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Giovanni Paolo II
Meditazione sul Salmo 109
1. Abbiamo ascoltato uno dei Salmi più celebri nella storia della
cristianità. Il Salmo 109, che la Liturgia dei Vespri ci propone ogni
domenica, è infatti ripetutamente citato dal Nuovo Testamento.
Soprattutto i versetti 1 e 4 sono applicati a Cristo, sulla scia
dell’antica tradizione giudaica, che aveva trasfigurato questo inno da
canto regale davidico in Salmo messianico.
La popolarità di questa preghiera è dovuta anche all’uso costante
che ne fanno i Vespri della domenica. Per questo motivo il Salmo
109, nella versione latina della Vulgata, è stato oggetto di numerose
e splendide composizioni musicali che hanno punteggiato la storia
della cultura occidentale. La Liturgia, secondo la prassi scelta dal
Concilio Vaticano II, ha ritagliato dal testo originario ebraico del
Salmo, che tra l’altro è fatto di sole 63 parole, il violento versetto 6.
Esso ricalca la tonalità dei cosiddetti «Salmi imprecatori» e
descrive il re ebraico mentre avanza in una sorta di campagna
militare, schiacciando i suoi avversari e giudicando le nazioni.
2. Dato che avremo occasione di ritornare altre volte su questo
Salmo, considerato l’uso che ne fa la Liturgia, ci accontenteremo ora
di offrirne solo uno sguardo d’insieme.
Potremmo in esso distinguere nettamente due parti. La prima (cfr.
vv. 1-3) contiene un oracolo indirizzato da Dio a colui che il
Salmista chiama «il mio signore», cioè al sovrano di Gerusalemme.
L’oracolo proclama l’intronizzazione del discendente di Davide
«alla destra» di Dio. Il Signore, infatti, gli si rivolge dicendo: «Siedi
alla mia destra» (v. 1). Verosimilmente abbiamo qui la menzione di
un rituale, secondo cui l’eletto veniva fatto assidere alla destra
dell’arca dell’alleanza, così da ricevere il potere di governo dal re
supremo di Israele, ossia dal Signore.
3. Sullo sfondo si intuiscono forze ostili, neutralizzate però da una
conquista vittoriosa: i nemici sono raffigurati ai piedi del sovrano,
che incede solenne in mezzo a loro reggendo lo scettro della sua
autorità (cfr. vv. 1-2). È certamente il riflesso di una situazione
politica concreta, che si registrava nei momenti di passaggio del
potere da un re all’altro, con la ribellione di alcuni subalterni o con
tentativi di conquista. Ormai, però, il testo rimanda ad un contrasto
di indole generale tra il progetto di Dio, che opera attraverso il suo
eletto, e i disegni di coloro che vorrebbero affermare un loro potere
ostile e prevaricatore. Si ha, quindi, l’eterno scontro tra bene e male,
che si svolge all’interno di vicende storiche, mediante le quali Dio si
manifesta e ci parla.
4. La seconda parte del Salmo contiene, invece, un oracolo
sacerdotale, che ha ancora per protagonista il re davidico (cfr. vv. 4-
7). Garantita da un solenne giuramento divino, la dignità regale
unisce in sé anche quella sacerdotale. Il riferimento a Melchidesek,
re-sacerdote di Salem, cioè dell’antica Gerusalemme (cfr. Gn 14), è
forse la via per giustificare il particolare sacerdozio del re accanto a
quello ufficiale levitico del tempio di Sion. È noto, poi, che la Lettera
agli Ebrei partirà proprio da questo oracolo: «Tu sei sacerdote per
sempre, al modo di Melchidesek» (Sal 109, 4), per illustrare il
particolare e perfetto sacerdozio di Gesù Cristo.
Esamineremo in seguito più a fondo il Salmo 109, percorrendone
con analisi attenta i singoli versetti.
5. A conclusione, però, vorremmo rileggere il versetto iniziale del
Salmo con l’oracolo divino: «Siedi alla mia destra, finché io ponga i
tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi». E lo faremo con san Massimo
di Torino (quarto-quinto secolo), il quale nel suo Sermone sulla
Pentecoste così lo commenta: «Secondo la nostra consuetudine la
condivisione del seggio è offerta a colui che, compiuta qualche
impresa, giungendo vincitore merita di sedere in segno di onore.
Così dunque anche l’uomo Gesù Cristo, vincendo con la sua
passione il diavolo, schiudendo con la sua risurrezione i regni di
sotterra, giungendo vittorioso al cielo come dopo aver compiuto
un’impresa, ascolta da Dio Padre questo invito: "Siedi alla mia
destra". Né dobbiamo meravigliarci se dal Padre viene offerta la
condivisione del seggio al Figlio, che per natura è di un’unica
sostanza col Padre… Il Figlio siede alla destra perché, secondo il
Vangelo, a destra staranno le pecore, a sinistra invece i capri. È
necessario dunque che il primo Agnello occupi la parte delle pecore
e il Capo immacolato prenda possesso in anticipo del luogo destinato
al gregge immacolato che lo seguirà» (40,2: Scriptores circa
Ambrosium, IV, Milano-Roma 1991, p. 195).
(Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 26 Novembre 2003)
https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/2003/
documents/hf_jp-ii_aud_20031126.html
Garofalo
Il pane del miracolo.
L’importanza evangelica ed ecclesiale del miracolo della
moltiplicazione dei pani risulta dal fatto che il quarto vangelo (Gv 6,
1-15. cf. XVII Dom. ord., anno B) coincide con i Sinottici (Mc 6,35-
44; Mt 14, 13-21, cf. XVIII Dom. ord., anno A) in questo solo
episodio della vita pubblica di Gesù. Questa significativa
coincidenza è dovuta appunto alla carica simbolica del prodigio in
rapporto con il mistero eucaristico, esplicitamente rilevata da
Giovanni (c. 6).
Il miracolo avvenne verso la fine del ministero di Gesù in Galilea,
in prossimità della festa pasquale, come nota il quarto vangelo. È il
tempo che vede Gesù distaccarsi dalla folla per consacrarsi a
preparare i discepoli alla sua tragica fine e al compimento del suo
mistero pasquale (cf. Lc 9, 18-45).
Sulla riva orientale del lago di Tiberiade, nelle vicinanze di
Cafarnao, la folla si stringe più che mai intorno a Gesù, prodigo delle
sue parole e di interventi prodigiosi. Quando il giorno «cominciava a
declinare» (come nella cena di Emmaus, Lc 24, 29) gli apostoli sono
vivamente preoccupati per la moltitudine che, trovandosi in una zona
deserta, non ha tempo di recarsi nei più vicini villaggi per rifocillarsi.
Luca e il solo a prospettare anche la necessità di un alloggio, forse
perché i suoi lettori greci non potevano sapere che, alla fine della
stagione delle piogge, nei dintorni del lago, a circa duecento metri
sotto il livello del Mediterraneo, pernottare all’aperto con la sola
protezione di un mantello non era un problema.
L’ordine di Gesù agli apostoli di provvedere per conto loro a
sfamare la gente era praticamente ineseguibile, anche facendo ricorso
alle provviste che i più previdenti avevano portato con sé, dato che
tutto. si riduceva a cinque pani e due pesci affumicati e salati, di
minuscole proporzioni (cf. Gv 6, 9.11: «pesciolini»). È chiaro che il
Maestro intende attirare l’attenzione sulla singolare portata del gesto
che si accinge a compiere. Egli incarica i discepoli di distribuire i
cinquemila presenti in gruppi di cinquanta, come a prepararsi a una
tavolata, e dopo aver benedetto le esigue provviste, con la formula
d’uso «Benedetto sii tu, Signore, Dio nostro, re del mondo, che
produci il pane per la terra», ne ordina la distribuzione. Una
particolare attenzione è rivolta al pane, del quale più propriamente si
può dire che viene spezzato: esso, infatti, aveva la forma di una
focaccia rotonda e bassa, piuttosto morbida, che veniva ridotta in
pezzi quasi stracciandola.
Come in realtà si sia realizzato il miracolo non interessa gli
evangelisti, i quali fanno anche a meno di riferire le reazioni degli
astanti, mentre sottolineano la raccolta dei resti avanzati in dodici
ceste di giunchi, che erano borsa e valigia per gli ebrei e di cui uno
splendido esemplare contemporaneo al fatto evangelico è stato
rinvenuto negli scavi di Masàda a ovest del Mar Morto.
Sant’Agostino, nel commento a Giovanni, vede nel miracolo un
gesto creativo: «Il potere era nelle mani di Cristo: quei cinque pani
erano come semi, non gettati nella terra, ma moltiplicati da colui che
fece la terra». Un gesto di onnipotenza e di amore, perché la
tenerezza dimostrata da Gesù (Cf Mt v. 14 e Mc v. 34) verso la folla
nell’insegnare e nel guarire i malati acquista un tono particolare nella
sua premura nel provvedere anche al bisogno materiale di tutti. È la
bontà del Pastore per il suo gregge, come è la regale generosità del
Capo (cf. Mc v. 34), che culminano nell’amore supremo che lo
indusse a donarsi nell’Eucaristia (Gv 13, 1).
Al tempo di Mosè, Dio aveva donato dal cielo la manna per
sostentare il popolo eletto durante la peregrinazione del deserto e nel
deserto suo Figlio dà un cibo che prelude al nutrimento più
essenziale, il dono incomparabilmente più prezioso: il vero pane
della vita che viene dal cielo: «Colui che scende dal cielo e dà la vita
al mondo», Gesù, che sazierà con la sua carne la più profonda e
urgente fame (Gv 6,32-34).
La raccolta dei frammenti di pane avanzati non solo corrisponde
al grande rispetto che gli ebrei avevano per esso, ma sembra voler
dire che il vero pane che darà Gesù, a differenza dell’antica manna,
che imputridiva se veniva conservata (Es 16, 20), avrà sostanza e
gusto di eternità.
Non va sottovalutato un altro elemento del racconto evangelico:
la parte privilegiata che gli apostoli hanno nello svolgersi del
miracolo. È Cristo a moltiplicare il pane, ma egli lo passa ai
discepoli, secondo i Sinottici, perché siano essi a dispensarlo al
popolo, quasi ad anticipare le parole divine della istituzione
eucaristica: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19; cf. II
lettura). Altre tracce del riferimento all’Eucaristia si trovano nelle
parole e nei gesti di Gesù, che prega sul pane, lo spezza e lo
distribuisce (cf. Lc 22, 19). È noto che fin dall’inizio della Chiesa la
celebrazione eucaristica è indicata come “fractio panis” (At 2,42; 20,
7).
La prima lettura della odierna Liturgia della Parola propone il
testo forse più misterioso dell’Antico Testamento, nel quale compare
l’enigmatico personaggio di Melchisedek, evocato nel Salmo 109, 4
per qualificare il sacerdozio eterno del Messia. Anche in un testo
degli asceti di Qumran Melchisedek è messo in relazione con l’opera
del Messia.
L’antico re di Salem e sacerdote del Dio Altissimo andò incontro
ad Abramo, padre di tutti i credenti, e offri pane e vino in «oblazione
pura e santa» (Canone romano): remota e arcana prefigurazione
dell’«offerta unica» (Eb 7, 27) di Cristo, «garante di un’alleanza
migliore» (Eb 7,22). Secondo la dottrina cattolica richiamata dal
Concilio Vaticano II (Dei Verbum, n. 15), nell’orientamento generale
dell’Antico Testamento verso il Nuovo, Dio dispose anche che alcuni
personaggi, eventi o istituti, delineassero in anticipo e in qualche
modo alcuni aspetti della persona e dell’opera del futuro Messia. È il
cosiddetto «senso tipico» della Bibbia.
L’Eucaristia è la perenne fonte di vita aperta da Cristo nella
Chiesa. «La Chiesa cattolica ha sempre religiosamente custodito
come preziosissimo tesoro l’ineffabile mistero di fede che è il dono
dell’Eucaristia, largitole dal suo Sposo Cristo come pegno del suo
immenso amore, e ad esso nel Concilio Vaticano II ha tributato una
nuova e solennissima professione di fede e di culto. Difatti i Padri
del Concilio, trattando della restaurazione della sacra liturgia... niente
hanno avuto più a cuore che esortare i fedeli affinché con integra
fede e somma pietà partecipino attivamente alla celebrazione di
questo sacrosanto mistero, offrendolo unitariamente al sacerdote
come sacrificio a Dio per la salvezza propria e di tutto il mondo e
nutrendosi di esso come spirituale alimento. Giacché se la sacra
liturgia occupa il primo posto nella vita della Chiesa, il mistero
eucaristico è come il cuore e il centro della sacra liturgia, in quanto è
la fonte della vita che ci purifica e ci corrobora in modo che viviamo
non più per noi, ma per Dio, e tra noi stessi ci uniamo con il vincolo
strettissimo della carità» (Paolo VI, Enc. «Mysterium fidei», 3 Sett.
1965).
(Garofalo S., Parole di vita, Vaticano 1981, 201 – 205).
Stock
Vita e comunione con Dio
Nel suo Vangelo Luca descrive spesso che Gesù è invitato a un
banchetto; che nelle sue parabole Gesù parla del banchetto, e che egli
stesso invita al banchetto. Il banchetto ha una grande importanza
nell’opera di Gesù. II primo personaggio che invita Gesù al
banchetto è il pubblicano Levi. Presso di lui Gesù siede a mensa con
pubblicani e peccatori, suscita l’indignazione dei farisei e dichiara di
non essere venuto per respingere i peccatori, ma per chiamarli a
conversione (5,28-32). L’ultimo personaggio presso il quale Gesù
siede a mensa e presso il quale egli stesso si è invitato è il pubblicano
Zaccheo. Anche a lui Gesù porta la salvezza: «Il Figlio dell’uomo
infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (19,10).
Tra questi due incontri Gesù viene invitato alcune volte da farisei
(7,36; 11,37; 14,1); in questi casi il banchetto è un’occasione per
discutere dei loro punti di vista differenti. Riguardo al banchetto nel
regno di Dio, Gesù racconta la parabola dell’invito ad una grande
cena (14,15.24). Anche Gesù invita al banchetto. Fa preparare il
banchetto pasquale e celebra la Pasqua assieme ai suoi dodici
apostoli e inserisce in questo avvenimento l’Eucaristia: dona agli
apostoli nel pane il suo corpo, che viene offerto per loro; e nel vino il
suo sangue, che viene versato per loro (22,19-20). Anche nella cena
con i due discepoli a Emmaus Gesù è colui che presiede il banchetto,
spezza il pane e lo distribuisce (24,30.35). La moltiplicazione dei
pani per i cinquemila nel luogo deserto è anche un banchetto serale
in cui Gesù è colui che ospita e che ha la presidenza.
I dodici apostoli, che sono appena tornati dalla loro prima
missione (9,16.10) sanno di che cosa hanno bisogno gli uomini.
Propongono a Gesù di congedare tutte quelle persone, perché si
disperdano e cerchino nutrimento e alloggio nei luoghi vicini.
Certamente è bello il fatto che Gesù abbia un tale potere di attrazione
da radunare tanti uomini per ascoltare il suo messaggio sul regno di
Dio ed essere guariti da lui; ma i discepoli sanno che ogni uomo ha
un radicale bisogno di nutrimento. Che lo voglia o no, ogni uomo
dipende dal cibo, deve cercare qualcosa da mangiare, se vuole
sopravvivere. Su questo bisogno fondamentale si appoggia anche la
prima tentazione del diavolo a Gesù, nella quale Gesù viene invitato
a trasformare una pietra in pane, per placare la sua fame. Già in
questa occasione Gesù chiarisce che l’uomo non deve lasciarsi
dominare da questo bisogno fondamentale e che la sua vita ha anche
un’altra dimensione: «Non di solo pane vivrà l’uomo» (4,4). Questo
bisogno ha anche un significato fondamentale per il rapporto tra gli
uomini, per la guerra e la pace. La necessità può spingerli a lavorare
insieme e a occuparsi insieme della produzione del cibo, e al
godimento delle vivande in un banchetto comune. Ma possono essere
anche portati a contendersi reciprocamente il cibo, a volersi
danneggiare e persino sterminare nella lotta per il terreno, nella lotta
per l’acqua e nella lotta per le basi della vita.
Gesù è d’accordo con i Dodici sul fatto che gli uomini hanno
bisogno di mangiare; tuttavia non accetta la loro proposta, ma
assegna loro un compito: «Date loro voi stessi da mangiare» (9,13).
I Dodici vedono solo la possibilità di andare essi stessi, al posto della
folla, a comprare il cibo. Da questo momento, dopo che sono state
chiarite le possibilità umane, tutto viene determinato da Gesù; ma
egli richiede continuamente il servizio dei suoi discepoli. Essi
devono preoccuparsi del fatto che gli uomini non rimangano una
grande massa, ma si raccolgano in gruppi di cinquanta, disposti come
per un banchetto. Poi Gesù agisce come il padrone di casa, che
ringrazia Dio creatore, da cui proviene ogni vita e anche ogni
nutrimento, e spezza i cinque pani che sono lì. Di nuovo egli
impegna i suoi discepoli: essi ricevono i pezzi di pane e devono
distribuirli a tutti i presenti. Gesù li rende capaci di realizzare il
compito loro assegnato: «Date loro voi stessi da mangiare». Come in
futuro essi dovranno annunciare il messaggio di Gesù, così dovranno
trasmettere agli uomini anche l’Eucaristia.
Ciò che opera l’agire dei discepoli per incarico di Gesù appare dal
risultato: non soltanto tutti i presenti sono saziati, ma rimangono
anche dodici ceste di pezzi di pane. Gesù si è preoccupato del
bisogno fondamentale di cibo, dandolo in sovrabbondanza, e di
questa moltitudine di persone ha fatto una grande, amichevole e
gioiosa comunità. In altre occasioni egli ha guarito singoli malati e li
ha liberati dalla loro sofferenza. Ha mostrato di essere sensibile al
bisogno degli uomini, di volerli aiutare e guarirli, e di avere il potere
di realizzare questa intenzione. Tuttavia il più grande male per gli
uomini non sono le loro infermità corporali, ma è il loro rapporto
distorto con Dio. Perciò Gesù dice al paralitico: «I tuoi peccati ti
sono perdonati» (5,20), prima di guarirlo. La missione e il compito
particolare di Gesù sono di ricondurre gli uomini a Dio e di
riconciliarli con lui. Nella comunione con Dio è data loro la piena
salvezza. Le guarigioni dei malati sono segni di questo compito
fondamentale di Gesù.
Nel grande banchetto Gesù non si preoccupa più di singoli
uomini, ma, come nel suo messaggio e nel suo insegnamento, egli si
rivolge a tutta la folla. Ha il potere di aver cura della vita della folla e
di fare di essa una grande comunità. Il suo desiderio è che questi
uomini possano vivere, e che possano vivere nella pace e
nell’amicizia. Perciò stabilisce i suoi discepoli come aiutanti e
intermediari, per mezzo dei quali il suo dono viene partecipato al
popolo. L’agire di Gesù è di nuovo un segno. Egli non ha il compito
di offrire continuamente agli uomini pane per la vita terrena.
Il fine della sua missione è la comunione degli uomini con Dio.
Solo per mezzo dell’unione vitale con Dio viene donata loro la vita
vera che non tramonta; e se essi vivono questa unione con Dio, allora
formano anche tra loro una comunità fraterna. Il grande banchetto
manifesta che Gesù può mostrare il cammino verso questa
comunione con Dio e può donare tale comunione. Chi va da lui, chi
ascolta il suo messaggio sul regno di Dio, chi vive secondo il suo
insegnamento, chi crede in lui ed è unito a lui in modo vitale, riceve
in dono da lui la comunione con Dio. Il compito dei discepoli è
quello di vivere nell’unione con Gesù e secondo le sue istruzioni, e
così condurre gli uomini a Gesù.
Ciò che il grande banchetto annuncia, viene confermato per
mezzo dell’Eucaristia e mantenuto continuamente presente e vivo. Al
centro dell’Eucaristia c’è la comunione con Gesù come cammino
verso la pienezza di vita, verso la comunione con Dio. Nel pane e nel
vino Gesù dona ai discepoli il suo corpo e il suo sangue (22,19-20),
se stesso. E il corpo che è dato, e il sangue che è versato; è Gesù, che
offre la propria vita per riconciliare gli uomini con Dio e donare loro
la comunione con Dio. Quando nel pane mangiano il suo corpo e nel
vino bevono il suo sangue, essi allora sono legati a lui nel modo più
stretto possibile e hanno per mezzo di lui la vita, la comunione con
Dio. Assegnando ai discepoli il compito: «Fate questo in memoria di
me» (22,19), Gesù dice loro che l’Eucaristia deve accompagnare
sempre loro e tutti quelli che essi avranno introdotti nella sequela di
Gesù, per tutto il tempo della Chiesa.
L’Eucaristia dona la comunione con Gesù e con Dio non in modo
visibile, ma nella fede. Gesù però ha annunciato anche il banchetto
nel regno di Dio (22,16.18). Lì si realizzerà pienamente ciò che egli
ha indicato con il grande banchetto e ha donato nell’Eucaristia. Chi
risorge con Gesù, vivrà con lui in comunione con Dio Padre e così
sperimenterà la pienezza di vita.
Domande:
1. Gesù partecipa spesso a un banchetto: che cosa significa il
banchetto? Che cosa avviene nei diversi banchetti?
2. Che cosa indica Gesù con il grande banchetto? Qual è il
compito dei discepoli?
3. Come sono legati tra loro Eucaristia e banchetto celeste?
(Stock K., La Liturgia de la Parola. Spiegazione dei Vangeli
domenicali e festivi, Anno C (Luca), ADP, Roma 2003, 180-184).
Vanhoye
Festa del dono grandissimo
Celebriamo una festa che dev’essere molto cara ai nostri cuori,
perché è la festa del dono grandissimo che Gesù ci ha fatto prima
della sua passione.
La generosità del Signore si manifesta nel Vangelo di oggi, ma
ancor più nella seconda lettura, che racconta l’Ultima Cena. La prima
lettura, tratta da libro della Genesi, ci dà una luce complementare su
questo profondo mistero.
Nel Vangelo apprezziamo la generosità di Gesù. Molta gente lo
ha seguito per ascoltare la sua parola e per chiedergli di guarire i
malati. Ora il giorno comincia a declinare, e la gente ha fame.
Di fronte a questa situazione, i discepoli propongono a Gesù una
soluzione realistica, di buon senso: pensano che sia giunto il
momento di congedare la folla, perché vada nei villaggi a trovare
cibo e alloggio.
Gesù invece suggerisce una soluzione completamente diversa; dice ai
discepoli: «Dategli voi stessi da mangiare».
I discepoli fanno notare a Gesù che è impossibile trovare il cibo
sufficiente per tanta gente: ci sono soltanto cinque pani e due pesci.
Ma Gesù ordina: «Fateli sedere per gruppi di cinquanta». Poi prende
nelle sue mani il poco cibo che è a disposizione e si mette in
relazione con il Padre celeste — leva gli occhi al cielo e pronuncia la
benedizione —, aprendo così la via per la moltiplicazione dei pani.
Quindi spezza i cinque pani, li dà ai discepoli, perché li
distribuiscano alla folla. Così tutti possono mangiare a sazietà.
Questo miracolo manifesta la potenza di Gesù, e nello stesso
tempo la sua generosità. Tutto viene dalla sua unione con il Padre:
Gesù leva gli occhi al cielo e pronuncia la benedizione, perché «ogni
buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal
Padre della luce», come dice Giacomo (1,17). Gesù è sempre unito
al Padre nell’amore riconoscente, filiale, e così può compiere
miracoli.
Ma questo episodio in realtà è un episodio profetico, che annuncia
un’altra moltiplicazione: quella del pane eucaristico, che è una
manifestazione molto più importante della generosità del cuore di
Gesù. Dicendo ai discepoli: «Fate questo in memoria di me» (Lc
22,19 e par.; 1 Cor 11,24), Gesù ha aperto la via per la
moltiplicazione del pane eucaristico.
Nella seconda lettura Paolo ci racconta l’istituzione
dell’Eucaristia nell’Ultima Cena.
L’inizio del brano: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva
tradito...», ci ricorda le circostanze dolorose, ingiuste in cui Gesù
istituisce l’Eucaristia. Egli sa di essere tradito. Dai Vangeli sappiamo
che egli aveva già annunciato esplicitamente: «In verità vi dico, uno
di voi, colui che mangia con me, mi tradirà» (Mc 14,18 e par.).
Ora, essendo consapevole di tutta la sua passione come
conseguenza del tradimento, e quindi di tutte le sofferenze e
umiliazioni che dovrà subire, Gesù le prende in anticipo e ne fa
l’occasione di un dono completo di se stesso. Cioè, prende in
anticipo l’elemento di rottura (il tradimento, la sofferenza, la morte),
per trasformarlo in elemento di alleanza. Prendendo il calice, dice:
«Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue».
Si tratta di una trasformazione straordinaria, che manifesta tutta la
generosità del cuore di Gesù. Egli ha avuto la capacità di prendere
occasione dalle circostanze più contrarie e dolorose per andare fino
all’estremo dell’amore. Dare il proprio corpo e il proprio sangue è un
eccesso di amore, che noi non riusciremo mai a capire abbastanza.
Quando riceviamo la Comunione, riceviamo in noi lo stesso
dinamismo di amore che Gesù ha manifestato nell’Ultima Cena.
Quindi anche noi dobbiamo diventare capaci di prendere occasione
dalle ingiustizie, dalle offese, da tutto ciò che è contrario all’amore,
per ottenere la vittoria dell’amore, in unione con Cristo.
L’Eucaristia ha lo scopo d’introdurci nel regno dell’amore e di
renderci capaci di vincere in qualsiasi circostanza, anche in quelle
più ingiuste, dolorose e umilianti. La gioia di Gesù sarà nei nostri
cuori, se saremo uniti a lui nel suo mistero eucaristico.
La prima lettura ci offre una luce complementare. Ci racconta
l’episodio in cui Melchisedek, re di Salem, offri pane e vino. C’è
quindi un rapporto tra questo episodio del libro della Genesi e
l’istituzione eucaristica, in cui Gesù offre anche lui il pane e il vino.
In questo episodio si può notare anche un altro particolare:
Melchisedek è sacerdote del Dio altissimo. Mettendo in rapporto
questo elemento con l’istituzione eucaristica, possiamo capire che
Gesù nell’Ultima Cena si è comportato come un sacerdote.
In realtà egli ha offerto un sacrificio, il sacrificio più perfetto che
ci sia. Ha accettato che il suo corpo e il suo sangue fossero immolati,
per propagare l’amore di Dio in tutto il mondo, per vincere la morte,
il peccato, e dare a tutti gli uomini la possibilità di procedere
vittoriosamente nella stessa direzione.
Il sacrificio di Gesù è il più perfetto che ci sia. Le immolazioni di
animali erano sacrifici imperfetti, in quanto gli animali sono privi di
coscienza. L’uccisione di un animale comportava certamente una
perdita per il suo proprietario, e in questo senso si può parlare di
«sacrificio»; ma dal punto di vista della mediazione con Dio, essa
non aveva nessun valore reale.
Invece, il sacrificio di Cristo ha un valore reale di mediazione, di
fondazione della nuova alleanza. Esso ci mette in relazione con Dio e
con i fratelli in un modo insuperabile.
Accogliamo in noi questo dono magnifico del Signore, questa
manifestazione della sua infinita generosità. Accogliamolo con
riconoscenza, ma anche impegnando la nostra generosità. Infatti, non
si tratta di accogliere l’Eucaristia in modo solo passivo, ma anche
attivo. Dobbiamo accettare che il suo dinamismo trasformi tutta la
nostra vita in offerta generosa a Dio, per il bene dei nostri fratelli.
(Vanhoye A., Le Letture Bibliche delle Domeniche, Anno C,
ADP, Roma 2003, 164-166).
Benedetto XVI
Tutti ne mangiarono e si saziarono
"Tutti ne mangiarono e si saziarono" (cfr. Lc 9,11 b-17). Vorrei in
primo luogo sottolineare questo "tutti". È infatti desiderio del
Signore che ogni essere umano si nutra dell’Eucaristia, perché
l’Eucaristia è per tutti. Se nel Giovedì Santo viene posto in evidenza
lo stretto rapporto che esiste tra l’Ultima Cena e il mistero della
morte di Gesù in croce, quest’oggi, festa del Corpus Domini, con la
processione e l’adorazione corale dell’Eucaristia si richiama
l’attenzione sul fatto che Cristo si è immolato per l’intera umanità. Il
suo passaggio fra le case e per le strade della nostra Città sarà per
coloro che vi abitano un’offerta di gioia, di vita immortale, di pace e
di amore. Nel brano evangelico, un secondo elemento salta
all’occhio: il miracolo compiuto dal Signore contiene un esplicito
invito ad offrire ciascuno il proprio contributo. I cinque pani e i due
pesci stanno ad indicare il nostro apporto, povero ma necessario, che
Egli trasforma in dono di amore per tutti. "Cristo ancora oggi- ho
scritto nella [...] Esortazione post-sinodale [Sacramentum caritatis] –
continua ad esortare i suoi discepoli ad impegnarsi in prima persona"
(n. 88). L’Eucaristia è dunque una chiamata alla santità e al dono di
sé ai fratelli, perché "la vocazione di ciascuno di noi è quella di
essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo"
(ibid.) ...In processione, quasi a portare idealmente il Signore Gesù
per tutte le vie e i quartieri... lo immergeremo, per così dire, nella
quotidianità della nostra vita, perché Egli cammini dove noi
camminiamo, perché Egli viva dove noi viviamo. Sappiamo infatti,
come ci ha ricordato l’apostolo Paolo nella Lettera ai Corinzi, che in
ogni Eucaristia... noi "annunziamo la morte del Signore finché egli
venga" (cfr. 1Cor 11, 26). Noi camminiamo sulle strade del mondo
sapendo di aver Lui al fianco, sorretti dalla speranza di poterlo un
giorno vedere a viso svelato nell’incontro definitivo. Intanto già ora
noi ascoltiamo la sua voce che ripete, come leggiamo nel Libro
dell’Apocalisse: "Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta
la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli
con me’~ (Ap 3,20). La festa del Corpus Domini vuole rendere
percepibile, nonostante la durezza del nostro udito interiore, questo
bussare del Signore. Gesù bussa alla porta del nostro cuore e ci
chiede di entrare non soltanto per lo spazio di un giorno, ma per
sempre. Lo accogliamo con gioia elevando a Lui la corale
invocazione della Liturgia: "Buon Pastore, vero pane, l o Gesù, pietà
di noi (. . .) Tu che tutto sai e puoi, l che ci nutri sulla terra, /conduci
i tuoi fratelli l alla tavola del cielo l nella gioia dei tuoi santi". Amen!
(Santa Messa nella Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di
Cristo, 7 giugno 2007).
Briciole
I. Festa liturgica.
L’origine della festa del Corpus Christi va associata col sorgere di
una nuova pietà eucaristica nel Medioevo che accentuava la presenza
di Cristo nel Santissimo Sacramento. La causa prossima
dell’introduzione della festa furono le rivelazioni della beata
Giuliana (1193-1258), monaca agostiniana del convento di Mont-
Cornillon, vicino a Liegi. La materia delle rivelazioni fu presentata ai
teologi (tra i quali c’era il futuro papa Urbano IV), e dopo aver
ricevuto il loro verdetto, nell’anno 1246, la festa fu introdotta nella
diocesi di Liegi e celebrata il giovedì nell’ottava della SS. Trinità.
Urbano IV estende la festa a tutta la Chiesa nel 1264; ma la sua
morte non ha permesso la promulgazione del documento. Solo dopo
aver pubblicato la bolla di papa Giovanni XXII, nell’anno 1317, la
festa fu accolta in tutto il mondo.
La prima menzione della processione in questo giorno proviene
da Colonia (1277-1279); nel secolo XIV la conoscono già le altre
diocesi di Germania, Inghilterra e Francia, e Roma stessa verso il
1350. Sul territorio di Germania, all’inizio del XV secolo, la
processione del Corpus Christi fu legata alla supplica per il buon
tempo ed il buon raccolto. Presso quattro altari si cantavano gli inizi
dei quattro Vangeli: era comune la convinzione che il canto di questi
brani avrebbe portato un particolare aiuto e protezione da tutti i
pericoli.
La processione supplicante diventa importante per i fedeli, che
fanno tutto per renderla più splendida. Sotto l’influsso della Riforma,
la processione assume un altro carattere, diventa la professione di
fede nella reale presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento. Si
continua a cantare l’inizio dei Vangeli, ma questa prassi viene
interpretata in altro modo: sotto le specie del pane è presente Cristo
in mezzo a noi, Cristo che una volta ha vissuto sulla terra e il cui
Vangelo è adesso annunciato.
Pio IX, nell’anno 1849, in segno di gratitudine per il felice ritorno
dall’esilio, costituì la festa del Preziosissimo Sangue di Cristo. Dato
che la festa del Corpo di Cristo è nello stesso tempo festa del Sangue
di Cristo, il nuovo calendario sopprime la festa del 1° luglio e alla
festa del Corpus Christi dà nome: Solennità del Santissimo Corpo e
Sangue di Cristo.
Cristo nel «mirabile Sacramento ci ha lasciato il memoriale della
sua Pasqua» e la Chiesa, attraverso i secoli, celebrando l’Eucaristia
«annuncia la morte del Signore, proclama la sua Risurrezione ed
attende la sua venuta nella gloria». Cristo in modo mirabile rimane in
mezzo a noi: ci fa partecipare al suo Sacrificio di Redenzione e si fa
cibo per noi. Egli offre il suo Corpo per noi; il suo Sangue comporta
la remissione dei peccati. Il Sacrificio di Gesù porta pace e salvezza
a tutto il mondo. La Chiesa si nutre del Corpo e del Sangue del
Signore: e allora tutti i suoi figli diventano «un solo corpo e un solo
spirito in Cristo». La potenza dello Spirito Santo riveste tutti i
credenti e fa sí che essi diventino in Cristo il sacrificio vivente a
gloria di Dio Padre. L’Eucaristia diviene per chi crede il preannunzio
della piena partecipazione alla vita di Dio nell’eternità, è il pegno
della vita eterna. «Chi mangia il mio Corpo e beve il mio Sangue
avrà la vita «eterna», disse il Signore.
Cristo Signore è presente in mezzo a noi nel Santissimo
Sacramento. La coscienza di ciò porta all’adorazione e alla lode,
specialmente nella Solennità del Corpo e del Sangue del Signore. In
questo giorno, il popolo cristiano dà pubblicamente e con pietà la
testimonianza della sua fede nell’Eucaristia, esce in processione sulle
strade con canti di lode.
Mistero della Cena!
Ci nutriamo di Cristo,
si fa memoria della sua passione,
l’anima è ricolma di grazia,
ci è donato il pegno della gloria.
(Liturgia Horarum, III: Sanctissimi Corporis et Sanguinis Christi,
ad II Vesperas, ad Magnificat).
San Tommaso
I. Le dimensioni dell’Eucaristia
Questo sacramento ha tre significati.
1°) Il primo riguarda il passato, in quanto cioè esso commemora
la passione del Signore, passione che fu un vero sacrificio. E da
questo punto di vista è detto sacrificio.
2°) Il secondo significato riguarda invece l’effetto presente, cioè
l’unità ecclesiale, nella quale gli uomini vengono inseriti per mezzo
di questo sacramento. E per tale motivo esso è detto comunione, o
sinassi: spiega infatti il Damasceno [De fide orth., 4, 13] che «è detto
comunione perché attraverso di esso comunichiamo con Cristo,
partecipiamo della sua umanità e divinità e facciamo comunione
unendoci fra di noi scambievolmente».
3°) Il terzo significato infine riguarda il futuro: poiché questo
sacramento è prefigurativo della fruizione di Dio che avverrà nella
patria. E sotto questo aspetto esso è detto viatico, in quanto ci
fornisce la via per giungervi. - E per la stessa ragione è detto
anche Eucaristia, cioè buona grazia, poiché «la grazia di Dio è la
vita eterna», come dice S. Paolo [Rm 6, 23]; oppure perché contiene
Cristo, che è «pieno di grazia». In greco poi è detto pure metalessi,
cioè assunzione, poiché, come spiega il Damasceno [l. cit.], «con
esso noi assumiamo la divinità del Figlio».
(STh 3, 73, 4).
Fabro
Festa del Corpus Domini
Oggi è la solennità del Corpo del Signore: una pausa
nell’incalzare del tempo ed un secondo Natale di Gesù in questo
deserto del nostro mondo.
Come il mistero della SS. Trinità presenta alla contemplazione
dell’anima la realtà del principio e della fine del nostro essere
nell’abisso insondabile della vita divina, il mistero della presenza
reale: del Signore nel Sacramento dell’Eucaristia ci dona il mezzo, il
cibo e la bevanda discesi dal cielo, per alimentare questa vita ed
affrontare il cammino verso la vita eterna.
La solennità odierna del Corpus Domini fu istituita nel 1264 da
Urbano IV per celebrare il miracolo di Bolsena: un sacerdote boemo
pellegrino in viaggio per Roma stava celebrando la S. Messa nella
Chiesa di S. Cristina ch’è vicina alla Porta Romana, quando l’assalì
un dubbio sulla presenza reale di Gesù nel Sacramento; ed ecco al
momento della frazione dell’ostia, sprizzare un rivolo di sangue vivo
che innaffiò il corporale e fin la pietra dell’altare fra la costernazione
del poveretto. È questo il miracolo Eucaristico più insigne e nello
splendore del Duomo di Orvieto si conserva il S. Corporale ancora
irrorato del Sangue del Figlio di Dio. Il Papa affidò a S. Tommaso
d’Aquino, teologo presso la corte papale, di comporre la Messa e
l’Ufficio del Corpus Domini che sono forse le gemme più splendenti
della liturgia cattolica. Il breve tratto evangelico celebra la grande
promessa dell’Eucaristia che si legge in S. Giovanni (cfr. Gv., 6, 56-
59).
L’Eucaristia è il sacramento della presenza reale del Corpo e del
Sangue di Nostro Signor Gesù Cristo, sotto la specie o apparenze del
pane e del vino, per la santificazione delle anime. Grazie all’unità
indissolubile della natura umana con la Persona del Cristo, Verbo
incarnato, il quale glorificato siede alla destra del Padre, noi
dobbiamo credere che sotto la specie del pane consacrato, non è
presente soltanto il Corpo di G. Cristo ma per concomitanza si
trovano anche il Sangue e la divinità, così anche sotto la specie del
Sangue si trovano il Corpo e la divinità.
Si parla di specie del pane e di specie del vino, perché in virtù
delle parole pronunciate dal sacerdote nella consacrazione, la
sostanza del pane si muta mirabilmente nella sostanza del Corpo di
Cristo e la sostanza del vino in quella del Suo Sangue e questa
mirabile conversione è chiamata dalla Santa Chiesa
«transustanziazione»: così sull’altare, dopo la consacrazione, del
pane e del vino non restano che le apparenze o accidenti che i sensi -
gli occhi, il gusto, il tatto, l’olfatto... - continuano a percepire. In
virtù della presenza reale sacramentale di Cristo sotto le specie
consacrate del pane e del vino, si deve al Sacramento dell’Eucaristia
il culto assoluto di latria come al Dio vivo e vero che abita fra noi e
si comunica realmente alle anime nostre. In questi princìpi si
raccoglie la dottrina cattolica sul sacramento dell’amore nel quale
Dio scende veramente dal cielo in terra, appena il sacerdote
pronuncia sul pane e sul vino, in virtù del sacro carattere ricevuto, le
parole della consacrazione.
L’Eucaristia, come dice il termine, è «buona grazia»: anzi è la
grazia più buona, la grazia più graziosa che Dio abbia fatto all’uomo
e che l’uomo possa offrire a Dio, quella dell’Agnello divino Cristo
Gesù che ritorna nel mondo e discende misticamente nelle anime
come nel suo tempio di amore.
Dio, in virtù della sua immensità e della causalità universale, è
presente dappertutto: è questa divina presenza che sostiene tutte le
cose nell’essere e ciascuna nella propria natura e operazione. Questa
presenza universale di Dio è più intima alle cose che non le cose a se
stesse, perché essa è il fondamento e il principio della loro esistenza:
come la luce illumina la trasparenza dell’aria fin quando il sole la
penetra dall’alto coi suoi raggi, così le cose esistono e son quel che
sono fin quando Dio, ch’è il sole da cui si sprigiona l’energia fontale
per tutte le cose, si comunica alle medesime ed ogni cosa cadrebbe
nel nulla appena Dio sospendesse il raggio della sua onnipotenza.
Questa è la prima e fondamentale presenza di Dio ch’è comune a
tutto: le cose corporali e spirituali, buone o cattive, in quanto sono
state create dal nulla: questa presenza divina universale costituisce
già un dono d’infinito amore che elevava l’anima dei santi - come
quella di S. Francesco, cantore della natura - alla contemplazione
estatica e gioiosa del Sommo Bene.
Incomparabilmente più alta di questa presenza naturale è la
presenza di Dio nelle anime, mediante la grazia santificante ch’è la
partecipazione della natura divina nelle anime.
Se mediante la prima presenza universale di Dio possiamo dire -
per così esprimerci - che l’anima riceve, come qualsiasi creatura, il
suo cibo, la sua quantità e qualità di essere: mediante la grazia
l’anima si asside come ospite privilegiata alla mensa della divina
gioia che perennemente si rinnova nelle dolcissime comunicazioni
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. È questa la grazia
santificante che è conferita all’anima la prima volta nel S. Battesimo
e ci viene rinnovata ogni volta quando, dopo averla perduta col
peccato, l’anima viene lavata nel Sangue di Cristo mediante la santa
confessione.
Questa presenza è del tutto particolare perché è riservata alle
sostanze spirituali le quali, libere dal peccato, godono dell’amicizia
di Dio: allora le tre divine Persone, il Padre, il Figlio e il divino
Spirito prendono possesso dell’anima e pongono in essa la propria
dimora. La singolarità di questa nuova presenza di Dio nella creatura
è nella partecipazione della stessa vita intima di Dio che la grazia
conferisce alla anima in modo ch’essa assume nei suoi giudizi e nei
suoi desideri, nelle sue pene e nelle sue gioie, il ritmo e la
consonanza della vita stessa di Dio.
Più speciale e più deliziante ancora - se così si può dire - è la
presenza eucaristica: la sua caratteristica è di essere data come cibo e
bevanda spirituale per le anime. Mentre la grazia, come tale,
costituisce l’elevazione della creatura all’ordine soprannaturale e di
essa partecipano quindi anche gli Angeli che sono rimasti fedeli a
Dio: la grazia eucaristica è riservata agli uomini viatori, è grazia
particolare di nutrimento delle anime per ritemprarsi nelle forze del
bene e della fedeltà a Dio. Per questo la presenza eucaristica si dice
presenza sacramentale, per distinguerla da quella della grazia;
perché, mentre questa non ha una sua particolare espressione, la
presenza eucaristica attesta la sua realtà di presenza con la realtà
delle specie e indica i suoi misteriosi effetti di nutrimento dolcissimo
delle anime mediante il significato immediato del pane e del vino che
quelle specie ancora indicano e la cui sostanza la fede crede
mirabilmente mutate nel Corpo e nel Sangue di Cristo.
È questo allora un sacramento veramente mirabile, il Sacramento
dei Sacramenti, il prodigio dei prodigi, che si compie ogni giorno,
ogni momento del giorno, in qualche punto del globo nelle fragili
mani del sacerdote che immola misticamente sull’altare il Figlio di
Dio e lo dona alle anime!
L’Eucaristia è il Sacramento della Passione e Morte di Cristo per
eccellenza: Gesù lo istituì, in un eccesso di amore, nella notte in cui
veniva tradito quando, dopo aver benedetto e spezzato il pane e dopo
aver benedetto il vino, li distribuì agli Apostoli, dicendo: «Fate
questo in memoria di me»! Mentre la S. Messa rinnova misticamente
la Morte di Cristo sull’altare, la S. Comunione porta l’irrorazione
diretta del Sangue Preziosissimo di Cristo che diventa cibo e bevanda
delle anime. L’effetto speciale dell’Eucaristia nell’anima è di nutrire
e di far crescere e d’irrobustire nella grazia: col più schietto realismo
teologico possiamo dire che nell’Eucaristia noi siamo tenuti al petto
dell’amore divino e possiamo succhiare con affocato desiderio alla
fonte stessa della grazia. Mediante l’Eucaristia avviene allora una
nuova unione, anzi un’incorporazione dell’anima con Dio che può
dirsi la più intima dopo l’unione ipostatica della natura umana in
Cristo, Verbo Incarnato, di cui è il più mirabile effetto del mondo.
Infatti è Dio stesso che qui si fa cibo e bevanda dell’anima, che
assume perciò un rapporto d’intima trasformazione e di benefica
letificante presenza: nella S. Comunione noi possiamo stringere
Gesù, riscaldarci al suo calore, parlarGgli direttamente, perché Egli è
veramente in noi e noi siamo in Lui. E dev’essere questo il primo
omaggio che facciamo a Gesù, sullo esempio del sacerdote
celebrante, appena l’abbiamo ricevuto nel nostro cuore: quello di
prostrarci assieme agli Angeli in adorazione, d’internarci in noi stessi
e dilatare l’apice supremo dell’anima per accogliere il nostro Dio, il
nostro Salvatore vivo e vero, il nostro dolcissimo Gesù, vero Dio e
vero uomo. Dopo l’adorazione il ringraziamento; perché
l’ingratitudine - come dice S. Caterina - dissecca la fonte della pietà:
ringraziamolo il nostro Dio della vita e dell’essere che ci ha dati, ma
soprattutto del dono della fede ed in particolare del dono fatto alla
Chiesa col Sacramento dell’Eucaristia e della visita che ci dona in
questi pochi momenti. Segna poi l’impetrazione delle grazie, del cibo
e della bevanda dell’anima anzitutto: dell’amore alla virtù, della fuga
dal peccato e dai suoi sofismi e invischiamenti. Davanti al nostro Dio
non dobbiamo mai presentarci a mani vuote; ma riconoscenza,
affettuosità e gentilezza esigono che Gli offriamo il dono che Gesù
vuole da noi nella situazione attuale: sarà uno slancio più risoluto
nella via dello spirito, un aprir gli occhi sul vuoto di una vita insulsa,
sarà un proposito nuovo di spezzare i legami del peccato che
periodicamente ci attira e c’incurva, sarà un maggior impegno di
apostolato per conquistare all’amore che non è amato le anime che
non lo conoscono e lo tradiscono. Invece le nostre comunioni chissà
che spettacolo pietoso non sono forse ormai da tanti anni! Invece di
una fame e sete inesausta di Gesù, siamo freddi e melensi; ci
accostiamo per pura abitudine di scadenza periodica, forse anche per
motivi di vanità. Invece poi di inabissarci nel nostro nulla e porgere
al nostro Dio presente l’omaggio dell’adorazione e del
ringraziamento, ci precipitiamo a domandar grazie, le grazie della
riuscita e del successo temporale quasi che la S. Comunione fosse un
magico talismano per soddisfare la nostra cupidigia terrestre e
materiale, e non il mistero ineffabile della più intima comunicazione
dell’amore.
Il progresso spirituale dell’anima si conosce dal fervore che
portiamo alla S. Comunione: dal desiderio di visitare spesso il nostro
Dio prigioniero, dal ricordo che serbiamo nella vita del primo
incontro con Gesù nostro Salvatore; dal l’orientamento incessante,
dal gravitare dolce e insaziato della punta del cuore verso quel punto
dove Gesù abita per comunicarsi a noi. Come si legge di S. Caterina
da Siena la quale sull’imbrunire veniva invasa da un arcano senso del
suo Dio che le faceva sospirare il mattino per correre a riceverLo per
suo essenziale cibo e conforto.
È questo il nostro Gesù, che assunto nella gloria alla destra del
Padre, ha voluto continuare la sua dimora fra gli uomini per attirarli a
sé con la fragranza del Suo corpo e del Suo sangue. È il nostro dolce
Gesù che si posa come refrigerio sulle labbra riarse dei morenti, che
santifica alla lotta il petto dei giovani forti, che ispira soavissimo un
canto di innocenza nel cuore dei pargoli, Gesù eterno sacerdote che
riempie i templi della Chiesa Cattolica con la sua presenza dalle
oscure catacombe, alla cappella di frasche e di fango del missionario,
alle sontuose basiliche di questa vecchia Europa.
Oggi, per le vie della città colpe dei paesini più sperduti delle
nazioni, che ancora godono della libertà religiosa, si snodano le
processioni del Corpus Domini per celebrare nel fulgore di questa
avanzata primavera il trionfo dell’Eucarestia.
Ai troppi assenti che non sentono più la fragranza spirituale di
questo celestiale spettacolo di fede cristiana e preferiscono oggi
sciamare nelle spiagge e sui colli o imbucarsi nei cinematografi,
suppliranno invisibili i figli prediletti della S. Chiesa: i tanti Vescovi,
i sacerdoti e i fedeli che ancora languiscono nelle carceri: essi non
possono oggi rinnovare come una volta la processione del Corpus
Domini portando alto il Corpo di Cristo per le vie del mondo, ma lo
portano in trionfo con i segni della loro testimonianza per le vie del
cielo. Sono i cari malati che sentono salire dalla via l’eco dei canti e
il profumo degli incensi che salgono al loro Dio che tante volte è
salito fino a loro per mostrare ad essi la sua predilezione. Sono i
bimbi, oggi meno rumorosi e irrequieti del solito, perché chiamati a
fare la guardia d’onore e a spargere fiori e gorgheggi attorno al trono
del Verbo Incarnato.
E sopra tutti gli Angeli, perché oggi è anche il loro gran giorno:
dalle carceri dei persecutori di tutti i colori, dai letti di tutti i dolori,
dai teneri petti di tutti gli innocenti che a Cristo sospirano di amore e
di gioia, gli Angeli benedetti trascorrono rapidi e festanti con fulgori
e squilli di Paradiso. Fra tanta gloria, non dobbiamo mancare noi.
Mettiamoci all’ultimo posto in adorazione umile, così potremo
contemplare a nostro agio l’avanzare trionfante dell’Ostia santa;
potremo ricordare con più raccolta dolcezza le misericordie che ci ha
usate Gesù eucaristico; potremo pregarLo con più accesa
compunzione che non ci abbandoni in vita e ci conforti in morte,
quando il Sacerdote, alzando l’Ostia al nostro debole sguardo,
invocherà: «Ricevi, o fratello, il Viatico del Corpo del Signor Nostro
Gesù Cristo che si custodisca dal maligno nemico e ti porti a vita
eterna. Così sia»
(Vangeli delle Domeniche, Morcelliana, Brescia 1959, 179-185).
Caffarra
I. Corpus Domini
1. “Allora Egli prese i cinque pani … li benedisse, li spezzò”,
L’evangelista Luca narra la moltiplicazione dei pani compiuta da
Gesù nel deserto, dopo che Gesù aveva già istituito l’Eucarestia e la
comunità cristiana la celebrava da anni. La moltiplicazione dei pani
nel deserto è il gesto attraverso cui ogni fedele può avere una qualche
comprensione dell’Eucarestia. Ciò che è accaduto quando “il giorno
cominciava a declinare” in un deserto, accade in un senso più vero
ogni volta che celebriamo l’Eucarestia. Oggi più che mai la pagina
evangelica ci fa penetrare nel mistero eucaristico che stiamo
celebrando, ed il mistero che stiamo celebrando ci fa capire la pagine
letta.
Che cosa è accaduto nel deserto? è accaduto che un popolo
affamato, ed incapace di saziare la propria fame da se stesso o di
essere saziato da altri, riceve da Gesù una tale abbondanza di cibo da
non avere più fame. “Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti
loro avanzate furono portate via dodici ceste”.
Grandi sono i misteri nascosti in questa pagina ed in essa
ciascuno riconosca narrata la propria vicenda esistenziale. La fame di
cui soffre la persona umana non è solamente quella fisica. Esiste nel
cuore umano una fame, un desiderio di un cibo che sia risposta al
nostro desiderio di beatitudine piena, cioè di vita vera non più
insidiata dalla morte, di verità non più insidiata dalla menzogna, di
dignità non più insidiata dal male. Certamente, noi possediamo
“cinque pani e due pesci”! Certamente abbiamo a disposizione beni
limitati e corruttibili, ma essi sono incapaci nel loro limite di saziare
il desiderio umano secondo la misura intera della sua estensione.
Quale è il rischio insito in questa che è la nostra vera condizione
umana, percorsa al suo interno dall’illimitatezza del desiderio umano
e dalla pochezza dei beni che abbiamo a disposizione? o quello di
continuare ad illuderci che l’uomo possa trovare la sua beatitudine
nei beni creati oppure di spegnere in se stessi i propri desideri più
veri. Non potendo avere ciò che desideriamo, limitarci a desiderare
ciò che abbiamo.
È questo, carissimi fratelli e sorelle, l’errore più grave in cui
possiamo cadere: ritenere che il cuore umano possa essere saziato dai
cinque pani e due pesci di cui l’uomo dispone. “Inquieto è il nostro
cuore e non trova pace finché non riposa in Te"” scrive S. Agostino.
Questa è la grande verità sull’uomo. Questo è il grande fondamento
della libertà la cui sorgente è Dio!
“Allora Egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al
cielo, li benedisse, li spezzò e li diede”. Ecco il grande, inaudito,
imprevedibile avvenimento. “Allora Egli”: Gesù compie il gesto che
risolve la paradossale condizione umana. Egli sazia l’uomo affamato;
egli compie il desiderio dell’uomo. E lo fa, alzando gli occhi al cielo.
La sua donazione è il segno di quanto interamente il Padre dona
all’uomo il suo Figlio unigenito, perché l’uomo credendo in Lui
abbia la vita. Poi, Gesù benedisse il pane e lo spezza, ad indicare il
suo donarsi a ciascuno, senza l’esclusione di nessuno. Egli non si
appartiene più, perché ha fatto di Sé un dono totale e definitivo
all’uomo, ad ogni uomo.
Gesù sfama i cinquemila, prendendo nelle sue mani i cinque pani
e i due pesci. Egli prende nelle sue mani i nostri poveri beni, e li
eleva introducendo in essi la sua stessa vita. Egli prende i cinque
pani e due pesci dell’amore fra l’uomo e la donna, e lo trasforma nel
sacramento del matrimonio. Prende i cinque pani e due pesci della
mia povera persona e della persona dei nostri sacerdoti e fa di me e
di loro il segno vivente della mediazione salvifica del suo Amore.
Prende il nostro umano soffrire e lo trasforma in completamento di
ciò che manca alle sue sofferenze per il suo corpo che è la Chiesa.
Prende il nostro umano morire e lo trasforma nell’ingresso nella Vita
eterna. “Cristo è così l’incontro esaltante dove l’uomo si scopre
improvvisamente in tutta la dimensione della sua possibilità”. “Fateli
sedere”, dice il Signore.
L’Eucarestia è la risoluzione definitiva del paradosso umano.
2. “Questo è il mio corpo che è per voi”. Il pane donato, il pane
che sazia il cuore dell’uomo è il Corpo del Signore, donatoci in cibo.
La bevanda che spegne la nostra sete è il Sangue del Signore,
donatoci come nostra bevanda. La narrazione evangelica si realizza
ogni volta che noi partecipiamo al banchetto eucaristico. Il gesto
narrato nel Vangelo continua anche oggi. Ogni giorno il pane viene
spezzato, poiché l’Eucarestia è la memoria del sacrificio della Croce.
Ogni giorno questo pane viene donato: ogni giorno viene fatto a
ciascuno di noi il dono dell’Unigenito, e così diventiamo partecipi
della sua stessa Vita divina. Tutto questo accade ogni volta che ricevi
il Corpo eucaristico del Signore.
La celebrazione dell’Eucarestia è ad un tempo ed
inseparabilmente la memoria del sacrificio di Cristo e il santo
banchetto in cui comunichiamo al santo mistero del Corpo e Sangue
del Signore. Cibandoci di Lui, sotto la specie del pane e del vino,
cresce la nostra unione al Cristo. Mentre nella nutrizione materiale, è
il cibo che viene trasformato nel nostro organismo, nella nutrizione
eucaristica siamo noi ad essere trasformati nel cibo che mangiamo,
cioè in Cristo Signore. Veramente non ci è dato su questa terra di
vivere un incontro più profondo con Lui.
Allora voi capite con quanta devozione, con quanta fede
dobbiamo accostarci a questo banchetto. Non è lecito farlo, quando
la nostra coscienza ci rimprovera qualche colpa grave se prima non
ci siamo accostati al sacramento della confessione: “chiunque in
modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo
del Corpo e del Sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se
stesso” (1Cor. 11,27). Come può un credente cibarsi del pane
eucaristico e nello stesso tempo di altri cibi rituali ai quali attribuire
poteri salvifici, come stanno facendo alcuni fedeli di questa città?
“Non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei
demoni” (1Cor 10,21) ci avverte l’Apostolo.
Sia Cristo il nostro cibo. Egli esce con noi nella processione,
passando per il centro della nostra città, per dire ad essa che senza di
Lui, non può restare salda nella sua verità umana. Cari fratelli e
sorelle: testimoniamo non solo oggi la nostra fede in Cristo. Non
permettiamo che la nostra vita, la vita della città sia sradicata da Lui,
unico Pane che può saziare la nostra infinita sete.
(Chiesa del Gesù,14 giugno 1998).
II. Solennità del Corpus Domini
1. "Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi
ho trasmesso". Con queste parole l’apostolo Paolo afferma
solennemente che la celebrazione eucaristica è stata pensata, voluta
ed istituita da Cristo stesso: essa è invenzione divina non umana. Da
ciò deriva che esiste solo un punto di partenza per averne una
qualche comprensione: le parole stesse con cui Cristo ha istituito
l’Eucarestia. Esse, come avete appena sentito, sono le seguenti:
"questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me;
questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo ogni
volta che ne bevete, in memoria di me".
L’Eucarestia è il Corpo di Cristo offerto in sacrificio per noi, e
poiché è impensabile separare il corpo dalla persona, L’Eucarestia è
[la presenza del]la persona stessa di Gesù Verbo incarnato nel suo
atto di offerta di se stesso per noi. Attraverso il suo corpo e nel suo
corpo è la persona stessa di Cristo, la sua anima e la sua divinità, che
diventa pane dell’uomo e nutre i suoi discepoli.
L’Eucarestia è il Sangue di Cristo che sigilla la Nuova Alleanza
fra Dio e l’uomo. Anzi le parole di Gesù sono molto più forti: esse
pongono una identità fra la persona di Gesù che effonde il suo
sangue e l’Alleanza fra Dio e l’uomo. Gesù è il vincolo indistruttibile
fra Dio e l’uomo. Essendo Egli Dio e uomo, è capace di ricostituire
in se stesso l’alleanza fra Dio e l’uomo. Ma perché questa si
realizzasse, era necessaria l’effusione del sangue di Cristo.
L’Eucarestia, presenza del sacrifico di Cristo, costituisce dentro
all’umanità la Nuova Alleanza.
Carissimi fratelli e sorelle, se l’Eucarestia è questo, se è il Corpo di
Cristo offerto in sacrificio per noi ed il suo Sangue effuso per
ricostituire la nuova ed eterna Alleanza, allora voi capite che essa è il
centro e il riassunto di tutta la nostra fede: dire "fede cristiana"
equivale a dire "fede eucaristica". Un grande Padre della Chiesa
antica ha scritto: "il nostro modo di pensare è conforme
all’Eucarestia, e l’Eucarestia, a sua volta, conferma il nostro modo di
pensare" [S. Ireneo, Adversus haereses 4, 18, 5; SC 100/2 pag. 610].
2. "Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate
furono portate via dodici ceste". La pagina del Vangelo che termina
con queste parole, ci fa per così dire entrare nel significato intimo
dell’istituzione dell’Eucarestia, nelle ragioni che ha spinto Cristo a
donarcela.
Due sono i protagonisti di questa pagina: Gesù e la folla; fra l’uno
e l’altra si muovono i dodici apostoli come figure secondarie. E’ una
folla affamata, ma è una folla che segue Cristo. Per due ragioni:
perché parla del Regno di Dio e perché guarisce "quanti avevano
bisogno di cure". Ma questa folla ha bisogno di cibo: di un cibo che
la sostenga; di un nutrimento che le dia la possibilità di continuare a
seguire Cristo. L’uomo è capace di saziare se stesso con ciò che
possiede? "non abbiamo che cinque pani e due pesci". La fame
dell’uomo è insaziabile con ciò che l’uomo ha a disposizione.
Quando "tutti mangiarono e si saziarono"? quando Cristo prende i
cinque pani e i due pesci e li ridona alla folla. Si saziarono, dice il
testo evangelico. Cristo dona un cibo che riempie senza lasciare più
fame.
Carissimi fratelli e sorelle, questa pagina del Vangelo narra la
nostra storia mostrando come il suo dramma, il suo enigma –
l’enigma e il dramma della storia umana – trovino la loro soluzione
nell’Eucarestia.
Chi è l’uomo se non un essere vuoto, ma pieno di desiderio; se
non un illimitato desiderio di felicità? Perché facciamo tutto ciò che
facciamo se non per raggiungere la felicità? Ma nello stesso tempo
noi siamo come le folle del Vangelo: a disposizione per saziare il
nostro desiderio abbiamo solo pochi pani e pesci. Troppo poco! È
tanto vero tutto questo che spesso non potendo avere ciò che
desideriamo, ci accontentiamo di desiderare ciò che possiamo avere:
siamo dei rassegnati! Rassegnati a fare del grande desiderio di amore
che muove l’uomo e la donna a sposarsi un contratto a termine; del
grande desiderio di giustizia che muove l’uomo in società un odine
fra egoismi opposti; del grande desiderio di libertà un permissivismo
insensato ed annoiato; del grande desiderio di verità un
inconcludente scambio di opinioni. Ecco i cinque pani e i due pesci
di cui disponiamo.
Che cosa fa Cristo? Istituisce l’Eucarestia. Cioè: rende possibile a
Lui stesso di entrare in ogni uomo che lo voglia ed ad ogni uomo di
unirsi a Lui, perché solo Lui sa che cosa c’è nel cuore dell’uomo, e
può corrispondervi. L’Eucarestia è l’unica risposta vera al problema
che l’uomo, che ogni uomo è per se stesso.
Noi oggi vogliamo compiere un solenne atto di adorazione e
portare Cristo-Eucarestia sulle nostre strade: perché noi sappiamo
che solo Lui ha parole di vita eterna.
(Comacchio, 17 giugno 2001).
III. Corpus Domini
1. "Adoro Te devote, latens deitas, quae sub his figuris vere
latitas. Ti adoro devotamente, o Dio nascosto, che sotto questi segni
a noi ti celi".
Noi ti adoriamo, o Cristo, nascosto ma veramente presente sotto
le sacre speci del pane. Noi in questo momento non facciamo solo
memoria di Te o di ciò che Tu ci hai detto: siamo realmente alla tua
presenza. Noi ti adoriamo: Tu sei il Verbo unigenito del Padre; Tu
sei l’irradiazione della sua gloria e l’impronta della sua sostanza; Tu
sostieni tutto con la potenza della tua parola, poiché tutte le cose
sono state create per mezzo di Te ed in vista di Te, e tutto trovano in
Te la loro consistenza intelligibile. Noi ti adoriamo, centro della
storia e del cosmo, risposta completa ad ogni nostro vero desiderio
umano. Cibandoci di questo cibo noi diventiamo eterni, perché Tu
sei il pane della vita eterna.
Il nostro guardare tutti verso di Te, Dio nascosto sotto le sante
specie, è il simbolo di tutta l’umanità che consapevolmente o
inconsapevolmente è tesa verso di Te: per essere da te introdotta
nella vera vita. Nel frammento di pane apparente che giace su questa
mensa è concentrato tutto il destino del mondo e di ogni persona
umana. Esso, quel frammento nel quale noi adoriamo Te, è
veramente il punto sul quale tutta la terra può essere sollevata.
2. "Deum tamen meum te confiteor: praesta mea menti de te
vivere et te illi semper dulce sapere. Ti confesso mio Dio: fa che la
mia mente viva di te e gusti sempre il tuo dolce sapore".
Oggi siamo usciti dalle nostre chiese ed abbiamo voluto
camminare con Te sulle strade della nostra città, sulle strade dove
l’uomo cammina.
Noi ti abbiamo confessato Dio nostro: non Dio e Signore
semplicemente dell’umanità, ma Dio della vita concreta di ciascuno
di noi e di questa città. Ti preghiamo: fa che la mente di ciascuno di
noi viva di te. Vivere di te: trovare in Te la verità e il bene di noi
stessi e della società in cui viviamo, perché abbiamo perduto, stiamo
perdendo noi stessi, rassegnati come siamo a vivere al di sotto della
nostra dignità! Rassegnati a fare del grande desiderio di amore che
unisce l’uomo e la donna nel matrimonio un contratto a termine; del
grande desiderio di giustizia che chiede il riconoscimento della
dignità di ogni persona una coesistenza di egoismi opposti; del
grande desiderio di libertà un permissivismo insensato e noioso; del
grande desiderio di verità un inconcludente scambio di opinioni.
Al calare del giorno, noi veniamo affamati a Te: ecco i cinque
pani e i due pesci che abbiamo nelle mani. Che cosa sono per
sfamarci fino alla sazietà? Ma noi li poniamo nelle tue mani perché
tu li benedica, li spezzi e ridoni noi stessi a noi stessi: nell’integrità
della nostra umanità santificata e trasfigurata dal tuo sangue.
3. "O pio pellicano, Gesù Signore, purifica me immondo col tuo
sangue". Questo altare diventi questa sera sorgente da cui sgorga il
sangue che lava questa città, che lava ogni suo abitante, che lava
ciascuno di noi.
Penetri quest’onda salutare nel cuore di noi sacerdoti, perché non
degradiamo il nostro amore a burocrazia del sacro; nel cuore delle
nostre religiose, perché in esso sia fatto spazio solo allo Sposo,
Cristo; nel cuore dei nostri sposi, perché siano vero sacramento
dell’amore di Cristo verso la Chiesa; nel cuore dei nostri giovani,
perché siano le vere sentinelle del terzo millennio; nel cuore dei
nostri bambini, perché nessuno osi deturparne la dignità; nel cuore
dei nostri anziani ed ammalati, perché non sia vano il loro soffrire.
O pio pellicano, Gesù Signore!
(Cattedrale Ferrara, 17 giugno 2001)
IV. Solennità del Corpus Domini
"Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché colla tua
santa Croce hai redento il mondo". Questa sera ti abbiamo collocato,
o Cristo realmente presente nella Ss. Eucarestia, nel centro della
nostra città: o Redentore di ogni uomo, di tutto l’uomo.
Posiamo il nostro sguardo su Te; ci poniamo nello spazio della
tua luce, perché in te noi impariamo la verità intera di noi stessi in
rapporto al Padre che è nei cieli ed all’uomo che è sulla terra.
A te, Signore del mondo e centro della storia, in cui ogni realtà ha
consistenza e senso, sia lode ed onore: ti sei fatto figlio dell’uomo
perché il figlio dell’uomo divenisse figlio di Dio. La nostra
divinizzazione accade mediante l’Eucarestia. Concedici di gioire
sempre della tua grazia.
"Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché colla tua
Santa Croce hai redento il mondo". Quest’atto di adorazione è
risposta obbediente al primo dei comandamenti: "solo al Signore tuo
Dio ti prostrerai, lui solo adorerai" [Lc 4,18]. E tu sei Luce da Luce,
Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del
Padre: con questa adorazione noi proclamiamo che Tu non sei "uno
dei profeti", ma il Figlio del Dio vivente.
Ma in questo stesso atto di adorazione noi proclamiamo che
l’uomo si inginocchia solo davanti alla Maestà divina, poiché
nessuno all’infuori di te è più grande della persona umana: essa è
solo tua proprietà, e di essa nessuno può disporre.
Nell’atto stesso in cui noi ti adoriamo, noi proclamiamo nel
centro di questa città la suprema grandezza di ogni persona umana:
della persona già concepita e non ancora nata; del bambino che ha
diritto ad essere educato secondo le scelte dei suoi genitori; della
persona inferma che ha diritto di essere curata sempre; della donna
fatta oggetto di turpe commercio anche sulle nostre strade; dello
straniero che chiede di essere accolto come persona.
Quell’elevazione che la tua Carne vivificante compie nella nostra
condizione umana, ci faccia comprendere quanto sia grande la nostra
dignità.
"Colla tua santa Croce hai redento il mondo!" Attraverso la
celebrazione dell’Eucarestia noi possiamo partecipare al tuo atto
redentivo. Mediante l’Eucarestia la tua redenzione penetra e pervade
ogni persona ed ogni generazione umana: pane azzimo dentro alla
nostra pasta corrotta. Dentro alle divisioni di ogni genere, Tu
costruisci l’unità; dentro l’estraneità dell’uomo all’uomo tu edifichi
la comunione; dentro alla coesistenza di opposti egoismi tu immetti
la novità del dono.
Davanti al mistero eucaristico noi diciamo con la tua Madre
santissima: "di generazione in generazione si stende la sua
misericordia su quelli che lo temono".
Fra pochi istanti, io – umile pastore di questa Chiesa – ti innalzerò
perché tu benedica questa città: perché si stenda su di essa la tua
misericordia.
Benedici chi nei prossimi cinque anni ci amministrerà perché lo
faccia sempre con sapienza e dedizione. Benedici i nostri sacerdoti
perché faccia sempre piaga nel loro cuore ogni miseria umana.
Benedici le nostre religiose perché la loro dedizione verginale
illumini e riscaldi le nostre faticose giornate. Benedici gli sposi
perché vivano nella santità il loro amore coniugale. Benedici i nostri
giovani perché non abbrevino mai la misura dei loro desideri più
profondi. Benedici le persone sole ed anziane, perché non sia triste la
luce del loro tramonto né amara la loro solitudine.
Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché colla tua santa
Croce ci hai redenti.
(Giovedì 10 Giugno 2004).
Sant’Agostino
Tu sei Sacerdote in eterno
Magnifiche e gratuito le promesse a noi fatte da Dio.
1. Per quanto ce lo concede il Signore, il quale ha fatto di noi i
ministri della sua parola e del suo sacramento per servire a voi nella
sovrabbondanza della sua misericordia, ci assumiamo l’impegno di
esaminare e di spiegare - come ci sarà possibile codesto Salmo, che
ora abbiamo cantato, tanto breve per il numero delle parole, quanto
importante per la profondità dei concetti: confidiamo nell’aiuto di
Lui, che come ha reso voi attenti, così renderà noi idonei a questo
compito. Sia viva l’anima vostra e si ridesti volgendosi a Dio! Sta di
fatto che Dio ha stabilito il tempo per le sue promesse ed ha stabilito
il tempo per adempiere ciò che aveva promesso. Il tempo delle
promesse fu quello che va dai Profeti fino a Giovanni Battista;
quello, invece, che di là procede in avanti fino alla fine, è il tempo
dell’adempimento delle promesse. Ed è fedele Dio, il quale si è fatto
nostro debitore, non perché ha ricevuto qualcosa da noi, ma perché a
noi ha promesso cose tanto grandi. Gli parve poco la promessa, ed
allora volle obbligarsi anche per iscritto e ci rilasciò, per così dire, il
documento autografo di
queste sue promesse, perché, quando avesse cominciato a
soddisfarle, noi potessimo riscontrare in tale scrittura l’ordine
secondo cui sarebbero state soddisfatte. Il tempo, dunque, delle
profezie costituiva - come tante volte abbiam detto - il preannuncio
delle promesse. Dio ci ha promesso la salvezza eterna, la vita beata e
senza fine con gli Angeli, l’eredità incorruttibile, la gloria
sempiterna, la gioia di vedere il suo volto, la sua santa abitazione nel
cielo e, con la risurrezione dai morti, la certezza senza più il timore
di morire. Tutto questo costituisce, per così dire, la sua promessa
finale, dove già si dirige ogni nostro sforzo e dove, quando vi saremo
giunti, non avremo più nulla da ricercare o da esigere. E neppure egli
ha omesso, nelle sue promesse e nei suoi preannunci, di dirci in che
ordine si giunga a quel che avverrà alla fine. Difatti, ha promesso
agli uomini la divinità, ai mortali l’immortalità, ai peccatori la
giustificazione, ai disperati la glorificazione. Tutto ciò che ha
promesso, l’ha promesso agli indegni perché non apparisse come
ricompensa dovuta alle loro opere, ma come sua grazia, conferita -
nel vero senso di questa parola - in maniera gratuita. In realtà, il fatto
stesso di vivere secondo giustizia, in quanto l’uomo possa viver così,
non è frutto di merito umano, ma di favore divino. Nessuno può
vivere secondo giustizia, se non è giustificato, cioè se non e’ stato "
fatto giusto ", e l’uomo non è fatto giusto se non da colui che non
può mai essere ingiusto. Come la lucerna non ha la capacità di
accendersi da sé, così neppure l’anima umana può darsi da se stessa
la luce: essa leva il suo grido a Dio, dicendo: Sarai tu ad accendere
la mia lucerna, o Signore! (cf. Sal 17, 29)
Cristo testimone e garante dell’amore di Dio per noi.
2. Ai peccatori, dunque, è stato promesso il regno dei cieli, se
naturalmente non rimangono nel peccato, ma dal peccato si liberano
ed operano secondo giustizia. Per riuscire in questo, essi - l’abbiamo
già detto - sono aiutati dalla grazia e sono giustificati da colui che è
sempre giusto. Eppure, sembrava incredibile che Dio si preoccupasse
fino a questo punto per il bene degli uomini; ed anche oggi quanti
non credono alla grazia divina e non vogliono abbandonare i loro
pessimi costumi e convertirsi a Dio per esser da lui giustificati e
cominciare così, una volta cancellati per il suo perdono tutti i loro
peccati, a vivere secondo giustizia in lui che non conosce ingiustizia,
nutrono in se stessi e contro se stessi questo funesto pensiero: essi
dicono che Dio non si preoccupa delle cose umane e che, pertanto,
l’artefice e il governatore di questo mondo non può stare a pensare
come viva ciascuno dei mortali sulla terra. E così l’uomo che è stato
fatto da Dio, crede di non esser neppure considerato da Dio! Se noi
potessimo rivolgerci ad un simile uomo, se facesse entrare la nostra
parola prima nelle orecchie e poi nel suo cuore, se non respingesse
con la sua opposizione chi lo cerca e non preferisse rimanere nel suo
stato di perdizione, vorremmo dirgli: O uomo, come può essere che
Dio non ti consideri dopo averti fatto, se prima si è preoccupato che
tu fossi fatto? Perché pensi di non esser nemmeno contato
nell’ordine delle cose create? Non credere al tuo seduttore: i tuoi
stessi capelli sono contati dal tuo creatore!. Questo anche il Signore
l’ha detto nel Vangelo ai suoi discepoli, perché non avessero timore
della morte né pensassero che con essa sarebbe andato perduto
qualcosa di quello che
avevano. Nella morte quelli temevano assai per la loro anima; egli
dava loro assicurazione anche per i capelli! Come può allora perire
l’anima di uno, se di lui non perisce un capello (cf. Mt 10, 30)?
Ciononostante, o fratelli, sembrava incredibile agli uomini ciò che
Dio prometteva, annunciando che proprio da questo stato di
mortalità, di corruzione, di abiezione e di debolezza, da questa
cenere e polvere, gli uomini sarebbero divenuti uguali agli Angeli di
Dio; perciò, non solo compilò la Scrittura con gli uomini perché essi
credessero, ma stabilì anche un Mediatore a garanzia della sua
fedeltà, scegliendo non un qualsiasi principe, o un Angelo, o magari
un Arcangelo, ma il suo unico Figlio. E così la via, per la quale ci
avrebbe condotto verso quel fine che aveva promesso, ci fu da lui
mostrata ed insieme offerta nella persona dello stesso suo Figlio.
Sembrava, infatti, poco a Dio l’aver fatto del suo Figlio l’indicatore
della via: volle farlo addirittura la via, perché noi potessimo andare
per mezzo di lui che, mentre ci guida, cammina con le sue forze.
La venuta dell’unico Mediatore preparata dai Profeti del V.T.
3. Dio, dunque, promise che noi saremmo andati a lui,
raggiungendo cioè quell’ineffabile immortalità ed anche
l’eguaglianza con i suoi angeli. Ma quanto eravamo lontani? Quanto
era in alto lui e quanto in basso noi? In quale altezza sublime stava
lui, ed in quale abisso giacevamo noi senza speranza? Noi eravamo
degli ammalati, senza alcuna prospettiva di salvezza: fu inviato il
medico, ma i malati non lo vollero conoscere. Se infatti l’avessero
conosciuto, non avrebbero mai crocifisso il Signore della gloria (cf.
1 Cor 2, 8). Ma pure servì come medicina al malato il fatto che il
malato uccise il suo medico: questi era venuto per visitarlo e si lasciò
uccidere per guarirlo. Si diede a conoscere ai credenti come Dio e
come uomo: Dio per mezzo del quale noi siamo stati creati; uomo
per mezzo del quale noi siamo stati restaurati. Altro era quello che in
lui appariva, altro quello che in lui era nascosto: ciò che vi era
nascosto era molto più eccellente di ciò che appariva, e tuttavia ciò
che era più eccellente non era visibile. L’uomo infermo veniva
curato mediante ciò che era visibile, perché poi divenisse capace di
quella visione che, per essere nascosta, era solo differita, non già
negata o esclusa per sempre. Era necessario, pertanto, conoscere
l’unico Figlio di Dio, che stava per venire tra gli uomini, per
assumere l’uomo e per divenire uomo attraverso la natura assunta:
egli sarebbe morto, risorto, asceso al cielo, si sarebbe assiso alla
destra del Padre ed avrebbe adempiuto tra le genti quanto aveva
promesso; dopo l’adempimento di queste promesse, avrebbe anche
adempiuto quella del suo ritorno, per richiedere ciò che aveva
donato, per separare i " vasi d’ira " dai " vasi di misericordia ", per
rendere agli empi il minacciato castigo ed ai giusti il premio
promesso. Tutto questo, dunque, doveva essere profetizzato, doveva
essere preannunciato, doveva essere segnalato come destinato a
venire, perché, sopravvenendo improvviso, non facesse spavento, ma
fosse piuttosto accettalo con fede ed atteso. Nell’ambito di queste
promesse rientra codesto Salmo, il quale profetizza, in termini tanto
sicuri ed espliciti, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che noi
non possiamo minimamente dubitare che in esso sia annunciato il
Cristo: noi, dico, che siamo cristiani e già crediamo al Vangelo. Ed
infatti, quando il nostro stesso Signore e Salvatore Gesù Cristo
domandò ai Giudei di chi dicevano esser figlio il Cristo, e quelli
risposero: di David, replicò immediatamente a questa loro risposta e
disse: In qual modo dunque David, in spirito, lo chiama Signore,
dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra,
finché io non ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se dunque, in
spirito - aggiunse - lo chiama Signore, in qual modo è suo figlio?
(cf. Mt 22, 42-45) Proprio con questo versetto ha inizio il Salmo.
Cristo figlio di David e Signore di David.
4. [v 1.] Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia
destra, finché io non ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi
piedi. Tale questione, dunque, che il Signore propose ai Giudei, noi
dobbiamo trattarla al principio stesso del Salmo. Se, infatti, CI si
chiedesse se anche noi riconosciamo o neghiamo quel che risposero i
Giudei, saremmo ben lungi dal negarlo. Se ci si domandasse: - Cristo
è o non è figlio di David? e noi rispondessimo di no,
contraddiremmo il Vangelo, perché il Vangelo, quello scritto da
Matteo, comincia precisamente così: Libro della generazione di
Gesù Cristo, figlio di David (cf. Mt 1, 1). L’Evangelista afferma di
scrivere il libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di David.
Dissero dunque bene i Giudei quando, interrogati da Cristo di chi
credevano esser figlio il Cristo, risposero: di David. Con la loro
risposta concorda il Vangelo; questo però non l’ammette soltanto la
credenza dei Giudei, ma anche la fede dei Cristiani. Trovo ancora
altre prove autorevoli. L’Apostolo dice: Egli fu fatto dalla stirpe di
David secondo la carne (cf. Rm 1, 3); ed anche a Timoteo scrive:
Ricordati che Cristo Gesù, della stirpe di David, risuscitò dai morti
secondo il mio Vangelo (cf. 2 Tm 2, 8-9). E che cosa dice di questo
suo Vangelo? Per esso mi affatico fino a stare in catene come un
malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata (cf. Gn 49, 27).
L’Apostolo, dunque, si affaticava fino al punto di essere incatenato
per la causa del suo Vangelo, cioè per quell’economia evangelica che
generosamente predicava e dispensava ai popoli: come al mattino
aveva divorato la preda, alla sera divideva il bottino (cf. Rm 10,
10). Egli, dunque, si affaticava fino al punto di essere incatenato per
la causa del Vangelo. Quale Vangelo? Che Cristo Gesù, della stirpe
di David, risuscitò dai morti. Per questo Vangelo si affaticava
l’Apostolo, e proprio su di esso verteva la domanda fatta da Cristo.
Eppure, ai Giudei che rispondevano quel che predicava l’Apostolo,
egli replicò, quasi in tono di contraddirli, con queste parole: In qual
modo dunque David, in spirito lo chiama Signore? e portò anche la
testimonianza di questo Salmo: Il Signore ha detto al mio Signore
(... ) Se dunque, in spirito, lo chiama Signore, in qual modo è suo
figlio? I Giudei, di fronte a questa interrogazione, tacquero: essi non
trovarono in seguito nessuna risposta né, tuttavia, cercarono di
scoprire in lui il Signore, perché non riconoscevano che fosse proprio
lui il figlio di David. Noi invece, o fratelli, dobbiamo crederlo e
confessarlo, perché con il cuore si crede per la giustizia e con la
bocca si fa confessione per la salvezza: crediamolo - intendo dire - e
confessiamolo sia come figlio di David sia come Signore di David.
Non dobbiamo vergognarci del figlio di David, per non ritrovare
adirato con noi il Signore di David!
Imitiamo la fede dei ciechi di cui Mt 20, 29-34.
5. Fu con quel nome, infatti, che con tutta ragione lo chiamarono i
ciechi, mentre passava, e meritarono di ricuperare la vista. Gesù
stava passando ed essi, sentendo il rumore della folla in cammino e
riconoscendo con l’orecchio quel che ancora non potevano percepire
con gli occhi, si misero a gridare a gran voce, dicendo: Abbi pietà di
noi, o figlio di David! (cf. Mt 20, 31) La folla prese a rimproverarli
perché tacessero, ma quelli, nel desiderio di vedere la luce,
superando l’opposizione della folla, continuarono a gridare:
raggiunsero Gesù che passava e meritarono di ricuperare, al suo
tocco, la vista. Mentre passava, gli dicevano: Abbi pietà di noi, o
figlio di David! Egli si fermò e, quando essi superarono lo strepito
degli oppositori, domandò loro: Che cosa volete che vi faccia? (cf.
Mt 20, 32) E quelli: Signore, fa’ che possiamo vedere (cf. Mt 20,
33). Egli toccò ed aprì i loro occhi, e così videro presente dinanzi a
loro colui che avevano sentito passare. Il Signore, dunque, operò
qualcosa destinato a passare, ma esiste qualche altra cosa destinata a
restare. Voglio dire che nel Signore altro è transitorio ed altro,
invece, è stabile. Transitorio nel Signore è il parto della Vergine,
l’incarnazione del Verbo, il graduale succedersi delle età, la
presentazione dei miracoli, le sofferenze della passione, la morte, la
risurrezione e l’ascesa al cielo: tutto questo ebbe carattere transitorio.
Cristo, infatti, più non rinasce, né muore, né risorge, né ascende al
cielo un’altra volta. Non vi accorgete come questi avvenimenti si
siano svolti nel tempo, abbiano nel tempo presentato qualcosa di
transitorio ai viandanti di quaggiù, perché non si attardino lungo la
via e si affrettino, invece, a raggiunger la patria? Infine, anche quei
ciechi sedevano lungo la via, lì sentirono Gesù che passava e,
gridando, lo raggiunsero. Dunque, nella via di questo mondo il
Signore ha operato queste azioni di carattere transitorio, e queste
azioni appartengono al figlio di David. Per questo quei due gridarono
al Signore che passava: Abbi pietà di noi, o figlio di David! E fu
come se dicessero: Riconosciamo in chi passa il figlio di David,
impariamo dal suo passaggio che si è fatto figlio di David. Anche
noi, dunque, riconosciamo e confessiamo il figlio di David per
meritare di vedere la luce. Noi, infatti, sentiamo che passa il figlio di
David, e riceviamo la luce dal Signore di David.
Confessione della duplice natura in Cristo.
6. Ecco, dunque, come il nostro Maestro interrogò i Giudei, e
questi non seppero rispondere perché non vollero essere suoi
discepoli. Ebbene, se egli interrogasse noi, che cosa risponderemmo?
Se dinanzi a questa interrogazione i Giudei si ritirarono, i Cristiani
devono avanzare: non devono rimanere turbati, ma istruirsi. Il
Signore non interroga perché vuole imparare, ma interroga in qualità
di dottore. Avrebbero potuto dirgli gli infelici Giudei: Rispondi tu,
spiegacelo tu! Preferirono, invece, torturarsi in un orgoglioso
mutismo, anziché farsi istruire con un’umile confessione.
Immaginiamo, dunque, che dica a noi il nostro Maestro, e vediamo
come poter rispondere alla sua interrogazione: Che cosa pensate del
Cristo? Di chi è figlio? Rispondiamo senz’altro quel che risposero i
Giudei, ma non fermiamoci dove si fermarono i Giudei!
Ricordiamoci del Vangelo, al quale crediamo: Libro della
generazione di Gesù Cristo, figlio di David. Se siamo interrogati,
non dobbiamo dimenticare che Cristo è figlio di David, come
espressamente ci ricorda l’Apostolo: - Ehi, cristiano, ricordati che
Cristo Gesù, della stirpe di David, risuscitò dai morti.
Immaginiamo, dunque, di essere interrogati e di rispondere alla
domanda: Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio? Ed i Cristiani
con voce unanime dicano: di David. Ripeta ancora il Maestro,
volgendosi a noi: In qual modo dunque David, in spirito, lo chiama
Signore? Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra,
finché io non ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? E come
potremmo rispondere, se non lo apprendessimo da te? Ora, dunque,
che l’abbiamo appreso, diciamo: In principio tu eri il Verbo, ed eri
Verbo presso Dio, e come Verbo eri Dio; tutte le cose furono fatte
per mezzo tuo (cf. Gv 1, 1-14): eccolo il Signore di David! Ma poi, a
motivo della nostra debolezza, essendo noi disperati e giacenti nella
carne, tu che eri il Verbo ti sei fatto carne, per abitare in mezzo a noi:
eccolo il figlio di David! Nessun dubbio che tu, pur sussistendo nella
natura di Dio, non hai ritenuto una rapina l’essere eguale a Dio, e
perciò sei il Signore di David; ma pure hai annientato te stesso,
assumendo la natura di servo (cf. Fil 2, 7), e pertanto sei il figlio di
David. Per di più, dicendo con quella stessa tua interrogazione: In
qual modo è suo figlio?, non hai certo negato di esser suo figlio, ma
hai solo domandato come questo possa essere avvenuto. David - tu
dici – lo chiama Signore: in qual modo allora è suo figlio? Non lo
nego, ma dimmi in qual modo. Se i Giudei, basandosi sulla Sacra
Scrittura che leggevano e non comprendevano, di fronte a tale
interrogazione avessero ricordato questo modo, non avrebbero forse
risposto: Come mai ce lo domandi? Ecco una vergine riceverà nel
suo seno, e darà alla luce un figlio, e lo chiameranno di nome
l’Emanuele, che vuol dire " Dio con noi " (cf. Is 7, 14; Mt 1, 23).
Una vergine riceverà un figlio nel suo seno, questa vergine della
stirpe di David lo darà alla luce, perché sia il figlio di David. Ed
infatti Giuseppe e Maria erano della famiglia e della patria di David
(cf. Lc 1, 27. 32; 2, 4-5). Dunque, quella vergine l’ha dato alla luce,
perché fosse il figlio di David. Ma il figlio, da lei dato alla luce, lo
chiameranno di nome l’Emanuele, "Dio con noi ". Ecco, così hai
anche il Signore di David.
Cristo esaltato dopo l’umiliazione della croce.
7. Forse su questo argomento, come cioè il Cristo sia ad un tempo
il figlio di David e il Signore di David, anche il nostro salmo ci farà
conoscere qualche cosa. Dobbiamo, dunque, ascoltarlo e studiarlo a
fondo: insistiamo con la nostra pietà, cerchiamo di riuscire con la
nostra carità. Chi parla, dunque, è lo stesso David né potremmo, del
resto, contraddire il Signore, il quale afferma: David, in spirito, lo
chiama Signore. Questo David, dunque, che cosa dice del Cristo?
Leggiamo infatti: Salmo dello stesso David, e questo è tutto nel
titolo, semplice, senza traccia di alcun problema, senza alcun punto
di difficoltà. Che cosa, dunque, dice David? Il Signore ha detto al
mio Signore: Siedi alla mia desta, finché io non ponga i tuoi nemici
come sgabello dei tuoi piedi. Dire sgabello dei tuoi piedi è lo stesso
che dire sotto i tuoi piedi, perché lo sgabello dei piedi sta appunto
sotto i piedi. Il Signore - afferma - ha detto al mio Signore. Questo
ha sentito David, questo ha sentito in spirito: dove e quando l’ha
sentito noi non l’abbiamo sentito, ma pure abbiamo creduto a lui che
parla e scrive di ciò che ha sentito. Egli, dunque, l’ha sentito
certamente, l’ha sentito nel sacrario nascosto della verità, nell’intimo
santuario dei misteri. Proprio là dove i Profeti sentirono in segreto
quel che poi predicarono alla luce del sole, l’ha sentito David, se
afferma in tutta sicurezza: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi
alla mia destra, finché io non ponga i tuoi nemici come sgabello
dei tuoi piedi. Noi sappiamo che Cristo, dopo la risurrezione dai
morti e l’ascensione al cielo, siede alla destra del Padre. Si tratta di
cosa già avvenuta: noi non l’abbiamo vista, ma pure l’abbiamo
creduta; l’abbiamo letta nei Libri sacri, l’abbiamo sentita predicare,
la possediamo per fede. Pertanto, per il fatto stesso che Cristo era
figlio di David, è divenuto Signore di David: quel che, infatti, era
nato dalla stirpe di David, è stato tanto onorato da essere anche
Signore di David. Ciò ti fa meraviglia, come se queste cose non
possano verificarsi anche nell’ordine umano. E se avvenisse che il
figlio di un padre, semplice privato, fosse fatto re, non sarebbe forse
signore del padre? Ma ancor più meraviglia, e può pure accadere,
non solo che sia fatto re il figlio di un semplice privato e diventi il
signore di suo padre, ma che sia fatto vescovo il figlio di un semplice
laico e diventi padre di suo padre. Dunque, per il fatto stesso che
Cristo assunse la carne, morì nella carne, risorse nella medesima
carne e, sempre in essa, ascese al cielo e siede ora alla destra del
Padre, proprio in questa carne così onorata e glorificata e trasformata
in uno stato celeste, egli è ad un tempo il figlio di David ed il
Signore di David. Secondo questa economia, che regola il "
passaggio " di Cristo, si inquadra anche quello che di lui dice
l’Apostolo: Per questo motivo (Dio) lo esaltò dai morti e gli donò il
nome, che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi degli esseri del cielo, della terra e degli
inferi. Gli donò - dice il nome, che è al di sopra di ogni nome (cf.
Fil 2, 9-10): a Cristo in quanto è uomo, a Cristo che muore e risorge
e ascende nella sua carne, Dio donò il nome, che è al di sopra di ogni
nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi degli
esseri del cielo, della terra e degli inferi. Dove sarà David che Cristo
non gli sarà Signore? Sia nel cielo, o nella terra, o negli inferi, sarà
sempre suo Signore colui che è Signore degli esseri del cielo, della
terra e degli inferi! Si rallegri, dunque, con noi David, onorato anche
lui per la nascita del suo figlio e liberato per la sua signoria; e
rallegrandosi, dica e sia sentito da quanti come lui si rallegrano: Il
Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io
non ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi.
La giustizia per fidem e le sue prospettive ultraterrestri.
8. Siedi, non solo nell’alto, ma anche nel profondo, levandoti su
per esercitare il tuo dominio ed insieme nascondendoti per esser
creduto. Ci sarebbe, infatti, una ricompensa della fede, se non fosse
nascosto quel che crediamo? La ricompensa della fede consiste nel
vedere quel che abbiamo creduto prima ancora che lo vedessimo.
Come proclama la Sacra Scrittura, il giusto vive per la fede (cf. Rm
1, 17). Non ci sarebbe, dunque, la giustizia derivante dalla fede, se
non fosse occulto quel che è stato predicato perché lo credessimo e,
credendolo, arrivassimo a vederlo. Quanto è grande davvero, o
Signore, l’abbondanza della tua dolcezza, che hai nascosta a
coloro che ti temono! Dunque tu l’hai nascosta, ed essi ne sono
restati privi? No, assolutamente: e l’hai compiuta per coloro che
sperano in te (cf. Sal 30, 20). È, dunque, meraviglioso il mistero di
Cristo che siede alla destra del Padre: esso è stato nascosto perché
fosse creduto, ed è stato sottratto alla vista perché fosse sperato. Noi,
infatti, siamo stati salvati nella speranza. Ora una speranza che si
vede, non è più speranza: se uno già vede una cosa, come può
sperarla? Sono espressioni dell’Apostolo, e voi le riconoscete, ma io
voglio ricordarle per quelli che le ignorano. Che cosa dice, dunque,
l’Apostolo? Nella speranza noi siamo stati salvati. Ora una speranza
che si vede, non è più speranza: se uno già vede una cosa, come può
sperarla? Ma se noi speriamo ciò che non vediamo, l’aspettiamo con
la pazienza (cf. Rm 7, 24-25). Poiché, dunque, quella che si vede non
è speranza, tu hai nascosta la tua dolcezza a coloro che ti temono; e
poiché noi speriamo ciò che non vediamo e l’aspettiamo con la
pazienza, tu l’hai compiuta per coloro che sperano in te. Da ultimo,
fratelli carissimi, vogliate attentamente ascoltare quel che sto per
dirvi. La nostra giustizia, come sapete, deriva dalla fede, ed è la fede
che purifica i nostri cuori in modo da renderci atti a vedere quel che
abbiamo creduto: sono questi due punti chiaramente attestati, perché
leggiamo: Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio (cf. Mt
5, 8), e: Con la fede (Dio) purifica i nostri cuori (cf. Mt 5, 8).
Poiché questa, dunque, è la giustizia derivante dalla fede - credere
quel che non si vede e, per il merito di tale fede, giungere a suo
tempo alla visione - per questo Gesù nel Vangelo, quando promise lo
Spirito Santo, affermò: Egli redarguirà il mondo per il peccato, per
la giustizia e per il giudizio (cf. At 15, 9Gv 16, 8). Per quale peccato,
per quale giustizia, per quale giudizio? Egli continua e lo espone,
escludendo le eventuali congetture degli uomini: Per il peccato
appunto, perché non hanno creduto in me (cf. Gv 16, 9). Son tanti
gli altri peccati dei Giudei; eppure, come se si trattasse di un solo
peccato, egli dice: Per il peccato appunto, perché non hanno creduto
in me. È questo lo stesso peccato, del quale in altro passo dice: Se
non fossi venuto, essi non avrebbero il peccato (cf. Gv 15, 22). Che
cosa significa questa frase: Se non fossi venuto, essi non avrebbero
il peccato? Sei tu forse venuto tra i giusti e li hai trasformati in
peccatori? No: prescindendo dagli altri peccati, che potevano esser
rimessi mediante la fede, egli ha nominato questo solo peccato
perché, se non fosse stato commesso, tutti gli altri sarebbero stati
perdonati. Per il peccato appunto - dice perché non hanno creduto
in me, e nell’altro passo: Se non fossi venuto, essi non avrebbero il
peccato. In altre parole: per il fatto stesso che è venuto e non hanno
creduto in lui, essi sono caduti nel peccato; se, invece, non vi fossero
caduti, tutti gli altri peccati potevano esser rimessi con l’indulgenza
della grazia, ottenuta mediante la fede. Dunque: per il peccato
appunto, perché non hanno creduto in me; per la giustizia, perché
io vado al Padre e più non mi vedrete. Questa è la giustizia: che tu
vai al Padre e più non ti vedranno; e questa giustizia deriva dalla
fede. Il giusto, infatti, vive per la fede (cf. Rm 1, 17), e di certo vive
per la fede se non vede quello che crede. È chiaro, dunque, che è
proprio della giustizia vivere per la fede, e nessuno può vivere per
la fede se non a condizione che non veda quello che crede. Al fine,
dunque, di stabilire una tale giustizia tra gli uomini e convincerli a
credere quel che non vedono, Cristo dice: Per la giustizia, perché io
vado al Padre e più non mi vedrete (cf. Gv 16, 10). Questa - vuol
dire - è la vostra giustizia: di credere in colui che non vedete e,
purificati dalla fede, di vedere poi nel giorno della risurrezione colui
nel quale avete creduto.
L’ostinazione dei nemici non altera il piano salvifico di Dio.
9. Cristo, dunque, siede alla destra di Dio, il Figlio vive nascosto
alla destra del Padre: crediamolo. In realtà, il testo qui afferma due
cose, perché Dio dice: Siedi alla mia destra, ed aggiunge. finché io
non ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi, cioè sotto i
tuoi piedi. Certo non vedi il Cristo che siede alla destra del Padre;
puoi vedere, però, in che modo siano posti i suoi nemici come
sgabello dei suoi piedi. E poiché questo fatto si compie alla luce del
sole, devi credere che l’altro si verifica in forma nascosta. Chi sono i
nemici che egli pone come sgabello dei suoi piedi? Sono quelli i
quali meditano cose vane ed ai quali vien detto: Perché fremettero le
genti, e i popoli meditarono cose vane? Si levarono i re della terra,
e i principi si riunirono insieme contro il Signore e contro il suo
Cristo. Essi dissero: Spezziamo i loro vincoli, e scuotiamo via da
noi il loro giogo: non devono cioè né dominarci, né tenerci
sottomessi. Ma chi abita nei cieli, si riderà di loro (cf. Sal 2, 1-4):
tu, che eri nemico di Dio, starai in ogni caso sotto i suoi piedi, o
adottato o vinto da lui. Devi chiederti, dunque, quale posto tu occupi
sotto i piedi del Signore, tuo Dio, perché necessariamente lo occupi,
ed è un posto di grazia o di pena. Egli, dunque, siede alla destra di
Dio, finché non siano posti i suoi nemici sotto i suoi piedi. Questo sta
avvenendo, questo si verifica: anche se in forma lenta e graduale, si
verifica incessantemente. Sì, fremettero le genti, ed i popoli
meditarono cose vane, si levarono i re della terra ed i principi si
riunirono insieme contro il Signore e contro il suo Cristo; ma
riusciranno forse, col loro fremere, col meditare cose vane, col
riunirsi insieme contro Cristo, ad impedire che si adempia la parola:
A te darò le genti come tua eredità, e come tuo possesso i confini
della terra (cf. Sal 2, 8)? Proprio mentre quelle fremono e quelli
meditano cose vane, la parola avrà pieno adempimento: A te darò le
genti come tua eredità, e come tuo possesso i confini della terra.
Quelli, infatti, meditano cose vane; che, invece, si adempia la parola:
A te darò le genti come tua eredità, e come tuo possesso i confini
della terra, non l’ho saputo da un tale qualsiasi in preda a
vaniloquio, ma l’ha detto a me il Signore (cf. Sal 2, 7).
Analogamente, anche in questo nostro Salmo possiamo dire: Chi l’ha
detto non è un uomo qualsiasi, né son quelli che fremono e meditano
cose vane; ma il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia
destra, finché io non ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi
piedi. Fremano pure, meditino cose vane e facciano strepito: forse
per questo non si adempirà ciò che è stato predetto? Andò perduta
con strepito la loro memoria. A parlar così è un altro Salmo, ma non
già un altro spirito: Andò perduta con strepito la loro memoria,
mentre il Signore rimane in eterno (cf. Sal 9, 7-8). Dunque, proprio
colui che rimane in eterno, mentre va perduta con strepito la
memoria di quelli, ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra.
Siede, infatti, alla destra del Padre, finché non ponga tutti i suoi
nemici come sgabello dei suoi piedi.
Il regno di Cristo non avrà fine.
10. [v 2.] Che cosa si dice poi? Il Signore farà uscire da Sion lo
scettro della tua virtù. Appare in tutta evidenza, o fratelli, che qui il
Profeta non parla di quel regno di Cristo, di cui egli gode in eterno
presso il Padre, come Signore delle cose che per mezzo di lui furono
create. Esiste forse un tempo, nel quale il Verbo, che è Dio, non
regni da principio presso Dio? Sta scritto infatti: Al re dei secoli,
invisibile e incorruttibile, all’unico Dio sia onore e gloria nei secoli
dei secoli! (cf. 1 Tm 1, 17) Al re dei secoli onore e gloria nei secoli
dei secoli: a quale re dei secoli? All’invisibile e all’incorruttibile. Per
il fatto che Cristo è, con il Padre, invisibile e incorruttibile, essendo il
suo Verbo, la sua virtù e la sua sapienza, essendo Dio presso Dio, per
mezzo del quale furono fatte tutte le cose, egli è di certo il re dei
secoli; ma anche in rapporto a quell’economia transitoria, per la
quale ci ha chiamati all’eternità attraverso la mediazione della sua
carne, esiste un suo regno che comincia dai Cristiani, e questo suo
regno non avrà fine. È vero, dunque, che i suoi nemici sono posti
come sgabello dei suoi piedi, poiché siede alla destra del Padre:
abbiamo già detto che è così, e ciò vien fatto e continuerà senz’altro
fino alla fine. Nessuno deve dire che non può aver compimento quel
che è stato iniziato: perché disperare della conclusione di un’opera
già iniziata? L’ha iniziata l’Onnipotente, e l’Onnipotente ha
promesso di portare a compimento quel che ha iniziato. E da dove ha
iniziato? Il Signore farà uscire da Sion lo scettro della tua virtù.
Sion non è altro che Gerusalemme. Ascolta il Signore stesso, che
dice: Era necessario che Cristo patisse e risorgesse dai morti il terzo
giorno (cf. Lc 24, 46). Cominciando da qui, dov’era appunto al
momento della risurrezione, egli siede alla destra di Dio Padre. E che
vien fatto poi, da quando siede alla destra del Padre? Che vien fatto,
perché i suoi nemici siano posti come sgabello dei suoi piedi?
Ascolta lui che te lo insegna e io spiega: E sarà predicata nel suo
nome la penitenza e la remissione dei peccati tra tutte le genti,
cominciando da Gerusalemme (cf. Lc 24, 47), perché il Signore farà
uscire da Sion lo scettro della tua virtù. Lo scettro della tua virtù vuol
dire il regno della tua potenza, perché tu li reggerai con scettro di
ferro (cf. Sal 2, 9); il Signore lo farà uscire da Sion, perché si dice:
cominciando da Gerusalemme.
La glorificazione di Cristo presuppone la sua umiliazione.
11. Che cosa, dunque, avverrà, dopo che il Signore avrà fatto
uscire da Sion lo scettro della sua virtù? E domina nel mezzo dei
tuoi nemici. Dapprima domina nel mezzo dei tuoi nemici, tra le genti
che fremono. Ma egli dominerà anche dopo nel mezzo dei suoi
nemici, quando cioè i santi avranno ricevuto il meritato onore e gli
empi la loro condanna? C’è forse da meravigliarsi se dominerà anche
allora, mentre con lui regneranno i giusti in eterno e gli empi, invece,
bruceranno tra gli eterni tormenti? C’è forse da meravigliarsi di
questo? Ora tu domini nel mezzo dei tuoi nemici: al presente, in
questa rapida vicenda di secoli, durante il periodo di propagazione e
successione della mortale natura umana, mentre fugge veloce il
torrente del tempo, lo scettro della tua virtù si leva direttamente da
Sion, perché tu abbia a dominare nel mezzo dei tuoi nemici. Domina
dunque, domina nel mezzo dei pagani, dei Giudei, degli eretici, dei
falsi fratelli! Domina, sì domina, o figlio di David, o Signore di
David, domina nel mezzo dei pagani, dei Giudei, degli eretici, dei
falsi fratelli! Domina nel mezzo dei tuoi nemici. Ma non
intenderemmo bene questo versetto, se non vedessimo che la cosa
già si verifica. Siedi, dunque, alla destra di Dio, resta nascosto per
esser creduto, finché non si compiano i tempi per le genti. Così,
infatti, sta scritto: Era necessario che il cielo lo accogliesse, finché
non si compiano i tempi delle genti (cf. At 3, 21). Tu invero sei
morto per risorgere, sei risorto per ascendere al cielo, sei asceso per
sedere alla destra del Padre: tu, dunque, sei morto per sedere alla
destra del Padre. Dalla tua morte è derivata la risurrezione, dalla
risurrezione l’ascensione, dall’ascensione il tuo assiderti alla destra
del Padre: dunque, l’intero ciclo di questi eventi ha avuto inizio dalla
morte, come lo splendore di questa glorificazione trova il suo
principio nell’umiltà. Mentre, pertanto, tu siedi alla destra del Padre,
si compiono i tempi delle genti ed i tuoi nemici sono posti come
sgabello dei tuoi piedi. Per giungere a questo, tu prima dominerai nel
mezzo dei tuoi nemici, perché proprio per questo il Signore farà
uscire da Sion lo scettro della tua virtù (cf. Sal 109, 2). Ma perché
tu morissi e, per la tua morte, fosse cancellato il chirografo contro i
peccatori (cf. Col 2, 14) e fosse predicata la penitenza e la remissione
dei peccati tra tutte le genti, cominciando da Gerusalemme,
intervenne la cecità dei Giudei. Davvero la cecità degli uni è servita
per dare la luce agli altri. Difatti, si è verificata in parte la cecità di
Israele, perché entrasse la totalità delle genti, e così si salvasse
l’intero Israele (cf. Rm 11, 25). La cecità, che in parte si è verificata
in Israele, ti ha ucciso; ma, ucciso, tu sei risorto e, con il tuo sangue,
hai distrutto i peccati delle genti e, sedendo alla destra del Padre, hai
raccolto insieme da tutte le parti quelli che soffrono ed in te si
rifugiano. Dunque, si è verificata in parte la cecità di Israele: si è
verificata perché entrasse la totalità delle genti, e così si salvasse
l’intero Israele, e tutti i tuoi nemici divenissero lo sgabello dei tuoi
piedi. Questo, però, avviene ora. E dopo che cosa avverrà?
Cristo visibile nella forma di servo, invisibile nella forma
divina.
12. [v 3.] Con te è il principio nel giorno della tua virtù. Qual è
questo giorno della sua virtù? Quando può essere con lui il principio,
o di quale principio si tratta, o come può essere con lui il principio,
se egli stesso è il principio? Ci aiuti il Signore, perché non rechi
turbamento né a me il parlare né a voi l’ascoltare. Vedo, infatti,
quello che già è avvenuto, e lo vedo con voi attraverso gli occhi della
fede; vedo, anche attraverso gli occhi della carne, quello che già
avviene; ed ancora, attraverso gli occhi della fede, spero di vedere
con voi quello che avverrà. Che cosa, dunque, è avvenuto, che cosa
avviene, che cosa avverrà? Cristo ha patito, è morto, è risorto al terzo
giorno, è salito al cielo - come sappiamo – dopo quaranta giorni,
siede alla destra del Padre: tutto questo è già avvenuto e, anche se
non l’abbiamo visto, noi lo crediamo. Ed ora che cosa avviene? Egli
domina nel mezzo dei suoi nemici, perché da Sion è uscito lo scettro
della sua virtù: è questo che avviene e si sta compiendo. La sua
natura di servo fu vista allora dai servi, quando era presente tra loro,
ed è ora creduta dai servi, perché è assente da loro. Dalla sua natura
di servo, insomma, crediamo quel che
possiamo capire, mentre siamo ancora dei servi. Questo è appunto
quel latte dei bambini, che egli temperò nella giusta misura per noi,
facendo passare il pane attraverso la carne. Difatti, il pane degli
Angeli era in principio il Verbo; eppure, perché l’uomo potesse
mangiare questo pane degli Angeli, il Creatore degli Angeli si è fatto
uomo (cf. Sal 77, 25). In tal modo il Verbo incarnato si è fatto capace
di esser ricevuto da noi: cioè noi non l’avremmo potuto ricevere, se il
Figlio, che è eguale a Dio, non si fosse annientato, assumendo la
natura di servo, fatto a somiglianza degli uomini e all’aspetto
ritrovato come uomo (cf. Fil 2, 6-7). Perché, dunque, noi potessimo,
in qualche modo, comprender colui che non poteva esser compreso
dai mortali, l’immortale si è fatto mortale per farei, mediante la sua
morte, immortali ed offrirci, altresì, qualcosa da contemplare,
qualcosa da credere, qualcosa da vedere più tardi. Ai presenti ha
offerto e presentato la sua natura di servo, facendola non solo vedere
con gli occhi, ma toccare addirittura con le mani. Con questa
medesima natura è sceso al cielo, e ci ha comandato di credere ciò
che a quelli aveva fatto vedere. Ma anche noi abbiamo qualcosa da
vedere: se quelli videro lo scettro che usciva da Sion, noi lo vediamo
dominare nel mezzo dei suoi nemici. Tutto questo, o fratelli,
appartiene all’economia della natura di servo, la quale è compresa
con sopportazione dai servi ed è amata dai futuri figli. In realtà, la
Verità immutabile, che è il Verbo di Dio, Dio presso Dio, per mezzo
del quale furono fatte tutte le cose, rimanendo in se stessa, rinnova
tutte le cose (cf. Sap 7, 27). Ma per poterla vedere ci è necessaria una
grande e perfetta purezza di cuore, la quale si ottiene mediante la
fede. Dopo aver mostrato la natura di servo, la Verità ha differito se
stessa per dimostrare la natura di Dio. Il Signore stesso, parlando ai
servi nella sua natura di servo, disse: Chi mi ama, osserva i miei
comandamenti; e chi ama me, sarà amato dal Padre mio, ed io
pure l’amerò e manifesterò a lui me stesso (cf. Gv 14, 21). A quelli
che lo vedevano egli promise che si sarebbe mostrato. Ma che cosa
vedevano, e che cosa prometteva? Quelli vedevano la natura di
servo, egli prometteva di far vedere la natura di Dio. Manifesterò a
lui - dice - me stesso. È proprio questo lo splendore glorioso, verso il
quale è condotto il regno che viene ora riunito, mentre questo secolo
passa: sì, questo regno è avviato verso una visione ineffabile, che
non sarà meritata dagli empi. Peraltro, quand’era quaggiù, questa
natura di servo fu vista dagli empi: la videro quelli che la credettero,
e la videro anche quelli che la uccisero. E perché tu non pensi che sia
gran cosa il vedere quella natura, tieni presente che la videro tanto gli
amici quanto i nemici, e che alcuni, pur vedendola, la soppressero, ed
altri, pur non vedendola, la credettero. Dunque, questa natura di
servo, che quaggiù videro nell’umiltà i buoni e gli empi, anche al
momento del giudizio la vedranno sia i buoni che gli empi. Quando il
Signore dinanzi agli occhi dei suoi discepoli si levò verso il cielo,
mentre lo stavano guardando, risuonò questa voce degli Angeli:
Uomini di Galilea, perché state guardando verso il cielo? Questo
Gesù così verrà, come l’avete visto salire al cielo (cf. At 1, 11). Così
vuol dire, dunque, nella medesima natura, come è stato detto degli
empi: Vedranno colui che hanno trafitto (cf. Zc 12, 10). Vedranno
in atto di giudicare colui che irrisero, quand’era giudicato. Perciò, al
momento del giudizio, questa stessa natura di servo sarà visibile ai
giusti e agli ingiusti, ai buoni e agli empi, ai credenti e ai
miscredenti. Che cosa, dunque, non vedranno gli empi? Di coloro dei
quali fu detto: Vedranno colui che hanno trafitto, fu anche detto:
Sia tolto di mezzo l’empio, perché non veda lo splendore della
gloria del Signore (cf. Is 26, 10). Che cosa significa questo, o
fratelli? Cerchiamo di individuarlo e discuterlo. L’empio è innalzato
perché veda qualcosa, ed insieme è tolto di mezzo perché non veda
qualcosa. Abbiamo già indicato ciò che egli vedrà: precisamente
quella natura, della quale è stato detto che così verrà (cf. At 1, 11) il
Signore. Ed allora che cosa non vedrà? E manifesterò a lui me
stesso (cf. Gv 14 21). Che significa me stesso? Non certo la natura di
servo. Che significa me stesso? Significa la natura di Dio, per la
quale non ha ritenuto una rapina il suo essere eguale a Dio (cf. Fil 2,
6-7). Che significa ancora me stesso? Carissimi, noi siamo già figli
di Dio, ma non è ancora apparso quello che saremo; sappiamo
che, quando ciò apparirà, saremo simili a lui, perché lo vedremo
qual egli è (cf. 1 Gv 3, 2). Questo splendore glorioso di Dio è la luce
ineffabile, la fonte di luce senza possibilità di mutamento, la verità
che mai non vien meno, la sapienza che rimane in se stessa e rinnova
tutte quante le cose: essa è la sostanza di Dio. Perciò sarà tolto di
mezzo l’empio, onde non veda questa gloria del Signore. Sono,
infatti, beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio (cf. Mt 5, 8.).
Cristo potenza e sapienza della divinità.
13. Mi sembra dunque, o fratelli - per quanto il Signore si degna
di far capire alla mia capacità - che qui il discorso si riferisca al
tempo, se pure si deve parlare di tempo, dato che ci sarà un tempo in
cui giungeremo al non tempo! Per questo mi sembra che sia stato
detto - e lo dico senza pregiudizio di altre interpretazioni, nel caso
che qualcuno possa proporre, un senso migliore, più facile e più
verosimile - per questo, ripeto, mi sembra che sia stato detto: Con te
è il principio nel giorno della tua virtù. Questo infine, a mio
giudizio, è sufficientemente chiarito dall’intima coerenza del
versetto. Difatti, anche qui si parla della sua virtù, per la quale Cristo
ha sottomesso al suo giogo le genti ed ha abbattuto i popoli non con
il ferro, ma con il legno della croce; e benché l’abbia fatto nella carne
e nell’umiltà e nella misura in cui può soffrire la natura di servo, si
comprende tuttavia quanto sia grande la sua virtù, perché la
debolezza di Dio è più forte degli uomini (cf. 1 Cor 1, 25). Dunque,
anche qui si parla della sua virtù, la quale già prima era stata
celebrata con le parole: Il Signore farà uscire da Sion lo scettro
della tua virtù, e domina nel mezzo dei tuoi nemici. Davvero grande
è la sua virtù, se egli domina nel mezzo dei suoi nemici, che
strepitano, pur non riuscendo a nulla contro di lui, ed ogni giorno
ripetono tra loro: Quando morirà e perirà il suo nome? (cf. Sal 40, 6),
mentre va crescendo la sua gloria tra i popoli, mentre al suo nome si
sottomettono le genti, mentre il peccatore vede e si adira, digrigna i
suoi denti e si strugge (cf. Sal 111, 10). Poiché, dunque, anche
questa è la sua virtù, il Profeta ha voluto celebrare in altro modo la
virtù per la quale Cristo è la " virtù di Dio " e la " sapienza di Dio "
nella luce eterna dell’immutabile verità: è una visione, questa, alla
quale siamo riservati, la quale ci è ancora differita, per la quale siamo
purificati mediante la fede e dalla quale sarà escluso l’empio, onde
non veda la gloria del Signore. Volendo, dunque, dimostrare anche
quest’altra virtù, il Profeta afferma: Con te è il principio nel giorno
della tua virtù. Che cosa significa: Con te il principio? Supponi pure
un qualsiasi principio; se intendi Cristo stesso, sarebbe più
appropriato dire: Tu sei il principio, anziché: Con te il principio.
Egli, infatti, a quelli che gli avevano domandato: Tu chi sei? Rispose
dicendo: Sono il principio io che vi parlo (cf. Gv 8, 25). Ma
principio è anche il Padre, dal quale nacque il Figlio unigenito, nel
quale principio era il Verbo, perché il Verbo era presso Dio. Ed
allora, se il Padre è principio e principio è il Figlio, esistono forse
due principi? Assolutamente no, perché come il Padre è Dio ed il
Figlio è Dio, e tuttavia il Padre ed il Figlio non sono due dèi, ma un
solo Dio, così il Padre è principio e principio è il Figlio, e tuttavia il
Padre ed il Figlio non sono due principi, ma un solo principio. Con te
il principio: farai un giorno vedere in qual modo sia con te il
principio, ma ciò non significa che anche qui non sia con te il
principio. Non hai forse detto: Ecco ( ... ) voi ve ne andate ciascuno
per conto suo, e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il
Padre è insieme con me (cf. Gv 16, 32)? Dunque, anche qui è con
te il principio. Anche in altro passo hai detto: E il Padre, che in me
dimora, compie le sue opere (cf. Gv 14, 10). Con te il principio, né
mai il Padre è stato da te separato. Ma quando si vedrà che con te è il
principio, questo apparirà manifesto a tutti quelli che saranno ormai
simili a te, perché ti vedranno così come sei (cf. 1 Gv 3, 2). Infatti,
Filippo qui ti vedeva e cercava di vedere il Padre (cf. Gv 14, 8).
Allora, dunque, si vedrà quel che ora si crede: sarà quando i santi,
quando i giusti vedranno con te il principio, mentre gli empi
saranno tolti di mezzo, onde non vedano la gloria del Signore.
Prepariamoci con la fede alla visione della divinità.
14. Adesso dunque, fratelli, dobbiamo credere quel che allora
vedremo. Difatti, Filippo fu rimproverato perché cercava di vedere il
Padre, non riconoscendo questo Padre nello stesso suo Figlio: È da
tanto tempo che sono con voi, e non mi avete conosciuto? Filippo,
chi ha visto me, ha visto anche il Padre (cf. Gv 14, 9). Si noti: chi
ha visto me, non chi ha visto in me la natura di servo. Dunque, chi ha
visto me così come mi sono nascosto a quelli che mi temono, come
mi preparo a farmi vedere da quelli che sperano in me, ha visto anche
il Padre. Ma poiché questa visione avrà luogo più tardi, che cosa
abbiamo ora al posto di essa? Vediamo quel che Gesù dice a Filippo,
dopo che gli aveva detto: Chi ha visto me, ha visto anche il Padre. È
come se Filippo tacitamente gli rispondesse: Ma come potrò vederti,
se ti fai vedere in forma diversa dalla natura di servo? O come potrò
vedere il Padre io, uomo debole e mortale, che non sono che polvere
e cenere? Rivoltosi a lui, differendo la visione ed imponendogli la
fede, il Signore che aveva detto: Chi ha visto me, ha visto anche il
Padre, poiché questo era troppo per Filippo ed era ben lontano da lui
il vedere, soggiunge: Non credi che io sono nel Padre e che il Padre
è in me? (cf. Gv 14, 10). Quel che ancora non puoi vedere, devi
crederlo per meritare di vederlo. Quando, dunque, si giungerà al
punto di vedere, allora ci apparirà che con te è il principio nel giorno
della tua virtù. Della tua virtù, non della virtù della tua debolezza,
perché anche in questo c’è virtù. Della tua virtù: gli uomini
possiedono ora nella fede, nella speranza, nella carità, nelle opere
buone le loro virtù, ma essi andranno dalle virtù alla virtù (cf. Sal
83, 8). Dunque, con te il principio: ti vedrai con il Padre, nel Padre,
perché il Padre sia con te il principio nel giorno della tua virtù, di
quella tua virtù che l’empio non potrà vedere. Ché anche questa tua
debolezza è più forte degli uomini (cf.1 Cor 1, 25), ed infatti nel
giorno della tua virtù con te è il principio.
La vita eterna consisterà in una visione di realtà ineffabili.
15. Spiega di quale virtù tu parli. Ché anche qui - come si è detto
- è nominata la sua virtù, quando si dice che è fatto uscire da Sion lo
scettro della sua virtù, affinché egli domini nel mezzo dei suoi
nemici. Di quale virtù tu parli? Nello splendore dei santi. Dice: nello
splendore dei santi e, quindi, parla di quella virtù che si manifesterà
quando i santi saranno nello splendore, non quando portano ancora la
carne terrena e gemono nel corpo mortale e corruttibile, che
appesantisce l’anima, ed il domicilio terreno deprime la mente
intenta nei suoi molti pensieri (cf. Sap 9, 15). Allorché questi
pensieri neppure si vedono, non si può dire: nello splendore dei santi.
Che cosa significa allora: nello splendore dei santi? Fino a che
venga il Signore, il quale illuminerà le cose nascoste dalle tenebre
e manifesterà i pensieri dei cuori, ed allora ciascuno avrà lode da
Dio (cf. 1 Cor 4, 5). Tutto ciò si avrà nello splendore dei santi,
perché allora i giusti brilleranno nel regno del Padre loro, come il
sole. Ascoltate che cosa significa, nello splendore dei santi. Verrà la
messe - si dice - verrà la fine del mondo: il padre di famiglia
manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli
scandali e li getteranno nella fornace di fuoco ardente (...) Allora i
giusti brilleranno, come il sole, nel regno del Padre loro (cf. Mt 13,
39-43; cf. Sap 3-7). In quale regno? Vedete se ci è riservata una
qualche visione, per la quale ci è stato detto: Con te il principio. In
quale regno? Certamente nella vita eterna. Difatti, il Signore a quelli
che staranno alla sua destra dirà: Venite, o benedetti del Padre mio,
ricevete il regno che è stato preparato per voi fin dall’inizio del
mondo (cf. Mt 23, 34). Poi, dopo aver detto: Ricevete il regno, quali
parole seguono al riguardo degli empi condannati e dei giusti separati
e lodati? Allora gli empi andranno nel fuoco eterno, i giusti invece
nella vita eterna (cf. Mt 25, 46). Quel che prima aveva chiamato
regno, lo chiama ora vita eterna, dove non andranno gli empi. Vedete
se la vita eterna sia una visione: Ora questa è la vita eterna: che
conoscano te, unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo
(cf. Gv 17), perché con te è il principio nel giorno della tua virtù.
Resta spiegato così che con te è il principio nel giorno della tua virtù,
nello splendore dei santi.
Cristo, generato dal Padre, volle diventare figlio di David.
16. Ma tutto questo è differito e sarà dato più tardi. Ed ora che
cosa avviene? Dal ventre, prima di lucifero, ti ho generato. Che
cosa significa questo? Se Dio ha il Figlio, ha forse anche il ventre?
Certamente non l’ha come l’hanno i corpi carnali, e neppure ha il
seno. Nondimeno è stato detto: (L’Unigenito) che sta nel seno del
Padre, l’ha narrato (cf. Gv 1, 18). Questo seno è lo stesso che
ventre, ed il seno e il ventre sono qui usati a posto di segreto. Che
cosa significa dal ventre? Significa: nel segreto, di nascosto, cioè da
me stesso, dalla mia sostanza. Questo significa dal ventre, perché chi
potrà narrare la sua generazione? (cf. Is 53, 8) Dobbiamo, dunque,
intendere che è il Padre a dire al Figlio: Dal ventre, prima di
lucifero, ti ho generato. E che cosa significa: Prima di lucifero?
Lucifero è qui usato a posto di astri, volendo la Scrittura esprimere il
tutto mediante la parte, e nominando con la stella più lucente tutti
quanti gli astri. Ma perché sono stati fatti quegli astri? Perché
servano per segnali, per i tempi, per i giorni e per gli anni (cf. Gn 1,
14). Dunque, se gli astri sono stati messi come segnali dei tempi e se
lucifero è stato nominato a posto degli astri, quel che è prima di
lucifero è anche prima degli astri, e quel che è prima degli astri è
anche prima dei tempi: dunque, se è prima dei tempi, è fin
dall’eternità. E non chiedere quando, perché l’eternità non conosce il
quando. " Quando " e " talvolta " sono parole proprie del tempo. Ma
non è nato dal Padre nel tempo colui per mezzo del quale il tempo fu
fatto! Tutto ciò, dunque, è stato detto - come era necessario - in
forma figurata e profetica, per cui è stato usato il termine ventre per
la segreta sostanza e il termine lucifero per il tempo. O volete forse
che volgiamo lo sguardo anche a David, il quale ha chiamato suo
Signore il suo figlio? Se ha detto questo, è perché l’ha sentito dal suo
Signore, l’ha sentito da colui dal quale non poteva essere ingannato,
e già l’ha chiamato suo Signore, perché ha affermato: Il Signore ha
detto al mio Signore: Siedi alla mia destra (cf. Sal 109, 1). Sì, è
David che parla, e quanto è riferito è come la trama del suo discorso.
Se, dunque, è lui che parla, forse ha potuto lui stesso dire: Dal ventre,
prima di lucifero, ti ho generato, e cioè: dal ventre verginale, dal
ventre, prima di lucifero, ti ho generato. Ed infatti, se la Vergine
Maria prende origine dalla carne di David, se da quel ventre è nato
Cristo, questi è stato generato, quasi dal suo ventre, da David. Dal
ventre, a cui non si è accostato uomo; dal ventre certamente, dal
ventre propriamente, perché egli solo da quel ventre è nato. Dice,
dunque, dal ventre colui che l’aveva chiamato suo Signore: Dal
ventre, prima di lucifero, ti ho generato. E la stessa espressione
prima di lucifero è stata usata in forma molto significativa e del tutto
propria e, come tale, si è verificata. Difatti il Signore nacque di notte
dal ventre della Vergine Maria, come indicano le testimonianze dei
pastori, i quali facevano la veglia sopra il loro gregge (cf. Lc 2, 7-8).
Dal ventre, prima di lucifero, ti ho generato. O mio Signore, tu che
siedi alla destra del mio Signore, perché sei mio figlio? Proprio
perché dal ventre, prima di lucifero, ti ho generato!
Cristo sacerdote e vittima della nuova Alleanza. In che senso
Dio giura o si pente di qualcosa.
17. [v 4.] E perché sei nato? Il Signore ha giurato, e non se ne
pentirà: Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di
Melchisedec. Sì, tu sei nato dal ventre, prima di lucifero, per essere
sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec. Se noi
intendiamo nato dal ventre in quanto nato dalla Vergine, e prima di
lucifero perché nato di notte, come attestano concordemente i
Vangeli, allora non c’è dubbio che egli è nato dal ventre, prima di
lucifero, per essere sacerdote in eterno secondo l’ordine di
Melchisedec. Difatti, secondo l’altra sua nascita, per la quale egli è
nato dal Padre, Dio presso Dio, è coeterno al suo Genitore e non
sacerdote. Egli, invece, è sacerdote in ragione della carne assunta, in
ragione del suo stato di vittima che aveva ricevuto da noi e che
avrebbe offerto per noi. Dunque, il Signore ha giurato. Che cosa
significa: Il Signore ha giurato? Dunque il Signore giura, mentre
proibisce all’uomo di giurare (cf. Mt 5, 34)? O non è vero, piuttosto,
che egli proibisce all’uomo di giurare perché non cada nello
spergiuro, e per ciò stesso Dio giura, perché non può essere
assolutamente spergiuro? È giusto, infatti, che all’uomo, il quale per
l’abitudine di giurare può cadere con la sua lingua nello spergiuro,
sia proibito di giurare: egli sarà tanto più lontano dallo spergiuro,
quanto più sarà lontano dal giurare. L’uomo che giura può, in effetti,
giurare il falso e il vero; l’uomo che, invece, non giura, non può
giurare il falso, perché non giura affatto. Perché, dunque, non
potrebbe giurare il Signore, quando il giuramento del Signore è la
conferma suprema della sua promessa? Egli può certamente giurare.
Ora che cosa fai tu, quando giuri? Tu chiami Dio in testimonio:
giurare significa chiamare Dio in testimonio, ed appunto per questo
non è cosa opportuna, ad evitare che tu prenda Dio a testimonio di
qualche falsità. Dunque, se giurando tu chiami Dio in testimonio,
perché non potrebbe anche Dio, giurando, chiamare in testimonio se
stesso? Io vivo, dice il Signore: è la formula del giuramento di Dio.
Così ha giurato sopra la discendenza di Abramo: Io vivo, dice il
Signore: poiché hai ascoltato la mia voce e non hai risparmiato per
me il tuo unico figlio, in fede mia ti colmerò di benedizioni e
moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come
l’arena che sta sulla riva del mare, e nella tua discendenza
saranno benedette tutte quante le genti (cf. Gn 22, 16-18). E la
discendenza di Abramo, che è Cristo – egli che discende da Abramo
perché prende la carne dalla discendenza di Abramo - sarà sacerdote
in eterno secondo l’ordine di Melchisedec. Dunque, il Signore ha
giurato sopra il sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedec, e non
se ne pentirà. E che cosa sarà del sacerdozio secondo l’ordine di
Aronne? Forse Dio si pente come l’uomo, o non volendo si trova
costretto a fare qualche cosa, o non sapendo cade in qualche errore,
di cui dovrà più tardi pentirsi? Egli sa bene quel che fa, sa fino a che
punto deve svilupparsi una cosa, e come questa possa cambiarsi in
un’altra dipende dal suo potere di governo. Ora il cambiamento delle
cose è indicato dal pentimento. Come tu, quando ti penti di qualche
cosa, ti rammarichi di aver fatto quel che hai fatto, così Dio, quando
al di là della speranza degli uomini, cioè senza che lo sperino gli
uomini, cambia una cosa in un’altra, dice di pentirsi; e questo fino al
punto che si pente anche della nostra pena, se noi ci pentiamo della
nostra vita cattiva. Dunque, il Signore ha giurato: ha giurato, cioè ha
confermato; non se ne pentirà, cioè non cambierà. Che cosa? Che tu
sei sacerdote in eterno, e lo sarai in eterno, perché egli non se ne
pentirà. Ma sacerdote secondo che cosa? Rimarranno forse quei
sacrifici, le vittime offerte dai Patriarchi, gli altari del sangue e il
tabernacolo, insomma tutti quei sacramenti dell’Antico Testamento?
No di certo! Quelle cose già sono state abolite con l’avvenuta
distruzione del tempio, con la cessazione del sacerdozio, con la
scomparsa delle relative vittime e sacrifici: neppure i Giudei le hanno
più! Essi vedono che ormai è finito il sacerdozio secondo l’ordine di
Aronne, e non riconoscono il sacerdozio secondo l’ordine di
Melchisedec. Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di
Melchisedec. Parlo a persone che credono: se i catecumeni non
comprendono qualche cosa, si sforzino di vincere la pigrizia e si
affrettino per arrivare alla conoscenza. Non è, dunque, necessario
manifestare i misteri: saranno le Scritture a farvi capire che cos’è il
sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedec.
Cristo assiso alla destra del Padre e partecipe della nostra
miseria.
18. [v 5.] Il Signore sta alla tua destra. Prima il Signore aveva
detto: Siedi alla mia destra; ora il Signore sta alla sua destra, come se
avessero cambiato posizione ... O non sarà, piuttosto, da ricordare
che è stato detto a Cristo: Il Signore ha giurato, e non se ne pentirà:
Tu sei sacerdote in eterno) Il Signore ha giurato, dicendo: Tu sei
sacerdote in eterno Quale Signore? Colui che ha detto al mio
Signore: Siedi alla mia destra, ha anche giurato: Tu sei sacerdote in
eterno secondo l’ordine di Melchisedec, ed al medesimo Signore,
che ha giurato, sono dirette le parole: Il Signore sta alla tua destra.
O Signore, che hai giurato ed hai detto: Tu sei sacerdote in eterno
secondo l’ordine di Melchisedec, questo stesso sacerdote in eterno è
il Signore che sta alla tua destra: proprio lui - voglio dire - sacerdote
in eterno, sopra il quale hai giurato, è il Signore che sta alla tua
destra, perché a questo mio Signore tu hai detto: Siedi alla mia
destra, fino a che io non ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi
piedi. Perciò codesto Signore, il quale sta alla tua destra, sopra il
quale hai giurato ed al quale hai giurato, dicendo: Tu sei sacerdote
in eterno secondo l’ordine di Melchisedec, ha abbattuto nel giorno
della sua ira i re. È Cristo, in definitiva, il Signore che sta alla tua
destra, al quale hai giurato e non te ne pentirai. E che cosa fa come
sacerdote in eterno? Che cosa fa colui che sta alla destra di Dio ed
intercede per noi (cf. Rm 8, 34), come sacerdote che entra
nell’interno del tempio o nel santo dei santi, nel segreto dei cieli, egli
che solo non ha il peccato e, pertanto, purifica con facilità dai peccati
(cf. Eb 9, 12. 14. 24)? Egli dunque, che sta alla tua destra, ha
abbattuto nel giorno della sua ira i re. Vuoi sapere quali re? Hai forse
dimenticato il testo: Si levarono i re della terra, ed i principi si
riunirono insieme contro il Signore e contro il suo Cristo (cf. Sal 2,
2)? Questi re egli li ha abbattuti con la sua gloria, e li ha tanto
fiaccati con la potenza del suo nome che non hanno potuto realizzare
i loro disegni. Essi, infatti, hanno tentato con ogni sforzo di
cancellare dalla terra il nome cristiano e non ci sono riusciti, perché
chi inciamperà contro quella pietra, sarà abbattuto (cf. Mt 21, 44).
Hanno, dunque, inciampato contro la pietra d’inciampo, e perciò i re
sono stati abbattuti, quando dicevano: Chi è Cristo? Non so proprio
quale Giudeo o Galileo sia stato ucciso così, o sia morto così! La
pietra sta davanti ai tuoi piedi e giace, come cosa vile ed umile, a
terra: perciò, disprezzandola, inciampi, e inciampando cadi, e
cadendo resti abbattuto. Se, dunque, è tanto grande la sua ira quando
è nascosta, come sarà il giudizio quando si manifesterà? Avete
sentito questa sua ira nascosta, circa la quale un Salmo s’intitola: Per
le cose nascoste del Figlio. È il Salmo nono - se ben ricordo - che
s’intitola: Per le cose nascoste del Figlio, ed esso dimostra il giudizio
nascosto della sua ira nascosta. Vivono provocando l’ira di Dio
coloro che inciampano contro quella pietra, e sono quindi abbattuti.
E che vuol dire per loro essere abbattuti? Senti quel che riguarda il
giudizio futuro: Ché chi inciamperà contro quella pietra - si dice -
sarà abbattuto, e sopra chi cadrà quella pietra, lo schiaccerà (cf. Lc
20, 18). Dunque, quando si inciampa contro di essa, che giace
umilmente a terra, allora abbatte; ma quando schiaccerà, verrà
dall’alto. Osservate come con queste coppie di parole: abbatterà e
schiaccerà, inciampa contro di essa e verrà sopra di lui, siano
esattamente distinti i due tempi dell’umiliazione e della
glorificazione di Cristo, del castigo nascosto e del giudizio futuro.
Cristo non schiaccerà, venendo, colui che non abbatte quando è
giacente; e dico giacente, per dire quando appare disprezzabile.
Difatti, egli sta alla destra di Dio, ed a gran voce gridò dall’alto:
Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (cf. At 9, 4) Eppure, stando nel
cielo dove nessuno poteva toccarlo, non avrebbe detto: Perché mi
perseguiti? Se nel cielo non fosse assiso alla destra del Padre in
modo da rimanere sulla terra, quasi giacente tra noi. Il Signore, che
sta alla tua destra, ha abbattuto nel giorno della sua ira i re.
Utilità dell’umile e volontaria sottomissione a Cristo.
19. [v 6.] Giudicherà tra le genti. Ora, per le cose nascoste; ma ci
sarà anche un giudizio manifesto: giudicherà tra le genti. Al presente
avviene questo: È andata distrutta con strepito la loro memoria.
Proprio così si legge nel medesimo Salmo, intitolato " Per le cose
nascoste ": È andata distrutta con strepito la loro memoria, mentre
il Signore rimane in eterno; ha preparato la sua sede per il
giudizio, ed egli stesso giudicherà tutta la terra nell’equità. Lì
appunto è detto: Hai rimproverato le genti, e l’empio è stato
distrutto: hai cancellato il loro nome in eterno (cf. Sal 9, 1. 6-9);
tutto ciò vien fatto in forma nascosta. Egli, dunque, nel giorno della
sua ira ha abbattuto i re. Giudicherà tra le genti. In che modo?
Ascolta quello che segue: Riempirà le rovine. Adesso egli giudica tra
le genti in modo tale da riempire le rovine, ma, quando giudicherà
alla fine del mondo, condannerà le rovine. Riempirà le rovine: quali
rovine? Chiunque sarà lontano dal suo nome, cadrà e, una volta
caduto, sarà distrutto in quel che era, per essere edificato in quel che
non era. Giudicherà tra le genti, riempirà le rovine. Chiunque tu sia,
se ti opponi ostinatamente a Cristo, è come se avessi drizzato verso
l’alto una torre che è destinata a cadere. Molto meglio per te se ti
getti in giù, facendoti umile e prostrandoti ai piedi di colui che siede
alla destra del Padre, perché si abbia in te la rovina per la necessaria
ricostruzione. Se, infatti, rimani nella tua altezza perversa, ne sarai
precipitato quando non sarà più possibile la tua riedificazione. Di tali
uomini dice in un altro passo la Sacra Scrittura: Li distruggerai e
non li riedificherai (cf. Sal 27, 5). Ora è indubbio che non si direbbe
di alcuni: Li distruggerai e non li riedificherai, se non ci fossero altri,
che egli, al contrario, distrugge per riedificarli. È quanto avviene in
questo tempo, nel quale Cristo giudica tra le genti in modo da
riempire le rovine. Abbatterà molte teste sopra la terra. Quaggiù,
sopra la terra, in questa vita egli abbatterà molte teste. Quelli che
erano superbi li fa umili, ed oso dire, fratelli miei, che è preferibile
camminare umilmente quaggiù con la testa battuta anziché incorrere
fatalmente, con la testa alta, nel giudizio della morte eterna. Cristo
abbatterà molte teste riducendole in rovine, ma riempirà le rovine e
riedificherà.
Cristo, subendo la morte, redime la nostra mortalità.
20. [v 7.] Berrà dal torrente lungo la via; perciò leverà alta la
testa. Vediamolo anche mentre beve dal torrente, lungo la via. Prima
di tutto, qual è il torrente? È il fluire della mortalità umana: difatti,
come il torrente si forma per la raccolta delle acque piovane, straripa,
rumoreggia, corre e, correndo, scorre, cioè finisce il suo corso, così
avviene dell’intero corso della mortalità. Gli uomini nascono,
vivono, muoiono e, mentre alcuni muoiono, altri nascono, e di
nuovo, mentre questi muoiono, altri ancora ne sorgono: essi si
succedono in una serie ininterrotta di venute e di partenze, ma non
rimangono per sempre. Che cosa è stabile quaggiù? C’è cosa che non
scorra e non vada, come onda raccolta dalla pioggia, verso l’abisso?
Proprio come un fiume, raccoltosi d’improvviso dalla pioggia, dalle
gocce di un abbondante acquazzone, va a sfociare nel mare e più non
appare - e neppure appariva prima di formarsi dalla pioggia - così
questo genere umano si raccoglie da luoghi nascosti e comincia a
scorrere, poi di nuovo, con la morte, ritorna in luoghi nascosti: nel
mezzo di questo suo corso, risuona e passa oltre. È da questo torrente
che Cristo ha bevuto: egli non ha disdegnato di bere da questo
torrente! Per lui il bere da questo torrente ha significato, in effetti,
nascere e morire. Questo torrente, dunque, porta con sé la nascita e la
morte: questo ha assunto Cristo, che è nato ed è morto, ed in tal
modo ha bevuto dal torrente lungo la via. Egli infatti è balzato,
come gigante, nel percorrere la via (cf. Sal 18, 6). Dunque, ha
bevuto dal torrente lungo la via, perché non si è fermato lungo la
via dei peccatori (cf. Sal 1, 1). Poiché, dunque, ha bevuto dal
torrente lungo la via, perciò ha levato alta la testa: cioè, poiché si è
umiliato e si è fatto obbediente fino alla morte, e fino alla morte di
croce, per questo motivo Dio lo esaltò dai morti e gli donò il nome,
che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi degli esseri del cielo, della terra e degli inferi,
ed ogni lingua confessi che Gesù Cristo è Signore nella gloria di
Dio Padre (cf. Fil 2, 8-11).
(Agostino S., Commento al Salmo 109, ed. digitale, pp. 2172-
2201).