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Biancospino
Che cos’è
Il biancospino (Crataegus oxyacantha o monogyna) è un arbusto comune che cresce spontaneamente nelle zone
temperate dell'emisfero nord (Europa, Asia, America).
Per secoli, è stato usato per delimitare i campi. È dotato di spine, e forma siepi ornamentali per i suoi bei fiori
bianchi in primavera e le bacche rosse che maturano in inverno.
L’attività
Dai fiori e dalle foglie essiccati si ricavano flavonoidi e proantocianidoli. I primi sono potenti antiossidanti e
“spazzini” dei radicali liberi, utili nella prevenzione di malattie cardiovascolari e infiammatorie.
Insieme ai proantocianidoli, famiglia di polifenoli che appartiene alla classe dei flavonoidi hanno funzioni
cardioprotettiva, sedativa e antiradicalica.
Azione cardioprotettiva: i flavonoidi inducono dilatazione dei vasi sanguigni addominali e, soprattutto, di
quelli coronarici che portano il sangue al cuore, con conseguente riduzione della pressione arteriosa. Utile nei
casi di ipertensione arteriosa, lieve o moderata, specie se di origine nervosa
Il biancospino diminuisce anche in modo sensibile la frequenza dei battiti del cuore, rivelandosi utile
nell’angina e in tutti i disturbi dovuti a ipereccitabilità del cuore.
Studi clinici hanno dimostrato che nello scompenso cardiaco l'estratto secco titolato di biancospino può ridurre
la frequenza cardiaca, il gonfiore alle caviglie e la pressione arteriosa con riduzione dei sintomi di sofferenza
senza la comparsa di effetti collaterali.
Azione sedativa: i tannini e i flavonoidi contenuti nel biancospino agiscono a livello del sistema nervoso
centrale, risultando utili soprattutto nei pazienti molto nervosi, nei quali riduce l'emotività, lo stato di tensione e
migliora il sonno.
Perché si usa
È utile in caso di tachicardia e di nervosismo e ipereccitabilità che hanno ripercussioni a livello del cuore.
Leggi anche la risposta del nostro esperto di fitoterapia, a un utente, sul tema Biancospino nell'ansia con
attacchi di panico.
Come si usa
Il biancospino è impiegato sotto forma di estratto secco nebulizzato e titolato in vitexina (minimo 0,7% secondo
la Farmacopea italiana) la cui dose è di 500-1.000 milligrammi al giorno da assumere lontano dai pasti per
almeno 6 settimane.
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Secondo la Farmacopea francese X, invece, il minimo sale a 1,5% e la dose giornaliera varia da 9 a 13
milligrammi per chilogrammo di peso corporeo, suddivisi in due o tre somministrazioni (sempre lontano dai
pasti).
Effetti indesiderati
Gli effetti indesiderati sono rari e riguardano principalmente disturbi allo stomaco, soprattutto in pazienti affetti
da gastrite e ulcera peptica. Questi disturbi, comunque, cessano sospendendo l’assunzione di biancospino.
Precauzioni
Il biancospino deve essere usato con prudenza se la frequenza cardiaca è inferiore a 60 battiti al minuto
(bradicardia) e nei disturbi della conduzione dello stimolo elettrico nel cuore. Non va usato durante la
gravidanza e l’allattamento.
Interazioni
Potenzia gli effetti della digitale (Digitalis purpurea, pianta erbacea biennale) sul cuore e amplifica l’azione dei
farmaci betabloccanti.
L'infuso ottenuto con i fiori o il decotto con i frutti rappresentano un ottimo anti
infiammatorio per bocca e gengive utilizzandoli per risciacqui e gargarismi.
Esiste anche qualche controindicazione nell’uso del biancospino. Si sconsiglia di utilizzarlo durante la
gravidanza e il periodo di allattamento, inoltre non va somministrato ai bambini ed è opportuno
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assumerlo sotto controllo di un medico se si soffre di aritmie; inoltre l’utilizzo di biancospino può entrare
in contrasto con i farmaci a base di digitalina.
IPERTENSIONE
Auricularia, Cordyceps, Reishi e Polyporus: decine di ricerche Scientifiche prodotte dimostrano il miglioramento di
chi soffre di pressione arteriosa elevata, con la Micoterapia ed in primis con Auricularia e Cordyceps, che sono i funghi
salutari più ricchi di principi tonici del cuore e della circolazione.
Alcuni studi scientifici hanno anche dimostrato tracciati elettrocardiografici (ECG) migliori.
Di conseguenza il medico che verifica questa evoluzione positiva spesso riduce gradualmente le terapie chimiche
convenzionali.
E così le sensazioni percepibili dalle persone, sottoforma di maggior energia e benessere cardiaco corrispondono a dati
obiettivi di pressione e di ECG sani.
Principi attivi :
- l’adenosina e la guanosina agiscono: (Reishi e Auricularia) con azione di vasodilatazione significativa, che riduce
la pressione arteriosa e spesso la normalizza nei casi lievi e borderline. In un periodo di anche di 2 o 4 settimane è
possibile vedere i risultati interessanti ed altri con azione fluidificanti del sangue con l’attività inibitoria dell’aggregazione
piastrinica.
- Alcuni Terpenoidi: (Reishi) possiedono proprietà ACE-inibitorie perché vanno a riequilibrare le cellule che si
trovano a livello dei meccanismi renali di regolazione, dove si trova un equilibrio tra angiotensina I° angiotensina II°, gli
enzimi convertasi ecc.
Il Reishi
In Cina è considerato un “Elisir di lunga vita” per la sua capacità di rallentare il processi di invecchiamento, ed in
particolare ha un importante azione a livello Cardiovascolare
Azione ipotensiva
Diminuzione della pressione sistolica e diastolica.
Il meccanismo di azione di ipotensivi il Ganoderma lucidum :
ha prodotto ipotensione con effetto dose-dipendente,
il meccanismo di azione ipotensiva è dovuta all’inibizione dell’attività simpatico centrale. (Lee SY., et al. 1990)
L’attività anti-ipertensiva è dovuta ai 112 triterpeni identificati, ad azione ACE-inibitrice. In particolare gli acidi
ganoderici (B, D, F, H, K, S e Y), il ganoderale A, e il ganoderolo A e B sono responsabili dell’attività ipotensiva.
Azione Antiaggregante
Per la prima volta uno studio dimostra che l’Adenosina presente nel Reishi, nella quantità di 40 mg/100 g di polvere
inibisce l’aggregazione delle piastrine.
L‘azione Antiaggregante avviene inibendo il meccanismo di induzione della trombina sull’aggregazione piastrinica.
(Akirashimizu et al. 1984) L’adenosina e la guanosina hanno attività inibitoria dell’aggregazione piastrinica.
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Il Polyporusè un diuretico risparmiatore di potassio , un disintossicante poiché favorisce la funzione del sistema
linfatico: attraverso ciò scorie e grassi possono venire meglio scomposte. Il fungo ha una funzione drenante sul linfatico.
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GUIDA TERAPEUTICA
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IL PIU' GRANDE DONO DELLA NATURA
L’ albero della vita
La storia dell’olivo è profondamente legata a quella dell’umanità e già dalle origini incarna al meglio il
ruolo di madre e padre insieme, visto che l’olivo è stato scelto, molto opportunamente, dagli altri
alberi quale pianta in grado di governare il ricco e variegato patrimonio arboreo.
Tale episodio compare in un’antica fabula contenuta nella Bibbia (Libro dei Giudici 9, 8-15), laddove
l’olivo rinuncia senza alcun tipo di esitazione a ricoprire il ruolo di “re degli alberi”, profondamente
convinto della propria utilità, di gran lunga superiore a quella di altre Specie vegetali.
Non accetta l’onore e il prestigio di una simile carica, perché preferisce semmai onorare con i suoi
preziosi nutrimenti gli dèi e gli uomini. “Madre” e “sovrana” di tutte le erbe medicinali, storia e
mitologia s’intrecciano strettamente, fino a confondersi.
E così, anche in conformità a tale premessa - e con la chiara consapevolezza che i suoi principi attivi
sono davvero in grado di infondere forza interiore e aiuto morale - anche l’olio di oliva diventa per
tutti l’olio della consacrazione.
A conferma della millenaria storia dell’olivo nel primo racconto della creazione, il regno vegetale si
presenta esclusivamente come nutrimento (Cf Gen 1,29-30) e nel secondo in modo più esplicito e
detto: “Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni soda di alberi graditi alla vista e buoni da
mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del
male” (Genesi 2,9) o v. libro del profeta Osea dove il Dio d’Israele è paragonato alla magnificenza
dell’olivo.
Sono circa 70 i versetti della Bibbia che citano l’olivo e il più noto si trova nella Genesi, quando è
narrato il diluvio e Noè lascia uscire dall’arca la colomba. Questa torna la prima volta senza aver
trovato dove posarsi, ma alla seconda uscita dopo altri 7 giorni la vede tornare la sera recando nel
becco un ramoscello d’ulivo: è il segno del riemergere delle terre fertili ospitali, ossia del perdono
divino e della ritrovata pace tra Dio e gli uomini. (Genesi VIII, Il).
“Sulle rive del Giordano crescono degli alberi che non perdono mai le foglie i cui frutti sono cibo e le
foglie medicina”.
Un versetto che indica chiaramente che gli straordinari principi attivi dell”albero della vita” sono
concentrati nelle sue foglie mentre i suoi frutti, le olive e l’olio, sono un ottimo alimento. Per gli ebrei
l’ulivo è uno dei doni più preziosi di Dio, simbolo stesso dell’Alleanza.
La pianta dell’olivo si è diffusa in tutta l’area mediterranea, dove il suo culto è consacrato da tutte le
religioni e fin dai tempi più remoti l’olivo è considerato un simbolo trascendente di spiritualità e
sacralità. Sinonimo di fertilità e rinascita, di resistenza alle ingiurie del tempo e delle guerre, simbolo
di pace e valore, rappresentando nella mitologia, come nella religione, un elemento naturale di forza
e di purificazione.
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L’olivo è presente nella storia della medicina e dell’erboristeria mediterranea da diversi millenni.
Esistono infinite testimonianze che documentano l’uso delle foglie d’olivo nella cultura Greca, Araba,
Egiziana, Romana ma il suo uso è stato da sempre limitato dal gusto “terribilmente amaro e
sgradevole” dell’infuso di foglie d’olivo che progressivamente ne ha creato il disuso.
Nella prima metà del secolo scorso, tuttavia, si è manifestata una ripresa d’interesse per il possibile
uso terapeutico dei preparati erboristici ricavati dalle foglie di questo splendido albero.
L’osservazione di alcuni rimedi popolari tradizionali ottenuti con le foglie di olivo stimolò l’interesse di
diversi studiosi e ricercatori dell’area mediterranea, quali Mazet, Daniel-Brunet e Oliviero in Francia,
De Nunno in Italia, Stamatiadis in Grecia.
Ne scaturirono studi e sperimentazioni che nei tre decenni centrali del ‘900 aprirono un ricco filone di
ricerche ed esperienze con le foglie di olivo mirate a scoprire quali sostanze consentono all’olivo di
vivere così a lungo, di resistere alle awersità dell’ambiente e di avere questa enorme “vitalità”.
L’albero dell’Olivo è straordinariamente “divino”, infatti, senza cure, pesticidi. ecc. “vive millenni” e
olivi centenari possono essere estirpati, trapiantoti e attecchiranno sempre e ovunque.
Perche? Perché nelle sue linfe scorrono sostanze attive “uniche al mondo” che lo proteggono e lo
mantengono vitale nel tempo. Molecole che la scienza sta studiando per offrirle al mondo. (albero
della vita).
Non ci sono altre piante con simili caratteristiche. L’olivo questa portentosa pianta cardine della dieta
mediterranea è stata recentemente riscoperta e rivalutata in tutto il mondo.
Un lavoro di review molto accurato e solidamente documentato sulla chimica delle foglie di olivo fu
eseguito negli anni ‘60 e riguardava i componenti principali che all’epoca erano stati individuati,
poche molecole rispetto alle centinaia, estremamente attivi che, come strumenti di un’orchestra,
presentavano un comportamento sinergico e armonico con effetti incredibilmente efficaci nella loro
capacità di radical scavenging.
Secondo lo studio di Benavente-Garcia et aI. (1999), nelle foglie di olivo studiate, sono presenti
principalmente 5 gruppi di composti fenolici:
Si cominciò così ad estrarre e a studiare alcune molecole presenti scoprendone le incredibili proprietà
e cominciò a crescere l’interesse della ricerca farmaceutica nei confronti di questi composti.
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Es. Verso la fine degli ani 1960 la Upjohn Company, importante società farmaceutica statunitense,
per decenni effettuò notevoli studi sulle capacità antibatteriche ed antivirali dell’acido elenolico per
renderlo disponibile al consumo umano. Un farmaco estremamente efficace per debellare virus e
batteri avrebbe avuto un mercato importantissimo.
Però alla fine, il “calcio elenolato” prodotto dalla Upjohn, che in vitro uccideva tutto, in vivo si fissava
sulle proteine del sangue e si rivelò assolutamente inefficace, confermando che l’efficacia era legata
al solo prodotto naturale, e la casa farmaceutica abbandonò le ricerche.
Oggi conosciamo l’efficacia di poche molecole presenti e ogni giorno università e centri ricerche,
aggiungono ulteriori scoperte legate alla sinergia di questo “miracolo della Natura”.
Tra le molecole più importanti presenti nell’olivo c’è I’IDROSSITIROSOL, un polifenolo naturale che è
il migliore antiossidante che agisce come radical scavenger coinvolto nell’inibizione dei processi di
ossidazione collegati ai fenomeni di alterazione cellulare tipici delle malattie degenerative e
dell’invecchiamento (aterosclerosi, artriti, problemi cardiovascolari). E’ ritenuto in grado di attivare la
formazione di glutatione, un forte agente antiossidante prodotto dalle nostre cellule. L’idrossitirosolo
viene estratto in forma “industriale” con processi molto laboriosi che richiedono l’uso di notevoli
quantità di solventi organici nocivi e infiammabili e adeguate apparecchiature di estrazione e di
purificazione, dalle olive, dall’olio di oliva e dalle acque di vegetazione.
L’olivuM® è ricavato dalla selezione di foglie di olivo, di origine certificata, assolutamente naturali,
totalmente prive additivi chimici, provenienti da piante secolari di un particolare “cultivar”
particolarmente ricco di oleuropeina.
OLEUROPEINA (2.656 mg/Iitro), tra le tante azioni, ostacola anche la produzione di cellule grasse nel
midollo osseo ... Con le cellule con meno grassi nel midollo osseo, c’è più spazio per il calcio di
depositare nelle tue ossa per prevenire l’OSTEOPOROSI
IDROSSITIROSOLO (213 mg/Iitro), come abbiamo già visto, agisce come radical scavenger con
capacità antiossidante confrontabile con quelle del tocoferolo e dell’acido ascorbico, coinvolto
nell’inibizione dei processi di ossidazione collegati ai fenomeni di alterazione cellulare tipici delle
malattie degenerative e dell’invecchiamento (aterosclerosi, artriti, problemi cardiovascolari). Può
esercitare effetti benefici anche a livello degli occhi, riducendo il rischio di sviluppare la
degenerazione maculare.
Sulla base delle analisi dell’università di Trieste la quantità (stabile) di idrossitirosolo in un litro di
OLIFE è pari a 213 mg/litro con un valore commerciale della sola molecola di oltre 200/300
Euro/litro. Produrre una bevanda analoga e sicuramente meno efficace con componenti acquistati,
per il solo idrossitirosolo presente, dovrebbe essere commercializzata a più di 1.000 Euro al litro.
TIROSOLO (174 mg/litro), è un potente antiossidante che porta a un miglioramento delle attività
metaboliche generali (fegato, muscoli, cuore) e intellettuali (effetto anti stress, antidepressivo,
miglior capacità mnemonica e di concentrazione). Riduzione della fatica mentale, miglioramento
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dell’attenzione, della concentrazione e delle performance intellettuali, aumento dell’efficienza fisica,
lieve effetto antidepressivo, aumento dello stato di benessere.
In sinergia con gli altri fenoli, produce un’azione dimagrante dovuta alla stimolazione di alcune lipasi
in grado di accelerare la liberazione dei grassi dai tessuti di deposito (lipolisi) per trasformarli in
grasso bruno facilmente demolito, cioè ‘bruciato’1 per produrre energia. sostanza in grado di togliere
il desiderio ossessivo di carboidrati e svolgere azione sedativa-antiansia, riducendo notevolmente la
fame ansiosa.
ACIDO ELENOLICO (1.393 mg/Iitro), come già visto in precedenza, è un antiossidante che combatte i
radicali liberi, facilita la circolazione del sangue e in vitro si è dimostrato un potentissimo antibatterico
e antivirale, eliminando qualsiasi forma batterica o virus.
Grazie all’imponente documentazione scientifica prodotta dalla Upjohn che non è riuscita a
trasformalo in farmaco, essendo presente in OLIFE con ben 1.393 mg/litro, possiamo confermare
l’efficacia di tutti i prodotti a base di OLIVUM come efficaci e potentissimi antibatterici e antivirali.
RUTINA (23] mg/litro). manifesta un’azione antiossidante superiore a quella delle vitamine C ed E
(quasi 2,5 volte maggiore), grazie alla sinergia tra flavonoidi, oleuropeosidi e fenoli sostituiti. Aiutano
a combattere varie patologie come: epatite A e B, poliomielite, influenza e anche HIV. E’ di grande
aiuto alle donne che hanno problemi con il ciclo mestruale e si è rivelata efficace anche alla presenza
di problemi circolatori, edemi, pruriti, arrossamenti, emorroidi e vene varicose. Per le sue proprietà
antiossidanti, antiaggreganti piastriniche ed antitrombotiche (rende il sangue “più fluido”), la rutina
promuove la salute cardiovascolare, ad esempio in presenza di colesterolo alto, obesità o ridotta
tolleranza al glucosio.
OLIFE è uno dei pochi integratori alimentari che può indicare in etichetta le caratteristiche
curative delle foglie d’olivo: “Metabolismo dei lipidi e dei carboidrati. Normale circolazione del sangue.
Regolarità della pressione arteriosa. “Antiossidante” perché nella Fa rmacopea ufficiale Italiana, l’olivo
Foglie fa parte dell’Elenco delle Piante Ammesse del Ministero della Salute.
Olife 1000 ml contiene 93% di OLIVUM®, l' esclusivo infuso di foglie di olivo ricco di Oleuropeina,
Acido Elenolico, Rutina e del potentissimo antiossidante Idrossitirosolo.
E' stato scientificamente provato che queste molecole hanno una funzione antiossidante, anti radicali
liberi, regolatrice della pressione arteriosa, fluidificante del sangue, vasodilatatrice, energizzante,
ipoglicemizzante, ipocolesterolizzante, regolatrice del metabolismo di lipidi e carboidrati.
Olife contiene anche Calendula Officinalis che ha un'azione emolliente e lenitiva, contrasta i disturbi
del ciclo mestruale e migliora la funzionalità del sistema digerente.
Si consiglia di consumare mezzo bicchiere al giorno (pari a 70ml) di infuso puro o diluito in acqua
minerale; il trattamento quotidiano prolungato nel tempo rappresenta una salutare abitudine.
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Olife è un prodotto certificato Vegan Ok
2. AZIONE CARDIOTONICA
L’estratto di foglie d’olivo, grazie agli antiossidanti presenti nell' olivo, svolge un’azione cardiotonica
ed antiaritmica, regolarizzando i battiti cardiaci. E’ utile in caso di angina e uno studio ha dimostrato
l’effetto cardioprotettivo dell’Oleuropeina negli eventi acuti dovuti all’occlusione coronarica. Può
contribuire a prevenire gli attacchi d’angor.
3. AZIONE VASOPROTETIVA
Altri studi suggeriscono che gli acidi grassi polinsaturi (acido alinoleico) porterebbero alla formazione
di trombaxano e prostaglandine coinvolte nel garantire l’integrità dei vasi e quindi un’azione
vasoprotettiva nell’uomo.
5. AZIONE IPOCOLESTEROLEMIZZANTE
Le foglie di olivo riducono i valori di COLESTEROLO e di lipidi abbassando il livello delle lipoproteine a
bassa densità (colesterolo cattivo) e alzando quelle ad alta densità (colesterolo buono). Grazie ai
polifenoli contenuti nelle foglie, sono riequilibrati i fosfolipidi e diminuisce la viscosità ematica
(fluidificano il sangue) inibendo l’aggregazione delle piastrine.
6. AZIONE ASTRINGENTE
L’astringenza è data dalla presenza di tannini, che astringono la superficie della pelle e delle mucose,
formando una sottile membrana. Utilizzati per la coagulazione della sanguinazione capillare, per le
escrezioni plasmatiche (siero) e la guarigione di ferite. Sono nello stesso tempo dei germostatici. Per
le sue proprietà che attenuano le funzioni dei tessuti, soprattutto esterni, è utile nella terapia delle
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malattie della pelle, dermatiti, eritemi, infiammazioni dell’alto tratto digestivo, diarrea a seguito di
infiammazioni gastrointestinali, lesioni aperte, emorroidi.
7. AZIONE FEBBRIFUGA
Le foglie di olivo abbassano la FEBBRE e per le sue proprietà febbrifughe l’olivo era usato in passato,
quale succedaneo della china, nel caso di febbri intermittenti, tifoiodi e MALARIA.
8. AZIONE ANTINFIAMMATORIA
Le foglie favoriscono la cicatrizzazione, proteggono e tonificano i vasi capillari, leniscono le emorroidi
infiammate.
9.AZIONE DIURETICA
La vasodilatazione indotta dall’Olivo avviene anche a livello renale e ciò spiega in parte l’azione
diuretica posseduta da questa pianta (Penso, 1989). Per le sue proprietà DIURETICHE, è invece
usato soprattutto per aumentare la secrezione urinaria, è utile nella GOTTA, nel REUMATISMO,
nell’OBESITA’. Le foglie di olivo hanno un’azione renale, con miglioramento della funzione
glomerulare e aumento dell’eliminazione dei cataboliti azotati e dei sali.
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di benessere.
ALTRE AZIONI
L’estratto di foglie d’olivo possiede anche proprietà antispastiche e broncodilatatrici (Commissione E
tedesca).
• Esercita un’azione lassativa e contribuisce a correggere la stipsi cronica.
• Stimola la mineralizzazione delle ossa e l’assimilazione dei sali minerali di primaria importanza.
• Scioglie i calcoli biliari.
• Cura disfunzioni renali e infiammazioni alla vescica.
• Lenisce gli spasmi di stomaco e i fastidi delle emorroidi.
TOSSICOLOGIA
Tutta la letteratura disponibile non riporta effetti secondari tossici. Molti autori rilevano l’assoluta
tollerabilità dei preparati di foglie d’olivo.
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Foglie d'olivo anticolesterolo
In otto settimane un estratto delle foglie riduce il colesterolo LDL e la pressione arteriosa
I dati raccolti indicano che entrambi questi fattori vengono influenzati dall'estratto, che aveva già
dimostrato effetti simili in esperimenti precedenti condotti sui ratti: la pressione massima si riduce
con l'estratto nella dose più elevata e soprattutto il colesterolo LDL, quello “cattivo”, cala in tutti i
pazienti sottoposti al trattamento, in modo dose-dipendente (l'effetto, cioè, è maggiore al crescere
della quantità di estratto somministrato).
PRINCIPIO ATTIVO – «Va detto che nessuno potrebbe mettersi a mangiare foglie d'olivo, perciò non
è possibile assicurarsi l'effetto individuato dei ricercatori attraverso l'alimentazione. Bisognerà quindi
capire innanzitutto qual è il principio attivo dell'estratto responsabile delle azioni anti-colesterolo e
antipertensive», commenta Andrea Ghiselli, ricercatore dell'Istituto Nazionale di Ricerca per gli
Alimenti e la Nutrizione (Inran). «Occorrerà isolarlo e studiarlo e chissà che davvero non si riesca,
prima o poi, a utilizzarlo davvero. In caso contrario mi sembra poco utile, anche perché un conto è
prendere un estratto in cui la quantità dell'eventuale principio attivo può non essere sempre costante
e precisa, tutt'altra storia è assumere una pastiglia in cui c'è un farmaco dosato al millesimo di
grammo, con un effetto dimostrato».
Olife 1000 ml contiene 93% di OLIVUM®, l' esclusivo infuso di foglie di olivo ricco di Oleuropeina,
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E' stato scientificamente provato che queste molecole hanno una funzione antiossidante, anti radicali
liberi, regolatrice della pressione arteriosa, fluidificante del sangue, vasodilatatrice, energizzante,
ipoglicemizzante, ipocolesterolizzante, regolatrice del metabolismo di lipidi e carboidrati.
Olife contiene anche Calendula Officinalis che ha un'azione emolliente e lenitiva, contrasta i disturbi
del ciclo mestruale e migliora la funzionalità del sistema digerente.
Si consiglia di consumare mezzo bicchiere al giorno (pari a 70ml) di infuso puro o diluito in acqua
minerale;
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Mantova, 10/10/2012
Buongiorno!
Con riferimento alla telefonata di ieri, le invio il robottino e la stazione per verificare il guasto
che non siamo riusciti a risolvere per telefono.
In un primo tempo la luce rossa lampeggiava lentamente ed ho pulito il robot. Forse l’ho
fatto con troppo vigore ed ho mosso qualcosa, perché ora il robot non trova più la stazione.
Colgo l’occasione per chiederle un grande favore, che mi metterà ovviamente in conto: se mi
può pulire tutto a nuovo – rotelline, spazzola, angolini dove io non arrivo, intorno alle
fotocellule anche della stazione, il piede nero della stazione etc.
Visto che c’è, cambi pure guarnizioni etc. in via di usura, tenendo però presente che gli
accumulatori sono stati cambiati non molto tempo fa (ma se me li controlla, è meglio).
Insomma: approfittiamo del fatto che ce l’ha lì per fargli un bel check up.
Per quanto riguarda il pagamento, se per voi va bene preferirei pagare con bonifico
anticipato, piuttosto che in contrassegno. Se quando il lavoro è finito mi comunica l’importo,
provvedo a pagare subito, e quando avrete la conferma dalla vostra banca potete spedire.
Questo per evitare che mia suocera maneggi dei soldi per conto mio.
Grazie mille
Licia Roverotto
Via Calvi 2
46030 Villanova de Bellis – San Giorgio di Mantova (MN)
Tel. 392 937 7273
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Basilica di Sant'Andrea (Mantova)
Basilica di Sant'Andrea
Facciata e campanile
Stile architettonico gotico, rinascimentale, barocco, neoclassico
Inizio costruzione 1472
Completamento 1732
La basilica concattedrale di Sant'Andrea è la più grande chiesa di Mantova. Opera fondamentale di Leon
Battista Alberti nello sviluppo dell'architettura rinascimentale, venne completata molti anni dopo la morte
dell'architetto, con modalità non sempre conformi ai progetti originali.
Storia
Edificata nel Medioevo in luogo di un monastero benedettino (i cui unici resti sono il campanile gotico e un lato
del chiostro), l'edificio venne ricostruito a partire dal 1472, su progetto di Leon Battista Alberti, commissionato
dal signore di Mantova, Ludovico III Gonzaga (e dal figlio Francesco, cardinale) che voleva farne un simbolo
del proprio potere sulla città e del prestigio della casata.
Lo scopo della nuova costruzione era quello di accogliere i pellegrini che giungevano durante la festa
dell'Ascensione durante la quale veniva venerata una fiala contenente quello che si ritiene il "Preziosissimo
Sangue di Cristo" portato a Mantova, secondo la tradizione, dal centurione Longino. La reliquia, molto venerata
a partire dal Medioevo ma soprattutto nel XV secolo, e portata in processione per le vie della città il Venerdì
Santo, è oggi conservata proprio nei Sacri Vasi custoditi all'interno dell'altare situato nella cripta della basilica.
I lavori iniziarono intorno al 1460, fino alla morte di Alberti. La costruzione proseguì a fasi alterne e rimase a
lungo incompiuta, tanto che per il completamento si dovette aspettare fino al XVIII secolo. Tuttavia le cappelle
risultavano compiute nel 1482 e la facciata risultava completata nel 1488. Questioni storiografiche molto
dibattute sono, pertanto, sia la ricostruzione del progetto originario di Alberti, sia la fedeltà a tale progetto di
quanto realizzato. Alcuni studiosi attribuiscono ad Alberti lo schema generale e la facciata ma non la
definizione dei particolari, mentre altri affermano che quanto costruito nel XV secolo e in particolare fino alla
morte del committente nel 1478, corrisponda al progetto albertiano. Il tecnico incaricato di seguire i lavori
durante la prima fase costruttiva fu Luca Fancelli che disponeva un modello ligneo fornito da Alberti e che
servì in fase di realizzazione. Fancelli, che seguiva anche i lavori per la chiesa di San Sebastiano e che aveva
conosciuto Alberti a Roma, era probabilmente in grado di seguirne le intenzioni progettuali, anche se non
risultano documentati disegni di dettaglio forniti da Alberti.
I lavori furono interrotti intorno al 1494 e ripresero solo nel 1530. La cupola fu aggiunta nel 1732 da Filippo
Juvarra, che si ispirò a quella borrominiana della basilica di Sant'Andrea delle Fratte.
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L'imponente campanile gotico ospita 5 campane ottocentesche (La2, Do#3, Mi3, Fa#3, La3), delle quali la
maggiore, del peso di 2555 kg, è stata fusa dalla ditta Cavadini di Verona.
Le forti scosse del terremoto dell'Emilia del 20 e 29 maggio 2012 hanno provocato danni alla cupola della
basilica.
La cupola
L'Alberti creò il suo progetto «... più capace più eterno più degno più lieto ...»
ispirandosi al modello del tempio etrusco descritto da Vitruvio, un edificio
cioè con pronao anteriore a colonne ben distaccate e senza peristasi.
Quello di Alberti andò a contrapporsi e sostituire ad un precedente progetto di
Antonio Manetti, probabilmente a tre navate , simile alle chiese
brunelleschiane. Innanzitutto mutò l'orientamento della chiesa allineandola
all'asse viario che collegava Palazzo Ducale al Tè.
La facciata
La facciata è concepita sullo schema di un arco trionfale romano a un solo fornice tra setti murari, ispirato a
modelli antichi come l'arco di Traiano ad Ancona e ancora più monumentale del precedente lavoro albertiano
sulla facciata del Tempio Malatestiano. Lo schema dell'arco di trionfo è inserito o soprapposto al tema formale
del tempio classico che forma una sorta di avancorpo avanzato, rispetto al resto dell'edificio. Sotto l'arco venne
a formarsi uno spesso atrio, diventato il punto di filtraggio tra interno ed esterno.
L'ampio arco centrale è inquadrato da paraste corinzie che estendendosi per tutta l'altezza della facciata, che
costituisce uno dei primi monumenti rinascimentali per cui venne adottata questa soluzione che sarà
denominata ordine gigante. Sui setti murari si trovano archetti sovrapposti tra lesene corinzie sopra i due portali
laterali. La facciata è inscrivibile in un quadrato e tutte le misure della navata, sia in pianta che in alzato, si
conformano ad un preciso modulo metrico.
Grande enfasi è poi data da un secondo arco superiore, oltre il timpano, e arretrato rispetto all'avancorpo della
facciata. Tale elemento architettonico definito "ombrellone", è in realtà un tratto di volta a botte e venne
ritenuto, nel XIX secolo, estraneo al progetto di Alberti rischiando la demolizione. L'"ombrellone" segna
l'altezza della navata, enfatizza la solennità dell'arco di trionfo e il suo moto ascensionale e permette
l'illuminazione della navata, grazie ad un'apertura posta verso l'interno della controfacciata che forse doveva
servire anche per l'ostensione delle reliquie.
L'interno
Altare nel cui interno sono conservati i Sacri Vasi nella cripta
L'interno è a croce latina, con navata unica coperta a botte con lacunari, e con
cappelle laterali a base rettangolare, inquadrate negli ingressi da un arco a tutto
sesto, che riprende quello della facciata. Tre cappelle più piccole, ricavate nel
setto murario dei pilastri, si alternano a quelle maggiori e la loro alternanza
venne definita dall'Alberti come tipologia di "chiesa a pilastri". L'impianto ad
aula della chiesa fu dovuto probabilmente all'esigenza di un spazio ampio in cui la massa dei fedeli e dei
pellegrini potessero assistere all'ostensione dell'importante reliquia.
Il prospetto interno della navata è dunque scandito da due ordini gerarchizzati di cui in minore sostiene gli archi
ed è inquadrato sotto la trabeazione di quello maggiore. Questo motivo che presenta l'alternanza di un interasse
largo tra due stretti, è chiamato travata ritmica e trova un parallelo con il disegno della facciata. Dopo Alberti
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che è il primo ad utilizzarlo diventerà un elemento linguistico molto diffuso con Bramante e gli architetti
manieristi.
La crociera tra navata e transetto è coperta con una cupola, su pilastri raccordati con quattro pennacchi, che si è
dubitato facesse parte del progetto albertiano. Tuttavia i pilastri della crociera risultano eretti durante la prima
fase costruttiva quattrocentesca.
Dietro l’altare si trova una profonda abside che chiude lo spazio della navata.
Alla fine del XVI secolo fu realizzata una cripta con un colonnato ottagonale, destinata ad accogliere la reliquia
del "Preziosissimo sangue", posta in un altare al centro, e le sepolture dei Gonzaga, che non vennero realizzate.
L'organo
Sulla cantoria destra del presbiterio è collocato l'organo a canne, costruito nel 1850 dalla Fabbrica Nazionale
Privilegiata d'Organi Fratelli Serassi di Bergamo. Lo strumento ha due tastiere di 73 tasti (Do-1 - Do6) ed una
pedaliera dritta di 27 note (Do-Re); la divisione bassi/soprani delle tastiere e a Si2/Do3. L'organo, che è a
trasmissione integralmente meccanica, è inserito all'interno della ricca cassa dorata scolpita, opera in stile
neoclassico di Paolo Pozzo; la facciata è costituita da tre cuspidi del registro di Principale. Di seguito la
disposizione fonica dell'organo in base alla posizione dei pomelli che comandano i vari registri nelle due
colonne alla destra delle tastiere e nella colonna alla sua sinistra:
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Nel 1904, nel corso di una riunione dell' Accademia Scientifica Britannica, Isidoro Geoffrey St. Hilaire
fece osservare che, se si volesse classificare l' isola di Madagascar soltanto in base a considerazioni
tratte dalla zoologia, senza riferimenti alla sua posizione geografica, si potrebbe dimostrare che
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quella terra non è nè africana nè asiatica, ma del tutto differente da entrambe, quasi facesse parte di
un altro continente: Lemuria.
LEMURIA - TERRA DEI GIGANTI
Ancora prima di Atlantide, sommersa dalle grandi onde dell' Atlantico, e di Mu, disgregata dalle
migliaia di vulcani della zona del Pacifico, questo vasto continente aveva ospitato i primi fra gli
uomini. E forse non sbagliano studiosi e geologi di fama internazionale come Haeckel, quando
affermano che sia stata Lemuria la vera culla della razza umana.
Se già è difficile risalire il corso dei tempi per rintracciare la storia e le vestigia di Atlantide e di Mu,
ancora più travagliato può apparire il compito di squarciare il grande velo di mistero caduto tra noi e
le prime età della Terra.
La stessa conformazione attuale del nostro pianeta ci allontana l'immagine di quella che doveva
essere la planimetria di 25.000 anni fa.
Secondo l' inglese Selater, la superficie che adesso è occupata dalle acque del mare del Sud faceva
parte di una lunga lingua di terra che comprendeva le isole della Sonda e raggiungeva la costa
orientale dell' Africa. A.R. Wallace avalla questa ipotesi basandosi soprattutto sulla flora e sulla fauna
identiche in terre adesso così lontane, senza contare il tipo stesso della composizione delle rocce
granitiche comuni al di là delle acque. Fornisce anzi una propria teoria e nel secondo volume della
"Distribuzione geografica degli animali" edito a Londra nel 1876, giunge a precisare che "nell'
emisfero australe siano esistite tre grandi masse di terra che, per quanto simili, rimasero sempre ben
distinte".
Il lento evolversi del nostro pianeta, nel suo continuo divenire, il movimento dei mari e dei ghiacciai,
le eruzioni di vulcani terrestri e sottomarini, le spinsero lentamente verso il nord, e ciascuna dette
vita a quelle che adesso sono l' Africa del Sud, l' Australia e l' America del Sud. A sua volta il prof.
H.F. Bleandford in una relazione alla Società Geologica di Londra, parlando delle affinità fra i fossili di
animali e di piante rinvenuti in Africa ed in India, avanza la teoria che vi fosse là, dove adesso si
stendono le acque dell' Oceano Indiano, una terra che collegava direttamente l'Africa, l' India
meridionale e la penisola di Malacca. Senza contare che se esaminiamo la configurazione geografica
dei gruppi delle isole Adlas, Laccadive e Maldive, possiamo facilmente immaginare che questi atolli
corallini facessero parte di una catena di montagne ora sommerse.
Confrontando le due carte di Lemuria rinvenute da W. Scott-Elliot presso una comunità di adepti
tibetani che conserva molti resti delle civiltà preistoriche, possiamo meglio osservare il lento evolversi
del continente: terre a poco a poco sommerse dalle acque o disgregate dalle eruzioni vulcaniche.
Attualmente ben poco ci è rimasto di quella che fu "la culla dell' uomo": le isole del Pacifico e dell'
Oceano Indiano, le coste della Cina e del Giappone, l' Australia, il Madagascar. E proprio nel
Madagascar vive una piccola scimmia che porta lo strano nome di Lemuride. E' una scimmietta
piccola, vivace, coperta di un morbido e lungo pelo, e si ritiene che sia stato tra i primi mammiferi
della Terra. Nei suoi occhi antichi c' è forse ancora il ricordo di foreste di felci gigantesche, di enormi
dinosauri. In questo mondo di cose che la sovrastavano, la piccola scimmietta conobbe l' uomo: era
un uomo in piena armonia con il paesaggio che lo circondava, era il padrone di quella terra, l' unica
creatura intelligente, era un Gigante.
Non si tratta di fantasia. rinvenimenti archeologici di provata serietà confermano l 'esistenza di una
razza umana di dimensioni gigantesche che popolò la terra circa 40.000 anni fa. Un noto
paleontologo cinese, Pei Wendchung, scoprì a Gargajan, nelle Filippine, uno scheletro umano alto 5
metri, altri in Cina di 3 metri e mezzo ed ha accertato che la loro età risaliva al 35.000 a.C.
Un altro studioso francese, il capitano Lafenechère, durante alcuni scavi effettuati in Marocco,
rinvenne utensili ed armi da caccia di dimensioni sbalorditive: una scure a due tagli del peso di 8
chilogrammi. Per impugnare l' enorme manico occorrerebbe una mano proporzionale ad un uomo
alto almeno 4 metri! Altri resti di giganteche creature sono stati trovati in Siria, nel Pakistan, e nell'
isola di Giava. Storicamente, poi, non esiste antico popolo nella cui mitologia sacra o profana non si
trovi riferimento a qualche popolo di giganti. Nella Bibbia ne incontriamo moltissimi e, si badi bene,
non se ne parla mai come esseri eccezionali, bensì come una razza diversa, con una sua particolare
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caratteristica, rappresentata, in questo caso, dalla grandezza delle dimensioni. Nel VI capo della
Genesi si legge: " Ed erano in quel tempo dei giganti sopra la Terra", mentre nel XIII libro dei Numeri
sappiamo che a Chanaan viveva un' intera popolazione, i figli di Enach, "paragonati ai quali noi (gli
esploratori mandati da Mosè) parevamo locuste". E poi i Mfilim e gli Enim del paese di Moab, distrutti
da Giosuè, ed Og re di Basan, il cui letto di ferro "ha nove cubiti (m 4,7) di lunghezza e quattro (m.
2) di larghezza" (Deteronomio cap. III). Senza parlare infine di Golia, anch' esso non fenomeno
isolato ma appartenente al popolo gigantesco dei Kephaim.
Alla Bibbia si possono accostare le antiche leggende Tolteche che parlavano del popolo dei
Quinametzini, razza di uomini grandissimi che popolavano la Terra e che, a poco a poco, si estinsero
in tragiche e feroci lotte prima tra loro stessi, e poi con gli altri uomini.
Xelua ed i suoi sei frateli, sono invece i giganti dei quali la mitologia messicana racconta la storia.
Scampati miracolosamente ad uno dei terribili cataclismi che dovevano portare alla disgregazione di
Lemuria, i sette fratelli vollero ringraziare il loro Dio delle Acque, Tlalos, consacrandogli il monte sul
quale si erano rifugiati, ed in suo onore costruirono uno "zacauli", una costruzione granitica a forma
piramidale che avrebbe toccato il cielo se gli altri Dei, gelosi ed irritati dalla loro presunzione, non
avessero fatto piovere fuoco sulla terra, causando così la morte dei costruttori. Ma la ciclopica torre
non crollò completamente: la sua enorme base, alta 54 metri, si crede possa essere identificata nella
piramide quadrangolare che è stata rinvenuta nella città messicana di Cholula, a 13 chilometri da
Puebla. Solo accettando l' ipotesi di una razza primitiva di proporzioni gigantesche si può, d' altra
parte, spiegare l' enigma rappresentato tutt' oggi dai più antichi monumenti della Terra: i "menhir"
(pietre lunghe", i "dolmen" (tavole di pietra) ed i "cromlech" (alte pietre disposte a circolo). I
"menhir" sono dei rozzi monoliti piantati verticalmente nel terreno, che per molto tempo sono stati
ritenuti simboli fallici. I "dolmen" invece, sono costituiti da una enorme lastra posata a sua volta su
massi conficcati al suolo in modo da formare un primordiale tavolo gigantesco, mentre i "cromlech"
sono un complesso di "menhir" posti in modo da formare un vasto circolo.
Secondo il cosmologo Saurat, i "menhir" sarebbero rudimentali statue dei primi abitanti della Terra, i
"dolmen" le loro tavole, ed i "cromlech" rappresenterebbero la cerchia delle divinità, il tempio, il
santuario. Non è d' altra parte improbabile che i "dolmen" avessero anche una sinistra funzione, che
servissero cioè a sanguinosi sacrifici umani. Nella Nuova Guinea, infatti, sono stati rinvenuti
complessi megalitici, nei quali, davanti a ciascun "menhir" è posto un "dolmen" quasi a significare la
divinità ed il suo altare. Una diffusa leggenda indigena sembra confermarlo, narrando che, sulla
Terra, vi furono prima Giganti buoni che aiutarono gli uomini ed insegnarono loro molte cose. Il loro
re era Tagaro, ed era disceso dal cielo. Ma vennero poi Giganti cattivi e cannibali capeggiati da
Suque, che pretesero sacrifici umani, e così fu necessario costruire tavoli di pietra davanti alle loro
statue. Tagaro cercò di frenare la loro crudeltà, ma Suque si ribellò e ne nacque una terribile strage.
I Giganti scomparvero, ma gli uomini, temendo ancora la loro collera ed il loro ritorno, continuarono
ad erigere statue ed ad offrire vittime.
E' evidente che gli abitanti di Lemuria non brillarono per la loro civiltà come i figli di Atlantide e Mu,
ma piuttosto erano carichi di una agghiacciante crudeltà perchè, come abbiamo visto, non c' è
leggenda o riferimento storico che non ne sottolinei la brutalità sanguigna. Anzi si nota sempre un
progressivo decadimento della razza, come se la loro stessa natura feroce sia stata la causa prima
della loro scomparsa.
L' insoluto mistero della "Pedra Pintada" (pietra dipinta) può più di ogni altra cosa riflettere tutto l'
orrore dei loro riti. Nell' Amazzonia, in un vasto complesso megalitico si erge un imponente blocco di
forma ovoidale al centro di un altipiano poco distante da Tarame.
E' un enorme monumento di pietra lungo 100 metri, largo 80 ed alto 30. Secondo una tradizione
indigena, è la pietra tombale di un gigante biondo, re di un popolo vissuto in tempi remotissimi. Sulla
pietra sono dipinti migliaia di segni e di lettere che ricordano la scrittura dell' antico Egitto, la
semitica, e l' ebraica. Vi sono inoltre cavalli, carri e ruote, tutti riprodotti di profilo secondo la tecnica
degli Egizi. E già questo lascia notevolmente perplessi perchè gli Indios, all' arrivo dei conquistatori
bianchi, non conoscevano nè carri nè ruote. Sulla facciata principale del monumento si notano
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quattro grotte scavate nella pietra, quasi alla sommità si apre una galleria divenuta ormai
inaccessibile, mentre sotto il macigno esiste un passaggio che conduceva probabilmente ad una
costruzione sotterranea. Anche questa galleria è agibile solo per 30 metri: alla fine è completamente
franata.
Il tedesco prof. Homet, che dedicò la sua vita alla ricerca delle vestigia dei giganti e di una loro
precisa collocazione nel tempo, tentò di penetrare il segreto della Pedra Pintada conducendovi
accurate ricerche. Scoprì che tra i detriti che occupavano le quattro grotte molte erano le ossa
umane, e ciò gli fece pensare che le caverne fossero state usate come primordiali "tombe comuni".
Ma mentre si trovava all' interno di esse, cominciò a sentire echi impressionanti di suoni e voci
lontane. Un incubo assurdo e misterioso sembrava far rivivere con allucinante chiarezza un ignoto
passato.
Homet stesso, nel suo libro "Die Sòhne der Sonne" edito nel 1958, ammette di essere stato quasi in
stato di trance, e di aver avuto la terrificante visione che segue, così come lui stesso l' ha descritta,
per non toglierle niente del suo orrido fascino. "Accompagnata dai rintocchi di bronzei gong, una
gran folla si muoveva. Migliaia di uomini, donne e bambini vestiti di bianco s' avvicinavano
lentamente, maestosamente alla Pedra Pintada, per arrestarsi poi dinanzi all' ingresso principale. Una
voce risuonò alta, dal cielo, riecheggiò cinque o sei volte sulla massa dei fedeli, che si prostrò,
riverente. Uomini altissimi, in atteggiamento solenne, si staccarono dalla folla e si accostarono al
gigantesco monumento di pietra. Uno di loro si pose davanti al dolmen pentagonale della facciata
principale; un altro, seguito dai suoi aiutanti, salì sulla seconda piattaforma, un pò più alta, di cui gli
astanti potevano vedere soltanto le aperture delle quattro grotte sepolcrali; un terzo, dall' aspetto
ancor più imponente, anch' egli accompagnato da assistenti, salì la larga strada tracciata nella roccia,
scomparendo allo sguardo dei pellegrini inginocchiati nella pianura.
Salirono quindi lentamente sulle due piattaforme, senza catene e guardiani, appena sostenuti da due
"servi della morte", due uomini nudi. La loro espressione era quella di persone addormentate. Li si
distese sulla sommità dei dolmen, la cui tinta rossa cominciò a risplendere ai raggi del sole nascente.
Ancora una volta risuonarono e si ripeterono i misteriosi richiami dall' alto, ed i sacerdoti levarono i
coltelli rituali di pietra, affilatissimi, li affondarono nel petto delle vittime, strapparono loro i cuori e li
aprirono. Poi, lanciandone i pezzi ai quattro punti cardinali, annunciarono ai fedeli il destino che li
attendeva nel prossimo anno". Questa visione, riportata da un uomo di scienza, in piena buonafede e
con un bagaglio culturale non indifferente, ci fa quasi accettare la validità della "psicometria", facoltà
che renderebbe capaci certe persone particolarmente sensitive di percepire da qualsiasi oggetto,
anche una pietra, la visione dei tempi in cui esso si trovava ambientato.
Possibile che la Pedra Pintada sia stata talmente intrisa di olocausti umani, da trasmettercene tutt'
ora il messaggio? Possibile che questa razza di Giganti sia stata così crudele da lasciare dietro di sè
una così vasta eco di terrore e di orrore?
Perchè non va dimenticato il popolo dei Titani, che troviamo nella mitologia greca, il cui re, Cronos,
giungeva addirittura a divorare i propri figli, e quello dei Ciclopi al quale apparteneva Polifemo, che
Omero ci descrive in tutta la sua agghiacciante ferocia. Ma non si può credere ad una razza "nata"
crudele. Amiamo pensare che lo sia diventata solo dopo che i movimenti di assestamento del nostro
pianeta avevano cominciato a disgregare Lemuria, costringendo i Giganti ad abbandonare, per
sopravvivere, la loro patria, ad emigrare in altre terre a loro ignote, a vivere a contatto con razze
diverse sia nell' aspetto che nella cultura e nelle tradizioni. La loro fu forse una terribile battaglia
contro il decadimento della propria specie, contro le forze della natura che, pur avendoli dotati di
mole e forza gigantesca, li stava allontanando e disgregando ogni giorno di più, facendoli sentire
come alberi senza radici, piante costrette a vivere in un terreno inadatto, anzi ostile. Quei "menhir"
che noi andiamo adesso a visitare pervasi da un imprecisato senso di angoscia e che essi innalzarono
nelle varie terre dove furono costretti a vivere, furono forse un modo di sentirsi meno soli, di illudersi
che quel popolo di pietra potesse tornare ad essere, per prodigio divino, il popolo forte e compatto di
una Lemuria ormai scomparsa per sempre.
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DICHIARAZIONE
dichiaro
di aver emesso nell’anno 2008 nei confronti della Signora Licia Roverotto, nata ad
Arcidosso (Grosseto), il 27/05/1957, residente a Villanova de Bellis – San Giorgio di
Mantova (MN), in via PF Calvi 2, C.F. RVRLCI57E67A369R, le seguenti fatture:
La Signora Licia Roverotto era Agente di Commercio con mandato rilasciato dalla Società
Cartes srl, la quale fabbrica macchine per la produzione di etichette da per i settori
abbigliamento (etichette tessute) e grafico (etichette stampate).
Attraverso le mie conoscenze nel settore abbigliamento, ho indicato alla Signora Licia
Roverotto alcuni contatti interessati all’acquisto delle macchine prodotte dalla CARTES
srl.
I clienti da me presentati hanno poi trattato tutte le questioni tecniche con la Signora
Roverotto, ed alcuni hanno acquistato i macchinari, nei quali casi mi è stata riconosciuta
direttamente dalla Signora Roverotto una cifra forfettaria stabilita di volta in volta in
base all’importo ed alla facilità della vendita.
Non ci sono mai stati contratti tra me e la Signora Roverotto perché le mie occasionali
segnalazioni non erano legate ad alcun risultato: se ne usciva una vendita era un bene
per entrambi, ma non c’erano obblighi.
In fede
_________________________________
Guido Gualdi
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DICHIARAZIONE
dichiaro
di aver emesso nell’anno 2008 nei confronti della Signora Licia Roverotto, nata ad
Arcidosso (Grosseto), il 27/05/1957, residente a Villanova de Bellis – San Giorgio di
Mantova (MN), in via PF Calvi 2, C.F. RVRLCI57E67A369R, le seguenti fatture:
La Signora Licia Roverotto era Agente di Commercio con mandato rilasciato dalla Società
Cartes srl, la quale fabbrica macchine per la produzione di etichette da per i settori
abbigliamento (etichette tessute) e grafico (etichette stampate).
Attraverso le mie conoscenze ho indicato alla Signora Licia Roverotto alcuni importanti
clienti interessati all’acquisto delle macchine prodotte dalla CARTES srl.
Indico i clienti che sono stati da me controllati, nonché le fatture emesse dalla società
venditrice.
In fede
_________________________________
Guido Gualdi
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Formazione del sistema solare
Data la grandissima distanza che ci separa dalle più vicine, esse sono state scoperte solo negli ultimi tre secoli,
anche se la certezza della loro esistenza la si è avuta solo nel 1924, grazie ad E. Hubble, che misurando la
distanza di alcune cefeidi individuate nella galassia di Andromeda, ebbe la prova di come quest'ultima fosse
situata nello spazio esterno ben al di là della Via Lattea. Prima di allora, infatti, quelle poche galassie che erano
state scoperte venivano scambiate per stelle o nebulose, vista la mancanza di strumenti adeguati
all'osservazione di oggetti così lontani.
Protogalassie
La nascita delle galassie è ancora avvolta nel mistero, ma sembra che esse traggano la loro origine per
l'aggregazione della materia primordiale che, centinaia di milioni di anni dopo il Big-Bang, iniziò ad addensarsi
in grandi nubi, le quali, a causa delle immense forze gravitazionali risultanti, cominciarono a contrarsi ed a
ruotare attorno a se stesse dando vita alle "protogalassie". E' sicuramente in questo frangente, che le diverse
velocità di rotazione condizionarono quelle che poi sarebbero risultate le forme finali di ciascuna delle galassie
attuali.
Distribuzione delle galassie
Le galassie hanno la caratteristica di aggregarsi in ammassi e quindi in superammassi (un migliaio di oggetti nel
primo caso e centinaia di migliaia nel secondo) che possono essere aperti, se composti da una struttura
irregolare, o regolari, se mostrano una forma sferica che solitamente è più densa verso il centro.
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Ammasso Abell 2218
Credits: W.Couch (University of New South Wales),
R. Ellis (Cambridge University), and NASA - NSSDC
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>> La preistoria
La nostra terra è ricca di siti di interesse storico, e da essi, oltre che dal paziente e appassionato lavoro di
studio cui sono stati oggetto, possiamo oggi affermare l'esistenza di insediamenti umani preistorici dal
Paleolitico all'età del Bronzo.
Le stazioni di maggiore interesse sicuramente sono:
• Remedello, presso cui è emersa una necropoli caratterizzata da una nuova modalità di sepoltura: i defunti
venivano rannicchiati su un fianco (Cultura di Remedello - Eneolitico).
• Polada, località nei pressi di Lonato dove è stato scoperto uno dei più importanti insediamenti palafitticoli
dell'area subalpina. (Cultura di Polada - età del Bronzo).
• Castellaro di Gottolengo, presso cui si è rinvenuto un insediamento di terramaricoli (età del Bronzo).
Per quanto riguarda il panorama preistorico della Val Camonica, sicuramente uno dei più affascinanti e di
grande eco nel suo genere, e nel cui contesto si inseriscono le ormai famosissime incisioni rupestri (graffiti su
roccia), questi i luoghi più rappresentativi:
Capodiponte, considerato peraltro il centro della cultura camuna, e dove si trovano: il Parco Nazionale di
Naquane, il Centro Camuno di Studi Preistorici, il Museo Didattico di Arte e Vita Preistorica e
l'Archeodromo.
Cividate Camuno, ove è possibile visitare un Museo Archeologico di sicuro interesse.
La Rosa camuna
Le figure si presentano a volte semplicemente sovrapposte senza ordine apparente, ma spesso invece appaiono
in relazione logica tra loro, a illustrazione di un rito religioso o di una scena di caccia o di lotta; tale
impostazione spiega lo schematismo delle immagini, ognuna delle quali è un ideogramma che rappresenta non
tanto l'oggetto reale, ma la sua "idea"[2]. La loro funzione è riconducibile a riti celebrativi, commemorativi,
iniziatici o propiziatori - dapprima in ambito religioso, in seguito anche laico -, che si tenevano in occasioni
particolari, singole o ricorrenti[3]. Tra i segni più noti rinvenuti in Val Camonica spicca la cosiddetta Rosa
camuna, che è stata adottata come simbolo ufficiale della regione Lombardia.
Il ciclo istoriativo: temi e periodizzazione
Negli anni sessanta l'archeologo Emmanuel Anati, tra i primi a studiare sistematicamente il corpus nel suo
complesso, stilò una prima cronologia delle incisioni rupestri, comparando lo stile e le tipologie di simboli
scoperti e individuando possibili correlazioni con la periodizzazione storica tradizionale, dalla Preistoria al
Medioevo[4].
Epipaleolitico
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Tipo di area Riserva regionale
Codifica EUAP EUAP0305
Stati Italia
Regioni Lombardia
Province Brescia
Comuni Ceto, Cimbergo, Paspardo
Superficie a terra 290 ha
Provvedimenti
D.C.R. IV/938, 02.03.88
istitutivi
Consorzio per le Incisioni
Gestore Rupestri di Ceto,
Cimbergo e Paspardo
Presidente Riccardo Tobia
Sito istituzionale
La Riserva naturale Incisioni rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo nata nel 1983 per valorizzare il
patrimonio artistico della Valle Camonica, si sviluppa attraverso i tre comuni di Ceto, Cimbergo e Paspardo.
È una vasta area naturale protetta, in gran parte boschiva,che si estende per 290 ha; al suo interno conserva
alcune delle incisioni rupestri della Valcamonica, petroglifi preistorici dichiarati Patrimonio dell'umanità
dall'Unesco nel 1979
Indice
1 Cenni storici
2 Flora
3 Accessi
4 Note
5 Bibliografia
6 Galleria fotografica
7 Voci correlate
8 Altri progetti
9 Collegamenti esterni
Cenni storici
Per approfondire, vedi la voce Incisioni rupestri della Val Camonica.
Flora
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Nella riserva le specie spontanee sono state largamente sostituite da specie introdotte. Le formazioni boschive
prevalgono all'interno dell'area: buona parte del territorio è costituito cerro, tiglio e acero, cui si sovrappongono
castagneti e formazioni boschive a betulla e nocciolo.
Accessi
Collina di Naquane
Tipo Storia, Archeologia, Natura
Indirizzo Via Naquane , Capo di Ponte, Italia
Sito archeologica.cdp@inwind.it
Il Parco nazionale delle incisioni rupestri si trova a Capo di Ponte, in Valle Camonica, provincia di Brescia.
Indice
1 Aspetto
2 Cenni storici
3 Percorsi
4 Galleria fotografica
5 Note
48
6 Bibliografia
7 Altri progetti
Aspetto
Il parco è disposto sul versante di una vasta collina alle pendici del Pizzo Badile Camuno, sul versante orientale
della Valle Camonica. È caratterizzato da un vasto corpus di oltre un centinaio di superfici rocciose riportanti
numerose incisioni rupestri. Le rocce presenti all'interno del parco nazionale sono delle arenarie Permiane.
Nella parte centrale del parco prende posto un "Antiquarium" ed un'esposizione di massi menhir provenienti
dagi comuni di Borno e Ossimo.
L'intero parco è inserito in una cornice floreale di betulle, frassini, castagni, larici e più di rado abeti.
Cenni storici
L'area del Parco Nazionale delle Incisioni rupestri di Naquane è un museo all'aria aperta contenente una tra le
migliori collezioni di arte rupestre della Valle Camonica. Il toponimo "Naquane" che dà il nome all'area è
attestato già nell'800 anche nella variante "Nacquane".
Secondo gli studi di Emmanuel Anati su alcune rocce si trovano incisioni rupestri databili al neolitico, anche se
la maggior parte delle raffigurazioni si riferiscono all'età del ferro.
Il parco fu realizzato nel 1955 su volere della sopraintendenza archeologica della Lombardia. Ha una estensione
di circa 30 ettari.[1]
Percorsi
Di primaria importanza si segnala la roccia n°1, la prima scoperta, che rappresenta una enorme superficie
levigata sulla quale prendono posto centinaia di raffigurazione, in particolare di cervi.
Fra le rocce più interessanti si segnala la n° 70 che riporta secondo alcuni studiosi la rappresentazione più antica
della divinità celtica Cernunnos.[2]
Altre incisioni rupestri degne di nota sono il cosiddetto Sacerdote che corre e la Scena del fabbro, entrambe
riportate sulla roccia n° 35.[3]
Per quanto riguarda le figure greche la più importante, non solo del parco ma di tutta la valle, è quella del
cavallo presente nella roccia 60, definito greco-etrusco dagli storici.[4]
Galleria fotografica
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Labirinto - R. 1 Figure a posizione ad orante - R.
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50
Le oltre 200.000 figure incise sulle rocce e sui massi della
Valcamonica rappresentano il più imponente complesso di arte
rupestre di tutto il continente Europeo. Gli archeologi suddividono
l'arte preistorica in due grandi gruppi: quella parietale (dipinti ed
incisione tipiche all'interno di grotte) e quelle appunto rupestri
(manifestazione artistiche incise sulle rocce esposte agli agenti
atmosferici). Sono la testimonianza della vita quotidiana dei
Camuni, l'antica popolazione della valle e furono eseguite nell'arco
di quasi tremila anni: raccontano perciò l'evolversi di un popolo dal
Paleolitico superiore fino alla conquista romana.
L'occupazione della valle subiva durante l'inverno un'interruzione: ciò è dimostrato dall'assenza di
manifestazioni artistiche parietali che sono invece caratteristiche di una presenza umana costante durante il
corso dell'intero anno.
Al contrario, la ricca fauna della Valcamonica, testimoniata dalla presenza di abbondanti giacimenti ossei,
favorì lo sviluppo di un'importante arte rupestre, circondata da un alone magico e simbolico, che forse aiutava
l'uomo ad affrontare la rischiosa attività della caccia.Attraverso il carbonio 14 si è stabilito in modo preciso la
cronologia dei graffiti:
• le grandi figure di animali ( tra ottomila e seimila a.c.) sono incise con segno profondo e regolare attraverso
strumenti ricavati da pietre silice.
• la figura umana diventa nel Neolitico il tema centrale dell'espressione artistica ( il culto, le cerimonie rituali,
l'agricoltura, l'allevamento del bestiame, la fecondazione e la procreazione ).
• elementi geometrici, spirali e dischi concentrici caratterizzano il periodo successivo in cui le figure
antropomorfe perdono di importanza.
L'inizio dell'Eneolitico porta in Valcamonica cambiamenti profondi. Il trasporto ( attraverso la scoperta della
ruota) facilita le comunicazioni e il commercio; la lavorazione dei metalli permette la fabbricazione di utensili
più resistenti. Una trasformazione sociale dovuta quindi ai contatti con il mondo esterno che si riflette sul
piano artistico nella rappresentazione di esseri umani e animali, di carri ed armi ( pugnali a lama triangolare,
asce ed alabarde chiari simboli del potere politico all'interno della comunità).
Un'ulteriore evoluzione nella società camusa avviene tra il secondo e il primo millennio a.c..
La specializzazione in ambito agricolo e tecnologico divide la società in agricoltori, commercianti, artigiani,
guerrieri e religiosi. Le incisione rupestri subiscono tali cambiamenti e diventano più frequenti i temi della
divinità e dell'eroe, il culto dei morti le danze e la guerra. La figura umana da statica diviene dinamica.
Nel IV secolo a.c. con l'avvento dell'impero romano la società Camuna scompare: è la fine dell'isolamento
millenario e dell'arte rupestre
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Grotte di Altamira
Arte rupestre paleolitica della Spagna
settentrionale
Le Grotte di Altamira sono delle caverne spagnole famose per le pitture rupestri del Paleolitico
superiore raffiguranti mammiferi selvatici e mani umane. Si trovano nei pressi di Santillana del Mar in
Cantabria, 30 chilometri ad ovest di Santander.
Queste grotte sono state incluse tra i Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel 1985. Nel 2008 il nome
del patrimonio è stato modificato da "Grotte di Altamira" in "Arte rupestre paleolitica della Spagna
settentrionale" in seguito all'aggiunta di 17 altre grotte. [1]
Indice
1 Descrizione
2 La scoperta e gli studi
3 I visitatori e le copie
4 Impatto culturale
5 Voci correlate
6 Note
7 Bibliografia
8 Altri progetti
9 Collegamenti esterni
Descrizione
La grotta originaria è lunga 270 metri e consiste di una serie di passaggi intrecciati e di camere. Il
cunicolo principale ha un'altezza variabile dai due ai sei metri. La caverna si è formata grazie al crollo
di precedenti fenomeni carsici nella roccia calcarea del monte Vispieres.
Gli scavi archeologici nel fondo della cava hanno portato alla luce ricchi depositi di arte del
Solutreano superiore (circa 18.500 anni fa) e del Magdaleniano inferiore (tra i 16.500 e i 14.000 anni
fa). Nel lungo intervallo di tempo fra questi due periodi di occupazione umana la grotta è stata usata
solo da animali selvatici. Il sito si trova in un punto strategico per poter sfruttare la disponibilità di
cibo costituito dalla ricca fauna che abitava le vallate delle montagne circostanti. Circa 13.000 anni fa
una frana bloccò l'entrata della caverna, preservandone così il contenuto fino alla scoperta casuale
avvenuta nel 1879 in seguito al crollo di un albero.
L'occupazione umana della grotta è stata limitata all'entrata, nonostante siano state trovate pitture
per tutta la lunghezza del cunicolo. Gli artisti usarono carbone e ocra o ematite per dipingere, spesso
diluendo i colori per produrre tonalità diverse e creare così effetti di chiaroscuro; sfruttarono anche i
contorni naturali dei muri per dare un'impressione di tridimensionalità ai soggetti. Il Soffitto
Multicolore è l'opera più appariscente e mostra un branco di bisonti in differenti posizioni, due cavalli,
un grande cervo e quello che sembra essere un cinghiale.
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Ricostruzione su pannello del branco di bisonti dipinto sul soffitto della grotta di Altamira.
La datazione di queste opere si può far risalire al Magdaleniano per quanto riguarda animali e forme
astratte. Le immagini del Solutreano raffigurano invece cavalli, capre e impronte di mani. Numerose
altre caverne nel nord della Spagna contengono esempi di arte paleolitica, ma nessuna di loro è
qualitativamente o quantitativamente paragonabile ad Altamira.
La scoperta e gli studi
Nel 1879 l'archeologo dilettante Marcelino Sanz de Sautuola scoprì, grazie a sua figlia María di 9 anni,
le pitture sulla volta della grotta. La grotta venne poi scavata dallo stesso Sautuola e dall'archeologo
Juan Vilanova y Piera dell'Università di Madrid che riportarono i risultati del loro lavoro in un
notissimo studio pubblicato nel 1880 in cui facevano risalire all'età paleolitica le opere rinvenute. Gli
specialisti francesi, guidati da Gabriel de Mortillet ed Émile Cartailhac, rigettarono senza appello le
ipotesi di Sautuola e Piera e le loro scoperte furono ridicolizzate al Congresso preistorico di Lisbona
del 1880. A causa della loro elevata qualità artistica e dell'eccezionale stato di conservazione,
Sautuola venne anche accusato di truffa; un contadino locale sostenne addirittura che le pitture
erano state create da un artista contemporaneo su ordine di Sautuola.
Fu solo nel 1902, dopo che altre scoperte avevano contribuito ad avallare l'ipotesi dell'estrema
antichità dei dipinti di Altamira, che la società scientifica si decise a rivedere il proprio giudizio sulle
scoperte dei due spagnoli. In quell'anno Émile Cartailhac ammise enfaticamente il proprio errore nel
celebre articolo intitolato Mea culpa d'une sceptique, pubblicato sul giornale L'Anthropologie, mentre
un altro archeologo francese, Joseph Déchelette, definì Altamira "la Cappella Sistina della preistoria".
Sautuola, morto 14 anni prima, non poté assistere al trionfo delle sue teorie.
Iniziarono immediatamente altri scavi, effettuati da Hermilio Alcalde del Río (1902-1904), cui
seguirono quelli del tedesco Hugo Obermaier (1924-1925) e, più avanti, di Joaquín González
Echegaray (1981). Nel 2008, infine, grazie al sistema di datazione uranio-torio, alcuni dipinti sono
stati fatti risalire a 35.000-25.000 anni fa.[2] Inoltre, studi recenti confermano l'ipotesi che in vari casi
ci si trovi di fronte a opere "collettive" completate nell'arco di migliaia di anni. [3]
I visitatori e le copie
Negli anni sessanta e settanta le pitture vennero danneggiate dall'eccesso di anidride carbonica
prodotta dal fiato dei numerosissimi visitatori. Altamira venne quindi chiusa al pubblico nel 1971, per
poi riaprire parzialmente nel 1982. Da allora i visitatori vengono accettati in numero tanto ridotto
che, per vedere le opere, la lista d'attesa è di almeno tre anni.
Per ovviare in qualche modo all'inconveniente, nel 2001 Manuel Franquelo e Sven Nebel hanno
costruito poco distante una copia della grotta e un museo che permettono una vista più confortevole
dei dipinti colorati della grotta principale insieme a una selezione di altri lavori minori che comprende
anche alcune sculture di facce umane non visitabili nella grotta originale. [4]
Esistono altre copie nel Museo Archeologico Nazionale di Madrid, nel Deutsches Museum a Monaco di
Baviera (completata nel 1964) e in Giappone (completata nel 1993).
Impatto culturale
Molti pittori sono stati influenzati dalle opere delle grotte di Altamira. Celebre, anche se incerto, è
rimasto il giudizio di Pablo Picasso che, al termine di una visita, esclamò: «Dopo Altamira, tutto è
decadenza.»
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Alcune opere multicolore di Altamira sono ben conosciute nella cultura popolare spagnola. Così, il
simbolo utilizzato dal governo autonomo della Cantabria per promuovere il turismo raffigura uno dei
bisonti della caverna. Similmente Bisonte, una marca spagnola di sigarette del secolo scorso, ha
elaborato uno dei bisonti preistorici di Altamira per creare il proprio logo.
Anche il fumetto spagnolo Altamiro de la Cueva, creato nel 1965, è evidentemente collegato alle
grotte. La serie racconta le avventure di un gruppo di uomini preistorici, mostrati come se fossero
persone moderne ma vestiti con pelli di animali, un po' come Gli Antenati.
Note
^ (EN) Scheda UNESCO.
^ Edward Owen. (EN) After Altamira, all is decadence. Times on line, 14 marzo 2009. URL consultato il 11
settembre 2009.
^ Richard Gray. (EN) Prehistoric cave paintings took up to 20,000 years to complete. Telegraph Media Group,
5 ottobre 2008. URL consultato il 11 settembre 2009.
^ Benjamin Jones. (EN) Travel Advisory; A Modern Copy Of Ancient Masters. The New York Times Company,
4 novembre 2001. URL consultato il 11 settembre 2009.
Bibliografia
Gregory Curtis, The Cave Painters. Probing the Mysteries of the World's First Artists, New York, Knopf, 2006.
ISBN 1-4000-4348-4.
Russell Dale Guthrie, The Nature of Paleolithic Art, Chicago, University of Chicago Press, 2006. ISBN 0-226-
31126-0.
William H. McNeill, Secrets of the Cave Paintings, in The New York Review of Books, vol. 53, n. 16, 19 ottobre
2006.
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La presenza dei visitatori ha causato il deteriorameno dei dipinti che risalgono alla preistoria
Spagna, grotta preistorica di Altamira resterà chiusa ai turisti?
Batteri, umidità, anidride carbonica, dovuti alle visite dei turisti, mettono a rischio una delle caverne
preistoriche più belle del mondo, la grotta di Altamira in Spagna, decorata con dipinti realizzati 15 mila anni fa.
Chiusa nel 2002 a causa di un deterioramento dei dipinti, la grotta, ora dovrebbe riaprire ma la riapertura al
pubblico "riattiverebbe la corrosione e la condensazione delle pareti dipinte", come avvertono gli studiosi.
I ricercatori infatti hanno analizzato l'impatto dei visitatori sulla grotta e raccolto dati relativi a centinaia di
visite monitorate nel periodo compreso fra il 1996 e il 1999. Per preservare il sito, scrivono gli esperti, la grotta
dovrebbe avere minimi contatti con l'ambiente esterno. Le visite del pubblico, sottolineano "hanno causato un
deterioramento dei dipinti che sono stati colonizzati dai batteri". E se la grotta riapre al pubblico, proseguono, al
suo interno aumenteranno temperature, umidità, anidride carbonica, e si riattiveranno la corrosione e la
condensazione delle pareti".
Situata nel Nord della Spagna, la grotta è patrimonio dell'Unesco ed è caratterizzata da dipinti e incisioni che
raffigurano bisonti, cavalli, cervi, mani e segni misteriosi, realizzati nel Paleolitico superiore.
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Vi siete mai chiesti come potesse essere la vita 35.000 anni fa? In Spagna, lungo la costa settentrionale, potrete
scoprirlo nelle 18 grotte preistoriche che, per la loro varietà, la bellezza, i dipinti ed il buono stato di
conservazione, sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Scoprite questa importante zona
della nostra geografia, protetta per il suo carattere unico e il valore universale. Sentitevi come un esploratore
ammirando l’impronta di una mano dei nostri antenati.
Nel luglio del 2008, l’UNESCO ha dichiarato Patrimonio dell’Umanità l’Arte Rupestre Paleolitica della
Cornice Cantabrica (nella Spagna settentrionale): un totale di 17 cavità preistoriche che si aggiungono a una
delle grotte più preziose del mondo, quella di Altamira, a Santillana del Mar, iscritta nell’elenco del
Patrimonio dell’Umanità già nel 1985. Vi invitiamo a visitare tutte le grotte aperte al pubblico e alcune fedeli
riproduzioni di questa zona unica al mondo, con un’incredibile viaggio nel passato, attraverso l’affascinante
territorio dei Paesi Baschi, della Cantabria e delle Asturie, regioni che fanno parte della Spagna Verde.
Benvenuti in presenza dell’eredità della storia. Benvenuti in presenza di un vero e proprio simbolo giunto fino
ai nostri giorni.
Nella Spagna nordoccidentale troverete le Asturie, una delle zone in cui le tracce del lontano Paleolitico vi
riveleranno un mondo di antiche credenze. Le sue grotte, risalenti a un periodo compreso tra il 35.000 e il 9.000
a.C., sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità. Vi
proponiamo di visitarne alcune: la Peña de Candamo con il
suo Salone delle Incisioni, quella di Llonín (Peñamellera Alta)
con le rappresentazioni di cervi, quella del Pindal
(Rivadedeva) che si apre tra scogliere affacciate sul mar
Cantabrico e custodisce rare raffigurazioni di un mammut e un
pesce, e quella di Tito Bustillo (Ribadesella) con figure
sessuali maschili e femminili, e alcuni dei cavalli più belli del
Paleolitico nella parte della galleria.
Vi sorprenderà vedere come sfruttano la colorazione naturale
della roccia o scoprire che in scavi come quello di Tito Bustillo
sono stati rinvenuti oggetti in osso, spatole e arpioni. Quando
vi troverete immersi nell’oscurità delle grotte, vi sembrerà di
vedere queste figure, testimoni millenarie del passare del
tempo, animate da vita propria.
Situata a est delle Asturie, anche la Cantabria è una tappa
fondamentale di questo viaggio attraverso la preistoria. Qui vi
attendono grotte, iscritte nell’elenco del Patrimonio
dell’Umanità, che rappresentano una passeggiata sotterranea alla scoperta delle origini del pensiero astratto. Il
“gioiello della corona” è la Grotta di Altamira, denominata “la Cappella Sistina dell’arte quaternaria”. Potrete
vederne una riproduzione esatta eccezionale nel Museo Altamira, dove vi impressioneranno le raffigurazioni
degli spettacolari bisonti. Potrete visitare anche le grotte di El Castillo e Las Monedas, entrambe a Puente
Viesgo. Nella Grotta del Castillo troverete uno dei complessi più importanti della preistoria europea: 275 figure
(bisonti, uri, un mammut, riferimenti a figure umane…) prova della presenza dell’Homo sapiens, che vi
mostreranno nel modo più emozionante i primi passi mossi dall’umanità nel campo dell’arte. Nelle immediate
vicinanze si trova la grotta di Las Monedas, che vi lascerà a bocca aperta con la sua sala con 17 figure di
animali e lo spettacolo di stalattiti colorate. Lasciatevi trasportare da un’atmosfera quasi mistica.
Da non tralasciare neanche le grotte di Chufín (situate a Ciclones e raggiungibili in barca), Hornos de la Peña
(a Tarriba), El Pendo (a Escobedo de Camargo e dove sono stati rinvenuti oggetti diversi, tra cui un bastone) e
Covalanas (a Ramales de la Victoria). In tutte troverete rappresentazioni artistiche, una più sorprendente
dell’altra: dipinti dal colore rosso intenso, figure umane e animali, o incisioni realizzate attraverso tecniche
diverse.
Un grande sforzo di riproduzione
Sebbene al momento non sia possibile visitare il resto delle grotte della Cornice Cantabrica dichiarate
Patrimonio dell’Umanità, tutte le regioni stanno lavorando intensamente per permettere al turista di ammirarle
attraverso riproduzioni e altri progetti. È il caso dei Paesi Baschi e delle grotte di Santimamiñe (Biscaglia),
Altxerri ed Ekain (entrambe a Gipúzcoa). È possibile realizzare una visita virtuale all’interno delle grotte di
Santimamiñe, alle pendici del monte Ereñozar, per contemplarne le impressionanti stalagmiti e stalattiti, e le
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figure rupestri raffiguranti bisonti, cervi e orsi. La Grotta di Ekain, invece, è uno dei santuari rupestri più
importanti d’Europa ed è prevista l’apertura di una replica che vi permetterà di scoprire, in una visita guidata,
come vivevano gli abitanti di questo sito. Quando vi troverete lì, aprite bene gli occhi, perché avrete davanti a
voi 70 disegni dipinti dagli abitatori della grotta 14.000 anni fa.
Informazioni pratiche
La maggiore parte delle grotte è provvista di parcheggio gratuito nei dintorni, e ci si può recare sia in
automobile che a piedi. Esistono inoltre servizi ferroviari e di autobus che raggiungono i comuni dove si
trovano questi siti archeologici. Per conoscere questi gioielli architettonici vi raccomandiamo di viaggiare
indossando abiti e calzature comodi e adatti a un terreno umido. All’interno delle grotte avrete a disposizione
visite guidate per gruppi ridotti.
Non perdete l’occasione di conoscerle tutte, perché ognuna di esse è davvero unica. Lasciate volare
l’immaginazione, viaggiate nella preistoria e contemplate le vestigia di un’era scomparsa, di uomini lontani nel
tempo che, tuttavia, sono gli antenati di tutti noi.
La Grotta di Altamira (Cueva de Altamira) è uno dei più famosi siti preistorici europei, essa si trova a soli 2
km da Santillana del Mar, all'interno del parco del museo ad essa dedicata.
La Grotta di Altamira, conserva uno dei cicli pittorici di arte rupestre più famosi e importanti della preistoria,
risalenti ad un periodo compreso tra il 15 000 e il 12 000 a.C., essa è un capolavoro dell'arte primitiva ed è
stata soprannominata la Cappella Sistina della preistoria.
La Grotta di Altamira al momento è chiusa al pubblico.
Il vero scopritore della grotta fu Modesto Cubillas, un mezzadro di Marcelino Sanz de Sautuola, che durante
una battuta di caccia nel 1868 scoprì la grotta e ne informò il proprietario, Marcelino Sanz de Sautuola, un
appassionato studioso di scienze, che nel 1875 visitò la grotta una prima volta, ma non vide la camera laterale
con i dipinti. I dipinti della grotta furono scoperti nel 1879 dallo stesso Marcelino Sanz de Sautuola e da sua
figlia, allora di otto anni, María Faustina Sanz Rivarola, secondo la storia fu la figlia ad entrare nel piccolo
passaggio laterale e a scoprire le meravigliose pitture rupestri.
Le pitture inizialmente furono ritenute un falso, questo a causa dell'ottimo stato di conservazione e perché gli
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studiosi dell'epoca non immaginavano che gli uomini preistorici potessero essere capaci di realizzare tali
capolavori pittorici. Gli animali raffigurati nelle grotta sono bisonti, cervi, cavalli, ma si trovano anche mani
umane e altri segni ancora oggi misteriosi, la grotta presenta parti dipinte e parti graffite nelle roccia. La grotta
ha una larghezza di 270 metri ed è formata da una grande sala, illuminata da luce naturale, dove
presumibilmente vivevano gli abitanti del Paleolitico, mentre le pitture si trovano in una sala laterale con una
volta che misura 18 metri di lunghezza e 9 metri di larghezza, mentre l'altezza della grotta che in origine
variava tra i 190 e i 110 centimetri, è stata aumentata per facilitarne l'accesso.
Nell'area attorno alla famosa grotta di Altamira sono state rinvenute un centinaio di altre grotte che recano
dipinti rupestri risalenti al paleolitico. La Grotta di Altamira fa parte dei luoghi patrimonio dell'umanità
dell'UNESCO, assieme ad altre 17 grotte con arte paleolitica tutte situate nel nord della Spagna (Cantabria:
Chufín, Hornos de la Peña, Monte Castillo - El Castillo, Monte Castillo - Las Monedas, Monte Castillo - La
Pasiega, Monte Castillo - Las Chimeneas, El Pendo, La Garma, Covalanas. Asturie: La Peña de Candamo, Tito
Bustillo, Covaciella, Llonín, El Pindal. Paesi Baschi: Santimamiñe, Ekain, e Altxerri).
Tra quelle dichiarate dall'UNESCO patrimonio dell'umanità sono aperte al pubblico le grotte di Covalanas,
Monte Castillo - Las Monedas, Monte Castillo - El Castillo, El Pendo, Chufín, Hornos de la Peña, La Peña de
Candamo, El Pindal, Santimamiñe, e Tito Bustillo. Mentre per quanto riguarda la grotta di Ekain è stata
realizzata una replica all'interno del museo dedicato alla grotta.
Museo di Altamira: Il Museo di Altamira è un centro dedicato alla conservazione, ricerca e diffusione della
Grotta di Altamira e della Preistoria. Il museo include la vera Grotta di Altamira, che però al momento non è
visitabile, perché in cattivo stato di conservazione. Il museo comprende l'esposizione permanente "Los Tiempos
de Altamira", che mostra una fedele riproduzione della grotta (Neocueva) con i suoi dipinti ed illustra la vita
degli antichi abitanti della grotta. Il museo conserva anche una notevole raccolta di oltre 400 oggetti del
paleolitico superiore.
Museo de Altamira
39330 Santillana del Mar (Cantabria)
Teléfono: 942 818815 - 942 818005 Fax: 942 840157
Orario: Da maggio a ottobre: da martedì a sabato dalle 9.30 alle 20.00. La domenica e i festivi dalle 9.30 alle
15.00. Da novembre ad aprile: da martedì a sabato dalle 9.30 alle 18.00. La domenica e i festivi dalle 9.30 alle
15.00. Il museo è chiuso tutti i lunedì e il 1 e 6 gennaio; il 1 maggio, il 16 settembre, il 24, 25 e 31 dicembre.
Biglietti: Biglietto intero: 3 €; biglietto ridotto: 1.50 €. Entrata gratuita: tutti i sabati, a partire dalle ore 14.30,
e tutte le domeniche, per tutto il giorno. Entrata gratuita anche: il 18 aprile, il 18 maggio, il 12 ottobre, e il 6
dicembren. L'entrata è gratuita ai minori di 18 anni e ai cittadini dell'Unione Europea con più di 65 anni. NB:
All'interno del Museo è vietato fotografare.
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Nella parete rocciosa che ci mostra la fotografia e che si eleva nei dintorni di Tarascone Sur Ariège, si apre la
grotta di Niaux, una delle più celebri caverne dipinte dei Pirenei francesi. Le figure si trovano a grande
profondità e per essere raggiunte richiedono una lunga e difficile marcia nelle viscere della terra. Sono dipinte
in nero e rappresentano con mirabile verismo animali vissuti durante il Pleistocene. Esistono inoltre figura
tracciate sull’argilla umida della grotta. A destra l’angusto ingresso della grotta di Niaux [Fot. Graziosi]
LA PRIMA SCOPERTA d'irte preistorica risale alla prima metà del secolo scorso, avanti ancora che la
paletnologia fosse definitivamente accolta tra le scienze ufficiali. Si trattava del ritrovamento fatto da un notaio
di Poitiers in una grotta della Vienne in Francia, la grotta di Chaffaud, di un frammento d'osso sul quale erano
incise delle strane figure rappresentanti delle cerbiatte. Opera dei "celti selvaggi" suppose lo scopritore, né si
arrischiò a pubblicare la propria scoperta che gli sembrava così incerta. Nel 1851 l'osso inciso passò al museo di
Cluny e vari anni più tardi, riconosciutane, al lume di nuovi ritrovamenti, la vera origine, al museo preistorico
di St Germain en Laye. Altre scoperte seguirono quella di Chaffaud ma tutte furono accolte con grande
scetticismo. Si deve al Lartet, l'illustre scavatore delle grotte del Périgord in Francia, se finalmente fu
dimostrata, in modo definitivo, l'autenticità degli oggetti d'arte preistorica che venivano via via in luce. Nella
celebre grotta della Madalaine, in pieno deposito quaternario egli rinvenne nel 1864 un frammento di zanna di
mammuth, il grande elefante villoso che visse nelle nostre regioni durante le più antiche età preistoriche,
frammento di zanna che portava incisa la figura, egregiamente eseguita, pure di un mammuth. Quindi ogni
dubbio circa la reale antichità di questa incisione e conseguentemente di quelle simili trovate in precedenza,
cadde completamente. Nessuno avrebbe potuto infatti fedelmente riprodurre in tempi recenti un animale
scomparso dalla faccia della terra migliaia e migliaia d’anni prima.
Da quel momento le scoperte si moltiplicarono e tutta la fauna contemporanea di quella antichissima umanità
passò, mirabilmente riprodotta su frammenti d'osso, d'avorio, su armi e strumenti della stessa materia, su pezzi
di pietra, davanti agli occhi degli scopritori. Sculture mirabilmente eseguite, incisioni talvolta sottilissime quasi
impercettibili, talvolta vigorose e profonde. Un senso plastico ed una potenza d'espressione notevolissima
emana da queste opere.
Questa incisione, tracciata su una zanna di mammuth, fu trovata da Lartet nel 1864 nella Grotta della
Madalaine in Dordogna. Rappresenta un mammuth, il grande elefante villoso che visse nelle nostre regioni
durante le più antiche età preistoriche. In seguito a questa scoperta cadde ogni dubbio circa l’autenticità delle
opere d’arte che si andavano via via trovando nei giacimenti paleolitici.
Quando per la prima volta nella storia dell'umanità l'arte ci appare, essa è già assai sviluppata per lo meno nella
sua espressione plastica e nella tecnica. Tutto all'opposto di quanto potremmo ragionevolmente credere, proprio
nei suoi stadi più antichi l'arte preistorica si manifesta con le più belle produzioni; a mano a mano che
procediamo nel tempo essa decade, perde di spontaneità e con l'avvento dei popoli pastori e agricoltori, che nel
Neolitico giungono in Europa sommergendo le popolazioni cacciatrici ivi esistenti da diecine di migliaia di
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anni, l'arte naturalistica, con le sue mirabili produzioni, si dissolve e scompare senza più lasciar traccia e viene
sostituita da poverissi-me e schematiche manifestazioni grafiche delle quali sovente ci sfugge il significato.
I musei preistorici d'Europa, dunque, vanno fin dalla seconda metà dello scorso secolo, arricchendosi delle
manifestazioni d'arte di quei primitivi popoli che, nella dura lotta con gli elementi più avversi della natura: il
formidabile gelo delle glaciazioni che spingevano la loro coltre di ghiaccio a lambire a mezzogiorno la pianura
padana ed a seppellire a nord tutta la regione-scandinava, e le belve di cui brulicava allora la terra, sentivano
ardere in sé quel sacro fuoco che nell'ombra protettrice delle caverne li spingeva ad ornare con gusto squisito i
loro lancia-freccia ed a scolpire, in mirabili statuette di pietra e d'avorio, con vigoroso realismo, le forme della
donna madre.
Si trattava però soltanto di oggetti trovati nei giacimenti accanto alle armi e agli strumenti ed alle ossa degli
animali uccisi dai trogloditi. Ma verso il 1880 una scoperta di grande importanza e che doveva rivelare un'altro
interessante aspetto dell'arte preistorica, venne fatta nella Spagna. Lo spagnolo Marcellino de Santuola avendo
visitato nel 1878 l'Esposizione Universale di Parigi rimase tanto colpito dalla sezione preistorica che, ritornato
al suo paese, nella provincia di Santander, decise d'intraprendere l'esplorazione di una caverna scoperta qualche
anno prima e chiamata la grotta, di Altamira. Lo scavo praticato nel deposito di quella grotta gli rivelò ben
presto i resti di un abitato preistorico, e tale scoperta lo incoraggiò nel lavoro che continuò regolarmente. Un
giorno la sua bambina decenne, ch'egli aveva portato con sé nella grotta, essendosi addentrata in un diverticolo
della caverna, chiamò improvvisamente il padre intento nel lavoro, per mostrargli una strana figura che aveva
intravvista dipinta sul soffitto dell'oscuro corridoio. Dopo un breve esame il Santuola si accorse che un po'
dappertutto sul soffitto della caverna erano dipinte figure di animali rappresentanti cavalli, cinghiali, bisonti,
cerbiatte, ecc. Uno studio approfondito e coscienzioso portò il Santuola alla conclusione che le pitture di
Altamira erano opera degli uomini preistorici che avevano lasciato i loro resti nel deposito della grotta stessa. Si
trattava, in una parola, di manifestazioni d'arte contemporanee a quelle che venivano trovate nei vari giacimenti
paleolitici francesi sotto forma di incisioni e sculture su osso ed avorio, e prova di ciò erano per il ricercatore
spagnolo le evidenti affinità di stile e i soggetti rappresentati.
Naturalmente le scoperte del Santuola furono fin dal primo momento considerate prive di qualsiasi importanza;
le pitture di Altamira non sarebbero stata opera dei preistorici, ma di uomini moderni che forse avevano voluto
giuocare un tiro birbone all'ingenuo spagnolo.
Il loro scopritore passò per un sempliciotto o un visionano. E questa del resto la sorte quasi sempre toccata ai
pionieri!
Venti anni dovettero passare perché fosse compresa da tutti l'importanza delle pitture di Altamira: in questo
frattempo infatti s'erano andati facendo ritrovamenti del genere in varie caverne della Francia, ritrovamenti che
vennero a confermare in modo indiscutibile l'autenticità di quelli della grotta spagnuola. I più accaniti avversari
dell'antichità di quelle pitture fecero completa ritrattazione; il famoso preistorico francese Cartailhac, che era
stato tra i più ostili, giunse a pubblicare nel 1902, e questo torna a suo onore, una sorta di "palinodìa" intitolata:
LES CAVERNES ORNÉES DE DESSINS. LA GROTTE DE ALTAMIRA. MEA CULPA D'UN
SCEPTIQUE.
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La grotta di Font-de-Gaume in Dordogna, una delle più interessanti “gallerie” d’arte paleolitica. Le celebri
pitture policrome che l’adornano attraggono visitatori da tutte le parti del mondo. [Fot. Graziosi]
Numerose grotte ornate di pitture e d'incisioni paleolitiche sono oggi note in Francia e nella Spagna. Anche in
Italia ne esiste una, la grotta Romanelli in terra d'Otranto, esplorata da Stasi e da Blanc, la sola grotta italiana
fino ad ora conosciuta che contenga esemplari d'arte rupestre paleolitici; tutti gli altri graffiti noti nella penisola
appartengono ad età assai più recenti, alle età dei metalli, e con essi ci troviamo quindi alle porte della storia.
Lo studio della pittura paleolitica è giunto ormai molto innanzi e per merito principalmente dell'abate Breuil
che può oggi considerarsi tra i più illustri paletnologi del mondo. I lavori del Breuil sulle caverne decorate di
Altamira, del Castillo, della Pasiega, della Pileta in Spagna. di Font de Gaume, delle Combarelles, dei Trois-
Frères in Francia e di tante altre, formano un complesso imponente. L'autore è riuscito durante anni di paziente
e geniale lavoro a stabilire una successione cronologica dei vari gruppi di pitture che si accavallano e si
sovrappongono soventi in un intrico che pare inestricabile, sulle pareti delle caverne. Oggi esiste una
bibliografia notevolissima sull'argomento. Il Breuil e l'Obermaier in collaborazione con altri illustri autori
hanno pubblicato dei magnifici volumi riccamente illustrati, frutto di un paziente e difficile lavoro di
rilevamento delle pitture e delle incisioni che si trovano quasi sempre, come vedremo, in luoghi assolutamente
impervi, celate nelle viscere della terra.
Le ricerche sull'arte preistorica paleolitica sempre più intensificate hanno potuto dimostrare che non tutte le
manifestazioni pittoriche e scultoree sono legate tra loro dagli stessi caratteri. Cosi si è accertato che nella
Spagna Orientale, esistono, ad esempio, manifestazioni di arte assai diverse, sia come stile, sia come soggetto,
da quelle della grotta di Altamira: anche la tecnica di colorazione è differente Ecco quindi una "provincia
artistica” che si distingue dalle altre. I graffiti della grotta Romanelli, più sopra ricordati, non hanno nulla a che
vedere né con la Spagna Orientale né con Altamira. Le pitture di Altamira formano insieme con quelle delle
grotte francesi dei Pirenei e della Dordogna in Francia il così detto gruppo Franco-Cantabrico. È certamente
questo il gruppo più importante e che ha dato gli esemplari più belli d'arte paleolitica, ed è appunto di essa che
ci occupiamo in particolar modo in questo articolo. Diremo subito che il trionfo dell'arte preistorica coincide
con quel periodo del Paleolitico superiore, detto Maddaleniano ed all'arte maddaleniana quindi rivolgeremo la
nostra attenzione.
Si tratta di figure dipinte a semplice profilo oppure a colore pieno, monocrome o policrome; in quest'ultimo
caso il giuoco dei chiaroscuri e le sfumature dei colori sono ottenuti in modo mirabile sì che il senso del rilievo
e il movimento delle varie masse nelle figure risulta evidentissimo. Quello che più colpisce in questi prodotti
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d'arte dei nostri antichissimi progenitori è il profondo senso del vero che li pervade, è l'abilità e la sicurezza con
cui l'opera è condotta: nessuna incertezza nel disegno né sproporzioni nelle varie parti; non si tratta, come
sarebbe logico supporre per manifestazioni di popoli cosi primitivi, dei timidi tentativi di una mano infantile,
ma ci troviamo in presenza, invece, di una tecnica e di una arte complesse, mature. Se qualcosa fa difetto
nell'arte franco-cantabrica è il sentimento che viene ad essere soffocato dal trionfo della forma. Anche il senso
della composizione, salva qualche rara eccezione, manca; dobbiamo contentarci di ammirare i vari esemplari
pittorici isolatamente: non si deve cercare un collegamento armonico tra l'uno e l'altro, che più della fedele
riproduzione di tale o di tal altro elemento staccato della natura quest'arte non può darci. Le figure dipinte
talvolta a centinaia sulle pareti delle grotte sono disposte in modo caotico e spesso si sovrappongono senza
alcun ordine prestabilito: l'artista si è preoccupato di riprodurre un soggetto ed ha rivolto tutta la sua attenzione
soltanto a quell'esemplare, senza curarsi dei rapporti che esso veniva a contrarre con gli esemplari vicini:
l'artista perciò dipingendo sembra perseguisse uno scopo che non consisteva, come vedremo, nel creare
un'opera d'arte quale oggi noi la concepiamo.
Nell'arte parietale franco-cantabrica le pitture zoomorfe sono la regola; quelle antropomorfe sono invece
rarissime. Gran parte della fauna pleistocenica, quella fauna oggi scomparsa dalle nostre regioni e in qualche
caso addirittura dalla terra, è stata riprodotta dai trogloditi maddaleniani.
I bisonti, le renne, i rinoceronti, i mammuth, il lupo, il cinghiale, ecc., sono dipinti spesso a vivaci colori con
tinte ottenute con ocre di vario tipo manganese o carbone, probabilmente impastati con grasso animale.
Ed ora sorge spontanea una domanda. Quali le ragioni che spinsero l'uomo paleolitico a compiere quelle
meravigliose opere, a tappezzare di centinaia e centinaia di figure le pareti di si gran numero di caverne? Sì
trattava di una aspirazione puramente estetica di una indefinibile necessiti del suo spirito di proiettare al di fuori
di sè ciò che della natura che lo circondava maggiormente lo aveva colpito? Di riprodurre quanto i suoi sensi
percepivano, così per quello stimolo che non ha le sue radici in una preoccupazione d'ordine pratico ma che
nasce da una necessità di carattere puramente spirituale, per quello stimolo che oggi chiameremmo "amore
dell'arte"? Nulla ci prova che queste siano state, per quanto a noi sembrino suggestive, le ragioni che spinsero i
trogloditi a decorare le loro caverne. L'arte tal quale ci appare nel Maddaleniano sembra avere avuto uno scopo
utilitario ben definito.
L'uomo paleolitico, questo primitivo nostro antenato che ignorava ancora l'uso dei metalli ma fabbricava le sue
armi e i suoi utensili con la pietra e con l'osso, che non possedeva animali domestici né conosceva l'agricoltura,
quest'essere selvaggio sempre in lotta con gli elementi e che eleggeva a proprio rifugio le caverne, traeva il suo
sostentamento dalla caccia, ed alla caccia era rivolta tutta la sua attività, teso tutto il suo essere. Certamente
attraverso i millenni la sua psiche subì un influsso potente da quel continuo stimolo, da quel pensiero
dominante. Ecco quindi l'uomo perfezionare a poco a poco i suoi strumenti di caccia ed eccolo infine crearne
uno, il più complicato forse della serie, la magia. Eccolo dunque a riprodurre quegli animali la cui cattura forma
lo scopo della sua esistenza, rappresenta-la stessa sua vita. Sono infatti, nelle caverne franco-cantabriche,
figurate quasi sempre quelle specie di animali di cui l'uomo si nutre: i grandi branchi di mammuth, le
interminabili mandrie di bisonti, di renne, di cavalli. Gli animali inutili, e specialmente quelli dannosi, non sono
quasi mai rappresentati. Rarissime infatti sono le figure dei rinoceronti, dei lupi, degli orsi, dei felini. Il dubbio
che tutte quelle figure siano state eseguite dai trogloditi al solo scopo ornamentale, per decorare cioè le proprie
dimore, cade davanti ad un accertamento di capitale importanza e cioè che le incisioni e le pitture non sono
quasi mai eseguite nelle caverne o in quelle parti di caverne abitate dall'uomo. Esse si trovano di regola entro
grotte profondissime nelle quali non giunge la luce del giorno e che non possono quindi esser servite come
dimora, ed è proprio in virtù di questa loro particolare ubicazione che, sottratte a quelle profondità, agli agenti
atmosferici, protette dall'azione distruttrice degli uomini e degli animali, le pitture paleolitiche hanno potuto,
sfidando i millenni, giungere sino a noi. È necessario infatti procedere spesso per ore ed ore attraverso
strettissime gallerie, corridoi impervi, strisciare letteralmente entro anguste fenditure, sorpassare dei veri baratri
per giungere finalmente al luogo ove si celano le pitture; per di più esse sono nascoste talvolta entro piccoli
crepacci e non possono venire individuate che dopo una paziente ricerca.
Dunque l'ipotesi dell'arte per l'arte sembra assolutamente da escludersi nel caso delle pitture Maddaleniane.
Ecco allora affacciarsi quella dello scopo magico. Si pensi infatti quanto la primordiale fantasia di quei
primitivi ammessi nell'antro dello stregone, doveva essere colpita dal suggestivo e tenebroso spettacolo che
dopo il lungo e periglioso cammino nelle viscere della terra si presentava loro dinnanzi; quanto il senso del
soprannaturale doveva agire su quegli spiriti semplici alla vista degli strani riti che al lume vacillante delle
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fumose lampade di pietra (di cui i giacimenti ci hanno conservato qualche esemplare) si compivano nelle cupe
profondità di quei "sacrari" che gli stregoni maddeleniani circondavano a bella posta di tanto mistero. Anche
oggi chi abbia percorso il lungo e periglioso cammino calandosi entro pozzi che sembrano non avere fine
inerpicandosi per dirupi scoscesi, spingendosi per anguste gallerie ornate di fantastiche stallattiti, attraversando
enormi sale che la luce delle lampade giunge a rischiarare soltanto per un breve tratto e la cui volta si perde
nelle tenebre più fitte, chi abbia camminato per ore ed ore in quel profondissimo silenzio; immerso in una
atmosfera immobile, pesante, greve di umidità, rischiando ad ogni passo di perdersi nel cupo labirinto che gli si
snoda dinnanzi, viene a trovarsi a poco a poco in uno stato di suggestione tale che lo spettacolo del "Sacrario"
preistorico che gli si presenta al termine del viaggio, provoca in lui una emozione impensata la quale sembra
veramente trovare le sue radici in qualcosa di enormemente lontano, di ancestrale, che giace sepolto nel più
profondo della coscienza di ognuno di noi.
Una prova dei riti propiziatori che si compivano in quegli antri, ci è data dalla frequente rappresentazione di
animali con zagaglie ed arponi infissi in varie parti del corpo oppure portanti dei segni di ferite. Tutto ciò fa
pensare a certe cerimonie che ancor oggi si compiono, prima della partenza per la caccia, presso alcuni popoli
primitivi quali ad esempio i Pigmei e gli Australiani; si disegna cioè la figura dell'animale che si vuole uccidere
e la si colpisce poi con l’arma nei punti vitali.
Vogliamo un'altra prova? in una grotta della Francia Meridionale nella Grotta dei Trois-Frères presso
Montespan, scoperti dal conte Begouen c dai suoi figli, una delle più interessanti "gallerie" d’arte paleolitica,
esiste nel suo recesso più profondo, una strana pittura in nero rappresentante un essere fantastico che sembra
partecipare dell'uomo e della bestia. Esso è provvisto infatti di coda ma il suo corpo è quello di un uomo. Porta
sul capo un paio di ampie corna e guarda con due stranissimi occhi grandi e rotondi che ricordano quelli degli
uccelli notturni. È figurato in atteggiamento di danza. Si tratta probabilmente di uno stregone mascherato per
una cerimonia. Questa pittura che spicca chiaramente in alto, sulla roccia levigata, domina centinaia e centinaia
di piccole figure di animali non dipinte ma graffite, e cosi sottilmente che se non ci avviciniamo ad esse fin
quasi a sfiorarle non ci è possibile scorgerle; ma una volta individuate ci accorgiamo di trovarci innanzi a vere
opere d'arte, tanta è la perfezione e la maestria con cui quelle renne, quei bisonti, quei cavalli, quei mammuth
sono stati riprodotti. Colpisce inoltre l'intrico inesplicabile di queste figure disposte senza ordine e spesso
sovrapposte l’una sull’altra, addensate tutte al di sotto della figura dello stregone in quel determinato luogo, sì
che non è facile, in certi casi, separarle l'una dall’altra. Si ha veramente l'impressione che l'artista abbia dato
importanza soltanto all’atto magico che compiva tracciando la figura di quel determinato animale e non al
risultato materiale di tale suo atto vale a dire all'opera d'arte che ne sarebbe risultata; l’artista maddaleniano
eseguiva qualcosa che, per dare un esempio, potrebbe paragonarsi alla recitazione di una preghiera.
L’uomo paleolitico era dotato di facoltà artistiche naturali ed il risultato del suo lavoro era, indipendentemente
dalla sua volontà un opera d arte.
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Bisonte, una delle pitture meglio conservate nella grotta di Altamira (1,50 m dal naso alla coda)
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Un cavallo dipinto nella grotta di Font-de-Gaume. Si noti la vivacità di questa figura e il profondo senso
naturalistico che la pervade [da Breuil]
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L'entrata del Parco della Preistoria
Leggendo l'articolo di Loana Riboli sull'arte del Paleolitico, sono rimasta affascinata da
quanto l'arte preistorica potesse essere sublime. Personalmente, qualcuna delle grotte
citate l'ho visitata, ma per le altre, quelle perennemente chiuse al pubblico per i motivi
più diversi, come si fa? A volte c'è l'impossibilità materiale di raggiungere i pannelli
all'interno delle grotte, bisognerebbe essere davvero provetti speleologi, altre volte sono
addirittura gli accessi alle grotte ad essere irraggiungibili, posizionati su pareti a picco
dove anche uno scalatore esperto ci penserebbe due volte prima di iniziare la salita; poi
ci sono i problemi di conservazione, dal deterioramento causato dai visitatori alle muffe
che si formano a contatto dei dipinti con l'aria... insomma, ammirare l'arte paleolitica
sembra spesso essere più difficile che vincere la lotteria! (o smettere di fumare, o iniziare
una dieta...)
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Replica del pannello principale di Altamira. Notate come è stata riprodotta la morfologia della
grotta, non solo i celebri dipinti
Per permettere la visite alle grotte più belle e più a rischio di conservazione che sono chiuse al
pubblico da tempo immemore, negli anni passati sono state costruite delle "repliche". La
"neacueva" di Altamira, ad esempio, è un esperimento ben riuscito, mentre la replica
visitabile della grotta di Lascaux, chiamata Lascaux II, è una ricostruzione "in plastica"
eseguita con fedeltà approssimativa... e allora dov'è la magia dell'arte? Come apprezzare il
talento di uomini che per motivi magici o religiosi crearono quei capolavori?
Mentre riflettevo su questi interrogativi mi trovavo in Spagna, nelle Asturie, quando, come il
cacio sui maccheroni, mi sono imbattuta in un volantino che pubblicizzava il Parque de la
Prehistoria, un luogo definito attrazione "millenaria" della più moderna galleria preistorica.
Naturalmente sono corsa subito a vedere di cosa si trattava.
Il parco è nuovissimo, ha aperto i battenti il 24 marzo 2007, si trova vicino la piccola città di
Teverga, ed è costituito da tre edifici (nel primo c'è la biglietteria, il ristorante e il negozio dei
souvenir, nel secondo c'è il museo vero e proprio e nel terzo c'è la "grotta delle grotte") che si
integrano perfettamente nel verdissimo paesaggio montano.
Si tratta di un progetto originale unico in Europa, dove sono esposte le repliche delle più
importanti rappresentazioni artistiche sia parietali che mobiliari in scala originale, risalenti
al Paleolitico superiore, così con una sola visita è possibile avere una panoramica dell'arte
paleolitica europea senza restare delusi da cancelli sigillati e visite a numero chiuso prenotate
con un anno in anticipo.
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La visita al museo inizia con una riflessione sull'uso dell'immagine come idea base. L'arte è
indicata come la principale testimone della conquista del mondo da parte dell'Homo sapiens.
Il periodo conosciuto come Paleolitico superiore europeo (da 10.000 a 40.000 anni fa) coincide
con la fine dell'era glaciale ed è caratterizzato dalla sparizione dell'Homo neanderthalensis e
la venuta dall'Africa dei primi rappresentanti della nostra specie, l'Homo sapiens.
E' proprio con quest'ultimo che assistiamo ad un salto sia qualitativo che quantitativo delle
rappresentazioni simboliche e artistiche.
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Il percorso del museo si snoda attraverso sei domande (che cosa, come, quando, chi, dove e
perché) le cui risposte danno l'input ad una riflessione che riassume la storia dell'arte
paleolitica:
1- Che cosa dipingevano?
In questa zona del museo sono esposte una serie di fotografie, repliche fedeli di pitture
rupestri e di arte mobiliare che rivelano i due temi principali dell'arte paleolitica: la
rappresentazione di animali sia autentici che irreali, di uomini e di donne, di "macchie",
segni tettiformi (a forma di triangolo) e claviformi (probabili disegni femminili stilizzati). E'
interessante notare che gli uomini primitivi dovevano avere una grammatica formale:
pensate che nella metà dei 154 giacimenti spagnoli sono raffigurati principalmente bisonti e
cavalli.
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Replica di un pannello della grotta di Chauvet, la più antica di Francia
2- Come lo rappresentavano?
Qui vengono esaminati gli strumenti, le tecniche e i pigmenti usati (e come venivano
preparati). Importante era la scelta dello spazio da decorare e l'uso delle lampade che
bruciando grasso, non producevano fumo. La luce della lampada è fondamentale per
osservare l'arte paleolitica: l'intermittenza della fiammella, in qualche modo, dà vita alle
immagini riprodotte, i bisonti si muovono e i cavalli galoppano, questa sensazione non può
essere ricreata dalla luce artificiale!
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Questo cavallo della grotta di Tito Bustillo è l'unico dipinto di viola in tutta la zona franco-iberica.
3- Quando lo facevano?
L'arte paleolitica europea si è sviluppata attraverso vari periodi preistorici che vanno
dall'Aurignaciano al Magdaleniano. All'interno del museo viene messa a confronto la
produzione artistica di ogni periodo che, naturalmente, corrisponde a differenti stili.
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Purtroppo gli uomini della preistoria non amavano i ritratti...le poche rappresentazioni
umane sono parziali, stilizzate o caricaturali, come ad esempio nella grotta di Altamira in
Spagna o a Bernifal in Francia. Dei nostri antenati conosciamo l'aspetto ricostruito dalle
informazioni desunte dai rari scheletri completi ritrovati nei pochi luoghi di sepoltura; al
museo del Parco della Preistoria sono ricostruite le più importanti sepolture, che permettono
di comprendere il comportamento degli uomini davanti alla morte e certi aspetti della loro
organizzazione sociale. Sappiamo che gli uomini preistorici conoscevano la musica, e questi
suoni vengono ricreati nella sala centrale del museo.
6- Dove lo facevano?
Naturalmente nella caverna, dove vivevano. La caverna era uno spazio organizzato e
programmato, un universo ideologico in cui la topografia era riempita di significati. Le grotte
venivano animate da forme e volumi, e l'arte si inseriva in maniera unica e originale,
unendosi alla roccia e ai suoi rilievi. Le rappresentazioni, isolate o assemblate in pannelli,
erano suggerite dalla morfologia naturale delle pareti.
7- Perché lo facevano?
Non sappiamo con certezza se l'arte era per i nostri antenati puro piacere o se, piuttosto,
aveva un uso magico-religioso. Secondo molti studiosi nelle pitture rupestri è documentato un
ritualismo di controllo dell'attività venatoria, destinato a rappresentare visivamente delle
situazioni favorevoli di caccia con mezzi efficaci magicamente, affinché nella realtà tali
situazioni venissero a verificarsi. L'arte paleolitica raffigura spesso genitali stilizzati e donne
gravide, soprattutto nell'arte mobiliare. Molti antropologi collegano queste espressioni
artistiche con rituali legati alla fecondità.
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Grotta delle vulve, Tito Bustillo
Il Parco della Preistoria include un terzo edificio chiamato la "Grotta delle grotte" dove sono
fedelmente riprodotte con le più sofisticate tecniche moderne, tre pannelli importanti
dell'arte paleolitica europea: quello principale della grotta di Tito Bustillo (Spagna) con il
famoso cavallo viola; il pannello denominato "numero 4" della Sala nera della cava di Niaux
in Francia; e il Camarin della grotta di Candamo (Spagna). La ricostruzione è bellissima, le
grotte sono state ricostruite completamente, non si tratta solo di pannelli, ma di caverne a
tutto tondo, le luci basse aumentano la sensazione del visitatore di trovarsi davvero
all'interno di una caverna... anche se manca la percezione del freddo e della classica umidità
sotterranea!
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Fabio
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Paolo fotografo
Pietro
Gianni Anagni
Cristina Apolloni
Gianni Borgo
Gloria
Rossano
Cristina Moglia
Enzo
Manu
Cosimo
Zia Mariarosa
Franco
Paolo Rota
Gabriella
Maria
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Corso di Antica Sapienza
Per capire la vita. Corso semplice, immediato, per capire perché capitano cose che
causano sofferenza e insoddisfazione, e risolverle.
78
10/07/2011
Caro papà,
grazie per avermi lasciato la tua foto.
E’ stato un bel pensiero: hai messo al primo posto la saggezza e la
comprensione, che sono doti rare.
Infatti, qualsiasi oggetto, per quanto prezioso sia, non dovrebbe mai essere
causa di allontanamenti e malesseri tra persone sagge. Purtroppo, non
sempre si pensa col cuore come hai fatto tu con questa tua foto.
Io sono felice, e sono sicura che un giorno, in una vita futura, arriverete ad
esserlo anche voi tutti.
E tu, papà, con il tuo gesto hai già fatto un passo verso quella direzione.
Non per la foto in sé, ma per quella vocina interna che ti ha spinto a fare
così.
Un’ultima cosa: anche se non lo sai, le vite sono tante, e ciascuna inizia
con la forza di quello che si è imparato in quella prima.
Che la pace – quella vera, che sgorga da dentro – sia con voi tutti.
Licia
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NON MANGIARE
VERDURE: LEGUMI:
Cipolle Fagioli
Carote Ceci
Cavolo Piselli
Cavolfiore Lenticchie
Rape Soia
Broccoli Fave
Broccoletti
Crauti
Ravanelli
80
08/06/2011
Caro papà,
ti mando la foto che tanto desideri.
La tua richiesta è arrivata inattesa e rattristante. Mi ha fatto un po’
arrabbiare, perché questa foto era l’unico e l’ultimo legame che avevo con
la mia vita “passata”.
Così te la mando, ed approfitto di questo per mandarti anche una mia foto
recente, scattata mentre io e Fabio annunciavamo in pubblico il nostro
imminente matrimonio.
Con una foto chiudo i miei possessi del passato, con una foto ti invio un
simbolo del mio luminoso futuro.
Io sono felice, e sono sicura che un giorno, in una vita futura, arriverete ad
esserlo anche voi tutti.
Che la pace – quella vera, che sgorga da dentro – sia con voi.
Licia
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