Facolltà di Ingegn
neria
Corso di studio in Inngegneria Civile
C per la protezione dai rischi nnaturali
Indirizzo Struttture
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of. Fabrizio Paolacci Franncesco Picca
A 2009-2
A.A. 2010
Facoltà di Ingegneria
Laurea Magistrale in Ingegneria Civile per la protezione dai rischi naturali
Sommario
1 Introduzione ............................................................................................................... 4
2 La Pericolosita’ sismica ............................................................................................. 7
3.1 Danni alle infrastrutture di trasporto nei terremoti recenti .......................................................... 15
3.2 Progettazione agli Stati Limite nelle strutture da ponte ............................................................... 20
3.3 Azione sismica ............................................................................................................................. 23
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1 INTRODUZIONE
Il comportamento dei ponti esistenti in occasione dei recenti terremoti ha offerto
importanti spunti di discussione in merito all’efficienza delle metodologie di progetto più
recenti ma ancor più di quelle utilizzate nel passato.
Dagli anni ‘50 ad oggi, a seguito dell’ imponente crescita economica, sul nostro territorio
è stata realizzata la maggior parte dei collegamenti stradali e ferroviari di grande
importanza e non è irrealistico immaginare che la progettazione dei Ponti e dei Viadotti si
sia ispirata a metodi basati su analisi lineari in una quasi totale assenza di criteri di
progetto che privilegiassero i comportamenti non fragili e lo studio dei dettagli delle
sezioni.
Gli studi numerici e sperimentali che da anni si svolgono su queste tematiche hanno già
segnalato l’esigenza di svolgere ulteriori indagini sulle strutture con tali requisiti ed in
particolare per quelle realizzate in zone con intensa attività sismica.
L’Italia, come la maggioranza dei paesi industrializzati d’occidente, è caratterizzata da un
cospicuo patrimonio di opere viarie che hanno più di 25÷30 anni di età, essendo state
costruite nell’immediato dopoguerra o nel periodo di costruzione della rete autostradale.
Questi ponti, che in Italia sono nella quasi totalità dei casi in cemento armato (c.a.) o in
cemento armato precompresso (c.a.p.), sono stati progettatati quando ancora non si
tenevano in debita considerazione i problemi di durabilità, nella convinzione che il
conglomerato cementizio fosse un materiale eterno; sono stati, infine, lasciati in servizio
senza che, salvo eccezioni, si facesse un’adeguata manutenzione.
Ciò ha portato ad una elevatissima domanda di interventi di ripristino e di riparazione per
riportare la sicurezza delle opere a livelli accettabili. In altri casi interventi sono stati resi
necessari dalle maggiori conoscenze acquisite negli anni sull’effettiva sismicità delle
varie regioni e sulla reale risposta delle opere all’evento tellurico: in tal caso l’intervento
viene classificato come adeguamento sismico.
Vi sono, infine, casi di ponti che devono essere adeguati geometricamente per soddisfare
la nascita di nuove esigenze di traffico.
Nel presente lavoro si è focalizzata l’attenzione sul seismic assessment ovvero sullo
studio nei confronti della risposta alle azioni sismiche del viadotto autostradale Rio Torto,
realizzato nei primi anni cinquanta, in cemento armato.
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L’obiettivo preposto è quello dello studio della vulnerabilità del manufatto secondo quelle
che sono le attuali norme specifiche per le costruzioni in zona sismica, al fine di
comprendere il comportamento dell’intero viadotto in condizioni critiche ed
eventualmente di proteggere la struttura attraverso l’utilizzo di isolatori sismici con lo
scopo di adeguarla a quelli che sono gli standard di sicurezza previsti dalla normativa.
Nelle moderne norme italiane ed europee sono ammessi quattro metodi di analisi,
caratterizzati da complessità e precisione crescenti.
Essi sono:
• analisi statica;
• analisi dinamica modale;
• analisi statica non lineare;
• analisi dinamica non lineare.
La scelta tra un metodo e l’altro dipende dalle caratteristiche (regolarità e periodi propri)
e dall’importanza della struttura che si sta studiando.
Tra i vari approcci, l’analisi dinamica non lineare è sicuramente in grado di fornire la
migliore predizione della risposta strutturale indotta dai terremoti.
I moti del suolo d’input per le analisi sono in genere scelti in maniera tale da
rappresentare scenari sismici che determinano la pericolosità del sito. A questo approccio
fanno riferimento sia la normativa italiana che l’Eurocodice 8, in cui le registrazioni per
analisi devono rispondere a requisiti di compatibilità con gli spettri prescritti; in particolar
modo si farà riferimento alle prescrizioni suggerite dalle nuove Norme Tecniche per le
Costruzioni (NTC2008).
Per effettuare le analisi necessarie ed in particolar modo l’analisi dinamica non lineare, è
stato utilizzato MIDAS Gen 2010 v.2.1, un software di calcolo agli elementi finiti che
permette tra le altre cose una implementazione di modelli di strutture a plasticità diffusa
mediante la suddivisione delle sezioni in fibre e l’applicazione a tali modelli di
movimenti del terreno (ground motion) derivanti da accelerogrammi registrati.
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A seguito di una prima analisi che ha portato alla valutazione della vulnerabilità
dell’opera, nelle condizioni odierne, è stato realizzato uno studio preliminare sulla
protezione del viadotto mediante l’utilizzo di isolatori sismici, anch’essi implementati nel
software, ed è stata ripetuta l’analisi di vulnerabilità nella condizione isolata con risultati
che sembrano comprovare la genuinità dell’intervento.
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2 LA PERICOLOSITA’ SISMICA
2.1 Definizioni
La pericolosità sismica (in inglese seismic hazard), viene definita come la probabilità che
in una data area ed in un certo intervallo di tempo si verifichi un terremoto che superi una
soglia di intensità, magnitudo o accelerazione di picco (PGA) di nostro interesse.
Essa dunque rappresenta qualunque effetto fisico diretto (ad esempio scuotimento del
suolo) o indotto (come la stabilità dei versanti), riconducibile ai terremoti, capace di
causare conseguenze avverse (perdite) sulle attività umane.
Per esempio, nelle normative sismiche più recenti come l’Eurocodice 8, si assume quale
pericolosità di riferimento il valore dell’accelerazione orizzontale su suolo rigido che ha
probabilità di superamento 0.10 in 50 anni (ovvero un intervallo di ricorrenza di 475
anni).
Il Rischio sismico indica, in senso molto lato, le perdite attese (vittime e danni diretti, ma
anche danni indiretti) per effetto dei terremoti. In senso probabilistico, esso definisce la
probabilità che un livello prefissato di perdite causate da terremoti, sia superato entro un
dato periodo di tempo in un sito, un insieme di siti oppure un’area.
Mitigare il rischio vuol dire dunque ridurre le conseguenze avverse dei terremoti; ciò si
può ottenere:
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I Civile
C per la pprotezione ddai rischi natturali
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calcestruzzo armato, acciaio), dall’età, dalla configurazione della struttura, dai materiali
di costruzione, dalle condizioni del luogo dove è stato costruito, dalla vicinanza con altre
costruzioni e da elementi non strutturali.
Quando si verifica un evento sismico, mentre il terreno si muove orizzontalmente e/o
verticalmente, un edificio subisce delle accelerazioni (spinte) ed inizia così a oscillare,
deformandosi. Se la struttura è capace di subire grandi deformazioni, potrà anche subire
gravi danni, ma non crollerà. Si dice in tal caso che la struttura è duttile.
Il danno degli edifici dipende anche dalla durata e dall’intensità del terremoto: più questo
è forte, più tende a scuotere il terreno per un tempo più lungo e con un’intensità maggiore
e, quindi, a causare danni alle strutture. Dopo che si è verificato un sisma, è abbastanza
semplice valutare la vulnerabilità degli edifici: è sufficiente rilevare i danni che sono stati
provocati, associandoli all’intensità della scossa subita.
Molto più complessa è invece la valutazione della vulnerabilità degli edifici prima che si
verifichi un evento sismico.
Per questa valutazione sono stati messi a punto diversi metodi:
• Statistico
• Meccanicistico
• Giudizio esperti
I metodi di tipo statistico classificano gli edifici in funzione dei materiali e delle tecniche
con cui sono costruiti. La vulnerabilità viene espressa come la probabilità che una
struttura di un certo tipo possa subire un certo livello di danneggiamento a seguito di un
terremoto di una determinata intensità. La valutazione è basata sui danni osservati in
precedenti terremoti su edifici appartenenti alla tipologia in esame.
Questa tecnica è relativamente semplice nell’applicazione, ma richiede dati di
danneggiamento da passati terremoti non sempre disponibili e non può essere utilizzata
per valutare la vulnerabilità del singolo edificio, dato che la valutazione ha carattere
statistico e non puntuale.
I metodi di tipo meccanicistico utilizzano, invece, modelli teorici che riproducono le
principali caratteristiche degli edifici da valutare, su cui vengono studiati i danni causati
da terremoti simulati. Generalmente sono modelli semplici e possono esser utilizzati per
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valutare singoli edifici o gruppi di edifici simili. In ogni caso l’utilizzabilità di questi
metodi è limitata alle costruzioni di cui si conoscono le caratteristiche costruttive.
Infine, alcuni metodi utilizzano dei giudizi esperti per valutare il comportamento sismico
e quindi la vulnerabilità di predefinite tipologie strutturali o per individuare i fattori che
determinano il comportamento delle costruzioni e valutarne, in termini qualitativi e
quantitativi, la loro influenza sulla vulnerabilità.
I risultati finali possono essere di due tipi:
Per poter valutare la vulnerabilità degli edifici su tutto il territorio nazionale è necessario
ricorrere a metodi statistici che utilizzino dati omogenei sulle caratteristiche degli edifici
stessi. Per il territorio italiano sono disponibili i dati rilevati dai censimenti Istat sulle
abitazioni. Essi vengono utilizzati nell’applicazione di un metodo statistico, che mette in
relazione il livello di danno rilevato in precedenti terremoti con diverse tipologie
costruttive.
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distribuzione geografica e le prime osservazioni sui diversi livelli di pericolo sismico del
territorio. La diffusione degli strumenti sismici a partire dalla fine del XIX secolo e delle
reti di monitoraggio nel XX secolo daranno l’impulso definitivo agli studi per la
caratterizzazione sismica del territorio italiano.
Ogni decennio mediamente in Italia si verifica un terremoto con conseguenze da gravi a
catastrofiche. Questo comporta, per i governi che si succedono nel tempo, la necessità di
fronteggiare l'emergenza e la ricostruzione, ma anche di elaborare una strategia di difesa
dai terremoti. Lo strumento di difesa adottato fino ad oggi in Italia è incentrato sulla
normativa sismica, che predispone i requisiti antisismici adeguati per le nuove costruzioni
in determinate zone del Paese; l'altra possibile difesa può avvenire attraverso l'intervento
sul patrimonio edilizio ed infrastrutturale esistente, operazione che deve essere articolata
a valle di complesse valutazioni socio-economiche, denominate analisi di rischio, in
diffusione solo negli ultimi anni.
Entrambi gli strumenti di protezione dagli effetti dei terremoti hanno un denominatore
comune nella pericolosità sismica. Per quanto riguarda la normativa sismica italiana, le
prime misure legislative vennero prese dal governo borbonico a seguito dei terremoti che
colpirono la Calabria nel 1783 causando più di 30.000 morti; dopo il terremoto che
distrusse Reggio Calabria e Messina il 28 dicembre 1908, causando, si stima, 80.000
vittime, fu promulgata la prima classificazione sismica italiana, intesa come l'elenco dei
comuni sismici. La lista comprendeva i comuni della Sicilia e della Calabria gravemente
colpiti dal terremoto ed alcuni altri comuni per i quali si tramandava il ricordo di
danneggiamenti subiti nel passato; fu modificata in seguito dopo altri eventi sismici
semplicemente aggiungendo i nuovi comuni danneggiati.
Nel 1974 fu promulgata la nuova normativa sismica nazionale contenente i criteri di
costruzione antisismica, e la classificazione sismica, la lista, cioè, dei comuni in cui
devono essere applicate le norme costruttive; quest'ultima venne stabilita con decreto
legislativo ed è pertanto aggiornabile qualora le nuove conoscenze in materia lo
suggeriscano; fino al 1980 però vi sono stati inseriti semplicemente i comuni nuovamente
colpiti da terremoti.
Gli studi sismologici e geologici che seguirono i terremoti del 1976 in Friuli e del 1980 in
Irpinia, portarono ad un sostanziale sviluppo delle conoscenze sulla sismicità del territorio
nazionale e permisero la formulazione di una proposta di classificazione sismica basata,
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per la prima volta in Italia, su indagini di tipo probabilistico della sismicità italiana e che
conteneva un embrione di stima del rischio sismico sul territorio nazionale. La proposta
del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) fu presentata al governo e tradotta in una
serie di decreti da parte del Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1980 ed il 1984. L'insieme
di questi decreti ed i loro aggiornamenti negli anni costituisce la classificazione sismica
italiana attualmente in vigore.
Pur essendo i risultati di pericolosità essenzialmente dei prodotti per tecnici, destinati a
venir successivamente ripresi in ambito legislativo, o integrati in indagini di rischio, la
loro divulgazione permette una riflessione su un fenomeno molto importante per il nostro
territorio.
Nell'ambito del progetto GNDT (Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti) per la
nuova proposta di classificazione sismica del territorio nazionale è stato privilegiato un
metodo probabilistico consolidato e preso a riferimento anche da numerosi progetti
internazionali. Questo metodo è basato sull’assunzione che l’occorrenza dei terremoti sia
un fenomeno di tipo Poissoniano, la cui frequenza di accadimento sia regolata dalla nota
relazione di Gutemberg e Richter (1954) N 10 e dove N è il numero annuo
di occorrenza di terremoti con magnitudo non inferiore a m.
Tale metodo (detto di Cornell, dal nome di colui che l'ha per primo proposto negli Stati
Uniti degli anni Settanta) prevede:
Per questo si usa dire che gli elementi basilari per procedere al calcolo della pericolosità
sismica col metodo di Cornell sono una zonazione sismogenetica dell'area studiata, un
catalogo di terremoti, ed una o più relazioni di attenuazione del parametro sismologico
scelto quale indicatore di pericolosità.
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Nell'ambito delle attività del GNDT, è stata elaborata una zonazione sismogenetica del
territorio italiano e regioni limitrofe che considera 80 sorgenti, omogenee dal punto di
vista strutturale e sismogenetico; è stato predisposto un catalogo finalizzato alla
pericolosità per i terremoti avvenuti nell'intervallo temporale dall'anno 1000 al 1980 sul
territorio nazionale e regioni limitrofe che consiste di oltre 3000 eventi principali (le
repliche sono escluse); sono state validate, o sviluppate a partire dai dati osservati in
occasione di diversi terremoti significativi, le relazioni di attenuazione dei due indicatori
di pericolosità di interesse, ovvero l'accelerazione orizzontale di picco, e l'intensità
macrosismica.
I risultati di questa metodologia sono in genere riferiti ad un certo livello di probabilità in
un dato periodo di tempo; le figure presentate (3-4), illustrano il valore dell'indicatore di
pericolosità che si prevede non venga superato nel 90% dei casi in 50 anni. I risultati
possono anche essere interpretati come quel valore di scuotimento che nel 10% dei casi si
prevede verrà superato in 50 anni, oppure la vibrazione che mediamente si verifica ogni
475 anni (cosiddetto periodo di ritorno).
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abitative. I due indicatori di pericolosità qui utilizzati rappresentano due aspetti diversi
dello stesso fenomeno.
L'accelerazione orizzontale di picco di figura 3 illustra l'aspetto più propriamente fisico:
si tratta di una grandezza di interesse ingegneristico che viene utilizzata nella
progettazione in quanto definisce le caratteristiche costruttive richieste agli edifici in zona
sismica. L'intensità macrosismica di figura 4 rappresenta, invece, in un certo senso le
conseguenze socio-economiche, descrivendo infatti il grado di danneggiamento causato
dai terremoti, una carta di pericolosità in intensità macrosismica si avvicina, con le dovute
cautele derivate da diverse approssimazioni insite nel parametro intensità, al concetto di
rischio sismico. Per questo motivo le informazioni che si possono dedurre dalle due carte
possono essere diverse; va ricordato che in entrambi i casi, i risultati forniti non
contemplano le situazioni di anomalia particolare, legati a possibili amplificazioni locali
dello scuotimento per caratteristiche geo-morfologiche sfavorevoli (effetti di sito) oppure
a situazioni di alta vulnerabilità degli edifici. Globalmente comunque i due prodotti hanno
caratteristiche simili.
Nel dettaglio della figura 3, i valori massimi di pericolosità (superiori a 0.36 g, dove con
g si indica l'accelerazione di gravità) sono raggiunti in Friuli, in alcune zone
dell'Appennino Centrale e Meridionale, lungo l'arco Calabro fino allo stretto di Messina.
Piccole porzioni della penisola (le zone pianeggianti del Piemonte e Lombardia, l'Alto
Adige, il Tavoliere delle Puglie) e la Sardegna risultano caratterizzate da valori di
scuotimento atteso molto bassi (inferiori a 0.08 g). E' da segnalare che l'attenuazione
dell'accelerazione di picco selezionata è riferita ad un terreno medio ed è stata tarata su un
vasto parco di dati europei per garantire robustezza ai risultati.
La dinamica della carta d'intensità macrosismica di figura 4 individua ancora un'area di
elevata pericolosità sismica in Friuli (valori corrispondenti al IX grado della scala
Mercalli-Cancani-Sieberg, MCS) mentre un lungo massimo interessa questa volta tutta la
parte assiale della penisola, dall'Appennino umbro-marchigiano fino a quello lucano, per
poi proseguire lungo l'arco Calabro fino a Messina; in due fasce costiere calabre vengono
raggiunti i valori massimi di pericolosità, corrispondenti agli effetti del X grado MCS.
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Figura 5:Perdita di appoggio: ponte Nishinomiya-ko, Giappone, Kobe 1995. In questo caso
erano presenti ritegni sismici assolutamente inadeguati costituiti da bulloni colleganti le
lamiere terminali dell’arco e del traverso della campata collassata
Figura 6: Terremoto di Lomas Prieta, perdita d'appoggio nel viadotto di approccio al East Bay Bridge
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Figura 8: Collasso della cerniera plastica per eccesso di deformazione flessionale ciclica, Viadotto Gothic
Avenue (terremoto di Northridge, California, 1994)
I danni di varia entità osservati sulle pile sono generalmente dovuti a difetti di duttilità
flessionale e di resistenza a taglio. Il collasso avviene molto spesso seguendo una
sequenza di snervamento flessionale della pila, degrado ciclico della sezione per
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Figura 9: Collasso per flessione e taglio, Viadotto Gothic Avenue (terremoto di Northridge, California,
1994).
Figura 10: Collasso per taglio di una pila: viadotto Wushi (terremoto di Chi Chi, Taiwan,1999)
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Figura 11: Terremoto di Kobe, Giappone (1995): collasso del viadotto urbano Hanshin
Figura 12: Terremoto di Kobe, Giappone (1995): viadotto urbano Hanshin, dettaglio.
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Nel caso particolare delle pile a telaio, relativamente diffuso tra i viadotti più vecchi
anche nel nostro Paese, un ulteriore elemento di vulnerabilità rispetto a quelli descritti è
dato dall’inadeguato dimensionamento dei nodi trave-pilastro. Un caso di particolare
evidenza è mostrato nella Figura 13.
Figura 13: Terremoto di Kobe, Giappone (1995): danni su una pila a telaio, viadotto
Shinkansen a Kobe.
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Nella Norma l’intensità sismica è specificata in termini del periodo medio di ritorno TR .
Quest’ultimo si ricava in funzione della probabilità PVR e di VR tramite la relazione:
1
ln 1
Per le strutture esistenti è generalmente ammesso verificare i soli stati limite ultimi, in
alternativa lo stato limite di salvaguardia della vita (SLV) o quello di collasso (SLC) (DM
2008, par. 8.3), così definiti:
Fanno eccezione le opere a carattere strategico, cioè ponti in classe d’uso III e IV, per i
quali è necessario verificare che a seguito di un evento sismico intenso sia assicurata la
completa transitabilità. Tale circostanza è prevista dalla norma che prescrive la verifica
degli stati limite di esercizio per un valore dell’azione sismica caratterizzato da una PVR
inferiore a quella indicata (massima) “in funzione del grado di protezione che si vuole
raggiungere”.
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Lo stato limite associato al mantenimento della transitabilità è lo stato limite di danno, cui
la norma associa il valore massimo PVR = 63%. Tale stato limite è definito nella Norma
come segue:
SLD: “a seguito del terremoto la costruzione nel suo complesso, includendo gli
elementi strutturali, quelli non strutturali, le apparecchiature rilevanti alla sua
funzione, subisce danni tali da non mettere a rischio gli utenti e da non
compromettere significativamente la capacità di resistenza e di rigidezza nei
confronti delle azioni verticali ed orizzontali, mantenendosi immediatamente
utilizzabile pur nell’interruzione d’uso di parte delle apparecchiature.” (DM 2008,
par. 3.2.1)
La capacità di rigidezza e resistenza alle azioni verticali non risulta compromessa se per
effetto dell’azione sismica l’escursione inelastica massima (e quindi gli spostamenti
residui) risulta limitata. La scelta di adottare per un’opera un valore di PVR < 63% per lo
SLD (criterio di mantenimento della transitabilità per sisma intenso) spetta alle autorità
competenti.
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Tali valori sono forniti in allegato alle Norme (DM2008, all. B) su un reticolo di punti che
ricopre il territorio nazionale definiti in termine di latitudine e longitudine.
In accordo alle Norme l’azione sismica è definita mediante tre componenti, due
orizzontali X e Y e una verticale Z, descritte alternativamente in termini di:
- spettro di risposta elastico in accelerazione (DM 2008, par. 3.2.3.2)
- spettro di risposta elastico in spostamento (DM 2008, par. 3.2.3.2.3)
- storie temporali del moto sismico (DM 2008, par. 3.2.3.6).
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S2 Terreni suscettibili di
liquefazione
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Figura 14: Spettro di risposta elastico in accelerazione delle componenti orizzontali in accordo al DM 2008
valori di SS=1 e dei periodi TB = 0.05s , TC = 0.15s , TD = 1.0s sono indipendenti dalla
categoria di sottosuolo (DM 2008, T3.2.VII).
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dg 0.025ag · · · · 2
⁄ .
dij x dij0 · 1 1.25 · 3
dij0 4
dij,max 1.25 5
dove dij0 e dij,max sono rispettivamente lo spostamento relativo tra punti a piccola distanza
(x<20m) e quello massimo nell’ipotesi di completa indipendenza del moto in i e j. Gli
spostamenti dgi e dgj si calcolano secondo la (2) in accordo alle caratteristiche locali di
suolo.
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in base alla media delle ordinate spettrali ottenute con i diversi accelerogrammi per un
coefficiente di smorzamento viscoso equivalente ξ del 5%.
L'ordinata spettrale media non dovrà presentare uno scarto in difetto superiore al 10%
rispetto alla corrispondente ordinata dello spettro elastico, in alcun punto dell'intervallo di
periodi 0,15s÷2,0s e 0,15s÷2T, in cui T è il periodo fondamentale di vibrazione della
struttura in campo elastico.
Nel caso di ponti con isolamento sismico, il limite superiore dell’intervallo di coerenza è
assunto pari a 1,2 Tis , essendo Tis il periodo equivalente della struttura isolata, valutato
per gli spostamenti del sistema d’isolamento prodotti dallo stato limite in esame.
Accelerogrammi artificiali
Il numero di accelerogrammi artificiali o, per analisi spaziali, di gruppi di
accelerogrammi artificiali, deve essere almeno pari a 5. Nel caso di gruppi di
accelerogrammi ogni componente potrà essere generata in maniera indipendente con gli
stessi criteri (di spettro-compatibilità, durata, etc).
La durata degli accelerogrammi artificiali deve essere coerente con i valori della
magnitudo e degli altri parametri fisici che determinano l’intensità sismica locale in
termini di spettro di risposta (ovvero i parametri ag , Tc e Cc ).
In assenza di studi specifici la durata della parte pseudo–stazionaria degli accelerogrammi
deve essere almeno pari a 10s. La parte pseudo–stazionaria deve essere preceduta e
seguita da tratti di ampiezza crescente da zero e decrescente a zero.
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Accelerogrammi simulati
L’uso di accelerogrammi generati mediante simulazione fisica della sorgente e della
propagazione, in numero comunque non inferiore a 10, è ammessa, a condizione :
Le verifiche di sicurezza comportano una analisi strutturale, di tipo lineare oppure non
lineare, e successive verifiche puntuali di deformabilità e resistenza in tutte le parti
critiche dell’opera. Per questo fine è richiesta quindi la disponibilità dei valori di tutte le
grandezze geometriche e meccaniche che consentono una verifica del tipo indicato. Nella
generalità dei casi l’impalcato non è significativamente impegnato nella risposta sismica
della struttura. Ne discende che le indagini conoscitive sono da indirizzare in modo
prevalente alle sottostrutture (pile e spalle) e alle fondazioni, oltre che ovviamente ai
sistemi di vincolo e interconnessione tra gli elementi strutturali (appoggi, giunti, etc).
• Geometria dell’opera nel suo stato attuale. Essa può essere desunta dai disegni
costruttivi originali o, a vantaggio di più sicura attendibilità, dai disegni di
contabilità. Ciò si estende naturalmente anche alle eventuali variazioni introdotte a
seguito di interventi di rilevanza strutturale successivi alla costruzione. In
mancanza della documentazione suddetta, è necessario procedere a un rilievo
completo della geometria e a indagini conoscitive a campione sulle fondazioni.
• Dettagli costruttivi, ovvero disposizione e quantità delle armature. Essa può essere
desunta dai disegni costruttivi originali o, a vantaggio di più sicura attendibilità,
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Il modello strutturale deve riflettere lo stato attuale della struttura o quello in cui essa si
troverà a seguito di interventi migliorativi che saranno messi comunque in atto, quali la
solidarizzazione delle solette, o di allargamento per l’adeguamento funzionale, etc.
Il modello strutturale deve poter descrivere tutti i gradi di libertà significativi
caratterizzanti la risposta dinamica e riprodurre fedelmente le caratteristiche di inerzia e
di rigidezza della struttura, e di vincolo degli impalcati. Nel caso in cui l’analisi sia di tipo
non lineare, il modello strutturale deve poter seguire l’evolversi dello stato tensionale e
deformativo della struttura oltre la fase elastica, prodotto dalla formazione di un numero
crescente di zone plasticizzate. La plasticizzazione può essere considerata concentrata alle
estremità degli elementi in “cerniere plastiche”, il cui comportamento può essere definito
da un legame momento curvatura bilineare o multi-lineare, purché in grado di tener conto
dell’influenza dello sforzo normale, quando necessario. Ove disponibili sono da preferire
modelli più accurati in grado di descrivere la plasticizzazione diffusa (non concentrata
alle sole estremità) degli elementi, sulla base del comportamento di numerose sezioni
interne, ottenuto dall’integrazione sulla sezione stessa dei legami costitutivi non lineari
dei materiali componenti.
Legami costitutivi per analisi non lineari
I legami costitutivi riportati nel seguito costituiscono un riferimento consolidato ai fini
dell’analisi non lineare e delle verifiche degli elementi strutturali. E’ possibile utilizzare
legami alternativi riportati in letteratura se adottati in codici di calcolo di comprovata
affidabilità. Il legame costitutivo di Mander, proposto per il conglomerato, è riportato
nella Figura 16a). La definizione di tale legame per un conglomerato non confinato
richiede la conoscenza della resistenza cilindrica fc e del modulo elastico iniziale Ec . In
presenza di confinamento sono necessari in aggiunta il valore della percentuale
geometrica di armatura trasversale ρ della relativa tensione di snervamento fy .
Il legame è descritto dalla relazione:
6
1
dove :
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· 10
0.002 1 5 1 12
La tensione di confinamento σc e i fattori da cui essa dipende sono riportati in funzione
della forma della sezione e della tipologia di staffe nella tabella 8, dove α è il fattore di
efficienza del confinamento, s è l’interasse delle staffe, bc ,hc sono le dimensioni del
nucleo confinato, n è il numero di barre longitudinali direttamente trattenute da staffe o
cravatte, bi è la distanza tra barre trattenute adiacenti, Dc il diametro del nucleo confinato,
As rappresenta l’area complessiva dei bracci di staffe presenti in ciascuna delle due
direzioni (sezioni rettangolari, il valore della tensione di confinamento si prenderà pari a
o l’area della staffa circolare/spirale.
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Per quanto riguarda l’acciaio, vengono dati come riferimento due legami costitutivi,
quello bilineare e quello non lineare isteretico di Menegotto-Pinto. Il primo rappresenta
un’approssimazione accettabile per l’analisi momento-curvatura monotona di sezione.
Il secondo è uno di quelli indicati per lo svolgimento di analisi dinamiche non lineari. La
definizione del legame bilineare richiede la conoscenza del valore della tensione di
snervamento fy, del modulo elastico Es e del rapporto di incrudimento b. Il legame di
Menegotto-Pinto è mostrato in Figura 16 b). La definizione di tale legame richiede la
conoscenza del valore della tensione di snervamento fy , del modulo elastico Es del
rapporto di incrudimento b, delle costanti della funzione di transizione R che regola
l’effetto Bauschinger : R0 , a1 , a2 .
Il legame è descritto dalla relazione:
1
13
1
dove:
/ 14
/ 15
/ 16
con ξ indicato nella figura.
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Ai fini dell’analisi strutturale, sia essa lineare o non lineare, si utilizzano le caratteristiche
meccaniche medie dei materiali. Nelle espressioni precedenti pertanto fc = fcm , Ec = Ecm ,
etc. Se il modulo iniziale di deformazione del conglomerato non è determinato
sperimentalmente, si può fare uso delle correlazioni tra il modulo e la resistenza
disponibili in letteratura, quale ad esempio quella fornita nel DM 2008 (cap.11):
.
22000 /10 17
18
nella quale ν = 1.2 è un fattore di correzione che tiene conto della maggiore rigidezza
della parte di pila non fessurata, MR(N) è il momento ultimo della sezione di base
calcolato per il valore permanente dello sforzo normale e y è la curvatura di snervamento.
In generale i valori del momento MR(N) e della curvatura Φy si ottengono da un’analisi
momento-curvatura della sezione.
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La grande maggioranza delle opere esistenti sulla rete viaria nazionale è costituito da
ponti a travata con impalcati semplicemente appoggiati su pile a fusto unico.
Nell’ipotesi che la strategia di intervento non preveda di modificare sostanzialmente lo
schema statico, ad esempio mediante solidarizzazione degli impalcati o sostituzione
integrale degli stessi con uno continuo, ed eventuale introduzione di apparecchi di
isolamento/dissipazione, per tali ponti è possibile definire una metodologia specifica di
analisi, che rappresenta un buon compromesso di semplicità e accuratezza, da usare in
alternativa ai metodi più accurati illustrati al paragrafo successivo. Il modello di
riferimento è costituito da una mensola verticale a massa distribuita lungo l’altezza sulla
quale grava la massa del pulvino e dell’impalcato. In direzione trasversale all’asse del
ponte ogni pila costituisce in tutti i casi un oscillatore indipendente, mentre in direzione
longitudinale, nell’ipotesi che siano previsti dei ritegni sismici, il sistema è ancora a un
grado di libertà, caratterizzato dalla somma delle masse afferenti alle singole pile e dalla
forza di richiamo somma delle forze delle singole pile. Il procedimento proposto consiste
in un’analisi statica non lineare semplificata, nella quale il legame forza-spostamento in
sommità dell’oscillatore considerato si ottiene con semplici passaggi a partire dai legami
momento-curvatura alla base delle pile.
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La massa efficace della pila da considerare concentrata in sommità è data, per pile a
sezione costante, dalla somma del 30% della massa della pila e della massa del pulvino.
La massa totale per la generica pila vale quindi:
0.3 19
L’altezza di tale massa dalla base per l’analisi in direzione trasversale (Figura 17) è data
dall’espressione:
0.3
20
Per l’analisi in direzione longitudinale, l’altezza efficace è pari alla distanza del piano
degli apparecchi di appoggio dall’estradosso della fondazione.
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1
21
3
· ⁄2 22
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2 2 24
1 25
1 1 26
dove m S T ⁄V
La forza di taglio per la verifica della pila si ottiene direttamente dal diagramma forza –
spostamento in corrispondenza dello spostamento massimo di risposta δmax.
La forza di taglio per la verifica degli apparecchi di appoggio vale:
1.25 27
dove il fattore 1.25 ha lo scopo di garantire una maggiore livello di protezione agli
apparecchi di appoggio e il taglio V δmax è la forza fornita dal legame V‐δ in
corrispondenza dello spostamento di risposta.
In direzione longitudinale la massa totale è data dall’espressione :
28
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Figura 20: Direzione longitudinale: legame complessivo a partire dai legami di pila
, , 29
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come mostrato in Figura 21, casi (a) e (b), e approssimativamente uguale alla rotazione
del nodo per elementi orizzontali (traversi), come mostrato in Figura 21, caso (c). Nel
caso (c) la rotazione rispetto alla corda per i ritti è solo approssimativamente uguale al
rapporto δ/H.
Figura 21: Rotazione rispetto alla corda a) fusto unico b) portale multiplo c) telaio
Per ogni piano di flessione dell’elemento, lo sforzo di taglio agente V è dato da:
• il valore ottenuto dall'analisi nel caso in cui i momenti alle estremità dell'elemento
non raggiungono il rispettivo valore plastico (ρ≤1).
• Il valore:
30
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lineare, di tipo multi-modale. Nel seguito si illustrano i metodi di analisi statica non
lineare mono – modale e multi – modale con distribuzione di forze invarianti.
Analisi mono – modale
Il metodo consiste nell'applicazione ad un modello non lineare del ponte, di un sistema di
forze statiche di intensità crescente fino al raggiungimento della capacità massima del
sistema in termini di resistenza o di deformabilità, nella successiva trasformazione della
curva taglio alla base–spostamento di un grado di libertà di controllo in un sistema
bilineare equivalente, e quindi nella determinazione della risposta di tale sistema al sisma
di verifica. Ciò avviene applicando alla struttura un sistema di forze di intensità crescente
dato da:
· 31
dove M è la matrice delle masse e la prima forma modale φ deve essere normalizzata
ponendo pari a 1 lo spostamento del grado di libertà di controllo. Quest’ultimo coincide
con il grado di libertà caratterizzato dal massimo spostamento modale. L’intensità cresce
fino al raggiungimento della capacità ultima della struttura. Il risultato dell’analisi viene
espresso in termini di curva taglio alla base (somma delle forze applicate ∑ )–
spostamento in sommità u .Si definisce quindi il coefficiente di partecipazione modale:
Γ 1 / 32
La forza V* e lo spostamento u* del sistema ad 1 grado di libertà equivalente sono dati da:
V /Γ 33
u /Γ 34
m 1 35
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Figura 22: Bilinearizzazione con il criterio delle aree uguali a) incrudimento nullo b) incrudimento non nullo
1
2 36
2
1 1 2 2
37
2 2
Noto u*y la rigidezza elastica risulta pari a k= V*y u*y da cui segue il periodo elastico del
sistema bilineare T* :
2 ⁄ 38
A.A. 2009-2010 44
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1 39
1 1 40
con
⁄ 41
Si osserva che le caratteristiche del sistema bilineare equivalente dipendono dalla scelta
dello spostamento ultimo u* a partire dal quale si impone l’equivalenza delle aree, il
quale deve coincidere con il valore della risposta u*max. Ciò comporta l’esigenza di
iterare fino al raggiungimento di tale condizione.
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V ⁄Γ Y , ⁄ ΓY ,
dove Γ ⁄ e Γ ⁄ , tX e tY sono i
vettori di trascinamento nelle direzioni X e Y, Φi,c è l’ordinata modale nel
grado di libertà di controllo (che deve essere scelto per ogni modo come il
grado di libertà con massima ordinata modale)
c) Bilinearizzazione dei diagrammi Vix* – uix*
risposte massime , ,
Sotto l’effetto dell’azione sismica di verifica tutti gli elementi dell’impalcato devono
soddisfare le verifiche come per le situazioni non sismiche.
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Pile
Per quanto riguarda la capacità deformativa, il valore ultimo della rotazione rispetto alla
corda da utilizzare per la verifica allo SLC è dato dall’espressione:
42
3
1
· 1 43
2
3
1 44
4 4 2
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1
; 0.55 1 0.05 5; ∆,
2
dove:
γel = 1.15
h = altezza della sezione
d = altezza efficace della sezione
x = profondità dell’asse neutro
N = sforzo normale, positivo di compressione, posto uguale a zero se di trazione
LV = M/V luce di taglio
Ac = area della sezione bd per sezione rettangolare ⁄4 per sezione circolare
Dc = diametro nucleo confinato
ρtot = percentuale geometrica totale di armatura longitudinale
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In ogni piano di flessione, la resistenza a taglio sotto azione ciclica, VR di setti (ad es:
pareti di una pila a sezione cava rettangolare, mono- o pluri-cellulare) è non superiore alla
forza di taglio corrispondente allo schiacciamento delle bielle diagonali VRmax , data dalla
formula seguente:
0.85 1 0.06 5; ∆,
, 1 1.8 0.15;
Appoggi
Gli apparecchi di appoggio fissi devono essere in grado di trasmettere, mantenendo la
piena funzionalità, le forze di taglio in testa alle pile indotte dall’azione sismica di
verifica, incrementate del fattore γR =1.20 .
Gli appoggi mobili devono essere in grado di consentire, mantenendo la piena
funzionalità, lo scorrimento massimo indotto dall’azione sismica di verifica.
Nel caso di appoggi mobili su pile e spalle è necessario verificare che non vi sia rischio di
perdita d’appoggio dell’impalcato.
Tale verifica si ritiene superata se la lunghezza di appoggio è pari o superiore a:
, , 47
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Formato di verifica
Indicando con Dx e Dy le quantità di domanda determinate dall’analisi (spostamenti,
rotazioni, forze di taglio) nei due piani di principali flessione di un elemento, e con Cx e
Cy le corrispondenti capacità, la forma generale di verifica è data dall’espressione:
1 48
1 49
, ,
1 50
, ,
, , 51
, , 52
per l’analisi statica non lineare, dove la sottrazione dell’effetto dei carichi gravitazionali
dalla risposta modale per ciascuna direzione del sisma, è necessaria, in quanto
l’applicazione delle forze orizzontali per ogni distribuzione modale, è preceduta da quella
dei carichi gravitazionali.
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• definizione del legame costitutivo non lineare dei materiali e del diagramma
momento-curvatura oppure della posizione delle cerniere plastiche nel caso di
modellazione a plasticità concentrata;
• definizione dell’input sismico, secondo le prescrizioni della normativa adottata.
Le Norme Tecniche per le Costruzioni suggeriscono di utilizzare, per verificare
entrambi gli stati limite ultimo e di danno, accelerogrammi reali, simulati o
artificiali in gruppo di almeno 10 agenti contemporaneamente nelle tre direzioni
principali della struttura o in numero superiore;
Svolta l’analisi e calcolata la risposta nel tempo della struttura sollecitata da un evento
sismico rappresentato da un gruppo di accelerogrammi, è possibile conoscere in ogni
istante su ogni elemento della struttura gli effetti del sisma (momenti, tagli, spostamenti,
rotazioni), controllando la compatibilità degli spostamenti negli elementi che presentano
un comportamento duttile e delle resistenze negli elementi con comportamento fragile.
Le verifiche riguarderanno i valori medi delle azioni calcolate. E’ inoltre opportuno
segnalare che, in funzione delle caratteristiche dinamiche della struttura, dovrà essere
adeguatamente selezionato il passo temporale di integrazione delle equazioni del moto.
E’ quindi opportuno utilizzare questo metodo di analisi solo in casi molto particolari,
(come nel caso del viadotto in esame) quando la complessità della struttura e l’importante
contributo dei diversi modi di vibrazione non consentono di ricondurre, con sufficiente
attendibilità, la risposta sismica a quella di un sistema non lineare equivalente ad un solo
grado di libertà.
In tali casi, l’analisi dinamica non lineare porta alla valutazione di una richiesta di
spostamento inferiore a quella stimata con l’analisi statica non lineare.
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Il viadotto oggetto dello studio, a cavallo del torrente Rio Torto, (dal quale l’opera prende
nome) si trova nella porzione appenninica dell’autostrada A1 Napoli – Milano nel tratto
Firenze – Bologna in località Roncobilaccio (BO). Il progetto risale agli anni ’50 e la
costruzione del manufatto fu completata nel 1959.
Il viadotto, la cui lunghezza complessiva è circa pari a 421 metri, consiste di 13 campate
di luce costante (33m) ad eccezione delle due campate d’estremità (29.05m). La sede
stradale, a carreggiate separate (Fig.25) ma strutturalmente identiche nei due sensi di
marcia, misura 12m.
Il profilo longitudinale del ponte è mostrato nella figura seguente.
A.A. 2009-2010 53
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Ciascuna delle pile è costituita da due pilastri a sezione circolare piena o cava, con
diametro esterno variabile tra 120 e 160cm, collegati, ad altezze differenti, da uno o più
A.A. 2009-2010 54
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A titolo d’esempio la Figura 26 mostra lo schema di due delle pile (n° 9 e 11). La prima è
costituita da pilastri circolari cavi con diametro esterno di 160cm e diametro interno di
100cm, armati longitudinalmente con 20 φ 20 esterni, 14 φ 16 interni e staffe a spirale
φ6/14. La seconda ha colonne circolari piene con armatura longitudinale costituita da 16 φ
20 e staffe a spirale φ6/14. Per tutti i trasversi l’armatura longitudinale è composta, in
prossimità dei nodi, da 4 φ 24 + 8 φ 20 superiori e inferiori, che si riducono a 4 φ 24
superiori e inferiori nella mezzeria, mentre l’armatura trasversale è costituita da staffe a
due bracci φ 8 con passo variabile (10 cm ai nodi e 14cm in mezzeria) e da 3 barre φ 20
piegate a 45°. Il pulvino, in prossimità dei nodi, ha sezione rettangolare 120 × 120cm con
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Le fondazioni sono costituite da plinti isolati in cemento armato collegati tra loro da
cordoli (Fig. 32-33). Ciò suggerisce evidentemente la presenza di un terreno di ottima
portanza anche se la documentazione tecnica disponibile dell’opera non contiene
informazioni a riguardo. Inoltre, a causa dell’orografia del terreno, i plinti si trovano
spesso posizionati su quote diverse anche nell’ambito della singola pila.
A.A. 2009-2010 56
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Allo stato attuale, sono disponibili pochi dati circa le caratteristiche dei materiali. Le sole
informazioni che si hanno, riguardano la classe di calcestruzzo, corrispondente ad una
resistenza media di 30MPa. Per quanto riguarda l’acciaio da carpenteria, si hanno alcuni
studi in letteratura, secondo i quali al tempo della realizzazione dell’opera, in Italia, si
utilizzava solitamente per questa tipologia di struttura, un acciaio denominato AQ42, a
cui corrisponde una resistenza media di 350MPa. Per superare questa incertezza ed avere
a disposizione maggiori informazioni sulle caratteristiche dei materiali, sarebbe
opportuno realizzare alcuni test in sito.
Questo significa che per ogni singola pila è applicato un carico totale di 5610kN per le
campate aventi lunghezza di 33m, mentre per le campate di estremità (29.05m) si avrà un
carico di 4938.5kN. Si avrà dunque un carico per colonna di 2469.25 kN per le pila 1 e 12
e di 2805 kN per le restanti pile.
A.A. 2009-2010 57
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Nella figura riportata di seguito viene rappresentata la carta geologica della zona dove è
collocato il viadotto Rio Torto. Dall'analisi della mappa emerge che il viadotto fu
costruito su un zona molto estesa di argilliti calcaree (zona verde chiaro) e su lenti di
arenarie (zone rosa chiaro).
Queste formazioni litologiche, possiedono elevate caratteristiche di portanza e resistenza
e possono essere considerate come suolo rigido; questo giustifica la presenza di
fondazioni superficiali (plinti) su tutte le pile.
Il viadotto di seguito analizzato è stato realizzato in una zona con moderata – alta attività
sismica. La zona sismogenetica (913) in cui è posto il ponte è indicata nelle Figure 35-37.
La mappa di intensità sismica (INGV) mostra (Figura 36) che il range di PGA atteso per
tale condizione (SLV) è compreso tra 0.23g e 0.25g, mentre considerando la condizione
di prevenzione del collasso (SLC - probabilità del 2% in 50 anni) questo oscilla tra 0.30g
e 0.35g.
A.A. 2009-2010 58
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Figura 35 : Mappa delle zone sismogenetiche Figura 36: Mappa di intensità sismica
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1 Friuli 34 0.9533
2 Campano Lucano comp. Y 146 5.6759
3 Mt. Vatnafjoll 1338 10.3519
4 Golbasi 189 8.7059
5 South Iceland comp. Y 1635 2. 1762
6 Montenegro 93 1.8797
7 South Iceland (aftershock) 2142 2.9457
8 Tabas comp. X 87 1.0058
9 Tabas comp. Y 87 0.8825
10 Kalamata 1885 2.8156
A.A. 2009-2010 61
Facooltà di Ingegn
neria
Laurea Maagistrale in Ingegneria
I Civile
C per la pprotezione ddai rischi natturali
A.A. 20009-2010 62
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In figura 34e 35 sono invece rappresentati gli spettri dei dieci accelerogrammi; nella
prima figura sono riportati gli spettri di tutte le time-histories insieme allo spettro
normativo ed ai limiti inferiore e superiore rispettivamente del 10% e del 30%.
Per maggior chiarezza, nel seconda figura sono rappresentati solamente lo spettro medio,
quello di norma ed i limiti appena descritti; come si può vedere lo spettro medio così
ottenuto, approssima con buona accuratezza lo spettro di riferimento pur mantenedosi
leggermente al di sopra dei limite inferiore.
A.A. 2009-2010 63
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Il modello dell’intero viadotto, è stato realizzato mediante il software agli elementi finiti
MIDAS Gen 2010 per una sola linea di percorrenza.
Questo programma ha molti vantaggi tra cui la facilità e la rapidità di esecuzione di
analisi non lineari, e la possibilità di definire le sezioni di ogni singolo elemento sia con
plasticità concentrata che con plasticità diffusa (sezioni a fibre).
Il modello è stato realizzato in scala 1:1.
A.A. 2009-2010 64
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Figura 43 : Sezione pila piena 120cm Figura 45 : Sezione pila cava 160cm
Figura 44: Sezione trasverso tipo C Figura 46: Sezione piena pulvino120x120cm
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Gli elementi a fibre implementati nel codice di calcolo MIDAS Gen assumono che le
sezioni siano perpendicolari all’asse dell’elemento e si mantengano piane durante
l’applicazione dei carichi.
Le forze agenti sulla sezione sono il carico assiale N(x), il momento flettente M(x), e il
taglio V(x). Le corrispondenti deformazioni della sezione sono la deformazione assiale
riferita all’asse 0(x) la curvatura χ(x) e la deformazione di taglio γ(x). Il vettore S
rappresenta le forze nella sezione e le deformazioni nella sezione:
È possibile applicare il Principio dei Lavori Virtuali, che nel caso di un elemento “beam”
assume la forma:
A.A. 2009-2010 66
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dove:
1 0
0 0 1
1 1
0
dove f(x) è la matrice di flessibilità e dipende dal modello di sezione utilizzato per il
materiale e S(x) rappresenta le forze nella sezione.
Sostituendo nel Principio del Lavori Virtuali S(x) ed (x) ricavate in precedenza ed
eliminando δPT, l’equazione diventa:
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Per poter assegnare la massa lungo l’impalcato, ogni campata del ponte è stata suddivisa
in 5 parti aventi lunghezza compresa tra 5.81m e 6.60m e la massa traslazionale è stata
definita su questi conci, lungo le direzioni trasversali e verticale (mx , my , mz).
La massa rotazionale (mθx) è stata definita solamente intorno all’asse longitudinale
(Y).(Fig.50).
Figura 49 : Elementi e nodi del modello Midas Figura 50: Disposizione delle masse nel modello
Midas
Elemento L = 6.6m
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· · 68.6 · 25 · 6.6
1153.68 /
9.81
Elemento L = 5.81m
Massa traslazionale del concio lungo 5.81 metri:
170
· 5.81 101 /
9.81
· · 68.6 · 25 · 5.81
1015.59 /
9.81
170
· 6.205 108 /
9.81
· · 68.6 · 25 · 6.205
1084.53 /
9.81
Il valore delle masse traslazionali e rotazionali, sono indicati nella seguente tabella:
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neria
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I Civile
C per la pprotezione ddai rischi natturali
Per com
mpletezza, anche
a la maassa delle piile è stata considerata
c nel modelloo, nonostan
nte la
massa dell’impalca
d ato sia di grran lunga prreponderante rispetto a quella dellee pile.
Per ognni pila sono state considderate le maasse nodali, come schem
matizzato ddi seguito:
F
Figura 51: Schhematizzazionee della massa concentrata
c deella pila n.1
Come esempio
e vieene riportatto il calcoloo delle massse concentrrate del priimo piano della
d
pila n.1:
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Nella tabella seguente, si possono trovare tutti i valori del calcolo effettuato:
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Calcestruzzo
L’utilizzo di legami che tengano conto del contributo del solo calcestruzzo si dimostrano
validi solo nei casi di carichi ciclici che sottopongano la sezione a leggere sollecitazioni.
In caso invece di sollecitazioni cicliche maggiori, le prove sperimentali hanno potuto
confermare come sia il confinamento della sezione a dare il maggior contributo.
Per questo si deve quindi fare riferimento ad un modello più raffinato che tenga conto
anche di questo contributo.
Il modello di Mander (1988) si rivela adatto allo scopo.
Le armature trasversali sono previste per tenere conto del confinamento del calcestruzzo e
per evitare la rottura per instabilità delle barre di armatura longitudinale e di rottura a
taglio dell’elemento.
Infatti come noto la presenza di armatura trasversale può aumentare la resistenza e la
duttilità di un elemento per l'effetto del confinamento.
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Acciaio
Il comportamento non lineare per l’acciaio da armatura utilizzato è quello elaborato da
Menegotto e Pinto (1973) e modificato in seguito da Filippou et al. (1983), che include la
deformazione isotropa per incrudimento. Il modello è stato utilizzato nel corso degli anni
e si è sempre dimostrato molto efficiente restituendo valori in accordo con i risultati
sperimentali di barre per armatura soggette a carico ciclico.
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Alla base delle pile, le fondazioni superficiali (plinti) sono state considerate come vincoli
fissi (incastri) in tutte le direzioni; questa assunzione risiede nella considerazione che il
carico verticale agente su ogni colonna risulta comunque maggiore dell’eventuale carico
agente verso l’alto prodotto dall’effetto tira e spingi dato da una forza orizzontale
applicata in sommità della pila.
Per questo motivo risulta credibile che la base della pila non si sollevi da terra in caso di
evento sismico e che quindi il sistema si possa considerare come un vicolo che possa
trasmettere sia taglio che momento flettente.
Per le spalle di entrambi i lati del ponte invece, sono stati assunti vincoli scorrevoli
(carrelli) affinché l’impalcato potesse essere libero di traslare in direzione longitudinale
(Y globale), ma trattenuto in direzione trasversale (X globale) e verticale (Z globale).
Per quanto riguarda le selle Gerber, esse sono state modellate come delle cerniere, quindi
con la possibilità di trasferire sforzi di taglio in direzione verticale, longitudinale e
trasversale ma di non potere scorrere in queste direzioni.
a) risulta difficile poter credere che lungo la direzione trasversale, gli elementi di
campata possano essere ritenuti liberi di muoversi reciprocamente, a causa del
carico verticale imposto dall’impalcato stesso.
b) il viadotto presenta una curvatura molto leggera; questo può indurre la
trasmissione di forze di taglio in direzione trasversale a causa della rotazione in
direzione verticale delle campate adiacenti del ponte che possono portare al
fenomeno noto come “martellamento”;
c) la presenza di selle in senso longitudinale suggerirebbe l'utilizzo di elementi di
“gap” che permettano all’impalcato di non subire spostamenti una volta raggiunto
un determinato valore di soglia.
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Figura 54: Schematizzazione vincoli: modello a cerniera per le selle Gerber, modello a carrello per le spalle,
cerniere per la connessione tra pile ed impalcato
Con quest’ultimo tipo si modellazione, le quattro parti, in cui il viadotto può essere
diviso, si sarebbero comportate indipendentemente l’una dall’altra. Per questo
motivo, l'ipotesi di considerare le selle Gerber come cerniere risulta certamente più
conservativa.
Per quanto riguarda il collegamento del ponte alle pile, sono state create due travi
rigide che uniscono il centro di massa del ponte fino alla cima delle pile. La rigidezza
di queste travi si presume essere infinita, perché è ragionevole considerare che non
siano deformabili, data la presenza nella realtà (Fig. 55) di un solettone irrigidente
nella parte inferiore dell’impalcato.
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M
Momento di innerzia in x 3.989 m4 3.8897 m4
M
Momento di innerzia in y 64.61 m4 64..34 m4
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4.4.1 Premessa
1) Presenza di un vasto parco opere costruite quasi interamente negli anni ’50, molti
dei quali ancora in funzione;
2) Inadeguatezza progettuale delle strutture rispetto all’azione sismica a causa di
riferimenti normativi assenti o appena abbozzati all’epoca della costruzione;
3) Modesta o scarsa qualità progettuale dei manufatti, quasi tutti in cemento armato
ordinario e precompresso (assenza generalizzata di qualunque forma di gerarchia
delle resistenze, scarsa azione di confinamento del calcestruzzo per limitata
armatura trasversale, fondazioni spesso dimensionate in maniera inadeguata);
4) Scarso livello di manutenzione delle opere.
Da tale quadro appare chiaro che la valutazione della vulnerabilità sismica di tali opere è
un’operazione complessa che richiede un livello di conoscenza adeguato, spesso non
raggiungibile per la mancanza di tutta una serie di informazioni difficilmente reperibili,
specialmente in presenza di strutture in cemento armato (conoscenza adeguata delle
caratteristiche meccaniche e geometriche delle strutture e dei materiali (acciaio e
calcestruzzo), informazioni sulle mutazioni strutturali avvenute a seguito di
ristrutturazioni, una attendibile previsione dei carichi gravitazionali, etc...). Tali difficoltà
si traducono conseguentemente nella impossibilità pratica di stimare in maniera
attendibile il rischio sismico di tali opere.
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Più in particolare, la valutazione della risposta sismica attesa di tali strutture è tuttora
condizionata da numerose incertezze riguardo ai meccanismi principali che ne
caratterizzano la risposta post–elastica.
Ciò rende difficile una efficace utilizzazione dei metodi di analisi e degli strumenti di
calcolo disponibili, con particolare riferimento alle analisi non lineari.
In particolare, è sempre più diffuso l’utilizzo dell’analisi statica non lineare (push-over).
Essa presuppone la corretta individuazione e modellazione delle zone di plasticizzazione
affinché venga fornita una indicazione attendibile della prestazione richiesta alla struttura
stessa. Occorre aggiungere che l’armatura presente nelle vecchie costruzioni era spesso
realizzata con barre lisce, il cui comportamento, soprattutto nei riguardi dell’aderenza e
dell’ancoraggio, è stato nel passato poco indagato. L’esame della letteratura tecnica sul
tema delle barre lisce e degli ancoraggi terminali evidenzia infatti che le campagne
sperimentali sono molto datate. Solo recentemente tale problematica è stata rivalutata dal
punto di vista scientifico ed è stato impostato un approccio sistematico al problema
dell’influenza delle barre di armatura lisce sulla risposta strutturale di elementi in
cemento armato.
Per colmare queste lacune i ricercatori della linea 3 del progetto RELUIS si sono posti
come obiettivo il raggiungimento di uno stato di conoscenze utili alla stesura di linee
guida per la valutazione e il progetto dell’adeguamento sismico di ponti esistenti.
Tra le attività di ricerca dedicate a questo tema quella sperimentale riveste un ruolo
particolarmente rilevante per la qualità e la quantità di informazioni che essa è in grado di
fornire. Inoltre, la presenza di una scarsa attività sperimentale su strutture in cemento
armato di vecchia concezione rende il tema ancora più interessante.
Per tali motivi uno dei temi del progetto include la definizione e l’esecuzione di prove
sperimentali per la valutazione del comportamento sismico di elementi strutturali di
elevate dimensioni con e senza sistemi di rinforzo. In particolare, sono state realizzate
prove su pile a telaio, sulla cui definizione ed esecuzione è coinvolto il Dipartimento di
Strutture dell’Università degli Studi di Roma Tre. Questa tipologia di pile presente in
molti viadotti della rete autostradale italiana è stata scelta per la sua elevata vulnerabilità
sismica.
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Tra differenti tipologie di ponti, selezionati dalle unità di ricerca coinvolte nel progetto, è
stato scelto il viadotto “Rio Torto”.
Ai fini sperimentali è stato realizzato un modello in scala 1:4 di una delle pile
appartenenti alla stilata n°12. Esso è stato testato presso il Laboratorio Prove Sperimentali
del Dipartimento di Strutture dell’Università di Roma Tre.
I risultati dei test sono stati poi utilizzati per la calibrazione di un modello numerico
sviluppato in ambiente OpenSees.
Quest’ultimo consente di tener conto dei diversi meccanismi di rottura osservati durante
le prove: più in particolare, la formazione di cerniere plastiche, la presenza di fenomeni di
rottura a taglio di alcuni elementi, lo strain penetration effect dovuto alla presenza di
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Figura 58 : Spostamento in sommità applicato dal Figura 59: Carico verticale misurato dalle celle di
martinetto carico
I carichi permanenti dovevano essere mantenuti costanti durante tutta la prova, per
simulare quello che avviene durante un sisma, se si esclude la presenza delle componenti
di accelerazione verticali.
In realtà le celle di carico poste in serie con i martinetti hanno registrato una forza
variabile nel tempo con lo stesso periodo di oscillazione dei cicli di spostamento
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orizzontale applicati. Come si vede dalla Figura 59, le oscillazioni della forza verticale
misurata dalle due celle di carico sono in contro–fase e partono da un valore iniziale
intorno ai 200 kN fino a raggiungere un valore massimo a pari a circa 260 kN e un valore
minimo pari a circa 190 kN.
L’andamento della forza misurata non si mantiene simmetrico quindi anche il valore
medio è crescente durante la prova.
Nella Figura 60 a) è riportato il ciclo di isteresi globale misurato durante la prova
sperimentale, limitatamente ai primi 6 cicli. Si tratta di cicli sostanzialmente lineari anche
se è presente un leggero comportamento isteretico da imputare probabilmente a
scorrimenti iniziali.
I cicli leggermente non simmetrici in termini di spostamento sono da attribuire ad un non
perfetto azzeramento della posizione del martinetto all’inizio della prova.
Nella Figura 60 b) è illustrata la storia ciclica sperimentale completa. Poiché i cicli sono
antisimmetrici si può analizzare l’andamento solo per valori di forze e spostamenti
positivi poiché per i valori negativi valgono considerazioni analoghe.
Per quello che riguarda la forma del ciclo si può notare l’accentuato pinching che rivela
come il comportamento globale sia dominato dalla rottura a taglio del trasverso.
La Figura 61 mostra l’evoluzione del danneggiamento per taglio del trasverso ed i cicli
isteretici corrispondenti:
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La marcata fessurazione del trasverso non ha, comunque, comportato una rottura di tipo
fragile ed anzi le armature a taglio hanno continuato a fornire il loro contributo anche al
sopraggiungere di evidenti fenomeni di instabilità delle barre longitudinali con
conseguente rottura delle staffe. In presenza di spostamenti elevati si è registrata una
diminuzione della rigidezza fino a metà circa del percorso di carico e poi un nuovo
aumento della rigidezza fino al massimo spostamento orizzontale applicato per il ciclo in
esame (Fig. 61). Si riscontra anche un degrado di questo fenomeno per cicli con la stessa
ampiezza. Questo particolare comportamento è stato spesso riscontrato nelle prove
sperimentali con comportamento a taglio.
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Un ulteriore contributo alla particolare forma del ciclo di isteresi globale è dato anche dal
fenomeno dello strain penetration. È noto, infatti, come il legame bond–slip contribuisca
a far diminuire la deformazione locale degli elementi a parità di momento resistente e
contemporaneamente a provocare rotazioni rigide dei nodi trave-colonna o fondazione
colonna, rendendo più deformabile la struttura.
Durante la prova si sono riscontrati altri fenomeni di rottura localizzata. In particolare
sono state rilevate fessure all’attacco del pilastro alla fondazione ed ai nodi colonna
trasverso e colonna-pulvino come risulta evidente dalle immagini rappresentate nelle
Figure da 62 a 64.
Figura 62 : Fessura alla base del pilastro Figura 63: Fessura in sommità del pilastro
Figura 64 : Fessura del trasverso all’attacco della Figura 65: Instabilità delle barre longitudinali
pila della pila
Sono stati riscontrati altresì fenomeni di instabilità delle barre longitudinali alla base dei
pilastri come illustrato in Figura 65. Tale fenomeno è evidentemente legato ad un passo
delle staffe elevato.
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Come si può evincere da ciclo isteretico totale (Fig. 60 b) si ha l’inizio della formazione
delle cerniere plastiche alla base ed in corrispondenza del pulvino per uno spostamento
impresso pari a 2.5 cm ed una forza di taglio pari a circa 80 kN.
Il taglio alla base, se riportato in scala reale, corrisponde ad un valore di circa 1200 kN.
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Si riporta a titolo di esempio anche il 26° modo di vibrare che ha una bassa percentuale di
massa partecipante ma che coinvolge essenzialmente la pila 8.
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Tabella 20: Confronto Analisi modale con e senza massa delle pile
CON la massa delle pile SENZA la massa delle pile
Dalle analisi è chiaramente dimostrata la debole influenza della massa distribuita lungo
tutta l'altezza delle pile. È anche importante sottolineare come l'influenza della massa
rotazionale dell’impalcato sulla risposta sismica del viadotto sia molto limitata.
È vero anche che le pile, durante lo spostamento laterale, subiscono una rotazione, ma la
massa eccitata coinvolta in questo movimento è trascurabile. Quindi la variazione degli
sforzi normali nelle colonne delle pile è molto ridotta e la sua variazione è dovuta solo
alla forza orizzontale applicata nella parte superiore delle colonne.
Inoltre, i modi torsionali dell’impalcato sono trascurabili e quindi il loro contributo è
anch’esso trascurabile. Come ulteriore analisi, è stato realizzato il modello della porzione
di viadotto che ingloba le pile 7-8-9-10-11 avente come vicoli di bordo, delle cerniere
come riportato nella figura seguente:
Figura 72: Modello di parte del viadotto nella quale si trovano le pile 9 e 11
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Tabella 21: Confronto tra il modello globale e quello parziale del viadotto
Viadotto intero Parte di viadotto
Poiché il 30.35% di tutta la massa è circa il 50% della massa della porzione di viadotto
considerato, si può affermare che le analisi possono essere considerate equivalenti.
In base a questi risultati potrebbe essere plausibile analizzare solo una parte del viadotto
con il grande vantaggio di avere minor onere computazionale nella modellazione non
lineare.
A.A. 2009-2010 90
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Con questo tipo di analisi è possibile calcolare la risposta nel dominio del tempo
integrando direttamente le equazioni del moto senza aver preventivamente determinato
autovalori ed autovettori . Si assume che siano noti, ad un certo istante, spostamenti e
velocità: si trovano quindi le accelerazioni utilizzando le equazioni del moto.
Nel metodo al passo, si assume che le accelerazioni varino secondo qualche criterio
prestabilito nell’intervallo di tempo Δt, cosicché esse possono essere integrate per trovare
le velocità e gli spostamenti all’istante t+Δt.
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La forza applicata sulla sommità della pila, viene quindi amplificata secondo la funzione
in Fig. 70. Nelle pagine seguenti, si mostrano i diagrammi momento – curvatura (My-Ry)
e taglio alla base – spostamento in sommità (V-δ) delle sezioni di base delle pile, dei
trasversi e del pulvino.
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Figura 80: Diagramma Taglio alla base-Spostamento in sommità della sezione di base Pila 9
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Figura 84: Diagramma Taglio alla base-Spostamento in sommità della sezione di base Pila 11
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Per la verifica allo stato limite di collasso (SLC), il modello del viadotto descritto in
precedenza è stato sottoposto all’azione sismica per mezzo del set di dieci
accelerogrammi selezionato, ognuno dei quali è stato applicato in una direzione del piano
(X,Y). Per ogni accelerogramma sono stati valutati gli spostamenti massimi in sommità
delle pile, le rotazioni degli elementi verticali e trasversali, il drift di interpiano, il taglio
di piano, il taglio sui trasversi ed il momento flettente sulle colonne.
A.A. 2009-2010 97
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sommità confrontabili, mentre come era ovvio aspettarsi, quelle più basse presentano
spostamenti minori.
Tabella 22: Valori dello spostamento trasversale in sommità per ogni accelerogramma
ACC1 ACC2 ACC3 ACC4 ACC5 ACC6 ACC7 ACC8 ACC9 ACC10 Media
Pila DX [cm] DX [cm] DX [cm] DX [cm] DX [cm] DX [cm] DX [cm] DX [cm] DX [cm] DX [cm] DX [cm]
Pila 1 4,13 6,99 3,03 4,90 4,31 6,26 5,56 4,18 5,82 6,72 5,19
Pila 2 4,49 17,24 6,68 10,08 5,83 15,74 13,03 8,59 11,24 14,17 10,71
Pila 3 5,27 17,00 6,40 9,59 5,61 15,44 12,76 8,56 10,87 13,94 10,54
Pila 4 4,16 16,77 6,20 9,10 5,46 15,16 12,49 8,58 10,52 13,74 10,22
Pila 5 2,32 16,66 6,19 9,03 5,44 15,03 12,37 8,74 10,27 13,70 9,98
Pila 6 5,61 16,80 6,29 9,16 5,59 15,12 12,46 9,06 10,20 13,91 10,42
Pila 7 5,74 21,97 8,72 11,69 6,85 20,08 16,69 11,97 13,93 18,12 13,58
Pila 8 4,62 16,46 6,33 8,73 5,35 14,96 11,98 8,90 9,86 13,61 10,08
Pila 9 4,13 11,55 4,18 6,29 4,95 10,31 8,71 6,44 7,19 10,03 7,38
Pila 10 5,61 7,61 3,10 5,14 4,75 6,88 6,18 4,81 6,17 7,64 5,79
Pila 11 5,74 6,83 3,94 5,52 4,70 6,60 6,27 4,30 5,84 6,15 5,59
Pila 12 4,62 5,41 2,77 4,21 3,60 4,74 4,50 3,06 4,87 5,17 4,29
Nella Tabella 23 e nel successivo grafico si possono vedere il taglio alla base per ogni
pila e per ogni accelerogramma: in questo caso è piuttosto evidente come effettivamente
le pile 9 ed 11 siano tra quelle maggiormente sollecitate a taglio raggiungendo valori
massimi rispettivamente di 1069 kN e 853 kN. La scelta di effettuare le verifiche per
queste due pile è quindi da considerare idonea.
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Tabella 23: Valori del taglio alla base per ogni accelerogramma
ACC1 ACC2 ACC3 ACC4 ACC5 ACC6 ACC7 ACC8 ACC9 ACC10 Media
Pila T [kN] T [kN] T [kN] T [kN] T [kN] T [kN] T [kN] T [kN] T [kN] T [kN] T [kN]
Pila 1 574,40 961,96 505,19 679,14 717,71 784,01 825,42 659,74 716,08 823,38 724,70
Pila 2 411,68 802,94 449,13 614,10 420,31 763,77 760,06 542,84 602,93 668,57 603,63
Pila 3 380,34 739,82 419,70 550,51 391,29 735,34 707,42 487,21 570,69 577,01 555,93
Pila 4 375,40 787,20 432,49 585,31 412,07 782,38 752,35 519,53 617,71 644,36 590,88
Pila 5 502,64 1027,43 594,29 771,56 563,53 981,09 949,89 687,93 793,96 857,35 772,97
Pila 6 369,00 771,17 413,80 539,62 395,98 777,87 708,98 497,12 574,97 600,05 564,86
Pila 7 379,63 824,37 451,02 586,03 400,24 849,21 752,89 554,34 639,26 656,14 609,31
Pila 8 401,86 869,63 452,47 584,59 443,81 892,06 772,14 547,50 642,12 662,65 626,88
Pila 9 571,54 1069,59 540,17 760,20 614,30 1019,04 922,98 676,60 782,42 858,11 781,50
Pila 10 472,78 707,73 403,60 576,15 541,42 662,52 627,59 513,20 581,90 670,59 575,75
Pila 11 657,52 823,49 591,86 823,02 815,20 812,26 977,71 782,20 852,26 837,45 797,30
Pila 12 550,48 796,63 488,27 669,83 754,23 764,10 789,92 665,78 734,38 739,60 695,32
Dalle analisi sono stati estrapolati anche i valori del taglio di piano per ogni singola pila e
per ogni accelerogramma utilizzato, al fine avere una valutazione sull’andamento dei
valori medi di taglio ad ogni livello delle pile come riportato nel grafico di Figura 85.
A.A. 2009-2010 99
Facoltà di Ingegneria
Laurea Magistrale in Ingegneria Civile per la protezione dai rischi naturali
Nei grafici seguenti, si hanno gli spostamenti di piano di ogni pila, valutati allo scopo di
calcolare il drift interpiano definito come:
in cui ui e ui+1 sono gli spostamenti di due piani successivi ed L è la lunghezza del
pilastro. Questo parametro permette di valutare quali delle pile siano maggiormente
sollecitate tenendo conto dello spostamento relativo tra i piani.
Figura 90 : Spostamenti medi di piano pila 7 Figura 91: Spostamenti medi di piano pila 11
Nel grafico a barre (Fig.89) sono riportati i valori relativi a ciascuno degli
accelerogrammi ed il corrispondente valore medio.
Nei diagrammi riportati in basso, è possibile fare un confronto tra i valori di drift
interpiano di tutte le pile,, e si può notare come a parte la pila1, si abbiano valori molto
piuttosto uniformi lungo tutta l’altezza della pila:
Nelle Fig. 95-96 sono rappresentati, i valori massimi delle deformazioni nelle fibre di
calcestruzzo alla base delle pile per ognuno degli accelerogrammi selezionati.
Anche questa grandezza può essere utilizzata per individuare gli elementi del ponte più
sollecitati.
Poiché il criterio di collasso (per flessione) adottato è sempre in ultima analisi
determinato dall’eccessiva deformazione di uno dei materiali (accorciamento del
calcestruzzo o allungamento dell’acciaio), il valore della deformazione massima potrebbe
essere preso come diretto criterio di valutazione della resistenza.
Tuttavia è ben noto che i valori delle deformazioni negli elementi a fibre vengono
fortemente influenzati dalle lunghezze degli elementi stessi, quindi un tale criterio è da
ritenersi non sufficientemente oggettivo.
Le verifiche sono state pertanto condotte confrontando le rotazioni delle estremità delle
aste con quelle ultime.
Per le verifiche allo stato limite di collasso, sono state considerate le pile 9 ed 11, in
quanto come già accennato, sono tra le pile maggiormente sollecitate. Per la verifica dei
meccanismi duttili di colonne e trasversi si è proceduto nel seguente modo:
Data un’asta di lunghezza L (Fig. 91) se ui e ui+1 sono gli spostamenti dei nodi di
estremità e ϕi la rotazione del nodo i, la rotazione relativa alla corda θi (che deve essere
confrontata con quella ultima θu fornita dall’equazione riportata in basso) si determina
sottraendo alla rotazione ϕi la parte rigida, dovuta allo spostamento [4]:
1
· 1
2
Il calcolo della rotazione ultima richiede la determinazione della lunghezza LV, distanza
del nodo dal punto di momento nullo. Se i due momenti alle estremità dell’asta hanno lo
stesso segno, questa lunghezza LV si determina facilmente con la relazione:
Se i due momenti alle estremità della trave sono discordi, si ha in almeno un caso, che
LV>L e la formula precedente per il calcolo di θu cade in difetto.
In questo caso la condizione di verifica può porsi nella forma più generale (valida
nell’ipotesi che all’estremo i+1 non si sia formata una cerniera plastica):
3
1
4 4 2
La lunghezza della cerniera plastica lp, si calcola in prima approssimazione come L/10.
Sono definiti rispettivamente con ρf e ρt il rapporto tra domanda e capacità di flessione e
taglio da valutare sia nelle colonne che nei trasversi delle pile esaminate.
Affinché le verifiche siano soddisfatte, questi coefficienti devono risultare < 1.
Rotazione
Luce di
Rotazione Curvatura di Curvatura Rotazione di ultima Rapporto
taglio ≈
alla corda snervamento ultima snervamento rispetto alla Domanda/capacità
L/2
corda
Rotazione
Rotazione Drift Rotazione Curvatura di Curvatura Rapporto
Momento ultima
Rigida interpiano alla corda snervamento ultima Domanda/capacità
alla corda
Come si può notare dalle tabelle di riepilogo delle verifiche (Tab. 24-25-26-27), per
quanto riguarda la flessione, sia i trasversi che le colonne delle due stilate hanno valori di
ρf che si trovano al di sotto dell’unità. Questo significa che la struttura e gli elementi sia
verticali che trasversali che la compongono, risultano ben progettati nei confronti delle
sollecitazioni flessionali indotte da forzanti sismiche.
Rotazione
Luce di
Rotazione Curvatura di Curvatura Rotazione di ultima Rapporto
taglio ≈
alla corda snervamento ultima snervamento rispetto alla Domanda/capacità
L/2
corda
Sezione θm φy [1/cm] φu [1/cm] LV [cm] θy θu ρf (trasversi)<1
Trasverso 3,72E‐03 2,50E‐05 3,20E‐04 315,00 2,62E‐03 1,29E‐02 0,29
Pulvino 1,73E‐03 2,15E‐05 5,24E‐04 315,00 2,25E‐03 2,05E‐02 0,08
Rotazione
Rotazione Drift Rotazione Curvatura di Curvatura Rapporto
Momento ultima
Rigida interpiano alla corda snervamento ultima Domanda/capacità
alla corda
Pilastro/nodo θR δ θ corda φy φu M [kNm] θu ρf (colonne)<1
Colonna destra Colonna sinistra
Per i meccanismi di rottura fragili il confronto tra domanda e capacità viene fatto in
termini di forze anziché di deformazioni, come è stato fatto per i meccanismi duttili.
Nel caso in esame i meccanismi di rottura considerati fragili sono quelli dovuti alle forze
di taglio.
La resistenza di taglio sotto l’azione ciclica VR è data dalla formula:
1
; 0.55 1 0.05 5; ∆,
2
Asw
Vm [kN] Lv [m] ρtot φ[mm] ρw s [m] Vw [MN] VR [kN] ρt (trasversi)
[cm2]
754,02 3,15 0,007 8,00 1,0053 0,00344 0,20 0,704 819,79 0,92
777,32 3,15 0,007 8,00 1,0053 0,00344 0,20 0,704 818,98 0,95
824,10 3,15 0,003 8,00 1,0053 0,00433 0,20 2,111 2138,63 0,39
%
Resistenza
geometrica Area
Luce Diametro Passo Contributo sotto Rapporto
Taglio totale staffe Asw/s
taglio staffe staffe armatura azione Domanda/Capacità
armatura circolari
ciclica
long.
Asw Asw/s
Vm [kN] Lv [m] ρtot φ[mm] 2
s [m] Vw [MN] VR [kN] ρt (colonne)
[cm ] [cm2/m]
Pil.1 703,35 7,25 0,0386 6,00 0,57 0,14 4,039 0,338 691,558 1,02
Colonna
669,63 4,59 0,0386 6,00 0,57 0,14 4,039 0,338 996,851 0,67
sinistra
Pil.2
Pil.3 594,63 5,05 0,0386 6,00 0,57 0,14 4,039 0,338 934,845 0,64
Pil.1 703,35 7,54 0,0386 6,00 0,57 0,14 4,039 0,338 663,412 1,06
Colonna
Pil.2 669,63 4,35 0,0386 6,00 0,57 0,14 4,039 0,338 1032,553 0,65
destra
Pil.3 594,63 3,67 0,0386 6,00 0,57 0,14 4,039 0,338 1142,027 0,52
Asw
Vm [kN] Lv [m] ρtot φ[mm] ρw s [m] Vw [MN] VR [kN] ρt (trasversi)
[cm2]
706,58 3,15 0,009 8,00 1,0053 0,00344 0,20 0,704 751,82 0,94
719,67 3,15 0,003 8,00 1,0053 0,00433 0,20 2,111 2141,22 0,34
%
Resistenza
geometrica Area
Luce Diametro Passo Contributo sotto Rapporto
Taglio totale staffe Asw/s
taglio staffe staffe armatura azione Domanda/Capacità
armatura circolari
ciclica
long.
Asw Asw/s
Vm [kN] Lv [m] ρtot φ[mm] 2
s [m] Vw [MN] VR [kN] ρt (colonne)
[cm ] [cm2/m]
Pil.1 625,20 4,24 0,0044 6,00 0,57 0,14 4,039 0,2487 646,61 0,97
Colonna
sinistra
Pil.2 595,23 6,46 0,0044 6,00 0,57 0,14 4,039 0,2487 447,04 1,33
Pil.1 625,20 4,65 0,0044 6,00 0,57 0,14 4,039 0,2487 601,75 1,04
Colonna
destra
Pil.2 595,23 5,71 0,0044 6,00 0,57 0,14 4,039 0,2487 490,82 1,21
Per una più agevole valutazione dei coefficienti di sicurezza rispetto al valore limite 1, i
loro valori sono stati raggruppati in un unico grafico per ognuna delle due pile esaminate
(Fig. 98-99); come si può vedere, per quanto riguarda la flessione, sia le colonne che i
trasversi delle pile 9 – 11 si trovano (a parte il caso di una colonna della pila 9) ben
all’interno del range di sicurezza prestabilito.
In riferimento alle sollecitazioni di taglio, invece si evince una condizione generale degli
elementi delle due pile, più prossima alla soglia di sicurezza.
Da queste analisi, risulta evidente come il viadotto Rio Torto, non sia al sicuro in caso di
evento tellurico importante e che seppure possa sembrare scongiurato il pericolo di
collasso globale della struttura, a livello locale (in particolare nei trasversi) si hanno
rotture di tipo fragile, dovute alle azioni taglianti, causate dalla eccessivo passo delle
staffe presenti.
I risultati delle analisi mostrano come la struttura sia da ritenersi vulnerabile alle azioni
sismiche e che quindi a seguito di un terremoto, essa debba essere messa in sicurezza e
quindi riparata; naturalmente questo può essere fatto solamente inibendo il transito ai
veicoli con disagio rilevante per regolare flusso di traffico.
Nelle immagini seguenti, sono mostrate per ogni sezione della pila 11 i diagrammi
momento – curvatura ricavati per tre tipologie di accelerogrammi: debole, medio, forte.
I riquadri rossi, indicano le sezioni che hanno subito plasticizzazione elevata, mentre
quelli non evidenziati, riguardano diagrammi di sezioni che essenzialmente sono rimaste
in campo elastico. Nell’ultima immagine (Fig.101) è riportata la pila 9 sottoposta al sisma
denominato come forte, in cui anch’essa subisce plasticizzazione nelle sezioni delle
colonne di base e nei trasversi.
in cui la domanda è determinata dal moto del terreno e la capacità dalle caratteristiche di
resistenza e di deformabilità in campo non lineare della struttura. Infatti, un evento
sismico genera, nella struttura, delle forze di inerzia pari al prodotto delle sue masse per
le accelerazioni associate alle vibrazioni indotte dal movimento del terreno. Per evitare
danni strutturali durante un sisma, all’aumentare della sua intensità attesa, sarebbe
necessario aumentare proporzionalmente la resistenza della struttura. Il danneggiamento
strutturale, tuttavia, non corrisponde ad una condizione di collasso, avendo la struttura
ancora importanti riserve di sopravvivenza grazie alla sua duttilità. Per di più, non è
economicamente conveniente aumentare indefinitamente la resistenza della struttura,
vista la ridotta, seppur non trascurabile, probabilità di accadimento di eventi sismici
violenti, durante i quali l’accelerazione delle masse strutturali può raggiungere e anche
superare l’accelerazione di gravità.
Di conseguenza, i codici sismici moderni consentono di far ricorso alla duttilità strutturale
per soddisfare la disequazione Capacità ≥ Domanda, che diviene quindi condizione sulla
duttilità, o sulle deformazioni e le grandezze ad esse correlate e non più alla resistenza.
L’accettazione di elevate richieste di duttilità, tuttavia, implica l’accettazione di danni agli
elementi strutturali, a seguito di eventi sismici di moderata – alta intensità, e dei relativi
costi di riparazione e di interruzione del servizio.
Una filosofia di progettazione basata sull’aumento della capacità porta, quindi, alla scelta
fra due possibili alternative:
utilizzano appositi dispositivi per ridurre la domanda e/o concentrare in essi, anziché in
parti della struttura, l’assorbimento e la dissipazione di energia.
Una tecnica molto efficace è quella della dissipazione di energia, generalmente basata
sull’uso di controventi inseriti nelle maglie strutturali di edifici con struttura intelaiata e
dotati di speciali dispositivi, che dissipano l’energia trasmessa dal terremoto nella
struttura, riducendo sensibilmente gli spostamenti della struttura in campo plastico, e non
si determinano particolari variazioni al comportamento dinamico della struttura nel suo
insieme. Il solo effetto è l’incremento della capacità di smorzamento globale della
struttura. Con una dissipazione di tipo isteretico, in particolare realizzata attraverso un
comportamento elasto – plastico, il limite di forza dei dispositivi, rappresenta il parametro
di progetto degli elementi strutturali connessi, nella logica del capacity design alla base di
alcuni metodi di progetto. Se la riduzione delle accelerazioni è notevole e/o se la struttura
vera e propria è sufficientemente deformabile in campo elastico, la dissipazione di
energia avviene solamente nei dispositivi aggiuntivi, senza alcun danno alla struttura. La
tecnica basata sulla dissipazione di energia ben si presta all’adeguamento o
miglioramento sismico di costruzioni esistenti, in particolar modo degli edifici intelaiati,
eretti in adiacenza ad altre strutture e con giunti di piccole dimensioni, o in generale, nei
casi in cui non sia applicabile l’isolamento.
Ancor più efficace è l’isolamento sismico, perché realizza la strategia di riduzione della
domanda in maniera globale, abbattendo drasticamente l’energia trasmessa dal suolo
all’intera struttura. L’isolamento sismico, consiste essenzialmente nel disaccoppiare il
moto del terreno da quello della struttura, introducendo una sconnessione lungo l’altezza
della struttura stessa (generalmente alla base, nel caso degli edifici, fra la pila e
l’impalcato nei ponti, come è illustrato in Figura 103), che risulta quindi suddivisa in due
parti: la sottostruttura, rigidamente connessa al terreno, è garantita dall’introduzione, fra
sovrastruttura e sottostruttura, di particolari apparecchi di appoggio, chiamati isolatori,
Figura 105 : Introduzione dei sistemi di isolamento in (a) edifici e (b) ponti
La protezione mediante isolamento simico, può realizzarsi secondo diverse strategie, che
possono comunque ricondursi essenzialmente a due :
Quanto detto si traduce in una forte riduzione o nel totale azzeramento dei costi di
riparazione a seguito di un evento sismico di elevata intensità
Gli indubbi vantaggi di tipo socio – economico dell’isolamento sismico si apprezzano
ancora di più nelle strutture che, (ospedali, infrastrutture viarie, caserme, centri di
protezione civile) per la funzione svolta, devono rimanere operative per la gestione
dell’emergenza oppure nelle strutture il cui contenuto ha un valore di gran lunga
superiore a quello della struttura stessa (scuole, musei, etc) o in quelle ad alto rischio
(centrali nucleari o chimiche).
Figura 109: Diagrammi schematici forza-spostamento di isolatori (a) in materiale elastomerico e acciaio e (b)
a scorrimento
Gli isolatori elastomerici basano il loro comportamento sulla deformazione della gomma
impiegata. Sono caratterizzati dall’alternanza di strati di elastomero e lamierini di acciaio
solidarizzati mediante processi di vulcanizzazione a caldo. La presenza dei lamierini è
fondamentale, in quanto consente di confinare l’elastomero limitandone la deformabilità
verticale a pochi millimetri (1-3mm). Gli spessori sono molto piccoli, in genere gli strati
di elastomeri vanno da 5÷20 mm; per i lamierini si va da 2÷3 mm.
Generalmente i lamierini sono più corti rispetto agli strati di gomma, in modo da risultare
completamente inglobati in questi ultimi ed essere protetti dalla corrosione. In realtà i
primi isolatori erano di tipo non armato, privi quindi dei lamierini; questo dava luogo ad
elevate deformabilità verticali che causavano lo spiacevole effetto rocking, cioè un moto
rotatorio con asse orizzontale.
Molto importanti sono anche le caratteristiche della gomma impiegata; in base ad essa
possiamo individuare due tipi di isolatori:
Gli isolatori in gomma naturale utilizzano una gomma chiamata isoprene che possiede la
peculiarità di poter subire deformazioni tali da poter sopportare grandi spostamenti.
Gli isolatori elastomerici in gomma sintetica si basano invece sull’impiego di neoprene
anziché isoprene. Il neoprene è la denominazione commerciale scelta dall’azienda
produttrice DuPont Performance Elastomers; inizialmente, infatti, il nome scelto era
DuPrene (1932).
Rispetto alla gomma naturale il neoprene gode di svariati pregi, come le maggiori
capacità ignifughe, impermeabilità ai gas, è inoltre meno incline all’invecchiamento.
Indipendentemente dalla gomma impiegata, naturale o sintetica, possiamo avere isolatori
elastomerici con gomma a basso o elevato smorzamento.
La gomma, infatti, sia essa naturale o sintetica, possiede capacità smorzanti non elevate
che vanno quindi opportunamente incrementate. Possiamo allora avere:
Gli isolatori elastomerici a basso smorzamento, come detto, possono essere ottenuti sia
con gomma naturale che con neoprene. Entrambi i tipi di gomma hanno proprietà molto
stabili e non esibiscono il fenomeno di creep per carichi di lunga durata.
Il comportamento esibito è sostanzialmente elastico al crescere della deformazione e
presentano uno smorzamento dell’ordine del 2÷4%, motivo per il quale si parla di
isolatori a basso smorzamento. Questo tipo di isolatori presenta molti vantaggi, come ad
esempio:
a) produzione semplice;
b) bassi costi di produzione;
c) proprietà meccaniche indipendenti dalla temperatura e dall’invecchiamento.
L’unico svantaggio è rappresentato dal basso valore dello smorzamento ed i non piccoli
spostamenti per carichi dovuti ad azioni orizzontali di esercizio (come il vento), motivo
per il quale è opportuno aggiungere sistemi ausiliari.
Gli isolatori elastomerici con inserto in piombo furono inventati in Nuova Zelanda nel
1975 e sono stati usati diffusamente in Nuova Zelanda, Giappone e Stati Uniti.
I dispositivi LRB sono simili ai LDRB, ma contengono uno o più inserti di piombo in un
foro posto al centro dell’isolatore.
La funzione dell’inserto è di dissipare energia mediante snervamento.
ripristinate velocemente già dopo qualche giorno. Il motivo risiede nel surriscaldamento
del nucleo per cicli ripetuti a distanza di tempo ravvicinata.
Gli isolatori elastomerici ad elevato smorzamento consentono di avere smorzamento
sufficiente ad eliminare la necessità di dispositivi ausiliari; gli HDRB, quindi,
costituiscono un sistema completo.
L’elevato smorzamento si ottiene aggiungendo speciali cariche additive alla gomma,
come il nerofumo (carbon black) ed il silicio, grazie alle ricerche fatte dalla Malaysian
Rubber Producers’ Research Association (MRPRA).
L’impiego di cariche additive consente di raggiungere uno smorzamento variabile tra il
10% ed il 20% in corrispondenza di una deformazione del 100%.
Osservando un diagramma forza-spostamento notiamo una maggiore rigidezza iniziale,
che consente di fronteggiare i carichi di esercizio (come il vento), una rigidezza minore e
costante per un certo tratto ed un conseguente incremento della stessa per carichi elevati
(in modo da evitare deformazioni eccessive).
Generalmente, quindi, viene esibito un comportamento non lineare con elevata rigidezza
iniziale e smorzamento per deformazioni taglianti inferiori al 20%. Nel range 20÷120% di
deformazione a taglio il modulo si mantiene basso e costante. Per deformazioni elevate il
modulo cresce grazie al processo di cristallizzazione della gomma, che si accompagna a
dissipazione di energia.
Il comportamento esibito non è né linearmente viscoso né elasto-plastico. Nel primo caso,
infatti, la dissipazione di energia è quadratica nello spostamento, mentre nel secondo caso
è lineare nello spostamento. I diagrammi forza-spostamento, invece, mostrano che la
dissipazione è proporzionale allo spostamento elevato a 1.5.
Inoltre, come dimostrato da una serie di test eseguiti da J.M. Kelly et al. nel 1985,
l’elevato smorzamento consente di ridurre le vibrazioni ambientali; gli isolatori, infatti,
fungono da filtro per le vibrazioni ad elevate frequenze dovute al traffico.
Nella loro forma più semplice gli sliding devices (SD) sono costituiti da due dischi di
diverso diametro che scorrono l’uno sull’altro. I materiali impiegati sono scelti in modo
da poter sviluppare una bassa resistenza d’attrito. I materiali più impiegati sono l’acciaio
lucidato inossidabile ed il PTFE (Teflon). Il coefficiente di attrito dinamico risulta essere
compreso tra il 6% ed il 12%, ma si riduce all’1÷2% in caso di lubrificazione. Tale
coefficiente è però funzione di alcuni aspetti, come:
A causa della variabilità del coefficiente e delle incertezze sulle condizioni ambientali
(temperatura, umidità, pulizia) si decide generalmente di trascurare la dissipazione di
energia per attrito. Questa considerazione è importante in quanto si fa allora ricorso a
dispositivi lubrificati, quindi si azzera quasi il coefficiente di attrito dinamico rinunciando
all’azione resistente esplicata. In pratica, vengono lasciati liberi gli spostamenti.
Per i motivi appena esposti, i dispositivi a scorrimento non vengono mai impiegati da soli,
a meno che non presentino elementi in grado di:
2 53
2
54
4
Una recente variazione del pendolo ad attrito è costituita dal doppio pendolo ad attrito
(Double Concave Friction Pendulum – DCFP). In questo caso si hanno due superfici di
scorrimento anziché una (fig. 34)
Il vantaggio del doppio pendolo risiede nel fatto che con la stessa azione laterale si può
avere uno spostamento doppio. Nel caso in cui le superfici abbiano un coefficiente di
attrito diverso il dispositivo comincia a scorrere sulla superficie che offre minore
resistenza, per poi mettersi in moto anche sull’altra.
55
56
Nella maggior parte delle applicazioni di DCFP i raggi di curvatura delle due superfici
sono uguali.
Un terzo tipo di
d isolatori a scorrimentto è costituiito da quellii in acciaio--PTFE lubrrificati a
supeerficie pianna. In quessto caso manca
m la caapacità riceentrante, quuindi è neecessario
aggiungere un dispositivo ausiliario.
Mollto diffuse sono
s anche le soluzionii in gommaa, con dispossitivi elastoomerici che possono
funggere sia daa dispositivvi ausiliari che da iso
olatori veri e propri. Nel caso in
i cui i
disppositivi in gomma
g venggano impieggati come issolatori si ottengono deelle soluzion
ni ibride
elasstomeri-scorrrimento. I vantaggi consistono
c in bassa riigidezza (periodo lung
go), con
noteevoli abbatttimenti deglli effetti dell sisma anch
he quando laa massa struutturale com
mpetente
a ciascun isollatore è lim
mitata e buuone capaccità ricentrranti, senzaa l’utilizzazzione di
disppositivi ausiiliari.
Nel caso in cuui si adotti una soluziione mista isolatori inn acciaio-isoolatori elasttomerici
nziali verticcali in corriispondenza dei vari
bisoogna fare atttenzione aggli spostameenti differen
isolatori, sia peer carichi veerticali non sismici chee sismici. Il rimedio coonsiste nell’adottare
disppositivi elasstomerici con
c elevata rigidezza ai carichi verticali.
v Q
Qualora si vogliano
v
evittare questi problemi
p è possibile
p noon assegnarre carichi veerticali agli isolatori in gomma
ed impiegarli solo come diispositivi auusiliari.
A.A
A. 2009-20100 133
Facoltà di Ingegneria
Laurea Magistrale in Ingegneria Civile per la protezione dai rischi naturali
Come primo approccio, si è pensato di utilizzare gli isolatori LRB con nucleo in piombo.
Questi isolatori hanno come vantaggio quello di raggiungere smorzamenti elevati anche
del 30%.
Per poter dimensionare gli isolatori, è stato necessario valutare lo sforzo normale allo
stato limite ultimo che agisce su ogni appoggio:
Dal calcolo effettuato, tale carico è risultato pari a circa 7000 kN.
Con questo carico verticale, entrando nelle tabelle fornite dalla società italiana produttrice
di appoggi ed isolatori ALGA S.p.A., si è visto che ci sarebbe stato bisogno di elementi di
dimensioni elevate, sia in pianta (90 cm) che in altezza (40 cm) che potessero fornire una
rigidezza equivalente tale da poter avere un periodo di 2.5 secondi.
Inoltre, implementando gli isolatori e facendo girare il modello su MIDAS, si è constatato
che la struttura non risultava essere adeguatamente isolata poiché si avevano
sollecitazioni di taglio alla base ed in particolare sui trasversi, ancora troppo elevate.
Facendo poi un controllo del ciclo di isteresi dell’isolatore in gomma, si è notato che
quest’ultimo non veniva sfruttato in pieno, ed in particolare, la forza di taglio (Fy) per la
quale sarebbe dovuto avvenire lo snervamento del piombo, risultava troppo grande
(quindi sostanzialmente l’isolatore restava per diversi cicli in campo elastico) e gli
spostamenti relativi tra la pila e l’impalcato risultavano troppo modesti.
Per far funzionare in modo adeguato l’isolatore, sarebbe stato necessario utilizzare
elementi più piccoli, con una forza di snervamento minore. Questo però non è stato
possibile a causa del vincolo sul carico verticale.
A seguito di questo primo tentativo, si è scelto di indirizzare la progettazione su una
tipologia di isolatore che non fosse eccessivamente legato al valore del carico verticale e
che potesse andare in campo plastico ad una determinata soglia di snervamento calcolata
‘ad hoc’ per il viadotto. La tipologia di isolatori che sono stati adottati per questa ipotesi
di progetto, è quella degli isolatori a scorrimento con dispositivi isteretici, denominati
PNUD prodotti sempre dalla ALGA S.p.A.
Nel caso in esame si è pensato di portare il periodo proprio del viadotto da 1.58 secondi a
2.5 secondi:
Dal grafico relativo allo spettro di progetto in spostamento, si è visto che per lo SLC (Fig.
123 linea blu) si ha uno spostamento di circa 14 cm per il periodo considerato.
Dopo aver solidarizzato l’impalcato, ed aver effettuato una nuova analisi modale, si è
riscontrato che il periodo di vibrazione del primo modo trasversale è passato da 1.58
secondi a 1.43 secondi e soprattutto si è avuto un aumento della percentuale di massa
partecipante dal 30.34% al 65.15%.
Il rapporto ηy tra la forza di snervamento ed il peso proprio della struttura (per zone ad
alta sismicità) è pari a 0.12.
La grandezza ηy può essere definita secondo la formula:
57
in cui
m = massa della struttura
La massa della pila n.9 e della porzione di impalcato ad essa relativa, è pari a 580 t,
mentre l’accelerazione di picco è pari a 0.35g.
Sostituendo questi valori nella precedente formula, si ottiene:
Poiché si hanno due appoggi per pila, la forza Fy per ogni dispositivo è stata posta pari a
125 kN.
10 100
Dalle quali:
12.5 0.125
Per una stima della rigidezza efficace Keff, come detto, sono state valutate le rigidezze
come se fossero disposte in serie, con Kp che rappresenta la rigidezza della pila n.9 pari a
12 kN/mm.
Ponendo il periodo Tis = 2.5 secondi , si ricava la rigidezza che la struttura deve avere per
essere isolata:
4 4
· · 580 3600 / 3.6 /
2.5
termini strutturale.
· 3.6 · 3.6 · 12
5.14 /
3.6 12 3.6
in cui
Figura 133 : Posizione del rigid link Figura 134: Particolare del rigid link
L’analisi Time History con l’introduzione degli isolatori, è stata svolta prendendo in
considerazione l’accelerogramma, denominato ACC2, al fine di confrontare la risposta
della struttura prima e dopo l’isolamento sottoposta ad un terremoto che si è rivelato
molto significativo in termini di danno sugli elementi strutturali delle pile.
La scelta è stata indirizzata ad avere sistemi di isolamento tutti uguali su tutte le stilate di
pile, compresi anche gli appoggi sulle due spalle. In totale quindi si avranno 28 isolatori
su tutta la lunghezza del viadotto.
Il modello di General Link utilizzato nel software, è quello denominato Hysteretic System
(sistema isteretico) che fondamentalmente consiste in un sistema costituito da 6 molle (1
assiale ed una rotazionale per ognuna delle 3 direzioni) indipendenti l’una dall’altra.
Per ognuna di esse, è possibile quindi definire sia le rigidezze in campo elastico, sia
naturalmente le rigidezze in campo plastico.
Per inserire le caratteristiche degli isolatori, è stato considerato per ognuno, il sistema di
riferimento locale che rispetto a quello globale inverte la direzione X con la direzione Z.
Per questo motivo, come si può vedere nella figura seguente, in direzione X (verticale) si
è ipotizzata una rigidezza molto grande.
Per questo motivo anche le rigidezze rotazionali del vincolo sono state mantenute elevate.
Per quanto riguarda la rigidezza effettiva, nelle proprietà lineari, è stata inserita la
grandezza stimata di 5.14 kN/mm. Naturalmente, poiché si era interessati alle proprietà di
non linearità nelle direzioni degli assi locali Y e Z, sono state attivate solo queste ultime.
Così come valutato in precedenza, è stata impostata una rigidezza del ramo iniziale del
ciclo di isteresi pari a 12.5 kN/mm ed un coefficiente di post – snervamento (r) pari a
0.01, tale da una rigidezza di 0.125 kN/mm.
L’esponente di snervamento s (che governa il passaggio più o meno brusco dal ramo
elastico a quello plastico) è stato impostato pari a 10.
Per i parametri a e b, che definiscono il loop isteretico, sono stati mantenuti i valori di
default impostati a 0.5 per ognuno.
In figura sono mostrati a titolo di esempio, gli spostamenti nel tempo in sommità della
pila n.9 e dell’impalcato.
Di seguito sono esposti i grafici relativi alla distribuzione dello sforzo di taglio alla base
per tutte le pile:
Come si evince da tali diagrammi, si ha una diminuzione del taglio alla base per tutte le
pile del viadotto, come era facile ipotizzare.
Le pile che presentano una diminuzione maggiore sono la pila 12 e la pila 2, ma anche le
pile 9 ed 11 hanno diminuzione del taglio alla base del 37% e del 39% rispettivamente.
Il viadotto in generale raggiunge una diminuzione media del 31%.
Per quanto riguarda le rotazioni di piano, si hanno in alcuni casi valori della diminuzione
che superano anche il 60% con una media generale del 31.4%.
Il drift di interpiano, raggiunge diminuzioni prossime al 70% per i livelli superiori nelle
pile 11 e 12, con una variazione media per tutte le pile e per tutti i piani del 35.4%.
L’attenzione si è spostata quindi sulle pile n.9 e n.11 che sono state analizzate nel
presente lavoro:
In particolare, poiché dall’analisi di vulnerabilità, i trasversi risultavano quegli elementi
maggiormente vicini alla rottura per taglio, si può sottolineare come ci siano state delle
riduzioni più che soddisfacenti della sollecitazione di taglio per ambedue le pile.
Questo porta a pensare che effettivamente le pile sono notevolmente meno cimentate
rispetto al caso senza isolatori.
Una ulteriore prova di ciò, si può avere dal confronto tra il ciclo taglio alla base –
spostamento in sommità delle due pile:
Infine, per completezza, si riportano i cicli effettuati dagli isolatori delle suddette pile:
Da quanto si può estrapolare dai cicli di isteresi degli isolatori, quello della pila n.9 ha
sicuramente un ciclo più ampio con spostamenti che raggiungono anche i 13 cm, mentre
per la pila 11, si raggiungono spostamenti di circa 10 cm.
7 CONCLUSIONI
Dai risultati ottenuti nel presente lavoro di tesi, si può affermare che lo studio di
vulnerabilità del viadotto in cemento armato Rio Torto, abbia colto nel segno le
problematiche inerenti la tipologia di strutture che esso rappresenta; ovvero che le
strutture di questa categoria realizzate negli anni ’60 con metodologie di calcolo e con
normative che non tenevano conto della sismicità del territorio, nonostante abbiano
elevati standard di progettazione e di manutenzione, non risultano adeguatamente protette
in caso di terremoto.
Sicuramente, come già accennato in precedenza, l’analisi dinamica non lineare, si è
dimostrata un mezzo efficace nella simulazione del comportamento delle strutture in caso
di evento sismico, e capace di cogliere tutte le caratteristiche della risposta dinamica
anche se sono richiesti tempi e complessità di calcolo elevati.
Come descritto in precedenza, l’utilizzo di un software di calcolo di tipo commerciale
seppur di ottima fattura come MIDAS, non ha comunque permesso di tenere in
considerazione alcune proprietà che dalle prove sperimentali risultano invece avere una
certa influenza.
Nonostante queste limitazioni, la modellazione ha comunque permesso di carpire in modo
esauriente il comportamento globale del viadotto in caso di terremoto.
Da quanto è emerso il ponte è dotato di buona resistenza e duttilità. Tuttavia, non si può
affermare che esso sia sismicamente protetto in quanto elementi come i trasversi, sono al
limite della capacità resistente richiesta dalla normativa.
La struttura non arriverebbe al collasso ma sarebbe comunque necessario un intervento di
ripristino e dunque la sospensione del servizio.
Al fine di scongiurare questo scenario è stata proposta un’ipostesi di protezione sismica
mediante isolatori elasto–plastici, che ha evidenziato come effettivamente un intervento
di questo tipo sia plausibile ed ancor di più auspicabile dato che il costo di intervento non
sarebbe elevato e la manutenzione richiesta in esercizio sarebbe limitata.
Nel presente lavoro ci si è limitati appunto ad una ipotesi di isolamento che comunque è
allo stato embrionale e che in futuro possibilmente dovrà essere sviluppata ed ottimizzata
al fine di ottenere una efficacia maggiore. Inoltre, in alternativa, si potrebbe anche
studiare un’ipotesi di adeguamento strutturale, mediante l’utilizzo di materiali compositi
FRP sui trasversi al fine di aumentare la resistenza a taglio di questi elementi.
Come prospettiva futura, si potrebbe ripetere l’analisi di vulnerabilità sismica con una
modellazione strutturale più spinta, tenendo conto di aspetti che in questo lavoro sono
stati trascurati come:
8 PROGRAMMI UTILIZZATI
1) MIDAS/Gen 2010 V.2.1
2) REXEL: computer aided record selection for code-based seismic structural
analysis. Iervolino, I., Galasso, C., Cosenza, E.
9 RIFERIMENTI NORMATIVI
1) Nuove Norme Tecniche per le Costruzioni: D.M. Infrastrutture 14 Gennaio 2008
(NTC 2008).
2) Eurocode 8: Design of structures for earthquake resistance.
10 BIBLIOGRAFIA
[1] P.E. Pinto, P. F. Valutazione e Consolidamento Sismico dei Ponti Esistenti. IUSS
Press.
[2] CSP. Analysis Manual for Midas/Gen, Midas Information Technology.
[3] Renato Giannini, F. P. Indagine numerico e sperimentale sul comportamento
ciclico di una pila a telaio del viadotto autostradale Rio Torto in scala 1:4.
Università degli Studi di Roma Tre – Dipartimento di Strutture.
[4] M.J.N. Priestley, F. S. (1996). Seismic Design and Retrofit of Bridges. John Wiley
& Sons.
[5] V. Ciampi, M. De Angelis, C. Valente (1995). Una metodologia di progetto di
dispositivi dissipativi per la protezione sismica dei ponti. 7° convegno Nazionale
L’ingegneria Sismica in Italia.
RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento per questa mia ultima fatica è rivolto senza dubbio al mio relatore il
Prof. Fabrizio Paolacci, oltre che per i suoi preziosi insegnamenti e per le ore dedicate
alla mia tesi anche perché si è sempre dimostrato con me una persona molto paziente e
comprensiva.
Per questi lunghi e faticosi anni universitari, che sono stati ricchi di soddisfazioni che mi
hanno spinto a perseverare, ma anche di qualche insuccesso che comunque mi ha
insegnato a ripartire, il pensiero è rivolto naturalmente a due persone speciali che
nonostante le difficoltà, mi hanno sostenuto e mi hanno sempre incoraggiato …..
i miei genitori.
Come non ricordare poi il mio amico Giovanni, che è stato e sarà per me un esempio da
seguire e come non ringraziarlo per l’aiuto offertomi nel preparare alcuni esami per me
ostici; un ringraziamento particolare anche al mio amico Antonio, con il quale negli
ultimi anni ho condiviso tanti progetti ed esami.
Un grazie infine a tutte quelle persone che in momenti diversi, più o meno felici, mi
hanno sostenuto con la loro presenza ….