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Cresce il razzismo in Rete: cosa rischia chi insulta

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Cresce il razzismo in Rete: cosa rischia chi insulta online

Aumenta l'odio nei confronti di ebrei e musulmani. E i social sono il canale che più
catalizza l'intolleranza. Ma a cosa va incontro chi infrange la legge sul web? Dalla
diffamazione all'uso dei fake: il punto.

Cresce il razzismo su internet in Italia e i social diventano il canale preferito nel quale
sfogare la propria aggressività e intolleranza. A dirlo sono i dati di un’indagine
condotta da Vox, l’Osservatorio italiano dei diritti, secondo cui l’odio nei confronti dei
migranti è cresciuto del 15,5% in un anno. Un messaggio su tre tra quelli veicolati in
particolare tramite Twitter ha come destinatario uno straniero. Una conferma è
arrivata anche dal recente caso del professore di Pavia, autore di tweet omofobi e
razzisti.

Tra i cinguettii del docente, designato e poi rimosso dall’incarico di presidente della
commissione di maturità al liceo scientifico “Copernico”, c’erano frasi choc come:
«Anch’io ho incontrato una risorsa ‘negro’ sulla tangenziale ovest di Milano che andava
in bicicletta sulla corsia di emergenza contromano. Spero che l’abbiano travolto».

RAZZISMO: CRESCE L’ODIO CONTRO GLI EBREI

Università Statale di Milano, Sapienza di Roma, Università di Bari e Dipartimento di


sociologia dell’Università Cattolica di Milano hanno realizzato uno studio intitolato
la Mappa dell’intolleranza, giunto alla quarta edizione. Analizzando i messaggi su
Twitter nel periodo tra marzo e maggio 2019 – in piena campagna elettorale – è
emerso che il 66,7% dei cinguettii aveva come oggetto parole di odio contro i migranti. In
aumento (+6,4%) anche post razzisti nei confronti degli ebrei, che nel 2018 erano
“quasi inesistenti”, mentre a inizio 2019 sono arrivati a 15.200.A livello geografico, si
concentrano soprattutto a Roma e Milano.

Aumentano anche i messaggi di intolleranza religiosa contro i musulmani


(+7%)

In aumento, poi, anche i messaggi di intolleranza religiosa contro i musulmani (+7%).


Ma tra i destinatari di cosiddetti hate speech, messaggi di odio, non sono risparmiate
neppure le donne (+1,7%). In controtendenza, invece, i cinguettii che hanno come
bersaglio gli omosessuali (-4,2%). Secondo i curatori dell’indagine il motivo è da
ricercarsi negli effetti della legge Cirinnà. Che ha contribuito a ridurre le
discriminazioni nei confronti di gay e lesbiche. Ma cosa rischia chi insulta o discrimina
online?

La diffamazione a mezzo social sta crescendo di pari passo con la diffusione di


Twitter, Facebook o WhatsApp. Commentare in modo pesante, diffamare, girare frasi,
ma anche filmati e foto di persone a loro insaputa, sono però tutti comportamenti
puniti dalla legge. La diffamazione, ossia l’offesa della reputazione di una persona non
presente (art. 595 del codice penale), se avviene ad esempio su Facebook, prevede
l’aggravante del “mezzo di pubblicità” costituito dal social in questione ed è punita fino
a tre anni di reclusione.

BOOM DELLA DIFFAMAZIONE A MEZZO SOCIAL


SI PUÒ ESSERE PUNITI ANCHE PER UN “LIKE”
«Nei post che contengono insulti razzisti, c’è anche l’aggravante dell’odio razziale,
prevista dalla legge Mancino, che fa aumentare la pena fino a quattro anni e mezzo»,
spiega Marisa Marraffino, avvocato specializzato in reati commessi su internet e il
mondo digitale. «Attenzione, perché si tratta di un reato perseguibile d’ufficio:
chiunque può segnalarlo e far partire un procedimento».

Anche mettere “like” o commenti a post offensivi può essere pericoloso. Si può
incorrere nello stesso reato di diffamazione, ma in “concorso morale”. «In questo caso
si parla di contributo agevolatore, perché i commenti sui social a contenuti di odio
rimangono leggibili da più persone», spiega ancora l’esperta. Gli apprezzamenti
pesanti via sms, persino nelle chat private o solo tra due utenti, possono prevedere la
configurazione del reato di ingiuria, ora depenalizzato. Non è più un reato penale, ma
può prevedere una richiesta di risarcimento danni in sede civile. Inoltrare email altrui,
invece, è un altro tipico caso in cui non è ammessa privacy. Così come per i messaggi
WhatsApp e social, le email possono diventare elementi probatori importanti in un
procedimento perché considerati “corpo del reato”. Sia sotto forma di screenshot sia
tramite il cellulare stesso.

È reato creare un profilo falso (un “fake”), per mettersi in contatto con
qualcuno

In aumento sono anche i reati di minaccia e violenza privata, amplificati dal fatto di
essere spesso ripresi con un telefonino e potenzialmente diffusi su internet. «Altri
reati in aumento sono quelli che riguardano l’accesso abusivo a un sistema
informatico (ad esempio impossessandosi della password di un amico o di una
fidanzata, per spiarne il profilo), di stalking o atti persecutori, previsti dall’articolo 612
bis e puniti fino a quattro anni. In questo caso le frasi, che possono anche essere
d’odio, spingono spesso il destinatario a dover chiudere il proprio profilo social per
non ricevere offese, insulti o comunque messaggi sgraditi». Infine, spiega Maraffino,
«è reato creare un profilo falso (un “fake”), per mettersi in contatto con qualcuno. In
questo caso il reato può essere sostituzione di persona per aver falsificato la propria
identità ed è punibile in base all’articolo 615 del codice penale fino a tre anni».

IL CASO DEI MINORI: LA VARIABILE DELL’ETÀ

Se gli adulti sono spesso protagonisti di insulti via social (che non risparmiano il
mondo della politica) questi reati sono in aumento anche tra i giovanissimi. «Se il
minore ha più di 14 anni deve rispondere della sua condotta davanti al Tribunale dei
minori, che spesso decide per la messa in prova, soprattutto per responsabilizzare il
ragazzo», conclude Maraffino. «Se invece è minore di 14 anni si procede di frequente
con il cosiddetto perdono giudiziale, specie se si tratta della prima volta. Vengono
comunque allertati i servizi sociali e resta la responsabilità civile dei genitori: i danni
devono essere sempre risarciti da padre e madre».

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