TOSSICOLOGIA – LOCATELLI
MERLO, MERONI
Ci sono molti farmaci normalmente dosabili in tutti gli ospedali perché fanno parte del TDM, la digossina o il litio per
esempio, dato che è facile andare incontro ad un loro accumulo durante il trattamento.
La litiemia corretta nel paziente psichiatrico è difficilissima da raggiungere e ci vogliono mesi per arrivare a vedere
l’effetto terapeutico, poiché il litio si equilibra lentamente nel SNC, tra sangue, liquor e cellule. Quando si raggiunge
l’effetto, la litiemia deve mantenersi tra 0,9 e 1,2 circa1.
Se il paziente in trattamento cronico arriva a 1,3-1,4-1,5 ha già i segni di tossicità; casi di litiemie molto più elevate si
osservano invece in pazienti che lo assumono per suicidarsi. In una persona che è già in trattamento cronico2, piccoli
sbalzi di lietiemia portano a manifestazioni cliniche importanti, mentre se una persona sana che non si trova in terapia
prende 50 compresse di litio e arriva a 4 di litiemia, non fa in tempo a sviluppare danni gravi, perché la molecola si
compartimenta lentamente nel SNC.
Comunque, al di là delle eccezioni, litio e digossina sono sostanze che vanno incontro ad accumulo e causano tossicità
per piccole variazioni.
Il ferro è un farmaco banale, ma andrebbe dosato in urgenza perché le intossicazioni che provoca sono molto severe e
difficili da trattare.
Poi ci sono delle tossine particolari, come quelle che dosiamo nell’intossicazione da funghi3, che ci permettono di fare
uno screening e ci dicono se il paziente è a rischio di morte/trapianto di fegato, oppure se possiamo dimetterlo e vederlo
ambulatorialmente.
Fra gli esami che si usano spesso4 ci sono quelli che si servono dei pHmetri, presenti in tutti i laboratori. Il pH misurato
è quello delle sostanze che vengono ingerite.
Esistono anche dei test portatili che si possono usare per vedere dalle urine se la persona fa uso di sostanze, ma sono
molto limitati.
Test tossicologici particolari sono quelli che rilevano i veleni, anche se alcuni esami di biochimica clinica standard ci
possono comunque orientare molto nella diagnostica.
Diagnostica strumentale
Fra le indagini strumentali non c’è niente di specifico, ma l’ECG viene spesso eseguito.
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Valori variabili a seconda del laboratorio
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quindi le sue cellule sono già piene di litio, che sta già agendo
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per esempio l’alfamanitina
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Le intossicazioni da caustici sono frequenti
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L’intossicazione da CO in questo esame ha poco o niente di tipico, anche se risulta gravemente cardiotossico; ci sono
però alcuni farmaci che danno alterazioni abbastanza tipiche. La morte da antidepressivi triciclici, per esempio, subentra
mentre la concentrazione del farmaco sale: in questo periodo il monitoraggio elettrocardiografico mostra l’aumento del
QT, l’aumento del QRS sopra certi limiti e orienta la diagnostica, nonostante non sia l’esame tossicologico per
antonomasia.
Anche gli esami radiologici non ci aiutano molto. Tuttavia ci sono sostanze visibili, come le compresse di ferro, che sono
radiopache.
Casi clinici
• Una donna arrivata dicendo che aveva bevuto la soda caustica ma una lastra fatta per vedere i segni della
perforazione ha evidenziato lo stomaco dilatato con il liquido ingerito (circa 700 ml). Si trattava di tricloro
etilene, che è radiopaco e a queste dosi è letale: può dare epatotossicità, nefrotossicità, oltre che danno diretto
sulle mucose.
Tutte le sostanze che evaporano, come la benzina causano la dilatazione dello stomaco, a cui segue eruttazione
di gas che se inalati danno polmoniti chimiche. In questo caso è stato sufficiente mettere un sondino
nasogastrico e aspirare il liquido.
• Un comportamento tipico dei carcerati è l’ingestione di batterie, in modo da essere trasportati in ospedale,
dove restano finché non evacuano. Queste situazioni non sono pericolose, perché le pile oggi non sono più al
mercurio ma fatte di altri metalli. Tuttavia, se si aprono provocano causticità e perforazione. Bisogna inoltre
stare attenti che quando le espellono non le ingeriscano nuovamente per prolungare la degenza in ospedale.
• Le pile a bottone vengono ingerite frequentemente dai bambini. Quelle piccole al nichel non sono di solito
problematiche; invece quelle al litio, di diametro di 2-2,5 cm, anche se scariche, sono dannose perché si
incastrano in esofago, dalla parte dell’anodo scaricano elettricamente e mandano in necrosi le pareti, al di là
delle quali si possono trovare la succlavia o l’aorta. Di solito ci si accorge del problema dopo qualche giorno
che il bambino non mangia e diventa debole, viene portato in ospedale e si vede radiologicamente la batteria
incastrata. A questo punto se il gastroscopista stacca la batteria bruscamente, porta via anche i tessuti necrotici
e il bambino muore per emorragia massiva. Quando ci sono problemi di questo tipo si trasferisce il bambino in
ospedali ad alta intensità di cura e la rimozione viene eseguita molto attentamente con il coinvolgimento di
diversi specialisti.
• Un altro problema frequente negli ultimi anni è la presenza di compresse a rilascio prolungato nello stomaco.
Il principio attivo di questi farmaci rimane nell’organo e viene assorbito lentamente. Essi aumentano la
compliance del paziente; alcuni esempi sono il sodio valproato, la carbamazepina, gli anticonvulsionanti, gli
antiepilettici, i farmaci psichiatrici.
Trattamento d’urgenza
Nel paziente intossicato la gestione spesso è simile agli altri, quello che cambia sono alcuni esami di laboratorio, la
decontaminazione5, il trattamento antidotico e quello depurativo, eseguito con delle tecniche specialistiche.
L’utilità della decontaminazione gastrointestinale è dubbia. Abbiamo diversi metodi per eseguirla:
• far vomitare il paziente, anche se adesso è in disuso; in passato si faceva nei bambini con degli sciroppi
• la lavanda gastrica, che si usa ampiamente
• l’aspirazione del contenuto gastrico
• la somministrazione di carbone vegetale
• la dialisi gastrointestinale che consiste nella somministrazione in continuo di carbone vegetale
• l’irrigazione intestinale per pulire la parte di tratto gastrointestinale post-pilorica, quando il veleno ha già
superato lo stomaco.
Sono stati pubblicati diversi studi, che però non sono stati in grado di dimostrare con certezza l’utilità di questi metodi.
La gestione è sempre clinica, il laboratorio aiuta ma in un secondo momento.
Bisogna valutare cosa fare in base al paziente. Per esempio, l’induzione del vomito è consigliabile in un bambino piccolo
che mangia delle bacche velenose nel bosco: in questo caso prima di arrivare in ospedale passerebbero ore e sarebbe
troppo tardi. In altre situazioni questa metodica si evita.
La lavanda gastrica e l’aspirazione sono fondamentali e salvavita per moltissime intossicazioni.
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specialmente del tratto GI in caso di intossicazione per ingestione
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Il carbone vegetale attivato si somministra nelle piccole intossicazioni, oppure dopo la lavanda gastrica per completare
la decontaminazione.
Tutto questo prevede l’ingestione di una o più sostanze pericolose; se un bambino assume un anticoncezionale non gli
si fa la lavanda gastrica e non gli si somministra neanche il carbone perché questo farmaco funziona solo nella femmina
e oltre una certa età, dato che presuppone la presenza di specifici recettori. Invece, se un bambino ingerisce la colchicina
bisogna cercare di eliminarla in qualunque modo.
Inoltre la gestione dipende anche dalla dose. In anamnesi molte informazioni non si conoscono dettagliatamente, quindi
bisogna agire nel modo più logico in base alla modalità di assunzione, al tipo di formulazione, al tempo trascorso, al tipo
di paziente. In un bambino 5 compresse di paracetamolo da 1000 rappresentano una dose letale. In un epatopatico che
prende un farmaco epatotossico devo avere una cautela maggiore.
Quando un bambino beve sostanze come la candeggina non è consigliato indurre il vomito, perché il prodotto
passerebbe due volte dall’esofago e lo lederebbe maggiormente. Lo stesso vale per gli schiumogeni: il detersivo per i
piatti a mano, lo shampoo, il bagnodoccia. Essi hanno un effetto irritativo per il tratto gastroenterico e nello stomaco
formano moltissima schiuma, perché l’organo si muove e ne causa un aumento. Con il vomito essi aspirano schiuma
nelle vie aeree e rischiano problemi polmonari importanti6.
Lavanda gastrica
La lavanda gastrica è una procedura invasiva che il medico deve saper fare. Consiste nel posizionamento di una sonda
orogastrica nello stomaco, assicurandosi di essere nella sede corretta e non nel polmone. A questo punto si comincia a
prelevare e infondere liquido, ripetendo il processo fino a quando lo stomaco non è completamente libero. La lavanda
gastrica serve ad eliminare il veleno; se il paziente ha mangiato delle bacche, essa non è in grado di scioglierne i pezzi,
anche se masticati. In alcuni casi si esegue anche a 4 ore dall’ingestione, in altri non ha senso farla dopo una sola ora7.
Le casistiche degli americani sono diverse dalle nostre perché non somministrano i farmaci per via endovenosa a pazienti
senza assicurazione, mentre in Italia lo si fa, in quanto non cambia nulla dal punto di vista della spesa sanitaria. In caso
di intossicazione da paracetamolo negli Stati Uniti eseguono il trattamento con N-acetilcisteina per os e per contrastare
il vomito usano l’antiemetico. Somministrano anche il carbone dopo la lavanda gastrica o a volte solo quello, dato che
essa ha costi elevati e tempistiche prolungate. Il carbone però nell’intossicazione da paracetamolo non è sufficiente a
bloccare tutto il farmaco ingerito. Non sapendo quanta N-acetilcisteina viene legata al carbone e non viene assorbita
bisogna fare attenzione all’interpretazione dei dati.
Fecero uno studio sulla riduzione dell’assorbimento del paracetamolo prendendo a campione studenti di medicina e
dandogli dosi subtossiche di farmaco, concludendo che la lavanda gastrica non funziona a un’ora dalla
somministrazione. Lo studio però era su pazienti sani per dosi non tossiche, quindi va interpretato correttamente.
Nessun paziente arriva in ospedale a 5 minuti dall’ingestione. Inoltre il paracetamolo in compresse fa effetto dopo 15-
20 minuti ma quello liquido usato in queste pubblicazioni ha un tempo di assorbimento più rapido. Un altro problema
per l’interpretazione dello studio riguarda il fatto che vengono dati 4 g di paracetamolo sciolto in acqua ad un paziente
sano, concludendo che, grazie alla lavanda gastrica, la media della diminuzione della concentrazione del farmaco nel
sangue è del 25% circa, risultato significativo. In questo caso però potrei dare il carbone, che è più conveniente e assorbe
tutti i 4 g di paracetamolo con una dose di 40 g, somministrabile ad un adulto normalmente. Se il paziente arriva in
ospedale dopo una dose di 20-30 g di paracetamolo, come più spesso succede, bisognerebbe somministrare 3 kg di
carbone e ciò non è possibile.
I casi reali sono ben diversi dai casi sperimentali e ciò vale nella tossicologia come in altri ambiti.
Per il paracetamolo esiste un test che ci dice a 4 ore dall’ingestione8 se la dose che è stata assorbita è epatotossica o
meno.
Il professore riporta il caso di una signora che aveva ingerito una supposta: dopo averla decontaminata le sue
concentrazioni continuavano a salire per cui è stata sottoposta ad un lavaggio intestinale, infatti questa formulazione
non si scioglie con l’acqua della lavanda gastrica.
Ci sono casi in cui il primo dosaggio risulta ad un livello non tossico, poi, continuando l’assorbimento, si ha un aumento,
quindi attenzione a non fidarsi di un singolo campione perché il paracetamolo è letale.
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Il professore riporta la morte di una paziente per questo motivo nonostante l’avessero intubata e avessero fatto un
broncolavaggio
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per esempio in un paziente che ha bevuto il valium in gocce, che viene assorbito subito. Una compressa di
carbamazepina, invece, rimane nello stomaco per 4-5 giorni. Quindi ogni farmaco e ogni formulazione ha la propria
indicazione.
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non prima
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Una critica che viene fatta alla lavanda gastrica è che dopo qualche ora non assorbe più nulla.
Prendendo a campione da un ospedale una serie di tentativi di suicidio con dosi note di salicilico è stato dimostrato che
spesso si tratta di una manovra salvavita nonostante il tempo passato: il primo paziente aveva ingerito 65 g di aspirina
e dopo 9 ore ne vennero estratti 20 g, quindi un terzo di quello assunto. Questo perché la compressa di aspirina si
scioglie in bocca e crea dei bezoari, delle concrezioni che rimangono a lungo nello stomaco e si sciolgono poi lentamente,
quindi anche la decontaminazione tardiva può essere efficace. Non si può sapere in anticipo se la lavanda gastrica
funzionerà, ciò dipende da numerosi fattori. In molti casi va fatta anche se non si è sicuri possa funzionare.
Nell’adulto si iniettano circa 100 ml d’acqua a schizzettoni, oppure con dei sistemi a doppia/tripla via; nel bambino si
usano 20 ml alla volta, ma è molto più rara. Ovviamente bisogna verificare di non sovraccaricare di liquidi i pazienti. Non
ci sono controindicazioni assolute, si evita solo in caso di perforazione. Alcune precauzioni da prendere sono: intubare
il paziente prima, proteggere le vie aeree, fare determinati procedimenti per la sicurezza del paziente a rischio
convulsioni/depressione centrale/con patologie particolari.
La posizione ideale per fare la lavanda gastrica è il decubito laterale sinistro9, con capo più basso del torace per evitare
che il paziente aspiri del materiale. Tuttavia, una persona che arriva in ospedale perché ha tentato il suicidio non è così
collaborante, quindi è difficile operare in condizioni ideali e spesso la procedura viene fatta loro da semi-seduti. In
questo modo però il liquido non fa altro che forzare il piloro e trascinare nell’intestino la sostanza da eliminare. In alcuni
casi bisogna tenere il liquido per analizzarlo. Si usano in totale 20 litri d’acqua dati circa 100 ml alla volta: richiede
tempistiche prolungate, però in caso di intossicazione da sostanze velenose è veramente salvavita, è sicura e aumenta
di poco la frequenza respiratoria.
Il secondo presidio da conoscere è il carbone vegetale attivato. Si tratta di polvere di carbone di legno di pioppo esposto
ad alte temperature e ad acidi forti per creare dei micropori che sono i punti in cui, per legge fisica, si vanno a legare
sostanze sciolte nello stomaco e nell’intestino. Non è una reazione chimica ma la legge di azione di massa e il
meccanismo si chiama adsorbimento. Una volta avvenuto ciò il carbone non le deadsorbe. È un antidoto fantastico ma
ha delle controindicazioni.
Viene somministrato con un dosaggio di 1 g/kg nell’adulto, nel bambino in dose inferiore.
Non funziona con molte molecole come metalli e sostanze molto ionizzate, per cui in molti casi non c’è indicazione ad
utilizzarlo.
Questo composto ha un limite ponderato che non si può superare. Il carbone vegetale preparato appropriatamente, in
polvere leggera, adsorbe in rapporto 10 a 1 quindi 10 g di carbone adsorbono 1 g di sostanza chimica. È stato provato
sperimentalmente che se un paziente assume 4 g di paracetamolo e poi subito 40 g di carbone il paziente non assorbe
nessuna molecola di paracetamolo. Una compressa da 10 g di paracetamolo non è composta solo da un principio attivo
ma anche dai coformulanti e per questo bisognerebbe somministrare 4 etti di carbone ad una persona di 50 kg che ha
assunto 10 g di paracetamolo. Il limite sta nel fatto che il massimo che si può somministrare è 1 g pro kg perché dosi
maggiori inducono il vomito. Questo dimostra che il carbone non è sempre un salvavita da solo, dipende dal farmaco
con cui il paziente si è intossicato.
Può essere utile mantenere piccole quantità di carbone continuamente nell’intestino e nello stomaco perché molte
delle molecole che portano a intossicazione hanno un ricircolo enteroepatico o enteroenterico. Ad esempio nel caso
dell'amanita phalloides l'alfaamanitina viene assorbita insieme ad altre sostanze, va nel sangue poi nel fegato dando
epatite acuta (potenzialmente letale), poi tramite la bile torna nell’intestino, viene nuovamente riassorbita e danneggia
nuovamente le cellule epatiche. Per interrompere questo ciclo si lascia il carbone a piccole dosi nell’intestino così da
bloccare l’assorbimento delle sostanze tossiche.
Questo tipo di decontaminazione gastrointestinale è utile nel caso di tossicità da compresse di tegretol 400 mg. Questo
farmaco è composto da carbamazepina a rilascio prolungato e contiene microsfere che a distanza di ore dalla
somministrazione si attaccano alla mucosa gastrica.
Caso clinico:
La venlafaxina antidepressivo SSRI è in commercio in Italia in tre formulazioni: 150 mg, 75 mg a rilascio prolungato e
37,5 mg a rilascio rapido.
Una paziente arriva in pronto soccorso con convulsioni, va in coma, si eseguono indagini diagnostiche di vario tipo che
risultano tutte negative. Il marito riferisce l’assunzione di venlafaxina da 150 mg. La paziente si stabilizza e viene
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sfruttando la grande curvatura dello stomaco
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trasferita al reparto medico. Successivamente ha nuovamente convulsioni, va in rianimazione dove la intubano,
ventilano e mettono un sondino da cui esce della mucillagine. Questa è composta dalle pastiglie di venlafaxina che si
sciolgono nello stomaco. Tramite gastroscopia con basket riescono a rimuoverla ma per complicanze la paziente muore.
La disintossicazione gastrointestinale se messa in atto precocemente è una manovra salvavita.
L’intossicazione da monossido di carbonio (CO) è l’intossicazione accidentale più frequente del mondo occidentale.
Il monossido di carbonio è un veleno importantissimo e molto subdolo, per questo se si hanno riscaldamenti autonomi
è necessario avere un rilevatore di carbonio.
il caso più grave è il 2: il CO ha un'affinità per l’emoglobina che è 250 volte quella dell’ossigeno quindi se presente
nell’ambiente si lega all’emoglobina e permane nel corpo diffondendosi ai tessuti e determinando così danni a livello
degli stessi. Nel caso 1 l’intossicazione è acuta, dunque il CO è nel sangue ma poco presente nei tessuti. Nel caso 2
l’esposizione prolungata ha dato tempo al CO di penetrare nei tessuti danneggiando le cellule soprattutto di cuore e
sistema nervoso centrale.
Il CO è un veleno molto studiato e conosciuto dal punto di vista fisiopatologico, sono noti molti meccanismi d’azione tra
cui:
1. Deficit di trasporto dell’ossigeno: il CO entra nel polmone e per diffusione va nel sangue, si lega al ferro bivalente
dell’emoglobina. Questo da un deficit di trasporto dell’ossigeno. Il CO ha un’affinità molto maggiore rispetto all’ossigeno
specialmente nell’emoglobina fetale, dunque nel feto e nel neonato l’intossicazione sarà più grave e più prolungata.
2. Effetto Haldane: deficit di cessione dell’ossigeno. La curva di dissociazione dell’emoglobina quando il 50% di eme
dell’emoglobina ha legato il CO si sposta a sinistra e non è più sigmoide. Quindi il globulo rosso giunto in periferia nei
capillari non rilascia l’ossigeno che trasporta. Un soggetto anemico che ha 7 di emoglobina sarà meno grave di un
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il professore raccomanda di leggere le linee guida sulla gestione dell’intossicazione da CO presenti nella dispensa,
domanda molto frequente all’esame.
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questo è valido fino a un certo livello, sopra i 50-60 tutti i pazienti andranno in coma
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paziente con 50% di CO legata all’emoglobina perché l’anemico è in grado di cedere l’ossigeno ai tessuti mentre il
globulo rosso che ha legato CO ne rilascia molto meno.
3. Legame dell’CO alla mioglobina. Nei muscoli l’ossigeno è stoccato nella mioglobina che ha un gruppo eme con un'alta
affinità per il CO. Durante l’intossicazione la mioglobina lega il CO e questo impedisce ai muscoli di contrarsi.
4. Blocco della catena respiratoria: il più grave effetto si ha a livello della catena respiratoria del mitocondrio. Il CO si
lega al ferro bivalente del citocromo a3 dell’ultima tappa della catena respiratoria bloccandolo e determinando la morte
della cellula. Questo è lo stesso bersaglio d’azione del cianuro. Il blocco avviene in tutte le cellule ma l’effetto si vedrà
prima nei tessuti ad alto consumo di ossigeno come cuore e cervello.
Caso clinico:
Intossicazione di massa avvenuta vicino a Pavia: il prete organizza in chiesa un concerto natalizio con circa 300 persone.
Durante l’esibizione si verificano multipli episodi sincopali tra i presenti. A causa di un sistema di riscaldamento
inadeguato si è prodotto CO che ha dato intossicazione.
Il CO è chiamato:
- il killer silenzioso perché non ci si può accorgere della sua presenza;
- il grande imitatore perché da una sindrome ipossica del tutto aspecifica.
I fattori di rischio aggiuntivi per l'intossicazione da CO sono: gravidanza, età pediatrica, malattie metaboliche, malattie
vascolari, ipertiroidismo, anemia, tabagismo.