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LO SCONTRO MEZZADRILE NELLE CAMPAGNE BOLOGNESI
Da Aa. Vv., Cinquant'anni di storia dell'Unione degli agricoltori della provincia di Bologna,
introduzione di Giorgio Cantelli Forti, Bologna, Unione agricoltori della provincia di Bologna,
1998
La seconda guerra mondiale, per l'Italia guerra degli Alleati contro i Tedeschi e guerra
civile di Italiani contro Italiani, terminò il 25 aprile 1945. La vita della nuova Repubblica
italiana ebbe inizio, con la vittoria democristiana sul Fronte socialcomunista, il 18 aprile
1948. Per la coscienza collettiva le due date sono contigue, separate da un intervallo che la
memoria ha annullato. Due date che delimitano un arco di tre anni, cui nella percezione
collettiva corrisponde un istante privo di consistenza storica, il vacuo temporale: l'Italia ha
dimenticato tre anni della propria storia. Li ha dimenticati per una tacita convenzione, che
ha destinato all'oblio la lunga, angosciosa attesa che prendesse forma il destino nazionale,
che in un'Europa che si stava dividendo tra paesi schierati sotto lo sventolare protettivo
della bandiera americana e paesi schierati all'ombra della bandiera rossa di Stalin era
incerto in quale delle due sfere avrebbe preso forma.
Un dogma della storiografia dei luoghi comuni asserisce che gli Alleati avevano
stabilito, a Yalta, accordi che escludevano che l'Italia potesse diventare un paese
comunista: ma gli accordi di Yalta erano segreti, la geografia della bandiera rossa si
dilatava fino alla Yugoslavia, che, fino a quando, nel 1948, Tito sarebbe stato condannato,
dalla "risoluzione" del Cominform in Romania, come nemico e traditore, costituiva parte
integrante del dominio sovietico. Una schiera di storici forniti di tessera del Partito
comunista è stata impegnata, per decenni, a dimostrare che il proprio partito, protagonista
della Resistenza, sarebbe stato, fino dal 1945, la possente forza motrice della democrazia
italiana, del pluralismo e dello stato di diritto, proteso a imporre le regole democratiche
contro il partito di De Gasperi, asservito agli Americani, succube della Confindustria,
prono al Vaticano. Quarant'anni di pubblicità storica hanno esercitato, come ha
dimostrato, ripetutamente, Pietro Scoppola, un'influenza prepotente,
permeando l'opinione collettiva tanto profondamente da fare dell'apologia comunista
certezza la cui solidità esenterebbe da ogni necessità di prova.
Il lessico marxista definisce democrazia, si deve ribadire, la dittatura del
proletariato attraverso il partito unico. Nel gioco dei contrari si è postulato, invece, come
assioma che non imponesse prove, che il Partito comunista fosse, nel 1945, partito
democratico nel senso che attribuisce all'aggettivo la filosofia liberale, non in quello che gli
assegna la dottrina di Karl Marx e dei suoi epigoni: un assunto tanto ardito da obbligare
alla dimostrazione più rigorosa. Una dimostrazione forse impossibile, siccome chi postula
il carattere liberale dell'antico Partito comunista può allegare, legittimamente, le
impegnative affermazioni di Togliatti al vertice di Salerno, dove lo stratega del
comunismo italiano proclamò che la scelta democratica doveva considerarsi definitiva e
irrevocabile, mentre gli scettici non hanno difficoltà a reperire cento prove per asserire che
il solenne proclama non sarebbero stato che espediente tattico: ad esempio le dichiarazioni
di Longo al vertice del Cominform, nel 1947, in Polonia, dove il dirigente italiano assicurò
ai delegati dei partiti fratelli che il Partito comunista disponeva di un esercito clandestino
perfettamente equipaggiato e pronto all'impiego appena scoccasse l'ora della Rivoluzione.
O la messe dei rapporti conservati negli archivi della Cia, contenenti ogni dettaglio sul
numero di uomini e armi, compresi cannoni e carri armati, pronti per la fatidica "ora x" in
ciascuna provincia italiana, un'autentica armata in Emilia.
Un partito democratico, baluardo della dialettica pluralistica sulla stampa e nelle
allocuzioni parlamentari, impegnato a mantenere efficiente, in segreto, un apparato
militare pronto all'eliminazione dei "nemici del popolo" che si potessero opporre
all'instaurazione di una democrazia diversa, quella della "dittatura del proletariato": sono i
due volti del Pci che hanno condotto alla coniazione della locuzione "doppiezza
togliattiana" e di quella, omologa, del "doppio binario", due espressioni sdegnosamente
respinte dalla cultura storica comunista, per trent'anni impegnata a celebrare i fasti di un
partito di adamantina coerenza liberale. La condizione di quella celebrazione: l'oblio di tre
anni di storia italiana, i tre anni in cui più inequivocabili sono state le prove del
perseguimento, da parte del Partito comunista, di una duplice strategia, uno dei cui volti
era prassi rivoluzionaria, quindi eversiva delle istituzioni cui lo stesso partito stava
contribuendo, con l'attività espressa sul binario legalitario, a dare vita nel confronto
dell'Assemblea costituente.
Se la cultura di ispirazione marxista ha operato perché tre anni di vita nazionale si
dissolvessero nell'oblio senza storia, a rendere più impenetrabile quell'oblio ha contribuito
la storiografia di ispirazione diversa, che alle vicende dell'alba della Repubblica non ha
dedicato l'attenzione nessaria perché la coscienza civile conoscesse le origini del consorzio
politico di cui esprime l'anima. Ma perché quelle vicende possano riemergere dalla notte
in cui sono affondate sono necessarie ricerche di archivio, è necessaria l’analisi e la
catalogazione di documenti, un lavoro paziente e oneroso, un impegno che dovrebbe
realizzarsi sulle memorie relative a tutte le sfere della vita civile. Tra quelle sfere un
caposaldo al quale, nella ricostruzione della storia d'Italia tra il '45 e il '48, dovrebbe
assegnarsi un ruolo di speciale rilievo è il confronto agrario.
L'Italia che esce dall'avventura fascista e dalla guerra è una nazione agricola: è
impiegata nei campi la maggior parte della forza lavoro, l'agricoltura assicura al reddito
nazionale un contributo superiore tanto a quello dell'industria quanto a quello dei servizi.
E in quella sfera essenziale della vita, economica e sociale sono compresse, da decenni,
tensioni che, contenute da secoli, hanno accumulato forze dirompenti. Il Fascismo ha
imposto la pace nelle campagne con una strategia fondata prima sulla violenza quindi su
rigidi equilibri di classe, operando per trasformare i braccianti in compartecipanti e
affittuari, legandoli alla terra con rapporti che ne consacrino la subordinazione. Ma i
lavoratori della terra, nel caleidoscopio delle categorie in cui si ripartiscono, non hanno
dimenticato le conquiste realizzate dall'alba del secolo alle lotte del 1920 e 1921, ricordano
che quelle lotte avevano assicurato storiche conquiste, e che proprio per questo sono state
soffocate con la violenza. Memori delle vittorie, e dell'umiliazione, i lavoratori della terra
alimentano, nel cuore, la fiamma del rancore, e l’attesa della rivalsa.
Rancore e desiderio di rivalsa costituiscono l'humus più fecondo per il proselitismo
comunista, che si sviluppa, segretamente, durante gli ultimi anni del Regime e si
intensifica nel suo crepuscolo, quando, nell'attesa del crollo che appare sempre più
prossimo, la rete clandestina dei partiti marxisti sfida ogni rischio per accelerare l'evento e
preparare l'instaurazione dell'organizzazione statale che dovrà sorgere sulle rovine dello
stato fascista, che, nella fede dei militanti impegnati nel duro lavoro segreto, dovrà essere
lo stato socialista.
La precarietà degli equilibri sociali e i frutti della preparazione clandestina
concorrono, in una mescolanza composita, a determinare l'esplosione dei primi moti
sociali dell'Italia liberata, che sono moti per la terra. Quei moti assumono, alle latitudini
diverse della Penisola, due volti incomparabili: è un'autentica insurrezione contadina che
divampa, nel Mezzogiorno, per la conquista del latifondo, mentre in Emilia è un'intera
categoria, quella mezzadrile, a combattere il confronto più aspro con la borghesia agraria,
guidata da un sindacato che dimostra l'efficienza di cui ha insegnato i canoni Vladimir
Lenin. Sono due crudi scontri civili, due capitoli della storia italiana ugualmente
sconosciuti, salvo agli iniziati di "storia del movimento contadino", una disciplina di studi
storici di specifica intonazione ideologica, che ha fallito, peraltro, l'obiettivo di trasfondere
nella cultura collettiva la considerazione verso due pagine storiche di cui postula l'epica
grandezza. Considerando quella grandezza peculiarità da verificare, di entrambe le
vicende è necessario affrontare l'esame secondo il metro della più prosaica obiettività, il
solo con cui sia possibile trarre dalla notte senza storia gli eventi che separano la rotta
delle armate tedesche dalla convocazione del parlamento che consacra l'affermazione
democristiana.
Ambedue le vicende oppongono all'indagine difficoltà molteplici: accomuna, nel
corso della storia, i periodi di confusa lotta civile la pluralità delle remore a vergare
cronache, a sottoscrivere lettere e documenti che, giungessero nelle mani degli avversari, si
tradurrebbero nella condanna dell'autore e dei suoi corrispondenti. Durante una guerra
civile la vita è lotta quotidiana, la sopravvivenza giornaliera meta suprema, la
preoccupazione della memoria futura una cura superflua. Anche dopo la Liberazione i
giornali stentano a trovare carta, che scarseggia anche negli uffici governativi e in quelli
sindacali, tanto che accomuna i documenti dell'epoca la redazione sul retro di carta
intestata delle organizzazioni fasciste. Ma anche ove la tipografia trovi la carta per
l'edizione quotidiana, mancano i corrispondenti, telefono e telegrafo funzionano
accidentalmente, la pubblicazione di certe notizie può innescare, infine, ritorsioni.
La ribellione contadina del Mezzogiorno si accende, così, in comuni pressoché privi
di collegamento con capoluoghi essi stessi distanti spazi incolmabili dalle autorità centrali,
prive, peraltro, di potere: a Enna, Cosenza, l'Aquila, le forze alleate, che detengono il
potere sul paese vinto, hanno lasciato presidi insignificanti, le autorità romane, cui i
vincitori consentono di usare il titolo di governo in termini pressoché simbolici,
incontrano difficoltà ad inviare ordini, sono incapaci, ove quegli ordini non siano eseguiti,
di inviare uomini e mezzi per imporne l'ottemperanza. La vertenza mezzadrile si
sviluppa, lotta sorda di un sindacato che riconosce i medesimi capi della lotta clandestina,
in campagne dove durante il giorno i quattro, cinque uomini della superstite stazione dei
Reali Carabinieri circolano guardinghi spianando le armi, dove di notte imperano le
organizzazioni militari che hanno combattuto, con eroismo, convincendosi di avere
sconfitto la Germania, e che, forti del ruolo vittorioso, reputano che il diritto delle armi
attribuisca l'arbitrio sul destino del Paese che ha pagato con la distruzione l'acquiescenza
alle illusioni imperiali di un agitatore romagnolo.
Su un periodo che ha lasciato tracce tanto volatili negli archivi avrebbe prestato un
contributo significativo a fissare gli eventi la raccolta delle testimonianze orali, di cui la
congiura dell'oblio non ha favorito la redazione. Tanto è stata intensa la raccolta delle
memorie orali sulla guerra partigiana, tanto la convenzione a dimenticare ha impedito che
la stessa procedura fosse diretta a identificare ciò che gli stessi uomini, con le stesse armi,
abbiano potuto compiere dopo il giorno fatale della Liberazione. Eppure è noto che di
quelle armi una parte cospicua non fu consegnata, all'indomani del 25 aprile, come
prescrivevano i bandi dei comandi alleati, ed è ugualmente noto che con quelle armi si è
sparato e si è ucciso ancora a lungo, nei tre anni in cui l'Italia ricercò faticosamente il
proprio volto democratico. Ma attribuire gli assassinii successivi alla Liberazione alle armi
della vittoria partigiana pare attentato morale, per evitare il quale la coscienza nazionale
ha preferito ignorare.
Delle due grandi agitazioni civili fissando l'attenzione su quella che si accende nel
Settentrione, orgogliosamente definita, allora, il "vento del Nord", una delle fonti che si
possono supporre, astrattamente, più ricche, è costituita dagli archivi delle organizzazioni
degli agricoltori, le controparti del sindacato socialcomunista che dello scontro fu il centro
direttivo. Ma non custodisce documenti, ad esempio, l'Associazione degli agricoltori di
Modena, che durante lo scontro fu devastata cinque volte, che conserva, tuttavia, un
memoriale redatto, in due versioni, dal proprio direttore, Aristodemo Cerea, uno dei
protagonisti dello scontro, sulla base di una meticolosa documentazione quotidiana, forse
un diario, che l'autore dovette custodire in luogo sicuro fino alla redazione del
dattiloscritto, che non porta data, che si può presumere compilato dalla metà alla fine
degli anni '50. Custodisce una molteplicità di documenti di straordinario interesse, invece,
l'Associazione degli agricoltori di Bologna, la provincia in cui la vertenza fu, forse, più
cruda. Raccolte in alcune cartelline chiuse, per quarantasette anni, in una vecchia
cassaforte, le carte dell'archivio bolognese comprendono lettere, circolari e rapporti, in
originale, più spesso in veline, che propongono il duplice problema dell'origine e
dell'autenticità.
Mentre i quesiti sul destino degli originali, e sulla ragione delle copie, appaiono
insolubili, inducono a supporre l'attendibilità dei documenti una constatazione e un
elemento di prova. La prima: nessuna delle carte custodite nella cassaforte
dell'Associazione fu mai utilizzata, neppure per la polemica settimanale sul periodico
dell'Associazione, un rilievo che conduce ad escludere che si tratti di artefatti compilati al
fine di alimentare lo scontro propagandistico. Il secondo: di una circolare della Federterra,
la controparte sindacale, la cassaforte degli agricoltori comprende anche la matrice di
ciclostile, conservata nella busta intestata ad una tipografia dal futuro radioso, la prova
che l'organizzazione si fosse assicurata intelligenze nel campo opposto, e che potesse
disporre, quindi, di materiale originale dalla centrale agraria del Partito comunista, la
circostanza che spiega l'origine delle più significative tra le carte dell'archivio bolognese.
L'esistenza, nell'archivio dell’Associazione, di documenti del campo avverso suggerisce il
quesito ulteriore dell’identità della fonte che li fornisse all'Associazione, o a un ufficio
governativo, ad esempio la Prefettura, dalla quale sarebbero stati trasmessi, in copia,
all'Associazione. Solo una ricerca tra le carte della Prefettura, non ancora consegnate
all'Archivio di Stato, potrebbe, forse, consentire una risposta: i documenti carpiti alla
controparte offrono, peraltro, la possibilità, a chi fosse in grado di eseguire la ricerca degli
originali negli archivi dell'antico Partito comunista, della verifica, necessaria e sufficiente,
dell’ autenticità delle carte della cassaforte bolognese.
La ricerca degli originali delle circolari della Federterra incluse nel dossier, eseguita
da chi scrive grazie alla cortesia di Francesco Albanese, incaricato degli archivi della
Confederazione italiana agricoltori, ha condotto ad un esito che, proprio perché negativo,
conferma in forma inequivocabile l’autenticità dell’archivio bolognese. Tutte le carte dei
sindacati aderenti alla Ggil relative agli anni della rifondazione sono state raccolte, infatti,
all’archivio provinciale centrale della Confederazione, nel quale il primo documento della
Federterra è costituito dagli atti del secondo congresso provinciale, tenuto a Bologna tra
l'11 e il 13 marzo 1947. Gli atti del secondo congresso provinciale confermano l’autenticità
delle circolari, conservate nel dossier dell’Associazione degli agricoltori, che fissano la data
del primo convegno del sindacato uscito dalla clandestinità il 27 giugno 1945, e non
menzionano il congresso di rifondazione, che sarà celebrato nel 1946. Il segretario che le
sottoscrive, Giorgio Volpi, lo stratega della prassi della minaccia armata, negli atti del
primo congresso di cui il sindacato abbia conservato la memoria non è menzionato
neppure tra gli ospiti. Chi ha decretato, per cancellare una pagina di storia politicamente
improponibile, la distruzione dell’archivio della Federterra tra il primo convegno nella
legalità e il congresso del 1946, e tra il primo e il secondo congresso, avrebbe dovuto, a
completare l’opera, falsificare il documento mutandone l’ordinale, così da definire primo
congresso quello che era, in realtà, il secondo. Il pudore che ha trattenuto dal commettere
il falso prova la verità dei documenti sopravvissuti in sede diversa, autorizza il critico più
severo ad arguire che l’archivio distrutto attestasse una vicenda sindacale in cui l’arma
negoziale scelta dagli strateghi comunisti era l’assassinio.
Il nesso politico
Ove, peraltro, alle carte conservate dall'organizzazione agraria si reputi di dover attribuire
anche solo un valore indiziale, nella lacunosità della documentazione, e nella sommarietà
delle analisi, sul triennio che separa il 25 aprile '45 dal 18 aprile '48 esse impongono un
rilievo che riveste, per la comprensione del periodo, un'importanza ingente, il rilievo della
connessione univoca tra vertenza agraria, in quanto elemento di una più complessa azione
politica, e attività eversiva dei gruppi armati.
Del nesso qualche memorialista di parte comunista, menziono Mario Lasagni,
respinge con sdegno la sola ipotesi, asserendo che gli assasinii che si succedono dopo la
Liberazione sarebbero opera di "schegge impazzite" delle forze partigiane, di cui sarebbe
infamia attribuire la responsabilità al Partito comunista e al sindacato che ne costituisce la
leva nelle campagne. Più obiettivamente altri cronisti, menziono Nazario Sauro Onofri,
riconoscono l'evidenza. "I coloni iscritti al PSI e alla DC decisero di proseguire l'agitazione -
scrive Onofri rievocando, in Il triangolo rosso, l'opposizione dei proprietari alla richiesta di
mutamento delle quote di divisione-. Quelli aderenti al PCI si divisero in due gruppi: uno, il
più grosso, optò per il proseguimento della vertenza; l'altro per la lotta armata."
Legittimamente, Onofri elenca tutti gli argomenti che, nell'opacità delle fonti,
consentono di delimitare gli esiti dell'azione eversiva a un numero sostanzialmente
modesto di assassinii.
La connessione dell'attività armata con la lotta politica è stata dimostrata con prove
inconfutabili, peraltro, da Giovanni Fantozzi nell'accurata indagine sull'Ordine pubblico a
Modena dopo la Liberazione, quella con la lotta agraria risulta di ancora più difficile
confutazione di fronte alla serrata logica del memoriale conservato a Modena, che rievoca
l'agitazione come opera di una legione di capilega obbedienti alle direttive del sindacato
secondo i canoni dell'attivismo leninista, che è azione politica ordinata da un'autentica
disciplina militare. Appare di negazione impossibile di fronte ai documenti bolognesi,
concordanti e inequivocabili.
Salvo, di quei documenti, decretare la falsità, pronunciando una sentenza che
dovrebbe coinvolgere l'intero archivio, un'opzione che se supporre l’autenticità impone di
superare qualche perplessità, non potrebbe fondarsi su alcun argomento plausibile: chi la
pretendesse dovrebbe spiegare quali ragioni diverse dal dogma ideologico imporrebbero
di reputare falsi documenti vergati su carta intestata di organismi fascisti, redatti con
macchine da scrivere o su matrici ciclostile dell’epoca, suggellati da decine di timbri del
C.L.N. e firmate dai relativi dirigenti.
Chiave del complesso di documenti l’imporsi, inequivocabile, del legame tra la
rivendicazione condotta dalla Federterra, l'azione dei sindaci comunisti, che con l'autorità
del Comitato di Liberazione Nazionale si premurano di esercitare ogni pressione sui
proprietari renitenti perché accettino le imposizioni sindacali, la regia di autorità
clandestine che recapitano lettere di minaccia ai possidenti ostili e ai mezzadri che
infrangano la disciplina di classe, pretendono versamenti a favore di immaginari fondi di
ricostruzione, decretano la condanna di chi non abbia sottostato ai propri imperativi,
dirigono l'opera delle squadre armate che intervengono, con meticolosa puntualità, dove il
confronto sindacale non abbia portato i frutti attesi.
Al nesso tra lotta agraria e azione armata si salda il problema della matrice della
vertenza mezzadrile, di cui a Modena e a Reggio Emilia non è possibile individuare le
origini, che con eguale verosimiglianza possono attribuirsi a fermenti spontanei o a
decisioni sindacali, che le carte di Bologna impongono di ascrivere a ordini politici
impartiti, clandestinamente, prima che qualunque sindacato si fosse ricostituito e potesse
deliberare, democraticamente, le rivendicazioni da avanzare alla controparte. A chi ne
affronti l'analisi in ordine cronologico, un impegno cui la mancanza di data di più di una
carta impone di assolvere ricorrendo a qualche supposizione, i documenti dell'archivio
bolognese suggeriscono la prima constatazione di rilievo imponendo di riconoscere che
l'agitazione si apre prima che la Liberazione sia compiuta. Il primo della serie è costituito
dalla copia di una lettera di disposizioni sindacali emanate da un comando clandestino
mentre nessuno è in grado di prevedere quando un sindacato potrà essere ricostituito:
"Copia
Comitato di Liberazione Nazionale
Egregio Signore,
In seguito Vs/ lettera Vi comunichiamo le decisioni prese in merito alla Vostra situazione
particolare. I fittavoli ritengono Voi il solo responsabile che da diversi mesi essi non sono più a
contatto con la proprietà. Vi invitiamo perciò: ad affrettare la corresponsione a detti fittavoli come
da patto colonico da Voi ricevuto, agendo eventualmente anche di Vostra iniziativa. Il Comitato di
liberazione nazionale, unico e legittimo organo di Governo, Vi autorizza, qualora la proprietà non
si dimostri propensa a soddisfare le esigenze dei fittavoli, a vendere od ipotecare i fondi pur di
soddisfare a dette necessità.
14 aprile 1945
Il Comitato di Liberazione Nazionale
timbro C L N San Pietro in Casale"
In calce si leggono alcune annotazioni:
"-Hanno preteso restituzione affitti
-Restituiti.
-Agente fiduciario Ardizzone Alessandro per la signora Traebwell Elsa Fornasini in Marzari,
Mirabello Ferrara
Propr. S Pietro in Casale, Galliera, S. Lazzaro Savena ettari 158"
Il 14 aprile le truppe tedesche resistono ancora con tenacia, nelle campagne
emiliane, alle armate americane che premono dall'alto degli Appennini e dalla Romagna, e
se è dato supporre che la loro resistenza non possa protrarsi, per la differenza dei mezzi,
indefinitamente, nessuno può prevedere che essa si dissolverà entro una settimana. La
lettera al fattore della signora Fornasini Marzari prova, peraltro, che una trattativa tra le
due parti è in corso da tempo, probabilmente, date le difficoltà di comunicazione, da mesi,
che, sotto gli obici, i responsabili del Cln del borgo bolognese si sentono tanto sicuri
nell'imporre la propria soluzione da dettare condizioni ultimative, fino all'ordine di
vendere i poderi, suggellando l'imposizione con l'uso di un timbro che, fosse conosciuto
dalle autorità tedesche, determinerebbe conseguenze mortali.
La constatazione è in contrasto, si deve rilevare, col tenore del memoriale
modenese, che sostiene che al compimento della Liberazione i proprietari di poderi
mezzadrili non prevedessero la tempesta incombente. La divaricazione non è facilmente
comprensibile, salvo supporre che nelle campagne bolognesi sia stata sperimentata, negli
ultimi mesi della lotta clandestina, una strategia che la fruttuosità dei risultati avrebbe
suggerito di estendere a tutta l'Emilia mezzadrile, un'ipotesi che solo lo studio, oggi
improbabile, dei documenti più riservati della Direzione comunista dell'epoca
consentirebbe di confermare o di accantonare.
Il secondo elemento di precipuo interesse della prima prova documentale
dell'agitazione mezzadrile in provincia di Bologna è l'entità delle rivendicazioni: chi le ha
definite non chiede aggiustamenti del contratto, non discute di clausole e appendici,
decreta la restituzione dei canoni versati, e pur di ottenere quanto pretende comanda di
vendere o ipotecare i fondi. L'entità delle richieste sarà il carattere peculiare
dell'agitazione, opera di strateghi che paiono mirare ad alimentare il convincimento che
non esistono limiti a quanto il sindacato è in grado di assicurare agli iscritti, una direttrice
che sarà abbandonata solo dopo l'insediamento di un potere capace di assicurare l'ordine
con l'impiego della forza, inducendo i mezzadri a non porre a repentaglio quanto avranno
ottenuto. Fino a quel giorno il sindacato non chiede di ridiscutere qualche clausola del
contratto mezzadrile, pretende di ristabilirne la sostanza secondo il proprio disegno di
riassetto degli equilibri di classe: il connotato di uno scontro politico, non di una vertenza
sindacale, quel connotato che spiega perché l'agitazione sia innescata dai dirigenti politici
della lotta clandestina, non dai funzionari di un sindacato che non si è ancora formalmente
ricostituito.
I mezzadri sono, secondo la dottrina leninista cui si ispirano i dirigenti comunisti
dell'epoca, quei "contadini ricchi" con cui è vantaggioso stabilire alleanze che consentano
di schierarli a fianco del partito, alleanze da dissolvere, il giorno della Rivoluzione,
trattando i temporanei alleati come meritano esponenti della piccola borghesia di cui la
dottrina marxista predica l'estirpazione. Nelle richieste della Federterra durante la dura
vertenza è difficile non vedere la volontà di appagare un ceto che si reputa insaziabile di
vantaggi economici, di cui domani sarà giusto frustrare l'avidità.
Quando le condizioni della lotta diverranno meno propizie, i mezzadri rifiuteranno
di porre a repentaglio i vantaggi conquistati: constatato che il ceto che hanno condotto alla
lotta è meno insaziabile di quanto avessero supposto, e che i benefici conseguiti lo
inducono all'acquiescenza, i dirigenti comunisti riconosceranno che lo scontro non
potrebbe protrarsi. Lucidamente, esalteranno come successo, allora, quanto sarà
vantaggioso per il ceto che hanno guidato alla lotta, ma astronomicamente lontano dagli
obiettivi iniziali, corrispondenti, nella sostanza, alla radicale eversione della proprietà
borghese della terra. Ma il ceto che è sceso in guerra non accetterebbe di combattere
ancora, proporsi mete più ambiziose sarebbe vano, l'agitazione deve concludersi,
consolidando la riconoscenza dei beneficiari, da utilizzare in battaglie future.
Paradossalmente, divenuti piccoli possidenti, i mezzadri emiliani resteranno solido
supporto rurale di un Partito comunista che si evolverà, felicemente, accettando sempre
più integralmente i canoni della democrazia borghese.
Seguendo l'ordine cronologico, il secondo documento dell'archivio bolognese è la
copia di una lettera indirizzata, seppure manchi l'indicazione del destinatario,
all'Associazione, in risposta, palesemente, all'invito di comunicare le ragioni
dell'accoglimento delle pretese mezzadrili senza espletare la resistenza che l'Associazione
chiede di opporre, incondizionatamente, alle rivendicazioni sindacali.
"In merito all'avvenuta liquidazione dei conti colonici tra me e il colono Nanni Otello effettuata per
l'anno 1943-44 in base alle rivendicazioni clandestine faccio presente quanto segue:
La sera del 27 o 28 aprile mio fratello Romeo si vide comparire il colono Nanni Otello che
reclamò a nome suo, di "Cesarino" e di "Mario" la liquidazione dei conti colonici 1943-44 in base
alle rivendicazioni così dette "clandestine".
Il Nanni...disse che se i conti non venivano regolati entro il giorno successivo per mio
fratello si sarebbe creata una grave situazione e che l'avvertimento proveniva dai capi comunisti di
Conselice "Cesarino" e "Mario". Subito dopo fu bussato alla porta e a mio fratello si presentarono
due ragazzi armati di mitra e pistola con un elenco di quattro nomi, fra i quali quello di mio nonno.
Dissero che mio nonno doveva seguirli fino a Portonovo per chiarimenti politici, ma rilevata l'età
(85 anni) e le condizioni fisiche... se ne andarono senza effettuare il prelevamento Da notare che
mentre i due arrivati hanno voluto i dati e i chiarimenti a carico di mio nonno e mio fratello, hanno
nello stesso tempo perfettamente ignorato la presenza del Nanni.
Dopo quella sera il Nanni fece nuove pressioni a mio fratello finché ... io...in data del giugno
mi decisi ad accedere alle insistenze del colono, anche perché altri fatti intimidatori verificatisi nella
zona a carico di altre proprietà mi convinsero della impossibilità di resistere alle pressioni ricevute
senza pericolo per l'incolumità fisica dei membri della mia famiglia.
Bollini Otello"
Il testo presenta due elementi preminenti di interesse. Il primo è costituito dalla
data dell'evento riferito, il 27 aprile, sei giorni dopo la Liberazione, che a Bologna si
compie il 21: la conferma che gli obiettivi della vertenza sono stati decisi, dalla dirigenza
clandestina del Partito comunista, prima che la Federterra abbia riorganizzato il proprio
apparato, e che l'oggetto della rivendicazione sia stato proposto, discusso e approvato dai
mezzadri riuniti in assemblea, la peculiarità di un'agitazione politica, non di una vertenza
sindacale. Conferma la deduzione la definizione delle rivendicazioni, identificate
come clandestine, un termine che non potrebbe sancire in modo più trasparente pretese
avanzate, unilateralmente, prima della possibilità di ogni confronto sindacale, quando è
ancora in corso la lotta insurrezionale.
Se, peraltro, le prime rivendicazioni, precedenti il 21 aprile, erano "clandestine",
quelle successive sono illegali, siccome le autorità alleate hanno sancito, per riportare la
tranquillità nelle regioni in cui si è consumato l'ultimo atto del conflitto, il "congelamento"
di tutti i rapporti contrattuali. I dirigenti comunisti che muovono i mezzadri all'agitazione
sanno di sfidare le autorità alleate. E' difficile accettare il dubbio che la sfida non sia
intenzionale.
Il secondo dato significativo è la prova del ricorso al prelevamento, il termine con cui
nell'Emilia mezzadrile si designa, dall'alba della Liberazione, il sequestro di un avversario
da parte di una banda armata, come mezzo per chiudere i conti mezzadrili, una prova di
quel nesso che i memorialisti comunisti cercano, comprensibilmente, di esorcizzare.
Implicitamente, la lettera di Otello Bollini all'Associazione smentisce ogni pretesa che il
sindacato fosse estraneo ai contratti sottoscritti sotto minaccia di morte: la squadra armata
visita il possidente iscritto nell'elenco dopo che il mezzadro ha minacciato l'intervento
delle autorità clandestine, e conferma la minaccia in presenza del mezzadro. La lettera con
cui l'Associazione chiedeva le ragioni dell'accoglimento delle rivendicazioni, una circolare
prestampata, veniva inviata, si deve aggiungere, ai proprietari la cui accettazione fosse
stata pubblicata sulla stampa comunista: il nome dei fretelli Bollini è apparso, quindi, su
un foglio di partito, la prova che l'appoggio al mezzadro Nanni di "Cesarino" e "Mario"
non costituiva millantazione, siccome i dirigenti clandestini si sono premurati di
trasmettere la notizia della sottoscrizione appena il loro intervento ha ottenuto l'esito
atteso.
Il terzo documento della serie è uno dei primi tra le decine di profili di possidenti
assassinati:
"Sigora Laura Emiliani Ved. Costa fu Luigi, nata a Bologna, prelevata ad Asia (San Pietro in
Casale) il 7 maggio 1945 alle ore 21 con macchina con targa coperta.
Non é mai stata repubblicana e si è sempre occupata esclusivamente della gestione delle sue
aziende condotte a mezzadria.
Aveva avuto richiesta di liquidare i conti ai propri coloni in base alle richieste fatte da un
comitato di coloni."
E' uno dei primi assassinii successivi alla Liberazione. L'elemento significativo è, di
nuovo, la connessione tra la morte e l'intimazione di saldare i conti secondo i canoni
sanciti dai coloni, che non possono, per elementari ragioni cronologiche, avere ricevuto
istruzioni da un libero sindacato, che, seppure si sia ricostituito, tempestivamente, da due
o tre giorni, non ha avuto il tempo di discutere, in assemblee democratiche, quali
rivendicazioni indirizzare ai concedenti. L'ordine di saldare i conti, e le modalità contabili,
non possono essere state impartite che da un comando armato, in grado di punire, con la
condanna a morte, chi opponga resistenza. Il profilo precisa che la signora assassinata non
ha avuto rapporti con le forze di Salò, un'espressione dello sforzo di chi raccolse le carte
dell'archivio bolognese di distinguere i delitti collegati alla vertenza agraria da quelli di
matrice politica o costituenti la mera conseguenza di estorsioni.
Proseguendo l'esame cronologico dei documenti troviamo la copia della lettera
all'Associazione appena costituita di un possidente, Giuseppe Aristide Serra, che riferisce
delle minacce con le quali il mezzadro gli ha intimato di saldare i conti diffidandolo dal
rimettere piede sul podere, che ormai, dichiara, gli appartiene:
"Alla Associazione Provinciale degli Agricoltori di Bologna
Informo codesta Associazione che sabato 9 Giugno alle ore 15 trovandomi davanti alla mia
abitazione sita Lame di Fiegnano (Casal Fiumanese) si presentò il mio colono Carboni Augusto
residente alla Cameruzza (Casalfiumanese) il quale mi si avvicinò pronunciando in dialetto le
seguenti parole "O crumiraccio, è ora di finirla, paga stasera le opere come ho detto io e il fieno
invece lo vendo per conto mio. Non importa che tu venga alla Cameruzza perché il fondo è mio e io
me ne sto a letto al mattino fino alle 8 o alle 9 come fanno i signori, dicono che io sia un pistolone!
Ma il fondo ti ripeto che è mio e se tu vieni ti ammazzo."
Nella serata è ripassato e io lo invitai in casa dove avemmo un breve colloquio che però finì
senza alcuna giustificazione con il pronunciamento di quanto segue: "Insomma è ora di finirla
perché io ti ammazzo e dopo morto ti sparo quattro revolverate nello stomaco.
Serra Giuseppe Aristide"
Il documento successivo consiste nella denuncia dell'occupazione abusiva di un
podere, inoltrata alle autorità alleate, l'esempio di una richiesta di intervento che dovette
conoscere centinaia di repliche:
"Al Colonnello Bowman
Headquarter E. R.
Signore,
nella proprietà terriera della Signora Laura Mongardi De Ballmoos (sita a Sasso Morello
d'Imola) il mezzadro morì il 15 Aprile 1945 (come sembra) proprio il giorno della liberazione...Così
essa scelse, come successore del contadino morto, un altro mezzadro che accettò...
Ma quando la proprietaria arrivò al podere trovò che una cooperativa di operai, senza avere
dato notizia a nessuno, neppure a lei stessa, aveva preso il posto del mezzadro. Essi stabilirono che
dovevano restare là perché avevano fissato la loro abitazione nella casa del contadino ed avevano
eseguito alcuni lavori, che peraltro nessuno li aveva richiesti di eseguire. In tal modo impedivano al
nuovo mezzadro di entrare in casa e cominciare il suo lavoro...
Essa, perciò, si appella a Voi perché l'assistiate nel liberare la proprietà dagli attuali
arbitrari occupanti che impediscono al nuovo contadino di entrare nella casa assegnatagli e di
intraprendere il suo lavoro..."
A identificare il significato della lettera si deve sottolineare che la denuncia non
riguarda tanto l'occupazione dell'abitazione, che, date le distruzioni che si sono verificate
attorno alla via Emilia, giustificherebbe lo stato di necessità, ma l'occupazione del podere,
con la pretesa di intraprenderne la conduzione in forma di cooperativa, una pretesa che
dimostra, ancora, il convincimento di mezzadri e braccianti di potersi trasformare, al
termine del conflitto, in proprietari, un convincimento che si deve supporre gli attivisti
comunisti si peritino di ravvivare contro i bandi militari che, per riportare la tranquillità,
hanno sancito la cristallizzazione di tutte le situazioni giuridiche fino al ripristino del
potere amministrativo e giudiziario delle autorità italiane.
Il 19 giugno si svolge la prima assemblea dell'Associazione degli agricoltori.
E'presente l'avvocato Donini, segretario generale della Confida, la confederazione
dell'agricoltura ricostituita a Roma nel 1944. Presiede i lavori l'avvocato Lalatta, che
riferisce che le trattative avviate con la Federterra per fissare le tariffe bracciantili per la
trebbiatura, che iniziate, dobbiamo supporre, nei giorni successivi la costituzione, si sono
interrotte per il rifiuto del sindacato di discutere di tariffe se non si risolva,
preliminarmente, la questione mezzadrile secondo le proprie pretese. E' una circostanza,
ancora, in contrasto con le scelte che il medesimo sindacato ha assunto a Modena, dove
concorda le tariffe delle "squadre d'aia" senza porre pregiudiziali connesse ai patti
mezzadrili. Il confronto si accenderà, a Modena, sulle aie, dove le rivendicazioni
mezzadrili interverranno ad alterare una divisione del prodotto che, concordate le tariffe,
non proporrebbe ragioni di controversia, una successione di eventi che indurrebbe a
ritenere che l'ordine di accentuare l'agitazione mezzadrile giunga, a Modena, dopo la
verifica dei risultati del conflitto a Bologna.
I presenti votano un ordine del giorno che ribadisce che i rapporti mezzadrili sono
stati prorogati dal decreto di Gullo, il ministro, comunista, dell'agricoltura del governo
Badoglio e del governo Parri, del 5 aprile, fino ad un anno dalla cessazione dello stato di
guerra, che quindi "...l'Assemblea dichiara non potersi far luogo a trattativa che miri a infirmare
l'essenza della mezzadria, mentre potranno discutersi tutte quelle richieste che non incidono le
basi del rapporto, ma si riferiscono a particolari contingenze create dagli eventi bellici."
Bibliografia
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-Anonimo (Cerea Aristodemo), Memoria documentata sulla situazione in provincia di Modena
(agitazione mezzadrile), dattiloscritto di 81 pagg. s. d.
-Associazione agricoltori della provincia di Bologna, Libro dei verbali dell'Assemblea
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Bogliari Francesco, Bruti Liberati Luigi e altri, Stato e agricoltura in Italia 1945-1970, Editori
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sett 1945, direttore Renzo di Carrobbio, 1945 n° 13, 1946 n° 32, quindi L'Agricoltore
Modenese Notiziario dell'Associazione Agricoltori di Modena, direttore Aristodemo Cerea, 1947
n° 21, quindi L'Agricoltore Modenese Periodico dell'Associazione Agricoltori, 1948 n° 19, 1949
n° 14, 1950 n° 15, 1951 n° 16 + suppl., 1952 n° 19, 1953 n° 19 + suppl., 1954 n° 16, 1955 n° 16,
1956 n° 17, 1957 n° 18
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Kautsky Karl, La questione agraria, traduzione di Giuseppe Garritano, Il pesiero socialista,
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-Stalin, La questione contadina, S.T.A.L.I.N. Italia Nuova, Napoli s.d.
Sommario
LO SCONTRO MEZZADRILE NELLE CAMPAGNE BOLOGNESI
Dalla Liberazione al 18 aprile: tre anni senza memoria
Il nesso politico
La moltiplicazione delle pretese
La riforma agraria
Requiem per la mezzadria
Bibliografia