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Cari amici vorrei, con uno certo sforzo, riprendere le mie pubblicazioni sia botaniche che
naturalistiche in generale non solo attraverso semplici sequenze di immagini ma attraverso un
documento che possa essere apprezzato nel tempo.
A questo scopo è nato il recente sodalizio con Magica Lessinia, associazione No-profit che da
anni si dedica alla valorizzazione del nostro territorio.
Questo sforzo congiunto vuole porre un forte accento sulla sensibilizzazione dei problemi che
affliggono il territorio, senza dimenticare le straordinarie bellezze paesaggistiche, della flora e
della fauna locale.
Unendo le nostre forze cercheremo di divulgare e documentare insieme alle Vostre immagini
le bellezze naturali e paesaggistiche di ogni angolo, anche il più nascosto ed il più lontano,
perché tutto in Lessina sembra voler raccontare una storia.
Desidero trattare argomenti in modo più vasto, non solo botanica ma anche Lepidotteri e
mammiferi selvatici
Siti e testi consultati per la redazione di questo documento sono i seguenti:
Farfalleitalia.it; Wikipedia.org; Eurobutterflies.com; Papillionea.com
Farfalle del Veneto a cura della Regione veneto e del Museo di Venezia MUVE
Non ultimo foto e piccole storie di tradizione popolare ed inoltre vorrei raccontare qui la mia
vita precedente di alpinista.
Non potranno mancare percorsi escursionistici e naturalistici inerenti alla nostra cara ed
amata Lessinia.
Non mi sono dato scadenze fisse ma appena possibile desidero fornire materiale interessante
da consultare, dovrebbe essere come una agenda di ciò che si può vedere in dato periodo.
Non ci si aspetti una impaginazione professionale.
Chiunque volesse scrivere e/o contribuire con materiale sarà il benvenuto.
Foto e testi di Silvio Scandolara
Desidero iniziare con l’esporre una serie di farfalle fotografate nei primi 20 giorni del mese di
Maggio. Sono visibili in collina e bassa montagna. Per fotografare questi Lepidotteri bisogna
armarsi di un minimo di pazienza e magari leggere qualche testo che ci esponga le principali
caratteristiche delle varie specie. Le farfalle tendono ad assumere precisi comportamenti e
gradiscono il nettare di piante specifiche.
Seguono tre brevi racconti di come è nata la mia passione per l’alpinismo, cominciando dal
mio primo incontro con la montagna, la prima vera avventura che mi ha fatto amare il
concetto di sfida e il mio primo bivacco in parete, del tutto impreparato e non equipaggiato.
Da quella esperienza sono sorte le basi per diventare quello che sognavo quando dovevo
rimanere chiuso in casa per problemi gravi di salute.
Ne seguiranno altri prossimamente, già scritti durante l’inverno.
Segue una sequenza di foto di ritrovamenti interessanti con la relativa data. Potranno essere
di stimolo per il futuro nel pianificare le vostre uscite.
Una breve sequenza di uccelli della Lessinia chiudono il lavoro.
Buone letture.
Habitat: Margini dei boschi, ampie radure e giardini, dal livello del mare a 2200 m.
Periodo di volo: Sfarfallamenti da giugno a luglio per la prima generazione e da metà settembre per la seconda. In
alcune località può avere una sola generazione. In entrambi i casi gli adulti svernano allo stadio adulto rimanendo in vita
sino a maggio dell’anno successivo, per cui è possibile osservare esemplari in volo anche in pieno inverno nelle giornate
miti. ( la foto è stata scattata ad inizio Marzo ad Illasi)
Pianta alimentare dei bruchi: Varie specie dei generi Urtica e Parietaria.
Pianta alimentare dei bruchi: Urtica dioica ed altre del genere Urtica.
Dimorfismo sessuale: Femmina indistinguibile dal maschio.
Da Marzo a Settembre si susseguono 3 generazioni di questa specie. I bruchi prediligono Geranei Erodium ed
Helianthemum. Apertura alare fino a 2,5 cm.
Foto e testi di Silvio Scandolara
Habitat
Distribuzione in Italia
Dimorfismo sessuale
Periodo di volo da maggio a metà agosto in base alla quota. In alcune località calde, ma non secche produce una
seconda che vola da metà agosto a settembre.
Pianta alimentare dei bruchi: Varie specie essenze dei generi Plantago, Anthirrhinum, Veronica, Linaria e Melampyrum.
Periodo di volo: a bassa quota da metà aprile a giugno e da metà luglio ai primi di settembre. In quota, sulle Alpi, da
luglio a metà agosto.
Pianta alimentare dei bruchi: Varie specie del genere Centaurea.
Variazioni: Vi è una notevole differenza sia nelle dimensioni che nel disegno, più o meno scuro, tra individui di
popolazioni diverse.
Distribuzione in Italia:
Dimorfismo sessuale:
.
Foto e testi di Silvio Scandolara
Ad oggi il mio zaino è sempre piccolo e leggero ma completo di tutto il necessario, materiale
selezionato e di qualità, solo l’acqua o il thè caldo è abbondate.
Foto e testi di Silvio Scandolara
Le prime avventure
Frequentavo le nostre montagne con amici coetanei e non avevamo particolari grilli nella testa i primi
tempi, era un sano svago da alternare agli studi alle scuole superiori. Non avevamo attrezzatura
tecnica, potevamo quindi solo pensare di frequentare sentieri già conosciuti. Durante un inverno,
credo in paio di anni dopo la mia prima escursione, con Renato Finetto ebbi la insana idea di
percorrere il sentiero E5 verso Malga Campobrun. Il percorso era tracciato e il passo era agevolato
dalla neve dura che sosteneva il peso dei nostri corpi. Un anziano signore ci vide e incoraggiato dalla
nostra presenza ci seguì chiedendoci se conoscessimo il percorso, risposi che lo avevamo già
effettuato d’estate.
Arrivati all’altezza del primo canale che scende dalla spalla del Plische le tracce sparirono, la neve
dura ci sosteneva e decidemmo di proseguire, il signore che ci seguiva fu alquanto perplesso e dopo
poche decine di metri rendendosi conto che il gioco diventava molto pericoloso girò i tacchi e tornò
sui suoi passi. Incuranti continuammo su terreno sempre più duro e con un salto esposto verso il
vallone sottostante, tutti i mughi erano coperti dalla neve e lo scivolo di neve faceva a malapena
intravedere ove passasse il sentiero estivo.
Procedemmo fin verso il secondo canale, in estate è presente una corda metallica che
intravvedemmo ma che risultò inutilizzabile perché spariva nella neve ghiacciata. Renato ebbe una
idea che ci portò fuori dai guai, utilizzare il coltello anziché per tagliare il pane per fare delle tacche
nella neve e così proseguire.
Andai avanti per primo e feci i buchi più profondi che potei, utilizzai poi quegli stessi buchi a scalciate
per posizionare gli scarponi, il tutto per una decina di metri e sotto un salto di circa 50/70 metri.
Renato mi seguì poco dopo con maggior fatica perché indossava dei doposci robusti ma flessibili.
Senza più difficoltà raggiungemmo Campobrun. Ci fermammo a mangiare i nostri panini e parlammo
a lungo di cosa combinammo in quel paio di ore, l’adrenalina aveva su di noi un effetto eccitante e
nello stesso tempo eravamo decisamente stanchi e provati. Guadagnammo la strada e scendemmo a
valle. Praticamente non ho mai parlato di questa avventura se non con Renato, vista con gli occhi di
chi osserva da lontano è stata il battesimo di fuoco di quella che in seguito sarà la mia attività:
l’arrampicata. Forse una stella in cielo ci ha assistito, altri se ne sono andati per un errore in quel
posto.
Pochi mesi dopo diventai amico di coloro che segneranno in modo definitivo il percorso e lo stile di
vita di quegli anni e degli anni a venire, Andrea Battisti, Guido Pigozzi e Fabrizio Anselmi.
Con loro ho salito per la prima volta percorsi come il Vajo dei Colori ma soprattutto il Vajo Loveraste e
il Vajo dei Contrabbandieri. Loro già avevano qualche nozione sull’uso della corda e conoscevano
qualche manovra, io ero totalmente a digiuno e li seguivo guardando e cercando di imparare il più in
fretta possibile. Durante la salita al Vajo dei Colori c’era altra gente e nel punto un poco più difficile si
era formato un tappo e bisognava aspettare il proprio turno. Pur avendo i ramponi ai piedi non mi
feci scrupolo di spostarmi a destra in parete e attento a posizionare bene le punte salii il tratto di
roccia che mi separava dal terrazzino successivo. Sorpassati quasi tutti ripresi la salita come nulla
fosse stato, solo in cima Fabrizio si complimentò per lo stile sicuro e rapido.
Poche settimane dopo percorremmo il marcissimo Vajo dei Contrabbandieri con tratti di roccia
decisamente impegnativi per la nostra preparazione e mezzi tecnici al nostro seguito, avevamo uno
spezzone di corda, un martello, forse 2 chiodi ed io non avevo ancora una imbracatura. Se dovessi
fare paragoni con l’attrezzatura moderna direi che eravamo molto ma molto vicini allo stile dei
pionieri anteguerra. A metà del percorso fummo raggiunti dalla nebbia, come spesso accade nel
versante vicentino del Carega, tutto divenne confuso e piatto, salimmo per istinto e ci accompagnò
una frase detta un po' per scherzo e un po' per scaramanzia… ”La via di fuga dei forti è verso l’alto.”
Uscimmo dalla parete e salimmo fino all’Obante. Il sole ci accolse e fu veramente festa.
Foto e testi di Silvio Scandolara
Di lì a pochi mesi iniziai a lavorare, i soldi per tutto il necessario non mancarono più e la grande
avventura stava per prendere una certa piega.
Foto e testi di Silvio Scandolara
Avventura a Passo Sella
Dopo aver salito in Piccole Dolomiti il Terzo Apostolo per la via Faccio, Il pilastro Nord-Est e la via
Carlesso al Baffelan mi sentivo pronto al grande salto in Dolomiti. Mi allenavo regolarmente dopo
essere tornato a casa dal lavoro andando su un muro leggermente strapiombante del castello di
Tregnago o sugli argini verticali fatti di grossi blocchi di blocchi di pietra del Progno in corrispondenza
della vecchia fabbrica dell’Italcementi. Su questi muri con un martello avevo scolpito una traversata a
circa 3 metri da terra con delle tacche per poter arrampicare con continuità e con una difficoltà
costante. Alcuni amici come Silverio e Beppino preferivano allenarsi su una traversata più facile e
meno pericolosa a meno di un metro dal terreno.
Orbene venne il 21 Maggio 1981, eravamo in 2 cordate, col senno del poi eravamo pivelli autentici,
senza relazione, dimenticata in automobile, senza cognizione della conformazione della parete, senza
sapere cosa comportasse salire in pieno periodo di disgelo quella specifica torre, abbiamo attaccato la
via Vinatzer alla terza torre del Sella. Dopo aver camminato circa 20 minuti nella neve con le scarpe
da ginnastica. Il tempo incerto, la parete un poco bagnata, il freddo umido facevano da contorno. Con
me avevo una borraccia d’acqua e ben 2 panini. Pensai bene di lasciare il cibo alla base della parete
perché era di impaccio e tanto nel giro di poche ore saremmo tornati alla base della torre giusto in
tempo per una merenda.
Iniziammo ad arrampicare ma fu subito chiaro che la salita sarebbe stata più lunga del previsto,
eravamo lenti a causa della debole pioggia che ad intermittenza inumidiva la parete, senza contare le
strisce d’acqua che dovevamo aggirare. Arrivati alla cengia anulare dopo aver probabilmente
tracciato una variante alla placca tecnica del terzo tiro di corda ci trovammo davanti al tiro chiave del
tetto… Nessuno di noi se la sentì di affrontare quel tratto.
Stavamo per desistere e tornare con le pive nel sacco verso il passo quando notammo a destra una
rampa che portava in alto, in seguito abbiamo saputo che si trattava della via Jhan. Sembrava tutto
facile e salimmo fino a quando questa diventava strapiombante. Senza relazione e senza una vera
esperienza alpinistica non cercammo ai lati di scorgere qualche passaggio più semplice ma tirammo
dritto, la via traversava una decina di metri a sinistra con difficoltà contenute e portava in vetta
facilmente. Salimmo la fessura direttamente, le difficoltà erano oltre le nostre capacità fisiche, e
Roberto da capocordata non riuscì a superare una strozzatura e cadde per fortuna nel vuoto, senza
sbattere sulla roccia e fortunatamente senza nessun altro danno se non un bello spavento. Intanto
inesorabile il tempo scorreva e il pomeriggio cominciava ad allungare le proiezioni delle ombre.
Continuammo attaccandoci ai pochi chiodi presenti sperando che non uscissero di sede. Ancora oggi
quella fessura è valutata VI A1 o VII.
Alla fine arrivammo quindi in vetta. Contenti ma a pestare nuovamente neve. A questo punto nuove e
più incessanti domande dovute all’ora tarda, erano le 17:30 passate: ”dove si scende? Da quale
versante? E non sarà che poi dobbiamo arrivare a quel canale…” indicando in basso quello che separa
la terza torre con la seconda torre, per tutto il giorno il Piz de Ciavazes aveva scaricato dalla sommità
enormi blocchi in continuazione. La sola idea di trovarmi là mi terrorizzava. Prendemmo la decisione
di scendere dalla via di salita allestendo tutte le doppie necessarie per arrivare alla base.
Scendere in quattro alpinisti con 2 corde da 11 millimetri, con chiodi da piantare e senza esperienza
fu di una lentezza esasperante. Arrivati alla cengia anulare era buio.
Rivolta ad Ovest, poco lontano dalla verticale del tetto della Vinatzer c’è una piccola grotta che
permette di stare seduti. Lì passammo una notte di Maggio senza attrezzatura per il freddo, senza
cibo e con l’incertezza di arrivare alla base dove mi aspettavano i 2 panini alla mortadella che avevo
lasciato all’attacco. Durante la notte facemmo una specie di cerchio e ognuno massaggiava la schiena
dell’altro per resistere al freddo.
Foto e testi di Silvio Scandolara
Al mattino seguente dopo altre 2 ore e mezza arrivammo a pestare neve, offrii metà dei miei panini
ghiacciati agli amici stanchi per la notte insonne e il freddo.
Al rifugio Pian de Schiavaneis sapevano che eravamo in parete, ci avevano visti scendere al mattino, ci
scaldarono grandi tazze di caffelatte e poi rinfrancati riposammo al caldo per qualche ora prima di
prendere la strada di casa.
Ho tralasciato molti particolari in questa sede ma posso garantire che la lezione è assolutamente
presente a distanza di 40 anni. Dal sabato seguente per 2 mesi ho infilato la più bella sequenza di vie
della mia carriera.
Foto e testi di Silvio Scandolara
FIORITURE DI PRIMAVERA