lo assorbe poiché la gloria stessa del-
la sua immaterialità è di non essere una cosa nello spazio esteriore ad
un’altra cosa estesa, ma una vita superiore a tutto l’ordine della spa-
zialità che, senza uscire da sé, si completa con ciò che non è lei, cioè
con quel reale intelligibile, la cui feconda sostanza essa trae dai sensi
e questi l’attingono negli esistenti materiali in atto» (XII, p. 808). La
fenomenologia non ha visto bene questo processo, perché si è instal-
lata nel pensiero, ha messo tra parentesi l’essere, la cosa in sé.
L’intesa tra i Maritain e la Stein è più spirituale che intellettuale,
perché a livello filosofico l’intenzionalità del conoscere, come viene
elaborata dalla fenomenologia, non è conciliabile con il realismo to-
mista, che sostiene l’intelligibilità dell’essere. Ci sono poi anche delle
differenze nell’intendere la filosofia cristiana, perché Maritain ritiene
necessario il dato cristiano per la filosofia pratica, in quanto l’azione
umana, oggetto della morale, riguarda un uomo in peccato o in gra-
zia di Dio, e la non conoscenza di questo dato rende impossibile una
filosofia morale adeguata; mentre la Stein ritiene che sia necessaria
questa presenza del dato cristiano anche nella filosofia teoretica. In-
fatti, dopo avere letto il volume La filosofia cristiana nella traduzione
tedesca, scrive a Maritain: «Vorrei sottolineare ciò che indicate a p.
103 e seguenti. Ciò che voi dite sulla filosofia morale vale anche, in
fondo, per la metafisica; io direi anche per tutta la filosofia: essa ha
bisogno di essere completata, perché, in fondo, tutto ciò che è finito,
III. La crisi della modernità 167

è, come creato, in situazione in relazione con Dio, cosa che non può
essere compresa del tutto con le risorse proprie della filosofia, e per-
ché non solo l’uomo ma tutto il cosmo sono avvolti dal mistero della
caduta e della redenzione». Per la Stein, che non distingue con esat-
tezza i diversi livelli cognitivi, naturali e soprannaturali, la rivelazio-
ne si identifica con tutta la verità. A proposito del suo libro L’essere
finito e l’essere eterno. Saggio per un approccio al senso dell’essere la
Stein scrive a Maritain: «Come sarebbe prezioso per me potermi in-
trattenere qualche volta con voi. Io presumo volentieri che voi avre-
ste negato il diritto di esistenza al mio libro, a causa del fatto che mi
mancano le basi di una formazione scolastica fondamentale. Ho fat-
to presente queste mancanze ai miei superiori, e con insistenza, ma
invano. Ma bisogna che lo riconosca io stessa: se avessi voluto atten-
dere per avere una posizione personale di avere colmato tutte le mie
lacune, non sarei più arrivata ad essere utile agli altri, e invece lo
posso un poco fin da ora sulla base delle mie conoscenze frammen-
tarie» (16 aprile 1936).
Maritain nel 1932 aveva inviato alla Stein I gradi del sapere, ope-
ra nella quale analizza i diversi livelli di conoscenza, che intercorro-
no tra la filosofa, la teologia e la mistica. La Stein le rispose: «Molti
cordiali ringraziamenti per avere avuto la bontà di inviarmi il vostro
ultimo grande libro. Sarà per me di grande profitto poterlo studiare.
Purtroppo il mio tempo è talmente preso dai miei obblighi imme-
diati verso l’Istituto di pedagogia, che mi dedico poco alle questioni
essenziali della filosofia e allo studio della filosofia scolastica che mi
sarebbe tanto necessaria» (6 novembre 1932). Da questi frammenti
di corrispondenza si può capire che l’allieva di Husserl ha stima per
san Tommaso, ma non ha modo di approfondire lo studio della filo-
sofia scolastica, per cui l’accostamento tra fenomenologia e tomismo
risulta ambiguo.
Ma al là delle diverse impostazioni gnoseologiche ed epistemo-
logiche, legate alla fenomenologia, la posizione della Stein a livello
di metafisica e di etica non è lontana da quella di Maritain nel rico-
noscere il valore ontologico, e non solo etico, della persona umana,
malgrado il fatto che la Stein sottolinei soprattutto l’intersoggettivi-
vità dell’empatia e non parli dell’oggettività di una regola trascen-
dente la relazione, che rimanda, oltre la storia della comunità, ad un
diritto naturale. Maritain farebbe un’analisi critica a questa afferma-
zione della Stein: «La coscienza non è una scatola che raccoglie in sé
i vissuti, ma questi stessi vissuti costituiscono, confluendo continua-
168 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

mente l’uno nell’altro, il flusso della coscienza»38 perché per il tomi-


smo la coscienza psicologica e l’anima spirituale sono un tutto unico
nella soggettività esistenziale (suppositum). Ci sono nell’antropolo-
gia della Stein quelle indistinzioni tra psicologia, filosofia e mistica
che troviamo nell’agostinismo, e che Maritain, sulla base di san
Tommaso, ha cercato di chiarire evidenziando le differenze e le cor-
relazioni tra i diversi aspetti della vita della persona umana. In con-
clusione si può dire che l’importanza di Edith Stein nella storia
della cultura contemporanea riguarda più la mistica che la filosofia e
la sua opera può bene collocarsi a fianco di quelle del carmelitano
Jacques Froissart (1892-1962), padre Bruno di Gesù Maria, il cui
volume su san Giovanni della Croce nella traduzione inglese ha una
prefazione di Maritain (IV, pp. 1186-1213), e di quelle del monaco
cistercense Thomas Merton (1915-1968) che intrattiene una lunga
corrispondenza con Maritain e ha tradotto in inglese diverse poesie
di Raïssa Maritain39.

3. L’esistenzialismo
L’esistenzialismo non è solo una corrente filosofica, che si sfrangia
nelle posizioni dei diversi protagonisti, ma anche uno stato d’animo
che si fa letteratura. Maritain gli dedica la premessa del Breve tratta-
to dell’esistenza e dell’esistente (17) rivendicando per la riflessione di
san Tommaso la qualifica di filosofia esistenziale. «Dal punto di vista
del vocabolario, come è noto, è sotto l’influenza di Kierkegaard che
il termine esistenziale è entrato nell’uso corrente, soprattutto in Ger-
mania. Una ventina d’anni fa si parlava molto qui di cristianesimo
esistenziale: ricordo una conferenza in cui Romano Guardini spiega-
va, davanti ad alcuni prelati un po’ sorpresi, come il senso esistenzia-
le del Vangelo di san Giovanni gli fosse stato rivelato dal personaggio
del principe Miškin, nell’Idiota di Dostoevskij. Molti filosofi, da Ja-
spers e da Gabriel Marcel a Berdjaev e a Šestov, si chiamavano allora
filosofi esistenzialisti. Più tardi il termine esistenzialismo ha ricevuto
il diritto di cittadinanza e con un tale successo che oggi, come Sartre

38
In A. Ales Bello, Edith Stein, in AA.VV., Enciclopedia della persona nel XX se-
colo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2008, p. 996.
39
Cf. P. Viotto, Jacques Froissart e Thomas Merton: la contemplazione, in Id.,
Grandi amicizie, cit., pp. 131-140.
III. La crisi della modernità 169

faceva notare, “non significa assolutamente più nulla”. A parte que-


sto inconveniente accidentale, si tratta di un termine molto buono in
se stesso, anzi eccellente. Tommaso non si è dichiarato né esistenzia-
lista né realista (e tanto meno tomista). Ciò non toglie che queste cose
siano consustanziali al suo pensiero» (IX, p. 14).
Ciò detto, Maritain precisa subito che altro è conoscere, nell’og-
gettività della conoscenza, “che cosa sono”, e altro è conoscere “chi
sono” nella soggettività della mia essenza esistenzializzata, nel mio
caso particolare, e tendere alla salvezza davanti alla precarietà di
questa vita provvisoria. «Normalmente, ci sono tra gli uomini, e per-
sino nello stesso uomo, due attitudini, o piuttosto due atteggiamenti
dello spirito fondamentalmente diversi, e che secondo linee diverse
possono e dovrebbero coesistere: l’atteggiamento di cercare le cause,
l’attitudine di universalità teoretica, di distacco da sé, per sapere, la
capacità sapienziale, quella dell’intelligenza che vuole conoscere e
impadronirsi dell’essere, diciamo quella di Minerva di fronte al co-
smo; e l’atteggiamento di salvare il mio “unico”, l’attitudine di sin-
golarità drammatica o di suprema lotta per la propria salvezza; e il
comportamento imprecativo dell’uomo che vuole il suo Dio o piut-
tosto che è voluto da lui, diciamo quello di Giacobbe nella sua lotta
con l’Angelo. Il primo atteggiamento, essenzialmente filosofico, fa
il filosofo; il secondo, essenzialmente religioso, fa l’uomo di fede (o
il disperato di Dio)» (IX, p. 120). Non si possono confondere que-
sti due atteggiamenti, uno teoretico, che cerca la causa dell’essere, e
l’altro pratico, che tende al fine del proprio esistere, uno filosofico di
ordine naturale e l’altro religioso di ordine soprannaturale. Ma è ciò
che è avvenuto nella storia della filosofia, con non poche contraddi-
zioni: «È chiaro che il secondo di questi due atteggiamenti, quello
di salvare il proprio unico, è stato quello dell’esistenzialismo esisten-
ziale, dell’esistenzialismo in atto vissuto. In ciò è consistita la gran-
dezza della sua testimonianza, la potenza della sua forza demolitrice
e il valore delle sue intuizioni. L’esistenzialismo di Kierkegaard, di
Kafka, di Šestov, di Fondane, è stato l’irrompere di una rivendica-
zione essenzialmente religiosa, il grido della soggettività verso il suo
Dio, e, nello stesso tempo, la rivelazione della persona, nella sua
angoscia del nulla, che è il non-essere nell’esistente. Ma a causa del-
le circostanze storiche in cui è nato, a causa soprattutto di Hegel
e dell’implacabile fascino del suo totalitarismo della ragione, la di-
sgrazia di questo esistenzialismo (di natura essenzialmente religiosa)
è stata quella di nascere e di svilupparsi nella filosofia, con la quale
170 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

era in un conflitto inesorabile […]. I professionisti hanno sempre


la loro rivincita. La partita era persa a priori […]. Doveva venire
l’esistenzialismo filosofico o accademico, l’esistenzialismo, come mac-
china per fare idee, strumento per costruire tesi. La colpa era pure
dell’esistenzialismo esistenziale, che, Kafka escluso, s’era conside-
rato una filosofia. Il grido lanciato dal fondo dell’abisso è diventato
un tema filosofico… Il grande esistenzialismo-esistenziale, una volta
passato al suo nemico, non è riuscito che a suscitare nella stessa filo-
sofia una distruzione filosofica dell’intelligenza […] Giobbe è stato
eliminato; se ne è conservato solo il letamaio […] la tragedia mora-
le è stata sostituita da una metafisica sofisticata» (IX, pp. 122-123).
La filosofia esistenzialistica iniziata nell’angoscia di Kierkegaard si
è conclusa nella nausea di Sartre, tra queste posizioni, una profon-
damente religiosa e l’altra deliberatamente atea, oscillano posizio-
ni intermedie da quelle degli esistenzialisti cristiani francesi, come
Marcel e Lavelle, a quelle di Jaspers che finisce per risolvere la fi-
losofia nella psicologia e di Heidegger che ibrida l’esistenzialismo e
la fenomenologia. Un posto a parte spetta agli esistenzialisti russi di
fede ortodossa, come Lev Šestov e Georges Florovsky, il cui pensie-
ro Maritain conosce tramite l’amicizia con Nikolaj Berdjaev e Benja-
min Fondane. L’errore di questi filosofi, pur nel differenziarsi delle
diverse posizioni, è stato quello di aver voluto estrapolare l’esistenza
dall’essere, «ma questo concetto, il concetto di esistenza o dell’esi-
stere (esse) non è né può essere separato dal concetto assolutamente
primo dell’ente (ens, ciò che è, ciò che esiste, ciò il cui atto è l’esiste-
re), proprio perché l’affermazione di esistenza, o il giudizio che le
dà un contenuto, è di per se stessa, la “composizione” di un sogget-
to con l’esistenza, l’affermazione che qualche cosa esiste (in atto o in
potenza, semplicemente, o con questo o quel predicato). Il concetto
dell’ente (ciò che esiste o può esistere) nell’ordine della percezione
ideativa, corrisponde adeguatamente a questa affermazione nell’or-
dine del giudizio. Il concetto di esistenza non può essere visualizzato
completamente a parte, staccato, isolato, separato da quello dell’en-
te: è in esso e con esso che il concetto di esistenza è concepito. Sia-
mo di fronte all’errore iniziale che si trova nel sottofondo di tutte le
filosofie esistenzialiste. Esse, ignorando o trascurando quell’ammo-
nimento della sapienza scolastica, secondo il quale l’esistenza non
può essere oggetto di una astrazione perfetta, presuppongono che la
esistenza possa essere isolata e costituisca da sola l’humus che nutre
la filosofia. Esse trattano dell’esistenza senza trattare dell’essere, si
III. La crisi della modernità 171

chiamano filosofie dell’esistenza, anziché chiamarsi filosofie dell’es-


sere. Questo significa che il concetto di esistenza non può essere se-
parato dal concetto di essenza» (IX, p. 33).

Martin Heidegger

Maritain dedica attenzione a questo filosofo tedesco40 perché


è il più metafisico nel gruppo, anche se, ricorda, «rifiuta il nome di
esistenzialismo» (IX, p. 127) pur anticipando l’esistenza sull’essen-
za, «affermazione ambigua, perché potrebbe significare qualche cosa
di vero, cioè che l’atto precede la potenza, che la mia essenza riceve
la sua presenza nel mondo dalla mia esistenza e la sua intelligibilità
dall’Esistenza in atto puro, mentre in realtà significa tutt’altra cosa,
cioè che l’esistenza non attua nulla, che io esisto ma non sono nul-
la, che l’uomo esiste, ma che non v’è natura umana» (IX, pp. 17-18).
La filosofia è una domanda sull’essere, a cui l’uomo accede partendo
dall’esserci (dasein), cioè dalla sua esistenza dall’essere-nel-mondo,
ma è una domanda a cui non può dare risposta, perché l’Assoluto non
è oggettivizzabile, vi può alludere il linguaggio della poesia, ma non è
possibile una conoscenza reale al di là dell’ermeneutica del linguag-
gio. L’essere è un “determinante indeterminato” un nulla, non perché
non sia, ma perché non è determinabile. In questo senso non resta che
“vivere-per-la-morte”, prigionieri nel tempo della propria esistenza,
nell’angoscia, che non è la paura, ma la condizione umana quaggiù.
Maritain rileva: «Il maggiore testimone di questo dramma è
Heidegger, nel quale l’insaziabile tormento nasce da un ardente eros
metafisico, anch’esso prigioniero, che, ossessionato dalla preoccu-
pazione dell’essere, conduce una tragica lotta contro il nulla di pen-
siero implicato dalla fenomenologia, per andare a cercare aiuto dai
poeti e nelle potenze teogoniche del loro linguaggio: portando in
tal modo la testimonianza più inquietante dell’assenza di filosofia

40
Martin Heidegger (1889-1976), dopo avere frequentato per quattro semestri la
Facoltà teologica di Friburgo, si iscrive a filosofia e si laurea nel 1913 con una tesi su La
dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto. Due anni dopo ottiene la libera
docenza. Nominato assistente ad Heidelberg, su proposta di Husserl, viene a contatto
con la scuola fenomenologica, ma presto se ne distacca, anche se dedica “con ammira-
zione e amicizia” a Husserl la sua opera Essere e tempo (1927). Nominato ordinario a
Friburgo lavora all’Introduzione alla metafisica che pubblica nel 1953. Tra le altre opere
sono da segnalare i due volumi su Nietzsche (1961) e Fenomenologia e teologia (1970).
172 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

nel nostro tempo» (XII, p. 811). Heidegger cerca l’essere mediante


un’intuizione poetica che coinvolga anche il soggetto, e rifiuta l’og-
gettività del sapere, considera il ragionamento del logos un percorso
impraticabile.
Maritain in Nessun sapere senza intuitività (XIII, pp. 931-994)
rileva: «Con Hegel avevamo a che fare con una ragione decentrata
dal reale e che non era controllata che da se stessa. Con Heidegger,
al contrario, mi sembra, è con un’intuitività innamorata del reale, e
che abiura la ragione, che noi abbiamo a che fare, e questa intuiti-
vità non vuole, anch’essa, essere controllata che da se stessa» (XIII,
p. 953). Tutto il processo cognitivo è risolto in una sorta di mistica
naturale «in cui l’anima si svuota di tutto per raggiungere l’esistere
del sé» (XIII, p. 954). «È questo genere di intuitività che, io credo,
è in gioco in Heidegger, e che rifiuta ogni controllo della ragione dal
punto di vista di questa e quanto alle esigenze che convengono a
questa. Ma poiché, volente o nolente, Heidegger è un filosofo, l’in-
tuitività in questione è appassionatamente alla ricerca dell’essere,
benché essa rimanga estranea all’intuizione dell’essere, che è di or-
dine puramente intellettuale. E poiché, deponendo la ragione, Hei-
degger rimane ugualmente sotto l’influenza o l’obbedienza di Hegel,
e conserva l’ambizione di pervenire, se non ad un Sapere assoluto
di tipo hegeliano, almeno ad una Sapienza, che appaghi le aspira-
zioni dello spirito, l’intuitività in lui prende su di sé tutta l’opera di
concettualizzazione che, cominciata fin dalla prima operazione dello
spirito, prosegue normalmente nella costruttività sempre più ampia
in cui la ragione discorsiva ha il suo dominio» (ibid.).
Ma non si può chiedere alla poesia o al mito il sapere filosofico,
la conoscenza oggettiva dell’essere, e questa richiesta porta il filo-
sofo alla disperazione: «In una concettualizzazione metafisica così
richiesta all’intuitività poetica stessa, le idee sono cieche e le paro-
le sono irrimediabilmente fallaci; non soltanto sono deviate dal lo-
ro senso originale o forgiate artificialmente, ma non arrivano a dire
ciò che il filosofo vuol dire. Lungi dal lavorare su nature intelligibili
raggiunte in un verbo mentale, il pensiero (l’oscuro Denken heideg-
geriano) si concentra su ciò che può cogliere ancora del contenuto
fuggente della sua intuizione quando tenta di desoggettivizzare que-
sta prima (e allo scopo) di concettualizzarla o intellettualizzarla in
termini metafisici. Rimane nella notte e si muove nella notte. Ancor
più, è inevitabile che, una volta operata tale concettualizzazione, il
filosofo la avverta come un tradimento di ciò che aveva intuitiva-
III. La crisi della modernità 173

mente percepito e che aveva commosso tutto il suo essere. Per que-
sto dispera, alla fine, della filosofia e della metafisica» (XIII, p. 956).
La metafisica non è quindi possibile perché Heidegger ritie-
ne che sarebbe un’oggettivazione dell’esistenza, un ridurre l’essere
all’essenza concettuale, tanto che scrive: «Poiché essa scruta l’essen-
te in quanto essente, si limita all’essente e non si volge all’essere in
quanto essere» (XII, p. 811). Maritain commenta: «San Tommaso
non si è fermato all’ente, all’essente, ma è andato diritto all’essere,
all’atto di essere (peccato che Heidegger non l’abbia visto!)» (XII,
p. 845); e aggiunge: «Un’esistenza senza essenza, un soggetto senza
essenza: fin dall’origine ci si insedia nell’impensabile» (IX, p. 17).
Nelle Sette lezioni sull’essere (21) analizza e valuta l’angoscia: «Essa
è il sentimento improvviso, vivo e lacerante di tutto ciò che vi è di
precario e di minacciato nella nostra esistenza, nell’esistenza umana
e, nello stesso tempo, proprio per effetto di questo sentimento, di
questa angoscia, l’esistenza si spoglia della sua banalità, assume un
valore unico, il suo valore unico, ci si presenta come un qualcosa di
salvato dal nulla, di strappato al nulla. Certamente questa specie di
esperienza drammatica del nulla può servire di introduzione all’in-
tuizione dell’essere, ma a condizione che la si consideri solo un’in-
troduzione» (V, p. 578). Heidegger resta fermo al piano psicologico,
dal quale non si può cogliere l’intelligibilità dell’essere.

Jean-Paul Sartre

L’altro filosofo esistenzialista a cui Maritain rivolge particolare


attenzione è Jean-Paul Sartre (1905-1980)41 perché in lui l’esisten-
zialismo si coniuga da una parte con la fenomenologia e dall’altra
con il marxismo. Di questo filosofo, che è anche un autore di testi
teatrali di successo, che partecipa alle vicende politiche, che anima il

41
Jean-Paul Sartre, allievo della Scuola Normale Superiore di Parigi con Raymond
Aron, M. Merleau-Ponty, diviene subito celebre con il romanzo La nausea (1938) e per
la traduzione in francese del Trattato di psicopatologia di K. Jaspers. La ricerca di una
filosofia concreta lo avvicina a Husserl e ad Heidegger e nel 1943 pubblica L’essere e il
nulla, un saggio di ontologia fenomenologica. Attraverso la rivista «Les temps moder-
nes» diventa uno dei maestri della gioventù francese. Tra gli scritti filosofici: L’essere e
il nulla (1943), Critiche della ragione dialettica (1960); drammaturgici: Le mosche
(1943), A porte chiuse (1944), Le mani sporche (1948).
174 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

movimento studentesco del maggio del 1968, Maritain parla a lungo


nella Storia della filosofia morale (XI, pp. 881-923).
Sartre partendo da una psicologia fenomenologica fonda un’on-
tologia fenomenologica. Considera la coscienza un distaccarsi dalle
cose e dai fatti, annullando la totalità dell’esistente, per porre libera-
mente nuovi significati. Ma questo processo è contraddittorio per-
ché essendo la coscienza soggettività come libertà assoluta, il per-sé
che dà significato all’essere del mondo, l’in-sé, oggettività, va defi-
nendosi destrutturandosi, nullificandosi nella sua oggettualità. Per
esserci bisogna oggettivarsi, ma questo oggettivarsi nel mondo di-
strugge la soggettività e l’uomo sente di essere “di troppo” in questo
mondo (la nausea dell’esistenza) perché la sintesi di in-sé e per-sé è
impossibile, sarebbe Dio. Di qui lo scacco ontologico dell’esistenza.
Dio non esiste e l’io non può farsi Dio, anche se Sartre scrive: «La
realtà umana è puro sforzo per diventare Dio» (XI, p. 895).
Maritain cita altri due testi di Sartre: «Così il nulla è questo buco
d’essere, questa caduta dell’in-sé verso il sé mediante il quale si costi-
tuisce il per-sé». «Il per-sé corrisponde dunque ad una destruttura-
zione decomprimente dell’in-sé, e l’in-sé si nientifica e si assorbe nel
suo tentativo di fondarsi. Non è dunque una sostanza di cui il per-sé
sarebbe attributo e che produrrebbe il pensiero senza assorbirsi in
questa stessa produzione. Resta semplicemente nel per-sé come un
ricordo dell’essere, come la sua ingiustificabile presenza nel mondo.
L’essere-in-sé può fondare il suo nulla, ma non il suo essere, decom-
ponendo si nientifica in un per-sé che, in quanto tale, diventa il suo
fondamento; ma la sua contingenza di in-sé resta però fuori della sua
presa» (IX, p. 123)42. E commenta «Il nulla nell’esistente è stato sosti-
tuito dal nulla dell’esistente; l’orrore del nientificare libero, che scon-
volge l’esistenza è stato sostituito dalla constatazione del non-essere,
che è il limite inflitto ad essa dalle antinomie della dialettica sovrana, o
dall’esperienza della minaccia che si fa pesare sull’io, o dall’accettazio-
ne, in cui l’orgoglio almeno trova il fatto suo, dell’impotenza del per
sé, che può solo corrodere e nientificare l’esistenza, e della nausea che
prende lo spirito di fronte alla stupida gratuità dell’In sé e alla radicale
assurdità dell’esistenza» (IX, p. 123).

42
Anche per Maritain l’uomo, facendo il male, nientifica, ma questa nientificazio-
ne è un fatto morale, è un venir meno, non un atto metafisico; l’uomo non fabbrica il
nulla, ma guasta l’essere. Sartre non ha visto che c’è una disimmetria tra la linea dell’es-
sere e la linea del non-essere. Cf. J. Maritain, Dio e la permissione del male (58).
III. La crisi della modernità 175

È il dramma della filosofia contemporanea, che vuole trovare


l’essere dopo averlo messo tra parentesi e Sartre, come romanziere
e come filosofo, apre questa parentesi e vi scorge tutto il male che
vi alligna, ma anziché considerare il male come una ferita che la
malvagità umana infligge all’essere, lo attribuisce all’essere stesso.
Maritain scrive: «Del dramma di cui parlo, Sartre è un testimone
nauseato (e meno libero di quanto creda) che ha scorto, grazie alla
letteratura e a qualche istinto di romanziere, una fenditura nella
Parentesi e visto attraverso la fogna l’esistenza reale, ma come un
informe, enorme, osceno, innominabile e mostruoso insulto alla
ragione, l’Assurdo del puro e assoluto contingente. E molto in
fretta ha tappato la fenditura della Parentesi e ha ricondotto nel suo
pensiero, a titolo di oggetto-fenomeno, questo nauseante Assurdo,
per elaborare con esso un’ontologia del fenomeno e dichiarare che
“il mondo è di troppo”. Le parole tollerano tutto. Ma è chiaro che
anche Sartre ci porta, a suo modo, una testimonianza sorprendente
dell’assenza di filosofia nel nostro tempo» (XII, pp. 811-812).
Maritain nella sua etica ha messo in evidenza come nell’atto mo-
rale si realizza la libertà dell’uomo, che è chiamato a deliberare del
suo destino, perché deve non solo applicare una regola, ma anche
deliberarla nella sua applicazione alla situazione esistenziale in cui è
coinvolto43, e rileva che tutta la filosofia di Sartre si snoda a partire
da questa intuizione, che però viene alterata, perché sgancia l’azione
dell’uomo da qualsiasi forma di legge precedente l’atto del sceglie-
re, sia essa data da Dio, dalla natura o dalla ragione, abbandonando
l’uomo alla precarietà della sua esistenza. Così «tutti i valori vengo-
no relativizzati, salvo quello della libertà che l’uomo si dà quando
prende la libertà di scelta come fine supremo» (XI, p. 910). Maritain
osserva: «A dire il vero, è in filosofia morale che Sartre apporta con-
siderazioni degne d’interesse. Per quanto malamente la concepisca,
l’esistenzialismo contemporaneo ha un sentimento autentico della
libertà e della sua trascendenza essenziale nei confronti delle spe-
cificazioni e virtualità dell’essenza, e dell’importanza in certo modo

43
Scrive Maritain: «Bisogna aggiungere che la ragione non soltanto deve ricono-
scere l’ordine scaturito dal pensiero creatore, perché vi è un ordine che essa stessa è
incaricata di costruire in quanto ragione pratica: è appunto quello delle cose umane e
degli atti umani, che rappresenta, secondo san Tommaso, il dominio dell’etica. Conti-
nuatrice e collaboratrice dell’opera divina, la ragione deve ad ogni istante inventare,
conformemente all’ordine eterno, l’ordine contingente e costantemente rinnovato delle
opere del tempo» (V, p. 391).
176 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

creatrice dell’atto morale, e dei gradi di profondità che esso com-


porta, e dell’unicità assoluta, irriducibile ad ogni concatenazione di
eventi anteriori e di determinazioni, dall’istante in cui, con l’eserci-
zio della sua libertà, il soggetto si rivela a sé e s’impegna. Se tutto
ciò non fosse viziato dall’accettazione dell’assurdo e dall’espunzione
della natura e della forma rationis, come di ogni oggetto, di ogni cau-
salità e finalità, vi sarebbero qui le premesse per una filosofia morale
e una filosofia della libertà» (IX, p. 54). Poco dopo rileva il para-
dosso della morale sartriana, che parte dall’io come quella di Kant,
ma non per formulare una legge universale, ma per affermare la sua
libertà di scelta senza regole. Infatti «invece di dire: sono io che de-
cido liberamente di ciò che faccio (in accordo o disaccordo con ciò
che devo), si dovrà, oramai, dire: sono io che decido liberamente
di ciò che devo» (XI, p. 908). Sono io che creo la mia libertà, e ogni
azione vale per se stessa, vale in rapporto alla mia scelta, fosse anche
l’omicidio o l’adulterio, in quella data situazione. Si tratta di una
“decisione valorizzante” che crea, di volta in volta, arbitrariamente,
la sua regola. Maritain rileva che questa morale «è insieme una
morale dell’ambiguità e una morale della situazione» (XI, p. 908) e
confronta questa libertà assoluta di arbitrarietà di Sartre con quella
che Cartesio attribuiva a Dio. Ma in questo caso si ha un’aseità del
nulla (cf. XI, p. 905), perché l’azione dell’uomo, del per sé sull’in sé,
corrode e nientifica l’esistenza, l’uomo fa il nulla. «L’uomo di Sartre
è così più radicalmente viziato, più marcio, dell’uomo del gianse-
nismo, perché il peccato originale è diventato il fatto stesso di es-
sere nati, di partecipare all’esserci delle cose» (XI, p. 897). Infine
Maritain considera anche l’estetica di Sartre che affianca il brutto
e il bello, come ha affiancato l’essere e l’assurdo, e osserva: «Qui ci
troviamo di fronte alla categoria del brutto, dell’osceno, disgustoso,
nauseante, sudicio, viscoso. Sartre ha perfettamente ragione a rico-
noscerla come categoria esistente. Ma il fatto è che questa categoria
del brutto non ha senso per uno spirito puro; e non ha senso per
Dio. Perché uno spirito puro vede tutto in modo puramente intellet-
tuale, non sensitivo. Brutto è ciò che, essendo visto, dispiace; dove
non ci sono sensi non c’è categoria di bruttezza» (X, p. 302). Non si
dimentichi che l’esistenzialismo di Sartre per le sue contaminazio-
ni con il marxismo è anche un materialismo e soprattutto cercando
un’ontologia del fenomeno, non poteva che concludere nell’assurdo
(cf. XI, p. 888).
III. La crisi della modernità 177

Gabriel Marcel

Maritain conclude la sua riflessione sull’esistenzialismo rilevan-


do che esso rappresenta una forma di pensiero debole, perché «la
tragedia dei filosofi esistenzialisti, siano essi esistenzialisti cristiani
come Gabriel Marcel o esistenzialisti atei come i discepoli francesi
di Husserl e di Heidegger, sta nel fatto che essi hanno il sentimento
o l’intuizione del primato dell’essere, dell’esistenza, e nello stesso
tempo rifiutano ogni valore all’idea dell’essere, con il pretesto che è
un’idea astratta, di modo che in essa non vedono altro che una pa-
rola e pensano che l’idea stessa non ci offra che una tastiera muta. Se
io sono invece un tomista, è perché in definitiva ho compreso che
l’intelligenza vede, e che è fatta per l’essere; nella sua funzione più
perfetta, che non è quella di fabbricare idee ma di giudicare, essa si
appropria dell’esistenza esercitata dalle cose. E nello stesso tempo
forma la prima delle sue idee, l’idea dell’essere, che la metafisica
trarrà nella propria luce al più alto grado di visualizzazione astratti-
va» (IX, pp. 252-253). Maritain osserva che gli esistenzialisti hanno
dimenticato la distinzione fondamentale tra l’intelletto, che coglie
l’essere nella sua esistenzialità, e la ragione, che lavora su oggetti di
pensiero: «La ragione, ha detto Heidegger, è la nemica prima del
pensiero (o piuttosto del pensare del Denken)» (XIII, p. 931). Biso-
gna distinguere, senza separare, la logica dalla filosofia. Così in Sar-
tre, ma ad un’attenta lettura anche in Heidegger, l’Assoluto si risolve
nel nulla, e negli esistenzialisti cristiani, come in Louis Lavelle44, «in
una libertà senza natura» (XIII, p. 549). Il pensiero debole cerca
l’Assoluto, ma negando l’oggettività del sapere si smarrisce nella
soggettività esistenziale del suo approccio al conoscere, perché il
soggetto può avere un’intuizione dell’essere non relazionandosi con
l’oggetto, ma nell’esperienza interiore individuale in una sintesi di
ontologia e di psicologia attraverso la libertà mediante la quale si su-
pera il distacco, l’intervallo, il mondo, che ci separa da Dio. Maritain
è in rapporto di amicizia con Gabriel Marcel45, negli anni Trenta fir-

44
Louis Lavelle (1883-1951), docente alla Sorbona, elabora una filosofia dello spi-
rito come sintesi di ontologia e psicologia. Tra le opere: Presenza totale (1934), Il tempo
e l’eternità (1945).
45
Gabriel Marcel (1889-1973), filosofo e critico teatrale, discepolo di Bergson, si
converte dall’ebraismo al cattolicesimo nel 1929. Cerca una metafisica del concreto,
rifiuta l’oggettività del concetto, perché solo con l’amore si approda all’Assoluto. Tra le
opere: Giornale metafisico (1927), Essere e avere (1935), Il mistero dell’Essere (1961).
178 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

mano insieme diversi manifesti politici, hanno la medesima tensione


verso l’Assoluto, per entrambi la filosofia è mistero e problema, ma li
divide il significato e il valore da attribuire al concetto, che per Mar-
cel è un’astrazione sterile che ci allontana dall’essere reale, mentre
per Maritain coglie l’essere nella sua concreta esistenzialità. Marcel
vuole superare la scissione tra il conoscere e il vivere, tra l’oggettivi-
tà e la soggettività, tra avere ed essere, perché è nell’amore e nella
fedeltà che si può avvertire la presenza dell’Assoluto. Invece, secon-
do Maritain, l’uomo raggiunge l’essere in una visione semplicissima,
al di sopra di ogni discorso e di ogni dimostrazione, mediante un’in-
tuizione «dove, in un momento di emozione decisiva simile a fuoco
spirituale, l’anima entra in un contatto vivo, trafiggente, illuminante,
con una realtà che essa afferra e da cui viene afferrata» (V, p. 574).
Ed è l’essere, nella sua intelligibilità, che procura questa intuizione.
Si hanno come «due luci, l’una da parte dell’oggetto, l’altra da parte
dell’habitus o della virtù intellettuale del soggetto» (V, pp. 572-573),
ma «c’è una priorità dell’oggetto, non nell’ordine temporale, ma
delle gerarchie dell’essere; c’è priorità, nell’ordine della natura
dell’intuizione dell’essere in quanto essere sull’habitus interno del
metafisico» (V, p. 573). La filosofia contemporanea ha cercato vie
diverse per questo tipo di intuizione, dall’esperienza della durata di
Bergson all’esperienza dell’angoscia di Heidegger, fino all’approfon-
dimento del senso morale, inteso come fedeltà, in Marcel; ma queste
vie si fermano sulla soglia dell’essere, non trovano che un surrogato
della metafisica. Queste filosofie esistenzialistiche, che non giungo-
no all’intuizione dell’essere in quanto essere, al punto che Marcel
sostituisce la stessa parola intuizione con la parola raccoglimento,
possono soltanto «procurare un’esperienza interiore, psicologica o
morale» (V, p. 587).

Simone Weil

Figura isolata nel groviglio delle correnti ideologiche francesi,


Simone Weil (1909-1943)46 è importante per il suo percorso intellet-

46
Simone Weil, ebrea, dopo aver insegnato filosofia nei Licei abbandona e lavora
in fabbrica per provare la condizione operaia, partecipa alla guerra civile spagnola con
i repubblicani, a Solesmes e ad Assisi ha alcune esperienze mistiche. Durante l’occupa-
zione tedesca ripara prima a Marsiglia, dove partecipa ad un gruppo di resistenza, di-
stribuisce clandestinamente la rivista «Témoignage chrétien», poi negli Stati Uniti da
III. La crisi della modernità 179

tuale che parte dalla filosofia di René Le Senne47 , e dalla letteratura


di Alain Fournier, si incrocia con l’esistenzialismo di Gustave Thi-
bon48, incontra di sfuggita Jacques Maritain approdando alle soglie
del cristianesimo. S. Weil apprende da Alain Fournier il metodo di
lavoro intellettuale, l’analisi critica dei testi, il volontarismo etico
portato fino allo stoicismo; ma più tardi rimprovera al suo maestro
di non avere capito il significato della sofferenza. I suoi scritti, molto
frammentari, fortemente autobiografici e critici, che si muovono tra
contemplazione estetica e contemplazione mistica, non sono riporta-
bili ad una precisa elaborazione concettuale. Ad un amico la Weil
scrive: «Hai letto san Giovanni della Croce? È in questo momento la
mia principale occupazione. Mi hanno regalato anche il testo sanscri-
to “Gita”, traslitterato. Si tratta di due pensieri straordinariamente
simili. La mistica di tutti i paesi è identica. Credo che anche Platone
debba essere considerato un mistico e che egli concepisse le matema-
tiche come materia di contemplazione mistica»49. Dalle riflessioni e
dalle intuizioni di S. Weil si rileva una spiritualità autenticamente cri-
stiana, anche se lei non ne fa una manifestazione esteriore, anzi resi-
ste all’ingresso nella Chiesa e vive il suo cristianesimo in una
solitudine drammatica. Per lei si tratta di accettare la condizione
umana, di vivere la propria vocazione personale, imparando a «leg-
gere la necessità dietro la sensazione, leggere l’ordine dietro la neces-
sità, leggere Dio dietro l’ordine». Si tratta di mettersi dalla parte di
Dio, non solo di amare se stessi e le creature in Dio. La Weil coglie
bene il rapporto tra l’amor di Dio e l’amor del prossimo, supera qual-
siasi prospettiva di un solidarismo socialista, puramente umanitario,
perché in Dio vede la fonte del soccorso alle miserie della condizione
umana. Medita sulla Passione di Gesù, che non è voluta da Dio per
se stessa, ma è permessa per la salvezza degli uomini, e in se stessa

dove passa in Inghilterra per collaborare con la Resistenza, ma stremata muore in sana-
torio. Tra le opere, tutte postume, L’ombra e la grazia (1947), La conoscenza sopranna-
turale (1950), Lettera a un religioso (1951), La condizione operaia (1951).
47
René Le Senne (1883-1954), filosofo e psicologo, definisce la sua filosofia ideo-
esistenziale. Tra le opere: La menzogna e il carattere (1930), Il destino personale (1951),
La scoperta di Dio (1955).
48
Gustave Thibon (1903-2001), letterato e filosofo, uomo di destra, si stacca da
Maritain non solo per motivi politici ma per il suo modo di filosofare, tanto che scrive:
«Credo alle immagini più che alle idee. L’idea circoscrive, l’immagine evoca. La perfe-
zione di certe immagini lascia in noi una scia di mistero e di invisibile che sfida qualsi-
asi intellezione». Tra le opere: La scala di Giacobbe (1942), Diagnosi, Saggio di filosofia
sociale (1945), Nietzsche il declino dello spirito (1948).
49
Lettera cit. in S. Pétrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994, p. 569.
180 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

e per se stessa non è accettabile. La croce non si può desiderare, la


sofferenza non vale per se stessa, ma la croce e la sofferenza sono da
accettare perché nel mistero cristiano segnano la presenza di Dio
nell’umanità e nella storia. Precisa: «La grandezza suprema del cri-
stianesimo viene dal fatto che esso non cerca un rimedio soprannatu-
rale contro la sofferenza bensì un impiego soprannaturale della
sofferenza»50. Dio fatica a reggere con la sua Provvidenza la storia,
Dio ha pazienza con gli uomini, perché in un certo senso deve fare i
conti con le necessità naturali da Lui volute nel creare un mondo li-
mitato e materiale e con le casualità sociali da Lui permesse; necessi-
tà e casualità che sono aggravate dal peccato e che solo la sofferenza
degli uomini in unione con la sofferenza di Cristo può rimediare. La
contraddizione è un elemento costituzionale della storia umana, ma
non è da accettare bensì da superare, pur patendola e soffrendone.
Non si tratta di fare una sintesi dei contrari (tesi e antitesi) come nel-
la filosofia di Hegel o Marx, ma di trascendere la contraddizione,
perché in Dio la contraddizione si può risolvere. Scrive: «La contrad-
dizione è la vetta della piramide. La parola “bene” non ha il medesi-
mo significato come termine della correlazione bene-male o come
designazione dell’essere stesso di Dio»51. Infatti «la contraddizione
sperimentata fino in fondo è lacerazione. È la croce»52; la contraddi-
zione nasce dal limite, ma senza questo limite noi non esisteremmo,
tanto che si può affermare: «Il limite è la prova che Dio ci ama»53.
Siamo lontani da qualsiasi forma di manicheismo o di dualismo car-
tesiano, ma anche dalle precise concettualizzazioni di Maritain sul
problema del male.
S. Weil, a Maritain che incontra in America, scrive: «Sono di
origine ebrea, ma i miei genitori, del tutto agnostici, mi hanno lascia-
to ignorare la mia origine fino all’età di undici anni e mi hanno edu-
cata al di fuori di ogni religione. Dalla più tenera infanzia, ormai da
molto tempo, perché ho già trent’anni, ho assorbito l’ispirazione cri-
stiana per l’intermediazione dei libri, ad incominciare dal XVI seco-
lo francese, che ho amato da quando ho appreso a leggere. Ho così
adottato teoricamente, e per quanto la mia imperfezione lo permet-
teva, nella pratica, l’atteggiamento cristiano a riguardo dei proble-

50
S. Weil, L’ombra e la grazia, Introduzione di G. Thibon, Rusconi, Milano 1985,
p. 123.
51
Ibid., p. 139.
52
Ibid.
53
Ibid., p. 145.
III. La crisi della modernità 181

mi della vita e della morte. Il dogma cristiano mi ha sempre attratto


per la sua bellezza, questa attrazione è diventata, di anno in anno,
di giorno in giorno, sempre più viva, fino ad essere trasformata in
adesione, anche se si tratta di un’adesione nell’ordine dell’amore e
non nell’ordine dell’affermazione. Mi sembra che sia questo il tipo
di adesione che conviene ai misteri soprannaturali, perché l’amore
soprannaturale in noi è la sola facoltà capace di entrare realmente
in contatto con essi. Mi sembra che la fede consista nella subordina-
zione di tutte le facoltà naturali dell’anima, compresa l’intelligenza,
all’amore soprannaturale, subordinazione che deve, pertanto, lascia-
re intatte le loro proprie funzioni e il loro libero gioco […]. Io credo
di avere il diritto di dire “Credo”. Tuttavia ho delle difficoltà, non
davanti a Dio, ma davanti agli uomini, per la coscienza che questa
parola è quasi sempre usata in sensi molto differenti. Ma c’è per me
un ostacolo ancor più grande. Non posso accettare di ammettere
che ho il dovere, e neppure il diritto, di sottomettere il mio pensiero
alla giurisdizione della Chiesa e di ritenere un’idea come falsa quan-
do questa è marcata d’infamia con le parole “Anathema sit”. L’uso
che la Chiesa ha fatto di queste parole è per me come una barriera
che mi forza a restare sulla soglia» (27 luglio 1942). Maritain com-
prende questa inquietudine, più psicologica che intellettuale, e le
risponde: «Sono rimasto colpito dalla confidenza con la quale mi
parlate della vostra posizione spirituale. Di tutte tali questioni sarei
felice di parlare con voi al mio ritorno a New York. Ma fin da ora
vorrei dirvi che, a mio giudizio, voi avete realmente ricevuto il dono
della fede, ma siete turbata da una forma di concettualizzazione an-
cora inadeguata. Il giorno in cui comprenderete che è la Verità di-
vina che si dona essa stessa a noi attraverso la fede, queste difficoltà
cadranno. Saranno spazzate via dal battesimo, ma è opportuno che
con la preghiera e con la meditazione cominciate fin da ora a supe-
rarle voi stessa. L’amore procede dal Verbo, ed è perché l’intelligen-
za, interiormente illuminata, aderisce alla Verità divina e ai misteri
che la superano che l’amore soprannaturale zampilla nell’anima e la
feconda tutta intera» (4 agosto 1942).
Maritain la affida al padre domenicano M.A. Couturier con il
quale la Weil riprende a discutere la sua situazione e al quale scrive
la lunga Lettera ad un religioso. Malgrado queste difficoltà intellet-
tuali, la Weil fa battezzare i due nipoti, Alain e Sylvie, convincendo
il fratello e la cognata, e morirà poco dopo a Londra, probabilmente
battezzata da una sua compagna di ospedale.
182 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

4. Il neocriticismo e la filosofia dei valori


La filosofia contemporanea vive nell’ombra di Kant, acquisisce un
linguaggio nuovo, sostituisce alla nozione tradizionale di bene quella
di valore, ma si frantuma nella motivazione di questi valori etici, per-
ché alcuni li considerano assoluti come le forme trascendentali kantia-
ne (Windelband, Rickiert) o le idee platoniche (Hartmann, Natorp,
Cassirer) o Dio (Le Senne) e altri invece li storicizzano relativizzandoli
(Dilthey) mentre Max Scheler si appoggia sulla fenomenologia. Mari-
tain non dà molto importanza a questi filosofi, ne coglie tutta l’ambi-
guità conseguente al voler salvare l’oggettività dei valori a partire dalla
soggettività. Nella Storia della filosofia morale (57) scrive: «Non dire-
mo nulla qui di una scuola di ispirazione kantiana o neo-kantiana che
ha avuto la sua importanza in Austria e in Germania nel XIX secolo,
la scuola della Filosofia dei valori non apporta alcun elemento vera-
mente originale alla nostra indagine critica. Si potrebbe dire che come
nell’ambito ontologico la fenomenologia di Husserl cerca una via in-
termedia tra il realismo e l’idealismo, così, nell’ambito morale, la filo-
sofia dei valori cerca una via di mezzo tra una concezione, che ritiene i
valori oggettivamente e intrinsecamente fondati, e una concezione che
li ritiene semplicemente soggettivi; una tale ricerca, per quanto profit-
tevoli abbiano potuto essere le analisi che le dobbiamo, era condan-
nata a volgere nella direzione dell’una o dell’altra delle due posizioni
pure, tra le quali essa sperava di mantenersi, e tra le quali, in realtà,
non c’è via di mezzo» (XI, p. 689). Ne Lo stato attuale della filosofia
in Germania (II, pp. 1141-1157) Maritain considera questo ritorno a
Kant come una reazione al monismo della filosofia hegeliana. «Pochi,
ad eccezione di Alois Riehl, si rassegnano ad avallare il kantismo in-
tegrale con le sue spinose contraddizioni e ad ammettere l’esistenza
della cosa in sé. La Scuola di Marburgo (Hermann Cohen54, Paul Na-
torp55, Ernest Cassirer56) e la Scuola di Baden (Wilhelm Windelband57,

54
Hermann Cohen (1842-1918), docente a Marburgo. Tra le opere: Il fondamento
dell’etica kantiana (1887), Etica del valore puro (1904).
55
Paul Natorp (1854-1924), docente a Marburgo. Tra le opere: Idealismo sociale
(1920), Filosofia e pedagogia (1909).
56
Ernest Cassirer (1874-1945) insegna in diverse università tedesche e poi in
America. Tra le opere: La vita e la dottrina di Kant (1918), Saggio sull’uomo (1944).
57
Wilhelm Windelband (1848-1915), filosofo e storico della filosofia, insegna in
Svizzera e in Germania. Tra le opere: Preludi (1884), Storia della filosofia (1892).
III. La crisi della modernità 183

Heinrich Rickert58) si accordano nel proclamare l’inutilità di ogni ten-


tativo di raggiungere una realtà indipendente dal nostro spirito. Per il
neocritismo idealistico della prima scuola esistono solamente i fenome-
ni di coscienza, il pensiero e l’essere sono una sola realtà, non ha senso
ammettere un al di fuori o un al di là del pensiero. La seconda scuola,
con il suo neocritismo della teoria dei valori, che vuole che l’uomo ri-
conosca al di sopra di lui un mondo di valori eterni (il Vero, il Bello,
il Bene), rimanda, a dire il vero, più all’idealismo assoluto di Fichte e
Hegel che al criticismo kantiano. Detesta, senza rincrescimento, i tre
postulati della morale kantiana e dichiara, per bocca di Rickiert, che
«bisogna rigettare l’antica saggezza perché noi, uomini moderni non
crediamo più alla saggezza» (II, pp. 1143-1144).

Max Scheler

Maritain si sofferma su Max Scheler59, un discepolo di Wilhelm


Dilthey60, influenzato da Nietzsche, che l’incontro con la fenomeno-
logia di Husserl porta a dedicarsi ai problemi morali, sociali, religiosi
a partire dalla persona, che è un essere in relazione. Scheler, critican-
do l’antropologia della psicoanalisi di Freud, che si fonda sul risenti-
mento, propone un’antropologia della solidarietà, «concentrando il
mondo nell’uomo e dilatando l’uomo al mondo» (XVI, p. 104). Ma-
ritain, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino (37), scrive: «Max Sche-
ler non era un teologo come Karl Barth61 né un filosofo profetico
come Nicolaj Berdjaev. Era un filosofo troppo filosofo, se così
posso dire, almeno nel significato tedesco di questa parola, poiché
un’inquietudine perpetua lo spingeva senza posa a rovesciamenti di
prospettiva e a nuove sintesi delle quali non si sapeva mai se una più
nuova sarebbe venuta a sostituire l’ultima. Max Scheler ha applicato

58
Rickert Heinrich (1863-1936), docente ad Heidelberg. Tra le opere: L’oggetto
della conoscenza (1892), Immediatezza e significato.
59
Max Scheler (1874-1928), docente in diverse università (Jena, Monaco, Colo-
nia, Francoforte). Tra le opere: Il formalismo dell’etica e l’etica materiale dei valori
(1916), L’eterno nell’uomo (1921), Le forme del sapere e la società (1926), La posizione
dell’uomo nel cosmo (1928).
60
Wilhelm Dilthey (1883-1911), docente in Svizzera e in Germania. Tra le opere:
Introduzione alle scienze dello spirito (1883), L’analisi dell’uomo e l’intuizione della na-
tura dal Rinascimento al XVIII secolo (1891-1904).
61
P. Viotto, Il confronto con la teologia protestante: Karl Barth, in Id., Grandi ami-
cizie, cit., pp. 129-131.
184 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

con singolare perspicacia il metodo fenomenologico al contenuto


spirituale e morale dell’esistenza umana, e ha così riaperto nella
stessa filosofia fonti religiose. L’antica analisi, con i suoi processi
di dissociazione concettuale artificiosa, faceva posto a un’analisi in
profondità la quale, grazie al suo modo metafisico, andava nella psi-
cologia più lontano della psicologia stessa, rispettava e metteva in
luce l’integrità data all’intuizione. È così che Scheler ha saputo sco-
prire, rispetto al filosofo, l’eterno nell’uomo, e le concrete implica-
zioni dei doni sopraumani nella sostanza della vita umana. Le virtù
cristiane, l’umiltà e la carità, si trovano riabilitate non da un punto di
vista dogmatico o teologico, ma dal punto di vista di una conoscenza
in certo modo laica del concreto. E nello stesso tempo, per tutt’altra
via di quella di Kierkegaard e di Barth, e in una prospettiva molto
più umanista, era anche restituito il senso della persona, universo a
se stessa. Se l’assenza di una metafisica e di una teologia sufficiente-
mente ferme non aveva dato al suo pensiero troppa versatilità, se in-
ternamente le crisi che hanno oscurato la sua fede, ed esternamente
le devastazioni morali e politiche, che cominciavano a sconvolgere la
coscienza del suo paese, non avessero impedito all’opera e all’azione
personale di Max Scheler di mantenere le promesse di cui risplende-
vano, egli avrebbe potuto rinnovare la vita religiosa della Germania
nel senso di un cristianesimo ricco insieme di intelligenza filosofica e
di vita interiore» (VIII, pp. 29-30). Invece Scheler, verso la fine della
vita, abbandona la concezione trascendente di Dio per una conce-
zione immanentistica di un assoluto che si realizza nella storia alla
maniera dello storicismo di Hegel.
Tra i discepoli di Max Scheler bisogna ricordare Paul Lan-
dsberg62, filosofo che cerca una mediazione tra fenomenologia, esi-
stenzialismo e personalismo per fondare un’antropologia filosofica
capace di fondare l’unità della persona. A causa del regime nazista si
trasferisce a Barcellona, ma all’avvento al potere del falangismo deve
riparare in Francia, dove collabora alla rivista «Esprit» di Mounier.
Durante l’occupazione della Francia viene arrestato dalla Gestapo e
muore in un campo di concentramento. Landsberg sviluppa una fe-
nomenologia dell’interiorità, rilevando che l’uomo deve umanizzare

62
Paul Ludwig Landsberg (1901-1943) insegna all’Università di Bonn fino al
1933. Tra le opere: La vocazione di Pascal (1929), Introduzione all’antropologia filosofica
(1934), Problemi del personalismo (postumo). La pubblicazione delle Opere Complete
è in corso di edizione presso le Edizioni San Paolo di Milano.
III. La crisi della modernità 185

se stesso aprendosi ad un orizzonte universale e impegnandosi so-


cialmente. Nel Saggio sull’esperienza della morte riflette sul suicidio
richiamandosi a Cristo, che ci invita all’accettazione e non alla rivol-
ta davanti alla drammaticità della condizione umana.
Maritain è in dialogo con alcuni filosofi tedeschi e austriaci, co-
me documentano le corrispondenze e diversi viaggi. Maritain nel
1927 e 1928 tiene conferenze a Colonia, invitato dalla “Katholische
Akademikerverband”; nel 1931 partecipa alla settimana di studi in-
ternazionali a Salisburgo, poi si reca a Monaco dove incontra Erik
Peterson63, di cui ricorda questo giudizio riguardante Kierkegaard:
«La soggettività è la Verità. Questa affermazione che si applica solo
a Cristo, è da Lui estesa ad ogni uomo: ecco la divinizzazione dell’io
e dell’immanenza» (XI, p. 858). La filosofia cristiana nei paesi di lin-
gua tedesca risulta influenzata dalla corrente fenomenologica, che
riduce l’essere ad un oggetto della mente, che nega la filosofia come
scienza per salvarla come fede, e non sa cogliere con sicurezza l’au-
tonomia della ricerca filosofica64. Maritain lo dice espressamente di
Joseph Pieper65, che «fa dipendere troppo strettamente l’opus phi-
losophicum tutto intero dalla teologia» (X, p. 647). Pieper sviluppa
un’approfondita analisi sulla natura delle virtù cardinali e teologa-
li, dando preminenza alla prudenza, e connette le virtù naturali a
quelle teologali, rilevando che il liberalismo ha falsato l’ordine delle
virtù fondandole sulla coscienza individuale e dimenticando che la
natura umana è stata guastata dal peccato. Bisogna considerare an-
che la relazione di Maritain con Dietrich Hildebrand66, filosofo del
Circolo di Gottinga, impegnato nella ricerca di una conciliazione tra
la fenomenologia e il realismo. Protestante, si converte al cattolicesi-
mo nel 1914. Perseguitato dal nazismo ripara a Vienna, dove fonda
e dirige la rivista «Der Christliche Ständestaat», per la quale chie-
de una collaborazione di Maritain a riguardo del problema ebraico.

63
B. Ritzler, Freiheit in der Umarmung des ewig Liebenden – Die historische Et-
wicklung des Personverstandnisses bei J. Maritain, Peter Lang, Bern-Frankfurt 2000.
64
Ph. Chenaux, L’influence de Maritain en Allemagne, in AA.VV., Jacques Mari-
tain en Europe, Beauchesne, Paris 1996, pp. 87-111.
65
Joseph Pieper (1904-1997). Filosofo impegnato soprattutto nell’analisi delle
virtù morali, la sua ricerca si muove verso l’essere come dover essere. Opera omnia
presso l’editore Meiner di Amburgo. In italiano: Sulla fortezza (1956), Otium e culto
(1967), Sulla giustizia (1969), Speranza e storia (1969).
66
Dietrich Hildebrand (1889-1977). Dieci volumi curati dalla Dietrich-von-Hil-
debrand-Gesellschaft negli anni 1971-1984. In italiano: Liturgia e personalità (1935), Il
matrimonio (1959), Che cosa è la filosofia (2001).
186 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Maritain invia un testo che titola Sull’antisemitismo, che viene pub-


blicato nel 1936 (XVI, pp. 476-479). Emigrato in America, Hilde-
brand firma nel 1942 il manifesto Davanti alla crisi mondiale (VII,
pp. 1214-1229). Quando, nel 1960, la Fordham University prepa-
ra un volume in omaggio a Hildebrand, Maritain partecipa con un
testo in inglese, A proposito della filosofia cristiana, in cui riassume
le sue posizioni sul problema (XI, pp. 1045-1058). Altra relazione
di Maritain, nell’ambito della cultura tedesca, è quella con Peter
Wust67, ritornato alla fede sotto l’influenza di Scheler, tra di loro c’è
una corrispondenza negli anni 1927-1933, che segna l’incontro dei
“cattolici del Reno” con i “cattolici della Senna”, come documenta
la raccolta delle corrispondenze del filosofo tedesco con Paul Clau-
del, Gabriel Marcel, Charles Du Bos, Romain Rolland. Il suo discor-
so antropologico sottolinea le aspirazioni dell’uomo alla certezza e
all’Assoluto che si trovano in una situazione di insicurezza e di ri-
schio, tra dogmatismi e scetticismi, a cui bisogna reagire prendendo
coscienza che la Provvidenza di Dio regola la storia. Wust in una let-
tera parla della morte del suo maestro: «L’altroieri ero sulla tomba
di Max Scheler. Il 13 marzo, prima della sua partenza per Ascona, ci
eravamo salutati all’angolo della via Auer. E ora mi trovo in un an-
golo discreto del cimitero. Circondato da una siepe verde. L’hanno
inumato secondo il rito cattolico, la seconda moglie, sorella del mu-
sicista Furtwangler, si è interessata per ottenerlo. Nell’ultima setti-
mana prima di morire, il filosofo è uscito ancora una volta dallo stato
crepuscolare dovuto alle lunghe sofferenze, ha chiesto un foglio di
carta e una matita, diceva che nella sua sofferenza aveva acquisito
nuove conoscenze sulla vita dell’aldilà, conoscenze che non aveva
mai avuto prima. Poi ha annotato otto punti. Nessuno conosce il
contenuto di queste note, alcuni dicono che non siano decifrabili
[…]. Chi lo sa, forse Dio ha fatto giungere al morente grandi grazie.
La sepoltura cattolica non è già, essa stessa, un’ultima grazia, anche
se non è stata fatta su richiesta del defunto? Si è comunque prega-
to sulla tomba di Scheler. Purtroppo non ho visto la croce di legno
provvisoria sulla tomba. Pregiamo con fervore per il riposo della sua
anima. Vi invio un piccolo ramoscello che ho colto per voi sulla sua
tomba» (6 giugno 1928). Maritain risponde: «Sono commosso per

67
Peter Wust (1884-1940), docente a Münster. Tra le opere: La crisi dell’Occiden-
te (1928), Incertezza e rischio (1985), Lettres de France et d’Allemagne. Correspondance
de Peter Wust avec ses amis français, Téqui, Paris 1985.
III. La crisi della modernità 187

quanto mi scrivete di Scheler e vi ringrazio per il rametto che avete


raccolto per me sulla sua tomba. Di cuore preghiamo con voi per la
sua anima» (20 giugno 1928). È molto interessante anche una lettera
di Journet a Maritain: «Wust è morto lasciando ai suoi studenti un
bellissimo testamento spirituale nel quale dichiara che non ha mai
insegnato nulla contro le sue convinzioni profonde, anche se è stato
difficile in alcuni momenti. All’opposto i giornali hanno pubblicato
alcuni estratti da un discorso di Karl Adam che dichiara che la “na-
tura germanica” è l’elemento sostanziale e il cristianesimo l’elemen-
to accidentale del popolo tedesco» (19 luglio 1940).
Tra gli amici tedeschi dei Maritain un posto particolare spetta
a Theodor Haecher68, alunno di Scheler, che non porta a termine i
suoi studi filosofici e si impegna in collaborazioni con diverse riviste
fino a quando il nazismo gli impedisce di scrivere e di tenere con-
ferenze. Ma ancora negli anni 1942 e 1943 a Monaco legge i suoi
manoscritti al gruppo dei giovani studenti della “Rosa bianca”. Ri-
sulta che Hans e Sophie Scholl amavano citare la frase di Maritain:
«Bisogna avere uno spirito duro e un cuore tenero» (III, p. 723).
Maritain lo incontra a Monaco nel 1931, pubblica alcuni suoi scrit-
ti, tra cui La nozione di verità secondo Kierkegaard (1934) e Virgilio,
padre dell’Occidente (1935). Maritain scambia con Haecher un’im-
portante corrispondenza, attraverso la quale si può seguire la loro
relazione intellettuale. Quando riceve il volume Che cosa è l’uomo,
Maritain gli scrive: «Aristotele ha supposto che Dio è l’essere sussi-
stente e Mosè l’ha insegnato alla filosofia cristiana […]. Ma la verità
che Dio è l’Amore stesso sussistente, Deus caritas est, questa verità
che è di ordine naturale in se stessa, ci è voluto la grazia evangelica
per apprenderla e fino ad oggi è stata trascurata dai filosofi cristia-
ni. Mi domando se non sia conforme ai paradossi della provvidenza
che l’approfondimento di tale verità sia stato riservato ai nostri tem-
pi violenti» (14 marzo 1934). Poi torna il filosofo che pure nell’ami-
cizia non rinuncia alle sue convinzioni intellettuali e rimprovera ad
Haecher di non cogliere l’esistenzialismo vero di san Tommaso e gli
dice: «Voi ritenete san Bonaventura e Platone dei pensatori più esi-

68
Theodor Haecher (1879-1945). Filosofo e letterato. Protestante, si converte al
cattolicesimo nel 1921. Studia in particolare Kiekegaard e Virgilio. Si accorge subito del
paganesimo implicito nel fascismo e già nel 1923 in un opuscolo, La Bestia, fa la satira di
Hitler e di Mussolini. Tra le opere: Che cosa è l’uomo? (1934), La creatura e la creazione
(1935), La bellezza (1937), Lo spirito dell’uomo e la verità (1934). Cf. H. Siefken, Corre-
spondance Maritain-Haecher, in «Cahiers Jacques Maritain», 31, pp. 23-40.
188 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

stenzialisti di Aristotele e di san Tommaso. Sono persuaso che è vero


il contrario. Platone si ferma alle essenze. Aristotele è il solo meta-
fisico che abbia dato tutto il suo valore all’intuizione dell’essere; e
questo ruolo dell’esistenza, dell’atto di essere, è ancor più marcato
in san Tommaso che in Aristotele. Sono solo le apparenze esteriori,
la routine della pedagogia, che mascherano la poesia di cui san Tom-
maso è ricco. San Tommaso è un orfico, la poesia e la metafisica si
sono compenetrate in lui» (14 marzo 1934).
Nel 1940 gli amici di Haecher preparano un volume in omaggio
al filosofo per i suoi sessant’anni e chiedono un contributo a Mari-
tain. Il volume viene offerto a Haecher nell’unica copia dattiloscritta,
nella quale non figura il contributo di Maritain, che per le vicende
della guerra è andato smarrito. Negli Archivi di Kolbsheim ne è stata
trovata una copia, in cui si legge: «Tutti coloro che nel mondo della
cultura hanno conoscenza della lingua tedesca e di ciò che cosa essa
ha donato alla cultura universale apprezzano l’importanza dell’ope-
ra di Haecher e il modo con cui ha saputo rinnovare con uno stile
ardente e puro, libero da ogni pedanteria, ricco di umanità e di vita,
la presentazione dei problemi metafisici e morali» (XVI, pp. 1173-
1174). Un aspetto particolare, problematico, forse più politico che
culturale, dei rapporti di Maritain con il mondo tedesco riguarda la
responsabilità collettiva del popolo tedesco davanti alle violenze e alle
atrocità perpetrate dal nazismo in tutta Europa. Maritain ritiene che
si debba eliminare il virus dell’imperialismo prussiano, e propone sul
piano politico una soluzione federale e sul piano morale il ricono-
scimento delle colpe commesse. A questo riguardo sono molto in-
teressanti i dispacci e le relazioni che Maritain redige per il governo
francese in qualità di Ambasciatore presso la Sede69.

5. L’empiriocritismo e la filosofia della scienza


Maritain constata che la visione di Comte secondo la quale so-
lo le scienze sperimentali sono vere, è scomparsa perché la maggior
parte degli scienziati incomincia a riconoscere che la scienza non si
pronuncia «sulla natura o l’essenza di ciò che è, ma sulle connessioni
tra i segnali o i simboli che i nostri sensi, e soprattutto i nostri stru-

69
Cf. R. Fornasier, Maritain e la responsabilità collettiva del popolo tedesco, in
«Notes et Documents», XXXI, 6 (settembre-dicembre 2006), pp. 44-52.
III. La crisi della modernità 189

menti di osservazione e di misura, ci permettono di elaborare» (VII,


p. 202). Nell’articolo Lo stato attuale della filosofia in Germania (II,
pp. 1141-1157) Maritain, dopo aver rilevato che «la filosofia moder-
na è giunta a negare la metafisica attraverso il criticismo kantiano e il
positivismo» (II, p. 1144), presenta diversi esponenti di queste filo-
sofie che trasformano le categorie della filosofia classica e le leggi del
positivismo in finzioni pratiche regolate da un principio comune di
economia, di utilità pratica. Dopo avere ricordato Richard Avena-
rius70 si sofferma su Ernest Mach, l’animatore del Circolo di Vienna,
fondato dal filosofo e fisico Moritz Schilick nella città allora capita-
le dell’Impero austro-ungarico, mentre nasceva nelle arti figurative
l’espressionismo e nella musica la dodecafonia, A questo circolo si
richiamano altri due filosofi austriaci: Kurt Gödel, dall’America, e
Ludwig Wittgenstein, dall’Inghilterra. L’attività di gruppo termina
nel 1936, quando uno studente nazista uccide il fondatore.
Secondo Maritain, per Ernst Mach71 «la scienza è un vasto si-
stema di simboli abbreviati e la conoscenza un fenomeno puramen-
te biologico che avviene sulla base di un principio di economia o
principio del minor dispersione di forze; conoscere è fare economia
di intelligenza […]. La filosofia di Mach è sostanzialmente affine al
pragmatismo» (II, p. 1144). Approfondendo precisa: «La scienza si
disinteressa completamente del processo di causazione all’opera nel
reale, non ha per scopo che descrivere nella maniera più economica
ciò appare ai nostri sensi» (XI, p. 711). Su queste basi Hans Vaihin-
ger72 si propone di stabilire «un sistema di finzioni teoriche, pratiche
e religiose dell’umanità sulle basi di un positivismo idealistico» (II,
p. 1145) che costituirebbe kantianamente «la filosofia del Come-Se»
perché tutte le nostre conoscenze non sono che delle finzioni a cui
continuiamo a credere, ma che non hanno alcun valore oggettivo.
La scienza non cerca le cause, si limita a stabilire delle connessioni
tra i fenomeni a scopo pratico per il benessere dell’umanità. «Que-
sta non è, d’altra parte, l’idea che solo Auguste Comte si faceva della
scienza, ma è quella anche di tutti gli scienziati che si richiamano a

70
Richard Avenarius (1841-1896), studente e poi professore a Lipsia e a Zurigo.
Tra le opere: Filosofia come pensiero del mondo secondo il principio del minimo sforzo
(1876), Critica dell’esperienza pura (1890).
71
Ernst Mach (1838-1916), docente di fisica prima a Praga poi a Vienna. Tra le
opere: Conoscenza ed errore (1905), Analisi delle sensazioni (1906).
72
Hans Vaihinger (1852-1933), di formazione kantiana, insegna a Strasburgo e
poi ad Halle. Tra le opere: Commento alla Critica Ragion pura (1899).
190 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

lui, in particolare quella del celebre teorico della scienza e filosofo


energetista Mach» (V, p. 869).

Ludwig Wittgenstein

Maritain rileva che in Ludwig Wittgenstein73 comincia ad es-


serci un superamento di questa posizione. Di lui scrive: «egli si è
accostato per un momento al positivismo logico e solo per abban-
donarlo» (XI, p. 696) e rintraccia nel Trattato logico-filosofico que-
sta massima «“Not how the world is, is the mystical, but that it is”,
“non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è”, che può ricevere
un senso pienamente filosofico ed essere considerata come una va-
lida asserzione della metafisica dell’esse» (XI, p. 758). Ma c’è un
salto dalla scienza alla mistica, e rimangono incertezze. Maritain
aggiunge: «Quanto al principio avanzato nella stessa opera: “What
can be said at all can be said clearly”, “tutto ciò che può dirsi può
essere detto chiaramente” può essere inteso nel senso del più stret-
to univocismo scientistico, per il quale non è “detto chiaramente”
se non ciò che si definisce mediante una verifica matematica o spe-
rimentale; ma può essere inteso anche in un senso veramente degno
dell’intelligenza, potendo significare che da una parte si possono
formulare degli enunciati “detti chiaramente” su cose oscure in se
stesse (come la materia prima di Aristotele) od oscure per noi (come
le perfezioni divine), e che d’altra parte la chiarezza di un enunciato
è qualcosa di essenzialmente analogico, e che vi sono tante maniere
differenti di “dire chiaramente” quanti sono i gradi distinti nella
conoscenza – perché un filosofo dovrebbe accusare un fisico di non
parlare chiaramente quando parla di anti-materia? E perché un fisi-
co dovrebbe accusare un filosofo di non parlare chiaramente quan-
do parla di essere in potenza o di essere contingente?» (XI, p. 758).
Ma in Wittgenstein non c’è una risposta chiara a questo interroga-
tivo. D’altra parte Wittgenstein è stato alla scuola dei logicististi in-
glesi (Peirce, MacFarlane) «che vogliono fare della matematica una
logica del numero» (II, p. 677) e Maritain avverte: «la logicistica è
qualcosa di essenzialmente differente dalla logica. Mentre la logica

73
Ludwig Wittgenstein (1889-1951), filosofo austriaco che dopo aver studiato in-
gegneria a Berlino si trasferisce a Cambridge per lavorare con Bertand Russel. Il suo
Trattato logico-filosofico (1921) sulla natura del linguaggio ha avuto diverse edizioni.
III. La crisi della modernità 191

si appoggia sull’atto stesso della ragione nel suo processo verso il


vero, dunque sull’ordine dei concetti stessi e del pensiero, la logici-
stica si appoggia sulle relazioni entro segni ideografici, dunque sui
segni stessi presi come sufficienti una volta stabiliti» (II, p. 572). Ai
maestri della Scuola di Cambridge Bertrand Russell74 e Alfred North
Whitehead75 Maritain avrebbe voluto dedicare un capitolo della
sua Grande logica come aveva previsto nel suo piano di lavoro (II,
p. 762), ma nelle Opere complete si trovano solo alcuni rimandi oc-
casionali. Nell’importante articolo Segno e simbolo (VII, pp. 97-
147), pubblicato nel 1938 sul primo numero del «Journal of
Warburg Institut», dopo aver riconosciuto che il segno, nella sua
funzione di simbolo, è «la chiave di volta della vita intellettuale»
(VII, p. 107), precisa che lo è in ordine al suo significato intelligibi-
le e scrive: «La nascita dell’idea, e quindi della vita intellettuale in
noi, sembra legata alla scoperta del valore di significazione di un
segno. L’animale si serve di segni senza percepire la relazione di si-
gnificazione. Percepire la relazione di significazione è avere un’idea
– un segno spirituale. A questo proposito nulla è più suggestivo di
quella specie di miracolo che è il primo risveglio dell’intelligenza
nei ciechi-sordomuti (Marie Heurtin, Helen Keller, Lydwine La-
chance): dipende essenzialmente dalla scoperta della relazione di
significazione di un gesto con l’oggetto desiderato» (VII, p. 107). È
questa relazione tra l’ordine logico e l’ordine ontologico a cui
tendono più o meno consapevolmente i filosofi contemporanei e
Maritain ne traccia la storia: «Mentre Russell si adoperava, brillan-
temente più che solidamente, a demolire la logica della predicazio-
ne e a far cadere ogni barriera tra la logica e la matematica, e mentre
Whitehead, dopo di ciò, si sforzava di trascendere il nominalismo
scientifico per ricostruire una teoria della conoscenza e una metafi-
sica di grande stile, Émile Meyerson, in Francia, mostrava che la
scienza, così come si fa, rende testimonianza contro lo schema po-
sitivistico della scienza, e svela un irreprimibile desiderio ontologi-
co, che d’altronde essa non è in grado di soddisfare; ai nostri giorni

74
Bertrand Russell (1872-1970), filosofo e letterato, premio Nobel per la lettera-
tura nel 1950, noto per una Storia della filosofia occidentale (1945).
75
Alfred North Whitehead (1861-1947), matematico e filosofo, autore del Tratta-
to di algebra universale (1893) che ripropone l’ipotesi leibniziana di fondare tutte le
scienze sul calcolo logico.
192 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

un altro filosofo francese, Gaston Bachelard76, «insiste ancora di


più sull’invenzione creatrice attraverso la quale la scienza conduce
i suoi simboli incontro alle cose […]. Ciononostante, e quasi per
compensazione, si andava sviluppando presso certi teorici la ten-
denza ad una interpretazione sistematica tale da imporre delle rego-
le formali molto rigorose e da andare verso una specie di purismo
logico: mi riferisco ai logici della Scuola di Vienna» (VII, p. 199).
L’errore della Scuola di Vienna consiste nel confondere ciò che è ve-
ro per la scienza dei fenomeni e ciò che è vero per ogni scienza e per
ogni sapere in generale, consiste nell’estendere all’universalità del
sapere umano ciò che è valido solo per il suo particolare settore. Di
qui la negazione assoluta della metafisica e la pretesa arrogante di
rifiutare ogni senso agli enunciati metafisici. La Scuola di Vienna
aveva preso coscienza che la scienza non si pronuncia «sulla natura
o l’essenza di ciò che è, ma sulle connessioni tra i segnali o i simbo-
li che i nostri sensi e soprattutto i nostri strumenti di osservazione e
di misura ci permettono di elaborare» (VII, p. 202), ma ha fatto di
questo tipo di scienza l’unica scienza «guastando una buona intui-
zione con una cattiva concettualizzazione» (VII, pp. 218-219), di-
menticando che «se la scienza raggiunge l’essere delle cose solo
obliquamente e per mezzo di costruzioni di ragione, è pur sempre
l’essere che essa raggiunge in una maniera enigmatica e cieca» (VII,
pp. 219-220). Maritain, poiché alcuni di questi scienziati sono an-
che dei sinceri credenti, osserva con una certa ironia: «Per un capo-
volgimento imprevisto l’oggetto assegnato da Aristotele alla
metafisica passa alla fede. Se la scienza non attinge l’essere, lo attin-
gerà la fede, almeno per colui che ha ricevuto questo dono. Coro-
niamo di neofideismo il neopositivismo, e tutto andrà bene, e con
una notevole economia di spesa intellettuale» (VII, p. 223). Ma la
fede così è ridotta ad «una semplice disposizione affettiva e pratica,
senza contenuto di verità, né valore di conoscenza» (VII, p. 224).
Maritain rimanda ad Aristotele, e sulla base della logica classica
combatte i logicisti, che con la logica simbolica fanno della logica
una strumento fine a se stesso, di valore puramente formale, preci-
sando: «Ciò deriva dal fatto che il principio stesso del loro metodo
esige che tutto sia significato, e che non ci sia nulla nel ragionamen-
to che non sia già nei segni del ragionamento stesso, dovendo questi

76
Gaston Bachelard (1884-1962), docente alla Sorbona. Tra le opere: La formazio-
ne dello spirito scientifico (1938), Il razionalismo applicato (1949).
III. La crisi della modernità 193

segni a sua volta bastare a se stessi» (II, p. 583). Invece, «la logica è
un’arte fatta per servire l’intelligenza, non per sostituirla. La logica
non ha il compito di affidarci delle formule, che bastano a se stesse
per svilupparsi, una macchina algoritmica che avanza da sé, mentre
l’intelligenza rimane in riposo o è all’opera unicamente per sorve-
gliarne il funzionamento» (II, p. 584). La logica è un metodo, non
una filosofia.

Werner Karl Heisenberg

In questa problematica, che coinvolge le scienze e la filosofia, un


posto rilevante spetta anche ad Albert Einstein77 con la sua teoria del-
la relatività e Werner Karl Heisenberg78 con il principio di indetermi-
nazione. A riguardo della relatività Maritain osserva: «Penso che il
senso comune e la filosofia parlino del tempo reale, di una realtà fisica,
che è la durata di ciò che cambia, mentre Einstein – di fatto se non
intenzionalmente – parla di tutt’altra cosa e cioè di un’entità matema-
tica, che è una variabile in un’equazione, e che in comune col tempo
ha solo il nome» (II, p. 816). Non bisogna confondere il tempo della
filosofia con il tempo dei teorici del principio della relatività, infatti
«ricercare le leggi, senza volere conoscere le cause, ci si espone a
prendere per delle cause, o per degli enti reali, quelle che sono sem-
plici finzioni», finendo per «assegnare un qualche valore fisico e on-
tologico a enti di ragione, che si è costretti ad elaborare per sostenere
il linguaggio matematico» (II, p. 817). Non bisogna matematizzare il
tempo reale: «Per i filosofi il tempo matematico, infinito e vuoto, è
solo un ente di ragione. Il tempo reale, essendo fondato sul movi-
mento, al pari dello spazio, è inseparabile dalla materia, così che il
tempo e lo spazio hanno incominciato ad esistere solo con il mondo
dei corpi e sono limitati come lui» (II, p. 820). La misurazione del
movimento e del tempo dipende da noi, «ma il metafisico sa che tut-
to ciò che esiste è determinato. Prima di essere misurato da noi, ciò

77
Albert Einstein (1879-1955), fisico tedesco, premio Nobel nel 1922. Maritain fu
suo collega a Princeton e ne parla in diverse opere. Cf. in particolare: La matematizzazione
del tempo (II, pp. 813-844), La fisica della quantità e la rivoluzione cartesiana (III, pp. 205-
303) e La matematica dei fisici ossia la simultaneità secondo Einstein (III, pp. 237-303).
78
Werner Karl Heisenberg (1901-1976), fisico tedesco formatosi all’Istituto di fi-
sica teorica di Copenaghen. Sono importanti due opere: Mutamenti nei fondamenti
delle scienze della natura (1935) e Fisica e filosofia (1959).
194 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

che è misurabile esiste e ha una sua quantità determinata. Evidente-


mente l’espressione numerica delle dimensioni spaziali e temporali
varia con le unità (di misura) scelte, ma le cose hanno delle dimen-
sioni assolute, altrimenti non avrebbero affatto dimensione, non esi-
sterebbero quantitativamente. Ciò che esiste, sia pure nel modo
imperfetto del tempo, sia pure attraverso l’istante, è intrinsecamente
determinato» (II, pp. 822-823). Oltre alla misura matematica c’è an-
che una misura ontologica del tempo: «La parola misura ha per il fi-
losofo un senso molto più esteso che per il fisico, il filosofo dice che
la scienza divina è la misura delle cose e che le cose sono la misura
della nostra scienza» (II, p. 824). Maritain conclude: «La relatività
del tempo teorizzata da Einstein interessa l’arte di sistematizzare in
senso matematico le misure sensibili, che noi applichiamo all’uni-
verso; ma se la tenessimo per una dottrina filosofica del reale, sareb-
be un non senso» (II, p. 832). Maritain, anche a proposito del
principio di indeterminazione di Heisenberg, osserva che le teorie
scientifiche non possono essere utilizzate come teorie filosofiche,
perché si tratta di livelli e modi di conoscenza diversi. Ne I gradi del
sapere (17) scrive: «Per importanti e significative che siano per il te-
orico della scienza le idee di Heisenberg, esse non hanno assoluta-
mente nulla a che vedere con il problema della libertà. Senza dubbio
possono contribuire alla rovina di certa scienza romanzata, ma se si
commettesse la balordaggine di volerle utilizzare direttamente per
un’apologia del libero arbitrio, esse non avrebbero in questo ambito
maggior valore del clinamen di Epicuro e di Lucrezio» (IV, p. 604).
Concludendo, Maritain evidenzia il diverso uso che l’uomo fa
dell’intelligenza nel campo della ricerca scientifica e nel campo della
riflessione filosofica, modesto nel primo caso, strutturale nel secon-
do: «Tutto ciò significa che l’intelligenza è una sorta di testimone e
di regolatore indispensabile del senso nel lavoro scientifico, ma che
resta, se così mi posso esprimere, esterno a questo lavoro. Solo i sen-
si e gli apparecchi di misura vedono nella scienza: l’intelligenza vi
è presente solo col compito di trasformare, secondo le regole della
sintassi matematica e logica (che per i viennesi consiste del resto in
pure trasformazioni tautologiche), i segni che esprimono ciò che è
stato così visto. L’intelligenza è installata nella direzione dell’offici-
na, scheda e sottomette ad un calcolo sempre più estensivo le indica-
zioni che le vengono fornite. Resta fuori dal cantiere dove si effettua
direttamente il lavoro, le è vietato entrare» (VII, p. 203). Altro sono
le scienze fisico-matematiche, altro è la filosofia della natura: non
III. La crisi della modernità 195

si può relativizzare il tempo reale, né si può indeterminare il libero


arbitrio; non bisogna scambiare le formule della scienza per argo-
mentazioni filosofiche. «Il concetto di finzione non va confuso con
quello di ipotesi, perché le finzioni non pretendono né di copiare,
né di interpretare scientificamente la realtà, ma solamente renderla
accessibile e utilizzabile all’uomo, al prezzo anche di numerose con-
traddizioni. Sovente le finzioni più false, dal punto di vista logico,
sono le più feconde per la conoscenza umana» (II, p. 1145). Sono
funzioni utili per il progresso tecnologico, ma non vere per la filoso-
fia e la saggezza dell’umana.

6. Il pragmatismo

Il pragmatismo, il cui nome fu coniato da Charles S. Peirce79,


non è solo il punto di arrivo della filosofia anglosassone che, par-
tita dalla tarda scolastica di Duns Scoto e Occam, attraverso l’em-
pirismo prima e il positivismo poi, per il persistente nominalismo,
giunge ad affermare che il successo, la riuscita, è il criterio di verità,
ma è anche un atteggiamento dello spirito, quando alla contempla-
zione preferisce l’azione e risolve la teoresi nella prassi. Maritain,
particolarmente attento alla filosofia della religione, trova questo at-
teggiamento nella Riforma protestante. «Il predominio nel pensiero
di Lutero dell’interesse pratico sull’interesse teoretico non spiega
solamente l’orrore dei protestanti per gli Ordini contemplativi, ma
prepara il pragmatismo di un William James e le teorie moderne
della verità che rende. Poco importa, in fondo, che Dio abbia una
tale o tale natura, tali o tale altri attributi, purché egli ci salvi» (I,
p. 936). Inoltre vede in Cartesio «la prima radice del pragmatismo
e dell’utilitarismo che caratterizzano la concezione moderna della
scienza, perché ha deposto la saggezza» (V, p. 89) e ha orientato la
scienza al sapere pratico, attribuendole l’unico scopo di dominare il
mondo. In Scienza e saggezza (24) osserva che questo atteggiamento
distrugge la scienza stessa, perché anche le scienze pratiche, in quan-
to sono un sapere e non un fare, restano sempre teoresi e non sono

79
Charles Sanders Peirce (1839-1914), avviato agli studi di logica dal padre, ma-
tematico, ebbe solo incarichi annuali in alcune università e morì poverissimo. Lasciò
una quantità enorme di manoscritti pubblicati postumi dalla Harvard University.
196 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

prassi: «In realtà, distruggendo la scienza, il pragmatismo distrugge


anche la scienza pratica, perché nella scienza pratica, in quanto resta
scienza, speculativamente pratica o praticamente pratica, qualche
cosa sussiste ancora, ad un grado o ad un altro, di quell’ordine spe-
culativo che il pragmatismo rifiuta» (VI, p. 89). In politica il prag-
matismo sgancia l’agire umano dai valori, come Machiavelli, che ha
teorizzato il primato dell’utile sul bene, come il liberalismo politico,
che considera la democrazia solo una tecnica giuridica per l’efficien-
za della vita sociale e non un valore etico e il liberismo economico,
che considera l’utile come il fine assoluto dell’economia. Maritain è
preoccupato per le conseguenze pedagogiche del pragmatismo, tan-
to da considerarlo in L’educazione al bivio (36) uno dei sette errori
della pedagogia contemporanea perché falsa l’educazione intellet-
tuale. «È un disgraziato errore quello di definire il pensiero uma-
no come un organo di risposta agli stimoli e alle situazioni attuali
dell’ambiente, vale a dire in termini di conoscenza e reazione ani-
mali, poiché una simile definizione si applica esattamente al modo
di pensare proprio degli animali senza ragione. Al contrario, il pen-
siero umano è uno strumento o piuttosto un’energia vitale di cono-
scenza o d’intuizione spirituale; e l’attività pensante comincia non
solo con delle difficoltà ma con delle vedute (insights) o percezioni, e
termina in vedute, che sono rese vere dalla dimostrazione razionale o
dalla verifica sperimentale, e non dalla sanzione pragmatica. Il pen-
siero umano è capace di illuminare l’esperienza, realizzare dei desi-
deri, che sono umani, perché sono radicati nel desiderio primordiale
del bene illimitato, e di dominare, controllare e foggiare di nuovo il
mondo. Al principio dell’azione umana, in quanto umana, c’è la ve-
rità, conosciuta (o che si crede conoscere) per se stessa, per amore
cioè della verità. Senza la fede nella verità non c’è efficacia umana.
Questa è la critica principale da fare alla teoria pragmatista e stru-
mentalista della conoscenza» (VII, pp. 782-783). In una conferenza
del 1946 su Cooperazione filosofica e giustizia intellettuale (IX, pp.
271-300), Maritain fa una comparazione analitica tra pragmatismo
e tomismo, precisando: «In ultima analisi ci troviamo qui davanti a
un’opposizione metafisica, più radicale e più decisiva di tutti gli ac-
cordi parziali. Alla radice della filosofia tomista c’è l’affermazione
del primato dell’essere sul divenire. Alla radice della filosofia prag-
matista c’è l’affermazione del primato del divenire sull’essere. Po-
tremmo formulare questa contrapposizione in altro modo, dicendo
che la posizione che nel tomismo è occupata dalla verità, nel prag-
III. La crisi della modernità 197

matismo è occupata dalla verifica. Capisco bene che il pragmatista fa


uso della nozione di verità e il tomista fa altrettanto con la nozione
di verifica. Ma in quanto concetto filosofico di importanza e di si-
gnificato primordiale, per l’uno è la verità, per l’altro la verifica che
rappresenta il concetto da cui dipende tutto il resto. Agli occhi del
pragmatista la verità è tutt’uno con la verifica. Agli occhi del tomista
la verifica non è che una via e un mezzo per raggiungere la verità»
(IX, p. 284). Conclude: «Il tomista insiste sul valore contemplativo
della conoscenza, il pragmatista ne diffida come di un’illusione stati-
ca, contraria alla realtà della vita intellettuale, che non è che divenire
e fatica. Questa disputa tra essere e divenire, e tra verità e verifica,
rivela un profondo antagonismo che anche i migliori sforzi restano
incapaci di superare» (IX, p. 285).

William James

Maritain prova simpatia per questo giovane americano80, laurea-


to in medicina, dedito a studi di fisiologia e di psicologia, che, amico
di Renouvier e di Bergson, insoddisfatto tanto dal positivismo che
dall’idealismo, vuole trovare una soluzione al conflitto tra materia-
lismo e spiritualismo, tra determinismo e libertà, ma diffida della
sua filosofia empiristica. Così lo presenta: «La combinazione perfet-
tamente definita di puritanesimo, di romanticismo e di empirismo
che è riscontrabile in lui, mi sembra che ne faccia un tipo eminente-
mente rappresentativo. Mi duole di non averlo conosciuto personal-
mente; provo per lui il più grande rispetto; non è difficile avvertire
attraverso i suoi scritti la lealtà, il coraggio e l’intelligenza di una per-
sonalità umana degna di ammirazione. Con tutto ciò, ammiro meno
la sua opera filosofica di quanto ammiri l’opera letteraria di suo fra-
tello. Egli è filosofo in modo aperto, oserei dire cinico, col suo sen-
timento e la sua volontà, diciamo meglio, col suo temperamento – e
infatti una filosofia è essenzialmente, ai suoi occhi, una traduzione
del temperamento, il che ci consente di caratterizzare con sufficiente
esattezza la sua, qualificandola come bilio-sanguigna» (III, p. 309).

80
William James (1842-1910), docente ad Harvard, fonda il primo laboratorio di
psicologia sperimentale. Tra le opere: Principi di psicologia (1890), che Maritain cita più
volte e nel suo libro su Bergson, La volontà di credere (1897), Pragmatismo, con una
prefazione di Bergson (1907), Universo pluralistico (1909).
198 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Per James la verità non è una rappresentazione logica di una real-


tà ontologica, ma è un giudizio di valore, una previsione sulla riuscita
di una data azione. La verità non si scopre, si inventa; la verità è uno
strumento per l’azione e la sua prova non è l’evidenza logica, ma la
verificazione pratica, il risultato. A questa verità si perviene sogget-
tivamente, con tutta l’anima, non con la sola intelligenza. La verità
dipende psicologicamente dalla fiducia che si ha in essa: se, in monta-
gna, si deve superare un difficile passaggio, si riesce solo se si crede di
riuscirvi. La verità la costruiamo noi con la nostra fede. Non l’intelli-
genza, ma la volontà può liberarci dallo scetticismo, dall’ateismo, dal
pessimismo: è la volontà di credere. James ci dà così una nuova formu-
la del primato della ragion pratica.
Il mondo non è un cosmo finito e determinato, ma un caos inde-
finito e in continua costruzione ad opera di molti individui, senza che
prevalga una volontà unica, per cui appare in tutta la sua precarietà,
irrazionalità, provvisorietà. Non è importante l’insieme della natura,
sono importanti i singoli individui che liberamente vi operano. L’uo-
mo non è fatto per conoscere la storia passata, ma per creare quella
futura. La storia è opera delle grandi individualità, che hanno muta-
to il corso dell’umanità. Il genio non è il prodotto dell’ambiente: non
può realizzarsi se l’ambiente non gli è propizio, ma non ne deriva,
perché la sua opera è libera e del tutto individuale.
Anche Dio è un individuo plasmatore del mondo, non trascen-
dente, onnipotente, ma limitato e finito, primo tra tutti gli individui:
la sua opera è precaria, fa quello che può, senza potere imporre la sua
volontà al mondo. Maritain cita questo testo di James: «Le vedute più
ampie che l’evoluzionismo scientifico ha aperto e la marea montante
dell’ideale socialdemocratico hanno mutato il carattere della nostra
immaginazione, al punto che l’antico teismo monarchico è invecchia-
to o è in via di invecchiamento» (III, p. 224). La religione è indispen-
sabile all’anima umana, non però una religione oggettiva e unica, ma
una religione soggettiva e individuale, a seconda dell’esperienza inte-
riore di ognuno. Per James la fede si riduce a sentimento soggettivo
che nasce dal subconscio, anziché essere la partecipazione ad una ri-
velazione oggettiva di un Dio trascendente. Premesso che per James
«l’onnipotenza di Dio è incompatibile con l’individualità assoluta del-
le persone» (III, p. 320), Maritain di fronte a questa teologia pluralista
si domanda: «La nostra libertà non implica forse che noi siamo indi-
pendenti da lui? Forse che noi non gli resistiamo, quando facciamo il
male? Come potrebbe esserci del male nel mondo se Dio avesse la
III. La crisi della modernità 199

possibilità di impedirlo? Henry James81 aveva insegnato a suo figlio


che Dio non basta a se stesso, che ha bisogno della nostra collabora-
zione, che deve comportarsi come un onesto operaio che lavora all’o-
pera comune» (III, p. 320). Cita questo testo di James: «Non vedo
perché l’esistenza del mondo invisibile non potrebbe dipendere in
parte dalle reazioni personali di chicchessia tra noi alle sollecitazioni
dell’idea religiosa. Insomma, Dio stesso potrebbe trarre dalla nostra
fedeltà la forza e la grandezza del proprio essere» (III, p. 321). Questo
pluralismo teologico non affronta il problema del male e «tappandosi
gli occhi e le orecchie, crede di capire che Dio non è onnipotente e
che il male limita la sua forza» (III, p. 325), e alla fine «James e i suoi
amici politeisti inclinano a credere ad una specie di politeismo» (III,
p. 328). Anche lo Stato non è che l’insieme degli individui, il cui com-
pito si limita a garantire la tolleranza democratica, perché ogni opinio-
ne è sostenibile e ogni parere deve essere tollerato.
La filosofia di James presenta il mondo e la storia come un pluri-
verso in costruzione. Maritain commenta: «Il pluralismo filosofico nel
quale lui e i suoi amici riponevano le loro speranze, e che oggi è più
che superato, appariva loro come l’espressione metafisica dello slan-
cio verso una allpervading democracy. Perciò essi si rappresentavano il
mondo come un immenso formicolare, senza ordine fisso né gerarchia
alcuna, di volontà tutte eguali in importanza, o addirittura, secondo
un’espressione dello stesso James, come un grande banchetto repub-
blicano» (III, p. 305). L’uomo è immerso nel fluire del tempo e della
contingenza: «Estasi per estasi: come Spinoza si immergeva nella co-
noscenza del terzo genere dove vedeva tutto perdersi nell’eternità,
così James s’immerge nello spessore dei momenti fuggitivi, che egli
sente altrettanto inesauribilmente ricchi di contraddizioni quanto l’as-
soluto degli assolutisti, e dove vede tutto ciò che è reale urtarsi e dif-
fondersi in altre realtà. Il che dimostra che a voler filosofare al di sotto,
come al di sopra, della ragione, ci si perde allo stesso modo» (III, p.
312). Dal punto di vista filosofico «James professa un nominalismo
puro, di cui è deciso a fare, dopo Hume e Stuart Mill, e meglio di loro,
un’applicazione integrale; ha verso l’astrazione un odio innato, che
egli non si contenta di ostentare teoricamente, ma che passa nella sua
pratica filosofica; egli si aggrappa al concreto, si rifiuta di vedere al-
cunché al di là dell’apparenza, non vuole che le cose siano elaborate
dall’intelligenza, vuole dei fatti bruti, dei fatti non ripuliti, come lui li

81
Henry James, romanziere, fratello del filosofo.
200 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

chiama. Che altro significa, se non che egli intraprende seriamente e


lealmente a filosofare senza lo strumento del concetto e dell’analisi ra-
zionale, mostrandoci così ancora pienamente uno degli aspetti del
pragmatismo?» (III, p. 310). Maritain conclude: «Un’umanità pura-
mente volontaristica disprezza la verità; e la bellezza ne diventa quella
specie di mostro moralista e feticista su cui Rousseau, Tolstoj, James ci
danno qualche idea» (III, p. 474).

John Dewey

In James il pragmatismo germoglia sul terreno della psicologia e


coltiva in particolare la filosofia della religione, con John Dewey82 si
connette con la sociologia e si sviluppa sul terreno della filosofia poli-
tica e della filosofia dell’educazione. Maritain sottolinea l’importanza
di questo filosofo: «Negli Stati Uniti l’influenza in certo qual modo
ufficiale di John Dewey continua a prevalere nel campo dell’educazio-
ne; il positivismo a sfumatura hegeliana di questo generoso intelletto
è peraltro di una qualità nettamente superiore a quella delle applica-
zioni massicce che si sono fatte delle sue idee in pedagogia» (III, p.
330). Dewey con il suo empirismo fattosi logica strumentale, con il
suo naturalismo umanistico, con la sua morale della situazione è la
presa di coscienza della crisi della modernità che voleva fare l’uomo
perno assoluto del suo destino.
«La rivolta di John Dewey contro Hegel è stata incomparabil-
mente più forte e più effettiva di quanto lo fosse stata quella di Marx.
Mentre Marx restava in definitiva essenzialmente hegeliano, per il
fatto che la dialettica, concepita al modo di Hegel, rimaneva per lui
il vero sapere, che rende padroni delle cose, e lo strumento per
eccellenza del pensiero, Dewey ha totalmente respinto la dialettica
hegeliana […]. Ma di Hegel ha conservato la nostalgia del monismo»
(XI, p. 930). «Per Dewey come per Marx, benché con connotazioni
del tutto differenti, si potrebbe parlare di un capovolgimento
dell’hegelismo. Questa volta, nella filosofia rimessa in piedi, non è

82
John Dewey (1859-1952) nasce in America da immigrati fiamminghi, dopo una
iniziazione alla filosofia neo-hegeliana la conoscenza di James lo inclina verso il prag-
matismo, docente prima a Chicago poi alla Princeton University. Tra le opere Il mio
credo pedagogico (1897), Saggi di logica sperimentale (1916) Democrazia ed educazione
(1916), L’arte come esperienza (1934).
III. La crisi della modernità 201

più la Materia ma è la Natura sorgente e oggetto delle perpetue


rifusioni creatrici e dei perpetui aggiustamenti dell’azione umana.
Non siamo più in presenza di un materialismo dialettico, bensì di un
naturalismo strumentalistico» (XI, p. 932). Lo sperimentalismo di
James diventa una logica strumentale, infatti Dewey rifacendosi a
Bacone, che cita frequentemente, porta ad estreme conseguenze
l’empirismo. La verità non è una rappresentazione della realtà, ma
uno strumento per l’azione, che continuamente modifica la realtà.
La logica non deve fare dei riassunti delle esperienze passate, ma
delle previsioni per l’avvenire; non è retrospettiva, ma prospettiva.
L’esperienza, che presiede questa logica, non è l’esperienza dell’em-
pirismo fatta di sensazioni pure, associate poi dall’abitudine, ma
un’esperienza grezza, totale, in cui intervengono tutti gli elementi
della vita psichica, compresi gli elementi irrazionali, subconsci e in-
consci. E ogni esperienza è provvisoria, modificabile da ulteriori
esperienze, ed essa stessa prepara nuove ricerche. Si viene ad una
specie di sperimentalismo storicistico, in quanto la verità continua-
mente si modifica e si rinnova col progredire delle esperienze e con le
modificazioni che queste continuamente arrecano alla realtà, che
non è precostituita all’uomo e definita, ma in costruzione, in svilup-
po, con le caratteristiche di precarietà e di ambiguità proprie dell’in-
determinismo. Maritain osserva: «Lo sforzo di John Dewey può essere
considerato uno dei più significativi tentati dal pensiero filosofico mo-
derno verso un naturalismo integrale o assoluto. Aggiungiamo che
proprio per questo, e nello stesso tempo, è stato uno degli sforzi di
pensiero più tipicamente soggetti ad un’ambiguità radicale» (XI, p.
934). Questa ambiguità radicale consiste nel voler costruire una me-
tafisica sul divenire, di cercare la natura ontologica nelle scienze fe-
nomenologiche. «Dewey ha in comune con il positivismo logico un
energico pregiudizio antimetafisico» (XI, p. 937).
La vita è incertezza, rischio, problema, che la logica strumentale
cerca di risolvere, senza però giungere ad una soluzione definitiva. In
questa ricerca non c’è uno sdoppiamento tra soggetto e oggetto, ma i
due termini sono fusi insieme, sicché il soggetto diventa oggetto, l’e-
sperienza si fa natura. Nulla trascende la natura, e l’uomo vi è immer-
so quale attivo costruttore; non è quindi uno spirito puro alla maniera
dell’idealismo, estraneo al mondo, né, alla maniera del positivismo, un
animale bruto, dominato dal mondo; egli è l’attore del progresso del
mondo. L’errore della filosofia classica consiste nell’aver voluto ricer-
care all’indietro una causa prima, per porsi poi il problema dell’ordi-
202 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

ne e della fine del mondo; ma non è la causa, la sostanza delle cose,


che può interessare l’uomo, ma sono le loro capacità, le loro forze, e
quindi l’utilizzazione che ne possiamo trarre per migliorare il mondo.
A questo ingenuo ottimismo, Dewey fa seguire una constatazione di
fatto, che vena l’ottimismo di scetticismo, perché nel mondo sempre
vi sarà bene e male, ordine e disordine, verità e falsità, amore e odio.
L’uomo non trascende la natura, non è un soggetto al di sopra dei
suoi pensieri e delle sue azioni, ma è i suoi pensieri, le sue emozioni: il
flusso continuo dell’esperienza non è nella coscienza, ma è la coscien-
za stessa, e l’io non è, come in Herbart, che il punto di confine tra le
esperienze passate e le esperienze future. L’uomo e la natura fanno
una unità, l’esperienza è data dal loro rapporto inteso come un’attività
rinnovatrice di entrambi i termini.
L’uomo non vive solo, ma nella società che lui stesso costruisce.
L’individuo e la società presi a sé sono un’astrazione, nella realtà
esistono solo nel loro rapporto, per cui sia l’individualismo che il
collettivismo sono errori unilaterali, perché la società è l’interreci-
procità tra l’individuo e la collettività, per cui, mentre l’individuo
forma la società, ne è formato. Nulla trascende i rapporti sociali,
non esiste una società ideale, perfetta, ma una società che continua-
mente si muta e si rinnova proprio per opera dell’individuo. Abbia-
mo in Dewey un socialismo per partecipazione, non un socialismo
per sottomissione, come nel marxismo. Non esiste perciò una mora-
le universale valida per tutti i tempi e tutti i luoghi, ma una morale
sociale, che nasce nel gruppo a cui si appartiene e che continuamen-
te si modifica con nuove esperienze e in nuove situazioni. La virtù
è un’abitudine plasmata dalla società. Non esistono valori etici as-
soluti, perché è l’uomo che di volta in volta li stabilisce: «Si tratta
sempre, per colui che si trova in una data situazione, di stimare la
relazione tra i mezzi e il fine, e la validità di questo apprezzamento
cade sotto l’osservazione, è sperimentalmente verificabile» (XI, p.
941); se riesce vale. «I giudizi di valore dipendono dagli uomini che
sono hic et nunc impegnati nell’azione e che si dettano la loro norma
di condotta» (XI, p. 943). Non siamo lontani, anche se con diversa
fondazione, dalla morale della situazione di Sartre. In questo natu-
ralismo umanistico e sociologico anche l’arte per Dewey acquisisce
una tonalità sociale e diventa un mezzo di comunicazione tra gli in-
dividui. La bellezza non è eccezionale, caratteristica di poche opere
straordinarie, ma è propria anche delle azioni più comuni, quando
sappiano acquistare ritmo e unità. Dewey vuole radicare la morale
III. La crisi della modernità 203

sulla natura umana, «il suo errore è di considerare la natura umana


nella prospettiva delle scienze fenomenologiche e di disprezzare le
sue implicazioni metafisiche» (IX, 978). La psicologia e la sociologia
non possono fondare la morale.

7. Il neoidealismo
Mentre il positivismo viene attaccato da più parti, l’idealismo
hegeliano trova ancora discepoli in Europa e in America, che però
lo vanno modificando. Questa ripresa dell’idealismo rappresenta in
Italia un vero e proprio moto culturale a cavallo del XIX e del XX
secolo, come reazione al positivismo e come ripresa del pensiero gio-
bertiano. Continuatori dell’hegelismo in Inghilterra sono Thomas
Green83, e soprattutto Francis Bradley84, importante snodo del pen-
siero anglosassone perché separa la logica dalla psicologia, sostiene
che le idee non sono stati mentali soggettivi, ma puri significati lo-
gici, preparando G.E. Moore e B. Russel, che però si oppongono al
suo rigoroso monismo. L’idealismo è professato in America da Jo-
siah Royce85; in Italia il centro di diffusione è l’Università di Napoli,
dove Augusto Vera86 diffonde la filosofia idealistica interpretandola
platonicamente e teisticamente, e Francesco De Sanctis87 l’applicò
alla critica letteraria; ma fu soprattutto con Bertrando Spaventa che
l’idealismo italiano prese una sua forma originale, per poi esprimer-
si in un sistema compiuto con Benedetto Croce e Giovanni Gentile.
Accanto al neoidealismo intanto andava acquistando vigore l’idea-
lismo critico che vuole uscire dalle contraddizioni del monismo sal-
vando l’autonomia dei singoli spiriti, e dell’immanentismo, salvando

83
Thomas Green (1836-1882), professore di etica dell’Università di Oxford. Po-
stumi i suoi Problemi di etica (1883).
84
Francis Bradley (1846-1924), docente ad Oxford. Importante i suoi Principi di
logica (1883).
85
Josiah Royce (1855-1916) dopo aver studiato in Germania ritorna in patria e
insegna alla Harvard University cercando di raccordare l’hegelismo con il pragmatismo
di W. James. Tra le opere: Il mondo e l’individuo (1901), La filosofia della fedeltà (1908).
86
Augusto Vera (1813-1885), docente a Milano e a Napoli, soggiorna anche in
Francia e in Inghilterra. Tra le opere: Introduzione ad Hegel (1855), Il problema dell’As-
soluto (1882).
87
Francesco De Sanctis (1817-1883), più volte ministro della pubblica istruzione,
traduce in italiano la Scienza della logica di Hegel; scrive un’importante Storia della let-
teratura italiana (1871).
204 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

la trascendenza dell’Assoluto. A questa corrente appartengono Ber-


nardino Varisco88 e Piero Martinetti89.
L’importanza di Bertrando Spaventa90 è più storico-critica che
non costruttiva, perché fu il primo ad interpretare idealisticamente
la storia della filosofia italiana. Nei suoi scritti, dopo aver premesso
che l’hegelismo rappresenta il punto terminale di tutta la speculazione
moderna e la più alta filosofia dello spirito umano, considera la
filosofia italiana come preparazione dell’hegelismo. Nel rinascimento
il monismo di Bruno avrebbe preparato quello di Spinoza, e
l’autocoscienza di Campanella il cogito cartesiano, e Spinoza e Car-
tesio avrebbero poi portato ad Hegel. Nel risorgimento Vico sarebbe
un precursore di Kant, Galluppi e Rosmini discepoli di Kant, e Gio-
berti di Hegel. Ma più che a questa ormai superata interpretazione
della nostra storia della filosofia, l’importanza di Spaventa è legata
alla sua critica all’hegelismo originario. Mentre in Hegel lo sviluppo
dell’Idea avveniva mediante tre momenti – logica, natura, spirito –,
per cui la coscienza sorgeva al termine del divenire, per Spaventa, non
potendosi avere sviluppo dell’idea fuori della coscienza, tutto il dive-
nire deve esprimersi nell’interno dello spirito. Così l’essere è tutto rac-
colto nel pensiero, nell’intimo della coscienza interamente immanente
al soggetto. È il pensiero che, ripiegandosi su se stesso, pone l’essere,
che altro non è che pensiero divenuto pensato. In Hegel si aveva un
idealismo oggettivistico, alla maniera di Platone, in Spaventa si ha in-
vece un idealismo soggettivo, alla maniera fichtiana.
Maritain si accorge subito dell’incompatibilità del monismo idea-
listico con la filosofia cristiana, tanto che, commentando la relazione
di Mariano Cordovani alla Settimana Tomista di Roma del 1923 rile-
va «la profonda opposizione dell’idealismo italiano contemporaneo
e il pensiero tomistico» (II, p. 1249).

88
Bernardino Varisco (1850-1933), docente all’Università di Roma. Importante lo
scritto postumo Dall’uomo a Dio (1939).
89
Piero Martinetti (1872-1943), docente di filosofia teoretica a Milano, rinunciò
alla cattedra per non aderire al fascismo. Importanti gli Scritti di metafisica e di filosofia
della religione (1976).
90
Bertrando Spaventa (1817-1883), docente all’Università di Napoli, fu l’ideolo-
go della Destra storica. Tra le opere: La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filoso-
fia europea (1862), Rinascimento, Riforma e Controriforma (1867), Da Socrate a Hegel
(antologia di recensioni raccolte da G. Gentile nel 1905).
III. La crisi della modernità 205

Benedetto Croce

Il più importante rappresentante dell’idealismo italiano, Be-


nedetto Croce91, impronta la sua ricerca estetica e storica ad una
concezione di derivazione hegeliana, ma con variazioni originali che
rimandano a Spaventa e a Vico. Grande la sua fama, anche all’e-
stero, vasta la sua influenza sulla cultura italiana della prima metà
del XX secolo. Abruzzese, studiò a Napoli e a Roma, viaggiò molto
all’estero, raccolse a poco a poco una notevole biblioteca e si diede a
ricerche filosofiche, letterarie e storiche, pubblicando una serie nu-
merosa di articoli e di saggi sulla rivista «La critica» da lui fondata
nel 1903 e diretta per quarant’anni con costanza e tenacia, sostituen-
dola poi per difficoltà belliche con i «Quaderni della critica» nel
1944. Intanto aveva stretto amicizia con Giovanni Gentile, amicizia
che lo portò verso un approfondimento delle sue riflessioni filosofi-
che, ma che si ruppe a poco a poco, prima per divergenze filosofiche
e poi, quando Gentile aderì al fascismo, anche per divergenze poli-
tiche. Maritain conosce le opere di Croce, perché le cita più volte e
in particolare si interessa alla sua estetica, intorno alla quale discute
con Gino Severini, come risulta dalla loro corrispondenza92.
Tutto è spirito, e lo spirito è in divenire, filosofia e storia coinci-
dono: non si ha quindi una filosofia assoluta, ma ogni filosofia non è
che l’interpretazione dei problemi della sua età, cioè una metodolo-
gia per comprendere la storia. Il passato vive nella coscienza del pre-
sente: «la storia è contemporanea»; la vera filosofia è l’ultimo sistema
che raccoglie e compone le filosofie precedenti. Portando alle estreme
conseguenze il principio vichiano della storia come unione di filosofia
(vero) e di filologia (certo) e alterandolo, Croce afferma che le idee
sgorgano dai fatti e creano i fatti. La storia è, sì, documentazione dei

91
Benedetto Croce (1866-1952), filosofo e uomo politico, senatore del Regno, ne-
gli anni 1920-1921 fu ministro della pubblica istruzione, meditando vaste riforme che
non riuscì a realizzare per la caduta del governo Giolitti. Al fascismo non nascose la sua
opposizione, ma non fu disturbato nella sua attività intellettuale. Alla caduta del regi-
me, ebbe incarichi nei governi Badoglio e Bonomi. Raccoglie i suoi quattro scritti mag-
giori – Estetica, come scienza dell’espressione e linguistica generale (1902), Logica, come
scienza del concetto puro (1908), Filosofia della pratica, Economia ed etica (1909), Teoria
e storia della storiografia (1917) – in un’opera fondamentale intitolata Filosofia dello spi-
rito. Tra le altre opere: Materialismo storico ed economia marxista, Saggio su Hegel
(1906), La filosofia di G.B. Vico (1911), Breviario di estetica (1913).
92
Cf. P. Viotto, Gino Severini tra Maritain e Mounier, in Id., Grandi amicizie, cit.,
pp. 373-379; Il carteggio Severini - Maritain (1923-1966), a cura di G. Radin, Mart-Ol-
schki, Firenze 2011.
206 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

fatti e critica mediante giudizi, ma la documentazione non diventa


“storia” se non è assunta, quasi materia in una sintesi a priori, dalla
filosofia, altrimenti è soltanto “cronaca”, pura elencazione di fatti. Co-
sì, mentre in Vico si trovava oggettivamente il punto di giuntura tra i
fatti e la critica, qui lo si trova soggettivamente, finendo per contraf-
fare i fatti stessi quando si afferma che la storia è la storia dello stori-
co. Il positivismo pretendeva di trarre la storia dai fatti, l’idealismo al
contrario subordina, coartandoli, i fatti alle idee. In questo monismo
storicistico Croce conclude che non vi è che un’unica storia, quella
dello spirito in divenire; scindere da quella una storia dell’arte, della
politica, dell’economia è arbitrario, perché queste non sono che diver-
si punti di vista per considerare la medesima realtà.
Lo spirito è assolutamente uno, sempre identico a se stesso, pur
nel suo differenziarsi in forme e gradi: due sono le forme, la teore-
tica e la pratica, che a loro volta si sdoppiano in due gradi ciascuna,
uno particolare e uno universale.

Le forme e i gradi dello Spirito in Croce - tav. n. 10

La forma teoretica dà al grado particolare l’intuizione estetica e


al grado universale il concetto, mentre la forma pratica dà al grado
particolare l’utile e al grado universale il bene. Come è facile osserva-
re, sono le forme e i gradi dell’attività umana, già così classificati da
III. La crisi della modernità 207

Aristotele, ma qui ripresi con altro significato. Ogni grado è distinto


da ogni altro, senza esserne separato, anzi, nella sua distinzione im-
plica l’altro, anziché opporglisi. Così mentre in Hegel si aveva la dia-
lettica degli opposti, per cui lo Spirito ascendeva di grado in grado,
annullando nelle sintesi i gradi precedenti, qui invece si ha una dia-
lettica dei distinti, per cui il Soggetto passa di grado in grado, senza
annullarne l’originalità e l’autenticità: è questa la circolarità dello Spi-
rito così porta con sé tutto, ma senza nulla confondere, in un proces-
so di unità-distinzione. Questa circolarità non è ripetizione, bensì è
un crescere continuamente dello Spirito su se stesso.
La dialettica degli opposti viene ricondotta da Croce all’interno
dei singoli gradi, per cui nell’arte c’è la contrapposizione tra bello e
brutto, nella logica tra vero e falso, nell’economia tra utile e disutile,
nella morale tra bene e male.
L’Estetica è il primo grado della vita dello Spirito; essa è prece-
dente e indipendente dai gradi successivi, cosicché l’arte è soltanto
arte, assolutamente fine a se stessa, e non può esservi un’arte vera,
un’arte utile, un’arte buona; né la logica, né l’economia, né la morale
possono interferire nell’atto estetico. L’arte è intuizione-espressione
contemporaneamente, non pura intuizione come nel romanticismo,
né sola espressione come nel classicismo, in quanto non si ha intuizio-
ne musicale senza suoni, intuizione pittorica senza colori, intuizione
poetica senza parole: la sua perfezione è proprio questa unità. L’e-
strinsecazione dell’emozione interiore implica la volontà di fissare le
proprie intuizioni, e così sorge la tecnica, però questa non intervie-
ne nel fatto estetico, ma solo nel suo momento pratico. L’arte è così
forma pura, ha per contenuto un’intuizione, che immediatamente si
esprime; se tra l’intuizione e la espressione si insinuasse un concet-
to o un interesse, non si avrebbe più un fatto estetico. Ogni uomo è
artista, perché l’attività estetica è un momento necessario nello svi-
luppo dello spirito, e ogni uomo con il linguaggio (a cui Croce da
un’origine più estetica che concettuale) è un poeta. La differenza
tra il genio e l’uomo comune è solo quantitativa; d’altra parte il gu-
sto di chi contempla l’opera d’arte si identifica con il genio di chi la
produce. Infine non si possono fare classificazioni di arti e di generi
letterari, perché l’arte è una sola, anche se diversi sono i mezzi tecni-
ci di espressione. Maritain contesta a Croce di ridurre l’arte a puro
lirismo, a pura soggettività. In Arte e Scolastica (2) scrive: «Il gran-
de errore dell’estetica neohegeliana di B. Croce, che scrive “Il bello
208 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

non appartiene alle cose”93, lui pure vittima del soggettivismo mo-
derno, è di non vedere che la contemplazione artistica, pur essendo
intuitiva, rimane sempre del tutto intellettuale. L’estetica deve essere
insieme intellettuale e intuitiva» (I, p. 740).
La logica di Croce intende combattere sia l’empirismo come
l’astrattismo, riprendendo l’universale concreto di Hegel come sintesi
di particolare e di universale, di essere e di pensiero; e anche ogni in-
tuizionismo o pragmatismo, perché l’oggetto della conoscenza ha da
essere un concetto e non un’intuizione o un’emozione o un interes-
se. Di contro al concetto concreto proprio della filosofia, le scienze
usano uno pseudoconcetto, cioè l’universale astratto dall’individua-
lità e concretezza della realtà. Questi concetti non sono veri, ma so-
no utili schematizzazioni per la vita pratica. Il concetto implica poi
hegelianamente la contraddizione, perché il concetto di nero non
si può avere se non nell’opposizione al concetto di bianco. L’errore
non può venire dall’attività teoretica, ma solo dalla volontà, quando
vengano a interferire nella ricerca degli interessi estranei.
Mentre in Kant vi era il primato della ragion pratica sulla ragion
pura, in Croce nell’unità dello Spirito vi è soltanto distinzione: l’uo-
mo conosce per volere, e vuole per conoscere. L’attività pratica, in
quanto tende ad uno scopo, presuppone la conoscenza dello scopo
da raggiungere, sorge in un momento successivo, ma non cronologi-
camente successivo, dell’attività teoretica. Come nella forma teoreti-
ca, così pure nella forma pratica bisogna distinguere due gradi: uno
particolare, l’utile, e l’altro universale, il bene. E come il concetto
presuppone l’intuizione, così il bene presuppone l’utile, in quanto
chi cerca il bene cerca un utile universale, il bene per tutti gli uomi-
ni. Il concetto di bene esige un’integrazione tra egoismo e altruismo,
tra interesse e disinteresse.
L’economia e la politica riguardano il grado particolare della ri-
cerca, sono perciò stesso premorali, amorali, e quindi al di qua del-
la distinzione tra bene e male. Si sente in tutto questo il liberalismo
politico e il liberismo economico di Croce. Quanto al diritto, esso
è paragonabile alla scienza, con i suoi pseudoconcetti e con le sue
continue variazioni, perché le sue leggi hanno, sì, qualcosa di uni-
versale come le leggi morali, ma mancano di quella spontaneità, che

93
B. Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, 8a ed. rin.,
Laterza, Bari 1946, p. 107.
III. La crisi della modernità 209

è propria invece dell’eticità, e si vanno modificando col tempo, non


esistendo un diritto naturale.
La morale sta tutta nella spontaneità dell’adesione soggettiva
alla norma universale, cioè nell’intenzione, indipendentemente dal
successo pratico dell’azione deliberata, e non implica la socialità,
poiché la legge morale è impegnativa per l’individuo indipenden-
temente dalla società. Maritain rileva che la critica di Croce al mar-
xismo («è un’impresa assolutamente disperata volersi occupare di
etica in Marx»94) «è vera solo in parte per quanto riguarda la teo-
ria della morale» (XI, pp. 656-657) perché Marx non ha scritto un
trattato di morale, ma nelle sue opere parla più volte di morale. Per
Croce l’atto della volontà è libero, ma al tempo stesso è necessitato
dalla situazione di fatto precedente l’atto stesso; è libero in quanto,
sviluppando la situazione, ne crea una nuova: in questa innovazio-
ne sta la sua libertà. La religione viene collocata in parte nell’etica,
come pratica, e in parte nell’estetica, come conoscenza, senza però
coglierne il significato e la sua specificità, data la concezione im-
manentistica che sostiene tutta la sua filosofia. L’idealismo crociano
rappresenta un tentativo di salvare, pur nel monismo e nella ridu-
zione di tutta la realtà a Spirito, l’originalità e l’autenticità delle altre
forme, estetiche e pratiche, dell’attività umana.

Giovanni Gentile

L’idealismo di Giovanni Gentile95 ha connotazioni diverse da


quello di Croce, anche se all’inizio vi è una qualche convergenza
tra i due filosofi. Infatti Gentile per un certo periodo collabora a
«La critica», ma poi si distacca dal pensiero crociano cercando di ri-
portare l’idealismo all’ispirazione originale hegeliana e applicandolo
ai problemi pedagogici, identificando la pedagogia con la filosofia.

94
B. Croce, Matérialisme historique et économie marxiste, Giard et Brière, Paris
1901, p. 174.
95
Giovanni Gentile (1875-1944). Siciliano, si laurea alla Scuola Normale di Pisa
con una tesi su Rosmini e Gioberti, aderisce al fascismo e vi rimane fedele anche dopo
la caduta del regime nel luglio del 1943, partecipando al tentativo di ripresa con la Re-
pubblica Sociale di Salò. Come ministro dell’educazione nazionale promuove nel 1922
la riforma della scuola che porta il suo nome. Tra le opere: Sommario di pedagogia come
scienza filosofica (1912), Teoria generale dello spirito come atto puro (1916), La riforma
dell’educazione (1920), Sistema di logica come teoria del conoscere (1922), La filosofia del
diritto e La filosofia dell’arte, entrambe del 1931.
210 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Riprendendo motivi berkeleyani, kantiani e fichtiani, concepisce lo


Spirito non come essere, ma come un’attività che ha immanente tut-
ta la realtà. Nulla esiste fuori dello Spirito, e lo Spirito non è stati-
co, ma dinamico, perché il pensiero non è un fatto, ma un atto, cioè
un’attività, un divenire. Questo Spirito non si diversifica, come in
Croce, in forme e gradi, ma è assoluta unità e identità a se stesso.
Nulla è estraneo al pensiero per cui si debba avere una forma prati-
ca distinta da una forma teoretica: il pensiero è esso stesso un’azione
in quanto è creatività.
Gentile aderisce con convinzione al fascismo sulla scia della teoria
hegeliana dello Stato etico che identifica la morale e la politica facendo
dello Stato un assoluto, riproposta da Spaventa. Maritain in Umane-
simo integrale (26) riporta questa frase di Benito Mussolini, fonda-
tore del Partito Nazionale Fascista: «tutto nello Stato, niente contro
lo Stato, nulla al fuori dello Stato» e commenta: «Gentile ha esposto
chiaramente tutto ciò nel linguaggio proprio al suo sistema filosofico»
(VI, p. 608), ma precisa che questa posizione non dipende dall’attua-
lismo della sua filosofia. Con il fascismo lo Stato non solo amministra
ma pretende di educare i cittadini per cui il ministro della pubblica
istruzione diventa ministro dell’educazione nazionale.
Il pensiero non ha altra origine che se stesso, non ha altro ogget-
to che se stesso, lo Spirito è atto puro, cioè pensiero nell’atto stesso
del pensamento. Il pensiero si sdoppia intrinsecamente in pensiero-
pensante e pensiero-pensato, ma per ricomporsi nell’unità dell’au-
tocoscienza. L’unica categoria è il pensiero, che è unità e attività, il
pensato è solo l’oggetto del pensiero, astratto dal pensiero pensante,
in cui però sussiste e si regge. Il pensato è la molteplicità, la natu-
ra con i suoi esseri particolari spazializzati e temporalizzati. Ma lo
spazio e il tempo sono ancora creazioni dello Spirito, per cui la mol-
teplicità rientra nel pensiero come suo prodotto; cosicché l’uno è il
molteplice e il molteplice è l’uno. La pluralità dei soggetti empiri-
ci va fichtianamente intesa come produzione dell’unico Spirito che
unifica quei soggetti nel suo Io trascendentale. Lo Spirito quindi è
creatività immanente che va creando i singoli esseri, transitorie at-
tuazioni della sua unità. Lo Spirito è storia, perché si manifesta dia-
letticamente attraverso la molteplicità degli esseri, ma non è storia in
quanto, nella sua unità, è atto eterno. Questa apparente antinomia si
risolve riportando il divenire del pensiero pensato all’atto del pen-
siero pensante, per cui tutta la storia si raccoglie nell’atto del pensa-
re e la storia della filosofia coincide con il filosofare.
III. La crisi della modernità 211

La legge per cui lo Spirito si moltiplica nella pluralità per racco-


gliersi nella sua unità e si oggettivizza per raccogliersi nella sua sog-
gettività: è la legge hegeliana della dialettica degli opposti che Croce
aveva superato e Gentile riabilita. Il soggetto è autoctisi, ossia auto-
creazione, posizione di sé, da se stesso, cioè lo Spirito si sdoppia in
soggetto e oggetto per cogliersi nell’autocoscienza, che supera l’an-
titesi, eliminandola. Questa dialettica non avviene però nell’Idea in
sé, precedente lo spirito, come in Hegel, ma all’interno dello Spirito
stesso. I momenti del divenire dello Spirito sono quelli già indicati
da Hegel: l’arte, la religione, la filosofia. La tesi, in cui il soggetto si
pone irriflessivamente nella sua soggettività, costituisce il momento
estetico. L’arte è per Gentile autonomia e libertà, perché lo Spirito vi
si manifesta libero da ogni legame e da ogni scopo, ma ciò non signi-
fica che l’arte sia un’attività particolare dello Spirito: è solo un aspet-
to dell’unica attività dello Spirito, in cui lo spirito si presenta sempre
in tutta la sua interezza e unità. L’arte è moralità, perché ogni ma-
nifestazione umana è moralità e contiene in sé tutto lo Spirito, ed
è catarsi, purificazione dalle passioni, dall’inquietudine, perché ap-
portatrice di quiete e di serenità. L’antitesi costituisce il momento
oggettivo, in cui lo Spirito si contrappone a un oggetto e si presen-
ta come religione, quando questo oggetto è considerato come tra-
scendente, e come scienza, quando invece è considerato nell’insieme
dei fatti naturali ritenuti precedenti l’attività del pensiero. Ma questi
due momenti, presi a sé, isolati dal loro rapporto dialettico di con-
trapposizione, sono delle astrazioni che devono essere considerate
soltanto nella loro reciproca implicanza, nell’autocoscienza ove la
contrapposizione tra oggetto e soggetto si elimina nella sintesi. Nella
sintesi i due termini coincidono nella filosofia, che è hegelianamente
la concettualizzazione del reale, ove tutta la realtà è pensiero in atto.
La filosofia di Gentile parte, come quella di Croce, dalla sogget-
tivizzazione dello sviluppo dell’idea, ma poi se ne distingue perché,
mentre Croce nega la dialettica degli opposti e struttura lo spirito
in forme e gradi, Gentile ritorna alla dialettica hegeliana e conce-
pisce lo spirito come unità. In questo senso Gentile rappresenta il
punto terminale di tutta la filosofia idealistica, iniziata da Cartesio
e sviluppata da Hegel, perché conclude nell’identificazione assoluta
dell’essere col pensare, portando alle estreme conseguenze il princi-
pio della creatività dello spirito.
212 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

8. La psicoanalisi
Maritain si confronta anche con la psicoanalisi distinguendo con
precisione il metodo diagnostico dall’implicita filosofia che le scoper-
te di Sigmund Freud96 veicolano soprattutto a livello di divulgazione.
Nel gruppo di amici che frequenta le riunioni di Meudon c’è anche
Roland Dalbiez97, un giovane professore di filosofia laureatosi con
una tesi su Freud, che con R. Collin fonda i «Cahiers de la Philoso-
phie de la nature». Il volume Il metodo psicoanalitico e la filosofia freu-
diana esce nel 1936, e Maritain ne trae spunto per una conferenza su
Freudismo e psicoanalisi (VII, pp. 61-96) che tiene a Rio de Janeiro e
che pubblica nei Quattro saggi sullo spirito nella sua condizione d’in-
carnazione (30) partendo dal principio stabilito da Dalbiez «la psicoa-
nalisi è una terapia non una filosofia».

Sigmund Freud

Con Freud nasce una nuova scienza, la psicoanalisi, come psico-


logia del profondo, di ciò che non si sa, ma che condiziona il nostro
comportamento affettivo, intellettuale e morale. Secondo Maritain
nasce in maniera deviata perché considera solo l’inconscio subcon-
scio, e lo risolve nella sessualità. Freud, nell’opera L’io e l’es (1923),
riassume la sua antropologia. L’Es (il pronome personale neutro nel-
la lingua tedesca) è il mondo dell’inconscio con le sue pulsioni, una
forza impersonale, il serbatoio della libido, che entra in conflitto con
l’Io, che per un certo versante è ancora inconscio, legato ai mecca-
nismi di difesa, mentre per l’altro versante è la coscienza di sé del

96
Sigmund Freud (1856-1939), nato da una famiglia ebrea, si laurea a Vienna in
medicina nel 1881, si specializza a Parigi alla scuola del neurologo J.M. Charcot. Rien-
trato in patria, apre uno studio privato per la cura delle malattie mentali e pubblica con
lo psichiatra J. Breuer il suo primo lavoro, Studi sull’isteria (1895). Approfondisce i
suoi studi sull’inconscio nell’opera fondamentale L’interpretazione di sogni (1900) e nei
Tre saggi sulla teoria sessuale (1905). In Analisi terminale e analisi interminabile (1937)
Freud applica il metodo analitico anche allo studio dell’arte e dell’etnologia in Totem e
tabù (1913). L’invasione nazista dell’Austria lo costringe a rifugiarsi a Londra.
97
Roland Dalbiez (1893-1976). Figlio di una famiglia aristocratica, ufficiale nava-
le nella Prima guerra mondiale, si dedica allo studio della filosofia laureandosi nel 1921.
Docente dell’Università di Rennes, ha tra gli allievi anche Paul Ricoeur. Tra le opere: Il
metodo psicoanalitico e la filosofia freudiana (1936), Mistica e psicoanalisi (1948). Scrive
numerosi articoli per i «Cahiers de Philosophie de la nature» tra cui Le trasformisme et
la philosophie nel primo fascicolo, Prospettive sulla vita morale nel quarto.
III. La crisi della modernità 213

soggetto. Il Super-io svolge una funzione di controllo e di inibizione.


L’Io che è il «rappresentante degli interessi della persona nella sua
totalità» deve mediare tra gli altri due livelli della struttura psichica,
che sono in conflitto fra di loro. Il Super-io non coincide con la co-
scienza morale, per Freud nasce dalla costrizione delle regole sociali
introiettate nella psiche, che censurano il comportamento dell’indi-
viduo e generano un senso di colpa. Nell’età evolutiva a causa dei
divieti dei genitori si forma nel maschio il complesso di Edipo co-
me desiderio di morte per il rivale del proprio sesso (Jung individua
nelle femmine il complesso di Elettra), poi questo complesso viene
rimosso quando si forma il Super-io, ma resta latente. Infine Freud
teorizza l’inferiorità della donna che sarebbe invidiosa del maschio
e soffrirebbe di un complesso di castrazione.
Maritain nel suo saggio rileva che «l’investigazione psicoanali-
tica dell’inconscio rende manifeste in modo singolare le condizio-
ni d’incarnazione dello spirito dell’uomo. Alla fine, constatando lo
scacco di una filosofia aberrante innestata sulla psicoanalisi per dis-
solvere la personalità umana nel mondo dell’istinto, del senso e del
sogno, si constata anche che attraverso una comprensione corretta
delle scoperte di Freud la persona è condotta ad una purificazione
spirituale e ad una migliore coscienza del proprio mondo» (VII, pp.
54-55). Inoltre sottolinea come «tutta la filosofia di Freud poggi su
di un pregiudizio: la negazione violenta della spiritualità e della li-
bertà» (VII, p. 91). Precisa inoltre che sul piano terapeutico la psi-
coanalisi «può guarire certe nevrosi, quelle la cui eziologia non è
organica, ma psicodinamica», ma aggiunge subito che può anche
aggravarle per cui «è un metodo difficile e pericoloso» e «se bisogna
scegliere un buon medico tra mille, bisogna scegliere un buon psico-
analista tra diecimila» (VII, p. 72). L’errore centrale della psicologia
freudiana consiste nel ritenere comune e normale ciò che di fatto è
eccezionale e patologico. «Per lui l’esistenza del complesso di Edipo
è una legge universale» (VII, p. 86). Maritain rileva che l’interpreta-
zione dei sogni porta a frequenti fraintendimenti nell’interpretazio-
ne dei simboli a causa di un uso indiretto e distorto del simbolo, che
non notifica più l’oggetto, ma lo stato d’animo inconscio del sogget-
to: «In questo senso Freud e i suoi discepoli intendono il termine
simbolo, di cui essi non considerano più la significazione diretta, ma
solamente la significazione capovolta. Il simbolo freudiano è un con-
tenuto cosciente causato da stati inconsci di cui è il sintomo: Miner-
va che nasce dal cervello di Giove non è più il simbolo dell’origine
214 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

divina della sapienza, è il simbolo dell’idea di nascita fisiologica ex


utero rimossa nell’inconscio» (VII, p. 147). Non bisogna confonde-
re i segni diretti, propri del linguaggio umano, che sono dell’oggetto
che vogliono significare e i segni indiretti che gli psicoanalisti usano
per esplorare l’inconscio istintuale, come Maritain argomenta con
precisione nella conferenza Segno e simbolo (VII, pp. 97-147) tenuta
al prestigioso Warburg Institute di Londra nel 193598.
Maritain sviluppa queste premesse soffermandosi su tre aspet-
ti della psicoanalisi: la terapia, la psicologia e l’implicita filosofia.
Freud ha ragione di ritenere che esista una vita psichica che sfug-
ge alla coscienza, anche san Tommaso riconosce che vi è in noi «un
mondo di realtà i cui effetti soltanto arrivano alla coscienza» (VII,
p. 63). Non bisogna identificare il fenomeno psichico come un atto
di coscienza, come fanno i filosofi idealisti discepoli di Cartesio. Ma
in Freud l’inconscio «è la cosa principale dell’uomo, se non il tutto
delle sue energie. L’uomo è governato dall’inconscio, mentre il lume
della coscienza, quando funziona bene, impedisce soltanto ai con-
flitti interni delle energie inconsce di disturbare troppo gravemente
questo governo» (VII, p. 65). Freud, come sottolinea Dalbiez, affer-
ma che «uno stato psichico non è solamente determinato dal davan-
ti, se così mi posso esprimere, e cioè dall’oggetto al quale si riferisce,
ma anche dall’indietro, voglio dire da altri stati e disposizioni psichi-
ci del soggetto, di cui quello stato è insieme l’effetto e il segno, cioè
l’espressione psichica» (VII, p. 67). La psicoanalisi è «una tecnica di
esplorazione delle profondità geologiche dell’anima, congiunta alla
tecnica di interpretazione dei sogni» (VII, p. 68). Ma «rimane mol-
to spesso senza risultato e quando giunge a dei risultati, questi sono
più spesso dell’ordine del probabile che del certo; in ogni caso è una
conoscenza del singolare, giacché spiega il presente individuale con
il passato individuale; appartiene non all’ambito della scienza specu-
lativa, ma a quello della medicina» (VII, pp. 67-68).
La psicologia freudiana ha recuperato il valore della finalità nel
dinamismo psichico, superando i pregiudizi meccanicistici e organi-
cistici, ma non ha colto il rapporto fondamentale tra potenza e atto.
Freud «sostituisce la potenzialità con una somma di attualità opposte
tra di loro, l’indeterminazione orientata verso l’attuazione normale,
ma capace di attuazioni multiple, con una costellazione di attuazioni

98
J. Maritain, Signe et symbole, in «Journal of the Warburg Institute», 1 (1937),
pp. 1-23; testo sviluppato in «Revue Thomiste», 46, 2 (aprile 1938), pp. 299-330.
III. La crisi della modernità 215

contrarie in conflitto» (VII, p. 86). Nell’uomo gli istinti «hanno un’in-


determinazione relativa molto più grande che nell’animale, e chiedo-
no di ricevere dalla ragione la loro regolazione definitiva» (VII, p. 89).
La psicoterapia non può sostituire l’educazione morale. Maritain cita
questo testo di Dalbiez: «L’educazione della volontà, in ragione del
fine che si propone, è opera morale o religiosa e non psicoterapeutica
[…] mentre la morale e la religione utilizzano la libertà, la psicote-
rapia si serve del determinismo […]. I fenomeni che la psicoterapia
si sforza di modificare sono fenomeni patologici e non colpe morali.
Non ha lo scopo di rendere la gente virtuosa, ma di restituirle la salute
[…]. La salute psichica, lungi dal confondersi con la virtù, le è pre-
supposta […]. Lo psicoterapeuta ha il compito esclusivo di liberare
il suo cliente da fenomeni strettamente patologici e non di dotarlo di
una metafisica, di una morale, di una politica» (VII, pp. 78-79).
Maritain non nega l’importanza dell’inconscio, ma sottolinea co-
me non ci sia solo l’inconscio sub-conscio, ma anche l’inconscio sovra-
conscio e ne L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia (49) scrive: «Il
punto che io sostengo è che tutto dipende dal riconoscimento dell’e-
sistenza di un inconscio spirituale, o piuttosto di un preconscio, di cui
erano ben consapevoli Platone e i saggi antichi, e la trascuratezza del
quale in favore dell’inconscio freudiano è solo un segno dell’insen-
sibilità dei nostri tempi. Vi sono due specie d’inconscio, due grandi
regni dell’attività psicologica lontana dallo stato di consapevolezza: il
preconscio dello spirito nelle sue fonti vive e l’inconscio della materia,
istinti, tendenze, complessi, immagini e desideri repressi, ricordi trau-
matici, che costituiscono un insieme dinamico, chiuso e autonomo.
Vorrei designare la prima specie di inconscio col nome di spirituale o,
per amore di Platone, inconscio o preconscio musicale; e il secondo
con il nome di inconscio automatico, o inconscio sordo – sordo all’in-
telletto – ed esistente in un mondo suo proprio, distinto dall’intellet-
to; potremmo anche dire, in senso del tutto generale, lasciando da
parte ogni teoria particolare, inconscio freudiano. Queste due specie
di vita inconscia sono in stretto rapporto e in continua comunicazio-
ne l’una con l’altra; nell’esistenza concreta esse di solito si mescolano
e si frammischiano in modo più o meno grande; e io credo che mai
– eccetto in qualche raro esempio di suprema purificazione spiritua-
le – l’inconscio spirituale operi senza che l’altro sia presente, anche se
in misura minima. Ma sono essenzialmente distinti e di natura com-
pletamente diversa» (X, pp. 217-218).
216 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

L’inconscio subconscio e sovraconscio - tav. n. 11

In Religione e cultura (16) Maritain da una parte rileva l’indeter-


minatezza della vita inconscia nell’uomo, che permette all’uomo di re-
golare il suo processo di formazione, e dall’altra l’infinitezza della vita
spirituale. «se Freud chiama assurdamente il fanciullo un perverso po-
limorfo è perché misconosce questa indeterminatezza. Una filosofia
generale di tipo molto inferiore impedisce a questo grande osservato-
re (anche lui stimolato da un potente odio metafisico della forma ratio-
nis) di distinguere la potenza dall’atto; egli sostituisce la potenzialità
con una costellazione d’attualità opposte fra loro, l’indeterminatezza
orientata verso l’attuazione normale, ma capace di multiformi attua-
zioni anormali, con un insieme di attuazioni contrarie, ove ciò che noi
chiamiamo normale non è più che un caso particolare dell’anormale.
III. La crisi della modernità 217

Fatto sta che la specie di infinitezza propria dello spirito infinitizza in


qualche modo e rende indeterminata nell’essere umano la vita stessa
dei sensi e degli istinti, che non può trovare il suo punto di fissaggio
naturale, intendo secondo le esigenze e i destini propri dell’umana na-
tura, che nella ragione e nelle forme che essa provoca. altrimenti essa
troverà un fissaggio distorto, in balia di una passione dominatrice, e
devierà dalla natura. l’uomo veramente e pienamente naturale non è
l’uomo della natura, la terra incolta, è l’uomo delle virtù, la terra uma-
na coltivata dalla retta ragione, l’uomo formato dalla cultura interiore
delle virtù intellettuali e morali. egli solo ha una consistenza, una per-
sonalità» (IV, pp. 199-200). pertanto considerare la personalità, come
fa Freud, una maschera che nasconde gli abissi inconfessabili dell’in-
conscio è un’offesa alla dignità umana.
Maritain conclude la sua analisi del freudismo: «È assurdo ri-
assorbire il superiore nell’inferiore, è disumano disgiungerli» (VII,
p. 89), l’uomo è una unità di corpo e di spirito. Bisogna sublimare il
mondo istintuale, ma la vera sublimazione eleva gli istinti qualitati-
vamente. «la filosofia larvata di Freud non è che un travestimento
di un odio profondo della forma della ragione» (VII, p. 94); ma la
sua opera rappresenta nella storia della filosofia «un castigo dell’or-
goglio di quella fiera personalità farisaica che il razionalismo aveva
elevato come un fine supremo» (VII, p. 92). Freud denuncia la men-
zogna di questa falsa coscienza borghese, ma il suo amaro pessimi-
smo non può trovare i rimedi per la guarigione, che solo può venire
dalle forze dello spirito e della grazia di dio. anche il romanziere
J. Green, amico dei Maritain, si era accorto che la psicoanalisi non
può cogliere che in superficie i misteri dell’inconscio. nel suo Dia-
rio scrive: «Ho letto d’un fiato il piccolo libro di Freud sull’infanzia.
Bisognerebbe sottolineare quasi tutte queste pagine stupefacenti,
ma Freud ha un bel spiegare, il mistero resta intero. Quando avrà
stabilito che il fanciullo è attratto da sua madre, non avrà fatto che
spostare un po’ più indietro i confini dell’inconscio; ma la questione
che io mi pongo ancora è questa: perché? sul mistero del nostro esi-
stere, come su tutte le teorie, Freud rimane in silenzio» (2 novembre
1933). Green giunge a scrivere: «la psicoanalisi mi sembra una for-
ma moderna dell’ateismo»99.

99
J. Green, Autobiografia, in Oeuvres complètes, vol. V, Gallimard, paris 1977, p.
1179.
218 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Carl Gustav Jung

Maritain ricorda anche Carl Gustav Jung100, che viene considerato


il continuatore di Freud, mentre dopo un periodo di collaborazione
elabora una sua interpretazione della psicoanalisi, desessualizzando
la libido, distinguendo tra un inconscio personale e un inconscio col-
lettivo come «una poderosa massa ereditaria spirituale, che rinasce in
ogni struttura cerebrale individuale», composta da archetipi apparte-
nenti al patrimonio dell’umanità. per lui le nevrosi non sono scatenate
da conflitti istintuali con le coercizioni dell’ambiente, ma da predi-
sposizioni somatiche, che generano uno squilibrio tra l’inconscio e
il conscio. Jung si interessa anche ai problemi religiosi, e partendo
dalla distinzione fatta da Bergson tra religione statica, istituzionale,
e religione dinamica, risolve quest’ultima nel divenire dell’inconscio.
Maritain riconosce in Jung il superamento del freudismo nelle sue
espressioni più radicali, ma fa alcune precisazioni. «non credo, co-
me Jung sembra fare, a un’eredità psicologica capace di trasmettere
al nostro inconscio delle rappresentazioni archetipiche. non credo
neppure a un inconscio collettivo, come entità superindividuale, di
cui ognuno di noi sarebbe partecipe. penso piuttosto che ciascuno di
noi, durante tutta la sua vita, ma in particolare nell’infanzia, subisca il
contagio, l’influenza di quello che chiamo inconscio dello spirito, di ciò
che opera coscientemente o inconsciamente nella mentalità dei suoi
contemporanei e che si esprime con segni il cui urto può essere fugace
e impercettibile, ma proprio allora l’imprimersi di essi sarà penetran-
te, perché esso stesso registrato inconsciamente. parlando in generale,
penso che in ognuno di noi l’inconscio dello spirito, durante tutta la
vita, ma soprattutto nell’infanzia, riceve l’impressione (più o meno pe-
netrante, secondo che essa è più o meno inconsciamente registrata) di
un universo multiplo di forme segni e simboli, derivanti dall’ambien-
te culturale in cui viviamo. orbene questo universo è storicamente
stabilito, porta in sé i resti sempre attivi delle epoche culturali prece-
denti e d’un immenso passato. Mi pare dunque che, nel senso che ho
precisato, la nozione di inconscio collettivo andrebbe sostituita con
quella di influenza inconsciamente ricevuta in gradi diversi da ciascu-

100
carl Gustav Jung (1875-1961), medico psichiatra svizzero, figlio di un pastore
protestante, a cui si deve la teoria dei complessi e la definizione della psicologia analiti-
ca. tra le opere: Studio diagnostico delle associazioni (1906), Simboli e trasformazioni
della libido (1912), Tipi psicologici (1920), Psicologia e religione (1940).
III. La crisi della modernità 219

no degli appartenenti alla comunità culturale e la nozione di eredità


psicologica con quella di eredità culturale. ci accorgeremo allora co-
me le prospettive mentali o gli atteggiamenti mentali da cui dipende il
modus significandi che impieghiamo coscientemente, possano essere il
risultato della registrazione sull’inconscio del nostro spirito di forme,
simboli e segni emananti dalla comunità culturale. Vedremo anche
come alcune di queste forme, segni e simboli possano essere archetipi
risalenti al più lontano passato (non si deve inoltre dimenticare che la
parola “archetipo” può riferirsi non solo a forme primitive trasmesse
storicamente, ma anche a strutture o modalità d’azione connaturali
allo spirito umano, che possono manifestarsi negli uni e negli altri per
una semplice e spontanea convergenza, senza implicare nessun influs-
so o trasmissione storica)» (XII, pp. 243-244).
In Jung si verifica un’identificazione dell’eredità culturale co-
me fatto oggettivo con un presunto inconscio collettivo; ma soprat-
tutto Jung confonde l’inconscio sovraconscio dello spirito con un
preconscio personale contrapposto all’inconscio collettivo. Maritain
precisa: «la mia distinzione fra inconscio spirituale e inconscio au-
tomatico è completamente diversa dalla distinzione che Jung fa fra
l’inconscio personale e l’inconscio collettivo; questi due fanno par-
te dell’inconscio spirituale in quanto entrano nella sfera della vita
preconscia dell’intelletto o della volontà, e sono così spiritualizzati,
ed entrambi fanno parte dell’inconscio automatico in quanto sono
chiusi in un mondo puramente animale, separato dalla vita dell’in-
telletto e della volontà» (X, p. 217).

9. la filosofia del diritto


Maritain su questa problematica si è confrontato personalmente
con filosofi e giuristi contemporanei. In L’Uomo e lo Stato (46) mette
le basi della sua riflessione. Bisogna rispettare in coscienza le leggi
civili liberamente pattuite e costituzionalmente definite. la sovra-
nità è gestita dal popolo, ma la sua radice è nella legge eterna, per-
ché solo dio può essere sovrano, può trascendere la legge. pertanto
l’uomo è più responsabile verso la verità, che conosce, che verso la
società civile, di cui pure deve rispettare i regolamenti legittimamen-
te formulati dal legislatore eletto dalla volontà popolare, facendo
obiezione di coscienza e resistenza passiva alle leggi che la sua co-
220 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

scienza ritiene fondatamente ingiuste. la democrazia è un valore


ma non è un valore assoluto. Queste riflessioni che rimandano ad un
diritto naturale, conosciuto in maniera istintuale prima che in modo
razionale, sono state elaborate nelle Nove lezioni sulla legge naturale
(65). Il problema di fondo rimane sempre la relazione tra l’oggetti-
vità della verità e la soggettività della coscienza. Maritain si sofferma
a ripensare e approfondire questa problematica a confronto con due
contemporanei tra loro su posizioni opposte: carl schmitt, che pri-
vilegia l’oggettività, fa dello stato il garante dell’oggettività finendo
per giustificare il totalitarismo, e Hans Kelsen, che privilegia la sog-
gettività e fonda democrazia sul relativismo.

Carl Schmitt

Maritain negli anni Venti, quando era vicino al movimento


dell’Action Française e a Maurras, ha una relazione culturale e una
corrispondenza epistolare con Carl Schmitt101, che era stato allievo di
Max Weber e di cui pubblica la traduzione francese di Romanticismo
politico (1928) nella «Bibliothèque Française de philosophie» che di-
rige. entrambi sono lettori attenti di léon Bloy, entrambi sono fieri
avversari del positivismo e partono da san tommaso, a cui Maritain
è fedele, mentre il giurista tedesco ripiega su lutero, pascal, Kierke-
gaard. l’uno è aperto al rinnovamento del concilio Vaticano II, l’altro
è deluso dai risultati del concilio e ripiegato sulla tradizione. In poli-
tica schmitt è un esponente della corrente neoconservatrice, che vede
nello stato un valore supremo. Infatti critica la concezione liberale
dello stato, a cui si ispira la costituzione della repubblica di Weimar,
perché ritiene che il parlamento non rappresenti la volontà popolare,
ma solo quella dei partiti che dominano la vita politica, per cui biso-
gna sostituire allo Stato di diritto – che non è altro che una finzione,
perché, senza tenere conto della giustizia, ammanta di legalità le deci-

101
carl schmitt (1888-1985). Filosofo del diritto, docente a Bonn e a colonia, poi a
Berlino dal 1933 al 1945, membro del consiglio di stato prussiano; compromesso con il
regime nazionalsocialista, nel 1945 fu privato della cattedra e arrestato, in seguito assolto
si ritirò a vita privata. tra le opere: Romanticismo politico (1919), La dittatura (1921), Te-
ologia politica (1922), Dottrina della Costituzione (1928), Legalità e legittimità (1932). cf.,
su di lui: M. nicoletti, Trascendenza e potere. La teologia politica di C. Schmitt, Morcellia-
na, Brescia 1990; J.W. Bendersky, Carl Schmitt, Teorico del Reich, il Mulino, Bologna
1989.
III. La crisi della modernità 221

sioni del parlamento – uno Stato di giustizia che si realizza mediante


un plebiscito capace di esprimere il popolo attraverso un partito uni-
co. Il buon governo non dipende dal rispetto di una norma conven-
zionale ma dalle decisioni di un capo che incarna la volontà popolare,
oggettivandola nel suo potere. Maritain ben presto critica le posizioni
di schmitt, che finiscono per giustificare il totalitarismo nazista. nella
conferenza Il crepuscolo della civiltà (29) tenuta a parigi l’8 febbraio
1939 Maritain sottolinea come nello stato totalitario l’odio sia l’anima
della coesione sociale; e rileva che schmitt «descrive sul piano feno-
menologico il concetto della politicità del politico, afferma che esso
consiste essenzialmente nella relazione con l’amico contro il nemico,
e ritiene che sia essenziale alla comunità politica il costituirsi contro
qualcuno. È il principio del contro l’altro o dell’inimicizia costitutiva.
per la politica dell’impero pagano, l’odio contro il nemico, interno o
esterno, della comunità, scaturisce nello stesso tempo dell’amore ver-
so quest’ultima […]. la comunità politica sa veramente con chi essa si
costituisce a condizione di costituirsi per schiacciare gli altri. lo stato
sa chi sono i suoi. sovranità dell’odio» (VII, pp. 31-32). In questa pro-
spettiva schmitt coinvolge la religione perché ritiene che bisogna fare
rinascere il sacro Impero ed elabora una Politische Theologie.
In Umanesimo integrale (26) Maritain conduce un’analisi appro-
fondita e scrive: «Bisogna segnalare un equivoco: il significato tedesco
delle parole Politische Theologie è del tutto diverso da quello delle
parole francesi théologie politique o delle corrispondenti italiane. Il
significato delle ultime è che la politica, come tutto ciò che compete
al dominio morale, è oggetto del teologo come del filosofo, a causa
del primato dei valori morali e spirituali impegnati nello stesso ordi-
ne politico, e perché questi valori morali e spirituali implicano, nello
stato di natura decaduta e redenta, un riferimento all’ordine sovran-
naturale e all’ordine della rivelazione, il che è oggetto proprio del te-
ologo. dunque esiste una teologia politica come una filosofia politica,
una scienza di un oggetto profano e temporale che giudica e conosce
questo oggetto alla luce dei principi rivelati. Invece il significato tede-
sco dell’espressione Politische Theologie è che l’oggetto stesso di cui
si tratta non è realmente profano e temporale; l’oggetto stesso è sacro
(heilig). c. schmitt, che è stato uno degli ispiratori e dei consiglie-
ri intellettuali del regime nazista, aveva già cercato di mostrare nelle
grandi idee politiche e giuridiche moderne una trasposizione di temi
essenzialmente teologici. da ciò, se ci si pone, per speculare, su un
punto di vista pratico e concreto, senza tener conto della distinzione
222 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

degli oggetti formali, si verrà molto facilmente a dire che le realtà po-
litiche sono esse stesse dell’ordine divino e sacro. tale è il senso che i
teorici tedeschi contemporanei del Sacrum Imperium danno alla pa-
rola Politische Theologie. essi si riferiscono così all’idea messianica
ed evangelica del Regno di Dio, del quale vogliono trovare una rea-
lizzazione nel tempo e nella storia. così si finisce per pensare che per
il compimento della redenzione occorre non solo l’unificazione degli
uomini nella chiesa, ma anche nell’Impero» (VI, pp. 405-469).
nella prospettiva francese, che Maritain condivide, si riconosce
che la teologia deve interessarsi di politica per quanto riguarda i va-
lori morali, ma non deve servirsi della politica per realizzare il regno
di dio (concezione evangelica della politica). nella prospettiva tede-
sca si ha invece una concezione politica della religione, perché si nega
la laicità dello stato e ci si serve della religione a fini politici.
Ma passando dalle argomentazioni teoretiche all’analisi effettuale
degli avvenimenti storici, Maritain constata che queste teorie hanno
finito per identificare lo stato con un’ideologia politica, e quindi con
un solo partito politico, negando la democrazia. scrive: «dopo avere
spiegato che l’unità politica comporta la triplice essenza dello stato,
del Movimento, del popolo, schmitt insegna che l’organo proprio del
movimento è il partito nazionalsocialista e che il legame tra il partito
e lo stato consiste in un’unione personale realizzata in colui che è in-
sieme Führer e cancelliere del Reich» (VI, p. 483).

Hans Kelsen

diametralmente opposta a questa posizione, che pone l’ideolo-


gia a fondamento della società (non si dimentichi che il nome Pravda
del giornale sovietico al tempo dell’Urss significa Verità), è quella di
Hans Kelsen102. Il filosofo austriaco ritiene che la società democratica
debba fondarsi sullo scetticismo, e critica le posizioni di Maritain103.
non riconosce che la democrazia è una conseguenza dell’influenza del

102
Hans Kelsen (1881-1973). Filosofo austriaco del diritto, insegnante a Vienna
dal 1911 al 1930, in seguito all’invasione nazista del suo paese si trasferì a Ginevra, poi
dal 1941 negli stati Uniti come docente di diritto internazionale all’Università di Ber-
keley. tra le opere: Problemi fondamentali della dottrina del diritto e dello Stato (1910),
Essenza e valore della democrazia (1919), Socialismo e Stato (1920), Teoria generale del
diritto e dello Stato (1945), Dottrina pura del diritto (1960).
103
H. Kelsen, Maritain’s Philosophy of Democracy, in «ethics», 1 (1955), pp. 1-101.
III. La crisi della modernità 223

cristianesimo nella storia, come affermano Bergson e Maritain, ripro-


pone lo stato liberale con il suo relativismo come unica espressione
di democrazia; e giunge ad affermare che il credente non può essere
un buon cittadino, perché sicuro delle sue convinzioni tenderebbe ad
imporle agli altri, e solo chi dubita può essere un autentico democra-
tico. «non può essere messo in dubbio che la dignità della persona
umana sia rispettata molto di più in un ordine sociale, che garantisca
alla persona l’autonomia politica, che non in un ordine religioso basa-
to sul principio dell’eteronomia, vale a dire sul principio che un uomo
religioso è soggetto ad una legge alla cui creazione egli non ha alcuna
parte»104. Il diritto costituzionale si fonderebbe solo sull’intersoggetti-
vità pattuita, senza alcun riferimento all’oggettività di una legge eterna
trascendente la coscienza. Kelsen contrappone la coscienza sociale e
la coscienza religiosa, non riconosce un diritto naturale vincolante la
coscienza e aggiunge: «per neutralizzare questo principio e per salva-
re la dignità della persona umana, la teologia cristiana ha introdotto
la dottrina del libero arbitrio. Ma questa dottrina non può sostenersi
sull’insegnamento del Vangelo ed è difficilmente compatibile con l’as-
sunto di una volontà di dio onnipotente, che determina ogni cosa,
da cui deriva la credenza nella predestinazione»105. Maritain risponde
precisando che l’uomo è stato creato da dio dotato di libero arbitrio,
che la salvezza viene da dio, ma impegna la collaborazione dell’uo-
mo, che la legge eterna è in me, è di me, anche se non è da me, perché
ha il suo fondamento ultimo proprio nell’esistenza di dio. Kelsen nel
sostenere la giustificazione relativistica della democrazia si richiama
a pilato, «che rifiutandosi di distinguere il giusto dall’ingiusto e la-
vandosi le mani si appella al popolo chiedendo ad esso di decidere
perché non sapeva cosa fosse la verità, e così in una società democra-
tica spetta al popolo decidere e regna la reciproca tolleranza proprio
perché nessuno sa che cosa è la verità. la verità di cui parla Kelsen è
la verità religiosa e metafisica, quella che viene chiamata “verità asso-
luta”, come se ogni verità, in quanto è vera, non fosse assoluta nella
propria sfera […]. l’ossatura dell’argomentazione di Kelsen è la se-
guente: chiunque conosce o pretende di conoscere la verità assoluta
o la giustizia assoluta – e cioè la verità o la giustizia semplicemente –
non può essere un democratico, perché non può ammettere la possi-
bilità di un punto di vista diverso dal proprio, che si dà come punto

104
H. Kelsen, I Fondamenti della democrazia, Bologna, il Mulino 1966, p. 322.
105
Ibid., p. 208.
224 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

di vista vero. Il metafisico e il credente sono tenuti ad imporre la loro


verità eterna agli altri, agli ignoranti e alle altre persone dalla mente
oscura. a loro tocca intraprendere la santa crociata di chi conosce
contro chi non conosce o non è partecipe della grazia di dio. soltan-
to quando siamo coscienti della nostra ignoranza riguardo a ciò che è
il Bene, solo allora possiamo rimetterci al popolo per decidere» (XI,
p. 76). Maritain risponde, dopo avere ricordato che Gesù ha detto a
pilato di essere venuto al mondo proprio per portare testimonianza
alla verità. «se fosse vero che chiunque conosce, o pretende di cono-
scere, la verità non può ammettere la possibilità di un punto di vista
diverso dal proprio ed è quindi tenuto ad imporre il proprio punto
di vista agli altri con la violenza, allora l’animale ragionevole sarebbe
il più pericoloso di tutti gli animali. In realtà, l’animale ragionevole è
tenuto, in virtù della sua natura, a cercare di condurre i propri com-
pagni a partecipare di ciò che egli conosce come vero o come giusto,
non con la coercizione, ma con mezzi razionali e con la persuasione»
(XI, p. 77). poi aggiunge: «Il metafisico, proprio perché ha fiducia
nella ragione umana, e il credente, proprio perché ha fiducia nella gra-
zia divina e sa che una fede imposta è un’ipocrisia detestabile a dio e
all’uomo, non fanno ricorso alla guerra santa per rendere accessibile
agli altri la loro “verità eterna”; essi si richiamano alla libertà interiore
degli altri, offrendo loro sia delle dimostrazioni, sia la testimonianza
del loro amore. e non si domanda al popolo di decidere, perché si sia
coscienti della propria ignoranza riguardo a ciò che è il bene, ma per-
ché conosciamo questa verità e questo bene, e cioè che il popolo ha
diritto all’autogoverno» (ibid.). la democrazia è proprio il luogo dove
è possibile confrontare pacificamente i diversi punti di vista, partendo
dal rispetto della persona come esige il diritto naturale. la questione
in fondo riguarda la possibilità o la realtà di potere conoscere la ve-
rità. anche in Italia G. Zagrebelsky, in Il Crucifige e la democrazia106,
analizza queste problematiche e commentando il processo a Gesù ri-
leva che tra il dogmatismo di caifa, che vuole imporre allo stato la
legge ecclesiale, e lo scetticismo di pilato, che si domanda “che cosa è
la verità” e vuole solo garantire il suo potere, la democrazia esige un
atteggiamento possibilista di fronte alla verità intesa come fondamento
delle relazioni sociali: «sia il dogmatico che lo scettico possono appa-
rire amici della democrazia, ma sono come falsi amici. Il dogmatico
può accettare la democrazia solo se e fino a quando serve come for-

106
G. Zagrebelsky, Il Crucifige e la democrazia, einaudi, torino 1995.
III. La crisi della modernità 225

za, una forza indirizzata ad imporre la verità. lo scettico, a sua volta,


perché non crede in nulla, può tanto accettarla quanto ripudiarla. se
è davvero scettico, non troverà nessuna ragione per preferire la demo-
crazia all’autocrazia. o meglio, troverà una ragione non nella fede o in
un qualche principio, ma in una convenienza»107. Zagrebelsky si ferma
a riconoscere la possibilità della verità, mentre Maritain riconosce la
certezza della verità e, distinguendo tra intelletto teoretico e intellet-
to pratico, trova la conciliazione tra la libertà e la verità nell’accettare
insieme alcuni punti pratici comuni, che ciascuno giustifica teoretica-
mente secondo le sue convinzioni, e con ironia conclude: «potrebbe
accadere che lo scettico ritenga quanti non sono scettici degli esseri
barbari, infantili o subumani, e potrebbe accadere che li tratti male
così come lo zelota tratta male il non credente. allora lo scetticismo
appare altrettanto intollerante che il fanatismo, diventa il fanatismo
del dubbio» (XI, p. 74).
schmitt finisce per giustificare, alla maniera di Hegel, il dirit-
to positivo come legge assoluta vincolante la coscienza; Kelsen, alla
maniera di Kant elabora un puro formalismo giuridico, secondo cui
la validità di una norma risiede in un’altra norma perché il diritto
puro vuole conoscere esclusivamente il suo oggetto, liberandosi da
ogni riferimento alla natura dell’uomo.
Ma il problema della relazione tra la verità e la libertà è un pro-
blema che va risolto al di là di ogni fondamentalismo e di ogni rela-
tivismo, la cui doppia unilateralità Maritain analizza in un articolo
del 1957, Truth and human Fellowship, in cui scrive: «da una parte
l’errore degli assolutisti, che vogliono imporre la verità con la costri-
zione, deriva dal fatto che essi trasferiscono dall’oggetto al soggetto
i sentimenti che provano a buon diritto nei confronti dell’oggetto;
essi pensano che, come l’errore non ha per sé diritti di sorta e deve
essere bandito dallo spirito (con i mezzi dello spirito), così l’uomo
quando è in errore non gode di diritti propri e deve essere bandito
dal consorzio degli uomini (con i mezzi del potere umano). dall’al-
tra parte l’errore dei teorici che fanno del relativismo, dell’ignoran-
za e del dubbio la condizione necessaria per la reciproca tolleranza
deriva dal fatto che essi trasferiscono dal soggetto all’oggetto i sen-
timenti che provano a buon diritto nei confronti del soggetto – che
deve essere rispettato anche quando è in errore – e così privano
l’uomo e l’intelletto umano di quell’atto, l’adesione alla verità, nel

107
Ibid., p. 6.
226 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

quale consistono ad un tempo la dignità dell’uomo e la sua ragione


di vivere» (XI, pp. 78-79).
le posizioni di schmitt e di Kelsen, che non distinguono corpo
politico e Stato, fanno dello stato un assoluto e della legge civile un
valore fine a se stesso. Maritain, invece, osserva: «l’espressione sovra-
nità della legge non è che un’espressione puramente metaforica che si
riferisce alla natura razionale della legge e della sua qualità morale e
giuridica obbligatoria, ma non ha niente a che vedere con il concet-
to autentico di sovranità […]. lo stato non è la legge, e la cosiddetta
sovranità dello stato non è affatto la sovranità giuridica e morale del-
la legge» (IX, 500). precisa: «Un teorico della forza di Kelsen ha fat-
to dello stato un’astrazione solamente giuridica e identificandolo con
l’ordine legale, concetto che sradica lo stato dalla sua sfera vera (ossia
dalla sfera politica); e che è tanto più ambiguo in quanto lo stato reale
(in quanto parte e organo superiori del corpo politico) approfitterà in
realtà di questa essenza finita a lui attribuita come essere di ragione
giuridica, per rivendicare gli attributi sacri e la sovranità della legge»
(IX, pp. 499-500). Ma la legge è sacra perché quando è giusta riman-
da, tramite il diritto naturale, alla legge eterna, a dio, non perché è
formalmente corretta. pertanto, fatta salva la moralità della legalità,
per cui bisogna rispettare le leggi liberamente pattuite, precisato che
la legalità non è la moralità, lo stato democratico riconosce l’obiezio-
ne di coscienza alle leggi che il cittadino ritiene fondatamente ingiu-
ste, anche se la maggioranza dei cittadini le ha deliberate. si tratta di
raccordare la legalità giuridica al diritto naturale, e Maritain conclude:
«Il grande teorico del diritto H. Kelsen non ammette la legge natu-
rale, ma in ragione stessa dell’esigenza così forte in lui di una norma
assolutamente pura da cui dipenderebbero tutte le leggi positive, un
certo numero dei suoi discepoli in america hanno fatto ritorno alla
nozione di legge naturale» (XVI, p. 797).
IV. Incertezze e speranze 227

IV. Incertezze e speranze

1. la persona come valore morale


e come realtà ontologica
nel fiume multiforme della filosofia contemporanea, accanto alle
correnti di pensiero esaminate nella terza parte, che non approdano
all’essere nella sua ontologicità (a parte il neoidealismo di Benedetto
croce e Giovanni Gentile, che risolve l’essere nel pensiero), o perché
lo mettono tra parentesi, come la fenomenologia, o perché si fermano
all’esistenza individuale, come l’esistenzialismo, convivono altre cor-
renti di pensiero che raggiungono l’essere attraverso la persona in una
prospettiva di realismo filosofico e di personalismo pedagogico e po-
litico, pur differenziandosi, contrapponendosi e a volte ibridandosi
tra di loro. lo spiritualismo si riferisce all’essere mediante la volontà
e la coscienza morale nella sua soggettività, mentre la nuova scolasti-
ca, che valorizza l’intelligenza e riconosce la scientificità del sapere
filosofico, lo coglie nella sua oggettività. I filosofi del personalismo,
che oscillano tra i due precedenti indirizzi, raggiungono l’essere non
tanto come valore ontologico o come valore morale, ma come valo-
re relazionale, secondo cui la persona esiste nella relazione sociale.
Max scheler, considerato il maestro dei personalisti, afferma che «Il
tu (duheit) è la categoria più esistenziale del pensiero umano»108, dal-
la cui consapevolezza nasce la relazione con gli altri e con l’assoluto;
posizione che ritroviamo in Martin Buber, secondo cui la relazione è
il luogo personale per eccellenza, la struttura ontologica originaria.
la nuova scolastica trova la sua espressione più importante e
significativa nel tomismo, che pur differenziandosi nel filosofare dei
singoli pensatori, non si frantuma in diversi tomismi come sembre-
rebbe nell’interpretazione di Géry prouvost109, perché tutti i tomi-

108
cit. in F. Miano alla vice Personalismo, in aa.VV., Enciclopedia filosofica, Bom-
piani, Milano 2008, vol. IX, p. 8538.
109
G. prouvost, Thomas d’Aquin et les thomistes, cerf, paris 2007.
228 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

sti hanno in comune una filosofia realista, radicata nell’intelligibilità


dell’essere, qualunque sia la formula gnoseologica con cui ciascuno
approda a questa intelligibilità. Maritain parla di Realismo critico,
Gilson di Realismo metodologico (V, pp. 393-396).
non solo la nuova scolastica è un indirizzo unitario, ma ha sa-
puto constatare nell’intuizione dell’essere la differenza tra san tom-
maso e aristotele perché per tommaso l’oggetto del sapere non è
l’essenza, ma l’essere, cioè l’atto di essere come Battista Mondin nel-
la sua Storia della metafisica ha sottolineato: «Ma poi percorrendo la
storia della metafisica, Gilson fece la sensazionale e decisiva scoper-
ta che tutte le metafisiche elaborate prima di san tommaso, e anche
dopo di lui, sono tutte di stampo essenzialistico: il principio primo
di ogni cosa è sempre una essenza (l’idea, la forma, la sostanza, la
possibilità ecc.). solo san tommaso si spinge oltre l’essenza e situa
il principio primo della realtà nell’essere (esistenza), gettando così
le basi di una metafisica esistenzialistica. a questo punto il gioco
era fatto: san tommaso possedeva una sua metafisica, la metafisica
dell’essere. ciò che ora bisognava fare erano tre cose: 1) mostrare
come san tommaso era uscito dall’essenzialismo ed era approdato
all’esistenzialismo; 2) individuare i pilastri portanti della metafisica
dell’essere; 3) illustrare la superiorità della metafisica di san tomma-
so nei confronti sia delle metafisiche che esaltano l’essenza a danno
dell’esistenza, sia delle metafisiche che isolano talmente l’esistenza
da sopprimere completamente l’essenza»110. Maritain ne Il contadino
della Garonna (61) fa una lunga digressione sull’intuizione dell’es-
sere (XII, pp. 843-847) dopo avere precisato: «san tommaso non
si fermò all’ens, all’ente, andò dritto all’esse, all’atto di essere» (XII,
p. 845) e rileva che forse non avremmo avuto la fenomenologia se
Heidegger avesse compreso san tommaso: «Il tomismo è una filo-
sofia del Sein in quanto è una filosofia dell’esse. Quando i giovani
c’invitano a scoprire Martin Heidegger, senza saperlo c’invitano a
far loro riscoprire la metafisica transontica di san tommaso d’a-
quino… sarebbe interessante sapere che cosa avrebbe pensato Hei-
degger se avesse conosciuto l’esistenza di una metafisica dell’esse
prima di prendere le sue decisioni iniziali. Ma è troppo tardi, non lo
sapremo mai… come potremmo saperlo, se Heidegger stesso non
ne saprà mai nulla? pongo il problema solo con lo scopo di sugge-

110
B. Mondin, Storia della metafisica, edizioni studio domenicano, Bologna 1998,
vol. 3, p. 658.
IV. Incertezze e speranze 229

rire a coloro che insistono perché lo seguiamo, che non c’è pericolo
immediato. non abbiamo forse che il ritardo del nostro anticipo. ci
incitano a seguire coloro che abbiamo già sorpassato»111. Maritain ag-
giunge: «le filosofie esistenzialiste che circolano oggi non sono che il
segno di un certo bisogno profondo di ritrovare il senso dell’essere»
(XVI, p. 201). Maritain si rammarica: «l’intuizione dell’essere non è
di tutti. Bergson la possedette attraverso un surrogato che lo ingan-
nò, e camuffata nella sua concettualizzazione ad opera di pregiudizi
anti-intellettualistici. né Husserl né alcun altro ideosofo l’ebbero.
Finisce per possederla un giorno colui che va abbastanza lontano
nella meditazione, cioè colui che arriva ad entrare in quel silenzio
attivo e attento dell’intelligenza in cui, consentendo alla semplicità
del vero, essa si fa sufficientemente disponibile e aperta per udire
che ogni cosa mormora e per ascoltare, anziché fabbricare risposte»
(XII, pp. 814-815). nel Breve trattato (42) rivendica a san tomma-
so questa intuizione dell’essere: «tommaso d’aquino va con l’in-
telligenza stessa all’esistenza stessa. egli ha della scienza l’idea più
altamente classica, è scrupolosamente attento alle minime esigenze,
alle più sottili regole e misure della logica, della ragione, dell’arte di
articolare le idee. e non è un libro illustrato quello che egli conosce,
ma questo cielo e questa terra dove ci sono più cose che in tutte le
filosofie, è questo universo esistente, poggiante sui fatti primi, che
bisogna constatare e non dedurre: un universo attraversato da tutti
gli influssi produttori di essere che lo vivificano, l’unificano, e fanno
sì che si muova verso l’imprevedibile avvenire, un universo ferito,
anche, da tutte quelle deficienze di essere, che costituiscono la realtà
del male, e nelle quali bisogna vedere lo scotto dell’interazione degli
enti e il prezzo della libertà creata, capace di sottrarsi all’influsso del
primo essere» (IX, p. 21).
le differenze tra i tomisti che Géry prouvost sottolinea sono
sostanzialmente differenze linguistiche, come Maritain rileva a con-
clusione di una sua polemica con sertillanges a proposito della co-
noscenza filosofica di dio: «a malincuore abbiamo dovuto criticare
alcune espressioni di sertillanges. In una materia così importante,
e dove accade così facilmente che un pensiero esatto si ripari sotto
formule non corrette, bisogna procedere con cautela nel muovere
un’accusa di tal sorta contro un filosofo tanto avveduto. sertillanges

111
É. Gilson, Trois leçons sur le Thomisme et sa situation presente, in «semina-
rium», 4, ottobre-dicembre 1965, pp. 718-719.
230 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

ha un acuto senso della trascendenza dell’atto puro, ma la termino-


logia di cui si serve per mettere meglio in luce questa trascendenza, e
che egli trae sia da un linguaggio meno evoluto e meno scientifico di
quello di san tommaso, sia da formule tecniche di san tommaso la
cui traduzione ne fa sparire il senso preciso, tende a provocare gravi
malintesi» (IV, p. 1030).

2. lo spiritualismo
Maritain considera soprattutto lo spiritualismo francese, che ha
radici profonde perché già Maine de Biran112, recuperando la tra-
dizione di Malebranche in confronto con l’illuminismo nei Nuovi
saggi di antropologia afferma che l’uomo, oltre alla vita del corpo e
della coscienza intellettuale, ha una vita spirituale che nell’amore lo
unisce a dio, risolvendo la filosofa in misticismo. Victor Cousin113,
riunendo l’influenza di Maine de Biran a quella della Scuola scozze-
se del senso comune di thomas reed, con il suo eclettismo prepara
la via a Jean Gaspard Ravaisson114 che nel suo Testamento filosofico
del 1901 pone le basi di questa corrente di pensiero, opponendo
lo spiritualismo cristiano, come “filosofia aristocratica”, alla “filo-
sofia plebea” del positivismo. Maritain sottolinea come questo spi-
ritualismo sia ancorato al razionalismo e di cousin scrive: «non ha
esagerato l’importanza storica di cartesio, ma l’ha mal compresa e
presentata in maniera troppo esclusiva e troppo sistematica. Vedeva
in cartesio il liberatore di una filosofia fino ad allora schiava» (V, p.
33). Questo spiritualismo razionalistico non è in grado di fondare
una metafisica, rivaluta l’uomo e la sua libertà, senza ancorarla ad
una sicura antropologia, perché manca di una filosofia della natura.
rileva Maritain: «dopo lo scacco dei grandi sistemi idealisti post-
kantiani, in cui, non dimentichiamolo, un vasto lavoro di filosofia

112
Maine de Biran (1766-1824), filosofo della restaurazione. tra le opere: L’ap-
percezione immediata (1807), Saggio sui fondamenti della psicologia (1812), Nuovi saggi
di antropologia o della scienza dell’uomo interiore (1824).
113
Victor cousin (1792-1867), filosofo noto soprattutto per i suoi studi storici. È
autore di due volumi di un Corso di storia della filosofia (1828-1829) e di cinque volumi
di un Corso di storia della filosofia moderna (1841) a cui Maritain rimanda spesso, come
pure al volume Il Vero, il Bello, il Bene (1853).
114
Jean Gaspard ravaisson (1813-1900) studia a parigi con V. cousin e a Monaco
con F. schelling. tra le opere: Saggio sulla metafisica di Aristotele (1844), La filosofia di
Pascal (1887), Metafisica e morale (1892) e il Testamento filosofico, pubblicato postumo.
IV. Incertezze e speranze 231

della natura – la Naturphilosophie romantica – si è trovato legato al


lavoro metafisico e ha subìto lo stesso destino, dopo lo scacco dei
parziali e timidi tentativi francesi di metafisica speculativa fondata
sull’introspezione psicologica, al modo di Victor cousin o a quello
di Maine de Biran, che cosa constatiamo? non c’è più filosofia della
natura, il campo intero della conoscenza della natura sensibile viene
abbandonato alle scienze del fenomeno, alla conoscenza empiriolo-
gica; i filosofi si sforzano di costituire una metafisica, sì, ma, molto
più impressionati dal positivismo di quanto non credano, non osano
neppure concepire la possibilità di un’ontologia della natura sensi-
bile che completi la conoscenza empiriologica; non c’è più filosofia
della natura; ebbene! per lo stesso processo, non c’è più metafisica
speculativa» (V, pp. 873-874).
Un altro filosofo spiritualista a cui Maritain pone attenzione è
Charles Renouvier115 che, partito da posizioni kantiane, attraverso
un recupero di cartesio e di leibniz, in opposizione al naturalismo
e al sociologismo dei positivisti, rivaluta l’uomo come essere libero
in relazione con dio, ma considera l’assoluto un essere limitato nel
tempo, e non riconosce i fondamenti ontologici e intelligibili della
persona. la fede religiosa per renouvier è «un’opzione volontaria,
un atto di fede cieca verso i principi della ragione, sospendendo co-
sì le necessità intelligibili alla pura contingenza, e l’evidenza a una
credenza gratuita» (III, p. 50). Maritain rileva come renouvier rico-
nosca nell’uomo la capacità di un «cominciamento assoluto» nel
campo dell’azione morale, ma precisa che l’atto libero «scaturisce
da una causa (la volontà di una natura intelligente) che è talmente
causa da guidare la sua stessa determinazione al suo effetto; agisce
sempre secondo un motivo, di cui essa stessa costituisce però l’effi-
cacia» (II, p. 1057). Ma per renouvier «la cosa in sé e la sostanza non
sono solo inconoscibili ma assolutamente inesistenti, per cui il loro
concetto è una pura chimera» (II, p. 226). Infine, tra gli esponenti
minori dello spiritualismo in Francia, Maritain nei suoi scritti di lo-
gica fa riferimento a Jules Lachelier116, Octave Hamelin117 e si soffer-

115
charles renouvier (1815-1903), filosofo francese che si muove in ambienti vi-
cini a saint-simon. tra le opere: Saggi di critica generale (1854-1864).
116
Jules lachelier (1832-1918), docente all’École normale supérieure continua
l’opera di Maine de Biran. tra le opere: Fondamento dell’induzione (1871).
117
octave Hamelin (1856-1907), docente alla sorbona, partendo da Kant risco-
pre l’esistenza di dio e il valore della persona umana. tra le opere: Saggio sugli elemen-
ti principali della rappresentazione (1907).
232 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

ma in particolare sul contingentismo di Étienne Émile Boutroux118


per la sua critica al determinismo assoluto della filosofia positivista e
ne trae occasione per precisare che «i fatti vanno collocati essi stessi
in una gerarchia di conoscenze, perché ci sono fatti del senso comu-
ne, fatti scientifici (che interessano le scienze della natura), fatti ma-
tematici, fatti logici, fatti filosofici» (IV, p. 364). Il giovane Maritain,
in una dissertazione filosofica sul tema Quali sono i tratti distintivi
della natura umana? (XVI, pp. 599-610), del 1904, scrive: «Boutroux
stabilisce un confine che sembra insuperabile tra l’inconscio e il con-
scio e non spiega come la natura abbia potuto passare dall’uno all’al-
tro. a mio avviso il conscio, che vittoriosamente esplode nell’uomo,
pre-esisteva già nell’inconscio, essendo la ragione stessa della vita
dell’inconscio. non c’è un salto brusco, ma il passaggio all’atto di
qualcosa di latente ed in qualche modo di preformato» (XVI, p. 605).
osservazioni interessanti di un adolescente, che un giorno, sulla base
della filosofia di san tommaso, avrebbero sviluppato una critica all’e-
voluzionismo di darwin e alla psicoanalisi di Freud. Ma soprattutto
Maritain rileva come il contingentismo di Boutroux non possa garan-
tire l’atto libero dell’uomo, abbandonandolo alla casualità, e osserva:
«la concezione aristotelico-tomista, al contrario, mostrando come la
contingenza nel corso degli eventi singoli si concili con la necessità
delle leggi riconosciute dalla scienza, ci fa vedere come potrà inserir-
si nella natura la libertà propria degli spiriti, che come tali non fanno
parte della natura sensibile e del mondo corporeo, ma che tuttavia
agiscono in questo mondo» (IV, p. 325).
Un altro filosofo spiritualista è Émile Meyerson119, specializzatosi
in Germania in studi scientifici, che contesta al positivismo la prete-
sa di volere ridurre tutto il sapere alla conoscenza fenomenica. per
Meyerson non è sufficiente conoscere le leggi, cioè il come di quanto
accade, bisogna conoscere anche le cause, cioè il perché di quanto ac-
cade. Questa conoscenza è possibile con l’aiuto della filosofia che gra-
zie al principio di non contraddizione, che è alla base del principio di
causa ed effetto, può raccordare il molteplice all’unità. Maritain com-
menta: «Il sapere di tipo empiriologico, cioè la scienza dei fenomeni

118
Étienne Émile Boutroux (1845-1921), discepolo di renouvier. tra le opere:
Sulla contingenza delle leggi di natura (1874), La natura e lo spirito (1904), la cui tradu-
zione italiana ha una prefazione di G. papini, Scienza e religione nella filosofia contem-
poranea (1908).
119
Émile Meyerson (1859-1939), ebreo, filosofo francese di origine polacca. tra le
opere: La spiegazione delle scienze (1921).
IV. Incertezze e speranze 233

della natura, richiede di completarsi con un sapere di tipo ontologico,


cioè con una filosofia della natura. Queste scienze, in effetti, impli-
cano, come ha dimostrato molto bene Meyerson, una tendenza e un
riferimento ontologici che esse non possono soddisfare. esse tendo-
no all’essere (come reale) e diffidano di esso (come intelligibile), per
ripiegarsi sul fenomeno sensibile, in modo che, per costituirsi secon-
do il loro tipo epistemologico puro, sono in un certo senso costrette
a procedere controcorrente rispetto l’intelligenza» (VI, p. 63). Inoltre
precisa: «le teorie scientifiche riguardano l’osservabile e il misurabi-
le come tale, non riguardano l’essere in quanto intelligibile» (IX, p.
949), ma non bastano a loro stesse, non esauriscono il sapere, richie-
dono di essere integrate. Questo appello all’essere ha un significato
ben preciso: «Quello che agli occhi di Meyerson era un postulato rea-
lista della scienza, e che agli occhi di un metafisico tomista è una verità
filosofica ben fondata, cioè che le cose o gli oggetti da conoscere esi-
stono indipendentemente dalla conoscenza che ne abbiamo, questo
assioma del realismo, a nostro avviso vale per la psicologia come per le
altre scienze» (VII, p. 63). ci troviamo di fronte a quella giuntura che
riporta, per vie diverse, spiritualisti e tomisti su posizioni di realismo.
Ma gli spiritualisti non vanno oltre la constatazione di una realtà,
che la conoscenza fenomenologica della natura non riesce a raggiun-
gere, mentre i filosofi della nuova scolastica ritengono che sia possi-
bile questa conoscenza noumenica della realtà. Maritain cita questi
testi di Meyerson: «lo scienziato attuale non può indicare l’essen-
za del reale. Questo, anzi, è ciò che distingue il suo atteggiamento
da quello del suo predecessore materialista e, più ancora, da quel-
lo del fisico medievale: egli non afferma più di giungere veramente
all’essere reale, il quale, al contrario, gli appare come avvolto in un
profondo mistero» (IV, pp. 550-551). lo scienziato ha «il senso di
trovarsi davanti a un enigma ad un tempo meraviglioso e sconvol-
gente. egli lo contempla con un rispetto quasi timoroso e che, forse,
presenta qualche analogia con quello che il credente prova dinanzi
ai misteri della sua fede» (IV, pp. 561-562). Meyerson riconosce che
lo spazio matematico della scienza moderna non è lo spazio reale,
ma non riconosce l’intelligibilità dell’essere, perché «restando, no-
nostante tutto, razionalista, concepisce il processo razionale secon-
do lo schema eleatico» (IV, p. 36).
234 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Maurice Blondel

accanto a questi spiritualisti laici ci sono anche gli spiritualisti


cristiani. Maritain si sofferma in particolare su Maurice Blondel120,
con il quale ha rapporti personali, qualche volta molto conflittuali,
come documenta la loro corrispondenza121. la filosofia di Blondel si
muove lungo una linea che trova le sue radici in sant’agostino e in
pascal, ma ne rappresenta una deviazione. Maritain dedica a questo
filosofo un lungo capitolo di Riflessioni sull’intelligenza (III, pp. 93-
161), l’articolo Esperienza mistica e filosofia (XVI, pp. 356-363) e un
paragrafo in La filosofia cristiana (V, pp. 232-239). la speculazione
di Blondel è molto originale e personale, parte da un’impostazione
psicologica e giunge ad una costruzione metafisica ardita e nuova.
Blondel sostiene un’aspra battaglia per affermare il suo pensiero, già
compiutamente espresso nella sua prima opera, L’azione, che resta il
suo capolavoro perché, cercando un raccordo tra la filosofia e la re-
ligione, tra il pensiero moderno e il cristianesimo, non era ben visto
dai cattolici tradizionalisti e dai pensatori laici. non bisogna però
dimenticare che la diffidenza verso il suo sistema è stata alimentata
dal suo discepolo e compagno di impresa l. laberthonnière, il cui
pensiero sfocia nel modernismo e nell’immanentismo. Blondel sa
restare fuori dalla rissa e continuando e approfondendo la sua spe-
culazione completa il primo scritto con Il pensiero, in cui esamina il
problema gnoseologico, e con L’Essere e gli esseri, nel quale elabora
una metafisica pluralistica. a coronamento di questa trilogia esce
postumo il volume La filosofia e lo spirito cristiano.
nella conoscenza, secondo Blondel, è coinvolta anche la volon-
tà. I filosofi si sono sempre impegnati su due problemi distinti, ri-
guardanti l’uno la vita, cioè il problema morale, e l’altro l’essere,
cioè il problema gnoseologico; secondo Blondel questi due proble-
mi non si possono scindere. L’azione è il loro punto di unione, per-
ché l’azione non esclude il pensiero, anzi lo esige, ma lo vuole vitale,
attivo, capace di uscire dall’astrattezza per concretizzarsi nella vita.

120
Maurice Blondel (1861-1949), discepolo di l. ollé-laprune, insegna filosofia
prima all’Università di lille poi ad aix-en-provence. tra le opere: L’azione (1893), Il
pensiero (1934), L’Essere e gli esseri (1935), La filosofia e lo spirito cristiano (1944-1946).
121
Una parte della corrispondenza tra Blondel e Maritain si trova in l. stroo-
bants, Discussion sur l’intelligence, correspondance Blondel-Maritain, louvain 1977. cf.
anche p. Viotto, Maurice Blondel e il dibattito sulla filosofia cristiana, in Id., Grandi ami-
cizie, cit., pp. 30-33.
IV. Incertezze e speranze 235

Vi è uno squilibrio tra l’ideale e il reale, tra ciò che si vuole e ciò che
si realizza, tra il desiderio e la realtà, tra la volontà volente e la vo-
lontà voluta, che è quel tanto che siamo riusciti a realizzare. l’azio-
ne cerca di superare questo squilibrio, ma senza riuscirvi, perché la
volontà continuamente tende a superarsi e nulla la può soddisfare.
di fronte a questa lacerazione, si aprono due vie: o esiste un essere
Infinito capace di placare l’ansia dell’uomo e la vita si apre alla spe-
ranza, oppure non esiste questo essere e la vita diventa un tragico
ripiegarsi su se stessi, in un’infelicità metafisica. nella conoscenza
proviamo questa ansia, perché il pensiero pensante non trova mai
soddisfazione nel pensiero pensato, per cui la tensione verso l’essere,
verso l’oggetto, verso la verità, è un continuo superamento verso un
trascendente. così la filosofia, in virtù della sua ricerca, esige la re-
ligione; la ragione chiama la fede per poter raggiungere quel princi-
pio che è la spiegazione ultima dell’essere delle cose e degli uomini,
e del loro destino. Questo pensiero non è il pensiero astratto, ma è
un pensiero concreto che cerca la convergenza dell’universale col
particolare e la trova, al di là dello sdoppiamento tra soggetto e og-
getto, nell’azione.
Blondel contrappone alla conoscenza intellettuale, propria del-
la filosofia, che chiama conoscenza nozionale, una conoscenza reale,
sperimentabile nell’affettività, ma non provabile dall’intelligenza, e
le cui certezze non sono dimostrabili. Blondel identifica la cono-
scenza con l’ascetica e con la mistica, e finisce per confondere l’or-
dine naturale con l’ordine soprannaturale.
Maritain in Riflessioni sull’intelligenza (8) premette che «un to-
mista non può dimenticare la sinergia tra le virtù naturali e le virtù
soprannaturali, perché san tommaso non solo l’ha affermata, ma
analizzata meglio di qualunque altro» (III, p. 158) e presenta i due
diversi modi di conoscere: la conoscenza concettuale (filosofia) e
la conoscenza per modo di inclinazione (morale, poesia, mistica),
che Blondel confonde in un’unica conoscenza. «la conoscenza per
concetti, che egli chiama conoscenza nozionale, che è meglio chia-
mare concettuale e razionale, è la conoscenza propria dell’intelletto
umano, il più imperfetto di tutti gli spiriti, quella che, comportando
l’astrazione e l’attività discorsiva, ci costringe al difficile lavoro pro-
gressivo della ragione, ma che, elevandoci al di sopra di tutto l’ordi-
ne del particolare sensibile, è la sola a renderci capaci, allorquando
è perfettamente stabilita nelle necessità intelligibili, delle certezze
assolute della scienza e della dimostrazione; quella che ci procura
236 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

il più alto possesso del vero, che ci sia possibile nell’ordine natu-
rale, quella che ci permette di giungere per analogia, ma con totale
certezza, alla causa prima. che cosa ci dice Blondel a suo riguardo?
egli non si accontenta di mostrare le naturali imperfezioni di un tal
modo di conoscere, né i vizi che un cattivo uso del concetto può
comportare […], egli dichiara che questa conoscenza corrisponde
senza dubbio a un momento dello sforzo dell’intelligenza in cerca di
un reale più reale del reale apparente, ma afferma che quella stessa
conoscenza è incapace di soddisfare un tale desiderio e di mettere
la nostra intelligenza in possesso del suo proprio oggetto» (III, pp.
101-102). Maritain riporta alcuni testi di Blondel secondo cui il con-
cetto non è che un succedaneo, «l’intelligenza non può acconten-
tarsi di un cibo semivuoto come i concetti, né di rappresentazioni
approssimative, mentre è desiderosa di stabilità e di sicurezza, affa-
mata di presenza reale e di possesso; l’intelletto astratto o la ragione
discorsiva vive di mimetismo o di imitazione; la conoscenza nozio-
nale erige una architettura di simboli; ci tiene rinchiusi dietro un ve-
tro smerigliato, in un ambiente chiuso e artificiale. In breve, non è
ad essa che dobbiamo riservare il nome di intelligenza» (III, p. 102).
È la negazione del sapere concettuale come filosofia e di conseguen-
za anche dell’uso del sapere discorsivo nel sapere teologico, con la
confusione tra la teologia e la mistica.
Maritain passa ad ulteriori approfondimenti: «sappiamo che san
tommaso, allorché distingue la sapienza del teologo dalla sapienza
del contemplativo, ricorre alla celebre distinzione posta da aristotele
tra il giudizio per modo di conoscenza e il giudizio per modo di in-
clinazione (I, 1, 6, ad 3). per esempio, l’uomo, che ha in sé l’habitus
o la virtù della temperanza, giudicherà rettamente delle cose della
temperanza per modo di inclinazione, ossia consultando la propria
tendenza o disposizione interiore; e colui che è istruito nella scienza
morale potrà, quand’anche non fosse virtuoso, giudicare rettamente
di queste cose per modo di conoscenza, ossia considerando le ragio-
ni intelligibili, e potendo render ragione del proprio giudizio. così,
per le cose divine, il teologo, svolgendo razionalmente le conclusio-
ni virtualmente contenute nei principi della fede, ne giudicherà per
modo di scienza; il contemplativo, vivendo queste cose in se stesso
attraverso la carità, ne giudicherà per modo di inclinazione, grazie
al dono della sapienza… san tommaso riconduce questo giudizio
per modo di inclinazione a una certa simpatia affettiva o connatu-
ralità, compassio sive connaturalitas, la quale, avvicinando al sogget-
IV. Incertezze e speranze 237

to le cose divine, al punto di renderle come sue, gli permette in tal


modo di averne, senza discorso, una certa conoscenza. siffatta co-
noscenza per connaturalità amorosa, san tommaso la esclude accu-
ratamente dalla perfezione della conoscenza intellettuale in quanto
intellettuale; ma ricorre costantemente ad essa per spiegare la cono-
scenza mistica, dove precisamente l’intelligenza creata è da sola del
tutto insufficiente riguardo al suo oggetto, voglio dire riguardo a
dio raggiunto e gustato fino a un certo grado in maniera sperimen-
tale, e non più conosciuto soltanto attraverso l’analogia delle crea-
ture» (III, p. 104). Invece Blondel riduce tutta la conoscenza alla
conoscenza per connaturalità affettiva, rifiuta il filosofare come fat-
to intellettuale, non distingue l’ordine naturale della ragione umana
dall’ordine soprannaturale, della fede e dei doni dello spirito santo.
Maritain contesta a Blondel la pretesa di formulare una filoso-
fia cattolica e scrive in Scienza e saggezza (24): «per quanto io possa
comprendere la sua posizione, ritengo che egli rivendichi alla filoso-
fia il titolo di cattolica, senza ammettere che questo titolo dipende
da un’influenza positiva esercitata dalla rivelazione e dalla teologia
sulla filosofia. È proprio in quanto filosofia, e in ragione delle esi-
genze del suo specifico sviluppo, che essa sarebbe cattolica, perché
essa scoprirebbe in se stessa delle impossibilità a raggiungere il reale
alle quali potrebbe portare rimedio solo una conoscenza per con-
naturalità, e delle lacune che invocano la fede» (VI, pp. 90-91). per
Blondel la ragione stessa, e per se stessa, tende al soprannaturale, e
non ha «da costruire nella sua propria sfera una saggezza naturale.
ammettere la possibilità di una tale saggezza sarebbe adorare un
idolo!» (VI, p. 2). Viene così del tutto negata la possibilità stessa
di una saggezza filosofica a livello dell’intelligibilità dell’essere. per
Maritain la riflessione di Blondel è un’apologia che pretende di esse-
re una filosofia, una deviazione che pascal ha evitato. ne I gradi del
sapere (17) c’è un testo molto chiaro: «Il pensiero di pascal può esse-
re liberato dagli errori che vi farebbe insorgere una trasformazione
in sistema filosofico, perché pascal, apologista e mistico, trascende
quasi costantemente la filosofia. Invece la sistemazione filosofica in
cui il pensiero di Blondel ha preso forma gli è essenziale» (IV, p.
1078). pertanto «l’ordine nel quale il pensiero di Blondel può trova-
re il suo vero posto è l’apologia» (IV, p. 1077). Infatti «nell’apologia
vivente e pratica, nell’arte di volgere gli spiriti verso il dio della sal-
vezza e di prepararli all’atto di fede, l’oggetto che la ragione vuole
fare riconoscere è un oggetto soprannaturale. Qui le dimostrazioni
238 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

della ragione non hanno la loro efficacia se non mirando a rettifica-


re la volontà e a condizione di essere sostenute dalla grazia, sovente
anche da qualche pregusto delle grazie mistiche. Qui l’uomo, posto
davanti al suo fine ultimo, comprende che nessuna azione ha senso
per lui senza la religione» (XVI, p. 357).
tutta la filosofia blondeliana diventa una prova dell’esistenza di
dio, una prova integrale, che unisce le due prove fin qui date, quella
dei filosofi, che salgono a dio per la via del freddo ragionamento e
concludono nell’esistenza necessaria di un pensiero trascendente, e
quella dei santi, che salgono a dio dal loro cuore, dal loro intimo,
per scoprire un dio di amore che resta però oscuro: occorre salire a
dio con tutto l’essere, con il pensiero e con la vita, e questo è possi-
bile con l’azione che alla fine pone un dio, che è pienezza di pensie-
ro e di vita, nella sua pienezza di essere. l’azione non ha quindi un
significato psicologico, come dramma della coscienza, ma è la legge
universale degli esseri, che non sono statici, ma dinamici, in farsi, in
tensione verso un essere che li trascende, li fonda e li attira a sé. Bi-
sogna distinguere tra essere ed esistere: gli esistenti non hanno l’es-
sere in proprio, ma lo hanno partecipato da un essere trascendente
che ha l’essere in proprio. tra gli esistenti l’uomo è l’essere che mag-
giormente si avvicina all’essere primo, perché si eleva sulle cose co-
me persona, e ha una tensione di partecipazione verso l’essere; ma
non può assurgere all’essere soprannaturale al quale tende se non
interviene un aiuto soprannaturale da parte di dio cioè la grazia.
Maritain non contesta a Blondel la sua fede viva, il suo amore
per il Vangelo, nemmeno molte idee, che condivide, ma precisa che
«la loro sistemazione filosofica, l’organizzazione che è loro data in
un corpo di dottrina, produce un insieme falso e pieno di perico-
li, perché la logica interna di un tale sistema tende ad integrare nel
tessuto essenziale della filosofia elementi che postulano il sopranna-
turale e nel contempo ad affermare l’incapacità dell’intelligenza a
bastare a se stessa davanti all’oggetto della filosofia» (XVI, p. 356).
È interessante rilevare che lo stesso Maritain ritiene che a livello di
filosofia pratica la ragione abbia bisogno della fede per conoscere
l’oggetto della sua ricerca, l’uomo nella sua condizione esistenzia-
le di uomo peccatore che solo la grazia può salvare, ma precisa che
questa filosofia morale adeguatamente presa (VI, pp. 180-214) tratta
filosoficamente e non teologicamente i dati ricevuti dalla teologia, e
che la filosofia teoretica non ha bisogno di conoscere questi dati per
raggiungere il suo oggetto (cf. La filosofia cristiana [19] e Scienza e
IV. Incertezze e speranze 239

saggezza [24]). Maritain conclude la sua polemica con Blondel: «esi-


ste una bella differenza tra l’affermare che la filosofia non basta e il
costruire una filosofia dell’insufficienza» (V, p. 237).
a Lucien Laberthonnière122, direttore degli «annales de philo-
sophie chrétienne», rivista che fiancheggia il movimento moderni-
sta, Maritain dedica poche righe in La filosofia bergsoniana (1) per
rilevare che la sua posizione a riguardo della filosofia della religione
può essere paragonata a quella di William James (I, p. 390) e che se
è vero che bisogna filosofare con tutta l’anima, è pure vero che solo
con l’intelligenza si può fare filosofia. laberthonnière approfondisce
la nozione di persona come esperienza totale appresa da ravaisson,
considera la fede come un atto di responsabilità personale e su que-
ste basi scrive nel 1901 il trattato Teoria dell’educazione che Mounier
nel suo Il personalismo (1949) considera il classico della pedagogia
personalista. In laberthonnière viene svalutata l’intelligenza e so-
prattutto, come in Blondel, non si fa distinzione tra il piano della
natura e quello della soprannatura, cioè tra libertà dell’uomo e la
grazia di dio, che integra, rafforza, sopraeleva la libertà ma non la
sostituisce.

John Henry Newman

In Inghilterra lo spiritualismo trova la sua espressione più signi-


ficativa in John Henry Newman123, un sacerdote della chiesa anglica-
na, assistente degli studenti al saint Mary’s college che nel 1933 con
alcuni amici fonda un gruppo di studio sulle tradizioni religiose, chia-
mato Movimento di Oxford. I suoi studi sulla patristica alla ricerca del
rapporto tra la verità e la tradizione, e di conseguenza tra ortodossia
ed eresia, lo conducono, dopo una lunga crisi, alla chiesa cattolica;
nel 1948 diventa sacerdote e fonda la prima comunità inglese dell’o-
ratorio. la sua filosofia, ermeneutica dell’atto di fede, inteso come
impressione nello spirito dell’uomo di un’idea vivente che informa
prima il sentimento e l’azione e solo dopo l’intelligenza, si sviluppa

122
lucien laberthonnière (1860-1932), sacerdote della congregazione dell’ora-
torio. tra le opere: Saggi di filosofia religiosa (1903), Il realismo cristiano e l’idealismo
greco (1904).
123
John Henry newman (1801-1890), anglicano poi convertitosi al cattolicesimo,
nominato cardinale da leone XIII. tra le opere: Saggio sullo sviluppo della dottrina cri-
stiana (1848), Saggio sulla grammatica dell’assenso (1870), Diario spirituale (postumo).
240 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

su di una linea platonico-agostiniana. Maritain ricorda questo testo


dalla sua autobiografia: «non ho mai peccato contro la luce» (IX, p.
1131) e a riguardo degli studi universitari in Per una filosofia dell’edu-
cazione (53) cita, approvandole, queste due osservazioni: «l’universi-
tà è il luogo dove si insegna la conoscenza universale» (VII, p. 859),
per cui se non insegna anche la teologia «una tale istituzione tradisce
proprio quello che professa di servire, se c’è, dio» (VII, p. 866). sia
newman che Maritain ritengono che il fine primario dell’educazione
non sia la socializzazione e la preparazione al mondo del lavoro, come
ritiene dewey, ma la piena realizzazione della persona attraverso un
educazione liberale attraverso le lettere e le arti.
Maritain fa pochi riferimenti allo spiritualismo in Germania, che
si sviluppa in una sorta di contaminazione con l’esistenzialismo e la
fenomenologia. accenna a romano Guardini, filosofo e teologo te-
desco di origine italiana che ha avuto modo di incontrare a salisbur-
go nel 1931, e a erich przywara, filosofo e teologo polacco. Romano
Guardini124 considera la conoscenza come una relazione viva di un
soggetto vivo verso un oggetto concreto e il fenomeno è il chiarirsi di
un’essenza. siamo in una prospettiva di realismo, più letteraria che
filosofica, perché non sempre approda ad una precisa concettualiz-
zazione. Guardini analizza l’uomo nella sua soggettività irripetibile,
per cui «non posso essere sostituito da nessun’altro, perché sono uni-
co», come scrive in Mondo e persona. Erich Przywara125 fa conosce-
re sul continente il pensiero di newman, studia sant’agostino, Kant,
Kierkegaard, cerca l’analogia dell’essere e approfondisce l’analisi del
rapporto immanenza-trascendenza, cioè la relazione tra dio e le crea-
ture, concludendo che solo la grazia può risolvere questa relazione tra
l’uomo e dio. per Maritain «solo con una rinascita in Germania del
pensiero di san tommaso, lo sforzo riguardevole sostenuto da pensa-
tori come Guardini e przywara con il loro acuto senso dei bisogni del
pensiero moderno potrà ottenere risultati durevoli e produrre una re-

124
romano Guardini (1885-1968), ordinario di filosofia della religione a Berlino
(1923-1939), a tubinga (1945), a Monaco (1948). l’opera completa in lingua italiana è
in corso di edizione presso la Morcelliana (Brescia). cf., su di lui: l. negri, L’antropo-
logia di Romano Guardini, Jaca Book, Milano 1989; G.-H. Barbaro, Romano Guardini,
Morcelliana, Brescia 1998.
125
erich przywara (1889-1972), gesuita polacco la cui filosofia ha molto influen-
zato Hans Urs von Balthasar. tra le opere: Analogia entis, metafisica, la struttura origi-
naria e il ritmo cosmico (1932, 4 voll.), L’uomo, antropologia tipologica (1959).
IV. Incertezze e speranze 241

staurazione della metafisica, senza la quale, l’intelligenza della nostra


epoca rischia di costruire sulla acqua» (IV, p. 1130).
pochi riferimenti a Jean Guitton126, solo qualche rimando al suo
libro su Giovanna d’arco in La Chiesa di Cristo (63) a riguardo della
missione e del martirio della santa, anche se i due filosofi si sono in-
contrati a tolosa il 27 dicembre 1964 in occasione della visita di mons.
pasquale Macchi, inviato da paolo VI per alcune questioni in discus-
sione al concilio. si vedano i 4 memoranda sulla verità, sulla libertà
religiosa, sul laicato, sulla preghiera (XVI, pp. 1085-1131). Guitton
lavora sui rapporti tra il tempo e l’eternità, considera l’apertura del
tempo all’eternità la struttura stessa dell’essere; elabora un parallelo
tra renan e newman per rispondere al conflitto moderno tra ragione
e religione. tra il discepolo di pascal, non lontano dalle posizioni di
Bergson, e il discepolo di san tommaso un dialogo filosofico non era
possibile perché per Maritain si può fare filosofia solo con i concetti e
seguendo le regole della logica, altrimenti si fa letteratura.

3. Henri Bergson
Il più importanti dei maestri dello spiritualismo è di sicuro, co-
me riconosce la critica storica, Henri Bergson127, ma lo considero a
parte perché la sua influenza è stata notevole e persistente su Ma-
ritain, che deriva da lui lo spirito del suo filosofare, anche se la sua
filosofia, che ha appreso da san tommaso, lo ha portato ad una cri-
tica frontale del bergsonismo, distinguendo tra un bergsonismo di
intenzione e un bergsonismo di fatto. Maritain ha seguito quasi in
diretta, passo passo, lo svilupparsi della riflessione begsoniana da
L’evoluzione creatrice (1907) a Le due sorgenti della morale e della
religione (1932), commentandola nei suoi scritti, e inter-reagendo128.

126
Jean Guitton (1901-1999), docente di storia della filosofia alla sorbona, fu il
primo laico a prendere la parola al concilio Vaticano II, chiamato da Giovanni XXIII.
Opera ommia in 5 volumi, Ritratti (1966), Critica religiosa (1968), Giornale della mia
vita (1912-1971), Filosofia (1978); famoso il suo Testamento filosofico (1997).
127
Henri Bergson (1859-1941). Filosofo ebreo, docente al collège de France, si
contrappone al positivismo dei docenti della sorbona. accademico di Francia, riceve il
premio nobel nel 1928. durante l’occupazione nazista rinuncia a tutti gli incarichi. tra
le opere: Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), Materia e memoria (1896),
L’evoluzione creatrice (1907), Le due sorgenti della morale e della religione (1932).
128
cf. p. Viotto, Henri Bergson, un maestro perduto e ritrovato, in Id., Grandi ami-
cizie, cit., pp. 17-30.
242 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Il fatto che con Maritain la nuova scolastica abbia acquisito i risul-


tati positivi della modernità è dovuto all’influenza bergsoniana. nel
processo cognitivo bisogna raccordare l’oggettività della verità con
l’attività del soggetto, che non riceve un’impronta, non costruisce la
realtà, ma concepisce il concetto (IX, p. 259); nel processo operati-
vo bisogna raccordare l’oggettività della legge con la responsabilità
della coscienza, che non si limita ad applicare la legge, ma la formula
nella concretezza della decisione (V, p. 391).
Maritain ha dunque maturato e realizzato la sua vocazione filoso-
fica in dialogo con Bergson. a lui dedica non solo un’importante mo-
nografia, La filosofia bergsoniana (1), che ha avuto diverse edizioni con
aggiornamenti dal 1913 al 1948 ed è stata tradotta in inglese nel 1955,
e una raccolta di saggi nel volume Da Bergson a Tommaso d’Aquino
(37), ma fa continui riferimenti in tutte le sue opere, seguendolo nello
sviluppo della sua riflessione filosofica e nel suo avvicinarsi al cristia-
nesimo. Bergson non ha ricevuto il battesimo, ma nel suo testamento
lasciò scritto: «le mie riflessioni mi hanno portato sempre di più vici-
no al cattolicesimo, nel quale vedo il compimento dell’ebraismo. Mi
sarei convertito se non avessi visto prepararsi da alcuni anni l’ondata
formidabile di antisemitismo, che sta irrompendo sul mondo. Ma spe-
ro che un prete cattolico vorrà venire a recitare le preghiere alle mie
esequie. nel caso in cui questa autorizzazione non fosse accordata,
occorrerebbe rivolgersi ad un rabbino, ma senza nascondergli, e sen-
za nascondere a nessuno, la mia adesione morale al cattolicesimo»129.

L’intuizione

secondo Bergson, la realtà è un continuo divenire: la nostra in-


telligenza, con i suoi schemi astratti, non è in grado di coglierla nel
suo intimo, si limita a descriverla nei suoi aspetti superficiali, tra-
endo delle regole che sono utili per la vita pratica, funzionali ma
non vere. la metafisica, l’essere in se stesso, non è rappresentabile
da nessuna immagine, da nessun concetto; è però raggiungibile me-

129
cf. il lungo articolo Storia delle teorie sulla memoria (XVI, pp. 659-673), pub-
blicato da Maritain nella «revue de philosophie» nel 1904 per presentare il corso che
Bergson aveva tenuto al collège de France nell’anno accademico 1903-1904, e il post-
scriptum Durata e simultaneità (XVI, pp. 285-288) all’articolo La metafisica dei fisici e
la simultaneità secondo Einstein, pubblicato da Maritain nella «revue universelle» nel
1922.
IV. Incertezze e speranze 243

diante un’intuizione che ci fa comunicare con l’anima delle cose.


come in schopenhauer, la rappresentazione intellettuale non ci dà
che il fenomeno, l’intuizione invece raggiunge il noumeno. Bergson
si affianca a tutti gli altri irrazionalisti, che svalutano l’intelligenza,
per attribuire ad un’altra attività psichica la capacità gnoseologica.
Bergson, come pascal, contrappone lo spirito di geometria «di colo-
ro che vedono le cose nella prospettiva dello spazio», cioè con l’in-
telligenza, e lo spirito di finezza «di coloro che vedono le cose nella
prospettiva della durata», cioè l’intuizione (I, p. 526). premessa la
distinzione tra il tempo reale della filosofia e il tempo matematizzato
della scienza, Bergson constata che per i matematici il tempo è una
successione di parti, susseguenti e ben distinte le une dalle altre; ma
questo approccio porta ad una spazializzazione del tempo. Il tempo
è altra cosa, è una durata reale, vissuta dalla coscienza, nella quale
il passato e l’avvenire sono compresenti e noi li viviamo, continua-
mente rinnovandoci. la durata matematica è utile, ma è fittizia, la
vera durata è quella vissuta dalla coscienza. Bergson vuole costrui-
re, contro il materialismo dei positivisti, una metafisica della durata
reale, ma questa filosofia finisce per considerare il divenire come la
sostanza stessa delle cose, e si basa sull’intuizione psicologica esclu-
dendo l’intellezione intellettuale. Maritain osserva: «In essa, entro
certi limiti, ci troviamo di fronte a un’esperienza autentica. la dura-
ta appare come il movimento vissuto in cui, a un livello più profon-
do di quello della coscienza, i nostri stati psichici si fondono in una
molteplicità virtuale, ma tuttavia unica, e per mezzo del quale sen-
tiamo che avanziamo nel tempo, che duriamo mutando, in una ma-
niera indivisa e che tuttavia ci arricchisce qualitativamente e trionfa
sull’inerzia della materia. È questa un’esperienza psicologica che non
è ancora l’intuizione metafisica dell’essere, ma che avrebbe potuto
portare a questa intuizione, perché, racchiusa in questa durata psi-
cologica e in essa implicitamente data, vi è certamente l’esistenza,
l’irriducibile valore dell’esse. È dunque una via, un cammino verso
la percezione dell’esistenza. Ma questa non è ancora venuta allo
scoperto sotto la sua forma intelligibile propria» (V, pp. 577-578).
Maritain accoglie da Bergson il valore dell’intuizione, ma lo li-
bera dalle scorie psicologiche in cui Bergson lo immerge, e considera
la percezione astrattiva di aristotele come un’intuizione dell’essere.
nelle Sette lezioni sull’essere (21) analizza questa intuizione: «Una
percezione diretta, immediata, non nel senso tecnico, che gli antichi
attribuivano al termine intuizione, ma nel senso che possiamo rece-
244 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

pire dalla filosofia moderna. si tratta di una visione semplicissima,


al di sopra di ogni discorso e di ogni dimostrazione, perché essa è
all’origine delle dimostrazioni, una visione della quale non c’è pa-
rola esternata dalla voce, o parola di qualsiasi linguaggio, che possa
esprimere pienamente e adeguatamente la ricchezza e le virtualità, e
dove, in un momento di emozione decisiva simile a fuoco spirituale,
l’anima entra in un contatto vivo, trafiggente, illuminante, con una
realtà che essa afferra e da cui viene afferrata. ebbene, affermiamo
che è proprio l’essere a procurare tale intuizione. I caratteri dell’in-
tuizione sembrerebbero, a tutta prima, corrispondere all’intuizione
bergsoniana. È vero; ma quest’ultima si presenta come un’intuizio-
ne non di natura intellettuale. ora, noi diciamo che è l’essere, che è
per eccellenza oggetto di intuizione, però oggetto di intuizione in-
tellettuale. siamo in realtà molto lontani dal bergsonismo. l’essere
procura una tale intuizione non già a quella specie di simpatia di cui
parla Bergson, la quale esige una torsione della volontà su se stes-
sa; è invece all’intelligenza che l’essere procura l’intuizione stessa, e
per mezzo di un concetto, di un’idea […]. È nel momento in cui,
insieme al reale, proferisce entro di sé un verbo mentale, che l’intel-
ligenza raggiunge immediatamente l’essere in quanto essere, ogget-
to del metafisico» (V, pp. 574-575). Maritain riconosce l’importanza
dell’intuizione, a cui dedica uno dei suoi ultimi articoli nel 1970130,
e osserva che «molte delle critiche di Bergson contro l’intelligenza,
riguardavano non tanto l’intelligenza, quanto l’uso dialettico di que-
sta» (XI, p. 452). Intanto il soggetto ha trovato il suo ruolo nella per-
cezione dell’oggetto che, come concetto, non viene impresso come
uno stampo, ma formulato dall’intelletto attivo del soggetto.

L’evoluzione creatrice

per Bergson l’essere è un divenire continuo, sempre nuovo, in


evoluzione creatrice, grazie ad uno slancio vitale, che permea e anima
la materia. l’essenza profonda degli esseri è la vita; tutta la natura è
un immenso sforzo verso l’affermarsi dello spirito, dell’intelligenza,
della libertà. In questo divenire c’è un continuo progresso, non per
uno sviluppo deterministico, come nel positivismo, bensì per un’e-

130
cf. J. Maritain, Nessun sapere senza intuizione, in Approches sans entraves: scrit-
ti di filosofia cristiana (64).
IV. Incertezze e speranze 245

voluzione creatrice di forme sempre nuove. Quando lo slancio vitale


si arresta, si ha la morte, la materia, che il sopraggiungere di un nuo-
vo slancio vivifica, dando origine alla materia organica. due sono i
mezzi con cui lo slancio vitale plasma il mondo: l’istinto che raggiun-
ge perfettamente il suo scopo, ma lo ignora e non può oltrepassar-
lo, e l’intelligenza, meno perfetta dell’istinto rispetto al suo oggetto,
ma non chiusa in esso, capace di superarlo. tra le due forze non c’è
soluzione di continuità, perché fra loro c’è uno scarto invalicabile.
c’è una finalità nella natura, non nel senso antico o medioevale, di
un fine a cui corrispondono mezzi preordinati, ma nel senso che la
natura sa dove tendere, pur non conoscendo in anticipo le sue vie, e
perciò procede per tentativi sempre nuovi, fino a raggiungere il suo
scopo. Questa evoluzione non è prodotta dall’ambiente, o un effetto
del caso, deriva da un impulso interiore verso la vita. Bergson supera
il determinismo dei positivisti, ma l’ordine finalistico che riconosce
non è altro che l’incontro di due movimenti semplici: il movimento
della vita, o dello slancio creatore, e il movimento della materia che
gli resiste. Maritain rileva che se non si distingue una causa finale e
una causa formale, trascendenti il divenire, l’ordine risulta un sem-
plice assemblaggio di parti. al limite dell’evoluzione Bergson po-
ne l’eternità, ma senza separarla dall’evoluzione stessa, perché «tra
dio e il mondo non c’è che una differenza di grado o di intensità, o
di tensione, o di restringimento nella durata; ciò non farà mai una
differenza autentica di natura o di essenza» (I, p. 324). In realtà nel
Bergson dell’Evoluzione creatrice l’esistenza di dio «resterà sempre
irrimediabilmente ipotetica» (I, p. 312).

La morale e la religione

Maritain ha seguito tutto lo svilupparsi della filosofia di Bergson,


la cui ultima fase si colora di spiritualità religiosa ne Le due sorgenti
della morale e della religione. la natura vuole continuare se stessa e
comanda agli individui il rispetto delle leggi che la conservano. la
natura governa gli animali con l’istinto, a cui questi non possono
sfuggire, e l’uomo con l’intelligenza, che va ubbidita liberamente.
così nell’uomo nasce la costrizione morale, il dovere di rispettare
le regole sociali. Ma l’uomo non può accontentarsi di questa morale
sociologica, che è una morale chiusa, che mira solo a conservare lo
stato sociale, subordinando l’individuo alle norme della comunità.
246 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

In questa situazione non c’è posto per la persona umana. Ma con


il sorgere di uomini eccezionali, la cui coscienza si pone al di sopra
delle leggi dell’ambiente, che sono capaci di liberarsi dalle finalità
sociali, seguendo non più il meccanismo dell’intelligenza, ma la li-
bertà dell’intuizione, nasce una morale aperta, quella dei santi, dei
saggi, degli eroi. come vi sono due morali, così vi sono pure due re-
ligioni. c’è una religione statica, imperfetta, naturale, politica, con-
servatrice, che pone dio al fine della vita per garantire l’immortalità
dell’individuo. Ma accanto a questa religione c’è una religione dina-
mica, che sale a dio non freddamente, quasi costretta dall’intelligen-
za, ma con tutto il cuore, e che scopre un dio abisso d’amore, che ha
fatto il mondo per amore e che attende gli uomini nel suo amore, ed
è la religione dei mistici e dei santi.
Maritain dedica a quest’opera un intero capitolo della Storia della
filosofia morale (57). parte da questa affermazione di Bergson: «È da
escludere che si possa fondare la morale sul culto della ragione» (XI,
p. 965); e subito precisa che in Bergson non c’è traccia di filosofia
morale come sapere riflessivo, perché «quello che Bergson intende
esprimere è che la morale e la filosofia morale presuppongono come
loro sorgenti costitutive forze che non dipendono dalla ragione ma
dalla vita, dal principio della vita: da una parte un mondo infrarazio-
nale e inframorale, che è essenzialmente di ordine sociale, e dall’al-
tra un mondo sovrarazionale e sovramorale, che è essenzialmente
di ordine mistico. la nostra morale, e i nostri diversi sistemi più o
meno intellettualistici di filosofia morale, sono una razionalizzazione
nella quale sul piano dei concetti e della logica questo infraraziona-
le e questo sovrarazionale si frammischiano e si compenetrano e si
influenzano reciprocamente, e in cui il primo trasmette al secondo
qualcosa della sua forza di costrizione, e il secondo sparge sul primo
qualcosa del suo profumo. così l’uno e l’altro perdono, per il filoso-
fo che si tiene sul piano dei concetti, la loro virtù propria; la conser-
vano, però, per l’uomo che agisce, nel quale, al di sotto e al di sopra
di questo piano, le sorgenti vive e le due morali esercitano sempre il
loro potere» (XI, p. 966). a Bergson interessa l’analisi della coscien-
za morale e non la ricerca intellettuale della natura dell’atto morale,
e riscontra delle pressioni, che provengono dall’ambiente sociale, e
delle aspirazioni, che provengono dall’appello di anime superiori; le
prime danno origine alla morale chiusa del conformismo sociale, le
seconde alla morale aperta della esperienza mistica. Maritain osserva
che la vita morale è così avvolta in «un duplice involucro, l’uno infra-
IV. Incertezze e speranze 247

morale di per sé e l’altro sovramorale» (XI, p. 971), per cui quella di


Bergson «non è una morale esclusivamente filosofica» (ibid.) perché
si muove tra sociologia e mistica. Maritain constata che «Bergson
non poteva evitare una specie di ambiguità che, per quanto varie ne
siano le forme, consiste fondamentalmente nel comprendere in una
stessa nozione cose che, quando ci si mette a chiarire e a distinguere
con più precisione, si rivelano attinenti ad ordini differenti» (XI, p.
973). Manca una distinzione chiara tra morale e religione, tra natura
e soprannatura, e non c’è alcun riferimento al diritto naturale. pur
non fondandosi sul sentimento, la morale di Bergson, muovendosi
tra coercizione sociale e attrazione mistica, non può fondare l’obbliga-
zione morale. «attrazione o coercizione, emozione sovraintellettua-
le o costrizione quasi istintiva, queste forze esercitano su di noi una
causalità fisica, non ci legano moralmente in virtù di quello che la
coscienza vede, non riguardano in nulla quel potere posseduto dal
giudizio di coscienza di vincolare nell’ordine puramente morale una
volontà, che resta fisicamente libera di sfuggirgli» (XI, p. 988).
Maritain precisa come l’obbligazione morale nasca dalla rela-
zione tra l’intelletto e la volontà: «ecco l’obbligazione morale auten-
tica: in essa la forza che mi vincola non è in alcun modo qualcosa che
eserciti su di me una qualche causalità fisica, pressione o aspirazio-
ne, costrizione della società o attrazione dell’amore creatore. Questa
forza è puramente quella della conoscenza intellettuale condizio-
nante l’esercizio del volere. essa dipende non dalla causalità finale
ma dalla causalità formale, ed è passando per il volere, e in virtù della
natura stessa del volere, che è necessitante» (XI, p. 993). a Bergson
manca il concetto di bene. «Il bonum honestum, la qualità di un atto
eticamente buono in virtù di quello che è, o della sua relazione con
quello che è l’uomo, indipendentemente da ogni considerazione di
vantaggio o di utilità, come di piacere, indipendentemente anche da
tutte le pressioni, che possono pesare su di noi, e da tutte le emo-
zioni e aspirazioni, che possono sollevarci, il bene come rettitudine,
anche questo è notevolmente assente dalla morale di Bergson quan-
to da quella di dewey» (XI, p. 990). ciò detto, Maritain riconosce
a Bergson il merito «di opporre all’amore mancato che l’altruismo
ateo ci propone, l’amore autentico per tutti gli uomini attraverso
dio e con dio» (IX, p. 1004), ma questa è una sovramorale che in-
clude elementi di un altro ordine. anche Maritain ritiene che una
morale puramente razionale non sia adeguata ad indirizzare l’uomo
verso il suo fine ultimo, che è soprannaturale, e ha elaborato una fi-
248 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

losofia morale adeguatamente presa, che tiene conto dei dati forniti
dalla fede, ma che tratta a livello filosofico (cf. La filosofia cristiana
[19] e Scienza e saggezza [24]). Maritain riconosce a Bergson il me-
rito di averlo posto sulla strada di questa filosofia morale adeguata:
«Bisogna concludere che quanto Bergson ci propone in realtà e ha
introdotto per la prima volta nel campo del sapere filosofico è allo
stato incoativo ancora e senza che essa stessa si dichiari ancora espli-
citamente per tale, una filosofia morale adeguatamente presa, o una
filosofia che fa suoi i dati concernenti l’esistenza umana ricevuti da
una conoscenza superiore. e di questo, chiunque abbia una giusta
idea della filosofia morale, gli deve una speciale gratitudine» (XI, p.
972). si tratta di distinguere e di connettere riflessione filosofica ed
esperienza mistica.

La politica e l’estetica

Bergson non ha scritto un trattato di filosofia politica, ma ne Le


due sorgenti della morale e della religione si hanno diverse intuizio-
ni sulla società chiusa e sulla società aperta che anticipano quelle
di Karl popper. In una nota Maritain osserva: «Bergson ha rilevato
che storicamente il sentimento democratico ha un fondamento cri-
stiano. Ma sotto l’influenza del razionalismo e del materialismo le
democrazie moderne hanno rinnegato questa base evangelica» (VII,
p. 1160). In Cristianesimo e democrazia (35) scrive: «come Bergson
ha dimostrato nelle sue profonde analisi, è stato lo slancio di un
amore infinitamente più forte della filantropia predicata dai filosofi,
in quanto esso è la manifestazione in noi dell’amore creatore degli
esseri e rende veramente ogni essere umano nostro prossimo, a far
valicare all’abnegazione umana le frontiere chiuse dei gruppi sociali
naturali, gruppo familiare e gruppo nazionale, allargandola a tutto il
genere umano. senza spezzare i vincoli di carne e di sangue, di inte-
resse, di tradizione e di fierezza, necessari al corpo politico, e senza
distruggere le leggi severe della sua esistenza e della sua conservazio-
ne, un tale amore, esteso a tutti gli uomini, trascende e contempora-
neamente trasforma dall’interno la vita propria del gruppo e tende
a riunire l’intera umanità in una comunità di nazioni e di popoli in
cui gli uomini siano riconciliati. poiché il regno di dio non è avaro,
la comunione, che è il suo privilegio soprannaturale, non è da dio
conservata gelosamente: egli vuole che si diffonda e si rifranga al di
IV. Incertezze e speranze 249

fuori dei limiti del suo regno, sotto forme imperfette, in quell’uni-
verso di conflitti, di malizia e di amara fatica che è il dominio tempo-
rale. In ciò è il principio più profondo dell’ideale democratico, che
è il nome profano dell’ideale cristiano. ed è per questo che Bergson
scrive: “la democrazia è di essenza evangelica e ha l’amore come mo-
tivo determinante”. da ciò appare evidente che l’ideale democratico
va in direzione opposta alla natura, la cui legge non è l’amore evan-
gelico. “Furono false democrazie le antiche città fondate sulla schia-
vitù, libere per mezzo di questa iniquità fondamentale dai problemi
più gravi e angosciosi”. la democrazia è un paradosso e una sfida
alla natura, alla natura umana ingrata e ferita» (VII, pp. 739-740).
In L’uomo e lo Stato (46) Maritain cita questo testo di Bergson:
«dalla società chiusa alla società aperta, dalla città all’umanità, non
si passerà mai per via di allargamento, perché non sono della me-
desima essenza» (IX, p. 724) e commenta: «distinguendo tra società
chiuse, che sono temporali e terrene, e la società aperta, che è spiritua-
le, Bergson ha mostrato come il genere di amore che unisce i mem-
bri del villaggio o della città possa estendersi da una società chiusa a
un’altra più vasta; ma che se vogliamo arrivare all’amore dell’umani-
tà intera, allora si tratta di passare da un ordine ad un altro, dall’or-
dine delle società chiuse all’ordine, infinitamente differente, della
società aperta e spirituale, in cui l’uomo è unito a quell’amore che
ha creato il mondo» (IX, p. 724).
Ma Bergson oppone la città chiusa e la città aperta, mentre bi-
sogna distinguerle, senza confonderle, perché anche la città chiusa
ha una sua anima, che è l’amicizia civile. Maritain precisa: «si trat-
ta di passare da un ordine a un altro: dall’ordine di società chiusa
all’ordine, infinitamente differente, della società aperta e spirituale,
in cui l’uomo è unito a quell’amore stesso che ha creato il mondo.
tutto questo è vero. Ma anche qui la semplice considerazione dello
sviluppo in estensione è solo accidentale. se gli uomini devono pas-
sare dalle nostre attuali società politiche a una società politica mon-
diale, passeranno a una società chiusa più vasta, vasta quanto tutto
l’insieme delle nazioni, e l’amicizia civica dovrà estendersi in ugual
modo. l’amicizia civile resterà ancora infinitamente differente dalla
carità, come la società mondiale resterà infinitamente differente dal
regno di dio» (IX, pp. 724-725). Manca in Bergson la distinzione
tra il piano naturale e il piano soprannaturale.
anche nelle opere di estetica di Maritain vi sono molti riferimenti
a Bergson. In Arte e Scolastica (2) si supera ogni forma di intellettua-
250 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

lismo e di accademismo riconoscendo che l’opera d’arte germina nel-


le profondità della vita dello spirito, nasce da «una visione semplice,
benché virtualmente molto ricca di molteplicità, dell’opera da fare,
colta nella sua anima individuale; una veduta che è come un germe
spirituale o una ragione seminale dell’opera e che assomiglia a ciò che
Bergson chiama intuizione e schema dinamico, che interessa non solo
l’intelligenza, ma anche l’immaginazione e la sensibilità dell’artista,
che risponde ad una certa sfumatura unica di emozione e di simpatia e
che, a causa di ciò, è inesprimibile in concetti» (I, p. 753). Questo non
significa che il poeta e l’artista non siano consapevoli della loro emo-
zione creatrice: «l’intuizione poetica nasce nell’inconscio, ma emerge
da esso; il poeta non è all’oscuro di questa intuizione, al contrario essa
rappresenta per lui la luce più preziosa e la regola fondamentale del-
la sua virtù d’arte. Ma ne è consapevole sur le rebord de l’inconscient
[sul bordo dell’inconscio], come avrebbe detto Bergson» (X, p. 216).
se Bergson si limita a constatare che la creazione artistica avviene sul
bordo dell’inconscio, Maritain precisa che questo inconscio risulta
dalla interrelazione tra l’inconscio sovraconscio di cui parla platone e
l’inconscio subconscio di cui parla Freud.

Ideosofia e filosofia

Maritain ha appreso molto da Bergson, ma, quando si è accorto


degli errori in cui cadeva, non ha esitato un momento a contestarlo,
come si è contrapposto ai suoi discepoli, soprattutto quando si è ac-
corto che scivolavano verso il modernismo. ne Il contadino della Ga-
ronna (61) scrive: «di tutti i pensatori – e grandi pensatori – la cui
discendenza si inizia da cartesio non metto in discussione né l’ecce-
zionale intelligenza, né l’importanza, né il valore, né, talvolta, il genio.
contesto loro solo una cosa, ma con tutte le mie forze e con la cer-
tezza di avere ragione, ed è, tranne naturalmente per ciò che riguarda
Bergson (e forse anche Blondel), il loro diritto al nome di filosofi. per
quanto si riferisce a loro, è un nome da spazzar via subito, non sono
filosofi; sono ideosofi: ecco il solo appellativo adatto, col quale convie-
ne chiamarli. di per sé non ha valore peggiorativo, designa semplice-
mente un’altra via di ricerca e di pensiero diversa da quella filosofica»
(XII, p. 803). la filosofia è amore della saggezza, ma si tratta della
saggezza dell’intelletto che si raggiunge nel concetto e che si elabora
con la ragione. non si può fare filosofia con l’azione, con la fede, con
IV. Incertezze e speranze 251

l’esperienza mistica. sta qui la radicale differenza tra i filosofi dello


spiritualismo e i filosofi della nuova scolastica.
concludo con alcune riflessioni da I grandi amici di raïssa Ma-
ritain, che è stata la testimone segreta e ammirata di questa relazione
fondamentale per la filosofia contemporanea: «Bergson ha defini-
to una dottrina psicologica della libertà, piuttosto che una dottrina
metafisica. Questa non può derivare che da una metafisica dell’in-
telletto e della volontà, e Bergson non ha cercato nei suoi lavori una
tale metafisica. la sua intuizione primordiale lo impegnava per altre
strade. Ma sul piano psicologico la dottrina bergsoniana della liber-
tà non è incompatibile con le conclusioni metafisiche di aristotele e
di san tommaso» (XIV, p. 704).

4. Il pensiero slavo-ortodosso
la russia è un mondo a sé stante, la sua cultura ha radici nel
mondo bizantino, che nemmeno la dittatura comunista è riuscita a
sradicare, la sua filosofia e la sua letteratura hanno una profonda
ispirazione religiosa, la sua teologia rimanda alla patristica, è manca-
ta una scolastica. Maritain vede in Fëdor Michajlovic Dostoevskij131
il più significativo rappresentante di questa cultura, che in Dialoghi
(V, pp. 730-758) presenta così: «Un giorno dostoevskij ha avuto
aperto gli occhi sul mondo spirituale da un tocco evangelico e ne è
rimasto per sempre turbato, perché le intuizioni del suo cuore non
hanno trovato da parte della sua intelligenza quelle pure certezze
che avrebbero dovuto equilibrarle. Intossicato dal suo tempo (e da
rousseau), non ha mai creduto che la ragione potesse fondare quel-
la distinzione tra il bene e il male a cui sottometteva il suo pensiero.
non sembra neppure che egli abbia preso chiaramente coscienza
della certezza essenzialmente soprannaturale di quella fede nel re-
dentore alla quale era legata la sua anima. la sua disgrazia sta nell’a-
ver posto una sorta di scisma tra l’amore e la sapienza, nel non aver
compreso che quest’ultima spira l’amore. egli stesso fu la prima vit-
tima del suo misconoscimento del cattolicesimo» (V, p. 744). Ma ve-
niamo ai filosofi, tra cui sono rilevanti anche alcuni pensatori ebrei.

131
Fëdor Michajlovic dostoevskij (1821-1881), scrittore noto per i romanzi Umi-
liati e offesi (1862), Delitto e castigo (1866), L’idiota (1869), I demoni (1873), I fratelli
Karamazov (1880).
252 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Lev Šestov132, richiamandosi a pascal, oppone il dio della reli-


gione al dio dei filosofi; per lui il peccato originale non deve essere
valutato in termini etici o metafisici, ma in termini gnoseologici, per-
ché legato alla concupiscenza del sapere, che genera la presunzione
di conoscere le essenze. Maritain commenta: «Šestov ha eroicamen-
te filosofato contro la filosofia e la sua polemica multiforme e con-
tinua contro l’intelligenza, che egli identificava nel serpente, il suo
irrazionalismo grandioso e ostinato rappresentano una forma estre-
ma del pensiero religioso ebraico e della protesta di Israele. con l’e-
nergia di un profeta della nostra epoca, roso dai dubbi e in lotta con
la disperazione, egli ha innalzato contro la ragione moderna, contro
la ragione greca, l’ardente accusa di un cercatore di dio, che non si
lascia trovare dal suo dio. ossessionato dal problema del male, co-
me Berdjaev, e convinto come lui che il deismo razionalista è il padre
dell’ateismo, quest’uomo dolce, dall’eloquenza accattivante, sfidava
l’onnipotenza e la libertà di dio chiedendo di attuare l’impossibile e
di fare in modo che il perdono del peccatore facesse sì che quanto è
stato commesso non fosse stato commesso» (VII, p. 27).
Maritain nel Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente (42), ri-
flettendo sull’esperienza di questi filosofi che si richiamano a Kierke-
gaard, osserva: «non pretendo affatto sostenere che la loro dottrina
sia stata più fedele alla Bibbia o al Vangelo di quella di altri pensa-
tori ebrei o cristiani, sono ben lungi da ciò. c’era in loro una spe-
cie di grandioso smarrimento, fatale per la dottrina, e la loro colpa,
gravida di conseguenze, è stata quella di credere che per glorificare
la trascendenza occorresse spezzare la ragione, mentre bisogna solo
umiliarla davanti al suo creatore e con ciò stesso salvarla. anche se la
colpa prima è di Hegel, il quale dichiarava che la filosofia era la scien-
za del bene e del male finalmente posseduta, non si può perdonare
a Šestov di avere identificato la ragione con il serpente. Il delirio è
permesso al profeta, non al filosofo» (IX, p. 127).
Maritain rivaluta la religiosità tragica dell’esistenzialismo esisten-
ziale dei filosofi russi, contro il pessimismo radicale dell’esistenziali-
smo accademico, dei filosofi occidentali, ricordando il suo amico ebreo

132
lev Šestov (1866-1938), professore all’Istituto di studi slavi di parigi. tra le
opere: L’idea del bene in Tolstoj e Nietzsche (1900), La filosofia della tragedia (1903), La
notte del Getsemani (1923), Kierkegaard e la filosofia esistenziale (1936), Atene e Geru-
salemme (1938).
IV. Incertezze e speranze 253

Benjamin Fondane133, «discepolo di Šestov ma abitato dal Vangelo»


(X, p. 1145), che in uno dei suoi scritti, pubblicato postumo dalla mo-
glie Geneviève, afferma: «per Kierkegaard e per la prima generazione
esistenzialista il nulla che l’angoscia ci rivela non è il nulla dell’esisten-
te, ma un nulla nell’esistente. È l’incrinatura dell’esistente: il peccato,
la sconfitta della libertà»134. È un’idea che troviamo in Dio e la permis-
sione del male (58) in cui si parla della disimmetria tra il bene e il male,
per cui l’analisi del male non può essere portata avanti in analogia con
l’analisi del bene, perché il male non è un essere, ma un non-essere,
una ferita nell’essere che va riparata per riequilibrare l’essere. I Mari-
tain furono molto vicini a Geneviève durante la deportazione in Ger-
mania del marito e la morte nelle camere a gas. Quando, dopo una
lunga malattia, muore anche Geneviève, ritornata alla fede ed entrata
nel monastero “la solitude”, Jacques annota nel suo Diario: «ancora
la tristezza, il lutto e la morte. Ho una pena profonda. oh grande ani-
ma generosa, vi siete donata al martirio come colui che amate, come
gli ebrei immolati nei campi di concentramento, sapendo cosa faceva-
te in unione con cristo redentore!» (6 marzo 1954).

Nikolaj Berdjaev

Molto più importante è il rapporto di Maritain con il filosofo


russo Nikolaj Berdjaev135, conosciuto nel 1925, per il comune ma-
estro Bloy, per il reciproco scambio di idee, malgrado le differenze
di carattere, di cultura e di impostazione filosofica. Maritain legge i
libri di Berdjaev, ne apprezza la rivalutazione del medioevo e la cri-
tica al rinascimento, utilizza in Umanesimo integrale le sue riflessioni
sul comunismo. si associa nella critica alla modernità e in un saggio
del 1926 scrive: «I fenomeni profondi rilevati dal filosofo russo, che
sostiene che noi entriamo in un’epoca storica completamente nuo-
va, in un nuovo medioevo. secondo lui questo periodo sarà marcato

133
Benjamin Fondane (1898-1944), poeta, filosofo e critico letterario ebreo di ori-
gine rumena, che critica la tradizione occidentale accusandola di intellettualizzare la
poesia facendola diventare un sottoprodotto della riflessione filosofica in Falso trattato
di estetica (1938).
134
B. Fondane, L’Existence, Gallimard, paris 1945, p. 35.
135
nikolaj Berdjaev (1874-1948), filosofo russo che, escluso dalle università per
ragioni politiche, ripara a parigi. tra le opere: La filosofia della libertà (1916), Il senso
della storia (1923), L’io e il mondo degli oggetti (1934), Cristianesimo e realtà sociale
(1947), Autobiografia spirituale (postuma).
254 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

dalla predominanza dei dibattiti spirituali, dal ritorno alla metafisi-


ca, in un quadro religioso fornito ai problemi più importanti. tutte
le grandi idee che hanno guidato i tre secoli precedenti, in partico-
lare il dogma del progresso, sono diventate obsolete» (XVI, p. 37).
È in questa prospettiva che Maritain scrive le sue prime opere, da
Antimoderno (1922) a Primato dello spirituale (1927). Berdjaev nella
sua Autobiografia spirituale (1949) ricorda: «avevo conosciuto Ma-
ritain fin da quando mi ero stabilito a parigi, nel 1925, tramite la ve-
dova di l. Bloy […]. Maritain è uno dei pochi francesi in cui ebbi
ad osservare assenza di nazionalismo, faceva ogni sforzo per evadere
dal campo della cultura latina e scoprire altri mondi, amava i russi,
li preferiva ai francesi […]. durante i primi anni alcune riunioni in
casa di Maritain lasciarono in me penosa impressione. Quelle di-
scussioni intorno al tomismo mi mozzavano il respiro, tuttavia Ma-
ritain continuava a piacermi. non era un granché come oratore, non
molto abile nel disputare, durante le discussioni mancava di pron-
tezza, non sapeva improvvisare, controbattere, poteva farlo soltanto
il giorno seguente. In ciò noi siamo notevolmente diversi: in me il
pensiero scorre molto rapido, posso di colpo orientarmi, controbat-
tere immediatamente […]. con l’andare del tempo il suo tomismo
si fece meno intransigente e meno fanatico […]. Quanto a me avevo
non poche prevenzioni nei confronti del tomismo e dell’ortodossia
cattolica, e contro tutti quelli che avversano il modernismo […]. In
me non c’è nulla di scolastico, io sono un libero pensatore, la mia
formazione filosofica deriva da Kant e dalla filosofia tedesca»136. poi
aggiunge: «Mai, nella mia filosofia, come nel corso della mia esisten-
za, ho accettato di assoggettarmi al potere di qualcosa di generale e
di universalmente obbligatorio, che trattasse come proprio mezzo
e strumento ciò che è individualmente personale e irripetibile. so-
no sempre stato a favore dell’eccezione e contro la regola. In que-
sto senso, la problematica di dostoevskij e di Ibsen è stata la mia
problematica morale»137. I due amici potevano incontrarsi sul piano
dell’analisi storica, si scontravano sulla metafisica, ad incominciare
dalla concezione della persona umana, che per Maritain è una so-
stanza, una realtà ontologica, mentre per Berdjaev non si può defi-
nire la natura della persona, che è vita e libertà, un’immagine di dio.
si tratta di un’“antropologia cristologica”, tanto che Berdjaev scrive:

136
n. Berdjaev, Autobiografia spirituale, Jaca Book, Milano 2006, p. 296.
137
Ibid., p. 98.
IV. Incertezze e speranze 255

«In cristo dio diventa persona e l’uomo stesso diventa persona»138,


identificando la persona con l’uomo nuovo di san paolo e non con-
fondendo teologia e filosofia.
Maritain esprime un giudizio complessivo sulla filosofia di Berdja-
ev in un breve testo, Aspetti contemporanei del pensiero religioso, rico-
noscendo che «in Berdjaev il mistero della fede, e si tratta della fede
operante nella ragione, occupa il posto centrale. Berdjaev non è un
teologo come Barth, è un filosofo e tutta la sua opera si pone sul pia-
no della filosofia cristiana, di una filosofia cristiana, che egli concepi-
sce in modo diverso dal mio […]. so bene che i giudizi che egli dà
sul tomismo sono spesso ingiusti e non penso affatto che sui primi
principi della metafisica lui e io potremo mai giungere ad un accordo.
Ma anche discutendo con lui si riceve sempre quel prezioso stimolo
che proviene dall’assoluta sincerità dello spirito in cerca dell’essere. È
nell’ordine della filosofia morale e sociale, e soprattutto della filoso-
fia della storia che egli ci dà, con un sistema etico ricco di esperienze
morali profonde, ma gravato da un irritante irrazionalismo, intuizioni
concrete e feconde, che gettano luce su molti dei più urgenti proble-
mi pratici del nostro tempo. Berdjaev è uno di coloro che pensano
ancora nel loro cuore, uno dei testimoni della libertà cristiana» (VIII,
pp. 25-26). secondo Maritain le riflessioni di Berdjaev sono più un
filosofare nella fede che una filosofia razionale, perché mancano di
una sicura concettualizzazione e non procedono con le necessarie ar-
ticolazioni della logica filosofica. a questo riguardo Maritain scrive a
Journet: «certamente Berdjaev è pieno di errori. Ma 1) un enunciato,
una proposizione non hanno per lui il medesimo valore che hanno per
noi, perché la sua filosofia resta avviluppata nelle fasce di una sorta di
poesia profetica […]. 2) È per salvare la sua fede cristiana che egli an-
naspa, non sa come, tra i concetti e fa dire alla ragione qualsiasi cosa;
in questo è proprio un russo» (24 aprile 1932). Berdjaev sostiene che
la chiesa russa è più vicina all’essenza primordiale del cristianesimo,
che ha più libertà, è più profetica, ma conclude: «la russia può aiu-
tare l’occidente a superare la crisi e la decadenza dell’umanesimo, ma
l’occidente può aiutare la russia a salvarsi dal collettivismo mostruo-
so, elemento morbido dell’oriente»139. Journet in una nota del trattato

138
cit. in n. Valentini, N. Berdjaev, in aa.VV., Enciclopedia della persona nel XX
secolo, cit., p. 108.
139
n. Berdjaev, L’Idée religieuse russe, in «cahiers de la nouvelle journée», 8, p.
32.
256 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

La Chiesa del Verbo Incarnato fa una dettagliata analisi delle riflessio-


ni teologiche di Berdjaev, concludendo che l’errore fondamentale del
filosofo russo è il suo profetismo che «confonde le prime ispirazioni
che sono del campo della profezia con le seconde ispirazioni che sono
del campo della fede e della carità»140.
Ma sul piano della filosofia della storia si possono riscontrare al-
cune convergenze, Maritain nella Storia della filosofia morale (57), a
proposito di Marx e della sua scuola, fa suo un giudizio di Berdjaev:
«Il marxismo è una filosofia della felicità e non dei valori. con i mar-
xisti non è possibile parlare di una gerarchia dei valori, perché essi
non ammettono il modo di porre il problema dei valori in sé. per essi
esistono soltanto la necessità, l’utilità, la felicità»141 (XI, p. 680). nel
valutare lo svilupparsi della filosofia Maritain riconosce con il filoso-
fo russo che tutte le grandi filosofie moderne, comprese l’hegelismo
e il marxismo, risentono dell’influenza della rivelazione giudeocristia-
na; anche se le verità cristiane «con il razionalismo hanno subito un
processo di materializzazione» (XI, p. 1046). In Umanesimo integra-
le (26) riporta questo testo di Berdjaev riguardo Marx: «Ha ragione
quando dice che la società capitalista è una società anarchica, dove
la vita si consuma esclusivamente come un gioco di interessi partico-
lari; niente di più contrario al cristianesimo» (VI, p. 344), rileva che
nel comunismo è presente un elemento escatologico «che promette
una liberazione totale e definitiva» (VI, p. 354) che non può dare.
Maritain sottolinea che bisogna dare importanza alla vita spirituale
degli uomini perché ci sono «avvenimenti che non hanno spazio nel-
la storia, ma in quella che Berdjaev chiama metastoria» (IX, p. 1121),
riconosce anche che «il cristianesimo è ordinariamente tradito dal
comportamento dei cristiani» (IX, p. 701), il cui peccato di omissione
è la causa di tanta ingiustizia nel mondo.
con Berdjaev Maritain riconosce l’importanza dei dati teologici
per comprendere gli avvenimenti della storia, ma, a differenza del fi-
losofo russo, distingue con esattezza la teologia della storia, i cui fini
riguardano la vita eterna, e la filosofia della storia, i cui fini riguardano
la vita terrena, ed elabora una «filosofia morale adeguatamente presa»
che tiene conto dei dati della rivelazione, ma li tratta filosoficamente

140
ch. Journet, L’Église du Verbe Incarné, Édition saint Maurice, saint Maurice
(svizzera) 1999, vol. I, p. 288. cf. anche nota 45, pp. 288-291.
141
n. Berdjaev, Royaume de l’esprit et royaume de César, delachaux, paris 1951
p. 82.
IV. Incertezze e speranze 257

e non teologicamente (cf. Scienza e saggezza, con un chiarimento sulla


filosofia morale [24]).
l’influenza di Berdjaev su Maritain non si limita alla filosofia
della storia, ma si estende ad altri campi del sapere, ad esempio alla
filosofia dell’arte, quando accetta il giudizio del filosofo russo sul ri-
nascimento. «Berdjaev assicura che un classicismo perfetto, cioè vo-
lere trarre dalla natura un’armonia interamente felice e appagante,
è impossibile dopo l’agonia di cristo e la crocifissione. secondo lui
il classicismo del rinascimento conserva, a sua insaputa, una piaga
cristiana. penso che Berdjaev abbia ragione. Ma in Grecia è esistita
la perfetta tranquillità classica? Una violenza misteriosa e cupa veni-
va ad assalire questo sogno, poiché anche in Grecia la natura umana
era ferita e chiedeva la redenzione» (I, p. 781). c’è anche una certa
influenza di Berdjaev nelle riflessioni sulla filosofia della natura, se
Maritain nella presentazione della sua collana “les Iles” (1930) cita
questa osservazione del filosofo russo: «l’organismo si distingue dal
meccanismo perché in lui il tutto precede e determina le parti, men-
tre nel meccanismo è l’inverso che occorre» (V, p. 1076). entrambi
recuperano il finalismo della filosofia classica e medievale, superan-
do le posizioni del meccanicismo positivistico. Berdjaev nel suo mi-
sticismo rifiuta il tomismo di Maritain, ritiene che la chiesa cattolica
abbia imbalsamato il cristianesimo e spento la libertà, ma con Ma-
ritain rileva l’apporto dell’ebraismo alla storia dell’umanità, perché
riconosce «nel destino del popolo ebraico il punto di intersezione,
l’incontro più violento dei destini celeste e terreno. perciò la filoso-
fia del destino terreno dell’uomo può essere fatta incominciare dalla
filosofia della storia ebraica e del destino del popolo ebraico»142.
Il filosofo e poeta russo o. clément coglie con esattezza la ra-
dicale contrapposizione filosofica tra i due amici: «per Berdjaev il
tomismo è un sostanzialismo diventato in realtà impossibile dopo
la rivoluzione kantiana, tende a naturalizzare il mistero, a dare ai
concetti religiosi un carattere pseudoscientifico e non riesce quasi a
rendere conto del mistero della persona di cui fa una sostanza indi-
viduale, mentre essa trascende ogni sostanzialità»143. Berdjaev non
ha compreso che per Maritain il tomismo è un realismo critico e
una filosofia esistenziale, come non ha compreso la soggettività della

142
n Berdjaev, Il senso della storia, Jaca Book, Milano 1971, p. 74.
143
o. clément, Berdjaev. Un philosophe russe en France, desclée de Brouwer,
paris 1991, p. 889.
258 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

persona, che solo dio può conoscere, senza oggettivarla. Ma su que-


sta avventura intellettuale lasciamo la conclusione ai due protagoni-
sti. Maritain: «Berdjaev, la cui metafisica mi pare inaccettabile, ma le
cui vedute sull’uomo e sulla storia sono molto profonde» (V, p. 426).
Berdjaev dice di Maritain: «I suoi avversari conservatori gli rimpro-
verano di subire la mia influenza malefica. Questo non è vero per la
filosofia, ma può darsi che sia vero in relazione ai problemi sociali e
politici. nel corso degli anni della nostra amicizia è molto cambia-
to, ma resta un tomista, che accosta i nuovi problemi al tomismo e il
tomismo ai nuovi problemi»144. e poi di se stesso: «la mia filosofia
ebbe sempre un carattere etico. Il pathos del dovere ebbe sempre la
meglio sul pathos dell’essere […]. Ho sempre protestato violente-
mente contro la morale del dovere e difeso la morale del cuore»145.

5. Il personalismo
Il nome risale al libro Il personalismo (1903) di renouvier, fi-
losofo spiritualista di cui si è già parlato, che considera l’uomo un
soggetto dotato di autocoscienza, centro autonomo, ed è usata dai
principali protagonisti dell’esistenzialismo cristiano, come Marcel,
le senne, lavelle, ma diventa un termine alla moda negli anni tren-
ta con la rivista «esprit» di Mounier. nel 1947, ne La persona uma-
na e il bene comune (43), Maritain scrive: «nulla sarebbe più falso
che parlare del personalismo come di una scuola o di una dottrina.
È un fenomeno di reazione contro due opposti errori, ed è un feno-
meno inevitabilmente molto misto. non c’è una dottrina personali-
stica, ma ci sono aspirazioni personalistiche e una buona dozzina di
dottrine personalistiche che non hanno talvolta in comune se non la
parola “persona”, e delle quali alcune tendono più o meno verso l’u-
no degli errori contrari tra i quali sono situate. ci sono personalismi
a tendenza nietzschiana e personalismi a tendenze proudhoniane,
personalismi che tendono alla dittatura e personalismi che tendo-
no all’anarchia. Una delle grandi preoccupazioni del personalismo
tomista è di evitare l’uno e l’altro eccesso» (IX, p. 170). secondo
Maritain il vero personalismo è quello di san tommaso, che della
persona ha una concezione ontologica perché per garantire l’esserci

144
In «cahiers Jacques Maritain», 4-5, p. 48.
145
n. Berdjaev, Autobiografia spirituale, cit., p. 97.
IV. Incertezze e speranze 259

della persona non basta una concezione morale come quella degli
esistenzialisti o degli spiritualisti.
In questo paragrafo considero il personalismo comunitario dei
pensatori che si muovono intorno ad «esprit», dopo avere precisato
che anche per Maritain la persona ha una dimensione sociale, un va-
lore relazionale. la persona per il personalismo personalistico nasce
nella relazione, cioè dalla relazione coniugale dei suoi genitori e da
dio, che ne crea l’anima, ma non è la relazione, ha sua esistenza in-
dividuale al di là della relazione, perché è una sostanza individuale,
dotata di libertà responsabile. È qui in gioco il concetto stesso di na-
tura umana, che Maritain analizza con precisione concettuale, men-
tre nei personalisti non è sempre ben definito, con la conseguenza di
risolvere la persona nella relazione sociale, con il prevalere del co-
munitario sul personalistico. tra i personalisti c’è una sorta di osti-
lità per la ricerca intellettuale, se Jean Lacroix146, uno dei fondatori
di «esprit», nel 1972 intitola un suo libro Il personalismo come anti-
ideologia e ritiene che il problema della persona sia più una protesta
morale che una ricerca intellettuale.

Emmanuel Mounier

Il più importante rappresentante del personalismo è Emmanuel


Mounier147 che fonda e dirige la rivista «esprit», anima i gruppi che
affiancano la rivista, e dai cui scritti si può trarre un’antropologia
e un progetto politico bene strutturati. Maritain sostiene Mounier
nella fondazione della rivista, poi se ne distacca quando la rivista co-
mincia ad impegnarsi direttamente in politica, ma anche per motivi
ideologici perché riscontra un certo eclettismo ideologico nelle col-

146
Jean lacroix (1900-1986), docente di filosofia, discepolo di Blondel, animatore
delle settimane sociali di Francia. tra le opere: Persona e amore (1942), Marxismo, esi-
stenzialismo, personalismo (1949), Il senso dell’ateismo moderno (1958).
147
emmanuel Mounier (1905-1950). allievo di Jacques chevalier, discepolo di
Bergson, si laurea nel 1927 con una tesi su Il conflitto tra antropocentrismo e teocentri-
smo in Cartesio, insegna in diversi licei. tra le opere: Dalla proprietà capitalista alla
proprietà umana (1934), Rivoluzione personalistica e comunitaria (1935), Manifesto del
personalismo (1936), Personalismo e cristianesimo (1936), Trattato sul carattere (1946),
Che cosa è il personalismo (1947), Il personalismo (1949). Oeuvres Complètes, Éditions
du seuil, paris 1961-1963, 4 voll. cf., in italiano: una buona antologia a cura di M.
Montani, Una rivoluzione esigente, elledici, torino 1985; M. toso - Z. Formella - a.
danese (edd.), Emmanuel Mounier: Persona e umanesimo relazionale, las, roma 2005
(vol. 1), 2006 (vol. 2).
260 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

laborazioni. si può seguire questa relazione intellettuale attraverso


la corrispondenza dei protagonisti e i loro scritti autobiografici148.
la riflessione di Mounier, che si muove tra l’esistenzialismo di
G. Marcel, la fenomenologia di e. Husserl e il tomismo di J. Mari-
tain, e vorrebbe poter conciliare Marx e Kierkegaard, parte da una
critica alla società borghese e, soprattutto, al capitalismo, che se-
gna il primato del profitto sul lavoro. Mounier, il 13 marzo 1932, in
una riunione a Meudon parla del problema della “proprietà” (XII,
p. 332) e in seguito scrive un articolo sul diritto di proprietà per
«esprit» inviandolo a Maritain, che gli risponde precisando: «a) i
beni creati appartengono già a una persona che è dio, b) la ragione
per cui il diritto di proprietà è individuale, è che la natura umana
sussiste in persone, c) questo diritto è effettivamente di pertinenza
della legge naturale o per lo meno dello ius gentium, d) san tom-
maso quando parla di proprietà non pensa ad una gestione in no-
me della collettività, né a una funzione speciale che ha in vista; per
lui la natura umana esige l’appropriazione personale delle cose. È
la libertà della persona che è in gioco, e) le giuste leggi (diritto po-
sitivo) debbono assicurare un minimo, per quanto possibile eleva-
to, di uso comune e bisogna che dell’uso profittino tutti» (lettera
all’inizio del 1934). Mounier segue i consigli di Maritain e racco-
glie i suoi articoli in un volume, Dalla proprietà capitalistica alla
proprietà umana, pubblicato nel 1934 da Maritain nella sua collana
“Questions disputées”.
Mounier ha fretta, vuole formulare una proposta operativa e
l’anno dopo in Rivoluzione personalista e comunitaria elabora cin-
que principi: «1) la libertà attraverso la costrizione istituzionale
[…]. Il realismo consiste nell’inquadrare questa libertà con delle
istituzioni che ne prevengano le tentazioni. Il capitalismo difende
l’iniziativa e la libertà di alcuni con l’asservimento della maggioran-
za. 2) l’economia è al servizio dell’uomo […]. l’attività economica
è quindi subordinata a un’etica dei bisogni. 3) Il primato del lavoro
sul capitale. 4) Il primato del servizio sociale sul profitto. 5) primato
della persona che si dispiega in comunità organiche»149. per Mou-
nier non c’è solo il capitalismo economico della società borghese,
ma c’è anche un capitalismo morale dei poveri, invidiosi dei ricchi,

148
p. Viotto, Emmanuel Mounier e la rivista Esprit, in Id., Grandi amicizie, cit., pp.
191-199.
149
e. Mounier, Oeuvres Complètes, cit., vol. I, pp. 274-176.
IV. Incertezze e speranze 261

che desiderano diventare anche loro ricchi, di conseguenza non ba-


sta cambiare le strutture sociali, occorre riformare le coscienze.
l’antropologia di Mounier ruota intorno a tre dimensioni della
condizione umana, perché l’uomo è un’unità coscienziale di singo-
larità e di universalità, di individuazione e di relazione, di concentra-
zione e di trascendenza. la persona è il volume totale dell’uomo. «È
un equilibrio in lunghezza, larghezza e profondità, una tensione che
inabita ogni uomo fra le tre dimensioni spirituali: quella che sale dal
basso e la incarna in una carne; quella che si dirige verso l’alto e la sol-
leva all’universale; quella che si dirige verso il largo e la porta verso
una comunione. Vocazione, incarnazione, comunione: tre dimensioni
della persona»150. l’incarnazione è essere in situazione, essere in equi-
librio tra oggettività e soggettività, non solo di avere un corpo, ma di
essere un corpo, di doversi costruire combattendo la propria indivi-
dualità, perché «la mia persona non è il mio individuo maschera, che
è quell’immagine imprecisa e cangiante che i diversi personaggi, tra i
quali io oscillo, formano, accumulandosi l’uno sull’altro»151. l’incar-
nazione è essere in relazione, perché sono io se non di fronte al tu, e il
noi, non è il “noi altri”, quasi un collettivo, ma un insieme di persone,
una comunità. «Un noi organico, il noi, realtà spirituale, conseguen-
te all’io, che non nasce dall’eclissi delle persone, ma dalla loro matu-
razione […] il mio me non è che il ricettacolo di particolarità più o
meno impersonali, un semplice punto di incontro»152. la vocazione è
essere in trascendenza, non semplice presenza a sé e agli altri, relazione
orizzontale, ma risposta ad un altro, relazione verticale. la persona
non si risolve nella coscienza, non si può definire concettualmente.
Mounier formula diversi approcci, che possono essere riassunti in
questa formula: «essa è una presenza in me»153.
la maturazione della persona avviene attraverso la libertà, «ma
la libertà non è inchiodata all’essere personale come una condanna,
gli viene proposta come un dono, che si accetta o si rifiuta»154. oc-
corre praticare tre esercizi formativi: «la meditazione, come ricerca
della propria vocazione; l’impegno, come riconoscimento della pro-
pria incarnazione; la spogliazione, come iniziazione al dono di sé e al-

150
Ibid., p. 179.
151
Ibid., p. 177.
152
Ibid., p. 191.
153
cit. in G. coq, Mounier Emmanuel, in aa.VV., Enciclopedia della persona nel
XX secolo, cit., p. 707.
154
e. Mounier, Oeuvres Complètes, cit., vol. III, p. 480.
262 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

la vita nell’altro. se la persona viene meno ad uno di essi decade»155.


Questo processo di personalizzazione fatto di testimonianza, di im-
pegno e di risposta non finisce mai, perché la trascendenza perso-
nale «è negazione di sé come mondo chiuso, sufficiente, isolato nel
proprio scaturire […], è un movimento di essere verso l’essere ed è
consistente solo nell’essere che ha di mira», movimento che si può
riassumere nella formula «l’essere personale è la generosità»156.
Mounier sente l’impegno sociale, vuole combattere il disordine
stabilito dalla società borghese con una rivoluzione personalista che
presenta come una terza via tra l’individualismo liberale e il colletti-
vismo socialista, indicando come obiettivi «l’espulsione delle poten-
ze del denaro, la soppressione del proletariato, l’installazione di una
repubblica fondata sul lavoro, la formazione e l’accesso al potere di
nuove élites popolari»157. si muove come Maritain a partire dalla fi-
losofia politica di péguy, convinto che «la rivoluzione sarà morale o
non sarà affatto»158, ma a differenza di Maritain non ha fiducia nella
democrazia liberale tanto da scrivere che la rivoluzione personalista
«in nessun caso si potrà realizzare con una democrazia parlamentare
di tipo liberale e chiacchierona, ma dovrà scaturire organicamente
da una democrazia reale, con strutture salde, che collaborano con
un’autorità senza debolezza e fornita di mezzi eccezionali»159.
la questione della rivoluzione personalista diventa oggetto di
una Lettera aperta a Mounier di Paul Archambaud160, pubblicata su
«l’aube» (21 gennaio 1934), che oppone al personalismo rivolu-
zionario il personalismo democratico161 e che recensisce il libro di
Maritain Du régime temporel et la liberté (20) parlando di un pro-
gramma democratico cristiano, quasi opponendolo al programma
di Mounier. Maritain interviene con una lettera al direttore del gior-
nale precisando che le sue riflessioni filosofiche non devono essere
lette in chiave politica: «non è un buon metodo riportare sul piano
delle attività di un partito ricerche che sono di un ordine più ele-
vato […]. non ho alcuna intenzione di misconoscere i meriti dei

155
Ibid., vol. III, p. 430.
156
cit. in G. coq, Mounier Emmanuel, cit., p. 713.
157
e. Mounier, Oeuvres Complètes, cit., vol. IV, p. 89.
158
e. Mounier, Oeuvres Complètes, cit., vol. I, p. 849.
159
e. Mounier, Oeuvres Complètes, cit., vol. IV, p. 113.
160
paul archambaud (1883-1950), professore di filosofia al collège sainte croix
di neuilly, discepolo e commentatore di Blondel, fonda la rivista «la nouvelle Jour-
née» nel 1914, che in seguito diventa «cahiers de la nouvelle Journée».
161
cf. anche l. sturzo, La démocratie et la révolution, in «l’aube», 13 febbraio 1934.
IV. Incertezze e speranze 263

cattolici sociali, né dei democratici cristiani, e se il mio pensiero si


incontra con il loro su questo o quel punto, ne prendo atto volen-
tieri. tuttavia debbo avvertire che si tratta di punti di vista molto
differenti» (22 gennaio 1934). Maritain è vicino a Mounier, ne con-
divide l’ispirazione non le sue formulazioni, soprattutto non vuole
essere coinvolto nelle contese tra i partiti politici, tanto che con Let-
tera sull’indipendenza (25) prende le distanze dalla rivista «esprit».
ritenere che la filosofia di per se stessa debba trasformare la società
«è un errore che svuota ogni libertà spirituale e ogni vera filosofia;
da esso consegue che tutto il pensiero è coinvolto nel movimento
stesso dell’azione transitiva e della dialettica del divenire, tutto inte-
ro immerso nella storia» (VI, p. 256). Il porsi del filosofo al di fuori
dei partiti, la sua indipendenza davanti all’azione immediata da in-
traprendere, che esige una parte considerevole di tecnica e di arte, è
tutto l’opposto dall’evasione e dalla fuga, perché «il filosofo ha una
qualche utilità tra gli uomini solo se rimane tale» (VI, p. 257). Inve-
ce «esprit» è molto vicina al socialismo, lo riconosce anche Berdjaev,
che in una recensione di Rivoluzione personalista e comunitaria scrive:
«Mounier lega talmente la persona e la comunità che non vuole più
dire io, ma deve dire noi. È molto vicino alla concezione della Sobor-
nost del pensiero ortodosso. lui e i suoi amici si rivoltano contro l’a-
nonimato. la società capitalista è anonima, la persona è cancellata,
ma il comunismo è ancora più antipersonalistico. l’individualismo
e il collettivismo sono due aspetti del medesimo male»162. Mounier
non nega l’autonomia della persona, ma ne marca la comunitarietà,
mentre per Maritain la persona non è una relazione sociale, ma è un
valore per se stessa, nella sua individualità. Maritain si pone al di so-
pra delle contese partitiche, ma non si astiene dal prendere posizio-
ne, se queste coinvolgono principi fondamentali della democrazia e
riguardano i diritti dell’uomo. da parte degli ambienti di destra si
sviluppa una campagna contro Mounier e si tenta di far passare la
rivista «esprit» come fosse il periodico belga «terre nouvelle», che
inalbera come insegna un fucile, un martello e una croce. Maritain
prende le difese di Mounier in una relazione al Vicario generale di
parigi nel maggio del 1936. «In realtà “esprit” non ha nulla a che
vedere con “terre nouvelle”, è una rivista di ricerca scientifica che,
pur assumendo posizioni sociali di anticapitalismo e penetrando,
malgrado molte opposizioni, negli ambienti rivoluzionari, combatte

162
n. Berdjaev, recensione in «put’», 49 (dicembre 1935), p. 90.
264 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

il comunismo e il marxismo, e così conserva al cristianesimo molti


giovani attratti dal comunismo che senza di essa scivolerebbero da
quella parte. Questa rivista non ha un’etichetta cattolica, non pre-
tende di parlare a nome del cattolicesimo. essa né compromette, né
infeuda il cattolicesimo come faceva il movimento “sillon”163. essa
non costituisce una scuola […]. Il suo direttore Mounier è un cat-
tolico dalla vita irreprensibile. se si possono riscontrare in “esprit”
imprudenze, temerarietà di linguaggio, e talvolta qualche errore, co-
me in tutte le riviste dei giovani, questi errori non sono sistemici, e
la rivista è molto migliorata dalla sua fondazione. Una condanna di
“esprit” avrebbe gravi conseguenze, produrrebbe un grande turba-
mento nelle coscienze di persone che si trovano in punti importanti
della vita profonda francese, rischierebbe di gettare verso il comu-
nismo un buon numero di giovani sconcertati; fornirebbe un’arma
temibile nelle mani degli avversari della chiesa» (XVI, p. 934).
a margine di tutte queste vicende politiche Mounier si interes-
sa anche ai problemi dell’arte e incarica un gruppo di artisti, tra
cui anche Gino severini164, di preparare un Manifesto del personali-
smo. esce un numero monografico di «esprit», nella cui introduzio-
ne Mounier scrive: «l’artista per troppo tempo ha creduto di poter
giocare, senza contraddizioni e senza danno, questo doppio gioco:
mettere la sua arte al servizio del mondo economico e delle sue ca-
ste, e rivendicare nel medesimo tempo un’indipendenza totale nel
nome della filosofia ufficiale di questo mondo, l’individualismo; egli
pensava di averne un diritto senza rischio, grazie alla ricchezza ine-
spugnabile della sua ispirazione che, però, perdeva a poco a po-
co il desiderio stesso di comunicare […]. Il mondo del denaro è
doppiamente ostile al mondo dell’arte: egli sterilizza e rigetta l’ar-
tista; egli sterilizza e allontana il pubblico. colui che resta fedele
ad un’arte indipendente è a poco a poco condannato alla miseria
e alla solitudine»165. non si tratta di considerare l’arte in funzione
del pubblico, né tanto meno di farne un’arte per le masse, perché
l’opera d’arte vale per se stessa, per la sua gratuità, ma bisogna re-

163
Il movimento e la rivista «le sillon» fondata nel 1894 da Marc sagnier voleva
promuovere un’azione politica nello spirito dell’enciclica Rerum novarum di leone
XIII, ma assunse atteggiamenti modernisti e si avvicinò ai socialisti. Il movimento fu
condannato da pio X nel 1910 e si sciolse.
164
cf. Il carteggio Severini - Maritain (1923-1966), cit.
165
e. Mounier, Préface à une réhabilitation de l’Art et des Artistes, in «esprit», 25
(1° ottobre 1934), p. 6.
IV. Incertezze e speranze 265

cuperare i valori umanistici, sia nell’artista che nella società, perché


è la persona che sta all’origine della creatività artistica e della fru-
izione estetica. Mounier precisa, e in questo atteggiamento è vici-
no alle posizioni di Maritain: «non si fa arte per il proletariato o
per la rivoluzione non più di quanto si faccia arte per la borghesia.
si fa arte per l’uomo e contro tutto ciò che asservisce o svalorizza
l’uomo»166. Questo evidenziare la funzione sociale dell’arte non por-
ta Mounier a trascurare il valore intrinseco dell’opera d’arte, perché
è proprio attraverso il contenuto della creazione artistica che la sog-
gettività dell’artista e la soggettività dello spettatore comunicano in
uno scambio intellettuale. «l’artista – scrive Mounier – è insieme la
parola dell’universo segreto e la parola degli uomini del suo tem-
po. Intermediario tra l’uno e l’altro, giammai interamente d’accordo
con l’uno o con l’altro, egli deve, tuttavia, tendere a questa doppia
relazione con l’universo e con gli uomini, e se è possibile a stabilire
fra loro un’intesa»167.
concludendo si può dire che tra Maritain e Mounier c’è stata una
collaborazione feconda sulla base della stima reciproca e nella comu-
ne intenzione di promuovere nella storia il fermentare del lievito del
Vangelo, anche se ci sono state incomprensioni per il diverso approc-
cio ai problemi, in Maritain più filosofico che politico, in Mounier
più pratico che teoretico. Ma in entrambi la visione dell’uomo e del
suo destino si è sviluppata in coerenza all’ispirazione cristiana e ad un
realismo filosofico, perciò guardando all’insieme dei loro scritti si po-
trebbe dire che in Mounier prevale l’intuizione e in Maritain il discor-
so razionale, ciò che nel primo è in un abbozzo sincretico nel secondo
si ritrova nella precisione analitica delle definizioni concettuali. a ben
guardare è proprio nel diverso modo espressivo che si sono differen-
ziati, ed è più facile e gratificante leggere Mounier che seguire Mari-
tain nelle sue argomentazioni filosofiche, ma entrambi concordano
nel primato dello spirituale sul temporale.
nel 1966, commentando la costituzione pastorale Gaudium et
Spes sulla chiesa nel mondo contemporaneo del concilio Vaticano
II, dopo avere rilevato l’importanza della centralità della persona,
si attribuisce, congiuntamente a Mounier, il merito di avere per pri-
mi portato l’attenzione sulla persona: «Mi sia concesso di fare qui
un’osservazione. Grazie soprattutto a e. Mounier l’espressione per-

166
Ibid., p. 9.
167
Ibid., p. 12.
266 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

sonalista e comunitario è diventata una torta alla crema per il pen-


siero cattolico e la retorica cattolica francese. Io stesso non sono in
questo esente da responsabilità. In un’epoca in cui era importante
opporre agli slogan totalitari un altro slogan, ma vero, avevo solleci-
tato le mie cellule grigie e finalmente lanciato in uno dei miei libri di
allora quell’espressione, e penso che Mounier l’avesse presa da me.
essa è esatta, ma a vedere l’uso che se ne fa adesso, non ne sono mol-
to fiero. Infatti, dopo aver pagato un debito al personalista è chiaro
che tutte le simpatie vanno al comunitario» (XII, p. 736).

Paul Ricoeur

Questo slittamento dal personalista al comunitario, cioè dall’u-


manesimo integrale all’umanesimo relazionale, non è da attribuirsi
solo a Mounier, ma anche ai suoi successori, in particolare a paul ri-
coeur, per la cui filosofia il vivere bene consiste nel sentire “se stesso
come un altro”. per Maritain, invece, la persona è una realtà ontolo-
gica, una sostanza individuale, è in relazione, ma non è la relazione.
Paul Ricoeur168, che approda al personalismo dalla fenomenologia e
dall’ermeneutica, considera la persona come una realtà indefinibile,
perché per nominarla siamo costretti ad usare espressioni diverse e
tra loro contraddittorie, come io, soggetto, personalità, coscienza, au-
tocoscienza, individuo, per cui in Muore il personalismo, ritorna la
persona scritto nel 1983 in occasione del cinquantenario di «esprit»,
recupera la persona, «concetto sopravvissuto e resuscitato», non come
sostanza ma come la dimora (foyer) di molte attitudini, come impegno
di relazione (engagement), come carica progettuale, come fedeltà ad
una causa, quindi più sul versante del volere che dell’intelligere, per
cui l’esperienza umana originale sarebbe un’eidetica della volontà.
ricoeur parte dai tre maestri del sospetto – Marx, nietzsche,
Freud –, che considerano la scienza cartesiana una falsificazione,
perché risolve il conoscere nella coscienza, mentre i vari condizio-

168
paul ricoeur (1913-2005) partecipa ai “Venerdì” di G. Marcel e stringe amici-
zia con Mounier. Fa parte della direzione di «esprit». traduce Husserl, viene nominato
docente a strasburgo, in seguito è chiamato alla sorbona, che abbandona nel 1968 per
nanterre; tiene corsi anche in diverse università americane. tra le opere: La filosofia
della volontà (1950), Storia e verità (1955), La metafora viva (1975), Tempo e racconto,
in tre volumi (1983-1985), Sé come altro (1990).
IV. Incertezze e speranze 267

namenti economico-sociali e psicologico-inconsci interferiscono sul


sapere. a questo riguardo si impegna in un’analisi del linguaggio.
rileva che i segni del linguaggio non sono solo un mezzo di comu-
nicazione fine a se stessa, come ritiene la linguistica, ma rimandano
a simboli che hanno una pluralità di referenti trascendenti religio-
si, mitici e poetici, propri dell’inconscio e che diventano oggetto di
un’interpretazione ermeneutica. la metafora è viva, non rimanda da
un segno ad un altro segno, è un linguaggio di rivelazione che sug-
gerisce nuove interpretazioni. l’analisi di ricoeur passa dal segno
sensibile al simbolo psicologico, ma non giunge al significato intelli-
gibile, si ferma alla veracità, non cerca la verità, allude ma non trova.
siamo ancora di fronte al pensiero debole, non si riconosce all’in-
telligenza la capacità di cogliere l’intelligibilità dell’essere. lo docu-
menta anche un’intervista fatta da Bernard révillon nel 1999. alla
domanda «che cosa può fare la nostra ragione umana di fronte alla
questione dell’esistenza di dio?», il filosofo risponde: «credo che si
debba tenere aperta la questione del rapporto tra fede e ragione. Ma
certo l’approccio va fatto con umiltà e con una certa riserva. perso-
nalmente, non mi arrischierei, al termine della mia riflessione filoso-
fica, a usare la parola “dio” in modo tematico. tutt’al più il filosofo
può evocare un fondamento, un assoluto, un’origine»169. la filosofia
in quanto tale non può dire dio, ma essa nella circolarità aperta del
suo discorrere si apre all’ascoltabile: la fede.
ricoeur in una delle ultime sue opere, La natura e la regola (1998),
presenta così la sua ricerca: «ritengo di appartenere a una delle cor-
renti della filosofia europea, che si lascia essa stessa caratterizzare da
una certa diversità di etichette: filosofia riflessiva, filosofia fenomeno-
logica, filosofia ermeneutica. riguardo al primo termine – riflessiva –,
l’accento è posto sul movimento attraverso il quale la mente umana
tenta di recuperare la propria capacità di agire, di pensare, di sentire,
capacità in qualche modo nascosta, perduta, nei saperi, nelle pratiche,
nei sentimenti che l’esteriorizzano rispetto a se stessa […]. Il secondo
termine – fenomenologica – designa l’ambizione di andare alle “cose
stesse”, cioè alla manifestazione di ciò che si mostra all’esperienza,
priva di tutte le costruzioni ereditate dalla storia culturale, filosofi-
ca, teologica; questo intento, diversamente dalla corrente riflessiva,
porta a mettere l’accento sulla dimensione intenzionale della vita

169
Intervista pubblicata in Paul Ricoeur: la logica di Gesù, testi a cura di e. Bian-
chi, edizioni Qiqajon, comunità di Bose 2009, p. 137.
268 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

teorica, pratica, estetica, ecc. e a definire ogni tipo di coscienza come


“coscienza di…”. riguardo al terzo termine – ermeneutica –, eredi-
tato dal metodo interpretativo applicato in un primo tempo ai testi
religiosi (esegesi), ai testi letterari classici (filologia) e ai testi giuridici
(diritto), l’accento è posto sulla pluralità delle interpretazioni legate a
ciò che si può chiamare la lettura dell’esperienza umana. sotto questa
terza forma la filosofia mette in questione la pretesa di ogni altra filo-
sofia di essere priva di presupposti. I maestri di questa terza tendenza
si chiamano dilthey, Heidegger, Gadamer». Maritain non ha avuto
modo di scrivere su ricoeur, ho solo trovato questa annotazione ne Il
contadino della Garonna (61), quando elencando i filosofi che hanno
interessato il suo lavoro, parlando di Husserl annota: «Ho del rispet-
to intellettuale anche per alcuni dei suoi discendenti, particolarmente
per Heidegger e nel nostro paese per uomini come paul ricoeur (del
quale tuttavia sono lontano dal fidarmi)» (XII, p. 802).

6. la nuova scolastica
non dedico molto spazio alla nuova scolastica, e non ripren-
do i contribuiti originali di Jacques Maritain170 alla tradizione to-
mista, perché sono rintracciabili nelle analisi delle diverse correnti
di pensiero (l’intuizione dell’essere, la distinzione tra scienza e sag-
gezza, la filosofia morale adeguatamente presa, la conoscenza per
connaturalità, l’intuizione creativa nella poesia e nell’arte, la filoso-
fia della democrazia, l’epistemologia delle scienze umane)171. Faccio
riferimento solo marginalmente ai dibattiti teologici in cui Maritain
è stato coinvolto, avendone trattato diffusamente nel volume già ci-
tato Grandi amicizie: i Maritain e i loro contemporanei. Utilizzo le
note bio-bibliografiche sia pure succinte, per segnalare autori e opere
di questa corrente di pensiero trascurata nelle storie della filosofia,
scritte da pensatori, laici che non si accorgono che la nuova scolasti-
ca non è una ripetizione del pensiero medievale, bensì una sua con-
tinuazione in dialogo con la filosofia contemporanea.

170
per la biografia di Jacques Maritain cf. la Nota bibliografica, in p. Viotto, Dizio-
nario delle opere di Jacques Maritain, città nuova, roma 2003, pp. 13-23 e la Nota bi-
bliografica, anno per anno, in p. Viotto, Dizionario delle opere di Raïssa Maritain, cit.,
pp. 13-41.
171
per una visione organica del pensiero cf. p. Viotto, Introduzione a Maritain,
laterza, Bari-roma 2000.
IV. Incertezze e speranze 269

due fatti storici sono all’origine della nuova scolastica: la fon-


dazione della rivista «la civiltà cattolica» nel 1849 ad opera della
compagnia di Gesù e la lettera enciclica Aeterni Patris di leone
XIII (1879) che raccomanda alle scuole cattoliche di studiare la fi-
losofia di san tommaso. In quest’opera vanno segnalati il collegio
alberoni di piacenza, il collegio romano dei padri gesuiti e gli studi
domenicani di napoli, roma, Bologna. sorsero poi diversi istitu-
ti di filosofia nelle università cattoliche e furono fondate numerose
riviste, tuttora attive, che elenco nella successione cronologica del
primo anno di edizione: «divus thomas» (1880), fondata dai do-
menicani a Bologna; «revue thomiste» (1892), fondata dai dome-
nicani a toulouse; «revue néo-scolastique de philosophie» (1894),
fondata da d. Mercier a lovanio in Belgio; «rivista di filosofia ne-
oscolastica» (1909), fondata da a. Gemelli a Milano; «ciencia to-
mista» (1910), fondata dai domenicani a salamanca in spagna;
«angelicum» (1924), della pontifica Università san tommaso di ro-
ma; «nova et vetera» (1926), fondata da ch. Journet a Friburgo
in svizzera; «the new scholasticism» (1927), fondata dalla ame-
rican catholic philosophical association a Baltimora negli Usa;
«the thomist» (1939), fondata dai domenicani a Washington ne-
gli Usa; «revista portuguesa de filosofia» (1945), dell’Università
cattolica del portogallo, fondata dai padri gesuiti a Braga; «roczniki
filozoficzne» (1948) dell’Università cattolica di lublino in polonia;
«aquinas» (1958) della pontificia Università lateranense in roma;
«studium» (1998), fondata dai domenicani a tucumân in argentina.
sovente queste riviste hanno numeri monografici: ne ho trovati una
ventina dedicati a Maritain172.
l’iniziatore della nuova scolastica, Désiré Mercier173, filosofo e
teologo all’Università cattolica di lovanio in Belgio nel 1882, fon-
da la cattedra di filosofia tomista rivalutando il realismo contro il
neocriticismo kantiano e il neopositivismo dominanti la cultura eu-
ropea. Maritain nel 1931 pronuncia il discorso per l’inaugurazione
del suo monumento (IV, pp. 1172-1179) mettendo in evidenza come
Mercier abbia saputo raccordare la scienza e la filosofia e come non
abbia separato la ricerca intellettuale e la vita spirituale. del gruppo

172
d. Gallagher - J.l. allard - p. Viotto - B. Hubert, Bibliographie sur Jacques et
Raïssa Maritain, roma 1997.
173
désiré Mercier (1851-1926), docente a lovanio, nel 1894 fa ripartire le
pubblicazioni della «revue néo-scolastique» in seguito denominata «revue de
philosophie de louvain». tra le opere: diversi volumi di un Corso di filosofia.
270 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

di lovanio, Maritain fa riferimento allo storico Maurice De Wulf174,


citando la sua Storia della filosofia medievale, e al pedagogista fiam-
mingo Frans De Hovre175, per il cui Saggio di filosofia pedagogica
scrive una prefazione (III, 1406-1412) sottolineando come l’educa-
zione non può essere neutra, perché implica sempre un riferimento
ai valori: «ogni pedagogo adora un dio: spencer la natura, comte
l’umanità, rousseau la libertà, Freud il sessuale, durkheim e dewey
la società, Wundt la cultura, emerson l’individuo. oppure tutto si
riduce ad adattarsi al fanciullo e a lasciar fare in tutto alla natura, il
che significa negare la pedagogia. In verità, se il mondo moderno è
tanto impregnato di pedagogia non è perché egli abbia fatto in que-
sto campo delle scoperte straordinarie: è perché, come dice che-
sterton (spesso e felicemente citato da de Hovre), l’uomo moderno
ha perso il suo indirizzo: egli non sa dove abita né dove va; è senza
dubbio per questo che si occupa tanto degli altri» (III, p. 1409).
I Maritain vennero a contatto con il pensiero tomistico grazie
al domenicano, Humbert clérissac, che nel 1910 consigliò loro di
leggere la Summa theologica; in Francia, allora, la filosofia scolastica
era sostenuta da Émile Peuillaube176, come ricorda raïssa: «padre
peillaube, che aveva simpatizzato con Jacques, era impegnato lui
stesso in quell’epoca in grandi lotte intellettuali all’Istituto cattolico
di parigi, dove l’insegnamento della filosofia era fino allora collega-
to con la facoltà di lettere […] ottenne con la sua perseveranza e la
sua abile ostinazione la creazione di una facoltà speciale dedicata
interamente alla filosofia, in cui lo studio di san tommaso doveva
occupare il primo posto. nella stessa epoca aveva fondato la “re-
vue de philosophie”, che era pubblicata dall’editore Marcel rivière;
costui era anche l’editore di Georges sorel e dirigeva una libreria
socialista. sorel, che seguiva tutti gli indizi di nuove di pensiero, gli
aveva detto un giorno: “Fate attenzione a quei tomisti di cui ancora

174
Maurice de Wulf (1867-1947), docente a lovanio e poi ad Harvard. tra le
opere: Studi storici sull’estetica di san Tomnmaso (1896), Storia della filosofia medievale
(1900 e successive edizioni), L’opera d’arte e il bello (1920).
175
Frans de Hovre (1884-1956), pedagogista e storico della pedagogia, rivaluta il
personalismo in opposizione al naturalismo di spencer e alla socialpedagogia di dewey.
tra le opere: L’etica e la pedagogia morale di Foester (1913), Saggio di filosofia pedagogi-
ca (1924), Il cattolicesimo, i suoi pedagogisti e la sua pedagogia (1929).
176
Émile peuillaube (1864-1934), docente di psicologia e decano della Facoltà di
filosofia dell’Institut catholique di parigi, nel 1910 fonda la «revue de philosohpie».
tra le opere: Teoria dei concetti, esistenza origine, valori (1895), Iniziazione alla filosofia
di san Tommaso (1926).
IV. Incertezze e speranze 271

nessuno parla e che si agitano per restaurare l’intelligenza cattolica;


hanno speranze buone per l’avvenire”» (XIV, p. 1014). così è grazie
ai socialisti che san tommaso incomincia ad essere conosciuto fuori
dai conventi. peuillaube invita Maritain a tenere una serie di confe-
renze su Bergson e la filosofia moderna, poi nel 1914 lo chiama alla
cattedra di storia della filosofia. nel 1930 Maritain tiene la conferen-
za per commemorare i trent’anni della «revue de philosophie» (IV,
pp. 1154-1164).
I Maritain fondano nel 1922 i circoli tomisti e ne affidano la
direzione spirituale a padre Réginald Garrigou-Lagrange177, la cui
conoscenza del pensiero di san tommaso è una garanzia. Maritain
ricorda che, quando Pierre-Thomas Dehau178, a causa della sua qua-
si cecità, aveva bisogno che gli leggessero i testi, durante il novizia-
to, Garrigou-lagrange gli lesse in latino tutta la Summa theologica.
l’opera del 1932 I gradi del sapere (17) ha numerosissimi rimandi a
Garrigou-lagrange, poi questa amicizia intellettuale si guasta per
motivi politici perché Garrigou-lagrange consiglia Maritain di non
collaborare con la rivista «esprit» e di non interessarsi di politica179.
Maritain scrive a Journet: «sento in quel che mi scrive la sua amici-
zia vera e profonda, ma non credo che veda esattamente le cose, ha
troppa pusillanimità davanti all’opinione degli uomini. per di più
non comprende che gli obblighi di un filosofo laico non sono quel-
li di un teologo religioso. occuparsi dei problemi della vita civile è
un compito specifico del filosofo. e se i filosofi cristiani trascurano
di compiere questo loro dovere, a loro rischio e pericolo, è il cri-
stianesimo, sono le anime che pagheranno questa negligenza» (30
dicembre 1935). la rottura si verifica quando esce Umanesimo in-
tegrale (26)180; tra i due rimane l’amicizia, la perfetta condivisione
intellettuale a livello teoretico riguardante la gnoseologia e la metafi-

177
réginald Garrigou-lagrange (1877-1964), domenicano francese, docente di
filosofia in Belgio poi all’angelicum a roma. tra le opere: Dio, la sua esistenza, la sua
natura (1914), Il senso comune, La filosofia dell’essere (1922), Perfezione cristiana e con-
templazione (1923).
178
pierre-thomas dehau (1870-1956), domenicano che a parigi segue un gruppo
di giovani intellettuali, tra cui Julien Green, stanislas Fumet, Jacques Froissart. nel
1914, alla morte di padre Humbert clérissac, diventa il direttore spirituale di raïssa
Maritain. due suoi nipoti, thomas philippe e Marie-dominique philippe, entrano
nell’ordine domenicano.
179
p. Viotto, Garrigou-Lagrange, comprensioni e incomprensioni, in Id., Grandi
amicizie, cit., pp. 122-126.
180
p. Viotto, La polemica su Umanesimo integrale, in ibid., pp. 140-147.
272 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

sica, ma il teologo non comprende e non condivide la proposta che


Maritain va elaborando per distinguere, senza separare, religione e
politica e garantire nella laicità dello stato l’impegno dei cristiani.
Un altro domenicano che sviluppa il pensiero tomistico, distin-
guendo ricerca intellettuale e apologetica, filosofia e mistica, è Am-
broise Gardeil181, con delle riflessioni, che Maritain tiene presenti
nelle sue ricerche su sant’agostino e san Giovanni della croce. ri-
porta questo testo: «Il bue muto ha divorato tutta la sostanza spiri-
tuale dell’aquila di Ippona […] ne ha fatto, come per aristotele, la
sostanza del suo spirito» (V, p. 811). Maritain nell’appendice quinta
de I gradi del sapere (17) fa un’analisi critica formulando alcune pre-
cisazioni concettuali (IV, pp. 1063-1075) e stende anche la prefazio-
ne al suo volume La vera vita cristiana (V, pp. 1111-1112).
Maritain fa qualche riferimento alla nuova scolastica in Italia,
è presente alla settimana di studi tomistici di roma del 1923 e ri-
leva la netta opposizione dei filosofi tomisti all’idealismo di croce
e Gentile tanto che annota: «Il prossimo grande conflitto filosofico
sarà senza dubbio il conflitto con l’idealismo, denunciato eloquen-
temente a riguardo della metafisica da Mariano Cordovani182, con
un realismo niente affatto ingenuo ma profondamente elaborato e
solidamente critico» (II, p. 1249). nel 1931 tiene tre lezioni all’U-
niversità cattolica di Milano e in un’intervista rilasciata a «l’avveni-
re d’Italia» (XVI, pp. 425-431) ricorda Agostino Gemelli183, rettore
dell’Università, e i tre protagonisti della rinascita tomista France-
sco Olgiati184, Emilio Ciocchetti185 e Amato Masnovo186, che carat-
terizzarono l’inizio di questa avventura culturale (XVI, p. 429). più

181
ambroise Gardeil (1859-1931), cofondatore della «revue thomiste», critica
Blondel per la confusione tra il piano della natura e il piano della soprannatura. tra le
opere: La credibilità e l’apologetica (1908), La struttura dell’anima e l’esperienza mistica
(1927).
182
Mariano cordovani (1883-1950), domenicano, teologo pontificio dal 1936 al
1950. tra le opere: importante la trilogia Il Rivelatore, Il Salvatore, Il Santificatore
(1945-1946).
183
agostino Gemelli (1878-1959). laureato in medicina, agnostico socialista, si
converte e diventa frate francescano, fonda l’Università cattolica a Milano nel 1921 e si
dedica a studi di psicologia.
184
Francesco olgiati (1886-1962), docente di storia della filosofia. tra le opere: le
monografie Berkeley (1924), Leibniz (1929), Cartesio (1937), Benedetto Croce (1953).
185
emilio ciocchetti (1867-1931), studioso della filosofia di Giovanni Gentile, fa
conoscere a tullio Garbari gli scritti di Maritain.
186
amato Masnovo (1880-1955), docente di storia della filosofia medievale che
riassume nei tre volumi Da Guglielmo d’Auvergne a Tommaso d’Aquino (1930-1945).
IV. Incertezze e speranze 273

frequenti sono i riferimenti a Cornelio Fabro187, soprattutto nella


corrispondenza con Journet, dove sviluppa un’analisi approfondi-
ta delle sue posizioni che sono vicine alle sue e a quelle di Gilson
nell’intendere il tomismo come esistenzialismo. In una lettera a Vit-
torino Veronese per la XIX settimana sociale dei cattolici Italiani
ricorda anche Giuseppe toniolo (VIII, pp. 1123-1124).
In Germania la nuova scolastica stenta ad affermarsi, Maritain
segnala solo due nomi: il gesuita Joseph Kleutgen188, sui cui testi
ha studiato (XII, p. 848), e Martin Grabmann189 (IV, p. 1129), poi
Brentano che, come abbia visto, volge la filosofia tedesca verso la
fenomenologia. In spagna continua la tradizione della seconda sco-
lastica, in particolare nell’Università di salamanca, ma in maniera
tradizionalista senza entrare in dialogo con la modernità. Il più im-
portante rappresentante, Santiago Ramirez190, si trova in conflitto
con Maritain su diversi punti, in particolare sulla natura della filo-
sofia cristiana.
In Inghilterra, dominata dalla cultura empirista, la nuova scola-
stica non ha spazio. John Henry newman si muove nell’ambito dello
spiritualismo, invece trova fecondi sviluppi in america, sia in cana-
da che negli stati Uniti, sia nei paesi sudamericani, come il Brasile,
il cile, l’argentina. Maritain ha avuto un’esperienza diretta della si-
tuazione nordamericana191, e in un’intervista ne parla diffusamente:
«della rinascita della metafisica, e in particolare del tomismo, il me-
rito è da attribuirsi da una parte alla Scuola di Chicago, con il presi-
dente Robert Hutchins192, e l’eloquente, brillante, sottile professor
Mortimer adler (che non sono cattolici), e dall’altra parte alla Scuola

187
cornelio Fabro (1911-1995), docente a roma e a perugia, traduce in italiano i
tre volumi del Diario di Kierkegaard (1948-1951). tra le opere: La fenomenologia della
percezione (1941), Dall’essere all’esistente (1957), Tomismo e pensiero moderno (1969),
Introduzione a san Tommaso (1983), L’enigma Rosmini (1988).
188
Joseph Kleutgen (1811-1883), gesuita tedesco, docente alla Gregoriana, colla-
bora all’estensione dell’enciclica Aeternis Patris. tra le opere: La filosofia antica esposta
e difesa (1863-1864), La teologia antica esposta e difesa (1867-1874).
189
Martin Grabmann (1875-1949), docente a Vienna e a Monaco. tra le opere:
Storia della scolastica (1909-1911, 2 voll.), San Tommaso (1912), La vita intellettuale nel
Medioevo (postumo, 3 voll.).
190
santiago ramirez (1891-1967), docente a Friburgo e poi a salamanca. l’opera
omnia in 40 volumi è in corso di edizione. cf. p. Viotto, Santiago Ramirez e il problema
della filosofia morale, in Grandi amicizie, cit., pp. 33-37.
191
cf. F. Michel, La pensée catholique en l’Amerique du nord, desclée, paris 2010.
192
robert Hutchins (1899-1977), rettore della chicago University e presidente
del centre for the study of democratic Institutions. tra le opere: L’università di utopia
(1953). In italiano: l’antologia Educazione alla libertà, la nuova Italia, Firenze 1963.
274 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

di Toronto, che è cattolica. Faccio riferimento al movimento che ha


per centro l’istituto di studi medievali fondato da Étienne Gilson e
presieduto da Gerard B. phelan». poi aggiunge: «da qualche anno
l’Università di notre dame, nell’Indiana, fornisce un contributo
importante, e attualmente in pieno sviluppo, alla rinascita degli
studi tomistici» (VII, pp. 1083-1085). Maritain e il suo discepolo e
amico Y. simon insegnano in questa università dove, dopo la morte
del filosofo, è sorto il Jacques Maritain center per conservare i suoi
manoscritti, la sua corrispondenza e per raccogliere la bibliografia
sulla sua opera. Mortimer Adler193 conosceva aristotele e san tom-
maso prima di conoscere Maritain, ma l’incontro con il filosofo fran-
cese gli permette di approfondire la sua riflessione, come scrive nella
prefazione di Arte e prudenza: «Il mio debito verso Maritain è così
manifestamente dimostrato da questo stesso libro, che non posso
che aggiungere il piacere di riconoscerlo. più che i principi sul quale
il libro si basa, gli devo la comprensione di ciò che significa lavorare
nella tradizione della filosofia perenne».
Maritain dialoga con il canadese Gerald Bernard Phelan194 su di-
verse questioni, ad esempio nel volume Sette lezioni sull’essere (21),
che gli ha dedicato, e accetta la sua formula l’essere è l’essere per
esprimere il principio di identità. poi commenta: «È questa la sua
formula preferita e io penso che sia un’opinione molto valida. spie-
gata bene, tale formula appare ampiamente comprensiva. L’essere è
l’essere vuol dire prima di tutto: ogni cosa è ciò che è; ma vuole an-
che dire (e questa volta il predicato e l’affermazione si trovano dalla
parte dell’atto esistenziale): ciò che esiste, esiste. tautologia? tutta
una metafisica è latente in questa formula: ciò che è posto fuori del-
le sue cause esercita un’attività, un’energia che è l’esistenza stessa;
esistere vuol dire tenersi ed essere tenuto fuori dal nulla, l’esse è un
atto, una perfezione, la perfezione suprema, un fiore luminoso in
cui si affermano le cose» (V, p. 624). come si può notare, Maritain
inclina questa affermazione, che condivide, verso l’actus essendi, per

193
Mortimer adler (1902-2001), docente alla columbia University. tra le opere:
Arte e prudenza (1937), San Tommaso e i Gentili (1938), L’idea di libertà (1958), L’evo-
luzione della specie, con un’introduzione di Maritain (1958). In italiano: Educare all’a-
scolto, la scuola, Brescia 1988. nel 1940 pubblica in Scholasticism and Politics le nove
conferenze che Maritain ha tenuto nel 1938 durante il suo primo viaggio in america.
194
Gerald Bernard phelan (1892-1965), fondatore, con É. Gilson, a toronto del
pontifical Institut of Mediaeval studies. tra le opere: Il concetto di bellezza in san Tom-
maso (1967).
IV. Incertezze e speranze 275

evitare ogni possibile sospetto di essenzialismo, perché l’essere in-


clude l’esistenza. d’altra parte il principio di identità ha un valore
ontologico, l’essere è l’essere in se stesso, non perché a livello logico
A è A. anche la morale si fonda sulla ragione e Maritain cita questo
testo di phelan: «la condotta umana è, per sua stessa natura, una
condotta razionale, altrimenti non è una condotta umana» (VIII,
p. 1037). Quando nel 1959 phelan viene premiato dall’american
catholic philosophical association Maritain pronuncia un discorso
(X, pp. 1114-1119).

Étienne Gilson

Ma al di là di questi gruppi di filosofi che sono attivi nelle Uni-


versità cattoliche, la rinascita della filosofia scolastica e del tomi-
smo è dovuta agli studi di storia della filosofia medievale di Étienne
Gilson195 che riabilita il pensiero medievale nelle Università statali
e lavora in parallelo con Maritain per fondare una filosofia cristiana
distinta dalla teologia196. l’importanza di Gilson non riguarda so-
lo la storiografia perché anche lui sviluppa una filosofia esistenziale
radicata nell’intuizione dell’essere e sa raccordare la filosofia classi-
ca alla filosofia moderna, come rileva Maritain nella prefazione ad
un volume collettaneo in onore del filosofo (IX, pp. 1201-1203).
«Gilson deve molto a Bergson e a cartesio. che soddisfazione po-
tere pensare ai servizi che a malincuore il vecchio cartesio ha re-
so a questo nemico del cogito! se egli non avesse incominciato con
lo scrutare la genesi dell’idealismo vivisezionando i testi di carte-
sio e della scolastica dell’età barocca, dubito che Gilson avrebbe
ora scritto il suo grande libro L’essenza e l’esistenza» (IX, p. 1202).

195
Étienne Gilson (1884-1978), docente alla sorbona, al collège de France, in
canada dà vita all’Institute of Mediaeval studies. accademico di Francia dal 1946. tra
le opere: Il tomismo (1919 e successive edizioni), La filosofia medievale (1922), La filo-
sofia di san Bonaventura (1924), Introduzione allo studio di sant’Agostino (1929), Lo
spirito della filosofia medievale (1932), Il realismo metodico (1936), Cristianesimo e filo-
sofia (1936), Realismo tomista e critica della conoscenza (1939), L’essere e l’essenza
(1948), Giovanni Duns Scoto (1952), Introduzione alla filosofia cristiana (1960), La filo-
sofia e la teologia (1960). su di lui: l.K. shooh, Étienne Gilson, Jaca Book, Milano
1991; M. Grosso, Alla ricerca della verità: la filosofia cristiana in É. Gilson e J. Maritain,
città nuova, roma 2006.
196
cf. p. Viotto, Étienne Gilson, un’amicizia nella ricerca della verità, in Id., Gran-
di amicizie, cit., pp. 37-45. Inoltre É. Gilson - J. Maritain, Correspondance 1923-1971, a
cura di G. prouvost, Vrin, paris 1991.
276 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Maritain e Gilson concordano nel precisare che la filosofia procede


con la sola ragione, ma che esiste uno “stato cristiano” della filosofia
per gli apporti che la rivelazione cristiana ha fornito al filosofare.
«di fatto, storicamente, Gilson ha ben ragione nell’affermare che
grazie alla rivelazione cristiana, e perché essa ha avuto orecchie per
intendere, la filosofia è stata costituita in uno stato cristiano, e ha
manifestato dei caratteri esplicitamente cristiani» (VI, p. 98). Ma
resta filosofia perché procede con la sola ragione, anche se utilizza,
filosoficamente, dati forniti dalla fede, come Gilson significa con
l’espressione “rivelazione generatrice di ragione” (V, p. 247),
precisando: «I due ordini restano distinti anche se la relazione che li
unisce è intrinseca» (V, p. 255).
Un nodo centrale della ricerca di Gilson riguarda la metafisica,
l’atto di esistere, l’intuizione dell’essere. Maritain precisa: «l’essere
non è un universale; la sua ampiezza infinita, la sua sovrauniversa-
lità, per così dire, è quella di un oggetto di pensiero implicitamente
molteplice, che inerisce in modo analogico a tutte le cose, e scende
nella sua irriducibile diversità nel più intimo di ciascuna; non è sol-
tanto ciò che esse sono, ma anche il loro stesso atto di esistere. c’è
un concetto dell’esistenza: in esso l’esistenza è intesa ut significata,
come significata allo spirito, e al modo di un’essenza, pur non es-
sendo un’essenza. la metafisica non verte sul concetto di esisten-
za; nessuna scienza si arresta al concetto, ma tramite questo, ogni
scienza attinge la realtà! la scienza dell’essere verte non sul concet-
to di esistenza, ma sull’esistenza in se stessa. e quando tratta dell’e-
sistenza (e ne tratta sempre, almeno in un certo modo), il concetto
di cui fa uso non le mostra un’essenza, ma, secondo l’espressione di
Gilson, ciò che ha per essenza di non essere un’essenza: l’atto di esi-
stere… la metafisica usa il concetto di esistenza per conoscere una
realtà che non è un’essenza, ma l’atto stesso di esistere» (IX, pp.
41-42). ora, questo atto di esistere riguarda in primo luogo dio.
Gilson scrive: «per capire la posizione di san tommaso su questo
punto decisivo è necessario ricordarsi del ruolo privilegiato che at-
tribuisce all’esse nella struttura del reale. per lui ogni cosa possiede
il proprio atto di esistere; diciamo piuttosto: di reale non ci sono che
gli atti distinti di esistere, in virtù di ciascuno dei quali una cosa di-
stinta esiste. occorre dunque porre, come principio fondamentale,
che ogni cosa è in virtù dell’esistere che le è proprio: unumquodque
est per suum esse. poiché si tratta di un principio, si può essere certi
che la sua portata si estende sino a dio. anzi, sarebbe meglio dire
IV. Incertezze e speranze 277

che è l’esistenza stessa di dio che fonda questo principio. poiché


dio è l’essere necessario come ha mostrato la terza prova della sua
esistenza. Dio è dunque un atto di esistere tale che la sua esisten-
za diviene necessaria. È ciò che si chiama essere necessario per sé.
porre dio in questa maniera, è affermare un atto di esistere che non
richiede alcuna causa della propria esistenza. Questo non sarebbe
il caso se la sua essenza si distinguesse in qualche modo dalla sua
esistenza; allora, infatti, l’essenza di dio determinando in qualche
grado questo atto di esistere, questo non sarebbe più necessario.
Dio è dunque l’esistere che è, e nient’altro. tale è il senso puro della
formula Deus est suum esse: come tutto ciò che è, dio è grazie al
suo proprio esistere; ma, in questo caso unico, occorre dire che ciò
che l’essere è, non lo è che grazie al suo esistere, ossia l’atto puro
di esistere»197.
Maritain ricorda come Gilson abbia parlato di una «metafisica
dell’esodo» perché dio si è manifestato a Mosè come “colui che è”
o “Io sono chi sono”, e precisa con esattezza, a riguardo del testo bi-
blico dell’esodo: «a dire il vero, nelle due interpretazioni Colui che
è o Colui che solo sa il suo essere e il suo nome, si afferma in ogni mo-
do come l’Essere a sé, infinitamente trascendente. È in ogni caso l’in-
terpretazione data in tanti secoli di storia (Colui che è) che in realtà
è stata decisiva per la ragione speculativa e per quella che Gilson ha
chiamato la metafisica dell’esodo» (XI, p. 392). Marie-Dominique
Philippe198 rintraccia questo riferimento all’essere anche nel nuovo
testamento, nel Vangelo di san Giovanni, dove cristo afferma più
volte Io sono e sottolinea in particolare questo versetto: «prima che
abramo fosse, Io sono» (Gv 8, 58), perché evidenzia il primato dell’es-
sere sul divenire, dell’eternità sul tempo, ma soprattutto invita a con-
siderare la riflessione filosofica a partire da aristotele (cf. XI, p. 299).
Maritain e Gilson hanno posizioni comuni anche nel campo
della filosofia politica. entrambi nel 1934 firmano il manifesto Per
il bene comune, contro il comunismo e contro il fascismo, entrambi

197
É. Gilson, Le Thomisme, Vrin, paris 1947, pp. 133-134.
198
Marie-dominique philippe (1912-2006), dopo studi di matematica, entra
nell’ordine domenicano. docente di filosofia a Friburgo, in svizzera, dal 1945 al 1982.
Fonda l’École saint Jean per i giovani che si radunano nella comunità san Giovanni e
nel 1992 la rivista «aletheia».tra le opere: Il nulla e l’essere (1975), Dall’essere a Dio
(1977, 4 voll.); Introduzione alla filosofia di Aristotele (1991), San Tommaso (1992), Le
tre saggezze (1994), L’Essere, saggio di filosofia prima (1994, 2 voll.), Ritorno alla sorgen-
te (2005). cf. p. Viotto, Philippe Marie Dominique, in Enciclopedia Filosofica, Bompiani,
Milano 2007, pp. 8588-8589.
278 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

distinguono tra chiesa e cristianità, tra l’agire in quanto cristiano a li-


vello di religione e l’agire da cristiano a livello di cultura e di politica.
Maritain fa pochi riferimenti al domenicano Antonin Sertillan-
ges199, fondatore della «revue des Jeunes» nella quale ha pubblicato
i suoi primi articoli, forse perché lo stile di padre sertillanges è più
letterario che teoretico, ma in una breve corrispondenza con lui ana-
lizza come la nozione di essere sia attribuibile anche a dio e dedica
alla questione la terza appendice de I gradi del sapere (17) per rispon-
dere alle sue obiezioni (IV, pp. 1015-1030). precisa che l’essere di dio
è intelligibile all’uomo, ma l’intelligibilità che l’uomo ha di dio non
ne esaurisce il suo essere, che in se stesso è transintelligibile all’uomo.
pertanto l’essere di dio «senza che noi possiamo sapere come, evade
dal nostro modo di concepire. l’essenza divina è, dunque, colta effet-
tivamente dalla nostra conoscenza metafisica, ma senza che si dia nella
sua pienezza; è conosciuta, ma il suo mistero rimane integro e intatto.
proprio mentre la conosciamo, essa sfugge alla nostra presa, eccede
all’infinito la nostra conoscenza» (IV, p. 675). a dio si giunge con
un’intellezione ananoetica, che procede per sovranalogia, in quanto
tra il sapere umano e il sapere divino c’è discontinuità di oggetto e
di metodo. Ma la metafisica che studia l’essere abborda l’assoluto.
la metafisica, che dopo la fisica e la matematica raggiunge il più al-
to grado di astrazione, «considera delle realtà che esistono, o posso-
no esistere senza la materia, fa astrazione dalle condizioni materiali
dell’esistenza empirica, ma non dall’esistenza» (XI, pp. 29-30). Il suo
oggetto, come nota Gilson, è proprio l’atto di esistere: «ciò che ha
per essenza di non essere un’essenza» (XI, p. 39). siamo alle soglie
dell’Infinito, conosciamo realmente l’esistere di dio, ma non esauria-
mo la sua essenza nella nostra conoscenza dell’essere.

Yves René Simon

Un altro filosofo della nuova scolastica a cui Maritain fa fre-


quenti rimandi è Yves René Simon200, suo allievo all’Institut catho-

199
antonin sertillanges (1863-1948), docente all’Institut catholique di parigi. tra
le opere: San Tommaso d’Aquino (1910), La vita intellettuale (1921), Femminismo e cri-
stianesimo (1921), Le grandi tesi del tomismo (1928), Il cristianesimo e le filosofie (1929),
Il problema del male (1949).
200
Yves rené simon (1903-1961), prima docente in Francia poi alla notre dame
University nell’Indiana. tra le opere: Introduzione all’ontologia del conoscere (1934),
IV. Incertezze e speranze 279

lique e poi collaboratore, prima in Francia e poi in america, con


cui scambia un’importante corrispondenza (1927-1961)201, insieme
nel 1942 firmano il manifesto politico dei cattolici europei in esilio
in america Davanti alla crisi mondiale (VII, pp. 1214-1230). la sua
antologia di testi di san tommaso diffonde il tomismo in Francia
e Maritain nella prefazione constata: «Il nostro razionalismo clas-
sico perde il suo mordente e cerca di far posto a valori che ha per
lungo tempo negato e nel medesimo tempo sente minacciati quegli
elementi di verità, che egli affermava con cieco esclusivismo» (VII,
p. 1252). la nuova scolastica non è un ritorno al medioevo, anzi
intende recuperare i valori positivi della modernità. la traduzione
in inglese del Trattato di logica di Giovanni di san tommaso fatta
da simon, per la quale Maritain scrive la prefazione (X, pp. 1172-
1180), ha avuto un’importanza storica in america nel contrastare la
logica strumentale di dewey. tra Maritain e simon c’è uno scam-
bio continuo di riflessioni su argomenti di ricerca intellettuale che
vanno elaborando in comune. Maritain, seguace di péguy, e simon,
studioso di proudhon, concordano anche a livello di filosofia poli-
tica. simon pubblica un libro sulle funzioni dell’autorità in un regi-
me democratico e Maritain in una recensione scrive: «non c’è tra i
problemi più urgenti delle democrazie moderne un problema più
urgente per l’intelligenza politica che una chiara visione della natura
e delle funzioni dell’autorità. auspico che questo libro sia studiato
non solo dagli studenti di scienze politiche, ma anche dagli elettori e
dai leader delle nazioni democratiche» (VII, p. 1289). Maritain alla
morte di simon nel 1960 scrive nell’elogio funebre Yves Simon, mio
fratello d’armi (XII, pp. 1207-1210): «Un’assoluta onestà intellettua-
le e quella dote fondamentale per il filosofo che è l’intransigenza per
la verità, impregnavano tutta la sua personalità. amava tommaso
perché amava la verità, ma egli amava la verità più di quanto amasse
tommaso ed è per questo che i suoi progressi nella conoscenza del-
la verità gli fecero prediligere tommaso. più acquisiva padronanza
del rigoroso strumento tomista, meglio padroneggiava questo stru-
mento in modo da proseguire la sua ricerca personale e creatrice

Critica della conoscenza morale (1934), Tre lezioni sul lavoro (1938), Natura e funzioni
dell’autorità (1940), La marcia della liberazione (1942), Filosofia del governo democrati-
co (1951). cf. p. Viotto, Yves René Simon e gli amici americani, cit.
201
J. Maritain - Y. simon, Correspondance. Les années françaises (1927-1940), a
cura di Michel Florian, cld, tour 2008. Il secondo volume, relativo al periodo ameri-
cano (1940-1973), è in corso di edizione.
280 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

di verità in piena libertà di spirito» (XII, p. 1209). Questo elogio


di simon è un’osservazione preziosa per tutti coloro che vogliono
essere fedeli a tommaso, non per ripeterlo, sarebbe antistorico, ma
per continuarlo; la filosofia non si fonda su di un principio di autori-
tà, ma sull’evidenza intellettuale, anche quando si serve dei risultati
della ricerca altrui.
significativa a questo riguardo è l’amicizia e il lavoro in comune
di Maritain con un altro filosofo e teologo, un sacerdote del semina-
rio di Friburgo in svizzera, Charles Journet202, quasi sempre presente
agli incontri di Meudon e di Kolbsheim, che pubblica gli articoli di
Maritain nella sua rivista «nova et Vetera». alcuni loro libri sono co-
me costruiti in parallelo, Maritain attento alla problematica filosofica,
Journet più attento alla problematica teologica. Faccio riferimenti so-
lo a due problemi molto attuali: la filosofia della storia e il problema
del male.
Henri-Irénée Marrou203, rifacendosi al De civitate Dei di sant’ago-
stino, scrive un libro sull’ambivalenza della storia204. Journet sviluppa
queste considerazioni rilevando che tra la città di Dio (Gerusalem-
me) e la città di Satana (Babilonia) c’è una città dell’uomo. secondo
Journet, le due città di cui parla agostino, pur trascendendo la storia,
coabitano nel cuore dell’uomo. Bisogna, dunque, considerare una ter-
za città, quella che si realizza nelle strutture sociali, che l’uomo si dà
per organizzare la vita civile, nella quale la Chiesa è presente come cri-
stianità in un dato tempo e in un dato luogo, ma questo “mondo cat-
tolico” non è la chiesa. Journet e Maritain rintracciano nell’analisi del
pensiero agostiniano fatta da Marrou il germe lontano, abbozzato ma
non approfondito, di questa riflessione. Maritain, in Per una filosofia
della storia (51), distingue con esattezza i diversi livelli di conoscenza
storica, distingue con precisione la teologia della storia, che studia gli

202
charles Journet (1891-1975). l’opera omnia è in corso di pubblicazione, a cu-
ra della Fondation cardinal Journet, presso le editions saint-augustin, saint Maurice
(svizzera). ch. Journet - J. Maritain, Correspondance, 1920-1973, editions saint-augu-
stin, saint Maurice (svizzera), 6 tomi. cf. p. Viotto, Charles Journet: religione, cultura,
politica, in Id., Grandi amicizie, cit., pp. 112-120; Id., Charles Journet: una lunga amici-
zia, in Id., Dizionario delle opere di Raïssa Maritain, cit., pp. 236-241.
203
Henri-Irénée Marrou (1904-1977), membro dell’École française de rome dal
1930 al 1932, docente in diverse università francesi, poi dal 1949 al 1975 alla sorbona.
tra le opere: Fondamenti di una cultura cristiana (1934), Sant’Agostino e la fine della
cultura antica (1937), La conoscenza storica (1954), Teologia della storia (1944), Storia
dell’educazione nell’antichità (1948), Sant’Agostino e l’agostinismo (1952), Patristica e
umanesimo (1976).
204
H.-I. Marrou, L’ambivalence de l’histoire chez saint Augustin, Montréal 1950.
IV. Incertezze e speranze 281

avvenimenti nella prospettiva dei fini ultimi, del Regno di Dio, e la filo-
sofia della storia, che studia i medesimi avvenimenti, ma nella prospet-
tiva della città dell’uomo, i cui fini terrestri sono infravalenti rispetto
ai fini ultimi. Questa presenza del male nella storia esige, al di là delle
considerazioni sociologiche, un’analisi filosofica e teologica. Journet
nel 1961 scrive Il male: saggio teologico, Maritain nel 1963 Dio e la
permissione del male (58) nelle cui pagine, quasi a specchio, tengono
conto delle riflessioni che si sono scambiati nella loro corrisponden-
za. Il male è una colpa, un’offesa all’ordine morale, perché è un venir
meno all’ordine ontologico, un privare l’essere del dovuto, una nienti-
ficazione nell’essere, che va riparata. la teologia ci parla di un peccato
verso dio, che è stato come privato del dovuto. Maritain precisa che
l’uomo è causa prima del male, di cui dio è assolutamente innocente.
Maritain commenta il versetto del Vangelo di Giovanni Sine me
nihil potestis facere (Io. 15, 5), che può essere letto in due modi. «si
può leggere: Senza di me non potete fare nulla, e nulla di buono. È
la linea dell’essere o del bene, in cui dio ha l’iniziativa prima. e si
può anche leggere: Senza di me potete fare il nulla, senza di me po-
tete introdurre nell’essere questo nulla o questo non-essere del bene
dovuto, questa privazione che è il male. Questa iniziativa del male,
voi non la potete avere che senza di Me (perché con Me potete fare
soltanto il bene)» (XII, p. 44). a livello teologico il male comporta la
perdita della grazia di dio, per cui l’uomo, come insegna san paolo,
cade sotto la legge del peccato, che solo la sofferenza può riparare.
per ristabilire l’uomo nel suo stato soprannaturale, il Verbo di dio
si è incarnato e ha sofferto la morte nella sua natura umana. la legge
delle renumerazioni è intrinseca alla realtà delle cose (cf. Nove lezio-
ni sulle prime nozioni della filosofia morale [47]). In un frammento
inedito di raïssa, che Jacques ha trovato tra le sue carte205, si legge:
«Questa legge della trasmutazione delle nature che comprende in sé
tutte le leggi morali e divine, è qualcosa di necessario, di fisico, di
ontologico, se si vuole. dio stesso non può abolirla, come non può
produrre l’assurdo». la legge è giusta. la legge è necessaria. Ma la
legge non è dio. dio è amore. «Il volto della legge e del suo rigore,
il volto del dolore e della morte, non è il volto di dio. dio è amore».
Quando l’uomo patisce questa legge, dio, che non può rimuoverla,
è vicino a lui, patisce con lui: «dio è con questa natura che egli ha
fatto e che soffre. se potesse trasformare questa natura nella sua,

205
p. Viotto, Dizionario delle opere di Raïssa Maritain, cit., pp. 212-214.
282 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

abolendo la legge della sofferenza e della morte, egli l’abolirebbe,


perché egli non si compiace dello spettacolo della sofferenza e della
morte. Ma egli non può abolire nessuna legge inscritta nell’essere»
(XIV, p. 494).
concludo queste considerazioni sullo spiritualismo e sulla nuo-
va scolastica, rilevando che vi è fra di loro una comune convinzione
a riguardo dell’esistenza di dio e del valore della persona umana,
ma se si passa dalle convinzioni alle cognizioni bisogna constatare
che è solo con i tomisti della nuova scolastica che il processo di con-
cettualizzazione trova la sua formulazione più precisa. si deve filo-
sofare con tutta l’anima, come insistono gli spiritualisti, ma è solo
quando l’intelligenza diventa intelletto, conoscendo gli intelligibili,
che si può fare filosofia. Maritain sottolinea come sia la stessa chie-
sa a raccomandare questa fedeltà a san tommaso, come significano
le encicliche dei pontefici206, e annota: «non lasciare cadere nulla di
sant’agostino e di quello che di sant’agostino può sussistere in un
pascal o in un newman, assumere e salvare tutto ciò che di vitale e
di positivo esiste in tutta la ricerca umana, ma attraverso san Tom-
maso, attraverso i principi del tomismo: ecco quello che le indicazioni
dei pontefici suggeriscono» (III, p. 96). senza infeudare il cristia-
nesimo ad un sistema filosofico, perché la fede trascende e non di-
pende dalla ragione, perché la filosofia cristiana è una questione di
intelligenza e non di fede. Maritain precisa: «certo, sono persuaso
che tutto ciò che un pascal, un newman, un Blondel hanno pensato
di vero, ha nella sintesi tomista la sua gloriosa collocazione e vi tende
come al suo luogo naturale; ma, per vederlo, occorre situarsi nella
prospettiva di san tommaso e chiedere al genio di pascal, alla nobile
intelligenza di newman, al potente intelletto di Blondel, senza nulla
abbandonare di ciò che essi hanno veramente visto, di mettere alme-
no da parte talune delle loro costruzioni e delle loro negazioni siste-
matiche: un sacrificio che non dovrebbe costare molto a degli spiriti
veramente affrancati dalla superstizione dei sistemi» (III, p. 97).

206
In appendice al volume Il Dottore Angelico nelle Oeuvres complètes sono elen-
cate queste raccomandazioni a partire da alessandro IV (1254-1261) fino a Giovanni
paolo II (1978-2005) (IV, pp. 181-191).
Conclusione 283

conclusione

L’uomo contemporaneo ha un bisogno immenso


di metafisica e della restaurazione dei valori (XVI, p. 40).

1. oltre la modernità
I monaci benedettini hanno costruito l’europa perché hanno rac-
cordato l’azione alla contemplazione, il lavoro e la preghiera (Ora et
labora), connettendo teoresi e prassi; in seguito questo primato della
contemplazione è venuto meno, e si è giunti al primato dell’azione,
della prassi, fino a fare della riuscita il criterio di verità, con il prag-
matismo culturale e il machiavellismo politico, per cui un’opinione,
un’azione, valgono, sono vere, sono giuste, se riescono. In conclusio-
ne di questa storia del pensiero contemporaneo, riprendendo le fila
anche del percorso del pensiero moderno, analizzo i nodi strutturali
di questo processo di secolarizzazione e indico le prospettive di una
rinascita. prendo a prestito un’immagine di Marie-dominique philip-
pe che descrive la filosofia contemporanea come un fiume tumultuo-
so in piena che ha raccolto molti affluenti e trascina a valle cadaveri,
per cui bisogna risalire a monte, andare controcorrente, per scoprire
la sorgente della saggezza207. cercherò di tracciare, secondo l’analisi
fatta da Maritain, il percorso di questa caduta nel pensiero debole che
finisce per negare la filosofia stessa in un relativismo universale dove
tutte le opinioni sarebbero vere, e di intravedere l’inizio di un ritorno
alla sorgente. nella ricerca storiografica si possono individuare questi
cadaveri che si lasciano trascinare dal fiume della storia in due tritti-
ci di personaggi che hanno dominato la scena della cultura europea
frantumando l’eredità ebraico-greco-latino-cristiana. Maritain in Tre
riformatori (9) analizza l’opera di lutero, che ha rotto l’unità della
chiesa, quella di cartesio che ha spostato l’asse della ricerca filosofica

207
Marie-dominique philippe, Retour à la source, Fayard, paris 2005; Id., Les
trois sagesses, Fayard, paris 1994.
284 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

da dio all’io, e infine quella di rousseau, che ha teorizzato l’assolu-


ta sovranità del popolo, che dovrebbe ubbidire solo a se stesso. Un
secondo trittico lo si trova nelle Nove lezioni sulle prime nozioni del-
la filosofia morale (47) dove Maritain analizza come darwin, Marx e
Freud abbiano negato la libertà dell’agire umano, cercando nell’evo-
luzione della specie, nelle strutture socioeconomiche e nell’inconscio
le cause del comportamento umano e liberando l’uomo dalla sua rela-
zione con dio. Infine, studiando le relazioni di Maritain con i poeti e
i romanzieri, ho individuato un terzo trittico di personaggi che hanno
contribuito alla scristianizzazione e alla disumanizzazione della cultu-
ra contemporanea. a livello teologico ernest renan ha negato la di-
vinità di cristo e ridotto la religione ad una morale naturale. a livello
sociologico andré Gide ha giustificato qualsiasi comportamento, an-
che il più immorale, come libertà di scelta dell’individuo. a livello fi-
losofico Jean-paul sartre, contaminando esistenzialismo e marxismo,
ha fatto del nulla il fondamento di una filosofia disperata. la brutale
rappresentazione dell’uomo nell’arte contemporanea, soprattutto in
Francis Bacon, pablo picasso e salvador dalì, è il segno più evidente
di questa disumanizzazione.
Questi protagonisti hanno dato vita a correnti di pensiero e movi-
menti politici che si sono succeduti e accavallati, e hanno anche pro-
vocato una salutare reazione che vuole risalire la corrente della storia
non per negare ma per assimilare i contenuti positivi acquisiti dalla
modernità. nel delineare un confronto riepilogativo tra il pensiero
antico e medievale e il pensiero moderno e contemporaneo, debbo
ricordare che i singoli filosofi non possono essere imbrigliati nelle cor-
renti ideologiche che rappresentano e che essi stessi hanno suscitato,
perché ciascun filosofo ha la sua identità, per cui le osservazioni che
seguono riguardano l’insieme dei movimenti di pensiero che si scon-
trano nella storia e vanno riferite ai singoli filosofi accertando le va-
riabili relative a ciascuno. comunque ogni sistema filosofico ha una
sua coerenza interna, se si ritiene che il concetto non possa approdare
all’essere, a questo fenomenismo corrisponde, più o meno consape-
volmente una logica strumentale e una morale utilitaristica, per cui si
rimane nel giusrazionalismo, di fatto la politica viene separata dalla
morale e l’assoluto è soltanto un principio posto dall’uomo.
Conclusione 285

Realismo Fenomenismo Idealismo

Logica formale Logica strumentale Logica reale

Teismo Deismo Ateismo

Eudemonismo Utilitarismo Rigorismo

Giusnaturalismo Giusrazionalismo Giuspositivismo

Stato morale Stato legale Stato etico

Uno sguardo riepilogativo - tav. n. 12

la filosofia contemporanea, dopo l’ubriacatura delle ideologie


di destra con l’hegelismo e di sinistra con il marxismo, sta ripiegan-
do su queste posizioni, ma occorre andare oltre e ritrovare il reali-
smo delle sorgenti. per ogni punto di questo riepilogo accenno alle
vie di uscita proposte da Maritain, rimandando per approfondimen-
ti al mio volumetto, già citato, Introduzione a Maritain.

2. dal realismo alla fenomenologia


la filosofia classica è fondata sull’essere considerato nella sua
intelligibilità, per cui aristotele e tommaso ritengono che noi co-
nosciamo le cose come sono perché l’intelligenza diventa intelletto
in quanto ha “intelletto” l’essere intelligibile. tutto il medioevo si
è lacerato sulla “questione degli universali” proprio per poter cri-
ticamente stabilire che il concetto, universale logico, rappresenta
realmente l’essere, anche se non è «ciò che conosco» (id quod intel-
ligitur) ma «ciò con cui conosco» (id quo intelligitur) veramente la
realtà. Questo realismo è stato messo in discussione, nell’età di mez-
zo della storia della filosofia, dal razionalismo, dall’empirismo, dal
criticismo, che hanno portato al fenomenismo, affermando che noi
non conosciamo le cose come sono, ma solo come sembrano, per-
ché la nostra conoscenza non può cogliere la “cosa in sé”, il noume-
no, ma soltanto l’apparire della cosa nel processo cognitivo. Questa
operazione inizia con cartesio, per il quale la conoscenza si arresta
alle idee innate, che sono come dei “quadri” mentali a cui la volontà
di dio fa corrispondere la realtà, non essendoci comunicazione tra
286 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

l’anima e il corpo, tra la res cogitans e la res extensa. Berkeley, nel


medesimo periodo, in Inghilterra, risolve la conoscenza nella perce-
zione sensoriale affermando: esse est percipi, e Hume giunge ad af-
fermare: esse est percipere, risolvendo anche il soggetto nel divenire
stesso della percezione. In Kant razionalismo ed empirismo conflu-
iscono nella “sintesi a priori”, che porta alla creatività dello spiri-
to, nella quale l’autocoscienza si riduce ad essere uno specchio che
specchia se stesso. così, dal sum ergo cogito del realismo classico, se-
condo cui per l’autotrasparenza dello spirito nell’autocoscienza l’io
coglie se stesso, il suo proprio essere, si è passati tramite il cogito er-
go cogito del fenomenismo, al rovesciamento radicale del cogito ergo
sum dell’idealismo, per cui l’io crea non solo la conoscibilità dell’es-
sere, cioè le forme della sua conoscenza, ma l’essere stesso, cioè la
realtà, identificandosi dialetticamente con essa.
In modo parallelo la filosofia della religione è passata dal teismo
della tradizione ebraica, cristiana e musulmana, per cui dio è “colui
che è”, tramite il deismo illuministico, che ha ridotto dio all’idea che
l’uomo ha di lui, all’ateismo contemporaneo, che finisce per consi-
derare l’uomo dio a se stesso e divinizza la storia. Infatti, mentre per
aristotele l’essere è “in divenire”, per Hegel, Marx, dewey, l’essere
è “il divenire”. Questa rivoluzione ontologica comporta la negazio-
ne di ogni forma di pluralismo, perché se l’essere coincide con il
pensiero, l’essere è “unico” e non può essere predicato in modo ana-
logico a diversi esseri, risolti a “modi di essere” provvisori del tutto.
a questa situazione cerca di reagire la fenomenologia, ma in
maniera ambigua ed equivoca, perché, mettendo a priori tra pa-
rentesi l’essere extramentale, finisce per negarlo, imprigionando-
si nel processo cognitivo. Maritain osserva: «È curioso notare che
all’origine del movimento fenomenologico è avvenuta una specie di
attivazione della filosofia post-kantiana per un contatto con germi
aristotelici e scolastici trasmessi da Franz Brentano. Ma fin dall’o-
rigine tutto è stato deviato per il fatto che la riflessività è stata uti-
lizzata come primum; ci si è installati in essa per percepire a priori
l’immediato, come se la riflessione, ritornando sulle operazioni di-
rette e sul loro oggetto inizialmente colto, potesse ritagliarsi in que-
sto un oggetto attinto prima di questo stesso oggetto» (IV, p. 446).
per il tomismo invece il soggetto, nell’intuizione dell’essere, per-
cepisce l’oggetto nella sua realtà, e solo attraverso questo processo
percepisce, quasi in secondo piano, anche se stesso.
Conclusione 287

3. dalla logica formale alla logica strumentale


Il pensiero contemporaneo ripudia l’identificazione hegeliana
dell’essere con il pensiero, torna indietro alla ricerca della sorgen-
te del sapere, ma si ferma ad una conoscenza fenomenica che, co-
me già aveva fatto Kant, presuppone l’essere ma non lo conosce, e
siamo all’ermeneutica, alla fenomenologia, alla filosofia analitica, alle
filosofie del linguaggio. Maritain ne Il contadino della Garonna (61)
rileva che si è giunti alla cronolatria epistemologica per cui la filosofia,
prostrata nell’adorazione dell’effimero, rifiuta la verità eterna per «un
fissarsi ossessivo sul tempo che passa» (XII, p. 684), e alla logofobia,
per cui si rifiuta la filosofia in nome del linguaggio, dimenticando che
«non è il linguaggio a fare i concetti, ma sono i concetti a fare il lin-
guaggio. e il linguaggio che li esprime li tradisce sempre, più o meno»
(XII, p. 689).
Questa crisi intellettuale che nega il valore ontologico ad ogni
forma di conoscenza, che finisce per favorire il nichilismo e il relati-
vismo, è una conseguenza di un collasso epistemologico. la filosofia
medievale con alberto Magno e tommaso d’aquino ha costruito una
struttura organica del sapere, stabilendo dei rapporti tra le scienze
per cui, nel rispetto delle reciproche autonomie, le scienze della na-
tura (scienza) sono subordinate alle scienze dell’uomo (filosofia), e
queste alla scienza di dio (teologia). tutti i saperi sono scienza nel
campo della loro ricerca se individuano con esattezza l’oggetto del co-
noscere e formulano con sicurezza un metodo di investigazione, ma,
tra queste scienze, precisa Maritain in Scienza e saggezza (24), solo la
filosofia, la teologia, la mistica sono una saggezza, perché riguardano
i fini ultimi dell’esistenza. Questa costruzione, gerarchica, elaborata
dalle Summae è stata progressivamente demolita dalle Enciclopedie,
che hanno livellato e frantumato ogni forma di conoscenza. occam e
cartesio negano la scientificità della teologia, risolvendola in un atteg-
giamento pratico, utile per salvarsi l’anima, ma scientificamente non
vero, riducendo la conoscenza nei limiti della ragione. Kant nega la
scientificità della stessa filosofia, rigettando la metafisica, fermando
la conoscenza nei limiti dello spazio e del tempo, ammettendo solo la
scientificità delle scienze fisico-matematiche. la filosofia contempora-
nea con l’empiriocriticismo, il neopositivismo, il pragmatismo giunge
all’estrema conseguenza di negare valore scientifico alle stesse scien-
ze sperimentali e matematiche, considerandole solo dei punti di vista
pratici, utili, ma non veri.
288 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

la logica è lo strumento necessario per la ricerca, ma non è la


filosofia, è soltanto il veicolo per approdare all’essere nella concre-
tezza della sua esistenza. essa lavora sui concetti, che non sono l’es-
sere ma la rappresentazione mentale dell’essere. secondo la logica
formale di aristotele, per la quale il concetto, come universale logi-
co, ha realtà ma non è la realtà, occorre distinguere, senza separare,
l’essere e il pensiero, l’ordine ontologico e l’ordine logico, e il fonda-
mento del discorso filosofico è il principio di identità, per cui a è a,
cioè l’essere è l’essere. cartesio riduce la logica a pura elaborazione
mentale dei concetti, e di fatto, senza negarlo, finisce per snaturare
il principio di identità, riducendolo matematicamente ad un princi-
pio di uguaglianza, per cui “a è uguale ad a”. Grazie a lui la “logica
matematica” diventa il modello universale del sapere, il progresso
delle scienze acquista un ritmo vertiginoso, ora accelerato dall’in-
formatica, ma non si hanno regole per controllarlo. Hegel va oltre,
passa alla logica reale, che identifica l’essere con il pensiero, per cui
il concetto stesso è la realtà, e l’essere è la sua intelligibilità; ma, do-
vendo discorrere, pone alla base del processo logico il principio di
contraddizione, giungendo a dire, per usare un’immagine figurativa,
che il bianco non è bianco perché è bianco, ma è bianco perché non
è nero, e conseguentemente il bene non è bene, perché è bene, ma è
bene, perché non è male; così l’essere è in quanto si oppone al non
essere e tutto si risolve nel divenire dialettico. In questo modo si so-
stanzializza il nulla, e il male diventa un protagonista della vita co-
me nietzsche ha profetizzato e sartre ha teorizzato. Marx con il suo
materialismo storico acquisisce la dialettica hegeliana, risolvendola
nel divenire della materia e nella necessità della lotta di classe e della
violenza per affermare il bene.
la filosofia contemporanea reagisce a questa identificazione
dell’essere con il pensiero, ma approda alla logica strumentale, se-
condo la quale il concetto non ha realtà, non è la realtà, ma è solo
uno strumento per modificare la realtà, utile ma non vero, finen-
do nel nominalismo puro e semplice, riducendo la logica a linguag-
gio convenzionale, prescindendo da qualsiasi relazione con la realtà
(Wittgenstein), giungendo a sostituire i concetti con i simboli mate-
matici (russel). nel mondo anglosassone il pragmatismo giunge ad
affermare il principio del successo, facendo della riuscita il criterio
di verità. È la logica di mercato, per cui una cosa vale se rende, e il
concetto una sorta di previsione della riuscita (marketing). Quando
insegnavo filosofia nei licei mi servivo di un gioco di parole doman-
Conclusione 289

dando ai giovani «la ruota gira perché è rotonda?» (realismo) o «è


rotonda perché gira?» (idealismo) o «gira per diventare rotonda?»
(pragmatismo). Maritain, che ha scritto un trattato di logica appro-
fondendo l’analisi sulla natura del pensiero umano, osserva che di
fronte alla logica, che necessariamente lavora sui concetti, che so-
no enti di ragione, bisogna porre il problema della Critica, cioè del
valore reale del concetto. rilevando che già nella filosofia antica e
medievale c’erano spunti di riflessione sulla critica, anche se anco-
ra confusi nella logica e nella metafisica, ironizza: «È per questo che
tante anime buone si immaginano che la critica della conoscenza
cominci con Kant, come la libertà con la rivoluzione francese!» (II,
p. 22).
l’oggetto della logica è l’essere, un ente di ragione, che presup-
pone l’essere del metafisico, e vive solo nella logica, perché «l’ente
di ragione non può esistere fuori dell’intelletto» (IV, p. 561). la no-
zione di essere è fondamentale per il giudizio, in quanto il predicato
afferma la realtà del soggetto; ma la logica come tale non coglie que-
sto essere ontologico; infatti «ciò che il logico coglie formalmente è
la funzione dell’essere nella conoscenza» (IV, p. 562). la logica non
è l’ontologia: «Il dialettico per considerare le cose, non procede at-
traverso le cause reali, ma attraverso le intenzioni della ragione» (IV,
p. 567). la filosofia contemporanea ricerca una spiegazione logica
delle cose, ma il filosofo cerca delle cose una spiegazione ontologi-
ca. spetta alla critica, che è una parte della metafisica, verificare la
validità dei ragionamenti in rapporto alla realtà delle cose, perché la
logica riguarda solo le operazioni sugli enti di ragione. di fatto c’è
sempre una connessione tra metafisica e logica: «nessun sistema di
logica può essere costruito senza presupporre un insieme di posizio-
ni di ordine metafisico e critico: è così che le logiche che pretendono
o hanno preteso di soppiantare la logica dell’Organon di aristote-
le (per esempio la logica induttiva di Bacone, la logica empirista di
stuart Mill, le logiche psicologiste del XIX secolo, la logica neolei-
bniziana dei logisti, la logica della Scuola di Vienna) presuppongono
in realtà tutta una metafisica e tutta una critica della conoscenza più
o meno impregnate di nominalismo» (II, p. 682).
In questa prospettiva il problema critico è un problema interno
al problema metafisico. «la critica della conoscenza non esiste come
disciplina distinta dalla metafisica. assegnarle un’esistenza a parte
equivale a porre un terzo termine tra realismo e idealismo, tra il sì e
il no, il che è la pretesa dei moderni con la loro impensabile nozione
290 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

di puro fenomeno, che svuota dell’essere il concetto stesso di essere,


il più generale dei nostri concetti» (IV, pp. 408-409).
Il senso comune conferma questo atteggiamento realistico, ma
la filosofia non è un realismo ingenuo, che identifica la cosa con l’og-
getto, bensì un realismo critico, che non smentisce ma purifica il sen-
so comune. «Ciò che penso è ciò che è, pensa il senso comune (non
a torto), ma immediatamente materializza questa affermazione e la
storpia in una facile rappresentazione, immaginando che il pensiero
sia una specie di copia o di calco materiale della cosa, che coincide
in ogni tratto con questa, in modo tale che tutte le determinazioni
dell’una siano le determinazioni dell’altro» (IV, p. 416). la cosa nel
pensiero, oggetto di pensiero, è diversa dalla cosa nella realtà, pur
corrispondendo alla realtà, perché «tra la cosa e il pensiero, il pensie-
ro in atto intendo, vi è un’unità incomparabilmente più profonda che
tra un modello e un calco» (IV, p. 420). Maritain precisa in Riflessioni
sull’intelligenza (8) che «il problema più importante della critica è il
problema della verità e del valore del filosofare. In linguaggio tomi-
sta si può dire che la cosa è l’oggetto materiale del senso e dell’intel-
ligenza, mentre ciò che noi chiamiamo qui l’oggetto, è il loro oggetto
formale: oggetto formale e oggetto materiale colti in un sol tratto e in-
divisamente dalla medesima percezione» (IV, p. 432). Il realismo cri-
tico salva l’oggettività della conoscenza e l’attività del soggetto, nella
distinzione e nella correlazione tra essere e pensiero. soltanto in dio
il soggetto e l’oggetto, il pensiero e l’essere, coincidono.

4. dalla legge eterna al diritto come intersoggettività


Mi sono soffermato a lungo su questi problemi della conoscen-
za e della logica perché i problemi della prassi, dall’etica alla po-
litica, comprendendo anche la filosofia del diritto, ne dipendono.
Infatti, se noi possiamo conoscere la verità, cioè la realtà, siamo te-
nuti a rispettarla e ad agire in conformità, per cui non è il dovere
che fonda l’essere, come ritiene Kant affermando il primato della
ragion pratica, ma è l’essere che è dovuto. per la filosofia classica e
cristiana l’etica si può riassumere nel principio «fa’ il bene e sarai
felice»; si afferma un eudemonismo, non nel senso banale che la fe-
licità sia il fine dell’agire, ma più profondamente nel senso che chi
rispetta l’essere in se stesso realizza la sua persona, con la precisazio-
Conclusione 291

ne, sottolineata da Maritain, che per il cristiano la felicità consiste


non solo nella buona coscienza, ma nella beatitudine eterna che dio
solo può donare. a questo eudemonismo, nell’età di mezzo della fi-
losofia, si contrappone il rigorismo kantiano, per cui il dovere è una
forma vuota e l’imperativo categorico ci obbliga a fare il dovere per
il dovere, con uno stravolgimento dell’etica, per cui un’azione non
è più comandata, perché è giusta, ma è giusta, perché è comandata.
Hegel non fa che sostituire all’imperativo formale della coscienza
individuale la ragione di stato e si giunge nella prassi al nazional-so-
cialismo e al social-comunismo. Il pensiero contemporaneo reagisce
all’idealismo e al marxismo, che avevano teorizzato la sottomissione
dell’individuo al tutto sociale, ma negando la conoscibilità dell’es-
sere finisce in un relativismo etico, che sfocia facilmente in un utili-
tarismo per cui è bene ciò che ciascuno nella sua soggettività ritiene
bene per la sua convenienza. Volendo usare delle immagini si po-
trebbe dire che non si tratta più di studiare per sapere, o di lavora-
re per produrre (eudemonismo, si è soddisfatti del proprio lavoro
compiuto, per l’oggettività del risultato) e nemmeno di studiare per
studiare o di lavorare per lavorare (rigorismo), ma di studiare per
essere promossi, di lavorare per guadagnare. la logica strumentale
porta a queste conclusioni. Maritain accetta la posizione di aristote-
le per cui l’essere è il bene, che è dovuto dall’uomo, che liberamente
può rifiutarlo, e precisa, approfondendo il discorso nelle Nove lezio-
ni sulle prime nozioni della filosofia morale (47), che la norma preve-
de i premi e i castighi come una conseguenza naturale delle azioni
compiute, che ricadono sull’agente in ragione della sua responsabili-
tà. essi non hanno solo un valore politico di deterrente contro il ma-
le per garantire la società, né hanno solo un valore pedagogico come
strumenti per educare la persona: sono una remunerazione per l’a-
zione compiuta e non un rimedio sociale o personale. Il male ha
nientificato l’essere, ha privato l’ordine di qualcosa di dovuto. Mari-
tain individua nella dialettica intrinseca dell’ordine morale «la legge
di riequilibramento dell’essere» (IX, 930). Il male ricade su chi lo fa,
ristabilisce l’ordine e permette la guarigione morale. «Il colpevole è
ricondotto al suo vero posto, cessa di essere sfasato e dislocato, è esi-
stenzialmente riordinato. se accetta la pena come giusta, sarà gua-
rito» (IX, p. 932). la pena e la sofferenza hanno quindi un doppio
significato: sono nell’oggettività una punizione-restaurazione dell’or-
dine e nella soggettività una punizione-rimedio. I dannati hanno ciò
che hanno voluto. Maritain, in Dio e la permissione del male (58),
292 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

affronta anche i problemi teologici che ne derivano, riguardanti la


responsabilità dell’uomo e l’innocenza di dio rispetto al male, che è
un non-essere, che dio non può volere, che va riparato, ma che l’uo-
mo non è in grado di riparare. solo la sofferenza di cristo può salva-
re l’uomo dal suo peccato. passando al problema della politica, non
è difficile cogliere le sue naturali correlazioni con l’etica e constatare
il parallelismo con i problemi precedentemente esaminati, per l’or-
ganicità interna dei sistemi filosofici. se l’uomo è un animale sociale,
se è per natura sociale, perché nasce da una coppia, in una famiglia,
vive in un gruppo, lo scopo dello stato è la giustizia, il dare a ciascu-
no il suo secondo il bisogno e secondo il merito, per cui la politica
dipende dalla morale, come affermano aristotele e tommaso (stato
morale). se l’uomo è un individuo che diventa sociale attraverso un
contratto convenzionale con gli altri individui, come pensano loc-
ke, rousseau e Kant, lo stato non ha altro scopo che quello di garan-
tire la libertà dell’individuo e la legge comune vale solo nella legalità
convenuta (stato legale). dato il dualismo antropologico tra la res
cogitans e la res extensa di cartesio e il dualismo tra il regno dei fini
e il regno della natura, posto da Kant, le questioni che riguardano
gli spiriti vanno separate da quelle che riguardano i corpi. Maritain
chiama questa posizione machiavellismo moderato, perché non si af-
ferma ancora che la politica è il fondamento dell’etica, come faranno
in coerenza con il loro sistema filosofico Hegel e Marx, giungendo a
dire che lo stato ha sempre ragione e le sue leggi hanno perciò stes-
so un valore morale (stato etico) pervenendo al machiavellismo as-
soluto. Maritain sottolinea come queste conclusioni politiche siano
correlate con l’antropologia e con la logica. se il concetto di uomo,
secondo il fenomenismo, è un puro nome il cui valore è equivoco,
l’umanità è la somma eterogenea dei singoli individui. se per l’i-
dealismo il concetto di uomo è univoco, si risolve nell’umanità e i
singoli individui non sono che modi di essere dell’umanità. Mentre
per il realismo il concetto di uomo è analogico e si predica differen-
temente a tutti gli uomini, per cui l’umanità non esiste da se stessa,
ma è comune a tutte le persone umane. Maritain, in Per una politi-
ca più umana (38), scrive: «affermare l’uguaglianza di natura tra gli
uomini è, per l’idealismo egalitario, volere che ogni disuguaglianza
tra essi sparisca. affermare l’uguaglianza di natura tra gli uomini è
per il realismo cristiano volere che si sviluppino le disuguaglianze
feconde per il cui mezzo la moltitudine degli individui partecipa al
comune tesoro dell’umanità. l’idealismo egalitario decifra il termine
Conclusione 293

“uguaglianza” solo alla superficie; il realismo cristiano lo decifra in


profondità» (VIII, p. 266).
Venendo alla Filosofia del diritto si può ancor meglio compren-
dere questo percorso della storia della filosofia. la posizione della
filosofia classica e cristiana è quella del giusnaturalismo, secondo cui
esiste una legge eterna, radice del diritto naturale, che trascende la
coscienza, la quale attraverso il contratto sociale si esprime nella leg-
ge civile. Questa posizione che trova in dio la fonte della legge eter-
na presuppone il realismo, cioè la possibilità di conoscere la verità e
di raggiungere l’essere. con il fenomenismo, che nega la possibilità
di conoscere la verità non si può più agganciare il diritto naturale
a dio; per cui Kant e i cosiddetti giusnaturalisti, fondando il dirit-
to naturale solo sulla ragione umana, danno origine ad una sorta di
giusrazionalismo. Maritain osserva che con Grozio e il giusnaturali-
smo c’è stato un rimaneggiamento razionalista della legge naturale,
una specie di geometrizzazione razionalistica del discorso. si ritiene
che la legge naturale sia un codice scritto dalla ragione umana, una
specie di calco da applicare agli atti umani, una norma che ha valo-
re a priori e per se stessa è universale, uguale per tutti gli uomini. si
giunge ad una concezione del tutto astratta e irreale del diritto natu-
rale, non più radicata nell’esistenza di dio.
Il giusrazionalismo, pur abolendo la legge eterna, riconosce la
distinzione tra diritto naturale e diritto positivo perché distingue tra
una legge naturale, formulata dalla ragione, e la legge civile, formu-
lata dallo stato, garantendo al cittadino l’obiezione di coscienza di
fronte ad una legge civile che la sua coscienza, per fondati motivi eti-
ci, ritiene ingiusta. con l’avvento dell’idealismo, che identifica l’es-
sere con il pensiero, risolvendolo nel divenire dialettico, si giunge a
negare la distinzione tra diritto naturale e diritto civile, affermando
che l’unica legge è quella civile, quella promulgata dallo stato. lo
stato etico e il machiavellismo assoluto non potevano che conclu-
dere in questo assolutismo che ha trovato nel secolo scorso la sua
realizzazione nei regimi totalitari, finendo in una sorta di giuspositi-
vismo, perché solo il diritto positivo ha valore giuridico, politico ed
etico. Il fascismo, il nazionalsocialismo, il falangismo, il comunismo
riconoscono come unica legge della società quella dello stato, a cui
vogliono subordinare i cittadini non solo sul piano della legalità, ma
anche su quello della morale.
294 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

5. dallo stato assoluto allo stato democratico


la storia della vita politica in europa è passata dallo stato as-
soluto, prima delle grandi monarchie europee in spagna, Francia,
prussia, russia, poi dei totalitarismi ideologici di destra e di sinistra,
con l’intervallo della rivoluzione francese e allo stato democratico.
oggi in tutta europa, dopo due conflitti mondiali, si va conso-
lidando lo stato democratico a matrice liberale, perché si ritorna
alla distinzione tra diritto naturale e diritto positivo, ma si fonda
questo riconoscimento solo sull’intersoggettività tra gli uomini, alla
maniera di Kant, perché il pensiero debole non riconosce alla ra-
gione umana la possibilità di conoscere la verità. Hans Kelsen, nel
sostenere la giustificazione relativistica della democrazia, si richia-
ma a pilato che, rifiutandosi di distinguere il giusto dall’ingiusto e
lavandosi le mani, si appella al popolo chiedendo ad esso di decide-
re, perché non sapeva cosa fosse la verità, e così in una società de-
mocratica spetta al popolo decidere e regna la reciproca tolleranza,
proprio perché nessuno sa che cosa sia la verità. Maritain risponde,
ne Il filosofo nella città (55): «se fosse vero che chiunque conosce, o
pretende di conoscere, la verità, non può ammettere la possibilità di
un punto di vista diverso dal proprio ed è quindi tenuto ad impor-
re il proprio punto di vista agli altri con la violenza, allora l’animale
ragionevole sarebbe il più pericoloso di tutti gli animali. In realtà,
l’animale ragionevole è tenuto, in virtù della sua natura, a cercare
di condurre i propri compagni a partecipare di ciò che egli conosce
come vero o come giusto, non con la coercizione, ma con mezzi ra-
zionali e con la persuasione» (XI, p. 77). come si può constatare, la
questione in fondo riguarda la possibilità o la realtà di potere cono-
scere la verità. anche in Italia G. Zagrebelsky, nel già citato Il Cruci-
fige e la democrazia, analizza queste problematiche e commentando
il processo a Gesù rileva che tra il dogmatismo di caifa, che vuole
imporre allo stato la legge ecclesiale, e lo scetticismo di pilato, che si
domanda “che cosa sia la verità” e vuole solo garantire il suo potere
politico, la democrazia esige un atteggiamento possibilista di fronte
alla verità intesa come fondamento delle relazioni sociali.
Il problema riguarda il rapporto tra la soggettività della coscien-
za e l’oggettività della legge, e più profondamente la relazione tra
libertà e verità. nella storia della filosofia occidentale siamo passati
dal realismo ebraico-greco-latino-cristiano nel quale soggettività e
oggettività sono poste in interrelazione, attraverso il piano inclina-
Conclusione 295

to del fenomenismo empiristico e razionalistico, ancorato solo alla


soggettività, all’idealismo hegeliano, che fa dell’oggettività un asso-
luto. Maritain, nel riconoscere il valore della democrazia, recupera
insieme libertà e verità, soggettività e oggettività, evitando due er-
rori: «da una parte l’errore degli assolutisti, che vogliono imporre
la verità con la costrizione, deriva dal fatto che essi trasferiscono
dall’oggetto al soggetto i sentimenti che provano a buon diritto nei
confronti dell’oggetto; essi pensano che, come l’errore non ha per
sé diritti di sorta e deve essere bandito dallo spirito (con i mezzi
dello spirito), così l’uomo quando è in errore non gode di diritti
propri e deve essere bandito dal consorzio degli uomini (con i mez-
zi del potere umano). dall’altra parte l’errore dei teorici che fanno
del relativismo, dell’ignoranza e del dubbio la condizione necessa-
ria per la reciproca tolleranza deriva dal fatto che essi trasferiscono
dal soggetto all’oggetto i sentimenti che provano a buon diritto nei
confronti del soggetto – che deve essere rispettato anche quando è
un errore – e così privano l’uomo e l’intelletto umano di quell’atto,
l’adesione alla verità, nel quale consistono ad un tempo la dignità
dell’uomo e la sua ragione di vivere» (XI, pp. 78-79). Il pluralismo
non è una filosofia ma solo una metodologia politica che fonda la le-
gittimità della legge formulata dalla maggioranza e insieme garan-
tisce al cittadino la libertà dell’obiezione di coscienza quando una
legge sia ritenuta dalla persona fondatamente contraria alla verità
in cui essa si riconosce. si può superare così lo scetticismo del rela-
tivista e il dogmatismo del fondamentalista. Ma la democrazia non
richiede solo il rispetto della libertà di coscienza, ma implica anche
la ricerca della giustizia sociale, come il personalismo, pur nelle sue
diverse espressioni, esistenziali, fenomenologiche, neoscolastiche,
spiritualiste, perché l’unità sociale di base non è l’individuo come
atomo ma la persona umana nelle sue relazioni sociali, ad incomin-
ciare dalla famiglia. Bisogna superare i limiti della democrazia libe-
rale senza cadere in qualsiasi forma di socialismo, sia esso di destra o
di sinistra, che fa del gruppo un’astrazione; la democrazia è un tutto
fatto di tutti, perché il bene comune non è il bene delle istituzioni,
ma delle persone in società. Il bene comune, come rileva Maritain in
La persona umana e il bene comune (43), non solo deve essere intrin-
secamente morale, ma dev’essere distribuibile ai cittadini.
296 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

6. dall’universo organico al pluriverso casuale


tutte le precedenti considerazioni riguardanti i problemi del co-
noscere e i problemi dell’agire vanno considerate all’interno dei pro-
blemi riguardanti la metafisica, cioè l’essere del mondo, dell’uomo e di
dio. per il pensiero greco tutti gli esseri nel loro insieme costituiscono
un universo organico. anche se ci fossero molti mondi, se ci fossero
anche altri mondi al di là dello spazio e del tempo da noi conosciuti,
tutti questi esseri globalmente costituirebbero un solo universo, con
un punto di riferimento unitario. aristotele nella sua metafisica ha
impostato il problema attraverso la relazione materia-forma degli es-
seri in divenire dalla potenza all’atto che rimandano ad un atto puro
trascendente, Forma delle forme. dio trascende il mondo. Il pensiero
ebraico-cristiano, attraverso la narrazione biblica, considera la natura
come una creatura posta in essere e sorretta dal Creatore. san tomma-
so, lavorando sulla relazione costitutiva dell’essere, cioè sul rapporto
essenza-esistenza, precisa che dio è l’essere e tutti gli altri esseri hanno
l’essere da lui, per cui il mondo è costantemente sorretto dalla prov-
videnza di dio, causa efficiente e causa finale.
con il fenomenismo di cartesio e di Kant, che nega la possibili-
tà di conoscere la metafisica e restringe la conoscenza dell’uomo nei
limiti dello spazio e del tempo, si giunge alla contrapposizione tra il
mondo delle cose e il mondo degli spiriti, tra il regno della natura e
il regno degli spiriti. si pone dio come un’ipotesi fuori dalla storia
del mondo, in una sorta di parallelismo tra dio e il mondo, nell’in-
certezza tra trascendenza e immanenza, tra monismo e pluralismo.
Ma subito dopo l’idealismo hegeliano, anche nella sua variante mar-
xista, nega ogni trascendenza e considera l’assoluto immanente al
divenire in un monismo nel quale i singoli esseri sono ridotti a modi
di essere del tutto immersi nel fluire della storia. la necessità del di-
venire dialettico regola la vita di ogni essere; il male e il bene sono
momenti provvisori di questo divenire e si includono reciprocamen-
te. È l’età delle ideologie e dei totalitarismi.
la filosofia contemporanea rompe con questo monismo, affer-
ma il valore e l’indipendenza dell’individuo, considera il mondo un
pluriverso senza regole necessarie. Maritain osserva che in questo
pluriverso «tutto è spezzato e discontinuo, anche il tempo che flui-
sce a gocce, non ci sono che episodi infilati l’uno dietro l’altro e
provenienti da contesti diversi, tutto si scinde e si spezzetta in fram-
menti, che si ammucchiano gli uni sugli altri, si urtano e si frammi-
Conclusione 297

schiano» (III, p. 317). non la provvidenza, o la necessità, ma il caso


regna sovrano su questo pluriverso sconnesso. non si nega dio ma
si afferma che «non è onnipotente, perché l’onnipotenza di dio è
incompatibile con l’individualità assoluta delle persone […] perché
dio non basta a se stesso, ed ha bisogno della nostra collaborazio-
ne» (III, p. 320). ci troviamo di fronte ad una forma di agnosticismo
perché, per usare le espressioni di pirandello, si potrebbe dire, come
recita il titolo di un suo romanzo, Uno, nessuno, centomila, e come
quello di una commedia, Così è se vi pare, la cui protagonista giunge
a dire «Io sono colei che mi si crede».

7. Il ritorno alla saggezza


l’analisi del percorso storico del pensiero occidentale, dilagato con
il marxismo e il neocapitalismo in tutto il mondo, ha mostrato come il
prevalere della scienza sulla saggezza, dell’avere sull’essere, del sapere
discorsivo sul sapere intuitivo, porta al disumanesimo, al dominio del-
la società sull’uomo, di pochi su molti, dei popoli ricchi sui popoli po-
veri. Bisogna recuperare il primato della contemplazione sull’azione,
dello spirituale sul temporale, della mistica sulla politica, come péguy
e Bergson hanno indicato e come Maritain ha concettualizzato, recu-
perando il pensiero greco e cristiano. «aristotele e i saggi dell’antichità
sapevano che le virtù morali sono ordinate alla contemplazione della
verità, che trascende l’intercomunicazione politica» (VII, p. 667). san
tommaso ci ha insegnato che «l’attività esteriore deve discendere dalla
sovrabbondanza dell’attività interiore, mediante la quale l’uomo si uni-
sce alla verità e alla sorgente dell’essere» (VI, p. 728).
se gli uomini nel travaglio della storia sono riusciti a trovare un ac-
cordo pratico sui diritti dell’uomo, riconoscendo a ciascuno la libertà
di coscienza, è perché si sono liberati dalla presunzione illuministica
di essere legge a loro stessi e dalla sovranità dello stato come asso-
luto nella storia. dall’idealismo della ragione trionfante sono tornati
al fenomenismo del pensiero debole, facendo un passo avanti posso-
no ritrovare il realismo della conoscenza e riscoprire il diritto natu-
rale come fondamento del loro accordo. Gli uomini del XXI secolo
dall’ateismo militante delle ideologie, hegeliane o marxiste, deweyane
o sartriane, sono passati al deismo riconoscendo l’esistenza di un va-
lore assoluto, ancora un poco, possono ritrovare il teismo e scoprire
298 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

che Colui che è è il padre di tutti gli uomini. la logica simbolica, ma-
tematizzata, resta nel mondo della tecnica un prezioso strumento di
lavoro, ma riconosciuti i limiti e le competenze delle scienze naturali e
matematiche, bisogna ritornare all’armonia tra la scienza e la saggez-
za. Il fatto che scienziati e filosofi lavorino insieme nella bioetica è il
sintomo di una ricomposizione epistemologica dopo la frantumazio-
ne del sapere. riconosciuta la democrazia come ideale di fraternità e
di giustizia per tutti i popoli e tra tutti i popoli, gli uomini debbono
prendere coscienza che il fine ultimo della vita umana non è il benes-
sere temporale della società, ma la beatitudine eterna nella contem-
plazione di dio. siamo usciti dalla modernità nata dal cogito ergo sum
di cartesio per riscoprire attraverso la metafisica e le grandi religio-
ni monoteistiche, ebraismo, cristianesimo, islamismo, quell’adoro er-
go sum che pone l’uomo nelle sue reali condizioni e nel suo destino
ultimo. nel suo ultimo discorso all’Unesco, il 21 aprile 1966, su Le
condizioni spirituali del progresso e della pace (XIII, pp. 755-764)208,
Maritain riafferma il primato dello spirituale come motore della sto-
ria: «le scoperte tecniche hanno avuto un peso molto grande nello
sviluppo dell’umanità. le scoperte spirituali hanno avuto un peso an-
cor più grande […]. certo è necessario del tempo, a volte occorrono
lunghi anni. proprio per questa ragione l’azione dello spirituale sugli
uomini e sulla storia è più vasta e più potente che non l’azione tem-
porale, fosse pure la più folgorante, che esercita tutta la sua forza in
un dato momento ed i cui effetti sono immediatamente portati via dal
flusso e dalle fluttuazioni del tempo» (XIII, p. 756). l’ultimo articolo
di Maritain, Le due grandi Patrie209 è quasi un testamento: «Verrà un
giorno in cui questa grande patria che è il mondo, ritroverà in buo-
na parte, in mezzo a mali anch’essi nuovi, secondo la legge della sto-
ria del mondo, il fine vero per cui è stata creata; un giorno in cui una
nuova civiltà darà agli uomini non certo la felicità perfetta, ma un or-
dinamento più degno di loro e li renderà più felici sulla terra, poiché
io penso che la meravigliosa pazienza di dio non sia ancora esaurita, e
che il giudizio finale non avverrà domani» (XVI, p. 1158).
È questo il senso dell’Umanesimo integrale di Maritain, che rac-
corda l’umano e il divino, la ragione e la fede, la libertà e la grazia, la
società civile e la comunità cristiana, sottolineando che l’uomo è in

208
cf. J. Maritain, Il compito dello spirituale nei confronti del progresso e della pace,
in «Humanitas», XXVIII, 7 (luglio 1973), pp. 494-501.
209
J. Maritain, Les deux grandes Patries, in «le Monde», 2-3 septembre 1973.
Conclusione 299

questo mondo per coltivarlo e per popolarlo, ma in vista del fine ul-
timo, che è la contemplazione di dio. Questa filosofia cristiana, che
non svaluta i valori umani, non li considera mezzi, ma fini infrava-
lenti, raccordati con il fine ultimo, nasce dal messaggio evangelico,
che ci ricorda come la valutazione ultima del comportamento uma-
no riguardi proprio la realizzazione dei fini intermedi: «l’avere dato
da mangiare all’affamato… l’avere visitato l’ammalato…» (Mt 25,
31-46). l’uomo non è estraneo a questo mondo, ma questo mondo
non basta all’uomo.
300 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain
II. L’età delle ideologie 301

elenco cronologico
delle opere di Jacques Maritain

Maritain ha voluto che nelle sue Oeuvres Complètes le sue opere


fossero riportate in ordine cronologico secondo la prima edizione,
ma nel testo dell’ultima edizione. nel Dizionario delle opere di Jac-
ques Maritain ho ricostruito la genesi di ciascuna opera con le va-
rianti relative alle diverse edizioni e traduzioni.
si riportano in questo elenco tutte le opere di Maritain in ordine
cronologico, indicando per ciascuna la collocazione nelle Oeuvres
Complètes, la prima traduzione in lingua italiana e segnalando le
successive edizioni solo quando è cambiato l’editore.
l’edizione in lingua francese è: J. e r. Maritain, Oeuvres
Complètes, a cura di J.-M. allion, M. Hany, d. Mougel, r. Mougel,
M. nurdin, H.r. schmitz, editions Universitaires-editions saint
paul, Fribourg (suisse)-paris 1986-2008, 17 voll. I volumi XIV e XV
riportano gli scritti di raïssa Maritain. Il volume XVI riporta testi ri-
trovati, inediti o pubblicati in riviste secondarie tra il 1920 e il 1973.
Il volume XVII contiene gli indici generali e la bibliografia.
È in corso l’edizione dell’Opera omnia in lingua inglese: The Col-
lected Works of Jacques Maritain, a cura di r. McInerny e B. doering,
University of notre dame press, notre dame (Indiana).
per approfondimenti e aggiornamenti, cf. i «cahiers Jacques
Maritain», 21 rue de la division leclerc, 671210 Kolbsheim (Fran-
ce), dei quali, dal 1980 ad oggi, sono stati già pubblicati 66 fascicoli.
Indirizzo di posta elettronica:
cercle.maritain.kolbsheim@wanadoo.fr
302 Elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain

1. I, pp. 5-612 La philosophie bergsonienne: études critiques,


Marcel rivière, paris 1913, 447 pp.; nuova ed.
in lingua inglese, new York 1965
2. I, pp. 615-788 Art et scolastique, librairie de l’art catholique,
paris 1920, 188 pp.; 4° ed. riv., 1947; tr. it., Arte
e Scolastica, Morcelliana, Brescia 1980
3. II, pp. 9-272 Eléments de philosophie, I. Introduction géné-
rale à la philosophie, téqui, paris 1920; 32° ed.
riv., 1963; tr. it., Introduzione alla filosofia, seI,
torino 1947; Massimo, Milano 1988, con post-
fazione di p. Viotto
4. II, pp. 765-921 Théonas, ou les entretiens d’un sage et de deux
philosophes sur diverses matières inégalement
actuelles, nouvelle librairie nationale, paris
1921, 220 pp.; 19252; tr. it., Théonas, dialoghi
tra un sapiente e due filosofi su argomenti di
diversa attualità, Introduzione di a. Gnemmi,
Vita e pensiero, Milano 1982
5. II, pp. 922-1136 Antimoderne, editions de la revue des Jeunes,
paris 1922, 247 pp.; 19252; tr. it., Antimoderno,
con premessa di l. castiglione, logos, roma
1979
6. XIV, pp. 15-81 De la vie d’oraison, À l’art catholique, paris
1925, scritto in collaborazione con raïssa;
nuova ed., 1947; tr. it., Vita di preghiera, Borla,
torino 1961
7. II, pp. 275-763 Eléments de philosophie, II. L’ordre des concepts
II, pp. 665-763 (Logique), pierre téqui, paris 1923, 355 pp.;
32° ed. riv., 1963, La grande logique; tr. it., Ele-
menti di filosofia, II. Logica minore, Introduzio-
ne di J.J. sanguineti, Massimo, Milano 1990

8. III, pp. 7-426 Réflexions sur l’intelligence et sur sa vie propre,


nouvelle librairie nationale, paris 1924, 388
pp.; 4° ed. riv., 1947; tr. it., Riflessioni sull’intel-
ligenza, Introduzione di V. possenti, Massimo,
Milano 1987
Elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain 303

9. III, pp. 429-655 Trois réformateurs: Luther, Descartes, Rousseau,


librairie plon, paris 1925, 284 pp.; 5° ed. riv.,
1947; tr. it., Tre riformatori: Lutero, Cartesio,
Rousseau, Introduzione di G.B. Montini, Mor-
celliana, Brescia 1928; nuova ed. 1967, Introdu-
zione di a. pavan
10. III, pp. 657-737 Réponse à Jean Cocteau, stock, paris 1926, 147
pp.; tr. it., I contadini del cielo, la locusta, Vi-
cenza 1947; edizioni successive: Cocteau a Ma-
ritain, Maritain a Cocteau, o.e.t., roma 1958;
Lettera a Cocteau, passigli, Firenze 1988-1999
11. III, pp. 749-780 Une opinion sur Charles Maurras, et les devoirs
des catholiques, plon, paris 1926, 40 pp.
12. III, pp. 783-988 Primauté du spirituel, plon, paris 1927, 315
pp.; diverse edizioni fino al 1961; tr. it., Primato
dello spirituale, Introduzione di G. campanini,
logos, roma 1980
13. III, pp. 991- Quelques pages sur Léon Bloy, l’artisan du livre,
1023 paris 1927, 49 pp.
14. III, pp. 1025- Clairvoyance de Rome, spes, paris 1929
1191
15. IV, pp. 9-191 Le Docteur Angélique, Hartmann, paris 1929,
XVIII-247 pp.; 3° ed. in lingua inglese, new
York 1958; tr. it., Il Dottore Angelico, Introdu-
zione di c. Bo, cantagalli, siena 1936; nuova
ed., Introduzione di I. Biffi, 2006
16. IV, pp. 193-255 Religion et culture, desclée de Brouwer, paris
1930, 115 pp.; 4° ed. riv., 1947; tr. it., Religione
cultura, Guanda, Bologna 1938; Morcelliana,
Brescia 1966, nota introduttiva di a. pavan
304 Elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain

17. IV, pp. 257-1111 Distinguer pour unir: ou les degrés du savoir,
desclée de Brouwer, paris 1932, XVIII-919
pp.; numerose edizioni, modificate e ampliate,
fino alla definitiva del 1963.
XVII, pp. 566- cf. anche la nuova introduzione alla tr. ingl.,
573 The Degrees of Knowledge, Bles, london 1959,
XVII-XIX pp.; tr. it., I gradi del sapere, Morcel-
liana, Brescia 1974
18. V, pp. 9-222 Le songe de Descartes, Buchet chastel, paris
1932, XII-346 pp.; nuova ed. 1965
19. V, pp. 225-316 De la philosophie chrétienne, desclée de
Brouwer, paris 1933, 166 pp.; 19382; tr. it., Sulla
filosofia cristiana, Vita e pensiero, Milano 1978,
Introduzione di V. Melchiorre
20. V, pp. 319-515 Du régime temporel et de la liberté, desclée
de Brouwer, paris 1933, 268 pp.; 19382; tr. it.,
Strutture politiche e libertà, Morcelliana, Brescia
1968, Introduzione di a. pavan
21. V, pp. 517-683 Sept leçons sur l’être et les premiers principes de
la raison spéculative, téqui, paris 1934, 284 pp.;
tr. it., Sette lezioni sull’essere e sui primi princi-
pi della ragione speculativa, Massimo, Milano
1981, Introduzione di V. possenti
22. V, pp. 985-816 Frontières de la poésie et autres essais, rouart,
paris 1935, 226 pp.;
V, pp. 810-817 tr. ingl., Art and Poetry, philosophical librairie,
new York 1943, con una nuova introduzione
di Maritain; tr. it., Frontiere della poesia ed altri
saggi, Morcelliana, Brescia 1981

23. V, pp. 817-968 La philosophie de la nature: essai critique sur ses


frontières et son objet, téqui, paris 1935, 226
pp.; tr. it., La filosofia della natura, Morcelliana,
Brescia 1974
24. VI, pp. 11-250 Science et sagesse, suivi d’éclaircissement sur
la philosophie morale, labergerie, paris 1935,
393 pp.; tr. it., Scienza e saggezza, Borla, torino
1963, presentazione di p. Viotto
Elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain 305

25. VI, pp. 253-288 Lettre sur l’indépendance, desclée de Brouwer,


paris 1935, 66 pp.; tr. it., Lettera sull’indipen-
denza, in Scritti e manifesti politici, 1933-1939, a
cura G. campanini, Morcelliana, Brescia 1978,
pp. 45-73
26. VI, pp. 301-634 Problemas espirituales y temporales de una nue-
va cristiandad, Madrid, el signo 1935; ed. fr.,
Humanisme intégral, aubier, paris 1936; nume-
rose edizioni, modificate e ampliate, fino alla
definitiva del 1947; tr. it., Umanesimo integrale,
studium, roma 1946; nuova ed., Borla, torino
1962, presentazione di p. Viotto; successiva ed.,
1969, nota di p. Viotto
27. VI, pp. 637-832 Questions de conscience, desclée de Brouwer,
paris 1938, 282 pp., 19392; tr. it., Questioni di
coscienza, Vita e pensiero, Milano 1980, Intro-
duzione di V. possenti
28. scritti di raïssa: Situation de la poésie, desclée de Brouwer, pa-
XV, pp. 659-681 ris 1938, 166 pp.; tr. it., Situazione della poesia,
e 683-696; Morcelliana, Brescia 1979
scritti di Jac-
ques: VI, pp.
835-891
29. VII, pp. 9-49 Le crépuscule de la civilisation, ed. les nouvel-
les lettres, paris 1939, 31 pp.; ultima ed. rive-
duta e aumentata, “l’arbre”, Montréal 1941; tr.
it., Il crepuscolo della civiltà, in Scritti e manife-
sti politici 1933-1939, a cura di G. campanini,
Morcelliana, Brescia 1978, pp. 169-197
30. Quatre essais sur l’esprit dans sa condition char-
nelle, desclée de Brouwer, paris 1939, 226 pp.;
VII, pp. 51-280 nuova ed. riveduta e aumentata con due appen-
dici e una nota, alsatia, paris 1956, 272 pp.;
tr. it., Quattro saggi sullo spirito umano nella con-
dizione d’incarnazione, Morcelliana, Brescia 1978
31. VII, pp. 283-425 De la justice politique, plon, paris 1940, pp. XIII,
114; tr. ingl., 1941, con una breve postfazione
306 Elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain

32. VII, pp. 337-425 À travers le désastre, editions de la Maison


Française, new York 1941, 149 pp. Il volume,
pubblicato durante la guerra, ebbe un’edizione
clandestina (aux éditions de minuit, paris 1942)
e una in polonia. l’ed. ingl. (1941) ha un post-
scriptum (VII, pp. 424-425), la seconda ed. fr.
(1944) ha una nota di Maritain (VII, pp. 339-
341), l’ed. definitiva (1946) ha un’altra nota di
Maritain (VII, pp. 337-338); tr. it., Attraverso il
disastro, capriotti, roma 1945
33. VII, pp. 427-615 La pensée de saint Paul, ed. de la Maison Fran-
çaise, new York 1941, 252 pp., correa, paris
1947; tr. it., Il pensiero di san Paolo, Borla,
roma 1964, presentazione di p. Viotto
34. VII, pp. 617-695 Les droits de l’homme et la loi naturelle, edi-
tions de la Maison Française, new York 1942,
144 pp.; ulteriori edizioni francesi 1945, 1947;
tr. it., I diritti dell’uomo e la legge naturale, co-
munità, Milano 1953; Vita e pensiero, Milano
1977, 114 pp., presentazione di V. possenti;
1991
35. VII, pp. 699-762 Christianisme et démocratie, editions de la
Maison Française, new York 1943, 94 pp.;
successive edizioni, 1945 e 1947; tr. it., Cristia-
nesimo e democrazia, comunità, Milano 1953;
Vita e pensiero, Milano 1977, presentazione di
G. lazzati
Elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain 307

36. VII, pp. 765-900 Education at the Crossroads, Yale University


e 963-988 press, new Haven 1943, 120 pp.; L’éducation à
la croisée des chemins, egloff, paris 1947, rivista
riga per riga dall’autore e con un’Introduzione
di c. Journet, contiene l’appendice Le problème
de l’école publique en France; nel volume Pour
une philosophie de l’éducation, Fayard, paris
1959 e 1969 Maritain riporta le quattro lezioni
con delle varianti; tr. it., L’educazione al bivio,
la scuola, Brescia 1948, Introduzione di a.
agazzi; nell’ed. del 1975 un’appendice di p.
Viotto riporta, dopo il testo originale del 1943,
le varianti del 1959 e del 1969 (pp. 161-187);
una nuova ed. è stata cura da G. Galeazzi in Per
una filosofia dell’educazione, la scuola, Brescia
2001, pp. 55-215
37. VIII, pp. 9-174 De Bergson à Thomas d’Aquin, editions de la
Maison Française, new York 1944, 269 pp.;
Hartmann, parigi 1947; tr. it., Da Bergson a
Tommaso d’Aquino, Mondadori, Milano 1947,
Introduzione di r. cantoni; Vita e pensiero,
Milano 1980, Introduzione di V. possenti
38. VIII, pp. 177- Principes d’une politique humaniste, editions de
355 la Maison Française, new York 1944, 232 pp.;
Hartmann, paris 1945; tr. it., Per una politica
più umana, Morcelliana, Brescia 1968
39. VIII, pp. 357- À travers la victoire, Hartmann, paris 1945, 57
375 pp.
40. VIII, pp. 379- Messages (1941-1944), editions de la Maison
508 Française, new York 1945, 221 pp.
41. VIII, pp. 511- Pour la Justice: articles et discours (1940-1945),
1008 editions de la Maison Française, new York
1945, 367 pp.
42. IX, pp. 9-140 Court traité de l’existence et de l’existant, Hart-
mann, paris 1947, 239 pp.; 2° ed. ampliata,
1964; tr. it., Breve trattato dell’esistenza e
dell’esistente, Morcelliana, Brescia 1965
308 Elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain

43. IX, pp. 167-237 La personne et le bien commun, desclée de


Bouwer, paris 1947, 93 pp.; tr. it., La persona
umana e il bene comune, Morcelliana, Brescia
1948
44. IX, pp. 239-438 Raisons et raison, egloff, paris 1948, 358 pp.;
tr. it., Ragione e ragioni, Vita e pensiero, Milano
1982, Introduzione di V. possenti
45. IX, pp. 441-469 La signification de l’athéisme contemporain,
desclée de Brouwer, paris 1949, 42 pp.; tr. it.,
Il significato dell’ateismo contemporaneo, Mor-
celliana, Brescia 1950
46. IX, pp. 471-736 Man and the State, University of chicago press,
chicago 1951, 219 pp.; tr. fr., L’homme et l’état,
presse Universitaire de France, paris 1953; le
oc riportano il testo francese, ma rivisto con le
integrazioni dell’ultima edizione americana del
1956; tr. it., L’uomo e lo Stato, Vita e pensiero,
Milano 1963; nuova ed., 1981, Introduzione di
V. possenti; ed. successiva, 1992, con una nota
di bibliografia ragionata di p. Viotto; ulteriore
ed., Marietti, Genova 2004
47. IX, pp. 739-939 Neuf leçons sur les notions premières de la phi-
losophie morale, téqui, paris 1951, 195 pp.;
196412; Nove lezioni sulle prime nozioni della
filosofia morale, Vita e pensiero, Milano 1978,
Introduzione di V. possenti
48. X, pp. 9-99 Approches de Dieu, alsatia, paris 1953, 136
pp.; tr. it., Alla ricerca di Dio, edizioni paoline,
roma 1968, 118 pp.; nuova ed. con il titolo
Ateismo e ricerca di Dio, Massimo, Milano 1981
Elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain 309

49. X, pp. 101-601 Creative Intuition in Art and Poetry, pantheon


Book, new York 1953, XXXII-423 pp.; tr. fr.,
L’intuition créatrice dans l’art et la poésie, des-
clée de Brouwer, paris 1966 (presenta delle
varianti rispetto al testo inglese); tr. it., L’in-
tuizione creativa nell’arte e nella poesia,
Morcelliana, Brescia 1957 (è la traduzione
dell’ed. ingl.; la successiva ed. del 1983 è rico-
struita sul testo francese)
50. X, pp. 928-949 Georges Rouault, Harry ambrams, new York
1954, 74 pp.; tr. it., in «Il sabato», 6-11 aprile
1980, pp. 17-19
51. X, pp. 603-761 On the Philosophy of History, charles scrib-
ner’s sons, new York 1957, 180 pp.; tr. fr. di
c. Journet, Pour une philosohpie de l’histoire
seuil, paris 1959; tr. it., Per una filosofia della
storia, Morcelliana, Brescia 1957
52. X, pp. 763-922 Reflection on America, charles scribner’s sons,
new York 1958, 205 pp.; tr. fr. a cura di ph.
lecomte du nouy, Réflexions sur l’Amérique,
Fayard, paris 1958; tr. it., Riflessioni sull’Ame-
rica, Morcelliana, Brescia 1960
53. VII, pp. 901-961 Pour une philosophie de l’education, Fayard,
paris 1959, 250 pp.; nuova ed. riv., 1969; tr. it.,
L’educazione della persona, la scuola, Brescia
1962, Introduzione di p. Viotto; nuova ed. a
cura di G. Galeazzi, in Per una filosofia dell’edu-
cazione, la scuola, Brescia 2001, pp. 217-304
54. XIV, pp. 83-154 Liturgie et contemplation, scritto in collabo-
razione con raïssa, prefazione di c. Journet,
desclée de Brouwer, paris 1959, 98 pp.; tr. it.,
Liturgia e contemplazione, Borla, roma 1979
55. XI, pp. 9-130 Le philosophe dans la cité, alsatia, paris 1960,
205 pp.; tr. it., Il filosofo nella società, Morcel-
liana, Brescia 1976, Introduzione di a. pavan
310 Elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain

56. XI, pp. 133-230 The Responsibility of the Artist, scribner’s sons,
new York 1960, 120 pp.; tr. fr., La responsa-
bilité de l’artiste, Fayard, paris 1961; tr. it., La
responsabilità dell’artista, Morcelliana, Brescia
1963
57. XI, pp. 233- La philosophie morale. Examen historique et
1040 critique des grands systèmes, n.r.F. Gallimard,
paris 1960, 588 pp.; ristampe 1961-1966; tr. it.,
La filosofia morale, Morcelliana, Brescia 1971;
19995, con una posfazione di V. possenti e un
Indice degli argomenti di p. Viotto
58. XII, pp. 9-123 Dieu et la permission du mal, desclée de
Brouwer, paris 1963, 82 pp.; 19643, con una
nota aggiuntiva; tr. it., Dio e la permissione del
male, Morcelliana, Brescia 1965
59. XII, pp. 429-660 Il mistero di Israele, Morcelliana, Brescia 1964
186 pp.; Introduzione di a. pavan; l’ed. or.
it., a cura di a. pavan, precede l’ed. fr. e pre-
senta alcune varianti rispetto alle oc; ed. fr.,
Le mystère d’Israël, desclée de Brouwer, paris
1965; nuova ed., con testi non compresi nella
precedente ed., Il mistero di Israele, Massimo-
Jaca Book, Milano 1990, Introduzione di V.
possenti
60. XII, pp. 122-427 Carnet de notes, desclée de Brouwer, paris
1965, 430 pp. le oc riportano il testo pro-
grammato per una seconda ed. alleggerito dei
capitoli VII e VIII che sono stati pubblicati in
Approche sans entraves; tr. it., Ricordi e appun-
ti, Morcelliana, Brescia 1967; l’ed. it. riporta
anche i capitoli VII Amore e amicizia e VIII A
proposito della Chiesa del Cielo
61. XII, pp. 663- Le paysan de la Garonne, desclée de Brouwer,
1035 paris 1966, 410 pp.; tr. it., Il contadino della Ga-
ronna, Morcelliana, Brescia 1969; nuova ed., Il
cerchio, rimini 2009
Elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain 311

62. XII, pp. 1037- De la grace et de l’humanité de Jésus, desclée de


1176 Brouwer, paris 1967, 156 pp.; tr. it., Della grazia
e della umanità di Gesù, Morcelliana, Brescia
1971
63. XIII, pp. 9-411 De l’Eglise du Christ. La personne de l’église et
son personnel, desclée de Brouwer, paris 1970,
310 pp.; nuova ed. rivista e aumentata nelle
note, 1971; tr. it., La Chiesa del Cristo. La perso-
na della Chiesa e il suo personale, Morcelliana,
Brescia 1971
64. XIII, pp. 413- Approches sans entraves, Fayard, paris 1973,
1223 600 pp., Préface a cura di e.r. Korn; tr. it., Ap-
proches sans entraves, scritti di filosofia cristiana,
città nuova, roma, vol. I 1977, vol. 2 1978
65. XVI, pp. 906- Nove lezioni sulla legge naturale, a cura di F.
918 Viola, Jaca Book, Milano 1985, 202 pp.;
XVI, pp. 687- l’ed. fr. a cura di G. Brazzola, La loi naturelle
918 ou loi non écrite, editions Universitaires, Fri-
bourg-paris 1986, riporta una decima lezione
su Il Decalogo
312 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain
Elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain 313

Indice delle tavole didattiche

tav. 1 Kant al crocevia della filosofia moderna . . . . . . . . pag. 12


tav. 2 I giudizi e le categorie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 20
tav. 3 la critica della ragion pura . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 24
tav. 4 l’essere dovuto e il dovere per l’essere . . . . . . . . . » 26
tav. 5 Il giudizio riflettente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 35
tav. 6 Il divenire secondo schelling . . . . . . . . . . . . . . . . . » 53
tav. 7 lo sviluppo dell’idea in Hegel . . . . . . . . . . . . . . . . » 65
tav. 8 la filosofia dell’essere secondo rosmini . . . . . . . . » 122
tav. 9 la morale dopo Kant . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 145
tav. 10 le forme e i gradi dello spirito in croce . . . . . . . » 206
tav. 11 l’inconscio subconscio e sovraconscio . . . . . . . . » 216
tav. 12 Uno sguardo riepilogativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 285
314 Il pensiero contemporaneo secondo J. Maritain

Indice degli argomenti

Gli indici degli argomenti e dei nomi sono costruiti secondo lo


schema già usato nel precedente volume, dedicato al pensiero mo-
derno, onde facilitare la consultazione in parallelo dei due volumi di
questa storia della filosofia secondo Maritain, da socrate a sartre. In
relazione alle problematiche filosofiche affrontate nel pensiero contem-
poraneo, sono stati inseriti nuovi argomenti. ad esempio ho inserito
“creazione e evoluzionismo”, “Materia e forma”, “potenza e atto”,
nella sezione della Filosofia della natura, in quanto con darwin, Kant e
Marx sono diventati argomenti di attualità. Ho aggiunto alla Logica la
voce “logica reale”, perché con Hegel si identifica la metafisica con la
logica. Ho inserito “intersoggettività” a riguardo della “oggettività e
soggettività della legge morale”, perché alcune correnti contemporanee
fondano il valore etico e il diritto naturale solo sull’intersoggettività.
Ho aggiunto, a proposito dell’origine dello stato, la voce “sociale”, in
quanto per lo storicismo di comte, di Hegel, di Marx lo stato è un
prodotto dell’evoluzione storica. nelle sezioni riguardanti la Politica e
l’Economia non compaiono più “dispotismo illuminato”, “Fisiocrazia”
e “Mercantilismo”, mentre si trova “socialismo”, perché nelle diverse
posizioni, utopistiche o scientifiche, di destra o di sinistra, le dottrine
e le politiche socialiste hanno caratterizzato il secolo scorso. Ho inseri-
to nella Critica della conoscenza la voce “realismo critico”, che Gilson
rimprovera a Maritain, ma che per Maritain è il nome che si addice ad
una filosofia che, fedele all’oggettività della conoscenza, voglia ricono-
scere il contributo del soggetto al processo cognitivo, sottolineato dal
pensiero contemporaneo. Indico, con una t di seguito al numero di pa-
gina, le Tavole didattiche in quanto in quei grafici Maritain sintetizza ed
esplicita il suo pensiero sull’argomento trattato. Quando un argomento
si sviluppa in più pagine segnalo quelle pagine in neretto. Una Storia
della filosofia secondo Maritain non poteva includere Maritain, ma chi
ha la pazienza di consultare le pagine segnalate in neretto può facil-
mente ricostruire il suo pensiero. Questo indice permette di valutare lo
slittamento linguistico-concettuale che si è verificato nella storia della
filosofia, basti pensare alla relazione materia e forma in aristotele e in
Indice degli argomenti 315

Kant, o alla relazione spazio e tempo in aristotele, agostino, cartesio,


Hume, Kant, Bergson, einstein, o al diverso significato dell’Atto puro
in aristotele e Gentile o della mistica in san Giovanni della croce e in
Bergson. le pagine segnalate comprendono anche le note di bibliogra-
fia, in modo che si possano rintracciare le opere che i filosofi contem-
poranei hanno dedicato a questi specifici argomenti.

Questioni di epistemologia problematiche relative


analisi ontologica e analisi empi- all’essere
riologica: 153, 154, 160, 163, Metafisica
193, 232, 233, 287
sapere percettivo e sapere co- essenza ed esistenza: la sussisten-
struttivo: 9, 13, 41, 128, 130, za: 12, 18, 47, 49, 61, 64+66,
146, 160, 189 76, 77, 83, 84, 85+87, 89,
sapere intuitivo e sapere discorsi- 112, 125, 164, 170+171, 173,
vo: 21, 48, 53, 54, 56, 70, 73, 174+176, 177, 188, 227, 228,
86, 90, 105, 125, 126, 172, 259, 240, 259, 274, 275+278,
236, 242, 246, 265, 297 296, 307
sapere teoretico e sapere pratico: Monismo dualismo e pluralismo:
11, 54, 60, 98, 104, 105, 115, 15, 33, 35T, 46, 53+54, 55,
183, 195, 196, 225, 250, 283 53T, 59, 60, 63, 68, 74, 77, 79,
scienze ananoetiche: il sovraintel- 85, 106, 120, 121, 129, 132,
ligibile: 46. 70, 126, 130, 278 144, 151, 167, 180, 199, 200,
scienze dianoetiche: l’intelligibi- 203+206, 286, 292, 296+297
le: 12, 13, 18, 43, 47, 58, 61, trascendenza ed immanenza: 16,
63, 120, 121, 130, 141, 147, 39, 47, 49+50, 53T, 58+61,
163, 166, 191, 285 69, 70, 71, 73, 90, 97,104, 106,
scienze perinoetiche: l’infraintel- 107, 111, 119+125, 148, 149,
ligibile: 46. 74, 76, 133, 233 175, 184, 198, 203, 204, 209,
l’intuizione dell’essere: 90, 122, 210, 223, 230, 235, 238+240,
150, 163, 166, 172, 173, 1677, 261, 262, 267, 277, 296+297
178, 183, 184, 188. 196, la sostanza: 20, 21, 55, 64, 71,
228+229, 243+244, 268, 275, 111, 120, 132, 133, 174, 202,
276, 286 231, 243, 254, 257, 259, 266
I gradi del sapere: filosofia, teolo- causa prima e cause seconde:
gia, mistica: 18+24, 24T, 30, 20, 21, 23+24, 31, 36, 62, 64,
31, 130, 157+158, 163, 194, 76, 93, 104, 106+107, 120,
278 128+129, 140, 148, 151, 176,
316 Indice degli argomenti

189, 193, 201, 202, 231, 232, creazione e evoluzionismo: 7, 53,


236, 247, 296+297 79, 102, 106+107, 123, 125,
la subordinazione delle cause: 126, 131, 136+237, 140+142,
32, 93, 107, 126, 221, 245 146, 148+149, 151, 154, 187,
241, 244+245, 274, 284
Antropologia Materia e forma: 7, 13, 14, 16+19,
Individuo e persona: 9, 27, 29, 25, 29, 39, 42, 47, 52, 60, 98,
36, 38+43, 54, 57, 71+73, 75, 102, 104, 105, 106+108, 118,
77, 79+80, 83, 85, 86, 91, 95, 128+129, 132+133, 137, 140,
96, 97, 110+112, 122, 123, 142, 159, 190, 215, 228, 245,
134, 136, 139, 140+141, 149, 297+298
167+168, 169, 180, 183+184, potenza e atto: 46, 61, 165, 170,
198, 199, 202, 213+217, 219, 171, 173, 188, 190, 209+210,
223+224, 227+230, 238, 239, 214, 216, 228, 274, 296
254, 257, 259+269, 270, 282, spazio-tempo: 15, 19, 22+23,
291, 292, 295, 296, 308, 309, 24T, 64, 70, 76, 120, 150, 166,
311 193, 210, 233, 243, 287
dualismo antropologico: 12, 15,
33, 35T, 292 Teologia
autocoscienza coscienza incon-
scio: 21+22, 25, 32, 41, 49, teismo deismo ateismo: 38, 48,
64+68, 70, 71, 75, 81, 89, 100, 91+92, 95, 98, 99, 100, 102,
104, 113, 120, 134, 136, 139, 107, 114, 132, 138, 150,
149, 159, 161, 163, 167, 174, 198, 217, 252, 259, 285T,
185, 198, 202, 204, 210+211, 285+286, 297, 308
212+219, 216T, 223, 226, 241, panteismo e politeismo: 50, 59,
243, 258, 261, 266+268, 286, 70, 73, 74, 76, 100, 125, 132,
290+295 148, 157, 199
Uguaglianza proporzionale: 95+96, teologia scientifica e teologia misti-
103, 292, 293 ca: 9, 41, 88, 101, 125, 138, 158,
165, 167, 171, 183, 185, 198,
Filosofia della natura 220, 222, 223, 236+238, 240,
Filosofia della natura, scienze na- 251+256, 275, 280, 281
turali, scienze fisico matemati- le diverse vie di accesso all’as-
che: 9, 12, 41, 46, 51, 55, 66, soluto: 22+23, 31+32, 38,
95, 140, 142, 148, 159, 194, 39, 87+88, 119+121, 122T,
230+231, 233, 287, 298, 304 125, 126, 169, 179, 204,
Finalismo e meccanicismo: 33, 36, 237+239, 245, 246, 267, 271,
39, 53, 66, 106, 132, 142, 242, 276+277, 282, 285+286,
257, 275 290+293, 296+297, 308, 310
Indice degli argomenti 317

l’essenza di dio: l’aseità: 9, 23, 138, 146, 147, 151, 155+156,


46, 49, 176, 225, 277+278 163, 170, 178, 190, 191, 193,
relazione tra la fede e la ragione: 194, 199, 242, 235, 278, 288
38, 84, 86, 87, 120, 125, 130, senso comune e senso morale:
140, 144, 169, 197, 237+238, 34, 106, 160, 178, 193, 230,
241, 255+256, 266, 298 232, 271, 290
relazione tra la libertà e la gra- processo di concettualizzazione:
zia: 41, 87, 116, 122, 126, 165, 47, 55, 57, 75, 86, 106, 107,
166, 179, 181, 224, 225, 238, 132, 137, 146, 159, 172+173,
239, 298 179, 181, 192, 211, 229,
l’esperienza mistica: 61, 69, 76, 235+236, 255, 282
90, 149, 165, 167+168, 172-
179, 212, 234+238, 246+248, Logica
251, 272, 297
logica formale, logica reale, lo-
secolarizzazione del cristianesi-
gica simbolica: 8, 9, 19, 45,
mo: 38, 56, 92, 112, 113, 150,
58, 62+64, 65T, 79, 119+120,
257, 283
122T, 134, 135, 137, 153,
160, 163, 190+193, 194,
problematiche relative 200+201, 203, 205, 208, 209,
al conoscere 279, 285T, 287, 290, 298, 302
ragioni di essere e enti di ragione
Gnoseologia
fondati in re: 9, 21, 59, 108,
Innatismo e sperimentalismo: 7, 155, 193, 289
12, 14, 16+19, 21, 33, 74, concetto o idea: 17+18, 22+24,
76, 85, 116, 118+119, 134, 42, 54, 58+59, 61, 62+64, 111,
137+138, 141, 143, 154, 159, 118+122, 122T, 125, 155,
166, 178, 185, 198, 201+202, 170, 177, 195, 204, 205+206,
243, 266+267, 285+286 208, 211, 236, 242, 244, 276,
percezione sensoriale: 13, 116, 287+290
119, 120, 137, 138, 273, 286 Giudizi analitici e sintetici: 16+18,
Immaginazione fantastica: 17, 20T, 20+22, 27, 120+122, 137,
20, 49, 54, 76, 119, 127, 134, 138, 153, 289
137, 148, 198, 250 ragionamenti induttivi e de-
percezione intellettuale: 13, 17, duttivi: 54, 58, 64, 118, 135,
42+43, 73, 119, 120, 170, 137+138, 172, 192, 289
243+244, 278, 290 principi primi di per sé evidenti:
I gradi di astrazione: fisica ma- 21, 23+24, 57+58, 61, 62, 75,
tematica metafisica: 8, 13, 15, 120, 141, 231, 232, 274+275,
17, 24, 50, 60, 63, 89, 120, 287+290, 304
318 Indice degli argomenti

analogia e sovranalogia: 59, 60, problematiche relative


126, 190, 233, 236, 237, 240, all’agire e al fare
276, 278, 286, 292
Etica
Critica della conoscenza Il bene morale: 25+37, 26T,
oggettività e soggettività della 61+63, 65T, 67, 80, 105,
conoscenza: 9, 13, 17, 21+22, 121+122, 122T, 126, 127,
24T, 34, 38+42, 59, 66, 70, 135+136, 145T, 196, 206T,
89, 101, 119+122, 122T, 207, 208, 230, 247+248, 252,
146+147, 161, 161+166, 169, 253, 266, 281, 290+293
172+173, 174, 178, 182, 204, libero arbitrio e libertà morale:
206, 220, 242, 287+290 29+30, 31+32, 37, 40+42, 49,
Verità e verifica: evidenza rea- 62, 67+69, 72, 76, 86, 97, 103,
le ed evidenza razionale: 17, 111+112, 121, 131, 139, 159,
11, 43, 54, 138, 149, 161, 163, 174+176, 194, 223, 232, 246,
190, 196+198, 231, 280 253, 260+261, 273, 274, 284,
nominalismo: 155, 158, 191, 195, 304
199, 288+289 Valore e fine: 25+29, 32+36, 40,
realismo critico: 7, 13, 101, 159, 68, 90, 121, 141+142, 146,
150, 176, 182, 197, 202,
228, 257, 290, 324
214, 222, 226, 227, 256, 259,
Il linguaggio filosofico, simboli-
290+293
co, poetico, mistico: 8, 81,
Felicità e beatitudine: 28+33, 37,
134+135, 149, 171, 188,
120, 136+139, 141, 256, 285T,
190+193, 207, 213+214, 244,
290+291, 298
267, 276, 287+280
oggettività e soggettività della
l’appello di intelligibilità e l’es-
legge morale e l’intersoggetti-
sere intenzionale: 21, 42, 43,
vità: 9, 29+32, 35T, 64+69, 75,
46+47, 74, 120, 161, 163+164,
84, 86+88, 89, 191, 112+113,
166, 171, 228, 233, 237, 267
121-122, 122T, 138, 145T,
conoscenza per modo di incli-
153, 159, 162, 167, 174, 178,
nazione: 123, 235+236, 237,
182, 198, 209, 223, 242, 261,
268
290+293
Imperialismo gnoseologico: 57,
relazione tra la libertà e la grazia:
69, 92+94, 155, 154
vedi Teologia
relazione tra la ragione e la fede:
Virtù morali e teologali: 31, 37,
vedi Teologia
89, 113, 115, 123, 124, 150,
184+185, 202, 217, 235+236,
249, 256, 297
Indice degli argomenti 319

Il problema del male: 37+38, 54, origine naturale, contrattuale,


61, 63, 71, 74, 79, 80, 85, 90, 97, storica dello stato: 36+37,
110, 113, 116, 174+175, 180, 51, 67+69, 71, 73, 102, 111,
199, 251+253, 278, 280+282, 123+124, 139, 199, 210, 219,
291, 292, 310 220, 221+222, 226, 248, 249,
Filosofia morale adeguatamente 285T, 290+295, 308
presa: 238, 248, 256, 268 la sovranità: 219, 221, 226, 284,
la dissimmetria tra l’essere e il 297
non essere: 174, 253 Fondamentalismo e relativismo:
sapere speculativamente pratico 9, 105, 113, 147, 152, 229,
e sapere praticamente pratico: 221+222, 223+225
196 relazione tra la chiesa e lo stato:
37, 51, 92, 117, 118, 123+124,
Filosofia del diritto 126+127, 210, 221, 222, 255,
277, 278, 311
diritto naturale e legge eterna:
assolutismo: 51, 68+69, 97,
9, 37, 51, 65T, 66+69, 112,
139, 152, 157, 210, 226, 292,
123+124, 155, 167, 209,
294+295
219+220, 223, 226, 247, 285T,
liberalismo: 48, 91, 93, 94, 135,
290+293
139, 154, 220, 223, 262
diritto positivo e legge civile: 68,
socialismo: vedi Economia
123, 139, 143, 208+209,
cristianità sacrale e cristianità
220+222, 223+226, 260,
temporale: 24, 50, 94, 221,
285T, 290+293
249, 256, 277+278, 289, 306
Giusnaturalismo: 285T, 293
Giurazionalismo: 284, 285T, 293.
Economia
Giuspositivismo: 51, 67, 69, 285T,
293 capitalismo: 91, 93, 109, 110,
114, 115, 158, 260, 263, 297
Politica liberismo: 137, 196, 208
socialismo: 90+103, 114, 130,
Filosofia della politica, scienza e
144, 202, 222, 263, 295
arte della politica: 27, 36+37,
51, 56, 65T, 67+69, 93+94,
Filosofia della storia
99, 102, 105, 111, 115, 118,
123+124, 125, 126+127, 130, sapere storico e sapere filosofi-
137, 143, 157, 196, 208, 210, co: 8, 9, 57+56, 60+62, 73,
220+222, 223+226, 248, 249, 97, 108+109, 131, 143, 147,
259, 262+263, 277, 278, 279, 148+149, 153+155, 158, 183,
280, 285T, 290+295, 305, 306, 205, 248, 255+256, 280+282,
307, 308 309
320 Indice degli argomenti

determinismo, libertà umana, 127, 134, 176, 200, 202,


provvidenza di dio: 36, 41, 206+208, 206T, 209, 211,
47, 57, 60+62, 69, 71+73, 215+216, 216T, 249, 250,
107-108, 111, 148+149, 180, 264+265, 270, 274, 302, 304,
186, 197, 210, 245, 256, 305, 209, 310
280+283, 296+297, 309 la virtù dell’arte: 53+54, 70, 81,
storicismo e antistoricismo: 82, 104, 115, 207, 250, 274
60+62, 73, 107, 112, 129, 133, la creatività artistica: 52+53, 54,
152+153 70, 81+82, 94, 216T, 250,
264-265.
Estetica classicismo: 78, 207, 257.
la natura della bellezza e la co- romanticismo: 53, 55, 76, 143,
noscenza poetica: 34+36, 35T, 197, 207, 220
53+54, 70, 77, 81, 86+87, surrealismo: 8, 9
Indice dei nomi 321

Indice dei nomi

In questo Indice dei nomi sono stati conservati i nomi dei pensatori
e delle correnti di pensiero precedenti, perché Maritain connette in
continuità le diverse modalità del filosofare, che variano con il susse-
guirsi dei filosofi nella storia, con la filosofia, che rimane invariata nella
sua problematica per ogni uomo, che, rispettando l’oggettività della sua
ricerca, non la risolve nella soggettività del suo pensare. nel segnalare
le correnti ideologiche sono stati inseriti nuovi nomi, rispetto al volume
precedente, dedicato al Pensiero moderno (2011), come modernismo,
ermeneutica, psicoanalisi… ma anche quelli delle diverse scuole che,
via via, si sono andate costituendo, come la Scuola di Vienna, la Scuola
di Francoforte, la Scuola di Chicago… In questo elenco di nomi ho rite-
nuto opportuno inserire anche la voce criticismo, perché anche se non
costituisce una specifica scuola di pensiero e riguarderebbe, in realtà,
solo Kant, dopo di lui è diventato un atteggiamento molto diffuso nel-
la filosofia contemporanea – basti pensare all’empiriocriticismo e alla
fenomenologia – che pretende di anticipare la critica alla conoscenza,
pretendendo, direbbe Maritain, di fare dei primi passi un ritorno sui
propri passi (IV, 397). talvolta i nomi non compaiono nella pagina a cui
si fa riferimento, ma nella medesima si analizza il contributo alla storia
della filosofia e della cultura di quel pensatore o di quella scuola. sono
importanti i rimandi alle Tavole didattiche, perché Maritain si serve an-
che della grafica per meglio esprimere il suo pensiero.
se un nome risulta esclusivamente riportato in una nota, alla cifra
della pagina indicata segue una n. Quando le pagine sono interamente
dedicate al medesimo pensatore o alla medesima corrente di pensiero
la numerazione è indicata in neretto, come pure i riferimenti contenu-
ti nella Conclusione. l’Indice dei nomi del secondo volume di questa
Storia della filosofia secondo Maritain, poiché comprende anche i nomi
riportati nelle note bio-bibliografiche, permette di rintracciare le opere
che i filosofi contemporanei hanno dedicato ai pensatori precedenti,
riscontrando la continuità del filosofare umano, che attraverso il contri-
buto di molti cerca la filosofia come scienza.
322 Indice dei nomi

abramo: 87, 88, 277 Berdjaev nikolaj: 10, 115, 168,


adam Karl: 187 170, 183, 252, 253+258, 263
adler Mortimer: 273, 274 Bergson Henri: 7, 9, 91, 94, 128,
Agostinismo: 157, 168, 240, 280 145T, 146, 159, 160, 164, 177,
agostino, san: 60, 83, 234, 240, 178, 197, 218, 223, 229, 239,
272, 275, 280, 282 241+251, 359, 271, 275, 297
alain (pseudonimo di Henri al- Berkeley George: 164, 210, 222,
ban Fournier): 179 272, 286
alberto Magno, san: 287 Bismarck otto, von: 48
ales Bello angela: 168n Blanqui Jerome adolphe: 93
alessandro IV: 282n Blondel Maurice: 234+239, 250,
allard Jean louis: 269 259n, 262n, 272n, 282
allion Jean Marie: 301 Bloy lèon: 220, 253, 254, 303
althusser louis: 100 Bo carlo: 303
archambaud paul: 262 Böhme Jakob: 61
ardigò roberto: 129, 143 Bonaventura, san: 187, 275n
aristotele: 9, 13, 14, 18, 19, 25, Borglie louis, de: 159
39, 46, 47, 56, 58, 61, 68, 74, Boutroux Étienne Émile: 232
85, 104, 106, 120, 123, 159, Brazzola Georges: 311
161, 187, 188, 190, 192, 207, Brentano Franz: 161+162, 273,
228, 230n, 236, 243, 251, 272, 286
274, 277n, 283+289 Breuer Joseph: 212n
Aristotelismo: 28, 62, 92, 106, Bruno Giordano: 53, 59, 63, 143,
118, 120, 124, 161, 232, 286 204
aron raymond: 173n Brunschvicg léon: 159
avenarius richard: 98, 189 Buber Martin: 227
Buffon Georges louis leclerc,
Bachelard Gaston: 192 conte di: 131, 136
Bacone Francesco (Francis Ba-
con): 101, 137, 201, 289 caifa: 224, 294
Badoglio pietro: 205n campanella tommaso: 204
Balthasar Hans Urs, von: 240n campanini Giorgio: 303, 305
Barth Karl: 183, 184, 255 cantoni remo: 307
Barthes roland: 8 capograssi Giuseppe: 123n
Bendersky Joseph: 220n cartesio (descartes rené): 9,
Bianchi enzo: 267n 17, 22, 33, 39, 41, 42, 43, 54,
Bonomi Ivanoe: 205n 56, 63, 75, 85, 87, 101, 105,
Bentham Jeremy: 129, 135+136, 112, 117, 147, 150, 151, 157,
137, 139, 141, 142 159n, 162, 164, 176, 195, 204,
Indice dei nomi 323

211, 214, 230, 231, 250, 259n, 16, 20, 30, 38, 39, 40, 46, 120,
272n, 275, 283+289 153, 160, 183, 189, 285
cassirer ernest: 182 croce Benedetto: 56, 112, 203,
castiglioni luigi: 302 205+209, 206T, 210, 211, 227,
cattaneo carlo: 143 272
Cattolicesimo: 69, 91, 161, 165,
177, 185, 187, 239, 242, 251, d’addio Mario: 123n
264, 270 dalbiez roland: 212, 214, 215
charcot Jean-Martin: 212n d’alembert Jean-Baptiste: 95
chenaux philippe: 185n dalì salvador: 284
chenu Marie dominique: 165 danese attilio: 259n
chesterton Gilbert Keith: 270 d’annunzio Gabriele: 80
chevalier Jacques: 259n darwin charles robert: 55, 83,
ciocchetti emilio: 272 99, 102, 129, 135, 136+137,
clément olivier: 257 140, 232, 284
clérissac Hummbert: 270, 271 debré Marcel: 91
cohen Hermann: 182 debussy: 81
collin remy: 212 dehau thomas: 271+272
comte auguste: 45, 91, 95, 102, de Hovre François: 134, 270
129, 131, 133, 135, 137, 139, democrito: 103
144+156, 145T, 158, 188, 189, de sanctis Francesco: 203
270 dewey John: 145T, 146, 200+203,
Comunismo: 59, 91, 93, 94, 240, 247, 270, 279, 286
98, 99, 100, 103, 110, 112, de Wulf Maurice: 270
113+116, 253, 256, 264, 277, dilthey Wilhlem: 182
291, 293 dirac paul: 159
Controriforma: vedi Riforma cat- d’Isola leletta aurelia: 6
tolica doering Bernard: 301
cordovani Mariano: 204, 272 dostoevskij Fedor: 168, 251+252
cottier Georges: 100n driesch Hans: 136, 142
cousin Victor: 230+231 du Bos charles: 186
couturier Marie alain: 181 duns scoto Giovanni: 171n, 195,
Cristianesimo: 8, 25, 28, 37, 38, 275n
56, 70, 71, 80, 83, 87, 90, 92, durkheim Émile: 128, 129, 134,
98, 101, 102, 104, 113, 122, 153, 270
126, 131, 137, 150, 162, 168,
179, 180, 187, 223, 234, 242, Ebraismo: 109, 177, 185, 242,
253, 255, 256, 259, 264, 271, 252, 257, 283, 286, 294, 296,
275, 278, 282, 298, 306 298
Criticismo: 7+10, 11, 12T, 14, edipo: 213
324 Indice dei nomi

einstein albert: 159, 179, 193, Formella Zbigniew: 159n


184, 242n Fornasier roberto: 188n
Ellenismo: 59 Fourcade Michel: 91n
emerson ralph Valdo: 270 Fourier charles: 92, 94, 95
Empirismo: 7, 11, 12T, 16, 22, Freud sigmund: 75, 183, 212+217,
39, 40, 52, 116, 128, 135, 138, 216T, 218, 232, 250, 266, 270,
139, 143, 152, 153, 162, 195, 289
197, 200, 201, 208, 285, 286 Froissart Jacques (Bruno di Ge-
engels Friederich: 93, 98, 100, sù Maria): 168, 271n
102+109, 113 Fumet stanislas: 271n
epicuro: 30, 103, 194 Furtwangler Wihlelm: 186
eraclito: 61
Ermeneutica: 8, 171, 239, 266, Gadamer Hans Georg: 8, 268
267, 268, 287 Galeazzi Giancarlo: 307, 309
eschilo: 78 Galilei Galileo: 9, 120, 143
euchen rudolf: 40 Gallagher donald: 269n
euripide: 78 Galluppi pasquale: 117, 120, 204
Garaudy roger: 100, 113
Fabro cornelio: 273 Gardeil ambroise: 272
Falangismo: 184, 293 Garrigou-lagrange réginald: 271
Fascismo: 56, 80, 91, 187, 204n, Gemelli agostino: 269
205, 209, 210n, 277, 293 Gentile Giovanni: 56, 203, 204,
Federico de onís: 8 205, 209+211, 227, 272
Federico Guglielmo IV: 52 Gerl Hanna Barbara: 165n, 240n
Fénelon (François de salignac Giacobbe: 169, 179
de la Mothe): 94 Giansenismo: 97, 176
Fenomenologia: 8, 11, 40, 158, Gide andré: 80, 284
160, 161+168, 170, 171, 173, Gilson Étienne: 10, 13, 228,
182, 183, 184, 185, 227, 228, 229n, 273, 274n, 275+278
240, 260, 266, 273, 283+289 Giobbe: 170
Ferdinando II: 124 Gioberti Vincenzo: 117, 124+127,
Ferrari Giuseppe: 143 203, 204, 209n
Feuerbach ludvig: 98, 100+101, Gioia Melchiorre: 116
102, 103, 104, 111, 114 Giolitti Giovanni: 205n
Fichte Johann Gottlieb: 47, Giovanna d’arco: 241
48+51, 52, 55, 58, 66, 74, 75, Giovanni apostolo, san: 168, 277,
76, 84, 183, 204, 210 281
Florovsky George Vasilievic: 170 Giovanni della croce, san (Juan
Foester Friedrich Wilhelm: 270n de Yepes y alvares): 90, 165n,
Fondane Benjamin: 90, 169, 170, 168, 179, 272
253 Giovanni paolo II: 118, 282n
Indice dei nomi 325

Giovanni XXIII: 241n Heisenberg Werner Karl: 159,


Giove: 86, 213 193+195
Gnemmi angelo: 302 Helvetius claude adrien: 132
Gödel Kurt: 189 Herbart Johann: 74, 202
Goethe Johann Wolfgang: 51, 53, Heurtin Marie: 191
75, 114, 142 Hildebrand dietrich: 185+186
Goisis Giuseppe: 123n Hitler adolf: 187n
Gorgia: 57 Hobbes thomas: 39, 101
Grabmann Martin: 273 Holbach paul Henri thiry, de:
Gramsci antonio: 115 132
Green Julien: 217, 271n Hölderling Friedrich: 55
Green thomas: 203 Hubert Bernard: 269
Grosso Mauro: 275n Hume david: 17, 21, 53, 138, 147,
Grozio (Huig Van Groot): 293 199, 286
Guardini romano: 168, 240 Husserl edmund: 159, 161,
Guglielmo di alvernia: 272n 162+165, 167, 171n, 173, 177,
Guicciardini Francesco: 143 182, 183, 229, 260, 266n, 268
Guitton Jean: 241n Hutchins robert: 273

Haecher theodor: 187-188 Ibsen Henric: 254


Haeckel ernest: 129, 142 Idealismo: 7, 8, 11, 12T, 14, 18,
Hamelin octave: 231 40, 45+73, 74, 75, 76, 80, 83,
Hamilton William: 160 84, 85, 88, 91, 101, 106, 108,
Hany Maurice: 301 129, 130, 131, 151, 164, 166,
Harnach adolf: 48 182, 183, 197, 201, 203+211,
Hartmann nicolai: 182 227, 229, 272, 275, 283+289
Hegel Georg Wilhelm Friedrich: Illuminismo: 7, 8, 11+14, 15, 38,
7, 45, 46, 47, 51, 52, 54, 55+73, 45, 55, 69, 76, 92, 94, 106,
65T, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 83, 116, 131, 230
84, 85, 88, 89, 90, 91, 92, 98, Irrazionalismo: 45, 52, 54, 74+90,
100+108, 112, 116, 117, 129, 252, 255
141, 144, 145T, 148, 149, 151, Islamismo: 100, 298
152, 154, 157, 165, 169, 179,
182, 184, 200, 203, 204, 205, James Henry: 199
297, 208, 209, 211, 225, 252, James William: 139, 195, 197+200,
256, 283-289 201, 203, 239
Hegelismo: 72, 90, 98, 106, 114, Jaspers Karl: 168, 170, 173n
116, 200, 203, 204, 256, 285 Journet charles: 10, 134n, 135,
Heidegger Martin: 8, 56, 160, 187, 255, 256n, 269, 271, 273,
161, 164, 170, 171+173, 177, 280+281, 307, 309
178, 228, 268 Jung carl Gustav: 213, 218+219
326 Indice dei nomi

Kafka Franz: 78, 269, 170 le senne rené: 179, 182, 258
Kant Immanuel: 7, 9, 11, 12T, 13, lessing Gotthold ephraim: 55
14+43, 20T, 24T, 26T, 35T, lévy Bruhl lucien: 128, 134, 135,
46, 48, 50, 51, 55, 63, 64, 67, 144
68, 70, 72, 74, 75, 76, 77, 78, littré Émile: 133
80, 87, 88, 116, 117, 118, 120, locke John: 38, 68, 292
121, 127, 129, 140, 144, 145T, lombroso cesare: 143
147, 150, 152, 153, 158, 160, lorentz Hendrik: 158, 159
162, 164, 176, 182, 183, 189, lourié arthur: 81
204, 208, 210, 225, 231, 240, lucrezio: 194
254, 286, 283+289 lukàcs György: 100, 115
Keller Helen: 191 lutero Martin: 37, 157, 195, 220,
Kelsen Hans: 220, 222+223, 226, 283, 303
294
Kierkegaard soren: 32, 45, 71, Macchi pasquale: 241
74, 75, 83+90, 145T, 146, 168, MacFarlane John: 190
169, 170, 184, 185n, 187, 220, Mach ernest: 98, 189, 190
240, 252, 253, 260, 273 Machiavelli niccolò: 37, 51, 143,
Kleutgen Joseph: 273 157, 196
Klopstok Friedrich: 48 Machiavellismo: 51, 69, 109, 283,
292, 293
laberthonnière lucien: 234, 239 Maine de Biran François pierre:
lachelier Jules: 231 160, 230+231
lacroix Jean: 259 Malebranche nicolas: 106, 158,
lamark Jean-Baptiste de Monet, 165, 230
de: 131, 136, 137, 140 Malthus thomas robert: 139
landesberg paul ludvig: 184 Mandeville Bernard, de: 142
laplace pierre simon: 15 Manzoni alessandro: 117
lasserre pierre: 133n Mao tze-tung: 91, 98, 100
lavelle louis: 170, 177, 258 Marcel Gabriel: 168, 170, 171+178,
lazzati Giuseppe: 306 186, 259, 260, 266n
le dantec Félix: 128, 132 Maritain Jeanne: 91
leibniz Gottfried Wilhelm: 15, Maritain raïssa oumançoff: 88,
17, 21, 34, 75, 158, 191, 231, 90, 128, 168, 251, 268, 269, 270,
272, 289 271, 280, 281, 301, 302, 305, 309
lenin nikolaj: 98, 99, 100, 112, 114 Marrou Henri-Irenée: 280+282
leonardo da Vinci: 143 Martinetti piero: 204
leone XIII: 239, 264n, 269 Marx Karl: 45, 73, 75, 91, 92, 94,
leroux pierre: 93 95, 97+116, 144, 149, 150,
leroy olivier: 135 154, 145T, 180, 200, 205,
Indice dei nomi 327

209, 256, 260, 266, 283+289 Muratori ludovico antonio: 143


Marxismo: 8, 45, 60, 64, 73, 92, Mussolini Benito: 187n, 210
94, 97+102, 104, 105, 196, 107,
108, 110, 111, 112, 114, 115, natorp paul: 182
116, 129, 144, 173, 176, 202, Nazionalsocialismo: 80, 94, 110,
209, 256, 259, 264, 283+289 116, 187, 288, 220, 222, 291,
Masnovo amato: 272 293
Maurras charles: 220, 303 Nazismo: vedi Nazionalsociali-
Mazzini Giuseppe: 51 smo
McInerny ralph Matteo: 301 negri luigi: 240n
Melchiorre Virgilio: 304 Neocriticismo: 182+183, 269
Mercier désiré: 269 Neopositivismo: 192, 269, 287
Merleau-ponty Maurice: 173n nicoletti Michele: 220n
Merton thomas: 168 nietzsche elisabeth: 79
nietzsche Friedrich Wilhelm: 45,
Meyerson Émile: 159, 191, 322+
71, 74, 75, 78+83, 94, 114, 171,
233
179, 183, 252n, 258, 266, 288
Miano Francesco: 227n
novalis (Georg Friedrich philipp
Michel Florian: 273, 279
Freiherr von Hardenberg): 53
Minerva: 169, 213
Nuova Scolastica: 10, 227, 228,
Misticismo: 69, 76, 90, 135, 149, 233, 242, 251, 268+282
165, 167, 168, 172, 179, 190, nurdin Michel: 301
212, 230, 234+237, 246, 247,
248, 251, 257, 272, 287, 297 occam Guglielmo, di (ockham):
Modernismo: 234, 239, 250, 254, 33, 42, 195, 287
264 ollé-laprune léon: 234n
Moleschott Jacob: 101, 129, 143 owen robert: 93
Mondin Battista: 228n
Montaigne Michel eyquem, de: paolo, san: 32, 71, 137, 255, 281,
159n 306
Montani Mario: 269n paolo VI: 241
Montini Giovan Battista: 303 papini Giovanni: 232n
Moore George edward: 203 parmenide: 46, 59, 61
Morgan Henry: 102 pascal Blaise: 83, 84, 159n, 184n,
Moro tommaso (thomas More): 220, 230n, 234, 237, 241, 243,
94 252, 282
Mosè: 187, 277 Patristica: 239, 251, 280
Mougel dominique: 301 pavan antonio: 303, 304, 310
Mougel rené: 301 péguy charles: 90, 114, 262, 279,
Mounier emmanuel: 91, 184, 287
205, 239, 258, 259+266 peillaube Émile: 270+271
328 Indice dei nomi

peirce charles sanders: 190 rahn Marie Johanna: 48


pestalozzi enrico: 48 ramirez santiago: 173
peterson erik: 75, 185 ravaisson Jean Gaspard: 230, 239
phelan Gerald: 274+275 Razionalismo: 7, 11, 12T, 15,
philippe Marie-dominique: 271n, 16, 22, 25, 38, 39, 40, 45, 47,
277, 283 48, 54, 57, 63, 72, 74, 78, 94,
philippe thomas: 271n 96, 114, 116, 157, 192, 217,
picasso pablo: 284 230, 248, 256, 279, 285
pieper Joseph: 185 Realismo: 7, 11, 13, 19, 21, 30,
Pietismo: 14 38, 39, 40, 45, 46, 71, 98, 104,
pilato: 223, 224, 294 106, 111, 118, 120, 121, 161,
pio IX: 124 164, 166, 182, 185, 227, 233,
pio X: 264n 240, 260, 265, 269, 272, 275,
pirrone: 162 283+289
planck Max Karl: 159 reed thomas: 230
platone: 22, 33, 59, 63, 75, 86, renan Joseph ernest: 132, 133,
179, 187, 188, 204, 215, 250 241, 284
Platonismo: 54, 77, 112, 119, renouvier charles: 160, 197,
164, 182, 203, 240 231+232, 258
plotino: 54, 59, 125, 128 révillon Bernard: 267
poincaré Jule Henri: 159 ricardo davide: 139
popper Karl: 248 rickiert Heinric: 182, 183
Positivismo: 7, 8, 9, 11, 12T, ricoeur paul: 212n, 266+268
14, 45, 91, 94, 102, 127+156, riehl alois: 182
157, 158, 189, 190, 195, 197, Riforma cattolica: 204n
200, 201, 203, 206, 220, 230, Riforma protestante: 195, 204n
231, 232, 241, 244 Rinascimento: 25, 39, 59, 92, 101,
possenti Vittorio: 302, 304, 305, 183, 204n, 253, 257
306, 308, 310 ritzler Benedikt: 185
Pragmatismo: 9, 40, 104, 105, rivière Michel: 270
155, 158, 189, 195+197, 200, rolland romain: 186
203, 208, 283+299 romagnosi Giandomenico: 116,
Protestantesimo: 14, 40, 48, 55, 143
69, 79, 78, 84, 103, 183, 185, Romanticismo: 53, 55, 76, 143,
187, 195, 218 197, 207, 220
proudhon pierre-Joseph: 91, 92, rosmini serbati antonio: 45,
94+97, 103, 258, 279 117+124, 122T, 125, 126, 204,
prouvost Gery: 227, 229, 275n 209n, 273n
przywara erik: 248 rousseau Jean Jacques: 11, 15,
psichari ernest: 132n, 133 27, 28, 37, 38, 55, 68, 69, 157,
Puritanesimo: 197 200, 251, 270, 284, 292, 303
Indice dei nomi 329

royce Josiah: 203n Seconda Scolastica: 273, 275


russel Bertrand: 159, 190n, 191, sertillanges antonin dalmace:
203, 288 229, 278
fiestov lev: 90, 168, 169, 170, 252,
sagnier March: 264 253
saint simon claude Henry: 94, severini Gino: 205
95, 131, 144, 148, 231 shooh laurence K.: 275n
sanguineti Juan: 302 siefken Hinrich: 187n
sartre Jean-paul: 145T, 146, sigieri di Brabante: 72
160, 168, 170, 173+176, 177, simon rené Yves: 91n, 274,
202, 284, 288 278+280
Scetticismo: 9, 16, 40, 49, 143, smith adam: 139
198, 202, 222, 224, 225, 294, socrate: 84, 86, 138, 204
295 sofocle: 76
scheler Max: 159, 161, 165n, 182, sorel Georges: 90, 94, 96, 270
183+184, 186, 187, 227 spaventa Bertrando: 203+204
schelling Friedrich Wilhleim: 45, spencer Herbert: 53, 129, 135,
51+55, 53T, 58, 60, 66, 76, 83, 140+142, 270n
230n spinoza Baruch: 29, 46, 50, 51,
schiller Johann christoph: 51, 53, 52, 53, 55, 59, 101, 106, 199,
55 204
schleiermacher Friedrich: 47, 48, Spiritualismo: 45, 116+127, 143,
58 160, 161, 197, 227, 230+241,
schmitt carl: 220+222, 225, 226 251, 273, 282
schmitz Heinz: 301 stalin Joseph: 91
scholl Hans: 187 stein edith: 160, 161, 162, 165+168
scholl sophie: 187 stirner Max: 80
schopenhauer arthur: 47, 74, Stoicismo: 28, 59, 150, 179
75+78, 243 strauss david Friedric: 102
scoto eriugena: 59, 125 stroobants ludo: 234n
Scolastica: 42, 165, 167, 170, sturzo luigi: 262n
179, 251, 273, 275, 302, suárez Francisco: 42
Scuola di Baden: 182, 183
Scuola di Cambridge: 160, 190, 191 teilhard de chardin pierre: 137
Scuola di Chicago: 273 taine Hippolyte: 133
Scuola di Francoforte: 100 tertulliano: 83
Scuola di Marburgo: 182, 183 thibon Gustave: 179-180
Scuola di Toronto: 274 thomas Mann: 78
Scuola di Vienna: 160, 189, 192, tolstoj lev nikolaevic: 76, 78,
194, 289 200, 252n
330 Indice dei nomi

Tomismo: 84, 88+90, 118, 124, Veronese Vittorio: 273


137, 154, 158, 159, 161, Vico Giovan Battista: 60, 204n,
165, 166, 168, 169, 177, 196, 205, 206
197, 204, 227, 228, 229, 232, Viotto piero: 75, 81, 82, 88, 90,
233, 235, 254, 257, 258, 260, 91, 132, 137, 165, 168, 173,
268+282, 283+289
183, 205, 234, 241, 260, 268,
tommaseo niccolò: 117
tommaso, san: 5, 7, 13, 18, 19, 269, 271, 273, 275, 277, 279,
22, 25, 40, 42, 47, 59, 68, 73, 280, 281, 302+310
77, 89, 91, 110, 115, 120, 122, Virgilio: 187
123, 133, 150, 157, 158, 165n, Vittorio emanuele II: 125
167, 168, 169, 173, 175, 187, Voltaire François-Marie arouet,
188, 214, 220, 228, 229, 230, de: 11, 38
232, 235, 236, 237, 240, 241,
251, 258, 260, 269, 270, 271n, Wagner ricard: 78, 81
272, 273n, 274n, 276, 277n, Weber Max: 160, 220
278, 279, 280, 282, 283+289
Weil alain: 181
tommaso Moro: 94
toniolo Giuseppe: 273 Weil simone: 160, 165, 178+181
toso Mario: 259n Weil sylvie: 181
toynbee J. arnold: 8 Whitehead alfred north: 159, 191
Windelband Wilhelm: 182
Umanesimo: 39, 59, 74, 92, 112, Wittgenstein ludwig: 8, 189,
114, 122, 259, 266, 280 190+193, 288
Wolff christian: 15, 30, 34, 75
Vaihinger Hans: 189
Wundt Wilhelm Max: 270
Valentini natalino: 255n
Wust peter: 10, 186+187
Vangelo: 28, 97, 113, 223, 238,
252, 253, 265, 277, 281
Varisco Bernardino: 204 Zagrebelsky Gustavo: 224n, 225,
Vaux clotilde, de: 144 294
Vera augusto: 203 Zinoviev Grigory: 99
Indice generale 331

Indice generale

Introduzione. dal criticismo al pensiero debole. . . . . . . . . pag. 7

I. oltre l’illuminismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11
1. Il crocevia della filosofia moderna . . . . . . . . . . . . . » 11
2. dalla crisi dell’illuminismo alla postmodernità . . . » 12
3. Immanuel Kant e il criticismo. . . . . . . . . . . . . . . . . » 14
Una vita solitaria e metodica . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 14
La critica della ragion pura . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 16
I tre gradi della conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . » 18
La critica della ragion pratica. . . . . . . . . . . . . . . . . » 25
l’imperativo categorico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 27
I postulati della ragion pratica. . . . . . . . . . . . . . . » 31
La critica del giudizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 33
La politica, il diritto, la religione, la storia. . . . . . . . » 36
Una ristrutturazione soggettivistica della persona . . » 38

II. l’età delle ideologie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 45


1. la filosofia come realtà totale . . . . . . . . . . . . . . . . . » 45
2. l’idealismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 45
La grande sofistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 46
Johann Gottlieb Fichte. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 48
l’idealismo etico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49
Friedrich Schelling . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 51
l’idealismo estetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 52
3. Georg Wilhelm Friedrich Hegel. . . . . . . . . . . . . . . » 55
Il metafisico del divenire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 56
L’idealismo assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 58
Lo storicismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 60
La logica del concreto come dialettica degli opposti . » 62
Il divenire dell’Idea. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 64
Il diritto, la morale, la politica . . . . . . . . . . . . . . . . . » 67
L’arte, la religione, la filosofia . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 70
L’immolazione dialettica della persona. . . . . . . . . . . » 71
332 Indice generale

4. l’irrazionalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 74
Arthur Schopenhauer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 75
Il mondo come rappresentazione e come volontà » 76
Friedrich Wilhelm Nietzsche . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 78
l’antropologia del superuomo. . . . . . . . . . . . . . . » 79
l’estetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 80
Søren Kierkegaard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 83
l’esistenza del singolo come contraddizione . . . » 85
I tre stadi della vita. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 86
esistenzialismo e tomismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 88
5. Il socialismo utopistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 90
I primi teorici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 91
Pierre-Joseph Proudhon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 95
6. Karl Marx e la sua scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 98
Dal socialismo utopistico al socialismo scientifico . . » 98
Ludwig Feuerbach . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 100
Friedrich Engels . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 102
Karl Marx . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 103
Il primato della prassi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 104
Il rovesciamento dell’hegelismo e la riabilitazione
della causalità materiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 106
la società capitalistica, il plusvalore e la lotta di
classe. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 109
l’antropologia dell’uomo collettivo . . . . . . . . . . » 110
la morale comunista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 112
l’ultima eresia cristiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 113
7. lo spiritualismo italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 116
Antonio Serbati Rosmini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 117
l’idea dell’essere in generale . . . . . . . . . . . . . . . . » 118
la metafisica e la morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 120
Il diritto e la politica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 123
Vincenzo Gioberti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 124
la critica a rosmini e l’ontologismo . . . . . . . . . . » 125
la morale e la politica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 126
l’estetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 127
8. Il positivismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 128
La radice del relativismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 129
Il positivismo in Francia, erede dell’illuminismo . . . » 131
Il positivismo in Inghilterra e il darwinismo . . . . . . » 135
Il positivismo in Germania e in Italia . . . . . . . . . . . » 142
Indice generale 333

9. auguste comte: una nuova ideologia utopistica . . pag 144


Il relativismo e l’epistemologia positivista . . . . . . . . » 146
La filosofia della storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 148
La religione dell’umanità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 149
Conclusioni sull’età del positivismo . . . . . . . . . . . . . » 151

III. la crisi della modernità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 157


1. la diaspora del pensiero debole . . . . . . . . . . . . . . . » 157
2. la fenomenologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 161
Edmund Husserl. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 162
Edith Stein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 165
3. l’esistenzialismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 168
Martin Heidegger . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 171
Jean-Paul Sartre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 173
Gabriel Marcel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 177
Simone Weil . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 178
4. Il neocriticismo e la filosofia dei valori . . . . . . . . . . » 182
Max Scheler . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 183
5. l’empiriocritismo e la filosofia della scienza. . . . . . » 188
Ludwig Wittgenstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 190
Werner Karl Heisenberg. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 193
6. Il pragmatismo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 195
William James . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 197
John Dewey . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 200
7. Il neoidealismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 203
Benedetto Croce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 205
Giovanni Gentile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 209
8. la psicoanalisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 212
Sigmund Freud . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 212
Carl Gustav Jung . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 218
9. la filosofia del diritto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 219
Carl Schmitt . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 220
Hans Kelsen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 222

IV. Incertezze e speranze. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 227


1. la persona come valore morale e come realtà onto-
logica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 227
2. lo spiritualismo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 230
Maurice Blondel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 234
John Henry Newman . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 239
334 Indice generale

3. Henri Bergson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 241


L’intuizione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 242
L’evoluzione creatrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 244
La morale e la religione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 245
La politica e l’estetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 248
Ideosofia e filosofia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 250
4. Il pensiero slavo-ortodosso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 251
Nikolaj Berdjaev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 253
5. Il personalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 258
Emmanuel Mounier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 259
Paul Ricoeur . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 266
6. la nuova scolastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 268
Étienne Gilson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 275
Yves René Simon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 278

conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 283
1. oltre la modernità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 283
2. dal realismo alla fenomenologia. . . . . . . . . . . . . . . » 285
3. dalla logica formale alla logica strumentale . . . . . . » 287
4. dalla legge eterna al diritto come intersoggettività » 290
5. dallo stato assoluto allo stato democratico . . . . » 294
6. dall’universo organico al pluriverso casuale . . . . » 296
7. Il ritorno alla saggezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 297

elenco cronologico delle opere di Jacques Maritain . . » 301

Indice delle tavole didattiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 313

Indice degli argomenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 314

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 321


Indice generale 335
336 Indice generale

3176