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Università degli Studi di Napoli Federico II

Corso di laurea magistrale in Architettura 5UE

Corso di
Teorie e storia del restauro (C)
a.a. 2020-2021

Prof. Andrea Pane


Professore Associato di Restauro
andrea.pane@unina.it
Interventi sulle fabbriche antiche
dall’età classica
alla tarda età imperiale
Instauratio est renovata creatio

«I Romani ricostruivano, non restauravano, e la prova è


che il latino non ha una parola corrispondente alla nostra
parola restauro, con il significato che le si attribuisce
oggi. Instaurare, reficere, renovare, non significano
restaurare, ma ripristinare, fare di nuovo. Quando
l’imperatore Adriano pretese di rimettere in buono stato
un gran numero di monumenti della Grecia antica e
dell’Asia Minore, procedette in un modo che oggi
solleverebbe contro tutte le società archeologiche
dell’Europa, benché egli pretendesse di avere conoscenze
di archeologia. Non si può considerare il ripristino del
Tempio del Sole a Baalbek come un restauro, ma come
una ricostruzione, secondo il metodo seguito nel
momento in cui questa ricostruzione aveva luogo»

(Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc, Restauration, in


Dictionnaire raisonné de l’architecture française du IX au XVI
siècle, Paris, B. Bance, 1854-1868)
Al momento dell’eruzione del 79 d.C. Pompei era un grande cantiere di restauro per la
riparazione dei danni del terremoto del 63 d.C. (secondo Tacito 62 d.C.)
Amedeo Maiuri (1886-1963)
Pompei, Antiquarium, rilievo che ritrae gli effetti del terremoto del 63 d.C. nel Foro
(dalla casa di Cecilio Giocondo)
Pompei, Antiquarium, coppette contenenti i pigmenti per le decorazioni parietali
Stabia, Villa San Marco, affresco parietale con scena di cantiere,
una delle rappresentazioni più complesse finora ritrovate sulle attività edilizie nel mondo romano (I sec. d.C.)
Pompei, interventi dopo il terremoto del 63 d.C.
Pompei, interventi dopo il terremoto del 63 d.C.
Pompei, interventi dopo il terremoto del 63 d.C.
Cantonale (a sinistra) e listature (a destra) di consolidamento in opus latericium
emersi dai nuovi scavi nella regio V
(foto maggio 2019)
Pompei, interventi dopo il terremoto del 63 d.C.
Pompei, interventi dopo il terremoto del 63 d.C.
Pompei, adattamento di una domus come fullonica (lavanderia) di Stephanus
Intervento di ripristino della decorazione a intonaco di «primo stile» in una cortina muraria nei
nuovi scavi nella regio V (foto maggio 2019)
Intervento di ripristino della decorazione a intonaco di «primo stile» in una cortina muraria nei
nuovi scavi nella regio V (foto maggio 2019)
Pompei, sostituzione delle architravi del porticato del Foro.
Roma, tempio di Apollo Sosiano
Baia, statua di Domiziano-Nerva
Roma, statua di Marco Aurelio
Roma, Pantheon
Roma, Pantheon
Roma, Pantheon
Roma, Arco di Costantino
Roma, Arco di Costantino
Riuso e reimpiego dell’antico in
età medioevale
Costantino e l’editto di Milano,
313 d.C.
«Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio
Augusto, essendoci incontrati proficuamente a
Milano e avendo discusso tutti gli argomenti
relativi alla pubblica utilità e sicurezza, fra le
disposizioni che vedevamo utili a molte persone o
da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto
queste relative al culto della divinità affinché sia
consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la
libertà di seguire la religione che ciascuno
crede, affinché la divinità che sta in cielo,
qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi
dia pace e prosperità».

(Costantino e Licinio, Editto di Milano, 313 d.C.)

Testa colossale dell’imperatore


Costantino il Grande
(274-337 d.C.)
L’Avvento, che nel disegno
divino determina la caduta del
potere romano, è rappresentato
nell’iconografia della natività a
partire dal Medioevo con una
stretta relazione con le rovine
urbane, come nel dipinto
omonimo di Francesco di
Giorgio Martini (1485-90),
dove la nascita di Cristo avviene
davanti ad un arco trionfale
spezzato.
Lo stesso tema iconografico si
perpetua anche in espressioni più
popolari, come nel presepe
napoletano, testimonianza di
continuità col mondo medievale e
insieme della riscoperta delle rovine di
Ercolano e Pompei nel corso del
Settecento.
L’Europa alla caduta dell’impero romano d’Occidente
(476 d.C.)
Le Variae di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro
«Non serve a nulla consolidare qualcosa dalle fondazioni, se poi
un pregiudizio potrà distruggere ogni decisione presa: le cose
durevoli sono quelle che la prudenza inizia e la cura custodisce.
(…)
Infatti va impiegata maggior accortezza per conservare le cose che
per inventarle poiché, se la creazione merita che si celebri il suo
inizio, la lode finale si acquisisce con la custodia. (…)
A tal proposito poco tempo fa, nell’interesse dei monumenti di
Roma, nei cui riguardi avremo sempre l’infaticabile desiderio di
spendere il nostro ardore, abbiamo ingiunto, attraverso le nostre
disposizioni, di riparare i depositi di Licinio, (…) affinché
forniscano venticinquemila tegole di tassa annua. (…)
Così gli antichi imperatori ci devono a giusto titolo la loro gloria,
poiché abbiamo donato una giovinezza molto prolungata ai loro
Cariche pubbliche di Cassiodoro edifici affinché risplendessero nel loro primitivo splendore quelle
(485-580 d.C.):
cose che erano già state oscurate da una decrepita vecchiaia».
507-511 Questore
523-526 Magister Officiorum (Il re Teoderico al rispettabile Sabiniano, 506-511 d.C.)
533-536 Prefectus praetorio Italiae
Le Variae di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro
«E’ degna la costruzione di una città che è affidata alla sollecitudine reale, poiché la
gloria del regno è nel restauro delle città antiche, nelle quali si accresce l’ornamento
in tempo di pace e si prevengono le necessità della guerra.
Per questa ragione ordiniamo con la presente disposizione che chiunque abbia sul
proprio terreno pietre di ogni genere riutilizzabili per le fortificazioni urbane,
offra di buon grado e senza dilazione alcuna ciò che possiederà più efficacemente
quando sarà stato donato nell’interesse della sua città. (…)»
(Il re Teoderico a tutti i Goti e i Romani, 507-511 d.C.)

«Non» è opportuno che resti a terra inutilizzato ciò che può servire ad accrescere il
decoro e la cittadinanza (…). Per questo motivo, la tua illustra sublimità faccia in
modo che i blocchi di marmo squadrati che sono stati lasciati abbandonati un po’
ovunque siano destinati a coloro che sono stati incaricati della ricostruzione dei
muri, affinché l’antico edificio ritorni un ornamento pubblico e le pietre che ora
giacciono a terra, dopo essere state rovine, siano di qualche decoro. Agisci,
tuttavia, per informarti in modo inequivocabile che i materiali in questione
provengano da edifici pubblici; poiché noi, che detestiamo che il decoro della città sia
macchiato dall’illegalità, non vogliamo infliggere un danno agli interessi dei privati».

(Il re Teoderico all’illustre conte Suna, 507-511 d.C.)


Le Variae di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro
«Se a lode della nostra benevolenza vogliamo conservare le meraviglie
dell’antichità di cui sentiamo parlare (…) con quale passione è bene riparare
ciò che a maggior ragione si offre più frequentemente ai nostri occhi?
Non trasmettere tali benefici alla posteri è una colpa che pesa sul futuro. (…)
Perciò laggiù si rinnovi l’antica solidità degli edifici in modo che, se vi fosse
qualcosa da riparare sia nelle condutture che nelle terme, provvedi a
ricostruirla immediatamente. Bisogna inoltre rimuovere i cespugli che
crescono per un colpevole abbandono e strappare i loro ceppi per evitare
che le ramificazioni delle radici, gonfiandosi poco a poco, s’infilino nelle
viscere degli edifici e come le vipere nutrano una prole a sé contraria che
farebbe scoppiare dall’interno le opere murarie vacillanti.
Consolida con una riparazione durevole anche il palazzo scosso da una lunga
vecchiaia. Dissoda la vegetazione molto ispida dello spazio che si estende fra
l’edificio pubblico e la sorgente della fonte termale.
Ma chi, anche se avvilito da un’estrema parsimonia, potrebbe tralasciare di
conservare tutto questo?»

(Il re Teoderico all’architetto Aloisio sulla conservazione delle terme di Apono in


Abano presso Padova, 507-511 d.C.)
Le Variae di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro
«Il nostro proposito è sicuramente di costruire il nuovo ma ancor più di
conservare l’antico [nova construere, sed amplius vetusta servare], poiché
possiamo ottenere dalle cose conservate non minore gloria che da quelle
create nuove. Di conseguenza desideriamo edificare il moderno senza
pregiudizio per gli edifici anteriori: in effetti, non è ammissibile per la nostra
giustizia accettare una cosa che avviene a scapito di un’altra.
Perciò abbiamo scoperto che giacciono a terra nel vostro municipio colonne e
pietre inutilizzate e abbattute dal peso della loro vetustà e, poiché a nulla
serve conservare materiali a terra in modo indecoroso, essi devono rialzarsi
per far rivivere, a memoria dei secoli precedenti, l’ornamento piuttosto che
mostrarne la sofferenza.
Per questa ragione decretiamo con il presente ordine che, se la testimonianza
di coloro che fanno questo rapporto è vera e se nulla può attualmente servire
all’ornamento pubblico, ci consegni le lastre e le colonne su menzionate
perché siano traportate con ogni mezzo sino alla città di Ravenna, affinché ai
materiali crollati sia restituito nuovamente l’aspetto dimenticato con la
migliore maestria e, quanto era stato oscurato dall’abbandono, possa ritrovare
la qualità dell’antico splendore»

(Il re Teoderico ai possessori, difensori e curiali stabiliti a Estuni, 507-511 d.C.)


Lettera di Belisario a Totila (546 d.C.)

«Di tutte le città sotto il sole Roma è la più grande e la


più bella (…)
E’ questa città, quale tu ora la vedi, edificata a poco a
poco, che quegli uomini lasciarono ai loro posteri, a
simbolo della cultura del mondo.
Perciò colui che rovinasse tante grandezze, si
renderebbe reo di un grave delitto verso tutti gli uomini
del futuro perché priverebbe gli avi dei monumenti del
loro valore e ai nepoti impedirebbe di godere la vista
delle eccelse opere degli antenati (…)
Distruggendo Roma non perdi una città di altri, tu perdi
la tua stessa città».

(Procopio di Cesarea, La guerra gotica, III, 22)


J. L. David, Belisario riconosciuto, olio su tela, 1781,
Museo di Belle Arti di Lille.
L’Italia longobarda e bizantina,
dalla guerra gotica all’VIII secolo
Agrigento, tempio della Concordia
Siracusa, Cattedrale
Siracusa, Cattedrale
Siracusa, Cattedrale
R. De Saint Non, Voyage pittoresque de Naples et de Sicile, Paris 1781,
Siracusa, la Cattedrale dal lato nord
Siracusa, Cattedrale
Siracusa, Cattedrale
Siracusa, Cattedrale
Atene, Partenone
Atene, pianta del Partenone
Atene, pianta del Partenone dopo la trasformazione in basilica cristiana al tempo dell’imperatore Giustiniano (527-565)
Veduta dell’Acropoli dai Propilei (1838)
L’Acropoli nel 1860
Istanbul (Costantinopoli) – cisterna di Giustiniano, 532 d.C.
Istanbul (Costantinopoli) – cisterna di Giustiniano, 532 d.C.
Roma, chiesa di San Lorenzo in Miranda
Roma, chiesa di San Lorenzo in Miranda
Napoli, via Anticaglia
Napoli, chiesa di San Paolo Maggiore Napoli, chiesa di San Giovanni Maggiore
Napoli, chiesa di San Giovanni Maggiore
Aquisgrana (Aachen), Duomo, primo nucleo della cappella palatina a pianta ottagonale,
reimpiego di colonne provenienti da Roma voluto da Carlo Magno (786-796)
San Guglielmo al Goleto, torre Febronia (foto anni 1980)
San Guglielmo al Goleto, torre Febronia (foto 2017)
San Guglielmo al Goleto, torre Febronia (foto 2017)
Sant’Angelo dei Lombardi,
cittadella monastica di San Guglielmo al Goleto
Avellino, capitello nel Duomo
Napoli, capitelli della chiesa di San Giovanni a mare
Avellino, campanile del Duomo
Venosa, area archeologica romana e abbazia della Trinità
Venosa, abbazia della Trinità, la chiesa normanna «incompiuta»
Venosa, abbazia della Trinità, la chiesa normanna «incompiuta»
Venosa, abbazia della Trinità, la chiesa normanna «incompiuta»
Venosa, abbazia della Trinità, la chiesa normanna «incompiuta»
Pisa, sarcofago nel Camposanto Modena, portale del Duomo
Miniatura raffigurante l’inizio
dei lavori del Duomo di Modena Campanile della Pietrasanta
Campanile della Pietrasanta
«Sei tutta in rovina, o Roma, eppure nulla ti è
pari; e anche così, in frammenti, insegni quanto
tu fossi grande, quando eri intera. […] E’ caduta
quella città della quale, se cerco di dirne
qualcosa di degno, solo queste parole mi
vengono in mente: Roma fuit! Eppure né il
tempo né il fuoco né la spada poté cancellare del
tutto questo splendore […]. Quel che è ancora in
piedi è tanto grande, e tanto grande quel che va
in rovina, che non è possibile né uguagliare i
monumenti superstiti, né rifare quelli che vanno
crollando. Persino gli dei si volgono a Roma per
guardare il loro stesso aspetto, e desiderano
raggiungere la bellezza che gli artisti han dato
loro nelle statue»

(Ildeberto di Lavardin (1056-1133), Versus de Roma)


Roma, casa dei Crescenzi
Paros (Grecia), fortezza
Castel del Monte
Castel del Monte
Castel del Monte
Castel del Monte
Castel del Monte
Roma, l’arco di Tito inglobato nelle fortificazioni dei Frangipane
Saepinum, teatro
Catania, teatro
Lucca, anfiteatro
Venafro, anfiteatro
Hortatoria di Francesco Petrarca a Cola di Rienzo
(1347)
«Coloro per i quali voi avete tante volte sparso il vostro sangue
[…] dopo essersi impossessati delle rocche, delle pubbliche
ricchezze, dei quartieri della città, […] diedero l’assalto ai
ponti, alle mura e persino alle lapidi innocenti. E poi, infine,
incrudelirono sui palazzi crollati per vetustà o per violenza,
dimore, un tempo, di uomini illustri; poi sugli spezzati archi
trionfali che videro forse la rovina dei loro antenati; né si
vergognano di fare vile mercato e turpe guadagno dei
frammenti delle stesse antichità e della loro propria barbarie.
E così ora – dolore, vergogna! – le vostre marmoree colonne, le
soglie dei vostri templi, cui convenivano devotamente siano a
ieri le folle di tutto il mondo, le immagini dei vostri padri,
adornano Napoli neghittosa. E taccio il resto. Così a poco a
poco le rovine stesse se ne vanno, così se ne vanno ingenti
testimonianze della grandezza degli antichi. E voi, tante
migliaia di forti, taceste di fronte a pochi ladruncoli che
infuriavano la Roma come in una città conquistata; taceste non
dico come servi, ma come pecore, e lasciaste che si facesse
strazio delle membra della madre comune […]».

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