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Ordinario XIV (C)

Testi della Liturgia


Commenti:
Rinaudo
Cipriani
Garofalo
Stock
Vanhoye
Benedetto XVI
  I Padri della Chiesa
Briciole
San Tommaso
Caffarra
Sant’Agostino

Testi della Liturgia:


 
Antifona d’Ingresso: Ricordiamo, o Dio, la tua misericordia in
mezzo al tuo tempio. Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode si
estende ai confini della terra; di giustizia è piena la tua destra.
 
Colletta: O Dio, che nella vocazione battesimale ci chiami ad
essere pienamente disponibili all’annunzio del tuo regno, donaci il
coraggio apostolico e la libertà evangelica, perché rendiamo presente
in ogni ambiente di vita la tua parola di amore e di pace. Per il nostro
Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
 
I Lettura: Is 66, 10-14
Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa quanti la amate.
Sfavillate di gioia con essa voi tutti che avete partecipato al suo lutto.
Così succhierete al suo petto e vi sazierete delle sue consolazioni;
succhierete, deliziandovi, all’abbondanza del suo seno.
Poiché così dice il Signore: “Ecco io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza
dei popoli; i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia
saranno accarezzati.
Come una madre consola un figlio così io vi consolerò; in
Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,
le vostre ossa saran rigogliose come erba fresca. La mano del
Signore si farà manifesta ai suoi servi “.
 
Salmo 65
Grandi sono le opere del Signore.
Acclamate a Dio da tutta la terra,
cantate alla gloria del suo nome,
date a lui splendida lode.
Dite a Dio: “Stupende sono le tue opere!
A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome “.
Venite e vedete le opere di Dio,
mirabile nel suo agire sugli uomini.
Egli cambiò il mare in terra ferma,
passarono a piedi il fiume;
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.
il suo occhio scruta le nazioni; i ribelli non rialzino la fronte.
Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio:
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.
 
II Lettura: Gal 6, 14-18
Fratelli, quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce
del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per
me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la
circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova
creatura.
E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia,
come su tutto l’Israele di Dio.
D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le
stigmate di Gesù nel mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito,
fratelli. Amen.
 
Alleluia, alleluia. Dio ha riconciliato il mondo in Cristo,
affidando a noi la parola della riconciliazione. Alleluia.
Vangelo: Lc 10, 1-12. 17-20
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue discepoli e li
inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per
recarsi.
Diceva loro: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate
dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe.
Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate
borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi
sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti
ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di
quello che hanno, perché l’operaio è degno della sua mercede. Non
passate di casa in casa.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello
che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite
loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.
Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite
sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è
attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però
che il regno di Dio è vicino. Io vi dico che in quel giorno Sodoma
sarà trattata meno duramente di quella città.
I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: “Signore, anche i
demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”.
Egli disse: “Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore.
Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli
scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà
danneggiare. Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a
voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli”.
 
Sulle Offerte: Ci purifichi, Signore, quest’offerta che consacriamo
al tuo nome, e ci conduca di giorno in giorno a esprimere in noi la
vita nuova del Cristo tuo Figlio. Egli vive e regna nei secoli dei
secoli.
 
Dopo la Comunione: Dio onnipotente ed eterno, che ci hai nutriti
con i doni della tua carità senza limiti, fa’ che godiamo i benefici
della salvezza e viviamo sempre in rendimento di grazie. Per Cristo
nostro Signore.

Commenti:

Rinaudo
Meditazione sul Salmo 65
Senso Storico
Il salmo 65 inizia con un invito, in forma di inno, rivolto a tutta la
terra perché lodi il Signore che ha compiuto opere stupende (vv. 1-
4).
Sono ricordati i benefici compiuti da Dio, quando liberò il suo
popolo dall'Egitto e lo condusse incolume attraverso il mar Rosso e il
fiume Giordano. Viene soprattutto esaltata la fedeltà di Dio che
sempre si manifestò con grande potenza nelle dure prove cui andò
soggetto Israele durante la sua storia antica e recente (vv. 5-12).
Il popolo, riconoscente per tanti benefici, promette di sciogliere i
voti fatti nei momenti della tribolazione e di offrire sacrifici e lodi al
Signore per i recenti benefici concessi (vv. 13-20).
Probabilmente, l'ultima parte del salmo era recitata, nelle
celebrazioni liturgiche, da un solista che si rendeva interprete dei
sentimenti di tutto il popolo.
La storia del popolo eletto è riassunta in questo salmo nel suo
duplice aspetto di tentazione e di grazia, di prova e di intervento
miracoloso di Dio, di elezione e di continua purificazione.
Ma l'invito a lodare il Signore rivolto a tutta la terra per i benefici
concessi al popolo eletto vuol significare che quella storia ha un
valore universale: è una rivelazione per tutti i popoli della terra.
Senso Cristologico
La tradizione patristica attribuisce alla Chiesa e agli apostoli
questo canto di rendimento di grazie. Essi si rivolgono a tutti i popoli
della terra e li invitano a lodare il Signore. In questo invito è
contenuto il mistero della vocazione dei popoli, alla fede, e la
testimonianza data dagli apostoli e dai martiri a Cristo.
Della passione di Cristo, ma soprattutto della sua risurrezione
parla il salmo 65. Il Signore è stato messo alla prova e passato al
crogiuolo come l'argento, ha portato sui suoi fianchi il nostro peso
(vv. 10-11).
La liturgia pone sulle labbra del Cristo risorto le espressioni del
salmo: «Benedite, o popoli, Iddio, che salvò la mia vita e mi ha dato
sollievo».
Le espressioni di Cristo sono anche quelle della Chiesa; essa
invita tutti i popoli e l'intero universo ad acclamare a Dio e a cantare
alla gloria del nome di Cristo per le opere mirabili da lui compiute:
nella sua manifestazione in terra, egli è apparso in mezzo a noi luce
della nuova creazione per illuminare i secoli; nel suo mistero
pasquale, non ci ha negato la sua misericordia, ma, col battesimo, ci
ha fatti passare per il fuoco e l'acqua dalla morte alla vita.
San Pietro, nella sua prima lettera, fa eco alle parole del salmo
(vv. 10-12), quando scrive: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore
nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha
rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per
una speranza viva... Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora
dovete essere un po' afflitti da varie prove, perché il valore della
vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire,
tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella
manifestazione di Gesù Cristo» (1 Pt 1, 3.6-7). «La prova della
vostra fede produce la pazienza» dice san Giacomo (Giac 1, 3).
Per celebrare le opere compiute dal Signore, la Chiesa intona il
canto del ringraziamento, non più con pingui olocausti con fragranza
di montoni e con il sacrificio di buoi e di capri (v. 15), che non
purificano la coscienza dalle opere morte, per farci servire a Dio
vivente (cf Ebr 9, 14), ma offre il sacrificio del Corpo e del Sangue
di Cristo e con Lui immola sé stessa (vv. 13.15). In questa offerta e
in questa lode è anche presente il Signore, anzi, è lui che associa la
Chiesa sua sposa al suo sacrificio per rendere a Dio una gloria
perfetta e santificare tutti gli uomini (cf SC, 7).
Nelle celebrazioni liturgiche la voce di Cristo e quella della
Chiesa si fondono in un'unica voce: Cristo prega e loda il Padre nella
Chiesa e la sua voce è sempre da lui accolta ed esaudita (vv. 19-20).
La Chiesa, con le parole del salmo, offre ancora sé stessa a Dio in
quelle membra che si votano al Signore e fanno professione di vita
religiosa. L'olocausto che l'uomo fa di sé stesso è espresso nei voti di
povertà, obbedienza e castità. Essi configurano più intimamente al
Cristo coloro che Egli chiama alla perfezione della vita cristiana.
(Rinaudo S., I salmi preghiera di Cristo e della Chiesa, Elledici,
Torino-Leumann, 1981, pp. 360-362)

Cipriani
Commento a Gal 6, 14-18:
vv. 14-16. Contrariamente ai giudaizzanti, che predicano la
"circoncisione" al solo scopo di sfuggire alla "persecuzione" per il
nome di Cristo (cfr. 5, 11) e "gloriarsi" davanti agli altri nel numero
dei loro adepti (vv. 12-13), l’apostolo pone la sua gloria nella croce
di Cristo: per questo egli sente che il "mondo" per lui è ormai
scomparso, "crocifisso" (v. 14), diventato oggetto di obbrobrio e di
ripulsa, così come era per gli antichi il patibolo della croce. Non si
poteva esprimer con una formula più efficace questo insanabile
contrasto fra chi intenda vivere la propria fede sul serio e tutto ciò
che è fermento di male!
Per "mondo" si deve intendere la realtà creata non in quanto tale,
ma in quanto, a causa del peccato, ritrae dal servizio di Dio e
favorisce le voglie della carne (5, 17-21; 1Cor 1,20; 2Cor 4, 4; Ef 2,
2. Cfr. Gv 1,10). Fra questo "mondo" e Paolo c’è una incompatibilità
reciproca (v. 14). L’unica cosa che ormai vale è la "creatura nova"
(v. 15. Cfr. 2Cor 5, 17), che è nata dal costato di Cristo crocifisso,
per cui solo i "crocifissi" come Paolo possono far parte del regno
della redenzione (cfr. 5, 24).
In tal maniera e seguendo questa via della croce, essi diventano il
vero "Israele di Dio" (cfr. 3, 29; Rom 9, 6-8), in opposizione
all’Israele "secondo la carne" (1Cor 10, 18), e saranno oggetto di
"pace" e di "misericordia" da parte di Dio (v. 16).
vv. 17-18. Con una frase energica e pittoresca, da uomo seccato,
Paolo sconsiglia i Giudaizanti di intralciargli più oltre il
cammino: d’ora in avanti nessuno mi procuri più fastidi; io infatti
porto nel mio corpo le stimmate di Gesù (v. 17).
Come gli schiavi, specialmente quelli fuggitivi, ricevevano un
marchio fatto con ferro rovente sul loro corpo quale segno di
appartenenza al padrone, così Paolo, "schiavo di Cristo" (1,10; Rom
1,1), può mostrare nel suo corpo tutte le lividure, le percosse, i segni
delle sofferenze più atroci affrontate per Cristo nel corso del suo
lungo apostolato (2Cor 6, 4-5; 11, 23-25): queste sono le sue
"stimmate".
Davanti ai segni del "sangue" nessuno potrà più contestare la
legittimità del suo apostolato e i diritti che egli aveva acquisito sulle
cristianità di Galazia, alle quali manda un ultimo, dolcissimo
saluto: la grazia del Signore nostro Gesù Cristo si con il vostro
spirito, fratelli! Amen (v. 18).
(Cipriani S., Le lettere di Paolo, Cittadella, Assisi 1999, 388-
389).

Garofalo 
Urgenza del Vangelo
Il tratto evangelico di questa domenica offre un particolare
motivo di interesse in quanto è l’unico luogo dei vangeli in cui si
parla di un gruppo di discepoli di Gesù distinti dai Dodici, ma come
essi inviati in una missione (cf. Lc c. 9) che sembra supporre larghi
orizzonti. Luca infatti parla di settantadue discepoli, un numero che
evoca la «tavola dei popoli» della Genesi (c. 10), dalla quale gli ebrei
ricavavano che il mondo pagano constava di settanta popoli, numero
che molti manoscritti greci del vangelo danno nel testo di Luca.
Secondo il computo della versione greca dell’Antico Testamento, i
popoli della Genesi sono settantadue.
Altri indizi permettono di concludere con sufficiente probabilità
che Luca, collaboratore di Paolo nella evangelizzazione del mondo
pagano e storico – negli Atti – della diffusione del Vangelo fuori dei
confini della Palestina, abbia voluto adombrare nella missione dei
settantadue la costante volontà di Cristo che il suo Vangelo
giungesse a tutte le genti – come dirà l’esplicito mandato del Risorto
(Lc 24, 47; At 1, 28) – affinché l’opera da lui compiuta venisse
continuata nel tempo e nello spazio con l’inesauribile slancio
missionario della sua Chiesa.
È Gesù in persona che «designa» il gruppo più nutrito dei
discepoli gli «invia a due a due avanti a sé in ogni città e luogo» o
paese. L’invio a coppie, a parte l’ovvia implicazione di una mutua
assistenza e fraterna collaborazione, sta anche a significare che i
missionari sono testimoni (cf. Dt 19, 15; Mt 18, 16) dell’accoglienza
fatta al loro annunzio, che comporterà effettivamente un giudizio (v.
12). II Vangelo, infatti, è troppo importante e decisivo perché chi ne
viene a conoscenza possa scrollarselo di dosso con disinvoltura,
senza averlo preso seriamente in esame. Il dono supremo di Dio va
accolto con sommo rispetto e gratitudine: è un’occasione unica nella
vita.
Le istruzioni di Gesù ai discepoli risultano, in Luca, più ampie di
quelle dati agli apostoli (Lc 9, 1-5) e si trovano in Matteo (9,37-38;
10,7-1640) destinate ai Dodici. La prima consegna è di pregare il
Padre, perché egli, che è il «padrone» della messe, mandi gli operai a
mietere nella sua proprietà. Diventare i mietitori di Dio è possibile
soltanto in virtù di una sua scelta e di un suo invio, mediante il
Figlio, che è venuto a compiere nel mondo la volontà di salvezza del
Padre e a fondarne il regno. Il Padre è l’agricoltore (Gv 15, 1) e
Giovanni Battista, all’alba del Vangelo, attribuiva al Messia che
doveva venire dopo di lui il compito di «raccogliere il frumento nel
granaio» (Lc 3, 17).
Ogni presunzione umana nella vicenda del regno di Dio viene
così sbaragliata: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato
ordinato, dite: Siamo poveri servi. Abbiamo fatto quanto dovevamo
fare» (Lc 17,10), supposto che, nel ministero apostolico, si faccia ciò
che si deve e non ciò che si preferisce.
Dio ha voluto aver bisogno degli uomini, ma questi, come non
possono avanzare nei suoi confronti alcuna pretesa, così non possono
permettersi di modificarne le intenzioni e la volontà, imponendo al
Vangelo l’illegittimo filtro delle Loro esclusive opinioni e velleità.
Anche i settantadue, come i Dodici, sono mandati come agnelli in
mezzo ai lupi, esposti a pericoli di ogni genere, ma non sprovveduti e
indifesi, perché li accompagna di protegge la potenza di Dio, alla
quale spetta sempre l’ultima parola, mentre gli inviati non dovranno
riporre la loro fiducia nelle umane risorse: andranno liberi da ogni
impaccio terreno, da ogni preoccupazione – senza borsa, né bisaccia,
né sandali, cioè senza provviste di riserva – e senza indugi.
«Non salutate nessuno sulla strada» dice Gesù alludendo ai
prolissi convenevoli orientali: un fiume di parole, acqua che non
macina. Non è che i discepoli debbano essere scontrosi e villani;
semplicemente, non devono perder tempo perché il Vangelo ha
fretta, incalza: gli uomini ne hanno urgente bisogno.
In qualunque casa entrino, i missionari devono dire: «Pace a
questa casa», devono cioè offrire il dono del messaggio di Cristo e il
tesoro dei beni di salvezza: la pace, per Luca (1, 79; At 10, 36), è la
sintesi del Vangelo come parola, come evento, come pienezza della
grazia. La pace, però, deve trovare un «figlio della pace» – un modo
di dire semitico per indicare d’appartenenza dell’uomo alla pace,
cioè la sua attitudine e disponibilità alla pace – altrimenti essa
ritornerà ai discepoli, perché secondo la teologia della Bibbia, la
benedizione di Dio è operante sempre, non viene mai data invano.
Della sua parola, il Signore stesso dice: «Non ritornerà a me senza
effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto
ciò per cui l’ho mandata» (Is 55, 11); e questo vale anche per i casi in
cui certi nostri insuccessi nel ministero vengono giudicati un
fallimento del Vangelo.
I missionari, quando sono accolti, devono contentarsi dell’ospitalità
loro offerta, senza cercare una migliore sistemazione, che causerebbe
altra perdita di tempo, con la serena coscienza di aver diritto al
sostentamento «perché l’operaio è degno della sua mercede». Paolo
citerà queste parole come Sacra Scrittura (1 Tm 5, 18), fondando su
di essa il dovere cristiano di assistenza materiale agli operai del
Vangelo – «Se noi abbiamo seminato in voi le cose spirituali, è forse
gran cosa se raccoglieremo beni materiali?» anche se, personalmente,
preferirà non servirsi di questo diritto, ma di sopportare tutto «per
non recare intralcio al Vangelo» (1Cor 9, 11-14).
A coloro che accolgono gli inviati di Cristo il Vangelo si
presenterà in tutta la sua forza, manifestata anche nei miracoli, ma su
chi li rifiuta incombe una gravissima responsabilità. I missionari non
vanno elemosinando consensi, ma, annunziando la prossimità del
regno di Dio, esigono una risposta all’offerta divina e se la risposta è
negativa sono in dovere di dichiarare l’estremo rischio al quale chi
rifiuta si trova esposto: usciranno sulle piazze, in pubblica
testimonianza, e diranno: «Anche la polvere della vostra città che si è
attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però,
che il regno di Dio è vicino».
Il gesto che potrebbe sembrare teatrale aveva un preciso
significato: quella città ostile all’annunzio del regno viene
considerata come terra di infedeli, profana. Gli ebrei, infatti, quando
provenivano da un viaggio in paese pagano scuotevano la polvere dai
piedi per non contaminare la Terra Santa. Negli Atti (13, 51) Luca
riferirà che quel gesto venne compiuto da Paolo e Barnaba quando
furono scacciati da Antiochia Pisidia.
Dicevamo che la responsabilità di un rifiuto del Vangelo è
enorme e infatti Gesù dice che, nel giorno del giudizio, la città non
solo insensibile, ma ribelle al messaggio di salvezza, sarà trattata più
duramente dell’antica Sodoma, che nella tradizione biblica era il
prototipo di quanti peccano atrocemente e sono perciò
inesorabilmente puniti.
Omettendo la requisitoria di Gesù, contro le città galilee che non
si erano convertite alla sua predicazione (i vv. 13-15 di Luca sono
meglio situati in Mt 11,21-24) la pericope liturgica passa subito alla
conclusione, che mostra i discepoli di ritorno dalla loro missione,
felici per aver visto il nemico del regno di Dio sottomettersi ad essi
nel nome di Cristo. Gesù conferma che Satana – la cui potenza è
simboleggiata anche dal veleno dei serpenti e degli scorpioni – nulla
può contro i messaggeri del Vangelo, associati alla vittoria di Cristo
sul Maligno, che egli dice aver veduto cadere dal cielo come una
folgore. La frase è di (stile apocalittico e non necessariamente
comporta una vera e propria visione. La gioia dei discepoli viene
però dirottata da Cristo: siano essi felici più che per i poteri loro
conferiti, per il fatto che, rimanendo fedeli al mandato ricevuto, i loro
nomi sono scritti nei cieli, dove, nel «libro della vita» (Ap 3,5 ecc.)
sono segnati quelli che raggiungeranno gli splendori eterni del regno.
Potrà infatti accadere che, nel giorno del giudizio, Cristo dica a
qualcuno che ha creduto di aver «profetato» e «cacciato demoni» nel
suo nome: «Non vi ho mai conosciuti» (Mt 7,22-26).
  (Garofalo S., Parole di vita, Vaticano 1981, 281- 287)

Stock
Istruzione per la missione...
La Chiesa è al servizio di Gesù. Egli determina che cosa essa
deve fare e le conferisce il potere per la sua azione. La Chiesa non ha
il suo significato in se stessa, ma il suo compito è di condurre gli
uomini a Gesù e di prepararli al fatto che Gesù stesso viene da loro.
Nel suo discorso Gesù dice a quelli che invia qual è la loro situazione
e che cosa devono fare (10,112). Al loro ritorno essi riferiscono a
Gesù com’è andata la missione (10,1720).
Gesù aveva già inviato i dodici apostoli (9,16). Essi vengono
continuamente nominati nel Vangelo (8,1; 9,12; 18,31; 22,14) e
costituiscono il nucleo della giovane Chiesa (At 1,13). Il fatto che
Gesù ha inviato 72 (o 70; la tradizione non è uniforme) discepoli
viene riferito solo in questo posto. L’avvenimento mostra che, oltre
ai Dodici, Gesù ha bisogno e impiega molti aiutanti. L’Antico
Testamento riferisce di 70 anziani presi come aiutanti di Mosè (Es
24,1; Nm 11,16). Per la Chiesa questo significa che non solo pochi –i
successori degli apostoli – hanno un compito missionario, ma che
tutti devono, soprattutto con la loro vita, essere testimoni di Gesù e
del suo messaggio e così preparare l’incontro degli uomini con lui.
Inviando i 72 a due a due, Gesù sottolinea, secondo una regola dell’
Antico Testamento (Dt 19,15; cfr. Gv 8,17), per loro e per coloro ai
quali sono inviati, che il Loro compito è una testimonianza. Essi non
devono trasmettere idee proprie, ma devono annunciare e fare ciò
che Gesù ha affidato loro. Non si tratta della loro persona, ma essi
devono essere mediatori fidati tra Gesù e gli uomini. Egli li invia in
villaggi e città della Giudea; tuttavia in questo invio si può vedere un
accenno alla missione universale, poiché esso indica quanto grande è
il compito di Gesù.
All’inizio del suo discorso Gesù rivela ai discepoli la loro
situazione, di cui non devono farsi false idee: la messe è abbondante,
ma i lavoratori sono pochi. Egli li manda come agnelli in mezzo a
lupi. Sebbene siano 72, essi sono pochi. Questo fa capire quanto
grande sia il compito che Gesù vede davanti a sé e del quale li rende
partecipi. Sorprendente è la conseguenza che Gesù ne trae. Egli non
dice: «Mettetevi subito in cammino e lavorate senza sosta!», ma
dice: «Pregate il padrone della messe perché mandi lavoratori nella
sua messe» (10,2). In ogni tempo i lavoratori devono sapere
chiaramente che essi sono servi e che Dio è il padrone della messe.
Egli è il creatore di tutti gli uomini; egli ha mandato Gesù, e da lui
dipende chiamare altri lavoratori per la messe. Quelli che ha già
chiamato a servire, devono fare fedelmente ii loro lavoro, ma non
devono esigere troppo da sé e non devono farsi prendere dal panico
di fronte alla grandezza di questo compito. Ma per loro la messe
deve costituire una premura personale tale da pregare il padrone di
mandare altri lavoratori. L’ultima responsabilità spetta a Dio, ed essi
possono aver fiducia che egli non manda in rovina la sua messe e
invia i lavoratori necessari.
  Quelli che Gesù invia sono lavoratori a servizio di Dio; essi
saranno anche agnelli in mezzo a lupi. Se la prima affermazione
indica il loro rapporto con Dio, la seconda indica il loro rapporto con
gli uomini. È proverbiale il contrasto tra agnelli e lupi (cfr. Sir
13,17). Gli agnelli sono animali indifesi e inermi; i lupi li sbranano
eli disperdono con violenza (Gv 10,12). Come Gesù dice subito dopo
nella frase successiva (10,3), i suoi discepoli devono andare dagli
uomini a mani vuote e a piedi nudi, senza dimostrazione di spreco e
di potere, e più che mai senza violenza. Ma non possono contare sul
fatto di avere un compito facile e di essere accolti dappertutto a
braccia aperte. In seguito Gesù mostrerà che essi devono attendersi
persecuzioni (12,412; 21,1219).
Poi Gesù dice loro in particolare quale dev’essere il loro
equipaggiamento (10,4), come devono comportarsi in una casa
(10,57), e come in una città (10,811). Con una frase conclusiva
sottolinea quanto sia importante il loro operare (10,12).
Per quanto riguarda l’equipaggiamento, Gesù dà solo divieti: non
borsa, né sacca, né sandali; rimane loro soltanto una veste e forse il
mantello. Essi non portano nulla e non hanno nulla per la loro
sicurezza personale. Si chiarisce subito che non hanno nessun bene
terreno da distribuire. Ma ciò che essi hanno è il loro messaggio e il
loro potere, a cui dev’essere rivolta sin dall’inizio tutta l’attenzione
da parte loro e da parte dei loro ascoltatori. Lungo la strada non
devono salutare, perché non hanno tempo da perdere e devono
iniziare il loro compito il più presto possibile (cfr. 2 Re 4,29).
Gesù presuppone che nella loro attività in un luogo essi hanno
bisogno di un alloggio pacifico. Nella casa in cui un uomo di pace
ricambia il loro saluto di pace essi devono rimanere e farsi dare
ospitalità. Non devono perdere tempo nella ricerca di un’altra casa,
come per trovare un alloggio migliore. Senza avere pretese per la
propria persona, essi devono dedicarsi al loro compito.
Per quanto riguarda il loro agire, Gesù presenta due casi. Se sono
accolti in una città, devono comportarsi proprio come Gesù: devono
guarire i malati (cfr. 5,15; 6,18; 7,21) e annunciare il Vangelo del
regno di Dio (cfr. 4,43; 8,1). Così si riferisce anche dei Dodici che
«annunciavano ovunque il lieto messaggio e operavano guarigioni»
(9,6). A coloro che li accolgono, devono dire con forza: «Si è
avvicinato a voi il regno di Dio [per la vostra salvezza]» (10,9), e
devono confermare questo messaggio con le guarigioni dei malati.
Essi parlano in quanto inviati e testimoni. Il vero messaggero del
Vangelo del regno di Dio e colui che porta la salvezza è Gesù stesso.
Essi possono presentare agli uomini Gesù e il suo messaggio. Ma poi
Gesù stesso viene agli uomini – allora visibilmente, oggi con il suo
Spirito –, perché essi lo conoscano in modo vivo, credano in lui e per
mezzo suo partecipino al regno di Dio e ottengano la pienezza di
vita.
I messaggeri di Gesù non devono andarsene furtivamente da una
città che non li ha accolti, ma con il gesto di scuotere la polvere dei
piedi (cfr. At 13,51; 18,6) devono provare che tra loro e gli abitanti
di quella città non c’è niente in comune, e devono ripetere e far
sapere con forza: «Il regno di Dio è vicino» (10,11), se non per la
salvezza, per il giudizio. Con l’accenno al giudizio Gesù mette in
risalto l’assoluta serietà e rivendicazione del suo messaggio, anche se
viene comunicato dai suoi messaggeri (cfr. 10,16).
Avevano un compito nuovo e difficile. Essi tornano da Gesù pieni
di gioia. In particolare sono impressionati dal fatto che nel nome di
Gesù hanno potuto scacciare i demoni. Tutta la loro opera è avvenuta
per incarico di Gesù. Essi hanno sperimentato di aver potuto
realizzare veramente qualcosa con questo potere. Nella sua risposta
Gesù mostra ai suoi messaggeri il grande evento in cui è incluso il
loro operare. Gesù ha visto satana cadere dal cielo come una folgore.
Satana era ritenuto il più accanito nemico degli uomini, il loro
accusatore davanti a Dio (cfr. Gb 1–2), che vuole contrappone Dio e
gli uomini e separarli tra loro. Gesù lo chiama «omicida fin dal
principio... padre della menzogna» (Gv 8,44; cfr. Gen 3). La sua
caduta (cfr. Gv 12,31; Ap 12,79) è una conseguenza del fatto che il
regno di Dio è realmente vicino. Poiché Dio si è deciso
definitivamente per gli uomini, anche l’intento di satana di separare
Dio e gli uomini è fallito definitivamente. Quello che i discepoli
compiono nel nome di Gesù, sta al servizio della loro missione, ma
non è una garanzia per la loro salvezza personale (cfr. Mt 7,2223).
Dicendo che i loro nomi sono scritti nei cieli (cfr. Ap 3,5), Gesù
assicura loro che appartengono al regno di Dio. Questo significa la
loro salvezza personale, ed è motivo di gioia traboccante (cfr. 6,20).
  Domande
1. Che cosa significa per i messaggeri il fatto che Dio è il padrone
della messe?
2. Come possono i messaggeri, fino ad oggi, contribuire al fatto
che Gesù viene agli uomini? Che cosa deve fare Gesù stesso?
3. Le istruzioni date da Gesù che significato hanno per l’attività
attuale della Chiesa?
  (Stock K., La Liturgia de la Parola. Spiegazione dei Vangeli
domenicali e festivi, Anno C (Luca), ADP, Roma 2003, 142-146).

Vanhoye
La missione... 
La liturgia di questa domenica apre prospettive missionarie. Il
Vangelo ci presenta l’episodio di Gesù che invia in missione
settantadue discepoli. La prima lettura ci parla della tenerezza di Dio,
che manda la sua pace a Gerusalemme. E anche la seconda lettura
parla di pace e misericordia.
Soprattutto il brano del Vangelo è interessante per l’apertura alla
missione universale. Il numero «settantadue» infatti ha un valore
simbolico, vuol indicare tutte le nazioni. Nel libro della Genesi si
menzionano settantadue nazioni diverse. Così questo invio di
settantadue discepoli prefigura la missione a tutte le nazioni.
Non si tratta ancora della missione effettiva, perché prima della
risurrezione di Gesù la missione è limitata a Israele; tuttavia ora
viene già indicata la prospettiva universale. Questa è presente anche
nelle parole di Gesù, che dice che la messe è molta, e quindi ha
bisogno di tanti operai. Perciò egli invita a pregare il padrone della
messe perché mandi operai nella sua messe.
Questa domanda di Gesù è sempre valida. La Chiesa deve pregare
sempre il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe,
e ciascuno di noi lo deve fare con un cuore aperto, con un
atteggiamento missionario. La nostra preghiera non dev’essere
limitata ai nostri bisogni, alle nostre necessità: una preghiera è
cristiana, soltanto se ha anche una dimensione universale. Nel Padre
nostro Gesù ci fa chiedere: «Venga il tuo regno»; così ci fa pregare
per una missione universale.
Gesù manda i suoi discepoli «come agnelli in mezzo a lupi». La
missione dei discepoli non ha niente a che fare con una missione
militare, di conquista con mezzi umani. I discepoli non possiedono i
mezzi umani necessari per fare propaganda e per conquistare la
gente, ma hanno con sé la promessa di Dio di poter comunicare la
pace.
  Gesù dice ai discepoli: in qualunque casa entriate, prima dite:
Pace a questa casa». I conquistatori, quando partono per le loro
imprese, non portano con sé questo messaggio di pace. I messaggeri
del Vangelo, invece, recano la pace. Perciò sono privi di mezzi
violenti.
La pace corrisponde alla soddisfazione delle aspirazioni più profonde
dell’uomo. Le prime parole di Gesù risorto ai discepoli sono: «Pace a
voi!». Con la sua croce egli ci ha ottenuto la riconciliazione, la
remissione dei peccati, e quindi la pace con Dio, la pace delle
coscienze e la pace tra le persone.
Alcuni dettagli del discorso di Gesù mostrano che i messaggeri
del Vangelo devono propagare la pace senza essere impediti da nulla,
senza farsi condizionare dalle osservanze legali degli ebrei. Infatti
per due volte Gesù dice: «Mangiate e bevete di quello che la gente
ha», «Mangiate quello che vi sarà messo dinanzi».
Perché questa insistenza, che può sembrare strana, su questo
comportamento? Perché un ostacolo alle relazioni tra gli ebrei e gli
altri popoli era proprio l’osservanza di regole alimentari molto
rigide. Anche oggi gli ebrei osservanti vogliono mangiare S01tanto
kasher, cioè cibi puri, che corrispondono alle prescrizioni della legge
di Mosè e della tradizione.
Gesù invece dice di non preoccuparsi di queste regole, perché
sono un ostacolo alla relazione con le persone. I messaggeri del
Vangelo devono essere aperti e concilianti, devono cercare sempre
ciò che unisce le persone, non accettare ciò che crea separazioni.
La pace vera c’è solo se la comunicazione è libera; se c’è una
barriera, non si può parlare di pace. In effetti la barriera indica già
una certa ostilità.
  Paolo è nella linea di questo insegnamento di Gesù, quando dice:
«Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia,
pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). Dio vuole che tutti i
suoi figli vivano nella pace, nella gioia e nell’amore.
Dio infatti è pieno di tenerezza, come ci dice la prima lettura. In
essa egli invita alla gioia, all’esultanza, e promette tante
manifestazioni di bontà, di generosità: «Ecco, io farò scorrere verso
di essa [= Gerusalemme], come un fiume, la pace».
Nel testo ebraico troviamo qui la parola shalom, che di solito
viene tradotta con «pace». Invece del termine «pace», nella
traduzione ufficiale della CEI troviamo il termine «prosperità»,
perché il termine ebraico shalom non significa soltanto assenza di
conflitti, ma anche abbondanza, prosperità.
Dio continua: «[Farò scorrere] come un torrente in piena la
ricchezza dei popoli».
La generosità divina si manifesta in ogni maniera e con gesti di
tenerezza: «I suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia
saranno accarezzati». E una visione di pace: quella di una famiglia
con bimbi piccoli che vengono portati in braccio e accarezzati.
Così Dio si rivela pieno di affetto non soltanto paterno, ma anche
materno: «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; in
Gerusalemme sarete consolati».
Anche Paolo nella seconda lettura, a conclusione della Lettera ai
Galati, parla di pace.
In questa Lettera egli si è impegnato molto nell’argomentazione,
per impedire che i Galati accettino le separazioni che corrispondono
ai precetti della legge di Mosè.
L’Apostolo non accetta che i cristiani provenienti dal paganesimo
si sottomettano alle disposizioni discriminanti della legge di Mosè.
Lotta con energia per liberare i suoi fedeli dalla preoccupazione di
osservanze che creano barriere e divisioni. Tra esse, in particolare, la
circoncisione, che non è praticata dagli altri popoli. Perciò egli
afferma: «Non è la circoncisione che conta, né la non circoncisione,
ma l’essere nuova creatura».
La generosità, la tenerezza di Dio si è manifestata con una nuova
creazione, che è avvenuta nella risurrezione di Gesù. E una nuova
creazione piena di pace e portatrice di pace. Dice Paolo: «Su quanti
seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto
l’Israele di Dio».
L’Apostolo chiede che d’ora in poi nessuno gli procuri fastidi, e
dà come motivo il fatto che egli porta le stigmate di Gesù nel suo
corpo. Egli vuoi essere considerato oggetto di compassione, e non di
discriminazione o di discussione.
Alla fine augura: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia
con il vostro spirito, fratelli».
All’inizio delle sue lettere Paolo augura sempre «grazia» e
«pace». Queste due cose vanno insieme. La «grazia» è l’amore
gratuito di Dio, che ci viene dato per mezzo di Gesù Cristo e ci reca
la «pace»: anzitutto la pace con Dio, ma poi anche la pace dentro di
noi, nella nostra coscienza, e la pace con tutti gli uomini, i quali, in
quanto figli di Dio, hanno diritto al nostro amore.
La missione universale della Chiesa è una missione di pace, che
dev’essere portata avanti sempre con grande fiducia, perché
corrisponde al desiderio di Dio e all’effetto della redenzione che
Cristo ci ha ottenuto a caro prezzo.
(Vanhoye A., Le Letture Bibliche delle Domeniche, Anno C,
ADP, Roma 2003, 126-131).

Benedetto XVI
La vostra pace scenderà su di lui...
Il Vangelo... presenta Gesù che invia settantadue discepoli nei
villaggi dove sta per recarsi, affinché predispongano l'ambiente. È
questa una particolarità dell'evangelista Luca, il quale sottolinea che
la missione non è riservata ai dodici Apostoli, ma estesa anche ad
altri discepoli. Infatti – dice Gesù – la messe è molta, ma gli operai
sono pochi (Lc 10, 2). C'è lavoro per tutti nel campo di Dio. Ma
Cristo non si limita ad inviare: Egli dà anche ai missionari chiare e
precise regole di comportamento. Anzitutto li invia a due a due,
perché si aiutino a vicenda e diano testimonianza di amore fraterno.
Li avverte che saranno come agnelli in mezzo a lupi: dovranno cioè
essere pacifici nonostante tutto e recare in ogni situazione un
messaggio di pace; non porteranno con sé né vestiti né dentro, per
vivere di ciò che la Provvidenza offrirà loro; si prenderanno cura dei
malati, come segno della misericordia di Dio; dove saranno rifiutati,
se ne andranno, limitandosi a mettere in guardia circa la
responsabilità di respingere il Regno di Dio. San Luca mette in
risalto l'entusiasmo dei discepoli per i buoni frutti della missione, e
registra questa bella espressione ·di Gesù: 'Non rallegratevi perché i
demoni si sottomettono a voi: rallegratevi Piuttosto che i vostri nomi
sono scritti nei cieli (Lc 10, 20). Questo Vangelo risvegli in tutti i
battezzati la consapevolezza di essere missionari di Cristo chiamati a
preparargli la strada con le parole e con la testimonianza della vita.
(Angelus, 8 luglio 2007).

I Padri della Chiesa


 
1. Gli operai evangelici. Il nostro Signore e Salvatore, fratelli
carissimi, a volte ci istruisce con le parole, alle volte con dei fatti. Le
sue azioni diventano precetti, quando tacitamente, con ciò che fa,
c’indica ciò che dobbiamo fare. Eccolo che manda i suoi discepoli a
predicare a due a due. Perché son due i precetti della carità, carità
verso Dio e carità verso il prossimo, e perché ci sia amore, ci
vogliono almeno due persone. L’amore che uno ha per se stesso,
nessuno lo chiama carità; dev’essere diretto a un altro, perché lo si
chiami carità. Il Signore manda i discepoli a due a due, per farci
capire che se uno non ha amore per gli altri, non deve mettersi a
predicare.
È detto bene che "li mandò innanzi a sé in ogni città e villaggio,
love egli pensava di recarsi" (Lc 10,1). Il Signore, infatti, va dietro ai
suoi predicatori, perché prima arriva la predicazione nella nostra
mente e poi vi arriva il Signore, quando si accetta la verità. Perciò
Isaia dice ai predicatori: "Preparate la via del Signore, raddrizzate
le vie di Dio" (Is 40,3)...
Sentiamo ora che cosa dice il Signore ai suoi predicatori: "La
messe è molta, ma gli operai son pochi. Pregate dunque il padrone
della messe, che mandi operai nella sua messe" (Lc 10,2). La messe
è molta, ma gli operai son pochi. Non lo possiamo dire senza
rammarico. Son molti quelli che son disposti a sentire, ma son pochi
a predicare. Il mondo è pieno di sacerdoti ma nella messe è difficile
trovarci un operaio, perché abbiamo accettato l’ufficio sacerdotale,
ma non facciamo il lavoro del nostro ufficio. Ma riflettete, riflettete,
fratelli, alle parole: "Pregate il padrone della messe, che mandi
operai alla sua messe". Pregate per noi, perché possiamo lavorare
adeguatamente per voi, perché la nostra lingua non desista
dall’esortare, perché, dopo aver preso l’ufficio della predicazione, il
nostro silenzio non ci condanni. Spesso infatti la lingua tace per
colpa dei predicatori; ma succede anche altre volte che, per colpa di
chi deve sentire, la parola vien meno a chi deve parlare. A volte la
parola manca per la cattiveria del predicatore, come dice il Salmista:
"Dio disse al peccatore: Perché osi parlare della mia giustizia?"
(Sal 49,16); e alle volte il predicatore è impedito per colpa degli
uditori, come in Ezechiele: "Farò attaccare la tua lingua al tuo
palato e sarai muto, e non potrai rimproverare, perché è una casa
che esaspera" (Ez 3,26). Come se dicesse: Ti tolgo la parola, perché
un popolo che mi esaspera con le sue azioni, non è degno che gli si
porti la verità. Non è facile, quindi, discernere per colpa di chi vien
tolta la parola al predicatore; ma è certo che il silenzio del pastore, se
qualche volta è dannoso al pastore stesso, al suo gregge lo è sempre...
Colui che prende l’ufficio di predicare, non deve fare il male ma
lo deve tollerare, perché con la sua mansuetudine, gli riesca di
mitigare l’ira di quelli che infieriscono contro di lui, e lui ferito
riesca con le sue pene a guarire negli altri le ferite dei peccati. E
anche se lo zelo della giustizia vuole che talvolta egli sia severo con
gli altri, il suo furore deve nascere da amore e non da crudeltà; ed
ami con amore paterno, quando col castigo difende i diritti della
disciplina. E questo il superiore lo dimostra bene, quando non ama se
stesso, non cerca cose del mondo, non piega il suo collo al peso di
terreni desideri...
"L’operaio è degno della sua mercede" (Lc 10,7), perché gli
alimenti fanno parte della mercede, in modo che qui cominci la
mercede della fatica della predicazione, che sarà compiuta in cielo
con la visione della Verità. Il nostro lavoro, dunque, ha due mercedi,
una qui nel viaggio e un’altra nella patria: una che ci sostiene nel
lavoro, l’altra che ci premia nella risurrezione. La mercede che
riceviamo qui però ci deve rendere più forti per la seconda. Il
predicatore perciò non deve predicare per ricevere una mercede
temporale, ma deve accettare la mercede, perché possa continuare a
predicare. E chiunque predica per una mercede di lode o di danaro, si
priva della mercede eterna. Colui invece che, quando parla, desidera
di piacere, non perché lui sia amato, ma perché il Signore sia amato,
e accetta uno stipendio solo perché non venga poi meno la voce della
predicazione, certamente questi non sarà premiato meno nella patria
perché ha accettato un compenso in questa vita.
Ma che facciamo noi pastori, non posso dirlo senza dolore, che
facciamo noi che prendiamo la mercede dei pastori e non ne
facciamo il lavoro? Mangiamo ogni giorno il pane della santa
Chiesa, ma non lavoriamo affatto per la Chiesa eterna. Riflettiamo
quale titolo di dannazione sia il prendere il salario d’un lavoro senza
fare il lavoro. Viviamo con le offerte dei fedeli, ma dov’è il lavoro
per le loro anime? Prendiamo come paga ciò che i fedeli danno in
sconto dei loro peccati, ma non ci diamo da fare con l’impegno della
preghiera e della predicazione, come sarebbe giusto, contro quegli
stessi peccati.
(Gregorio Magno, Hom., 17, 1-4.7 s.).
 
2. Missione dei discepoli. Gli apostoli hanno ordine di non
portare il bastone: questo è quanto Matteo ha creduto di dover
scrivere (cf. Mt 10,10). Cos’è il bastone, se non l’insegna della
potestà che si porta innanzi, e lo strumento che vendica il dolore?
Quindi ciò che l’umile Signore, - "nell’umiliazione" infatti "il suo
giudizio è stato innalzato" (Is 53,8), - ciò che l’umile Signore, ripeto,
ha prescritto ai suoi discepoli, essi lo adempiono con la pratica
dell’umiltà. Li ha inviati infatti a seminare la fede non con la
costrizione, ma con l’insegnamento; non spiegando la forza del
potere, ma esaltando la dottrina dell’umiltà. Ed ecco, egli ha
giudicato opportuno aggiungere all’umiltà la pazienza; egli infatti,
conforme alla testimonianza di Pietro, "ingiuriato non ricambiava
l’ingiuria, percosso non restituiva il colpo" (1Pt 2,23).
"Siate miei imitatori" (Fil 3,17), significa dunque questo:
abbandonate il piacere della vendetta, rispondete ai colpi
dell’arroganza non restituendo l’ingiuria ma con magnanima
pazienza. Nessuno deve imitare quanto rimprovera negli altri; la
mansuetudine colpisce ben piú gravemente gli insolenti. Un simile
colpo di pugno il Signore ha restituito a colui che ha colpito, quando
ha detto: "A chi ti colpisce la guancia, porgigli l’altra" (Mt 5,39).
Finisce infatti in questo modo che uno si condanna col suo proprio
giudizio, e ha il cuore come punto da uno stimolo, quando vede che
al torto che ha fatto, l’altro risponde con la premura...
"E per via non saluterete nessuno" (Lc 10,4).
Qualcuno troverà forse in queste parole durezza e orgoglio, poco
conformi ai precetti del Signore dolce e umile; egli che pure aveva
prescritto di cedere il posto a tavola (cf. Lc 14,7ss), ecco che ora
ordina ai discepoli: «per via non saluterete nessuno», quando invece
questo è un uso di gentilezza. E’ in questo modo che le persone
inferiori usano guadagnarsi il favore dei potenti; anche i Gentili
usano con i cristiani questo scambio di cortesia. Perché il Signore
vuole estirpare quest’usanza civile?
Ma considera che egli non dice soltanto: «non saluterete
nessuno». Non è senza ragione che aggiunge: «per via». Anche
Eliseo, quando mandò il servitore a deporre il suo bastone sul corpo
del piccolo morto, gli disse di non salutare nessuno per strada (cf.
2Re 4,29): gli ordinò di far presto, perché potesse compiere
l’incarico relativo alla risurrezione da effettuare, perché nessuno
scambio di parole con qualche passante ritardasse la missione che
doveva eseguire. Dunque, anche qui non si tratta di abolire la
reciproca cortesia del saluto, ma di togliere di mezzo l’ostacolo che
potrebbe intralciare l’incarico; in presenza del divino, l’umano deve
essere temporaneamente messo da parte. E’ bello il saluto: ma il
compimento delle opere divine è tanto piú bello quanto piú è rapido,
e il ritardarlo spesso genera scontento. Per questo si vieta anche lo
scambio di cortesie, nel timore che le civili usanze ritardino e
danneggino il compimento di un dovere che non può essere
rimandato senza colpa.
Ed ecco un’altra virtù: non passare da una casa all’altra con
volubile facilità; conservare la costanza negli stessi sentimenti di
ospitalità e non spezzare con leggerezza i legami di una amicizia già
annodata; portare sempre dinanzi a noi un annunzio di pace.
(Ambrogio, In Luc., 7, 59.62 s).
 
3. L’augurio della pace nell’ospitalità. "In qualunque casa
entriate, dite anzitutto: Pace a questa casa!" (Lc 10,5; Mt 10,12),
perché il Signore stesso vi entri e vi si stabilisca come in casa di
Maria (cf. Lc 10,38-42; Gv 12,1-8), e poi vi soggiornino con i suoi
discepoli in quanto discepoli. Questo saluto costituisce il mistero di
fede che risplende nel mondo; per esso, l’inimicizia è soffocata, la
guerra fermata e gli uomini si riconoscono reciprocamente. L’effetto
di questo stesso saluto era come dissimulato dal velo dell’errore,
nonostante la prefigurazione del mistero della risurrezione dei corpi,
mistero espresso dalle cose inanimate, allorché sopraggiunge la luce
ed appare l’aurora che scaccia la notte. Da quel momento, gli uomini
cominciarono a salutarsi reciprocamente e a ricevere il saluto gli uni
dagli altri, per la guarigione di chi lo dà e la benedizione di quelli che
lo ricevono. Su coloro, però, che ricevono solo esteriormente la
parola di saluto, le cui anime non recano l’impronta di membri di
Nostro Signore, il saluto si spande come una luce mutata da coloro
che la ricevono, cosi come i raggi del sole lo sono ad opera del
mondo.
Questo saluto che il suo nome annuncia, del quale la scienza
spiega la potenza nascosta, e che regola un simbolo, basta
ampiamente per tutti gli uomini. Ecco perché Nostro Signore lo inviò
insieme con i suoi discepoli, quale precursore, perché esso
ristabilisca la pace e, avvolto dalla voce degli apostoli, suoi inviati,
prepari la via davanti a loro. Esso veniva seminato in tutte le case per
adunarne e smistarne le membra; esso entrava in tutti coloro che lo
ascoltavano per separare e mettere a parte i figli che riconosceva
come suoi; restava in essi e denunciava coloro che gli si
dimostravano estranei, poiché, una volta seminato in questi ultimi,
esso li abbandonava.
Tale saluto non inaridiva, zampillando dagli apostoli sui loro
fratelli, per rivelare che i tesori del Signore che lo inviava non si
esauriscono. Esso non si trasformava in coloro che lo accoglievano,
manifestando in tal modo che i doni del donatore erano stabili e
sicuri. Presente in coloro che lo davano e in quelli che lo
accoglievano, quel saluto non subiva né diminuzione, né divisione.
Del Padre, esso proclamava che è vicino a tutti e in tutti della
missione del Figlio, che egli è tutto intero presso tutti e che la sua
fine è presso il Padre. Immagine del Padre, quel saluto non ha
cessato di predicare, così come non ha cessato di essere proclamato,
fino all’avvento della certezza che adempie le figure tipiche, fino a
quando la verità non metterà fine alle immagini e le ombre vengano
respinte dal corpo stesso, e i simboli dispersi dalle rappresentazioni
vere.
È così dunque che noi lanciamo la parola del Signore su
ascoltatori ed amici, quale coagulo per separare e unire; per separarli
e dissociarli da ogni miscuglio e unirli al Signore che aduna la
comunità.
(Efrem, Diatessaron, 8, 3-5).
 
4. L’aiuto ci viene da Cristo. "Non rallegratevi però perché i
demoni vi obbediscono; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono
scritti in cielo" (Lc 10, 20); quando invero questo avvenga per opera
sua (di Cristo), anche se con la nostra volontà ed impegno, dobbiamo
esser convinti che siamo stati aiutati da lui. Non dunque è necessario
che ogni fedele scacci i demoni o susciti i morti o parli le lingue,
bensì colui che è fatto degno di un carisma per una causa utile in
vista della salvezza degli infedeli, i quali, spesso, non per la esatta
spiegazione mediante discorsi ma ad opera di segni si convertono, e
quelli che precisamente sono degni di salvezza.
(Constitutiones Apostolor., VIII, 1, 3 s.).

Briciole

I. Dal Catechismo della Chiesa Cattolica


CChC 541-546: il Regno di Dio è vicino.
CChC 787, 858-859: gli Apostoli sono associati alla missione di
Cristo.
CChC 2122: «l’operaio ha diritto al suo nutrimento».
CChC 2816-2821: «venga il tuo Regno».
CChC 555, 1816, 2015: la via per seguire Cristo passa attraverso
la croce.

II. Dal Compendio:


 
I. La missione nella Chiesa
  144. Che cosa accade a Pentecoste? Cinquanta giorni dopo la sua
Risurrezione, a Pentecoste, Gesù Cristo glorificato effonde lo Spirito
a profusione e lo manifesta come Persona divina, sicché la Trinità
Santa è pienamente rivelata. La Missione di Cristo e dello Spirito
diviene la Missione della Chiesa, inviata per annunziare e diffondere
il mistero della comunione trinitaria. Cf. CCCh 731-732. 738
  175. In che cosa consiste la missione degli Apostoli? La parola
Apostolo significa inviato. Gesù, l’Inviato del Padre, chiamò a sé
dodici fra i suoi discepoli e li costituì come suoi Apostoli, facendo di
loro i testimoni scelti della sua risurrezione e le fondamenta della sua
Chiesa. Diede loro il mandato di continuare la sua missione, dicendo:
«Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21), e
promettendo di essere con loro sino alla fine del mondo. Cf. CChC
858-861
  176. Che cos’è la successione apostolica? La successione
apostolica è la trasmissione, mediante il Sacramento dell’Ordine,
della missione e della potestà degli Apostoli ai loro successori, i
Vescovi. Grazie a questa trasmissione, la Chiesa rimane in
comunione di fede e di vita con la sua origine, mentre lungo i secoli
ordina, per la diffusione del Regno di Cristo sulla terra, tutto il suo
apostolato. Cf. CChC 861-865
  173. In che modo la Chiesa è missionaria? Guidata dallo Spirito
Santo, la Chiesa continua nel corso della storia la missione di Cristo
stesso. I cristiani pertanto devono annunciare a tutti la Buona
Novella portata da Cristo, seguendo la sua strada, disposti anche al
sacrificio di sé fino al martirio. Cf. CCCh 852-856
  250. Come si distinguono i Sacramenti della Chiesa? Si
distinguono in: Sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo,
Confermazione e Eucaristia); Sacramenti della guarigione (Penitenza
e Unzione degli infermi); Sacramenti al servizio della comunione e
della missione (Ordine e Matrimonio). Essi toccano i momenti
importanti della vita cristiana. Tutti i Sacramenti sono ordinati
all’Eucaristia «come al loro specifico fine» (san Tommaso
d’Aquino). Cf. CCCh 1210-1211
  321. Quali sono i Sacramenti al servizio della comunione e della
missione? Due Sacramenti, l’Ordine e il Matrimonio, conferiscono
una grazia speciale per una missione particolare nella Chiesa a
servizio dell’edificazione del popolo di Dio. Essi contribuiscono in
particolare alla comunione ecclesiale e alla salvezza degli altri. Cf.
CCCh 1533-1535
  322. Che cos’è il Sacramento dell’Ordine? È il Sacramento
grazie al quale la missione affidata da Cristo ai suoi Apostoli
continua ad essere esercitata nella Chiesa, sino alla fine dei tempi.
Cf. CChC 1536
  350. Perché la famiglia cristiana è chiamata anche Chiesa
domestica? Perché la famiglia manifesta e attua la natura
comunionale e familiare della Chiesa come famiglia di Dio. Ciascun
membro, secondo il proprio ruolo, esercita il sacerdozio battesimale,
contribuendo a fare della famiglia una comunità di grazia e di
preghiera, una scuola delle virtù umane e cristiane, il luogo del primo
annuncio della fede ai figli. Cfr. CChC 1655-1658. 1666
 
 II. Lavoro per la pace.
  480. Che cosa chiede il Signore ad ogni persona a riguardo della
pace? Il Signore, che proclama «beati gli operatori di pace» (Mt 5,9),
chiede la pace del cuore e denuncia l’immoralità dell’ira, che è
desiderio di vendetta per il male ricevuto, e dell’odio, che porta a
desiderare il male per il prossimo. Questi atteggiamenti, se volontari
e consentiti in cose di grande importanza, sono peccati gravi contro
la carità. Cf. CChC 2302-2303
  481. Che cos’è la pace nel mondo? La pace nel mondo, la quale è
richiesta per il rispetto e lo sviluppo della vita umana, non è semplice
assenza della guerra o equilibrio di forze contrastanti, ma è «la
tranquillità dell’ordine» (sant’Agostino), «frutto della giustizia» (Is
32,17) ed effetto della carità. La pace terrena è immagine e frutto
della pace di Cristo. Cf. CChC 2304-2305
482. Che cosa richiede la pace nel mondo? Essa richiede l’equa
distribuzione e la tutela dei beni delle persone, la libera
comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle
persone e dei popoli, l’assidua pratica della giustizia e della
fratellanza. Cf. CChC 2304-2305. 2304. 2307-2308
  483. Quando è moralmente consentito l’uso della forza militare?
L’uso della forza militare è moralmente giustificato dalla presenza
contemporanea delle seguenti condizioni: certezza di un durevole e
grave danno subito; inefficacia di ogni alternativa pacifica; fondate
possibilità di successo; assenza di mali peggiori, considerata
l’odierna potenza dei mezzi di distruzione. Cf. CChC 2307-2310
  484. In caso di minaccia di guerra, a chi spetta la valutazione
rigorosa di tali condizioni? Essa spetta al giudizio prudente dei
governanti, cui compete anche il diritto di imporre ai cittadini
l’obbligo della difesa nazionale, fatto salvo il diritto personale
all’obiezione di coscienza, da attuarsi con altra forma di servizio alla
comunità umana. Cf. CChC 2309
  485. In caso di guerra, che cosa chiede la legge morale? La legge
morale rimane sempre valida, anche in caso di guerra. Essa chiede
che si trattino con umanità i non combattenti, i soldati feriti e i
prigionieri. Le azioni deliberatamente contrarie al diritto delle genti e
le disposizioni che le impongono sono dei crimini che l’obbedienza
cieca non serve a scusare. Si devono condannare le distruzioni di
massa come pure lo sterminio di un popolo o di una minoranza
etnica, che sono peccati gravissimi: si è moralmente in obbligo di
fare resistenza agli ordini di chi li comanda. Cf. CChC 2312-2314.
2328
  486. Che cosa bisogna fare per evitare la guerra? Si deve fare
tutto ciò che è ragionevolmente possibile per evitare in ogni modo la
guerra, dati i mali e le ingiustizie che essa provoca. In particolare,
bisogna evitare l’accumulo e il commercio delle armi non
debitamente regolamentati dai poteri legittimi; le ingiustizie
soprattutto economiche e sociali; le discriminazioni etniche e
religiose; l’invidia, la diffidenza, l’orgoglio e lo spirito di vendetta.
Quanto si fa per eliminare questi ed altri disordini aiuta a costruire la
pace e ad evitare la guerra. Cf. CChC 2315-2317. 2327-2330.

San Tommaso
 
I. La pace frutto dell’amore (carità).
"Il concetto di pace, come si è detto [a. 1], implica due tipi di
unificazione: la prima riguardante il coordinamento dei propri
appetiti, la seconda riguardante la fusione dei propri appetiti con
quelli altrui. E tutte e due queste unificazioni sono compiute dalla
carità.
La prima per il fatto che con essa si ama Dio con tutto il cuore,
cioè in modo da rivolgere a lui ogni cosa: e così tutti i nostri desideri
sono rivolti a un solo oggetto.
La seconda invece per il fatto che amiamo il prossimo come noi
stessi: dal che risulta che uno vuole compiere la volontà del prossimo
come la propria. Per questo tra i requisiti dell’amicizia c’è anche
l’identità della scelta, come insegna Aristotele [Ethic. 9, 4]; e
Cicerone [De amic. 4] scrive che «gli amici hanno identico il volere
e il non volere»." (STh 2-2, 29, 3).
"Nessuno decade dalla grazia santificante se non per il peccato,
col quale l’uomo si allontana dal debito fine scegliendone uno
cattivo. Perciò il suo appetito non aderisce primariamente al vero
bene finale, ma a un bene apparente. E così senza la grazia
santificante non ci può essere una pace vera, ma solo apparente." (2-
2, 29, 3 ad 1).
  "La pace indirettamente è opera della giustizia, in quanto questa
ne rimuove gli ostacoli, ma direttamente è opera della carità: poiché
la carità causa la pace in forza della sua natura. Infatti l’amore, come
insegna Dionigi [De div. nom. 4], è «una forza unitiva»: ora, la pace
è l’unificazione tra le inclinazioni dell’appetito." (2-2, 29, 3, ad 3).
 
II. Pace a voi... (Gv 20, 19)
  Introduzione. In questo evangelo, Cristo ci offre la sua pace. Ce la
offre per tre volte per dirci che noi abbiamo bisogno di una triplice
pace: 1) La pace con Dio; 2) La pace con noi stessi o domestica; 3)
La pace con gli altri o "politica"

  1. La pace con Dio. Essa è il prodotto di tre virtù:


a) Il timore di Dio. Il timore del Signore è la corona della
sapienza. Esso riempie di pace e di frutti di sapienza, espellendo
ogni peccato (Sap 1, 22-27).
b) La speranza nel Signore. Il Signore opera la pace in quanti
sperano in Lui e perché sperano in Lui (Is 26,13).
c) L’obbedienza ai comandamenti di Dio. Il misericordioso
appello di Dio è sempre attuale: Oh! se tu avessi obbedito ai miei
precetti. La tua pace ti avrebbe inondato come un fiume e la tua
giustizia come i flutti del mare (Is 48, 18).
 
2. La pace con noi stessi o "domestica". Chi vuole possederla
deve fare tre cose:
a) Sottomettersi totalmente a Dio. Abbandonati a Lui ed avrai la
pace (Giob 22, 21)
b) Custodire buona la volontà. E in terra pace agli uomini di
buona volontà (Lc 2, 14)
c) Dominare e regolare con la prudenza dello spirito le passioni
dell’anima ed istinti del corpo. Come dice San Paolo: il desiderio
dello Spirito è vita e pace (Rom 8, 6). Questa pace trionfa nei
pacifici. Il Signore chiama questi: beati, perché con la prudenza dello
spirito, fortificato dalla grazia, portano l’ordine in tutti i moti
dell’animo, sottomettendo passioni ed istinti alla ragione e questa a
Dio.
 
3. La pace con gli altri o "politica". Per realizzarla sono
necessarie 4 cose:
a) Fare ciò che piace al Signore. Il Signore gradisce tanto la
condotta di chi fa la sua volontà che gli riconcilia perfino i suoi
nemici (Pvr 16, 7).
b) Non far male né essere motivo di scandalo a nessuno. Per
questo bisogna amare le leggi del Signore che assicura molta pace a
chi l’osserva (Sal 118, 165). Prendere come parola d’ordine della
propria vita il comando che è la legge di ogni legge: non fare agli
altri quanto non vogliamo venga fatto a noi e fare agli altri quanto
vogliamo venga fatto a noi.
c) Fare bene a tutti. Chiunque opera il bene, avrà un’eredità di
gloria, di onore, di pace (Rom 2, 10).
d) Combattere le tre cause finali ad ogni pace. La superbia.
Parlando del superbo la Scrittura dice: chi avrà pace con lui? (Giob
9, 4). L’ira. L’iracondo attira le liti, sembra torbidi tra gli amici e
getta la calunnia tra le persone che vivono in pace (Ecl 28, 8-9).
Ogni iniquità. Da ricordare: non c’è pace per gli empi (Is 57, 21).
 
  Conclusione. Evitando queste tre cause sovvertitrici di ogni
ordine, realizzeremo la pace col Signore, con noi stessi, con gli altri,
e nel futuro, avremo la pace dell’eternità alla quale ci conduca Cristo
benedetto nei secoli.

Caffarra
 
I. Missionari...
Scrivendo il Vangelo dopo la Risurrezione del Signore, quando
già la predicazione di esso si stava ampiamente diffondendo nei vari
popoli, Luca conserva la memoria per iscritto di un fatto della vita
terrena di Gesù: l’invio di settantadue discepoli “in ogni città e luogo
dove stava per recarsi”. In questo episodio l’evangelista vede
l’anticipo, la prefigurazione di ciò che stava accadendo in quei
giorni, dopo la Risurrezione del Signore, in cui scriveva il Vangelo.
La salvezza era annunciata a tutti; a tutti ed a ciascuno la
predicazione e la missione cristiana offriva la possibilità di
incontrarsi col Cristo. Non solo, ma la Chiesa oggi ci fa leggere
anche una pagina straordinariamente bella del profeta Isaia, nella
quale Dio promette un’esperienza di vicinanza Sua all’uomo, unica e
commovente.
Fratelli e sorelle carissimi, avete così davanti agli occhi del vostro
cuore tutto il quadro, il disegno che oggi la Parola di Dio vi dona, per
la vostra vera consolazione: vi è una profezia; questa profezia trova
l’inizio del suo compimento nella vita terrena di Gesù; raggiunge
oggi per voi la pienezza, nel tempo della Chiesa.
  1. “Come un figlio che la madre consola, così anch’io consolerò”:
così dice a noi il Signore attraverso il profeta.
Ci viene svelato il segreto del cuore di Dio, la sua più profonda
attitudine verso l’uomo. Egli ha un cuore, viscere materne. Trattasi di
una rivelazione del tutto singolare. È piuttosto l’immagine della
paternità quella che la S. Scrittura preferisce usare per introdurci nel
mistero dei sentimenti divini nei nostri confronti. Ma oggi, ci viene
donata questa sconcertante rivelazione: ciò che è una madre nei
confronti del suo figlio, lo è Dio, nei confronti di ciascuno di noi. Ma
la rivelazione sottolinea oggi soprattutto una dimensione particolare
dell’amore materno di Dio nei nostri confronti: “io vi consolerò”. E’
sottolineata la capacità propria dell’amor materno di ricostruire
un’esistenza diroccata, di rigenerare una vita distrutta, di ridare
speranza ad un cuore spezzato. L’amore materno è per eminenza
l’amore che ha la forza di donare la vita: “le vostre ossa rifioriranno
come erba”. E la Scrittura non si esime dall’essere ancora più
esplicita del rivelarci che l’amore materno di Dio è la sorgente della
vita dell’uomo: “voi succhierete e sarete portati in braccio, e sarete
accarezzati sulla ginocchia”. La conseguenza di questa incredibile
esperienza cui l’uomo è chiamato, è descritta nel modo seguente:
“Ecco io convoglierò verso di essa la pace a guisa di un fiume”. Un
fiume di pace che invade la nostra esistenza!
  2. “La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi”: così
termina la profezia. Quando la mano del Signore si è fatta conoscere?
quando, dove e come l’uomo ha potuto sperimentare l’amore
materno di Dio? Riascoltiamo attentamente, carissimi fratelli e
sorelle, la parola evangelica. “I settantadue tornarono pieni di gioia
dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo
Nome”. La mano del Signore si fa conoscere ai suoi servi, il suo
amore materno si mostra a noi, la consolazione con cui consola il
cuore dei figli dell’uomo viene donata nel Nome di Gesù Cristo.
Cioè: la grande promessa profetica, “come un figlio che la madre
consola così anch’io vi consolerò”, si compie mediante Gesù Cristo.
Egli è la nostra consolazione, Egli è la nostra vera salvezza, in Lui il
Padre ha convogliato su di noi come un fiume la pace. Ma la pagina
evangelica, in realtà, vuole richiamare la nostra attenzione su una
precisa modalità con cui tutto questo accade. Non è Gesù
direttamente che va a portare la sua pace: Egli lo fa mediante i
settantadue discepoli. “Li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e
luogo dove stava per recarsi”: il Signore Gesù è introdotto nel mondo
mediante il precursore Giovanni Battista; è introdotto “in ogni città e
luogo dove stava per recarsi” da questi settantadue discepoli. Essi,
nel nome di Gesù, cioè investiti da Lui del suo stesso potere, sono
capaci “di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni
potenza del nemico”, senza che nulla possa danneggiarli.
  3. Ciò che è accaduto durante la vita terrena di Gesù, era
semplicemente l’anticipo, per così dire, di ciò che sarebbe accaduto
normalmente dopo la sua Risurrezione. Egli lasciata visibilmente la
nostra terrà, invia i suoi “missionari” ovunque, perché siano il segno
efficace della salvezza che Egli dona ad ogni uomo. Luca riferisce le
ultime parole dette da Gesù, prima di lasciare visibilmente questo
mondo: “avrete forza dalla Spirito Santo che scenderà su di voi e mi
sarete testimoni … fino agli estremi confini della terra” (At. 1,8).
Testimoni di che cosa? di questo fatto straordinario: che in Cristo,
Dio consola l’uomo come una madre consola un figlio. Non
testimoni come di un fatto accaduto tanti anni orsono, ma come di un
fatto che sta accadendo ora, precisamente mediante la testimonianza
di coloro che Cristo ha inviato nel suo nome, i pastori della Chiesa.
Ed allora, carissimi fratelli e sorelle, oggi vediamo questo vero
miracolo che accade dentro alla nostra storia quotidiana: mediante i
pastori della Chiesa si realizza il dono della salvezza dell’uomo in
Cristo. Anche adesso! Attraverso la mia parola è Cristo stesso che vi
parla; attraverso la mia parola dotata di una forza che viene dall’alto,
il pane ed il vino diventano il Corpo e il Sangue di Cristo, così che a
ciascuno di noi è dato di incontrare la vivente persona del Signore ed
esserne vivificato.
  “Pregate il padrone della messe…” non manchi mai al nostro
popolo questa presenza di Cristo! Che il popolo non veda in essi non
altro che Cristo stesso! Così davvero sia.
(5 luglio 1998).
 
II. Altri settantadue...
1. "Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a
due avanti a sé". Carissimi fratelli e sorelle attraverso l’invio dei
settantadue discepoli il Signore anticipa già durante la sua vita
terrena e prefigura il miracolo della missione cristiana. Perché
"miracolo"? che cosa è la "missione cristiana"? La missione cristiana
consiste nel fatto che uomini e donne sono chiamati a cooperare con
Cristo stesso nel compimento della sua opera di salvezza. Questa
cooperazione è un avvenimento che non può non suscitare in
ciascuno di noi un immenso stupore, sia perché dimostra più di ogni
altro la condiscendenza di Dio verso l’uomo sia perché dimostra
l’elevazione dell’uomo ad un’opera divina. L’apostolo Paolo
scrivendo ai cristiani di Corinto dice: "siano rese grazie e Dio, il
quale ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde per mezzo
nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero" [2Cor
2,14].
Il missionario in primo luogo fa accadere dentro alla vita, alla
storia degli uomini lo stesso avvenimento di salvezza compiuto da
Cristo. La pagina del Vangelo lo descrive positivamente come "pace"
[in qualunque casa entriate, prima dite: pace a questa casa], e
negativamente come liberazione dal potere di Satana che retrocede là
dove giunge il messaggio cristiano [Signore, anche i demoni si
sottomettono a noi nel tuo nome]. Il dono della pace deve qui essere
inteso, come ci insegna il profeta nella prima lettura, nel senso di
pienezza di quei beni che compiono ogni nostro desiderio buono. La
liberazione dal Satana come dono della vera libertà, della capacità di
compiere ciò che è giusto e bene.
Di che cosa dispone il missionario per compiere quest’opera? Di
niente se non della partecipazione al potere stesso di Gesù. Di niente:
"non portate borsa, né bisaccia, né sandali". Ma ciò che fa gioire il
missionario, ciò che gli procura nel cuore l’intima sicurezza è che
egli sta compiendo un’opera divina: "i vostri nomi sono scritti nei
cieli". È la promessa di Gesù: "nulla vi potrà danneggiare".
Carissimi fratelli e sorelle, ciò che durante la vita di Gesù viene
semplicemente prefigurato ed anticipato per qualche tempo, dopo la
sua Risurrezione e il dono dello Spirito Santo accade in maniera
stabile dentro la storia umana: viene continuamente annunciato:
"sappiate .. che il regno di Dio è vicino"; sappiate che Cristo è vostro
unico salvatore.
  2. Se noi leggiamo attentamente gli Atti degli Apostoli, se
abbiamo una qualche conoscenza della storia della Chiesa, noi
vediamo che la missione si realizza a molteplici livelli. "C’è,
innanzitutto, il gruppo dei Dodici che, come un unico corpo guidato
da Pietro, proclama la buona novella. C’è, poi, la comunità dei
credenti che, col suo modo di vivere e di operare, rende
testimonianza al Signore e converte i pagani (cf. At 2,46-47). Ci
sono, ancora, gli inviati speciali, destinati ad annunziare l’evangelo.
Così la comunità cristiana di Antiochia invia i suoi membri in
missione: dopo aver digiunato, pregato e celebrato l’Eucarestia, essa
avverte che lo Spirito ha scelto Paolo e Barnaba per essere inviati (cf.
At 13,1-4). Alle sue origini, dunque, la missione è vista come un
impegno comunitario e una responsabilità della Chiesa locale, che ha
bisogno appunto di "missionari" per spingersi verso nuove frontiere.
Accanto a quelli inviati ce n’erano altri che testimoniavano
spontaneamente la novità che aveva trasformato la loro vita e
collegavano poi le comunità in formazione alla Chiesa apostolica"
[Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio, 27.1; EE 8/1101].
Tutto questo pone oggi a noi l’invito a riflettere se veramente
siamo oggi capaci, noi cristiani, di essere veri missionari: testimoni
della nostra fede.
Un male inteso senso di tolleranza ci fa pensare che sia mancanza
di rispetto verso gli altri il dire apertamente la nostra fede. Un male
inteso senso di democrazia ci fa pensare che il cristiano deve entrare
nella vita associata mettendo fra parentesi la sua fede. In una parola:
la fede è ridotta ad un "affare privato". Esistono perfino genitori che
pur ritenendosi credenti, non intendono dare una educazione
esplicitamente cristiana, ritenendola lesiva della libertà e dicendo:
quando saranno maturi, sceglieranno.
Il risultato di questa posizioni è stato un processo di
secolarizzazione senza precedenti che ha devastato non solo la fede,
ma anche l’umanità di ogni uomo.
Il nostro tempo esige dunque un rinnovato impulso della
testimonianza cristiana pubblica. Lo esige il pericolo stesso in cui
oggi versa l’uomo. "Chi si vergognerà di me davanti agli uomini"
dice il Signore "io mi vergognerò di lui davanti al Padre mio".
(Volano – Ferrara – Mottatonda, 8 luglio 2001).

 Sant’Agostino
Acclamate Dio, voi tutti della tetta
La resurrezione del Capo anticipa la resurrezione delle
membra.
1. [v 1.] Questo salmo reca nel titolo: Sino alla fine, cantico del
salmo della resurrezione. Quando si canta un salmo, se udite le
parole sino alla fine, intendetele " fino a Cristo ". Dice infatti
l'Apostolo: Fine della legge è Cristo, a giustificazione di ogni
credente (cf. Rm 10, 4). Ascoltate dunque quale sia la resurrezione di
cui si canta nel salmo, e chi sia il risorto. Ve ne parleremo
apertamente nella misura di cui egli stesso ce ne avrà fatto dono. Noi
cristiani sappiamo che la resurrezione si è già compiuta nel nostro
capo, e che si compirà nelle membra. Capo della Chiesa è Cristo,
membra di Cristo è la Chiesa (cf. Col 1, 18). Ciò che prima è
accaduto nel capo accadrà poi nel corpo. Questa è la nostra speranza;
per la quale preghiamo, per la quale resistiamo e perseveriamo pur in
mezzo alla dilagante malvagità di questo mondo. Questa speranza ci
consola, finché la stessa speranza non sia divenuta realtà. Sarà infatti
realtà quando anche noi risorgeremo, e, trasformati in esseri celesti,
diverremo uguali agli angeli. Chi avrebbe osato sperare tanto, senza
la promessa della Verità? Una tale speranza, loro promessa, i giudei
tenevano gelosamente per se stessi, e si gloriavano assai delle loro
opere buone e quasi giuste. Avevano infatti ricevuto la legge e, se
fossero vissuti secondo questa legge, avrebbero qui posseduto beni
materiali e poi, nella resurrezione dei morti, potevano sperarne altri,
analoghi a quelli di cui qui avevano goduto. Per questo i giudei non
erano capaci di rispondere ai sadducei, che negavano la futura
resurrezione, quando proponevano loro la stessa questione che più
tardi avrebbero proposta anche al Signore. Ci rendiamo conto che
essi non erano stati capaci di risolvere tale questione dal fatto che
ammirarono il Signore quando la risolse. Proponevano dunque i
sadducei la questione di una donna che aveva avuto sette mariti, non
tutti insieme, ma uno dopo l'altro. Infatti la legge per assicurare la
diffusione del popolo stabiliva che, se qualcuno fosse morto senza
figli, il fratello di lui, se ne aveva, doveva prendere in sposa la
moglie, per dare una discendenza al fratello defunto (cf. Dt 25, 5).
Proposero dunque la questione di una donna che aveva avuto sette
mariti, tutti morti senza figli, i quali, uno dopo l'altro, avevano
sposato la moglie del fratello per adempiere al precetto della legge.
Chiedendo un chiarimento della difficoltà, dissero: Di quale di loro
sarà sposa dopo la resurrezione? Senza dubbio, i giudei non
sarebbero rimasti frastornati né si sarebbero arresi in tale questione,
se nella resurrezione non avessero sperato di godere gli stessi beni di
cui godevano in questa vita. Ma il Signore, che prometteva
l'uguaglianza con gli angeli, non un'altra vita umana carnale e
corruttibile, poté senza esitazione rispondere: Sbagliate, non
conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio. Nella
resurrezione, infatti, non prenderanno marito né prenderanno
moglie: e neppure moriranno, ma saranno uguali agli angeli di
Dio (cf. Mt 22, 28-30; Lc 20, 27-36). Dimostrò così che
l'avvicendamento è necessario solo là ove si danno i luttuosi casi di
morte; mentre lassù, dove nessuno morrà, non ci si dovrà neppure
preoccupare dei successori. Per questo aggiunse: Non moriranno. I
giudei pertanto, i quali speravano, anche se carnalmente, nella futura
resurrezione, si rallegrarono per la risposta data ai sadducei, con i
quali essi discutevano su tale dubbiosa ed oscura questione. I giudei
speravano dunque nella resurrezione dei morti; ma speravano di
risorgere essi soli alla vita eterna: in forza delle opere della legge e
delle giustificazioni delle Scritture, che i soli giudei possedevano e i
gentili non possedevano. Da quando però Cristo è stato crocifisso,
una specie di cecità è capitata a una parte di Israele, affinché
entrasse la totalità delle genti (cf. Rm 11, 25), come dice l'Apostolo.
Da allora la resurrezione dei morti si è cominciato a prometterla
anche alle genti, purché credano in Gesù Cristo e alla sua
resurrezione. Ecco perché questo salmo si oppone alla presunzione e
alla superbia dei giudei, schierandosi a favore delle genti chiamate,
per la fede, a quella stessa speranza nella resurrezione.
L'unità della Chiesa universale.
2. Avete ascoltato, fratelli miei, lo spirito del salmo. Prestate tutta
la vostra attenzione a ciò che ho detto, a ciò che vi ho proposto;
nessun vostro pensiero ve ne distragga. Il salmo è cantato contro la
presunzione dei giudei, i quali speravano che la resurrezione fosse
riservata a loro soli, fondandosi sulle giustificazioni della legge;
mentre, in realtà, essi crocifissero Cristo il quale, dopo essere risorto
lui personalmente, avrebbe avuto, quali membra partecipi della
resurrezione, non soltanto i giudei, ma tutti coloro che in lui avessero
creduto, cioè tutte le genti. Per questo comincia: Acclamate a Dio.
Chi? Tutta la terra. Dunque non la sola Giudea. Osservate, fratelli,
come si sottolinei l'universalità della Chiesa diffusa in tutto il
mondo; e non doletevi soltanto per i giudei, che negavano tale grazia
alle genti, ma più ancora piangete per gli eretici. Se ci si deve
dispiacere per coloro che non si sono mai uniti, quanto più dobbiamo
dolerci di coloro che, dopo essere stati uniti, si sono divisi!
Acclamate a Dio, o terra tutta! Che significa: Acclamate? Significa
" prorompete in grida di gioia ", se non potete formulare parole. Non
si acclama infatti con parole; ma, quando si è colmi di gioia, si riesce
solo ad emettere delle grida. È come il grido del cuore che, concepita
la gioia per un qualcosa che non sa esprimere con parole, la effonde e
manifesta con acclamazioni. Acclamate a Dio, o terra tutta: nessuno
acclami da una parte. Nessuno, ripeto, acclami mettendosi da una
parte: tutta la terra
acclami, la Chiesa cattolica acclami. La Chiesa cattolica tutto
abbraccia: chiunque aderisce a una fazione e si lascia dividere dal
tutto, potrà urlare, non acclamare. Acclamate a Dio, o terra tutta!
Fede e opere buone.
3. [v 2.] E al suo nome salmeggiate. Che cosa ha detto? Benedite
il suo nome salmeggiando. Che cosa significhi salmeggiare ve l'ho
detto ieri, e credo che la vostra Carità se ne ricordi. " Salmeggiare "
significa usare quello strumento chiamato salterio, accordando alle
voci il suono ottenuto pulsando abilmente con le mani le sue corde.
Se dunque acclamate perché Dio oda, salmodiate affinché anche gli
uomini possano vedere e ascoltare; ma non inneggiate al vostro
nome. Guardatevi infatti dal compiere la vostra giustizia al cospetto
degli uomini per essere visti da loro (cf. Mt 6, 1). " E al nome di chi,
tu chiedi, dovrò io inneggiare, affinché le mie opere non siano viste
dagli uomini "? Ascoltate un altro passo: Splendano le vostre opere
al cospetto degli uomini affinché vedano le vostre opere buone, e
diano gloria al Padre vostro che sta nei cieli (cf. Mt 5, 16). Vedano
le vostre buone azioni e diano gloria, non a voi, ma a Dio. Se, al
contrario, voi faceste le vostre opere buone per essere glorificati voi
stessi, vi si risponderebbe ciò che disse il Signore a certuni: In verità
vi dico: hanno ricevuto la loro mercede. E ancora: Altrimenti non
avrete ricompensa presso il Padre vostro che sta nei cieli (cf. Mt 6,
2 l). Mi replicherai: " Devo forse nascondere le mie opere, per non
compierle al cospetto degli uomini"? No. Cos'è detto infatti altrove?
Splendano le vostre opere al cospetto degli uomini. Sono quindi in
dubbio. Da un lato mi si dice: Guardatevi dal compiere la vostra
giustizia al cospetto degli uomini; dall'altro, Splendano le vostre
opere buone al cospetto degli uomini. Quale dei due precetti
osserverò? Quale metterò in pratica e quale lascerò da parte? Come
l'uomo non può servire due padroni che esigano cose diverse, così
non può neppure servirne uno solo che dia ordini contrastanti. No,
dice il Signore, non ordino cose diverse. Guarda al fine, canta
volgendoti al fine; scruta il fine per il quale agisci. Se operi per
essere glorificato tu stesso, te lo vieto; ma, se agisci per dare gloria a
Dio, te lo ordino. Inneggiate dunque non al vostro nome, ma al nome
del Signore vostro Dio. Inneggiate voi, ma la lode sia per lui. Vivete
bene voi, egli ne sia glorificato. Donde vi viene infatti il poter vivere
bene? Se lo aveste avuto da sempre, mai sareste vissuti male; se
venisse da voi, mai vi sareste allontanati dal bene. E al suo nome
salmeggiate!
Nessuno ha da gloriarsi in se stesso. La storia di Natanaele nel
suo significato universale.
4. Date gloria alla sua lode. Indirizza tutta la nostra tensione
interiore alla lode di Dio; niente ci lascia perché ne venga gloria a
noi. Gloriamoci piuttosto, e vivamente, per tale privilegio, e
proviamone grande gioia. Teniamoci stretti a lui; in lui ricerchiamo
la nostra lode. Avete udito le parole dell'Apostolo: Guardate alla
vostra vocazione, fratelli! Perché non molti sapienti secondo la
carne, non molti potenti, non molti nobili; ma gli stolti del mondo
Dio ha scelti per confondere i sapienti; e i deboli del mondo Dio ha
scelti per confondere i forti; e le cose ignobili del mondo Dio ha
scelte, e quelle che non sono, come se fossero, per annientare
quelle che sono (cf. 1 Cor 1, 26-28). Che cosa vuole dire? Che cosa
vuole dimostrare? Il Signore nostro Dio, Gesù Cristo, è disceso per
redimere il genere umano e per dare la sua grazia a quanti
riconoscano che essa è data gratuitamente, non per i meriti
dell'uomo, e, affinché nessuna persona avesse a gloriarsi della
propria carne, si scelse dei deboli. Per questo infatti non fu scelto
nemmeno quel Natanaele. Che ve ne pare? Perché mai sarà stato
scelto Matteo (cf. Mt 9, 9), il pubblicano che sedeva al suo banco,
mentre non venne scelto Natanaele, cui lo stesso Signore aveva reso
testimonianza dicendo: Ecco un vero Israelita, in cui non c'è
inganno? C'è da supporre ragionevolmente che questo Natanaele
fosse un dottore della legge. Non perché il Signore non avrebbe
scelto i dotti; ma, se egli per primi avesse scelto loro, essi avrebbero
potuto credere d'essere stati scelti per la loro dottrina, e in tal modo
ne sarebbe venuta lode alla loro scienza ma sarebbe diminuita la lode
dovuta alla grazia di Cristo. Rese dunque testimonianza a Natanaele,
dicendolo un buon fedele nel quale non c'era inganno; ma non lo
annoverò tra i discepoli che scelse per primi e che prese tra gli
ignoranti. Da che cosa ricaviamo che egli era un esperto nella legge?
Uno di coloro che avevano seguito il Signore ebbe a dire a
Natanaele: Abbiamo trovato il Messia, che significa Cristo (cf. Gv
1, 41), ed egli chiese la patria di origine. Gli fu risposto che era di
Nazaret. Ed egli concluse: Da Nazaret può venire qualcosa di
buono (cf. Gv 1, 46). Senza dubbio, colui che comprese che da
Nazaret poteva venire qualcosa di buono era esperto nella legge e
aveva esaminato attentamente i profeti. So che tali parole le si
pronunziano con diversa accentuazione, che peraltro dai più
competenti non è accolta. Secondo tale interpretazione, egli avrebbe
dato a vedere che nutriva poche speranze allorché rispose non
affermando ma interrogando: Da Nazaret può venire qualcosa di
buono? Cioè: può forse venire di laggiù qualcosa di buono? Così
dicendo, voleva mostrare la sua poca fiducia. Continua però il
Vangelo: Vieni e vedi (cf. Gv 1, 47). Queste parole, cioè Vieni e
vedi, si adattano sia all'una che all'altra interpretazione. Se tu dici,
come non credendo: Può da Nazaret venire qualcosa di buono? ti si
risponde: Vieni! e vedi ciò che non credi. Se invece tu dici
affermando: Da Nazaret può certo venire qualcosa di buono, ti si
risponde: Vieni! e vedi come sia davvero buono ciò che io annunzio
provenire da Nazaret. Vieni e avrai la prova di ciò che giustamente
credi. Di questo Natanaele dunque si pensa che egli fosse dotto nella
legge e che, proprio per questo, non fu scelto tra i discepoli da colui
che per primi voleva scegliere gli stolti del mondo. E questo, sebbene
il Signore avesse reso a lui una grande testimonianza quando aveva
detto: Ecco un vero Israelita in cui non c'è inganno (cf. Gv 1, 48). Il
Signore, più tardi, sceglierà anche degli oratori; ma questi sarebbero
saliti in superbia, se egli prima non avesse scelto dei pescatori.
Sceglierà dei ricchi; ma essi avrebbero detto di essere stati scelti per
le loro ricchezze, se precedentemente non avesse scelto i poveri. In
seguito sceglierà anche degli imperatori; ma è meglio che
l'imperatore venga a Roma, e, deposta la corona, pianga sulla tomba
del pescatore, piuttosto che il pescatore pianga sulla tomba
dell'imperatore. Insomma, Dio ha scelto i deboli del mondo, per
confondere i forti; e ha scelto le cose ignobili del mondo, e quelle
che non sono, come se fossero, per annientare quelle che sono. Che
cosa segue? L'Apostolo conclude: Affinché non si glori al cospetto
di Dio alcuna carne (cf. 1 Cor 1, 27 28). Osservate in qual modo ci
ha tolto la gloria per darci la gloria. Ha tolto la gloria nostra, per
darci la sua; ha tolto la gloria vana per darci quella piena; ha tolto la
gloria che vacilla, per darci quella solida. Quanto è più forte e più
salda la nostra gloria, quando è in Dio! Non ti devi quindi gloriare in
te stesso: la Verità lo vieta. Ma ciò che dice l'Apostolo, questo ordina
la Verità: Chi si gloria, nel Signore si glori (cf. 1 Cor 1, 31). Date
dunque gloria alla sua lode. Non imitate i giudei, i quali volevano
attribuire ai propri meriti la loro giustificazione, e la ricusavano ai
gentili che si avvicinavano alla grazia del Vangelo per essere
perdonati di tutti i peccati. Come se essi non avessero di che essere
perdonati e come buoni operai avessero diritto alla ricompensa!
Erano malati e credevano di essere sani; quindi la loro malattia era
anche più pericolosa. Se infatti fossero stati ammalati meno
gravemente, non avrebbero ucciso, da pazzi, il medico. Date gloria
alla sua lode.
Dio opera in noi il volere e l'agire. La vocazione degli ebrei e
dei pagani, monito all'umiltà.
5. [v 3.] Dite a Dio: quanto sono da temere le tue opere! Perché
da temere e non piuttosto da amare? Ascolta le altre parole del
salmo: Servite il Signore nel timore, e inneggiate a lui con tremore
(cf. Sal 2, 11). Che significano queste parole? Ascolta l'Apostolo:
Con timore e tremore adoperatevi per la vostra salvezza. Perché con
timore e tremore? Ne spiega il perché: Perché è Dio che opera in voi
il volere e l'operare conforme alla buona volontà (cf. Fil 2, 12 13). Se
pertanto è Dio che opera in te, tu fai il bene per la grazia di Dio, non
per le tue forze. Dunque, se da un lato ti rallegri, dall'altro temi: se
vuoi che quanto è stato dato all'umile non sia tolto al superbo. Sapete
infatti come proprio questo è accaduto alla superbia dei giudei, che si
credevano giustificati per le opere della legge, e che, per ciò stesso,
si rovinarono. Lo dice un altro salmo: Questi nei carri, e quelli
confidano nei cavalli, come se il loro innalzarsi fosse dovuto al
proprio slancio e ai propri mezzi. Noi invece, aggiunge, nel nome
del Signore Dio nostro siamo glorificati (cf. Sal 19, 8). Eccoti il
testo: Questi nei carri e quelli nei cavalli, noi invece saremo
glorificati nel nome del Signore Dio nostro. Osserva come gli uni si
inorgoglivano di se medesimi; e vedi come gli altri si gloriavano in
Dio. E che cosa ne segue? I loro piedi hanno inciampato e sono
caduti; noi invece ci siamo levati e stiamo in piedi (cf. Sal 19, 9).
Ascolta nostro Signore che personalmente dice la medesima cosa: Io
sono venuto perché vedano coloro che non vedono; e perché
diventino ciechi coloro che vedono (cf. Gv 9, 39). Da una parte vedi
la bontà e dall'altra una specie di cattiveria. Ma, chi potrebbe essere
più buono di lui? Chi più misericordioso? Chi più giusto? Perché
dunque: Vedano coloro che non vedono? Per la bontà. Perché:
Diventino ciechi coloro che vedono? Per la superbia. Ma è poi vero
che prima vedevano e poi sono divenuti ciechi? Non vedevano;
credevano di vedere. Ecco, osservatelo, fratelli! Quando i giudei
presero a dirgli: Siamo forse ciechi? rispose il Signore: Se foste
ciechi, non avreste peccato; ma ora, poiché dite di vedere, il vostro
peccato resta in voi (cf. Gv 9, 46 41). Sei venuto dal medico, e dici
di vedere? Non ti gioverà a nulla il collirio: resterai sempre cieco!
Confessa di essere cieco, e meriterai di essere illuminato. Osserva i
giudei; guarda i gentili! Perché vedano coloro che non vedono,
dice, per questo sono venuto; e affinché diventino ciechi coloro che
vedono. I giudei vedevano nella carne lo stesso Signore nostro Gesù
Cristo; i gentili non lo vedevano; ed ecco, coloro che lo vedevano lo
hanno crocifisso; coloro che non lo hanno mai visto hanno creduto.
Che cosa hai fatto dunque, o Cristo, contro i superbi? Che cosa hai
fatto? Noi lo vediamo, perché tu ti sei degnato di farcelo vedere e noi
siamo tue membra. Noi lo vediamo: hai loro nascosto la divinità e
hai mostrato l'uomo. Perché? Perché diventasse cieca una parte di
Israele ed entrasse la totalità delle genti. Per questo agli sguardi
degli uomini nascondesti la divinità e mostrasti l'umanità. In tal
modo i giudei vedevano e non vedevano: vedevano ciò che avevi
assunto, e non vedevano ciò che tu realmente eri. Vedevano la forma
di servo, non vedevano la forma di Dio (cf. Fil 2, 6 7): la forma di
servo, della quale il Padre è più grande (cf. Gv 14 28); non la forma
di Dio, in riferimento alla quale ora avete udito le parole: Io e il
Padre siamo una cosa sola (cf. Gv 10, 30) , Catturarono ciò che
vedevano, e ciò che vedevano crocifissero. Insultarono l'uomo che
vedevano, ma non riconobbero colui che nell'uomo si nascondeva.
Ascolta le parole dell'Apostolo: Se l'avessero conosciuto, mai
avrebbero crocifisso il Signore della gloria (cf. 1 Cor 2, 8). Or
dunque, voi genti che siete state chiamate, notate bene come nella
sua severità Dio abbia reciso certi rami e come voi, per la sua bontà,
vi siate state innestate. Voi siete divenute partecipi dell'abbondanza
dell'olivo; ma non nutrite pensieri di alterigia, cioè, non vi
insuperbite. Perché - dice - non sei tu che porti la radice, ma la
radice porta te. Ancora di più dovete, anzi, spaventarvi, se vedete
recisi i rami naturali. I giudei infatti discendono dai patriarchi; sono
nati dalla stirpe di Abramo. Che cosa afferma l'Apostolo? Tu forse
dici: i rami sono stati spezzati perché io sia innestato. Bene! Per
l'incredulità sono stati spezzati. Ma tu, se stai saldo, è per la fede.
Non insuperbirti dunque, ma temi! Se infatti Dio non ha
risparmiato i rami naturali, neppure te risparmierà (cf. Rm 11, 19-
21). Guarda quindi come certi rami sono stati spezzati e come tu
stesso ci sei stato innestato. Non insuperbirti contro i rami spezzati,
ma piuttosto di' a Dio: Quanto sono da temere le tue opere! Fratelli,
se non dobbiamo inorgoglirci guardando i giudei, recisi tanto tempo
addietro dalla radice dei patriarchi, ma dobbiamo piuttosto temere e
dire a Dio: Quanto sono tremende le tue opere! quanto meno
dobbiamo rallegrarci per le ferite delle recenti scissioni! Un tempo
sono stati recisi i giudei, e vi sono state innestate le genti. Dalla
pianta così innestata sono stati tagliati via gli eretici; ma neppure
contro costoro dobbiamo insuperbire, se non vogliamo meritarci di
essere a nostra volta recisi, come gente che prova gusto nell'insultare
i recisi. Fratelli miei, comunque sia il vescovo di cui voi udite la
voce, noi vi scongiuriamo di stare in guardia! Tutti voi, che siete
nella Chiesa, non insultate coloro che ne sono estranei, ma piuttosto
pregate affinché anch'essi entrino nella Chiesa. Dio onnipotente può
innestarli di nuovo (cf. Rm 11, 23). Questo diceva l'Apostolo
riguardo ai giudei e ciò è accaduto di loro. Risorto che fu il Signore,
molti credettero. Non capivano allorché lo crocifiggevano, ma più
tardi hanno creduto in lui, ed è stato loro perdonato un così grande
delitto. Il sangue del Signore, che essi avevano versato, venne dato in
dono agli stessi omicidi, per non dire deicidi; perché, se avessero
conosciuto il Signore della gloria, mai lo avrebbero crocifisso. Agli
omicidi è stato ora dato in dono il sangue dell'innocente che essi
avevano versato: e così lo stesso sangue che essi avevano versato
nella loro follia, hanno ora bevuto come grazia. Dite dunque a Dio:
quanto sono terribili le tue opere! Perché terribili? Perché si è
compiuta la cecità di una parte di Israele affinché entrasse la
totalità delle genti (cf. Rm 11, 25). O totalità delle genti, di' a Dio:
Quanto sono terribili le tue opere! E rallègrati, ma insieme trema; e
non ti gloriare nei confronti dei rami tagliati. Dite a Dio: quanto
sono da temere le tue opere!
La resurrezione del suo corpo è il sommo miracolo di Cristo.
6. Di fronte alla grandezza della tua potenza fingeranno con te i
tuoi nemici. I tuoi nemici fingeranno con te - dice – affinché
grandeggi la tua potenza. Che significa ciò? Ascoltate più
attentamente! La potenza del nostro Signore Gesù Cristo si manifestò
soprattutto nella resurrezione, di cui questo salmo porta il titolo.
Risorgendo egli apparve ai suoi discepoli: non apparve ai suoi
nemici, ma soltanto ai discepoli (cf. At 10, 41). Crocifisso apparve a
tutti; risorto apparve solo ai fedeli; in modo che, in seguito, credesse
chi l'avesse voluto, e a questo credente fosse promessa la
resurrezione. Molti santi hanno fatto miracoli, ma nessuno di loro è
risorto dopo morto. Anzi, anche coloro che erano stati da essi
risuscitati risuscitarono, sì, ma per morire di nuovo. Intenda la vostra
Carità! Sottolineando le sue opere, il Signore disse un giorno:
Credete alle opere, se non volete credere a me (cf. Gv 10, 38).
Meritano certo considerazione anche le antiche opere dei profeti: le
quali, se non tutte sono le stesse di quelle compiute dal Signore,
tuttavia molte sono le stesse e della stessa potenza. Il Signore
camminò sopra il mare, e ordinò a Pietro di fare altrettanto (cf. Mt
14, 25-29). E non si doveva forse all'intervento dello stesso Signore
se il mare si divise per permettere a Mosè di passare insieme con il
popolo d'Israele (cf. Es 14 21)? Era lo stesso nostro Signore che
compiva tali cose. Colui che compiva certe opere per mezzo della
sua carne compiva le altre per mezzo della carne dei suoi servi.
Tuttavia lui, che è l'autore di tutti i miracoli, uno non ne fece per
mezzo dei suoi servi: che qualcuno di loro, già morto, risorgesse per
la vita eterna. I giudei, di fronte ai miracoli che operava il Signore,
potevano certo obiettargli: " Queste cose le ha fatte anche Mosè, le
ha fatte Elia, le ha fatte Eliseo"; ed effettivamente avrebbero avuto
ragione, perché anche questi santi risuscitarono i morti e operarono
molti miracoli. Per questo motivo, quando a lui fu chiesto un segno,
un segno particolare che indicasse ciò che in lui solo sarebbe
avvenuto, disse: Questa generazione perversa e provocatrice chiede
un segno; e un segno non le sarà dato se non il segno del profeta
Giona. Come infatti Giona stette nel ventre della balena per tre
giorni e tre notti, così anche il Figlio dell'uomo starà nel cuore
della terra per tre giorni e tre notti (cf. Mt 12, 39 40). Come stette
Giona nel ventre della balena? Non vi stette forse per essere poi
rigettato vivo? Lo Scheol fu per il Signore ciò che era stata la balena
per Giona. Questo fu il segno che il Signore si riservò come suo
distintivo; e questo è un segno potentissimo. È necessaria maggior
potenza per rivivere dopo morto, che per non morire. La grandezza
della potenza del Signore, fatto uomo, appare dunque nella virtù
della resurrezione. Anche l'Apostolo insiste in questa verità, allorché
dice: Non che io possegga una mia giustizia derivante dalla legge;
ma la mia giustizia deriva dalla fede di Cristo: quella giustizia che
vien da Dio, attraverso la fede, per conoscere lui e la potenza della
sua resurrezione (cf. Fil 3, 9 10). Ed anche altrove è così
sottolineata: Se egli venne crocifisso per la debolezza, ora vive
nella potenza di Dio (cf. 2 Cor 13, 4). Riteniamo dunque che questa
grande potenza del Signore si manifesti nella resurrezione, donde
questo salmo ha preso il titolo. Ma allora che cosa vorranno dire le
parole: Di fronte alla grandezza della tua potenza, i tuoi nemici
fingeranno con te? Non dobbiamo concludere se non questo: i tuoi
nemici ti calunnieranno affinché tu sia crocifisso, e tu sarai, sì,
crocifisso, ma lo sarai per risorgere. La loro menzogna non avrà altro
effetto se non quello di evidenziare la tua grande potenza. Perché i
nemici sogliono mentire? Per diminuire la potenza di colui che
calunniano. Nel tuo caso, invece - così il salmo - è accaduto il
contrario. La tua potenza infatti sarebbe apparsa in minor luce, se
essi non avessero mentito con te.
Le subdole trame dei nemici smascherate dalla resurrezione.
7. Osservate da vicino nel Vangelo la menzogna dei falsi
testimoni e convincetevi che essa si riferisce proprio alla
resurrezione. Un giorno fu chiesto al Signore: Quale segno ci mostri,
perché fai queste cose? (cf. Gv 2, 18) Egli aveva recato l'esempio di
Giona; ma volle replicare con un'altra similitudine di identico
contenuto, per inculcarci che egli riteneva la resurrezione come il
segno suo proprio per eccellenza. Disse: Distruggete questo tempio
e in tre giorni io lo riedificherò. Ma essi gli risposero: Questo
tempio è stato costruito in quarantasei anni; e tu in tre giorni lo
ricostruirai? E l'Evangelista, spiegando il senso delle parole,
aggiunge: Ma questo Gesù diceva del tempio del suo corpo (cf. Gv
2, 19 21). Ecco, diceva che avrebbe dimostrato agli uomini questa
sua potenza. Quanto alla similitudine del tempio, essa era stata scelta
per sottolineare che la sua carne era il tempio della divinità nascosta
nell'interno. I giudei vedevano l'esterno del tempio, ma non vedevano
la divinità che abitava nell'interno. Fondandosi su queste parole del
Signore, concertarono, dunque, certi falsi testimoni una menzogna da
dire contro di lui. Presero lo spunto proprio da ciò che egli aveva
detto, parlando del tempio ma riferendosi alla sua futura
resurrezione. A quei falsi testimoni, che erano andati a deporre
contro di lui, fu dunque chiesto che cosa avessero udito da lui. Ed
essi: Lo abbiamo sentito dire: Distruggerò questo tempio e dopo tre
giorni lo riedificherò (cf. Mt 26, 61). Avevano udite, sì, le parole:
Dopo tre giorni lo riedificherò; ma non era affatto vero che lo
avevano udito dire: Io distruggerò, poiché egli aveva detto:
Distruggete. Hanno variato solo una parola, anzi poche lettere, per
ordire la falsa testimonianza. Ma, a chi pretendi di cambiare le
parole, o umana vanità, o umana debolezza? Muti un verbo al Verbo
immutabile! Tu puoi mutare il tuo verbo; ma muti forse il Verbo di
Dio? Per questo in un altro passo è detto: L'iniquità ha mentito a se
stessa (cf. Sal 26, 12). Per quale motivo dunque i tuoi nemici hanno
ordito menzogne contro di te, Signore, al quale ogni terra acclama?
Di fronte alla grandezza della tua potenza, mentiranno contro di te
i tuoi nemici. Diranno: Distruggerò, mentre tu hai detto:
Distruggete. Perché sostenere che tu hai detto: Distruggerò, e non
che tu hai detto: Distruggete? Sembrano quasi volersi scolpare del
delitto della distruzione del tempio; ma invano. Cristo, infatti, è
morto, sì, perché lo ha voluto; ma ad ucciderlo siete stati voi. Ecco,
ve lo concediamo, o menzogneri! Egli stesso ha distrutto il tempio.
Dice infatti l'Apostolo: Mi ha amato e ha dato se stesso per me (cf.
Gal 2, 20). E, a proposito del Padre, è detto: Non ha risparmiato il
suo proprio Figlio, ma per noi tutti lo ha dato (cf. Rm 8, 32). Se
dunque il Padre ha dato il Figlio e il Figlio ha dato se stesso, che
cosa ha fatto Giuda? Il Padre, consegnando il Figlio alla morte per
noi, ha fatto bene; Cristo, dando se stesso per noi, ha fatto altrettanto
bene; Giuda, portato dall'avarizia a tradire il Maestro, ha fatto male.
Non si deve infatti attribuire alla malvagità di Giuda il bene che a noi
è derivato dalla passione di Cristo. Egli avrà la ricompensa della sua
malvagità; Cristo la lode che si deve alla grazia. Oh sì! È stato lui a
distruggere il tempio, lui che aveva detto: Ho il potere di dare la mia
vita e ho il potere di prenderla di nuovo. Nessuno me la toglie; ma
io la do da me e di nuovo la prendo (cf. Gv 10, 18). Egli ha distrutto
il tempio, per sua benevola condiscendenza, ma servendosi della
vostra malvagità. Di fronte alla grandezza della tua potenza
mentiranno contro di te i tuoi nemici. Ecco, essi mentono; ecco si
crede loro; ecco tu sei catturato, crocifisso, insultato! Ecco, essi
scuotono il capo: Se è Figlio di Dio, scenda dalla croce! (cf. Mt 27,
40) Ecco: quando tu vuoi, dai la vita. Sei trafitto al fianco dalla
lancia, e dal tuo costato (cf. Gv 19, 34) scaturiscono i sacramenti. Sei
deposto dalla croce, sei avvolto nel sudario, sei collocato nel
sepolcro, e delle guardie vengono aggiunte affinché i tuoi discepoli
non ti portino via. Viene l'ora della tua resurrezione! La terra si
scuote, i sepolcri si aprono: tu risorgi nascosto e appari manifesto.
Dove sono dunque quei menzogneri? dov'è la falsa testimonianza
della loro malvagità? Non hanno forse mentito contro di te i tuoi
nemici perché risaltasse la grandezza della tua potenza?
Le guardie addormentate.
8. Passiamo ai custodi del sepolcro. Riferiscano ciò che hanno
visto. Ricevano il denaro e mentano anche loro. Dicano anch'essi,
perversi convinti da perversi; dicano anch'essi, corrotti dai giudei che
non avevano voluto essere integri in Cristo. Parlino e mentano
anch'essi. Che cosa diranno? Parlate! Noi vi stiamo ad ascoltare.
Anche voi mentirete, ingrandendo così la potenza del Signore. Che
cosa direte? Mentre noi dormivamo, sono venuti i suoi discepoli e
lo hanno portato via dal sepolcro (cf. Mt 28, 13). Oh, stoltezza
veramente immersa nel sonno! O eri sveglio, e dovevi vietare che lo
portassero via; oppure dormivi, e che cosa sia accaduto, non lo sai. Si
vollero aggregare ai nemici e mentire con loro. È cresciuto il numero
dei mentitori, affinché si accresca la ricompensa di quanti credono
che è per la grandezza della tua potenza che mentiranno contro di
te i tuoi nemici. Dunque, hanno mentito, ma hanno mentito per
accrescere la tua potenza. Contro l'aspettativa dei mentitori, eccoti
apparire a chi era sincero; e questi sinceri, ai quali apparivi, in tanto
erano sinceri, in quanto tu li avevi resi tali.
9. [v 4.] Restino i giudei nelle loro menzogne; quanto a te, poiché
essi hanno mentito per la grandezza della tua potenza, ti accada
quanto segue: Tutta la terra ti adori e inneggi a te; inneggi al tuo
nome, o Altissimo. Poco prima era umilissimo, ora è altissimo. Era
umilissimo tra le mani dei nemici che mentivano; ora è altissimo al
di sopra degli angeli che lo lodano. Tutta la terra ti adori e inneggi
a te; inneggi al tuo nome, o Altissimo.
Accecamento dei giudei superbi e salvezza degli umili.
10. [v 5.] Venite a vedere le opere del Signore. O genti, o nazioni
lontane, abbandonate i giudei mentitori e venite professando la vera
fede! Venite a vedere le opere del Signore; terribile nei disegni al di
sopra dei figli degli uomini. Anche lui si lasciò chiamare " figlio
dell'uomo "; e davvero divenne figlio dell'uomo. Vero Figlio di Dio
nella forma di Dio; vero figlio dell'uomo nella forma di servo (cf. Fil
2, 6). Ma, non valutate la sua forma di servo basandovi su quella che
è, ordinariamente, la condizione degli altri uomini. Egli è terribile
nei suoi disegni al di sopra dei figli degli uomini. I figli degli
uomini hanno ordito delle trame al fine di crocifiggere Cristo; il
crocifisso ha accecato i crocifissori. Che cosa avete fatto dunque, o
figli degli uomini, tramando astuti disegni contro il vostro Signore,
nel quale la maestà era nascosta e manifesta era la debolezza? Voi
avete fatto dei piani per perderlo, egli ha formulato il disegno di
accecare e di salvare: di accecare i superbi e di salvare gli umili.
Anzi, a tanto si spinse il suo piano che, se accecò i superbi, fu perché
accecati si umiliassero, umiliati confessassero, e confessando fossero
illuminati. Terribile nei disegni al di sopra dei figli degli uomini.
Davvero terribile! Ecco, la cecità di una parte di Israele è compiuta! I
giudei, dai quali è nato Cristo, sono stati cacciati fuori; mentre le
genti, che erano contro la Giudea, ora, in Cristo, sono dentro (cf. Rm
11, 25). Terribile nei disegni al di sopra dei figli degli uomini.
Il mondo è un mare, le vicende umane un fiume.
11. [v 6.] E che cosa ha fatto col suo terribile disegno? Ha mutato
il mare in terra asciutta. Questo infatti segue: Egli ha convertito il
mare in terra arida. Il mare era il mondo: amaro per la sua salsedine,
turbolento per le tempeste, crudele per i flutti delle persecuzioni. Era
insomma il mare; e il mare è stato convertito in terra arida. Ora il
mondo, che era pieno di salsedine, ha sete di acqua dolce. Chi ha
fatto tutto questo? Colui che ha convertito il mare in terra arida.
Che cosa dice ormai l'anima di tutte le genti? L'anima mia è dinanzi a
te come terra senza acqua (cf. Sal 142, 6). Egli ha convertito il mare
in terra arida. Nel fiume passeranno a piedi. Coloro stessi che sono
stati convertiti in terra arida, mentre prima erano mare, nel fiume
passeranno a piedi. Che cosa è il fiume? Il fiume è la condizione di
mortalità che regna nel mondo. Osservate questo fiume: alcune cose
vengono e presto passano, e ad esse ne succedono altre, destinate
anch'esse a passare. Non accade forse così dell'acqua del fiume, che
scaturisce dalla terra e scorre via? I nati debbono far posto a chi
nascerà; e tutta questa serie di cose caduche, che passano via,
rassomiglia veramente ad un fiume. In questo fiume non vada a
immergersi cupidamente l'anima. Non vi si getti; stia salda. E come
potrà superare le seduzioni delle cose effimere? Creda in Cristo, e
passerà a piedi [il fiume]. Lasciandosi guidare da lui, lo passerà, e lo
passerà a piedi. Che cosa significa " passare a piedi " un fiume?
Significa passare con facilità. Non avrà bisogno di cavalli per
passare. Però non ci si deve innalzare superbamente, se si vuol
varcare il fiume. L'umile lo attraversa, e lo attraversa con molta
sicurezza. Nel fiume passeranno a piedi.
Il succedersi delle età della vita.
12. Ivi ci allieteremo in lui. O giudei, voi vi gloriate delle vostre
opere. Deponete la superbia che vi fa gloriare di voi stessi e
accogliete invece la grazia che in Cristo vi farà lieti. Ivi infatti ci
allieteremo; non in noi: ivi ci allieteremo in lui. Quando ci
allieteremo? Quando avremo passato il fiume a piedi. Ci è promessa
la vita eterna; ci è promessa la resurrezione: ove la nostra carne non
sarà più un fiume. Poiché ora è un fiume, finché durerà la condizione
mortale. Provatevi a osservare se stia ferma qualcuna delle età della
vita. I fanciulli vogliono crescere, e non sanno che lo spazio della
loro vita diminuisce con il succedersi degli anni. Difatti gli anni non
vengono aggiunti, ma si riducono di numero, man mano che si
cresce. Proprio come l'acqua del fiume, la quale diventa, sì, sempre
più copiosa, ma si allontana sempre di più dalla sorgente. I fanciulli
vogliono crescere per liberarsi dell'autorità dei più grandi. Ecco,
crescono, rapidamente crescono, e giungono alla giovinezza. Hanno
cessato d'essere fanciulli: fermino, se possibile, la giovinezza!
Anch'essa fugge via e le succede la vecchiaia. Fosse almeno eterna la
vecchiaia! Con la morte finisce anche lei. Dunque è tutto un fiume di
carne che nasce, un fiume di mortalità. Passerà questo fiume, senza
farsi rapire e travolgere dalla smania delle cose mortali, colui che lo
passerà umilmente, che cioè lo passerà a piedi, al seguito di colui che
lo passò per primo e che bevve dal torrente nella via fino alla morte e
per questo ha innalzato il capo (cf. Sal 109, 7). Ebbene, quando a
piede asciutto avremo attraversato questo fiume, quando cioè avremo
oltrepassato, e con facilità, il fluire della nostra vita mortale, ivi ci
allieteremo in lui. Ma ora in chi ci dovremo allietare? Non forse in
lui, o meglio nella sua speranza? Infatti, se ora ci allietiamo, ci
allietiamo nella speranza, mentre lassù ci allieteremo in lui stesso.
Anche ora ci allietiamo in lui, ma per la speranza; allora invece
faccia a faccia (cf. 1 Cor 13, 12)
13. [v 7.] Ivi ci allieteremo in lui. In chi? In colui che domina
nella sua potenza in eterno. Quale potenza abbiamo, infatti, noi? È
forse eterna? Se fosse eterna la nostra potenza, non saremmo
decaduti, non saremmo precipitati nel peccato, non avremmo
meritato la pena della nostra mortalità. Ecco invece che colui che
nella sua potenza domina in eterno ha voluto liberamente
riammetterci nella condizione da cui ci aveva allontanati la nostra
colpa. Diveniamo dunque partecipi di lui e, nella sua forza, saremo
anche noi forti. Egli è forte per virtù propria. Noi siamo illuminati;
egli è la luce che ci illumina. Se noi gli volgiamo le spalle, cadiamo
nelle tenebre; mentre egli non può volgere le spalle a se stesso. Al
suo calore noi siamo infiammati: se ci allontaniamo, geliamo; se ci
avviciniamo, di nuovo siamo infiammati. Diciamogli dunque che ci
custodisca nella sua potenza, e ci allieteremo in lui che nella sua
potenza domina in eterno.
La legge non giustifica.
14. Questo egli non lo dà ai soli giudei credenti. Essi si erano
molto inorgogliti fidando nelle loro forze; in seguito però
riconobbero per virtù di chi fossero diventati forti in maniera salutare
e alcuni di loro credettero. Ma questo non era sufficiente per Cristo.
Egli ha dato molto, ha pagato un grande prezzo, e ciò che ha dato
non doveva valere per i soli giudei. I suoi occhi guardano alle genti.
Sì, ripeto, i suoi occhi guardano alle genti. " Ma cosa facciamo "?
protesteranno i giudei. E diranno: " Ciò che ha dato a noi, l'ha dato
anche a loro! A noi il Vangelo, a loro il Vangelo; a noi la grazia della
resurrezione, e a loro la grazia della resurrezione. Non ci serve a
nulla l'aver ricevuto la legge, l'essere vissuti nella giustificazione
della legge, l'aver rispettato i precetti dei padri! Non servirà a nulla
tutto questo? Hai dato a loro quanto hai dato a noi "! Non protestino,
non discutano! Coloro che provocano all'ira non si esaltino in se
medesimi. O carne misera e destinata a marcire, non sei forse
peccatrice? Che cosa grida la tua lingua? Si guardi alla coscienza!
Tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio (cf. Rm 3, 23).
Riconosci quanto grande tu sia, o umana fragilità! Hai ricevuto la
legge, ma t'è servito per diventare violatrice della legge; difatti non
hai rispettato né adempiuto la legge ricevuta. Dalla legge hai
ricavato, non la giustificazione di cui la legge ti faceva obbligo, ma
un aumento di trasgressioni che tu hai compiute. Ebbene, se il
peccato è stato in te così abbondante, perché vuoi essere invidioso
vedendo che la grazia sovrabbonda (cf. Rm 5, 20)? Non essere un
provocatore, perché è scritto: I provocatori non si esaltino. Sembra,
quasi, averli maledetti, dicendo: Coloro che provocano all'ira non si
esaltino. O meglio, si esaltino, ma non in se medesimi. Si umilino in
se medesimi; siano esaltati in Cristo. Perché, chi si umilia sarà
esaltato e chi si esalta sarà umiliato (cf. Mt 23, 12). Coloro che
provocano all'ira non si esaltino in se medesimi.
Dio è la nostra vita.
15. [vv 8.9.] Benedite, o genti, il nostro Dio. Ecco! sono stati
respinti coloro che agivano da provocatori. Si sono tirate le somme
con loro: alcuni si sono convertiti, altri sono rimasti superbi. Non vi
spaventino coloro che vorrebbero negata ai gentili la grazia del
Vangelo! È già venuta la discendenza di Abramo, nella quale sono
benedette tutte le genti (cf. Gn 12, 3). Benedite colui nel quale siete
benedetti! Benedite, o genti, il nostro Dio; e ascoltate la voce della
sua lode. Non lodate voi stessi, ma lui lodate. Quale è la voce della
sua lode? Eccola: ciò che di buono è in noi lo dobbiamo alla sua
grazia. Egli ha rimesso in vita l'anima mia. Ecco la voce della sua
lode: Egli ha rimesso in vita l'anima mia. Era dunque morta. Sì, per
quanto riguarda te, essa era nella morte. E proprio per questo voi non
dovevate gloriarvi di voi stessi. Per causa tua essa giaceva nella
morte; e dove troverà la vita, se non in colui che disse: Io sono la
via, la verità e la vita (cf. Gn 12, 314, 6)? Nello stesso senso dice
l'Apostolo a taluni credenti: Foste un tempo tenebre, ma ora siete
luce nel Signore (cf. Ef 5, 8). In voi eravate tenebre; nel Signore
siete luce. Nello stesso senso, voi in voi stessi siete morte, nel
Signore diventerete vita. Egli ha rimesso in vita l'anima mia. Ecco,
ha ridato la vita alla nostra anima, facendoci credere in lui. Ha
rimesso in vita l'anima nostra; ma ora, che cosa ci resta da fare, se
non perseverare sino alla fine? E questa perseveranza chi ce la darà,
se non colui del quale si dice nel seguito del testo: E non ha lasciato
vacillare i miei piedi? Sì, egli ha rimesso in vita l'anima nostra, ed
egli stesso governa i nostri piedi, affinché non vacillino, affinché non
si smuovano, affinché non inciampino. Colui che ci ha dato la vita ci
farà anche perseverare sino alla fine, in modo che viviamo in eterno.
E non ha lasciato vacillare i miei piedi.
Dio ci umilia per raddrizzarci.
16. [vv 10-12.] Perché hai detto: Non ha lasciato vacillare i miei
piedi? Che cosa hai sofferto, o che cosa hai potuto soffrire, per cui i
tuoi piedi vacillassero? Che cosa? Ascolta le parole che seguono. Mi
chiedi forse perché abbia detto: Non ha lasciato vacillare i miei
piedi? Veramente molte cose abbiamo sofferto, per le quali i nostri
piedi avrebbero abbandonato la [retta] via, se egli stesso non li
avesse sorretti e non avesse loro impedito di vacillare. Quali sono
queste cose? O Dio, tu ci hai provati: ci hai bruciati col fuoco come
si brucia l'argento. Non ci hai bruciati come l'erba, ma come
l'argento. Provandoci con il fuoco, non ci hai tramutati in cenere, ma
hai lavato le nostre scorie. Ci hai bruciati come si brucia l'argento.
Osserva come Dio è severo nei confronti di coloro la cui anima ha
rimessa in vita. Ci hai posto al laccio; non perché vi fossimo presi e
morissimo, ma perché imparassimo da dove viene la nostra
liberazione. Hai posto tribolazioni sulle nostre spalle. Ci eravamo
alzati in una direzione sbagliata: eravamo dei superbi. Malamente
dritti, siamo stati costretti a piegarci affinché, curvati a dovere, a
dovere ci rialzassimo. Hai posto tribolazioni sulle nostre spalle; hai
imposto uomini sulle nostre teste. Tutte queste cose ha sofferte la
Chiesa nelle molteplici e diverse persecuzioni; ha sofferto tutto
questo in ciascuno dei suoi membri, e anche ora ne soffre. Non c'è
nessuno che in questa vita possa dirsi immune dalle tentazioni. E
anche degli uomini vengono a porsi sulle nostre teste: dobbiamo
sopportare persone che non ci piacciono; ci assegniamo a vedere in
luoghi più elevati persone di cui ci consta che sono peggiori di noi.
Poiché è quando non cade in peccato che l'uomo
può dirsi veramente superiore; mentre, quanti più peccati commette,
tanto più egli è inferiore. È pertanto un bene che noi ci consideriamo
peccatori; e riusciremo meglio a sopportare coloro che sono stati
posti sulle nostre teste se, dinanzi a Dio, riconosceremo che
soffriamo pene meritate. Come puoi infatti soffrire sbuffando, se a
mandarti le pene è il giusto? Hai posto tribolazioni sulle nostre
spalle; hai imposto uomini sulle nostre teste. Sembra che Dio
incrudelisca quando fa certe cose. Non aver timore! egli è Padre, e
mai incrudelisce tanto da perderti. Se egli, quando tu vivi male, ti
risparmiasse, mostrerebbe una collera ancora più grande. Le
tribolazioni sono, veramente, frustate di un padre che corregge, per
risparmiarti la punizione del giudice. Hai posto tribolazioni sulle
nostre spalle, hai imposto uomini sulle nostre teste.
Le tribolazioni sono fuoco, le prosperità sono acque insidiose.
17. Siamo passati attraverso il fuoco e l'acqua. Il fuoco e l'acqua
sono ambedue pericolosi in questa vita; anche se certamente l'acqua
spegne il fuoco e il fuoco asciuga l'acqua. Così sono le tentazioni, di
cui abbonda la vita presente. Il fuoco brucia, l'acqua corrompe;
ambedue dobbiamo temere: e la bruciatura delle sofferenze e l'acqua
del rilassamento. Quando siamo in angustie e in una di quelle
situazioni che in questo mondo vanno sotto il nome di disgrazia,
siamo come nel fuoco. Quando invece siamo nella prosperità e
l'abbondanza di beni materiali ci circonda, è come se fossimo
nell'acqua. Sta' attento a non farti bruciare dal fuoco e a non farti
corrompere dall'acqua. Sta' saldo contro il fuoco! È necessario che ti
si cuocia: e, come un vaso di argilla, ti sentirai cacciato nella fornace
di fuoco, affinché si consolidi ciò che è stato plasmato. Il vaso
indurito dal fuoco non teme più l'acqua; ma, finché non sarà passato
per il fuoco, si scioglie nell'acqua come fango. Non affrettarti ad
entrare nell'acqua. Attraverso il fuoco passa nell'acqua, affinché tu
possa attraversare anche l'acqua. Così si costuma anche
nell'amministrazione dei sacramenti: durante la catechesi e negli
esorcismi si ricorre per prima cosa al fuoco. Per quale motivo infatti
tante volte gli spiriti immondi gridano: " Brucio! ", se non è un
fuoco? Ma, dopo il fuoco dell'esorcismo, si giunge al battesimo:
come dal fuoco all'acqua, e dall'acqua al refrigerio. Ciò che
compiamo nei sacramenti accade anche nelle tentazioni di questo
mondo. Giungono prima l'angoscia e la preoccupazione, come il
fuoco; poi, scomparso il timore, sopraggiunge il pericolo che la
felicità mondana ci corrompa. Ma, se il fuoco non ti avrà screpolato e
se non sarai stato sommerso dall'acqua ma sarai rimasto a galla,
allora, grazie alla disciplina, potrai passare allo stato di quiete, e così,
passando attraverso il fuoco e, l'acqua, essere condotto al refrigerio.
Nei sacramenti, di queste cose vi sono le immagini, mentre in se
stesse le avremo nella perfezione della vita eterna. Quando saremo
passati a quel refrigerio, carissimi fratelli, ivi non avremo timore di
nessun nemico, di nessun tentatore, di nessun invidioso, di nessun
fuoco e di nessuna acqua. Ivi sarà un refrigerio perpetuo. Si dice "
refrigerio " per sottolineare la pace. Se tu dicessi che vi sarà calore,
diresti la verità; così, dicendo che vi è refrigerio, ciò è altrettanto
vero. Se invece intendi male la parola " refrigerio ", potresti far
pensare che lassù dovremo quasi intorpidirci. Invece non
diventeremo affatto dei poltroni; ci riposeremo soltanto. Così se parli
di un certo calore che lassù si prova. Non è perché lassù bruceremo,
ma perché saremo ferventi nello spirito. Questo stesso calore lo trovi
descritto in un altro
salmo: Non c'è chi si sottragga al suo calore (cf. Sal 18, 7). Cosa
dice del resto l'Apostolo? Ferventi in spirito (cf. Rm 12, 11). Ebbene:
Siamo passati attraverso il fuoco e l'acqua e tu ci hai condotti nel
refrigerio.
La Chiesa sarà perfetta nel cielo.
18. [v 13.] Nota come non parli soltanto del refrigerio ma anche
di un certo fuoco che si presenta come desiderabile. Entrerò nella
tua casa con degli olocausti. Che cosa è l'olocausto? È quando tutto
brucia, ma col fuoco divino. Si chiama infatti " olocausto " quel
sacrificio in cui tutta la vittima viene bruciata. Diverse sono le specie
del sacrificio; e una di esse è l'olocausto. Quando la vittima brucia
completamente e tutto viene consumato dal fuoco divino, si ha
l'olocausto; quando ne è consumata solo una parte, si ha il semplice
sacrificio. Ogni olocausto è quindi sacrificio, ma non tutti i sacrifici
sono olocausti. Assicura dunque degli olocausti; e chi parla è il corpo
di Cristo, è l'unità di Cristo. Entrerò nella tua casa con olocausti. Il
tuo fuoco consumi completamente tutto ciò che è mio, sicché niente
di ciò che è mio rimanga in me, ma tutto sia tuo. Questo accadrà
nella resurrezione dei giusti: quando questo nostro essere
corruttibile si rivestirà d'incorruttibilità, e questo essere mortale si
rivestirà d'immortalità. Allora accadrà ciò che sta scritto: Nella
vittoria è stata assorbita la morte (cf. 1 Cor 15, 54). La vittoria è
come un fuoco divino; e quando essa assorbirà anche la nostra morte,
allora si avrà l'olocausto. Non rimarrà nulla di mortale nella carne,
nulla di colpevole nello spirito; tutto quanto è retaggio della vita
mortale sarà consumato, e noi conseguiremo la perfezione della vita
eterna. Allora si avranno veramente gli olocausti.
Tu hai bisogno di Dio, Dio non ha bisogno di te.
19. [v 14.] E cosa sarà: Negli olocausti? Scioglierò a te i miei
voti, che le mie labbra, distinguendo, hanno formulato. Quale
distinzione potrà esserci in questi voti? Ecco la distinzione! Essa
consiste nell'accusare te stesso e nel dar lode a lui; e si ha quando
comprendi che tu sei creatura, mentre lui è il Creatore; che tu sei
tenebre, mentre lui è la luce, e gli dici: Tu, Signore, illuminerai la
mia lampada: Dio mio, tu illuminerai le mie tenebre (cf. Sal 17,
29). Se al contrario tu, o anima, dicessi che la luce viene da te, non
faresti distinzione. Se non fai distinzione, non sciogli voti distinti.
Sciogli invece voti distinti! Confessa di essere mutevole, mentre lui è
immutabile; confessa di essere niente senza di lui, mentre lui senza di
te è perfetto; confessa di aver bisogno di lui, mentre lui non ha
bisogno di te. Grida a lui: Ho detto al Signore: Tu sei il mio Dio,
perché non hai bisogno dei miei beni (cf. Sal 15, 2). Se Dio ti
accetta in olocausto, non è lui che cresce, che aumenta, che diventa
più ricco o più benestante. Qualunque cosa egli faccia di te e in te,
torna a tuo vantaggio, non a vantaggio di lui che lo fa. Se queste cose
distingui, sciogli al tuo Dio i voti che le tue labbra, distinguendo,
hanno formulato. Scioglierò a te i miei voti che le mie labbra,
distinguendo, hanno formulato.
Amiamo Dio con tutta l'anima.
20. [v 15.] E la mia bocca ha parlato nella mia sofferenza.
Quanto è dolce spesso la sofferenza! Quanto è necessaria! Che cosa
ha detto la bocca di lui nella sua sofferenza? Olocausti delle midolla
ti offrirò. Che significa: Della midolla? Voglio conservare dentro di
me il tuo amore; il mio amore per te non sarà in superficie ma nelle
mie midolla. Niente c'è di più interiore delle nostre midolla. Le ossa
sono più interne della carne, le midolla sono più interne delle stesse
ossa. Chiunque adora Dio in superficie, si preoccupa piuttosto di
piacere agli uomini; quindi, provando nel suo interno altri sentimenti,
non offre olocausti delle sue midolla. Se invece ad uno Dio penetra
le midolla, costui è preso tutt'intero da Dio. Olocausti delle midolla
ti offrirò, con incenso e con arieti. Gli arieti sono i capi della
Chiesa. Tutto intero il corpo di Cristo parla; e questo è ciò che offre a
Dio. Che cosa significa l'incenso? La preghiera. E perché con
incenso e con arieti? Dice così perché sono soprattutto gli arieti che
pregano per le greggi. Ti offrirò buoi con capretti. Troviamo
menzionati certi buoi che trebbiano. Questi stessi vengono offerti a
Dio. L'Apostolo dice che deve riferirsi ai predicatori del Vangelo
quanto sta scritto: Non metterai la museruola al bove che trebbia.
Forse che Dio s'interessa dei buoi? (cf. 1 Cor 9, 9) Dunque, quelli
che prima erano presentati come i grandi arieti, gli stessi sono i
grandi buoi. Ma, che sarà degli altri? di coloro che, forse, sono
consapevoli di qualche peccato, che magari sono caduti per via e,
feriti, sono stati poi guariti dalla penitenza? Forse che essi resteranno
fuori, e non avranno parte negli olocausti? Non temano! Il salmista
infatti ha aggiunto anche i capretti. Ti offrirò - dice - olocausti delle
midolla, con incenso e con arieti; ti offrirò buoi con capretti. Per
essersi aggregati [alle categorie precedenti] vengono salvati i
capretti: per se stessi non avrebbero potuto salvarsi. Vengono
ammessi perché uniti ai buoi. Essi si sono fatti degli amici con il
denaro dell'ingiustizia, perché costoro li accolgano negli eterni
padiglioni (cf. Lc 16, 9). Questi capretti non saranno, quindi, a
sinistra perché si sono fatti degli amici con il denaro dell'ingiustizia.
Ma quali capri saranno alla sinistra? Quelli ai quali sarà detto: Ho
avuto fame e voi non mi avete dato da mangiare (cf. Mt 15, 42);
non coloro che hanno riscattato i loro peccati con le elemosine.
Adoratori degli idoli divenuti credenti in Dio.
21. [vv 16.17.] Venite, ascoltate e vi racconterò, voi tutti che
temete Dio. Andiamo ad ascoltare che cosa ci racconterà. Venite,
ascoltate e racconterò. Ma a chi dice: Venite e ascoltate? Lo dice a
tutti voi che temete Dio. Se non temete Dio, non racconterò. Non si è
in grado di ascoltare il racconto, finché non c'è il timore di Dio. Apra
le orecchie il timore di Dio, in modo che non solo ci sia un qualcosa
da ricevere ma anche una via per cui penetri quanto io vi racconterò.
Ma che cosa racconterà? Quante cose ha fatto all'anima mia. Ecco,
vuol raccontare; ma che cosa? Racconterà, forse, quanto vasta sia la
superficie della terra, o quanto si estenda il cielo? quante siano le
stelle e quali le rotazioni del sole e della luna? Queste creature
rispettano una loro disposizione, ordinata e stabile, ma coloro che su
di esse hanno investigato con la massima applicazione, nonostante
tutto, non sono riusciti a conoscerne il Creatore (cf. Sap 13, 9).
Questo ascoltate, questo intendete, voi che temete Dio: quante cose
egli ha fatte all'anima mia e, se vi pare, anche all'anima vostra.
Quante cose ha fatte all'anima mia. A lui con la mia bocca ho levato
la voce. Questo dice essere capitato all'anima sua: cioè, che alla sua
anima è stato dato di invocare Dio con la sua bocca. Ecco, fratelli!
Un tempo noi eravamo pagani, se non noi personalmente, almeno nei
nostri avi. E che cosa dice l'Apostolo? Voi ben sapete che, quando
eravate gentili, trascinati, correvate dietro agli idoli muti (cf. 1 Cor
12, 2). Dica ora la Chiesa: Quante cose ha fatte all'anima mia! A lui
ho levato la voce con la mia bocca. Quand'ero uomo non rigenerato,
io invocavo la pietra, invocavo il legno sordo, parlavo con gli idoli
sordi e muti; divenuto poi immagine di Dio, mi sono volto al mio
Creatore. Io che dicevo al legno: Tu sei il padre mio, e alla pietra:
Tu mi hai generato (cf. Ger 2, 27), ora dico: Padre nostro che sei
nei cieli (cf. Mt 6, 9). Lui con la mia bocca ho invocato. Con la mia
bocca, non con la bocca d'altri. Quando invocavo le pietre nella vita
vana, condotta sulla scia delle tradizioni paterne (cf. 1 Pt 1, 18), lo
facevo con la bocca altrui. Da quando, invece, ho cominciato ad
invocare il Signore dicendogli le parole che egli mi aveva donate e
ispirate, da allora ho cominciato a invocarlo con la mia bocca, e
l'ho esaltato con la mia lingua. Che significano le parole: L'ho
invocato con la mia bocca e l'ho esaltato con la mia lingua? lo l'ho
predicato pubblicamente e in segreto l'ho confessato. È ben poco
esaltare Dio con la lingua; devi esaltarlo nel tuo intimo, in modo che
quanto proclami arditamente in pubblico sia anche il tuo segreto
pensiero. Lui con la mia bocca ho invocato, e l'ho esaltato con la
mia lingua. Nota con quanta cura voglia, nel segreto, restare integro
questo tale che offre gli olocausti delle sue midolla. Così fate, o
fratelli! Imitatelo, tanto da poter dire: Venite e ascoltate quante cose
ha egli fatte all'anima mia. Perché, tutte le cose che egli racconta,
per grazia di Dio si compiono nell'anima nostra. E ora ascoltate il
resto.
Detestiamo il male dal fondo del cuore.
22. [v 18.] Se ho guardato l'ingiustizia nel mio cuore, non mi
esaudisca il Signore. Osservate al riguardo, fratelli, con quanta
facilità ogni giorno gli uomini, sia pur vergognandosene, denuncino
le ingiustizie degli altri. " Quel tale si è comportato male, ha agito in
modo infame, è uno scellerato "! Son cose che, probabilmente, si
dicono per salvare la faccia. Vedi però se il tuo cuore non sia per
caso rivolto all'ingiustizia; se per caso non pensi di fare tu stesso ciò
che rimproveri agli altri, e se il tuo gridare contro di lui si debba
all'azione cattiva in se stessa, o non piuttosto al fatto che è stato
scoperto. Ritorna in te! Sii nel tuo intimo giudice di te stesso. Ecco,
nel tuo recesso più segreto, nella vena più intima del tuo cuore, dove
sei solo tu e colui che ti vede, lì ti sia sgradita l'ingiustizia, onde
essere gradito a Dio. Non guardarla! cioè, non amarla. Piuttosto
distogli da essa lo sguardo! cioè disprezzala e allontanati da lei.
Qualunque piacere ti prometta per attirarti a peccare, qualunque
infelicità ti minacci per spingerti al male, tutto questo è niente, passa;
è degno di disprezzo e d'essere calpestato, non d'essere considerato e
voluto. Le suggestioni ci raggiungono; talvolta, attraverso i pensieri,
talaltra attraverso le parole che ci rivolgono i malvagi. È noto infatti
che le cattive conversazioni corrompono i buoni costumi (cf. 1 Cor
15, 33). Tu non degnarle di uno sguardo. Ma sarebbe poco non
volgere loro la faccia e tenere a freno la lingua; è col cuore che non
devi guardare certe cose, cioè non devi amarle, non devi accoglierle.
È molto comune dire "guardare " per " amare ". E prima di tutto, noi
lo diciamo di Dio: " Egli mi ha guardato ". Che significa: " Mi ha
guardato "? Forse che prima non ti vedeva? Oppure, guardava in alto
e dalle tue preghiere è stato spinto a volgere su di te gli occhi? Ti
vedeva anche prima, ma: " Mi ha guardato ", tu dici. Cioè, " mi ha
amato ". Anche all'uomo che ti vede e che tu preghi, tu dici: "
Guardami! ", affinché abbia misericordia di te. Ti vede, eppure tu gli
dici: " Guardami! " Che significano le parole: " Guardami "?
Significano: " Amami, prenditi cura di me, abbi compassione di me
". Non ha detto perciò: Se ho guardato l'ingiustizia nel mio cuore,
nel senso che nessuna ingiustizia possa essere mai inoculata al cuore
umano. Stimoli al male vi si cacceranno senz'altro; anzi, la
tentazione potrà essere continua. Ma, non la si guardi [con
compiacenza]. Perché, se guardi l'ingiustizia, guardi indietro, e
incorri nella sentenza del Signore che dice nel Vangelo: Chiunque
mette mano all'aratro e si volta indietro, non è adatto per il regno
di Dio (cf. Lc 9, 62). Che debbo dunque fare? Quanto dice
l'Apostolo: Dimenticando le cose che stanno dietro, teso verso
quelle che stanno avanti (cf. Fil 3, 13). Difatti, tutte le cose che ci
siamo lasciati dietro e che ormai sono passate, sono inique. Nessuno
viene a Cristo da una vita buona: tutti hanno peccato, e credendo
vengono giustificati (cf. Rm 3, 22 23). La giustizia perfetta si avrà
soltanto nell'altra vita; tuttavia per avanzare verso quella meta, lui ci
ispira e ci dona i buoni costumi. Non attribuire dunque tutto questo ai
tuoi meriti! Assolutamente no. E se ti è suggerita una qualche colpa,
non acconsentire. Che cosa dice infatti? Se ho guardato l'ingiustizia
nel mio cuore, non mi esaudisca il Signore.
23. [v 19.] Per questo, Dio mi ha esaudito: perché nel mio cuore
non ho guardato l'ingiustizia. E ha prestato attenzione alla voce
della mia preghiera.
Perseveranza nella preghiera.
24. [v 20.] Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato da me
né la mia preghiera né la sua misericordia. Sono in relazione con
quel passo ove ha detto: Venite, ascoltate, e vi racconterò, tutti voi
che temete Dio, quante cose egli ha fatte all'anima mia (cf. Sal 65,
16). Dette le cose che avete ascoltate e giunto alla fine, così ha
concluso: Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato da me né le
mie preghiere né la sua misericordia. In questo modo colui che
parla giunge alla resurrezione, dove per la speranza siamo anche noi;
o, meglio, chi pronunzia questa invocazione siamo anche noi, e tale
voce è anche la nostra voce. Finché dunque siamo qui in terra,
preghiamo Dio affinché non rimuova da noi la nostra preghiera né la
sua misericordia: cioè, affinché con perseveranza noi preghiamo e
con perseveranza egli abbia misericordia di noi. Molti infatti stentano
a pregare; e, mentre all'inizio della loro conversione pregano con
fervore, dopo pregano svogliatamente, poi con freddezza, e quindi
con frequenti omissioni: quasi fossero divenuti sicuri! È sveglio il
nemico, e tu dormi? Il Signore stesso ci ha ordinato nel Vangelo: È
necessario pregare sempre e non venir meno (cf. Lc 18, 1). E
propone la parabola di quel giudice ingiusto che non temeva Dio né
aveva rispetto per gli uomini e al quale ogni giorno si rivolgeva, per
essere udita, quella vedova. Fu vinto dalla importunità il giudice
cattivo che non era stato piegato dalla compassione; e dentro di sé
cominciò a dire: Io, veramente, non temo Dio né ho rispetto per gli
uomini; tuttavia, per la noia che ogni giorno mi arreca questa
vedova, ascolterò la sua causa e le renderò giustizia. E aggiunge il
Signore: Se un giudice iniquo ha agito così, il Padre vostro non
vendicherà i suoi eletti, che a lui gridano giorno e notte? Anzi, vi
dico: Renderà loro giustizia al più presto (cf. Lc 18, 4-8). Non
cessiamo dunque mai di pregare. Quanto ha promesso di darci, anche
se ci viene rinviato, non ci viene tolto. Sicuri della sua promessa, non
cessiamo di pregare, sapendo che anche questo è suo dono. Ecco
perché dice il salmo: Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato
da me né la mia preghiera né la sua misericordia. Quando vedrai
che la tua preghiera non è allontanata da te, sta' tranquillo! non è
rimossa da te neppure la sua misericordia.
(Agostino S., Commento al Salmo 65, ed. digitale, pp. 1095-
1121).

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