• 7 vertebre nella zona cervicale, corrispondenti alla parte del collo, denominate vertebre
cervicali
• 12 vertebre nella zona dorsale, corrispondente alla parte centrale della schiena,
denominate vertebre toraciche o dorsali
• 5 vertebre nella zona lombare, equivalente alla parte bassa della schiena,
denominate vertebre lombari
• 5 vertebre nella zona sacrale, situata in prossimità del bacino, denominate vertebre
sacrali
• 4 o 5 vertebre nella zona del coccige, collocate subito sotto quelle sacrali,
denominate vertebre coccigee
Osservando la colonna vertebrale di fronte, in assenza di patologie risulta diritta; guardandola di
profilo, invece, si possono notare due tipi di curvature, denominate:
1) Cifosi: è una curvatura fisiologica della colonna vertebrale con convessità posteriore. Si parla
di curve cifotiche per quanto riguarda la zona toracica e coccigea della colonna.
2) Lordosi: è una curvatura fisiologica della colonna vertebrale a convessità anteriore. Si parla
di curve lordotiche per quanto riguarda la zona cervicale e lombare della colonna.
Le curve di cui è dotata la colonna servono per donarle solidità e flessibilità e per contrastare
meglio la forza di gravità cui è costantemente sottoposta: se la colonna fosse completamente
diritta sarebbe molto meno elastica e resistente di quella che è.
La regione cervicale contiene le vertebre che vanno dalla C1 alla C7, ed è suddivisa in:
1) Rachide cervicale superiore: composto dalla vertebra C1 (anche detta atlante) e dalla
vertebra C2 (anche detto epistrofeo). L’atlante ha la forma di un anello ed è privo di corpo
vertebrale; l’epistrofeo presenta una protuberanza (detta processo odontoideo) che costituisce
l’asse attorno al quale l’atlante può muoversi, permettendo la rotazione della testa in entrambe
le direzioni. Le due vertebre non hanno alcun disco intervertebrale posto tra loro.
2) Rachide cervicale inferiore: composto dalle vertebre C3, C4, C5, C6 e C7. Si tratta di vertebre
di dimensioni più piccole rispetto a quelle dorsali e lombari, l’ultima delle quali detta vertebra
prominente a causa del suo processo spinoso molto sviluppato.
La regione dorsale o toracica (a sinistra) contiene le vertebre che vanno dalla T1 alla T12. Le
vertebre di questa parte del corpo aumentano di grandezza man mano che si scende verso il
basso e sono articolate con le costole mediante le cosiddette faccette articolari.
La regione lombare (a destra) contiene le vertebre che vanno dalla L1
alla L5, che hanno un corpo voluminoso cuneiforme.
La regione sacrale (subito sotto la lombare) contiene le vertebre che vanno dalla S1 alla S5, che
fuse tra loro vanno a formare l’osso sacro.
La regione coccigea (subito sotto la sacrale) contiene le vertebre che vanno dalla Co1 alla Co4 (o
Co5), che fuse tra loro vanno a formare il coccige.
Tolti l’atlante e l’epistrofeo che hanno forme particolari, una vertebra normalmente è costituita
da un corpo di forma cilindrica rivestito da una lamina ossea, contenente un tessuto osseo
spugnoso. L’arco vertebrale è composto invece da un peduncolo, due processi laterali e un
processo spinoso. Tutte le vertebre sono dotate di un foro (forame vertebrale), attraverso il quale
passa il midollo spinale, principale via di comunicazione tra il cervello e il sistema nervoso
periferico. Dal midollo spinale si diramano infatti i nervi che conducono l’energia vitale a tutti gli
organi del corpo umano.
Tra una vertebra e l’altra (ad esclusione di quelle sacrali e coccigee) troviamo i dischi
intervertebrali, formazioni fibro-cartilaginee composte da una parte esterna detta anello
fibroso e da un nucleo interno polposo costituito da un gel deformabile, ma resistente alle
compressioni. I dischi intervertebrali sono essenziali per il benessere della colonna, in quanto
ammortizzano le pressioni a cui è sottoposta e le conferiscono mobilità. Purtroppo possono
andare incontro a diversi tipi di patologie (comunemente indicate con il nome di discopatie), che
possono portare a dolore e riduzione della mobilità.
La colonna vertebrale svolge diverse funzioni, rivelandosi una parte essenziale per il benessere
dell’uomo:
ESTENSIONE
FLESSIONE
Lo scheletro del torace - Tratto toracico della
è costituito dalla colonna vertebrale
(posteriormente)
gabbia toracica
- Sterno e cartilagini costali
(anteriormente)
- Coste (lateralmente)
L a e a ac ca fe e ch a da
muscolo diaframma.
1
Cartilagini costali
Funzioni della gabbia toracica
- Manubrio
(incisura giugulare,
incisure clavicolari,
Incisure per la I e II costa)
- Corpo
(incisure per la II, III, IV,
V, VI e VII costa)
- Processo xifoideo
COSTE
- ossa pari: 12 paia
- forma allungata
- posteriormente si articolano con le 12 vertebre toraciche; anteriormente
direttamente o meno con lo sterno (articolazioni STERNOCOSTALI) attraverso
la corrispondente CARTILAGINE COSTALE ( a 11 e il 12 paio)
- distinte in:
Prima costa
coste vere, le prime 7 paia
coste false (raggiungono lo sterno
indirettamente o non lo raggiungono affatto),
dalla 8 alla 12 Coste
vere
coste fluttuanti, la 11 e la 12 .
Coste false
L’integrazione sensoriale:
Questo tipo di approccio ha iniziato a prendere campo intorno al 1970 a Los Angeles con gli
studi che Anna Jean Ayres ha effettuato al Brain Research Institute dell’università della
California.
La stessa Ayres (1972,1977,1989) e Fisher, Murray e Bundy (1991) e Bundy Lane e Murray
(2002) durante la loro ricerca, identificarono vari tipi di disfunzione dell’integrazione
sensoriale, disturbi di modulazione sensoriale, di controllo oculo-posturale, di integrazione
bilaterale e sequenziale e di disprassia.
Miller e gli atri autori (2007) hanno voluto proporre una tassonomia per migliorare la
specificità diagnostica. Tale tassonomia non si riferiva ad una modifica del termine
“integrazione sensoriale” utilizzato per descrivere la teoria o il trattamento, ma consisteva nel
suggerire e coniare un termine nuovo quale il “disturbo della processazione sensoriale” (SPD)
per distinguere il disturbo dalla teoria. (Author(s): Nancy Pollock; Title: Sensory
integration: A review of the current state of the evidence. Journal: Occupational Therapy
Now; Year: 2009;).
UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
I neurotrasmettitori devono quindi essere riassorbiti e re-immagazzinati nelle vescico-
le, in modo che le condizioni iniziali vengano ripristinate e la cellula post-sinaptica sia
pronta a ricevere un altro stimolo.
Questo meccanismo permette di trasmettere l’impulso nervoso solo in un senso.
La maggior parte dei neurotrasmettitori è costituita da piccole molecole organiche
quali amminoacidi o loro derivati.
Alcuni neurotrasmettitori, legandosi con i recettori associati a canali ionici del Na+, ne
provocano direttamente l’apertura, generando il potenziale d’azione nel neurone post-
sinaptico. Le sinapsi in cui questi neurotrasmettitori agiscono vengono dette eccitatorie.
L’acido aspartico e l’acido glutammico sono due amminoacidi di sinapsi eccitatorie.
Esistono però altri neurotrasmettitori (tra i quali l’amminoacido glicina) che agiscono
a livello delle sinapsi inibitorie: legandosi con la membrana del neurone post-sinaptico,
provocano l’apertura di proteine canale di tipo differente, ad esempio quelle che per-
mettono la fuoriuscita degli ioni potassio K+. In questo caso, la depolarizzazione della
membrana aumenta e rende più difficile l’avvio dell’impulso nervoso.
Alcuni neurotrasmettitori, come l’acetilcolina, sono in grado sia di trasmettere che
di inibire l’impulso nervoso a seconda del tipo di recettore presente nelle cellule post-
sinaptiche.
cono
cellule
luce
dell’epitelio
pigmentato
percorso
degli impulsi
dai fotorecettori
verso il
nervo ottico
I bastoncelli non sono sensibili ai colori; contengono il I coni sono stimolati dalla luce intensa e
pigmento rodopsina che funziona con luce debole, perciò in sono di tre tipi, contenenti pigmenti sensi-
queste condizioni l’immagine percepita è in bianco e nero bili ai colori blu, verde e rosso.
Per mettere a fuoco un’immagine, alcuni vertebrati, come i pesci, muovono il cristal-
lino avanti o indietro. Nell’occhio umano, invece, il cristallino cambia forma.
Se l’oggetto è lontano (oltre i 6 m), il cristallino mantiene una forma allungata e foca-
lizza i raggi luminosi paralleli sulla retina. Se l’oggetto da osservare è vicino, il cristallino
aumenta la sua convessità, diventando più spesso e arrotondato, grazie alla contrazione
dei muscoli che lo circondano. Questo movimento, detto accomodamento del cristalli-
no, permette di focalizzare i raggi luminosi divergenti sulla retina.
I difetti della vista più comuni sono la miopia e l’ipermetropia, che consistono in un’er-
rata messa a fuoco delle immagini. Questi difetti sono correggibili grazie all’uso di lenti.
raggi paralleli di un oggetto raggi divergenti di un oggetto Secondo le leggi dell’ottica, l’immagine
distante (più di 6 metri) vicino (meno di 6 metri) che si crea sulla retina è capovolta. Noi
però vediamo le immagini raddrizzate gra-
zie all’elaborazione del sistema nervoso.
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UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
L’orecchio: la ricezione dei suoni e l’equilibrio
Come nella maggior parte dei vertebrati, l’orecchio umano è l’organo di senso dell’udi-
to e contemporaneamente dell’equilibrio.
L’orecchio è composto da tre parti.
1. L’orecchio esterno raccoglie i suoni e li convoglia verso l’orecchio medio. Esso è
composto dal padiglione auricolare, la parte che comunemente chiamiamo orecchio, e
dal meato acustico o condotto uditivo, lungo 2,5 cm, che convoglia le onde sonore con-
tro la membrana timpanica che separa l’orecchio esterno dall’orecchio medio. Questa
membrana – comunemente chiamata timpano – quando è sollecitata dalle onde sonore
è in grado di vibrare e trasformare così il suono in un impulso meccanico.
2. L’orecchio medio è una piccola cavità contenente tre minuscoli ossicini disposti in
sequenza: il martello, l’incudine e la staffa. La funzione dell’orecchio medio è di am-
plificare le vibrazioni registrate dal timpano. Tali vibrazioni vengono intensificate dalla
catena di ossicini che appoggia sulla finestra ovale, una membrana che separa l’orecchio
medio dall’orecchio interno.
3. L’orecchio interno, situato all’interno del cranio, contiene il labirinto, cioè l’organo
dell’equilibrio, e la coclea, che rappresenta invece il vero e proprio organo dell’udito.
La coclea è un lungo tubo avvolto a spirale che riceve le vibrazioni della staffa attraver-
so la finestra ovale. All’interno della coclea è situato l’organo del Corti che è formato
da una membrana su cui sono inserite delle cellule recettrici ciliate. Le vibrazioni che
la finestra ovale riceve dalla catena di ossicini producono onde di compressione nel
liquido che riempie la coclea, le quali a loro volta si trasmettono alla membrana tettoria
a contatto con le ciglia. La pressione trasmessa alle ciglia fa cambiare lo stato delle cel-
lule recettrici che iniziano la trasmissione dell’impulso elettrico alle cellule del sistema
nervoso collegate.
orecchio orecchio orecchio
esterno medio interno canali
osso semicircolari
nervo
acustico
timpano
finestra ovale
(dietro la staffa)
vestibolo
o
m ea to ac us tic
coclea
padiglione
auricolare martello staffa
incudine
canale uditivo
Sezione trasversale
pressione del liquido all’interno della coclea
della coclea.
osso
cellule membrana tettoria
ciliate
organo fibre
del Corti del nervo membrana cellule verso
acustico basilare di sostegno il nervo acustico
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UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
L’organo dell’equilibrio, detto labirinto membranoso, è composto da due parti – il
vestibolo e i canali semicircolari – che forniscono informazioni al cervello in merito alla
posizione e ai movimenti della testa.
Il vestibolo è composto da due sacchi membranosi, chiamati otricolo e sacculo, ed
è responsabile del mantenimento dell’equilibrio statico: ci fornisce cioè informazioni
in merito all’alto e al basso (quindi alla direzione della forza di gravità) anche quando
siamo immobili.
I canali semicircolari sono tre, lunghi circa 12 mm ciascuno, e disposti perpendico-
larmente uno all’altro come assi cartesiani. Essi sono responsabili del mantenimento
dell’equilibrio dinamico, durante i movimenti angolari e rotatori della testa.
impu
lso elettri
co
cellula
epiteliale
ciglia
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B7_P.130_doc.01
UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
Il gusto dipende da alcuni recettori specifici che si trovano nella bocca, detti bottoni
gustativi.
I bottoni gustativi sono raggruppati nelle papille gustative: piccole estroflessioni del-
la superficie della bocca, presenti in massima parte sulla lingua e, in numero molto
minore, sul palato. I bottoni gustativi sono costituiti da cellule ciliate, che catturano le
sostanze chimiche disciolte nella saliva grazie alle ciglia.
Gli esseri umani possono distinguere quattro gusti fondamentali e ciascuno corrispon-
de alla stimolazione di bottoni gustativi presenti in un determinato settore della lingua.
I recettori per l’amaro sono collocati nella
parte posteriore della lingua e sono stimolati
da particolari sostanze organiche dette alcaloi-
di. I recettori per l’acido sono posti nella parte
mediana della lingua e vengono stimolati dagli
ioni idrogeno (H+) responsabili dell’acidità. I
recettori del salato sono situati soprattutto
nella parte anteriore e in quella laterale della
lingua e percepiscono la presenza di ioni me-
tallici. I recettori del dolce si trovano soprat-
tutto sulla punta della lingua e sono sollecitati
dagli zuccheri e da alcuni amminoacidi. bottone gustativo
ganglio
canale nervo
centrale spinale
midollo spinale
[SPL]
(sezione trasversale)
nervi
cranici
(12 paia)
midollo spinale
(sistema nervoso nervi
centrale) cervicali
(8 paia)
assone
nervi endonevrio
toracici
(12 paia) nervi
spinali perinevrio
(in totale epinevrio
31 paia)
nervi fascio
lombari
(5 paia)
nervi
sacrali
(5 paia) vasi
sanguigni
nervo
coccigeo
(1 paio)
Il sistema nervoso autonomo è costituito da nervi motori che controllano, tra gli altri, il
B7_P.136_doc.01.b
B7_P.136_doc.01.a
muscolo cardiaco, le ghiandole e il tessuto muscolare liscio.
Il sistema nervoso autonomo è composto da due sistemi differenziati, che esercitano
effetti contrapposti sugli organi che innervano.
1. Il sistema nervoso autonomo simpatico interviene quando l’organismo si trova in
situazioni di stress, sotto sforzo e impegnato in attività intense. La sua attività causa
l’accelerazione del battito cardiaco, aumenta la pressione sanguigna e la quantità di
glucosio nel sangue.
2. Il sistema nervoso autonomo parasimpatico esercita invece un controllo esattamente
opposto. La sua attività rilassa il corpo, favorisce la digestione, partecipa all’eliminazio-
ne delle feci e dell’urina e prevale nelle situazioni di tranquillità, per esempio durante il
rilassamento che si ha successivamente a un pasto.
I due sistemi agiscono sugli stessi organi in maniera antagonista, cioè provocando su
questi una reazione opposta.
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Già a meno di due mesi il feto può vedere; ovviamente lo sviluppo della vista si affinerà dopo
la nascita.
Il senso vestibolare
Il senso vestibolare rappresenta il sistema consolidante del cervello umano. Esso è localizzato
nell’orecchio interno: una piccola parte complessa che permette alla persona di mantenere un
certo equilibrio, di implementare il movimento concordato quando si muove nello spazio e
controllare i cambi di posizione della testa. Costituisce la base per il tono muscolare, per
l’equilibrio e per la coordinazione bilaterale.
È fondamentale la sua correlazione con gli altri organi di senso in quanto i diversi tipi di
sensazione vengono elaborati secondo l’informazione vestibolare.
Ciò implica che quando il sistema vestibolare funziona correttamente, la forza di gravità
genera un continuo flusso sensoriale in quanto le sensazioni di gravità aiutano a formare una
base solida per tutte le altre esperienze sensoriali.
Gli input sensoriali in aggiunta alle informazioni provenienti dalle altre parti del corpo
vengono elaborati nei centri direzionali dei nuclei vestibolari.
Questi ultimi iniziano a svolgere il loro compito a partire dalle 9 settimane dopo il
concepimento, trasmettendo i diversi impulsi alle diverse aree del cervello, e di conseguenza,
producendo delle risposte adattive agli input vestibolari provenienti dal corpo della madre.
Gli input vestibolari, ancor prima degli input visivi e uditivi vengono percepiti e processati
dal cervello.
La propriocezione
La parola propriocezione deriva dalla parola latina “propius” che tradotta significa a “suo
proprio”. La propriocezione viene definita come la capacità di percepire e riconoscere la
posizione del proprio corpo nello spazio e come la capacità di riconoscere lo stato di
contrazione dei propri muscoli, anche senza il supporto della vista. Si riferisce, infatti, alle
informazioni sensoriali derivanti dalla contrazione dei muscoli e dal flettersi, allungarsi,
tirarsi e comprimersi delle articolazioni tra le ossa.
Gli input propriocettivi vengono elaborati nelle regioni del cervello che non sono adibite ad
una consapevolezza cosciente.
La propriocezione inizia a svilupparsi in epoca fetale, e già a partire dal primo mese di età,
per quanto riguarda la percezione motoria,il neonato ha la capacità di individuare e seguire le
fonti di luce diffusa.
I primi schemi motori con il trascorrere del tempo si affinano sempre di più riuscendo anche a
coordinarsi fra loro.
Il processo di integrazione
Affinché si possa parlare di processo di integrazione sensoriale è utile sapere che nel processo
di informazione sensoriale si distinguono 2 fasi: la "sensazione" e la "percezione". La prima
riguarda il riconoscimento degli stimoli da parte degli organi di senso: “sentire” uno stimolo
significa esserne consapevole; la seconda, ossia la percezione, riguarda l’organizzazione e
l’interpretazione delle informazioni sensoriali: “percepire” uno stimolo vuol dire capire che
cosa è.
I primi codificano gli stimoli e trasmettono gli impulsi dal corpo verso il cervello; i secondi
trasmettono gli impulsi dal cervello ai muscoli e agli organi interni; mentre, i recettori
sensoriali rilevano gli stimoli.
La parte più complessa dell’organizzazione degli input sensoriali viene svolta dagli emisferi
cerebrali, così come il processo di attribuzione di un significato preciso e dettagliato alle
sensazioni. Essi comprendono, inoltre, delle aree implicate nella pianificazione e
realizzazione di un’azione con il corpo.
Lo strato esterno degli emisferi cerebrali è costituito dalla corteccia cerebrale. Essa è una
struttura altamente specializzata, composta da diverse aree tra cui quelle adibite a: percezioni
visive, interpretazione dei suoni dell’ambiente, comprensione della parola e interpretazione
delle sensazioni del corpo.
Un neonato possiede già gran parte dei neuroni che avrà da adulto, ma affinché il sistema
sensoriale si possa sviluppare è necessario che i neuroni siano stimolati nel migliore dei
modi. Più la funzione è complessa, più aumenta il numero dei neuroni coinvolti nella
trasmissione del messaggio.
Il livello primario include il senso tattile. Le sensazioni tattili che ne derivano sono molto
importanti sul lattante e sul resto della vita: esse infondono un senso di comfort e sicurezza.
Un neonato ha bisogno di essere toccato dalla madre o dal caregiver, in questo modo il cervello
interpreta nel modo corretto le sensazioni che provengono dal contatto, si instaura, così, la
prima forma di legame emotivo che rende il neonato consapevole del suo corpo fisico.
La percezione corporea, di cui si parla nel livello secondario, viene definita come una
“fotografia” del nostro corpo contenuta nel cervello. All’interno sono raccolte delle
informazioni su ogni parte del corpo, sulle relazioni reciproche di tutte le parti fra di loro e su
tutti i movimenti che ciascuna di loro può compiere.
La percezione corporea viene immagazzinata nel cervello man mano che gli input sensoriali
che derivano dalla pelle, dai muscoli e dai recettori di gravità e movimento sono organizzati e
differenziati durante l’attività quotidiana del bambino.
Per quanto riguarda il sistema visivo, l’occhio coopera con il cervello nella valutazione
dell’informazione visiva attraverso l’analisi dell’orientamento, della forma, del colore, del
movimento e della profondità.
La forma più semplice è data dal riconoscimento di cosa è ciò che si vede, quella più
avanzata, nel vedere un oggetto in relazione ad altri oggetti sullo sfondo.
Tutto si fonde insieme per assicurare le funzioni proprie dell’intero cervello. Dopo che le due
parti del corpo imparano a lavorare in attività intenzionali, si passa ad una naturale
specializzazione dei due lati del corpo e del cervello.
Di seguito sarà riportato uno schema di Ayres, in cui viene riassunto tutto quanto detto
precedentemente.
All’estremità sinistra, dove è riportata la scritta “sensi”, sono indicati i principali sistemi
sensoriali, mentre all’estremità destra sotto la scritta “esiti” è riportato ciò di cui una persona
ha bisogno per relazionarsi con la famiglia e gli amici, per studiare e lavorare in un futuro.
Il primo livello coincide con l’età dei due mesi del neonato. In questo periodo il sistema
nervoso del bambino lavora molto al primo livello di integrazione, un po’ meno al secondo e
quasi per niente al terzo. Ad un anno di età il primo e il secondo livello assumono una
notevole importanza, successivamente lo diventerà anche il terzo. A tre anni il bambino inizia
a lavorare al quarto livello, pur lavorando, contemporaneamente, agli altri tre. A sei anni il
primo livello di integrazione dovrebbe essere ultimato, il secondo quasi completato, il terzo
in fase di attivazione e il quarto continua ad avere un ruolo rilevante.
UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
I recettori, posti negli organi di senso, inviano i segnali ad un complesso apparato, il
sistema nervoso che li integra, li interpreta ed elabora delle risposte.
In pratica, i recettori convertono lo stimolo ricevuto in un impulso di tipo elettrico
che rappresenta il modo con cui le cellule del sistema nervoso trasmettono gli stimoli.
Questa operazione, detta trasduzione sensoriale, è dovuta a mutamenti chimici che
interessano la membrana delle cellule recettrici. La trasduzione permette all’impulso di
viaggiare attraverso il sistema nervoso. Quest’ultimo svolge un’azione che si articola in
tre fasi.
1. L’acquisizione sensoriale è in pratica una «raccolta dei dati». Gli stimoli provenienti
dagli organi di senso vengono condotti ai centri di elaborazione.
2. L’integrazione rappresenta la fase in cui le diverse informazioni vengono assemblate,
interpretate ed elaborate. Queste operazioni vengono effettuate dal sistema nervoso
centrale e si completano con la formulazione di una risposta allo stimolo ricevuto.
3. Lo stimolo motorio rappresenta l’impulso di risposta che parte dal centro di elabo-
razione e arriva alle cellule muscolari che eseguono i movimenti.
Le cellule del sistema nervoso – i neuroni – sono distinguibili in tre categorie che
corrispondono a ciascuna delle tre azioni appena descritte.
encefalo
ganglio
neurone
sensoriale
neurone
motorio
midollo
spinale
[Pictorial Press / Alamy]
B7_P.123_doc.02
I neuroni motori o neuroni effettori trasmet- Gli interneuroni o neuroni di associazione si trovano esclusivamente
tono la risposta elaborata dal sistema nervoso all’interno del sistema nervoso centrale e svolgono la funzione di integra-
centrale alle cellule interessate, ad esempio le zione e di elaborazione degli stimoli ricevuti.
cellule muscolari.
L’elaborazione compiuta dal sistema nervoso permette di passare dalla sensazione, cioè
dalla pura e semplice registrazione dello stimolo sensoriale, alla percezione, cioè ad una
interpretazione del messaggio ricevuto.
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Figura 6: il processo dell'integrazione sensoriale , (Ayres, 2012)
Il sistema nervoso centrale
Il nostro cervello riceve, elabora, integra e coordina tutti gli stimoli esterni ed interni
che arrivano al nostro organismo.
Il cervelletto si trova sotto gli emisferi cerebrali. La sua funzione è quella di controllare e
coordinare i movimenti volontari, anche quelli coinvolti nel linguaggio articolato.
Il midollo allungato collega cervello, midollo spinale e cervelletto e contiene i centri di
controllo dei movimenti involontari (per esempio la respirazione e il battito cardiaco).
Il midollo spinale è un cordone nervoso che si trova all’interno delle vertebre. Qui
arrivano gli impulsi dagli organi di senso destinati al cervello e partono gli impulsi
motori verso i muscoli e le ghiandole.
Il cervello
Ammirare un bel paesaggio, gustare un cibo che ci piace, sentire l’odore della lavanda, ascoltare un
brano di Mozart, sentire la morbidezza di un capo di seta, correre, ridere per una battuta, reagire ad una
bella o brutta notizia, affrontare un esame... Tutto compito del cervello!!!
Ecco le funzioni dei lobi della corteccia cerebrale.
musicistiprofessio nisti lamentano problemi posturali legati alla prolungata attività di studio ed
esecuzione con il proprio strumento. Spesso la fase di esercizio prevede l’esposizione a posture
scorrette per diverse ore al giorno sin dalla giovane età; questa attività causa disturbi muscolo-
di posture inadeguate, mantenute per tempi prolungati, la causa più frequente dell’insorgenza di
tali patologie, la cui incidenza si è rivelata nell’ordine dell’80%. E’ stato dimostrato, inoltre, che
le alterazioni posturali dipendono da alcuni aspetti contingenti quali: caratteristiche fisiche dello
Tra le patologie più diffuse tra i musicisti vi sono: le tendinopatie, le neuropatie periferiche,
bassisti soffrono spesso di neuropatie periferiche indotte da posture scorrette della mano,
mantenute per lunghe periodi durante un’intensa attività. Anche i chitarristi assumono posture
similari ma hanno uno strumento più leggero e spesso studiano seduti. I pianisti concertisti
soffrono spesso da “sindrome da over-use” indotta da uno studio protratto anche oltre le 6-8 ore,
nell’atto musicale durante l’utilizzo dello strumento; è un lavoro lungo ed impegnativo che tende
a contrastare la postura scorretta che il musicista si è creato da solo nel tempo e che per lui
risulta comoda e funzionale, ma che altrimenti non è. Richiede assoluta competenza e ha, come
obbiettivo finale, la presa di coscienza da parte del musicista della postura corretta, anche
posturale.
Gran parte dei problemi muscolo-tendinei che affliggono i musicisti deriva da una cattiva postura;
il deficit posturale è spesso compensato, infatti, dal sovraccarico dei muscoli deputati al gesto
dei musicisti.
minimo di tensioni muscolari e di rigidità articolari. Essa dunque non è mai fissa e rigida. Ottenere
una buona postura, per il musicista significa: prevenire problemi muscolo-tendinei e articolari,
suonare. Analizziamo nel dettaglio quali sono le problematiche più evidenti che possono insorgere
Portare il basso o la chitarra in posizione troppo bassa, significa costringere il corpo ad adattarvisi,
creando squilibri fisici. Gli arti inferiori sono divaricati, le ginocchia estese e il peso del corpo grava
sui talloni: questa posizione statica, blocca il bacino, il quale, a sua volta, blocca la parte alta del busto
lombare e per compenso aumenta la cifosi dorsale; ciò significa che le normali curvature della
colonna vertebrale non sono rispettate, provocando tensioni dei muscoli paravertebrali.
-Il collo è iperflesso (estremamente in avanti) per guardare lo strumento: di conseguenza si crea
-Il polso sinistro è iperflesso per ricercare accordi e scale: ciò può causare sovraccarichi tendinei e
-La spalla destra è proiettata in avanti, posizione che può portare problemi all’articolazione, come la
Anche la posizione opposta, con il basso o la chitarra portati troppo in alto, mette a rischio diverse
- Il peso della chitarra è completamente sostenuto dai muscoli delle braccia, i quali dovrebbero invece
essere deputati esclusivamente all’esecuzione del suono; sono infatti muscoli dinamici, che si
stancano più facilmente rispetto a quelli posturali, che sono invece caratterizzati da una lunga durata.
La posizione può causare sovraccarichi, tensioni e disequilibri muscolari dei muscoli flessori ed
- La testa è inclinata verso sinistra, variando la curvatura fisiologica della colonna cervicale; ciò può
- La spalla destra è rigida, contrattata verso l’alto, con sovraccarico del trapezio e dei muscoli
scapolari.
- Il gomito sinistro è iperflesso, con rischio di compressione del nervo ulnare, che passa in una doccia
ossea a quel livello.
- Il polso sinistro è iperesteso, il che può portare a squilibri dei tendini agonisti-antagonisti (flessori-
estensori).
POSIZIONE SEDUTA
- La chitarra è spesso avvolta dalle braccia e dalla schiena del musicista; ciò costringe le spalle ad
assumere una posizione fisiologica scorretta: esse intraruotano limitando il movimento delle braccia e,
quindi, delle dita sullo strumento, rischiando sovraccarichi muscolo-tendinei e tendinopatie alla cuffia
dei rotatori.
- L’ eccessivo avvolgimento della chitarra è causa anche di alterazioni delle normali curvature della
colonna vertebrale: un’iperflessione del collo e un’ ipercifosi del rachide dorsale causano dolori e
tensioni muscolari.
- Essendo la chitarra uno strumento asimmetrico, il carico del peso a livello degli ischi (bacino) può
essere squilibrato, affaticando un solo lato del corpo e sbilanciando il normale asse longitudinale.
- Se l’avambraccio destro si appesantisce sulla cassa, causa una flessione eccessiva del polso
- La posizione seduta è spesso scelta durante le esercitazioni, anche quando la performance sarà
effettuata in piedi: ricordarsi che nelle due posture il posizionamento del corpo e, quindi, l’approccio
sullo strumento, cambiano; è consigliabile quindi, durante le sessioni di esercitazione, alternare le due
posizioni.
Nella storia della musica l’approccio fisico allo strumento, per esigenze di suono e di stile, si è
modificato nel corso degli anni; certe impostazioni hanno caratterizzato così fortemente alcuni generi
leggende della musica può portare, soprattutto nei primi approcci, ad impostazioni scorrette che
La distonia focale è un raro disturbo neurologico disabilitante che, in molti casi, porta alla
cessazione della carriera. Denominata anche "crampo del musicista", è un disordine del movimento di
tipo task-specific, che, di conseguenza, compare solamente durante l'esecuzione di un compito preciso.
La particolarità di questa patologia infatti, è la comparsa dei sintomi solo durante la pratica musicale e,
in particolare, solo nell'esecuzione di determinati passaggi tecnici o brani, oppure, nel caso dei
la perdita del controllo muscolare volontario durante la pratica musicale. I principali sintomi della
distonia focale sono quindi la perdita del controllo dei movimenti della mano (40,7%), il rallentamento
delle dita (37,2%), la sensazione di rigidità della mano o dell'avambraccio (9,3%), la sensazione di
debolezza alla mano (7%), il tremore delle dita (2,3%) e il dolore (2,3%). L'incidenza di questo disturbo
all'intero della categoria dei musicisti si attesta, secondo numerosi studi, attorno al 1-8%(cioè fra 1:200
e 1:500), con la comparsa dei sintomi generalmente fra i 30 e i 40 anni di età e con una maggior
Le regioni anatomiche principalmente colpite sono il quarto e il quinto dito della mano destra nei
pianisti e il terzo dito della mano destra nei chitarristi. Gli strumentisti più colpiti sono appunto
chitarristi, soprattutto classici, pianisti ma anche fisarmonicisti e strumentisti a fiato. Questi ultimi
sono frequentemente interessati dalla distonia da imboccatura che interessa principalmente il viso e le
labbra, non permettendo una corretta incanalazione ed emissione del suono a causa
sembra essere il prolungato uso dello strumento finalizzato all'esecuzione di passaggi tecnici altamente
complessi. Spesso infatti, i musicisti ripetono continuamente lo stesso brano o, addirittura, le stesse
battute senza eseguire pause e senza variare il repertorio. Inoltre, sembrano coesistere anche fattori
familiari, ormonali, traumatici e soprattutto psicologici. In effetti, i musicisti colpiti presentano spesso
dei tratti psicologici tipici quali perfezionismo, forte ambizione e anancasmo (comportamento
Ora vediamo nello specifico che cosa succede quando insorge una distonia:
Per prima cosa, bisogna considerare che suonare uno strumento richiede una continua integrazione
di informazioni sensitive, motorie ed uditive, associate a una rapida modulazione della connettività
neuronale. Gli stimoli somatosensoriali hanno un ruolo talmente importante che in alcuni pianisti, il
disturbo compare soltanto quando suonano su tasti di avorio e non su quelli di plastica oppure, è stato
osservato come i sintomi possano diminuire notevolmente se il paziente suona indossando dei semplici
guanti.
In secondo luogo bisogna considerare i meccanismi cerebrali di base. Ogni regione del nostro corpo
infatti, è rappresentata nella corteccia cerebrale sia a livello sensitivo che motorio. Più una parte è
sensibile o è capace di movimenti fini e più l'area cerebrale sarà estesa. Aree appartenenti allo stesso
distretto anatomico come ad esempio le dita della mano, sono rappresentate in zone adiacenti. Inoltre,
all'allenamento svolto dal singolo soggetto. Pertanto, è stato osservato che, nei musicisti, la corteccia
cerebrale nelle aree di rappresentazione somatosensoriale delle dita abbia un volume maggiore rispetto
a quella dei non musicisti o dei musicisti dilettanti. Quindi, nella distonia focale, ciò che accade a livello
cerebrale è una fusione patologica delle aree di rappresentazione delle singole dita nelle regioni corticali
sensoriali o motorie, che non permette un reclutamento corretto e impedisce così di eseguire un gesto
coordinato e distinto con le diverse dita o con la bocca. In poche parole, il cervello va in confusione e
non riesce più a reclutare finemente le dita e a far eseguire loro movimenti rapidi e molto complessi.
Nell'immagine riportata di seguito si può chiaramente osservare il fenomeno della distonia focale a
livello cerebrale, dove, appunto, avviene una fusione delle aree di rappresentazione. Inoltre, nella stessa
La diagnosi di distonia focale è spesso difficile da effettuare ed essendo una patologia poco
conosciuta, viene spesso sottovalutata, ma è sempre più importante individuare il disturbo al fine di
distonia focale può essere considerata come una sindrome da disapprendimento sensorimotorio
corticale che determina la perdita della sequenza temporale di attivazione e rilassamento delle dita e
Alcune ricerche americane inerenti ai problemi medici correlati alla performance hanno
mostrato che più della metà dei musicisti sviluppa problemi fisici durante la sua attività; la
maggior parte dei problemi riguarda il sistema scheletro-muscolare.
– nel miglioramento della qualità del suono: se nel corpo ci sono meno costrizioni, la
percezione sensoriale diventa più accurata e le varie parti del corpo sono più libere di fare
aggiustamenti per la produzione di un bel suono;
– nella coordinazione: la tecnica strumentale e vocale è sempre una questione di
combinazione di movimenti simultanei in cui il controllo globale deve lavorare il meglio
possibile, altrimenti un movimento interferirà con un altro. La Tecnica Alexander aiuta ad
eliminare i conflitti fra movimenti simultanei;
– nella resistenza: ottenendo leggerezza ed economia di sforzo, possiamo accrescere le
nostre risorse energetiche;
– nel controllo delle tensioni nervose: ogni miglioramento dell’abilità di eseguire
movimenti muscolari con leggerezza ed economia, significa alleggerimento della tensione
nervosa. Durante l’esecuzione, la Tecnica Alexander ci permette di imparare a prevenire
l’ossessiva preoccupazione nei confronti di certi dettagli, facendo lavorare l’intera
muscolatura e il sistema nervoso a nostro vantaggio;
– nella prevenzione o guarigione di malattie professionali: imparando a capirne le cause,
viene mostrato come evitarle;
– nello sviluppo delle abilità individuali per affrontare le situazioni di stress della vita
professionale (viaggi, sedie scomode in cui si devono passare ore di prova e di concerto,
situazioni in cui si devono produrre buoni risultati con un tempo di prove inadeguato…ecc.)
Numerose accademie musicali europee e americane considerano la Tecnica
Alexander una parte fondamentale del curriculum di ogni allievo e alcuni
conservatori italiani e svizzeri hanno iniziato a introdurla nella materie
complementari considerandola un prezioso aiuto per i loro studenti.
3 Storia e filosofia
3.1 Storia
3.1.1 Origine
I principi della Tecnica Alexander sono stati sviluppati durante un lungo arco di tempo verso la
fine del XIX secolo, e il loro fondatore, l'attore e recitatore australiano Frederick Matthias
Alexander (1869-1955), li ha insegnati come metodo a partire dal 1894 circa.
F.M. Alexander nacque nel 1869 a Wynyard, sulla costa nord-occidentale della Tasmania. All'età
di 20 anni si trasferì a Melbourne, dove frequentò un corso di recitazione. Presto si fece un nome
in diverse città della Tasmania e dell'Australia come recitatore di Shakespeare e altri testi.
Nella propria attività professionale, Alexander dovette combattere sempre più con raucedine e
difficoltà respiratoria, per cui si rivolse a diversi medici e logopedisti. La cura della voce
produceva un miglioramento temporaneo, ma ad ogni ripresa della recitazione tornava la
raucedine. Dopo aver fatto riposare la voce per due settimane, in considerazione di un
importante impegno, gli riuscì di esibirsi all'inizio senza alcuna raucedine. In seguito però le sue
condizioni peggiorarono di nuovo e alla fine mancò del tutto la voce.
Alexander ne concluse che la raucedine doveva dipendere dal proprio modo di recitare o dal
rapporto che egli aveva con il proprio corpo (Uso di sé→ 4.1.3). Giunse alla decisione di scoprire
con l'osservazione che cosa provocasse in lui queste difficoltà. Questo obiettivo determinò il suo
modo di procedere empirico e fu l'inizio dell'evoluzione del suo metodo.
3.1.2 Evoluzione
F.M. Alexander iniziò ad osservarsi a lungo con l'aiuto di specchi e secondo vari esperimenti
condotti in maniera sistematica.
Con il tempo poté constatare all'inizio della recitazione che tirava indietro la testa, esercitava
pressione sulla laringe e inspirava l'aria solo attraverso la bocca producendo un suono
ansimante.
A poco a poco scoprì che l'abitudine di tirare indietro la testa influiva negativamente sugli organi
fonatori. In collegamento con questo osservò una riduzione della propria corporatura
complessiva causata da un'eccessiva tensione muscolare nell'intero organismo. Sollevava infatti
il torace, incurvava la schiena, spingeva il bacino in avanti, tendeva i glutei e i muscoli delle
gambe e cercava di afferrare il terreno con le dita dei piedi. Questi comportamenti, che iniziava a
capire davanti agli specchi, erano diventati per lui un'abitudine.
Grazie all'osservazione di sé e agli esperimenti Alexander poté riconoscere che la relazione tra la
testa, il collo e il tronco svolge un ruolo decisivo per il coordinamento e il funzionamento di tutto
l'organismo.
Dopo questo primo risultato Alexander cercò a lungo e con la stessa procedura la strada per
modificare le proprie abitudini posturali durante la recitazione. Cercò di evitare la riduzione della
corporatura con il pensiero che la testa potesse spostarsi in avanti e in alto; con l'inizio della
recitazione tuttavia lo specchio gli mostrò che egli ricadeva di nuovo nello schema familiare,
sebbene credesse e sentisse il contrario. Alexander scoprì quindi il collegamento immediato tra
uno stimolo e la reazione dettata dall'abitudine (→ 4.1.5). Egli riconobbe inoltre che non poteva
affidarsi alla propria percezione se voleva giungere a un nuovo comportamento (inaffidabilità
della percezione sensoriale → 4.1.4).
In ulteriori esperimenti Alexander si esercitò a non reagire allo stimolo "volontà di recitare"
(inibizione → 4.2.3.1) e a darsi invece istruzioni mentali (→ 4.2.3.2) che dovevano impedirgli
l'eccessiva tensione e la riduzione del proprio corpo. Proiettò allora il pensiero che il collo
potesse essere completamente rilassato, la testa potesse spostarsi liberamente sia in avanti che
in alto e tutto il tronco e soprattutto la schiena potesse allungarsi e allargarsi. Ma nel momento
più critico della procedura, proprio quando aveva deciso di realizzare l'obiettivo che si era posto,
Alexander si trasferì nel 1904 a Londra, Inghilterra, dove aprì, ad Ashley Place, un ambulatorio
per diffondere il proprio lavoro. Vi riuscì in poco tempo e con grande successo.
Dopo diversi opere brevi, pubblicò nel 1910 Man’s Supreme Inheritance, il suo primo libro.
Allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 lasciò temporaneamente Londra e si trasferì a
New York. Nei dieci anni successivi lavorò per sei mesi a Londra e per gli altri sei a New York e
Boston, dove anche John Dewey divenne suo allievo.
John Dewey (1859 – 1952), eminente filosofo, pedagogista e psicologo statunitense, si adoperò
molto in favore del metodo e della sua diffusione e scrisse la premessa alla seconda edizione di
Man’s Supreme Inheritance (così come ai due successivi libri di Alexander). Alexander divenne
conosciuto e le sue idee acquisirono importanza anche nel mondo accademico.
Nel 1923 apparve il suo secondo libro, Constructive Conscious Control of the Individual.
Nel 1924 Alexander fondò a Londra una scuola per bambini dai tre agli otto anni, nella quale si
insegnava secondo il metodo pedagogico Montessori e in applicazione dei principi della Tecnica
Alexander.
Nel 1931 aprì un primo corso di formazione triennale per i futuri insegnanti della Tecnica
Alexander.
Nel 1932 pubblicò il suo terzo libro, The Use of the Self.
3.2 Filosofia
Il lavoro di F.M. Alexander può essere messo in relazione soprattutto con il pragmatismo di
William James, psicologo e filosofo statunitense (1842-1910), e quello di John Dewey, filosofo,
pedagogista e psicologo statunitense (1859-1952).
William James mostrò grande interesse per il lavoro di Alexander. Già nei primi scritti di
Alexander si può osservare l'influenza dell'opera principale di James, Principles of Psychology
(1890), nella quale quest'ultimo introduce il metodo empirico in psicologia – come metodo
sperimentale e fenomenologico allo stesso tempo – fondando così la psicologia scientifica come
disciplina autonoma nel Nord America. Quando più tardi prende piede in America la psicologia
sperimentale europea, che riconosce come scientificamente validi solo i dati osservabili
dall'esterno, William James trova questo semplicemente banale e insulso. Egli difenderà fino alla
morte l'approccio introspettivo all'essere umano, opponendo il proprio "funzionalismo" al
dualismo corpo-spirito e al positivismo, anche nel suo ruolo di presidente dell'Associazione
Americana di Psicologia (APA).
Il "funzionalismo" secondo James, cioè la relazione tra struttura e funzione, sottolinea il rapporto
interattivo tra corpo, mente e spirito. I processi mentali sono funzionali perché aiutano la persona
ad "adeguarsi" al proprio ambiente. Gli elementi della coscienza non possono essere studiati in
maniera isolata, perché sono una funzione del continuo flusso di coscienza, che si trova sempre
in interazione con le azioni della persona e con il suo ambiente.
Anche per John Dewey era di grande importanza la relazione tra struttura e funzione. Questo si
rivela, tra l'altro, anche nel fatto che Alexander, dopo il loro incontro nel 1916, ebbe in John
Dewey uno dei suoi principali sostenitori. Dewey ebbe grande influenza anche sui suoi libri, dei
quali scrisse molte positive recensioni.
Il modelli teorico della Tecnica Alexander si fonda sostanzialmente sui seguenti concetti in
collegamento tra loro.
F.M. Alexander scoprì che la relazione dinamica tra la testa, il collo e il tronco ha un ruolo
decisivo per il coordinamento e il funzionamento di tutto l'organismo.
Se questa cooperazione resta priva di ostacoli, così che la testa è liberamente collegata alla
colonna vertebrale (non trattenuta), l'organismo agisce in maniera autoregolante.
F.M. Alexander chiamò questo relazione dinamica tra testa e colonna vertebrale rispetto all'intero
organismo e il relativo controllo di movimento e funzione controllo primario ("Primary Control").
Questo controllo integrante mantiene la libertà di movimento in tutto l'organismo, così che
l'energia viene trasmessa là dove è voluta, senza produrre un blocco là o altrove.
L'estrema concentrazione dei recettori che si trovano nella regione suboccipitale permette così
non solo la minuziosa regolazione motoria nell'equilibrio della testa. I segnali che partono da qui
giocano un ruolo significativo anche nelle informazioni di quelle istanze che controllano la
postura, il movimento e la funzione di tutto il corpo. Questo aspetto è così dominante che i
muscoli autoctoni profondi della nuca non devono essere considerati primariamente unità motorie
necessarie. Essi costituiscono piuttosto un sistema di recettori che - anche nel suo collegamento
con la vista, l'udito e l'olfatto - serve al controllo del movimento e delle funzioni di tutto
l'organismo.
F.M. Alexander osservò su sé stesso come la forza di questo controllo autoregolante può essere
limitata a causa dell'ingerenza muscolare dell'essere umano.
L'azione ostacolata del controllo primario si rispecchia nell'uso di sé (→ 4.1.3) della persona, con
corrispondente impedimento del corpo che si manifesta come "tensione muscolare male
distribuita", come "tensione eccessiva in un certo punto accompagnata da scarsa tensione in un
altro", spesso in collegamento con i più svariati sintomi fisici.
4.1.3 Uso di sé
Nel corso della sua ricerca F.M. Alexander riconobbe che in tutto l'organismo tutte le parti del
corpo lavorano in modo coerente. Ogni cambiamento che avviene in una parte del corpo si
ripercuote anche sull'intero organismo. Alexander chiamò uso di sé ("Use of the Self") l'uso che
l'essere umano fa sempre di tutto il proprio organismo.
Grazie a precise osservazioni del proprio modo di recitare, egli poté riconoscere che, con il suo
precedente uso di sé, l'eccessiva tensione muscolare riduceva l'intera sua corporatura, limitando
Le emozioni influiscono in modo determinante sul nostro comportamento. Si formano nella nostra
memoria dell'esperienza emotiva, che partecipa al controllo del nostro comportamento, valutando
le situazioni attuali in base alle esperienze fatte. Questa circostanza porta costanza e stabilità
nella nostra personalità. Persistere in determinati schemi a livello fisico, mentale ed emotivo ci
limita però anche nelle molteplici possibilità di reazione fondamentalmente a nostra disposizione.
La forza dell'abitudine può inoltre significare che persistiamo in comportamenti fisici che
influiscono eventualmente in modo negativo sulla nostra salute.
La dominanza di questo genere di abitudini può essere riconosciuta grazie all'autopercezione e
alla presa di coscienza delle esperienze pregresse e degli schemi di pensiero ad esse legati e
rielaborata di conseguenza anche a livello psicofisico.
Gli schemi di movimento e pensiero sono sorti a causa della ripetizione di esperienze e si sono
memorizzati con il tempo nelle reti neuronali del nostro cervello.
Se vuole modificare determinati comportamenti, l'essere umano si basa sul repertorio di modi di
pensare e muoversi a sua disposizione, cosa che lo limita comunque nel suo spazio di manovra.
Se vediamo una persona che d’abitudine ha le spalle tirate in su e glielo diciamo, questa
cercherà probabilmente di abbassare le spalle con grande sforzo, ponendosi nuovamente in una
situazione di squilibrio. Sia nel tirare in su che nell'abbassare le spalle, la persona è guidata da
un uso di sé inconscio, che richiede l'abituale e spropositato impiego dei muscoli e compromette
l'attività del controllo primario.
A questo punto interviene la Tecnica Alexander, trasmettendo – attraverso il lavoro di contatto e
movimento (→ 6.3.1 e 6.3.2) – nuove esperienze a livello fisico. Con il contatto delicato
attraverso le mani della/del terapista da un lato si rafforza progressivamente l'azione integrante
• In primo luogo è necessario trovare una zona tranquilla e sufficientemente calda dove ci si
può sdraiare indisturbati.
• Sdraiarsi sul pavimento su un classico tappetino da pilates, anche un semplice tappeto può
essere sufficiente.
• Mettere un piccolo mucchio di libri sotto la testa come supporto – questo è un punto cruciale
che necessita, molto spesso, dell’intervento di un insegnante. Infatti stabilire l’esatta altezza
del supporto sotto la nuca è un fattore che dipenda dalle condizioni presenti nell’intera
struttura dell’allievo. Inizialmente 3 / 4 cm di spessore possono essere sufficienti.
• Piegare le ginocchia in modo che puntino verso l’alto – verso il soffitto – con i piedi adagiati
sul pavimento.
• Lasciare adagiare le mani sul vostro addome, le dita e i polsi completamente rilasciati.
• Mirate ad essere quasi completamente passivi fisicamente. Il corpo si “affonda” al suolo.
• Sii consapevole del terreno che sostiene la tua schiena, permettendo alle spalle di riposare
mentre la schiena si allarga e tutto il corpo si allunga e si espande.
Suggerimenti
• Se l’appoggio della testa sui libri da fastidio, si può rendere la superficie di appoggio un po’
più morbida ponendo un piccolo asciugamano o una sciarpa piegata sotto la nuca.
• Lasciate che i vostri occhi rimangano aperti, almeno per un po’, questo può essere un modo
utile per costruire una maggiore consapevolezza del vostro corpo.
• Se la parte bassa della schiena è dolorosa, può essere utile appoggiare le gambe su un divano
o sopra un cuscino. In questo modo le gambe possono riposare completamente e consentire
alla parte inferiore della schiena di rilassarsi.
• Le mani e le braccia possono adagiarsi sul tuo addome, oppure puoi distenderle a lato al di
sotto dell’altezza delle spalle, con i palmi rivolti verso l’alto.