Camillo Boito (Roma, 30 ottobre 1836 – Milano, 28 giugno 1914) è stato un architetto, restauratore,
teorico dell'architettura, scrittore e accademico italiano.
Fu una figura di spicco nel dibattito che animò il mondo artistico italiano all'indomani dell'unità
nazionale, incentrato sulla ricerca dello "stile nazionale", che avrebbe dovuto caratterizzare
l'architettura, la pittura e la scultura dell'appena costituito Regno d'Italia. Fu anzi il primo ad innestare
la questione dello "stile nazionale" e ne identificò le linee guida, nell'ambito dell'Eclettismo e del
Neoclassicismo, poi tenute presenti dagli artisti che operarono nel periodo, affermando che lo studio
dei classici doveva essere il punto di arrivo e non quello di partenza nella ricerca artistica, volta a dare
volto alle istanze della raggiunta unità nazionale.
Il restauro è un'attività legata alla manutenzione, al recupero, al ripristino e alla conservazione delle
opere d'arte, dei beni culturali, dei monumenti ed in generale dei manufatti storici, quali ad esempio
un'architettura, un manoscritto, un dipinto, un oggetto, qualsiasi esso sia, al quale venga riconosciuto
un particolare valore. Cesare Brandi nella sua Teoria del restauro afferma che il restauro è «il
momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua
duplice polarità estetica e storica, in vista della trasmissione al futuro», aggiungendo che «si restaura
solo la materia dell'opera d'arte».
Inoltre, espresse i dettami del "restauro filologico", ancor oggi tenuti presenti nelle teorie del restauro
attuale: riconoscibilità dell'intervento; rispetto per le aggiunte aventi valore artistico, che nel corso del
tempo sono state apportate al manufatto; tutela dei segni dello scorrere del tempo. Rifiutò invece il
restauro stilistico e ricostruttivo, personificato da Eugène Viollet-le-Duc.
Non tutte le culture seguirono gli stessi criteri nel conservare le testimonianze del proprio passato.
Molto forte è il rapporto con la religione e, quindi, con la concezione del tempo. In oriente, con la
visione ciclica del tempo, nuovo e vecchio vanno assieme, ogni evento torna periodicamente e l'idea di
progresso è diversa dalla concezione occidentale.
Il primo Pantheon di Roma fu fatto costruire da Agrippa, presentando la sua iscrizione sul fregio.
Successivamente, dopo aver subito una distruzione, fu fatto ricostruire da Adriano, questo provato dai
bolli laterizi, che presentavano gli anni di realizzazione dei suoi anni di impero, nonostante fece
ricollocare l'iscrizione originale di Agrippa, come a voler far "rinascere" il primo tempio.
Nel Medioevo e con la nuova religione, il Cristianesimo, si assiste a profondi cambiamenti che
separarono, anche in modo drastico, il mondo antico da quello del presente. La concezione del tempo
comincia ad essere lineare, dove nuovo e vecchio vanno in conflitto e comincia ad esserci l'idea di
progresso. Non si rigetta il passato nella sua interezza, ma inizia una selezione di forme, elementi e
tipologie con cui realizzare il nuovo mondo (ad esempio i Cristiani riprendono la tipologia Basilicale,
adottata dai romani e prima ancora dai greci per le aule della giustizia, e la adottano ai loro scopi,
apportandone delle modifiche, come l'ingresso al lato corto, l'abside o il quadriportico per i
catecumeni).
In mancanza di un afflusso regolare di materiale da costruzione e a costi molti elevati, gli edifici
vengono realizzati con "pezzi di spoglio", ovvero capitelli, basi, cornici, prelevati da edifici antichi, che
verranno, spesso, interamente distrutti. Questo viene spiegato dallo storico dell'arte Panofsky come il
"principio di disgiunzione".
in continuità con il passato, dove il vecchio mantiene la sua funzione originaria (es. Basilica di Santa
Maria Maggiore o di Santa Sabina a Roma);
di distacco con il passato, dove il vecchio vede maggiore manipolazione (es. Cattedrale di Vaison la
Romaine);
di conoscenza e di studio dell'antico, ovvero la sua "conservazione" (es. Tomba di Luca Savelli in Santa
Maria in Ara Coeli).
Figlio dell'artista Silvestro Boito e fratello maggiore del famoso letterato e musicista Arrigo Boito,
Camillo studia a Padova e all'Accademia di Venezia, dove è allievo di Pietro Selvatico (1803-1880) e
nel 1856 è nominato professore aggiunto di architettura. Dal 1860 al marzo 1908 insegna architettura
all'Accademia di Belle Arti di Brera e, dal 1865, per 43 anni, è docente all'Istituto Tecnico Superiore di
Milano. Nel 1862 si sposa con la cugina Celestina, dalla quale si separerà poco dopo. Nel 1887 si
unisce in seconde nozze con la contessa Madonnina Malaspina dei marchesi di Portogruaro, che lo
aveva soprannominato "Casamatta".
La sua attività principale rimane l'architettura: tra i suoi progetti ricordiamo l'intervento nell'area
medievale del Palazzo della Ragione di Padova, con la progettazione del Palazzo delle Debite; la
realizzazione di una scuola-modello; la sistemazione del convento antoniano a sede del Museo Civico;
l'ampliamento del camposanto e gli interventi sulla basilica di Sant'Antonio a Padova, tra cui un
controverso restauro dell'altare di Donatello; il restauro della Pusterla di Porta Ticinese e il progetto
per la Casa di riposo per Musicisti «Giuseppe Verdi» a Milano; il progetto della facciata della chiesa di
Santa Maria Assunta e dell'ospedale di Gallarate in provincia di Varese.
Partecipa al movimento letterario della Scapigliatura, l'equivalente milanese della Bohème parigina,
debuttando con Storielle vane (Milano 1876) e seguite nel 1883 da Senso. Nuove storielle vane (dalla
novella Senso Luchino Visconti ha tratto la sceneggiatura per il suo famosissimo omonimo film, che
però ha poco a che fare con la trama originale, tutt'altro che patriottica), il Maestro di setticlavio del
1891 e comparso sulla rivista Nuova Antologia. Sono presenti in questi racconti temi fantastici e
macabri che risalgono ad E.T.A. Hoffmann, Edgar Allan Poe ed Iginio Ugo Tarchetti, ma essi invece di
assumere caratteri ossessivi e allucinati sono esorcizzati da tendenze raziocinanti ed estetizzanti.
Inoltre scrisse Gite di un artista e Scultura e pittura d'oggi. Ricerche di Camillo Boito. Fu recensore
artistico di ben note riviste dell'epoca tra le quali: Lo Spettatore, Il Crepuscolo, Illustrazione Italiana, il
Politecnico, la Nuova Antologia.
Costante della narrativa di Camillo Boito è infatti il tema della bellezza in tutte le sue forme, soprattutto
quella femminile, ma anche quella musicale e artistica. Lo stile limpido e rigoroso, lontano dagli
eccessi e dalle sbavature di tanta prosa scapigliata tardo ottocentesca, rese le sue opere molto amate
soprattutto dai lettori che si affacciavano per la prima volta alla letteratura: l'ultima opera da lui scritta
fu Il maestro di setticlavio, una raccolta di racconti pubblicata nel 1891.
Nel primo congresso degli architetti ed ingegneri del Regno, tenutosi a Milano, fece parte della
ristretta commissione deputata a redigere l'ordine del giorno, in cui si auspicò la creazione dello "stile
nazionale" e se ne dettarono le tre linee guida. Riassumendo, esse sono:
le ragioni organiche e dell'uso della costruzione devono avere la preminenza su maniere, norme e
rapporti estetici;
lo stile deve essere comune a tutte le regioni italiane, ma con quelle modificazioni richieste dal clima,
dai materiali da costruzione e dai costumi;
lo stile non possa essere nuovo di pianta, ma anzi, per avere indole compiutamente nazionale debba
collegarsi ad una delle architetture italiane del passato, sciogliendone gli elementi da ogni norma di
convenzione, acciocché il modo moderno si accomodi anche ai nuovi materiali e ai ritrovati della
scienza[2].
Nel 1911 partecipò all'Esposizione internazionale di Torino, tenutasi in occasione del 50º anniversario
dell'Unità d'Italia e lanciò un appello per la definizione di uno stile nazionale: Noi d'oggi siamo
poliglotti, ma la lingua nostra, proprio nostra dell'arte, dov'è? Quale sarà l'impronta artistica che debba
farci distinguere dalle altre epoche nella grande rassegna dei secoli?[1]
Dal 1880 fu membro della commissione reale istituita per valutare i progetti del concorso per il
Vittoriano e per scegliere quello da realizzare; vinse quello di Giuseppe Sacconi, che più si distingueva
per la sua aderenza alle idee di Boito relative allo "stile nazionale". Il Boito si inserisce inoltre nel
dibattito incentrato sul luogo in cui costruire il monumento. La localizzazione scelta dalla commissione
reale, ossia il Campidoglio, dette adito ad aspre polemiche, dovute alle necessarie demolizioni
dell'antico tessuto urbano. Egli esprime la sua approvazione per le demolizioni, esprimendosi così:
..quando, tra venti o trent'anni [il Vittoriano] sarà finito, apparirà la più grande opera monumentale
della Roma moderna[3].
Giuseppe Sacconi, nel corso dei vent'anni della sua direzione dell'enorme cantiere del Vittoriano,
tenne sempre presenti le istanze sullo "stile nazionale" espresse da Boito; data l'importanza simbolica
del monumento e la sua localizzazione, il monumento sarebbe stato un modello da seguire nella
progettazione architettonica nei decenni a seguire[1].
Boito diventerà anche un importante esponente del restauro a livello nazionale e internazionale. Punti
centrali della sua teoria, definita come «restauro filologico», sono sinteticamente:
Il rifiuto del restauro stilistico - nella versione proposta da Viollet-Le-Duc - considerato come un
inganno per i contemporanei, ma ancor più per i posteri e una falsificazione del monumento, rendendo
impossibile distinguere le parti originarie dalle successive modifiche.
La necessità di rispettare e tutelare i valori artistici e storici del monumento. Boito asserisce inoltre
l'importanza della conservazione dei segni lasciati dal trascorrere del tempo sulle superfici
architettoniche, ovvero della patina, definita «splendido sudiciume del tempo».
L'esistenza di una gerarchia fra i possibili interventi sui monumenti: "devono venire piuttosto
consolidati che riparati, piuttosto riparati che restaurati".
Quando le opere di restauro si rendono indispensabili per il mantenimento dell'edificio, allora queste
devono essere fatte in modo che le aggiunte non possano essere confuse con le parti originarie. Le
aggiunte dovranno essere quindi rese distinguibili mediante la riduzione ai soli volumi essenziali
eliminando o stilizzando gli elementi decorativi, senza però stonare con il complesso dell'edificio.
Fu promotore, durante il IV Congresso degli ingegneri e architetti tenuto a Roma nel gennaio 1883,
della I Carta Italiana del Restauro: in essa confluiranno gran parte delle sue posizioni. La Carta
contribuirà a definire in maniera concreta una via italiana al restauro che si porrà a metà strada tra le
posizioni inglesi (the Anti-restoration Movement) e francesi (Restauro Stilistico).
Arrigo Boito (Padova, 24 febbraio 1842 – Milano, 10 giugno 1918) è stato un letterato, librettista e
compositore italiano.
Figlio di Silvestro Boito e Giuseppina Radolinska, fratello minore di Camillo, è noto soprattutto per i
suoi libretti d'opera, considerati tra i massimi capolavori del genere, e per il suo melodramma
Mefistofele.
Indice
1 Biografia
1.4 Il Nerone
2 Opere letterarie
2.1 Poesia
2.2 Teatro
2.3 Novelle
2.4 Libretti
3 Opere liriche
4 Altro
5 Onorificenze
6 Note
7 Bibliografia
7.1 Biografie
8 Voci correlate
9 Altri progetti
10 Collegamenti esterni
Biografia
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Il libro dei versi.
Dopo gli studi elementari a Venezia, dal 1853 studiò violino, pianoforte e composizione al
conservatorio di Milano, allievo di Alberto Mazzucato, dando precoce prova di affrancamento dalle
convenzioni musicali e di apertura alle innovative culture d'oltralpe con la cantata Il quattro giugno
(1860) e col mistero Le sorelle d'Italia (1861), dei quali scrisse anche il testo poetico, proponendosi da
subito nella duplice veste di poeta-musicista.
Nel 1861, appena conseguito il diploma, ottenne una borsa di studio e, col condiscepolo e amico
fraterno Franco Faccio, si recò a Parigi. Nella capitale francese conobbe, tra gli altri, Rossini, Berlioz e
Verdi. Per quest'ultimo scrisse il testo poetico dell'Inno delle Nazioni, eseguito all'Esposizione
universale di Londra.
Nel 1862, lasciata Parigi per la Polonia, patria di sua madre (la contessa Józefa Radolinska, morta nel
1859), vi scrisse il suo primo libretto, l'Amleto, dall'omonima tragedia di Shakespeare, per la musica di
Faccio.
Verso la fine del Settecento si ha la nascita dello studio storico-archeologico dei beni del passato,
avvenuta a seguito degli scavi di Pompei ed Ercolano, alla riscoperta delle antichità greche ed alla
scoperta di quelle egizie avvenuta con la campagna d'Egitto di Napoleone Bonaparte. Questo
passaggio fondamentale della conoscenza dell'arte antica porta ad un cambiamento nel rapporto con
le opere del passato (inizialmente limitato all'arte antica e successivamente esteso anche a quella
medioevale), con la nascita del restauro modernamente inteso.
Proprio per questo quando Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc (1814-1879) scrive il suo Dictionnaire
raisonné de l'architecture française du XIe au XVIe siècle alla voce Restauro afferma che «la parola e la
cosa sono moderne».[2][3]
Quella che tende a preferire la distinguibilità dell'intervento integrativo rispetto alla parte preesistente,
integrando le lacune in maniera riconoscibile attraverso la distinzione del materiale o la
semplificazione delle forme (ad esempio i restauri del Colosseo (1807-1826) e dell'Arco di Tito (1818-
1824) a Roma eseguiti da Raffaele Stern e Giuseppe Valadier).[4]
Quella secondo cui il restauratore deve immedesimarsi nel progettista originario e integrarne l'opera
nelle parti mancanti, perché mai realizzate, perché successivamente distrutte o degradate, perché
alterate da nuovi interventi. Secondo Viollet-le-Duc «Restaurare un edificio non è conservarlo,
ripararlo o rifarlo, è ripristinarlo in uno stato di completezza che può non essere mai esistito in un dato
tempo».[2] Questa posizione è abitualmente definita "restauro stilistico".
Come reazione a queste due tendenze nasce in Inghilterra l'Antirestoration movement, che - promosso
da William Morris - si rifà alle teorie di John Ruskin (1819-1900), secondo il quale il restauro è «la più
totale distruzione che un edificio possa subire: una distruzione alla fine della quale non resta neppure
un resto autentico da raccogliere, una distruzione accompagnata dalla falsa descrizione della cosa che
abbiamo distrutto».[5]
Il restauro dei dipinti vede nella Venezia del Settecento una figura di primo piano con Pietro Edwards
che Giorgio Bonsanti definisce "papà del restauro in Europa"[6] più che per la sua intensa attività di
restauro per gli scritti che documentano la modernità del pensiero che guidava la sua azione.
Importantissimo, tra i vari scritti di Edwards, il testo Capitoli (...) per l'effettuazione del Ristauro
generale dei Quadri di pubblica ragione (06/07/1777)[7] dove vengono indicati con precisione il
principio della reversibilità e della riconoscibilità. Per quanto concerne la reversibilità afferma:
"S'impegnano poi che non si useranno nei Quadri ingredienti che non si possano più levare, ma ogni
cosa necessariamente addoperata, sarà facilmente amovibile da ogn'un ch'intenda l'arte"; e per quanto
quello della riconoscibilità: "Risarciranno i pezzi lacerati, e mancanti, … non comprende l'obbligo di
rinovare dell'intiere composizioni; ciocché non sarebbe ristaurare, ma originalmente dipingere".
Importante anche un altro scritto di Edwards Instituzione di una formale pubblica scuola pel ristauro
delle danneggiate pitture (1820)[8], che viene ritenuto il primo contributo sul delicato tema della
formazione del restauratore[9].
Verso la fine dell'Ottocento in Italia nascono due nuovi modi di intendere il restauro architettonico:
Restauro storico, che afferma la necessità che le integrazioni all'opera debbano essere fondate su
documenti storici (Luca Beltrami, torre del Castello Sforzesco).
Restauro filologico, che ha come caposcuola Camillo Boito (1836-1914): riprende il concetto di
riconoscibilità dell'intervento; prevede il rispetto per le aggiunte aventi valore artistico, che nel corso
del tempo sono state apportate al manufatto; tutela i segni del tempo (pàtina).[10]
Nel restauro artistico i due caposcuola principali sono il bergamasco Giovanni Secco Suardo, che
affianca le conoscenze scientifiche dell'epoca e lo scambio di informazioni tra restauratori europei per
trarne linee metodologiche che raccoglie nel suo famoso Manuale del restauro e il fiorentino Ulisse
Forni che con il suo Manuale del pittore restauratore descrive nelle numerosissime schede le tecniche
per risolvere qualsiasi problema si riscontri su affreschi, oli e tempere. Entrambi si riconoscono ancora
nel concetto di ripristino dell'opera e nella necessità di eliminare i segni del tempo per riproporre, a
volte interpretando, l'idea originaria dell'artista.
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Description
Tornato a Milano, strinse amicizia con Emilio Praga e aderì al movimento letterario della Scapigliatura,
di cui fu uno dei principali esponenti. In questo periodo compose diverse poesie, poi in parte raccolte
nel Libro dei versi (1877), e pubblicò quello che è generalmente considerato il suo lavoro più originale,
il poemetto Re Orso (1864), una fiaba inquietante e orrida in forma di spericolato polimetro
(componimento con versi di varia misura). Fu inoltre molto attivo, collaborando con diverse testate
milanesi, come critico e recensore di spettacoli teatrali e musicali. In alcuni articoli, in particolar modo
in quelli pubblicati sul Figaro (rivista da lui stesso fondata e diretta nel 1864), espresse i propri principi
di riforma del melodramma italiano, in certa misura simili a quelli di Wagner (compositore con cui
Boito, peraltro, ebbe un rapporto quanto mai problematico, altalenante tra entusiastica ammirazione e
rigetto veemente). BONUS PROF I C IENC I ES
BL ESSING O F TH E F O RGE
O nce you use thi s fea ture, you c an't use it again until
Starti ng at 2nd l evel, you can use your Ch a nnel Div inity
DIV I NE S T R I K E
attack, you can cause the attack to d eal a n extra 1d8 fire
dam age to the tar get. Whe n you reach 14th l evel, th e ext
r a d a mage increases to 2 d8 .
C LERIC. OF T HE GRl\VE
b ecom es mo re powerful:
a ttacks.
GRAVE DOMAIN
Nel 1864, insieme ad altri «cultori della buona musica», promuove la fondazione della Società del
quartetto di Milano.
Di notevole pregio sono anche le sue raffinate novelle (L'Alfier nero, Iberia, La musica in piazza, Il
pugno chiuso e Il trapezio), pubblicate su varie riviste dal 1867 al 1874.
Dopo alcuni anni di intenso lavoro (interrotto solo nel 1866, quando con Faccio s'arruolò nel corpo di
volontari di Garibaldi in occasione della Terza Guerra d'Indipendenza) nel 1868 fece rappresentare alla
Scala il grandioso dramma musicale Mefistofele, che condensava l'intero Faust di Goethe. Al suo
debutto l'opera, accusata di wagnerismo, fu accolta da un clamoroso fiasco; dopo appena due
rappresentazioni, a causa dei disordini ripetutamente verificatisi in teatro, si decise di interrompere le
esecuzioni.
with the Words of Creation. But the question I ask you is,
can a bard go to the root of this tree? Can one tap into the
impressive failures.
voice. Yet what truly sets bards apa rt from other s- and
from one another-a re the style and substance o f their
performances.
world's equ iva lent of pop stars. If you're play ing a bard,
DEFINING WORK
DEFINING WOR K S
d 6 D e fi ni ng Work
in particular enjoy
Avernus
4
INSTRUMENT
on an audience.
You might h ave an "off the rack" ins trume nt, perhaps
because it's all you can afford righ t now. Or, if your
distinctive?
INSTRUMENTS
d6 In strume nt
4 An orcish drum
5 A wooden bullywug croak box
EMBARRASSMENT
Boito successivamente rivide e ridusse drasticamente la partitura (tra l'altro, la parte di Faust,
originariamente per baritono, fu riscritta per tenore). La nuova versione, rappresentata nel 1875 al
Teatro Comunale di Bologna, ottenne un enorme successo in Italia come all'estero e, unica fra le
composizioni di Boito, entrò nel repertorio delle opere ancor oggi rappresentate e incise con maggiore
frequenza.
Dopo il fiasco del primo Mefistofele, Boito si dedicò principalmente alla composizione di libretti, quasi
sempre firmati con lo pseudonimo anagrammatico Tobia Gorrio. Si ricordano La Gioconda per
Amilcare Ponchielli, Ero e Leandro scritto per sé nel 1871 ma poi ceduto a Giovanni Bottesini, Pier
Luigi Farnese per Costantino Palumbo, La falce per Alfredo Catalani e Un tramonto per Gaetano
Coronaro.
Il monumento a Boito, opera di Luigi Secchi, eretto nel ridotto del Teatro alla Scala nel 1923
Per Giuseppe Verdi, con cui peraltro erano sorte acute divergenze nel 1863 a causa di un'ode offensiva
(Alla salute dell'Arte Italiana), scrisse l'Otello (1887) e il Falstaff (1893), entrambi da Shakespeare, e
modificò notevolmente il Simon Boccanegra (1881). Nel corso della lunga collaborazione, nonostante
gli spiacevoli trascorsi, tra i due, oltre alla stima reciproca, nacque una profonda e sincera amicizia.
Dal 1887 al 1898 Boito ebbe un'intensa relazione con la celebre attrice Eleonora Duse (gli incontri
avvenivano, tra l'altro, a Ivrea, presso il castello di San Giuseppe, dimora del comune amico Giuseppe
Bianchi), e per lei tradusse i drammi shakespeariani Antonio e Cleopatra, Romeo e Giulietta e
Macbeth.
Dal 1890 al 1891 fu direttore onorario del Conservatorio di Parma (per questa ragione l'istituzione
parmigiana porta il suo nome). Nel 1893 gli fu conferita una laurea honoris causa in musica
dall'Università di Cambridge, e nel 1912 fu nominato senatore del Regno.
Il Nerone
Fin dalla giovinezza lavorò alla composizione della tragedia lirica che lo impegnò per tutta la vita, il
Nerone, grande affresco storico in cinque atti dai tratti spiccatamente decadentistici; nel 1901, scosso
dalla morte di Verdi, ne pubblicò il testo letterario (che fu un vero successo editoriale), ma - vinto dai
dubbi e dall'autocritica - non riuscì a completarne la partitura, nonostante la soppressione dell'intero
quinto atto. Morì nel 1918, per angina pectoris, ed ebbe sepoltura nel cimitero monumentale di Milano.
Dopo la seconda guerra mondiale in Italia, a seguito delle distruzioni belliche, la teoria del restauro
prosegue il distacco critico dalle posizioni filologico-scientifiche e si evolve verso il cosiddetto
"restauro critico".
Questa corrente ha al suo interno molte posizioni anche dialetticamente contrapposte. Fra i principali
teorici di questa fase possiamo ricordare Roberto Pane, Renato Bonelli e Cesare Brandi. Quest'ultimo
definisce il restauro, come già illustrato, «il momento metodologico del riconoscimento dell'opera
d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della
trasmissione al futuro».
Il progressivo estendersi del campo dei beni oggetti di tutela - dalle opere d'arte - ai beni di interesse
etno-antropologico e di cultura materiale, mette in crisi le posizioni del restauro critico che impostava
la sua teoria sull'artisticità del bene oggetto delle opere restaurative, e porta ad aumentare l'interesse
per la conservazione materiale oltre che formale degli oggetti tutelati, interesse che vede fra i
precursori Piero Sanpaolesi che elabora metodi per il consolidamento dei materiali lapidei.
Negli anni Settanta del Novecento nasce la cosiddetta teoria della conservazione che rifiuta ogni tipo
di integrazione stilistica, anche semplificata nelle forme, a favore dell'integrazione tra esistente -
conservato in maniera integrale - e aggiunta dichiaratamente moderna. Tra i massimi esponenti di
questa corrente ricordiamo Amedeo Bellini e Marco Dezzi Bardeschi.
Negli ultimi due decenni il contrasto fra "teoria della conservazione" e "restauro critico" è andato
progressivamente attenuandosi con una convergenza verso le posizioni "critico-conservative".
Solo alcune voci isolate propongono teorie radicalmente differenti. Era il caso di Paolo Marconi, che
partiva dal presupposto che in architettura non esistesse il concetto di autenticità materiale (perché la
concezione e l'esecuzione dell'opera appartengono a persone differenti) e giungeva a posizioni che
riprendevano in larga parte le teorie ottocentesche del restauro stilistico e storico. Opponendosi ai
principi di riconoscibilità dell'intervento e di semplificazione delle integrazioni, proponeva il
tradizionale rifacimento all’identique delle parti mancanti o alterate, intendendo così annullare il
passaggio del monumento nella storia.
Ma il dato più innovante è costituito dalla proposta della "conservazione programmata" proposta
dall'ICR nel biennio 1974-75 con il "Piano pilota per la conservazione programmata dei beni culturali in
Umbria"[14], redatto con la direzione di Giovanni Urbani (terzo direttore dell'ICR dopo Cesare Brandi
e Pasquale Rotondi).
Opere letterarie
Poesia
Teatro
Nerone (1901)
Novelle
Iberia (1868)
Libretti
Basi e bote (entro il 1881, musica propria, non rappresentata; 1927, musica di Riccardo Pick-
Mangiagalli)
Simon Boccanegra (1881 musica di Giuseppe Verdi, rifacimento del libretto di Francesco Maria Piave)
Opere liriche
Altro
In Italia l'Inno alla gioia viene oggi il più delle volte cantato usando l'adattamento in lingua italiana del
testo di Schiller fatto da A.Boito.[1][2]
Onorificenze
Cavaliere dell'Ordine di San Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere
dell'Ordine di San Maurizio e Lazzaro
— 23 giugno 1877
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Commendatore
dell'Ordine della Corona d'Italia
Note
^ corodivinaegratiae.com, https://www.corodivinaegratiae.com/il-repertorio/inno-alla-gioia/.
^ portaleragazzi.it, https://www.portaleragazzi.it/canta-con-noi-al-festival-deuropa/.
Bibliografia
Biografie
Raffaello de Rensis, Arrigo Boito. Capitoli biografici, Firenze, Sansoni, 1942.
Domenico Del Nero, Arrigo Boito. Un artista europeo, Firenze, Le Lettere, 1995.
Luigi Pagano [pseud. Romualdo Giani], Arrigo Boito: l'Artista e Nota boitiana, in La fionda di Davide,
Torino, Bocca, 1928, pp. 1–48 e 49-78.
Arrigo Boito, Tutti gli scritti, a cura di Piero Nardi, Milano, Mondadori, 1942.
Gaetano Mariani, Mondo poetico e ricerca stilistica di Arrigo Boito, in Storia della Scapigliatura, Roma-
Caltanissetta, Sciascia, 1967.
Gaetano Mariani, Le varianti di Arrigo Boito, in AA.VV., Arte e Letteratura. Scritti in ricordo di
Gabriele Baldini, a cura dell'Istituto di Lingua e Letteratura Inglese e di Letteratura Angloamericana
della Facoltà di Magistero, Università di Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1972.
Giovanna Scarsi, Rapporto tra poesia e musica in Arrigo Boito, Roma, Delia, 1972.
Arrigo Boito musicista e letterato, testi di Marinella Busnelli; ricerca iconografica di Adriana Corbella,
Lorenzo Siliotto; direttore della ricerca e coordinatore: Giampiero Tintori; Milano, Nuove edizioni,
1986.
Raffaello De Rensis, Franco Faccio - Arte, scapigliatura, patriottismo, Roma, NeoClassica, 2016, ISBN
978-88-9374-006-7.
Arnaldo Di Benedetto, "Case nuove" di Arrigo Boito o Le rovine di Milano, in Ippolito Nievo e altro
Ottocento, Napoli, Liguori, 1996, pp. 217–329.
Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2001.
Costantino Maeder, Il real fu dolore e l'ideal sogno. Arrigo Boito e i limiti dell'arte, Firenze, Cesati,
2002.
Ero e Leandro. Tragedia lirica in due atti di Arrigo Boito, a cura di Emanuele d'Angelo, Bari, Palomar,
2004.
Emanuele d'Angelo, Arrigo Boito, voce in Encyclopedia of Italian Literary Studies, edited by Gaetana
Marrone, New York, Routledge, 2007, 1, pp. 271–274.
Riccardo Viagrande, Arrigo Boito "Un caduto chèrubo", poeta e musicista, Palermo, L'Epos, 2008.
Claudio Mariotti, Arrigo Boito buon geomètra. Lettura del Libro dei versi, in «Filologia & Critica»,
settembre/dicembre 2008, pp. 321–50.
Arrigo Boito, Il libro dei versi, a cura di Claudio Mariotti, Modena, Mucchi, 2008.
Emanuele d'Angelo, Arrigo Boito drammaturgo per musica. Idee, visioni, forma e battaglie, Venezia,
Marsilio, 2010.
Arrigo Boito, Il primo Mefistofele, a cura di Emanuele d'Angelo, Venezia, Marsilio, 2013.
Edoardo Buroni, Arrigo Boito librettista, tra poesia e musica. La «forma ideal, purissima» del
melodramma italiano, Firenze, Cesati, 2013.
Riccardo Viagrande, Verdi e Boito. "All'arte dell'avvenire". Storia di un'amicizia e di una collaborazione
artistica, Monza, Casa Musicale Eco, 2013.
Carteggio Verdi-Boito, a nuova cura di Marcello Conati, Parma, Istituto nazionale di studi verdiani,
2014, 574 pp., ISBN 978-88-85065-60-4
Emanuele d'Angelo, Il "Pier Luigi Farnese" di Arrigo Boito. Con edizione critica del libretto, Ariccia,
Aracne, 2014.
«Ecco il mondo». Arrigo Boito, il futuro nel passato e il passato nel futuro, a cura di Maria Ida Biggi,
Emanuele d'Angelo, Michele Girardi, Venezia, Marsilio, 2019.