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Per quanto riguarda il sistema vocalico, tutte le lingue romanze risalgono ad un latino volgare in
qualche modo comune, e questa base suppone il cambiamento globale del sistema latino; però nel
sistema consonantico del latino volgare i cambiamenti precoci (korai) che potrebbero essere
documentati dalle lingue romanze sono più isolati e periferici perché le modificazioni grandi che
toccano le consonanti cominciano più tardi e mai toccano l’intero della zona romanizzata.
epoca della repubblica – scomparsa della h laringale spirante – la testimoniano molti vizi di
ortografia, p.e. ic invece di hic, abere invece di habere (‘possedere’)
però si scrive la h in parole dove non ci serve – “ipercorrezione”, p.e. holim invece di olim (‘una volta,
valaha’)
l’influsso delle parole greche che contengono fricative laringali e consonanti di tipo th, ph –
l’imitazione della pronuncia greca – pronuncia della h anche nelle parole latine
Catullo satireggia questo modo di parlare in un epigramma sua – Arrio (Arrius, uno dei personaggi)
essendo snob pronuncia hinsidias invece di insidias e chommoda invece di commoda
però questo tipo di pronuncia non influenzava lo sviluppo delle lingue romanze in cui non si pronuncia
la h (homme – francese; hombre – spagnolo dal latino hominem; qui la h è il risultato dell’ortografia
latinizzante del Basso Medioevo)
Un altro cambiamento generale e relativamente precoce è la comparsa dell’u come una consonante,
p.e. grauis (‘grave’), uiuere (‘vivere’)
Originalmente l’u era una semiconsonante labiovelare: dopo il movimento delle labbra la lingua
aumenta energeticamente verso il palato molle; cioè differente dalla v labiodentale presente nella gran
parte delle lingue romanze (p.e. vivre in francese o vivere in italiano), ma differente anche dalla v
intervocale con la pronuncia bilabiale dello spagnolo (vivir).
Il componente velare della pronuncia scomparve forse alla fine dell’epoca repubblicana e la v diventò
una fricativa bilabiale sonora che viene dimostrato dalle disattenzioni tra l’u come consonante e
l’occlusiva bilabiale sonora b (che in alcuni casi si indebolì e diventò una fricativa). Nelle aree
romanizzate questa fricativa bilabiale diventò una fricativa labiodentale nei primi secoli d. C. –
decenuir invece di decemuir (‘membro del consiglio dei dieci), eunue invece di eumue – la voce nasale
m si assimilò al componente dentale della voce prossima.
Gli sviluppi in connesso alle h e u toccano la consonante in tutte le posizioni malgrado il suo posto nella
parola. Gli altri cambiamenti consonantici sono dipendenti dai propri posti nella parola.
a) Le consonanti alla fine della parola
a. la m: instabile probabilmente già a.C.
- Aeneis IV, 129: Oceanum interea surgens Aurora reliquit – -num e in- come una
sillaba: l’integrazione delle vocali davanti e dopo la m
- nel primo secolo secondo Quintiliano (Quintilianus) la m davanti ad una vocale era poco
udibile
- nei primi secoli d.C. la m come una risonanza nasale operativa alla vocale davanti a sé
-n el modo di scrivere delle epigrafi la m non è presente dall’epoca arcaica, p.e. dece
invece di decem (‘dieci’), contra uoto invece di contra uotum. Le lingue romanze non
conservano la m alla fine delle parole tranne alcune parole monosillabiche, per
esempio rem (una forma del latino res, ’cosa’) > rien (’nessuno’, francese); quem (latino,
l’accusativo di qui) > quien (spagnolo)
b. Anche la t e la s si indeboliscono. Sulle epigrafi (sírfelirat) arcaiche non c’è la s, ma
dopo è ritornata nell’ortografia che probabilmente seguiva la pronuncia perché la
maggior parte delle lingue romanze conserva la s latina, p.e. filios (latino) – hijos
(spagnolo), quaeris (latino) – quieres (spagnolo), duos (latino) – dos (spagnolo) – lingue
iberoromane
lingue galloromane – il francese conserva la s solo durante il legamento (liaison) delle
parole, p.e. grands hommes
dall’italiano e dal rumeno la s alla fine della parola scomparve probabilmente nella
seconda metà del primo millennio.
L’ipotesi di Walter von Wartburg (XIX secolo): la conservazione della s nelle grandi
lingue occidentali è dovuta ad elementi socioculturali. La romanizzazione di Gallia ed
Hispania è basata sull’uso della lingua delle città e dei lati sociali alti che conservarono la
s. Quest’ipotesi non è molto credibile: la s venne conservata anche in zone ed epoche
dove la romanizzazione non era urbana (p.e. Sardegna). Inoltre, per quanto riguarda altri
caratteri (p.e. il sistema vocalico), Gallia e Hispania seguirono, anzi avanzarono lo
sviluppo di altre campagne volgari.
c. la t alla fine della parola: più mobile della s
l’apocope (szóvég elhagyás) della t è documentato in tutte le epoche, soprattutto dopo
una consonante, p.e. pos consulatum invece di post consulatum, posuerun invece di
posuerunt.
epigrafi di Pompei: quisquis ama valia, peria qui nosci amare (correttemente sarebbe
così: quisquis amat valeat, pereat qui nescit amare)
Nelle lingue romanze la t è rimasta sporadicamente (szórványosan); si suppone che sia
scomparsa nel tardo latino volgare. Nonostante questo, si può trovarla in testi
francesi antichi, p.e. nel Giuramento di Strasburgo: iurat, in La Chanson de Roland:
aimet, mandet. La t vige anche nell’ortografia di qualche forma verbale e nel legamento
(liaison); in questo caso il francese è molto conservativo.
Le consonanti alla fine delle parole erano anche elementi morfologici che segnalavano
diverse categorie nella coniugazione latina.
La s distingueva i diversi casi della declinazione (p.e. il caso ablativo e dativo domino
dal caso accusativo plurale dominos)
Nella coniugazione distingueva laudas (modo indicativo, presente, seconda persona
singolare) da lauda (modo imperativo, seconda persona singolare)
b) Le palatalizzazioni
Certe consonanti palatali (le varianti palatali delle k e g velari davanti ad una vocale palatale e
lo j fricativa palatale) sono molto variabili nel latino volgare. Questo è dovuto al modo della
formazione (la lingua può tenersi su punti differenti del palato formando differenti suoni).
Esempi: per effetto davanti allo j il punto d’articolazione della k si muove ad una zona
prepalatale o alveolare, il suo modo di pronuncia si indebolisce parzialmente e diventa
un’affricata ts.
Anche la pronuncia della t davanti ad uno j si indebolisce e diventa lo stesso tipo di affricata
quasi in tutta la zona romanza. P.e. a Roma è documentata nacione invece di natione nella
seconda metà del IV secolo. Nei V-VI secoli è menzionata la pronuncia della ts. Per segnalare
l’affricata si usa la lettera s, p.e. consiensia invece di conscientia.
Però differenza tra la kj e la tj, perché sono presenti diversamente nelle lingue romanze. La t
dopo una vocale e davanti allo j diventa un’affricata sonora (più tardi nel francese sviluppa in
una fricativa), p.e. pozzo in italiano (dal latino puteum), raison in francese (dal latino rationem).
La k nella stessa ambiente diventa un’affricata sorda, p.e. faccia in italiano (lat. facia), face in
francese.
Nello spagnolo non c’è una diversità tra le due: pozo (puteum), haz (faciem).
Iscrizioni dopo il II secolo – baptidiata invece di baptizata, Ionisus invece di Dionysus,
Genuarias invece di Ianuarias, congiugi invece di coniugi
diurnum, gentem, maiorem – giorno, gente, maggiore (italiano) – g: affricata prepalatale sorda –
nel francese l’affricata sviluppava in una fricativa: diurnum > jorn (franciano – ófrancia) >
jour; gentem > gent (francese); maiorem > majeur (francese)
nello spagnolo questo suono (g) rimane j o scompare, p.e. ianuarium/ienuarium > enero,
germanum > hermano; però prima una vocale accentuata: gemma > yemma, gelu > hielo
Nella maggior parte delle lingue romanze la k diventa una fricativa davanti a e, i, p.e. cera
([kera], latino) > cera ([tšera], italiano); la trascrizione segnala lo stesso suono come il ch della
parola francese chat, così il gruppo tš è affricata prepalatale sorda
c) Le consonanti intervocali
Qui il processo più importante è l’evoluzione della b intervocale in una fricativa, gli altri
cambiamenti non sono molto ampi e probabilmente successero dopo il fallimento dell’impero.
Per quanto riguarda di questi cambiamenti, ci sono tre tipi:
1) la consonante intervocale sorda diventa sonora
2) la consonante intervocale sonora diventa una fricativa
3) la consonante intervocale scomparisce
La b diventa una fricativa e si confonde con la u consonantica (che ugualmente dopo la perdita
del suo componente velare diventa una fricativa bilabiale sonora) – siui invece di sibi, uiba
invece di uiua (primi secoli d.C.). Forse questo fenomeno è parte della “crisi dei suoni labiali”.
In Italia, Africa, i Balcani, e un po’ in Hispania – la commistione (keveredés) della b e della u
appare all’inizio delle parole dopo una consonante (szókezdő és mássalhangzó utáni
helyzetben), p.e. bixit invece di uixit, serbus invece di seruus.
La u consonantica ha perso il suo elemento velare e ha cominciato ad approcciare la b.
Esempi per la posizione dopo una r: serbare (italiano, dal latino seruare), corbeau (francese, dal
latino coruus da cui viene la parola rumena corb)
Esempi per la posizione all’inizio della parola: ueteranum > bătrȋn (‘vecchio’, rumeno)
In dialetti italiani meridionali ed in Guascogna la b e la u consonantica sviluppavano nello
stesso modo per quanto riguarda la posizione iniziale. La stessa cosa succede nello spagnolo,
però non è sicuro che mostri la situazione latina, perché sulle epigrafi ispaniche ci sono pochi
esempi per la commistione della b e della u.
Un caso differente è la posizione intervocale, dove la b diventa una fricativa nelle più lingue
romanze, p.e. caballum (latino) > cavallo (italiano), cheval (francese), caballo (spagnolo).
Le altre occlusive nelle lingue romanze orientali (dialetti italiani di mezzo e meridionali,
rumeno ecc.) rimangono, però nelle altre lingue romanze si indeboliscono.
mutare (latino) > muta (rumeno), mutare (italiano, dove anche mudare [vedleni] ci esiste) – la t
non si indebolisce; mentre nello spagnolo e nel portoghese mudar, nel francese muer
(indebolimento della t)
I primi casi sicuri del questo decrescimento risalgono al sesto secolo, p.e. sub ista labidem
marmorea = sub istam lapidem marmoream (’sotto questa tavola marmorea’) p > b e anche la
parola lapis diventa una parola femminile
esempi dal XVII secolo per il cambiamento t > d: podibat > potebat, rodatico > rotatico
d) gruppi consonantici/gruppi delle consonanti
il latino volgare tendeva a semplificare i gruppi consonantici, p.e. ns > s (mensis > mesis,
sponsus > sposus, consul > cosul)
mn, ct, ks (scritto in x) riduce in una semplice consonante (l’assimilazione del primo
elemento) – omnibus > onibus, uixit > bissit, indictione > inditione
i gruppi con tre consonanti ommettono la consonante media – empores > imtores
Questi cambiamenti sono armonici con le tendenze se conducono alle forme romanze, p.e.
mensem > meis (franciano) > mois (francese), mese (italiano), mes (spagnolo); octo > otto
(italiano)
Semplificazione dei gruppi con una consonante e una semiconsonante: faciunt > facunt,
aduersario > aduersaro
disattenzione del qu e c – segnalavano lo stesso fonema - corpus > qurpus, quiescentis >
quesquentis
q invece di qu – l’indebolimento della u consonantica dopo il fonema [k]
parietem > parete, pared (spagnolo), paroi (francese)
qui > qui (francese), chi (italiano) – il gruppo qu [kw] perde il suo elemento labiovelare
quem > quien (spagnolo)
la semplificazione delle geminate: possim, puella, annorum > posim, puela, anorum – coincide
con lo sviluppo romanzo