Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google
nell’ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo.
Ha sopravvissuto abbastanza per non essere più protetto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è
un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico
dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l’anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico,
culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire.
Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio
percorso dal libro, dall’editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te.
Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili.
I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter
continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l’utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa
l’imposizione di restrizioni sull’invio di query automatizzate.
Inoltre ti chiediamo di:
+ Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo concepito Google Ricerca Libri per l’uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo
di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali.
+ Non inviare query automatizzate Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della
traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti
invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l’uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto.
+ Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto
e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla.
+ Fanne un uso legale Indipendentemente dall’utilizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di farne un uso legale. Non
dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di
altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un
determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può
essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe.
La missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili. Google Ricerca Libri aiuta
i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed editori di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web
nell’intero testo di questo libro da http://books.google.com
1
Le Metamorfosi
Sala
Armario
Estante
Número
R.3550
METOR FOS ..cccccccc !
Di
.
'
" "
o
c 4
e
D <<«*** E ....
i
ridott in t'
l in
),
T
e
ottava
toporo
ro •
DA
r e t t e pubblicado
<<<< رررررررره di H
da
R.3550
TO
T
B
EL
BI
DAE
741V2
;
D E L L E
METAMORPO
D' O V I DI O
LIBRO SESTO
A R G O M E N T 0. 4
Degli alti Dei le forme trasformate Ma fu ben nella Lidia in ogni parte
Tesson Palla ed Aranne a gara insieme. Famosa nel palladio almo artificio ,
Aranne è ragno : a Niobe son cangiate Nel far fil della lana , e in ogni parte
Le membra in marmo, si'l duol l'ange e preme Che serve al necessario lanificio .
Fansi rane i villani odiose e ingrate ; Tulle avanzò le donne di quell'arte >
Marsia fiume divien , ch' ondeggia e freme: Di bontà , di splendor , d'ogni altr' officio :
E Progne , e Filomena , e Tereo augelli Ma quanto ogni altra superò costei
Si fan con Zete e Calai fratelli. Tanto la figlia Aranne avanzò lei.
5
Tutto ascoltato avea la saggia Dea Lasciaro spesso il monte di Timolo
Il canto della Musa altero e degno , Con le piante vinifere Liee
E delle Dee vittorïose avea Di Tutti i Numi abbandonato e solo
Sommamente lodato il giusto sdegno : Le Driadi , l' Amadriadi e le Napee :
Ne sta ben , che una donna infima e rea Sovente abbandonaro Ermo e Pattolo
S'agguagli a gli alti Dei del santo regno ; Le risplendenti e cristalline Dee ,
E giusta è l'ira del divin collegio , Sol per veder come la dotta Aranne
Se noce a quei che'l cielo hanno in dispregio. L'elettissime fila insieme impanne.
2 6
Ben può , dicea , ciascun lodar le Muse Perchè non sol la tela ben contesta
Di aver dato castigo al loro oltraggio ; Facea stupire ognun di maravaglia ,
Ma chi sarà che me non danni e accuse Onde si vaga uscia più d'una vesta ,
Poich' in si giusto sdegno anch'io non caggio ? Ch'a rimirar vi si perdean le ciglia ;
Ognun già sa quanta arroganza oggi use Ma veder come un fil con l'altro innesta
Aranne , che osa porsi al mio paraggio , Se fila , come il tende e l'assolliglia ,
E s' io la lascio stare in quest'inganno , Rendeva ognun , che v' avea l'occhio intento,
Quanto lodo le Dee , tanto me danno Tutto in un punto slupido e contento.
3 7
In Lidia già formò l' umano aspetto Stupide le Napee dicean fra loro :
A questa Aranne il Colofonio Idmone. Con sì gran studio ella il suo studio osserva
Questi tingea nel suo povero tetto E mesce così ben la seta e l'oro
Di più color la spoglia del montone ; E tutto quel che l' arte amplia e conserva ,
Colei , che nel suo sen le die ricetto , Che mostra ben che dal celeste coro
Già passat' era al regno di Plutone : Discesa ad insegnarle sia Minerva.
Della picciola Ippea i padri furo , Ella super ba il nega , e tiensi offesa
Ch' al mondo la donar di sangue oscuro , D'aver da si gran Dea quell' arte appresa .
162 DELLE METAMORFOSI
8 13
Venga , dicea , la Dea saggia e pudica , Bastili aver del mondo in ogni parte
S'osa di starmi al par , qui meco in prova , Fra le genti terrene il primo onore
Che con ogni sua industria , ogni falica , In questa che trovò tant' ulile arte
Troverà l' arte mia più rara e nova. La Dea della prudenza e del valore :
Buona fu già la sua scienza antica , Ma cedi all' immortal furor di Marte
Ma il mio lavor l'uso moderno approva ; Tu che sei nala nel mortale errore ,
E se meglio la Dea vuol ch' io gliel mostri , E duolti seco mai del troppo orgoglio
Armisi e comparisca e meco giostri , Ch'ella mercede ayrà del tuo cordoglio
9 14
Come dal monte pio Minerva scende Guardò con torle e disdegoale ciglia
E lascia l'immortale alma foresta , L'allor da lei non conosciuta Diva
E l'orgoglio d'Aranne ancora intende , La troppo ardita e temeraria figlia
E come l'arte e lei biasmar non resta Per lo troppo saper del senno priva ;
D'un ' attempata vecchia il volto prende , Poi con questo parlar seco s' appiglia ,
Crespa la pelle fa , calva la testa ; Con quel furor che in lei lo sdegno avviva ,
Curva e debil ne va carca d' affanni , E a gran fatica ritener si puote
E mostra al volto aver più di cent' anni. Di percuotere a lei le crespe gote :
IO 15
Regge sopra un baston l'aplico fianco , Pur troppo è ver che la soverchia vita
E va dove la vergine lavora , Priva l'uom del più nobil sentimento
E con inchino umil , debile e stanco , Vedete questa vecchia rimbambita ,
Con ogni mostra esterïor l'onora , Che dar consiglio a me prende ardimento ;
Poi come quella ch'ha quei denti manco . E ben convien che sia del senno uscita
Che balbo fanno ancor l'accento fuora ,3 Che mostra aver degli anni più di cento.
Alzando verso lei l' afflitto aspetto Il consiglio del vecchio è buono e saggio ,
Un suono articolo non mollo schiello : Ma non di quel che vive di vantaggio.
II 16
Sebben l' elà senil , debile e inferma Qualche tua pronipote o discendente
Infiniti dispregi al vecchio apporta , La voce tua fastidïosa assordi
S'ha per opinïon fondata e ferma , Ch' io tanto consiglio e tanta mente >
Che non s' ha in tutto a riputar per morta , Che non ho punto a far de' tuoi ricordi :
Perchè la prova , ove si fenda , e ferma , S'atta a giostrar del par la Dea si sente ,
La fa dell' altre età più saggia e accorta : Le fila a figurar l'istorie accordi
Sicchè non disprezzar , ma dà l'orecchia Ma so ch' ella tal prova non desia
Al consiglio fedel di questa vecchia. Che sa ch' in questo far la palma è mia.
12 17
Non si può dir > se non che troppo ardisca , Sdegnata Palla del soverchio orgoglio
Sia chi si sia quaggiù nato mortale , Che in questa insana vergine ritrova ,
Che con parole indebite s' arrisca Minaccia , e dice : Contentar ti voglio :
Di chiamarsi a gli Dei celesti eguale : Minerva io sono , vo' venir in prova :
Onde perchè l'error non si punisca , E già di questa pelle mi dispoglio ,
Alla vergine saggia ed immortale Che in me tutto in un tempo è vecchia e nova ,
Chiedi mercè , dappoichè tu non sei , E quel ch ' or tengo , volto antico e schivo,
Siccome ti sei fatta , eguale a lei. Cangio col mio sembiante antico e divo. 1
N : 69
1.Zezon
18 23
Come la Dea palesa il suo splendore La vergine terrena e l'immorlale ,
Con la divina sua fronte , e favella , Secondo ne' duelli usar si suole ,
Le ninfe Lidie , e le propinque nuore U'combatter si de ' con arma eguale ,
Che stupian del lavor della donzella , Voller del pari aver colori e spole :
Tulte s'inginocchiaro a fare onore Or per aver la palma trionfale
Alla presa da lei forma novella : Pensan formar figure uniche e sole ;
E improvviso terror ciascuna oppresse Onde ognuna di lor molti cannelli
Se non l' altera vergine , che tesse. Veste di color varj , e tulti belli .
19 24
E ' ver ch' un improvviso sangue tinse Chiude il cannello il picciolo spolelto
Di vergogna e rossor l'invitto volto , E poi la spola in sen la canna abbraccia :
E darò alquanto ; e poi quel rosso estipse Elle poste a seder sopra quel letto ,
Il primiero vigor nel cor raccolto : Che serve a chi l'un fil con l'altro allaccia ,
Così talor l'aurora il ciel dipinse L'animo inlende ognuna al bello obietto ;
D'ostro , ma quel color non durò molto ; Con le vest' alte e con l'ignude braccia
Che tolse il rosso al cielo il Sol ch ' apparse , Fan , che la trama per l'ordito passe ,
E di suo natural color lo sparse E sul passato fil batton le casse .
20 25
Fa ch ' Aranne al suo falo il corso accende Questa calcola e quella il piede offende ,
La stolida viltoria che la move , E mentre preme lor l'attenta schena ,
E superare in quella impresa intende Fa che 'l liccio e l' ordito or sale , or scende ,
La figlia incomparabile di Giove. E che la trama misera incatenala :
Più la sdegnata Dea non la riprende , La spola una man dà , l'altra la rende ,
Ma vuol venire alle dannose prove , E questa e quella man le casse mena ,
E le vuol far veder quanto s' inganni E mentre il pugno or perde , or si riscuote ,
Co' sno' perpetui e manifesti danni. Gira il cannello , e 'l fil disvoglie , e scuole.
21 26
Conchiuso ch' hanno il singolar certame Per aiular l'istoria col colore
L'alma inconsiderala e la prudente , Varian le spole , ov'è il color riposto ,
Gli ordimenti apparecchiano e le trame E in quella parle appare il fil di fuore ,
Ed ogni altra materia appartenente : Che serve all'opra , e 'l reslo sta nascosto :
I più lodalo poi di seta stame Mover fa il piè la parte inferïore ,
Fan pel pettine enlrar fra dente e dente ; E'l liccio intende, e fa quel che gli è imposlo
Il filo il dente incatenato lassa E la trama informaple in parte scopre ,
E poi per molti licci al subbio passa . Ch' al lavor giova , e tulto il resto copre .
22 27
Tutto d'un sol color fan l'ordimento Pingon nell'opra istorie , e quesla e quella
E del par fila ad ogni dente danno : Varie , siccome è vario il lor pensiero ,
Ma la trama vi fan d' oro , e d'argento , E fanvi ogni figura così bella ,
E d'allri assai color , vaghezz' al panno. E con cosi mirabil magistero ,
Le calcole vicine al pavimento , Che sol manca lo spirto e la favella
Ch'ubbidiscono al piè , sospese stanno : Al vivo geslo , e d' ogni parte intero ;
Son molte , e corrispondono in quest' opra E del vario color che 'l panno ingombra ,
Ai molti licci , che ubbidiscon sopra. Un fa il manlo, un la carne, un altro l'ombra
'158 De L LE METAMORFOSI
28 33
I
Palla nel panno suo superbo e vago Sdegnalo il ciel del glorïoso affetlo ,
L'alma città d'Atene adombra e pinge , Lor trasformar la troppo altera fronte ;
E vi fa il promontorio Ariopago E questa e quel con glorïoso aspetto
Sacrato a Marte ; ove colora e finge Dominò i vicin colli , e fessi un monte .
Di Giove la divina e regia imago , L'angol superïor destro fu eletto
Che con dodici Divi un arco cinge : Per far quest' opre manifeste e conle ;
E l' aere di ciascuno ha si ben tolto , Nell' altro incontro questo si vedea
Che qual sia ciascun Dio , dichiara il volto. L'orgog'io della misera Pigmea .
29 34
Giove nel mezzo imperïoso siede ; Già quest' altera madre si diè vanto
Gli altri sedono bassi , egli eminente : D'esser più d'ogni Grazia adorna e bella ,
Quivi 'l Reltor delle Nereide fiede Nel tempio di Giunon divoto e santo ,
Il fertile terren col tuo tridente Di lei del maggior Dio moglie e sorella.
E del suo grembo uscito esser si vede All'iraconda Dea dispiacque tanto ,
Un feroce destrier bello e possente ; Che le tolse l'effigie e la favella ,
E la terra arricchisce ei di quel bene, L'allungò il collo, e 'l piè , l' impiumò poscia ,
Per dare il nome alla città d'Atene. Dal rostro che le fe' , fino alla coscia.
30 35
Di scudo e di celata arma sè stessa S'era a costei pur dianzi ribellato
Con l' asta in man religrosa ed alma , Quando il regno Pigmeo dominio serra ;
Tien nel petto d' acciar Medusa impressa , Ond' ella avea per racquistar lo stato
Ch' ïgnuda a lei mostrò la carpal salma ; Falta una lega , e mossa una gran guerra :
E per la grazia all'uom da lei concessa Poi , sebben le fu il pel trasfigurato ,
Liela si vede a riportar la palma ; I popoli assalto della sua terra
Ch'ella alla terra , allor di quel ben priya , I quai son alti un piede e mezzo , o due ,
Fe' parlorir la fruttuosa oliva. Ed oggi ancor la guerra han con le Grue.
31 36
Veggonsi in atto star gli arbitri Dei , Questo il superïore angolo manco
Che lo stupor dimostran nelle ciglia , Pinge lavor , ma il destro inferiore
E coronar della vittoria lei , Mostra , ch' Antigonea non ebbe manco
Di cui la dotta terra il nome piglia ; Vano , superbo e glorioso il core :
E per farle veder di quai trofei Più illustre haggio il volt'io vermiglio e bianco,
Dee trionfar la temeraria figlia , ( Disse ) e di maeslade e di splendore ,
Fa quattro istorie d' uomini arroganti , E di mill' altre parti altere e nove ,
Che d' agguagliarsi osaro ai Numi santi . Della gelosa Dea , moglie di Giove.
32 37
Emo già re di Tracia ebbe consorte Ma se fa la Pigmea venire un mostro
La bella Rodopea figlia d' un fiume : Giunon ( perpetua a lei noja e vergogna)
Questi armò di superbia il cor si forte : Ben tolse a questa ancor le perle e l' ostro
Che fe' adorarsi qual celeste Nume ; Per la tropp'alta gloria , ov' ella agogna :
E questo vano error cecò di sorle Le fe' sottil lo stinco , il collo e 'l rostro
Alla moglie ed a lui l'interno lume , E la forma le diè d'una Cicogna ;
Ch'egli chiamar si fe' Giove , è Giunone Ne le giovò l' allor temuta mano
Fe' nominar la figlia di Strimone. Del padre Laomedonte re Trojano.
LIBRO Sesto 165
38 43
L'angolo inferior destro dipinge Come al misero padre si riporta ,
L'ira celeslïal , la costei pena ; Che l' infelici figlie son di sasso ,
Ma il manco inferior figura e pinge , E che , chi va per la sacrata porta ,
Come Giunon un altro orgoglio affrena. Pon sul lor dosso il pon pieloso passo ,
Quanto l'imperio Assiro abbraccia e cinge Piangendo ad abbracciar la pietra morta
Fra il regno Medio e la Tigrina arena , Corre , e resla di spirto ignudo e casso ;
Cinara resse già lieto e felice , Statua si fa , che si consuma ed ange ,
Se mesto nol rendea Giunone ultrice . E su le figlie immarmorate piange.
39 44
Fur già si vaghe e grazïose e belle Avea si ben la Dea tutta distinta
Le figlie del re Cinara , e si dire , Nella bell'opra questa istoria intera ,
i
Quant' allra , di cui il mondo oggi favelle Che non l'avreste delta ombra dipinla ,
2建
O per voci Romane , o voci Argive : Ma ben un' azïon vivace e vera
Ma fur ben empie a par d'ogni altra e felle, La margine d'un fregio restò tinta ,
E d'ogni ben dell'intelletto prive ; Dove ramo con ramo intrecciat' era
Ch'osar dirsi più belle e più leggiadre. Del frullo , che i pacifici in pregio hanno ;
Della di Marle e d'Ebe altera madre . E con l'arbore sua diè fine al panno .
40 45
Troppo prende la Dea d' ira e di sdegno , L ' allra mostrò con bel compartimento
E forza è che lo sfogbi e che lo scopra : Nella sua dotta e ben intesa trama
Vo' soddisfare al vostro animo indegno Giove tutto all' amor lascivo intento
( Disse ) secondo il fine , ond' egli adopra Che la figlia di Ceo vagheggia ed ama :
E vo'ch' ogni vil uom del vostro regno Benchè render nol vuol di lei contento
Ed ogn' altro stranier di zappi sopra : La vergine , ch' Asteria il mondo chiama ;
Quel ben , ch'avele al mio Nume preposto , Ma Giove cangia la celeste scorza ,
Vo'che ad ogni vil piè sia so lloposto. E si trasforma in aquila , e la sforza ,
1
41 46
Innanzi alle gran porte del suo tempio Dipinge l'altro mal , che poi l' avvenne
! Con rabbia e con furor le corca e stende , Che Giove seguì ancor quest' infelice ;
E con lor troppo obbrobrïoso scempio Ma per pielà gli Dei le dier le penne
Scale del tempio suo le forma e rende ; E la cangiaro in una coturnice :
Talchè sul sasseo dosso il buono e l'empio Alfin sul mare Icario il vol ritenne ;
E quando entra e quand'esce , or sale or scende, Ma lo sdegnato Dio con mano ultrice ,
Quell' uniche bellezze alme e supreme Poichè il suo amor di nuovo non impetra ,
Ogni indiscreto piè calpesta e preme . La fa sopra quel mar notar di pietra.
42 47
Frenate , alteri eroi , l'ingiusto orgoglio Isola , detta Ortigia , in mar la forma ;
Con un ben forte e ben tenace freno E perchè a Giove il suo fuggir dispiacque ,
Armale il cor d'amore e di cordoglio , Non sol mentre stampò per terra l'orma,
E non d'ambizïone e di veleno , Ma poich ' al dorso suo la penna nacque ,
Sicché l'ira di Dio non dica : io voglio Volle ch' a galla in questa nova forma
D'ogni uom più abbietto e vil farvi da meno : Sul mar fuggisse dal furor dell' acque :
E dell'onor vi privi e del reame , Così notando andò senza governo
E faccia obbiello ad ogni riso infame. L'Ortigia un tempo , ove mandolla il verno .
166 DELLE METAMORFOS I
48 53
Per far chiara apparir pone ogni cura Gravida di due figli , fa in prigione
La sfrenata libidine di Giove , Starla Liceo , poichè 'l connubio scioglie .
E la sua troppo barbara natura , Dipinge poi come d'Anfitrïone
Mentre sè vesle , e allrui di forme nove : La forma vuol per ingannar la moglie :
Leda nel panno poi tesse e figura , Seco la casla Almena in letto il pone ,
E fa che un bianco Cigno in sen le cove ; E compiace innocente alle sue voglie ;
E mostra che l'augello è il maggior Nume , E con queste lascivie e questi inganni
Che asconde il nero cor con bianche piume. Nota i pensier di Giove empi e tiranni.
49 54 }1
Mentre gode Proserpina la luce Che d' Eolo una leggiadra e bella figlia ,
Del pianeta più chiaro e più giocondo ,
多
· Dett’ Arne , con quel pelo inganna , e porta.
S'innamora di lei l' etereo Duce Del fiume Enipeo poi la forma piglia ,
Quel che del seme suo la diede al mondo : Sopra il cui lito una fanciulla ha scorla
Quell' animal si forma ei , che conduce Della troppo superba e rea famiglia
Serpendo altero il suo terrestre pondo ; Di Salmoneo , che sola si diporta ;
E dove vede lei seder su l'erba , E di jei nella forma d'Enipeo
Serpe d' or con la tesla alta e superba. Due figliuoli acquistò Pelia e Neleo.
59 64
Non teme la Regina d'Acheronte Pinge più giù come nel fiume stesso
Del serpe altier , del lucido , e dell' oro ; Cangialo il re del mar su l'aurea arena
Che per l'imperio ch' ha di Flegetonte , La gran moglie d'Aloo si tira appresso
All' Erioni comanda e a' serpi loro : E con l' ignude braccia l'incatena ;
Poichè non sa che la viperea fronte E com' egli acquistò di quello eccesso
Nasconda il Re del sempiterno coro : Due figli cosi grandi e di tal lena ,
Per pigliarlo , se può , l'attende al varco , Ch'al ciel fer guerra , e tennero in disparte
Ch' arricchir vuol di lui lo stigio parco . Tredici mesi imprigionalo, Marte.
60 65
Lieto pigliar si lascia il serpe , e prende Colora come in forma d'un montone
Piacer di lei , che se l'ha posto in seno : La bella figlia inganna di Bisalto ,
Poi dal foco instigato che l' accende La qual sul bianco suo velo si pone ,
Deposto ogni vipereo empio veneno , Ed egli entra nel mare , e nuota in alto :
Con la forza celeste la distende Lunge l' alterra poi dalle persone ,
Sopra l' erboso e morbido terreno : E seco viene all' amoroso assalto .
E si vedea nel panno manifesto Finge lo stesso poi Rettor marino
Un si nefando e obbrobrïoso incesto. Portar Melanto in forma di delfino.
61 66
Scoperti ch' ha gl'ingiuriosi danni Ma lasciato da parte il re dell'onde ,
Del maggior Dio , che l'universo move , Il biondo Apollo trasfigura e pinge ,
Pinge mill' altri furti , empi e tiranni , Che co' vaghi occhi e con le chiome bionde
E si volge a Nettuno , e lascia Giove : Una Ninfa Anfrisea l'infiamma e stringe.
Ch' anch' ei rivolto a' mulïebri inganni Tutto ei fra smorte piume il corpo asconde ,
Ogni di si vestia di forme dove. E vola , e innanzi a lei sparvier si finge :
Si fe' un Ubin .nel regno di Sicano , Ella il prende e'l nutrisce, e in caccia il prova ;
Dove ingannò la Dea del miglior.grano. D' un' altra forma poi la notte il trova.
62 67
Che tosto ch' ei se la senti sul dorso Scopre come in Tessaglia andando a caccia
Cominciò su l'arena a passeggiare : Una formosa vergine Napea
La trasse alfin contro il voler del morso Con un orso crudel venne alle braccia ,
Fuor del lito Sican per l'alto mare , E s'ajuto un leon non le porgea ,
E sopra un duro scoglio fermò il corso Tulta guasla l'avria l' orso la faccia ;
Per l' amoroso suo desio sfogare. Ma Apollo , che leon quivi parea ,
Pinge la lana poi , la seta e l'oro , Uccise in suo favor l'orribil orso ,
Come l'istesso Dio si fece un toro : Poi lasciò tutto umil mettersi il morso .
1
168 DELLE METAMORFOSI
68 73
Giurò già di seguir senza consorle Poich' ebbe alle figure illustri e conte
La legge di Diana e di Minerva Tollo l'onor , ch ' avean dal vario laccio ,
Costei , ch' or lieta e dell' orsina morle , Si trovò in man del Citoriaco monte
E d ' aver quel leon , che in caccia il serva ; Da misurare il lin tessuto , un braccio ;
Ma come il sonno a lei le luci ha morte E due e tre volte nell' Arannea fronte
Di Venere il leon la rende serva ; Alzando più ch' alzar si possa il braccio ,
Si spoglia di quel pel l'amante ignolo , Lasciò cadere il Citoriaco arbusto
E fa per forza a lei rompere il volo.. Con degno premio al suo lavoro ingiusto .
69 74
Aggiunse a questo un altro tradimento Maggior non si può fare onta o dispello ,
D' Apollo volto all' amorose trame , Ch' opra schernir , ch' un fa , conosce e stima :
Ch' Issa , a cui già mortificato e spento L'ipfelice donzella , che negletto
Avea il lascivo amor santo legame , Vede e stracciato un vel di tanta stima ,
E percosso si sente il volto e 'l petto ,
Fingendo a lei voler guardar l' armento
In forma di pastor la rendè infame ; Prende una fune, e monta a un banco in cima,
E'l voto fatto a Delia romper feo . Col laccio annoda il collo , ed una trave ,
Alla figlia già pia di Macareo. Poi fida al lino allorto il corpo grave .
70 75
Vi tesse ancor , come il bimatre Nume Ma pria che soffogasse il nodo l' alma ,
Della figliuola d'Icaro s'accende , Soccorso a tempo all' infelice diede
E si forma una vigna , e intanto il lume Dell'alma Dea la vincitrice palma ,
Nell' uva , che vi fa , la figlia intende : Ch' ebbe del pender suo qualche mercede :
Ella seguendo il giovenil costume , D'erba e venen la sua terrena salma
Quanta ne cape il sen , tanta ne prende , Sparse con presta man dal capo al piede ,
E la porta contenta al patrio telto ; Poi disse : Un nuovo corpo informa, e prendi ,
Ma la notte quel Dio si trova in lello. E vivi venenosa , e tessi e pendi.
71 76
D'edera il panno estremo un fregio serra Appena quel venen sopra le sparse ,
Fatto a grotteschi industrïosi e belli Che tolse al corpo il grande, il duro e'l greve:
Dove cerchio con cerchio in un s' afferra Con picciol capo , e ventre a un tratto apparse
Pien di semi-centauri e semi-uccelli. Un animal lanuginoso e breve :
Poi per dạr fine alla Palladia guerra , Un sottil piè venne ogni dito a farse
Fan paragon de' figurati velli : Che pende al rello risupino , e leve :
E sebben quel di Palla era divino , Dal picciol corpo il lin rende e lo stame ,
Di poco gli cedea l ' Arapneo lino. Ed incatena ancor l'antiche trame.
72 77
Quanto lodò la Dea d'Aranne l'arte , Tulla la Lidia già freme e risuona
Tanto dannò la sua profana istoria ; D'Aranne , e della Dea di torma , in torma ,
Che senza offender la celeste parte , E che la tessilrice di Meopa
Ben acquistar polea la stessa gloria. Esercita il suo lin sotto altra forma.
Tutto straccia quel panno parte a parte , La fama , che di questo il mondo introna ,
De' celesti peccati empia memoria , Stampa da Lidia ognor più lunge l'orma
Per non mostrare a' secoli novelli Corre per tutto il mondo al sole e all'ombra,
Gli eccessi degli zii , padre e fratelli. E del miser successo il mondo ingombra.
T. 70 .
E con piacer non poco e maraviglia Che ammonendo gli eroi , la plebe e lei ,
Conobbe in altra età la patria figlia. Così scopri il voler de gli alti Dei :
80 85
Ma non però la pena , che rapporta Oggi è quel lieto ed onorato giorno ,
La fama , che la Dea saggia le diede Che Latona diè fuor Febo e Džana >
Del suo superbo cor , la rende accorta Onde del sole il di rimase adorno
Dell'empia ambizïon che la possiede ; La notte della Dea casta silvana :
Anzi tanto la gloria la trasporta , Però cinga d' allor le tempie intorno
Ch'a quei che son nella celeste sede , Col popol suo la nobiltà Tebana >
Cerca involar gl' incensi e 'l pio costume , E le madri e le mogli e i figli invochi ,
Per arrogarlo al suo non vero Nume. Donando i grati incensi a' sacri ſochi.
81 86
Chi troppo da gli Dei talvolta impelra , La Dea ne gli occhi miei s'affissa e mira ,
Di troppo alla superbia arma la fronte : E passa per le luci , e 'l cor mi tocca
Ella un marito avea , che con la cetra E nel pensier quel ch' ho da dir m' ispira ,
I sassi dispiccar facea dal monte ; E scopre il suo voler per la mia bocca ;
E tanta col suo suon condusse pietra , Però la voce , l'organo e la lira
Tanto pin , tanta sabbia e tanta fonte , Tutt' empia d' armonia d' Ismenia rocca ;
Che con rocche elevate e forti mura E si serbi ogni modo , ogni atto pio ,
La sua regia città rendè sicura. Che suol servarsi in venerare un Dio.
82 87
Superba andava assai di questa sorte , La falal figlia Tiresia appena
Ma molto più che il suo terrestre velo , Avea di questo suon l' aere cosperso ,
E quel del soavissimo consorte Che ogni mortal che beve l'onda Ismena ,
Origine traean dal Re del cielo : Diè fede al suo vaticinato verso .
L' ameno regno suo fertile e forte , Già la principal piazza è tutta piena
Sotto temprato ciel fra il caldo e 'l gielo , D'innumerabil popolo e diverso
Pien d' abitanti , e di milizie e d'arte , E v'han tre altari eretti ado rni è belli
Nel grande orgoglio suo volse ancor parte. Uno alla madre e gli altri ai due gemelli .
'770 DELLE METAMORFOSI
88
93
Ogni etade , ogni sesso il fato adempie , Colei , che nel suo sen già Niobe alberga ,
Veste ognun le più ricche e ornate spoglie ; E' delle selle Plejadi sorelle :
Del verde alloro ognuna orna le tempie , Atlante è l'avo mio , le cui gran terga
O sia madre o sia vergine o sia moglie : Sostengon tullo 'l ciel con altre stelle ;
Di suoni e supplicanti voci s' empie L'allro avo è quel , la cui possente verga
L'aria , s' ornar le vie di fiori e foglie ; Dà nel ciel legge all'alme elette e belle ;
Copron le mura i razzi , e i simulacri , E per maggior mio onor l'istesso Dio
Ardon d' incenso e mirra i fuochi sacri. Si volle in Tebe far suocero mio.
89 94
Intanto vien la Imperatrice altera ,
Ovunque la ricca Asia dona il letto
Spettabile di gemme e d' ostro e d'oro . All'onde Frigie , il mio nome corregge :
La risplendente vista alma e severa La region , ch'a Cadmo die ricetto >
Scesa parea dal sempiterno coro : Di Niobe e di Anfion sérva la legge.
In mezzo va d' un ' onorata schiera
Ovunque volgo il mio reale aspetto ,
Con maestà , con grazia e con decoro ; Nel sasso , dove albergo il miglior gregge ,
Ma lo sdegno che avea nel lume accollo , Tulto veggio splendor , tutto tesoro
Togliea qualche splendore al suo bel vollo . Ostro , perle , rubin , smeraldi ed oro .
90 95
Quando fu in mezzo all' ampia piazza giunta , Aggiungi a queslo il mio splendor del viso ,
D' ogni intorno girò l' altere luci , Che mostra col divin , che vi risplende ,
E poi da invidia e da superbia punta Ch' io dell'elette son del Paradiso ,
Cosi diè legge a' più onorati Duci : Che sa ognuno , ch'in me le luci intende .
Tu , nobiltà , dalla tua Dea disgiunta , L'albergo è tutto gioja e tulto riso ,
Che l'ignorante mio popol conduci , Altro che canto e suon non vi s' intende ;
Porgi l'orecchie a me , lascia la pompa , La prole mia dotata d'ogoi onore
Pria che la greggia mia più si corrompa .
Setle generi aspetta e sette nuore.
91 96
Qual folle vanità , quai pensier sciocchi Vi par , ch' aggiunga all' alta gloria nostra
Dentro e di fuor s'han tollo il doppio lume , Quella , a cui tant'onor rendete e fede ?
Che crediate agli orecchi , più che agli occhi Jo parlo della Dea Latona vostra ,
Nel venerare un non veduto Nume ?
Che si mendica al mondo il padre diede ,
Non so che fõlle error l'alma a ognun tocchi Che del silo , ch ' al ciel la terra mostra ,
Ch ' all' allar di Lalona il foco allume ;
Ed io visibil Diva all' alma e a ' sensi
Mentre egli intorno la circonda e vede
Negò di darne a lei tanto terreno ,
Ancor sto senz' allare e senza incensi. Che bastasse a sgravar del parto il seno.
92 97
Facciam pur paragon di tanti e tanti Darle un ricetto minimo non volse
Miei pregi con gli onor che adornan lei : Nè la terra , onde usci , nè 'l mar, nè 'l cielo;
Se l'origine sua vien da' Giganti , Sol la sorella instabil la raccolse
Nasce la mia dal Re degli altri Dei : Quell'isola , che poi fu detta Delo ,
Tantalo è 'l padre mio , che sol fea quanti La qual dal volto uman già si disciolse
Mai furo uomini al mondo , e Semidei ; E piuma aerea fe' del terreo pelo ;
Veduto fu nella celeste parte E poi , siccome piacque al maggior Nume ,
Alla mensa mangiar fra Giove e Marte . Un mobil sasso in mar fe' delle piume.
LIBRO SESTO 17
98 103
Vicino al lito ove correa si caccia , Che non sia più del suo che mi resta :
Poi rompe in questi accenti la favella : Poniam , che contra me spieghi 'l vessillo
Sirocchia mia , co ' piedi e con le braccia E che mi tolga ancor più d'una testa
Sostienti e nuota , e monta sul mio tergo , Non però vincitrice la farei
Ch' io ti darò sul mobil dorso albergo. Che perdendone molte , ancor n'avrei.
99 104
Ben ebbe il suo ascendente quando nacque E faccia pur l'estremo di sua possa
Ciascheduna di noi mal forlupalo ; Con l'arme di Pandora e di Bellona ;
Vagabonde ambe siam , siccome piacque Non sarò mai si povera e si scossa ,
Al nostro infauslo , inevitabil ſato. Come è la vostra misera Latona :
Tu vaghi per la terra , ed io per l' acque , E quando ingombri ancor l'ottava fossa
E fermar non possiamo il nostro stato : S'illustre germe della mia corona ,
Ma , se il mio mobil dorso il tuo piè preme , Non m'avveggio però , che tanto io caggia ,
Ce n' andrem per lo mar vagando insieme . Che più figli di lei sempre non aggia.
100 105
Cosi l' esule Dea vostra mendica Togliete al vostro volto il verde alloro
Da un' altra sventurala ebbe ricetto ; Ch' in così vano error v' orna le tempie ;
Vi montò su con pena e con falica , Togliete a queste mura i razzi e l'oro ;
E senza altra ostetrice , e senza letto , Taccia ogni suon che l'aria assorda ed empie;
Lucina avendo al partorir nimica , Taccia de' Sacerdoti il sacro coro .
Che tenea il pugno incatenalo e stretto , Ognuno il dir della regina adempie ,
Dopo mill' alti stridi e mille duoli , Contra sua voglia ognun lascia e interrompe
Fece al mondo veder due figli soli. Le venerande ed imperfette pompe.
IOI 106
Veder fe' al mondo la settima parle Ma non però , ch' entro nel core ,
Di quella , che gli ho fatta veder io. E con tacito mormore non faccia
Considerate dunque a parte a parte , Alla figlia di Ceo la turba onore ,
Qual è maggior , o il suo splendore o 'l mio Ancorchè le parole asconda e taccia .
D' ogni più raro don che 'l ciel comparte , Vede la Dea , con qual profano errore
Che può felicitar lo stato a un Dio , Colei dall' altar suo la pompa scaccia ;
Son felice or , sarò felice sempre , E sdegnata e fermata il volo in Delo ,
Mentre ruolin del ciel l'eterne tempre. Disse alla luce gemina del cielo :
102 107
Chi la felicità negar presente Ecco io , che di me stessa andava altera
Può ? chi può dubitar della futura ? D'aver dei maggior lumi il mondo adorno ,
L'una e l'altra sarà perpetuamente , D'ambi voi mia progenie illustre e vera ,
L'abbondanza del ben mi fa sicura : Ond’ave il suo splendor la notte e 'l giorno ;
Tanto beata son , tanto possente , lo , che fuor ch'a colei , che all' altre impera ,
Che del destin non tengo alcuna cura , Non cedo nell' eterno alto soggiorno ,
Perch' io maggiore assai son di quell' una Son da donna mortale , ingiusta e rea
A cui non può far danno la fortuna . Posla nel mondo in dubbio , s' io son Dea .
?
172 DILLE MÈ TAMORFOSI
108 13
Ne solo all' altar mio fatt' ave oltraggio Il gemino valor , che nacque in Delo
Di Tantalo la figlia empia e rubella , Di strali empie il turcasso e l'arco prende ;
Ma a te che sei del giorno unico raggio , Poi fa scendere un nuvolo dal cielo ,
E al culto della tua santa sorella , E vi s' asconde dentro , e in aria ascende :
Con parlare orgoglioso e poco saggio , Verso ponente il novo apparso velo
Mentre rendea con pompa ornata e bella Il corso affretta , e sopra Eubea già pende ;
A noi tre l' alma Tebe il sacro voto , Quindi dietro alle spalle il mar si lassa ,
Così diè legge al suo popol devoto : E verso la ciltà di Cadmo passa.
109 114
Lasciate il sacrifizio di colei , Non lunge sta dal muro che fondato
Che partorì in Ortigia dae gemelli , Fu dalla cetra , e dalla metrica arle ,
Non date incensi , come a ' vostri Dei , Di mura cinto un pian , che fu già prato ,
A’ due , ch' uscir di lei , lumi novelli ; Ch' or serve d' esercizio al fiero Marte :
Sacrate a me che son maggior , di lei , Qui si vede la tela e lo steccato ;
A' figli miei più splendidi e più belli. Ingombrano i tornei quell'altra parte ;
Del nome mio fe' il suo maggiore , e poi Qui 'l prato è da loltar , lì i cerchi e calli ,
I suoi figli mortai prepose a voi. Che servono al maneggio de' cavalli.
IIO 115
L' ha fallo a tanto orgoglio alzare il corno Quei che nacquer di Niobe e d'Anfione ,
L'aver visto dotato ogni suo parto Di cor , di volto e di virtute alteri ,
Di qualche don , che fa un mortale adorno , Eran venuti al marzïale agone
E dopo i diece aver contato il quarto ; Su i più superbi lor regj destrieri
Che con non poca nostra ingiuria e scorno Per far del lor valor quel paragone ,
Me , che il lume alla notte , e al di comparlo, Ch ' assicura i cavalli e i cavalieri :
Che do la Luna all'ombra , al giorno il Sole , E appena fur nel destinato loco ,
Sterile ha nominata , e senza prole. Che dier principio al virtuoso gioco.
III 116
Ben s' assomiglia al temerario padre , Damasittone appar su un turco bianco ,
Che a mensa fu del sempiterno Duce , Macchiato tutto il dorso a mosche nere :
E poi quaggiù fra le terrene squadre , Si ferman gli altri , e 'l destro lato e 'l manco
I secreli del ciel diede alla luce : Ingombrano in due liste per vedere.
Poich' ombra osa chiamar la vera madre Il cavalier nell'uno e l'altro fianco
Dell' upa e l'altra necessaria luce , In un medesmo tempo il caval fere ,
E in non temer la dignità superna E il morso allenta , e al corso si l' affretta ,
Cerca imitar la lingua empia paterna . Che non va sì veloce una saetta .
II2
117
Volea pregar la Dea , che del suo orgoglio Come il giovane accorto al segno giugne ,
Punir volesse la reina Ismena ; Non lascia più al caval la briglia sciolta ,
Ma disse Apollo : Il tuo lungo cordoglio Ma'l ferma, e'l fren volge a man destra, e'lpugne
Altro non fa , che differir la pena ; Col piè sinistro , e 'n un momento il volta :
Sopra di me questa vendetta io toglio. Come stampa al contrario in terra l' ugne ,
Ma la Dea che le tenebre asserena , Là il spinge , onde parti la prima volta ;
Disse : Ella anche oltraggiato ha il nome mio , Gingne e'l raffrena , e poi nella destr' anca
E parte vo' nella vendetta anch'io. Pugne il destriero , e'l fren volge a man manca .
LIBRO Sesto 173
118 123
Dove la groppa avea , volge la faccia , Ritorna poi dal salto alle corvette
E.come l' altro termine rimira , E tutto il peso ai piè di dietro appoggia ,
Non gli dà tempo alcun , di nuovo il caccia ; Le ben piegate braccia in terra mette ,
E come giugne al segno il fren ritira , E dopo alquanti passi in aria poggia ;
Lo svolge e invia per la medesma traccia , Poi quando che s'atterri al piè permette ,
Ne fin al nono reculon respira , Il vesligio di prima il piede alloggia ,
Dove il ferma >, che sbuffa ira e veleno E la corvetta a poco a poco acquista
E sbava per superbia e rode il freno. Tanto , che giugne al capo della lista.
119 124
Di Spagna ad un villan preme la sella Dove giunto il destrier non fa nov'orma ,
Sipilo , ch' al fratel punto non cede. Che 'l salto e'l corvettar gli vien conteso
La spoglia ha il suo caval tutla morella , Ma tien , secondo il cavalier l'informa ,
Dietro a quanto balzano ha il manco piede ; Dinanzi il destro piede alto sospeso :
D'argento una minuta e vaga stella , E con questo al caval non nova forma
In mezzo il volto altier splender si vede ; Sostien sopra tre piè tutto il suo peso ;
E zappa e rigna , e par che dica : io cheggio Poi piace al cavalier che muti stato ,
Che non ponga più indugio al mio maneggio. Ed alza il primo piè del manco lato .
I20 125
Con gli sproni e le polpe egli lo stringe , Mentre la gamba manca egli tien alta ,
E solleva in un punto alta la mano > Fa danzarlo a man destra senza un piede ,
E con un salto in aria innanzi 'l spinge Poi secondo la verga e 'l piè l' assalta ,
Quanto può con un salto andar lontano : Posar la destra , e l'altra alzar si vede ;
Com ' ha poi fatto un passo , il ricostringe E pian pian da man destra danza e salta ,
A gir per l' aria a riacquistare il piano ; E fa ciò che lo sprone e la man chiede :
E come il mare ondeggia or bassso or alto Alfin il cavalier ferma il suo gioco ,
Ei sempre dopo il passo il move al salto . E cede al quarto atteggiatore il loco.
I21 126
Con misura e con arte il tempo ei prende , Ismeno di più tempo e più sicuro ,
Mentre fa che s'alterni 'l salto e 'l passo : E di più nervo , e 'n quel mestier più saggio ,
E'l buon caval , che 'l suo volere intende , Ne vien montato sopra un bajo oscuro ,
Si,move or tutto in aria , or tutto basso. Per dare in quel maneggio il quarto saggio :
Fin al decimo salto il corso stende I due Partenopei parenti furo ,
Poi per non farlo il cavalier si lasso , Che forti e di magnanimo coraggio
Ch' offenda il presto piè la forte lena , Formaro a quel corsier la spoglia e l'alma ,
Al cavallo infiammato il salto affrena . Ch' in prova or vien per riportar la palma.
I22 127
Alfenore ne vien sopra un leardo In questo mezzo alla lotta sfidati
Ginnetlo , che argentato ave il mantello , S'eran Fediamo e Tantalo gemelli ,
Ch' ha leggiadro l'andar , superbo il guardo , Ed eran su due barbari montati
Dal capo al piè mirabilmente bello. Ch'al mondo non fur mai visti i più belli :
A corvette ne vien , soave e tardo E con le mani essendosi afferrati ,
Poi spicca un salto in aria agile e snello , Pungono i lor destrier veloci e snelli ,
Tutto accolto in un gruppo , e cade e imprime E corron verso il prato stabilito
L'orme del suo cader nell'orme prime. Sempre del par senza passarsi un dito .
174 DELLE METAMORFOSI
128 133
Con un trotlo disciolto s' appresenta E sempre che 'l caval la terra fiede ,
Sopra il caval , che si vagheggia , Ismeno , Tien la medesma arena occulla e oppressa ,
Poi ſa che 'l manco sprone il destrier senta , E nell'orma medesma pone il piede ,
E gira a un tratto in ver la destra il freno : La quale avea con l'altro salto impressa ;
Di salto in salto il buon caval s' avventa E per quel che ne giudica e ne crede
Dov'egli 'l volge , e cinge un picciol seno : Chi vista prima avea la prova islessa
Forma il caval il giro , e vi sta dentro , Avrebbe fatto il quarto salto e 'l quinto ,
E l'uom possiede ognor lo stesso centro. Se non avesse un dardo Ismeno estinto .
129 134
In un batter di ciglio il giro abbraccia Con la sorella intanto arriva Appollo ,
Il buon caval , mentre ubbidisce e runta ; Che l'arco tien nell'oltraggiata palma ;
Già tien la groppa ove tenea la faccia , Ed ecco un dardo , e passa a Ismeno il collo ,
Ed in due salli fa tutta la rota : E gli toglie il maneggio , il sangue e l' alma.
Pure a man destra il cavaliero il caccia , Come gelta il caval con un sol crollo
Finchè 'l quarto girar perfetto nota , Da sè la sua poco pietosa salma ,
Nè in olto salti fa manco o soverchio , Si melle in fuga ancor ch' alcun nol tocchi ,
Ma preme il punto u' diè principio al cerchio. E s'invola in un punto a tutti gli occhi .
130 135
Poi verso la sinistra il fren gli tira , Sipilo , che cader vede il fratello
E tutto a un tempo
tempo il punge col piè destro , Dall'improvviso stral percosso e morto ,
E 'l caval , che l' intende , a un tralto gira Non sa dolenle s' ei smonti a vedello ,
Co' suoi salti a man manca agile e destro , Per dargli ( s' ancor vive ) alcun conforto ,
Ed ad ogni due tempi 'l punto mira , O se cerchi il sicario iniquo e fello ,
Che diè principio al suo cerchio terrestro ; Per vendicar sopra di lui quel torto :
Poi lo svolge a man destra , e giugne appunto Ed ecco mentre ei ne dimanda e grida ,
Ogni secondo salto al primo punto. Un altro stral dal nuvolo omicida .
131 136
Come al fin del girar preme l'arena , Passa lo strale all' innocente il petto ,
Con gli sproni e le polpe egli lo strigne , E fa caderlo appresso al suo germano :
E’l morso alza ; e 'l caval l'intende appena , Quel ch' è sul turco con pieloso affetto
Che con un presto salto al ciel si spigne : Per non mancar d' offizio scende al piano ;
La verga il tocca allor dietro alla schena , E come preme il sanguinoso letto ,
Gli sproni un palmo lunge dalle cigne , Un dardo vien dalla nemica mano ;
El caval , mentre ancor in aria pende , Gli dà nel tergo , e giugne sangue a sangue ,
Una coppia di calci al ciel distende . E dopo un tremar corto il rende esangue.
132 137
Ogni narice avea talmente enfiata , Per torre almeno Alfenore dolente
Ed ogni foro suo di modo aperto , Gli altri fratelli al non veduto inganno ,
Ch' ogni sua vena si saria contata , Sprona il caval fra la confusa gente ,
Ogni muscolo suo tutto scoperto : Laddove gli altri due la lotta fanno .
Come ristampa il piè l' arena amata , Il buon Ginnetto che ferir si sente
Non gli dà tempo il cavaliero esperto , Da l' un e l'altro spron l'argenteo panno ,
Con gli sproni e col fren l' estolle in alto E prova più benigno e dolce il morso
Coi calci in aria insino al terzo salto. Fa noto a ognun quant'è veloce in corso .
ܪܬܬ܂
LIBRO Sesto 175
baz-a
138 143
Tanto veloci i piè mosse il leardo , Ben commove lo Dio che nacque in Delo ,
Come il doppio castigo il fianco intese , 11 del garzon , come l' intende ;
prego
Ch' avria fatto parer quel folgor tardo , Ma rivocar l' irrevocabil telo
Che Pelia , Ossa ed Olimpo in terra stese ; Non può , ch'è già scoccato , e l'aria fende:
Ma molto più di lui fu presto il dardo E mentre ancora ei prega e guarda al cielo ,
Ch' in mezzo al corso a lui le spalle offese , La fronte all' infelice il dardo offende
Ch' in aria uscì dall'omicida nembo E l' alma , come in terra ei batte il tergo ,
E morto il fe' cadere a ' fiori in grembo. Col sangue lascia il suo terreno albergo.
139 144
Macchia di caldo sangue i fiori e l'erba , Del popol il dolor , del mal la fama
E mentre batte il fianco in terra , e more , Di Niobe all'infelici orecchie apporta ,
Contro la lotta dolcemente acerba Che la succession : ch ' ella tant' ama ,
Una saetta vien con più furore , Giace su l'erba insanguinata e morta :
E passa irrevocabile e superba Subito pon la sconsolata e grama
A l'un la destra poppa , a l'altro il core ; L'addolorato piè fuor della porta ,
Che nel lottare in quello islesso punto , E'l padre , che l' intende e appena il crede,
Avean petto con petlo ambi congiunto . Anch' ei vi pon lo sventurato piede.
140 145
Manda Tantalo in aria un alto strido , Come la madre infuriata arriva
Come nel lato destro il telo il fora ; All' infelice marzïal diporto ,
Ma non può già Fediamo alzare il grido , E nella prole sua pur dianzi viva ,
Ch' in un momento il calamo l' accora . Vede il lume del giorno esser già morto ;
Di quei ch' ebbero in Niobe il primo nido , Resta d'ogni virtù del senso priva ,
Il giorno Ilioneo godeva ancora , Lo splendor vien del volto oscuro e smorto ,
Il qual piangendo ambe le braccia aperse , E tramortita presso ai figli' cade
E questi caldi preghi al cielo offerse : Su le vermiglie e dolorose strade.
141 146
Sommi celesti Dei , voi prego tutti , Non tramortisce il misero Anfione
E voi che state a queste selve intorno ; Sebben si duol , che l'animo ha più forte ,
Qual si sia la cagion , che vi ha condutti Ma del pugoal la punta al core oppone ,
Ad oscurare a sei fratelli il giorno , E di sua propria man si dà la morte.
Lasciate alquanto a gli aspri umani latti Delle figlie del Re , delle persone
* L'anima mia nel suo mortal soggiorno , Ch' arbitre or son di così cruda sorte ,
A me non già , ma al mio pietoso padre , Piange l'uomo e si duol con basse note ;
E all' infelice mia regina e madre . La donna alza le strida e si percote .
142 147
Già per ben mio la vita io non vi chieggio Con acqua fresca ed altri ajuti in rita
Ch ' altro per l'avvenir non fia che pianto , Cerca tornar la dolorosa gente
Anzi amerei , tanto ho timor del peggio , La regina distesa e tramortita ;
Di giacer morto a' miei fratelli a canto : E dopo alquanto spazio si risente
Perch ' ama il padre mio nel regal seggio E stride e corre , e dove il duol l'invita ,
Un suo figliuol lasciar col regio manto , Chiama questo e quel figlio che non sente ;
Prego a salvar di tanti un figlio solo Nè piange men la disperata madre
Che fia qualche conforto al troppo duolo. Lo sposo morto suo , de' morti padre.
176 DELLE METAMORFOS I
148 153
Ahi quanlo questa Niobe era lontana Ecco hai pur tutto avuto il tuo contento ;
Da quella Niobe , ch' ebbe ardire in Tebe Saziati del mio pianto e del mio duolo ,
Di scacciar ver tre Doi folle e profana Poich' in mio danno il vital lume hai spento
Dal divin culto i nobili e la plebe ! Dal primo insino all'ultimo figliuolo.
Questa ch' or miserabile ed insana , Godi dappoi che più spirar non sento ,
Vinla dal gran dolor vacilla ed ebe , Per dargli il mio bel regno , un figlio solo ;
Invidïala già da più felici , Ridi vedendo i miei giojosi luoghi
Or da mover pietà ne' suoi nemici . Mostrare il lor dolor con sette roghi.
149 154
Mostra la passion che l'ange e accora Trionfa poi ch ' hai vinto , alta e superba ,
Con parole insensate e indegni gesti ; E siano i mici lamenti i tuoi trofei :
Or sopra i figli , or sopra il padre plora , Anzi il mio onore ancor salvo si serba ,
E trova e bacia e chiama or quelli or questi : Che son due i figli i tuoi , son selle i miei ;
Ogni empia , ogni profana allin dà fuora E sono in questa mia fortuna acerba
Bestemmia contro i Lumi alti e celesti , Maggior di te , che fortunata sei ;
E rivolgendo gli occhi irati al cielo , E ancora in queste sorti avverse ed adre ,
Così danna la Dea che regna in Delo : Di più figli di te mi chiamo madre.
150 . 155
Qual si sia la cagion che l'abbia mossa , Mentre contra la Dea Niobe ragiona ,
0 trista invidia , o vendice desio , E chiama le sue voglie ingiuste ed empie ,
Lalona empia e superba , a render rossa Superba una saetta in aere suona ,
Quest'erba e questi fior del sangue mio ; Ch'ogn'altra , fuor che lei , di terror empie.
Ingiustissima sei quanto si possa , La freccia della figlia di Lalona
Poichè sceglier non sai l'empio dal pio. Stride , e percote Erizia nelle tempie ,
Qual ragion danna il sangue de' mici figli La qual con viso lagrimoso e bello
A fare a questi prati i fior vermigli ? Sopra il corpo piangea d'un suo fratello .
151 156
S'invidia avevi a me della mia prole Čon vesti oscure , misere e dolenti
Si regia , si magnanima e sì bella , Eran corse a veder lanía ruina ,
Dovevi contro me l'acceso Sole
Empiendo il ciel di strida e di lamenti ,
Mover con la pestifera sorella ; Le figlie della misera Regina ,
Ver questa sventurata , ch' or si dole > E con diversi e dolorosi accenti ,
Dovean tirar la freccia ingiusta e fella , Sopra i morti tenean la testa china ,
Ch'ayriano all'invidiata i giorni sui E parlavano al corpo senza l'alma ,
Tolli , e gli onor senza far danno altrui. Battendo il pello e 'l volto , e palma a palma.
152 157
Se desio di vendetta a ciò ti spinse , Come la freccia ingiuriosa offende
Ingiustissimo sdegno il cor' t' accese , Innanzi alla sconlenla genitrice ,
Che 'l figlio mio la tua vendetta cstinse , E morta l'innocente figlia rende ,
Ch'innocente e lcal mai non t'offese ; Novello oltraggio al suo stato infelice ;
E se pur la mia gloria ti costrinse D'ira maggior contra la Dea s' accende ,
Dovevi contro a me volger l'offese >
E la biasma , l' ingiuria e maledice :
Che in tullo ingiusto è chi vendetta prende Ed ecco all'improvviso un altro strale
D'un , che si sia in disparle e non l' offende. Passa Pelopia , e giugne male a male,
I. 73
Coi crini sparsi il lagrimoso lume Deh ! chiedi , nembo pio , questo per merlo ,
Avea nel primo figlio intenlo e fiso و Se forse gli empi Dei celi di Delo ,
Quando battendo il dardo altier le piume D'aver tenuto il lor arco coperto
Ferille il capo e scolorolle il viso. Dentro del tuo caliginoso velo.
Che non oltraggi più l'irato Nume Delia intanto alla cocca il pugno aperto ,
Prega Niobe Nerea con saggio avviso , Dato avea il volo all infelice telo :
E con vive ragioni la conforta Fende l'irato strale il cielo e stride
Che cerchi di salvar chi non è morta . E la coperta figlia a Niobe uccide .
159 164
Mentre l' accorta vergine Nerea Tosto che nelle figlie amate e morte
Move alquanto la madre , e 'l cor le tocca , Ferma la madre misera la luce ,
L'irata man della triforme Dea E i dolci e i cari suoi figli e consorte
L'arma terza mortal dall'arco scocca ; Vede giacer distesi e senza luce ,
E mentre verso il ciel la fan men rea Lo stupor e 'l dolor l'ange si forte ,
Le ragion , ch' alla figlia escon di bocca , Che più per gli occhi suoi Febo non luce ,
Passa lo strale il core alla donzella , E lo stupore in lei si fa si intenso 3
169 174
E del ciel maravigliomi non poco , Il superbo parlar , l'ira e 'l furore
Che 'I motor , che lassù regge la verga , Moltiplicò di sorte e quinci e quindi ,
Non dia tutta l'Europa a fiamma e a foco , Che dell'albergo d' Eolo volar fuore
E co' folgori suoi non la disperga ; Bravando i venti Occidentali e gl' Indi.
E non le tolga il giorno e'l proprio loco , La superbia d'Europa in disonore
E nel più alto mar non la sommerga , Dell' Asia il sasso rio vuol mover indi ,
Sicchè perl'avvenir non partorisca E darlo al monte suo per l' aria a volo ,
Chi tanto si presuma e tanto ardisca. Se ruinar dovesse il doppio polo.
170 175
Non polè sopportar Favonio allero Eolo , per porre a quell'orgoglio il morso ,
L'insolente parlar del suo fratello , Li richiamava al regio albergo in vano ;
Nè che 'l popol del suo superbo impero Ma quei per l'aria avean già preso il corso ,
Empio nomar osasse , e a Dio rubello : E facean fremar Lipari e Vulcano.
Da giovane tu parli e da leggiero , Ebber gll Orïentali in lor soccorso
Gli disse con un sguardo oscuro e fello , L'orribil Borea dalla destra mano ;
E dangi la mia patria ingiuslamente Nella pugna a man manca ebber consorte
Più devola e più pia dell' Orïente. L'inventor della peste e della morle.
171 176
Biasmando l'alme mie , le tue condanni, Come l'altier Fayonio entrato sente
Perchè colei, ch' ebbe Latopa a sdegno , Sirocco ed Aquilon con gli Euri in lega ,
Fu data al giorno , ed a gli umani affanni Fa chiamare in favor dell'Occidenle
Dalla Frigia dell'Asia entro al tuo regno . All'Austro da man destra , e seco il lega ;
Se le vestì la Frigia i lerrei panni , Da man sinistra Circio ancor consente
In Tebe fe' l'atto profano e indegno , A Coro , che con caldo affetto il prega ,
( Diss' Euro ) e apprese a disprezzar i Numi Disposti in tutlo por la sassea fronte
Da gli alteri d'Europa empi costumi. Sul patrio , ond' usci già , Sipilo monte .
172 177
Dissero allor Favonio , Africo e Coro , Fende un meridžan il mare Egeo ,
Che senlon da si barbare parole Che pon fra l’Asia e fra l'Europa il segno.
L’Occiden te biasmar , la patria loro , Gli aerei venti , i quai produsse Astreo ,
La patria , ch'ogni sera alberga il Sole : Che di qua da tal linea hanno il lor regno ,
Perchè possa veder lo Scila e 'l Moro , Contra il furor del soffio Nabateo ,
Che 'l marmo , che col pianto ancor si dole , In favor di Fayonio armar lo sdegno :
Dall'Asia ebbe il primier manto terreno , Ma quei , che verso l'Asia han lor ricello ,
Facciamla andar per l' aria al palrio seno. Per gli Euri 'l soffio lor trasser dal pello.
T. 68.
ul
178 183
Il caldo Noto in lega entrar non volse , Chi potria mai contar l'orgoglio e l'ira ,
Nè il freddo opposto a lui Settentrïone , Che la terra distrugge, e'l cielo assorda ?
Ma di star neutro l'uno e l'altro tolse Nel mondo d'ogni lato il vento spira
A guardia della propria regïone. Con rabbia tal d'ayer l'onore ingorda ,
Poich'ognun nel suo regno si raccolse , Che nel superbo incontro a forza gira ,
Prima che si venisse al paragone , Mentre il nemico al suo voler discorda ,
Noto , il cui grembo e crin continuo piove , Che poi ch’aperto il passo alcun non trova ,
Fece del suo valor l'ultime prove. Ê forza ch'a girar l'un l' altro mova .
179 184
Con procelle acerbissime e frequenti Alza il rapido giro arbori e glebe ,
Manda nell'aere un tempestoso grido , E van per l'aria come avesser l'ali :
E par che dica a gli sfidati venti : Tutti innalzano al cielo intorno a Tebe
Non date noja al mio superbo lido , I rustici , gli aratri e gli animali :
Alcun in danno mio soffiar non tenti , Le più debili case della plebe
S’ama sicuro star nel proprio nido ; Cadono addosso a ' miseri morlali ;
E in questa guisa egli si mostra e sforza , E fu ben forte quel palazzo e duro ,
Per assicurar sè dall'altrui forza . Che resto da tant' impeto sicuro.
180 185
Settentrion , che 'l grido orribil senle >
La superbia d'Europa , che vuol porre
E 'l tempestar , ch'assorda e oscura il giorno , L'effigie di colei nel patrio monte ,
Ch' irato offende il suo regno possente Comincia con più forza il fiato a sciorre
Per dritta linea in suo dispregio e scorno , Contro l'opposto al suo corso orizzonte ;
Con ogni suo poter se ne risente , E 'l marmo di colei ch 'l mondo abborre ,
E soffia in disonor del Mezzogiorno : Ha già spinto nel ciel di Negroponte :
E i neutri , che volean starsi in disparte , Contrastan gli Euri , e l'infiammata guerra
Son primi a dar principio al fiero Marte. Le selve , i tempj e le cittadi atterra .
181 186
Favonio dell'Occaso Imperadore , L'occidenlal possanza ognor rinforza
Che vede i due, ch' han già ingombrato il cielo De' figli superbissimi d' Astreo ,
Pensando in aria alzar in loro disnore E passano l' Eubea tutta per forza ,
Colei , ch' in Tebe asconde un sasseo velo , E portano colei sul mar Egeo :
Mostra coi colligali il suo furore La squadra Orïentale ancor si sforza
Contra lei , che sprezzo gli Dei di Delo ; Scacciar dall' Asia il marmo ingiusto e reo ;
E nell' inconlro un vortice , un fracasso E mentre sopra il mar l'un l'altro assale ,
Fan , che per forza in aria alzano il sasso . Fan gir fin alle stelle il fuso sale.
182 187
L'Imperador contrario Subsolano , Favonio avria , per por nell ' Asia il sasso ,
Ch'appunto avea disposti i suoi consorti , Da Tebe fatto 'l gir verso Andro e Tino ;
Acciocchè 'l soffio Ibero col Germano Ma vuol che drizzi alla sua patria il passo
In Asia il marmo eretico non porti, Ver Greco alquanto il torbido Garbino ;
E vegga il mondo manifesto e piano , E già fa l' Aquilon parer più lasso
Che i venti Orïentali son più forti , Ch' alla statua impedir cerca il cammino :
Soffia contro Occidente per vietare Già mal suo grado , altero e pertinace
Alla statua infedel che passi 'l mare . Ver l'Isola di Scio drizzar la face.
180 DELLI METAMORFOSI
188 193
Il rapido girar , ch' in aria fanno , Strugge il furor che l'Occidente spira ,
Tiran per forza in su le maggior navi , Ovunque ha imperio la contraria parte , :
Ed all' altissimo etere le danno > E fa che 'l primo mobile non gira ,
Ancorchè sian di merci onuste e gravi. E più veloce andar Saturno e Marte :
Altezza in lor le Cicladi non hanno , Giove saper vuol la cagion , e mira
Che 'l mar non le soverchii , e non le lavi : Tutte l'opre terrene in aria sparte ;
I vortici de' venti ne' lor grembi E buoi , pesci ed aratri e sassi e travi ,
Portano un altro mare in seno a ' nembi. E in mezzo al foco star l' onde e le navi .
189 194
Nel più profondo letto il romor sente Riguarda meglio , e vede che la guerra
L' altero Dio , che 'l mare ave in governo , Degli Euri e della parte a lor contraria ,
E mostra il capo fuor col suo tridente , Distrugge affatto gli uomini e la terra ,
E parla a quei che fan l' orribil verno : E'l regno salso e 'l foco e'l cielo e l'aria :
Varnia tanta fiducia , empi , la mente , Subito in mano ogni saetta afferra ,
Che dobbiate il mio nome avere a scherno , Ch'esser più suole a noi cruda avversaria ;
Per avervi vestito il volto umano E perchè ogrun del par la pena senta ,
La superbia prosapia di Titano ? Folgori quinci e quindi a un tratto avventa.
190 195
Delto avria loro ancor : Dife al re vostro Il mormorar de' venti è di tal suono ,
Che l' imperio del mar non tocca a lui , E ' soffio è sì veloce , oscuro e forte ,
Ma 'l tridente e 'l marin governo è nostro ,
E che 'l concesse già la sorte a nui :
Regga egli in quei gran sassi il sasseo chiostro ,
Dove imprigiona a tempo i venti sui :
1" Che 'l balen non appar , non s' ode il tuono ,
Anzi gl' irati Dei soffian di sorte ,
Che rimandati al cielo i fuochi sono ;
E se fosser gli Dei soggetti a morte ,
Quivi chiuda d'Astreo l' altero figlio , La patria in modo urtar superna ed alma ,
Quivi possa il suo imperio e 'l suo consiglio. Ch'avriano a più d'un Dio levata l' alma.
19 196
Ma appena egli dà fuor le prime note , Confuso Giove sta con gli altri Dei ,
Che l'impelo dei venti con tał forza Non han rimedio a lor propinquo danno :
Le tempie , il volto , e 'l tergo gli percote , Il folgor più non val , che i venti rei
Ch'a ritornar nel cupo mar lo sforza : Contro il folgoralor tornare il fanno.
Tre volte fuor dall'aggirate role Contro il voler de' venti Nabatei
Vede porlar l'immarmorala scorza , Gl' Iberi all' Asia già la statua danno ;
E tre volte va giù , nè vuol per sorte , Ch' ad onta del terribile Aquilone
Ch' il lor giro il rapisca e in aria il porte. Sopra Eritrea Libeccio alfin la pone.
192 167
Sparse l'alme Nereidi il verde crine Quanto l'orgoglio cresce d’Occidente ,
Nel più basso del mare atro soggiorno , Tanto manca la forza de' nemici ;i
Piangon l'irreparabili ruine , Già fan contro il voler dell' Orïente
Che struggono il lor regno intorno intorno ; Volar colei su le Smirnee pendici.
Portuno , e l'altre Deità marine Reslar non può più Borea all'insolente
Non pensan più di rivedere il giorno ; Africo , che fa i marmi empi e infelici
Ma che sian giunti i tempi oscuri e felli , Volar contr' Ermo , e sì 'l nimico infesta ,
Che 'l Caos , che fu già , si rinovelli , Ch'algin sul monte Sifilo l'arresla .
LIBRO SES TO 181
203
198
Vedendo Subsolano il marmo posto Sedea un vecchio fra quei mollo prudente ,
Sul monte patrio della donna altera , Ch'avea grave l'aspetto e le parole ,
Mutando in un momento il suo proposto , Bench' al mondo il dono d'oscura gente
Fa ritirar la congiurata schiera : La fertil regïon , che ancor si dole
S'acchettò ancor l'Imperadore opposto , Del mostro inespugnabile e possente ,
E fer l'aria restar vacua e leggiera. A cui levo Bellerofonte il sole ;
Cominciò allora il piover delle travi , Ma l'elà e la prudenza e 'l ricco panno
De' sassi , d'animai , d'uomini e navi . Degno il facea d'ogni onorato scanno.
199 204
Fecero a gli antri lor regj Sicani Questi , secondo i vecchi han per costume
La sera i venti al lor Signor ritorno Di raccontar le cose dei lor tempi ,
Ch' irato gli afferrò con le sue mani , Disse : Di questo e quel deriso Nume
E li serrò nel solito soggiorno . Infiniti conlar si ponno esempi ;
Fan di natura quei leggieri e vani Ma , poich' oggi Latona e 'l doppio lume
Or pace or guerra mille volte il giorno ; Onoran questi altari e questi tempi ,
Nè d' Eolo la prigione orrenda a scura Ti vo' contar come nel Licio regno
Render pud saggia mai la lor nalura . Vinse la stessa madre un' altro sdegno.
200 205
Ognun ch' in torre ben fondata e forle , Essendo il padre mio già carco d' anni ,
O in qualche fossa sollerranea o speco , E me vedendo esser adulto e forle
Da' venti restd salvo e dalla morte , Nè più potendo quei soffrire affanni
Trema ancor di quel tempo orrendo e cieco , Ond' ei già migliorò la nostra soste ,
E rende grazie alla celeste corte ; Disse : Per provveder , figlio , a quei danni ,
Ma molto più di tulli 'l Frigio e'l Greco , Che ti può dar la mia propinqua morte ,
Che san , che 'l marmo infido di colei E' ben che quel riposo , onde tu vivi ,
Piange ancor la vendetta degli Dei. Doni al tuo vecchio padre e le ne privi.
201 206
Vedendo tutti che 'l divin giudizio Io vo' per l' avvenir darti 'l governo
Sparso del sangue reo avea le glebe , Di quelle facoltà , ch' al nostro stalo
Di nuovo ritornaro al sagrifizio Furó acquistate dal sudor paterno
Non sol la donna e l'uom ch ' abila in Tebe ,> Con modo ragionevole e lodato :
Ma vennero a onorare il santo offizio Andar con vienti in un paese esterno
Da lutta Grecia i nobili e la plebe , Ma non fuora però del Licio stalo ,
Dove sacrar con canti , odori e lumi Ma dove oggi il mercante il passo intende ,
Tre altari a tre da Tebe offesi Numi . Perocch' allri vi compra , altri vi vende .
202 207
E come avvien , che 'l più prossimo esempio Tu sai , ch'ho tratto sempre quel sostegno ,
Torna a memoria altrui le cose antiche , Che chiede a noi la vita e la natura ,
Dicean ridolte in un canton del tempio Da quel lodalo culto , ulile e degno ,
Molt' anime prudenti al cielo amiche : Che serve all'arte dell'agricoltura .
Ch'ognun, che cerca, è troppo ingiusto ed empio, Manca or de' buoi quell' incurva to legno ,
L'alme elette del ciel farsi nimiche ; Cui fa la punta il vomero più dura ;
E ricordavan molti esempi e pene Ch' al caldo sol della stagion , che miete ,
Successe altrui per contrapporsi al bene . Sentir soverchio caldo e troppa sete .
182 DELLE METAMORFOS I
208 213
Questa chiave è custodia al poco argento , Mentre per rimontar levo alto il piede ,
Che del venduto gran trassi pur dianzi ; Per gire al mio cammino con l'altrui piante ,
Quest' altre son del vino e del frumento ; Veggio un che verso noi cammina a piede ,
Toglile tutte , e reggi per l'innanzi : E come al santo altar si vede avante ,
Dammi in vecchiezza mia questo contento , China l' umil ginocchio , e mercè chiede ;
Fa che 'l tuo studio il mio consiglio avanzi ; Ma come vuol lasciar le pielre sante ,
-
Provvedi a gli ozïosi aratri i buoi , L'affisso , ed alle orecchie gli appresento
Poi reggi il patrimonio come vuoi , Un mio novo desio con questo acceplo :
209 214
Secondo ei mi comanda , il peso io prendo Se al prego , che all' altar palustre offerto
Di rinnovar de' buoi la mandra morta ; Hai col ginocchio umil , col cor devoto ,
E sopra un picciol mio ronzino ascendo , Tal dal pregalo Dio sia dalo il merio ,
Come lo stato mio d' allor comporta , Che soddisfaccia al desiato voto ;
E dove ei disse , al mio cammino intendo Cortese peregrin , rendimi cerlo
Con una , che mi diè ; prudenle scorta : Dello Dio dell'allar , s' egli l' è nolo.
Questi era agricoltor di qualche merto , Ed ei , che conosca l'altare e l' acque ,
Nel rurale esercizio molto esperlo . Con questa voce al mio desir, compiacque :
210 215
Veggiamo in mezzo a un lago il terzo giorno Patrio non è di questi monti Dio
Un ben composto ed elevalo altare Quel dell'altar si riccamenle adorno .
Che posa sopra un piedestallo adorno Quel marmo è di colei , che partorio
Di marmi e di colonne illustri e rare ; Alla nolle la Luna , il Sole al giorno ;
Talch' alle canne a lui cresciute intorno E quando di sapere abbi desio
Più di due braccia fuor superbo appare. Perchè non gli trovar miglior soggiorno ,
Smonla dal suo ronzino il duca mio , E perchè il fabbricaro in quel pantano ,
E s'inginocchia a venerar quel Dio. Con un miracol suo tel farò piano.
2II 216
Anch'io , seguendo il suo devolo esempio , Come seppe Giunon che l'alma Dea ,
Smonto , m'inchino , e fiso intendo il lume , A cui l'altar fu in questo stagno erello ,
E dico ver l' altar che non ha tempio : Del suo marito grave il seno avea ,
Qual lu ti sia non cognilo a me Nume , E che 'l tempo del parto era perfetto ,
Fa ch' in questo viaggio il ladro e l'empio La terra larga e pia fe' avara e rea ,
Ver noi non servi 'l suo crudo costume : Nè volle , ch' alla Dea desse ricello :
E la stessa do fuor parola fida , Pur l'accellò l' Ortigia , ed ebbe quivi
Che sento dire alla mia saggia guida . La palma fra le palme e fra gli olivi .
212 217
Ben è quel padre avventuroso e saggio , Poich' ebbe scarco il sen del nobil pondo
Che cerca provveder al rozzo figlio Contro la sorte sua cruda e maligna ,
)
Di scorta , ch' abbia a Dio volto il coraggio , E dato i due più chiari lumi al mondo
E ch' onorato a lui porga consiglio ; Contro il geloso cor della matrigna ,
Ch'ella è cagion che nel mortal viaggio Giunon volendo pur mandarla in fondo
Non cerca aver dal ciel l'eterno esiglio , La discacciò dall' Isola benigna ,
E nel cospetto altrui tal mostra il core , E fuggi nella Licia con l'impaccio
Che 'l fa degno di laude e d'ogni onore. Dei due , che fatti avea , fanciulli in braccio.
T. 71
1
T. 71
601
218 223
L'ardor del mezzo giorno , e'l lungo corso , Pur , sebbene è comune il lago 'e 'l fiume ,
E 'l latte , che i fanciulli avean succiato , Supplico a voi , come se fosse vostro ,
L'avean di tanto umor privato il dorso , Che con cortese e liberal costume
E di sì ingorda sete arso il palato , Vogliate compiacer al prego nostro.
Che corse a quel påntan per darvi un sorso ; Non fate , che l'ardor più mi consume
E già il viso e 'l ginocchio avea piegato ; L'umor , che mantien vivo il carnal chiostro ;
Ma quando pensò far la bocca molle , Che se punto il mio prego il cor vi move ,
Vi fu chi se l' oppose , e che non volle. Ambrosia e neitar non invidio a Giove .
219 224
Quivi eran molti rustici per corre Benefizio sarà , tal vo' chiamarlo
Di giunchi e salci da ligar vincigli . S'io nel vostro pantan spengo la sele ,
Or come veggon , ch' allo stagno corre E forse potrò un di rimunerarlo
Per ber la bella donna , ch' ha i due figli , Talmente >, che di me vi loderete.
Cominciar gli occhi ingordamente a porre Vedete ben , ch' a gran fatica io parlo
In quei vaghi color bianchi e vermigli , Queste poche parole afflille é chete ,
E vedendola sola , un desir cieco Si le canne arse , é si lo spirto ho lasso >
Gli prese , e gli dispose all'alto bieco. Ch' aprir non poạno al debil suono il passo.
220 225
Dopo l'ingiurie l' odïosa razza Parlato ch' ebbe il fido peregrino ,
Salta per tutto il lago , e turba l'onde , S'incammind ciascuno al suo viaggio.
E con piedi e con man le rompe e guazza , Sicchè scaldiamci al pio cullo divino
E di mille sporcizie le confonde ; Con santo e non colpevole coraggio ;
Tosto la Dea la turba infame e pazza E non seguiam l'esempio contadino ,
Sott'altra scorza infurïala asconde , Ne dell'altier di Tantalo lignaggio ,
Che quel nop'alto tanto le dispiacque Ma veneriam con fè l' officio santo
Che le fe' prolongar la sete e l'acque. Come ne profelò la fatal Manlo.
229 234
Ed alzando la man come potea , Soggiunse un , che fra lor sedea nel tempio ,
Impedita dal sen che i figli porta , Di presenza , d' età grave e di panni :
Disse : a quest ' union malvagia e rea Bastar dovrebbe il raccontato esempio ,
Perpetua stanza sia quest ' acqua morta . A far saggi i futuri uomini ed anni.
Già tutto ottien quel che desia la Dea , Pur vo’un errore anch'io contar manco empio ,
E già l'umana effigie si trasporta Ch' afflisse il malfaltor di maggior danni ,
In un folle animal picciolo e strano , Che oprò senz'altrui danno opre men ſelle ,
Amico dello stagno e del pantano. E vide il corpo suo star senza pelle.
230 235
Quanto più acquista il pesce , più l'uom perde, Fu Marsia in Frigia un Satiro nomato ,
E più picciol divien , fuor che la bocca : Fra i musici più degni 'l più perfettto ,
La schena punteggiata è tutla verde , Nelle canne da vento il più lodalo ,
La pancia è del color , che 'l verno fiocca : O sia trombone , o piffero o cornetto.
Non si trasforma il collo , ma si sperde Mentre fe' Apollo a ' buoi pascere il prato ,
Tanto , che il nuovo tergo il capo tocca ; Ebbe di questo suon molto diletlo ;
E ancor s' alcun va a ber , la sciocca turba E fama fu , che Febo in questa parte
Salla nel morto stagno , e'l mesce e turba. Sapesse più , che non discorre l' arte .
231 236
Or l' animal sott' acqua si nasconde , Venne a goder dopo cent'anni e cento ,
Or gode sopra il ciel la testa sola , Questo Marsia , che io dissi, in terra il lume ,
Or col nuoto , or col sallo ei scorre l' onde ; Ch' a dare a ' flauti ed a' cornetti il vento
E sebben l' impudente è senza gola , Apprese per natura e per costume ;
O sia sott'acqua , o su l' erbose sponde , E preferirsi a Febo ebbe ardimento
Dà fuor l'ingiurïosa sua parola , Per donare alla patria un nuovo fiume ;
E d'ogn'intorno assorda il cielo e 'l lido Che com ' ebbe di questo Apollo nuova ,
Col suo pien di bestemmie e roco grido. Scese dal cielo in Frigia , e venne in prova .
232 237
Poichè il novo miracolo si sparse , Stupisce il biondo Dio tosto che intende
S'ordinò di parer di tutto il regno , Il dolce suon , che il Satiro dà fuora ;
Che per placar la Dea dell'ira ond'arse , Che mentre un dolce spirlo al corno ei rende ,
Di fede e onor le si mostrasse un segno : Or col suon si rallegra , or s'ange e plora.
Tantoch' ove la rana al mondo apparse , Quanto più vien lodato , più s' accende
Fabbricar quell' altar superbo e degno ; Di gloria , e nel parlar sè solo onora
E ogni anno nel suo giorno il popol Licio E dice a Febo : Omai conoscer puoi ,
V ' ha fatto è farà sempre il sacrificio. Quanto avanzi il mio suono i merti tuoi .
T. 74
238 243
Quanto ad Apollo il suon di Marsia aggrada, La Ninfa , il Fauno , e ognun che'l suono udio ,
Tanto gli spiace il suo soverchio orgoglio ; Di consenso comun chiaro risponde,
E disse a lui : La tua virtù si rada Che 'l Fauno è vinlo , è vincitor lo Dio ,
Fa , ch'ammonir d'un grand' error li voglio : E'l capo gli adornar di nova fronde :
Per far che 'l tuo valor teco non cada , Romper non posso il giuramento , che io
Prendi del tuo fallir teco cordoglio , Pur dianzi ſei per l'osservabili onde ,
E di' con umil cor , come ti penli Disse lo Dio pentito ; e un ferro prende,
D' aver biasmali i miei più dolci accenti. Che privar della pelle il vino intende.
239 244
Ch' io giuro per quell' acqua che mi sforza , Deh ! Marsia allor dicea , deh non è tanto
Che , s' ostinalo stai nel luo pensiero , L'error che io fei, che merli sì gran pena ,
Con dir , che l'arle tua sia di più forza , Che spogli alla mia carne il primo mano
Tal dar castigo al tuo parlare altero , E ch’apra il guado ad ogni fibra e vena .
Che vedrai 'l corpo tuo slar senza scorza ; Apollo lascia a lui fare il suo pianto , .
-
Che onorasse lo Dio , che apporta il giorno . Che facea lor udir si bel concento ,
Vo' , che siano i suoi canti i mie trofei , E restar del suo suon vedovo il corno ,
Risponde il folle : e giugne scorno a scorno. Ed ogoi altro suo musico istrumento ,
Irato Apollo il legno al labbro,accosla , Concorse a lagrimarlo ; e'l ciel già chiaro
E fida al bosso altier la sua risposta , Oppose un flebil nembo al volto amaro .
242 247
La lingua , il labbro e il legno , i dili e il vento Di Marsia il sangue , e le lagrime sparte
Di tempo in tempo ubbidïenti all'arte Da'Semidei, da gli uomini e dal cielo
Si dolce ſean nell' aria udir concento , Render' la terra molle in quella parte ;
Che si vedea , che dall' elerea parte E la terra al giovar rivolto il zelo,
Era disceso il nobile istrumen ! o , Si succia il lulto , e distillando parte
E l'autor , che le note e 'l suon comparle ; Il bianco e chiaro umor dal rosso velo ,
Talchè l' alme soggette al caldo e al giclo , E nelle vene sue stillato in fiume
Donar l'onore al cittadin del cielo . Più basso alquanto il fa redere il lume.
186 DELLE METAMORFOSI
248 253
Quanto al mio padre pio d'obbligo porto , Cosi con duolo insolito e infinito ,
Tanto di voi mi doglio , eterni Dei. Dell'alme dell'imperio alto e giocondo
Poich'ebbe il mio natal Tantalo scorto , Pelope si dolea , che in quel convito
Che i giorni miei dovea far tristi e rei , L'avesser tolto al re scuro e profondo.
Mi ferì 'l core , e poi che m'ebbe morto , Come fu per la terra il caso udito ,
Varie vivande fè de'membri miei ; Le città della Grecia , e i re del mondo ,
E mi diè cibo a voi ne'miei prim'anni, Come suol farsi in simili dolori ,
Per tormi a queste pene, a quest'affanni. Mandar per consolarlo ambasciatori .
251 256
Ma voi dal padre mio Numi invitali E Cipro e Creta e Rodi e Negroponte ,
Alle mie carni, accortivi di questo , E ogni altro regno , che dal mar è cinto ,
De'membri miei , che in pezzi eran tagliati, E tutto quel ch'è dentro , e fuor del ponte ,
Di nuovo il corpo mio feste contesto Che fra due mar fa l'Istmo di Corinlo ,
Per farmi, come avean disposto i fali , Mandar dell'eloquenza il miglior fonte
In tutti i giorni miei dolente e mesto ; A consolare il re del germe estinto ;
E mandaste Mercurio al lago Averno , E mancò sol di quel, che si conviene
Per ritor l'alma mia , che'era all'inferno . ( Chi 'l crederia? ) la più prudente Atene.
252 257
Avesse almen di voi falto ciascuno , Ma scusa merta la Palladia corte ,
Come Cerere fè , che non s'accorse Se poca a tanto offizio intese cura ,
Del cibo umano e vinta dal digiuno Perocch'allor la barbara corte
La mia spalla sinistra elesse e morse : Facea terrore alle Cecropie mura';
Che se tutti i miei membri . insino ad uno Benchè dappoi da un barbaro più forte
Mangiati aveste , non avriano forse Fu l'Altica città fatta sicura :
Potuto unirmi un'altra volta insieme , Tereo gli empi scacciò barbari audaci ,
Per darmi in preda alle miserie estreme, Figliol di Marte, Imperador de'Traci.
LIBRO Sesto 187
258 263
Fiaccato che il soccorso ave le corna Non prevedendo i minacciati scempi
Alla nimica e barbara insolenza , De'lumi, ch'ai mortai volgonsi intorno ,
E salvato quel sen , che il mondo adorna Tereo ordinò, che ne' futuri tempi
D'ogni arte liberal, d'ogni scïenza , Fosse onorato il mal inteso giorno
Tereo non prima al suo regno ritorna , Per tutte le città , per tutti i tempi,
Che il grato re dell' Atlica potenza , Che diè principio al nuzïal soggiorno :
Per colligar più forte il Trace seco , Iti un suo figlio dopo al lume venne ,
L'avvinse sposo al sangue regio Greco. E'l di del suo natal fe' ancor solenne .
259 264
D'Atene il re , che Pandïon fu detto , Dal dì, che Progne il padre Pandïone
Ebbe due figlie , Progne e Filomena, Lasciò con Tereo , e l'attica contrada ,
Di sì leggiadro e si divino aspetto La madre della moglie di Plutone
Che non cedeano alla famosa Elena. Donala al mondo avea la quinta biada ;
Tereo con Progne fe'comune il lelto , Cinque volte il figliuol d'Iperïone
E confermò la conjugal catena : Fatt' avea per lo ciel l'usata strada ,
Pronuba lor Giunone esser non volse , Quando Progne con modo allegro e dolce
Ma ben con Imeneo lontan sen dolse . Così lusinga il suo marito , e molce :
260 265
Non vi comparse l'un nè l'altro Nume, Dolce consorte mio , s'io dolce mai
Ma fra lor se ne dolsero in disparte : Ti fui nell'età mia più verde e bella ,
L'alme tre Grazie all'infelici piume Concedimi, ch'io possa andare omai
Dei don , che soglion dar , non fecer parte . A riveder la mia cara sorella
L'Erinni, avendo in man l'infernal lume, Alla felice patria , ch'io lasciai;
Poser nel letto il successor di Marte O fa , ch'ove son io se ne venga ella ;
Con la donzella ; e lasciò il gufo il nido , E s'al suocero tuo paresse greve ,
E fè sentire il suo nojoso strido. Prometti a lui di rimandarla in breve .
261 266
Ma come quei, che non sapeano i pianti , Mosso il marito pio dal caldo affetto ,
Ch'uscir dovean del conjugato amore , Onde la dolce sua consorte il prega ,
Con giostre e con tornei, con suoni e canti Sebben non vuol, che lasci il Tracio tetto ,
Si fe' in Atene alle lor nozze onore : La seconda dimanda a lei non nega ;
Tutti novi splendeano i varj manti E perchè non gli sia dal re disdetto ,
Di valor , d'artifizio e di colore : ( Tanto l'amor della consorte il lega )
Scoprì ogni donna allora il suo tesoro , Ch'in persona vuol gir sulle triremi,
La perla orïental, la gemma e loro Per por , se manca il vento , in opra i remi.
262 267
Tereo , falfe le nozze , non s'arresta , Come l'altro mattin sorge l'aurora ,
Ma torna con la sposa al patrio lito , A questa impresa il Re di Tracia aceinto
Dove la Tracia rinnovò la festa , Del Porto di Bisanzio uscendo fuora ,
E salutò il suo Re fatto marito : Or va dal remo, or va dal vento spinto ;
Con pompa coronò la Greca tesla , E avendo a mezzodi volta la prora ,
E nove giostre fe', nuovo convilo . Silibria a destra man lascia , e Perinto :
Ahi quanto intorno al bene è'l nostro inganno ! Poi col corso del mar veloce e presto
Come spesso n'allegra il proprio danno! Passa lo stretto , ch'è fra Abido e Sesto.
I
188 DELLE METAMORFOS
288 273
Dal vento il buon nocchier spinto, e dall'onde , L'amor delle prudenti tue figliuole
Ver l'isola di Tenedo cammina , M'han costretto a passar nel lilo Greco :
Vi giunge , e lascia alle sinistre sponde Che la consorte mia riveder vuole
Troja, ch'allor dell'Asia era reina : L'altra figliuola tua , che restò teco :
Ecco un scoglio si mostra , un si nasconde , E se mancassi delle mie parole ,
Mentre fendendo va l’Egea marina ; Jo non avrei mai più concordia seco ;
L'Icaria acquista , poi perde l’Egeo , Ch' io le promisi qui trarmi in persona ,
E giunge al promon'orio Cesareo. E di questo pregar la tua corona.
269 274
> Quivi a Libeccio poi volta la fronte , Se della figlia tua cerchi il contento
E lascia Andro a man manca , e'l cammin prende Se del genero tuo brami la pace ,
Ver l'estremo Leon di Negroponte , Fa , ch' io possa condur col primo vento
E ver la dolla Achaja il corso intende ; L'altra figliuola tua nel regno Trace .
£ tanto innanzi va , ch'al Sunio monle Mentre che il Re di Tracia apre il suo intento ,
Il soffio di Volturno in breve il rende : E dispor cerca il Re , ch ' ascolta e tace ,
· Verso Maestro poi tanlo si tiene , Fra molte Filomena ivi risplende ,
Che 'l porlo di Pireo prende, e d'Alene. E la favella sua nel mezzo fende,
270 * 275
Fu il Tracio re dal suocero raccollo Come sa che 'l cognato è già in Atene ,
Con quella ilarità , con quell'onore, Di Progne la bellissima sirocchia ,
Che l'assedio chiedea , che gli avea tollo , Con ricco abito e vago a lui ne viene ,
E'l noro parentado, el gran valore. E giugne , e piega il ciglio e le ginocchia.
Poich'ebbe man a man con lieto volto 삼
Come il Re Tracio in lei lo sguardo tiene ,
Giunta l'Achivo , e'l 'Tracio Imperadore , E le divine sue bellezze adocchia ,
Con tristo augurio trattisi in disparte , E de' begli occhi suoi la dolce fiamma ,
Cosi parlò il figliuol, ch'uscì di Marle : D ' amoroso desio tutto s' infiamma.
271 276
Sebben amor m'avca l'alma infiammata , Come talor le belle Driadi vanno
Quanto si polea più , di rivederli, Con la più bella assai diva di Delo ;
Si per l'affinità ch'abbiam legata , Cosi ne va costei ricea del panno ,
Si per li tuoi maravigliosi merli ; Ma molo più del bel corporeo velo ,
Non però questa la cagione è stala , Fra donzelle si splendide , che fanno
Che dar m' ha fatto i lini ai venti incerti : Fede fra noi della beltà del cielo :
Cbe , sebben ' io v'avea tutto il mio affetlo , Ma di beltà , d'adornamento , e d'oro
In Tracia mi tenea più d ' un rispetto. Più bella è in mezzo a lor la Delia loro.
272 277
Quel che mi fa lasciare in tempo il regno , Si dan la man da questo e da quel lạlo ,
Che per varî accidenti io non dovrei , Si fan gl'inchini , e i santi abracciamenti
E che mi fa solear l' onde sul legno Fra la vergine bella e'l suo cognalo ,
Per venire a smontare ai liti Achei ; Come usan rivedendozi i parenti :
È il caro fido , e prezioso pegno , E poichè l'uno a l'altro ha dimandato
Che piacque e piace tanto agli occhi miei : Di mol'i lor congiunli e conoscenti ,
Progne , la figlia lua , la mia consorte , Per man l'Attico Re di novo piglia
Per mar' mi spigne alle Palladie porle. Il Tracio , e la che siede , egli e la figlia .
>
LIBRó Sesto 189
278 283
Quan'o ha più in lei Tereo le luci inlese , O sommi Dei , che tenebroso inferno
Tanlo più s'innamora e più s'accende , Ingombra un pello misero mortale ?
Spinto dalla natura del paese , Come gli fa sì cieco il lume interno ,
Ch'a Venere ogni cura , ogni opra impende: Che conoscer non sappia il ben dal male ?
Nou vuol fatiche risparmiar , nè spese , Tereo dal gesto , e dal colore esterno
Ma di goderla in ogni modo intende, È giudicato pio , santo e leale ,
Sebben dovesse fare ogni allo indegno , Essendo empio ed ingiusto , e pien di frode ,
Sebben dovesse spender tutto il regno. E dal delitto acquista onore e lode.
279 284
Troppo gli par dover esser felice , Come la bella Filomena intende
Se può venire al desïato intenlo Quel ch'al padre il Re Tracio persuade ,
Con quella ch'esser può la sua beatrice , E che condurla a veder Progne intende ,
Che sola in tutto il può render contento . Nel medesmo voler concorre , e cade :
+
Vuol corromper la fe’della nutrice ; E quanto il virginal favor si stende ;
Quanto può Tracia dar d'oro e d'argento , Prega umilmente la sua maestade ,
D ' ornamenti , di gemme , e d'ogni bene , E mentre per suo bene il padre alletta ,
Tullo al parlo vuol dar del Re d'Atene. Contro quel ch' è suo bene, il fato affretta .
280 285
S'altro non pud , vuol lorla alla sua terra Tereo , che vede il grazioso affetto ,
per forza , e darla al suo regno iracondo , Onde il padrë al suo fin mover procaccia,
E per serbarla a sè prender la guerra E scorge che la tien degno rispetto
Contro tutta la Grecia , e tutto il mondo . A non legarli 'l collo con le braccia ,
Ahi , che non osa Amor , se ben s'afferra ', Aggiugne nove fiamme all' arso petto ,
Quando passa per gli occhi al cor profondo ! E mille volte col pensier l'abbraccia ,
Acceso ha il cor del Re già di tal foco , E’l padre esser vorria per legar lei,
Che il petlo a tanta fiamma è picciol loco. Nè però i suoi pensier foran men rei.
281 286
Più sopportar non può l' indugio , e spiega Tanle mosser ragioni or quello or quesla ,
Di nuovo al suo mandato la favella , Che dal doppio pregar convinto fue.
E par la figlia il Re conforta e prega , Ella ringrazia e quelle cose appresta ,
Che possa riveder la sua sorella : Che servir denno all'occorrenze sue ,
Amor facondo il face , e non gli nega E s'allegra per due , per due fa festa
Ogni forma di dir più vaga e bella ; Di quel ch' esser dovea lugubre a due :
E mentre mostra far servizio altrui , Tereo il ringrazia , ancor via più contento
L'infiammato amator prega per lui. Per quel, ch' ha dentro al cor, lascivo intento.
282 287
E se pur nel pregar passa l'onesto , Avean lutto all'ingiù già preso il corso
Sopra la moglie sua scusa il suo torlo, I cavalli del Sol , ch' egli ha gran pena
E dice : lo non sarei tanto molesto , Regger più gli polea col duro morso ,
S'io non avessi il suo gran pianto scorio . Tant' eran presso alla bramata arena ;
Gocce di duolo sopraggiunte in questo . Quando avendo i due Re molto discorso ,
Voler nasconder mostra il Trace accorto ; Chiamati furo alla superba cena,
Con lin quel passo asconde ond' egli vede , Dove fanno a Lieo l'onor che ponno ,
E acquista all’empio cor fingendo fede. Poi vanno a dar le membra in preda al sonno.
190 DELLE METAMORFOSI
288 293
Ma il Tracio re , sebben da quella è lunge, E lu , cara mia figlia , abbi rispelto
Che gli avea Amor scolpita in mezzo al core , All'età mia , che quasi al suo fin giunge ;
Non però men quel desir cieco il punge , E come soddisfatto al caldo affetto
Ma contempla lontan l' Achivo amore : Avrai di quello amor , ch'a gir ti punge ,
E seco immaginando si congiunge , Ritorna incontanenle al patrio tetto :
E avendo in mente il bel ch' appar di fuore, Basla ch' una di due da me sia lunge.
Quel che non vede , a suo modo si finge , Così dicendo , le baciò la fronte ,
E con vano pensier l' abbraccia e stringe. £ fe con queslo dir d'ogni occhio un fonte .
289 294
Già tolta al ciel l' Aurora avea ogni stella , Mentre di pianto il padre il volto tinge ,
E lodava ogni augel la nova luce , Risponde al lagrimar la regia prole ,
Eccetto il lusignol , la rondinella , Ma il lulto e 'l sospirar tanto la stringe ,
Che solto altro mantel godean la luce : Che non può dar risposla alle parole.
Quando per menar via la figlia bella Promette il Re infedel, lagrima e finge ,
Tereo , ch'al sonno omai non diè la luce , Che , pria che scaldi il quarto segno il sole,
Vedendo essere apparso il novo lume , Da triremi sicure e fide scorte
Col medesmo pensier lasciò le piume. Sarà renduta alle Cecropie porte.
290 295
Fece dappoi sentir gli ultimi accenti Poichè le sparse lagrime vedute
Al socero , e da lui commiato prese ; Hanno a' lor volti irrugiadar le gote ,
Il qual nel far gli estremi abbracciamenti Prega l’Attico Re , che si salute
Fe', che queste parole estreme inlese : L'allra figlia in suo nome , e 'l suo nipote :
Tereo , poichè alle voglie troppo ardenti Sciolte le mani poi ch'eran tenute
Delle mie figlie il tuo parer s' apprese , L'una dall'altra , fer tacer le nole ,
Anch' io dal voler tuo non mi diparto , E’l sopraggiunto a Pandïon dolore
Anzi al terzo parere aggiungo il quarto . Porge al presagio suo maggior timore.
291 296
Ma ben ti vo' pregar per quella fede, Monta il barbaro Re sul miglior legno ,
Che 'l giusto vuol , ch'all'uom dall' uom si porti, Ma la fanciulla Achea prima v' invia ,
E per la fe ', ch'al laccio si richiede , E sopra il palco più elevato e degno
Che insiem n ' ha di parentado altorti , Ch'è nella poppa , vuol che seco stia :
Ch'abbi di questa vergine mercede , Fece quei che vi vuol del Greco regno
Sicchè sicura sia da gli altrui torti ; La bella Filomena in compagnia ,
E perché ritornar mi possa illesa > Monlar su un' allra sventurata prora ,
Sia con paterno amor da te difesa. Da due donzelle, e la nutrice in fuora.
292 297
E poichè la pielà m ' ave disposto Poichè da cento remi 'l mar fu rotto ,
A lasciar dipartir da me costei , E 'I lito indietro ribattuto e spinto ,
Tu ancor ( se 'l giusto e 'l pio non t' è nascosto ) E fu nell' alto mar l'arbor condolto ,
Tenuto a rimandarla al padre sei: Disse il barbaro altero : Abbiam già vinto :
Però del volto suo quanto più losto Il voto in poter nostro abbiam ridotto.
Conlenta i lagrimosi lumi miei : Nè tener può in offizio il viso finto :
Porga il genero pio questo conforto S'allegra e 'l mostra , e differisce appena
AHa vecchiezza mia pria ch' io sia morto . Quel ben che spera , e lieto in Tracia il mena .
LIBRO SESTO 191
298 303
Gli occhi dal volto suo mai non rimove , Quivi un serraglio il re barbaro area
E gode averla fuor d' ogni periglio ; Cinlo di grosse ed alte mura intorno,
Come gode talor l'augel di Giove , E le fanciulle belle, che polea
Che la lepre , ch'avea nel curvo arliglio , Trovar nel Tracio e nell'altrui soggiorno ,
Nell'altissimo cerro ha posta , dove Dagli Eunuchi guardate ivi tenea ,
Ferma nel suo trofeo l'allero ciglio : E vi soleva andar quasi ogni giorno ;
E gode , che'l nido allo , ove la tiene , E godea per antico suo costume
Nulla alla preda sua porge di spene. Con quella , che scegliea , l' infami piume.
299 304
Comanda a un capitan l'empio tiranno , Saper fe' il re , come nel porlo scese ,
Che nella sua galea nefanda porta La giunta al castellan per un suo paggio ,
La Greca compagnia , ch' in Tracia vanno Il qual venne a incontrar con faci accese
Per fare alla donzella onore e scorta , Il re con gli altri in mezzo del viaggio.
Che , come della notte il nero panno Poichè l'albergo il re crudele ascese ,
Faccia l'alma del di rimaner morta , Disse : Finchè non esce il solar raggio
E col suo manto il mondo al mondo asconda , A fare ogn'altra stella oscura e vana ,
I Greci ad un ad un dia in grembo all'onda. Non è ben di turbar la tua germana ,
300 305
L'inclinalo corsar sempre a far male , Sicchè posiamci in questo albergo alquanto,
Come splender nel ciel vede le stelle , E'l sonno a gli occhi dia quel ch'aver denno.
S'allontana da gli altri , e dona al sale E volto il ciglio ver due vecchie intanto,
Gli uomini ad uno ad uno , e le donzelle : Di quel ch'aveano a far lor ſece cenno .
Le tre ch'eran nel legno principale , Le vecchie esperte , che conobber quanto
Smontaro a venerar Nettuno anch' elle : Il re chiedea , passar la figlia fenno
Che l'ultimo seren , ch' in mar si giacque, In una stanza , ov'era un ricco letto,
Fur tolte al legno, e fur donate all' acque . Albergo antico al barbaro ricelto .
301 306
Come predon di nolte il porlo infido , Come le luci la donzella intende
E godon di toccar l'amata terra , Nell' adornate riccamente mura ,
Non ode Filomena alcun sul lido Si sta sospesa alquanlo , e pensa , e prende
Il linguaggio parlar della sua terra . Maggior dentro di sè noja e paura .
Chiam' alto la nutrice, e più d'un fido Ch'ella si posi , dalle vecchie intende
Greco , che morti 'l mar nasconde e serra : Ma negando ella sta , nè s' assicura :
Grida il Re , ch' ogni Greco in terra scenda , Pur con false lusinghe tanto fanno
E fa che la fanciulla il grido inlenda. Ch' ignuda al letto barbaro la danno.
302 307
Per man la prende, e fa che s'accompagne. Pensa il perſido re malvagio e rio
Seco , e di darla al regio albergo dice , Goder quivi il suo furlo , e farla donna
E che i suoi Greci , e l'altre sue compagne Quivi serbarla al suo folle desio ;
Inlan'o ne verran con la nutrice : Ma per celarlo alla Tracense donna ,
Passan con pochi passi le campagne , Prima che 'l biondo e luminoso Dio
E conduce la vergine infelice Sorga a scoprir la sua splendida gonna ,
In una antica selva, ove un palazzo Vuol , che l' armata in mar riprenda il corso ,
11 Re lener solea per suo sollazzo , E rada al re di Cipro a dar soccorso .
192 DELLE ·METAMORFOSI
308 313
Cipro allor da Sidonia avea la guerra , Come presa dal lupo umile agnella ,
E la Tracia possanza avea chiamata Da pastori e da can tosto riscossa ,
Che , come amica alla Venerea terra , Trema ancor della gola ingorda e fella ,
Mandasse in suo favor la Tracia armala . E'l giel corre , e il tremor per tutte l'ossa ;
Or poichè la sua classe asconde , e serra Qual la colomba umil , candida e bella ,
Ogni uom , che sa la donna esser rubata , Cui volle far l' astor la piuma rossa ,
Vuol che vada a trovare i Ciprj porti , Trema , sebben è fuor d ' ogni periglio ,
Perchè alla moglie sua non si rapporti. E d'esser parle ancor nel crudo artiglio ;
309 314
Avea , prima ch ' in terra il re scendesse , Tal la słuprafa Achea poichè si vide
Imposto al general del Tracio legno , Fuor del letto saltar l'empio tiranno
Ch' alcuno al noto lito non rendesse Tremava ancor delle sue braccia infide ,
S'ei non gli dava un certo contrassegno ; E la stessa sentia noja ed affanno :
Ma come al segno imposto il conoscesse Ma come meglio , misera , s' avvide
Lasciasse incontinente il Tracio regno , Del tolto onor و, del ricevuto danno ,
E gisse a riparare al Ciprio danno , Le chiome si stracciò , ferissi 'l pello,
E stesse al suo servizio intero un anno. E lasciò l' odioso e infame letto.
310 315
Scrive egli in Cipro , e dona il segno e'l foglio E coperto del lino il corpo ignudo ,
A quei che seco uscir delle triremi. Già bello e casto , ed or corrotto e bello ,
Discioglie il lin con general cordoglio E fatto al corpo e al lino un altro scudo
Il capitano , e dona all' acqua i remi , D'un cinto sciolto e mal disposto vello ,
E vanno a ritenlar l'ondoso orgoglio , Alza le mesle luci al volto crado
Sol del re e della donna i legni scemi : Stracciando ambe le man l' aureo capello,
Va l' armata ver Cipro , e mena seco E scinta , inconta , lagrimosa e trista
Ognun , salvo il re Tracio e 'l furto Greco. Con questo duolo il re conlenlo altrista :
311 316
Riferiscon le vecchie al re contento , O barbaro crudel , barbaro infido ,
Ch'ella si sta nel letto ignuda e sola : Barbaro per l'affetto infame ed empio,
Corre egli all' amoroso inganno intento : o d'ogni osceno vizio albergo e nido !
E’l fior virgineo a lei per forza invola . Or quando s’udi mai si crudo scempio ?
La figlia usò con vindice ardimento Questa è , crudel , la fè che desti al fido
La forza in sua diſesa , e la parola ; Socero tuo d'ogni pietade esempio ?
Ma sola non potè , fanciulla e igauda , Questa è al mio padre pio la data fede
Vincer l'elà viril , tiranna e cruda. Quando piangendo a te fidommi e diede ?
312 317
L'amato padre in van chiama sovenie Ahi come , tradilor , ti soffri il core ,
Sovente Progne , e più gli eterni Dei ; Tal ver la tua cognata usar oltraggio,
Ma della moglie sua , nè del parenle La qual nelle tue man fidò il suo onore,
Tereo conto non tien , nè men di lei : Che tenea il Tracio re leale e saggio ?
Come sfogali aver l'empio si sente Oime ! non mosse il tuo cor traditore
Gli abbracciamenti suoi lascivi e rei , La mia virginità , nè il mio liguaggio ,
Senza punto indugiar lascia le piume , Poichè macchiò con vergognoso fregio 1
Acciocch'ella si plachi , e chiuda il lume. La data fede e il sangue Attico regio.
1
T , 76 .
TEREO E FILOMELA
I
1
1
LIBRO Sesto 893
318 323
Per dar luogo a un desire ingordo e cieco, Ma se talor gli Dei volgono i lumi
Privala m ' hai di quel lielo soggiorno , All
opre nostre , al lor pensier secondo ,
Che fat'o in Travia avrei col sangue Greco , Se qualche cosa son gli eterni Numi ,
Che de' parenti miei fu dato al giorno : Se non è col mio onor perduto il mondo ;
Or come posso io più trovarmi seco , Spero veder de' tuoi feri costumi
Crudel , con quesla macchia e questo scorno ? Portar tal pena al tuo terrestre pondo ,
Come vuoi più , che m'accarezze e m'ame , Che d' ogni ben che ti contenta privo ,
Se pellica di lei son falta infame ? Avrai, misero, in odio d' esser vivo .
319 324
Hai ro : to , disleal, quel giuramento , Che ti giova accennarmi, o farmi vezzi ?
Che dee servare ogn'uom fatto marilo ; Io pur del voler ' tuo troppo m ' accorgo :
Benchè l'ba fatto cento volte e cento , Ma non fia mai , che te non odii e sprezzi
Cosłunie antico al tuo barbaro sito : Per la troppa barbarie ch' in te scorgo :
Ma ques'o torlo e questo tradimento E quanto più m ' accenni e m' accarezzi,
Potea ben contentar l'empio appetilo Tanto fa il pianto mio più colmo il gorgo ,
Con tante , che tu n'hai leggiadre e belle , Che mi torni a memoria il duolo e 'l danno
Senza far questo scorno a due sorelle. Nato dal finto tuo primiero inganno.
320 325
Prima mancasti , perfido, a te stesso , Nè sol non tacerò la tua menzogna ,
Dopo al re pio dell'Altica coorte : Ed ogni vizio tuo , mentre son viva ,
Tradisti me , e fu da te promesso , Ma , deposto il rispetto e la vergogna ,
Che illesa rivedrei la patria corte. Di piazza in piazza andrò , di riva in riva ,.
Ma non minor poi commettesti eccesso E con ogni acerbissima rampogna
Ver la pudica e saggia tua consorte . Scoprirò l'opra tua neſanda e schiva ;
Talch'han privi d'onor l'empie tue voglie E che tradi la tua barbarie ingrata
Te , la cognata , il socero e la moglie. Il socero , la moglie e la cognala .
321 326
Ahi! del tuo onor nemico e del mio sangue , Se starò chiusa in questo albergo infido,
Perchè non togli a me l'aura e l'accento ? In queste selve strane , in questi monti ,
Ond'è che il corpo mio non rendi esangue ? Il mio dolente e ingiurïoso strido
Perchè nol doni all'ultimo tormento ? Moverà i sassi , gli alberi e le fonti,
.
Può nel Signore ingiusto il timor tanto , Fa il legno il ponte , e loglie la parola
Che il dubbio sta , se dee sbandir l'amore; A lei , che i denti miseri non serra :
L'accende di colei l'ingiuria e il pianlo , Poi non so donde una tenaglia invola ,
Di desio di vendetta e di furore . E la superba lingua invita afferra :
Il calor natural s' incentra intanlo In fuor la tira , e fin presso alla gola
E fa bollire il sangue intorno al core Col ferro empio la taglia , e gitla in terra ,
Dalla circonferenza al centro corre La qual per l' orma agil s'aggira e serpe
Col loco il sangue , e al suo desio soccorre. Come coda suol far Ironca dal serpe.
329 334
Menlre che 'l foco intorno al core accese Per questa via pensò l'empio tiranno
L'ardor, ch' al corpo estremo venne manco , Vendicarsi di lei , che lo scherniva ;
Quel sangue , che al suo centro il corso prese , E per fuggir l'enorme infamia e 'l danno ,
Lasciò il vollo crudel pallido e bianco : Ch' ei n'era per aver , se si scopriva ;
Ma il cor poi con l'usura il foco rese E per potersi lei goder qualch' anno ,
Al volto , nè fu mai si rosso unquanco ; Sebben senza parlar la tenea viva .
E dell' ira , che in lui si fe' perfetta , 0 giustizia di Dio , come permetli
Rendè ogni estremità turbata e inſella. Si nefandi pensier ne' nostri pelti ?
330 335
Poich' ebbe l'ira accesa , il furor mosso , Oh ſerina lascivia , oh menle infame!
E fallo in sen a lui men fido e saggio , Più volte dopo ( appena il credo ) ei volse
E'l volto fe' venir di bianco rosso , Seco sfogar le sue veneree brame,
E lampeggiargli ogni occhio come un raggio , Sebben con varj moli ella sen dolse :
Privò del ferro il fodro , e corse addosso Sicuro il re , che più non si richiame,
A lei , che stridea ancor , per farle oltraggio : De' lacci , ond' era vinta , la disciolse ,
Ma Amor nel suo bel volto a porsi venne , La qual con muto e lagrimoso duolo
E al suo crudo furo : troncò le penne. Sparse di pianto e sangue il pelto e'l suolo.
331 336
El!a , che il ferro in aria splender vede A'la più alta stanza alfin la guida,
D'amitta e sconsolata vien conlenta , E quivi a tutti gli occhi la nasconde ;
E perchè debba ucciderla si crede , Ad una vecchia poi la chiare fida ,
Liberamente il collo gli appresenta. La qual con cenni soli ode e risponde ;
In tanto Amor , che nel suo volo siede , Parla accennando il re ch' ivi l' annida ,
Contra il furor di Tereo un dardo avventa : Perch' altri a veder lei non venga altronde ,
L'empio a quel colpo il suo ferir rilarda , E ch'a lei serva , e plachi il suo cordoglio ,
E d'ira arso e d' amore altier la guarda. Ma che non le dia mai l' inchiostro e 'l foglio.
332 337
L'ira c 'l furor di novo in lui s' accende, Vedendo il re l'aurora aprir le porte
E fuor d'ogni pietà la prende e lega, Nell' Oriente al raggio maltulino ,
E non ascolla Amore , e non inlende , Ed avendo fidata la sua corte
Che nel suo viso il rilusinga , e prega . Per soccorso di Cipro al mare e al pino ;
Or mentre ch' ella stride , e 'l vilipende , Quando volle tornarsi alla consorte ,
E i vizj suoi con più superbia spiega , Sconosciuto montò sopra un ubino ,
Le pone un legno in bocca, onde non puole Copri col manlo il volto , e volse il tergo
Serrarla più , nè più formar le note , Al rio serraglio , e giunse al regio albergo.
LIBRO SESTO 195
338 343
Sopra l'ubin giunse al palazzo , e scese Quivi ella apre la strada al suo lamento ,
Con due slaffieri eunuchi , ch' indi tolse. E chiama il nome suo più volle in vano ,
Come la giuola sua moglie intese, E del mare e dell'arbore e del vento
Con l'accoglienze debite il raccolse : Si duole , e del suo fato acerbo e strano :
D'intorno Progne intanto i lumi intese, Nè manca d'accordar l'afflitto accento
E subito al parlar la lingua sciolse , Col suon , che rende il batter mano a mano ;
E dimandò della sorella , e poi E non ſuor di ragion per lei si dole ,
Diè l'ocshio ancor , s' alcun vedea de'suoi. Ma non già con le debite parole.
339 355
Delto che l' ebbe , come la sua gente Che chiama ( ove dannar dovria il consorte )
All'isola di Cipro avea mandata Crudele e ingiusto il vento , il mare e'l fato :
Per dar qualche soccorso al lor parente , Dove piange la sua mentita morte ,
Clie inlorno al regno avea la Tiria armata ; Pianger dovrebbe il suo più crudo stalo.
Lasciando uscir più d' un sospiro ardente , Si veste tutto a bruno ella e la corte ,
Disse : M' avea la lua sorella data Al tempio va di panno oscuri ornato ,
Il gius'o padre tuo cortese e pio E l' oziose escquie alla fals' ombra
Per soddisfare al tuo contento e al mio. Fa şul tumul cantar , che nulla ingombra.
340 345
Già possedea l' armata il mare Egeo , Or che ſarà la sua pianta germana ,
E credea d'acquistar quel giorno Seslo, Che si sta nelle terre imprigionata ?
Quando un Borea importuno il mar rendco Ch'esca non vuol dell'odiosa tana
Si grosso , che fe' ognun turbato e mesto , Chi l'ha in custodia , il muro e la ferrata .
E come piacque al fato iniquo e reo , Le manca per ridir la voce umana
Perchè a calar l' antenna non fu preslo' , Il torlo , ch'ha il re fatto alla cognala :
Il pin ch' ella premea , col popol Greco Per farlo alfin sapere alla sirocchia ,
Andò sott'acqua , e ognun so.nmerse seco . Le servi il subbio , il fuso e la conocchia .
341 346
I paggi , le donzelle e gli altri Achivi, Per rimaner dal gran dolor men vinta ,
Che seco il padre tuo mandati avea , E fuggir l'ozio avea l'afflitta tolta
Furo involati al numero de' vivi Bavella cruda , e seta usala e tinta ,
Per mio perpetuo mal dall'onda Egea ; E in fil ridotta , e intorno al fuso avvolta :
Che , da che fur di lei gli occhi miei privi , Poi ne fece una tela , ove dipinta
Per la rara virtù , ch' in lei splendea , Avea dal re l'ingiuria infame e stolta ,
Io ne rimasi addolorato tanto , E v’avea il caso suo talmente impresso 1
Ch' altro da indi in qua non fui che pianto. Che chiaro si leggea tutto il successo .
342 347
Con sospiri e con lagrime acccompagna Quanto contrario al tuo desir l'effetto
Il traditore il gesto e la parola , Fu nel formar l'industrïoso panno !
E il suo volto bugiardo irriga e bagna , Tu per alleggerir la pena al petto ,
E fede acquista alla mentita gola. Ti desti tulla al subbio intorno a un anno :
Da lui la mesta Progne si scompagna , Ma pingendo il tuo mal , l' altrui difelto ,
A tutti gli occhi subito s' invola , Ti ricordò ogni punto il biasmo e'l danno ;
E delle stanze sue chiusa ogni porta , E'l . tesser , che il luo duol dovea far meno ,
Piange morta colei, che non è morta . Ti ſe irrigar di doppio lutto il seno.
DELLE METAMORFOSI
196
353
348
Con sospir infinili, e amaro pianlo Avea tatlo il Zodiaco il Sol trascoso,
L'istoriata tela alfin condusse ; E dato il ghiaccio e 'l foco al nostro lido ,
Indi piegolla , e le fe intorno un manto , Ed ogni segno in quel viaggio occorso
Perchè vista per via d'alcun non fusse: Gli avea per trenta di concesso il nido ;
Poi con cenni e lusinghe operò tanlo, Ed era giunto il di , ch'allenta il morso
Ch'alfin la muta al suo voler ridusse ; Al muliebre irragionevol grido ;
E capace la fè , che quel presente Il di, nel quale donne insane vanno ;
Portasse alla regina ascosamente. E ch'al bimadre Dio l'uffizio fanno :
349 345
Lieta l'asluta vecchia , e il porla , Quando l'amfitta Greca stava ancora
Che d'acquistarne il beveraggio crede: Rinchiusa , anzi sepolta in quella tomba.
E come spiritosa e bene accorta Or mentre il rito poi , che Bacco onora ,
Alla regina il dà , ch' alcun no 'l vede : Per tutta la città suona e rimbomba ;
E accenna , ch ' entro v'è cosa , ch' importa, Ed ogni donna del suo albergo fuora
E in ricompensa qualche cosa chiede. Sentir fa il grido , il timpano e la tromba ,
La liberal reina il cenno intende , E vanno tulte giubilando intorno
E contenta la muta , e 'l panno prende,. La nolte destinata , insino al giorno :
350 355
Come poi le sue luci apron le porle Progne , che in menle avea già stabilito
Al miserabil verso , che discopre Di vendicar di suo soror lo scempio
L ' obbrobrioso incesto del consorle , Contro l'ingestuoso e rio marito
E tutte l' altre sue malefich' opre , Con ogni modo più neſando ed empio ,
Quanto entro l' ira , il duol l' occupi forle ; Vide , che questa pompa e questo rito
Mostra il morto color, che 'l vollo copre ; Con quel poter andar di notte al tempio ,
Bench' a cangiarsi il suo color sta poco , Era un'occasïon molto possente
E infiamma il viso suo d'ira e di foco , Per eseguir la sua tropp'empia mente.
351 356
Ben di sfogare il duol cerca , e lo sdegno , Come la notte a lei scopre le stelle,
Che dentro la consuma e la disface ; E che l' altro emispero acquista il lume,
Ma per non si scoprir non ne fa segno , E fan sonar le madri e le donzelle
Ma frena il pianlo e 'l grido , e duolsi e tace . L'ottone e 'l bosso al solito costume ;
Come un rinchiuso acceso arido legno Progne d'una cerviera illustre pelle
Suol render maggior caldo alla fornace; S’orna , e di tutto quel ch'onora il Nume ,
Così la doglia in lei chiusa e ristretta . E corre con le serve al grido insano,
Rende più acceso il core alla vendetta . Col ferro cinto al fianco e'l tirso in mano .
352 357
Lo stupro falto alla sorella amata , Per onorar l'illuminata notte
Il tolto onore al sangue Attico regio , Da fiaccole , da torchi e da lanterne ,
L'aver la lingua toltale, e fregiala Insieme van le caste e le corrotle ,
La stirpa sua di così infame fregio , O siano cittadine , o siano esterne :
La rendon si rabiosa e disperata , Tantocch'allora aperte avean le porte ,
Che la sua vita non ha punto in pregio ; Ed accresciuti i gridi e le lucerne
Ma cerca tutla immaginando intesa , Le infami donne del serraglio regio
Che la vendetta superi l'offesa. Per goder l'antiqualo privilegio.
T. 77.
361 366
Accortamente la trasfuga 'e toglie, O gli trarrd quelle impudiche luci ,
E all' infelice camera la mena ; Ch'all' amor scellerato aprir le porte ,
5
368 373
Viene a trovar la madre irata e mesta Come il dolce figliuol la lingua move
Iti ( cosi il nomar ) con lieto viso ; Ver lei vinta dall' ira e dalla doglia ,
E per aver da lei carezze e festa , E le fa mille scherzi e mille prove ,
La guarda , e madre appella , e move il riso. Affinchè dolcemente ella il raccoglia ,
La madre infurïata il guardo arresta Una nuova pietà si la commove ,
Nel nolo volto , e con tropp'empio avviso Che la fa lagrimar contra sua voglia ;
( Poichè rivolse gli occhi a Filomena) E l' ira che nel volto avea dipinta ,
Disse con maggior rabbia e maggior pena : Fu da nuova pielà scacciata e vinla .
369 374
Quanto simiglia al padre empio tiranno Ma rivolgendo alla sorella il ciglio ,
Questa infin da fanciullo iniqua vista ! Che si duol senza lingua e senza onore ,
Quanta vuol far anch' ei vergogna e danno Non può in lei lanto la pietà del figlio ,
Altrui , se gli anni mai del padre acquista ! Quanto il doppio di lei danno e dolore.
Anch' egli renderà con forza e inganno L'istiga l'ira al primo empio consiglio ,
La moglie e la cognata afflilta é trista. E la nuova pietà scaccia dal core :
Questi, sorella , è la dannosa prole E avendo in questa e in quel le luci intese ,
Di chi l' onor ti tolse , e le parole. Disse in favor delle nov' ire accese :
370 375
Bagna di doppio pianto allor le gote Questi ha ben per chiamar , la voce umana ,
La sorella minor , che le sovviene, Madre l' afflitla moglie di Tereo ;
Quanto bramò veder questo nipote , Ma questa non può già chiamar germana
Quanto lasciò la mal lasciata Alene. Colei , che seco usci d'un ventre Acheo :
Or vede lui , sente le balbe note , E sarebbe pietà tropp' inumana
E vorria fargli pezzi , e si ritiene : Usare ad uom pietà malvaggio e reo :
L'amor del sangue a ciò l'instiga e accende , Contro lo sposo mio di pielà ignudo
Ma l' odio e l' error Tracio la riprende. Sarà pietade ogni atto orrendo e crudo.
371 376
E tanto più che vede il ſero aspetto , Come tigre crudele al bosco porta
Onde la madre ingiuriata il mira , Il parto d' una damma , o d' una cerva ;
Che teme non le dar noja e sospetto ; Così dove men puole essere scorla ,
Talchè per cagion doppia si ritira : Porta il figliuol la madre empia e proterva ;
Si gitta disperata sopra un letto , E a lui , che madre chiama , e la conforta
E con doppio dolor piange e sospira , A perdonargli , e l' accarezza e osserva ,
Dove in Grecia pensò , che quel fanciullo Mentre più la lusinga e più la prega ,
Esser dovesse in Tracia il suo trastullo. Col ferro baccanal la gola sega.
372 377
Si china intanto l'empia genitrice , Bastò un sol colpo alla sua debil carne :
E distende al figliuol l'inique braccia , Or Filomena , a cui prima n' increbbe,
Per far la scelleragine infelice , Vedendo da chi il fe' tal strazio farne
Ch'al figlio e al genitor danno minaccia. Scacciò quella pielà , che prima n' ebbe ;
L'innocente figliuol si porge, e dice E volendo col grido indizio darne ,
Più volle , Madre , e poi dolce l'abbraccia ; Mancò la lingua , e la sua furia accrebbe ,
E non sapendo il mal, ch' ella gli appresta, E corse anch ' ella infurïala e in fretta
La bacia , le ragiona e le fa festa. A far di quel figliuol strazio e vendella.
es
378 383
Scopre il suo core allor l'ingiusta madre , Gode l'empia consorte , quando vede ,
E d'accordo di pasta un vaso fanno, Ch' apre l' iniqua pasta , e vuol gustarne ;
E le sue membra già vaghe e leggiadre , E l'infelice padre , che le crede ,
Tagliate in mille pezzi al vaso danno ; Nutrisce sè della sua propria carne.
Ch’in mensa il voglion porre innanzi al padre , Del figlio intanto il miser padre chiede,
E dopo farlo accorlo del suo danno : Che spesso a mensa suol diletto trarne :
E per lo fallo altrui , si taglia e spolpa Dimanda dove sia , perchè non viene
Il misero garzon , che non n' ha colpa. Ad osservare il rito anch' ei d'Atene.
379 384
Senza scarnarla sol lascian la lesta , Dissimular può appena il petto infido
Perchè vederla intera il padre possa : Progne e risponde per maggior suo scorno :
Tulla macchiata è la stanza funesta Tuo figlio è teco entro al tuo proprio nido.
Dell' innocente sangue , e sparsa d'ossa. Da gli occhi'l vecchio incauto d'ogn' intorno
Toslo l'asconde e chiude in una cesta Poi ridice : io nol veggio: ell alza il grido;
Colei, che del parlare è ignuda e scossa ; Ben hanno gli occhi tuoi perduto il giorno ;
L'altra segretamente al foco accosta Può far , malvagio e rio , che sia si cieco
La pasta , che la carne entro ha nascosta. Che non vegga il tuo figlio , avendol teco ?
380 385
Ascosa sta nella macchiata cella E dando forza al grido infuriato ,
Serrala a chiave l'infelice muta , Lascia l'usanza Greca infetta e guasta ,
E in tanto l' altra troppo empia sorella E segue : Il tuo figliuol, empio , hai mangiato
L'incaulo sposo suo trova e saluta : Secondo egli era cotto in quella pasta .
E con la dotta sua Greca favella La sorella esce allor dall'altro lato
Sa far lanto col re , che non rifiuta Con la tesla , ch' intera era rimasta ;
Di far il baccanal convito seco , La mostra al miser vecchio, e'l braccio sciolto
Secondo il patrio suo costume Greco . Fa , che percote il figlio al padre il vollo .
381 386
Diversi cibi anch' ella in bocca toglie, Ch' anch' ei fuor del balcon si lancia e getta
Ma non le pasle insidïose e felle. Per punir quelle due col ferro in mano :
L'incauto re compiace alle sue voglie , E mentre che per l'aria anch' ei s'affretta ,
E va gustando or queste cose or quelle ; E si sostien per non cader sul piano ,
Talche il misero alfin per suo consiglio , Come alle Greche insidïose avvenne ,
Apre la pasta rea , ch'asconde il figlio. Vede le membra sue vestir di penne,
200 DELLE METAMORFOSI
388 393
Lascia il ferro crudel l'irato artiglio , Costui di quattro giovani fu padre ,
Ed alla bocca un lungo rostro innesta : E d'altrettante figlie adorne e belle ,
L'armano molte penne intorno il ciglio , Fra quai ve ne fur due tanlo leggiadre ,
Ed ha l'insegne regie ancora in testa ; Che aggiugner non v'avria potuto Apelle.
E dimostra il dolor , ch'egli ha del figlio , L'amato dalla Dea d'Espero madre ,
Con la sdegnala vista atra e molesta : Prochi sposò di quesle due sorelle :
Upupa alza la cresla , e bieco mira , L'altra detta Orizia , di maggior zelo ,
E mostra il cor non vendicato, e l'ira. Vide accender di sè l'autor del gelo.
389 394
Nel più propinquo bosco entra , e s'asconde Ben è maggior l'amor , che Borea accende ,
La Greca , che restò senza favella : Poichè'l fa più superbo e men leale.
La lingua oggi ha sputata , e corrisponde Un di , mentre per l'aria il velo ei slende
In parte alla sua sorte iniqua e fella. Tulto di ghiaccio il crin , la barba e l'ale ,
Piangendo va il suo duol di fronde in fronde E loglie ( tanto il freddo ognuno offende )
Con una melodia soave e bella : Quasi a gli occhi del cielo ogni mortale ;
Tien del suo incesto ancor vergogna e cura , Con altre assai quesla fanciulla vede ,
E non osa albergar dentro alle mura . Che fan sul ghiaccio sdrucciolare il piede.
390 395
Progne , che diede alla vendetta effetto , Mentre di rimirar gode quel gioco ,
E fu d ' ogni altro error monda e innocente , E per non le turbar non soffia e tace ,
Il nido tornò a far nel regio tetto In mezzo a tanto ghiaccio accese il foco
E non ebbe vergogna della gente : Nel freddo core Amor con la sua face :
Del sangue del figliuol ancora ha il petto E si cresce la fiamma a poco a poco ,
Macchiato , e se talor le torna a mente , Che'l gel ch'ha intorno, in pioggia si disface ;
Tanta pietà per lui la move e ancide , Tantoche'l ciel , che si risolve e fonde ,
Che si querela un pezzo , e alfine stride. A gli occhi suoi quella fanciulla asconde.
391 396
Come corre a ingombrar l'Attica corte Rilorna in Tracia alla sua patria corte ,
La trista ſama , e il miserabil caso , E senlendo la fiamma ognor più ardente ,
E come fersi augei di varia sorte , Si consigliò di chieder per consorte
E del cotto fanciullo entro a quel vaso ; La vergine, ond'egli arde , al suo parente :
Occupò Pandione il duol di sorte , Subito fa , che l'ambasciata porte
Che 'I feee innanzi tempo ire all'occaso : Fra tutti i suoi vassalli il più prudente ,
E poichè fu donato all'urna e al foco , Il qual con grand' onor giunlo in Atene ,
Fu dato ad Eretteo lo scettro e il loco Dimanda al re la figlia , e non l'ottiene.
392 397
Questi con tal prudenza il regno resse , Fu in ogni tempo antico odio e rancore
Tanto benigno fu , tanto corlese , Fra il sangue Tracio, e l'Attico lignaggio ;
E contra ogni nimico , che l'oppresse , Ma l'odio Greco avea fatto maggiore
Si valorosamente si difese , Il nuovo fatto a Filomena oltraggio :
Che , qual titol d'onor meglio a lui stesse , Talchè'l nuovo de'Greci Imperadore
Qual fosse in lui maggior , non fu palese , L'ambasciadore udi con mal coraggio ;
Delle virtù , che si lodato il fenno , E senza celar l'odio o farne scuse ,
O la giustizia o la fortezza o il sonno Lc nozze Tracie alla scoperta escluse.
.
1
T. 75
398 403
IN
OU
202 DELLE METAMORFOSI
408
Fatto avea fabbricar Giasone intanto Era Giason tanto eloquente e forte ,
( Tutto avendo alla gloria acceso il zelo ) Ch' appena il suo gran core a'Greci espose,
La nave al mondo celebrata tanto , Che si deliberò d'unirsi seco
Che posta fu fra gli altri segni in cielo, Tulla la gioventù del regno Greco.
Per gire ad acquistar quel ricco manlo 410
Onde il Frisseo monton d'oro ebbe il pelo :
È ver, che Pelia il zio con finto core Fra quai scelse cinquanta cavalieri ,
Gli avea l' alma infiammata a quest' onore . Contando se per uno, i più perfetti.
Or, sentendosi forti, atti e leggieri
409 Questi alati di Borea giovinetti,
Ch ' esser dovea Giason della sua morte Appresentati anch'essi arditi e fieri,
Cagione, a Pelia un di Temi rispose : Se n'andar con Giason fra gli altri eletti
Ond' egli per fuggir la fatal sorte, A quello acquisto glorïoso e degno,
Il suo nipote al dubbio onor dispose. Per l'incognito mar sul primo legno.
D EL LE
M TAM OR POST
D ' O V I DIO
LIBRO SETTIMO
ARGOMENTO 4
Di denti nascon uomini , ed Esone Mentr' ella tiene in lui ferma la luce,
Con le Ninfe , e il Monton si rinovella : E sente quel ch'il padre gli rammenta ,
Cerambo un Toro , e Corimbo un Dragone ; Ch'a manifesta morte si conduce ,
Mera, i Telchini, Alcidamanle bella , Se di quel vello d'or l'impresa tenta ;
Combea , due Re , Cefiso , e Menefrone , Pensa di farsi a lui soccors ) e duce ,
E Perifa , é Fineo forma e favella Perchè tanta beltà non resti spenta ;
Cangian con altri, ed Arne Putta fassi; Ed ajutar quel cavaliero esterno
Formiche uomini son ; Volpe e Can sassi. Contra il nemico a lui pensier paterno .
I 5
Già per lo novo mar la nova nave Poich'ebbe con gran gloria , onore e canto
Avea la vela , il vento e il mare inteso , Frisso sacrato a Giove il ricco vello ,
E con soflio or tropp'aspro, or più soave Dove si fece il sacrifizio sanio ,
Sopra la Tracia avea quel regno preso, Apparse un arbor d'or pregiato e bello.
Nel qual Fineo senz’occhi e d'anni grave Subilo appese il prezioso manto
Era dall’empie Arpie continuo offeso Frisso all'apparso d'oro ardor novello :
E già con ricchi doni e lieto volto Alzando a Giove poi le luci e il zelo,
V' era stato Giason visto e raccolto , Mandò con questa voce i preghi al cielo :
2 6
Dove i figli di Borea alali e snelli , Tú sai quanta avarizia alberghi e regni
Per soddisfare a tanto obbligo in parle, Fra noi mortali , o re del sommo coro ;
Scacciati aveano‘i bei virginei augelli, E quanti rei pensier , quant'alti indegni
Co’quai venner nell'aria al fiero Marte : Faccia l'uom tutto il di sol per quest'oro :
E i venti avendo avuto or buoni or felli, Perchè mortal alcun mai non disegni
E posto in opra or l'ancore , or le sarte > D'involar questo tuo nobil tesoro ,
Eran nell'Asia alfin scesi in quel lido , E perchè in onor luo qui sempre penda ,
Ch'era al bel vello albergo antico e fido. Manda qualcun , che il guardi e che 'l difenda.
3 7
Or mentre allegri al re de'Colchi vanno, Non fu già il suo pregar d'effetto vano ,
Ch' appena il suono estremo al prego diede ,
E che Giasone il suo pensier palesa,
E tulli intorno al re con preghi stanno, Ch'ivi apparver due tori , a cui Vulcano
Che lor conceda il vello , e la contesa ; Avea fatto di ferro il corno e il piede.
E ch'ei rimembra le fatiche e il danno , Ben opra esser parea della sua mano ,
Che lor succeder può da questa impresa ; Che 'l foro onde lo spirto esala e riede ,
Medea , figlia del re , che vede e intende D'ineslinguibil foco ognor ardea ,
L'ardito cavalier, di lui s'accende. Simile a quel della montagna Etnea .
.
1
8 13
D'eterno foco un drago ancora apparse, Mentre con sommo suo dilello il vede ,
Di veneno e di sguardo oscuro e fosco : Passa per gli occhi al cor l'immagin bella :
È yer ch'alcun mai non uccise od arse , Laddove giunta , imperioso siede ,
E non curò d'oprar fiamma , nè tosco , E scaccia l'alma fuor della donzella :
Se non s'alcuno in van volle provarse La qual nel viso pallido fa fede,
D'involar l'aurco pregio all'aureo bosco. Com'ella dal suo cor fatt' è rubella ;
E per far Giove il loco più sicuro , E mostrar cerla al bello amato vollo ,
Tutto cinse il giardin d'un fatal muro. Come l'immagin sua l'ave il cor tolto.
9 14
Le chiavi ad Eta re de'Colchi porse , E par che voglia dir : S’ho dal cor bando ,
Che fu padre a Medea, con questa legge, Per dar luogo all'immago , ove'l lum'ergo,
Che s'a quei mostri alcun chiedea d'opporse, Novo ricorso , e patria ti domando
Per torre il don che il ricco albergo regge , In quella luce, ov'io mi specchio e tergo :
Per porlo più del raro acqaislo in forse , Perch'io non vada eternamente errando ,
Giurasse sopra il libro , che si legge Donami entro al tuo seno un novo albergo:
Sopra il divino altar, di far la prova, Se in bando io son per te, giusto è'l mio grido,
Che Cadmo fè nella sua patria nova . Se chieggio in ricompensa un nuovo nido.
10 15
Quando al fonte il dragon spense di Marle Oimel che in tutto io son fuor del mio core ,
Quel ch'or l'erboso suol serpendo preme, E pur penso , discorro ed argomento ,
Palla , e il fratello la metà in disparte E bramo all'amor mio grazia e favore ,
Poger de’denti insidiosi insieme ; Perchè del suo desio resti contento.
E dopo il re della beata parle Questi son de 'miracoli d'Amore ,
Ad Eta diede il periglioso seme Ch'io son priva dell'alma , e veggio e sento :
Per sicurlà del bel giardin , ch'asconde Qeste son cose pur troppo alle e nove ,
Il prezïoso vello e l'aurea fronde. Ch'io viro fuor del cor , e non so dove.
II 16
Ed avea ben qualche rimordimento , Or come la fanciulla accesa scorge ,
Che si nobil guerrier restasse morto : Con che guardo nimico il padre crudo
Ma troppo egli facea contra il suo intento , Sul libro di giuramento al Greco porge ,
Se privo di quel don gli rendea l'orto. Perchè resti il suo cuor dell'alma ignudo ;
Perd , pria che gli desse il giuramento , Maggior l'amor , maggior la pietà sorge ,
Del seme , e del periglio il fece accorto ; E pensa farsi a lui riparo e scudo :
Ma scortol poi d'ogni timore ignudo , Per salvar quelle membra alme e leggiadre,
Con occhio il fè giurar nemico e crudo. Pensa d'opporsi a quel che debbe al padre.
12
17
Ma se guarda Giason con crude ciglia Per lo giorno seguente la battaglia
II re d'ira imfiammalo , e di dispetto , Promette il re , poich'ei n'è tanto vago,
Lo guarda e l'ode l'infiammata figlia E porlo dentro alla fatal muraglia ,
Con oochio dolce e con pietoso affetto. Contro i tori fatali e contra il drago:
Brama ei veder di lui l'erba vermiglia , Ben s'era accorto il guerrier di Tessaglia.
Ella il brama goder consorle in letto : Ch'accesa era Medea della sua immago ;
Egli il vorria veder restar senz'alma, per trarne favor , grazia e consiglio ,
Ella di quell'impresa aver la palma. Mostrò sempre ver lei corlese il ciglio.
LIBRO SETTIMO 205
18 23
Per allor si lícenzia ei dalla corte , Or s'egli è ver ch'ei m'ami , come ha detto ,
Prima dal vecchio re , poscia da lei ; D'un amor si sellecito e si forle ,
E le dice pian pian : Ben la mia sorte Che mi giudica degna di quel letto ,
Felice sopra ognuo chiamar potrei, Ch'ha destinato per la sua consorte ;
S'io potessi aver voi per mia consorte, Se non amo anch'io lui di pari affetto ,
E condurvi mia donna a'regni Achei ; S'io non l'involo all'evidente morte ,
Però dale favore al desir nostro , Non son più ingrata , perfida e crudele ,
Poi , come piace a voi , me fate rostro , Che mai s'udisse in tragiche querele ?
19 24
Non può celar le piaghe alte e profonde , Ma se dall' amor mossa , ond’io tult'ardo ,
Nè l'aspra passion , che la tormenta , E dal valor , ch’in lui tanto commendo ,
Medea ; ma senza favellar risponde Con pieloso occhio il mio Giason riguardo,
Coi motti e coi sospir , ch'ella è contenta . E la mirabil sua beltà difendo ,
Partili l'un dall'altro , ella s'asconde Ver l'affetlo paterno il piè ritardo ,
Nella camera sua , ch'allri non senta ; La paterna pietà del tutto offendo ;
E datasi all'amore in preda in tullo, Ch’un , che vuollorgli , a favorire io yegao ,
Cosi dà varco alle parole e al lullo : Il più ricco tesor ch'abbia nel regno .
20 25
Misera , qual fu mai si gran cordoglio , Misera , a che risolvo il dubbio core ?
Che possa al dolor mio far paragone? Quanto ci penso più , più mi confondo.
Ch'io son sforzata , e faccia quel ch'io voglio , Favorirò chi quel vuol torci onore
D'oppormi alla pietade e alla ragione : Che celebri ne fan per tutto il mondo ?
Ben di ragione e di pietà mi spoglio , Un , che con ogni suo sforzo e valore ,
Se il valor del magnanimo Giasone Per privar l'arbor d'or del ricco pondo ,
Lascio perir ; ben ho di tigre e d'orso Vien sì da lungi , e - s'empie il suo desio ,
Il cor , s'io posso , e non gli do soccorso . Perpetuo scorno fia del padre e mio ?
21 26
La sua beltà , la sua fiorita etale , Che farò dunque , misera ? io conosco
La nobiltà , il valor, l'ingegno e l'arte , Quanto sia la pielà che debbo al padre ;
E tante altre virtù che 'l ciel gli ha date , Ma soffrirò , ch’in bocca entrino al tosco
Che il fanno a' nostri tempi un nuovo Marte ; Si delicate membra e si leggiadre ?
L'amor promesso e le parole grate , Soffrirò , che di ferro armale e bosco
Ond' io di tanto ben debbo aver parle , Le fresche della terra uscite squadre
Ogni più crudo cor dovrian far pio Voltin l'arme in suo danno ? o'l fatal toro
Di drago é d'aspe, e maggiormente il mio . L'alzi sul corno al ciel per salvar l'oro ?
22 27
E quando ei fosse ancor morlal nemico Non è , misera mel saggio consiglio
|
Di me , del padre mio , della mia gente , D'una figlia d'un re , d'una donzella ,
Per sangue sparso suo , per odio antico , S'io vengo a favorir d’Esone il figlio ,
Per qualsivoglia passion di mente ; E tolgo al padre mio gioja sì bella :
Di tante grazie avendo il cielo amico Perchè torrò cura io del suo periglio ,
Dovrebbe queslo cor trovar clemente , S'egli ha ver noi la mente empia e rubella ?
Che non mandasser tanto ben solterra Misera ! il mio dover conosco e veggia ,
I lori , il drago e i figli della terra . Pur approvo il migliore, e seguo il peggio.
206 DELLE METAMORFOS I
28 33
Seguane quel che vuol, vo'dargli aita Che fai, cieca ? che fai ? puoi tu dar fede
Contra il mio onor , conlr'Eta , e contra il regno , Ad un , cui mai non hai parlalo o visto ?
E non roglio veder toglier la vita Ad un , che forse il tuo connubio chiede ,
A si lodato giovane e si degno. Perchè gl'insegni a far del vello acquisto ?
E poi vo'seco , ove il suo amor m'invita , Pensa ( e non lasciar pria la patria sede )
Gir per l'ignoto mar sul nuovo legno ; Quanlo sarà il tuo stato acerbo e Iristo ,
E S'egli' nel regno patrio ti raccoglie
per eterna mia gioja e riposo ,
Vo far Grecia mia patria , e lui mio sposo. Da fanciulla impudica, e non da moglie.
29 34
Ma come ardirò mai solcar quel mare , Ma non prometle un tanto ignobil allo
U ' son le navi misere condolle ? La sua virtute e il suo nobil sembiante ,
U' si sogliono i monti insieme urtare ? Gli farò replicar più volte il patto ,
Dove da'venli son gittale e rotle ? E vorrò averne il giuramento avante ;
Dove si sente Scilla ognor latrare , Chiamerò testimonj al mio contratto
U' l'avara Cariddi i legni inghiotte ? L'alme delle contrade eterne e sante ;
Perderò l'onor mio con questo inganno , E temer non dovranno i voti miei ,
Per gir al cerlo mio periglio e danno? Ch'ei manchi a se medesimo e a'sommi Dei,
30 35
A che tanto timor , tanto cordoglio ? Mentre risolve a questo il dubbio pello ,
Potrà morso si ſral tenermi in freno ? Se l'appresenta il debito e l'onore,
Se tener dell'onor conto io non voglio , La paterna pietà e'l patrio affetto ,
Debbo io stimar la vila , che val meno ? E dan vittoria al suo pensier migliore :
Non ho da temer mar , vento nè scoglio , Le ricordan , se viene a questo effello ,
Pur ch'io mi trovi al mio Giasone in seno : Quel che diran di lei le regie nuore ;
E se pur debbo al timor dar ricelto , Sarà , se per tal via si fa consorte ,
Debbo tener di lui , ch'egli e 'l mio obbietto. La favola del volgo e d'ogni corte .
31 36
Dunque per un non giusto e van desio Avea l'amor già ributtato e vinto ,
Debbo fare al mio sangue il cor rubello ? E già fermato avea nel suo pensiero ,
Abbandonare il mio genitor pio? Sebben dovea Giason restarne estinto ,
La mia germana e 'l caro fratello ? Di darsi in tutto alla ragione e al vero ;
Lasciar l'antico e regio albergo mio , E avendo al casto fin l'animo accinlo ,
Ed un regno si fertile e sì bello , Fuor del palazzo avea preso il sentiero ,
Per gir fra genti strane ia un paese , Per visitare a piedi il tempio santo
Dove le note mie non sieno intese ? D'Ecale , ond'ebbe già l'arte e l'incanto.
32 37
Anzi son questi mici paesi ignudi Non ave negl'incanti in tutto il mondo
Di quei beni onde ricca è l'altra parte : Maggiore alcun mortal dottrina e fede
Costumi regnan qui barbari e crudi, Di lei, ch'or face il suo terrestre pondo
Quivi ogni fatto illustre , ogni dega'arte , Verso il tempio portar dal proprio piede.
Quivi son le cittadi e i dotti studi , Intanto , più che mai bello e giocondo
Ch'empion le nostre ancor barbare carte : Giason , che vien dal tempio, incontra e vede?
E se le cose grandi insieme adeguo , Umile ei la salula , e fa ch'anch'ella
Le grandi non lasc'io, le grandi seguo . Gli rende l'accoglienza e la favell:i.
T. 79 .
OP
38 43
Qual , se l'ingegno uman gran foco ammorza , Zappan col piede il polveroso sito ,
S'avvien , che un sol carbon viva e si copra , E fan correr per l'ossa a'Greci il gelo ;
Poi gli apra il vento la cinerea scorza , E il ciel di lungo empiendo allo muggito ,
Tantoche in fiamma il suo splendor si scopra ; Fanno arricciare a gli Argonauti il pelo ;
Racquista il vivo ardor , l'antica forza , Poi corron contra il giovinetto ardilo ,
E come pria divora i legni e l'opra : Per torlo su le corna e darlo al cielo :
Tal l'ascosa scintilla all'alma vista Gli altende il Greco , e dice i versi intanto
Di lei l'antico suo vigore acquista . E gella contra lor l'erba e l'incanlo.
39 44
Come vede il suo amato , e l'aura senle Verso il forle Giason veloci vanno ,
Del dolce suon della soave voce , E danno ognor per via più forza al corso ;
S'infiamma il foco occulto e si risente , Ma giunti appresso a lui, fermi si slanno ,
E come già facea , la strugge e coce : Che il canto di Medea br pone il morso :
Talch'ella al casto fio più non consente , Visto ei, che non gli posson più far danno ,
Ma si dà in preda a quel che più le nocc ; Lor palpa dolce la giogaja e il dorso ;
E tanlo più , che quel ch'a ciò la chiama , E tanto ardito or gli combatte , or preg ,
Tutto giura osservar quel ch'ella brama, Ch'all'odioso giogo alfin gli lega.
40 45
Gli porge accorlamente un vel da parle , Con lo stimolo i fori insliga e preme ,
Dove eran chiuse alcune erbe incantate , E col vomero acuto apre la terra :
E poi gl'insegna le parole e l'arte, E l'uno e l'altro bue ne mugghia e geme ;
E in qual maniera denno esser usate. Ma il crudo giogo a lor l'orgoglio alterra ,
Sparir l'altro mattin Salurno e Marte , Giason vi sparge il venenoso seme ,
Ed avea il biondo Dio le chiome ornale , E poi con novo solco il pon sotterra :
Quando Giason di quella guerra vago , S'ingravida il terren , nè molto bada ,
Comparse contro i tori e contra il drago. Che manda fuor la mostruosa biada .
41 46
Convengon tulti -i popoli d'intorno Ornati di metallo il capo e il fianco ,
A rimirar l'insolito periglio : Molti uscir della terra uomini armali ,
Sta in mezzo il re di sceltro e d'ostro adorno D'aspetto ognun sì fier , di cor si franco ,
Con empio core e disdegnato ciglio. Che di Bellona e Marle parean nali.
Compar di ſerro armato il piede e il corno A'Greci fer venir pallido e bianco
Contra d'Esone il coraggioso figlio ; Il volto , poich'i ferri ebber chinali ,
La fiamma de due tori empia e superba Tutti ristretti in ordine e in battaglia
Abbrucia l'aria , e strugge i fiori e l'erba . Contro il guerriero invitto di Tessaglia.
42 47
Come risuona e freme una fornace , Ma a più d'ogni altro fe'pallido il viso
Mentre maggior in lei l'ardor risplende; Alla figlia del re, Sebben sapea ,
Come freme la calce che si sface , Che non potea da loro essere ucciso
Mentre che l'acqua in lei l'ardor accende ; Se dell'incanto suo memoria avea .
Cosi mentre la fiamma empia e vorace Si sla Giason raccolto in su l'avviso ,
De’lori il campo e d'ogni intorno offende, E poi, secondo gl'insegnò Medea ,
Nel pello ond' ha il principio e il proprio nido , Un sasso in mezzo all'inimico stuolo
Con perpetuo esalar rinforza il grido. Avventa , e rompe tutti un colpo solo .
208 DELLE METAMORFOSI
48 53
Come in mezzo del campo il sasso scende , La barbara fanciulla anch'ella brama
E'l verso ei dice magico opportuno , D' onorare e abbracciar l'amalo Duce ;
L'un fratel contro l'altro in modo accende , Ma l'onestà da questo la richiama ,
Che fan di lor due campi , dov'era uno : Nè vuol che l'amor suo scopra alla luce.
L'infiammata Medea , che non intende Poco dopo con quel ch'ella tant' ama ,
Che debba il vecchio Eson vestir di bruno , Sul legno ascosamente si conduce :
Più d'un verso adjutor dice con fede , Spiega Giasone al vento il lino altorto
Secondo l'arte sua comanda e chiede. E prende tutto lielo il patrio porto.
49 54
L'incanto , che il lor primo intenlo guasta , Come la nave vincitrice torna
Jnfiamma al fiero Marte ambe le schiere , Con lo vello dell'or per tanto mare ,
Talchè l'un contro l'altro il ferro e l'asla Di Tessaglia ogni madre il crine adorna ,
Con gridi e con minacce abbassa e fere: E porta iacenso e mirra al sacro altare.
E con tal odio e rabbia si contrasta , Indorano alle vittime le corna
Che fan vermiglie l'erbe e le riviere ; I vecchi padri, e fan l'altar fumare ;
E i miseri fratei di varia sorte E al ciel dan grazie, che da tai perigli
Per le mulue percosse hanno la morte. Abbia salvali i coraggiosi figli.
50 55
Un percosso di stral su l'erba verde Ogni ordine, ogni elade al tempio venne
Cade , quei di spunton , questi di spada ; A venerare il santo sacrifizio
Tantochè tulta alfin la vita perde Eccetto il vecchio Eson che gli convenne
La già superba ed animata biada. Mancar per li troppi anni a tanto offizio .
L'animoso Giason , che vuole aver de La decrepita età per forza il tenne
L'impresa il sommo onor , prende la strada Rinchiuso nell'antico alto edifizio ;
Verso il troncon , che di doppio oro è grave , E fu cagion , che il suo pietoso figlio
Contro il crudo dragon , ch'in guardia l'ave. Prendesse a tanto mal questo consiglio .
51 56
ſ venenoso drago alza la testa , Rivolto alla dolcissima consorte ,
Quando vede venir l'ardito Greco Scoperse il suo pensier con questo suono :
Col ferro ignudo in pugno , e che s'appresta Del vecchio padre mio già saggio e forte
Per lo vello dell'oro a pugnar seco. Nell'arme, e ne'consigli esperto e buono ,
Gli va superbo incontra , ed ei l'arresta , Per esser troppo prossimo alla morte
E con l'erbe e coi versi 'l rende cieco : Le forze antiche e le sentenze sono
Gl'incanti e le parole tanto ponno , Perdute e fuor del senno ; ed io vorrei
Che danno il miser drago in preda al sonno. Dare una parte a lui de gli anni miei.
52 57
S'allegran gli Argonauti , e fanno onore. Sebben i merti tuoi son tali e tanti ,
Allor signor vittorioso e degno ; Che debitor perpetuo mi ti chiamo ,
E mostra aperto ognun nel volto il core , Se posson tanto i tuoi slupendi incanli ,
Ognun il valor suo lodá e l'ingegno. ( Ma che non ponno? ) un'altra grazia io bramo:
Corre secondo il patlo il vincitore , Vorrei de gli anni miei donare alquanti
E toglie il ricco pregio all'aureo legno: A quel cui debbó tanto e cui tant'amo ,
Nol soffre volentier quel ch'ivi regge , Sicchè levato a lui lo schivo aspetto ,
Ma non vuol contrapporsi alla sua legge. Di vigore abbondasse e d'intelletto .
T. 84 .
Non potè udir la moglie senza sdegno , Con le ginocchia alfin la terra preme,
Nè senza lagrimar gli accenti sui: E di novo alza alla parte alta e bella
Passa la tua pielà , poi disse, il segno , La mente e gli occhi e le man giunte insieme,
Sebben giusto è'l desio d'ajutar lui . E con sommesso suon così favella :
Non slimo al mondo alcun di te più degno, Porgete ajulo all' arte ond'oggi ho speme
Ne gli anni a le vo'lor per dargli altrui : Di rendere ad Eson l'età novella
All'arle maga , ad Ecale non piaccia , Tu , fida notte, e voi propinqui numi
Ch'a gli anni illustri tuoi tal forlo io faccia. Di monti e Loschi, d'onde salse e fiumi.
59 64
Ma farò ben non men gradite prove, E voi tre volti , ch'un sol corpo avete
Per adempir pensier si giusto e pio , Nella triforme Dea , non meno in poco ;
Poi ch'a maggior pielate Eson mi move , E voi , che con la Luna aurea splendete ,
Che non fe'mai l'amor del padre mio : Lumi del ciel , dopo il diurso foco ,
Se la triforme Dea quella in me piove All'umil prego mio favor porgete ;
Grazia ch'è proprio ajuto al tuo desio , Che cercar possa ogni opportuno loco ,
lo porrò lui fra quei che ponno e sanno , Si ch'io rilrovi ogni radice ed erba ,
Senza ch’agli anni tuoi faccia alcun danno. Che può rendere all'uom l'etade acerba .
60 65
Tre rolle il biondo Dio , che 'l mondo aggiorna , Porgi a noi, santa Dea , propizio il braccio ,
Avea nascosto il luminoso raggio , Tu ch'a noi maghi l'erbe e l'arte insegni,
Tre volte avea la Dea di stelle adorna Sicché per l'alta impresa , ch'or abbraccio ,
Fallo sopra i mortali il suo viaggio ; Possa cercar i necessarj regni.
E già congiunte avea Cintia le corna , lo pur col tuo favor le nubi scaccio
E dava del suo lume il maggior saggio , Dal cielo , e scopro i suoi siderei segni :
Quando Medea lasciò l'amate piume , Col tuo favor ( quando il contrario adopro )
Ed al propizio usci notturno lume. Tutti i lumi del ciel coi nembi copro .
61 66
Discinla e scalza , e con le chiomé sparle Nel mar, s'io voglio, or placo, or rompo l'onde,
Sopra gli omeri inconti ella usei sola Fo la terra muggbiar , tremare i monti,
Nell'ora ch'è nella più alta parte · E facendo stupir le slesse sponde,
Del ciel la notte, e in ver l'Esperia vola ; Tornar fo i fiumi in su ne' proprj fonti :
Quando più grato il suo favor comparte S'io chiamo Borea in aria , ei mi risponde,
Il sonno , e che a 'mortai la mente invola ; E gli Austri e gli Euri al mio voler son pronti;
Quando per nostro comodo e quiete E quando l'arte mia loro è contraria ,
Ne sparge i sensi del liquor di Lete. Dal ciel gli scaccia , e fa tranquilla l'aria.
62 67
Nè l'uom , nè altro animale il piè non porta ; L'ombre fo da’sepolcri uscir sotterra :
Muto ed attorto sta l'aureo serpente ; E lal l'incanto mio forz'ha , che puole ,
Umido tace l'aere , e l'aura è morta , Luna , tirar te col luo carro in terra ,
Nè una fronde pur mover si sente : Sebben del rame il suon l'aria percote ,
Soli ardon gli astri, a cui la maga accorta Onde mi cercan gli uomini far guerra ,
Tre volte alzò le man , gli occhi e la mente , Per impedir le mie possenti note ;
E tre col fiume vivo il crin cosperse , Le note , onde pur dinanzi tanto fei,
E tre senza parlar le labbra aperse . Ch'otlenni lutti in Colco i voli miei.
210 DELLE METAMORFOSI 1
68 73
Coi versi e col favor che mi porgete , Quando l'erbe opportune ella eble colte ,
Fei ch'a Giason non il foco e'l toro ; Secondo l'arle sua comanda e vuole , 1
E quelle , che di terra armale teste E che l'ebbe sul carro in un raccolte
Usciro , uccider ſei tulte fra loro : Con le propizie e debite parole ;
Fei che 'l sonno abbassò l'altere cresle L'ombre del basso mondo oscure e folle
1
Al drago , e diedi al Greco il vello e l'oro ; Le avean nove fiate ascoso il sole ,
Ed or coi versi e col favor , ch'io chiamo , E l'erbe e i fiori ond' era il carro adorno ,
Spero venire al fin di quel ch' io bramo. Fer questa maraviglia il nono giorno.
1
69 74
· E losto io l' otterrò , che chiaro veggio Il grato odor dell'incantale foglie ,
Propizio al desir mio l'ardor soprano , Che continuo sentir gli aurati augelli ,
E che l'eleree stelle , a quel ch'io chieggio , Fecer che quei gittar l' antiche spoglie,
Non han mostrato il lor splendore invano ; E diventar più giovani e più belli.
Poichè scorgo dal ciel venir quel seggio , All'albergo la donna il fren raccoglie
Che puote il corpo mio condur lontano. Di quello , a cui vuol dar gli anni novelli ;
Un carro nel formar di questi accenti Non entra per allor dentro al coperlo ,
Tirato in giù venia da due serpenti. Ma vuol ché sia suo tello il cielo aperlo.
70 75
Con larghe role in terra il carro scende Fugge il marito il conjugal diletto ,
Dal mondo glorioso delle stelle : E di due belli altari orna la corte ;
Medea di novo al ciel grazie ne rende , Dei quali il destro ad Ecate fu erelto
Alzando gli occhi all'alme eleite e belle ; L'altro all'età più giovane e più forte :
E poi liela e sicura al carro ascende, E poich'a quelli ornò di sopra il letto
Allenta il fren , perco!e l'aurea pelle D'erbe e di fior d' ogni proprizia sorte ,
Con la sferza opporluna , ch'ivi trova , Scelse fra molti arieti uno il più bello ,
E fa dell'ali lor la nota prova . Ch' avea dal capo al piè d'inchiostro il vello.
71 76
Al notturno maggior di Delia lume Coi crini sparsi come una Baccante ,
Per la Tessaglia fertile e gioconda Prima che col collel l'ariete uccida ,
Fa batter ai dragon l'aurate piume, Gli afferra un corno , e con parole sante
E tulla la trascorre e la circonda : Tre volte intorno ai sacri altari il guida : i
Ed or prende dal monte , ed or dal fiume Innanzi all'are poi ferma le piante
L'erba che brama , e in quelle parti abbonda , Fra l'una e l'altra Dea propizia e fida ;
Delle quai con la barba altra n'elice , E fu del sangue suo tepida e rossa
Alira ne taglia e vuol senza radice. La fatta a questo fin magica fossa.
72 77
E in Tempe e in Pindoe in Ossa il carro feo Sopra gli altari poi fè che il foco arse;
Scender , dove dell' erbe in copia colse ; Indi di latte una gran tazza prese ,
E dopo verso Anfriso ed Enipeo , Una di mele, é sul monton la sparse
E verso gli altri fiumi il carro volse : Pria che il ponesse in su le fiamme accese :
Non lasciò immune Sperchio , nè Peneo , E dopo fe' , che il vecchio Eson comparse ,
E tante erbe trovò , quante ne volse ; E sopra l' erbe magiche il distese
E poi lasciando addietro il fiume e il monle , Co’versi avendo pria , che ciò far ponno ,
Ver l'albergo d' Eson drizzò la fronte. រ Date l'antiche membra in grembo al sonno .
1
,基础
T 80
IM EDEA
LIBRO SETTIMO 2 I I
78 83
Tulti i servi e Giason fa star lontani , De' sassi ch' ha dell'ultimo Orïenle ,
Per l'innanzi d'altrui non cerca offizio E quelle arene ancor .con l' erbe mesce ,
Non vuol ch'a veder stian gli occhi profani Che lava l'Oceano in Occidenle ,
I misteri secreti e il sacrifizio : Mentre due volte il giorno or cala or cresce ;
China il ginocchio pio , giugne le mani , E del chelidro libico serpente ,
E gli occhi intende all'infernal giudizio ; E del notturno umor , che stilla ed esce
E mentre arde il monton su l'altar santo , Dall'al na Luna , aggiugne al cavo rame ,
Placa gli sligj Dei con questo canto : Con l' ala stigia tenebrosa e infame.
79 84
Le stigie forze lue , Plutone , amiche Del lupo ambiguo poi , che si trasforma ,
Rendi alla mia rinnovatrice palma , Fra l'erbe rare pon , che il bagno fanno ;
E non voler ch'indarno io m'affatiche Di quel ch' or ha di lupo or d' uom la forma ,
Per far nova ad Eson la carnal salma : La qual suol prender varia ogni nov'anno .
Non voler defraudar le membra antiche Fra tanta strana e innumerabil torma
Della vecchia , insensata e miser' alma ; Di cose ch'entro al rame si disfanno
E sebben toglio il sangue alle sue vene D'una còrnice il capo alfin vi trita ,
Non dar lo spirito ancor alle tue pene. Che ha visto nove secoli di vita .
80 85
Mandati questi preghi , alzossi , e tolse , La saggia e dolta incantatrice , come
Fatte per questo fin , faci diverse ; Tutte quelle sostanze ha in un ridotte ,
E dove il sangue del monton raccolse Con esse altre infinite senza nome ,
Tutte con muto orar le tinse e asperse : Che seco dal suo regno avea condotte ;
Ed accese e locate , il canto sciolse , Pria che toglia ad Eson l’annose some و
Ed a Plulon di nuovo si converse ; Vuol far l'esperienza , se son colte :
Tre volte umile a lui piegò il ginocchio , D'olivo un secco ramo e senza fronde.
E tre volte drizzògli 'l prego e l'occhio . V'immerge , e l'erbe volge , alza e confonde.
81 86
Fatto ogni geslo pio , delto ogni carme , Ecco che, il ramo secco il secco perde ,
Che placalo rendea l' Inferno e Pluto Toslo che il bagnan l' onde uniche e dive ;
Alla Dea maga , ed alle magich'arme Ella il trae fuor del bagno , e il trova verde ,
Paga con altri preghi altro tribulo : E dopo il vede ornar di fronde vive :
Poi prega l'altra Dea , che per lei s arme Ma ben la speme in lei maggior rinverde ,
E non le manchi del suo fido ajuto : Quando il vede fiorir d'acerbe olive ;
Tre volte il vecchio poi purga col lume E mentre ella vi guarda , e se n'allegra ,
Acceso , e tre col zolfo e tre col fiume. D'olio ogni oliva vien gravida e negra.
82 87
Nel cavo rame in tanto alto e capace L'umor , che nel bollir s'innalza e cade ,
: L ' acque , i fior , le radici e l' erbe e 'l seme, E passa sopra l'orlo ed esce fuori,
Per lo calor che rende la fornace , E per la corte fa diverse strade ,
Tutte le lor virtù meschiano insieme ; Tutte le fa vestir d' erbe e di fiori:
E mentre il fuoco e il fonte il tutto sface , Fan la stagion fiorir de l'aurea elade
S'alza la spuma , e l'acqua ondeggia e fremc;
Il minio , il croco , e mille allri colori ;
E l'onde andando e l' erbe or sopra or sotto , Per tutto , ov'ella sparge il suco , e'l prova ,
Fanno un roco romor perpetuo e rolto . Nasce la primavera e l'erba nova .
2 kg DELLE METAMORFOSI
88 93
Medea , che vide maturar l'oliva , Questa maga dottrina e questi incanti
E d'erbe e varj fior la corle piena , Non opran sempre il ben , nè rendon gli anni:
Stringe il coltello , e fere il vecchio , e priva E veggasi a gli poi commessi tanti
Del poco umor la slupeſalta vena : Dalla cruda Medea mortali inganni.
Poi nel grato liquor , che il morto avviva , Dati avea di Giason pochi anni avanti
Il vecchio in tulto esangue infonde appena , Due figli a sopportar gli umani affanni ;
Che il sacro umor , che bee la carnal salma , Quando volse Medea l'arle e l'ingegno 5
In un punto il vigor gli rende , e l' alma. A racquistare a lor l'oppresso regno .
89 94
Com' entra per la bocca il gralo fonte , Quando per la soverchia età s'accorse
E per dove il coltel percosso l'ave , Eson , ch'era mal alto a governare ,
La crespa , macilente e debil fronte E che Giason troppo fanciullo scorse ,
Perde il pallore , e vien severa e grave : Non volle quel maneggio al figlio dare : 1
Par ch' ognor più le forze in lui sian pronte , Anzi lo sceltro del suo regno porse ,
E che la troppo età manco l'aggrave : Perchè il potesse regger e guardare,
Egli il centesim'anno avea già pieno , A Pelia suo fralel per tanto tempo ,
E più di trenta già ne mostra meno . Che il tenero Giason fosse di tempo .
90 95
Il vollo delle crespe ognor più manca , Fe'il zio poi ver Giason empio e rubello ,
S'empie di suco , e acquista il primo onore ; L'oracol, che gli diè sospizione ,
Già tanto la canizie non l' imbianca , Che uccidere il dovea più d'un coltello ,
Anzi più vivo ognor prende il colore : Per opra d'un ch'esser credea Giasone.
La barba è mezza nera e mezza bianca ; Però prima il mandò per l'aureo vello ,
Già la bianchezza in lei del tutto more : Per darlo il Colco al regno di Plutone ;
È ver che qualche pel bianco ancor resta E poi ch'ei diede a quella impresa effello ,
Fra i novi crin de la cangiala lesta. Ebbe del suo valor maggior sospetto.
91 96
Com ' esser giunto ad otto lustri il vede , Mentre con modo e con parlare onesto ,
A gli anni ch'han più nervo e più coraggio , Col rispetto ch'aver si debbe al zio ,
La dotta Maga il fa saltare in piede , Giason , chiedendo il suo , gli fu molesto ,
Per non lo far più giovane e men saggio : Ei cibò ognor di speme il suo desio ,
L'ama di quarant'anni , perchè crede , Dicendo : s'io nol rendo così presto ,
Che quel tempo nell'uomo abbia vantaggio ; Move giusta cagion l'animo mio .
Perchè l'età viril , dov'ella il serba , Giason di creder finge, come accorto ,
È più forte, più saggia e più superba. Poichè gli è forza a sopportar quel torto :
92 97
Vide Lièo da l'alto eterno chiostro , Che Pelia in mano avea tutto il tesoro ,
Gli occhi abbassando in ver l’Emonia corte , Ogni cittade, ogni castel più forte.
Quest'alta maraviglia e queslo mostro , Al nipote assegnato avea tant'oro ,
Che ſe' Medea nel padre del consorte : Quanto potea bastar per la sua corte :
Scende tosto dal cielo al mondo nostro Qando audò contra il drago e contra il loro ,
Dove ottien da Medea l'istessa sorte ; Perchè in preda pensò darlo alla morte ,
E dà gli anni più belli e più felici Per infiammarlo meglio a quella impresa ,
A l'invecchiale Ninfe sue nutrici. Non gli mancò d'ogni onorata spesa.
LIBRO SETTIMO 213
98 103
S'accomodo Giason come prudente E che tal torto far non le dovea,
All' animo del zio con finlo core ; Renduto avendo a Eson robusto l'anno :
E a ' varj modi avea volta la mente , E di quest' opra sua spesso dicea ,
Ch' il poteano ripor nel regio onore , Perch'era il fondamento dell'inganno ;
E con la moglie ragionò sovente Tantochè l' odio finto di Medea
Di far morir l'ingiusto imperadore ; Chieder fe' alle fanciulle il proprio danno ,
La donna diede alfin contro il tiranno Çh' al troppo vecchio padre, e senza forza
Effetto al lor pensier con questo inganno. Volesse rinnovar l'antica scorza .
99 104
Ne va con finte lagrime al castello La paterna pietà , la ferma spene
Del zio , verso il suo sposo avaro e infido ; Di migliorar l' imperio e la lor sorte,
Dove stracciando il crin sottile e bello , Se l' età più robusta il padre ottiene,
Scopre il finto dolor con questo strido : Se s'allontana alquanto dalla morte ;
Oimè ! ch' io feci acquistar l' aureo vello Il non veder, che il modo ch' ella tiene,
A questo ingrato , e gli diei nome e grido, E per ripor nel regno il suo consorte,
E rea contro il fratello , e il padre fui, Fe' la mente d' ognuna incauta e vaga
!
Per aver poi tal guiderdon da lui. D ' ottener questa grazia dalla maga :
100 105
Comanda il re ch' innanzi non gli venga E con preghi giovevoli, e con quanto
La moglie del nipote , che si duole ; Sapere è in lor, pregan la donna accorta .
i
Che sa ch'ella è qualche querela indegna, Non rispond' ella, e sta sospesa alquanto ,
Che fra marito e moglie avvenir suole, E mostra in menle aver cosa ch' importa:
Ma mentre che la lor discordia regna , Noi non dobbiamo usar l'arte e l'incanto ,
Che debbano, comanda alle figliuole, Se non abbiamo il ciel per nostra scorta ,
In qualche appartamento a lor vicino ( Disse poco dappoi ) ; ma , s' io ben noto ,
La consorle raccor del lor cugino. Tosto propizio fia dei cieli il moto.
101 106
Le figlie desïosc di sapere Quella pietà paterna che mi move ,
Da Medea la cagion del suo lamento A me talmente ha intenerito il pelto,
Ricevon lei con le sue cameriere Che Pelia io vo' vestir di membra nove ,
In un adorno e ricco appartamento . Ringiovenirgli l' animo e l'aspetto.
Contando ella il suo duol , mostra d ' avere Ma vo'ch ' in im monton prima si prove ,
Del ben fatto a Giason rimordimento ; Se può l'incanto mio far questo effetto :
E che l'ha colto in frode, e l'avria morta , Pria che il sangue di Pelia sparso sia,
S'ella non si fuggia fuor della porta . Vi voglio assicurar dell'arte mia .
102
107
E riprendendo l'adulterio e il vizio, Secondo che comanda ella, s'elegge,
Ch' al nodo conjugal non si richiede, Dove stava l'ovil fuor del castello,
Dicea mille parole in pregiudizio Il più vecchio monlon che sia nel gregge,
Della sua lealtà, della sua fede : Per rinnovargli la persona e il vello .
E rimembrava ogni suo benefizio, Intanto sul suo dorso il forno regge
Ogni ajuto e consiglio che gli diede ; Il rame, che vuol far l' ariete agnello :
E ch'a tradir colei tropp'era ingiusto , Medea fa che di solto il foco abbonda,
Che al padre avea ringiovenito il busto. E ſa consumar l'erba, e fremer l' onda .
214 DELLE METAMORFOSI
108 113
Ella di quel liquore avea portato , Eccovi il vostro padre in preda al sonno ,
Che già ſe' rinverdir la secca oliva ; E i vostri pugni quei tengon coltelli
E n'avea tanto in quel vaso gittato , Ch'a lui votar l'antiche vene ponno ,
Che dar potea al monton l' età più viva. Saman che il sangue suo si rinovelli :
Poi per le corna avendolo afferrato , Se della vita ei fia più tempo donno
Del poco sangue ch ' ha , le vene priva , Sanni robusti ei ſa degli anni imbelli ,
E come il pon nel bagno esangue e morto, Mirate , quanto migliorar potele
S'avviva , e londa mangia il corno altorto , Ne gli spossi propinqui ch'altendete .
109 114
Le corne attorcigliate , e gli anni strugge , Del padre inſermo la vila e l'etade
E già - il monlon l' etate ha più superba : Alberga nella vostra armata palma :
La vena il novo sangue acquista e sugge , Or se in voi regna punto di pietade ,
Tantoch' in tutlo ottien l' età più acerba . S' amor punto per lui vi punge l' alma,
Com' ella il pon di fuor , lascivo fugge , Pietose verso lui le vostre spade
E chiede il latte ; e non conosce l'erba : Privin del sangue rio l'antica salma.
Ed or si ferma , or bela , or corre , or gira , La prima a quei conforti il colpo invia
Secondo il desir novo il move e tira . Ed empia vien per voler esser pia .
IIO 115
Allegrezza e slupor subilo prende , È ver che volge in altra parte gli occhi ,
Come vede l' agnel la regia prole : Nè vuol veder ferir l'audace mano :
Sparsa ella del liquor la terra rende , L ' altre con queslo esempio alzan gli stocchi
E germogliar ſa i gigli e le viole ; Togliendo gli occhi al colpo empio e profano.
Talchè il miracol doppio ognun accende Come fan sangue i parricidi e sciocchi
A crescer le promesse e le parole. Ferri, resta l'incanto e'l sonno vano :
Dic' ella , non poter condur l' allr' opra , Si sveglia il padre , e vede i colpi crudi,
Finchè la terza notte il sol non copra. E le figlie d'intorno e i ferri ignudi.
III 116 1
Già il corpo oscuro e denso della terra D'alzar la carnal sua ferita spoglia
Tre volte a gli occhi loro avea fatt' ombra , Cerca per sua difesa, e dice : o figlie,
Quando volendo fare andar sotterra Qual nova crudeltà r' arma la voglia
Medea di Pelia ingiusto il corpo e l'ombra , A far del sangue mio l' arme vermiglie ?
D ' ogni virtù contraria alla sua guerra Tosto ch' egli dà fuor lira e la doglia ,
Fatta avea la caldaja ignuda e sgombra , E per difesa cerca , ove s' appiglie,
E tutta piena avea la ramea scorza Vien fredda ogni fanciulla come un ghiaccio,
D ' un puro fonte е d' erbe senza forza .
> E trema a tutte il ferro , il core e 'l braccio .
II2 117
L'incanto e il sonno avea col re legata Medea , che quelle vede afflitte e smorle,
La corte sua nell' ozïoso letto , Che far vacar doveano la corona,
E Medea con le vergini era entrata , D'età , di membra e d'animo più forte,
Dove dovean dar luogo al crudo effetto . Mentre bravando il re non s' abbandona,
La spada ignuda ognuna avea portata , Gli fora il collo , e datogli la morte,
Con cui passar voleano al padre il petto. Ardita il prende su la sua persona,
Medea , mostrando il re dal sonno oppresso , Ed alle meste figlie dà coraggio,
Così le spinse al parricida eccesso : E dice che 'l farà robuslo e saggio.
T. 82
che
lit leron 1
L Delu'se dis Barbier dip
118 123
L'ancor crudele vergini per quello Passò dove gli orribili Telcbini
Che vider del decrepito moolone , Ebber si fiero l'occhio , empio l' aspetto ,
Ch' essendo morto usci del rame agnello, Ch' in Rodi , ov'eran magici indovini,
per lo rinnovalo in prima Esone j Tutto quel che vedean, rendeano infetto :
Credendo che rifar giovane e bello Cangiavan gli animali , i faggi e i pini,
Debba il lor re la moglie di Giasone, E ciò ch' agli occhi lor si facea obbietto .
L'ajutano a porlar con questa speme, Giove alfin gli ebbe in odio e gli disperse,
Dove nel cavo rame il fonte freme. E nell' onde fraterne gli sommerse .
119 124
La Maga , che quel re nell' onde vede, Sopra Cea passò dopo, e le sovvenne
Ch' occupava al suo sposo il regio manto, D ' Alcidimante la felicé morte ;
Per non dar tempo alla vendetta, chiede Che, quando la figliuola ebbe le penge,
Il veloce dragon con novo incanto : Al vilal corso avea chiuse le porle ;
Pon sopra il carro il fuggitivo piede, E se di donna una colomba venne ,
E lascia le nemiche in preda al pianto, Non lagrimò la sua cangiata sorle.
Che i ferri avean , che fur nel padre rci, Ver quella Tempe poi passar le piacque,
Presi per vendicarsi sopra lei. Ch ' ebbe nome dal Cigno che vi nacque
120 125
Non porge orecchie all'alte strida e all' onte Appresso a Tempe ov' oggi è l' Irio lago,
Medea , che le fanciulle all' aria danno, Arde Fillio d'amor dell' Iria prole,
Ma drizza il volto ad Otri, all' alto monte, D ' un garzon di si bella e rara immago,
Che dal diluvio già non ebbe danno ; Che dispone il suo amante a quel che vuole :
Dove Cerambo andò con altra fronte, Se vede d'un augello il suo amor vago,
Quando il vestir le penne, e non il panno : Fillio va con tant'arle all'ombra e al sole,
Dargli alle Ninſe allora i vanni piacque, Che lieto alfin il trova, il segue e'l prende ,
.
Che potesse fuggir l' ira dell' acque. Ed al dolce amor suo domato il rende.
1
121 126
Vede l' Eolia Pitane in disparte, Per servare al suo imperio onore e fede,
Laddove ſe' il dragon di marmo il dorso ; Orsi, tori, leoni, abballe e lega:
E vaga di veder, quinci si parte, Vede un tratto il fanciullo un toro, e'l chiede;
E ver la selva d' Ida affretta il corso ; Sdegnalo finalmente Fillio il nega.
Dove fe' Tioneo con subit' arte Ver la cima d'un monte affretta il piede
D'un toro un cervo, e al figlio diè soccorso ; L'irata prole d' Iria , e più nol prega ;
E per torlo alla morte e a l'altrui forza , E dice a Fillio : Ancor darmi vorrai
Ascose il furlo suo sott' altra scorza . Quel che t'ho dimandalo, e non polrai.
I 22 127
In quella arena poi le luci intese, Si getta , come è in cima, giù del monte ,
Che diè sepolcro al padre di Corito, Per veder de' suoi di gli estremi affanni.
E dove sbigotti, quando s' intese, Si credea ognun che la virginea fronte
Di Mera il latrar novo il monte e 'l lito : Cader dovesse in terra e finir gli anni;
Corse dappoi dove le corna prese Ma le penne a venir fur troppo pronte,
Ogni donna, e fe' udir l' alto muggito Che il fero un cigno, e diero all' aria i vanni .
D' Euripilo nel vago e fertil campo , Pianse la madre, e si stracciò le chiome,
Allor ch' indi partissi Ercole e 'l campo . E fe' piangendo il lago, e diègli il nome.
4
216 DELLE METAMORFOSI
128 133
Verso il Pleuro poi prese la strada, Come an dato i figliastri alla matrigna
Dove Combea, la qual nacque d'Ofia , L ' arca, dove il presente era riposto,
De' figli ebbe a temer l'ira e la spada; Ritornano alla madre empia e maligna ,
Ma si fece un augello, e fuggi via : Correndo, come a lor da lei fu imposlo ,
Scopri dappoi la Calaurea contrada, Apre la sposa l' arca , e il foco alligna
Sacra alla Dea, che partorili avia Col velen che nel dopo era nascosto ,
Alla nolte ed al giorno il maggior lume, Ch'arde il palazzo, e lei con mille e mille,
Dove la moglie e 'l re vestir le piume, E manda al ciel le fiamme e le faville ,
129 134
Si volge poi dove i Cilleni stanno, Mentre danna Giason la fiamma ultrice,
E dove un cieco amor si accese il pelto E duolsi, e ripararvi si procaccia ;
A Menefron , che , come i bruti fanno, Da lunge appar Medea, ch' onta gli dice,
Con la madre volea comune il letto : E di maggior vendetta ancor minaccia :
Vide Cefiso poi che piangea il danno E l'uno e l'altro suo figlio infelice
Del nipote, ch' avea cangiato aspetto ; Con la nefanda man gli uccide in faccia.
Ch' un di fe' che tant' ira Apollo assalse , Corre egli a sfogar l'ira che lo strugge ;
Che il fe' una foca, e diello all' onde salse. Dice ella i versi, e' l carro ascende e fugge.
130 185
Lascia addietro Cefiso, e'l cammin piglia Verso Atene fa gir l'aeree rote
Ver l' albergo d'Eumelio, e vede dove La Maga, dove poco prima avvenne,
Egli nell' aria già pianse la figlia ; Che Perifa e Fineo con la nipote
Poi ver Corinto i draghi insliga e move. Vestir di polipemone le penne.
Quivi a quel luogo ella chinò le ciglia, Medea con grati modi e dolci note
Che la Grecia arricchi di genti nove ; Da Egeo, ch ' ivi reggea , l'albergo oltenne ;
La pioggia empi di funghi il monte e 'l piano, Il qual vedulo il suo leggiadro aspetto,
Poi si fece ogni ſungo un corpo umano . Sposolla, e fe' comune il regno e 'l letto .
131 136
Al regio albergo poi volge la fronte, Già questo re fuor della sua contrada
Dove l'ingrato suo consorte vede Etra sposò, che nacque di Pittèo,
La figliuola sposar del re Creonte, E ingravidolla, e le lasciò una spada
E a lei mancar della promessa fede. Per lo figliuol, che poi nomar Tesèo.
Le voglie alla vendetta accese e pronte Nove volte nel ciel l' usata strada
Rende l'ira , che l' ange e la possiede, Fornita la nipote avea di Ceo,
E fa portar dai figli al regio nido Quand' ella aperse il ventre , e si fe' madre
Alla sposa novella un dono infido. Di Teseo, ch 'ebbe adulto il don del padre.
132 137
La Maga i figli suoi chiama in disparte, Venne poi Teseo un cavalier si forte,
E ď' oro una bell' arca in man lor pone, Che ne sonava il nome in ogni parte ;
E insegna loro il modo a parle a parte E per ogni città , per ogni corte
Di presentarla in nome di Giasone. Da tutti era stimato un novo Marte.
Quivi era dentro, fabricata ad arte , Tentata ch' ebbe un tempo la sua sorte
(Che smorzato parea ) più d'un carbone ; Per conoscere il padre, alfin si parte ;
Che come vedea l'aria, s' accendea , E avendo per cammin pugnato e viņto,
E pietre e muro, e sino all' ac qua ardea .
acqua Da' ladri assicurò l' Ismo e Corinto .
T 85.
1
T. 83
Ogni favor gli fa con lielo ciglio , Per forza incatenollo Ercole, e prese ,
Nè più faria , sapendo essere il figlio. E strascinollo al nostro almo paese .
به.
140 145
Vide Medea col suo non falso incanto , Mentre quel mostro egli strascina, e tirą
Che'l cavalier ch' al re tanto piacea , Per lo mondo, cui splende il maggior lampo ,
Dovea portar d'Atene il regio manlo , E’l can vuol pur resistere, e s'adira,
Toslo che'l vecchio Egèo gli occhi chiudea; E per tre gole abbaja , e cerca scampo ;
La qual cosa a Medea dispiacque tanto, La bava, che gli fa lo sdegno e l'ira,
Che già del re d'Atene un figlio avea , Del suo crudo veneno empie ogni campo .
Che per salvare al figlio il regio pondo, Di quella spuma poi l'erba empia e fella
Pepsò questo guerrier levar dal mondo. Nacque, ch'oggi aconíto il mondo appella.
141 146
E disse verso il re : Per arle ho visto Mesce questo venen ch' avca nascoslo ,
Quel che del cavalier chiede la sorle : Con un liquor di Bacco almo e divino .
Ei del bel regno tuo far deve acquislo , E ad un ministro il suo volere imposto ,
Come ti toglie il Sol l'avara morte. Mostra la morte al re del pellegrino:
E rende il core al re turbato e tristo , Poiché fu Egeo con gli altri a mensa poslo,
Che ben vedea ch' un cavalier sì forte , E ch ' ebbe in man Teseo la coppa e 'l vino,
Se de' gradi 'l rendea promessi adorno , Gli occhi allo stocco il re di Teseo porge ,
Polea torgli a sua voglia il regno e il giorno. E'l conosce per suo, come lo scorge.
142 147
E sebben non vedea nel bell' aspetto Subito il re dal cavaliero impelra ,
Alcuno indizio , alcun segno d'inganno ; Che non accosti al vino ancor le labbia ,
Pur comc vecchio accorto e circospetto , E gli dimanda, s' ei mai conobb’ Etra,
Si volle assicurar da tanto danno. E come quella spada acquistat' abbia.
Mentre per dare a questa impresa effetto,, Il cavalier dal labbro il vino arretra,
Molti discorsi il re pensoso fanno ; E si palesa al re , che d' ira arrabbia :
Medea , che pria n'avea l’animo inteso , Contro la moglie corre , e sfodra l'arme,,
Tytlo sopra di sè tolse quel peso . Ed ella verso il ciel s' alza col carme.
218 DELLE JIE TAMORFOSI
148 153
Di nuovo al re s'inchina ei come figlio, Cede al convito poi col figlio Egeo,
Stupido dal volar della matrigna : Con gli uomini più illustri e più discreti.
L'abbraccia il padre con pietoso ciglio, Or come il soavissimo Lieo
E dice : Ben ne fu Palla benigoa , Falti ha gli spirli lor più vivi e lieti,
Dappoichè te salvò dal rio consiglio Da pareggiare il re di Tebe e Orfeo
Della noverca tua cruda e maligna, Comparsero i doltissimi poeti;
Che per veder regnar la prole sua , E al suono un della lira , un della cetra
Ascose entro a quel vin la morte tua. L'alte lodi cantò del figlio d'Etra .
149 154
Qaan!o ella dotta sia nell' arte maga, Tu desli al sacrifizio , invitto e degno
Il vol che prese al ciel le ne fa segno ; Teseo , quel foro , il cui furore e scorno
E della morte tua soverchio vaga , Prima il Cretense, e poi di Palladio regno
Per far del mio reame il figlio degno, Distrutto avea col periglioso corno.
Mi disse che per arte era presaga, Salvati Cremion da un altro sdegno ,
1
Ch' eri venuto a tormi il giorno 'l regno ; A quella belva ria togliendo il giorno ,
E ch'a schivar questa maligna sorte, Ch'al cinghial Calidonio e d'Erimanto
Non v'aveva allra via, che la tua morte . Vesù già nel suo grembo il carnal manto .
150 155
Ma l'alma Attica Dea m'aperse gli occhi, Liberasti Epidauro dal sospetto
E scoprir femmi il suo crudel inganno, Di Perifeta figlio di Vulcano :
Mostrando a gli occhi miei gli aurati stocchi, Tu passasti a Procusle il crudo petto ,
Che le dal rio venen salvato m' hanno . Che contro il seme