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“La scomparsa di Majorana” è un giallo biografico scritto dallo scrittore siciliano Leonardo

Sciascia nel 1975. Ambientato nell’Italia degli anni 30 del Novecento, tratta della scomparsa
del brillante fisico teorico Ettore Majorana, sparito improvvisamente il 28 marzo del 1938. Nel
suo libro Sciascia ha l’intento di indagare a fondo nella questione Majorana, cercando di
trovare tutte le possibili motivazioni che abbiano spinto lo scienziato alla decisione di non farsi
più trovare. In questo modo, Sciascia costruisce un giallo in cui cerca di descrivere la situazione
minuziosamente, riuscendo a dare al lettore un profilo psicologico del personaggio, servendosi
anche delle citazioni di frasi e scritti del fisico o dei suoi amici e conoscenti, che parlavano di lui
o con lui prima della sua scomparsa. Il personaggio principale è ovviamente Majorana, infatti il
romanzo si propone come una vera e propria biografia del fisico, mentre tutti gli altri
personaggi come gli altri fisici, i parenti, la polizia e il monaco sono secondari e compaiono nel
corso degli eventi trattati solo perché aiutano a descrivere meglio alcuni particolari sulla
condizione del protagonista; difatti, non è presente la descrizione fisica dei luoghi e dei
personaggi. Majorana fin da subito appare come un uomo timido e introverso, ma dotato di un
incredibile intelligenza, tanto che Enrico Fermi lo ricordò come un genio di quelli che
avrebbero potuto scrivere la storia, al pari dei suoi colleghi Galileo e Newton, in questa celebre
frase: “Al mondo ci sono varie categorie di scienziati. Gente di secondo e terzo rango, che fan
del loro meglio ma non vanno lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di
grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come
Galileo e Newton. Ebbene Ettore Majorana era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessuno
altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che invece è comune trovare negli altri
uomini, il semplice buon senso”. Già da bambino, infatti, aveva dimostrato di avere doti fuori
dal comune, riuscendo a fare incredibili calcoli a mente. Durante la sua giovane età mostrò
spesso il suo interesse per l’ingegneria e per la fisica e fu proprio questo che spinse la famiglia
a portarlo a Roma, sia per frequentare il liceo sia per il corso di laurea, che avrebbe in seguito
ottenuto a pieni voti, tanto da guadagnarsi un posto all’interno della compagnia dei giovani di
via Panisperna. Nonostante il suo grande successo e la sua oggettiva intelligenza, Majorana
non si sentì mai pienamente soddisfatto di quello che stava facendo e guardò sempre la fisica
come qualcosa di poco importante, come un “gioco”, dal quale però era profondamente
ossessionato. Dopo una breve parentesi in Germania, in cui fece amicizia con lo scienziato
tedesco Heisenberg, Majorana tornò molto turbato e si ipotizza che fosse in quelle condizioni a
causa dell’inspiegabile morte del cuginetto, ucciso tra le fiamme all’interno della sua culla, e a
causa della morte del padre, al quale era molto legato. Le conseguenze del suo turbamento
furono un ripiegamento all’interno di sé durato tre anni, che portò Majorana a rinchiudersi in
casa a studiare senza uscire quasi mai. Questo stato d’animo lo portò anche a curare molto
meno il suo aspetto fisico e a frequentare più sporadicamente l’Istituto di via Panisperna. Nel
1937, al termine del lungo periodo trascorso fuori dal mondo, Majorana si sentì probabilmente
deciso a ricominciare a vivere e accettò una cattedra all’Università di Napoli in qualità di fisico
teorico. Dopo poco tempo, però, capì di non essere pronto a tornare a vivere all’interno della
società e decise di scomparire definitivamente il 28 marzo del 1938. Sciascia al termine della
sua opera decide di abbracciare l’ipotesi che Majorana possa essersi ritirato all’interno di un
convento in Calabria, forse a causa del dissidio che gli provocava la vita all’esterno. Si ricordi,
infatti, che Majorana era da sempre stato un tipo molto solitario e chiuso e sicuramente non gli
sarebbe piaciuta la vita sotto ai riflettori che avrebbe vissuto nel caso in cui fosse rimasto in
attività. Non è esclusa però anche l’ipotesi del suicidio, che Sciascia vuole in parte bocciare a
causa di alcuni indizi numerici enigmatici all’interno delle ultime lettere del fisico agli amici e ai
familiari, in cui si percepisce che il suo intento non è quello di togliersi la vita.

Per quanto riguarda lo stile, Sciascia utilizza uno stile abbastanza semplice e chiaro poiché il
suo obiettivo sembra essere semplicemente quello di fare una cronaca minuziosa sull’accaduto
e non vuole utilizzare termini troppo raffinati, nonostante il linguaggio che utilizza è ricco. Il
tempo del racconto è cronologico, quindi combacia con il tempo della storia. Il narratore è
onnisciente e del tutto distaccato dagli eventi, che vengono descritti soprattutto mediante
l’utilizzo di molti fonti storiche in seguito argomentate; infatti, il discorso utilizzato è quello
indiretto.

In generale, è importante elogiare Sciascia per l’analisi psicologica fatta del protagonista, che
segue cronologicamente tutti gli eventi e che cerca di capire, scrutando in ogni singolo
dettaglio, quali siano state le vere ragioni che spinsero Majorana a scomparire. In tutto ciò è
anche molto interessante la critica che l’autore esprime nei confronti degli scienziati che
durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale si sono ritrovati a contribuire alla
costruzione della bomba atomica, spiegando che sia probabilmente anche per questo motivo
che Majorana abbia deciso di non farsi più trovare da nessuno, cioè per non rischiare che la
sua intelligenza avesse potuto fare del male ad altre persone. In particolare, riguardo questa
critica è importante riportare questa frase di Sciascia, in cui egli attacca gli scienziati complici
della realizzazione della bomba atomica: “si comportano liberamente, cioè da uomini liberi, gli
scienziati che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportano da schiavi, e furono
schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di libertà. Furono liberi coloro
che non la fecero. Schiavi coloro che la fecero”. In questa frase, infatti, l’autore ribadisce che
furono liberi gli schiavi che ne provarono preoccupazione e angoscia, mentre furono schiavi gli
uomini liberi che la fecero senza scrupoli e con allegria.

In conclusione, ciò che ho apprezzato di più in questo libro sono stati la fluidità e il modo in cui
l’autore riesce ad appassionarti raccontando in maniera eccezionale ogni dettaglio della
vicenda. Questo, infatti, fa sì che si crei in automatico un profilo della psicologia e del
comportamento del protagonista, che si dimostra essere profondamente interessante e
intrigante.

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