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3/2021 • mensile
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AL 1° POSTO IN
ITALIA IN RICERCA
E SVILUPPO.
ANCHE DI SOGNI.
L’eccellenza tecnologica è una nostra priorità, da sempre. Investiamo 1,5 miliardi per cercare
sempre nuove soluzioni all’avanguardia, per migliorare i prodotti esistenti e, soprattutto, per
diffondere innovazione.
CONSIGLIO REDAZIONALE
Flavio ALIVERNINI - Luciano ANTONETTI - Marco ANTONSICH - Federigo ARGENTIERI - Andrée BACHOUD
Guido BARENDSON - Pierluigi BATTISTA - Andrea BIANCHI - Stefano BIANCHINI - Nicolò CARNIMEO
Roberto CARPANO - Giorgio CUSCITO - Andrea DAMASCELLI - Federico D’AGOSTINO - Emanuela C. DEL RE
Alberto DE SANCTIS - Alfonso DESIDERIO - Federico EICHBERG - Ezio FERRANTE - Włodek GOLDKORN
Franz GUSTINCICH - Virgilio ILARI - Arjan KONOMI - Niccolò LOCATELLI - Marco MAGNANI - Francesco
MAIELLO - Luca MAINOLDI - Roberto MENOTTI - Paolo MORAWSKI - Roberto NOCELLA - Giovanni ORFEI
Federico PETRONI - David POLANSKY - Alessandro POLITI - Sandra PUCCINI - Benedetta RIZZO - Angelantonio
ROSATO - Enzo TRAVERSO - Fabio TURATO - Charles URJEWICZ - Pietro VERONESE - Livio ZACCAGNINI
Fabrizio MARONTA
COORDINATORE AMERICA
Dario FABBRI
COORDINATORE LIMESONLINE
Niccolò LOCATELLI
COORDINATRICE SCIENTIFICA
Margherita PAOLINI
CARTOGRAFIA E COPERTINA
Laura CANALI
COORDINATORE TURCHIA E MONDO TURCO
Daniele SANTORO
CORRISPONDENTI
Keith BOTSFORD (corrispondente speciale)
Afghanistan: Henri STERN - Albania: Ilir KULLA - Algeria: Abdennour BENANTAR - Argentina: Fernando
DEVOTO - Australia e Pacifco: David CAMROUX - Austria: Alfred MISSONG, Anton PELINKA, Anton
STAUDINGER - Belgio: Olivier ALSTEENS, Jan de VOLDER - Brasile: Giancarlo SUMMA - Bulgaria: Antony
TODOROV - Camerun: Georges R. TADONKI - Canada: Rodolphe de KONINCK - Cechia: Jan KR̆EN - Cina:
Francesco SISCI - Congo-Brazzaville: Martine Renée GALLOY - Corea: CHOI YEON-GOO - Estonia: Jan
KAPLINSKIJ - Francia: Maurice AYMARD, Michel CULLIN, Bernard FALGA, Thierry GARCIN - Guy HERMET,
Marc LAZAR, Philippe LEVILLAIN, Denis MARAVAL, Edgar MORIN, Yves MÉNY, Pierre MILZA - Gabon: Guy
ROSSATANGA-RIGNAULT - Georgia: Ghia ZHORZHOLIANI - Germania: Detlef BRANDES, Iring FETSCHER,
Rudolf HILF, Josef JOFFE, Claus LEGGEWIE, Ludwig WATZAL, Johannes WILLMS - Giappone: Kuzuhiro JATABE
Gran Bretagna: Keith BOTSFORD - Grecia: Françoise ARVANITIS - Iran: Bijan ZARMANDILI - Israele: Arnold
PLANSKI - Lituania: Alfredas BLUMBLAUSKAS - Panamá: José ARDILA - Polonia: Wojciech GIEŁZ·Y7SKI
Portogallo: José FREIRE NOGUEIRA - Romania: Emilia COSMA, Cristian IVANES - Ruanda: José KAGABO
Russia: Igor PELLICCIARI, Aleksej SALMIN, Andrej ZUBOV - Senegal: Momar COUMBA DIOP - Serbia e
Montenegro: Tijana M. DJERKOVI®, Miodrag LEKI® - Siria e Libano: Lorenzo TROMBETTA - Slovacchia:
Lubomir LIPTAK - Spagna: Manuel ESPADAS BURGOS, Victor MORALES LECANO - Stati Uniti: Joseph
FITCHETT, Igor LUKES, Gianni RIOTTA, Ewa THOMPSON - Svizzera: Fausto CASTIGLIONE - Togo: Comi M.
TOULABOR - Turchia: Yasemin TAŞKIN - Città del Vaticano: Piero SCHIAVAZZI - Venezuela: Edgardo RICCIUTI
Ucraina: Leonid FINBERG, Mirosłav POPOVI® - Ungheria: Gyula L. ORTUTAY
Rivista mensile n. 3/2021 (marzo)
ISSN 2465-1494
Consiglio di amministrazione
Presidente John Elkann
Vicepresidente Carlo Perrone
Amministratore delegato
e direttore generale Maurizio Scanavino
Consiglieri Giacaranda Maria Caracciolo di Melito Falck
Marco de Benedetti, Turi Munthe
Tatiana Rizzante, Pietro Supino, Enrico Vellano
Direttori centrali
Relazioni esterne Stefano Mignanego
Risorse umane Roberto Moro
Divisione Stampa nazionale
Direttore generale Corrado Corradi
Prezzo 15,00
Distribuzione nelle librerie: Messaggerie Libri SpA, via Giuseppe Verdi 8, Assago (MI), tel. 02 45774.1 r.a.
fax 02 45701032
Responsabile del trattamento dati (dlgs 30 giugno 2003 n. 196) Lucio Caracciolo
Pubblicità Ludovica Carrara, lcarrara@manzoni.it
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La corrispondenza va indirizzata a Limes - Rivista Italiana di Geopolitica, via Cristoforo Colombo 90
00147 Roma, tel. 06 49827110
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196, GEDI Gruppo Editoriale SpA. rende noto che presso la sede di via Cristoforo Colombo 90, 00147 Roma esistono banche dati
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SOMMARIO n. 3/2021
EDITORIALE
7 Non di solo Draghi
(in appendice: Fabrizio MARONTA - Quando America
parlò perché Europa intendesse)
PARTE II ITALIA/ITALIE
AUTORI
221
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A CHE CI SERVE DRAGHI
D
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8 1. Benedetto XVI, «Udienza Generale. Piazza San Pietro. Mercoledì, 24 maggio 2006», vatican.va
A CHE CI SERVE DRAGHI
MONTENEGRO 84.163
ALBANIA 117.474
NORVEGIA MACED. DEL NORD 112.930
80.734
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4.276.799 712.527
CANADA
915.644 ESTONIA 86.086
TURCHIA
Contagi registrati al 15 marzo 2021 2.879.390
3.223.142 ITALIA
Da 6.083 a 496.464
da 524.196 a 915.644 MALTA CIPRO
26.748 GRECIA 39.651
da 1.178.444 a 4.276.799 222.281
29.451.578
Fonte: Center for Systems Science and Engineering at Johns Hopkins University
A CHE CI SERVE DRAGHI
subìto da chi non si stima ma cui si continua a voler bene senza ri-
cordare perché. Insieme, coscienza che una punizione più dolorosa
avrebbe rischiato di schiantare la propria piattaforma strategica nel
Mediterraneo e consegnarla ai cinesi, ai russi o al caos. Con rifessi
destabilizzanti sull’intera Nato. Quanto ai signori di Pechino, vacci-
nati contro la leggendaria inaffdabilità di un paese che considerano
parente per costituzione geopolitica – nel loro immaginario siamo
Roma più che Italia, godibile reincarnazione in sedicesimo di un im-
pero solo tre millenni più giovane del loro – aspettano la prossima
occasione. Verrà.
Se alziamo lo sguardo per cogliere la dinamica delle forze che
premono intorno e dentro di noi – la porta di casa è sempre socchiu-
sa, basta spingere – cogliamo l’altezza della posta in gioco. Gli Stati
Uniti considerano l’Europa proprietà inalienabile (carta 2). L’infltra-
zione cinese e la persistente infuenza russa non consentono tolleran-
za. Gli europei debbono schierarsi. Finita la ricreazione. Ma scaduta
anche la fase storica segnata dalla perfetta coincidenza degli interes-
si vitali di euroccidentali e americani. L’Occidente della guerra fred-
da è fnito con la guerra fredda. Ne restano le istituzioni atlantiche,
non l’anima. Rispetto ad allora, il vincolo americano è apprezzato a
14 intensità rovesciata dai soci europei. Quanto più geografcamente
A CHE CI SERVE DRAGHI
4. C. BENSO conte di CAVOUR, intervento alla Camera dei deputati del Regno di Sardegna,
tornata del 6/2/1855.
5. D. GRANDI, discorso al Gran Consiglio del Fascismo, 2/10/1930, in ID., La politica estera
dell’Italia (1929-1932), vol. I, Roma 1985, Bonacci, pp. 277-327. Cit. in A. PREST, «Dino
Grandi a Palazzo Chigi: la politica del peso determinante», Università degli Studi di Milano,
facoltà di Scienze politiche, economiche e sociali, 16/5/2017, academia.edu 15
16
2 - EUROPA COME PARTE DELL’IMPERO STATUNITENSE
FINLAN.
NON DI SOLO DRAGH
NORVEGIA
AUSTRALIA
SVEZIA EST.
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REGNO UNITO BELGIO LIT.
LUSS.
(Principale
alleato militare)
BIELORUSSIA
RO
Torino fnanziate in proprio
AZ
dalle Regioni
IA
Emilia - Fonte: Gimbe 2010-17
Bologna Romagna
Liguria Prodotto interno lordo
Media nazionale=100
Firenze
Pil superiore al 110%
Toscana
Marche Pil che sfora il 60%
Perugia
Umbria Presenza di lavoratori
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Calabria
Palermo
Prime 10 province
per numero di contagi
Faglie nuove (durante l’epidemia di Covid-19) da Covid-19 (9/3/2021)
Sicilia Catania Milano 215.573
Controlli doganali; Accentramento su Roma
semi-sospensione della di sanità, istruzione, mobilità, Roma 175.408
libera circolazione welfare, coordinamento Napoli 170.282
industriale e politiche Torino 139.803
Province maggiormente fscali d’emergenza Brescia 76.156
colpite dal Covid-19
Isole in regime Bologna 68.821
Capoluoghi di Regione di semi-isolamento Treviso 66.935
e Provincia con maggior a causa della riduzione Varese 65.987
incremento di mortalità dei collegamenti aerei Verona 65.728
sulla media storica e marittimi
Padova 64.880
Fonte: elaborazioni su dati del ministero della Salute
2 - LA SICILIA ALLA DERIVA Golfo di Italia in crisi
Taranto esistenziale
S ardegna
Ponte sullo Stretto,
necessità strategica
Cagliari Capo Carbonara Calabria
Via della seta
Gioia Tauro marittima
Verso Gibilterra Zona controllata
ORDOLANDIA Palermo da milizie amazigh
Messina Reggio Calabria (berberi)
C A O S L A N D I Favignana
A S I TA L I A Capo Spartivento al-Haṭṭ
Strada litoranea
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tr
S i c i l i a Sigonella
Biserta
e Mazara del Vallo Reticolato lungo
il confne Tunisia/Libia
tt Niscemi
Augusta
o Direttrici migratorie
Capo Bon
d Basi Usa in Italia
Tunisi
Pantelleria i Portopalo di Capo Passero
S Radar italiani
ic La Valletta
il
Linosa MALTA O L A N D I A
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Lampione S L A N D I A
Lampedusa C A O Verso Suez
TUNISIA
ALGERIA
nel caos Tratto della rotta dei tre oceani:
Atlantico-Indiano-Pacifco
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ra M A R M E D I T E R R A N E O lan
Ben Guerdane wā dia
Zu Tripoli
al-Hatt Limite delle acque interne libiche non riconosciuto dall’Italia
(la linea) Tripolitania Cirenaica
turca Misurata Golfo della Sirt e r us s a
3 - A CHE CI SERVE DRAGHI Impero Europeo
dell’America
FINLANDIA
NORVEGIA
Migrazioni
verso l’Italia
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OCEANO ATLANTICO Varsavia Nuove vie della seta in crisi
Francoforte
Bruxelles sul Meno ga UCRAINA
UUCR
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CRRAIINAA
Pra Asse del nuovo Est
Parigi a Cuscinetto
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all’Impero
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FRANCIA
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Tre Caspio
Trieste
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Roma
ITALIA
ITA
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TTAALIA T U R C H I A
Pseudoalleato
Pseudoallea
con ambizioni
bi i i iimperiali
Stretto di Gibilterra
Roma-Parigi-Francoforte
(Rapporto speciale ma non paritario)
ALGERIA MALTA
Atene/Pireo Controllo del territorio in Libia
Roma-Bruxelles TUNISIA (hub cinese)
(Rapporto secondario) Esercito nazionale libico (Enl)
O LI a Mar Mediterraneo legato ai russi
ATT
Roma-Berlino RIP at
T s ur Governo di accordo
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(Rapporto decisivo ma teso) si
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Mi ga nazionale (Gna)
n Canale di Suez
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Aree desertiche
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(Legati a flo doppio) - ITA BR Presenza militare turca (Tripolitania)
L TO EGITTO
5 Roma-Mosca IAN LIBIA Presenza militare russa (Cirenaica)
O DA
(Rapporto ambiguo) GE STI R E Missioni italiane in Libia
Rotte di connessione
4 - L’ESPANSIONE DELLE MAFIE con l’Europa del Nord
Smistamento di cocaina
S V I Z Z E R A A U S T R I A e crack
Rotte della droga
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TRENTINO-
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Contrabbando di sigarette
Ao int-P
LOMBARDIA VENEZIA
Como GIULIA di raccolta, compostaggio
VALLE Rot e smaltimento di rifuti
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D’AOSTA Vercelli Brescia VENETO bal urbani dal Centro-Sud
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EMILIA-ROMAGNA
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Perugia
UMBRIA
Messico
Viterbo Rieti
ABRUZZO
LAZIO Grecia
ROMA
Hub di smistamento Frosinone MOLISE
stupefacenti e mercato Latina
di forte consumo. Caserta PUGLIA
Opportunità di relazioni Napoli
CAMPANIA BASILICATA
SARDEGNA
Brasile Amantea
Cile Colombia
“Case madri” delle mafe italiane Pizzo CALABRIA
Calabro
Calabria (’ndrangheta)
Gioia Tauro
Campania (camorra) Australia
Sicilia (Cosa Nostra)
Puglia (Sacra corona unita) SICILIA
MILANO Paesi con
Livello d’innesto Nel periodo di lockdown legami storici Canada
delle mafe le maggiori infltrazioni con la
nelle Regioni mafose si sono registrate ‘ndrangheta
Altissimo nei settori:
- edilizia “Locali” della ‘ndrangheta
Molto alto - servizi funerari e cimiteriali venuti alla luce nelle
Alto - pulizie e sanifcazioni indagini del 2020
- produzione dei dispositivi
Medio di protezione Consigli comunali sciolti
“Locali”: cellule
Minimo - smaltimento rifuti speciali dell’organizzazione che nel 2020 per infltrazione
(presenza non stabile) - ristorazione e alberghiero comprendono più ‘ndrine mafosa
Fonte: relazione primo semestre 2020 Dia - Direzione investigativa antimafa
5 - IL SENSO GEOPOLITICO
GERMANIA DEL SUD Confne Nord-Sud
Roma
Capitale nazionale extraterritoriale
LICHT. AUSTRIA Napoli
SVIZZERA Capitale del SudUNGHERIA
decaduta
La “nuova” provincia meridionale:
TRENTINO - centri minori avvantaggiati
ALTO dal declino di Napoli
ADIGE FRIULI -
VENEZIA Fulcri in ascesa dal Sud policentrico
VALLE GIULIA SLOVENIA
Confne di Stato
D’AOSTA
Confni regionali
LOMBARDIA VENETO Valle dell’Etna
PIEMONTE CROAZIA
Spina dorsale del Sud
Fulcro economico, demografco e
EMILIA - ROMAGNA infrastrutturale. Importante presenza
LIGURIA della criminalità organizzata.
BOSNIA -
Terre di mezzo ERZEGOVINA
FRANCIA
Scarsa incidenza demografca.
Importanza economica e dotazione
infrastrutturale medio-basse. Media
TOSCANA incidenza criminale.
Territori marginali
MARCHE Scarsa incidenza demografco-economica.
Scarsa dotazione infrastrutturale,
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UMBRIA specialmente viaria. Incidenza criminale
medio-bassa.
ABRUZZO
L’Aquila
Sulmona Termoli
Roma Avezzano MOLISE
Isernia
Campobasso
LAZIO Foggia
Benevento Bari
Caserta
Avellino Melf PUGLIA
Napoli Salerno Brindisi
Potenza Matera
CA
M Battipaglia Taranto
PA BASILICATA
NIA
SARDEGNA
Mar Tirreno
Cagliari CALABRIA
Eo lie
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Is
Gioia Tauro
Appendice marginale Messina
Palermo
Scarsa incidenza demografco-economica.
Bassa dotazione infrastrutturale. Alta
proiezione criminale.
SICILIA Catania
Regno di Sicilia
Autonomia statutaria. Alta incidenza Augusta
demografca. Media incidenza economica. Siracusa
Dotazione infrastrutturale medio-bassa.
ALGERIAMarginalità geografca. Posizione strategica Pantelleria
TUNISIA
(rotte migratorie, reti energetiche e delle
tlc). Alta proiezione criminale.
Nord remoto
Autonomia statutaria. Bassa incidenza MALTA
economico-demografca. Scarsa incidenza Linosa Mar Mediterraneo
criminale. Dotazione infrastrutturale
medio-bassa. Marginalità geografca. Lampedusa
Forte identità territoriale e capacità
organizzativa della diaspora.
6 - CUORE E PERIFERIA VENETI Repubblica di Venezia alla massima
espansione (XV-XVI secolo)
Sacro romano impero Estensione della «lingua veneta»
Confederazione Svizzera
Pieve di Cadore “Cuore del Veneto”
e
ig
Ad Belluno Udine Confne del Sacro romano impero
Pordenone Gorizia
Vescovato
di Trento Repubblica di Venezia Palmanova C a r n i o l a Marchesato del Monferrato
F. Monfalcone
Bergamo Bassano P Principato di Massa e Carrara
Ducato iav
e
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di Milano Trieste Stato dei Presidi
Brescia Treviso
Vicenza Mestre Caorle
Milano Fiume
Verona Padova Venezia ia
D
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Pavia Cremona Maucat
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Piacenza Pola
Parma F. Po I m p e r o o t t o m a n o
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Ducato
di Parma, Piacenza Modena
Rep. di Bologna
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Genova e Guastalla
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Ducato Ravenna
Genova di Modena
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Livorno Spalato
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Arezzo
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Granducato BRAZZA
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Stato Mare Adriatico E r z e g o v i n a
Tirreno di Tosc ana della Chiesa LESINA
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Perugia LISSA
Grosseto U m b r i a CURZOLA Montenegro
Ragusa
Cattaro
Regno di Napoli
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Dulcigno
7 - LA FAGLIA FISCALE-SANITARIA
Paesi dell’Unione Europea
Paesi dell’area euro
Faglia fscale-sanitaria
Nazioni dell’austerità (formiche)
Nazioni della redistribuzione (cicale)
Prima l’economia
FINLANDIA
Fulcri del contagio della
seconda ondata NORVEGIA
SVEZIA
Prima i confni (ipereconomicista)
Dall’economia alla salute
Dalla salute ESTONIA
a salute ed economia
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PAESI BASSI
BELGIO LETTONIA
IRLANDA DANIMARCA LITUANIA
REGNO
UNITO
LUSSEMBURGO
REP. CECA
SLOVACCHIA
FRANCIA
AUSTRIA
UNGHERIA
ITALIA ROMANIA
CROAZIA
PORTOGALLO
BULGARIA
SLOVENIA
SPAGNA
GRECIA
MALTA
Balcani “balcanici”
8 - GEOPOLITICA DEI VACCINI
Svalbard
36% Percentuale di popolazione per cui (Norvegia)
è suúciente il numero di dosi
somministrate Groenlandia
(primi 18 paesi) (Danimarca)
Germania
7,1%
Islanda
23,8% Federazione Russa
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Regno Unito 3,6%
Canada
7,1% 1
EUROPA 2
7,3% Mongolia
Stati Uniti 34 1 Bielorussia
7,4% 7,1% 8,7%
Turchia 5 Giappone 2 Slovacchia
20,5% 54,5% 6 Iraq Iran Afgh. Cina e Ungheria
Marocco 78 3 Bosnia-Erz.
10,3% Algeria Pak. 3,1% Corea del Sud 4 Serbia
Messico Egitto Arabia 5 Azerbaigian
2,4% Rep. Dominicana S. Om. 9 10 Taiwan 6 Cipro
Guatemala Belize Senegal 11
Bahrein 2% 12 7 Israele
El Salvador Gambia India 13 14 Filippine 8 Giordania
Costa Rica Venezuela Guinea Nigeria 9 Bangladesh
Principali impianti Sierra Leone Uganda Emirati Maldive 15
Panamá Colombia Guinea Eq. 10 Myanmar
di produzione Costa d’Avorio Arabi Uniti Singapore 11 Laos
Ecuador Ghana Gabon Kenya 36%
Moderna Brasile Ruanda Indonesia 12 Thailandia
Perú Seychelles 1,8% 13 Cambogia
AstraZeneca Angola 14 Vietnam
Pfzer-BioNTech Bolivia 4,4% Malawi Maurizio 15 Malaysia
Namibia Zimbabwe
Johnson & Johnson Paraguay
Gamaleja (Sputnik V) Sudafrica Australia
Sinopharm Uruguay
24,2%
Sinovac Cile Vaccini occidentali Vaccini orientali
Possibili o futuri impianti di produzione Paesi proprietari dei brevetti Paesi proprietari dei brevetti Nuova Zelanda
Argentina Usa: Pfzer-BioNtech, Moderna Cina: Sinopharm, Sinovac, CanSino
Gamaleja (Sputnik V)
Regno Unito: Oxford-Astrazeneca Fed. Russa: Gamaleja (Sputnik V)
Sinopharm Paesi che ricevono
Paesi che utilizzano i vaccini Paesi che utilizzano i vaccini vaccini sia occidentali
Sinovac occidentali orientali sia orientali
Fonte: Bloomberg Covid Vaccine Tracker, al 25/3/2021
A CHE CI SERVE DRAGHI
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Australia
Nuova Zelanda
SARDEGNA Z3 Cetraro
NON DI SOLO DRAGH
M a r T i r r e n o N
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86 MN
12
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Capo Carbonara
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173 MN
Capo Vaticano
Salina W
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Alicudi Lipari N
31 MN
136
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28 MN
S. Vito Lo Capo S Capo Gallo N U Messina
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Canale di Sardegna
138
S. Giovanni
Palermo
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S Marettimo Trapani
Favignana Cefalù
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74 MN
Linosa Malta I
MN Miglia nautiche F MALTA Valletta
1 miglio nautico equivale a 1,852 km Isole Pelagie H
Monastir G
Porti turistici
79 MN 101 MN
Lampedusa
Fonte: Portolano Cartografco
A CHE CI SERVE DRAGHI
7. Il primo volume della trilogia è il numero 2/2021 di Limes, «L’Italia al fronte del caos». 21
NON DI SOLO DRAGH
aveva nulla» 11.
Non c’è tempo per la rassegnazione né per reinventare lo Stato da
cima a fondo. Quel poco che ci resta impone azione parallela. Im-
provvisare in velocità il possibile mobilitando le forze disponibili con
l’ambizione di tracciare un sentiero verso l’oggi impossibile per avvi-
cinarlo in futuro. Il primo segmento, di breve periodo, è caricato di
fatto e nel pubblico immaginario sul «Draghi simbolo». L’altro, neces-
sariamente lungo, da però scandire in tappe verifcabili, misurerà il
lascito strutturale di questo esperimento – il «Draghi sistema».
Quanto all’immediato, qualcosa si muove. La formazione di que-
sto governo, volutamente estraneo a qualsiasi formula politica, irri-
tuale in quanto coerente al dettato costituzionale (articolo 92), si de-
ve alla convergenza di dinamiche domestiche ed esogene necessitate
dal superpotere negativo dell’Italia. Intesa che corrisponde allo stato
di eccezione in cui versiamo. La scelta del Quirinale caduta sul più
stimato esponente della nostra esigua nobiltà di Stato, che ha già un
posto nella storia per aver salvato l’euro con tre parole (non solo: vedi
appendice con grafco) deriva più dai suoi talenti politico-diplomatici
allenati nelle paritarie relazioni con la dozzina di decisori di primo
11. Cit. in C. DUGGAN, Creare la nazione. Vita di Francesco Crispi, Roma-Bari 2000, Laterza,
p. XVI. 25
NON DI SOLO DRAGH
alla vulgata, non siamo Stato debole senza vera nazione. Siamo na-
zione senza Stato effciente. In fase di rapida proliferazione delle ma-
fe, metastasi accelerata dalla povertà delle istituzioni e dai limiti di
liquidità di un paese patrimonialmente ricco. Con la ’ndrangheta,
originaria della più sfortunata regione d’Italia, ramifcata nella Pe-
nisola (carta a colori 4). E nel mondo, da regina fra le superpotenze
del crimine organizzato.
Se non arginata, la deriva delle istituzioni sfbrerà la nazione.
Già si percepiscono gravi sintomi di sofferenza: allargamento della
forbice Nord-Sud nel contesto della divaricazione europea, favorita
anche dall’autogestione di fondamentali Regioni ordinarie, quali
Lombardia e Veneto, quasi separatismo di fatto (grafco e carte a co-
lori 5, 6 e 7); declassamento dei ceti medi; serio scollamento sociale;
pericolo di violenza diffusa, specie quando scadrà l’effetto di ristori e
palliativi. E quando scopriremo che la «manna» del Next Generation
Eu peserà a lungo sulle spalle della prossima generazione.
Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
REDDITO PRO CAPITE DELLE REGIONI ITALIANE RISPETTO ALLA MEDIA EUROPEA
(PPS, numero indice, UE-27=100), ultimo dato disponibile.
154, 9
128, 2
127,3
119, 5
125
109,7
110,7
105, 8
103,6
103, 2
103,9
96,4
100
93,2
85,1
84,1
73,4
69,5
70,1
62,7
58,8
56,2
61
Basilicata
Piemonte
Emilia-Romagna
Puglia
Veneto
Marche
Umbria
Lazio
Friuli-Venezia Giulia
P.A. Bolzano
Toscana
Valle d'Aosta
Liguria
Sicilia
Italia
Calabria
P.A. Trento
UE27
Abruzzo
Molise
Campania
Sardegna
Lombardia
siva nel caso delle più ricche, ne comprova la pericolosità per la coesio-
ne nazionale. E per il principio di eguaglianza che distingue la costi-
tuzione mentre fonda il comune sentire della nazione. Questa emer-
genza strutturale non può essere trascurata con il pretesto d’urgenze
sanitarie ed economiche. Il commissariamento delle Regioni in campo
sanitario parrebbe minimo sindacale. La loro abolizione per ricostitui-
re i poteri locali su base di dipartimenti macroprovinciali corrispon-
denti a territori più compatti e radicati potrebbe incardinarsi nell’ordi-
ne del giorno della prossima legislatura (la carta 5 suggerisce un pro-
getto di tal fatta, già curato dalla Società Geografca Italiana).
È da quando esistiamo come Italia, anzi dalla gestazione sarda
dello Stato unitario, che trasciniamo questa disputa, caricata di in-
sopportabili teoremi ideologici e d’inconfessabili mercimoni sottoban-
co. Un breve tuffo nel passato ci aiuterà a defnirne i termini.
Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
19 20
24
22
23 27
25 28
35 26
30 29
36
31
32
34
33
19 ETRURIA 28 PUGLIA
20 UMBRIA 29 SALENTO
21 MARCHE 30 BASILICATA
22 ROMA CAPITALE 31 CALABRIA
23 CIOCIARIA 32 DELLO STRETTO
24 ABRUZZO 33 SICILIA IONICA
25 NAPOLETANO 34 SICILIA OCCIDENTALE
26 CAMPANIA 35 SARDEGNA SETTENTRIONALE
27 DAUNIA 36 SARDEGNA MERIDIONALE 29
Fonte: elaborazione su carta e dati della Società Geografca Italiana
NON DI SOLO DRAGH
zione fra società e istituzioni, cifra del caso italiano, è inscritta nella
reciproca diffdenza fra élite e popolo. Le oligarchie liberali post-uni-
tarie, specie quando formate nel culto di Hegel, intendono educare e
cementare in regime piemontese masse spesso analfabete, nei secoli
rette da regimi diversamente autoritari. Al meglio, paternalistici. Nel-
le parole di un intellettuale patriottico, Nicola Marselli, occorre «gitta-
re, per un certo tempo, gl’Italiani nella medesima forma», fn quando
«ch’eglino avessero una certa identità di pensare e di sentire intorno
ai problemi fondamentali della cosa pubblica, che approvassero in-
sieme certe nuove istituzioni» 13.
Lo stesso Cavour scrive, poco prima di battezzare l’Italia unita:
«Tutte le questioni relative al futuro ordinamento interno non (han-
no) alcuna reale importanza immediata a confronto della suprema
e urgente necessità di fare l’Italia per costituirla poi (tondo nostro)» 14.
Continuità che involverà in attardante continuismo. Difatti il Regno
di Sardegna si converte il 17 marzo 1861 in Regno d’Italia sullo slan-
Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
13. Cit. in A. CARACCIOLO, Stato e società civile. Problemi dell’unifcazione italiana, Torino
1960, Einaudi, pp. 69-70.
30 14. Cit. in R. ROMEO, Cavour e il suo tempo (1854-1861), Roma-Bari 1984, Laterza, p. 862.
A CHE CI SERVE DRAGHI
per i primi decenni della Repubblica, fno alla fondazione delle Re-
gioni a statuto ordinario, nel 1970. Noi italiani il continuismo l’ab-
biamo nel sangue. La continuità, intesa esprit de suite, coscienza di
tradizioni distillate, custodite e aggiornate nelle grandi scuole, è al-
tra cosa.
In questo contesto si consuma e risolve nel giro di un anno, fra
1860 e 1861, la disputa intorno alla struttura amministrativa dell’I-
talia unita. Di tono schiettamente identitario. Geopolitica pura. Per i
più non c’è spazio per regionalismi autentici, fguriamoci utopie fe-
deraliste. L’alternativa è fra centralismo «illuminato» e regionismo
amministrativo, non politico. Protagonisti della disputa: sul primo
fronte Bettino Ricasoli, successore di Cavour, sull’altro due ministri
dell’Interno, prima Luigi Farini poi Marco Minghetti, usi al pragma-
tismo cavouriano e sensibili al fascino del britannico self-government.
Punto di convergenza: nello Stato unitario nessun altro ente di dirit-
Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
15. Cfr. E. Passerin D’ENTRÈVES, La formazione dello Stato unitario, a cura di N. RAPONI, Roma
1993, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, pp. 242-243. 31
NON DI SOLO DRAGH
SVIZZERA I M P E R O
D ’
AU
S
Bolzano T
R
IA
Trento Belluno
Lombardia
Savoia Aosta Lecco Veneto
Como
Biella Brescia Vicenza Trieste
Novara Milano
Torino REGNO LOMBARDO-VENETO (AUS.) Venezia
Mantova
Asti
D U CPAR
Parma
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O D TO D I
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Genova
E NA
MA Romagna
ST
CA
E
Cuneo DU I M Ravenna
Contea
G
D
A
La Spezia S. MARINO
TO
di Nizza
Linea gotica (1944)
N
Monaco Pesaro
Nizza Firenze
PONTI F I C I
Linea isoglossa
O
Massa-Senigallia
Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
GRANDUCATO Ancona
DI TOSCANA Marche
D
Grosseto Ascoli
I
Teramo
A
S
Viterbo b
ru
Lazio
A
zz
o
R
Roma
Campobasso
D
Velletri
Pontecorvo
E
Pu
Benevento gl
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G
Sassari Napoli
N
Potenza
Lecce
A
REGNO
Sardegna
DELLE
DUE SICILIE
Cagliari Cosenza
br i a
la
Ca
Marsala Si c i l i a
Catania
Modica
32
A CHE CI SERVE DRAGHI
C’è forte in Ricasoli, come in gran parte della prima classe diri-
gente italiana, il senso della missione civilizzatrice. Il Sud terra da
redimere. Affato illuministico che traligna in colonialismo interno,
nelle intenzioni dei nordisti destinato a incivilire e aprire al progresso
liberale quell’«Affrica» (Farini). Impresa che impegna robusti contin-
genti militari nella nostra prima guerra civile, nascosta nei sussidiari
scolastici quale «guerra al brigantaggio». Da allora valgono speculari
le equazioni centralismo = autoritarismo versus regionalismo = demo-
crazia partecipata. Semplicismi talvolta dolosi che continuano a in-
cidere nelle vertenze intorno all’organizzazione territoriale dello Sta-
to. Ideologia che informerà fnanco la riforma pseudofederalista del
titolo V della costituzione (2001) – forse il colpo più grave inferto
dalla democrazia italiana a sé stessa. E tuttora risuona nelle aspre
dispute sui poteri di Stato, Regioni, Comuni.
16. Cfr. P. CRAVERI, L’arte del non governo. L’inesorabile declino della Repubblica italiana,
Venezia 2016, Marsilio, p. 32. Dove si richiama il fondamentale studio del 1945 di C. MOR-
TATI, «La Costituente», in ID., Studi sul potere costituente e sulla riforma costituzionale dello
Stato, Milano 1972, Giuffrè. Qui vedi in particolare p. 63. 33
NON DI SOLO DRAGH
Europa Liechtenstein
7a - PFIZER/BIONTECH Islanda Austria
Norvegia Ungheria
Svezia Francia
Alaska Finlandia Spagna
(Usa) Irlanda Portogallo
EUROPA Danimarca Italia
Canada Estonia Malta
BioNTech Lettonia Vaticano
(Magonza, Germania)
Lituania Slovenia
Pfzer (New York, Usa) Paesi Bassi Croazia
Usa
Giappone Belgio Serbia
Messico Lussemburgo Romania
Portorico Corea
del Sud Germania Bulgaria
Costa Rica Libano Polonia Macedonia d.N.
Panama Malaysia Rep. Ceca Albania
Guiana Francese Israele
Giordania Slovacchia Grecia
Colombia Svizzera Cipro
Ecuador Kuwait
Arabia S. Australia
Cile Bahrein
Qatar
Paesi dove viene E.A.U.
distribuito il vaccino Oman Nuova Zelanda
7b - MODERNA Europa
Islanda Svizzera
Norvegia Liechtenstein
Svezia Austria
Alaska Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
Finlandia Ungheria
(Usa) Irlanda Francia
EUROPA Danimarca Spagna
Canada Estonia Portogallo
Lettonia Italia
Moderna Lituania Malta
Usa (Cambridge, Usa) Paesi Bassi Vaticano
Belgio Slovenia
Portorico Lussemburgo Croazia
Guatemala Qatar Germania Romania
Polonia Bulgaria
Honduras Rep. Ceca Grecia
Guiana Francese Ruanda
Slovacchia Cipro
Riunione
8a - GAMALEJA (SPUTNIK V)
Gamaleja
Russia
(Mosca, Russia)
1
2
34
5
Iran 1 - Bielorussia
Algeria 2 - Ungheria
Messico Venezuela Laos
3 - Bosnia-Erzegovina
Guinea 4 - Serbia
5 - Montenegro
Bolivia
Paraguay
Argentina
Ungheria
Serbia (Pechino, Cina)
Cina Sinopharm
Marocco 12
Egitto
Laos
Senegal Cambogia
E.A.U.
Guinea Eq.
Perú Pakistan
Bolivia Zimbabwe
Argentina
1 - Giordania
2 - Iraq
Paesi dove viene
distribuito il vaccino
8c - SINOVAC
Turchia
Azerbaigian
(Pechino, Cina)
Cina Sinovac
Messico
Thailandia Filippine
Singapore
Brasile
Indonesia
Cile
35
36
9 - ... E GLI ALTRI VACCINI Mar Glaciale Artico
NON DI SOLO DRAGH
Alaska
(USA) RUSSIA
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Vektor
BIELORUSSIA (Kol'covo)
Oceano Pacifico
ZIMBABWE
Oceano Indiano
SUDAFRICA
Il novembre 2011 comincia molto male, esordio di dieci mesi vissuti pericolosamente.
Il primo giorno del mese la Borsa di Milano perde quasi il 7% quando Atene annuncia
(salvo smentirsi 48 ore dopo) che sottoporrà a referendum le ulteriori misure di austerità
richiestele. Il differenziale di rendimento (spread) tra Btp decennali italiani e Bund tedeschi
ad analoga scadenza tocca 441 punti base. Due giorni dopo il consiglio direttivo della
Banca centrale europea, nella prima riunione presieduta da Mario Draghi, taglia il tasso di
riferimento dall’1,5% all’1,25% (il mese successivo lo limerà all’1%, ampliando i collaterali
accettati a garanzia dei prestiti e dimezzando all’1% la riserva obbligatoria delle banche).
Quando, il 9 novembre, Giorgio Napolitano nomina Mario Monti senatore a vita onde
conferirgli l’incarico di formare un governo d’unità nazionale, lo spread vola a 575 punti,
record ineguagliato.
Il 24 un Monti fresco della fducia in parlamento è a Strasburgo per illustrare il piano di
riforme al presidente francese Nicolas Sarkozy e alla cancelliera tedesca Angela Merkel, che
si ripete contraria ai cosiddetti eurobond, titoli di debito collettivi della zona euro, in sintonia
con il presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Ciò, unitamente all’avvitarsi della Gre-
cia e al periclitare di Spagna e – soprattutto – Italia, innesca la reazione dei custodi del rating,
che spazza via la fducia ingenerata il 5 dicembre dal vertice di Parigi in cui Francia e Ger-
mania prospettano risposte rapide e coordinate alla crisi. Il 13 gennaio 2012 Standard &
Poor’s declassa nove paesi europei tra cui l’Italia, il cui merito di credito passa da A a BBB+.
Quando, settantadue ore dopo, Draghi invita a considerare i giudizi delle agenzie come «un
parametro tra molti», la stessa S&P risponde abbassando il rating dell’Efsf (il Fondo europeo
di stabilità fnanziaria creato nel 2010), mentre il suo responsabile per i paesi europei pro-
spetta, intervistato, un’imminente insolvenza (default) della Grecia.
Il 23 gennaio l’Ecofn (consesso dei ministri di Economia e Finanze dell’Eurozona)
rilancia, dando luce verde al trattato istitutivo dell’Esm (Meccanismo europeo di stabilità)
38 con una dotazione di 500 miliardi di euro. Cinque giorni dopo l’Italia riesce a collocare 8
A CHE CI SERVE DRAGHI
miliardi di Bot all’1,96% (contro il 3,25% di fne dicembre), mentre il famigerato spread Btp/
Bund si riassesta poco sopra 400. Dura poco: quello stesso giorno Fitch declassa l’Italia da
A+ ad A-, in buona compagnia con Spagna, Belgio, Cipro e Slovenia. Passerà un mese (22
febbraio) perché l’Eurogruppo raggiunga un accordo sul salvataggio della Grecia. Conte-
stualmente (29 febbraio) la Bce rifnanzia 800 banche europee per 529,5 miliardi di euro,
un quarto dei quali (139 miliardi) è sottoscritto dai soli istituti italiani.
Il 2 marzo i capi di Stato e di governo europei approvano il Trattato sulla stabilità, il
coordinamento e la governance nell’Ue, meglio noto come Fiscal compact, che prevede
l’inserimento del pareggio di bilancio in costituzione, la limitazione del defcit allo 0,5% del
pil e del debito al 60% dello stesso in vent’anni. È l’esordio dell’austerità germanocentrica:
lo spread Btp/Bund scende sotto i 300 punti base, mentre (20 marzo) in Grecia riesce la
prima asta di titoli a tre mesi dopo la ristrutturazione del debito pubblico. I mercati paiono
rassicurati, gli Stati Uniti molto meno: con eloquente tempistica, quattro giorni dopo il G-20
riunito a Washington aumenta di 430 miliardi di dollari le risorse dell’Fmi per prevenire il
contagio fnanziario. Il «nuovo» paziente critico è la Spagna: il 30 S&P ne declassa undici
banche. Le Borse non la prendono bene, i nervi già a for di pelle per la nuova fase d’in-
stabilità politica in Grecia, che tornerà alle urne il 17 giugno con un governo di coalizione
che riafferma la volontà – non scontata – del paese di restare nell’euro.
Dieci giorni prima del voto greco Fitch decurta il rating spagnolo, seguita a ruota da
Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
Moody’s, mentre Madrid annuncia di voler chiedere aiuti europei per ricapitalizzare sva-
riate banche. Il 22, mentre a Roma i rappresentanti di Francia, Germania, Italia e Spagna
proclamano l’euro «irreversibile», la Bundesbank critica apertamente la decisione della Bce
di ampliare la tipologia di collaterali accettati a garanzia nelle operazioni di fnanziamento.
Finlandia e Olanda avversano l’acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario da parte
dell’Esm, in Germania piovono ricorsi alla Corte costituzionale contro la ratifca del Fiscal
compact e dello stesso Esm.
Gli eventi subiscono una nuova, brusca accelerazione che precipiterà un triplice red-
de rationem. La disoccupazione nell’Eurozona è certifcata all’11%, mai così alta dall’esor-
dio della moneta unica. Il 5 luglio la Bce porta il tasso sulle operazioni di rifnanziamento
al minimo storico dello 0,75%. Quattro giorni dopo la Francia, come già la Germania,
colloca per la prima volta titoli di Stato a tasso negativo, segno che i mercati cercano di-
sperati un rifugio. E mentre sette regioni spagnole chiedono aiuto a Madrid, la Borsa di
Milano ricomincia a perdere, mentre lo spread italiano sui Bund torna a 529 (quello spa-
gnolo supera 600).
Giunge così il 26 luglio, la prima delle tre date da segnare in rosso: da Londra, dov’è
per un convegno, Draghi afferma che la Bce farà «tutto quanto è necessario per salvare
l’euro». La dichiarazione ridà fato alle Borse europee (Milano guadagna oltre il 5%) e cal-
miera lo spread, che scende a 474. È molto, moltissimo. Ma non ancora abbastanza.
Il 20 agosto la Bundesbank si conferma «critica sull’acquisto di bond governativi che
possono comportare considerevoli rischi per la stabilità». Il 29 Merkel riceve Monti a Berli-
no e gli esprime la sua contrarietà alla concessione di una licenza bancaria all’Esm. Il 31
circola voce (non smentita) che il presidente della Bundesbank, Weidmann, sia pronto a
dimettersi in dissenso con le misure straordinarie della Bce. Per tutta risposta quello stesso
giorno – seconda data in rosso – il presidente della Federal Reserve (Banca centrale) sta-
tunitense Ben Bernanke, parlando all’incontro annuale di Jackson Hole, afferma: le politi- 39
NON DI SOLO DRAGH
500
400
300
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Fonte: Ansa-Centimetri
che monetarie non convenzionali «sono state e possono continuare a essere effcaci». Più
chiaro di così.
Non passa una settimana – 6 settembre, terza data saliente – e il direttivo della Bce
approva, con il solo voto contrario della Bundesbank, le linee essenziali del piano d’acqui-
sto dei titoli di Stato dell’Eurozona sul mercato secondario, senza limiti d’importo. Sono le
Omt (Outright monetary transactions), l’arma «defnitiva» (outright) che disinnescando l’in-
cipiente crisi bancaria sostanzia il «whatever it takes» di Draghi e salva l’euro. Lo spread
crolla a 370 punti base e da lì inizia una discesa che, malgrado successivi alti e bassi, non
lo vedrà più tornare a livelli di guardia.
Il 13 settembre, da Washington, Bernanke annuncia che il direttivo della Fed ha ap-
provato un terzo intervento di quantitative easing (immissione di moneta) tramite l’acqui-
sto di 40 miliardi di dollari al mese di obbligazioni garantite da mutui, consolidando il
contraltare atlantico delle Omt. Quello stesso giorno, un portavoce del Fmi puntualizza: e
perché mai non prorogare dal 2012 al 2014 la scadenza fssata per il pareggio di bilancio
della Grecia? A Berlino annotano.
40
A CHE CI SERVE DRAGHI
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Parte I
l’ ITALIA in LOTTA
per non
RETROCEDERE
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A CHE CI SERVE DRAGHI
UN EURONUCLEO
PER L’ITALIA di Federico PETRONI
È ora di smettere l’europeismo d’anticamera: la Commissione non è
il regista dell’Ue. Serve un’asimmetrica rete di relazioni privilegiate
a geometria variabile con Francia e Germania, giocando sulle loro
contraddizioni. Il Mediterraneo è nostra massima responsabilità.
1. L
A LENTEZZA DELLA CAMPAGNA VACCINALE
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ha messo a nudo la fallacia delle convinzioni più radicate in Italia sull’Unione Eu-
ropea. Su tutte, l’idea che esista un’Europa (Leuropa) soggetto della politica inter-
nazionale. Dunque da incolpare per i ritardi nell’approvvigionamento dei farmaci.
Così gli euroscettici si confermano nella certezza che da Bruxelles vengano soltan-
to problemi e una parte degli euroentusiasti fa mea culpa parlando di totale falli-
mento dell’attore nel quale riponeva mirabolanti speranze.
In realtà si guarda il dito mentre questo punta la luna. Con le case farmaceuti-
che, i negoziatori dell’Ue hanno certo stipulato contratti poco cogenti rispetto a
quelli strappati da altri paesi. Ma il motivo non va cercato nella loro ingenuità libe-
roscambista o nella loro burocratica acribia. Quella ai vaccini è una corsa a risorse
scarse e urgenti. Nella quale gli Stati sfoggiano o scontano le proprie condizioni
strategiche. E in cui pesano i vigenti rapporti di forza.
Gli Stati Uniti, per esempio, sono in netto vantaggio perché hanno attinto alla
loro impareggiata profondità imperiale. Hanno impiegato la loro vasta disponibili-
tà fnanziaria per ricoprire di dollari le aziende prima ancora di sapere se i loro
farmaci funzionassero (investimento non convenzionale in ricerca e sviluppo) 1.
Hanno usato l’Occidente per appropriarsi di una fliera produttiva assai ramifcata,
a volte anche di brevetti altrui, come il vaccino dell’olandese Janssen fnito a John-
son & Johnson o le tecnologie della tedesca BioNTech consorziate con Pfzer.
Hanno sfruttato l’attrattività del loro mercato, abituato a riconoscere remunerazioni
più generose, e la superiore capacità d’imporsi delle loro leggi per costringere le
case farmaceutiche a dare priorità alle forniture americane.
1. O. KHAZAN, «The One Area Where the U.S. COVID-19 Strategy Seems to Be Working», The Atlantic,
22/2/2021. 43
UN EURONUCLEO PER L’ITALIA
Allo stesso modo, la campagna di Pechino e Mosca per distribuire i vaccini nel
mondo è patente della loro inferiorità, anziché della loro scaltrezza. I rivali di Wa-
shington traducono in ambito sanitario le proprie lacune strategiche. Difettando, i
russi più dei cinesi, di tecnologie, capacità manifatturiere e amicizie comparabili a
quelle nella disponibilità americana, hanno semplicemente prodotto assai meno
vaccini dei loro concorrenti 2. Sono così costretti a usarli come strumento diploma-
tico per trovare chi li confezioni per loro, dalla Corea del Sud al Brasile, passando
per l’India o gli Emirati.
Anche il continente europeo rivela molto di sé, in particolare della sua subal-
ternità all’egemone mondiale. I principali membri occidentali dell’Ue – Germania,
Francia, Italia, Paesi Bassi – si erano inizialmente mossi fra loro, nell’estemporanea
Inclusive Vaccine Alliance, al di fuori della Commissione europea. E con l’aggiunta
della Spagna avrebbero pure avuto le capacità industriali per soddisfare il proprio
fabbisogno interno iniziale. Ma non avevano brevetti autoctoni. Non potevano
imporsi sulla fliera produttiva o sulle aziende proprietarie – lo si vede nella ritrosia
della Commissione ad applicare il potere di bloccare le esportazioni, nel timore
d’incappare nella scure americana. E non potevano lasciare sola la metà orientale
del continente, in particolare Berlino: troppo alto il rischio di vedersi scollare in
Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
chiarava che a breve avrebbe sviluppato un’identità anche o solo europea, record
fra gli allora 12 membri.
L’europeismo come antidoto allo spaesamento. Lo si evince da un’altra prezio-
sa ricerca, quella condotta da Ipsos per le fondazioni Jean Jaurès e Friedrich Ebert
sulle defnizioni di sovranità in otto nazioni: Italia, Francia, Germania, Spagna,
Svezia, Polonia, Lettonia e Romania 6. Il nostro paese ha un’idea lunare di questo
termine. Solo il 21% degli italiani lo considera positivo, contro il 73% dei tedeschi.
Il 53% lo percepisce desueto, contro il 9%. La metà dei nostri connazionali lo ritie-
ne politicizzato, perlopiù di destra. Viene associato al nazionalismo, alla potenza,
al protezionismo. Mentre i tedeschi lo associano a indipendenza, autodetermina-
zione e libertà. Quando dicono sovranità gli italiani intendono chiaramente un’altra
cosa rispetto alla Germania. Ciò non impedisce loro di sognare un suo sbocciare
nell’Unione: benché il 56% ritenga la «sovranità europea» una contraddizione in
termini, quasi lo stesso numero (60%) desidera rafforzarla. Primo motivo: aumen-
tare il peso internazionale del nostro paese, indicato dal 39%, 12 punti più della
media e 20 più dei tedeschi.
Questa carrellata di dati ci restituisce un paese senza fducia in sé e nel proprio
Stato, addirittura inorridito dal suo attributo principale, la sovranità. Incapace dun-
Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
que di elaborare da solo ciò che vuole, forse nemmeno interessato a farlo. E, per
fraintendimento economicistico e post-storico, portato a vedere nel superamento del
nostro Stato un’àncora di salvezza. Nell’ingenua convinzione che l’ambiente interna-
zionale sia cherubico, il confitto abolito. Salvo ridurci a ventriloqui di altri, incapaci
di usare l’Ue, di spendere i soldi che arrivano tramite essa, di incidere sui meccani-
smi decisionali (la qualità del personale è talmente scaduta che i lobbisti si rivolgono
a parlamentari stranieri per rappresentare i loro clienti italiani). Così, scoperta la si-
derale distanza tra sogno e realtà, precipitiamo dalle vette più liriche dell’euroentu-
siasmo agli orridi della delusione più cocente. Incapaci di cogliere la via di mezzo.
È esattamente la stessa tendenza a saltare alle conclusioni tipica del modo in
cui guardiamo lo scontro Cina-Stati Uniti e il nostro posto in esso. Convinti che gli
americani siano ormai all’ultima scena, i cinesi in imminente sorpasso e la Nato
roba da rigattieri. Dunque che stia al nostro libero arbitrio scegliere da che parte
stare, quando invece siamo meccanismo non così secondario del campo america-
no. Attitudine a saltare sul carro di chi crediamo vincente che ci è già costata una
sconftta nella seconda guerra mondiale. E in tutto antitetica al ragionamento geo-
politico, che invece consiste nello scegliere cosa fare dopo aver individuato i vin-
coli a cui siamo sottoposti. Se li ignoriamo, illudendoci di non averne tanto in Eu-
ropa quanto con gli Stati Uniti, rischiamo che ci strozzino.
3. Il ritardo sui vaccini, abbinato alla nostra disillusione, può generare una spin-
ta popolare a staccare la spina all’Unione Europea? Diffcile, ma non per questo
l’europeismo in Italia è salvo. Quest’anno virato insegna che le falle sanitarie fanno
1 - EUROBAROMETRO
Finlandia
Svezia
Estonia
Lettonia
Danimarca Lituania
Oceano
Atlantico
Irlanda Polonia
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Belgio
Lussemburgo Rep. Ceca
chia
vac
Slo
Francia Austria Romania
Ungheria
Slovenia
Croazia
Bulgaria
Portogallo Italia
Spagna Grecia
Mar Mediterraneo
Malta
Cipro
Quanto conta la voce del mio paese nell’Ue Immagine positiva L’appartenenza all’Ue
(in percentuale) dell’Ue è una cosa buona
89 Germania 71 Malta 51 Slovacchia Dal 77 al 60% Dal 67 all’87%
85 Paesi Bassi 70 Romania 49 Estonia dal 50 al 59%
81 Irlanda 70 Polonia 44 Bulgaria dal 50 al 66%
81 Danimarca 67 Austria 41 Lettonia dal 36 al 49%
79 Svezia 65 Croazia 41 Cipro dal 39 al 49%
78 Portogallo 57 Finlandia 40 Rep. Ceca
75 Lussemburgo 55 Lituania 39 Slovenia
74 Francia 54 Ungheria 35 Italia
74 Belgio 53 Spagna 33 Grecia Fonte: Eurobarometer Survey 94.2, Parlamento europeo, marzo 2021. 47
UN EURONUCLEO PER L’ITALIA
marchio sbiadito ma di comprovato fascino, oltre che di nicchie sempre più nicchie
ma ancora preziose.
Semmai, un governo nazionalista brandirebbe, qualcuno credendoci e qualcu-
no no, la minaccia di uscire dall’euro per provare a strappare le concessioni che già
tutti i più recenti esecutivi, chi più chi meno, hanno richiesto ai nostri soci europei.
Su tutte, l’allentamento del rigore fscale. E avrebbe anche chance relativamente
buone di ottenere l’orecchio di una Germania disposta a (quasi) tutto, a cominciare
dal diluire il più possibile i negoziati, pur di non perdere mercati su cui scaricare il
proprio surplus produttivo. L’ascesa del cosiddetto sovranismo in Italia potrebbe
non avere un effetto letale sull’Unione Europea, causa drammatica mancanza per
Roma di concrete opzioni oltre a quella di far saltare tutto premendo il tasto rosso.
Ne avrebbe certo meno di una simultanea ascesa in Francia di un governo
nazionalista, con Marine Le Pen all’Eliseo. Anche le eventuali richieste di una Pari-
gi lepeniste sarebbero grossomodo quelle attuali di rivedere il Patto di stabilità, che
l’Esagono condivide con lo Stivale. Solo sarebbero espresse con più virulenza e
condite con fastidiose, per Berlino e la bolla brussellese, uscite in favore di un
maggiore conservatorismo sociale e di uno smantellamento dei vincoli sullo Stato
di diritto. In quel caso per i tedeschi si aprirebbe il baratro: perdere la metà fran-
cese della coppia con cui dal dopoguerra si autoconvincono di essere buoni com-
porterebbe trincerarsi in un euronucleo (Kerneuropa), a quel punto conclamato
bersaglio di rappresaglie americane sciolte da ogni pudore. Tutto sommato, alla
Germania conviene prestare ascolto ora a Draghi e Macron per non trovarsi a trat-
tare le stesse cose con i «populisti» tanto invisi in patria.
5. Si diceva che lo scenario positivo coincide con quello attuale. Perché nel
caso in cui il primo compito di Draghi vada in porto, il suo governo proseguirà
sulla china già intrapresa. Il presidente del Consiglio ha iniziato ricordando con la
dovuta enfasi che «senza l’Italia non c’è l’Europa», appena prima di enunciare la 49
50
2 - L’EUROPA DELLE MONETE STATI EUROPEI NON APPARTENENTI
FI N L AN D I A ALL’UNIONE EUROPEA E ALL’EUROZONA
ALBANIA lek
BIELORUSSIA rublo bielorusso
NORVEGIA
BOSNIA-ERZEGOVINA marco bosniaco
SVEZIA GEORGIA lari
Mare ESTONIA ISLANDA corona islandese
RUSSIA
ISLANDA del Nord LIECHTENSTEIN franco svizzero
UN EURONUCLEO PER L’ITALIA
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PAESI REGNO UNITO sterlina
REGNO BASSI
UNITO RUSSIA rublo russo
BIELORUSSIA SERBIA dinaro serbo
Oceano SVIZZERA franco svizzero
Atlantico BELGIO G E R M AN I A POLONIA UCRAINA grivnia
LUSS.
REP. CECA UCRAINA
SLOVACCHIA
LICHT.
F R A N CI A
MO
SVIZZ. AU ST RI A
LD
UNGHERIA Mar
SLOV. OVA Caspio
ITA L IA CROAZIA ROMANIA
LO
€ € SAN BOSNIA GEORGIA
AL
€ MARINO -ERZ. SERBIA Mar Nero AZERBAIGIAN
OG
PRINCIPATO ARM.
T
SPAG N A DI MONACO € € BULGARIA
OR
€
P
ANDORRA MONT.
KOS. M.D.N.
CITTÀ DEL
VATICANO ALB. STATI DELL’UNIONE EUROPEA
GRECIA TURCHIA NON IN ZONA EURO
DANIMARCA corona danese
SVEZIA corona svedese
REP. CECA corona ceca
STATI DELL’UNIONE EUROPEA UNGHERIA forino
APPARTENENTI ALL’EUROZONA MALTA
(EURO) ALG E RI A POLONIA złoty
CIPRO BULGARIA lev
€ STATI NON APPARTENENTI TUNISIA
ALL’UNIONE EUROPEA CHE Mar Mediterraneo ROMANIA leu romeno
UTILIZZANO L’EURO CROAZIA kuna
A CHE CI SERVE DRAGHI
tendola a disagio in ambito fscale, certa della reazione avversa dell’opinione pub-
blica. I tedeschi sono già sul piede di guerra, come segnala il blocco della Corte
costituzionale alla legge che approva il Recovery Fund nazionale.
Secondo, possiamo offrire in cambio qualcosa alla Germania che sia anche nel
nostro interesse: oltre a non far saltare per aria l’euro, possiamo giocarci la reindu-
strializzazione del paese. Berlino non ha ovviamente interesse a coltivare concor-
renti. Ma a tenere in piedi la fliera produttiva sì. Sono anni di transizione per l’in-
dustria teutonica, in particolare per l’automobile. Ha bisogno che anche la manifat-
tura del Nord Italia si adegui, per esempio investendo nelle batterie elettriche,
settore di cui vantiamo già un terzo degli operatori di punta a livello continentale.
Oltre che essere nella nostra convenienza pecuniaria, sincronizzare l’evoluzione
della nostra industria a quella tedesca ci è utile pure da un punto di vista strategico.
Le intrinsechezze con la Germania sono servite a convincerla a indebitarsi per noi.
Terzo, e di conseguenza, non dobbiamo cancellare la dipendenza della nostra
manifattura da quella renano-bavarese ma limitarla. Anche qui con l’apporto fran-
cese. Di cui resistere gli intenti di far preda dei nostri gioielli. Ma di cui sfruttare
l’interesse a creare circuiti industriali continentali il più possibile autonomi. Sono
già partiti quattro cantieri sui vaccini, sull’idrogeno, sull’aerospazio (con anche un
progetto a tre con la Germania per lanciatori spaziali europei) e soprattutto sui
semiconduttori, ampliando il raggio dell’italo-francese StMicroelectronics, con il
suo impianto di Catania. La partita dei microchip s’inserisce in quella più ampia fra
8. Cfr. la trascrizione del discorso al Senato del 17/2/2021 all’indirizzo bit.ly/2PjSyTA
9. E. CUNNINGHAM, «Four of Europe’s largest countries suspend AstraZeneca vaccinations; safety agency
says blood clot incidence is low», The Washington Post, 16/3/2021; «Sputnik V: Russia announces
more deals to produce its vaccine in the European Union», Euronews, 15/3/2021. 51
UN EURONUCLEO PER L’ITALIA
Stati Uniti e Cina per impedire alla seconda di colmare il divario tecnologico che la
separa dalla superpotenza. È dunque possibile presentarla come compatibile con
gli sforzi dell’amministrazione Biden per fliere produttive a prova di cinese.
Quarto, occorre riformare il mercato unico. Così com’è non ci è funzionale,
anzi sflaccia la coesione nazionale. Certo, ci consente di scaricare all’estero il no-
stro surplus produttivo, ma sempre meno (l’Italia è con la Francia ultima nell’Ue
per quota di pil esportata) e soprattutto il meccanismo defattivo alla base del fun-
zionamento dell’Ue ci penalizza. Lasciandolo intatto o peggio approfondendolo
come vorrebbero i fanatici nordici del libero scambio rischiamo di avere un Nord
sempre più connesso al Reno ma sempre più avulso dal suo primo mercato, il Sud.
Bisogna sfruttare l’appello a fliere produttive più corte per creare circuiti subeuro-
pei che valorizzino le eccellenze locali invece di appiattirli in un’unica macedonia
insapore.
Quinto, e più in generale, occorre attirare verso sud francesi e tedeschi. Con
tre priorità subalterne: riallacciare il Mezzogiorno al continente, occuparci dei no-
stri mari, contribuire a sedare le crisi mediterranee. Arginare o al massimo redistri-
buire i migranti non può essere l’unico orizzonte, anche perché presto parte di
essi ci servirà per controbilanciare il drammatico calo demografco. Né il Meridione
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può essere un mero cuscinetto contro l’instabilità. I porti del Sud vanno elevati a
progetti di rilievo europeo, se serve con l’inserimento di operatori tedeschi. Con i
francesi è ora di stendere un’agenda di cooperazione navale sulla sicurezza delle
rotte mediterranee, facendosene appaltare una parte dagli americani con il contri-
buto fnanziario della Germania.
Necessariamente più sobri sono gli obiettivi per la Libia e il Levante. La diver-
genza di vedute è troppo profonda, in particolare la faglia fra Parigi e Roma-Berli-
no sulla Turchia, utile mostro per la prima per rientrare nel Mediterraneo, can che
dorme da non destare per le seconde. Senza contare che il ruolo da assegnare ad
Ankara lo decidono la stessa Ankara e Washington a seconda dell’intensità della
penetrazione russa nel mare nostrum. Ma la triangolazione con Francia e Germa-
nia non è una bacchetta magica. Nessuna delle due ci accorderà pari rango. Parigi
non smetterà di provare a estrometterci dalla Libia (al massimo si concederà una
pausa). E Berlino continuerà a rifutare d’indebitarsi per conto nostro. È un’inizia-
tiva fondamentalmente tattica. Ma quando si raschia il barile, tattica e strategia
tendono a coincidere.
52
A CHE CI SERVE DRAGHI
L’ITALIA DI DRAGHI
ALLA PROVA
DELLA REALTÀ di Dario FABBRI
Nessun capo, tantomeno se economista, può alterare il carattere della
collettività di cui è portabandiera. Siamo condannati al declino. Non
possiamo stare sia con gli Stati Uniti che con la Germania perché
seguono traiettorie conflittuali. Le ambiguità verso Russia e Cina.
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S
TANDO ALLA VULGATA, IL FUTURO DEL
nostro paese è nelle mani di Mario Draghi. Quasi la traiettoria di una collettività
dipendesse da un singolo individuo. Dotato di notevole acume diplomatico e di
numerose entrature internazionali, il presidente del Consiglio nei prossimi mesi
sarà impegnato su tavoli cruciali. Benché abbia lasciato nella Repubblica Federale
un negativo ricordo di sé, dovrà persuadere i tedeschi che l’Italia merita i miliardi
stanziati nel cosiddetto Recovery Fund. Quasi organico all’attuale amministrazione
bideniana, dovrà dimostrare agli americani di volere soltanto i soldi garantiti da
Berlino, non ulteriori lacci geopolitici, da respingere per nostro interesse.
Dovrà ignorare le lusinghe di Cina e Russia, calorosamente accolte dai prece-
denti governi Conte, per recuperarci come affdabili agli occhi degli americani. Ap-
prezzato da Parigi per «aver difeso l’Eurozona», dovrà avvicinare Macron per blandi-
re eventuali ritorni punitivi dell’austerità tedesca – oltre che per tranquillizzare ulte-
riormente Washington fngendo di aderire al velleitario progetto comunitario dei
francesi, ritenuto più placido di quello teutonico. Di formazione gesuitica, dovrà
separare l’Italia dalla sinoflia di Francesco senza provocare risentimento Oltretevere.
Vasto programma, assai impegnativo per un soggetto in salute, tanto più per
il Belpaese sprofondato nella disperazione.
Pure se otterrà i fondi sognati, nel medio periodo l’Italia di Draghi si confer-
merà ulteriormente nella sfera d’infuenza della Germania, attirerà gli strali degli
americani, preoccupati dall’attuale disinvoltura tedesca. Dipendenza economica da
Berlino e securitaria da Washington si mostreranno inconciliabili nella congiuntura
attuale, ci esporranno al fuoco di entrambi. Pure se respingesse Russia e Cina strin-
gendosi alla Francia, non potrebbe risollevarsi in Libia, per ritrosia alla violenza
dell’opinione pubblica italica, laddove Cremlino ed Eliseo agiscono contro i nostri
interessi, in assenza di un intervento washingtoniano. 53
L’ITALIA DI DRAGHI ALLA PROVA DELLA REALTÀ
2. In tempi di massima crisi, l’Italia dell’èra unipolare (oggi scambiata per mul-
tipolare) compie puntualmente la medesima scelta. Sconosciuta la potenza tout
court, dentro uno spazio straniero si affda a un illustre economista, solitamente
defnito «tecnico», nel commovente tentativo di risollevare sé stessa.
Nella Penisola vige la certezza che la nostra parabola dipenda esclusivamente
Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
dall’economia, dunque sia da affdare a un esperto del settore, senza cura per la
profondità geopolitica, tattica o strategica. Di più. L’avvento di una fgura cui dele-
gare ogni responsabilità, pure nella fctio di un sistema istituzionale che concede
limitati poteri al presidente del Consiglio, solitamente eccita l’opinione pubblica.
Improvvisamente gli intrecciati miti della competenza e dell’uomo forte si fregiano
di nome e cognome, in sprezzo del protocollo democratico, del sentire elettorale.
Dimenticando, o ignorando, che un bravo statista non è mai un «tecnico», quanto
un individuo dotato di straordinaria sensibilità, capace di cogliere le esigenze della
collettività che guida, per coniugarle con le ricette offerte dagli apparati.
Meglio. Massima qualità di un politico non è una specifca conoscenza, facil-
mente fornita dalla pletora di consiglieri, quanto l’inclinazione a sporcarsi di ethos,
il rigetto per ogni snobistico senso di superiorità nei confronti della cittadinanza, la
volontà di sciogliersi consapevolmente nello spirito della nazione, la capacità di
applicare la cifra antropologica generale all’epoca vissuta.
Viceversa, persuaso d’essere innesco della storia anziché suo prodotto, certo
che ogni vicenda sia questione di decimali, di crescita (o decrescita) economica,
solitamente un «esperto» fallisce nel compito assegnatogli poiché incapace di ab-
bracciare le istanze della popolazione senza derubricarle a esigenze inutili.
Nel corso dei decenni altri economisti sono stati prestati alla presidenza del
Consiglio nel momento del bisogno. Con risultati deludenti.
All’inizio degli anni Novanta, mentre il crollo dell’Unione Sovietica sgretolava
il sistema partitico, tale gravoso incarico fu affdato a Carlo Azeglio Ciampi, già
governatore della Banca d’Italia. Al prezzo di lacrime e sangue l’augusto economi-
sta e letterato livornese ci condusse con la calcolatrice dove richiesto dalla super-
54 potenza americana, ovvero dentro l’integrazione monetaria continentale. Successi-
A CHE CI SERVE DRAGHI
FRANCIA
I TA L I A
Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
MAR
MEDITERRANEO
vamente asceso al Quirinale, fnì per credere che l’europeismo avrebbe inibito il
(sopravvalutato) secessionismo del Settentrione italiano.
All’inizio degli anni Dieci fu chiamato a Palazzo Chigi Mario Monti. Su esplici-
ta richiesta del governo tedesco, il bocconiano approvò una drastica riduzione
della spesa pubblica, su indiscutibile ordine dell’amministrazione americana ci al-
lontanò dalla Russia. Senza migliorare la congiuntura geopolitica, né la fragile
economia nostrana, ci condusse ulteriormente dentro la catena del valore teutonica
– nel frattempo bandendo dalla scena politica l’erratico Silvio Berlusconi.
Oggi è la volta di Mario Draghi, economista di articolata esperienza formativa
e lavorativa. Dopo gli studi in Italia, il neopremier ha trascorso molti anni negli
Stati Uniti, prima perfezionandosi al Mit di Boston, poi come direttore esecutivo
della Banca mondiale, esperienza destinata a tornare utile negli anni successivi.
Rientrato in Italia, tra il 1991 e il 2001 è stato direttore generale del ministero del
Tesoro, vertice della burocrazia interna, nel cui alveo ha allevato un’intera classe di 55
L’ITALIA DI DRAGHI ALLA PROVA DELLA REALTÀ
Quindi Draghi è stato scelto dal Quirinale per convincere gli americani che
vogliamo soltanto i soldi tedeschi, non l’ulteriore subordinazione alla Repubblica
Federale. Oltreoceano la teutonica volontà di salvare l’Eurozona, specie il Nord
Italia, ha generato notevole preoccupazione per un approccio sideralmente distan-
te da quello conservativo che troneggiava a Berlino quando l’italiano guidava la
Bce. Come L’Aia o Vienna, anche Washington si interroga sul prossimo passo di
una Germania intenzionata a puntellare il proprio spazio monetario, forse immagi-
nando di tramutarlo in rendita geopolitica.
Evoluzione che la superpotenza semplicemente non potrebbe tollerare, im-
possibile feudo all’interno del suo impero. Palazzo Chigi dovrà dimostrare all’am-
ministrazione Biden di comprendere la scivolosa natura del Recovery Fund, da
cogliere soltanto per ragioni pecuniarie, senza tradire alcun amore per Berlino,
continuando a fngere sia provvedimento europeo.
Ostilità americana per la Germania già tradotta nelle minacciate sanzioni per
la costruzione di Nord Stream 2, nell’aggressivo affato ecologista con cui colpire la
manifattura teutonica – dunque anche la nostra che al suo interno vive.
Draghi dovrà anche segnare plateale distacco dalla Cina, rinnegando l’ingenua
postura dei governi che lo hanno preceduto. In pieno declino economico Roma
dovrà respingere le lusinghe pechinesi, i legami offerti dalle nuove vie della seta,
per stemperare la washingtoniana freddezza seguìta alla nostra frma sul memoran-
dum bilaterale, per scongiurare nuove rappresaglie. Il più noto economista italiano
chiamato a porre le esigenze geopolitiche sopra al ritorno fnanziario, quasi contro
natura.
Sul tema dovrà schermare l’Italia dalla formidabile infuenza di Francesco, pa-
pa platealmente post-occidentale, tendente a Oriente per affato gesuitico, fautore 57
L’ITALIA DI DRAGHI ALLA PROVA DELLA REALTÀ
i perenni dossier della nostra politica estera. Così il nuovo governo dovrà aumen-
tare l’attenzione dedicata alla Libia, provando a tirare dentro gli americani, tuttora
poco interessati alla nostra ex colonia. Qui proverà a muoversi tra turchi, francesi,
russi, egiziani, emiratini e qatarini, senza neppure bluffare l’uso della forza. Proget-
to altamente improbabile, nonostante l’annunciato viaggio del premier nell’ex
Quarta Sponda, dopo la visita a Tripoli del ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Da ultimo, Draghi si impegnerà ad arginare la nostra esiziale perdita di rilevan-
za nei Balcani, altra regione di prioritaria rilevanza. Anche qui alle prese con la
rinnovata aggressività della Turchia, piantata tra Bosnia e Albania, e con la storica
infuenza di Russia e Germania.
Mentre stenta a compiersi una diffcoltosa campagna vaccinale, fnora massic-
ciamente danneggiata dalla cronica assenza di dosi, dentro lo schema approntato
dalla commissione brussellese. Questione immediata su cui giocarsi la tenuta inter-
na, l’apprezzamento dell’opinione pubblica, la ripresa economica. Prima che in
ogni paese sviluppato i sieri diventino di diffusione comune, probabilmente entro
6-9 mesi. Consapevolezza prospettica che rende i vaccini un’arma spuntata nel
medio periodo ma ferale nell’immediato.
Impietoso ritratto di un’Italia tormentata, aggrappata alle capacità di un econo-
mista alla prima prova da statista, dentro un agone di potenze configgenti, impos-
sibile da navigare con serafca ingenuità. In attesa di incontrare la realtà.
L’ITALIA DI DRAGHI
GERMANIA
i
gh
D ra e ROMA
re zia ar O
a
z n pe sti
iliz sta Cin r i lità
Ut r di da o lg c
pe ma sia e str o i
Dr ve nes
Ro Rus com l no la ag rn e
e ghi a de de sin hi o D
a zi o i g of pe ra
Dr ran tism
la sinoflia di Francesco
Draghi per schivare
italiana
la politica estera
Draghi per infuenzare
ov li r r gh
ga lan er a ov i
USA at ni es
Co cia
nt re CINA
e
Allora potrebbe risultare improbo rassicurare gli Stati Uniti del nostro asettico
collocamento nello spazio economico tedesco. Terrorizzata all’idea di un Vecchio
Continente che imploda, Washington accetterà obtorto collo il soccorso teutonico
in nostro favore, ma è certamente dannoso auspicare un’unione fscale in seno al
continente, ovvero dominata dalla Germania, come scolpito nelle ultime settimane
dallo stesso Draghi, segnale di uno sguardo quasi ideologico alle questioni geopo-
litiche. Ciò che gli Stati Uniti non possono accettare. Né basterà sul tema avvicinar-
si sensibilmente alla Francia, gemello rivoluzionario cui gli Stati Uniti riconoscono
un amplissimo margine di manovra, per comunicare la natura «innocua» della co-
struzione comunitaria.
Piuttosto, Washington pretenderà da Roma costante impegno su altri dossier
rilevanti. Qui sarà altrettanto impervio dimostrare d’aver abbandonato il particolare
rapporto con Mosca, nostro prioritario fornitore di idrocarburi, storica sponda per
negoziare con l’egemone d’Oltreoceano. Piano complicato anche dalla necessità di
diversifcare i vaccini utilizzabili accarezzando l’inclusione dello Sputnik V, anche
solo per indurre Washington a consegnarci milioni di dosi di sua produzione.
Più convincente sarà la deminutio imposta all’improvviso firt con la Cina. Nel
discorso programmatico pronunciato in Senato, Draghi s’è detto preoccupato da
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quanto avviene intorno alla Repubblica Popolare in tema di diritti umani 5, senza
indicarla come il futuro cui guardare con convinta speranza.
Mossa di un governo che vuole corroborare il proprio atlantismo attraverso
una plateale freddezza nei confronti della Repubblica Popolare – oltre che con gli
eccezionali contatti nell’amministrazione bideniana. Fino a condurre la nostra Ma-
rina nell’Indo-Pacifco per partecipare del contenimento anticinese, altra manovra
di riavvicinamento a Washington.
Proprio l’immaginata inversione sull’Impero del Centro potrebbe raffreddare i
rapporti tra Palazzo Chigi e il Vaticano, nonostante la spiritualità di Draghi. Con il
rischio di smarrire un sostanzioso gancio in Estremo Oriente.
Ancora, sarà pressoché impossibile invitare gli Stati Uniti a combattere per noi
in Libia contro i turchi. La superpotenza guarda con enorme diffdenza all’espan-
sionismo di Ankara, ma lo giudica tuttora troppo utile per frenare la Russia, villano
designato dai suoi apparati. Senza una nostra inclinazione a soffrire per ottenere
maggiore infuenza nell’ex colonia, sarà inutile sperare nel soccorso ecumenico
degli altri. Medesimo discorso per i Balcani, territorio ormai estraneo alla nostra
disponibilità, o per l’Europa centro-orientale, regione ritenuta cruciale dagli Stati
Uniti, dove risultiamo pressoché inesistenti.
Sul fronte dei vaccini, al netto di sforzi genuini e fasulli per accaparrarci
antidoti non occidentali, il governo Draghi riuscirà a realizzare la campagna vac-
cinale soltanto quando Washington vorrà devolvere verso il Vecchio Continente
milioni di dosi in eccesso – e quando esisterà un siero tutto italiano. Presto l’an-
tidoto al Covid-19 sarà merce comune, ma nel frattempo Palazzo Chigi deve
60 5. Cfr. «Testo integrale del discorso di Mario Draghi in Senato», la Repubblica, 17/2/2021.
A CHE CI SERVE DRAGHI
posto giusto, ovvero alla testa di un paese che avrà evitato la bancarotta per bivac-
care in un lacerante limbo.
5. Il mito del leader è tra più duraturi della storia umana. L’idea che un solo
individuo possa cambiare il corso degli eventi è al contempo conseguenza dell’an-
cestrale fascinazione per gli eroi, di un utilitaristico sottrarsi alle proprie responsa-
bilità, della reticenza ad approfondire i complessi fattori strutturali che informano
la traiettoria di una collettività.
Distorsione della realtà molto diffusa nel nostro paese, storicamente incline ad
attendere un solitario salvatore della patria. Specie se di formazione economicistica,
per convinzione che la salute di una collettività sia frutto del solo benessere materia-
le, come capita a ogni satellite di un impero altrui. E Draghi incarna perfettamente
l’uomo del momento, prestigioso, competente, chiamato a sbrogliare una tremenda
situazione sollevando dall’incombenza i partiti, il parlamento, la stessa opinione
pubblica. Ma neppure il capo più capace può incidere senza una necessaria cifra
antropologica generale. L’Italia di Draghi potrebbe trascendere le secche in cui esiste
soltanto se la popolazione fosse disposta a sopportare gli enormi sacrifci richiesti dal
perseguimento della potenza, se fosse pronta ad affrontare gli anni che verranno
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senza i fondi garantiti dalla Germania, se intendesse estricarsi dalla sfera d’infuenza
teutonica accettando un deterioramento della propria condizione economica, se
contemplasse l’uso della forza per recuperare il terreno perduto in Libia.
Manovre che richiedono l’indispensabile sostegno degli abitanti, ben oltre la
capacità di un governo. Quanto manca a Draghi, restio a investire in iniziative che
possano incidere sul fattore umano. Impegnato ad agire in dimensione tattica, a
condurre il nostro paese oltre il fallimento immediato, ma dentro molteplici spazi
altrui. Mero gestore delle risorse offerte dalla cittadinanza, dall’epoca che viviamo.
Inevitabilmente destinato a essere odiato se l’opinione pubblica gli attribuirà mezzi
di cui non dispone. Specie quando risulterà palese che il Belpaese non potrà inver-
tire il declino. Per propria struttura antropologica. In barba al suo nuovo leader.
62
A CHE CI SERVE DRAGHI
IL PIANO
È RIFARE
LO STATO di Fabrizio MARONTA
Gli aiuti europei sono l’ultima occasione per dotarci di una vera
tecnocrazia. La funzione crea l’arto: l’obbligo di spendere presto
e bene può rovesciare il dominio dei giurisperiti, garanzia di stallo.
Il metodo Draghi. Le infrastrutture che contano. Priorità Sud.
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S
PENDERE TROPPI SOLDI. SENZA LE
burocrazie adeguate. Con il rischio di «perdere» il Sud. Oppure: riagganciare il
Sud, avviando il ripensamento della macchina statale necessario a cogliere l’occa-
sione – forse unica, certo storica – degli aiuti europei.
Non è un palindromo da enigmisti. È il rebus che attende Mario Draghi, sined-
doche dell’Italia piegata da un’epidemia che ne aggrava mali cronici. Chiamata ora
a scegliere se rifarsi o morire di morte lenta, dolorosa, indotta dall’inerzia e dall’e-
morragia di risorse morali e materiali.
Soldi europei, Stato nazionale, Sud: questo il «cosa». Sul «come» occorre distin-
guere analiticamente tra ora (emergenza) e poi (rifondazione). Senza farsi distrarre
dalla diacronia delle fasi, perché ciò che facciamo nella prima (i prossimi mesi) ha
effetti determinanti sulle nostre possibilità di riuscire nella seconda.
Aiuti auspicati…
A inizio marzo l’Istat certifca: i poveri in Italia sono 5,6 milioni, un milione in
più del 2019 1. Record storico malgrado cassa integrazione, blocco dei licenziamen-
ti, reddito di cittadinanza e d’emergenza. Al Nord, sinora il più funestato dal Co-
vid-19, l’aumento maggiore (700 mila poveri in più): livellamento al ribasso con un
Mezzogiorno da decenni in acuta sofferenza e che continua a esibire picchi d’indi-
genza 2. I lavoratori poveri, che non guadagnano abbastanza per acquistare beni e
servizi essenziali, sono aumentati del 30% tra le famiglie operaie – sì, esistono an-
1. L.L. SABBADINI, «Coronavirus, donne e giovani sono i nuovi poveri del grande Nord», la Repubblica,
4/3/2021.
2. F. MARONTA, «Il crepuscolo del Mezzogiorno spacca l’Italia», Limes, «L’Italia al fronte del caos», n.
2/2021, pp. 101-109. 63
IL PIANO È RIFARE LO STATO
cora – e del 46% tra quelle il cui reddito deriva principalmente da lavoro autono-
mo. Le fasce più colpite sono (a decrescere): 35-64 anni (soprattutto 35-50), 18-34
anni e i minori. Insieme fanno oltre il 70% dei nuovi poveri. L’occupazione femmi-
nile, già bassa, è tornata ai livelli di venticinque anni fa. I quasi 1,3 milioni di mi-
norenni oggi indigenti rischiano di vedere irrimediabilmente compromesso il loro
futuro. Che è anche il nostro.
L’ossigeno che l’Unione Europea intende somministrare sotto specie di aiuti
fnanziari a questo corpo sociale tramortito dal virus, per tenerlo in vita e favorirne
la remissione, si chiama Next Generation Eu. Numeri importanti, su cui è impor-
tante fare chiarezza. Per coglierne appieno l’eccezionale portata e sfuggire al ma-
nicheismo disinformato che vi scorge una regalia o un prestito a strozzo. Né l’una,
né l’altro. È una mano tesa: possente se dispiegata appieno, ma non gratis.
Dei 750 miliardi stanziati in sede europea, secondo gli ultimi calcoli 3 all’Italia
ne spettano nominalmente 191,5 in quattro anni (2021-24): quasi 70 in sovvenzio-
ni «a fondo perduto», il resto in prestiti a lunga scadenza (2058) e a tassi agevola-
ti. Aggiungendo i fondi del React Eu, si arriva a circa 204 miliardi. Due caveat.
Sull’avverbio (nominalmente): i soldi sono in realtà meno. Ai 70 miliardi di
sovvenzioni vanno sottratti i circa 50 miliardi di contributo italiano al bilancio co-
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3. R. AMATO, «Recovery Fund, Franco: “Per l’Italia 191,5 miliardi. Cabina di regia al ministero dell’Eco-
nomia”», la Repubblica, 8/3/2021.
4. S. MERLER, «Next Generation, chi ci guadagna e chi ci perde», lavoce.info, 10/3/2021, bit.ly/3tLWpaW
5. Ibidem.
64 6. R. CARPANO, «Next Generation EU=18 piani Marshall», limesonline, 2/11/2020, bit.ly/3VNWooy
A CHE CI SERVE DRAGHI
… ma male invocati
Tra i criteri del Next Generation vi è quello di destinare almeno il 37% dei
fondi alla transizione ecologica – che poi vuol dire, in gran parte, elettrifcazione e
decarbonizzazione della produzione elettrica primaria – e almeno un quinto alla
transizione digitale. A rilevare di più, tuttavia, è la previsione che i piani nazionali
«rifettano le sfde specifche del paese». Tradotto per noi: aumento della produtti-
vità (stagnante da oltre vent’anni), snellimento della giustizia civile, investimenti in
scuola e ricerca, aumento del tasso d’occupazione di donne e giovani. Si noti che
queste non sono riforme: sono esiti di riforme a lungo predicate ma mai attuate,
anche quando «a costo zero». Defnizione fuorviante, questa, perché in realtà han-
no un costo politico altissimo. Realizzarle implica infatti scardinare interessi costi-
tuiti che dello sfascio si giovano, facendone pretesto per il corporativismo e il po-
tere d’interdizione esercitato da molte categorie professionali. Meglio: dai segmen-
ti più forti e tutelati delle stesse, a danno del resto.
L’esecutivo rubricato «Conte 2» ne aveva tratto un Piano nazionale di ripresa e
resilienza (sic) articolato in sei «missioni»: digitalizzazione, innovazione, competiti-
vità e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una
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7. L. TIVELLI, «Recovery Plan, il peso dell’eredità di Conte e le priorità per Draghi», Formiche, 12/2/2021,
bit.ly/3eZCBgk
8. G. ZAPPONINI, «Il falso problema dei brevetti sui vaccini e il Recovery modello Genova. Maffè all’at-
tacco», Formiche, 2/3/2011, bit.ly/3942c3O 65
IL PIANO È RIFARE LO STATO
qualifcato e la più grave caduta della natalità» 9. Negli ultimi anni si sono investiti
«oltre 10 miliardi nell’adeguamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria senza
mutarne il tortuoso percorso interregionale» e «il prevalente dispiegamento in due
corsie». Inoltre, «alta velocità/capacità, potenziamento di porti e vie del mare, rior-
ganizzazione del trasporto aereo (…): nessuno di questi investimenti ha riguardato
il Mezzogiorno. Non c’è alcuna giustifcazione tecnica, politica, culturale, perché
esista una tale disuguaglianza e il Recovery Plan deve avere il coraggio di colmar-
la». Purtroppo, nella prima stesura non lo aveva.
to aduso a vessare per chiedere e a latitare quando occorre dare. Il nostro rappor-
to schizofrenico e irrisolto con lo Stato e con le sue emanazioni istituzionali ha
favorito quel disinvestimento negli apparati burocratici che ha caratterizzato la
postmodernità italiana. In ciò non ci distinguiamo molto da gran parte del mondo
sviluppato. Salvo che da noi i contraccolpi della pratica si sono sommati a carenze
storiche, antiche difformità territoriali e al parallelo collasso delle scuole di partito,
spazzate via da Tangentopoli.
L’esito di questo depauperamento è così riassumibile: «Meno 212 mila unità
in una pubblica amministrazione già sottodotata rispetto ai principali paesi Ue, sia
in rapporto al pil che alla popolazione servita. (…) Un’età media dei dipendenti
pubblici di quasi 55 anni – il livello più alto dei paesi Ocse – rispetto a una quota
di occupati 18-34 anni inferiore al 2% (Forze armate escluse). La forte fessione
della spesa in formazione del personale: 48 euro e 1,02 giornate a dipendente,
considerando solo quelli a tempo indeterminato. Una netta prevalenza di profli
giuridici e la carenza di nuove professionalità, tra cui quelle tecniche e organizza-
tive. Il ricorso crescente a fgure fessibili e precarie – oltre 350 mila – e all’ester-
nalizzazione di funzioni (immaginiamo Mario Draghi aggirarsi pensoso dentro
Palazzo Chigi, prima di impugnare il cellulare e chiamare McKinsey, n.d.r.). Ciò
ha impedito alla pubblica amministrazione di migliorare le proprie competenze e
ha creato nuovo precariato, (…) sicché l’apporto innovativo di questi soggetti è
stato poco valorizzato» 10.
9. «Mezzogiorno in movimento. Appello al Governo italiano per il Recovery Plan», Svimez e Fonda-
zione PER, 3/3/2021, bit.ly/3vNIKCh
10. S. DE LUCA, D. DI DIO, C. MOCHI SISMONDI, «Se la PA non è pronta. Proposta per una Pubblica Am-
66 ministrazione rigenerata», Forum Disuguaglianze Diversità, Movimenta e Forum PA, dicembre 2020.
A CHE CI SERVE DRAGHI
E i riflessi sull’infrastruttura
La qualità geopolitica di un paese non è data solo dalle sue potenzialità. È data
anche, per certi versi soprattutto, dalla capacità di volgerle in potenza. Di concretiz-
zarle. Parlare di dirigenti statali, rendicontazione e codice degli appalti in una rivista
di geopolitica può sembrare bizzarro. Lo è molto meno quando si cala il discorso nel
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Mar Mediterraneo Trapani Reggio di Calabria
tuttalpiù altiforni e altre grandi industrie, come le cartiere. Eppure in Italia, econo-
mia di trasformazione dipendente dal gas russo e nordafricano, c’è una pletora di
industrie medie e mediamente energivore – salumifci, impianti d’imbottigliamento
dell’acqua minerale, mobilifci, centri di ricerca, caseifci: l’ossatura industriale del
paese – a oggi priva di accesso al gas.
L’industria italiana consuma in media 12.500 tonnellate di gas all’anno. Per
raggiungere gli obiettivi europei di contenimento della CO2 (cui l’erogazione del
Recovery è in parte connessa), occorre raggiungere le 160 mila tonnellate entro il
2030, sostituendo altrettanto gasolio. Aggiungiamo il settore domestico. L’autotra-
zione. Le grandi navi (merci, traghetti, crociere), di cui oggi solo tre sono alimen-
tate a gas, contro le settanta (minimo) necessarie. In termini infrastrutturali ciò
implica costruire in meno di dieci anni altri due rigassifcatori, almeno trenta de-
positi di stoccaggio (cinque dei quali sopra i 20 mila metri cubi), reti capillari di
distribuzione, stazioni di carico dei tir cisterna e terminali di rifornimento portuali.
Opere la cui necessità è nota da tempo, ma che non riescono a staccarsi dalla
carta su cui sono descritte e invocate 19. Quando sentiamo parlare di Green Deal,
chiediamoci – chiediamo – come possa darsi transizione energetica, con tutto il
suo portato di know-how tecnologico-industriale, senza energie transitorie. La ri-
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sposta è scontata.
Non sfugge che una simile politica necessiti di attenta pianifcazione centrale,
salvo demandarne in parte l’attuazione a soggetti locali. Riprendendo il nostro
metro della damnatio legum, giungiamo così al sommo obbrobrio: la riforma del
titolo V della costituzione operata nel 2001, alla cui pessima (e moralmente dolosa)
concezione è seguita un’attuazione altrettanto sciagurata. Il non aver previsto
esplicitamente una clausola di supremazia del governo centrale e una defnizione
dello stato d’eccezione circoscritta ma più ampia di quella ex articolo 78 (la guer-
ra) 20 ha reso Roma tragicamente impotente. Che poi è quanto voleva la Lega di
Umberto Bossi, per inseguire la quale il centro-sinistra (al tempo vigeva il trattino)
suicidò sé stesso e il paese. Sarebbe interessante sapere da Joe Biden, presidente
della Federazione par excellence che oggi schiera l’Esercito nazionale per vaccina-
re la popolazione, cosa ne pensi del nostro «federalismo» e di una sussidiarietà
spesso tradottasi in marasma istituzionale.
Ora
Ma non è tempo di polemiche questo. Catapultato a Palazzo Chigi dall’implo-
sione del Conte 2, Draghi lavora in emergenza con una macchina pubblica di
scarso ausilio. Che fare? Nell’immediato: aggirarla il più possibile, come si intuisce
dall’annunciato decreto legge per attuare il riscritto Piano nazionale, in risposta
19. S. CARLI, «Energia: manca l’infrastruttura e l’Azienda Italia non va a tutto gas», la Repubblica,
1/3/2021.
20. M. ORICCHIO, «Con la pandemia è scoppiata la questione istituzionale», lavoce.info, 8/7/2020, bit.
70 ly/3d05qqt
A CHE CI SERVE DRAGHI
alla richiesta del commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni di «un bi-
nario straordinario».
La consulenza di 30 mila euro a McKinsey – la cui prossimità ai vati del rating
ne rende il sigillo una sorta di salvacondotto reale negli ambienti economico-fnan-
ziari internazionali – è l’albero. La foresta, a vederla tutta, rivela l’intricata rete di
rapporti e conoscenze che il neopremier porta in dote. Prezioso valore aggiunto
anche agli occhi del capo dello Stato, dopo anni di dilettantismo allo sbaraglio con
annesse lotterie dei curricula online.
Anzitutto, le persone. Una lista essenziale, ma non esaustiva, dei «fdati» di
Draghi al governo include il ministro dell’Economia Daniele Franco e il suo capo
di gabinetto Giuseppe Chiné, il capo di gabinetto della presidenza Antonio Funi-
ciello e il segretario generale Roberto Chieppa, il sottosegretario Roberto Garofo-
li e il suo capo di gabinetto Daria Perrotta, il capo del dipartimento Affari giuridi-
ci e legislativi Carlo Deodato, il ministro della Transizione ecologica Stefano Cin-
golani, il capo di gabinetto della pubblica amministrazione Marcella Panucci, il
ministro della Giustizia (di provenienza bocconiana) Marta Cartabia, già presiden-
te della Consulta. A essi si affancano consiglieri esterni ma assai prossimi, come
l’economista (pure bocconiano) Francesco Giavazzi e l’esperto di diritto ammini-
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strativo Marco D’Alberti, che con il ministro Franco e pochi altri coadiuvano il
premier nella riscrittura del Recovery Plan. Sono questi, oggi, gli «adulti nella
stanza» dei bottoni.
Secondo: le istituzioni, da cui gran parte di queste fgure – compreso lo stesso
Draghi – proviene. Su tutte la Banca d’Italia (di cui Draghi è stato governatore dal
2005 al 2011), che ha sfornato molta classe dirigente italiana nell’ultimo trentennio
e con cui il presidente del Consiglio coltiva assidui contatti.
Poi Cassa depositi e prestiti (Cdp), la principale istituzione fnanziaria a parte-
cipazione pubblica del paese: sorta di ministero ombra al cui vertice Draghi ha
voluto Dario Scannapieco, suo braccio destro quando era al Tesoro (da direttore
generale) e sottratto alla vicepresidenza della Banca europea degli investimenti.
Cdp è destinata a svolgere un triplice, cruciale ruolo nell’attuazione del Recovery,
come illustrato dal suo vicedirettore Paolo Calcagnini in una recente audizione
alla Camera: ideazione di progetti, «sponsorizzazione» di progetti terzi ritenuti par-
ticolarmente validi, fnanziamento degli stessi 21. A tal fne la Cassa sta strutturando
Patrimonio destinato: un fondo da 44 miliardi di euro per il rilancio del sistema
produttivo riservato a società per azioni (quotate e non) con sede legale in Italia,
che non operino nel settore fnanziario e fatturino almeno 50 milioni. Uno stru-
mento ideato per fungere da braccio operativo delle politiche governative connes-
se al Recovery 22.
Ancora, il mondo bancario. Come attesta il coinvolgimento di Antonio Patuel-
li, presidente dell’Associazione bancaria italiana, nelle consultazioni allargate. Un
21. «Next Generation EU. Cosa signifca per l’economia italiana?», Cassa depositi e prestiti, 1/8/2020;
«Ecco dove si investirà con il Recovery Fund», Start Magazine, 12/9/2020, bit.ly/3lBOHxi
22. A. MURATORE, «La “dottrina Draghi” sulle banche», Inside Over, 13/2/2021, bit.ly/2PdVwcz 71
IL PIANO È RIFARE LO STATO
mondo che Draghi conosce bene e nel quale punta in particolare su Intesa Sanpa-
olo, la maggiore banca privata nazionale, affnché coadiuvi Cdp. Nel burrascoso
2020 Intesa ha fatto oltre 3 miliardi di utile e concesso credito a famiglie e imprese
per 50 miliardi: ottime credenziali per un governo che brama il contributo di pri-
vati credibili e solidi alla guarigione (recovery) di un’economia malata.
Infne, le grandi imprese (ex) di Stato che albergano competenze, mezzi e
interesse a colmare i ritardi infrastrutturali del paese: Eni, Enel, Snam, Leonardo-
Finmeccanica, Telecom, Ferrovie dello Stato, Poste Italiane, Saipem, Fincantieri. Ma
anche grandi gruppi come Fca, Salini Impregilo, Atlantia (o quel che sarà), Edison,
i grandi armatori.
A questa più o meno santa alleanza in nome dell’interesse nazionale si cer-
cherà di demandare quanto possibile, almeno nell’immediato, l’avvio e la gestio-
ne delle grandi linee d’intervento del Recovery. Onde supplire all’insipienza e
alla farraginosità di una pubblica amministrazione mortifcata da decenni di acca-
nita incuria. Ma anche scongiurare, se possibile, il sabotaggio degli infniti livelli
di (s)governo – abilissimi nell’elidersi a vicenda – in cui si è andato frammentando
il nostro apparato istituzionale. Con la consapevolezza che a tali problemi tocca
mettere mano quanto prima. Insieme a quello del Mezzogiorno.
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Poi
Limiti di spazio e di pazienza del lettore impediscono di squadernare il libro
dei sogni di una compiuta riforma del governo territoriale e dell’amministrazione
pubblica. Quanto fnora esposto dovrebbe fornire, a contrario, alcune indicazioni,
per il cui dettaglio si rimanda alle relative fonti, ben più qualifcate del sottoscritto.
Basti qui sottolineare la cifra del «modello Draghi» che sembra delinearsi: non un
nuovo Iri, diffcilmente replicabile nell’industria moderna caratterizzata da rapida
obsolescenza tecnologica e da iperspecializzazione produttiva, incompatibili con
vasti e persistenti oligopoli statali. Piuttosto, un apparato di gestione economico-
fnanziaria tecnicamente competente e orientato da politiche volte a proteggere e
sviluppare il nucleo produttivo nazionale. Un sistema di coordinamento tra impre-
se, banche e istituzioni abbastanza stabile da garantire continuità, ma suffciente-
mente fessibile da adattarsi al mutevole panorama geoeconomico. E proprio per
questo in grado di reggere alla prova del tempo 23.
Un discorso più circostanziato merita il Sud. Perché sul recupero di questo
pezzo d’Italia – un terzo della popolazione, il 40% circa della superfcie – al resto
del paese si gioca la principale sfda interna del Recovery. Una partita d’incalcola-
bile valore geopolitico. La rinuncia di Roma e del Nord al Mezzogiorno non si
esplica unicamente negli indicatori di reddito, scolarità, occupazione. Ha anche un
tangibile, macroscopico risvolto fsico nel divario infrastrutturale. Non si tratta solo
23. ID., «Geopolitica, fnanza, classe dirigente: l’agenda strategica dell’Italia», Osservatorio globalizza-
72 zione, 27/5/2020, bit.ly/2PgzW6W
A CHE CI SERVE DRAGHI
farsi almeno due-tre ore di auto fno a Salerno o a Napoli. Se su Google maps
vuole tracciare il percorso in treno, incappa nel messaggio: «Spiacenti, non siamo
riusciti a calcolare le indicazioni». Lo stesso che compare se s’interroga l’oracolo
sulla possibilità di andare dall’Europa a New York in pullman.
Malgrado l’oneroso ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria, l’Italia
autostradale resta bisecata: al Centro-Nord una rete in concessione e a pedaggio,
al Sud un’unica dorsale semimontana più simile a una superstrada interregionale.
Che non di rado strappa ancora a chi la percorre il caustico commento: «Almeno
non si paga».
Nel 2019 solo due aeroporti meridionali superavano (di poco) i 10 milioni di
passeggeri l’anno: Napoli e Catania. Roma Fiumicino ne totalizzava 43 milioni,
Milano Malpensa 29, Bergamo-Orio al Serio 14, Venezia 11,5. Chi dall’aeroporto
di Palermo, quinta città italiana e capoluogo di una regione da cinque milioni di
anime, abbia mai fatto il tragitto – in auto, il «treno» si ferma in periferia – verso la
città, può evitare di leggere oltre. Eppure il Sud esibisce quattro scali aerei in Pu-
glia e altrettanti in Sicilia, tre in Calabria, idem in Sardegna, due in Campania e
uno in Abruzzo. Nota su quest’ultimo: Roma-Pescara (200 km) in auto due ore e
venti, in treno non meno di sei.
Il Sud va connesso: tra le sue parti e soprattutto al resto d’Italia. Il succitato
documento Svimez-Fondazione Per riassume egregiamente come.
Primo: costruendo una nuova, moderna ferrovia ad alta velocità (300-350
km/h) Salerno-Palermo per traffco passeggeri e treni merci leggeri. I convogli
24. Corriere della Sera, 30/10/1921, citato in A. MINIERO, «Da Versailles al milite ignoto. Rituali e reto-
riche della vittoria in Europa (1919-1921)», Roma 2008, Gangemi. 73
IL PIANO È RIFARE LO STATO
merci oltre 1.500 metri, duemila tonnellate e a sagoma alta resterebbero sulle vec-
chie linee.
Secondo: realizzando, fnalmente, il ponte autostradale e ferroviario sullo
Stretto di Messina, per la cui costruzione esistono ormai tecniche e materiali speri-
mentati con successo anche da imprese italiane (in molti casi all’estero), come Sa-
lini Impregilo, Pizzarotti, Rizzani de Eccher, Bonatti, Ghella, Cimolai 25. La valenza
di quest’opera – di cui c’è un progetto defnitivo e la cui travagliata gestazione
obbliga oggi lo Stato a indennizzare per 780 milioni il vincitore dell’appalto in caso
di cancellazione – è duplice. Simbolica: porre fne all’insularità della Sicilia, avvian-
done la trasformazione da frammento avulso del paese a suo fulcro geostrategico
nel cuore di un Mediterraneo in ebollizione. Pratica: tagliare drasticamente i tempi
di percorrenza ferroviaria, che con una linea siffatta e con il contestuale ripensa-
mento del trasporto su ferro siciliano permetterebbe di collegare Roma allo Stretto
in tre ore, Roma e Palermo in cinque, le maggiori città siciliane (Palermo, Catania,
Messina) in un’ora e mezza. Un mondo nuovo.
Terzo: incrementando «l’intermodalità di porti, retroporti e autostrade del ma-
re, per dare spazi e prospettive sui mercati domestici e intercontinentali alle Zone
economiche speciali (Zes) istituite nel 2017» 26. L’obiettivo dovrebbe essere la crea-
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25. A. NORSA (a cura di) «Report 2020 on the Italian Construction, Architecture and Engineering Indu-
stry», Guamari, novembre 2020.
74 26. S. DE LUCA, D. DI DIO, C. MOCHI SISMONDI, op. cit.
A CHE CI SERVE DRAGHI
c’è gran bisogno anche in altre zone del paese, ma che al Sud risulta particolarmen-
te urgente stanti la scarsità di risorse locali e l’acuta necessità di non disperderle.
Si può liquidare tutto questo come l’ennesima agenda dei sogni, commentan-
do con smagato sarcasmo che sognare non costa niente. E invece no: i sogni co-
stano cari, se concreti e realmente perseguiti. Quanto al prezzo di lasciarli nel
cassetto, meglio non pensarci.
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75
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A CHE CI SERVE DRAGHI
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A
LLA COMPARSA IMPROVVISA DEL COVID-19,
da queste stesse pagine sottolineammo come in breve tempo le relazioni interna-
zionali sarebbero state dominate da fussi di aiuti in forma di assistenza sanitaria
d’emergenza scambiati dai singoli Stati 1. Fu una dinamica che segnò il prepotente
ritorno di politiche estere bilaterali, mossesi in autonomia a fronte di diffuse passi-
vità e inconsistenza del livello «multilaterale», incapace di reagire in tempi rapidi
agli inediti scenari apparsi.
Si prefgurava un nuovo capitolo di quella guerra degli aiuti osservata in anni
recenti su altri scenari (dalla Ucraina alla Siria o al Kosovo), con pochi Stati dona-
tori tradizionali a contendersi l’intervento in nuovi e inaspettati teatri di interesse
geopolitico. Come in Italia, paese del G7 diventato all’improvviso scenario di assi-
stenze in primis russe ma anche cinesi, americane e di una molteplicità di donato-
ri minori (come l’Albania) dalla forte visibilità geopolitica. Al protagonismo di sin-
goli Stati fece da contraltare la diffusa assenza operativa delle principali organizza-
zioni internazionali (dall’Onu e dalle sue agenzie alla Nato e alla stessa Ue), che
pure nei decenni precedenti avevano registrato una presenza capillare sul campo
nei principali fronti di crisi mondiali.
Durante tutta la prima fase epidemica (virus outbreak: febbraio-maggio 2020)
questi interventi di aiuto, benché motivati da obiettivi geopolitici, si sono caratteriz-
zati per attività basiche di aiuto emergenziale e forniture mediche, spesso di impatto
limitato e portatrici di ricadute per lo più simboliche. È stato un passaggio di grande
confusione logistica e istituzionale nel fusso del dare-avere degli aiuti sanitari, ag-
gravata dall’iniziale mancanza di informazioni sul nuovo virus e quindi dall’impreve-
1. I. PELLICCIARI, «Perché il Cremlino ha per ora vinto la gara degli aiuti a Roma», Limes, «Il vincolo in-
terno», n. 4/2020, pp. 85-95. 77
NELLA PARTITA DEI VACCINI L’ITALIA È IN FUORIGIOCO
dibilità della durata stessa dell’epidemia. In questo primo periodo iniziano a deline-
arsi ruoli e dinamiche di relazione tra donatori e benefciari che si riproporranno, in
forma più sofsticata, nel prosieguo dell’emergenza. Ovvero nella seconda fase (sta-
bilizzazione del virus in Europa e spostamento nel resto del mondo), da giugno a
settembre 2020, e nella terza (ritorno delle seguenti ondate nel Vecchio Continente),
dall’ottobre 2020.
poca di una rifessione logica piuttosto che ideologica, questa previsione si è avve-
rata con sorprendente precisione nelle seguenti fasi epidemiche, in particolare nel
sottolineare l’importanza delle parole chiave «produzione» e «distribuzione» del vac-
cino. Ovvero nelle componenti che maggiormente sono state terreno di confronto
e negoziazione degli Stati sovrani impegnati a programmare le proprie campagne
di immunizzazione di massa.
Pur affermandosi come risorsa selettiva primaria cui tutti senza eccezione han-
no ambìto, il vaccino non ha ricoperto ovunque la stessa valenza di strumento
geopolitico. Si è infatti registrata una profonda variazione in termini di intensità ed
effcacia del suo uso per fni geopolitici tra paesi occidentali (soprattutto nell’Unio-
ne Europea) e orientali (in particolare Russia e Cina). Con una netta predominanza
dei secondi sui primi.
È opportuno isolare nel dettaglio le differenze strutturali tra il «vaccino occi-
dentale» e il «vaccino orientale» per comprendere perché alcuni paesi, quelli del
fronte Est, siano riusciti a trarre benefci geopolitici che sono andati ben oltre la
mera proflassi della propria popolazione, con considerevoli risultati al di fuori dei
confni nazionali. Con apparente paradosso, anche a scapito della vaccinazione
della propria popolazione, penalizzata dalla strategia geopolitica nazionale, o me-
glio imperiale. Quei paesi, in particolare Russia e Cina, si sono intestati vere e
proprie politiche degli aiuti basate sulla somministrazione del vaccino a paesi terzi.
All’origine della diversità tra il vaccino occidentale e quello orientale vi è stata
una profonda difformità nella morfologia stessa delle rispettive fliere produttive e
2. I. PELLICCIARI, «Covid-19. La guerra globale degli aiuti e il caso Italia», Formiche, 26/3/2020, bit.ly/2OPJIgN;
A. CAMPI (a cura di), DOPO. Come La pandemia può cambiare la politica, l’economia, la comunicazione, le
78 relazioni internazionali, Soveria Mannelli 2020, Rubbettino.
A CHE CI SERVE DRAGHI
Il vaccino geopolitico orientale nasce sotto una rigida matrice statale che ne
segna il destino dalla ricerca alla distribuzione. Può contare sul sostegno del gover-
no nazionale in Stati con economie pubbliche parastatali dominanti e, insieme, sul
know-how specializzato del settore Difesa, inaccessibile ai privati.
Primi vantaggi geopolitici di tale genesi sono stati sia la disponibilità di imme-
diate e quasi illimitate risorse pubbliche per la ricerca, svincolate da considerazioni
sui costi-benefci tipiche del mercato privato, sia la possibilità di godere di un ap-
poggio politico non mediato, dall’alto, e di maggiore libertà operativa. Russi e ci-
nesi hanno seguìto protocolli (spesso militari) molto più snelli di quelli occidentali.
Al contempo, meno burocratizzati e meno trasparenti rispetto ad autorità indipen-
denti di controllo.
Questo aspetto è stato fondamentale nella fase iniziale della ricerca e della
sperimentazione.
È il caso emblematico del vaccino Sputnik V, la cui impronta statale è stata
rimarcata già dal nome «sacro» scelto per battezzarlo (il primo satellite umano lan-
ciato nello spazio, orgoglio del positivismo tecnologico sovietico) e dal fatto che
sia stato Vladimir Putin in persona ad annunciarne la scoperta e la produzione
nell’agosto 2020.
L’operazione è stata vissuta e presentata dal Cremlino con lo stesso compiaci-
mento del primato raggiunto ai tempi della corsa allo spazio, durante la guerra
fredda. Come indica la scritta «il primo vaccino registrato contro il Covid-19» im-
pressa sui bancali che trasportano lo Sputnik V.
I pochi dati sperimentali rilasciati dalle autorità sanitarie russe – principale ar-
gomento usato all’epoca dagli scettici sulla effcacia della scoperta – fanno suppor- 79
NELLA PARTITA DEI VACCINI L’ITALIA È IN FUORIGIOCO
re ora che la fase iniziale di ricerca e prima elaborazione del vaccino sia partita da
unità militari di élite specializzate in operazioni batteriologiche, destinate a restare
segrete per defnizione. Il che per inciso sembra confermare l’altra tesi a suo tempo
avanzata su queste pagine, ovvero che la campagna russa di aiuti militari sanitari a
Bergamo e Brescia abbia permesso di raccogliere sul campo le primissime sequen-
ze virali disponibili fuori dalla Cina e ottenere biodati fondamentali per lo sviluppo
anticipato di Sputnik V. Che pure è arrivato, in fn dei conti, solo due mesi prima
dei vaccini di Big Pharma.
Condizionato all’origine dal settore pubblico, il vaccino geopolitico orientale è
monopolio dello Stato, che ne ha potuto disporre grazie al controllo politico diret-
to delle relative tattiche operative, a partire dalla defnizione dei cruciali piani di
distribuzione vaccinale, domestici e internazionali.
Sul piano interno, l’inizio in anticipo rispetto all’Occidente delle campagne na-
zionali di immunizzazione di massa si è caricato di un signifcato politico di rafforza-
mento del consenso verso il regime. A tal punto da porre questo obiettivo tra le f-
nalità primarie perseguite dal vaccino geopolitico orientale, non solo russo ma anche
cinese. Non va sottovalutata l’importanza giocata dal primato vaccinale nell’invertire
il calo di popolarità subìto da leadership (impersonate da Vladimir Putin e Xi Jinping)
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tanto più indebolite dal Covid-19 quanto più forte era il loro carisma pre-epidemico.
È tuttavia sul piano internazionale che il vaccino geopolitico orientale ha
espresso a pieno il suo potenziale. Determinante, se paragonato a quello quasi
inesistente del vaccino economico occidentale.
La matrice statale ne ha fatto uno strumento geopolitico fessibile, permetten-
do a Mosca e Pechino di muoversi come donatori e decidere a chi consegnarlo
prima a condizioni privilegiate. In ciò facilitate da prezzi politici (circa 10 dollari a
dose per quello russo) e dalla logistica minima richiesta per gestirlo. Seguendo una
tradizione consolidata, il vaccino è stato pensato come strumento di soft power da
indirizzare a paesi amici e/o alleati che ne facciano formalmente richiesta, esclusi-
vamente attraverso canali diplomatici. Micro o macro non importa nell’uno-vale-
uno delle relazioni tra Stati sovrani: un lancio dell’agenzia di stampa russa Interfax
del 19 febbraio 2021 titola che «la Repubblica di San Marino è il trentesimo paese
al mondo a prendere Sputnik V» 3.
Strumento di aiuto e quindi di condizionamento politico dei benefciari, per
Mosca il vaccino è risultato più effcace da smerciare di quanto lo siano state le
classiche risorse energetiche, della cui esportazione la fragile economia russa non
può fare a meno, a tal punto da doverlo, alla fne, indirizzare anche verso paesi
diplomaticamente ostili 4.
La scelta su dove orientare Sputnik V oltreconfne è dunque di pura politica
estera e viene presa a livello governativo, con il Russian Direct Investment Fund che
3. «San Marino stalo 30-j stranoj, zaregistrirovavšej vakcinu “Sputnik V”», Interfax, 19/2/2021, bit.
ly/2PiDnKx
4. M. SKALAMERA, «EU-Russia Cooperation in a Rapidly Changing Interregional Gas Market», Economics
80 and Policy of Energy and the Environment, vol. 2, n. 3, 2013, pp. 31-65.
A CHE CI SERVE DRAGHI
entra in campo solo in un secondo momento per occuparsi dei risvolti tecnici del
caso, senza poter deviare dalle indicazioni strategiche a monte. Che il target inter-
nazionale sia importante almeno, se non più, di quello domestico lo dimostra la
rigida separazione tra il procedere spedito degli accordi per l’esportazione dello
Sputnik V (oramai in più di cinquanta paesi) e l’andamento a rilento della campa-
gna nazionale russa di immunizzazione. Semmai, è interessante che il successo
oltreconfne del vaccino russo sia stato rilanciato dal mainstream di Mosca nel
tentativo di superare le diffuse reticenze interne nei suoi confronti, dovute al per-
sistere di antichi timori verso la sanità pubblica e alle critiche allo Sputnik V alimen-
tate dalla stessa opposizione extraparlamentare (si vedano le accuse di Aleksej
Naval’nyj al riguardo).
Alla luce di questa marcata identifcazione con la politica estera, l’aspetto fnale
da sottolineare nel vaccino geopolitico orientale è il suo collocarsi a pieno nelle
relazioni bilaterali dello Stato sovrano, che contribuisce a rafforzare ulteriormente
sul piano internazionale a scapito del cosiddetto «approccio multilaterale». Lo Sput-
nik V è stato inviato dalla Russia solo a quei paesi che lo hanno richiesto attraverso
canali governativi istituzionali, diplomatici. Non sono stati previsti nell’occasione
canali paralleli negoziali su base commerciale o di mediazione privata, tollerati in
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passato in altri campi come quello energetico. Che pure questo aspetto sia parte di
una precisa strategia lo dimostra la circostanza stessa per cui Russia e Cina, nono-
stante ripetuti interventi nel 2020 a difesa dell’Organizzazione mondiale della sanità
(Oms) dalle critiche mossele da Donald Trump, si sono ben guardate dal coinvol-
gere la dimensione multilaterale nei loro piani di distribuzione vaccinale all’estero 5.
5. «Covid: Mosca offre 300 milioni di dosi di Sputnik V all’Africa», Adnkronos, 19/2/2021. 81
NELLA PARTITA DEI VACCINI L’ITALIA È IN FUORIGIOCO
vaccino verso paesi terzi (si veda la debole campagna multilaterale Covax), sul mo-
dello del vaccino geopolitico orientale.
Alcuni attori come Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele hanno peraltro interpre-
tato questo orientamento con una politica pragmatica unilaterale di chiusura delle
proprie frontiere, che ha loro permesso di governare con effcacia (almeno) le ri-
spettive campagne di vaccinazione nazionale.
Più complesso e decisamente problematico, anche sul versante domestico, è
stato l’approccio dell’Unione Europea, che nel ruolo passivo di negoziatore dell’ac-
quisto delle dosi da redistribuire ai propri Stati membri ha confermato la crisi ope-
rativa della dimensione comunitaria manifestatasi durante la prima fase epidemica.
In questa occasione, Bruxelles ha nuovamente dimostrato rifessi lenti nei momen-
ti di emergenza, procedure amministrative ridondanti e a volte autoreferenziali,
incapacità tecnica nel negoziare prima e fare rispettare poi le consegne degli ap-
provvigionamenti concordati con Big Pharma.
L’ineffcacia dell’Ue nel ridistribuire il vaccino al proprio interno si è trasfor-
mata in aperta delegittimazione politica nel momento in cui alcuni Stati membri
hanno iniziato a muoversi in autonomia, accordandosi bilateralmente con i pro-
duttori, talvolta russi compresi, senza coinvolgere Bruxelles. Su questo piano, an-
cora più grave della scelta di paesi come Germania e Austria di acquistare in auto-
nomia milioni di dosi direttamente dai produttori è stato il caso di Ungheria e
Slovacchia, primi Stati dell’Ue a decidere unilateralmente di adottare il vaccino
geopolitico orientale. Ciò ha creato un evidente effetto «cavallo di Troia» della ge-
opolitica vaccinale russa nell’Ue e un precedente imbarazzante per Bruxelles e i
restanti paesi, obbligati a giustifcare la resistenza all’ingresso del vaccino orientale
82 davanti alle proprie opinioni pubbliche, a esso invece in larga parte favorevoli. Gli
A CHE CI SERVE DRAGHI
dei donatori del vaccino geopolitico orientale sarà di poter contare su accordi già
stipulati e reti di distribuzione fn d’ora attive nei paesi benefciari, nonché dei nu-
merosi centri di produzione farmaceutica decentrata che già si stanno predispo-
nendo per fare fronte all’enorme richiesta di vaccini.
È tuttavia probabile che per allora si passerà su scala globale a un eccesso di
disponibilità di dosi offerte da molteplici produttori e che gli Stati Uniti, risolta la
priorità dell’immunizzazione interna, si porranno il problema di riconquistare lo
spazio perso fnora. Organizzando la controffensiva. Questo li porterebbe a pro-
muovere politiche estere e commerciali volte a limitare l’estensione della sfera
d’infuenza del vaccino geopolitico orientale, disincentivandone l’uso presso paesi
amici e alleati a vantaggio di propri sieri. Nel qual caso potremmo tornare a parla-
re di vera guerra degli aiuti sul vaccino.
tivo quasi centralista con uno politico quasi decentrato. Parafederale 10. Lo ha dimo-
strato al meglio l’incapacità di mettere in piedi, tra decine di strutture commissariali
e task force centrali e regionali (quando non comunali), un coordinamento effcace
nazionale sulle questioni più basiche, tanto da doversi affdare alla fne alla logistica
dell’Esercito, incarnata dal generale Francesco Paolo Figliuolo. Scelta che nuova-
mente non sembra funzione di una strategia ma frutto di mancanza d’alternative.
Il quarto tema concerne il dilemma salute/economia. La scelta tra tutela della
salute pubblica e difesa dell’economia nazionale è la questione ultima cui sono
riconducibili i dilemmi prodotti dall’epidemia, con poche reali soluzioni strategiche
promosse dai governi e la sensazione che questi procedano con improvvisazione
e arbitrarietà, a seconda della pressione del momento 11. Roma è intenta a limitare
gli impatti devastanti del blocco delle attività e ritardare oltre il lecito le chiusure
selettive di quelle commerciali (rimandando addirittura quelle industriali), giocan-
do scommesse d’azzardo spesso perse.
I tradizionali fenomeni italiani derivanti dall’incrocio fra basso nation building
e diffuso corporativismo di migliaia di categorie professionali, che si muovono in
ordine sparso a difesa dei propri interessi, hanno aggravato le conseguenze dell’im-
mobilismo decisionale del governo. A fronte però di una continua narrazione isti-
tuzionale con richiami a un non meglio precisato «modello italiano nella gestione
dell’epidemia», nonostante i drammatici numeri dell’impatto del virus in Italia dica-
no tutt’altro 12. Il sollievo con cui la pubblica opinione ha generalmente salutato il
9. J. PETTER, A. PUGLIA, «Erst kam das Virus, dann das Vertuschen», Der Spiegel, 22/3/2021, bit.ly/3chjoFj
10. F. BONINI, Storia costituzionale della Repubblica, Roma 2020, Carocci.
11. L. RICOLFI, La notte delle ninfee. Come si malgoverna un’epidemia, Milano 2021, La nave di Teseo.
86 12. Cfr. i dati riportati dalla Johns Hopkins University, bit.ly/3tIuMjh e bit.ly/3c8QerD
A CHE CI SERVE DRAGHI
strato in Italia. Esse hanno riguardato anzitutto l’approccio confuso relativo agli
approvvigionamenti di dispositivi di protezione (mascherine, guanti, visiere), de-
mandati dalla parte pubblica a improvvisati soggetti privati spesso non all’altezza
del compito per quanto riguarda la qualità dei prodotti, rivelatisi troppo spesso
ineffcienti o addirittura pericolosi per la salute. Gravi conseguenze hanno avuto
anche le deroghe ai controlli consentite dal decreto Cura Italia 14 agli organi a ciò
preposti, che avrebbero dovuto vigilare impedendo a quei dispositivi di accedere
entro i confni nazionali. Infne, alle ingentissime somme per l’acquisto di questi
dispositivi (circa 4 miliardi di euro) hanno fatto da contraltare i deboli fnanziamen-
ti alla ricerca per un vaccino anti-Covid (circa 30 milioni di euro) concessi senza
curare l’aspetto della lealtà contrattuale delle aziende che ne hanno benefciato,
lasciate libere da ogni vincolo verso il fnanziatore.
La seconda considerazione è di ordine geopolitico e spiega perché, nonostan-
te Roma abbia con facilità richiesto l’aiuto russo (peraltro militare) nella prima fase
epidemica, nella terza abbia faticato a fare lo stesso con lo Sputnik V nonostante
accelerazioni «dal basso» (come l’inizio della sperimentazione del vaccino russo
iniziata allo Spallanzani di Roma) e la forte propensione popolare al riguardo (co-
me dimostra la diffusa simpatia dell’opinione pubblica italiana per la Repubblica di
San Marino, che ha adottato il vaccino di Mosca 15).
13. M. MARTINA, «Effetti collaterali dell’emergenza Covid-19: le deroghe per l’acquisto delle mascherine
e dei banchi a rotelle», (tesi di laurea), Università degli Studi di Urbino, a.a. 2019-20.
14. Cfr. in particolare gli artt. 5, 15 e 16 del decreto legge 18 del 17/3/2020.
15. «European micronation San Marino begins administering Russia’s Sputnik V vaccine», NBC News,
19/3/2021, bit.ly/3scNmQg; I. PELLICCIARI, «Il vaccino è sovrano. Perché Sputnik V è arrivato a San
Marino», Formiche 24/2/2021, bit.ly/31b8KJQ 87
NELLA PARTITA DEI VACCINI L’ITALIA È IN FUORIGIOCO
Con il cambio sia del governo a Roma sia del presidente a Washington sono
evidentemente mutate le condizioni geopolitiche che nel 2020 avevano portato
l’amministrazione di Donald Trump, informata dal governo Conte, ad autorizzare
tacitamente l’intervento russo in Italia.
Con la vicenda del vaccino russo a lungo bloccata ma anche con poche cer-
tezze sui restanti approvvigionamenti (su tutti quelli di AstraZeneca), Roma è rima-
sta saldamente ostaggio del vaccino economico occidentale «multilaterale» e ha
proceduto nella sua campagna di immunizzazione nazionale a orizzonte quotidia-
no. Senza una prospettiva certa nei tempi e nei numeri delle somministrazioni di
qui a fne 2021.
Intanto il governo aveva formalmente istituito la giornata del 18 marzo come
ricorrenza annuale per il ricordo delle vittime del Covid-19. Atto simbolico tipico
del nostro paese, che prima di programmare un piano di vaccinazione nazionale
ne aveva già sviluppato il logo, affdato a un architetto.
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88
A CHE CI SERVE DRAGHI
LIMES Il governo di Mario Draghi sta cambiando la costituzione materiale del paese?
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CASSESE Direi piuttosto che la sta riportando nell’alveo della costituzione formale.
Intanto, per il modo in cui è avvenuta l’investitura. Non già con la scelta del presi-
dente del Consiglio da parte di due vicepresidenti a capo dei maggiori partiti della
coalizione, come accaduto con Conte, ma con una designazione operata dal presi-
dente della Repubblica e confermata in parlamento dai partiti, come previsto dalla
nostra Carta fondamentale. Poi per lo strumento normativo adottato: non il decreto
del presidente del Consiglio dei ministri (dpcm), usato da questo governo solo una
volta all’esordio quando invece era prassi costante nell’altro, bensì il decreto legge,
soggetto a decadenza se non convertito in legge dal parlamento.
Ancora, per la natura delle nomine chiave. Penso al generale Francesco Paolo Fi-
gliuolo, tra i maggiori esperti italiani di logistica: una scienza sviluppatasi principal-
mente nel settore militare, data la necessità degli eserciti di movimentare truppe,
sfamarle, alloggiarle, rifornirle di armi e munizioni. Di certo, vaccinare decine di
milioni di italiani è un rilevante sforzo logistico. Anche questa nomina rimanda
alla nostra costituzione: si sceglie un esperto nell’ambito degli apparati statali e lo
si incarica di svolgere il compito designato, specie se di eccezionale portata.
Ci sono inoltre dati di stile, in particolare l’idea che il governo agisca mediante i
fatti, non le parole, da cui il ridimensionamento dell’aspetto comunicativo.
LIMES Vaccini e Piano nazionale di ripresa e resilienza mettono nuovamente sotto
i rifettori il rapporto centro-periferia. Con Draghi è iniziata una fase di riaccentra-
mento delle responsabilità e dei poteri?
CASSESE In risposta a questa emergenza sanitaria senza precedenti è stata data alla
costituzione un’interpretazione diversa da quella che il suo dettato richiede. L’artico-
lo 117 della Carta stabilisce che la «tutela della salute» è materia su cui Stato e Regio-
ni concorrono, ovvero legiferano insieme. Ma nello stesso articolo, lettera q, si affer- 89
‘LO STATO ARCIPELAGO NON FUNZIONA’
LIMES Mario Draghi è stato defnito un tecnico, ma anche un politico. Quale descri-
zione gli si addice di più?
CASSESE Nell’Atto quarto del Riccardo III, Shakespeare ci rammenta che noi siamo
il nostro passato. Draghi ha speso dieci anni al Tesoro come direttore generale, sei
anni alla guida della Banca d’Italia, otto anni alla testa della Bce. E non sarebbe un
politico? Il mio maestro Massimo Severo Giannini distingueva tra la politica dei
partiti e la politica: due dimensioni diverse, che in Italia tendiamo a confondere.
Non si può identifcare la politica unicamente con i partiti, cui attribuiamo un ruo-
lo monopolistico che non hanno e non hanno mai avuto. Ho lavorato per vent’an-
ni con Carlo Azeglio Ciampi e posso assicurare che per fnezza, astuzia e capacità
di trattare con le persone stava una spanna sopra il grosso dei parlamentari di al-
lora. Tutte qualità che non aveva maturato in un partito politico.
LIMES Esiste un governo in Italia? e L’Italia: una società senza Stato? sono i titoli di
due suoi libri, usciti rispettivamente nel 1980 e nel 2011. Dovendo articolare oggi
una risposta a questi interrogativi, cosa direbbe?
CASSESE La risposta sta nei fatti. Primo: la nostra nazione, a centosessant’anni dall’U-
nità, resta divisa in due. Circostanza che stride con il ritmo della riunifcazione tede-
sca, ancora incompiuta ma ben più rapida. Secondo: il nostro governo, inteso come
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stica domina la catena di montaggio, ma questa a ben vedere altro non è che un
procedimento amministrativo: una sequenza di decisioni da prendere per raggiun-
gere un determinato scopo nel modo il più possibile effciente ed effcace, cioè
minimizzando il dispendio di risorse a fronte del massimo risultato. Anche sotto
questi aspetti, l’Italia è storicamente carente: giunta tardi e in modo disomogeneo
all’industrializzazione, per i primi quarant’anni dopo l’Unità il suo esercito è stato
dispiegato nel Mezzogiorno contro il cosiddetto brigantaggio, svolgendo dunque
compiti di polizia. Ciò ha impedito che si formasse un esercito moderno, tant’è che
l’Italia ha perso tutte le guerre successive – fatta eccezione per la prima guerra
mondiale, con gli enormi costi umani e materiali che sappiamo.
Quanto alla grande industria, la sua breve parabola – coincisa in gran parte con
l’Iri – ha lasciato un segno relativamente tenue: non solo nello stabilimento, ma
anche e soprattutto fuori di esso. Il grande contributo della fabbrica moderna alla
cultura dell’Occidente avanzato sta infatti nel ritmo da essa imposto alle città, la cui
vita – non solo quella degli operai – era scandita dalle sirene dei turni. Il carattere
per certi versi alienante di tale scansione, immortalato da Charlie Chaplin in Tempi
moderni, è stato il dazio pagato nel passaggio dall’èra moderna alla contempora-
neità. Quel passaggio noi l’abbiamo fatto solo in parte, in alcune grandi metropoli
del Nord. Oggi ne scontiamo le conseguenze: oltre il 70% dei vertici della nostra
pubblica amministrazione è composto da meridionali laureati in giurisprudenza a
Roma, Napoli e Messina. Perché non da fgure tecniche uscite dalla Bocconi o dal
Politecnico di Torino? Perché in Italia industria e amministrazione non si sono mai
veramente integrate, restando mondi separati. Ciò non rende l’Italia necessaria-
mente immodifcabile. Ma certo, cambiarla richiede tempo. Oltre a energie e vo-
92 lontà non comuni.
A CHE CI SERVE DRAGHI
ULTIMA
O PENULTIMA
SPIAGGIA? di Fabio MINI
La quasi impossibile missione di Draghi, nel caos dello Stato che
non c’è e nell’assenza di strategia. Quanto ai vaccini, non sono
panacea. Che cosa ci dicono, per ora, i ‘cartellini gialli’ britannici
sugli effetti collaterali di AstraZeneca e Pfizer/BioNTech.
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S
E I GOVERNI CONTE SONO FINITI MALE,
il governo di presunta salvezza nazionale presieduto da Mario Draghi non è comin-
ciato bene. E non sembra migliorare con il tempo. Su di esso pesano tre grosse
vulnerabilità che derivano direttamente dalle azioni e incongruenze degli esecutivi
precedenti, ma che deve ancora affrontare: la carenza della politica, la diffcile ge-
stione della crisi epidemica e la problematica ripresa socioeconomica.
Contrariamente a quanto si può pensare e a quanto in molti dicono, il governo
Draghi non nasce da una scelta politica o da un processo politico. Non s’inquadra
in alcun piano politico nazionale semplicemente perché non esiste una tale piani-
fcazione nemmeno per le emergenze e non esiste alcuna «visione politica» sulla
quale la democrazia italiana possa esprimersi. Una visione senza un piano è un
sogno e un piano senza visione è un incubo. Senza visione e senza piani d’azione
anche la scelta di campo internazionale è vaga e aleatoria. La scelta di Mario Draghi
è stata un’azione non pianifcata nel quadro di una visione ristretta agli effetti della
sola emergenza sanitaria. Una decisione del presidente della Repubblica nettamen-
te contraria sia alla politica sia alla posizione espressa dallo stesso capo dello Stato
nel suo discorso di liquidazione del governo Conte. L’ampio sostegno promesso
dai partiti all’ex presidente della Bce faceva parte del gioco delle parti e il fatto che
siano stati proprio Mattarella e Draghi a promuoverlo allontanava il rischio che
tutti i parlamentari non vogliono correre: andare alle elezioni. A Draghi non rima-
neva che trovare l’algoritmo col quale garantirsi la sopravvivenza in parlamento. Si
trattava di accontentare due o tre gruppi parlamentari alla volta per ottenere co-
munque una maggioranza variabile suffciente a mettere fuori gioco il resto. L’ade-
sione corale non era infatti così solida come pretendeva e la logica dei partiti non
intendeva completare la vaccinazione di massa e avviare la ricostruzione nazionale 93
ULTIMA O PENULTIMA SPIAGGIA?
ma estromettere gli avversari dalla gestione dei soldi del Recovery Fund e indiriz-
zarli a proprio favore, di parte e personale. L’unico requisito per il funzionamento
dell’algoritmo era la permanenza dello stato di emergenza. Draghi ha composto il
governo e assunto le prime decisioni badando all’algoritmo. Si è però trovato da-
vanti agli effetti distruttivi che il sistemino provocava all’interno dei partiti che lui
stesso aveva voluto coinvolgere nell’esecutivo.
Ora dovrebbe rendersi conto che la sua politica porterà al suo fallimento: a)
quando, a forza di accontentare alcuni e scontentare altri, gli scontenti in parlamen-
to si sommeranno; b) quando l’intera popolazione dovrà sottostare al prolunga-
mento della crisi sanitaria e ai relativi effetti sugli assetti economici e sociali; c)
quando, infne, sarà chiara la fallacia della presunzione che i partiti agiscano e re-
agiscano ai provvedimenti programmatici e abbiano a cuore il bene pubblico. In
realtà, negli ultimi trent’anni questo non è mai avvenuto ed è diffcile che un con-
solidato vizio sia eliminato da un governo qualsiasi.
In merito alla gestione dell’epidemia, il governo Draghi non ha dato grandi
segnali di discontinuità con il precedente. Ha cambiato la composizione del Co-
mitato tecnico-scientifco (Cts) presso il ministero della Salute, spostando Agosti-
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Le pene di Figliuolo
Cosa o chi abbia portato Draghi a scegliere il generale Figliuolo per un incari-
co che spetterebbe alla Protezione civile rimane un mistero. Di fatto, Figliuolo non
ha una struttura autonoma e deve «dialogare» continuamente con il ministero della
Salute, la Protezione civile, i presidenti di Regione, gli ospedali, le Misericordie, le
ditte fornitrici di beni e servizi, le case farmaceutiche e così via fno ai sindaci e ai
gestori delle case di riposo. Con il suo sparuto staff (che le Forze armate hanno
promesso di aumentare) è una testa senza arti. Anzi una testa che non controlla gli
arti altrui. Per avere le informazioni necessarie all’assolvimento dei suoi compiti di
«coordinamento, attuazione, contenimento e contrasto» deve rivolgersi ad altri e
senza disporre di una piccola rete di demoltiplicazione sul territorio avrà sempre
dati incerti, incredibili e inattendibili. Non tanto e non solo perché in quest’anno ci
siamo resi conto del caos dei numeri, ma perché ministeri, dipartimenti, agenzie,
Regioni ed enti periferici hanno priorità diverse dal «semplice» controllo dell’epide-
mia. Hanno confitti interni, esigenze di fondi e d’immagine, pretese di privilegi e
priorità politiche che superano l’emergenza. I media hanno parlato di Figliuolo
come di un esperto della logistica, altri hanno notato che in qualità di comandante
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logistico dell’Esercito aveva già collaborato con la Protezione civile durante l’emer-
genza Covid-19. Tutto vero, gestiva una macchina da guerra dislocata sull’intero
territorio nazionale con il fore di esperti tecnici e amministratori capaci di redigere
un contratto che non fosse un capestro o un’occasione per guadagnarci. Con una
telefonata risolveva problemi e confitti anche di personalità. Ora questa rete di
esperti non è più disponibile e il «signorsì» non fa parte del vocabolario dei suoi
svariati e variopinti interlocutori. Forse Draghi pensava che il suo generale potesse
portarsi dietro tutto l’Esercito e le Forze armate. Purtroppo, la storia anche recente
racconta di comandanti destinati a incarichi al di fuori della propria Forza armata e
dei corridoi degli Stati maggiori lasciati completamente soli. Senza direttive, con
strumenti e staff limitati, costretti a piatire il necessario e con una copertura legale
e amministrativa a dir poco latitante.
Figliuolo ha assunto l’incarico senza passaggi di consegne. Il suo predecessore
non aveva realizzato alcuna struttura ad hoc. Si era avvalso della propria organiz-
zazione presso Invitalia 1 (oltre duemila dipendenti e consulenti), orientata all’attra-
zione degli investimenti esteri in Italia e quindi al marketing, alla creazione d’im-
magini rassicuranti, promesse allettanti e disinvolte pratiche d’intermediazione. A
livello governativo si era forse pensato di evitare di costruire un nuovo carrozzone
utilizzando uno di quelli già esistenti, a prescindere dalla competenza specifca.
Con la rimozione dall’incarico del capo tutto l’apparato ha cessato di trattare l’e-
mergenza e nulla, o quasi, è rimasto. Figliuolo ha dovuto organizzarsi e si sta an-
cora organizzando.
1. Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa s.p.a., partecipata al
100% dal ministero dell’Economia e delle Finanze. 95
96
ECONOMICISMI NEL MONDO
ULTIMA O PENULTIMA SPIAGGIA?
A
P FED. RUSSA
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O
R
14 - GEORGIA
CANADA 15 - AZERBAIG.
16 - ARMENIA
E U
KAZAKISTAN
1 - BAHAMAS MONGOLIA 17 - UZBEKISTAN
2 - CUBA 18 - TURKMEN.
3 - GIAMAICA STATI UNITI 19 - KIRGHIZ.
TURCHIA GIAPPONE
4 - HAITI 4 20 - TAGIKIST.
IRAN CINA
5 - REP. DOMINICANA MAROCCO
36 5 21 - AFGHANISTAN
6 - PORTORICO (USA) 1 ALGERIA 7 COREA DEL SUD 22 - PAKISTAN
MESSICO LIBIA
7 - TRINIDAD E TOBAGO EGITTO ARABIA 8 COREA DEL NORD 23 - NEPAL
S. 9 INDIA
8 - VENEZUELA 2 56 24 - BHUTAN
BELIZE MAURITANIA LI ER
9 - COLOMBIA 3 4 MA NIG D N 11 FILIPPINE 25 - BANGLADESH
GUATEMALA SENEGAL CIA DA
10 - ECUADOR GAMBIA SU 26 - MYANMAR
EL SALVADOR 7
11 - GUYANA 8 12 27 - THAILANDIA
HONDURAS PAPUA
12 - SURINAME 9 11 SOMALIA SRI LANKA NUOVA 28 - LAOS
NICARAGUA GUINEA 29 - VIETNAM
10 SINGAPORE
COSTA RICA KENYA 30 - CAMBOGIA
PANAMÁ INDONESIA
TANZANIA
PERÚ BRASILE 35 - GUINEA B. ANGOLA COMORE
36 - GUINEA IA MALAWI ISOLE SALOMONE
BOLIVIA ZAMB SAMOA
37 - SIERRA LEONE MOZAMBICO
Di cosa vivono le nazioni PARAGUAY 38 - LIBERIA NAMIBIA BOTS. FIJI
MADAGASCAR
CILE 39 - BURKINA F. 31 - MALAYSIA
Economiciste 40 - COSTA D’AVORIO ZIMBABWE 49 - REP. DEM. CONGO AUSTRALIA 32 - BRUNEI
ESWATINI 50 - REP. CENTRAFR.
41 - GHANA LESOTHO 33 - TIMOR EST
A metà tra economicismo e potenza geopolitica URUGUAY 51 - SUD SUDAN
42 - TOGO SUDAFRICA
43 - BENIN 52 - ERITREA 1 - CIPRO
Dedite alla potenza geopolitica 53 - ETIOPIA 2 - LIBANO
ARGENTINA 44 - NIGERIA NUOVA
3 - ISRAELE
Dedite allo sviluppo economico 45 - CAMERUN 54 - GIBUTI 4 - SIRIA 8 - QATAR ZELANDA
46 - GUINEA EQ. 55 - UGANDA 5 - IRAQ 9 - EMIRATI A. U.
Regimi dediti alla sopravvivenza 47 - GABON 56 - RUANDA 6 - GIORDANIA 10 - OMAN
57 - BURUNDI 7 - KUWAIT 11 - YEMEN
Fallite 48 - CONGO BR.
A CHE CI SERVE DRAGHI
cinazione, che essa avrebbe salvato tutti e che i vaccinati potessero essere sicuri
per altri cent’anni. Se la gente se ne frega dei distanziamenti ed è insofferente
alle misure restrittive è perché crede che il vaccino già fatto o da fare possa ren-
dere tutti immuni. Poi si scopre che i vaccini disponibili non bastano, che i con-
tratti per averli sono pieni di trabocchetti, che con il presidente Biden la politica
dell’America First di trumpiana memoria è più valida che mai e che la sua incetta
esclusiva di vaccini lascia i paesi «alleati e amici» in balìa degli squali in camice
bianco e mette altri Stati nelle mani dei propri nemici.
Si scopre anche che ci sono le varianti, che i giovani vengono colpiti più dei
vecchi. Da militare maturo, Figliuolo sa bene che ogni piano di guerra cade alla
prima battaglia e sa anche che i predecessori non l’hanno mai redatto proprio per
questo. Il suo piano è stato disfatto nel giro di due giorni dalla crisi degli approv-
vigionamenti e dal blocco dei lotti di AstraZeneca sospettati di provocare morti.
Tuttavia avere un piano è comunque utile sia perché costituisce una base per i
cambiamenti sia perché indica cosa non ha funzionato. I militari italiani sono in
grado di pianifcare emergenze di tutti i tipi, ma in patria hanno perso la capacità
di coinvolgere i civili. La pianifcazione dell’assunzione dei poteri da parte dell’au-
torità militare degli anni Sessanta-Ottanta prevedeva decreti «cassetto» con le auto-
rizzazioni necessarie e persino le formule per le comunicazioni ai prefetti. «Eccel-
lenza, Le comunico che è stata dichiarata l’emergenza interna e l’Autorità Militare
è stata autorizzata ad assumere i poteri. Pertanto sarà mia cura tenerla informata
delle decisioni». Di solito il prefetto sbiancava e si attaccava al telefono per chiede-
re lumi al suo ministro, che spesso non sapeva niente e a sua volta chiedeva lumi
a chi ne sapeva meno di lui. Tutte le autorità civili interessate e le forze di sicurez-
za avevano accesso ai piani ma nessuno li leggeva e nelle ore perse a capire cosa 97
ULTIMA O PENULTIMA SPIAGGIA?
289 casi, al vaccino di Pfzer/BioNTech (6,7 per mille segnalazioni) 237 casi e a
vaccini di marca non specifcata 8 casi. La maggior parte di tali segnalazioni ha ri-
guardato persone anziane o con malattie pregresse ma le morti sospette riportate
sono risultate percentualmente più alte per il vaccino di Pfzer.
Il rapporto ripete in continuazione che le segnalazioni di eventi fatali mostrano
soltanto un’«associazione temporale» alla vaccinazione e non un collegamento cau-
sa-effetto tra vaccinazioni e morti. Anzi, la revisione dei rapporti individuali e delle
loro caratteristiche «non suggerisce» che il vaccino abbia avuto un ruolo nelle mor-
ti. In ogni caso, si ribadisce che tutti i vaccini e i farmaci in genere hanno effetti
collaterali avversi, e che tali effetti vanno continuamente rapportati ai benefci
«previsti». Nessuno, però, è ancora in grado di quantifcare tali «benefci». In parti-
colare si sa poco sul vero impatto delle vaccinazioni sulla riduzione delle infezioni.
Israele e gli Emirati Arabi Uniti, entrambi con circa nove milioni di abitanti,
sono i paesi che hanno raggiunto nel più breve tempo la copertura vaccinale del
60-70% della popolazione, ma non hanno ancora dati certi sull’effetto del vaccino
nella riduzione del contagio e forse non lo avranno mai perché si stanno limitando
a considerare le infezioni sintomatiche, le ospedalizzazioni e le terapie intensive. I
primi segnali mostrano una riduzione del 30% rispetto al modello di non vaccina-
zione. Quando questi paesi hanno iniziato le campagne vaccinali (intorno alla
metà di dicembre 2020) si trovavano in una fase di risalita dell’infezione dopo una
signifcativa riduzione «naturale». Hanno quindi subìto un picco di casi durante la
campagna e ora i primi dati dimostrano che la curva è in discesa ma non ha anco-
ra raggiunto il limite basso della precedente fase. Per questo, si esprimono con
cauto ottimismo e comunque avvertono che la riduzione dei casi non è attribuibile
soltanto al vaccino e che le misure di distanziamento o di isolamento rimangono 99
ULTIMA O PENULTIMA SPIAGGIA?
fondamentali. Infatti, anche in Italia le prime osservazioni in tal senso sono dispo-
nibili soltanto per il personale sanitario, che è stato vaccinato per primo, ma che è
stato anche sottoposto a stringenti misure di protezione dopo un periodo di «sfda
al male» nel quale tralasciava perfno le più elementari cautele.
L’incertezza della valutazione dei benefci diventa un vero e proprio buco
nero per quanto riguarda la valutazione del grado di prevenzione del contagio, del
periodo di immunizzazione e del periodo di non trasmissibilità da parte dei vacci-
nati. Senza dati attendibili su questi parametri e senza aver raggiunto una consoli-
data immunità di gregge, vista anche la mutazione continua dei ceppi virali, è per
lo meno azzardato prepararsi ad accogliere nel giro di un paio di mesi milioni di
turisti nel nostro Belpaese. Saremmo sia noi sia loro potenziali vittime e diffusori
di un’altra epidemia. Draghi e il suo governo potrebbero saltare le ferie o andarci
per sempre.
del cosiddetto Nord produttivo erano alla canna del gas da parecchio tempo.
Avrebbero avuto bisogno di nuovi piani industriali, riconversioni e nuove profes-
sionalità e ora sono aperte soltanto per rientrare nei bonus, per pagare gli operai
con la cassa integrazione e poterli licenziare al più presto. Gli imprenditori avreb-
bero dovuto essere incentivati a esportare piuttosto che a giocare a poker con i
sussidi pubblici. La maggior parte delle oltre sei milioni di partite Iva riceverà un
sussidio, ma tante di queste riguardano lavoratori e professionisti licenziati dalle
aziende e ripresi a contratto di «consulenza».
Nonostante la creazione di Invitalia nel 2008 da parte di Giulio Tremonti, mi-
nistro dell’Economia e delle Finanze nel quarto governo Berlusconi, l’Italia che già
stava male è crollata e non si è più ripresa. Le imprese, che dovrebbero essere il
nucleo di un’economia di mercato, hanno cessato di cercare i clienti preferendo
diventare esse stesse «clienti» della politica statale. Hanno smesso d’investire, di
rinnovarsi e di competere pretendendo la protezione dello Stato e contando sui più
comodi interventi statali diretti e indiretti, come i miliardi dedotti dall’imponibile
fscale delle imprese, con l’iperammortamento regalato nel 2017 dal governo Gen-
tiloni (Padoan e Calenda) e dagli altri che lo hanno seguìto. Un fume di soldi
sparito come un fenomeno carsico.
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Gli investimenti pubblici sono sempre stati pochi e mal gestiti e, come ribadi-
to dal professor Fabio Sdogati del Politecnico di Milano, sono in continua diminu-
zione dal 2010. Uno dei settori più penalizzati è quello dell’istruzione. Il 40% della
nostra popolazione di età superiore ai 5 anni legge almeno un libro all’anno e il
60% nemmeno quello. Il 16% dei nostri adulti ha appena la licenza elementare,
circa il 30% la media, il 35,6% il diploma e il 13,9% la laurea breve o specialistica.
Considerando il diffuso analfabetismo di ritorno (il 30% degli individui dai 25 ai 65
anni ha «limitate capacità di comprensione, lettura e calcolo» 2), il nostro è un paese
d’ignoranti. Per questo vanno di moda l’ignoranza e il comodo adagio «uno vale
uno». «Se credete che l’istruzione sia costosa non sapete quanto costa l’ignoranza»,
dice Sdogati e l’Istituto Feltrinelli elenca: «Costi a livello individuale: esclusione
sociale, insicurezza, mancanza di autonomia, precarietà. Costi sociali: scarsa parte-
cipazione al processo democratico, criminalità, maggior spesa per la salute. Costi
economici: livello di sviluppo limitato, bassa propensione all’innovazione, scarsa
produttività». Tuttavia, nonostante le sagge osservazioni degli insegnanti delle gran-
di scuole rivolte alla formazione della «classe dirigente» gli investimenti del settore
privato italiano, che dovrebbe essere trainante, sono altrettanto carenti di quelli
assegnati dalla classe politica o «classe digerente». Dal 2005 al 2007 tali investimen-
ti erano appena dietro quelli spagnoli ma superiori a quelli di Francia e Germania.
Dal 2007 al 2009 erano ancora diminuiti, raggiunti dagli altri tre paesi. Dal 2009 al
2014 erano precipitati all’ultimo posto e da allora non si sono più ripresi. Il capita-
le delle nostre imprese in beni strumentali (macchinari) è il più vecchio d’Europa
e siamo ancora tra gli ultimi nell’impiego di personale qualifcato.
Questa non è una situazione contingente relativa alla crisi del 2009 o all’epi-
demia. È una crisi strutturale di lungo periodo: il pil reale italiano dal 2001 al 2021
è cresciuto di appena il 3,4%. Poco più di quello della Grecia (2,3%), alla quale
sono state «spezzate le reni» dalle istituzioni fnanziarie europee e dal Fondo mo-
netario internazionale (Fmi). Nello stesso ventennio Francia e Germania sono cre-
sciute del 27-28% e Olanda, Austria e Spagna del 31-37%. Il fatto che l’intero mon-
do occidentale sia in stagnazione economica non può consolare visto che i paesi
ricchi sono stagnanti nell’agiatezza media e noi nell’indigenza crescente. Tuttavia
la media non consola nemmeno i paesi agiati che si permettono di defnire la iat-
tura della stagnazione come una «decrescita felice»: in questo periodo i ricchi sono
sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Tale situazione non è superabile con gli stessi mezzi e le stesse procedure di
ieri e di oggi. L’epidemia dovrebbe sollecitare una ristrutturazione profonda dell’im-
pianto economico nazionale, ma nessuno la vuole. E lo stesso governo «tecnico-
partitico» non è in grado di farla se pensa che passata l’emergenza tutto torni come
prima. Se questo avvenisse veramente e Draghi potesse reclamare questa «vittoria»
saremmo nei guai fno al collo, peggio di prima e di adesso. Avremmo le stesse
discussioni vacue, gli stessi sperperi e gli stessi profttatori di mestiere.
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tore e non sono nemmeno soldi 3. Le banche li trasformano (loro dicono «investo-
no») in pezzi di carta derivati di altri pezzi di carta il cui valore diventa fttizio e
supera di molto l’intero ammontare del denaro circolante. La prova della «bolla» sta
nel considerare l’opzione di ritirare i soldi depositati. Se lo facessero contempora-
neamente tutti o anche la metà dei risparmiatori le banche chiuderebbero. Non
fallirebbero, grazie ai regali di Stato, ma farebbero pagare le perdite ai risparmiato-
ri stessi. Il tesoro, di fatto, non esiste. E ben lo sa chi passa il tempo a decantarlo e
trovare soluzioni per convertirlo in altri pezzi di carta.
Conclusione: il governo Draghi non ha la forza politica per infuire sull’assetto
politico nazionale. Chi lo ha designato ha compiuto un atto legittimo ma irrituale e
prima o poi l’opposizione politica sfrutterà questo vulnus per metterlo in crisi. Co-
loro che gli hanno promesso sostegno hanno cambiato idea e casacca decine di
volte e di fatto lo sostengono sperando che quando glielo toglieranno – perché
questo avverrà – non potrà restare in piedi nemmeno con le stampelle variabili. La
salvaguardia del bene nazionale, tra cui l’unità, è senz’altro lo scopo di alcuni po-
litici ma non dei partiti, che pensano a supra-vivere, vivere al di sopra anche del
bene nazionale.
Se questo governo non modifca assetti, procedure e obiettivi anche la campa-
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3. I comici, come i giullari di un tempo, sono gli unici autorizzati a dire la verità sul potere. Ma diver-
samente dai colleghi del passato non rischiano più la testa. 103
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A CHE CI SERVE DRAGHI
SE L’ITALIA
MATURA di Rosario AITALA
Draghi riporta la nazione alla normale coscienza di sé. E le istituzioni
all’ordine del giorno. I nostri spazi tattici nell’impero americano.
Riprendere il controllo delle Libie e trattare l’Ue per quel che è:
non soggetto, tutt’al più piattaforma per ufficiali di collegamento.
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U
NA NUOVA ALBA. È LA TENTAZIONE E
la condanna di ogni governo. Ma in geopolitica la palingenesi quasi mai è virtù.
Ogni rigenerazione, ogni rinascita presuppone una confagrazione, una sovversio-
ne, la demolizione traumatica di un ordine, un trapasso; e sulle rovine di rado
cresce moneta geopolitica. Uno Stato trae linfa dalla profondità e solidità delle sue
radici: le istituzioni, dal latino in-statuere: fondare, costituire, stabilire nell’uso or-
ganismi, assetti destinati stabilmente a curare il bene comune. Da qui riparte il
gabinetto Draghi. L’impronta di tenace continuità istituzionale viene tracciata in
prima battuta dal presidente Mattarella, l’interprete costituzionale più acuto e leale
della storia repubblicana, ermeneuta insieme conservatore e progressista che de-
critta la Carta con mano sicura adeguandola ai tempi e salvaguardandone il carat-
tere più intimo, in quanto tale perenne e immutabile.
Accertata l’irreparabilità della paralisi politica, certifcata l’impellenza di assicu-
rare una guida di governo al paese stritolato fra epidemia e recessione, il presiden-
te punta su una fgura che riunisca doti di pragmatismo, cultura istituzionale e
reputazione internazionale. Da qui si dipana il canovaccio di un governo che più
politico non potrebbe essere perché deve operare scelte fondanti che segneranno
il paese per decenni. D’altronde un tecnocrate – lemma inteso dispregiativamente
nel gergo partitico, che noi volgiamo in positivo – diventa «ex» nel momento stes-
so in cui è chiamato agli affari di Stato per volere del parlamento, che si esprime
in nome del popolo, peraltro con una maggioranza mai così vasta. Gli indirizzi
politici alle Camere, il governo a Palazzo Chigi; le istruttorie non a superfetazioni
extra ordinem ma a funzionari ministeriali, i pareri non a vanitosi esternatori ma a
disciplinati professionisti già innervati fsicamente e culturalmente nel corpo stata-
le. Il Piano di ripresa sul quale era caduto l’esecutivo precedente adesso viene
pensato con praticità e concretezza aziendale, alla stregua del bilancio consolidato 105
SE L’ITALIA MATURA
Sicurezza
Intendiamo il lemma passe-partout: per l’individuo è precondizione dell’eser-
cizio di ogni diritto di libertà; per la collettività, è bene pubblico sottostante qualsi-
asi ambito della vita comune: collocazione geopolitica, governo del territorio, coe-
sione sociale, economia, solidità istituzionale. In una parola, sovranità. Ma non
basta. In geopolitica, e non solo, non si è se non si sa di essere.
Per capire l’Italia bisogna partire da qui, dall’incoscienza di sé. Siamo vittime
di un paradosso identitario, malattia autoimmunitaria: in medicina processo mor-
boso nel quale l’organismo, intollerante ai propri stessi costituenti chimici, non si
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106 1. «Perché non possiamo non dirci italiani», editoriale, Limes, «Una strategia per l’Italia», n. 2/2019.
A CHE CI SERVE DRAGHI
Interesse nazionale
È il tema che fa da sfondo a ogni altro, questione vecchia ma nuova, cioè at-
tuale e irrisolta 3. Perso malamente il secondo confitto mondiale, sugli esiti del
quale è costruita l’odierna architettura internazionale, lo Stato monarchico-fascista
italiano si dissolse consegnandosi alla mercé dei vincitori. Non così la nazione, che
aveva avuto la forza di scacciare i nazisti e dare vita alla Prima Repubblica. Nel
dopoguerra, tre fattori garantirono al paese la riconquista della soggettività geopo-
litica e di una dose di dignità: l’ingresso nell’Alleanza Atlantica e la cofondazione
della Comunità economica europea; la geografa che ci regalava preziosi confni
con due mondi irti di pericoli per l’Occidente – a oriente con la cortina di ferro, a
meridione con il turbolento mondo mediterraneo; e l’incistamento nella città di
Roma della sede della Chiesa cattolica, entità grandiosa, universale, immaginifca.
Da allora, alternando euforie senza fondamento e disperazioni senza scampo,
abbiamo costantemente rinunciato a defnire l’interesse nazionale, a delimitare il
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2. D. FABBRI, «Italia, radiografa strategica»; «Italia, cosa fare», canale YouTube di Limes.
3. A. ARESU, L. GORI, L’interesse nazionale: la bussola dell’Italia, Bologna 2019, il Mulino.
4. Cfr. nota 1.
5. L. SCOGNAMILLO, «I Balcani occidentali. Strategie e iniziative del Dipartimento della pubblica sicurez-
za nell’ambito dei processi di allargamento dell’Unione Europea», Rivista trimestrale della Scuola di
perfezionamento per le forze di polizia, n. 2/2019. 107
SE L’ITALIA MATURA
Territorio
In Italia poteri criminali e informali ne hanno conteso il dominio allo Stato per
108 decenni. Prima nel Meridione, terra d’origine di mafe per antonomasia. Poi in aree
A CHE CI SERVE DRAGHI
del Centro e del Settentrione, dove le organizzazioni mafose hanno tessuto allean-
ze nell’ombra 6, relazioni economiche, sociali e politiche con le collettività, le im-
prese e le istituzioni. Trovando terreno fertile, pronto al compromesso, fno al ra-
dicamento territoriale e al riconoscimento sociale. Il mito dell’invincibilità della
mafa vissuta e subita 7 è seccamente smentito dal lavoro di polizie e magistratura,
e conferma semmai l’ineluttabilità di un impegno costante, non ridimensionabile.
Le dinamiche sono conosciute, indagate, studiate, rivelate da indagini, processi e
analisi scientifche; lo Stato si è dotato di strumenti giuridici e investigativi per fran-
tumare la società segreta criminale che trae forza primaria dalla formidabile risorsa
del legame indissolubile e coercitivo che unisce gli associati, regalando a ogni in-
dividuo l’immenso potere di rappresentare il tutto, al prezzo della rinuncia al dirit-
to di recesso.
Resta più oscuro e irrisolto l’altro carattere delle mafe, la capacità di penetrare
nel corpo sociale attraverso cerchi concentrici, il nucleo interno degli eletti e intor-
no reti relazionali cementate da interessi 8. L’evoluzione più infda è il consolida-
mento di complesse architetture nelle quali si incontrano mafosi, criminali comuni,
imprenditori, professionisti, politici e amministratori pubblici, cementate da conve-
nienza, corruzione, favoritismi. Grumi di collusioni, interessi, affari nelle quali si
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Economia
Almeno tre questioni economiche impegneranno il governo nei prossimi anni.
La più urgente e vitale è programmare e soprattutto spendere i fondi europei:
quest’ultimo è un compito immane per un paese che non è mai riuscito a gestire
nemmeno piccoli fnanziamenti, fguriamoci duecento miliardi da rendicontare mi-
nuziosamente. La materia degli appalti è un buco nero di norme affastellate una
sull’altra, adempimenti burocratici medievali, piccole e grandi riforme che mai
hanno garantito un equilibrio ragionevole fra effcienza, controllo e trasparenza. Il
codice dei contratti pubblici del 2016 prometteva miracoli e invece ha dilatato
all’inverosimile i tempi degli appalti. L’Autorità anticorruzione, oggetto di massiccio
investimento retorico della politica in anni recenti, si è rivelata una «tigre di carta»
nelle parole di un suo protagonista 11.
La seconda consegue all’epidemia che sta introducendo con estrema rapidità
radicali trasformazioni nei mercati leciti e illeciti e ha aperto nuove falle di vulne-
rabilità nel sistema mondiale: traffci di prodotti medicali e dispositivi di protezione
individuale contraffatti; corruzione nelle strategiche catene di approvvigionamento;
incremento esponenziale dei traffci di milioni di bambini, profughi e persone in
10. R. AITALA, Il metodo della paura. Terrorismi e terroristi, Roma-Bari 2018, Laterza, pp. 69 e 213.
11. M. CORRADINO, L’Italia immobile. Appalti, burocrazia, corruzione. I rimedi per ripartire, Roma
110 2020, Chiarelettere, pp. 185 e passim.
A CHE CI SERVE DRAGHI
stato di bisogno; attacchi informatici contro istituzioni sanitarie per sottrarre dati
personali e fnanziari di degenti e pazienti; indebolimento delle capacità di contra-
sto nazionale e internazionale. Fenomeni globali ai quali da noi in modo partico-
lare si unisce lo sfruttamento della congiuntura da parte di mafe e di altri soggetti
criminali dotati di liquidità e patrimoni inspiegati per rilevare aziende in crisi e as-
sumere il controllo sempre più pervasivo di settori economici legali 12.
Infne. La crisi sanitaria ha ulteriormente accentuato l’aggressione di attori
stranieri – francesi, tedeschi e di altri paesi alleati – a beni e assetti produttivi stra-
tegici italiani al fne di dominare i mercati internazionali e acquisire capitale geo-
politico. È in gioco non solo la competitività del sistema economico nazionale ma
la sovranità politica dello Stato. Il governo ha rafforzato nel 2019 gli strumenti
normativi del golden power, meccanismo di tutela dei settori produttivi strategici
che consente alla presidenza del Consiglio di verifcare e contrastare le acquisizio-
ni predatorie e opportunistiche di aziende e beni da parte di investitori stranieri.
È strumentale a questa funzione il ruolo degli apparati informativi che in anni
recenti hanno incrementato con successo l’azione di ricerca e di analisi a benef-
cio del decisore politico 13.
Il nuovo governo sembra ben consapevole della profondità delle sfde e
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Coesione sociale
Il degrado della coesione sociale è il pericolo mortale. Può indurre rapidamen-
te la dissoluzione dell’unità nazionale e avvitare il paese in una spirale senza fne.
L’Italia non ha minoranze etniche o religiose problematiche e ghetti come altri
paesi europei, per esempio la Francia di Macron che studia misure di assimilazione
forzata delle minoranze per irrobustire l’unità nazionale. Da noi le disparità sono
fra italiani, in un paese che ha un risparmio privato di 4.200 miliardi, il doppio del
pil pre-epidemia e una distribuzione della ricchezza drammaticamente sbilanciata.
La crisi di Lehman Brothers del 2008 sembrava aver segnato il punto più basso
della storia umana recente, segnalando il drammatico aumento del divario fra i
ricchi e i poveri, che da allora è andato costantemente approfondendosi anche in
paesi poco toccati dalla recessione, come la Germania. Nessuno avrebbe mai im-
maginato abissi più profondi. Il Covid-19, invece, ha innescato l’emergenza econo-
12. R. AITALA, «Le cause del male, le sfde del rilancio», Limes, «Quel che resta dell’Italia», n. 11/2014,
pp. 35-42; ID., «Per chi tifano le mafe», Limes, «L’Italia di nessuno», n. 4/2013, pp. 151-158.
13. Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2020, www.sicurezzanazionale.gov.it 111
SE L’ITALIA MATURA
mica più grave dal secondo confitto mondiale. Le diseguaglianze condannano alla
marginalità e all’esclusione milioni di persone, dividendo le società fra salvati e
sommersi. In Italia il fenomeno è reso cento volte più grave perché una parte non
secondaria del paese, soprattutto anche se non solo al Meridione, vive di economia
informale. È l’esercito dei giornalieri, che la mattina escono da casa alla ricerca di
un lavoro occasionale che permetta di mettere insieme qualche decina di euro e
ora sono senza speranza. Sfuggono alle statistiche, sono quasi del tutto sconosciu-
ti al fsco, vivono nei bassifondi dei centri urbani e rischiano di essere condannati
all’inedia dall’epidemia. A queste persone, oltre ai tanti che hanno perso il lavoro
subordinato o vedono sprofondare la propria azienda o la propria attività autono-
ma, il governo dovrà dare risposte sia immediate sia di prospettiva. Servono inter-
venti di solidarietà e meccanismi volti ad assicurare strumenti di sussistenza a tutti,
speranza e opportunità soprattutto ai giovani.
Le conseguenze dell’epidemia si proietteranno per molti anni e sarà compito
del comparto informativo e di sicurezza cogliere i segnali del disagio sociale per
prevenire l’esplosione della piazza, l’incremento dei fenomeni delinquenziali e il
proliferare del radicalismo politico-ideologico. Affrontare l’emergenza come un
buco da tappare non è suffciente; è davvero cambiato tutto e non è pensabile fare
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ritorno allo stato patologico di un anno fa. Bisogna non ricostruire ma costruire un
paese più uguale, giusto e unito; dare corpo e sostanza alla costituzione che impo-
ne alla Repubblica di assicurare a ogni cittadino l’opportunità di realizzarsi e par-
tecipare alla vita sociale del paese rimuovendo gli ostacoli che limitano la libertà e
l’eguaglianza sostanziale 14.
Trauma o convalescenza?
Massimo Franco ha acutamente descritto come trauma salutare il nuovo equi-
librio di governo, interpretandolo come sintomo e risultato di un cambiamento
profondo che disorienta i partiti, costringendoli a nuove rotte 15. È vero anche il
contrario. Per ermeneutica storica si può guardare alla fase in atto come esordio del
processo di guarigione da un trauma cronico, vecchio di sessant’anni, cagionato al
paese da una maturità che non sapemmo avere 16. L’Italia, disorientata e spaurita
dopo la sconftta del 1945, seppe ricostruire e negli anni Sessanta si inebriò di un
tumultuoso «miracolo» economico che la politica non riuscì a governare, approfon-
dendo disunioni, particolarismi, corporativismi e generandone di nuovi. È l’inizio
di un profondissimo impoverimento culturale e politico nazionale. Pochi decenni
più tardi nella Penisola si scoprì tristemente smarrita la capacità di sacrifcarsi, so-
gnare e programmare insieme.
Quello che forse si apre è dunque un corso non nuovo ma vecchio, cioè lun-
gamente atteso, nel quale ai dirigenti non si chiede di vergare spartiti originali, ma
14. C. COTTARELLI, All’inferno e ritorno. Per la nostra rinascita sociale ed economica, Feltrinelli, 2021
15. M. FRANCO, «Un trauma salutare per un cambiamento vero», Corriere della Sera, 19/3/2021.
112 16. G. CRAINZ, Il paese reale. Dall’assassinio di Moro all’Italia di oggi, Roma 2012, Donzelli, p. 3.
A CHE CI SERVE DRAGHI
di interpretare le energie produttive, sociali e culturali che nel paese già esistono
diffusamente ma in forma disorganica, inconsapevole, anarchica. La parola giusta
non è dunque cambiamento, lemma abusato che perciò suona insincero, ma ma-
turazione. Percorso nient’affatto lineare nel quale politica e geopolitica procedono
o naufragano insieme, giacché la solidità interna è la condizione primaria della
soggettività geopolitica e la collocazione planetaria presupposto della sovranità. Lo
spartito è la strategia, le istituzioni l’orchestra. Il gabinetto Draghi sembra muovere
da qui, pensiero e atto; il primo prerogativa di politica, governo e parlamento;
l’altro dovere delle istituzioni che danno stabilmente voce a una collettività che
possa chiamarsi al tempo stesso popolo, nazione e Stato.
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113
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A CHE CI SERVE DRAGHI
COME CURARE
IL TRAUMA
DEMOGRAFICO di Massimo LIVI BACCI
L’Italia è l’unico grande paese europeo a perdere abitanti. Nel
2020 la popolazione è diminuita di oltre 300 mila unità. I flussi
migratori sono più deboli. Ma la vera emergenza sta nel calo delle
nascite. Alcune misure per incentivarle. Il Family Act non basta.
1. N
EL FEBBRAIO DELLO SCORSO ANNO È
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iniziato nel 2015, è continuato senza interruzione fno a oggi e c’è da temere che
nel 2021 si replichi il calo del 2020. L’Italia è l’unico grande paese europeo con una
popolazione in declino. Questa è una spia eloquente della crisi vissuta dal paese,
che rifette uno squilibrio strutturale ulteriormente aggravato dall’epidemia. Il Co-
vid-19 è stato la causa accertata, nel 2020, di circa 74 mila decessi, portando il loro
numero totale a 746 mila unità, il 12,6% in più rispetto alla media dei cinque anni
precedenti. Con una età media dei deceduti attorno agli 80 anni, nonostante il for-
te aumento dei decessi tra il 2019 e il 2020 l’aspettativa di vita ha avuto un modesto
arretramento, maggiore per gli uomini (-1,46 anni) che per le donne (-1,13), colpi-
te meno severamente dal virus.
L’apparente contrasto tra un aumento dei decessi del 12,6% e una diminuzione
della speranza di vita dell’1,6% è facile da intuire. A differenza delle vittime dell’in-
fuenza spagnola, la cui età media fu attorno ai 30 anni, le vittime del Covid-19
sono state persone anziane, spesso affette da gravi patologie, con un’età media di
circa 80 anni. Com’è noto (si veda la carta) il coronavirus è stato più letale nel
Nord che nel Sud: in alcune province la perdita di aspettativa di vita ha sforato i
cinque anni (Brescia, Bergamo, Cremona, Piacenza), in altre non ci sono state va-
riazioni rispetto all’anno precedente. Benché sia presto per un consuntivo, la mor-
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Trento
Aosta Trieste
Milano
Venezia
Torino
Genova Bologna
Firenze Ancona
Perugia
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Mare Adriatico
L’Aquila
ROMA
Campobasso
Bari
Napoli
Potenza
Mar Tirreno
Cagliari
Catanzaro
Palermo
Mar Mediterraneo
117
Fonte: https://www.neodemos.info/2020/11/lo-sapevata-che/
COME CURARE IL TRAUMA DEMOGRAFICO
propensione ad avere fgli. Una curiosità rivelatrice: per produrre 404 mila nascite,
mezzo secolo fa, bastarono quattro regioni: Lombardia, Piemonte, Campania e
Sicilia. È invece incerto quali possano essere le conseguenze a medio termine
dello shock epidemico: un recupero di nascite rinviate per prudenza e un ritorno
ai già bassissimi livelli precedenti, oppure un cambio (in positivo o in negativo)
nelle preferenze riproduttive? La storia di altre crisi offre esempi contrastanti ed è
onesto dire di «non sapere» e prudente non azzardare previsioni.
Infne, le migrazioni e la mobilità. Qui il quadro è assai più complicato e non
si dispone di dati adeguati relativi al 2020. Ma come ben si sa, la risposta all’epi-
demia è stata la stessa – in mutate condizioni – dall’epoca della peste: distanziar-
si dai contagiati, diminuire i contatti, isolarsi, allontanarsi. Ovunque nel mondo, la
mobilità – di prossimità, interna ai paesi, internazionale – si è fortemente ristretta.
Nel 2019, il saldo migratorio anagrafco con l’estero era risultato positivo per 143
mila unità, somma algebrica tra un saldo migratorio positivo ancora elevato per la
componente straniera e un saldo migratorio negativo in lieve fessione per la
componente italiana. Il presidente dell’Istat Blangiardo scriveva su Neodemos che
«il recente report Istat sulle iscrizioni e cancellazioni anagrafche non manca di
sottolineare come nei primi otto mesi del 2020 – secondo le prime anticipazioni
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disponibili – le migrazioni nel nostro paese abbiano subìto una drastica riduzione
(-17,4%). In particolare, rispetto al confronto con gli stessi otto mesi del quin-
quennio 2015-2019 si è registrata una fessione del 6% per i movimenti interni, tra
Comuni, e del 42% e 12%, rispettivamente, per quelli da e per l’estero. Su quest’ul-
timo punto l’unico dato in controtendenza riguarda i fussi verso il Regno Unito
(+62,8%), ma si tratta esclusivamente di un effetto dovuto alle regolarizzazioni
indotte dal Brexit e relative a soggetti trasferitisi già da tempo al di fuori dei con-
fni nazionali»1.
Questo è il quadro sommario. Nel 2021, supponendo che si sia nella parte f-
nale della fase acuta dell’epidemia, avremo un’ulteriore erosione della sopravvi-
venza, un’accentuata fessione delle nascite, una parziale ripresa della mobilità.
118 1. bit.ly/3d3g4Nb
A CHE CI SERVE DRAGHI
milioni di decessi nel mondo), che però ha avuto caratteristiche ben diverse dalle
epidemie tradizionali, essendo assai più legata ai comportamenti individuali e con-
cettualmente più vicina all’abuso di oppioidi, al tabagismo o all’alcolismo che non
agli impalpabili contagi delle epidemie classiche.
In Italia, ma anche in molti altri paesi, i progenitori più recenti del Covid-19
– e poi le pandemie infuenzali asiatica del 1957-58 e di Hong Kong del 1968-69
– hanno causato solo modeste increspature sulla curva dei decessi, simili a quelle
verifcatesi in anni di eccessi climatici, di gran freddo o di grandi calure. Tutto
questo spiega perché il mondo si sia trovato impreparato ad affrontare la nuova
epidemia. La guardia era stata abbassata, la sorveglianza attenuata, le protezioni
più semplici (come le mascherine) erano introvabili, le risorse della sanità più
preparate alla guerra di lungo corso contro le patologie tumorali e cardiocircola-
torie che non ai blitz epidemici, le amministrazioni confuse, più orientate al po-
tenziamento dei grandi presidi sanitari che non agli avamposti ben distribuiti sul
territorio.
Questa dunque la prima lezione: le patologie infettive ed epidemiche posso-
no emergere o riemergere in ogni momento, quindi dobbiamo essere attrezzati per
affrontarle. Questo signifca, in primo luogo, un’azione di rafforzamento delle fun-
zioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e del Centro europeo per la
prevenzione e il controllo delle malattie (European Centre for Disease Prevention
and Control, Ecdc), deputato a «rafforzare le difese dell’Europa contro le malattie
infettive» mediante sorveglianza, monitoraggio delle epidemie e consulenza scien-
tifca. La voce di questa agenzia è stata assai debole e per elaborare strategie euro-
pee comuni nella difesa antinfettiva sarà necessario ripensare la sua missione, che
dovrebbe comprendere effettive funzioni operative e di coordinamento. Un’epide- 119
COME CURARE IL TRAUMA DEMOGRAFICO
mia, come un evento climatico, non conosce confni e per prevenirne la diffusione,
o attenuarne l’impatto, è necessaria una strategia comune di risposta, possibile
solo se vengono integrate maggiormente le politiche sanitarie dei vari paesi, poten-
ziando le strutture esistenti o creandone di nuove.
In Europa ogni paese è andato per conto suo, senza alcun coordinamento dei
piani vaccinali, delle modalità di gestione della mobilità, della chiusura e riapertura
dei confni. Un’iniziativa comunitaria c’è stata, fortunatamente, nell’acquisto dei
vaccini anche se si sono fatti errori di valutazione. L’impegno dell’Italia in sede
internazionale, e soprattutto comunitaria, deve dunque sostenere prioritariamente
il rafforzamento di effcienti forme di coordinamento e cooperazione per la sorve-
glianza e il contrasto dei fenomeni infettivi.
e altro ancora. In Italia ci sono oramai regioni dove il fglio unico è la modalità
riproduttiva prevalente; a livello nazionale quasi un quarto delle donne chiude il
ciclo riproduttivo senza avere avuto fgli. È una situazione di debolezza che ca-
ratterizza la demografa del paese da tre decenni e più, equivalenti alla durata di
una generazione.
Le scelte riproduttive non sono imposte, ma vengono prese in un sistema che
riconosce e difende appieno l’autodeterminazione: la bassa natalità è perciò l’e-
spressione di valori e convincimenti profondamente radicati nella società, frutto
di un intreccio di fattori strutturali sui quali non è semplice incidere. La debolezza
economica delle famiglie, l’instabilità del reddito, la mancanza di una seconda
fonte di reddito in famiglie nelle quali la donna non è occupata, l’ingiustizia del
sistema di welfare per chi non ha lavoro stabile, la durata eccessiva della dipen-
denza dei fgli dai genitori, la loro tardiva entrata nel mercato del lavoro e quindi
il rinvio dell’assunzione di responsabilità familiari quali la convivenza, il matrimo-
nio e la genitorialità. Ecco una lista, certo incompleta, dei fattori che favoriscono
o impongono scelte riproduttive molto prudenti. Sono fattori strettamente legati
sui quali occorrerebbe agire congiuntamente. Il disegno di legge «Deleghe al go-
verno per l’adozione dell’assegno universale e l’introduzione di misure a sostegno
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della famiglia» (goffamente chiamato Family Act), approvato lo scorso anno, af-
fronta molti di questi temi perché si propone: a) di istituire un assegno universale
mensile per ogni fglio a carico fno all’età adulta; b) di rafforzare le politiche di
sostegno alle famiglie per le spese educative e scolastiche; c) di riformare i con-
gedi parentali con congedi di paternità obbligatori; d) di introdurre incentivi al
lavoro femminile, dalle detrazioni per i servizi di cura alla promozione del lavoro
fessibile; e) di «assicurare il protagonismo» (sic) dei giovani under 35, promuo-
vendo la loro autonomia fnanziaria con un sostegno per le spese universitarie e
per l’afftto della prima casa. Tutte misure lodevoli che occorrerà verifcare alla
prova dei fatti e dei fnanziamenti impegnati. Però, l’avvio dell’assegno unico per
i fgli è imminente e avverrà nel prossimo luglio, con l’entrata a regime nel 2022.
Nella legge di bilancio 2021 sono stati stanziati 3 miliardi per il 2021 (e 5,5 miliar-
di per il 2022) per istituire l’assegno unico per i fgli minori di 21 anni, che sosti-
tuirà la congerie disordinata di provvidenze oggi esistenti, dal bonus bebé agli
assegni familiari, dalle detrazioni fscali per fgli a carico agli assegni per le fami-
glie con tre o più fgli minori. L’assegno unico mensile, d’importo variabile (a
seconda del reddito) tra i 50 e i 250 euro riassorbirà le risorse impegnate in queste
provvidenze, con forti guadagni di equità, includendo tutti e dando stabilità e ri-
conoscibilità a un sistema di welfare familiare oggi esposto ai venti della politica,
dei cambi di governo, delle occorrenze di ogni legge fnanziaria. Insomma, è la
strada giusta da tempo invocata: i genitori debbono poter contare sul sostegno
(che in tempi più prosperi potrà essere aumentato) per poter fare i loro calcoli
economici. Perché i fgli si fanno per amore, ma si mantengono con i soldi. Infu-
irà sull’andamento delle nascite? Non lo sappiamo, molto dipende dalla rapida
entrata in gioco delle altre misure prospettate nel Family Act: ma la delega scadrà 121
COME CURARE IL TRAUMA DEMOGRAFICO
a metà 2022, se tutto va bene altre misure entreranno in azione nel 2023. E intan-
to la curva delle nascite si abbassa.
nente importante del pil come l’Egitto, l’Albania e le Filippine, nei quali esse equi-
valgono al 10% circa del pil, o la Nigeria e il Marocco, dove si attestano al 6%. Sul
piano interno, i numeri sono per ora molto parziali e occorrerà ancora tempo per
fare un bilancio. Ma le tensioni sul mercato del lavoro in agricoltura (solo minima-
mente contenute dalla parziale sanatoria dello scorso anno, peraltro ostacolata da
incredibili pastoie burocratiche), la cui manodopera è straniera per un terzo, sono
un indice signifcativo delle diffcoltà determinate dalle restrizioni imposte alle mi-
grazioni. E queste diffcoltà riguardano anche altri settori.
Per il futuro, due forze di segno opposto si stanno delineando. Quella nega-
tiva prende alimento dalla relativa facilità con la quale sono stati chiusi i confni,
selezionati gli arrivi, individuati gruppi ritenuti a rischio e limitati gli spostamenti,
anche all’interno dell’area di libera circolazione dell’Ue e di Schengen. Quei mo-
vimenti nativisti, ipernazionalisti o comunque ostili alla immigrazione hanno tro-
vato conforto nel fatto che la mobilità internazionale abbia subìto un colpo di
freno, oggi giustifcato dall’emergenza sanitaria, ma che domani potrebbe essere
invocato per motivi economici, di sicurezza o politici. La forza positiva deriva
invece dal fatto che la crisi ha mostrato quanto siano vitali le migrazioni per la
società e per l’economia e quanto gravide di spiacevoli conseguenze potrebbero
essere ulteriori chiusure e ostacoli alla mobilità umana. Per quanto riguarda il
nostro paese, l’opinione pubblica si è resa conto che l’epidemia non è conseguen-
za dell’immigrazione e che è assai importante avere gli stagionali nei campi, del
personale di servizio nelle famiglie, dei muratori sulle impalcature, dei mungitori
nelle stalle e del personale medico e infermieristico negli ospedali.
La politica dovrebbe seguire tre linee di azione. La prima è quella di ripristina-
122 re, conservare e migliorare la libera circolazione all’interno dell’Europa. Una con-
A CHE CI SERVE DRAGHI
quista (sia pure incompleta) che rischia di sfuggirci dalle mani. La seconda consiste
nell’implementare le raccomandazioni contenute nel Global Compact sulle migra-
zioni, la convenzione internazionale che detta i princìpi che gli Stati debbono segui-
re nelle politiche migratorie, che l’Italia rifutò di frmare due anni fa a Marrakech.
La terza linea consiste nel lavorare per riconoscere, anzitutto, che la debolezza de-
mografca e sociale del paese necessita di immigrati; che la legge Turco-Napolitano,
approvata quando i migranti in Italia si contavano a decine e non a centinaia di
migliaia, non è più adeguata; che le necessità del paese devono essere programma-
te da un organismo indipendente, approvate quindi dal parlamento e implementate
dall’esecutivo; che nel disegnare nuove regole per il governo dei fussi vanno segui-
te le raccomandazioni del Global Compact.
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123
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A CHE CI SERVE DRAGHI
LA DERIVA
NON È
UN DESTINO di Alberto DE SANCTIS
L’Italia ha perso contezza della propria dimensione marittima.
Tra tagli di fondi, spezzatino istituzionale e attendismo,
rischiamo di farci sfilare il Mediterraneo. Tre proposte per
ritrovare la bussola nella nuova età oceanica.
1. L’
ITALIA AFFRONTA LE ONDE DEL MAR
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Mediterraneo senza bussola, esposta alle insidie dei marosi, in cerca della rotta
perduta. Da tempo il nostro paese ha espunto il mare dal suo ragionamento geo-
politico, rinunciando alla consapevolezza del proprio ruolo di nazione marittima.
Non sappiamo più cosa signifchi abitare una penisola con ottomila chilometri di
coste proiettata nel cuore del bacino e ci comportiamo come se non avessimo alle
spalle una storia millenaria intimamente legata al mare, ricca di insegnamenti e
lezioni per l’avvenire. Ci siamo imposti come dominatori dello spazio mediterra-
neo, quando fummo consapevoli della nostra condizione geostrategica. Abbiamo
cercato rifugio lungo le coste peninsulari, sbirciando un orizzonte ostile e fonte di
pericoli, tutte le volte in cui ne abbiamo perso memoria 1.
Oggi i temi legati alla marittimità sono stati quasi banditi dal discorso pubblico
o relegati a specialisti e appassionati. Ci illudiamo di poter continuare a esistere
quale soggetto geopolitico avvinghiato alla catena alpina, terrorizzato dalla pro-
spettiva di precipitare in un mare di cui fatichiamo ad avere visione 2. L’assenza di
memoria storica, sensibilità culturale e percezione geografca distilla una miscela
potenzialmente disastrosa per il nostro futuro di paese unitario. Specie in un’epo-
ca che vede il baricentro della potenza spostarsi sui futti, nuova età oceanica. In
questo contesto fortemente mutevole, persino il Mediterraneo si riscopre centrale.
Virando da placido guscio d’acqua incastonato fra le terre in agone dove attori
locali e potenze esterne si contendono infuenza, supremazia. A cominciare dalla
superpotenza americana e dal suo sfdante cinese. Spazio di competizione geo-
1. Lectio magistralis di Alessandro Barbero alla giornata di studi «Italia paese marittimo» organizzata
dall’Accademia navale con la collaborazione di Limes e della Marina militare, cutt.ly/oxMKVNH
2. D. FABBRI, «Italia penisola senza mare», Limes, «L’Italia è il mare», n. 10/2020, pp. 47-55. 125
LA DERIVA NON È UN DESTINO
politica a tutto tondo, in cui il mare diventa terra e l’italico minimalismo non può
avere futuro.
Intorno a noi le acque libere si ritirano o congestionano. A levante ricompa-
iono i turchi, agguerriti e determinati a recuperare l’antica dimensione imperiale
dopo che fummo noi italiani a scacciarli dal Mediterraneo centrale, un secolo fa. A
ponente manovrano con baldanza gli algerini, con le loro pretese di giurisdizione
sugli spazi che lambiscono la costa sarda e forti di una fotta militare prossima
all’eccellenza in campo subacqueo grazie alle pluriennali forniture russe. Intanto
Mosca è la nuova potenza residente in Cirenaica, con una presenza in Nord Africa
sempre più radicata e diffusa. Persino il fulcro dei nostri interessi marittimi, quello
Stretto di Sicilia su cui convergono le innumerevoli tratte marittime che ci assicu-
rano benessere e ricchezza, è minacciato 3. Mentre l’instabilità cresceva, il vertice
politico nazionale si limitava a predicare cautela e prudenza. Convinto che presto o
tardi qualche soluzione sarebbe calata da Oltralpe, meglio ancora da Oltreoceano.
Speranza vana.
re una visione nazionale del nostro mare: siamo penisola proiettata nel cuore del
bacino, prima ancora che appendice terrestre del continente europeo. Cogliere tale
potenziale geostrategico è condizione essenziale per riscoprire la nostra dimensio-
ne marittima, che può aiutarci a fronteggiare le gravi conseguenze politiche, sociali
ed economiche dell’epidemia di coronavirus. Segnali incoraggianti in tal senso ci
sono: la discussione pubblica avviata su queste pagine circa il nostro rapporto con
i futti e le giornate di studio che ne sono seguite e seguiranno; la prossima istitu-
zione di una Zona economica esclusiva (Zee) italiana, che costringerà le istituzioni
a occuparsi di marittimità; i riferimenti di Mario Draghi alla sensibilità mediterranea
del paese nel suo discorso programmatico alle Camere.
Seguono dunque alcune proposte per ritrovare le onde perdute.
Al primo posto, un imperativo categorico: elaborare una strategia italiana del
mare, auspicabilmente nell’ambito di una più ampia strategia nazionale, per co-
gliere le molte opportunità che la nostra collocazione geografca nel cuore del
Mediterraneo – fra Indo-Pacifco e Atlantico, Europa, Africa e Asia – ci propizia.
Oltre che per porre a sistema le formidabili capacità espresse dai tanti settori dell’e-
conomia nazionale legati al mare in cui siamo competitivi e all’avanguardia, come
la cantieristica civile e militare, l’esplorazione subacquea, l’energia, i trasporti, la
pesca e l’acquacoltura. Inutile altrimenti darsi pena per l’attivismo dei vicini, per
le minacce alle nostre linee di comunicazione marittima o per le faide tra i nostri
porti. Saremmo destinati a giocare di rimessa.
Strategia presuppone inquadrare l’interesse nazionale. Concetto tabù per sva-
riati decenni dopo la seconda guerra mondiale e di cui oggi si fa un gran parlare,
126 3. «La soglia di Sicilia», editoriale Limes, «L’Italia al fronte del caos», n. 2/2021.
A CHE CI SERVE DRAGHI
Civitavecchia
Fiumicino Manfredonia
Santa Teresa di Gallura Barletta
Bari
Golfo Aranci Gaeta Napoli
Olbia Brindisi
Porto Torres Monopoli
Mar Mediterraneo
MALTA
127
Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
LA DERIVA NON È UN DESTINO
senza che alcuno – a cominciare dalla nostra classe politica – ne dia esauriente
defnizione. Così non andiamo oltre la ripetizione di nobili formule di rito quali
l’appartenenza alla Nato e all’Unione Europea, la fedeltà agli Stati Uniti e all’atlan-
tismo. Ci illudiamo di essere amici di tutti e nemici di nessuno, fnendo per non
essere (quasi) mai presi sul serio. Scambiamo la partecipazione a un sistema di al-
leanze per fne in sé, quando invece dovrebbe essere un moltiplicatore della forza
nazionale. Nel frattempo foriscono interpretazioni eterogenee dei nostri bisogni
strategici e i diversi corpi dello Stato entrano in competizione per accaparrarsi ri-
sorse e privilegi in nome di necessità particolari presentate come generali 4.
La disposizione dei militari italiani all’estero è da sempre uno dei segni più
lampanti della nostra incapacità di stabilire il perimetro dell’interesse nazionale 5.
Siamo acquartierati in mezzo mondo e non ci siamo fatti problemi a stanziare con-
tingenti robusti in Afghanistan e in Iraq, mentre abbiamo rifutato la responsabilità
di un impegno diretto in Libia, chiave di volta della sicurezza italiana. Con i risultati
che sappiamo.
Il discorso non riguarda soltanto la sfera militare. Un caso di scuola è l’assen-
za di visione dietro la recente riorganizzazione del nostro sistema portuale. Oltre
alle esigenze della semplifcazione, della lotta agli sprechi e alle burocrazie, quali
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bisogni nazionali ha soddisfatto la riforma Delrio del 2016? Senza una strategia ma-
rittima e indicazioni politiche chiare, come meravigliarsi se i singoli scali – soggetti
geopolitici, perché snodi delle direttrici terra-mare – cercano di soddisfare i loro
bisogni di sviluppo (o di sopravvivenza) a scapito dei vicini e con logiche poten-
zialmente antitetiche a quelle nazionali? All’allarme per l’interessamento cinese e
turco ai porti di Trieste e Taranto non è seguita una rifessione seria sul ruolo che
vogliamo assegnare ai porti italiani nella competizione logistico-infrastrutturale nel
Mediterraneo. Se necessario con scelte dolorose, stabilendo quali scali debbano
ricevere più attenzioni di altri in un’ottica sistemica. Per non scontentare nessuno,
evitiamo di scegliere o lasciamo che lo facciano altri.
La propensione a considerare le vicende del mare in modo astrategico emer-
ge anche dal dibattito parlamentare sulla Zee italiana 6, passo importante verso il
rafforzamento della nostra marittimità e attesa reazione al processo di territoria-
lizzazione del Mediterraneo che abbiamo a lungo trascurato. L’impressione è che
si sia trattato in primo luogo di una mossa funzionale ai bisogni negoziali italiani
nella diatriba con Algeri, che nei mesi passati ha impegnato l’ex premier Giuseppe
Conte e il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, confermato nel ruolo alla
Farnesina con Draghi. Nel dibattito alla Camera sull’utilità di una Zee non sono
state infatti affrontate le tante questioni marittime irrisolte con i nostri vicini adriatici
e con Malta, Tunisia, Libia.
4. G. DOTTORI, «Arma contro Arma: l’Italia senza bussola divide i militari», Limes, «L’Italia è il mare», n.
10/2020, pp. 79-84.
5. A. DE SANCTIS, «Boots on the ground: l’Italia in armi è dove serve?», Limes, «America contro Iran», n.
1/2020, pp. 193-198.
6. La proposta di legge presentata dalla deputata del M5S Iolanda Di Stasio è stata approvata alla
128 Camera con 394 voti a favore su 394 presenti. Per un esame dei lavori preparatori, cutt.ly/pxXFhaN
A CHE CI SERVE DRAGHI
Assente anche qualsiasi rifessione sul fatto che ampliare il nostro spazio di giu-
risdizione marittima implichi stanziare risorse per la sua tutela e difesa. Dettaglio non
secondario, che chiama in causa le funzioni della Marina militare e le sue capacità
d’intervento alturiere. Salvo fare i conti con la quantità d’impegni cui è sottoposta la
Forza armata malgrado anni di tagli a mezzi e personale. Una soluzione per presi-
diare i circa 500 mila chilometri quadrati della futura Zee potrebbe venire dal coin-
volgimento del Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera e della Guardia di
fnanza. A patto che le nostre istituzioni abbiano ben chiara l’urgenza di un meccani-
smo di raccordo interministeriale, nonché le implicazioni gerarchiche connesse alla
creazione di un centro di coordinamento nazionale per le attività marittime.
130 9. A. MARINO, «Idee per un nuovo governo del mare», Limes, «L’Italia è il mare», n. 10/2020, pp. 101-102.
A CHE CI SERVE DRAGHI
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politica estera. A maggior ragione per l’Italia, immersa nel mare e dipendente dalla
continuità delle vie marittime per l’approvvigionamento di materie prime e la di-
stribuzione di prodotti fniti. Dunque bisognosa di presidiare queste rotte insieme
agli alleati e di sviluppare le proprie relazioni con i partner ubicati lungo i transiti
di Gibilterra, Suez, Båb al-Mandab e Hormuz. Questi cruciali colli di bottiglia in-
dividuano i confni dell’area geostrategica defnita come Mediterraneo allargato,
dogma operativo della Marina italiana.
Il nostro paese e la sua fotta militare vantano un’antichissima tradizione di
dispiegamenti all’estero a tutela degli interessi nazionali 10. La costante presenza na-
vale in Sud America d’epoca liberale; il vasto impiego di assetti della Forza armata
da parte del regime fascista in ogni oceano del mondo (dall’Argentina al Giappo-
10. F. DE NINNO, «Diplomazia navale in un’epoca confittuale: il caso italiano (1919-1940)», Rivista
Marittima, marzo 2020. 131
LA DERIVA NON È UN DESTINO
ne) negli anni Venti e Trenta del Novecento; la circumnavigazione del globo da
parte della fregata missilistica Lupo assieme al cacciatorpediniere Ardito nel bien-
nio 1979-80, che segnò la rinascita della fotta italiana dopo il 1945; la campagna
del 30° Gruppo navale nel 2013-14 condotta fra la Penisola Arabica e il continente
africano, cui prese parte anche la portaerei Cavour. Pensata per promuovere il
rango dell’Italia, la missione attirò le critiche di quanti vi lessero un mero tentativo
di favorire le commesse estere alla nostra industria bellica.
Il Covid-19 ha portato a cancellare la missione della nave scuola Amerigo
Vespucci che nel 2020 avrebbe dovuto presenziare all’apertura delle Olimpiadi
di T§ky§. Si sarebbe trattato di un formidabile biglietto da visita in un’area dove
altre fotte europee puntano a consolidare una presenza politica e diplomatica.
Recentemente la Marina francese ha dispiegato due potenti gruppi navali a est di
Suez nell’ambito delle missioni Jeanne d’Arc 21 (guidata dall’unità d’assalto anfbio
Tonnerre, si spingerà fno in Giappone passando per il conteso Mar Cinese Meri-
dionale) e Clemenceau 21 (con la portaerei nucleare Charles de Gaulle, destinata a
operare fra Golfo Persico e Oceano Indiano). Sarà poi la nuova portaerei britannica
HMS Queen Elizabeth a salpare per l’Estremo Oriente, via Mediterraneo e Oceano
Indiano. Dopo l’uscita dall’Ue, Londra punta a contenere la spinta espansiva cinese
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132 11. «La portaerei Cavour certifcata all’impiego degli F-35B», Analisi Difesa, 26/3/2021.
A CHE CI SERVE DRAGHI
1. L’
EPIDEMIA DI COVID-19 HA COLPITO E
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sta colpendo molto duramente l’Italia, con i suoi tremendi effetti sulla salute e sulla
vita di tante persone, e con i suoi impatti socioeconomici, fortemente asimmetrici
per settori di attività e gruppi sociali. Il virus ha danneggiato i più deboli. Il rischio
è che il paese possa uscirne particolarmente provato, indebolito, con fratture e
disuguaglianze ancora più intense. Ma questa crisi sta offrendo all’Italia anche
una preziosa fnestra di opportunità. Un’occasione per ripensare a fondo le sue
debolezze, le condizioni che hanno prodotto un lungo e triste ventennio di stagna-
zione, più accentuato dopo la crisi dell’euro ma già visibile dall’inizio del secolo.
Un’opportunità non solo per discuterne, ma anche per mettersi concretamente
all’opera, a cominciare dal disegno e dall’attuazione del rilevante Piano di rilancio
nell’ambito dell’iniziativa Next Generation Eu.
Fra le debolezze più intense e più radicate dell’Italia vi è certamente l’asimme-
tria territoriale dei suoi processi di sviluppo. A partire dalla circostanza che i livelli
di reddito e di occupazione nelle regioni del Sud siano molto inferiori a quelli del
resto del paese. Nel ventennio queste disparità non si sono ridotte. Anzi, si sono
messe in moto alcune dinamiche in parte nuove, preoccupanti, legate al calo della
natalità e all’invecchiamento della popolazione, all’emigrazione di molti giovani,
anche ad alta qualifcazione, a fronte di un apporto immigratorio relativamente
contenuto, minore rispetto al resto del paese. Non sono mancati cambiamenti di
segno positivo, dalla sensibile crescita del turismo allo sviluppo delle produzioni
energetiche, alla buona tenuta dell’agroalimentare e di alcune produzioni indu-
striali anche sofsticate. Ma complessivamente l’apparato industriale del Sud si è
sensibilmente contratto, i nuovi segmenti del terziario più avanzato sono cresciuti
solo limitatamente. La capacità di produrre reddito e occasioni di lavoro, nell’insie-
me, è divenuta ancora minore. 133
IL BENESSERE DEL NORD DIPENDE DALLA CRESCITA DEL SUD
134 1. G. VIESTI, Centri e periferie. Europa, Italia e Mezzogiorno dal XX al XXI secolo, Bari 2021, Laterza.
A CHE CI SERVE DRAGHI
terziarizzate restare molto più indietro, accentuando gli squilibri. Perché nessun
paese può crescere senza il contributo di una parte così importante dei suoi citta-
dini e dei suoi territori. Ma questo contributo può essere effettivo solo se progres-
sivamente si creano le condizioni, come avviene in altre aree europee a partire dai
Länder orientali della Germania, perché questo avvenga. Cominciando a ridurre
quelle fortissime disparità nelle condizioni in cui avviene l’attività di impresa (a
cominciare dalla perequazione di quelle infrastrutturali, materiali e immateriali) e
dalla riduzione dei forti divari civili nell’istruzione, nella salute, nel welfare. Perché
gli investimenti nelle aree più deboli di ciascun paese hanno un effetto moltiplica-
tore, cioè la capacità di indurre sviluppo a cascata, come la stessa bozza del Piano
di rilancio esplicitamente riconosce. La crescita delle Regioni più arretrate, del no-
stro Sud, attiva produzione e importazioni da quelle più forti; fa crescere l’attività
economica in tutto il paese.
Perché questo è nella stessa logica europea del programma Next Generation:
a fronte di un indebitamento comune garantito dai contributi di ciascun paese al
bilancio comunitario (in proporzione alla propria dimensione economica), le risor-
se sono attribuite in misura asimmetrica: di più a quei paesi che hanno maggiori
diffcoltà strutturali, misurate anche attraverso i tassi di disoccupazione, e che più
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ottima offerta sotto il proflo della qualità è in posizione ottimale per soddisfare la
nuova domanda di cibi sicuri e salubri. I porti del Mezzogiorno possono presentare
condizioni ideali, anche alla luce delle nuove condizioni internazionali a partire dal
raddoppio di Suez, non solo per essere le porte di una parte importante del paese
per i commerci intercontinentali, ma anche i luoghi per un’ottimale localizzazione
di attività logistiche, di trasformazione, di assemblaggio fnale. I tanti interventi del
Piano che ricadono nelle aree urbane, se integrati in programmi coerenti città per
città, possono produrre quelle condizioni necessarie per la nascita e lo sviluppo di
nuove imprese terziarie, oggi largamente assenti anche e soprattutto nelle medie e
grandi aree urbane del Sud e del Centro-Sud; possono intervenire per cominciare
a risanare, con servizi e strutture per i cittadini, le grandi periferie. In un paese in
cui per tutto il XXI secolo non è mai partito un treno che collegasse direttamente
le due maggiori città del Mezzogiorno continentale, Bari e Napoli, e in cui si va
da Palermo a Catania in condizioni ottocentesche (e in più tempo di quello neces-
sario per raggiungere Roma da Milano), il potenziamento di una nuova mobilità
sostenibile, fra le città e nelle città, può determinare un salto nella possibilità di cir-
colazione delle idee, delle persone, delle merci, dei turisti. Assai più con potenzia-
menti, elettrifcazioni e nuovi servizi che con ipotesi di opere faraoniche. Mettere
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a disposizione dei bambini piccoli del Sud (e indirettamente delle loro madri) più
posti negli asili nido e più scuola elementare a tempo pieno signifca investire su
nuovi cittadini non solo più istruiti ma anche più in grado di partecipare alla vita
collettiva. Su tutti questi aspetti non mancano proposte concretissime: da quelle di
Legambiente su energia e mobilità a quelle della rete EducAzioni sull’istruzione.
Vi è dunque un problema di quanto e di che cosa. Lo si vedrà con la versione
defnitiva del Piano di rilancio che sarà inviata a Bruxelles. Quel che conterà non
saranno le dichiarazioni di principio, i grandi indirizzi enunciati. Conteranno i parti-
colari: gli effettivi progetti individuati e la loro localizzazione. Il disegno che, come
un mosaico, emergerà dal mettere insieme tutte le tessere. Soprattutto la circostan-
za che per ogni progetto, in ogni luogo, siano individuati i risultati attesi. Conterà
cioè non solo quanto si spenderà: decisivi saranno gli effettivi miglioramenti che
si determineranno, defniti con indicatori quantifcati e misurabili. Questi saranno
gli impegni che l’attuale governo prenderà e quelli che seguiranno saranno tenuti
a rispettare, non solo con la Commissione europea ma anche e soprattutto con
gli italiani. E che costringeranno gli attuatori a confrontarsi con obiettivi concreti e
misurabili, in tempi predefniti.
Vi è naturalmente un problema di chi e come. Il Piano sembra instaurare un
rapporto diretto fra le strutture centrali e i soggetti esecutori, tagliando l’interme-
diazione delle Regioni. Se confermato, questo potrebbe portare in tutto il paese,
e in particolare nel Mezzogiorno, ad accrescere l’effcacia di quel che si farà. A
cinquant’anni dall’avvio delle Regioni e a venti dalla riforma costituzionale, il regio-
nalismo italiano va infatti attentamente ricalibrato. Non immaginando impossibili
ricentramenti, ma ridefnendo compiti e ruoli. Con un centro che disegna le grandi
138 linee delle politiche per l’intero paese e garantisce l’eguaglianza nei diritti di cittadi-
A CHE CI SERVE DRAGHI
139
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A CHE CI SERVE DRAGHI
UN’INTEGRAZIONE STRATEGICA
PER RILANCIARE L’ITALIA
NEL MEDITERRANEO DI CASA di Luca DI SCIULLO
La profonda crisi demografica ci impone la riforma radicale delle
vetuste leggi sull’immigrazione, orientata a integrare i giovani
stranieri. Programmare i flussi è possibile. Verso lo ius culturae. Una
nuova operazione Mare Nostrum per presidiare le rotte nevralgiche.
1.
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I
L GOVERNO DRAGHI È STATO INVESTITO
del compito di gestire la crisi epidemica e tutte le sue disastrose ricadute sociali ed
economiche, attuali e attese, le quali – secondo diversi analisti – saranno parago-
nabili in molti paesi, compresa l’Italia, a quelle di un dopoguerra.
Quanto un simile paragone non sia affatto iperbolico si può osservare, tra l’al-
tro, nei dati provvisori che l’Istat ha recentemente diffuso riguardo all’impatto del
Covid-19 sull’andamento demografco ed economico del paese: se già nel 2019 il
numero di nascite in Italia (420 mila, a fronte di 634 mila decessi) aveva raggiunto
il picco più basso dell’ultimo secolo e mezzo, in linea con il trend costantemente
calante degli ultimi decenni (-551 mila unità solo nell’ultimo lustro) e per un rap-
porto di 66 neonati ogni 100 morti (era di 96 su 100 solo 10 anni prima), nel 2020
– complice l’epidemia – i decessi sono lievitati ad almeno 726 mila (+92 mila in
un solo anno), mentre le nascite (diminuite ulteriormente fno a 400 mila) hanno
segnato l’ennesimo record negativo dall’Unità d’Italia 1.
Se a ciò si aggiunge che negli ultimi anni anche l’emigrazione italiana all’e-
stero ha ripreso a ingrossarsi, interessando quote consistenti di giovani con titoli
di formazione medio-alta (per una media di circa 300 mila espatri effettivi stimati
sulla base delle anagraf dei principali paesi di destinazione 2), ci si rende imme-
diatamente conto che l’Italia ha imboccato una via a senso unico verso un invec-
chiamento e una diminuzione strutturale della propria popolazione, come attestato
1. Cfr. G.C. BLANGIARDO, Primi riscontri e rifessioni sul bilancio demografco 2020, Istat, 1/2/2021, bit.
ly/3vNc9MT
2. Cfr. A. RICCI, «Caratteristiche della nuova emigrazione italiana all’estero alla vigilia della pandemia»,
in Affari Sociali Internazionali. Nuova Serie – Gli italiani all’estero: collettività storiche e nuove mo-
bilità, 1-4/2020. 141
UN’INTEGRAZIONE STRATEGICA PER RILANCIARE L’ITALIA NEL MEDITERRANEO DI CASA
3. A. GOLINI, M.V. LO PRETE, Italiani poca gente. Il paese ai tempi del malessere demografco, Roma
2019, Luiss University Press.
4. Povertà assoluta e spese per consumi, Statistiche Today, Istat, 4/32021, bit.ly/3r9Rjns
5. Su questo tema si veda, tra l’altro, B. COCCIA, L. DI SCIULLO (a cura di), L’integrazione dimenticata.
Rifessioni per un modello italiano di convivenza partecipata tra immigrati e autoctoni, Roma 2020,
Centro Studi e Ricerche, Istituto di Studi Politici S. Pio V. In particolare, nello stesso volume, L. DI
SCIULLO, «Modelli in frammenti e… frammenti di modello? Il singolare caso dell’Italia, tra segregazione
142 esplicita e integrazione implicita», pp. 13-26.
A CHE CI SERVE DRAGHI
REGIONI % RES. STRAN. INC. INC. % NUOVI TASSO DI % STUDENTI INC. % TASSO DI DISOCCUPAZ. % SOVRAISTRUITI % SOTTOCCUPATI
E PROVINCE SU TOTALE % STRANIERI NATI STRAN. ACQUISIZIONE STRAN. SU TOT. STRANIERI
AUTONOME STRANIERI SU TOT. POPOL. SU TOT. DI CITTADIN. STRANIERI SU TOT. STUD. Italiani Stranieri Italiani Stranieri Italiani Stranieri
NUOVI NATI ISCRITTI
PIEMONTE 8,2 9,6 19,2 27,3 9,1 13,5 6,7 14,5 22,8 32,3 2,6 6,2
VALLE D'AOSTA 0,2 6,5 12,4 43,6 0,2 7,2 5,7 16 24,8 34,1 1,9 3,3
LIGURIA 2,8 9,1 20,1 32,2 3,0 13,3 8,1 20,2 28 26,7 3,5 8
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LOMBARDIA 22,8 11,5 22,0 26,3 25,4 15,5 4,9 10,2 21,7 30,5 1,9 7,1
BOLZANO 1,0 9,4 14,6 33,3 1,1 12,0 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
TRENTO 0,9 8,6 16,7 34,5 1,1 11,8 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
TRENTINO A. A. 1,9 9,0 15,5 33,9 2,2 11,9 3,2 10,3 18,7 34,8 0,9 2,9
VENETO 9,6 10,0 20,2 33,7 11,0 13,6 4,6 13 25,6 36,8 1,7 4,1
FRIULI-V. G. 2,1 8,9 17,2 23,2 2,3 12,4 5,4 11,5 26,1 44,1 2,2 4,6
EMILIA-ROMAGNA 10,7 12,0 25,0 21,7 11,9 16,4 4,4 12,7 26,5 38,9 2,1 6,2
TOSCANA 7,9 10,8 20,1 26,5 8,4 14,1 5,6 14 27,6 36,6 2,6 6,1
UMBRIA 1,8 10,6 17,6 29,6 1,9 13,8 6,9 18,2 34,2 47,4 2 8,5
MARCHE 2,6 8,6 16,0 30,9 2,8 11,3 7,1 20,9 29,6 29 2,1 2,8
LAZIO 12,5 10,9 16,1 13,6 9,3 9,8 9,3 13,7 26,9 42,3 2,2 3,4
UN’INTEGRAZIONE STRATEGICA PER RILANCIARE L’ITALIA NEL MEDITERRANEO DI CASA
ABRUZZO 1,7 6,5 10,0 35,3 1,6 7,5 10,6 18,8 34 34,7 3,3 2,9
MOLISE 0,3 4,2 5,8 37,5 0,2 3,6 11,6 23,5 32,7 13,8 2,6 0
CAMPANIA 5,1 4,5 5,4 11,7 3,2 2,9 20,3 16,5 28,7 27,9 3,5 2
PUGLIA 2,7 3,4 5,5 17,3 2,1 3,0 14,5 22,8 27 27,4 3 3,2
BASILICATA 0,4 4,1 6,3 18,0 0,3 3,8 11 6,8 34,1 28,5 3,6 5,5
CALABRIA 2,1 5,5 6,7 24,7 1,4 4,3 20,8 23,3 30 20,3 4,2 5,2
SICILIA 3,8 3,9 5,5 16,7 3,1 3,6 20,4 13,8 27,9 23,6 3,3 6,1
SARDEGNA 1,0 3,2 4,3 12,1 0,6 2,6 14,8 13,8 26,5 38,9 5,3 10,1
TOTALE 100,0 8,4 15,0 24,0 100,0 10,0 9,5 13,8 26 34,4 2,5 5,4
A CHE CI SERVE DRAGHI
ben 211 miliardi di euro l’entità dell’economia illegale, pari al 12% del pil italiano).
Dall’altra, continua a impiegare poco e male gli immigrati che un lavoro riescono a
trovarlo (il tasso di sottoccupazione tra i lavoratori stranieri resta il doppio di quello
degli italiani: 6,8% contro 3,3%, con picco dell’8,1% tra le donne non italiane).
Viene infatti applicato un modello di vera e propria «segregazione occupaziona-
le», per cui la manodopera straniera è rigidamente canalizzata e tenuta schiacciata,
anche dopo decenni di servizio e di permanenza in Italia, sui livelli più bassi delle
professioni, nel cosiddetto mercato del lavoro subalterno. Quello in cui, lungi dal
mettersi in competizione o rubare il lavoro agli italiani, gli stranieri svolgono le oc-
cupazioni meno ambite e più precarie, più faticose, meno pagate, più rischiose per
la salute e più dequalifcate (e squalifcanti, anche socialmente).
Lo dimostra il fatto che i due terzi dei lavoratori stranieri sono impiegati in
lavori operai o di bassa preparazione e che un terzo è, di conseguenza, sovraistru-
ito, cioè ha competenze professionali o titoli di formazione superiori alle mansioni
che svolge in Italia (il 33,5% contro il 23,9% degli italiani, anche stavolta con un
picco di ben il 42,7% tra le lavoratrici straniere). A tutto svantaggio, oltre che degli
immigrati, anche del tessuto economico e produttivo nazionale, il quale trarrebbe
benefci strategici e sempre più vitali se solo programmasse e valorizzasse meglio
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Alla programmazione dei fussi per lavoro, inoltre, sarebbe utile affancare –
al fne di sbloccare la mobilità occupazionale e sociale degli immigrati – anche
un meccanismo più agile e rapido di riconoscimento dei titoli acquisiti all’estero
e l’apertura alla partecipazione a concorsi pubblici, a partire da alcune categorie
particolarmente strategiche (per esempio i medici e gli operatori sanitari), come
pure l’adozione di un sistema che agevoli l’ingresso a migranti economici che
conoscono la lingua italiana, hanno parenti o reti di sostegno in Italia e/o hanno
acquisito professionalità particolarmente richieste, secondo le linee di proposta
pubblicate dal Cnel 7.
Inoltre sarebbe di interesse primario, per un paese che perde leve produttive
autoctone, incentivare i giovani stranieri che hanno conseguito titoli di formazione
specialistica in Italia a reinvestire qui le professionalità acquisite, prevedendo pro-
cedure agevolate di conversione del loro permesso di soggiorno.
Misure incentivanti, soprattutto sul piano fscale, potrebbero essere adottate,
sull’esempio del Portogallo e della Spagna, anche per i cosiddetti sun migrants,
pensionati o persone abbienti originari di paesi dal clima freddo e dalle giornate
brevi desiderosi di trascorrere gli anni della propria vecchiaia in luoghi dal clima
più temperato e dalle giornate di sole più lunghe, quali l’Italia può indubbiamente
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offrire, e che spendendo o investendo qui i loro risparmi (per consumi, abitazioni,
servizi eccetera) contribuirebbero a rivitalizzare l’economia, almeno locale, oltre
che a ripopolare aree sempre più disabitate – ma naturalisticamente e urbanistica-
mente attrattive – del Mezzogiorno.
Un secondo grande punto da inserire in una eventuale agenda politica per
l’integrazione dei migranti, volto a spezzare la rigida saldatura-cappio tra permesso
e contratto di lavoro istituita nel 2002 dalla legge Bossi-Fini (battezzata, nella legge
stessa, come «contratto di soggiorno»), è il ripristino del permesso di ingresso per
ricerca lavoro sotto garanzia di uno sponsor che assicuri la copertura delle spese
di permanenza e di eventuale rientro in patria in caso di esito negativo di dura-
ta almeno annuale. Anche in questo caso, rispetto alla versione prematuramente
soppressa sopra ricordata, si potrebbe opportunamente prevedere – in linea con
le proposte del Cnel – di affancare allo «sponsor» fnanziario anche uno «sponsor»
sociale (una struttura, un’istituzione, un’associazione eccetera) che durante l’anno
di ricerca del lavoro sostenga il migrante anche nell’orientamento e nei processi di
inserimento sociale (a partire dalla conoscenza della lingua italiana).
In terzo luogo, ancora sul piano dell’occupazione occorre tenere conto dell’ac-
clarata ineffcacia di misure di regolarizzazione una tantum, incapaci di rimuovere
le cause strutturali e perfno normative che producono irregolarità, come dimostra
l’impressionante sequenza di regolarizzazioni succedutesi in 35 anni di legifera-
zione sull’immigrazione, associandole pressoché ogni volta all’ideazione di nuove
leggi e/o modifche legislative in materia (1986, 1990, 1995, 1998, 2002, 2009, 2012,
2020) senza che il paese sia riuscito a risolvere il problema (lo prova l’elevata sacca
146 7. Cfr. «Nuovi ingressi per lavoro. Una proposta del Cnel», Cnel, 29/10/2019.
A CHE CI SERVE DRAGHI
di irregolarità – circa 500 mila persone stimate – ancora esistente dopo meno di un
anno dalla regolarizzazione più recente), non dimenticando che l’Italia è l’unico
paese europeo che ha avuto la necessità di varare sanatorie perfno durante gli
anni della crisi economica globale (nel 2009 e nel 2012). Sulla base di tutto questo
si potrebbe opportunamente prevedere una regolarizzazione continua e persona-
lizzata, come già realizzato in Francia e in Spagna, che contempli il mantenimento
dello status di regolarità per chi ne abbia perso i requisiti a fronte della maturazio-
ne di certe condizioni di radicamento e di un’integrazione de facto già esistente
(presenza in Italia da un congruo numero di anni, conoscenza della lingua italiana,
mancanza di precedenti penali, assiduità lavorativa, costituzione di una famiglia)
oltre che di particolari situazioni di fragilità (malattia eccetera).
tare ben il 12% del totale, più di un neonato ogni 7 ha genitori stranieri, 3 alunni
stranieri su 5 sono nati in Italia. E abbiamo oltre 1,3 milioni di minorenni con un
background migratorio. Eppure contiamo ancora oltre 800 mila nati in Italia che
qui vivono, studiano, lavorano, prendono casa, costituiscono una famiglia e tutta-
via non hanno la cittadinanza italiana.
Il tutto per una legge antiquata, paradossale (ad esempio: è priva di sbarra-
menti nel risalimento delle ascendenze, per cui sono valide perfno quelle anteriori
all’Unità d’Italia!) e tra le più anacronistiche d’Europa, che – imperniata come è
noto sullo ius sanguinis – risale a ben 29 anni fa (quindi ancora più «vecchia» del
Testo unico) e che in tre decenni nessun governo, di destra e di sinistra, ha mai
voluto riformare, nonostante le numerose campagne e i tantissimi disegni di legge
depositati a questo scopo in parlamento. Trasferendo così, anche sul piano sociale,
quelle dinamiche di esclusione, emarginazione e invisibilità sopra richiamate rela-
tive all’inserimento lavorativo.
Inteso che uno ius soli puro rischierebbe di discriminare, all’interno dello stes-
so nucleo, fratelli più grandi nati all’estero e fratelli più piccoli nati in Italia (riser-
vando solo a questi ultimi il diritto di cittadinanza), la più recente proposta (andata
a vuoto anch’essa) di ispirarsi allo ius culturae (per cui la cittadinanza è conferita
al compimento di un ciclo scolastico, anche per i giovani nati all’estero) riconosce-
rebbe il ruolo centrale che la scuola svolge in termini di trasmissione di valori civili
e di appropriazione del patrimonio culturale e identitario di un paese, non solo
a livello teorico ma nella pratica quotidiana della convivenza tra coetanei, quale
microcosmo della società che funge da palestra per la vita collettiva.
Sarebbe poi opportuno – se davvero si ha a cuore la coesione sociale – riaprire
il dialogo istituzionale con le rappresentanze musulmane in Italia, faticosamente 147
UN’INTEGRAZIONE STRATEGICA PER RILANCIARE L’ITALIA NEL MEDITERRANEO DI CASA
inaugurato presso il ministero dell’Interno nel 2005 (Consulta islamica del ministro
Pisanu), proseguito fno al 2010 (Comitato per l’islam italiano del ministro Maroni)
e al 2015 (Tavolo permanente di consultazione del ministro Alfano), culminato nel
Patto nazionale per un islam italiano (2017). Dialogo bruscamente interrotto dal pri-
mo governo Conte e mai più ricostituito, sebbene sia quanto mai strategico, in ter-
mini di integrazione, spazi di partecipazione, riconoscimento e dialogo con l’islam.
Non si può tenere una comunità religiosa così rilevante (1,7 milioni di fedeli stranieri
in Italia) e le rispettive collettività di immigrati da cui è costituita emarginate in luoghi
di culto ricavati da garage e magazzini, sommersa o semisommersa, sconosciuta e
disconosciuta, bersaglio di sospetti e di diffdenze ancora diffusi.
La dolorosa esperienza di paesi europei anche vicini (la Francia, il Belgio
eccetera) insegna che proprio sulle sacche di esclusione e di emarginazione degli
immigrati – in cui per anni malessere e risentimento sociale, disoccupazione giova-
nile e degrado urbanistico sono montati insieme – si è innestata e ha avuto buon
gioco una propaganda ideologica, di tipo eversivo e terroristico, spesso teleco-
mandata dai paesi di provenienza dei migranti stessi e ammantata di nazionalismo
e di rivendicazione identitaria, anche religiosa, producendo i ben noti fenomeni
sanguinosi degli anni scorsi. Un rischio che, soprattutto nelle aree del paese meno
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presidiate dallo Stato e in cui umiliazione e sfruttamento grave dei migranti sono
particolarmente diffusi, potrebbe riguardare anche l’Italia.
nostro paese, con il sostegno dell’Ue, è stato in prima fla sia per l’istituzione della
cosiddetta «Guardia costiera libica» – spesso collusa o formata essa stessa da milizie
degli stessi clan che controllano il traffco dei migranti e i campi di detenzione –
sia per l’istituzione di una zona di mare Sar (Search and rescue) che fosse sotto
l’esclusivo controllo dei guardacoste libici.
Una dignitosa politica di discontinuità esigerebbe l’adozione delle seguenti
misure:
a) interrompere unilateralmente gli accordi con la Libia (sia quello «uffciale»
con il governo tripolitano, sia quelli «uffciosi» con il governo di Õaftar e con le
rappresentanze dei clan che controllano il traffco e i campi di detenzione);
b) di concerto con l’Ue, revocare alla Libia la giurisdizione esclusiva sulla zona
Sar attualmente detenuta;
c) promuovere l’attivazione di canali umanitari europei, a coordinamento ita-
liano, per il transito sicuro e legale dei migranti dalla Libia, per svuotarne i campi
di detenzione;
d) discutere e proporre un piano di distribuzione diffusa tra i paesi dell’Unione
che tenga conto delle reti di contatti parentali o sociali già presenti nei vari Stati
(per evitare che lo «smistamento» venga imposto in base a meri criteri numerici,
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mercé delle mafe nostrane e di poteri occulti, i quali hanno così buon gioco nel
saldarsi con le mafe estere. In particolare, quelle africane che gestiscono – oltre
al contrabbando – la tratta dei migranti in Libia e quelle del subcontinente indiano
che gestiscono a loro volta la tratta dei migranti nel Sud Italia, soprattutto per lo
sfruttamento sotto caporalato in agricoltura.
Nei prossimi mesi potremo verifcare se l’«alto proflo» di Draghi gli consentirà
di ideare e adottare politiche costruttive e lungimiranti sul piano della gestione
dell’immigrazione e dell’integrazione dei migranti, a tutto vantaggio loro e del pa-
ese in cui vivono.
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150
A CHE CI SERVE DRAGHI
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Parte II
ITALIA / ITALIE
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A CHE CI SERVE DRAGHI
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N
ELLA TREPIDA ATTESA DEL SALVIFICO
fondo europeo per l’emergenza e la ricostruzione (Next Generation Eu), per l’Italia
si aggira il fantasma delle grandi occasioni storiche. Innanzitutto, quella di provare
a ridurre alcune delle asimmetrie che destrutturano le capacità geostrategiche ita-
liane. Tra tutte: la coesione territoriale e il recupero del Mezzogiorno. Condizioni
favorevoli se non indispensabili per adempiere all’imperativo strategico indotto
dalla nostra rendita geografca, ovvero recuperare la fondamentale dimensione
marittima del paese.
D’altronde, se il rinascimento geopolitico dell’Italia passa inevitabilmente at-
traverso il Mediterraneo, rabberciare le spaccature che fendono la Penisola, non
solo da nord a sud ma pure da est a ovest tra le coste adriatica-ionica-tirrenica, ne
è presupposto decisivo. Ritrovare la proiezione marittima diventa così pretesto, a
sua volta, per ricomporre l’unità territoriale, riaccentrando poteri e responsabilità.
Processo biunivoco, accelerato dalle dinamiche che stanno sconvolgendo l’assetto
del nostro bacino (vedi russi e turchi nelle Libie) e che costringono il paese a una
torsione di 180 gradi verso sud, conferendo al Mezzogiorno italiano rinnovata
centralità geostrategica. E se la chiave della riscoperta marittima del Belpaese pas-
sa inevitabilmente per la Sicilia (militarmente nella disponibilità americana) e l’o-
monimo Stretto – chiave del Mediterraneo/Medioceano – va da sé che decisivi
diventano gli assi di connessione fra quest’ultima e il resto del paese. A partire
dalla più diretta piattaforma di collegamento con l’arcipelago siculo: la Calabria.
Naturale testa di ponte tra l’isola maggiore nostrana e il resto del continente, il
territorio calabrese sarebbe ideale connettore tra i mari Tirreno e Ionio, dunque
indirettamente Adriatico. La presenza di solidi assi viari correnti l’Appennino cala-
bro-lucano da ovest a est garantirebbe non solo di agganciare la strategica Sicilia ma
di interconnettere i maggiori scali del Meridione: Napoli, Bari, Taranto, Gioia Tauro 153
IL PONTE SULLO STRETTO ESISTE GIÀ, SI CHIAMA CALABRIA
e Augusta. Come suggerito dal Rapporto Svimez 2020, facendo sistema fra questi
cinque snodi, l’Italia avrebbe l’occasione di stabilire una sorta di Southern Range
logistico euromediterraneo funzionale a un suo rinnovato ruolo di perno europeo
nel bacino, al centro delle rotte tra Suez e Gibilterra. Con la rilevante conseguenza
di agevolare il controllo diretto di quelle acque. Appunto, occasione storica.
Eppure, la penisola calabrese più che connettore rappresenta da sempre il
cul-de-sac dell’Italia. Territorio a bassissimo tasso produttivo, cuore nevralgico e
operativo della mafa più estesa a livello globale, sconnessa tanto tra nord e sud
quanto tra est e ovest, tra le maggiori esportatrici (a fondo perduto) di manodope-
ra e cervelli, ventre molle d’Italia e d’Europa affacciato sul confne di Caoslandia.
Mal considerata anche sul piano militare, in epoca di guerra fredda rilevava la
sola base Nato di Monte Mancuso: stazione di trasmissione remota per il controllo
della frontiera sud-orientale dell’Alleanza Atlantica, installata dagli americani negli
anni Sessanta e dismessa a fne secolo1.
1. Nell’aprile 2015 ne è stata misteriosamente rinnovata la servitù militare. Cfr. «Lamezia: rinnovata
servitù militare per base Monte Mancuso, struttura è apparentemente abbandonata», Il Lametino,
154 20/4/2015, urly.it/3ba4p
A CHE CI SERVE DRAGHI
desco Gerhard Rohlfs, studioso delle varietà dialettali locali, distingueva le due
Calabrie in «latina» (pressappoco l’area dei dialetti settentrionali) e «greca» (quella
dei dialetti centro-meridionali), il cui confne era tracciato dove si arrestava la
presenza dei longobardi. L’area dei dialetti calabresi settentrionali è appartenuta
per lungo tempo al Ducato di Benevento 3. Anche nella classifcazione dei dialet-
ti italiani del linguista Giovan Battista Pellegrini 4 le due aree afferiscono a due
gruppi diversi transregionali: quello meridionale intermedio, conosciuto anche
come diasistema della lingua napoletana, equivalente alla regione storica della
Calabria Citeriore o alla sua parte settentrionale, in cui rientrano i dialetti indicati
come lucani e calabresi settentrionali (comprendenti la Basilicata e la maggior
parte della provincia di Cosenza); quello meridionale estremo, diasistema della
lingua siciliana, equivalente alla regione storica della Calabria Ulteriore, in cui
rientrano i dialetti defniti calabrese centrale e meridionale. Da ultimo, le mino-
ranze linguistiche riconosciute e tutelate dallo Stato italiano: quella albanese
(arbëreshë), presente in 33 comuni tra le province di Cosenza, Catanzaro e Cro-
tone, dove alcuni paesi utilizzano ancora una toponomastica bilingue; il guardio-
lo, varietà dell’occitano, parlato nell’isola linguistica di Guardia Piemontese; il
greco di Calabria (grecanico), ancora oggi diffuso nella punta meridionale della
regione tra i comuni di Bova, Condofuri, Roccaforte del Greco, Roghudi e in al-
cuni quartieri di Reggio.
Tale varietà dialettale rimonta alla storia amministrativa del territorio. Origina-
riamente, il nome Calabria designava la penisola salentina, compresa nella regione
2. P. BEVILACQUA, A. PLACANICA, Storia d’Italia dall’Unità a oggi: la Calabria, Torino 1985, Einaudi.
3. G. ROHLFS, Nuovo dizionario dialettale della Calabria, Ravenna 1983, Longo Angelo.
4. G.B. PELLEGRINI, Carta dei dialetti italiani, Pisa 1977, Pacini. 155
IL PONTE SULLO STRETTO ESISTE GIÀ, SI CHIAMA CALABRIA
del 2019 sulle nuove vie della seta, il valore della merce in partenza verso il
continente asiatico aveva registrato una crescita tendenziale, con una riduzione
del defcit della bilancia commerciale pari all’1,17% nel quarto trimestre 2018.
Nel dicembre dello stesso anno si era presentata a Catanzaro persino una dele-
gazione del governo della provincia del Guizhou al fne di rafforzare il sodalizio
fra le due entità, accomunate, secondo la propaganda, da uno specifco interesse
per il peperoncino. Troppo poco per trasformare bacche e agrumi in un asset
geopolitico 9.
Ciò che davvero esporta la Calabria è il capitale umano. Nel 2018 (ultimi
dati Svimez) si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 138 mila residenti, di cui 20
mila diretti verso paesi esteri. Le partenze più consistenti verso il Centro-Nord
Italia si sono registrate nelle regioni più grandi come la Campania con 33.800
persone, la Sicilia con 28.700 e la Puglia con 21.200. Ma la Calabria con le sue
14.800 mila unità ha presentato il più elevato tasso migratorio (4,5 per mille),
seguìta da Basilicata (3,8 per mille) e Molise (3,5 per mille). Che la Calabria sia
inoltre una regione con una consistente comunità oltreconfne è dimostrato dai
cittadini iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, 423.668 su un milione
e 879.245 attualmente residenti nella regione, un’incidenza del 22% superata solo
da Molise e Basilicata 10. Le maggiori comunità di calabresi all’estero si trovano in
Argentina (103.295 persone), Germania (79.552), Svizzera (52.401), Francia
(35.445), Australia (27.731), Canada (26.308), Brasile (22.840), Stati Uniti (19.682),
Regno Unito (10.574), Belgio (9.766), Spagna (9.278).
BASILICATA Taranto
06
PORTO di
Monte SS1
Pollino
Gioia Tauro
Sequestri di cocaina
Autostrada
(2019-2020) CALABRIA
- 2.200 kg Crucoli
- 2.614 kg (primo semestre 2020) Cosenza
Casabona CANADA
- 1.300 kg (solo a febbraio 2021) LA SILA
2 A
Cutro
Catanzaro
06
AUSTRALIA
le E Vibo Valentia (chiusa per infltrazione mafosa)
Iso LE SERRE
Gioia Tauro Guardavalle
Stilo
Sant’Eufemia d’Aspromonte San Giorgio Morgeto
Sinopoli Siderno
Careri Delianova
SAN LUCA “Locale” custode
REGGIO DI CALABRIA Africo della tradizione GERMANIA
Palizzi e delle regole istitutive
ASPROMONTE
che costituiscono il
“patrimonio valoriale”
di tutte le cosche PAESI BASSI
Azienda sanitaria provinciale
SICILIA (chiusa per infltrazione mafosa)
BELGIO
Augusta
ta FRANCIA
SPAGNA
EUROPA Altri paesi dove è replicato
DELL’EST il modello della ‘ndrangheta
SVIZZERA
vertici mafosi funzionali a orientare gli affari, a defnire alleanze, a dirimere con-
troversie, a dettare le strategie criminali.
La fortuna della mafa più globale che esista continua a risiedere nel legame
con una delle terre considerate più arretrate d’Europa, ma che ne resta cuore ne- 159
IL PONTE SULLO STRETTO ESISTE GIÀ, SI CHIAMA CALABRIA
vralgico. Si pensi alla città renana di Duisburg, a meno di due ore di viaggio dai
porti di Rotterdam, Amsterdam e Anversa, porte d’accesso per la droga sudameri-
cana, dove le fazioni Pelle-Vottari-Romeo e Nirta-Strangio (protagoniste della stra-
ge del 15 agosto 2007) avevano installato basi operative spartendosi il territorio e
usando il corso del Reno come confne. La sponda occidentale, quella di Kaarst,
sotto il controllo dei Nirta-Strangio e quella orientale, l’area di Duisburg, ai Pelle-
Vottari-Romeo. Esattamente come avviene in Calabria, dove le fumare – torrenti
scroscianti d’inverno e secchi d’estate – delimitano i territori di locali e ’ndrine.
La ’ndrangheta, a differenza delle altre mafe, ovunque arriva non si limita a
fare affari o a riciclare i propri soldi. Fa di più: riproduce senso e identità, rigenera
il modello di comunità e i (dis)valori originari, insediando le proprie strutture cri-
minali in un legame indissolubile con i vertici dell’organizzazione in Calabria.
14. Relazione del ministero dell’Interno. Rapporto Direzione investigativa antimafa, gennaio-giugno
2020, urly.it/3b_tm
15. Delle cosche criminali straniere, la collaborazione della ’ndrangheta con la mafa albanese è quel-
la più signifcativa, grazie a una struttura molto simile e a un modello organizzativo a base familiare
160 o parentale.
A CHE CI SERVE DRAGHI
16. Particolare rilevanza assume la sentenza emessa dalla Corte superiore di giustizia dell’Ontario nel
febbraio 2019 mediante la quale viene riconosciuta la presenza di veri e propri locali di ’ndrangheta,
analoghi a quelli italiani. È la prima volta che in questo paese viene riconosciuta processualmente
l’esistenza dell’organizzazione calabrese. 161
IL PONTE SULLO STRETTO ESISTE GIÀ, SI CHIAMA CALABRIA
della sua intera rete ferroviaria. In Calabria solo la dorsale tirrenica viene defnita
rete fondamentale, il cui itinerario costituisce inoltre la sezione meridionale del
Corridoio scandinavo-mediterraneo del sistema transeuropeo Ten-T. Sul lato ioni-
co, la rete che collega Taranto a Reggio (dunque i due porti, mentre non è con-
nessa al porto di Crotone) è invece defnita come complementare e non è elettri-
fcata lungo l’intera tratta Sibari-Reggio.
Schema simile sul piano stradale, dove oltre alla problematica Salerno-Reggio
Calabria, a est l’unica arteria che collega il capoluogo a Taranto è la statale ionica
che per numero di vittime si è guadagnata negli anni il soprannome di «strada
della morte». Lunga 491 chilometri, nella tratta pugliese e lucana è stata recente-
mente ammodernata a due carreggiate con doppia corsia per senso di marcia,
mentre per la rimanente tratta calabrese (415 chilometri) il collegamento Sibari-
Reggio è ancora a una sola corsia.
Fin dal 2018 avrebbero dovuto inoltre essere attivate al Sud quattro Zone eco-
nomiche speciali (favorite da detassazioni e minori vincoli burocratici) nei porti di
Napoli, Bari, Taranto e Gioia Tauro. Ma oggi nessuna di queste è operativa. Per
Gioia Tauro, primo porto container italiano, e Augusta, primo per traffco di ener-
gia, Svimez e Fondazione Per propongono ad esempio la realizzazione di un uni-
co port community system.
Proprio Gioia Tauro, eccellenza del transhipment nostrano, resta uno dei
maggiori drammi della Calabria e del Sud Italia tutto. Nell’ultimo anno ha registra-
to un balzo in avanti del volume di traffco di circa il 25%, superando i 3 milioni
di teu di movimentazione annuale. È un’infrastruttura capace di competere con i
grandi porti internazionali del Mediterraneo ma, oltre a soffrire lo spaesamento di
162 un’area periferica connessa all’arteria autostradale con il record di lavori in corso,
A CHE CI SERVE DRAGHI
molto più semplicemente non è nella disponibilità dell’Italia in quanto scalo stra-
tegico della ’ndrangheta.
Nel 2019 il porto aveva conosciuto un aumento dei quantitativi di stupefacen-
ti sequestrati (circa 2.200 chili), evidenziandone un deciso incremento rispetto al
2018 (periodo in cui la Dia registrò 217 chili in totale). Un incremento ancora più
evidente nel 2020, in quanto solo nel primo semestre risulta la confsca comples-
siva di oltre 2.600 chili di cocaina provenienti dal Sud America (Brasile e Colom-
bia). Nel novembre 2020 un ulteriore sequestro contava circa 932 chili di cocaina
stivata in un container che trasportava cozze surgelate provenienti dal Cile. Dati
che evidenziano come lo scalo continui, nonostante l’articolazione dei clan verso
altri lidi internazionali, ad avere estrema rilevanza come crocevia di traffci illeciti,
sebbene secondo la Dia la ’ndrangheta non ricorra in Italia solo a Gioia Tauro per
l’import di droga, ma abbia riposto attenzione anche su Genova, La Spezia e Vado
Ligure (aree di transito degli stupefacenti verso le piazze del Nord-Ovest nostrano
ed estere), Livorno e Venezia.
Non da ultimo vi è la questione del dissesto dei comuni, chiamati a realizzare
parte dei progetti appaltati senza averne le forze. Tutti i comuni del Sud sono in
sofferenza cronica per austerità e taglio dei fondi, oltre a detenere un altissimo tas-
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17. «Salgono a 41 gli enti sciolti per infltrazioni mafose», Openpolis, 12/3/2021, urly.it/3ba02
18. Per il Mezzogiorno seguono la Campania, con 111 commissariamenti, la Sicilia (85) e la Puglia (20). 163
IL PONTE SULLO STRETTO ESISTE GIÀ, SI CHIAMA CALABRIA
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164
A CHE CI SERVE DRAGHI
BERGAMO Conta quando vuole e può farlo. Quando cioè riesce a operare una sin-
tesi delle molteplici posizioni esistenti nel nostro paese, specie tra le grandi città.
Un piccolo esempio: al principio dell’epidemia di Covid-19 ho parlato con i miei
colleghi di Milano, Firenze e Torino per costituire un coordinamento informale tra
gli assessori alle Politiche culturali, in cui abbiamo coinvolto i colleghi delle altre
grandi città amministrate da diverse coalizioni. Fin dall’inizio non c’è stata resisten-
za all’idea che spettasse al sottoscritto «cucire» le posizioni e interloquire in via
prioritaria con il governo nazionale. Ho osservato questa dinamica anche in altre
circostanze. Credo origini in parte dall’idea, non infondata, che chi fa politica a
Roma abbia contatti più assidui con le istituzioni centrali rispetto ai rappresentanti
delle altre città d’Italia. Sta di fatto che grazie a questo coordinamento, che ha coin-
volto quasi tutte le principali città italiane, siamo riusciti a ottenere modifche già
dal secondo dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei ministri) di Giuseppe
Conte per introdurvi forme di sostegno ad attività e soggetti deboli ma essenziali
alla vita culturale, i cui bisogni sfuggivano all’esecutivo nazionale.
LIMES Questa vicinanza al potere centrale è un vantaggio?
BERGAMO In alcuni casi sì. In generale, però, ha un effetto negativo sulla classe
politica locale. Perché nel contesto romano gli elementi migliori ambiscono a po-
sizioni nazionali, il che nuoce al livello politico-amministrativo cittadino che viene
vissuto piuttosto come una tappa di carriera.
LIMES Diceva all’inizio: «Roma conta quando vuole e quando può». Cosa le impedi-
sce di contare sempre?
BERGAMO Varie ragioni. In primo luogo l’essere schiacciata sull’ordinario, sulla ge-
stione corrente. Poi il fatto che un paese storicamente policentrico come il nostro
non le riconosce appieno la funzione di capitale. Specie le grandi città spesso ne 165
‘ROMA È ANCORA CAPUT MUNDI, MA SE L’È SCORDATO’
rifutano la mediazione, per non parlare del primato. L’Italia è lontana da un asset-
to come quello di Francia o Regno Unito, dove Parigi e Londra hanno un peso
politico, amministrativo, demografco, economico e fnanziario molto maggiore ri-
spetto al resto del territorio, da cui drenano ingenti risorse. Apparentemente il
«Roma ladrona» riecheggia il risentimento e l’invidia della provincia francese o bri-
tannica verso la capitale. In realtà è l’opposto: è la denuncia di una presunta mino-
rità morale e culturale, che giustifca il disconoscimento come capitale.
LIMES È solo percezione o c’è un fondo di realtà?
BERGAMO Molta è percezione, come dimostra l’intermittente ma concreta capacità
di Roma di fungere da raccordo delle istanze territoriali. Tuttavia Roma, a differen-
za di molte altre capitali europee, non si vede riconosciuta una leadership nazio-
nale, anche in campo economico e specie dal Centro-Nord. Eppure, chi la ammi-
nistra ha rapporti privilegiati con realtà fondamentali per il paese: le istituzioni
centrali, ma anche il Vaticano. Nessun’altra città d’Italia o del mondo ha un sindaco
che durante il suo mandato incontra regolarmente il papa e la sua cerchia più
prossima. Mentre le interlocuzioni con le altre strutture pontifcie, il cui personale
è in genere di altissima caratura intellettuale, sono continue. A molti livelli.
LIMES Cosa comporta, nella pratica, avere uno Stato nel cuore della capitale d’Italia?
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re ininterrottamente, con alti e bassi, da oltre 2.700 anni. Noi non ci pensiamo,
anzi tendiamo a percepire il passato come opprimente, ma questa continuità ha un
valore inestimabile a occhi altrui. Un esempio frivolo, ma indicativo: in piena epi-
demia Tom Cruise, Al Pacino e Lady Gaga non si sono fatti scrupoli di attraversare
l’Atlantico per girare a Roma.
LIMES C’è mai stata una politica volta a sfruttare questo «marchio» culturale per fni
che non fossero solo il turismo di massa?
BERGAMO A livello nazionale non direi, il che è insieme una grave colpa e un sin-
tomo. A livello locale lo hanno fatto Francesco Rutelli e Walter Veltroni, in chiavi
diverse. Quella di Veltroni è stata un’azione che inquadrerei anzitutto come inizia-
tiva politica di cui la città era proscenio, contesto. Nel caso del primo Rutelli ricor-
do una forte spinta alla collaborazione tra città, anche concreta. L’Organizzazione
mondiale dei comuni è per certi versi un legato dell’internazionalizzazione di Bar-
cellona tra la fne degli anni Ottanta e gli anni Novanta, sotto la guida di Pasqual
Maragall. Questi e Rutelli coltivavano rapporti molto stretti, tanto che nel 1993,
appena insediata, la giunta romana andò a fare un seminario di formazione a Bar-
cellona. Il protagonismo internazionale di Roma produsse sviluppi interessanti.
Parallelamente, la giunta Rutelli spingeva per partecipare a progetti e iniziative
europee che l’amministrazione Veltroni continuò affancandovi una dimensione
più squisitamente politico-diplomatica, anche attraverso la dedizione di Matteo
Rebesani che coordinava l’uffcio. Dalla fne degli anni Novanta il fenomeno «glo-
cal» aveva preso piede, al punto che l’allora direttore della Banca mondiale James
Wolfensohn decise di sviluppare una linea d’intervento ad hoc della banca. Fu al-
lora che nacque il Glocal Forum, registrato a Zurigo ma con sede a Roma, di cui
sono stato direttore. Promosso dai capi negoziatori israeliano e palestinese a Oslo, 167
‘ROMA È ANCORA CAPUT MUNDI, MA SE L’È SCORDATO’
Uri Savir e Abû ‘Alå’, e fnanziato dalla Svezia, partiva dall’idea che i grandi centri
e i loro sindaci, in quanto politici emergenti di un mondo che si urbanizzava rapi-
damente, potessero essere soggetti diplomatici, specie nelle iniziative di pace, per-
ché relativamente scevri dai vincoli geopolitici della diplomazia statale. Furono
soprattutto gli israeliani a volere Roma come sede, anche sulla scorta del fatto che
incontri riservati tra israeliani e palestinesi si erano svolti qui. A presiedere il con-
siglio d’amministrazione del forum era David Kimche, ex vicedirettore generale del
Mossad, mentre Uri Savir ne era il presidente esecutivo. Siamo agli inizi del millen-
nio: la fase d’oro della cooperazione decentrata per le città italiane, tramontata con
i drastici tagli dei trasferimenti agli enti locali dopo la crisi del 2007-8. In quel pe-
riodo Roma aveva una forte proiezione internazionale.
LIMES Quest’attivismo prescindeva dal governo centrale?
BERGAMO Diffcilmente poteva, ma si radicava nel governo della città. Tra il 1996 e
il 2000 al governo ci sono prima Romano Prodi e poi Massimo D’Alema. L’orienta-
mento politico di Palazzo Chigi e di Palazzo Senatorio coincideva, come pure l’at-
tenzione al Medio Oriente e al Nord Africa, ma più in generale al Mediterraneo.
Tale dimensione sarà poi sminuita dall’allargamento di Ue e Nato a est, che sposta
il fulcro degli equilibri continentali verso la Mitteleuropa. Il ruolo internazionale di
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BERGAMO Questo e altro, tra cui l’essere vittima di una bellezza che la rende minie-
ra turistica sfruttabile senza grandi sforzi. Roma è consapevole della sua unicità ma
non ne coglie tutti gli aspetti, che non si limitano al patrimonio culturale ma sono
il risultato della concomitanza tra questo e la produzione contemporanea di cono-
scenze e cultura. La città che sente visceralmente di essere «unica» non sa valoriz-
zare la propria unicità, metterla pienamente a frutto, anche per trasformarsi. Eppu-
re, credo che oggi valga ancora quanto affermava Cavour nel 1861: «Roma è la
sola città d’Italia che non abbia memorie esclusivamente municipali: tutta la storia
di Roma dal tempo dei Cesari al giorno d’oggi è la storia di una città la cui impor-
tanza si estende infnitamente al di là del suo territorio, di una città, cioè, destinata
a essere la capitale di un grande Stato». Anche per questo da assessore e vicesinda-
co ho tentato di avviare un discorso nuovo sulla cultura a Roma.
LIMES Cioè?
BERGAMO Per lungo tempo la vita culturale è stata vista come l’insieme dei prodot-
ti e servizi al tempo libero delle persone, non di rado strumentale alla formazione
di consenso. Panem et circenses. È una visione che ho lungamente contestato, ma
questa è stata la prospettiva dominante e identifcata con la modernità. Una pro-
spettiva sostenuta in particolare dal mondo anglosassone: in Europa da Londra e
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da Amsterdam, nonché dai Baltici; oltreoceano dagli Stati Uniti. Le politiche cultu-
rali cittadine si erano accodate con evidente perdita di ruolo. Anche per una ten-
denza a distribuire prodotti concepiti altrove – con l’effetto di deprimere la capaci-
tà creativa del territorio – e a considerare il patrimonio culturale solo come attra-
zione turistica. Passato qualche anno dalla crisi del 2008 aveva cominciato a emer-
gere un’interpretazione più articolata, attuale, che tornava a considerare essenziale
il valore sociale della vita culturale. Tracce di questo spostamento si ritrovano negli
emendamenti che il Parlamento europeo approvò nel 2012 al suo programma set-
tennale su richiesta del settore culturale. Tornato a Roma ho perciò agito su tre
piani diversi che s’intersecano, oltre ai consueti scambi diplomatici. Uno, più inter-
no ma con effetti sull’interscambio, investe la trasformazione del complesso di at-
tori culturali pubblici: da soggetti in competizione a sistema coordinato al servizio
di una missione condivisa, per la città. Il secondo volto a riallacciare il dialogo con
le accademie straniere, una peculiarità di Roma. Il terzo mirante a un riposiziona-
mento internazionale, per vedersi riconosciuta una leadership politica su un tema
che considero una mia «fssazione»: la partecipazione alla vita culturale come mo-
mento formativo della persona e della comunità, e la consapevolezza di tale fun-
zione sociale.
LIMES In cosa consistono esattamente questa funzione e questa consapevolezza?
BERGAMO La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 recita: «Ogni indivi-
duo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di
godere delle arti e di partecipare al progresso scientifco e ai suoi benefci». Per me
questo comma dell’articolo 27, scritto all’indomani della guerra e del nazifascismo,
coglie il punto: arte e cultura, purché liberamente prodotte, fruite e accessibili a
chiunque, sono motori di arricchimento individuale e di sviluppo civile. Sono tra le 169
‘ROMA È ANCORA CAPUT MUNDI, MA SE L’È SCORDATO’
premesse della civiltà di un popolo, da cui derivano quantità e qualità del suo be-
nessere. La partecipazione alla vita culturale crea competenze, capitale sociale;
questo crea il capitale fsico. È un circolo virtuoso. La vita culturale ha dunque una
dimensione almeno duale. Da un lato veicolo di cittadinanza consapevole e coesio-
ne, da tutelare come diritto la cui realizzazione o negazione infuisce sullo sviluppo
della persona e del capitale sociale. Dall’altro attività produttiva e commerciale, che
concorre alla prosperità comune. È questo il legame che unisce la realizzazione dei
diritti culturali di cui parlano gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu. Ciò no-
nostante, quando tali obiettivi furono approvati non si raggiunse il consenso sul 18°,
la cultura per tutti. Ho dunque provato a riprendere il discorso coinvolgendo altre
grandi città del mondo affnché emergessero le consonanze con la prospettiva che
avevo posto alla base delle nostre politiche culturali in modo molto esplicito. Affn-
ché questa prospettiva fosse riconosciuta come un punto di riferimento.
LIMES Ci è riuscito?
BERGAMO Con dei limiti, ma direi di sì: la percezione delle politiche culturali di
Roma in campo internazionale è cambiata. Ma soprattutto la posizione dell’Orga-
nizzazione mondiale dei comuni sul tema è oggi quella per cui Roma si è spesa in
questi anni. Tale sforzo ha prodotto di recente un documento strategico scritto con
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linee d’autobus che servono piccoli insediamenti a quasi 40 chilometri dal centro
e per andare da una parte all’altra bisogna percorrere 60-70 chilometri di abitato e
vuoti. Roma conta 15 municipi, cinque dei quali superano i 200 mila abitanti e
nessuno è sotto i 100 mila. Su 155 zone urbanistiche – le suddivisioni istituite nel
1977 a fni statistici e di pianifcazione del territorio – un’ottantina sono borgate o
loro analoghi: sorta di paesi nella città la cui popolazione unitaria non supera i 25
mila abitanti. Queste realtà così diverse sono tenute insieme da oltre 8 mila chilo-
metri di strade, 15 mila chilometri di rete idrica e 30 mila di rete elettrica, con oltre
224 mila punti luce di illuminazione pubblica e artistica. Per non parlare del verde.
Le alberature comunali da curare sono circa 330 mila, per un totale di circa 1.220
chilometri di flari alberati. Il verde pubblico in gestione alle strutture di Roma
Capitale supera i 40 chilometri quadrati. Numeri enormi. La sola manutenzione
richiede risorse di un ordine superiore a qualsiasi altra città italiana, ma anche a
molte capitali europee.
LIMES Le risorse ci sono?
BERGAMO È il punto dolente. A Roma ogni chilometro quadrato di servizi e infrastrut-
ture grava sulle tasse di 2.100 persone, a Parigi di 21 mila senza contare il fnanzia-
mento straordinario dello Stato, di cui la capitale d’Italia non dispone. Roma va
avanti per fnanziamenti straordinari, a progetto. Per lo sviluppo della città si può
anche ricorrere a questo strumento: le Olimpiadi del 1960 e il Giubileo del 2000
hanno lasciato eredità infrastrutturali. Ma è chiaro che la politica dei grandi balzi in
avanti non vale a sostenere uno sviluppo pluridecennale, che necessita di pianifca-
zione, continuità, manutenzione evolutiva. Senza considerare che un megaevento
non sempre va come dovrebbe, anzi: i Mondiali di calcio del 1990 e quelli di nuoto
del 2009 stanno lì a dimostrarlo, come anche molte recenti Olimpiadi in altre città. 171
‘ROMA È ANCORA CAPUT MUNDI, MA SE L’È SCORDATO’
precisa, con l’accordo, che spetta al Comune accertare lo stato di fatto e di diritto.
Il Comune, che pure aveva stanziato i fondi necessari, accetta di divenire proprie-
tario del teatro ma non può entrarne in possesso, perché nessuno ha accertato se
lo stato di fatto corrisponda a un legittimo stato di diritto. E il dirigente che entri in
possesso di un immobile in cui siano stati commessi eventuali abusi è esposto a un
contenzioso contabile e penale. Per tentare di sbloccare la situazione metto intorno
a un tavolo le strutture comunali coinvolte già al momento dell’accordo tra Comu-
ne e Stato. Rimpiango di non aver registrato la riunione, che sfora il surreale quan-
do qualcuno invoca una dispensa del presidente della Repubblica quale unica so-
luzione possibile. Scartata l’ipotesi, dopo settimane di intensa disamina si escogita
la seguente formula: il Comune entra in possesso dell’immobile per accertare lo
stato di fatto e di diritto in attesa di acquisirne la proprietà. Prevenirne l’ulteriore
deterioramento lo legittima a eseguire gli interventi necessari ad accertare lo stato
di impianti, strutture, arredi, se necessario effettuando manutenzioni indifferibili.
Intanto parte una caccia al tesoro negli archivi di Comune, ministero dei Beni cul-
turali e altri enti da cui emerge che l’ultimo accatastamento del Valle risaliva al 1949
e da allora erano stati realizzati interventi, tra cui dei camerini. Abuso? Se sì, dello
Stato su una sua proprietà ipervincolata. Per fortuna, dopo infnte ricerche spunta
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175
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A CHE CI SERVE DRAGHI
1. I
L BREVE LASSO DI TEMPO INTERCORSO
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tra la partecipazione (da remoto) di Ursula von der Leyen all’inaugurazione dell’an-
no accademico dell’Università Bocconi (28 novembre 2020) e la convocazione di
Mario Draghi al Quirinale (3 febbraio 2021) ha evidenziato come il baricentro del-
la politica italiana stesse rapidamente virando verso un’assunzione diretta di re-
sponsabilità da parte di Milano. I due eventi, pur slegati tra loro, presentano in tal
senso una forte valenza simbolica. Nel primo caso, la defnizione di «capitale euro-
pea» utilizzata dall’ex ministro tedesco, insieme alla citazione «Milan l’è on gran
Milan», hanno confermato la vocazione sempre più continentale della città ambro-
siana. Nel secondo, la netta preponderanza di lombardi – con una componente
milanese tutt’altro che trascurabile – alla guida dei diversi dicasteri rappresenta un
mutamento signifcativo rispetto all’esecutivo precedente, caratterizzato da una
composizione geografca più equilibrata.
Con Milano e la Lombardia che nel 2020 hanno visto crollare il pil locale ri-
spettivamente del 10,8 e del 9,8%, superando in negativo il dato nazionale 1, le ri-
valità irriducibili tra forze politiche sono fnite in secondo piano, dando vita a
un’inedita maggioranza. Due gli obiettivi principali del connubio celebrato lo scor-
so febbraio: avere voce in capitolo nell’utilizzo delle risorse europee e mantenere
l’Italia saldamente ancorata alla catena del valore tedesca. Gli attori politici nazio-
nali sono impegnati a riposizionarsi per salvaguardare ciò che ritengono lo heart-
land del paese: la Val Padana e la Lombardia, in ordine crescente d’importanza.
Quest’ultima nel 2020 è stata al centro dell’aspro braccio di ferro tra potere
centrale ed enti locali sulla gestione della crisi sanitaria: per la prima volta dopo
molti anni la Lombardia passava da esempio d’effcienza a oggetto di dileggio, fa-
1. «Your Next Milano 2021. Dati e analisi della città che cambia», Assolombarda, urly.it/3bt4m 177
ALTRO CHE CITTÀ STATO, MILANO TORNI CAPITALE MORALE
2. «Hanno talune città un tempo di fortuna, ma poi decadono, senza più risur-
gere. Ma tali altre città, dopo qualsiasi lutto, risurgono sempre a novelle grandezze.
Egli è perché la potenza loro non proviene da fatto d’uomo, ma da cause materia-
li e di natura. Tra siffatte città è Milano» 2. Così Carlo Cattaneo parlava della sua
città natale descrivendo lo spartiacque del 1848.
Milano è da sempre osservatorio privilegiato per analizzare gli sviluppi della
politica nazionale, fungendo da apripista e da guida del giovane Stato unitario.
Tale fattore venne percepito distintamente già dall’intellettuale pugliese Gaetano
Salvemini, che lo sintetizzò in una formula divenuta presto celebre: «Le lotte ammi-
nistrative milanesi non sono se non episodi o meglio i prodromi delle lotte politi-
che italiane. Quello che oggi pensa Milano, domani lo penserà l’Italia» 3. Quasi un
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secolo più tardi, Indro Montanelli e Mario Cervi avrebbero espresso su Milano un
pensiero analogo: «È stata, per un secolo, l’incubatrice nel bene e nel male di tutto
il nuovo – o quasi – della vita politica, della società, della cultura italiana» 4.
La specifcità milanese fu elemento ricorrente di rifessioni – non sempre be-
nevole – che accompagnarono il Risorgimento. Poco prima della seconda guerra
d’indipendenza il naturalizzato inglese e flocavouriano Antonio Panizzi, criticando
i mazziniani, polemizzava con la città di sant’Ambrogio, molti dei cui esuli non
vedevano di buon occhio la primazia piemontese: «Giuraddio, che cosa vogliono i
Lombardi? La repubblica di Milano?» 5. L’unifcazione non avrebbe interrotto questa
traiettoria. Nel 1881, in occasione dell’Esposizione nazionale, venne coniata dal
napoletano Ruggiero Bonghi la fortunata defnizione di «capitale morale». Con l’in-
dustria si sviluppò inevitabile lo scontro sociale: nella città meneghina venne fon-
data la prima Camera del lavoro italiana.
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, a prescindere dall’appartenenza ideologi-
ca dei singoli esponenti, Milano rappresentò senza dubbio l’epicentro dell’opposi-
zione alla politica estera e coloniale di Francesco Crispi. La peculiare postura dello
«Stato di Milano» 6 vide radicali, repubblicani, socialisti e moderati convergere con-
tro lo statista siciliano. Già Gioacchino Volpe, grande estimatore di Crispi, aveva
criticato la borghesia lombarda: «Piuttosto ben disposta alle esplorazioni commer-
che gli italiani hanno interiorizzato in questi anni: «Piaccia o non piaccia la frase
– Milano è tale centro di iniziative d’ogni genere, concentra in sé tali e tante forze
intellettuali ed economiche, raggruppa dentro sé ed intorno a sé tale e tanta di-
versità di interessi complessi, da potersi dire di essa – piaccia o non piaccia la
frase – Milano può fare da sé» 8.
Da Milano partì il primo sciopero generale, indetto dalla locale Camera del
lavoro nel settembre 1904, estesosi al resto d’Italia e rapidamente voltosi in falli-
mento politico. Quasi nello stesso periodo il Corriere della Sera realizzava l’ambìto
sorpasso, per numero di copie, sul Secolo, con le due testate meneghine ad avvi-
cendarsi sul podio del giornalismo italiano. Con Parigi e Trieste, Milano fu defnita
da Marinetti una delle capitali del futurismo 9. In quegli anni la città esibiva un forte
dinamismo economico: «L’impetuoso sviluppo industriale degli inizi del secolo»,
hanno scritto Cervi e Montanelli, «ebbe il suo epicentro a Milano e attorno a Milano,
così come, in parallelo, le lotte operaie. Milano fu il cuore del riformismo socialista,
a Milano nacque il fascismo. Milano diede all’Italia le maggiori case editrici e i mag-
giori quotidiani. (…) Da Milano spirò sull’Italia, dopo il 25 aprile 1945, il “vento del
Nord” che determinò largamente i successivi sviluppi istituzionali e politici» 10.
Dalla nascita del fascismo nel 1919 alla proclamazione dell’insurrezione gene-
rale del 25 aprile 1945, Milano non ha mai saltato l’appuntamento con la storia,
confermandosi cuore del paese e baricentro della sua collocazione internazionale.
La sconftta nel secondo confitto mondiale non ne ha sminuito il rango. Anzi.
7. G. VOLPE, L’Italia in cammino, Roma-Bari 1991 (ed. or. 1927), Laterza, pp. 48-49.
8. «A proposito di Milano», La Lombardia, 24/3/1899.
9. J. MCCOURT, James Joyce. Gli anni di Bloom, Milano 2005, Mondadori, pp. 221-222.
10. M. CERVI, I. MONTANELLI, op. cit., p. 213. 179
ALTRO CHE CITTÀ STATO, MILANO TORNI CAPITALE MORALE
3. Milano, ottobre 1945. Negli uffci della Banca commerciale italiana in piazza
della Scala, a Raffaele Mattioli si presenta un capitano d’azienda marchigiano che
cerca disperatamente fnanziamenti. Non si tratta di un’azienda qualunque: ad aver
bisogno di liquidità è l’Agip, l’interlocutore di Mattioli è Enrico Mattei. Il futuro
fondatore dell’Eni riuscirà nell’intento, facendo un passo fondamentale per la sal-
vezza dell’ente di Stato. Mattei si era da poco trasferito in un piccolo uffcio in via
Moscova, ricucendo, anche grazie al sodalizio con l’ingegner Carlo Zanmatti, le
divisioni sorte a causa delle diverse scelte fatte durante la guerra (Mattei era stato
tra i principali esponenti delle formazioni partigiane democristiane, Zanmatti aveva
aderito alla Repubblica Sociale).
La lotta tra il Clnai (Comitato di liberazione nazionale Alta Italia) e i repubbli-
chini non era stata forse meno aspra del successivo braccio di ferro tra Milano e
Roma sul destino dell’Agip. Nel gennaio 1944 la sede sociale era stata trasferita nel
capoluogo lombardo, nel febbraio dell’anno successivo era stato varato a Roma
un nuovo consiglio d’amministrazione 11. Si era venuto così a creare un dualismo
che, a guerra fnita, spettò a Mattei sanare. Fu vincendo le resistenze di Roma che
Mattei riuscì a salvare e a rilanciare l’azienda, trasformandola in un attore interna-
zionale di prim’ordine. Essa fu tra i motori della ricostruzione italiana e del boom
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11. C.M. LOMARTIRE, Enrico Mattei. Storia dell’italiano che sfdò i signori del petrolio, Milano 2006, Mon-
180 dadori, p. 106.
A CHE CI SERVE DRAGHI
paolo Pansa, Craxi aveva avuto modo di vaticinare la rapida ascesa del Cavaliere:
«Guarda che Berlusconi sta sulla rampa di lancio. Diventerà sempre più forte. L’av-
venire sta lì, in casa del Biscione» 12. In quegli anni iniziava il fermento delle Leghe,
di cui Milano e la Lombardia furono incubatrici.
A Milano si consumò la cesura storica di Mani Pulite, che avrebbe seppellito
politicamente (a volte fsicamente) una classe dirigente tra le più preparate spia-
nando la strada alla stagione berlusconiana. Approdando all’oggi, non è forse ca-
suale che fgure come Gianroberto Casaleggio e Matteo Salvini abbiano rispettiva-
mente creato e nazionalizzato due fenomeni politici la cui portata e infuenza non
sono circoscritte al contesto italiano.
4. La «Milano italiana» ha dunque visto nella guida e nello sviluppo del paese
la propria stella polare. Lo attesta la bandiera nazionale, che riprende i colori della
napoleonica Legione Lombarda: il verde delle divise, il bianco e il rosso dello stem-
ma milanese. Questa consapevolezza, a volte fn troppo altèra, negli ultimi anni
sembra essersi sbiadita. L’enfasi sulla dimensione europea e internazionale di Mila-
no si accompagna sempre più all’ubriacatura localistica di una città che, almeno
fno al Covid-19, pareva ambire a farsi Stato. Legittimamente impegnata ad aggiu-
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dicarsi affari e grandi eventi, Milano ha iniziato a non percepirsi più capitale mora-
le d’Italia, bensì centro autoreferenziale.
Per questa Milano l’Italia rappresenta al peggio una zavorra, al meglio un re-
troterra utile al perseguimento della propria grandeur. La bolla da città mondo si
riscontra anche nelle retoriche elargite a man bassa. È possibile estendere all’ambi-
to politico ed economico ciò che anni fa denunciava Limes circa le carenze del
pensiero militare nostrano: «Alla fessibilità della capacità linguistica non ha corri-
sposto una vivacità di produzione di pensiero critico, originale, sincero. Per cui
diciamo e scriviamo banalità e utopie, ma in inglese» 13. L’utilizzo ossessivo e de-
contestualizzato di concetti buoni per tutte le stagioni (resilienza, sostenibilità) non
è ascrivibile solo al nostro paese 14, ma l’elevata esteroflia – spesso marchio di
provincialismo – e la carenza di una visione a lungo termine hanno fatto adottare
all’Italia e alla sua capitale morale un mero simulacro di missione universale. Si
tratti di «Leuropa» o delle global cities: c’è l’imbarazzo della scelta.
12. Citato in G. PANSA, I cari estinti. Faccia a faccia con quarant’anni di politica italiana, Milano
2010, Rizzoli, p. 399.
13. F. MINI, «Soldati di oggi e di ieri», Limes, «2014-1914: l’eredità dei grandi imperi», n. 5/2014, p. 159.
14. A. ARESU, «L’insostenibile resilienza dell’essere», Limes, «Il clima del virus», n. 12/2020, pp. 41-50. 181
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A CHE CI SERVE DRAGHI
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Parte III
SORVEGLIANTI
SPECIALI
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A CHE CI SERVE DRAGHI
I
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del mercato del lavoro, sulla riduzione della pressione fscale e sulla riforma delle
pensioni per stimolare l’offerta. Nessuna traccia di politiche redistributive che miti-
gassero le crescenti sperequazioni sociali e sostenessero la domanda.
Ciò in stridente controtendenza con il settore accademico transalpino, scalato
dalla straordinaria ascesa di un economista di sinistra che egemonizzava il dibattito
pubblico, non solo francese: Thomas Piketty. Studioso delle disuguaglianze sociali
e del loro impatto sulla crescita economica, seppur molto legato al Partito socialista
aveva già ampiamente criticato il presidente Hollande per le politiche liberiste del
suo governo Valls, prendendo spesso di mira proprio il ministro dell’Economia. Il
suo lavoro è stato accolto con grande favore dai liberals d’Oltreoceano. Paul Kru-
gman, loro campione keynesiano, in un editoriale sul New York Times 2 lo faceva
entrare di diritto nel Gotha del pensiero antiliberista e dichiarava 3: «Ha cambiato
il nostro modo di pensare la società e di fare economia». In seguito lo riceveva il
consigliere economico di Obama.
Tutt’altra direzione prendeva invece l’Italia, esattamente un anno più tardi.
L’alleanza tra i populisti del M5S e i nazionalisti (convertiti) della Lega dava luogo
a un governo antieuropeista. Grande lo sconcerto in Europa nell’apprendere che
uno dei paesi fondatori e pilastro imprescindibile del progetto comunitario fosse
in mano ai «nemici». Forte il timore a Berlino nel vedere sotto ricatto la catena del
valore della propria industria, motore dell’egemonia economica sul continente.
1. Uffcialmente per raggiungere il target d’infazione del 2% e per chiudere il più possibile gli spread
intraeuro.
2. P. KRUGMAN, «Wealth over Work», The New York Times, 23/3/2014: «Il capolavoro dell’economista
francese sarà il più importante libro dell’anno e forse del decennio».
186 3. J. SCHLUESSER, «Economist Receives Rock Star Treatment», The New York Times, 18/4/2014.
A CHE CI SERVE DRAGHI
namento geopolitico francese. Con grande tempismo, dopo solo due settimane e
non mancando di dichiarare la totale identità di vedute con Draghi, in un’intervista
alla medesima testata Macron sparava lo stesso siluro sulla costruzione monetarista
dell’Eurozona germanizzata 5. Dopo aver condannato la globalizzazione liberista,
generatrice d’«inaccettabili disuguaglianze», il presidente francese rilevava che le
misure economiche prese per fronteggiare l’epidemia «vanno contro i trattati, con-
tro le fondamenta della costruzione europea, poiché sono tutti aiuti statali all’eco-
nomia privata. I paesi con l’economia più solida e i conti più in ordine possono
dare maggiori garanzie alle loro aziende e questo genera una distorsione del mer-
cato. Due grandi problemi che ci impongono di abbandonare le vecchie soluzioni
e di pensare a ciò che fno a sei mesi fa era impensabile: la completa condivisione
dei rischi e dei costi tra tutti i paesi membri senza tenere conto del pregresso e
delle “colpe” del passato, pena l’implosione del progetto europeo».
Era la posizione delle «cicale», capeggiate dall’Italia, vista come fumo negli
occhi dalle «formiche». Nel duro scontro sulla mutualizzazione del debito, emble-
matico di due flosofe contrapposte, la Francia si schierava apertamente contro la
Germania. Dalla parte dell’Italia. Signifcativa, in quelle stesse settimane di confna-
mento nazionale e mondiale, la chiosa del presidente francese in un discorso alla
nazione con cui registrava il fallimento del modello di sviluppo liberista e rimetteva
al centro l’importanza dello Stato sociale 6.
4. M. DRAGHI, «Draghi: we face a war against coronavirus and must mobilise accordigly», Financial
Times, 25/3/2020.
5. V. MALLET, R. KHALAF, «FT Interview: Emmanuel Macron says it is time to think the unthinkable»,
Financial Times, 16/4/2020.
188 6. E. MACRON, «Adresse aux Français», elysee.fr, 12/3/2020.
A CHE CI SERVE DRAGHI
alle élite francesi e molto ben voluto anche nei circoli democratici americani clinto-
niani e obamiani, la «famiglia» di Biden. A tal proposito, durante la recente campa-
gna elettorale sono state molto rumorose le sue durissime prese di posizione con-
tro Trump e i suoi martellanti moniti contro i piani golpisti del tycoon newyorkese.
Il progetto è quindi un’Eurozona a trazione franco-italiana, sponsorizzata da
Washington, libera dal vincolo monetario e fscale tedesco e guidata da politiche
keynesiane in linea con i fondamentali della coppia al comando. Ergo: grande
espansione monetaria e fscale a livello continentale e cambio dell’euro in funzione
delle esigenze del sistema produttivo italiano. Se poi l’operazione Next Generation
Eu funzionasse, il ritorno del Belpaese su un solido e stabile sentiero di crescita
poderosa, dopo un quarto di secolo di defazione e stagnazione, raggiungerebbe
il duplice scopo geopolitico di tenerlo unito e compatto – quindi resistente alle
tentazioni del Drago – e di stabilizzare il continente europeo.
Sarà interessante vedere quale postura assumeranno l’uno verso l’altro i due
protagonisti del riallineamento. Fin dal Risorgimento la Francia ha cercato di con-
dizionare – ovvero includere nella sua sfera d’infuenza, quando non dominare
– il «cugino povero» d’Oltralpe. Dalla riunifcazione tedesca, poi, integrare pezzi
rilevanti della nostra industria e della nostra fnanza per bilanciare la crescita in
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190
A CHE CI SERVE DRAGHI
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M
ARIO DRAGHI È STATO IL PRIMO
presidente della Banca centrale europea (Bce) «veramente europeo». Lars Feld, tra
i più ascoltati economisti della Germania e per anni presidente del Consiglio de-
gli esperti economici di Angela Merkel, il «comitato dei saggi», è considerato anche
il sommo sacerdote dell’ordoliberalismo tedesco. In quest’intervista svela i motivi
per cui la Germania ha proposto il Recovery Fund ed esprime la sua fducia nel
presidente del Consiglio italiano: può cambiare il peso dell’Italia in Europa. Ma
Feld ammette anche che a Berlino non è sopito il timore che il nuovo governo
possa durare poco o fallire nel percorso di cambiamento dell’Italia. E che il nostro
paese possa precipitare in una crisi senza precedenti, mettendo nuovamente a
rischio la tenuta dell’euro. Feld svela pure di aver incontrato Draghi spesso negli
anni della grande crisi fnanziaria, insieme al comitato dei saggi. E spiega per-
ché non ha mai pensato, come altri economisti ortodossi del suo paese, che Dra-
ghi fosse «il diavolo».
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REGNO LIT.
PAESI SVIZZERA 40,6
UNITO BASSI ITALIA 37
POLONIA BELGIO 26,1
GERMANIA
BELG. CHI INVESTE IN GERMANIA
Paesi di madrelingua tedesca in miliardi di euro,
LUSS. fonte: Bundesbank 2018
Paesi dove almeno il 25% REP. CECA
degli studenti studia il tedesco PAESI BASSI 113,4
SLOVACCHIA LUSSEMBURGO 88,7
FRANCIA SVIZZ. AUSTRIA STATI UNITI 55
UNGH.
‘IN GERMANIA CI FIDIAMO DI DRAGHI MA TEMIAMO POSSA FALLIRE’
SVIZZERA 41
Nord Italia CROAZIA ITALIA 34,5
ROMANIA
SLOV. REGNO UNITO 32,6
PORTOGALLO
SPAGNA Catalogna FRANCIA 26,3
BULGARIA AUSTRIA 25,2
ITALIA GIAPPONE 22,7
SPAGNA 10,2
impressione. Hanno sostanziato la narrazione che l’Italia sia fnita in una situazione
particolarmente diffcile senza averne alcuna colpa.
LIMES Quanto ha contato il fatto che il Nord Italia è parte irrinunciabile della catena
del valore dell’industria tedesca?
FELD Non direi che ha giocato specifcatamente un ruolo. Piuttosto ci si è resi dav-
vero conto di quanto le economie in Europa si siano fuse da quando abbiamo l’eu-
ro. Le catene del valore europee sono robuste e molto interconnesse.
LIMES Si è parlato della preoccupazione di Emmanuel Macron ma anche di altri capo
di Stato e di governo, all’inizio della crisi sanitaria, che la Germania potesse riemer-
gere troppo rafforzata dall’epidemia e costituire anch’essa una minaccia per l’euro. È
stato anche questo un impulso che ha indotto Merkel a proporre il Recovery Fund?
FELD In realtà l’impulso è venuto piuttosto dalla preoccupazione che potesse arri-
vare un’altra crisi del debito che avrebbe rimesso in pericolo l’esistenza dell’unione
monetaria nella percezione dei mercati fnanziari. L’anno scorso la Germania ha
registrato un rapporto debito/pil di circa il 70% che sarà simile, probabilmente,
quest’anno. La Francia è al 120% circa – una differenza di 50 punti percentuali. Le
discrepanze sono enormi anche in altre aree, ad esempio se si guarda alla crescita
della produttività, e sono destinate a restare tali anche dopo la crisi da coronavirus.
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FELD Sì, Mario Draghi ha formato un governo di unità nazionale e lo ha fatto con
grande abilità, come tutto ciò che fa. Ha occupato i ministeri chiave con professio-
nisti. E ha, d’altra parte, incluso quasi tutti i partiti nel suo governo, responsabiliz-
zandoli. Ma anche così, c’è ancora una preoccupazione residua sul fatto che riusci-
rà a fare tutto ciò che è necessario.
LIMES Draghi è l’uomo che a capo della Bce ha perseguito per otto anni una poli-
tica monetaria molto spesso in contrasto con la visione classica, ortodossa della
politica monetaria tedesca e in generale con l’ordoliberalismo. Lei è considerato il
massimo rappresentante del pensiero ordoliberale in Germania e dirige il Walter
Eucken Institut. Che tipo di giudizio ha su di lui?
FELD Devo ammettere che come capo della Banca centrale europea Mario Draghi ha
avuto un grande successo. È riuscito sotto ogni punto di vista a fare delle buone
scelte. E penso che le abbia fatte in modo molto pragmatico. Come Consiglio degli
esperti economici abbiamo ovviamente avuto l’opportunità di parlare spesso con lui.
LIMES Perché ovviamente? Quanto spesso vi siete parlati?
FELD Come Consiglio di esperti del governo abbiamo un diritto di audizione in
Germania. Ciò signifca che possiamo ascoltare tutti i ministri del governo federale
che per noi sono rilevanti. E che i ministri sono obbligati a rispondere alle nostre
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domande. Ciò vale anche per istituzioni come la Bundesbank, l’Agenzia federale
del lavoro e così via. È una regola che ovviamente non si applica alla Bce. Eppure,
con l’arrivo di Mario Draghi siamo stati invitati a colloquio sin da subito. Dalla cri-
si economica e dei debiti in poi, Draghi ha avuto un incontro con noi ogni anno.
Perché nella sua Bce, anche nel Comitato esecutivo, c’era la percezione che il
Consiglio degli esperti economici avesse un ruolo importante nell’offrire spunti di
politica economica al governo federale che andavano oltre lo specifco della Ger-
mania. Le discussioni erano sempre molto franche. Si capiva quanto a Draghi fa-
cesse piacere discutere con noi. È sempre stato un dialogo molto amichevole – da
entrambe le parti.
LIMES E Draghi vi ha convinti?
FELD Ho trovato convincente quello che ha fatto e come ha giustifcato le sue de-
cisioni. Ho sempre sottolineato che noi del Consiglio degli esperti economici non
fossimo tra coloro che in Germania, come Hans-Werner Sinn, sostenevano in so-
stanza che gli acquisti di obbligazioni fossero il diavolo, fnanziamenti statali mo-
netari. Volker Wieland e io abbiamo difeso il programma di acquisto di obbligazio-
ni Pspp nel 2019 all’udienza della Corte costituzionale federale: indipendentemen-
te l’uno dall’altro e senza consultarci. I limiti sugli acquisti di obbligazioni che
Draghi ha fssato per il programma Pspp hanno perfettamente senso e rendono il
programma difendibile dal punto di vista della politica monetaria. Da questa pro-
spettiva, la mia valutazione dell’èra Draghi è che è stata un successo e ha guidato
la politica monetaria europea attraverso acque agitate con maestria. Per Berlino, la
Bce avrebbe potuto essere un po’ più restrittiva. Ma un po’ più restrittiva non signi-
fca che non dovesse comprare obbligazioni: piuttosto che avrebbe potuto uscire
194 prima dalla politica monetaria espansiva.
A CHE CI SERVE DRAGHI
LIMES Quali sono state le vostre conversazioni, per esempio, in un anno molto
importante come il 2012, quando a luglio Draghi pronunciò il «whatever it takes»
che si eresse come un muro a difesa dell’euro e a settembre la Bce decise lo scudo
anti-spread Omt?
FELD Il Consiglio degli esperti economici presentò la sua proposta di ristrutturazio-
ne del debito proprio in quei mesi. E chiarimmo anche il nostro scetticismo
sull’Omt, perché avremmo preferito una soluzione di politica fscale. I capi di Stato
e di governo non erano disposti a farlo e costrinsero la Bce ad agire al posto loro.
LIMES Cosa succederebbe se l’Italia si mettesse di nuovo nei guai? Siamo in uno
scenario molto diverso rispetto al 2011, quando non c’era lo scudo anti-spread
Omt, il fondo salva-Stati permanente Esm, l’unione bancaria, le politiche ipere-
spansive della Bce? Insomma, l’Italia riuscirebbe ancora a far saltare l’euro?
FELD Sì, si può supporre che l’Italia sia ancora in grado di far saltare l’euro. Ipotiz-
ziamo che un governo populista aumenti ulteriormente il debito pubblico e che
non sia disposto a consolidare i conti pubblici e ad attuare riforme di politica eco-
nomica. Allora l’Ue avrebbe un problema. Questo è indubbio.
LIMES In Europa sta cominciando anche la discussione su una revisione del Patto di
stabilità. Come dovrebbe essere riformato e che fne dovrebbe fare il Fiscal compact?
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FELD Il Consiglio degli esperti economici ha fatto una proposta sulla questione
della riforma delle regole fscali europee. E, in sintonia con le conclusioni del
Consiglio francese degli esperti economici, proponiamo di andare nella direzione
di una revisione delle regole di spesa. Ma è un meccanismo non meno complica-
to di quello che abbiamo ora: introdurrebbe però delle regole più dure. Comun-
que, nella situazione attuale – abbiamo elezioni parlamentari in Germania
quest’anno, elezioni presidenziali in Francia l’anno prossimo, elezioni parlamen-
tari in Italia l’anno dopo ancora – non riesco a immaginare che abbia davvero
senso pensare di rivedere radicalmente le regole fscali. C’è già una certa fessibi-
lità che servirà per aggiustare gradualmente i conti pubblici nei prossimi anni. In
Germania, il freno del debito potrebbe forse essere reintrodotto già nel 2022. Per
tornare ai vincoli fscali europei, tuttavia, penso che ci vorrà più tempo. Non rie-
sco a immaginare che torneremo al limite normativo del Patto di stabilità e cresci-
ta o del Fiscal compact nel 2022. Quindi immagino che non si applicheranno
prima del 2023.
LIMES Dunque lei pensa che l’imperativo del pareggio del bilancio, il «freno al de-
bito», debba rimanere iscritto nella costituzione tedesca? In Germania c’è un ampio
dibattito sull’opportunità di riformarlo.
FELD Le posso assicurare che mi batterò come un leone perché rimanga iscritto
nella costituzione così com’è. Il freno al debito è molto più fessibile di quanto si
pensi. E il ministero delle Finanze ha costruito enormi riserve nello scorso decen-
nio. Non riesco proprio a immaginare che quest’anno riusciremo a spendere tutti
gli aiuti per l’epidemia preventivati. Da questo punto di vista, per me ammorbidire
o abolire il pareggio di bilancio obbligatorio, come propongono i Verdi, è total-
mente superfuo e controproducente. 195
‘IN GERMANIA CI FIDIAMO DI DRAGHI MA TEMIAMO POSSA FALLIRE’
LIMES Lei ritiene che dopo otto anni di Draghi alla Bce l’euro non sia più l’euro
tedesco e che si sia tornati all’idea italo-francese di un euro utile a imbrigliare e a
contenere la Germania?
FELD Non direi che è diventato un euro tedesco, francese o italiano. È un euro euro-
peo perché le diverse esigenze che gli Stati membri dell’unione monetaria esprimo-
no si rifettono anche nella politica monetaria. Ripensiamo all’episodio della Grecia
nel 2015, quando Mario Draghi a un certo punto chiuse i rubinetti alle banche.
LIMES Il famigerato waiver.
FELD Sì, certo. Era chiaramente nell’interesse dell’Europa far capire ai greci il costo
di un’uscita dall’unione monetaria. Allora ho pensato che Draghi avesse preso una
decisione da vero europeo.
LIMES Quale lezione si può trarre da questa crisi fscale ed economica e dalla crisi
sanitaria se si guarda al futuro degli assetti istituzionali dell’Unione Europea e della
Germania?
FELD Dal punto di vista dell’Europa, penso che sia diventato chiaro a tutti quanto
gli Stati membri siano interdipendenti. Ricordiamoci del danno che è stato fatto la
scorsa primavera con la chiusura delle frontiere, quando la Germania bloccò l’e-
sportazione di prodotti medici. Provocò un enorme clamore. Inoltre, per quanto
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riguarda le catene del valore è diventato chiaro quanto sia importante il mercato
interno europeo, che è fondamentalmente sostenuto dall’unione monetaria. La
verità è che il processo di integrazione si è sviluppato piuttosto bene e c’è stata una
robusta convergenza. E tutto questo, naturalmente, ha implicazioni per il futuro.
Perché bisogna anche dire chiaramente che le idee nazionaliste, che comunque
resistono, sono molto preoccupanti. Dobbiamo cercare di defnire i nostri valori
europei come valori comuni e allinearci su di essi. Dobbiamo avvicinarci di più in
termini politici. Se aspiriamo a una maggiore convergenza nell’unione monetaria
non può essere solo la convergenza dei redditi pro capite. È la convergenza di idee
e scelte politiche. La crisi ha dimostrato i frutti dell’unifcazione europea. Non do-
vremmo metterli a rischio, ma piuttosto costruire a partire da essi. Si pensi all’unio-
ne dei mercati dei capitali o al mercato unico digitale. Nel settore dei servizi c’è
ancora molto da fare. Ci sono ancora molti ostacoli da rimuovere.
LIMES Il programma Next Generation Eu fnanziato dal debito comune è un passo
avanti o va interpretato come un tantum irripetibile?
FELD Il Next Generation Eu in questa forma non è sostenibile. Per garantire all’Ue
una capacità fscale europea permanente, la Commissione europea avrà bisogno di
poter esercitare un maggiore controllo. Ma allora gli Stati membri dovranno essere
disponibili a rinunciare a un pezzo di sovranità nella politica dei conti pubblici.
LIMES In Europa c’è il motore franco-tedesco e due coalizioni che sono emerse o
si sono rafforzate negli ultimi anni quasi in contrasto con le spinte per una maggio-
re integrazione europea: i «frugali» (Paesi Bassi, Austria, Danimarca, Svezia e Fin-
landia) e il Gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia).
Come si inserisce l’Italia in questi equilibri? Draghi sarà in grado di riportarla al
196 centro dell’Europa?
A CHE CI SERVE DRAGHI
RU
MONTENEGRO
KOSOVO EUROPA SETTENTRIONALE
S S I A
NORVEGIA
MACEDONIA DEL NORD EST. EUROPA OCCIDENTALE
ALBANIA
Mare
del Nord LETT. MITTELEUROPA (EU. CENTRALE)
AUSTRIA
FRANCIA SVIZZ. UNGHERIA
SLOV.
CROAZIA ROMANIA
BOSNIA Mar Nero
ERZ. SERBIA
BULGARIA
ITALIA
ALLO
TOG
SPAGNA
POR
TURCHIA
GRECIA
Mar Mediterraneo
MALTA CIPRO
MAROCCO ALGERIA
TUNISIA ©Limes
Fonte: Proposta del Comitato permanente per i nomi geografci (STAGN), Germania.
FELD Penso che Draghi possa rafforzare il ruolo dell’Italia semplicemente perché ha
già dimostrato di essere al centro dell’Europa. Da presidente della Bce si è posizio-
nato molto chiaramente come un europeo. L’euro non è tedesco, né italiano o
francese, ma europeo. E questo ha molto a che fare con la fgura di Mario Draghi.
Draghi è stato il primo presidente veramente europeo della Bce. E quindi è abba-
stanza chiaro che si presenta con un peso molto diverso al Consiglio europeo e
viene percepito in modo differente anche rispetto agli altri capi di Stato e di gover-
no. Ciò sarà particolarmente vero se Angela Merkel lascerà l’incarico quest’autun-
no. Se l’Italia di Mario Draghi recupera davvero il terreno perduto con le riforme e
si sviluppa di più, potrà giocare un ruolo molto diverso a livello europeo da quel-
lo ricoperto fno a oggi. Sinora Roma è sempre stata sulla difensiva. Draghi può
cambiare molto, anche nella fducia dell’Italia nei confronti dell’Unione Europea e
dell’unione monetaria. 197
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A CHE CI SERVE DRAGHI
DI DRAGHI
BERLINO
NON SI FIDA di Luca STEINMANN
1. V
ISTO DALLA GERMANIA L’INGRESSO DI MARIO
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Draghi a Palazzo Chigi segna uno spartiacque geopolitico per tutto il sistema di
potere europeo. Cambio di paradigma che avrà forti ripercussioni sulla Bundesre-
publik. Sul fronte interno come su quello dei rapporti fra potenze. Soprattutto sulla
delicata relazione con Washington.
Per l’Italia, dalla prospettiva di Berlino, si tratta probabilmente dell’ultima
chance. In base ai risultati di questo governo i decisori tedeschi stabiliranno se
continuare ad accettare l’aggancio del Belpaese all’Eurozona oppure se favorirne
l’espulsione. Ciò non condurrebbe allo sganciamento dell’Italia dall’Occidente. Al
contrario, il disallineamento italiano dagli interessi tedeschi potrebbe incentivare
gli Stati Uniti a utilizzare lo Stivale come piattaforma di attacco alla Bundesre-
publik e al suo spazio geoeconomico mitteleuropeo qualora Berlino tentasse di
affermarsi attore geopolitico compiuto e stabilisse collaborazioni troppo profonde
con la Russia e con la Cina. La probabile rappresaglia americana sconsiglierebbe
alla Bundesrepublik di escludere l’Italia dall’Eurozona. Maggiore sarà il dinamismo
geopolitico tedesco, maggiore sarà la reazione americana, minore sarà l’interesse
germanico ad abbandonare l’Italia.
L’avvento del governo Draghi è stato accolto con cauta freddezza dai decisori
politici tedeschi. Al di là dei complimenti di forma di Angela Merkel e Ursula von
der Leyen, nessun esponente politico di rilievo ha espresso pubblicamente un
giudizio 1. Il mondo economico-fnanziario è stato meno diplomatico. Sulla stampa
1. L’unica eccezione riguarda Jörg Meuthen, cosegretario della AfD, che ha attaccato Draghi per il suo
operato alla Banca centrale europea, defnendolo «il grande maestro in materia di debiti» e rivendicando
una politica monetaria intransigente. Si assiste così al paradosso dei nazional-populisti italiani e tede-
schi, formalmente alleati tra loro (la AfD è attualmente nello stesso eurogruppo della Lega) ma che non
concordano sulle soluzioni alternative al sistema che criticano. Una vittoria contemporanea dei nazio-
nal-populisti tedeschi, francesi e italiani porterebbe all’inasprimento delle reciproche ostilità nazionali. 199
DI DRAGHI BERLINO NON SI FIDA
sono apparsi commenti che presentano Draghi come minaccia agli interessi geoe-
conomici germanici. Il capo del governo italiano «sa che ogni suo passo sarà sotto
esame e che da un momento all’altro nel Nord del continente potrebbe scoppiare
una tempesta che lo spazzerebbe via anche politicamente», scrive l’economista
Heiner Flassbeck su Makroskop.de 2. L’ex banchiere viene dipinto come il potenzia-
le salvagente capace di tenere a galla un paese in declino e sull’orlo del fallimento
fnanziario. La situazione italiana è disastrosa secondo lo Spiegel, che scrive di un
«debito record, nessuna crescita, ricchezza in calo, demografa in declino» 3. Il Ma-
nager Magazin racconta di un paese in «rovina» che potrebbe trasformarsi in una
«Argentina europea» 4.
Il compito del premier viene trasversalmente descritto come titanico non solo
per la stagnazione economica legata alla crisi da Covid-19 ma anche per il grande
«arretrato di riforme non fatte» 5 dall’Italia. Dorothea Siemens scrive su Die Welt
che il Recovery Plan è un’«opportunità storica» ma necessita da parte italiana di un
grande pacchetto di riforme che preveda «l’innalzamento dell’età pensionabile» e la
«rimozione degli ostacoli alla crescita» 6. Le politiche monetarie espansive messe in
campo da Draghi ai tempi della Banca centrale europea (Bce) e il suo salvataggio
dell’euro a ogni costo non vengono considerati propriamente conformi all’interes-
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se tedesco. Anzi. Essi hanno «salvato l’Italia dal crollo», ma l’acquisto dei titoli di
Stato da parte della Bce ha favorito il «rallentamento delle riforme nei paesi mag-
giormente indebitati, soprattutto in Italia». Nei paesi creditori i risparmiatori hanno
invece pagato un «prezzo elevato» a causa della politica dei tassi zero della Bce.
Risultato: l’Eurozona è oggi di nuovo in «modalità di crisi» e per la prima volta si sta
facendo carico di «un debito comune su larga scala».
La presenza di Draghi a Palazzo Chigi è una potenziale minaccia per gli in-
teressi geoeconomici tedeschi anche perché aumenta il peso specifco dell’Italia,
che diventa il luogo in cui «si prendono le decisioni più importanti per il futuro
dell’Europa» 7. Essendo la terza economia dell’Eurozona, il maggiore peso italiano
nell’Unione Europea metterebbe in discussione la posizione (egemonica) tedesca 8.
Secondo Flassbeck l’avversario più importante di Draghi è a Berlino, Francoforte e
Monaco, nel «nocciolo duro della CDU/CSU» che per il dopo-crisi ha già in mente
il ripristino delle vecchie regole sul debito e pensa a condizioni dure da imporre a
chiunque voglia servirsi di fondi europei 9.
Per la stampa germanica la maggior parte degli italiani vede il governo tedesco
come «grande dittatore dell’austerità» e il Meccanismo europeo di stabilità (Mes)
come uno strumento plasmato da Wolfgang Schäuble per interferire negli affari in-
terni dei paesi debitori. Tuttavia, la buona reputazione di Draghi e i suoi ottimi rap-
porti con le capitali e con la commissione Ue, nonché con la presidente della Bce
Christine Lagarde, potrebbero rivelarsi «un capitale prezioso» negli scontri futuri 10,
quando superata l’emergenza Covid-19 si deciderà se tornare o meno all’«austerità».
a livello comunitario; sul parallelismo tra Italia e Germania sul piano internazio-
nale 12. Soprattutto da parte italiana vi era un forte interesse a mantenere una sim-
metria con l’altra grande sconftta nella seconda guerra mondiale, per bilanciare
Francia e Gran Bretagna, potenze vincitrici dotate dell’arma atomica e di un seg-
gio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La fne della guerra fredda ha
condotto però a un’«asimmetria politico-istituzionale» 13 tra i due paesi legata alla
crescente infuenza geoeconomica germanica tanto al livello europeo quanto sul
piano globale, approfttando dello spostamento del baricentro geopolitico verso
est. Insieme all’instabilità cronica del sistema politico italiano, inasprita dal crollo
della Prima Repubblica.
A Berlino, la crisi della tradizionale democrazia dei partiti, che nella sua in-
stabilità garantiva interlocutori conosciuti e riconoscibili, è stata vissuta male. Con
la liquidazione dei partiti italiani si scioglievano anche le relazioni speciali fra le
élite dei due paesi, coltivate fra CDU-CSU e Dc, o fra SPD e Pci. All’asimmetria
politico istituzionale si è aggiunta una forte asimmetria economica a partire dalla
crisi fnanziaria scoppiata nel 2008. Mentre l’Italia subiva un profondo processo di
deindustrializzazione e di perdita di capacità produttiva, la Germania dimostrava
una salda stabilità all’insegna della leadership di Angela Merkel.
Se in Italia l’opinione pubblica veniva attraversata da forti impulsi antigermani-
ci – alimentati dall’apporto di alcune élite politiche, culturali e mediatiche di destra
14. L. STEINMANN, «Il falso stereotipo dell’irriducibile italofobia tedesca», Limes, «Una strategia per l’Ita-
lia», n. 2/2019, pp. 109-117.
15. F. LOCATELLI, «Draghi e la Germania, le radici di un rapporto complesso. Parla Krieger», First Online,
202 26/10/2019.
A CHE CI SERVE DRAGHI
guerra fno a oggi: leadership geoeconomica vestita con i colori europei. L’egemo-
nia economica, in particolare l’accumulo di ingenti e crescenti avanzi nei confronti
dell’estero, deve essere usata come strumento geopolitico per condizionare gli altri
paesi dell’Ue, in particolare quelli, come l’Italia, la cui forma mentis andrebbe «nor-
difcata». Ossia conformata al modello economico-sociale (per certi versi morale)
della Germania, considerato superiore. L’esibito allineamento fra Italia e Francia
sulla politica fscale espansionista, perfettamente opposto all’approccio tedesco,
rende ancora più aspra la partita. E alimenta i sospetti di Berlino nei confronti di
Draghi, che porterebbe l’Italia a schierarsi con la Francia nella vitale partita dell’Eu-
rozona, da cui dipende il futuro delle tre maggiori economie continentali e dei loro
stessi sistemi politico-istituzionali.
Negli ultimi anni sta emergendo, seppur lentamente, la consapevolezza tede-
sca di dover superare la dimensione geoeconomica determinata dalla catastrofe
bellica per rielevare la Germania ad attore geopolitico in senso compiuto. Ovve-
ro un soggetto che tenga in considerazione non soltanto i conti ma che eserciti
anche una infuenza geopolitica sugli spazi economici che già controlla. Scopo
per cui l’Italia è indispensabile. Si tratta di una necessità scaturita dalla coscienza
di non poter più contare sulla protezione degli Stati Uniti per come avvenuto a
partire dal 1945. Lo conferma la crescente avversione delle agenzie americane
alla presa geoeconomica tedesca sull’Europa continentale e all’intensifcarsi della
collaborazione di Berlino con la Russia sul piano energetico (e non solo) e con la
Cina sul piano commerciale (e non solo). Approccio considerato grave minaccia
16. M. FIORAVANZO, F. FOCARDI, L. KLINKHAMMER, Italia e Germania dopo la caduta del Muro, Roma 2019,
Viella, p. 123. 203
DI DRAGHI BERLINO NON SI FIDA
per l’infuenza americana sulla decisiva porzione europea del proprio impero.
Questa prospettiva strategica precede e supera Trump (i primi attacchi sistematici
alla Germania, vicende storiche a parte, iniziano con Barack Obama) 17, tant’è
vero che l’amministrazione Biden pretende a gran voce di bloccare il Nord Stream
2 in nome dei «diritti umani». Berlino ha fnora risposto che il gasdotto è partita
separata dalla questione umanitaria, sicché la pipeline, quasi completata, non va
fermata. E ciò in nome di una «sovranità europea» che esclude per principio di
recepire il dettato di Washington 18.
Chiara la discrepanza tra l’ortodossia monetaria della Bundesbank e la tenta-
zione del ritorno alla geopolitica. Mentre il rigorismo dei banchieri francofortesi
prevede la possibilità di espulsione dell’Italia dall’Eurozona qualora Roma non
mettesse in atto le riforme strutturali richieste, l’agganciamento del Belpaese al
sistema di potere europeo diventa invece priorità tattica della geopolitica tedesca.
Lasciando andare l’Italia la Germania perderebbe non solo un partner fondamen-
tale dal punto di vista economico ma anche la proiezione strategica sul Mediterra-
neo, indispensabile per un soggetto geopolitico che non esclude di doversi parare
da forti attacchi, soprattutto americani, nel prossimo futuro.
Non è un caso che i tedeschi siano recentemente sbarcati a Trieste, dove una
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parte rilevante della piattaforma logistica giuliana è stata acquistata dalla Hambur-
ger Hafen und Logistik, compagnia amburghese a larga maggioranza di proprietà
della città Stato anseatica. Non è un caso nemmeno che Merkel si sia imposta a
favore dell’Italia in occasione dei negoziati per il Recovery Fund. In ballo non c’è
solo il salvataggio del Settentrione italiano, parte integrante del Kerneuropa, ma di
tutto il paese. Per non cedere ai falchi di Francoforte e custodire invece gli interessi
geopolitici germanici serve tenere la Penisola integrata nella sfera d’infuenza geo-
economica tedesca, che si vorrebbe elevare di grado.
I rapporti fra le priorità geopolitiche e il rigorismo monetario tedesco verran-
no calibrati dai risultati del governo Draghi. Se questo riuscirà a riformare l’Italia
secondo quanto dettato dalla Germania attraverso Bruxelles, allora indebolirà an-
che le pulsioni di quei tedeschi che preferirebbero liberarsi delle «cicale». Ma in tal
caso alimenterà le spinte euroscettiche e germanofobe in Italia. In questo contesto
cresce l’interesse dei decisori germanici a identifcare nel Belpaese interlocutori ai
quali affdarsi per promuovere i propri specifci interessi, se non per orientarne atti-
vamente l’operato. Un compito arduo alla luce dell’estraneazione strisciante e della
crisi del sistema partitico italiano. Vale soprattutto per la CDU/CSU, oggi costretta a
interessarsi alla Lega. Agli occhi di cristiano-democratici tedeschi e cristiano-sociali
bavaresi diventa quindi geopoliticamente rilevante la capacità di Draghi di rendere
il Carroccio accettabile nel contesto europeo.
Il dialogo tra i due partiti è iniziato da alcuni anni ma è sempre rimasto bloc-
cato a seguito delle infessibili richieste tedesche agli italiani di rompere ogni rap-
17. L. STEINMANN, «La Germania fa la morale all’America», Limes, «L’impero nella tempesta», n. 1/2021,
pp. 195-205.
204 18. «Heiko Maas: «Souveränität ist mehr als Washingtons Wille»», Deutsche Welle, 28/12/2020.
A CHE CI SERVE DRAGHI
porto con la AfD, senza però offrire nulla in cambio. L’intransigenza cristiano-de-
mocratica nei confronti dei nazional-populisti è una questione sia di forma (la AfD
è esclusa dall’arco costituzionale tedesco) sia di politica domestica. Il progressivo
spostamento della CDU su posizioni progressiste e il conseguente indebolimento
delle sue componenti conservatrici hanno aperto un grosso spazio elettorale a
destra, occupato in gran parte dalla AfD – anch’essa oggi in calo – e recentemente
dalla crescita dei liberali della FDP (8-9%). Nonostante la AfD sia squassata da lotte
intestine tra conservatori e radicali che ne hanno ridotto la forza, essa rimane la
più corposa insidia per la CDU sul lato destro, alimentata dalle recenti batoste elet-
torali dei cristiano-democratici in Renania-Palatinato e nel Baden-Württemberg 19.
Ma soprattutto dalla pesante sentenza del tribunale amministrativo di Colonia che
nel marzo 2021, undici giorni prima delle elezioni nei due Länder, ha momentane-
amente proibito al servizio segreto interno (Bundesamt für Verfassungsschutz) di
classifcare l’AfD come oggetto di speciale osservazione. Il servizio segreto control-
lato dal ministero dell’Interno ha facoltà di spiare tramite intercettazioni e attività di
humint i partiti che classifca estremisti, come nel caso della AfD. La sentenza parla
di ingiustifcata intromissione dell’intelligence nella libera competizione elettorale
e proibisce per ora la classifcazione di tale partito come oggetto di osservazio-
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ne 20. Colpo non indifferente per la CDU/CSU, che sedendo all’Interno controlla
il servizio segreto in questione, sicché viene accusata di avere attivato gli 007 per
minare il proprio concorrente. Ciò segnala che la partita con la AfD non è chiusa.
Permane pertanto l’interesse cristiano-democratico a indebolire la concorrenza in-
terna isolandola al grado europeo. Quindi colpendone i legami con un partito di
governo come la Lega, che la AfD utilizza quale fonte di legittimazione interna. Di
qui la crescente ricerca di dialogo con i leghisti e la sempre più manifesta volontà
tedesca di favorire la separazione tra il partito e Matteo Salvini, che continua a
essere considerato inaccettabile. Il leader leghista viene visto come un pericoloso
nazionalista, autore della conversione in senso nazionale del partito per motivi
ideologici a scapito della componente veneta e nordestina della Lega, percepita
come una CSU all’italiana. Pertanto, i cristiano-democratici tedeschi hanno attivato
i bavaresi per mediare con il Carroccio.
I primi rapporti tra CSU e leghisti risalgono agli anni Novanta, quando l’ideo-
logo «padano» Gianfranco Miglio individuava nella Baviera un modello per il Nord
Italia. I contatti si erano intensifcati alla vigilia del 2000 tra l’entourage di Umberto
Bossi e quello di Edmund Stoiber, ministro-presidente bavarese, indebolendosi
però con il riallineamento leghista a Berlusconi, che rivendicava la titolarità dei
rapporti con la Germania in seno al Ppe. L’odierno ritorno delle attenzioni bava-
resi alla Lega conferma quanto robusto sia l’interesse di almeno quella parte dei
conservatori germanici per il principale partito italiano. «Se la Lega italiana dovesse
identifcarsi con un corso chiaramente europeista allora si potrebbe per lo meno
parlare di una sua partecipazione al Ppe. Questo non è però imminente», ha detto
Daniel Caspary, capogruppo della CDU/CSU al Parlamento europeo 21.
Ma la CDU in crisi, nella fase fnale del tramonto merkeliano, è indecisa se
dotarsi di profondità strategica e dunque di spingere la Germania alla sfda geopo-
litica con l’impero americano oppure se continuare a nascondersi dietro il rigori-
smo monetario della Bundesbank, vestita del giallo-blu comunitario. Se i tedeschi
si lamentano di non riuscire a capire ciò che avviene a sud delle Alpi, anche per
gli italiani (e per tutti gli altri) diventa molto arduo comprendere come si posizio-
nerà la Germania con una CDU così incerta, ammesso che riesca a conservare la
cancelleria nella prossima legislatura.
Prima di interrogarsi su dove andrà l’Italia bisogna dunque chiedersi: dove vuo-
le andare la Germania? Più che l’attuale governo Draghi, la grande incognita dell’Eu-
ropa è il governo post-Merkel che uscirà dalle elezioni federali del 26 settembre.
3. Pur guardando all’Italia da una posizione di forza dal punto di vista eco-
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quanto «troppo piccola per l’egemonia esplicita e troppo grande per l’equilibrio
autentico» 25. Né potendo più contare sulla certezza dell’aiuto americano, ammesso
sia mai realmente esistito. L’Italia di Mario Draghi diventa così troppo importante
per essere sacrifcata sull’altare del rigore economico di retaggio weimariano.
Un altro elemento di vulnerabilità riguarda la diffusa allergia alla geopolitica
delle élite politiche berlinesi, dal 1945 cresciute nell’ombra americana e abituate
a quella del rigorismo monetario della Bundesbank. Se riapplicato in Italia dopo
la fne dell’emergenza virale, il metro monetario e geoeconomico tedesco alimen-
terebbe però la germanofobia e favorirebbe l’allontanamento italiano dall’area te-
desca. Infiggendo così un duro colpo, forse letale, ai seppur timidi accenni di
risveglio geopolitico a Berlino, necessari a difendersi da eventuali attacchi delle
grandi potenze mondiali. Anzitutto degli Stati Uniti, ma anche di Cina e Russia.
Decisamente troppo per la Bundesrepublik.
Un ulteriore punto debole è la già citata crisi di identità strutturale della CDU/
CSU, che richiede una profonda riforma interna per continuare a essere una
Volkspartei, ossia un grande partito che rappresenti e sintetizzi gli interessi di am-
pie, eterogenee parti del corpo sociale, tra cui anche le conservatrici e reazionarie
(revansciste sul piano geopolitico). Queste ultime non sono mai state completa-
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25. S. KORNELIUS, Angela Merkel. Die Kanzlerin und ihre Welt, Hamburg 2012, Hoffmann und Campe, p. 15. 207
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FINLANDIA GERMANIA
I MOTORI FRANCESE E TEDESCO Principali partner commerciali
Unione Europea Cina 212,1
Paesi Bassi 172,8
“Campioni europei” SVEZIA Stati Uniti 171,6
Recupero sovranità economico-fscale. ESTONIA Francia 147,7
Cooperazioni selettive per concorrere Polonia 122,9
sui mercati globali Italia 114,4
Svizzera 101,7
Brexit DANIMARCA
LETTONIA Regno Unito 101,6
Austria 100,3
IRLANDA LITUANIA Rep. Ceca 84,0
Export+Import (mld di euro)
I
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UNITO Ungheria 52,1
ER
Russia 45,0
F
BELGIO
Giappone 38,6
RI
POLONIA Svezia 38,1
Fonte: Destatis, 2019
PE
GERMANIA Turchia 36,6
LUSS.
REP. CECA FRANCIA
Principali partner commerciali
SLOVACCHIA
Germania 132,5
FRANCIA Cina 74,2
MERC ATI
Italia 71,5
AUSTRIA Spagna 66,3
UNGHERIA Stati Uniti 63,4
SL. ROMANIA Belgio 63,3
CROAZIA
Regno Unito 44,1
Paesi Bassi 38,7
Svizzera 27,4
CI Polonia 20,6
Export+Import (mld di euro)
PORTOGALLO E RI BULGARIA
IF Turchia 14,1
SPAGNA R ITALIA Giappone 14
PE Russia 10,9
A TI Singapore 9,2
MERC Marocco 9,1
Corea del Sud 8,6
Fonte: Insee, 2019
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Tetragono industriale
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Modena
POLONIA
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UMBRIA
0,000 - 0,006
Terni
0,006 - 0,010
0,010 - 0,040
LAZIO ABRUZZO
0,040 - 0,102
MOLISE
0,102 - 1,900 Roma
PUGLIA
CAMPANIA
BASILICATA
SARDEGNA
CALABRIA
LA CINA
TENDE LA MANO
A DRAGHI di YOU Ji e WU Xiangning
Pechino offrirà sostegno all’Italia per contrastare il declino
economico alimentato dall’epidemia di Covid-19. Ma l’influenza
degli Usa su Roma e le connessioni tra il presidente del Consiglio e
Washington limiteranno fortemente la sintonia sino-italiana.
1. L
A REPUBBLICA POPOLARE CINESE ERA A
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conoscenza del caos in cui versava la politica italiana, ma è stata piuttosto sorpresa
dalla selezione di Mario Draghi quale presidente del Consiglio. In una certa misura,
Pechino ha percepito l’uscita di scena del suo predecessore Giuseppe Conte come
un fattore negativo per le relazioni con Roma. Negli ultimi anni, i due governi han-
no cooperato agevolmente in merito a diversi argomenti controversi e spinosi per
i rapporti sino-europei: le origini dell’epidemia di coronavirus, il tema della tutela
dei diritti umani nel Xinjiang, il futuro di Huawei nell’Ue, gli investimenti cinesi in
Italia nell’ambito della Belt and Road Initiative (Bri, nuove vie della seta) e l’intru-
sione degli Stati Uniti nel rapporto tra Cina e Vecchio Continente.
Non è chiaro quale posizione assumerà Draghi su questi problemi e se preser-
verà gli aspetti positivi del rapporto con Pechino nonostante le crescenti tensioni
tra Usa e Repubblica Popolare. In questo caso, incontrerebbe diversi ostacoli lungo
il cammino. In Europa e in particolare in Italia, la narrazione e le azioni contrarie
alla Cina sono sempre più vigorose.
2. Ci sono diverse ragioni per cui Draghi potrebbe sfruttare la sua saggezza
pratica e la lunga esperienza in campo internazionale per continuare a interagire
positivamente con Pechino.
La prima è che il nuovo presidente del Consiglio è un economista, un leader tec-
nocratico e pragmatico. Secondo diversi analisti cinesi esperti di Unione Europea, la
leadership della Repubblica Popolare reputa Draghi altamente professionale. Quindi
capace di gestire le contraddizioni tra interessi nazionali tangibili e propensioni ide-
ologiche e di anteporre gli obiettivi dello Stato ai guadagni politici dei singoli partiti.
La seconda ragione è che la tragica condizione dell’economia italiana potreb-
be dettare l’ordine della sua agenda di governo e indurlo a mantenere una postura 209
LA CINA TENDE LA MANO A DRAGHI
pragmatica nei confronti della Repubblica Popolare. Cioè quello che ha fatto il
governo Conte, anche se per qualcuno quest’ultimo ha inavvertitamente favorito
l’infuenza cinese nella Penisola. Per esempio, la necessità di investimenti infra-
strutturali ha indotto l’Italia a diventare l’unico membro del G7 a aderire alle nuove
vie della seta nel 2019 malgrado gli Usa e l’Ue diffdassero delle fnalità geopoliti-
che sottintese a tale progetto.
La terza ragione è che Draghi interagisce con la Repubblica Popolare da molto
tempo. Dal 1991 in poi, l’attuale presidente del Consiglio ha guidato diversi enti
economici italiani ed europei. In questo arco di tempo, è stato uno dei più im-
portanti decisori veterocontinentali del settore e i suoi contatti con la controparte
cinese sono stati stretti e produttivi. In particolare, il suo lavoro ha benefciato delle
politiche fscali e monetarie adottate da Pechino tra il 2009 e il 2015 in occasione
della crisi fnanziaria globale. Tra queste spiccano il mantenimento del tasso di
cambio tra euro e renminbi, l’apertura del mercato domestico cinese agli investi-
menti dell’Ue, l’aumento delle importazioni di merci europee e italiane. Su impulso
della Banca centrale europea (Bce), la Cina ha anche iniettato una grande quantità
di liquidità nei paesi veterocontinentali maggiormente colpiti dalla crisi. Pechino
ha adottato un pacchetto di stimoli pari a 4 trilioni di yuan (quasi 600 miliardi di
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ruolo importante nella strategia di Draghi. In cima alle sue priorità vi è il controllo
dell’epidemia, proposito che potrebbe alimentare la collaborazione con Pechino.
La Penisola è stata colpita duramente dal virus (ivi si contano oltre 100 mila morti)
e ciò alimenta la pressione sull’esecutivo. La diffusione della malattia non è solo
un problema sanitario, ma una seria minaccia alla sicurezza nazionale. Se Draghi
riuscirà a trainare il paese fuori da questa situazione dimostrerà la sua leadership.
In caso contrario, l’attuale governo durerebbe poco. La seconda priorità di Roma è
contrastare la recessione stimolata dell’epidemia. Da questo punto di vista l’Italia è
uno dei paesi dell’Ue che versa nelle condizioni peggiori.
Draghi è concentrato su tali problemi anziché sulla sfda rappresentata dalla
Repubblica Popolare, anch’essa focalizzata sul contenimento dell’epidemia e sulla
stabilità domestica. Per il presidente cinese Xi Jinping quest’ultimo argomento è
cruciale. Lo dimostra il fatto che il premier Li Keqiang lo abbia menzionato 64
volte nel suo rapporto durante la quarta sessione del XIII Congresso nazionale del
popolo, svoltosi dal 5 all’11 marzo 2021. I preparativi per il centesimo anniversario
della fondazione del Partito comunista cinese (1° luglio 2021, n.d.t.) sono in corso.
Intanto tengono banco argomenti politici delicati, come il terzo mandato di Xi alla
guida del paese. Copia di 7ff4322338d5bb4cc9230e84f825522c
Draghi non può esimersi dal pensare alle conseguenze strategiche del rappor-
to con la Repubblica Popolare. Per Pechino le tensioni sino-europee sono il frutto
del risentimento anticinese provato dai politici del Vecchio Continente. Inclusi i
parlamentari dell’Ue e dell’Italia, preoccupati da temi quali Xinjiang, Hong Kong,
Taiwan, dall’impatto dell’ascesa cinese sull’ordine democratico-liberale e dallo
scontro tra civiltà. È presumibile che a causa della pressione domestica e straniera
il leader italiano attenui la partecipazione del suo paese alla Bri e diventi più cauto
verso le offerte economiche della Repubblica Popolare. Tuttavia, Pechino ritiene
che Roma non chiuderà completamente le porte agli investimenti infrastrutturali
cinesi fno a quando l’Italia mostrerà carenze in tale settore. Se queste dinamiche
consentissero a Xi e a Draghi di stabilizzare le relazioni bilaterali rapidamente, ci
sarebbero le condizioni per lo svolgimento di un nuovo vertice sino-italiano nel
2022. In quel caso, le relazioni tra i due governi non si concentrerebbero sul tema
della tutela dei diritti umani, sebbene nuove critiche a Pechino su questo fronte
siano scontate. La Cina farà il possibile per agevolare tale sviluppo.
Milano
Area di test in collaborazione
con Vodafone L O M B A R D I A
PIEMONTE Segrate
Centro globale di ricerca
Torino e sviluppo per la tecnologia
Sperimentazione con Vodafone wireless 5G
per estendere la copertura
della rete 5G
TOSCANA
(Pisa-Livorno)
Centro d’innovazione e ricerca
per la sperimentazione del 5G,
in collaborazione con l’Università
dell’Aquila, presso il Tecnopolo d’Abruzzo
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L’Aquila Area di test in collaborazione
LAZIO con Tim e Fastweb
ABRUZZO (investimento di 60 milioni
di euro in 4 anni
ROMA e coinvolgimento
Telecamere di sicurezza di 52 partner)
Huawei installate al Colosseo PUGLIA
e in futuro a piazza Vittorio Bari
e nel quartiere San Lorenzo;
laboratorio Zte per la
sicurezza cibernetica Matera
BASILICATA
SARDEGNA
Poli di Huawei
Poli di Zte
Cagliari
Pula Principali basi e comandi Usa
Centro per l’innovazione congiunto e Nato in Italia
sulle smart and safe cities,
in collaborazione con il Centro di ricerca,
sviluppo e studi superiori in Sardegna (Crs4)
SICILIA
Catania
Centro per l’innovazione
in collaborazione con Tim
Niscemi
Muos - Comunicazioni satellitari
5. Draghi sarà meno cordiale di Conte, ma per Pechino resta il migliore poli-
tico italiano con cui interloquire. Nessuno tra gli esperti che abbiamo intervistato
per la realizzazione di questa analisi ritiene che il nuovo capo di governo italiano
seguirà l’esempio del premier australiano Scott Morrison, fedele seguace della
politica anticinese di Washington malgrado sia dannosa per l’interesse economico
del suo paese. 213
LA CINA TENDE LA MANO A DRAGHI
Pechino ritiene che Draghi intenda concentrarsi sugli obiettivi pratici anziché
operare sulla base dell’impulso ideologico. Insomma potrebbe seguire un approc-
cio alla Cina più razionale, sottile e «italiano»; per certi versi simile a quello della
cancelliera tedesca Angela Merkel. Per esempio, potrebbe evitare di discutere il
tema dei diritti umani, di utilizzare il commercio come arma negoziale e di san-
zionare individui e istituzioni cinesi. È improbabile che Roma abbracci in maniera
smaccata il tentativo di Biden di plasmare una coalizione coesa per bloccare l’a-
scesa della Cina.
Pechino cercherà di neutralizzare il piano di Washington consolidando i rap-
porti con gli alleati dell’America, soprattutto sul piano economico. La Repubblica
Popolare è il più grande partner commerciale di tutti i soci chiave della Casa
Bianca. Ha forgiato con loro un’interdipendenza asimmetrica e li ha attirati verso
di sé, a dispetto delle loro relazioni con gli Usa. Basti pensare al fatto che l’Ue
e in particolare l’Italia trarranno benefcio dall’accordo globale sugli investimenti
(Comprehensive Agreement on Investment, Cai) sino-europeo. Fino a quando ai
partner dell’America converrà interagire con la Repubblica Popolare, gli sforzi di
Washington per contrastare Pechino con una coalizione transatlantica non avranno
pieno effetto. L’attuale postura dell’Italia e dell’Ue sta di fatto smussando il multi-
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214
A CHE CI SERVE DRAGHI
VISTO DA WASHINGTON
DRAGHI È RARO
MA NON UNICO di Eric R. TERZUOLO
L’America è abituata all’incostanza della politica italiana. Biden
e la sua squadra hanno accolto bene il nuovo premier, ma non lo
considerano l’uomo della Provvidenza. Se non durasse, pazienza.
Purché l’Italia resti filoatlantica e democratica.
1.
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P
ER AFFRONTARE L’ATTUALE CRISI POLITICA,
economica e sanitaria l’Italia ha chiamato il proprio cittadino più stimato e credibile
su scala europea, forse mondiale: Mario Draghi. Il 12 febbraio il New York Times ti-
tolava: «Un gigante dell’Europa» 1 si prepara ad assumere la presidenza del Consiglio.
Un mese dopo, il Financial Times – di norma non tenero verso l’Italia – segnalava
con soddisfazione un’erosione dell’antieuropeismo che connota i populisti italiani 2.
Ma Draghi non ha vita facile. Giocarne la carta è stata una mossa drammatica,
che comporta dei rischi. È lecito, ancorché spero prematuro, chiedersi cosa sarebbe
dell’Italia nella sfera internazionale se fallisse. Amici e alleati si augurano di trovare
un’Italia quanto più solida, effciente e incisiva: sotto questo proflo, la scelta di
Draghi suscita ottimismo, o quantomeno speranza. Cosa si aspetta dal nuovo pre-
mier il governo statunitense? Quali le possibili conseguenze di un suo fallimento
sui rapporti tra Washington e Roma? Posso soltanto azzardare un ragionamento
personale, basato sull’esperienza. Nessun messaggio uffcioso, tra le righe.
Joe Biden si è congratulato con Draghi il 14 febbraio via Twitter 3. Il suo «I look
forward to working closely with you» è stato reso dall’Agi con: «Non vedo l’ora di
lavorare a stretto contatto con lei». Tale formulazione può sottendere una velata
critica al predecessore Conte, ma la escluderei. Il senso del messaggio inviato dal
presidente americano è che si augura e prevede di avere con Draghi uno stretto
rapporto di collaborazione, come si addice ad alleati di lungo corso. Un segnale di
continuità e di fducia, non di compiacimento per la «svolta» politica italiana. Pre-
1. J. HOROWITZ, «A Giant of Europe Prepares to Head Italy’s New Unity Government», The New York
Times, 17/2/2021.
2. M. JOHNSON, D. GHIGLIONE, «Italian politics begins to learn to love Europe again», Financial Times,
18/3/2021.
3. twitter.com/POTUS/status/1361051528614789123 215
VISTO DA WASHINGTON, DRAGHI È RARO MA NON UNICO
vedibile e rassicurante pure l’ordine del giorno segnalato dalla Casa Bianca: appro-
fondire ulteriormente il rapporto bilaterale, collaborare durante la presidenza italia-
na del G20, affrontare insieme le sfde globali, dal Covid-19 al clima.
Rassicuranti i successivi contatti tra il segretario di Stato Tony Blinken 4 e il
consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan 5 e le controparti italiane: il ti-
tolare degli Esteri Luigi Di Maio e il consigliere diplomatico di Draghi, l’ambascia-
tore Luigi Mattiolo. Blinken si è trovato il 22 febbraio a comunicare le condoglian-
ze degli Stati Uniti per l’uccisione in Congo dell’ambasciatore italiano Luca Attana-
sio, cordoglio ribadito il 2 marzo da Sullivan. Blinken e Sullivan hanno sollevato
altri argomenti: il sostegno alla coalizione contro lo Stato Islamico (Is) e alle auto-
rità transitorie incaricate di guidare la Libia fno alle elezioni del prossimo dicem-
bre. Con Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito, l’Italia ha infatti sottoscritto
l’11 marzo una dichiarazione 6 di sostegno alle nuove autorità libiche e una con-
danna 7 di determinate azioni dei ribelli õûñø nello Yemen. Roma fgura insomma
tra i principali alleati degli Stati Uniti.
Non si scorgono a Washington attenzione o preoccupazione particolari per il
rapporto bilaterale con Roma, ovvero per lo scenario italiano interno. E non perché
ora a Palazzo Chigi sieda Draghi: il rapporto Italia-Stati Uniti è in prima istanza un
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rapporto tra Stati e fnché permane una generale compatibilità tra i due paesi esso
non vedrà sostanziali modifche. L’Italia è tra i pochi paesi con cui l’America abbia
un rapporto a 360 gradi, il che conferisce allo stesso grande stabilità, proteggendo-
lo dalle futtuazioni politiche – a Washington come a Roma.
4. «Secretary Blinken’s Call with Italian Foreign Minister Di Maio», U.S. Department of State, 22/2/2021.
5. «Statement by NSC Spokesperson Emily Horne on National Security Advisor Jake Sullivan’s Call
with Luigi Mattiolo, Diplomatic Advisor to the Italian Prime Minister», The White House, 2/3/2021.
6. «Joint Statement by France, Germany, Italy, the United Kingdom, and the United States on an Inte-
rim Government of National Unity in Libya», U.S. Department of State, 11/3/2021.
7. «Joint Statement of the Governments of France, Germany, Italy, the United Kingdom, and the Uni-
ted States of America on Houthi Attacks», U.S. Department of State, 11/3/2021.
8. Interim National Security Strategic Guidance, The White House, marzo 2021.
9. D. SEVASTOPULO, T. MITCHELL, «US and China trade barbs at start of Alaska meeting», Financial Times,
19/3/2021.
10. «Foreign Threats to the 2020 US Federal Elections», National Intelligence Council, Intelligence
Community Assessment, 10/3/2021.
11. B. GITTLESON, «Biden talks Cuomo, Putin, migrants, vaccine in ABC News exclusive interview», ABC
216 News, 17/3/2021.
A CHE CI SERVE DRAGHI
Defense
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Roma
College
Gaeta
- Allied JFC Napoli
- Navaf
- Marina
VI Flotta
Per affrontare tali sfde, la Casa Bianca cerca la solidarietà dei paesi democra-
tici, espressa in prima istanza attraverso le collaborazioni multilaterali. Non a caso
il primo vertice 12 multilaterale di Biden è stato con Australia, Giappone e India
(nell’ambito del Quadrilateral Security Dialogue, Quad) per coordinare le politiche
12. J. RUWITCH, M. KELEMEN, «Biden and “Quad” Leaders Launch Vaccine Push, Deepen Coordination
Against China», National Public Radio, 12/3/2021. 217
VISTO DA WASHINGTON, DRAGHI È RARO MA NON UNICO
riguardo alla Cina. La successiva missione in Giappone e in Corea del Sud del se-
gretario di Stato Blinken e del segretario alla Difesa Lloyd Austin 13 aveva lo stesso
scopo. In Asia manca l’equivalente di Nato e Unione Europea, i meccanismi di
cooperazione per affrontare Pechino sono ancora in cantiere.
Molto più consolidate le istituzioni europee e transatlantiche. La Interim Natio-
nal Security Strategic Guidance promette un rinnovato impegno verso l’Europa,
dove l’America conserverà una signifcativa presenza militare. Tra i primi colloqui
internazionali di Biden dopo l’insediamento c’è stato infatti quello con il segretario
generale della Nato Jens Stoltenberg 14. Indicative anche le iniziative per mettere fne
alla guerra commerciale con l’Europa iniziata da Donald Trump 15. In un momento
dove preme segnalare modifche sostanziali alla politica estera americana, sfruttare
le geometrie multilaterali ha senso. Ma in condizioni normali, i rapporti multilaterali
e bilaterali scorrono su binari paralleli. E questo dovrebbe manifestarsi col tempo.
Non sappiamo esattamente quali sfde Italia e Stati Uniti si troveranno ad af-
frontare insieme nel prossimo periodo. Biden e la sua squadra sono per certi versi
innovativi, specie sotto il proflo dello stretto collegamento tra politica estera e si-
tuazione interna statunitense 16. La politica estera deve servire gli interessi del ceto
medio americano, favorendo le esportazioni e in tal modo creando lavoro. Non si
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può escludere che ciò porti a qualche attrito con paesi amici ma concorrenti sul
piano commerciale. Non sembrano però all’orizzonte grosse modifche delle rela-
zioni tra Stati Uniti e Italia.
Le decisioni diffcili e sgradite a molti che il governo Draghi sta prendendo pa-
lesano tuttavia il rischio di sconvolgimenti politici sul versante italiano prima della
fne naturale della legislatura, nel 2023. Quale potrebbe essere l’impatto sui rapporti
con gli Stati Uniti di un’ennesima crisi di governo che ponga fne all’esecutivo Dra-
ghi? Dipenderebbe dalla natura della crisi. In Italia ci sono crisi politiche «ordinarie»
e «straordinarie». Del primo tipo ne abbiamo viste moltissime dal secondo dopoguer-
ra: sono crisi risolvibili con rimpasti di governo o cambiamenti della maggioranza
che lo sostiene, anche signifcativi. Ma non mettono a rischio il sistema politico-isti-
tuzionale, non comportano il rifuto delle regole (anche non scritte) e dei valori
fondamentali. Nell’ottobre 1998 l’arrivo a Palazzo Chigi di Massimo D’Alema, un ex
comunista, poteva apparire una svolta drammatica, ma l’avvicendamento avvenne
nel pieno rispetto delle norme e della prassi politiche e fu ben accolto a Washington.
13. «Travel to Tokyo, Seoul, and Anchorage, March 15-19, 2021», U.S. Department of State, marzo
2021.
14. «Readout of President Joseph R. Biden, Jr. Call with Secretary General Jens Stoltenberg of NATO»,
The White House, 26/1/2021.
15. «U.S. and EU agree to suspend tariffs amid hopes of a “fresh start” from the bruising Trump trade
wars», The Associated Press, 6/3/2021.
218 16. J.R. BIDEN JR., «Why America Must Lead Again», Foreign Affairs, marzo-aprile 2020.
A CHE CI SERVE DRAGHI
ritengo improbabile, non credo che l’Italia repubblicana sia all’ultima spiaggia. Ma
certo uno scenario di drammatica esasperazione e crollo di fducia nel sistema po-
litico e nelle istituzioni, con conseguente ricerca di nuove soluzioni, desterebbe
preoccupazione e incertezza in America. Ai governi stranieri, incluso quello statu-
nitense, interessa poco se gli italiani votino con il proporzionale, l’uninominale o
in altro modo: sono tutti sistemi compatibili con la democrazia. Ma forse gli eletto-
ri sono stuf di bricolage istituzionale e cercano rimedi più drastici.
Qualora una crisi del governo Draghi sfociasse in un tentativo su vasta scala di
ridisegnare il sistema politico, le istituzioni e la sottostante flosofa politica del
paese, entreremmo nel campo dello straordinario. Tale scenario imporrebbe non
soltanto agli Stati Uniti, ma a tutti gli amici e gli alleati dell’Italia una seria rifessio-
ne. La domanda sarebbe semplice: «L’Italia è ancora una democrazia?» Domanda
lecita, perché su basi legali (nel caso dell’Ue) e politiche (in ambito Nato) la soli-
darietà è fondata sulla condivisione di valori e norme fondamentali.
È forse comprensibile che chi, come il sottoscritto, ha vissuto il recente tenta-
tivo di sovvertire la democrazia negli Stati Uniti sia particolarmente sensibile alla
vulnerabilità della stessa nell’attuale frangente storico. In America la lotta per difen-
dere la democrazia è tuttora in corso, anche se per almeno quattro anni avremo
alla Casa Bianca un democratico (con la «d» minuscola).
Di fondo, credo al sincero spirito democratico della maggioranza degli italiani,
ma se sciaguratamente l’Italia decidesse di superare i limiti della democrazia si
troverebbe in grave diffcoltà nei rapporti internazionali, a cominciare da quelli con
gli Stati Uniti. Al momento appaiono comunque molto più probabili un prosegui-
mento del governo Draghi o un’eventuale crisi sgradevole ma «ordinaria». Dubito
seriamente che a Washington qualcuno tema, al momento, uno scenario diverso. 219
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FABRIZIO AGNOCCHETTI - Analista fnanziario indipendente. Già analista di macroecono-
mia e geopolitica, consulente agli investimenti e partner di Sgr indipendente.
ROSARIO AITALA - Presidente di Sezione della Corte penale internazionale. Consigliere
scientifco di Limes. Professore di Diritto internazionale penale alla Luiss Guido
Carli.
LUCA BERGAMO - Già vicesindaco e assessore alla Crescita culturale di Roma.
EDOARDO BORIA - Geografo al dipartimento di Scienze politiche dell’Università La Sa-
pienza di Roma, è titolare degli insegnamenti di Geografa e di Geopolitica. Consi-
gliere scientifco di Limes.
SABINO CASSESE - Giudice emerito della Corte costituzionale.
ALBERTO DE SANCTIS - Giornalista, consigliere redazionale e responsabile per la geopo-
litica dei mari di Limes, analista presso l’uffcio Analisi & strategie di Utopia.
LUCA DI SCIULLO - Presidente del Centro studi e ricerche Idos.
DARIO FABBRI - Giornalista, consigliere scientifco e coordinatore America di Limes.
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222
La storia in carte
a cura di Edoardo BORIA
diplomatiche, nei testi degli accordi internazionali, negli allegati cartografci e altro,
si devono capire i concetti geografci chiave e le relative immagini che (…) gli uomi-
ni di governo più o meno consapevolmente acquisiscono e diffondono quando con-
cepiscono, mettono in opera e giustifcano le loro politiche estere» (A. HENRIKSON,
«The Geographical Mental Maps of American Foreign Policy Makers», International
Political Science Review, vol. 1, n. 4, p. 509).
È coincidenza di buon auspicio per i cultori della disciplina che mentre Mario
Draghi nasceva (3 settembre 1947) vedeva la luce anche la prima opera italiana inti-
tolata Atlante geopolitico (Istituto Geografco De Agostini, 1947). Ma da quel momento
la parola divenne tabù per molti anni. L’ombra oscura della compromissione con i
regimi totalitari del Novecento fece sì che nessuno la usasse più. In nessuna parte del
mondo. In Italia non scampò all’epurazione postfascista, che pure risparmiò tante f-
gure coinvolte con il regime ben più della geopolitica, la quale invece, sventurata,
venne espulsa non solo dall’accademia ma anche dai circuiti dell’informazione.
Ma siccome smettere di studiare la geopolitica non signifca farla scomparire
magicamente dalla pratica politica, tentare di sopprimerla per convenzione risultò
vano. Quindi, dopo un po’, la forza della ragione suggerì all’Istituto Geografco De
Agostini di tornare a usare quel nome e nel 1962 uscì un altro Atlante geopolitico.
Probabilmente il fenomeno che convinse dell’utilità di riproporre agli italiani un
tale vocabolo nel catalogo della popolare casa editoriale fu la decolonizzazione,
che proprio in quegli anni portava all’indipendenza decine di nuovi Stati africani
e asiatici. Non la Libia, però, che l’indipendenza l’aveva ottenuta già nel 1951 per
effetto differito della sconftta del colonizzatore italiano nella seconda guerra mon-
diale e dopo una breve gestione fduciaria inglese (su Tripolitania e Cirenaica) e
francese (sul Fezzan). Così, già nell’edizione del 1947 dell’Atlante geopolitico la ta-
vola della Libia non portava più i segni evidenti della dominazione straniera. 223
La visione dell’altro nell’immaginario collettivo, però, non si cancella di colpo.
Tanto che, ancora nell’edizione del 1962, rimanevano nella carta tracce del fascismo
(fgura 4): sia nelle rivendicazioni a sud, dove la marcata linea viola penetra in un
territorio che non è mai stato Libia, sia nelle reminiscenze toponomastiche latine,
che accanto a Tripoli e Homs riportano i loro epiteti latini di Oea e Leptis Magna.
Segno del profondo processo di familiarizzazione con questo paese che gli italiani
avevano subìto durante quei trentun’anni di colonizzazione. Un paese che essi stessi
avevano letteralmente inventato. Prima nei fatti con una conquista estesa all’intera
costa (fgure 5 e 6), poi anche uffcialmente unendo Tripolitania e Cirenaica in un
governatorato generale (1934). Era così nato un nuovo soggetto politico unitario su
un territorio fno a quel momento, e di nuovo oggi, privo di uno spirito nazionale e
di un potere unifcato. Ma anche successivamente, e perfno dopo la brutale cacciata
nel 1970 di migliaia di italiani lì residenti, Italia e Libia hanno conservato relazioni
intense, quasi sempre amichevoli se non cordiali.
Si potrebbe pensare che sia tutto merito – o colpa secondo opposto punto di vista
– di interessi materiali e diretti. Come l’approvvigionamento energetico e il respingi-
mento dei migranti. Ma nessuno dei due era presente quando la colonizzazione iniziò.
Anzi, la migrazione andava in direzione inversa rispetto a oggi, da nord verso sud, con
piena soddisfazione del governo italiano. Allora se ne deduce che gli interessi materia-
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