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Poesia e musica al tempo di Dante

Nel linguaggio di tutti i giorni resta viva la tradizione che vede la poesia e la musica nate insieme
come un tutt’uno. Ne è esempio il fatto che ci ostiniamo a chiamare canto i versi del poeta e che
nell’immaginario collettivo quest’ultimo sia una figura che regge una lira o un altro strumento con cui
accompagnare musicalmente i suoi versi.
E’ risaputo che gli antichi greci cantavano i loro componimenti poetici (e a pensarci bene anche la parola
componimento indica sia opere di musica che di poesia) forti del fatto che la struttura metrica dei loro versi
(ricca di accenti e ritmi) si sposava bene con la musica sfociando in canto o in qualcosa di molto simile.
Evidentemente nasce tutto dall’esigenza di dare un qualcosa in più ai testi poetici, qualcosa che li renda più
“artistici”. Questo qualcosa fu trovato nella musica.
La notevole presenza, inoltre, di cantilene e poesie cantate (la differenza è molto sottile) nella maggior parte
delle culture conosciute, fa notare come non si sia trattato solo di un fenomeno ristretto a particolari aree
geografiche, ma di una tradizione che abbracciava le più disparate razze umane coi propri usi e costumi.
Analizzando il rapporto tra poesia e musica ci rendiamo conto che siamo ormai abituati a considerare solo
dal punto di vista letterario anche le poesie classiche, dando più importanza al testo che non alla musica che
le accompagnava. Allo stesso modo, se vogliamo ascoltare dei Lieder di Schumann, ne consideriamo solo
l’aspetto musicale, rimandando l’analisi poetica direttamente alla lettura dei testi di Heine. La stessa cosa
accade con l’Ode alla gioia di Schiller musicata da Beethoven.
Ma agli albori della letteratura italiana, qual’era il rapporto tra la poesia e la musica? Sappiamo che nel ‘200
il musico e il poeta erano due persone che non dovevano mai lavorare insieme. Ci narra Vincenzo de
Bartholomeis che i poeti della scuola siciliana erano apprezzati perché avevano anticipato i poeti provenzali
nella separazione tra le due arti. E’ un atteggiamento che si sviluppa in quel periodo, dove la poesia era
“opera di uomini di penna e non di liuto”.
Ad ogni modo è interessare considerare il rapporto del poeta Dante Alighieri con la musica. Nella sua
biografia scritta da Giovanni Boccaccio, si parla di un Dante che si “dilettò in suoni e canti”. Non sappiamo
bene a quali fonti attinse Boccaccio, ma già nel Convivium Dante elevava la canzone a forma poetica per
eccellenza, ricca di sentimenti e pensieri. Nel De vulgari eloquentia non inorridisce davanti alla recitazione
cantata.
Dante conosceva la musica come una delle arti liberali e la poneva tra le scienze matematiche del Quadrivio.
Questa collocazione, apparentemente insolita, è dovuta alla storia dell’invenzione della musica. La musica fu
tradizionalmente inventata da Pitagora, che comunque non la “inventò” in senso stretto, ma per primo ne
studiò gli aspetti matematici che regolano le consonanze, gli intervalli etc. supponendo che gli stessi principi
regolino il moto dei corpi celesti, nonché l’alternarsi delle stagioni, del dì e della notte. Questa era la musica
coelestis. C’erano inoltre la musica humana, che regolava le armonie interne dell’uomo e la musica
instrumentalis, l’unica udibile, prodotta dalla voce o dagli strumenti, che era tanto più perfetta quanto più si
avvicinava a quella coelestis. Nel De vulgari eloquentia, tuttavia, compare una nuova musica, quella
rhythmica, data dall’alternanza di sillabe e accenti all’interno dei versi. Né più né meno quella che pervadeva
la poesia classica.
Nella scelta accurata delle parole e dei versi, Dante lascia trasparire un’attenzione particolare alla musicalità,
non tanto nella recitazione, quanto nella lettura mentale. Sembra, quindi, che non ci sia nulla di male ad
aggiungere anche una vera e propria melodia, soprattutto alla luce della convinzione di Dante che la musica
aiuti la tradizione poetica, nel senso del tramandare un testo ad altri, che a loro volta lo tramandano ad altri
ancora e così via…
Nelle opere di Dante, ben due volte si fa esplicito riferimento a sue poesie messe in musica. Nella Vita Nova,
Amore appare in sogno al poeta invitandolo a comporre una ballata da far “adornare di soave armonia, ne la
quale io sarò tutte le volte che farà mestiere”. Nel Purgatorio è illuminante l’incontro con Casella, “colui che
ha dato il suono alla poesia”, dove si delinea non solo il favore, ma anche la partecipazione emotiva di Dante
al sentire cantare dall’amico una sua opera.
Dunque è accettabile l’ipotesi di un ricongiungimento della poesia e della musica già a partire da Dante, e del
resto, fino al ‘500 molte forme poetiche trovano il loro coronamento solo nella loro messa in musica.

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