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La Colonna Vertebrale detta anche Spina Dorsale o Rachide umano

Il rachide umano è formato da 33 o 34 vertebre (a seconda che tutte le vertebre


coccigee siano o meno fuse tra loro o che una di esse risulti separata), suddivise in 5 aree così
come segue:

• 7 vertebre nella zona cervicale, corrispondenti alla parte del collo, denominate vertebre
cervicali
• 12 vertebre nella zona dorsale, corrispondente alla parte centrale della schiena,
denominate vertebre toraciche o dorsali
• 5 vertebre nella zona lombare, equivalente alla parte bassa della schiena,
denominate vertebre lombari
• 5 vertebre nella zona sacrale, situata in prossimità del bacino, denominate vertebre
sacrali
• 4 o 5 vertebre nella zona del coccige, collocate subito sotto quelle sacrali,
denominate vertebre coccigee
Osservando la colonna vertebrale di fronte, in assenza di patologie risulta diritta; guardandola di
profilo, invece, si possono notare due tipi di curvature, denominate:
1) Cifosi: è una curvatura fisiologica della colonna vertebrale con convessità posteriore. Si parla
di curve cifotiche per quanto riguarda la zona toracica e coccigea della colonna.
2) Lordosi: è una curvatura fisiologica della colonna vertebrale a convessità anteriore. Si parla
di curve lordotiche per quanto riguarda la zona cervicale e lombare della colonna.
Le curve di cui è dotata la colonna servono per donarle solidità e flessibilità e per contrastare
meglio la forza di gravità cui è costantemente sottoposta: se la colonna fosse completamente
diritta sarebbe molto meno elastica e resistente di quella che è.
La regione cervicale contiene le vertebre che vanno dalla C1 alla C7, ed è suddivisa in:
1) Rachide cervicale superiore: composto dalla vertebra C1 (anche detta atlante) e dalla
vertebra C2 (anche detto epistrofeo). L’atlante ha la forma di un anello ed è privo di corpo
vertebrale; l’epistrofeo presenta una protuberanza (detta processo odontoideo) che costituisce
l’asse attorno al quale l’atlante può muoversi, permettendo la rotazione della testa in entrambe
le direzioni. Le due vertebre non hanno alcun disco intervertebrale posto tra loro.
2) Rachide cervicale inferiore: composto dalle vertebre C3, C4, C5, C6 e C7. Si tratta di vertebre
di dimensioni più piccole rispetto a quelle dorsali e lombari, l’ultima delle quali detta vertebra
prominente a causa del suo processo spinoso molto sviluppato.

La regione dorsale o toracica (a sinistra) contiene le vertebre che vanno dalla T1 alla T12. Le
vertebre di questa parte del corpo aumentano di grandezza man mano che si scende verso il
basso e sono articolate con le costole mediante le cosiddette faccette articolari.
La regione lombare (a destra) contiene le vertebre che vanno dalla L1
alla L5, che hanno un corpo voluminoso cuneiforme.
La regione sacrale (subito sotto la lombare) contiene le vertebre che vanno dalla S1 alla S5, che
fuse tra loro vanno a formare l’osso sacro.
La regione coccigea (subito sotto la sacrale) contiene le vertebre che vanno dalla Co1 alla Co4 (o
Co5), che fuse tra loro vanno a formare il coccige.

Tolti l’atlante e l’epistrofeo che hanno forme particolari, una vertebra normalmente è costituita
da un corpo di forma cilindrica rivestito da una lamina ossea, contenente un tessuto osseo
spugnoso. L’arco vertebrale è composto invece da un peduncolo, due processi laterali e un
processo spinoso. Tutte le vertebre sono dotate di un foro (forame vertebrale), attraverso il quale
passa il midollo spinale, principale via di comunicazione tra il cervello e il sistema nervoso
periferico. Dal midollo spinale si diramano infatti i nervi che conducono l’energia vitale a tutti gli
organi del corpo umano.
Tra una vertebra e l’altra (ad esclusione di quelle sacrali e coccigee) troviamo i dischi
intervertebrali, formazioni fibro-cartilaginee composte da una parte esterna detta anello
fibroso e da un nucleo interno polposo costituito da un gel deformabile, ma resistente alle
compressioni. I dischi intervertebrali sono essenziali per il benessere della colonna, in quanto
ammortizzano le pressioni a cui è sottoposta e le conferiscono mobilità. Purtroppo possono
andare incontro a diversi tipi di patologie (comunemente indicate con il nome di discopatie), che
possono portare a dolore e riduzione della mobilità.
La colonna vertebrale svolge diverse funzioni, rivelandosi una parte essenziale per il benessere
dell’uomo:

• Sostiene il nostro corpo, garantendogli stabilità ed equilibrio e permettendoci di stare


in posizione eretta (capacità che ci distingue dagli invertebrati)
• Ci consente di camminare e di muoverci assumendo svariate posizioni nello spazio,
come il piegamento, l’estensione, la flessione e la rotazione
• Protegge il sistema nervoso e il midollo spinale, che scorrono al suo interno e da lì si
diramano tramite i nervi a tutti gli organi vitali
• Funge da ammortizzatore in caso di traumi
Proprio per questi motivi è importantissimo prendersi cura della propria colonna, controllando
in che condizioni si trova e correggendo al più presto eventuali distorsioni posturali o
spostamenti vertebrali, anche in assenza di sintomi. I vantaggi che si ottengono nell’avere
una struttura vertebrale ben allineata sono molteplici e tutti in grado di influire notevolmente
sulla qualità di vita:

• Un sistema nervoso che funziona in maniera ottimale, permettendo il libero fluire


dell’energia vitale a tutti gli organi del corpo e consentendo a quest’ultimo di
raggiungere una condizione di completo benessere psico-fisico, anche
detta omeostasi
• Il miglioramento di distorsioni posturali e spostamenti vertebrali
• Meno possibilità di andare incontro a problematiche legate ai dischi vertebrali, come ad
esempio le ernie del disco
• La prevenzione/il rallentamento di patologie degenerative come l’artrosi
Lo scheletro umano è costituito da oltre 200 ossa che vanno a comporre due
parti fondamentali: lo scheletro assile e lo scheletro appendicolare.

§ scheletro assile: formato da cranio, colonna vertebrale e


dall’insieme delle coste (cassa toracica). Costituisce l’asse
longitudinale del corpo;
§ scheletro appendicolare: formato da ossa degli arti superiori ed
inferiori, cintura scapolare e cintura pelvica. Costituisce le
appendici del corpo (braccia e gambe) e le articolano con lo
scheletro assile.
La differenza tra le due parti dello scheletro umano appare chiara
osservando l’immagine in alto.
Osserva nei disegni la gabbia toracica e i due cinti. La gabbia toracica è composta da 12 paia
di coste o costole, articolate posteriormente con le vertebre dorsali. Le prime 10 paia si
saldano nella parte anteriore allo sterno attraverso dei prolungamenti di cartilagine; le ultime
due paia non raggiungono lo sterno (costole fluttuanti). La particolare forma curva, lunga e
appiattita delle costole ti suggerisce la loro funzione: proteggere i delicati organi che
contengono, i polmoni e il cuore. Inoltre, i collegamenti di cartilagine conferiscono una certa
elasticità alla gabbia toracica, permettendole di aumentare il proprio volume interno durante
la respirazione. Il cinto scapolare e il cinto pelvico o bacino servono da collegamento tra lo
scheletro del tronco e gli arti superiori e inferiori. Il cinto scapolare è composto da due paia di
ossa, le clavicole e le scapole; il cinto pelvico è composto da tre coppie di ossa saldate tra
loro che formano l’ileo, l’ischio e il pube. Le ossa del bacino sono robuste poiché, oltre a
proteggere gli organi dell’addome, sostengono insieme agli arti inferiori tutto il peso del
corpo.
MUSCOLI che fanno muovere TESTA e COLLO
Originano dalla colonna vertebrale,
dalla gabbia toracica e dal cingolo
toracico e si inseriscono sulle ossa
del cranio

ESTENSIONE

FLESSIONE
Lo scheletro del torace - Tratto toracico della
è costituito dalla colonna vertebrale
(posteriormente)
gabbia toracica
- Sterno e cartilagini costali
(anteriormente)

- Coste (lateralmente)

Forma a tronco di cono.

Apertura superiore ristretta; apertura


inferiore larga con un contorno
irregolare a forma di V capovolta.
La gabbia toracica delimita il mediastino
e le logge pleuro-polmonari.

L a e a ac ca fe e ch a da
muscolo diaframma.

1
Cartilagini costali
Funzioni della gabbia toracica

protegge cuore, polmoni e altre strutture poste nella


cavità toracica e nella parte superiore della cavità
addominale
serve come punto di inserzione per i muscoli coinvolti
nei movimenti del cinto scapolare e a
nel controllo della posizione della colonna vertebrale
svolge un ruolo fondamentale nella respirazione
STERNO
Osso piatto di circa 15 cm di lunghezza,
posto nella parte anteriore e
mediana del torace.
E a 3 segmenti:

- Manubrio
(incisura giugulare,
incisure clavicolari,
Incisure per la I e II costa)

- Corpo
(incisure per la II, III, IV,
V, VI e VII costa)

- Processo xifoideo
COSTE
- ossa pari: 12 paia
- forma allungata
- posteriormente si articolano con le 12 vertebre toraciche; anteriormente
direttamente o meno con lo sterno (articolazioni STERNOCOSTALI) attraverso
la corrispondente CARTILAGINE COSTALE ( a 11 e il 12 paio)
- distinte in:
Prima costa
coste vere, le prime 7 paia
coste false (raggiungono lo sterno
indirettamente o non lo raggiungono affatto),
dalla 8 alla 12 Coste
vere

coste fluttuanti, la 11 e la 12 .

Coste false

Nota: in età avanzata le cartilagini costali


Dodicesima costa
tendono ad ossificare in superficie,
diventando fragili Coste fluttuanti
Gabbia toracica e respirazione
Coste e sterno = cerchi rigidi di una botte
tengono unita la gabbia toracica
possono inclinarsi in alto e in basso

riposo inspirazione espirazione


Inspirazione ed espirazione
Ad ogni inspirazione il diaframma si Ad ogni espirazione il diaframma si
abbassa per consentire ai polmoni di alza per consentire ai polmoni di
espandersi verso il basso. a a.
I muscoli intercostali esterni I muscoli intercostali interni anteriori
sollevano le coste. abbassano le coste.

> volume < volume


SISTEMA
CARDIOCIRCOLATORIO
FUNZIONE PRINCIPALE:
Permettere scambi di liquido,
soluti e gas respiratori tra le
cellule e il sangue contenuto
nel letto vascolare.
L’integrazione Sensoriale

L’integrazione sensoriale è l’organizzazione delle sensazioni, necessaria per il loro utilizzo.


E’ un processo neurobiologico inconsapevole che organizza le sensazioni provenienti dal
proprio corpo e dall’ambiente circostante, affinché possano essere utilizzate per muovere il
proprio corpo in modo efficace e rendere possibile l’interazione rapida con l’ambiente. Essa
consente, infatti, al sistema nervoso centrale di improvvisare una risposta efficace,
utilizzando la totalità di informazioni ricevute dal corpo e dall’ambiente.

L’integrazione sensoriale:

• E’ un processo inconsapevole del cervello (avviene senza pensiero – come il respiro).


• Organizza l’informazione proveniente dai sensi (gusto, vista, udito, tatto, olfatto,
movimento, gravità e posizione).
• Dà significato a quello di cui si fa esperienza vagliando tutte le informazioni e
scegliendo quelle su cui focalizzare l’attenzione (come ascoltare l’insegnante
ignorando il rumore del traffico esterno).
• Permette di agire o rispondere alla situazione che stiamo vivendo in modo
intenzionale (conosciuto come risposta adattiva).
• Costruisce le fondamenta sottostanti l’apprendimento scolastico e il comportamento
sociale.

Figura 1: integrazione sensoriale in sintesi (Ayres, 2012)

L’integrazione è un tipo di organizzazione. Integrare significa mettere insieme o organizzare


varie parti in un tutto.

Questo tipo di approccio ha iniziato a prendere campo intorno al 1970 a Los Angeles con gli
studi che Anna Jean Ayres ha effettuato al Brain Research Institute dell’università della
California.

La stessa Ayres (1972,1977,1989) e Fisher, Murray e Bundy (1991) e Bundy Lane e Murray
(2002) durante la loro ricerca, identificarono vari tipi di disfunzione dell’integrazione
sensoriale, disturbi di modulazione sensoriale, di controllo oculo-posturale, di integrazione
bilaterale e sequenziale e di disprassia.

Miller e gli atri autori (2007) hanno voluto proporre una tassonomia per migliorare la
specificità diagnostica. Tale tassonomia non si riferiva ad una modifica del termine
“integrazione sensoriale” utilizzato per descrivere la teoria o il trattamento, ma consisteva nel
suggerire e coniare un termine nuovo quale il “disturbo della processazione sensoriale” (SPD)
per distinguere il disturbo dalla teoria. (Author(s): Nancy Pollock; Title: Sensory
integration: A review of the current state of the evidence. Journal: Occupational Therapy
Now; Year: 2009;).
UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
I neurotrasmettitori devono quindi essere riassorbiti e re-immagazzinati nelle vescico-
le, in modo che le condizioni iniziali vengano ripristinate e la cellula post-sinaptica sia
pronta a ricevere un altro stimolo.
Questo meccanismo permette di trasmettere l’impulso nervoso solo in un senso.
La maggior parte dei neurotrasmettitori è costituita da piccole molecole organiche
quali amminoacidi o loro derivati.
Alcuni neurotrasmettitori, legandosi con i recettori associati a canali ionici del Na+, ne
provocano direttamente l’apertura, generando il potenziale d’azione nel neurone post-
sinaptico. Le sinapsi in cui questi neurotrasmettitori agiscono vengono dette eccitatorie.
L’acido aspartico e l’acido glutammico sono due amminoacidi di sinapsi eccitatorie.
Esistono però altri neurotrasmettitori (tra i quali l’amminoacido glicina) che agiscono
a livello delle sinapsi inibitorie: legandosi con la membrana del neurone post-sinaptico,
provocano l’apertura di proteine canale di tipo differente, ad esempio quelle che per-
mettono la fuoriuscita degli ioni potassio K+. In questo caso, la depolarizzazione della
membrana aumenta e rende più difficile l’avvio dell’impulso nervoso.
Alcuni neurotrasmettitori, come l’acetilcolina, sono in grado sia di trasmettere che
di inibire l’impulso nervoso a seconda del tipo di recettore presente nelle cellule post-
sinaptiche.

L’occhio e la ricezione della luce


Nel regno animale, le poche specie completamente prive della vista sono animali che
vivono in ambienti sotterranei dove la luce è assente. Gli animali che vivono alla luce pos-
siedono organi fotorecettori di tre tipi.
L’organo fotorecettore più semplice è la macchia oculare, tipica di alcune specie di me-
duse e di certi vermi piatti; è costituita da un piccolo gruppo di cellule in grado di recepire
la luce.Gli invertebrati quali insetti e crostacei possiedono invece un occhio composto,
costituito da un gran numero di piccole unità che funzionano ciascuna come un singolo
occhio.
Tutti i vertebrati – per esempio gli esseri umani – e alcuni invertebrati – per esempio
il calamaro – possiedono invece un occhio a lente singola, in grado di fornire un’imma-
gine avente elevata qualità e nitidezza.
La luce entra nell’occhio dalla cornea, la parte anteriore trasparente dell’occhio. All’in-
terno della cornea si trova l’iride, che conferisce il colore agli occhi. L’iride contiene sot-
tili muscoli che regolano la dimensione del foro dal quale entra la luce, la pupilla. Nel
caso ci si trovi in un ambiente poco luminoso, la pupilla aumenta il proprio diametro per
lasciar entrare nell’occhio la mas- muscolo che collega
l’occhio al cranio La sclera è la membrana bian-
sima quantità di luce possibile. Al castra rigida che costituisce
contrario se la luce è molto forte, la retina l’involucro dell’occhio.
pupilla si restringe diminuendo la iride
Il globo oculare è riempito
quantità di luce che entra. cornea
cristallino da una sostanza gelatinosa
I raggi luminosi proseguono, at- fovea chiamata umor vitreo.
traversando il cristallino: la lente I nostri fotorecettori sono
distribuiti su tutta la retina
che mette a fuoco l’immagine sulla tranne che nel punto del
parete opposta del globo oculare, legamento bulbo dove si trova il nervo
dove si trova la retina. Questa è sospensorio ottico. Questa zona è detta
punto cieco perché gli
formata da un tappeto di circa 130 muscolo nervo
oggetti che vi focalizziamo
ciliare ottico
milioni di fotorecettori che trasfor- scompaiono.
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UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
mano lo stimolo luminoso in impulso elettrico. La retina contiene due tipi di cellule:
– i bastoncelli, di forma allungata, sono i fotorecettori più abbondanti nell’occhio uma-
no; sono più concentrati nella parte periferica della retina;
– i coni, cellule di forma tozza, in numero 20 volte minore dei bastoncelli, sono più
numerosi nella parte centrale della retina, detta fovea.
CHE COSA VEDE IL BIOLOGO
retina
nervo neuroni fotorecettori
ottico
bastoncello
[Eye of Science / SPL / Contrasto]

cono

cellule
luce
dell’epitelio
pigmentato
percorso
degli impulsi
dai fotorecettori
verso il
nervo ottico
I bastoncelli non sono sensibili ai colori; contengono il I coni sono stimolati dalla luce intensa e
pigmento rodopsina che funziona con luce debole, perciò in sono di tre tipi, contenenti pigmenti sensi-
queste condizioni l’immagine percepita è in bianco e nero bili ai colori blu, verde e rosso.

Per mettere a fuoco un’immagine, alcuni vertebrati, come i pesci, muovono il cristal-
lino avanti o indietro. Nell’occhio umano, invece, il cristallino cambia forma.
Se l’oggetto è lontano (oltre i 6 m), il cristallino mantiene una forma allungata e foca-
lizza i raggi luminosi paralleli sulla retina. Se l’oggetto da osservare è vicino, il cristallino
aumenta la sua convessità, diventando più spesso e arrotondato, grazie alla contrazione
dei muscoli che lo circondano. Questo movimento, detto accomodamento del cristalli-
no, permette di focalizzare i raggi luminosi divergenti sulla retina.
I difetti della vista più comuni sono la miopia e l’ipermetropia, che consistono in un’er-
rata messa a fuoco delle immagini. Questi difetti sono correggibili grazie all’uso di lenti.

raggi paralleli di un oggetto raggi divergenti di un oggetto Secondo le leggi dell’ottica, l’immagine
distante (più di 6 metri) vicino (meno di 6 metri) che si crea sulla retina è capovolta. Noi
però vediamo le immagini raddrizzate gra-
zie all’elaborazione del sistema nervoso.

La miopia è un difetto che impedisce di mettere a fuoco


gli oggetti lontani. Le cause della miopia possono essere
cristallino cristallino diverse: generalmente i miopi hanno il globo oculare
forma naturale del bulbo lenti divergenti allungato, ma possono anche avere un cristallino troppo
rigido o una cornea troppo curva. Nell’occhio miope
l’immagine è messa a fuoco prima del piano della retina
e appare quindi sfuocata. La miopia viene corretta con
lenti concave, che provocano la divergenza dei raggi lu-
minosi prima che entrino nell’occhio (quindi l’immagine
si forma più indietro, sulla retina).
occhio miope occhio miope corretto
forma naturale del bulbo lenti convergenti L’ipermetropia è un difetto che al contrario impedisce
di mettere a fuoco gli oggetti vicini. In genere essa
dipende da un globo oculare accorciato. L’immagine
in questo caso si forma dietro al piano della retina.
Il soggetto ha bisogno di lenti convesse, che fanno
convergere i raggi luminosi prima dell’ingresso nell’oc-
chio e producono un’immagine nitida a una distanza
occhio ipermetrope occhio ipermetrope corretto inferiore (quindi sulla retina).

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UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
L’orecchio: la ricezione dei suoni e l’equilibrio
Come nella maggior parte dei vertebrati, l’orecchio umano è l’organo di senso dell’udi-
to e contemporaneamente dell’equilibrio.
L’orecchio è composto da tre parti.
1. L’orecchio esterno raccoglie i suoni e li convoglia verso l’orecchio medio. Esso è
composto dal padiglione auricolare, la parte che comunemente chiamiamo orecchio, e
dal meato acustico o condotto uditivo, lungo 2,5 cm, che convoglia le onde sonore con-
tro la membrana timpanica che separa l’orecchio esterno dall’orecchio medio. Questa
membrana – comunemente chiamata timpano – quando è sollecitata dalle onde sonore
è in grado di vibrare e trasformare così il suono in un impulso meccanico.
2. L’orecchio medio è una piccola cavità contenente tre minuscoli ossicini disposti in
sequenza: il martello, l’incudine e la staffa. La funzione dell’orecchio medio è di am-
plificare le vibrazioni registrate dal timpano. Tali vibrazioni vengono intensificate dalla
catena di ossicini che appoggia sulla finestra ovale, una membrana che separa l’orecchio
medio dall’orecchio interno.
3. L’orecchio interno, situato all’interno del cranio, contiene il labirinto, cioè l’organo
dell’equilibrio, e la coclea, che rappresenta invece il vero e proprio organo dell’udito.
La coclea è un lungo tubo avvolto a spirale che riceve le vibrazioni della staffa attraver-
so la finestra ovale. All’interno della coclea è situato l’organo del Corti che è formato
da una membrana su cui sono inserite delle cellule recettrici ciliate. Le vibrazioni che
la finestra ovale riceve dalla catena di ossicini producono onde di compressione nel
liquido che riempie la coclea, le quali a loro volta si trasmettono alla membrana tettoria
a contatto con le ciglia. La pressione trasmessa alle ciglia fa cambiare lo stato delle cel-
lule recettrici che iniziano la trasmissione dell’impulso elettrico alle cellule del sistema
nervoso collegate.
orecchio orecchio orecchio
esterno medio interno canali
osso semicircolari
nervo
acustico
timpano

finestra ovale
(dietro la staffa)
vestibolo
o
m ea to ac us tic
coclea

padiglione
auricolare martello staffa
incudine

canale uditivo
Sezione trasversale
pressione del liquido all’interno della coclea
della coclea.
osso
cellule membrana tettoria
ciliate

organo fibre
del Corti del nervo membrana cellule verso
acustico basilare di sostegno il nervo acustico
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UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
L’organo dell’equilibrio, detto labirinto membranoso, è composto da due parti – il
vestibolo e i canali semicircolari – che forniscono informazioni al cervello in merito alla
posizione e ai movimenti della testa.
Il vestibolo è composto da due sacchi membranosi, chiamati otricolo e sacculo, ed
è responsabile del mantenimento dell’equilibrio statico: ci fornisce cioè informazioni
in merito all’alto e al basso (quindi alla direzione della forza di gravità) anche quando
siamo immobili.
I canali semicircolari sono tre, lunghi circa 12 mm ciascuno, e disposti perpendico-
larmente uno all’altro come assi cartesiani. Essi sono responsabili del mantenimento
dell’equilibrio dinamico, durante i movimenti angolari e rotatori della testa.

La ricezione degli altri stimoli


Oltre alla luce e alle onde sonore, gli esseri umani sono in grado di percepire la pre-
senza di sostanze chimiche disperse nell’aria, attraverso l’olfatto, e all’interno dei cibi,
attraverso il gusto.
Questi sensi dipendono da chemiocettori: cellule capaci di captare la presenza di
particolari molecole, di dare inizio alla trasduzione del segnale e di avviare l’impulso
elettrico nelle cellule del sistema nervoso.
Il senso dell’olfatto e del gusto forniscono informazioni generali sull’ambiente cir-
costante e soprattutto ci mettono in guardia sulla presenza di sostanze potenzialmente
nocive e velenose.
In alcuni animali, ad esempio i cani, l’olfatto è un senso molto importante, usato per
il riconoscimento, l’orientamento, la riproduzione e numerose altre funzioni.
Negli esseri umani questo senso ha parzialmente perso importanza a favore della
vista, che può essere considerata il nostro senso più importante.
Esiste una grande differenza tra le due specie nel numero di recettori olfattivi (che-
miocettori): i cani possiedono 220 milioni di recettori, mentre l’uomo ne possiede solo
5 milioni. Nonostante ciò il nostro organo olfattivo, il naso, è capace di riconoscere ben
cinquanta tipi di odori. La volta della cavità nasale è tappezzata di recettori olfattivi.
L’aria inspirata è costretta nel suo percorso a fluire lungo la volta nasale; le molecole
in essa contenute vengono pertanto a contatto con le cellule ciliate dei recettori che le
catturano e le trattengono.
cervello

impu
lso elettri
co

aria sostanze osso


inspirata odorose
contenute recettore
nell'aria cavità olfattivo
nasale

cellula
epiteliale

ciglia

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UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
Il gusto dipende da alcuni recettori specifici che si trovano nella bocca, detti bottoni
gustativi.
I bottoni gustativi sono raggruppati nelle papille gustative: piccole estroflessioni del-
la superficie della bocca, presenti in massima parte sulla lingua e, in numero molto
minore, sul palato. I bottoni gustativi sono costituiti da cellule ciliate, che catturano le
sostanze chimiche disciolte nella saliva grazie alle ciglia.
Gli esseri umani possono distinguere quattro gusti fondamentali e ciascuno corrispon-
de alla stimolazione di bottoni gustativi presenti in un determinato settore della lingua.
I recettori per l’amaro sono collocati nella
parte posteriore della lingua e sono stimolati
da particolari sostanze organiche dette alcaloi-
di. I recettori per l’acido sono posti nella parte
mediana della lingua e vengono stimolati dagli
ioni idrogeno (H+) responsabili dell’acidità. I
recettori del salato sono situati soprattutto
nella parte anteriore e in quella laterale della
lingua e percepiscono la presenza di ioni me-
tallici. I recettori del dolce si trovano soprat-
tutto sulla punta della lingua e sono sollecitati
dagli zuccheri e da alcuni amminoacidi. bottone gustativo

La bocca e la cavità nasale sono in comuni-


cazione e pertanto qualsiasi sapore è influen-
zato anche dall’aroma. Quando siamo raffred-
dati percepiamo i sapori ma non gli aromi del
cibo, per questa ragione il cibo sembra scialbo
e insapore.
Il senso del tatto si realizza grazie alla presen-
za nella pelle di diversi tipi di meccanocettori.
Esso fornisce informazioni sulla superficie degli oggetti che tocchiamo.
In ogni cm2 di pelle sono presenti mediamente 130 recettori tattili, ma in alcune zone,
ad esempio sui polpastrelli, sono in numero superiore.
Accanto a questi meccanocettori, nella pelle sono presenti anche numerose termina-
zioni nervose che svolgono la funzione di recettori del caldo, del freddo e del dolore.
Ci sono recettori anche nei muscoli, nei tendini, nelle ossa e negli organi viscerali, che
sono detti propriocettori. Essi ci informano costantemente sulla posizione e lo stato del
corpo.

Il sistema nervoso negli animali


Le cellule nervose sono simili in tutti gli organismi. Il modo e la complessità con cui si
organizzano a formare il sistema nervoso varia in relazione alle dimensioni e alle com-
plessità dell’animale.
Alcuni organismi possiedono un sistema nervoso molto semplice, in cui le singole
cellule sono associate a formare una rete nervosa priva di organi. In animali maggior-
mente complessi l’organizzazione del sistema nervoso possiede due caratteristiche: la
centralizzazione e la cefalizzazione.
La centralizzazione è la tendenza a formare un sistema nervoso centrale separato da
un sistema nervoso periferico; la cefalizzazione è la tendenza a concentrare le strutture
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UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
nervose nella zona del capo, ovvero nell’estremità anteriore rivolta verso la direzione
preferenziale di movimento dell’animale.
In questi animali è possibile distinguere un capo e una coda. I vermi piatti, come la
planaria, sono animali molto semplici che presentano tali caratteristiche. Il loro sistema
nervoso è caratterizzato dalla concentrazione di un gran numero di cellule nervose nel
capo, a formare l’organo chiamato encefalo. Dall’encefalo si dipartono due cordoni
nervosi paralleli, che costituiscono il sistema nervoso centrale e percorrono tutto il
corpo dell’animale. Al di fuori dell’encefalo e dei cordoni nervosi si protendono alcuni
piccoli nervi che costituiscono il sistema nervoso periferico.
I vertebrati possiedono un sistema nervoso altamente sviluppato, in grado di gestire
il loro complesso comportamento e le molteplici funzioni specializzate.
Nel sistema nervoso si riconoscono due parti, che svolgono funzioni diverse:
– il sistema nervoso centrale,
– il sistema nervoso periferico.
1. Il sistema nervoso centrale (SNC) costituisce il centro di elaborazione dei dati e svol-
ge essenzialmente la funzione di integrazione, raccogliendo e interpretando gli stimoli,
e fornendo le risposte. Esso è a sua volta diviso in midollo spinale ed encefalo.
Il midollo spinale si trova all’interno della colonna vertebrale e si occupa dell’ac-
quisizione sensoriale dalla pelle e dai muscoli e dell’invio dei comandi per i movimenti
muscolari.
L’encefalo, protetto all’interno nel cranio, è il principale organo di controllo del si-
stema nervoso. Esso elabora e integra tutte le informazioni provenienti dagli organi di
senso e rappresenta la sede delle emozioni
e dell’intelletto. Tra le diverse classi di ver- encefalo
tebrati si registrano notevoli differenze a li- sistema
nervoso
vello dell’encefalo. Gli uccelli e i mammiferi midollo centrale
spinale
possiedono un encefalo che, in rapporto alle
dimensioni corporee, è più voluminoso che
negli altri gruppi. Lo sviluppo del cervello
consente a questi animali di acquisire un
gran numero di informazioni dall’ambiente nervi
circostante e di gestire complesse interazioni cranici
sistema
gangli
sociali. nervoso
periferico
2. Il sistema nervoso periferico (SNP) è co- nervi
spinali
stituito dalle vie di comunicazione che tra-
sportano i messaggi dall’esterno al sistema
nervoso centrale e portano le risposte dal si-
stema nervoso centrale all’esterno. Il sistema
periferico si occupa essenzialmente dell’ac-
quisizione sensoriale e dello stimolo moto-
rio ed è formato dai nervi, fasci di assoni e
dendriti avvolti da tessuto connettivo, e dai
gangli, ammassi di corpi cellulari di neuroni.
I nervi sono distinti in nervi cranici, diretta-
mente connessi all’encefalo (come il nervo
ottico), e nervi spinali, connessi al midollo
spinale.
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UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
Il sistema nervoso centrale umano
Il sistema nervoso centrale umano rappresenta il sistema di elaborazione dati più com-
plesso ed efficiente presente sul pianeta Terra ed è costituito dal midollo spinale e
dall’encefalo.
Il midollo spinale si trova all’interno della colonna vertebrale e la sua funzione è
quella di trasportare le informazioni dal sistema nervoso periferico verso l’encefalo e
viceversa. Osservando una sezione trasversale del midollo spinale si può notare che è
formato da due parti distinte:
– la sostanza grigia, situata internamente e composta principalmente dai corpi cellulari
dei neuroni motori e degli interneuroni;
– la sostanza bianca, collocata all’esterno della sostanza grigia e formata da assoni e
dendriti, fasci di fibre nervose che collegano i vari livelli del midollo e il midollo con
l’encefalo.
Al midollo spinale sono connesse le strutture del sistema nervoso periferico, come i
nervi spinali e i gangli.
CHE COSA VEDE IL BIOLOGO
sostanza bianca sostanza grigia

ganglio

canale nervo
centrale spinale
midollo spinale
[SPL]

(sezione trasversale)

Il midollo spinale non si limita a trasportare informazioni ma, quando è sottoposto


a stimoli intensi, può produrre risposte semplici e immediate senza l’elaborazione da
BIO_11_08_01
parte del cervello.
Questo meccanismo di difesa è detto arco riflesso semplice ed è fondamentale per
limitare i danni in caso di pericolo. Nel momento in cui la terminazione di un neurone
sensoriale riceve uno stimolo di dolore acuto (ad esempio se si tocca un oggetto roven-
te), questo si propaga lungo l’assone del neu-
rone fino alla sostanza grigia del midollo corpo
cellulare del
spinale. Lo stimolo è intenso, pertanto il neurone
midollo spinale non lo conduce imme- sensoriale midollo spinale
neurone
diatamente al cervello per un’ulterio- motorio
re elaborazione, ma lo trasferisce neurone
sensoriale
a un neurone motorio presente
nella sostanza grigia.
Il neurone motorio aziona recettore
sensoriale
una risposta facendo ritrarre
reazione
il braccio ed evitando l’espo- stimolo organo
sizione prolungata a un po- effettore
tenziale pericolo.
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UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
L’encefalo è l’organo di gran lunga più importante per l’acquisizione delle informazio-
ni, per il controllo motorio e per il mantenimento dell’omeostasi nel nostro corpo.
L’encefalo può essere suddiviso in quattro regioni principali.
1. Il tronco cerebrale è un’area di passaggio delle informazioni provenienti dal midollo
spinale verso il resto dell’encefalo o viceversa. Il tronco contiene dei centri nervosi che
controllano alcune importanti funzioni, come la respirazione e la pressione sangui-
gna.
2. Il cervelletto, piuttosto voluminoso, e situato alla base della scatola cranica, controlla
la postura, l’equilibrio e la coordinazione dei movimenti.
3. Il diencefalo, situato al di sopra del tronco cerebrale al centro del cranio, è formato
da tre strutture: talamo, ipotalamo e ipofisi. Il talamo è paragonabile a un centro di
smistamento delle informazioni provenienti dagli organi di senso. L’ipotalamo controlla
la temperatura corporea, il bilancio idrico e il metabolismo. Inoltre esso è sede delle
emozioni, del centro del piacere e dell’assuefazione e regola anche i bioritmi giornalieri
(sonno, fame). L’ipofisi, collegata all’ipotalamo tramite un sottile peduncolo, è una
ghiandola fondamentale del sistema endocrino (di cui parleremo più avanti).
4. Il telencefalo è la parte più voluminosa di tutto l’encefalo ed è comunemente detto
cervello. È costituito da sostanza bianca (all’interno) e da sostanza grigia, o corteccia cere-
brale (all’esterno). Il telencefalo è costituito da due emisferi cerebrali, destro e sinistro,
collegati dal corpo calloso: una spessa banda di fibre nervose che consentono una elabo-
razione delle informazioni comune da parte dei due emisferi. La corteccia cerebrale uma-
na, ricca di circonvoluzioni, è formata da circa 10 miliardi di neuroni connessi da centina-
ia di miliardi di sinapsi ed è la sede della logica, delle capacità matematiche e linguistiche
e dell’immaginazione.
Il midollo spinale e l’encefalo sono circondati e protetti da tre membrane: le meningi.

Il sistema nervoso periferico umano


Il sistema nervoso periferico è costituito da numerosi nervi che formano una rete estesa
in tutto il corpo. Ciascun nervo è formato da un gran numero di assoni appartenenti a
neuroni sensoriali e neuroni motori, uniti in fasci e avvolti da tessuti connettivi che li
proteggono: l’endonevrio avvolge un singolo assone; il perinevrio avvolge un fascio di
assoni; l’epinevrio avvolge l’insieme dei fasci che formano l’intero nervo.
All’interno del fascio nervoso sono presenti anche alcuni piccoli vasi sanguigni che
trasportano le sostanze nutritive e l’ossigeno.
I neuroni sensoriali trasportano verso il sistema nervoso centrale le informazioni ac-
quisite dall’ambiente esterno, attraverso gli organi di senso, e dall’ambiente interno, at-
traverso i recettori degli organi interni. I neuroni motori svolgono la funzione di veico-
lare ai muscoli e agli organi interni la risposta elaborata dal sistema nervoso centrale.
Nel sistema nervoso periferico si distinguono:
– il sistema nervoso somatico, anche detto volontario, che trasmette gli impulsi ai mu-
scoli scheletrici;
– il sistema nervoso autonomo, anche detto involontario, che controlla le attività svolte
dal corpo in modo automatico (regola il ritmo della respirazione, il battito cardiaco,
i movimenti dei visceri).
Il sistema nervoso somatico è formato da un gran numero di nervi connessi con il siste-
ma nervoso centrale e distinti in base alla posizione in due tipi.
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UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
1. I nervi cranici trasportano gli impulsi da o verso l’encefalo; sono 12 paia e connetto-
no gli organi di senso e alcune parti del capo e del viso con l’encefalo. Sono tutti nervi
misti, cioè sia sensoriali sia motori, ad eccezione dei tre nervi collegati agli organi di
senso (il nervo olfattivo, il nervo ottico e il nervo acustico) che sono esclusivamente
nervi sensoriali.
2. I nervi spinali trasportano gli impulsi da o verso il midollo spinale; sono 31 paia,
sono tutti nervi misti e prendono il nome dalla regione del midollo spinale dalla quale
si originano. Essi innervano tutti i muscoli e la pelle degli arti e del tronco.

nervi
cranici
(12 paia)
midollo spinale
(sistema nervoso nervi
centrale) cervicali
(8 paia)

assone
nervi endonevrio
toracici
(12 paia) nervi
spinali perinevrio
(in totale epinevrio
31 paia)

nervi fascio
lombari
(5 paia)

nervi
sacrali
(5 paia) vasi
sanguigni

nervo
coccigeo
(1 paio)

Il sistema nervoso autonomo è costituito da nervi motori che controllano, tra gli altri, il
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muscolo cardiaco, le ghiandole e il tessuto muscolare liscio.
Il sistema nervoso autonomo è composto da due sistemi differenziati, che esercitano
effetti contrapposti sugli organi che innervano.
1. Il sistema nervoso autonomo simpatico interviene quando l’organismo si trova in
situazioni di stress, sotto sforzo e impegnato in attività intense. La sua attività causa
l’accelerazione del battito cardiaco, aumenta la pressione sanguigna e la quantità di
glucosio nel sangue.
2. Il sistema nervoso autonomo parasimpatico esercita invece un controllo esattamente
opposto. La sua attività rilassa il corpo, favorisce la digestione, partecipa all’eliminazio-
ne delle feci e dell’urina e prevale nelle situazioni di tranquillità, per esempio durante il
rilassamento che si ha successivamente a un pasto.
I due sistemi agiscono sugli stessi organi in maniera antagonista, cioè provocando su
questi una reazione opposta.

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Già a meno di due mesi il feto può vedere; ovviamente lo sviluppo della vista si affinerà dopo
la nascita.

Il senso vestibolare
Il senso vestibolare rappresenta il sistema consolidante del cervello umano. Esso è localizzato
nell’orecchio interno: una piccola parte complessa che permette alla persona di mantenere un
certo equilibrio, di implementare il movimento concordato quando si muove nello spazio e
controllare i cambi di posizione della testa. Costituisce la base per il tono muscolare, per
l’equilibrio e per la coordinazione bilaterale.

È fondamentale la sua correlazione con gli altri organi di senso in quanto i diversi tipi di
sensazione vengono elaborati secondo l’informazione vestibolare.

Uno studio, il “BOLD Response Selective to Flow-Motion in Very Young Infants"


pubblicato da PLOS Biology e firmato di Maria Concetta Morrone, ricercatrice del IRCCS
Fondazione Stella Maris di Calambrone (Pisa) e dell'Università di Pisa, ha dimostrato come
le principali aree corticali necessarie all'elaborazione del movimento vengano già utilizzate a
7 settimane di vita.

Ciò implica che quando il sistema vestibolare funziona correttamente, la forza di gravità
genera un continuo flusso sensoriale in quanto le sensazioni di gravità aiutano a formare una
base solida per tutte le altre esperienze sensoriali.

Gli input sensoriali in aggiunta alle informazioni provenienti dalle altre parti del corpo
vengono elaborati nei centri direzionali dei nuclei vestibolari.

Questi ultimi iniziano a svolgere il loro compito a partire dalle 9 settimane dopo il
concepimento, trasmettendo i diversi impulsi alle diverse aree del cervello, e di conseguenza,
producendo delle risposte adattive agli input vestibolari provenienti dal corpo della madre.

Gli input vestibolari, ancor prima degli input visivi e uditivi vengono percepiti e processati
dal cervello.

La propriocezione
La parola propriocezione deriva dalla parola latina “propius” che tradotta significa a “suo
proprio”. La propriocezione viene definita come la capacità di percepire e riconoscere la
posizione del proprio corpo nello spazio e come la capacità di riconoscere lo stato di
contrazione dei propri muscoli, anche senza il supporto della vista. Si riferisce, infatti, alle
informazioni sensoriali derivanti dalla contrazione dei muscoli e dal flettersi, allungarsi,
tirarsi e comprimersi delle articolazioni tra le ossa.

La propriocezione assume un'importanza fondamentale nel complesso meccanismo di


controllo del movimento.
Le sensazioni del corpo sono avvertite in particolar modo durante il movimento, ma anche
quando stiamo fermi. Questo è reso possibile perché i muscoli e le articolazioni inviano
costantemente sensazioni al nostro cervello riguardanti la posizione assunta dal corpo.

La propriocezione attraverso il midollo spinale risale al tronco e al cervelletto, arrivando, in


parte anche agli emisferi cerebrali.

Gli input propriocettivi vengono elaborati nelle regioni del cervello che non sono adibite ad
una consapevolezza cosciente.

La propriocezione inizia a svilupparsi in epoca fetale, e già a partire dal primo mese di età,
per quanto riguarda la percezione motoria,il neonato ha la capacità di individuare e seguire le
fonti di luce diffusa.

Contemporaneamente, è capace di stabilire con la madre un persistente e stabile contatto


visivo durante la fase di allattamento. Ed inoltre, è possibile attirare la sua attenzione con
giochi ed oggetti colorati.

In prossimità del secondo/terzo mese emergono i primi schemi senso-motori, in risposta a


determinati stimoli.

Il neonato può ad esempio avere reazioni di difesa rispetto ad un rumore o stimolo


improvviso così come rispondere con un sorriso sociale ad una espressione analoga.

I primi schemi motori con il trascorrere del tempo si affinano sempre di più riuscendo anche a
coordinarsi fra loro.

Lo sviluppo della propriocezione è indispensabile per il movimento: se vi fosse una minore


propriocezione i movimenti del corpo sarebbero lenti, goffi e rischierebbero un maggior
dispendio di energia; allo stesso modo se non vi fosse un’adeguata propriocezione nelle mani
si potrebbero osservare difficoltà di tipo prassico. Così come, senza una sufficiente
propriocezione proveniente dal busto e dalle gambe si potrebbero sviluppare difficoltà nel
compiere movimenti di salita e discesa.

Il processo di integrazione
Affinché si possa parlare di processo di integrazione sensoriale è utile sapere che nel processo
di informazione sensoriale si distinguono 2 fasi: la "sensazione" e la "percezione". La prima
riguarda il riconoscimento degli stimoli da parte degli organi di senso: “sentire” uno stimolo
significa esserne consapevole; la seconda, ossia la percezione, riguarda l’organizzazione e
l’interpretazione delle informazioni sensoriali: “percepire” uno stimolo vuol dire capire che
cosa è.

Nel processo di integrazione è coinvolto il sistema nervoso, in particolar modo i neuroni


sensoriali, i neuroni motori e i recettori sensoriali.

I primi codificano gli stimoli e trasmettono gli impulsi dal corpo verso il cervello; i secondi
trasmettono gli impulsi dal cervello ai muscoli e agli organi interni; mentre, i recettori
sensoriali rilevano gli stimoli.
La parte più complessa dell’organizzazione degli input sensoriali viene svolta dagli emisferi
cerebrali, così come il processo di attribuzione di un significato preciso e dettagliato alle
sensazioni. Essi comprendono, inoltre, delle aree implicate nella pianificazione e
realizzazione di un’azione con il corpo.

Lo strato esterno degli emisferi cerebrali è costituito dalla corteccia cerebrale. Essa è una
struttura altamente specializzata, composta da diverse aree tra cui quelle adibite a: percezioni
visive, interpretazione dei suoni dell’ambiente, comprensione della parola e interpretazione
delle sensazioni del corpo.

Un neonato possiede già gran parte dei neuroni che avrà da adulto, ma affinché il sistema
sensoriale si possa sviluppare è necessario che i neuroni siano stimolati nel migliore dei
modi. Più la funzione è complessa, più aumenta il numero dei neuroni coinvolti nella
trasmissione del messaggio.

Il processo dell’integrazione sensoriale si completa attraverso i seguenti livelli:

• primo livello: tattile, vestibolare e propriocettivo;


• secondo livello: tre sensi base sono integrati in una percezione corporale;
• terzo livello: sensazioni uditive e visive;
• quarto livello: tutto si compone per formare le funzioni cerebrali complete.

Il livello primario include il senso tattile. Le sensazioni tattili che ne derivano sono molto
importanti sul lattante e sul resto della vita: esse infondono un senso di comfort e sicurezza.

Un neonato ha bisogno di essere toccato dalla madre o dal caregiver, in questo modo il cervello
interpreta nel modo corretto le sensazioni che provengono dal contatto, si instaura, così, la
prima forma di legame emotivo che rende il neonato consapevole del suo corpo fisico.

L’integrazione degli input vestibolari e propriocettivi, inoltre, permette al neonato di


controllare i movimenti degli occhi e di eseguire, in seguito, gli aggiustamenti posturali
automatici.

Queste funzioni sono necessarie per raggiungere la stabilità emotiva.

La percezione corporea, di cui si parla nel livello secondario, viene definita come una
“fotografia” del nostro corpo contenuta nel cervello. All’interno sono raccolte delle
informazioni su ogni parte del corpo, sulle relazioni reciproche di tutte le parti fra di loro e su
tutti i movimenti che ciascuna di loro può compiere.

La percezione corporea viene immagazzinata nel cervello man mano che gli input sensoriali
che derivano dalla pelle, dai muscoli e dai recettori di gravità e movimento sono organizzati e
differenziati durante l’attività quotidiana del bambino.

Nel terzo livello si parla di sensazioni uditive e visive.


Le sensazioni uditive sono fondamentali affinché il bambino, successivamente, riesca a
comprendere le parole. Il sistema uditivo e vestibolare sono correlati in quanto quest’ultimo
ha il compito di processare cosa si è sentito.

Per quanto riguarda il sistema visivo, l’occhio coopera con il cervello nella valutazione
dell’informazione visiva attraverso l’analisi dell’orientamento, della forma, del colore, del
movimento e della profondità.

La percezione visiva è il significato che si ottiene da quello che si vede.

La forma più semplice è data dal riconoscimento di cosa è ciò che si vede, quella più
avanzata, nel vedere un oggetto in relazione ad altri oggetti sullo sfondo.

In questo periodo, a livello cerebrale, in un bambino a sviluppo tipico, i processi sensoriali


basici lavorano in modo stabile, coerente e affidabile. In questo modo un bambino potrà
eseguire le proprie attività in maniera lineare: esse avranno un inizio, uno svolgimento e una
fine; la cosa più importante, però, è che il bambino riesca ad arrivare allo scopo che si era
prefissato.

Durante il quarto e ultimo livello di integrazione sensoriale, se il sistema nervoso ha


elaborato correttamente i diversi input, vi sarà una maggiore rapidità nella processazione e
nell’organizzazione delle diverse risposte adattative.

Tutto si fonde insieme per assicurare le funzioni proprie dell’intero cervello. Dopo che le due
parti del corpo imparano a lavorare in attività intenzionali, si passa ad una naturale
specializzazione dei due lati del corpo e del cervello.

Di seguito sarà riportato uno schema di Ayres, in cui viene riassunto tutto quanto detto
precedentemente.

Esso può essere letto, solo, da sinistra a destra.

All’estremità sinistra, dove è riportata la scritta “sensi”, sono indicati i principali sistemi
sensoriali, mentre all’estremità destra sotto la scritta “esiti” è riportato ciò di cui una persona
ha bisogno per relazionarsi con la famiglia e gli amici, per studiare e lavorare in un futuro.

Le parentesi graffe, invece, rappresentano i quattro livelli del processo dell’integrazione


sensoriale.

Il primo livello coincide con l’età dei due mesi del neonato. In questo periodo il sistema
nervoso del bambino lavora molto al primo livello di integrazione, un po’ meno al secondo e
quasi per niente al terzo. Ad un anno di età il primo e il secondo livello assumono una
notevole importanza, successivamente lo diventerà anche il terzo. A tre anni il bambino inizia
a lavorare al quarto livello, pur lavorando, contemporaneamente, agli altri tre. A sei anni il
primo livello di integrazione dovrebbe essere ultimato, il secondo quasi completato, il terzo
in fase di attivazione e il quarto continua ad avere un ruolo rilevante.
UNITÀ 11. I sensi e la trasmissione degli impulsi nervosi
I recettori, posti negli organi di senso, inviano i segnali ad un complesso apparato, il
sistema nervoso che li integra, li interpreta ed elabora delle risposte.
In pratica, i recettori convertono lo stimolo ricevuto in un impulso di tipo elettrico
che rappresenta il modo con cui le cellule del sistema nervoso trasmettono gli stimoli.
Questa operazione, detta trasduzione sensoriale, è dovuta a mutamenti chimici che
interessano la membrana delle cellule recettrici. La trasduzione permette all’impulso di
viaggiare attraverso il sistema nervoso. Quest’ultimo svolge un’azione che si articola in
tre fasi.
1. L’acquisizione sensoriale è in pratica una «raccolta dei dati». Gli stimoli provenienti
dagli organi di senso vengono condotti ai centri di elaborazione.
2. L’integrazione rappresenta la fase in cui le diverse informazioni vengono assemblate,
interpretate ed elaborate. Queste operazioni vengono effettuate dal sistema nervoso
centrale e si completano con la formulazione di una risposta allo stimolo ricevuto.
3. Lo stimolo motorio rappresenta l’impulso di risposta che parte dal centro di elabo-
razione e arriva alle cellule muscolari che eseguono i movimenti.
Le cellule del sistema nervoso – i neuroni – sono distinguibili in tre categorie che
corrispondono a ciascuna delle tre azioni appena descritte.

I neuroni sensoriali acquisiscono lo stimolo sensoriale e trasportano


l’impulso dalle cellule recettrici – come i fotorecettori degli occhi – al
sistema nervoso centrale, passando attraverso dei gangli (raggruppa-
menti di corpi cellulari di neuroni sensoriali).

encefalo

ganglio
neurone
sensoriale

neurone
motorio
midollo
spinale
[Pictorial Press / Alamy]

sistema nervoso sistema nervoso


periferico centrale

B7_P.123_doc.02

I neuroni motori o neuroni effettori trasmet- Gli interneuroni o neuroni di associazione si trovano esclusivamente
tono la risposta elaborata dal sistema nervoso all’interno del sistema nervoso centrale e svolgono la funzione di integra-
centrale alle cellule interessate, ad esempio le zione e di elaborazione degli stimoli ricevuti.
cellule muscolari.

L’elaborazione compiuta dal sistema nervoso permette di passare dalla sensazione, cioè
dalla pura e semplice registrazione dello stimolo sensoriale, alla percezione, cioè ad una
interpretazione del messaggio ricevuto.
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Figura 6: il processo dell'integrazione sensoriale , (Ayres, 2012)
Il sistema nervoso centrale
Il nostro cervello riceve, elabora, integra e coordina tutti gli stimoli esterni ed interni
che arrivano al nostro organismo.

Il cervelletto si trova sotto gli emisferi cerebrali. La sua funzione è quella di controllare e
coordinare i movimenti volontari, anche quelli coinvolti nel linguaggio articolato.
Il midollo allungato collega cervello, midollo spinale e cervelletto e contiene i centri di
controllo dei movimenti involontari (per esempio la respirazione e il battito cardiaco).
Il midollo spinale è un cordone nervoso che si trova all’interno delle vertebre. Qui
arrivano gli impulsi dagli organi di senso destinati al cervello e partono gli impulsi
motori verso i muscoli e le ghiandole.
Il cervello
Ammirare un bel paesaggio, gustare un cibo che ci piace, sentire l’odore della lavanda, ascoltare un
brano di Mozart, sentire la morbidezza di un capo di seta, correre, ridere per una battuta, reagire ad una
bella o brutta notizia, affrontare un esame... Tutto compito del cervello!!!
Ecco le funzioni dei lobi della corteccia cerebrale.

Lobo frontale: Lobo temporale:


• pianificazione; • udito;
• ragionamento; • percezione linguaggio;
• movimento; • memoria;
• alcuni aspetti del linguaggio. • linguaggio parlato.
Il cervello

Lobo parietale: Lobo occipitale:


• riceve “dati” dalla pelle; • vista;
• percezione calore, freddo, dolore... • riceve, processa e interpreta tutti i
dati visivi.
• posizione del corpo nello spazio;
• area motoria primaria (movimenti volontari).
Il cervello

Sistema limbico e talamo:


Corpo calloso: • con il midollo allungato regola pressione sanguigna, temperatura, battito
cardiaco, glicemia;
• fascio di fibre che connette
i due emisferi; • ippocampo e amigdala sono importanti per la memoria e l’apprendimento;
• coordina e integra emisfero • il talamo smista gli stimoli sensoriali alla corteccia (tranne olfatto);
sinistro e destro. • l’ipotalamo regola sete, fame, sonno, piacere... Direttamente collegato con
l’ipofisi (o ghiandola pituitaria).
Sistema periferico e autonomo
Sistema nervoso periferico: Sistema nervoso autonomo: è la
insieme di tutti i nervi cranici e parte del sistema nervoso che
spinali che collegano il sistema innerva i visceri. E si divide in
nervoso centrale con ogni parte due sistemi antagonisti:
del nostro organismo. simpatico e parasimpatico.
INFORTUNI DEL MUSICISTA
L’intenso studio della tecnica musicale può provocare disturbi fisici di vario tipo; moltissimi

musicistiprofessio nisti lamentano problemi posturali legati alla prolungata attività di studio ed

esecuzione con il proprio strumento. Spesso la fase di esercizio prevede l’esposizione a posture

scorrette per diverse ore al giorno sin dalla giovane età; questa attività causa disturbi muscolo-

scheletrici e patologie dolorose che, se non curate, possono risultare invalidanti.

La letteratura scientifica ha dimostrato ampiamente che esistono numerose patologie

muscoloscheletriche e neurologiche che affliggono i musicisti professionisti, in particolare i

professori d’orchestra, tali da limitare la loro performance e, in alcuni casi, costringere

all’interruzione dell’attività professionale. L’analisi dei fattori di rischio indica nell’assunzione

di posture inadeguate, mantenute per tempi prolungati, la causa più frequente dell’insorgenza di

tali patologie, la cui incidenza si è rivelata nell’ordine dell’80%. E’ stato dimostrato, inoltre, che

le alterazioni posturali dipendono da alcuni aspetti contingenti quali: caratteristiche fisiche dello

strumento musicale; esigenze tecniche strumentistiche; sedie non ergonomiche, scarsa

disponibilità di spazio nell’organigramma dell’orchestra; quantità e qualità di ore di studio o di

lavoro in orchestra; condizioni emotive.

Tra le patologie più diffuse tra i musicisti vi sono: le tendinopatie, le neuropatie periferiche,

la sindrome da “over-use”, le cervico-brachialgie, le lombalgie. Nello specifico, ad esempio, i

bassisti soffrono spesso di neuropatie periferiche indotte da posture scorrette della mano,

mantenute per lunghe periodi durante un’intensa attività. Anche i chitarristi assumono posture

similari ma hanno uno strumento più leggero e spesso studiano seduti. I pianisti concertisti

soffrono spesso da “sindrome da over-use” indotta da uno studio protratto anche oltre le 6-8 ore,

utilizzando accordi che prevedono un utilizzo ampio della tastiera.

La terapia principale, peraltro utile anche a scopo preventivo, è la correzione posturale

nell’atto musicale durante l’utilizzo dello strumento; è un lavoro lungo ed impegnativo che tende

a contrastare la postura scorretta che il musicista si è creato da solo nel tempo e che per lui

risulta comoda e funzionale, ma che altrimenti non è. Richiede assoluta competenza e ha, come
obbiettivo finale, la presa di coscienza da parte del musicista della postura corretta, anche

mediante l’introduzione, se necessario, di ausilii ergonomici che facilitano il perfezionamento

posturale.

Gran parte dei problemi muscolo-tendinei che affliggono i musicisti deriva da una cattiva postura;

il deficit posturale è spesso compensato, infatti, dal sovraccarico dei muscoli deputati al gesto

musicale: da questo meccanismo nascono le problematiche infiammatorie, nervose e osteo-articolari

dei musicisti.

La postura è un equilibrio muscolare attivo che permette la ripetizione di movimenti con il

minimo di tensioni muscolari e di rigidità articolari. Essa dunque non è mai fissa e rigida. Ottenere

una buona postura, per il musicista significa: prevenire problemi muscolo-tendinei e articolari,

diminuire le tensioni muscolari, ottimizzare la tecnica musicale e il suono e aumentare il piacere di

suonare. Analizziamo nel dettaglio quali sono le problematiche più evidenti che possono insorgere

nelle posture in piedi e in quella seduta del basso e della chitarra.

POSIZIONE BASSA DELLO STRUMENTO

Portare il basso o la chitarra in posizione troppo bassa, significa costringere il corpo ad adattarvisi,

creando squilibri fisici. Gli arti inferiori sono divaricati, le ginocchia estese e il peso del corpo grava

sui talloni: questa posizione statica, blocca il bacino, il quale, a sua volta, blocca la parte alta del busto

e quindi le braccia, sovraccaricandone i muscoli dinamici (estensori e flessori).


-Il bacino è in retroversione eccessiva (“scivolato in avanti”): in tal modo si appiana la lordosi

lombare e per compenso aumenta la cifosi dorsale; ciò significa che le normali curvature della

colonna vertebrale non sono rispettate, provocando tensioni dei muscoli paravertebrali.

-Il collo è iperflesso (estremamente in avanti) per guardare lo strumento: di conseguenza si crea

tensione a livello del muscolo trapezio.

-Il polso sinistro è iperflesso per ricercare accordi e scale: ciò può causare sovraccarichi tendinei e

compressioni nervose a livello del polso.

-La spalla destra è proiettata in avanti, posizione che può portare problemi all’articolazione, come la

tendinite del bicipite o la sindrome da conflitto.


POSIZIONE ALTA DELLO STRUMENTO

Anche la posizione opposta, con il basso o la chitarra portati troppo in alto, mette a rischio diverse

parti del corpo.

- Il peso della chitarra è completamente sostenuto dai muscoli delle braccia, i quali dovrebbero invece

essere deputati esclusivamente all’esecuzione del suono; sono infatti muscoli dinamici, che si

stancano più facilmente rispetto a quelli posturali, che sono invece caratterizzati da una lunga durata.

La posizione può causare sovraccarichi, tensioni e disequilibri muscolari dei muscoli flessori ed

estensori degli arti superiori.

- La testa è inclinata verso sinistra, variando la curvatura fisiologica della colonna cervicale; ciò può

causare contratture dei muscoli del collo.

- La spalla destra è rigida, contrattata verso l’alto, con sovraccarico del trapezio e dei muscoli

scapolari.

- Il gomito sinistro è iperflesso, con rischio di compressione del nervo ulnare, che passa in una doccia
ossea a quel livello.

- Il polso sinistro è iperesteso, il che può portare a squilibri dei tendini agonisti-antagonisti (flessori-

estensori).

POSIZIONE SEDUTA

Nella posizione seduta:

- La chitarra è spesso avvolta dalle braccia e dalla schiena del musicista; ciò costringe le spalle ad

assumere una posizione fisiologica scorretta: esse intraruotano limitando il movimento delle braccia e,

quindi, delle dita sullo strumento, rischiando sovraccarichi muscolo-tendinei e tendinopatie alla cuffia

dei rotatori.

- L’ eccessivo avvolgimento della chitarra è causa anche di alterazioni delle normali curvature della

colonna vertebrale: un’iperflessione del collo e un’ ipercifosi del rachide dorsale causano dolori e

tensioni muscolari.

- Essendo la chitarra uno strumento asimmetrico, il carico del peso a livello degli ischi (bacino) può

essere squilibrato, affaticando un solo lato del corpo e sbilanciando il normale asse longitudinale.

- Se l’avambraccio destro si appesantisce sulla cassa, causa una flessione eccessiva del polso

omolaterale con conseguente sofferenza muscolo-tendinee e nervosa.

- La posizione seduta è spesso scelta durante le esercitazioni, anche quando la performance sarà

effettuata in piedi: ricordarsi che nelle due posture il posizionamento del corpo e, quindi, l’approccio

sullo strumento, cambiano; è consigliabile quindi, durante le sessioni di esercitazione, alternare le due

posizioni.

Nella storia della musica l’approccio fisico allo strumento, per esigenze di suono e di stile, si è

modificato nel corso degli anni; certe impostazioni hanno caratterizzato così fortemente alcuni generi

musicali, tanto da divenirne un segno di riconoscimento, un’icona. Ma attenzione! Emulare le grandi

leggende della musica può portare, soprattutto nei primi approcci, ad impostazioni scorrette che

possono creare con il tempo problemi fisici.


E’ importante ricordare che è lo strumento che deve adattarsi al corpo e non il contrario!

LA DISTONIA FOCALE O DEL MUSICISTA

La distonia focale è un raro disturbo neurologico disabilitante che, in molti casi, porta alla

cessazione della carriera. Denominata anche "crampo del musicista", è un disordine del movimento di

tipo task-specific, che, di conseguenza, compare solamente durante l'esecuzione di un compito preciso.

La particolarità di questa patologia infatti, è la comparsa dei sintomi solo durante la pratica musicale e,

in particolare, solo nell'esecuzione di determinati passaggi tecnici o brani, oppure, nel caso dei

polistrumentisti, nell'uso di uno solo degli strumenti suonati.

La patologia si presenta come un'incoordinazione muscolare tendenzialmente non dolorosa o come

la perdita del controllo muscolare volontario durante la pratica musicale. I principali sintomi della
distonia focale sono quindi la perdita del controllo dei movimenti della mano (40,7%), il rallentamento

delle dita (37,2%), la sensazione di rigidità della mano o dell'avambraccio (9,3%), la sensazione di

debolezza alla mano (7%), il tremore delle dita (2,3%) e il dolore (2,3%). L'incidenza di questo disturbo

all'intero della categoria dei musicisti si attesta, secondo numerosi studi, attorno al 1-8%(cioè fra 1:200

e 1:500), con la comparsa dei sintomi generalmente fra i 30 e i 40 anni di età e con una maggior

prevalenza nel sesso maschile e negli strumenti classici.

Le regioni anatomiche principalmente colpite sono il quarto e il quinto dito della mano destra nei

pianisti e il terzo dito della mano destra nei chitarristi. Gli strumentisti più colpiti sono appunto

chitarristi, soprattutto classici, pianisti ma anche fisarmonicisti e strumentisti a fiato. Questi ultimi

sono frequentemente interessati dalla distonia da imboccatura che interessa principalmente il viso e le

labbra, non permettendo una corretta incanalazione ed emissione del suono a causa

dell'incoordinazione dei muscoli buccali.


La causa primaria della patologia è ancora oggi sconosciuta ma, uno dei principali fattori scatenanti,

sembra essere il prolungato uso dello strumento finalizzato all'esecuzione di passaggi tecnici altamente

complessi. Spesso infatti, i musicisti ripetono continuamente lo stesso brano o, addirittura, le stesse

battute senza eseguire pause e senza variare il repertorio. Inoltre, sembrano coesistere anche fattori

familiari, ormonali, traumatici e soprattutto psicologici. In effetti, i musicisti colpiti presentano spesso

dei tratti psicologici tipici quali perfezionismo, forte ambizione e anancasmo (comportamento

sintomatico delle persone affette da disturbo ossessivo-compulsivo).

Ora vediamo nello specifico che cosa succede quando insorge una distonia:

Per prima cosa, bisogna considerare che suonare uno strumento richiede una continua integrazione

di informazioni sensitive, motorie ed uditive, associate a una rapida modulazione della connettività

neuronale. Gli stimoli somatosensoriali hanno un ruolo talmente importante che in alcuni pianisti, il

disturbo compare soltanto quando suonano su tasti di avorio e non su quelli di plastica oppure, è stato

osservato come i sintomi possano diminuire notevolmente se il paziente suona indossando dei semplici

guanti.

In secondo luogo bisogna considerare i meccanismi cerebrali di base. Ogni regione del nostro corpo

infatti, è rappresentata nella corteccia cerebrale sia a livello sensitivo che motorio. Più una parte è

sensibile o è capace di movimenti fini e più l'area cerebrale sarà estesa. Aree appartenenti allo stesso

distretto anatomico come ad esempio le dita della mano, sono rappresentate in zone adiacenti. Inoltre,

le diverse aree possono svilupparsi e ingrandirsi o, al contrario, ridursi, in base all'attività e

all'allenamento svolto dal singolo soggetto. Pertanto, è stato osservato che, nei musicisti, la corteccia

cerebrale nelle aree di rappresentazione somatosensoriale delle dita abbia un volume maggiore rispetto

a quella dei non musicisti o dei musicisti dilettanti. Quindi, nella distonia focale, ciò che accade a livello

cerebrale è una fusione patologica delle aree di rappresentazione delle singole dita nelle regioni corticali

sensoriali o motorie, che non permette un reclutamento corretto e impedisce così di eseguire un gesto

coordinato e distinto con le diverse dita o con la bocca. In poche parole, il cervello va in confusione e

non riesce più a reclutare finemente le dita e a far eseguire loro movimenti rapidi e molto complessi.
Nell'immagine riportata di seguito si può chiaramente osservare il fenomeno della distonia focale a

livello cerebrale, dove, appunto, avviene una fusione delle aree di rappresentazione. Inoltre, nella stessa

immagine, è possibile osservare la risintonizzazione delle aree in seguito a un trattamento fisioterapico.

Schema rappresentativo del fenomeno distonico a livello cerebrale.

La diagnosi di distonia focale è spesso difficile da effettuare ed essendo una patologia poco

conosciuta, viene spesso sottovalutata, ma è sempre più importante individuare il disturbo al fine di

prevenire, riabilitare e permettere al musicista di proseguire la propria carriera. In conclusione, la

distonia focale può essere considerata come una sindrome da disapprendimento sensorimotorio

corticale che determina la perdita della sequenza temporale di attivazione e rilassamento delle dita e

dell'accuratezza nell'esecuzione musicale.


LA TECNICA ALEXANDER
Il corpo è il nostro primo strumento e il modo in cui lo usiamo ha un effetto notevole sul
suono che creiamo: la tecnica strumentale e vocale è un effetto della coordinazione psico-
senso-motoria di un individuo.

La professione del musicista richiede un alto standard di coordinazione neuro-muscolare ed è


una delle più soggette alle patologie di R.S.I.( repetitive strain injury).

Alcune ricerche americane inerenti ai problemi medici correlati alla performance hanno
mostrato che più della metà dei musicisti sviluppa problemi fisici durante la sua attività; la
maggior parte dei problemi riguarda il sistema scheletro-muscolare.

La Tecnica Alexander in particolare può aiutare il musicista:

– nel miglioramento della qualità del suono: se nel corpo ci sono meno costrizioni, la
percezione sensoriale diventa più accurata e le varie parti del corpo sono più libere di fare
aggiustamenti per la produzione di un bel suono;
– nella coordinazione: la tecnica strumentale e vocale è sempre una questione di
combinazione di movimenti simultanei in cui il controllo globale deve lavorare il meglio
possibile, altrimenti un movimento interferirà con un altro. La Tecnica Alexander aiuta ad
eliminare i conflitti fra movimenti simultanei;
– nella resistenza: ottenendo leggerezza ed economia di sforzo, possiamo accrescere le
nostre risorse energetiche;
– nel controllo delle tensioni nervose: ogni miglioramento dell’abilità di eseguire
movimenti muscolari con leggerezza ed economia, significa alleggerimento della tensione
nervosa. Durante l’esecuzione, la Tecnica Alexander ci permette di imparare a prevenire
l’ossessiva preoccupazione nei confronti di certi dettagli, facendo lavorare l’intera
muscolatura e il sistema nervoso a nostro vantaggio;
– nella prevenzione o guarigione di malattie professionali: imparando a capirne le cause,
viene mostrato come evitarle;
– nello sviluppo delle abilità individuali per affrontare le situazioni di stress della vita
professionale (viaggi, sedie scomode in cui si devono passare ore di prova e di concerto,
situazioni in cui si devono produrre buoni risultati con un tempo di prove inadeguato…ecc.)
Numerose accademie musicali europee e americane considerano la Tecnica
Alexander una parte fondamentale del curriculum di ogni allievo e alcuni
conservatori italiani e svizzeri hanno iniziato a introdurla nella materie
complementari considerandola un prezioso aiuto per i loro studenti.
3 Storia e filosofia
3.1 Storia

3.1.1 Origine

I principi della Tecnica Alexander sono stati sviluppati durante un lungo arco di tempo verso la
fine del XIX secolo, e il loro fondatore, l'attore e recitatore australiano Frederick Matthias
Alexander (1869-1955), li ha insegnati come metodo a partire dal 1894 circa.

F.M. Alexander nacque nel 1869 a Wynyard, sulla costa nord-occidentale della Tasmania. All'età
di 20 anni si trasferì a Melbourne, dove frequentò un corso di recitazione. Presto si fece un nome
in diverse città della Tasmania e dell'Australia come recitatore di Shakespeare e altri testi.
Nella propria attività professionale, Alexander dovette combattere sempre più con raucedine e
difficoltà respiratoria, per cui si rivolse a diversi medici e logopedisti. La cura della voce
produceva un miglioramento temporaneo, ma ad ogni ripresa della recitazione tornava la
raucedine. Dopo aver fatto riposare la voce per due settimane, in considerazione di un
importante impegno, gli riuscì di esibirsi all'inizio senza alcuna raucedine. In seguito però le sue
condizioni peggiorarono di nuovo e alla fine mancò del tutto la voce.
Alexander ne concluse che la raucedine doveva dipendere dal proprio modo di recitare o dal
rapporto che egli aveva con il proprio corpo (Uso di sé→ 4.1.3). Giunse alla decisione di scoprire
con l'osservazione che cosa provocasse in lui queste difficoltà. Questo obiettivo determinò il suo
modo di procedere empirico e fu l'inizio dell'evoluzione del suo metodo.

3.1.2 Evoluzione

F.M. Alexander iniziò ad osservarsi a lungo con l'aiuto di specchi e secondo vari esperimenti
condotti in maniera sistematica.
Con il tempo poté constatare all'inizio della recitazione che tirava indietro la testa, esercitava
pressione sulla laringe e inspirava l'aria solo attraverso la bocca producendo un suono
ansimante.
A poco a poco scoprì che l'abitudine di tirare indietro la testa influiva negativamente sugli organi
fonatori. In collegamento con questo osservò una riduzione della propria corporatura
complessiva causata da un'eccessiva tensione muscolare nell'intero organismo. Sollevava infatti
il torace, incurvava la schiena, spingeva il bacino in avanti, tendeva i glutei e i muscoli delle
gambe e cercava di afferrare il terreno con le dita dei piedi. Questi comportamenti, che iniziava a
capire davanti agli specchi, erano diventati per lui un'abitudine.
Grazie all'osservazione di sé e agli esperimenti Alexander poté riconoscere che la relazione tra la
testa, il collo e il tronco svolge un ruolo decisivo per il coordinamento e il funzionamento di tutto
l'organismo.
Dopo questo primo risultato Alexander cercò a lungo e con la stessa procedura la strada per
modificare le proprie abitudini posturali durante la recitazione. Cercò di evitare la riduzione della
corporatura con il pensiero che la testa potesse spostarsi in avanti e in alto; con l'inizio della
recitazione tuttavia lo specchio gli mostrò che egli ricadeva di nuovo nello schema familiare,
sebbene credesse e sentisse il contrario. Alexander scoprì quindi il collegamento immediato tra
uno stimolo e la reazione dettata dall'abitudine (→ 4.1.5). Egli riconobbe inoltre che non poteva
affidarsi alla propria percezione se voleva giungere a un nuovo comportamento (inaffidabilità
della percezione sensoriale → 4.1.4).
In ulteriori esperimenti Alexander si esercitò a non reagire allo stimolo "volontà di recitare"
(inibizione → 4.2.3.1) e a darsi invece istruzioni mentali (→ 4.2.3.2) che dovevano impedirgli
l'eccessiva tensione e la riduzione del proprio corpo. Proiettò allora il pensiero che il collo
potesse essere completamente rilassato, la testa potesse spostarsi liberamente sia in avanti che
in alto e tutto il tronco e soprattutto la schiena potesse allungarsi e allargarsi. Ma nel momento
più critico della procedura, proprio quando aveva deciso di realizzare l'obiettivo che si era posto,

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vide ancora una volta che la decisione di agire provocava lo stesso schema comportamentale
non voluto.
In base a questa constatazione Alexander modificò un'altra volta la procedura subito prima di
questo momento critico. Si interruppe nuovamente e ripensò al suo obiettivo di volere recitare,
per poi decidere consapevolmente di non perseguire questo obiettivo, o decidere di fare
qualcos'altro, ad esempio sollevare le braccia, oppure realizzare comunque il suo obiettivo
originario, recitare un testo. Collegò sempre sia la preparazione all'azione sia la sua attuazione
con la proiezione delle istruzioni mentali.
Questa procedura portò infine ad Alexander il successo desiderato. Dopo mesi di esperimenti –
nei quali egli aveva osservato il collegamento tra il desiderio di agire, la reazione abituale ad
esso e l'esigenza che l'azione sembrasse a lui corretta – Alexander riconobbe che doveva
effettivamente interrompere la sua reazione immediata ad uno stimolo e permettersi nel proprio
pensiero azioni alternative. Modificò quindi l'idea originaria della recitazione e il proprio giudizio
che la tensione fisica fosse necessaria per recitare.
Alexander scoprì così una strada indiretta per alleviare il proprio problema di raucedine.
Riconobbe l'importanza di una testa bilanciata in collegamento con la colonna vertebrale e la loro
forza integrante agente sull'intero organismo come un controllo primario (→ 4.1.2). In seguito
rafforzò questa forza autoregolante inibendo o tralasciando consapevolmente gli schemi corporei
limitanti, valutando obiettivi di movimento alternativi e con l'impiego di istruzioni mentali nella
preparazione ed esecuzione dell'obiettivo di movimento scelto. Con questa procedura Alexander
migliorò la funzionalità di tutto il proprio organismo e si liberò indirettamente dei propri sintomi e
disturbi.
L'evidente efficacia del suo metodo risvegliò l'interesse dei suoi contemporanei e incoraggiò
Alexander a trasmettere ad altri le proprie conoscenze.
Iniziarono quindi a rivolgersi a lui persone con i disturbi più diversi. Oltre ai suoi occhi, ormai
allenati, Alexander prese sempre più a utilizzare le mani come aiuto. Con il tatto riusciva infatti a
percepire i disturbi più lievi del controllo primario; con l'aiuto delle mani poteva ugualmente far
fare alle/ai clienti i movimenti e al tempo stesso impedire che esse/essi reagissero secondo
l'abitudine, ma sperimentassero il nuovo modo di muoversi, in maniera certo non familiare, ma
senza sforzo, piacevolmente. Prima e durante il contatto con le mani Alexander era sempre
consapevole del proprio uso di sé (→ 4.1.3) ed esercitava, attraverso l'inibizione e le istruzioni
mentali, un'influenza positiva sulla forza integrante del proprio controllo primario, per farla
manifestare immediatamente attraverso il contatto anche in chi aveva di fronte. Passo dopo
passo faceva quindi familiarizzare queste persone con la sua procedura, cosa che li conduceva
infine a un benefico uso di sé e faceva sparire i sintomi.
F.M. Alexander scoprì così che le mani – sempre mosse dal suo proprio coordinamento guidato
dal controllo primario – erano per lui uno "strumento terapeutico" diretto (→ 6.3.1 e 6.3.2).

3.1.3 Affermazione del metodo

Alexander si trasferì nel 1904 a Londra, Inghilterra, dove aprì, ad Ashley Place, un ambulatorio
per diffondere il proprio lavoro. Vi riuscì in poco tempo e con grande successo.
Dopo diversi opere brevi, pubblicò nel 1910 Man’s Supreme Inheritance, il suo primo libro.
Allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 lasciò temporaneamente Londra e si trasferì a
New York. Nei dieci anni successivi lavorò per sei mesi a Londra e per gli altri sei a New York e
Boston, dove anche John Dewey divenne suo allievo.
John Dewey (1859 – 1952), eminente filosofo, pedagogista e psicologo statunitense, si adoperò
molto in favore del metodo e della sua diffusione e scrisse la premessa alla seconda edizione di
Man’s Supreme Inheritance (così come ai due successivi libri di Alexander). Alexander divenne
conosciuto e le sue idee acquisirono importanza anche nel mondo accademico.
Nel 1923 apparve il suo secondo libro, Constructive Conscious Control of the Individual.
Nel 1924 Alexander fondò a Londra una scuola per bambini dai tre agli otto anni, nella quale si
insegnava secondo il metodo pedagogico Montessori e in applicazione dei principi della Tecnica
Alexander.
Nel 1931 aprì un primo corso di formazione triennale per i futuri insegnanti della Tecnica
Alexander.
Nel 1932 pubblicò il suo terzo libro, The Use of the Self.

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Il suo metodo acquistò sostenitori e intercessori sempre più numerosi e influenti. Importanti
personalità del mondo dell'arte e della scienza, come George Bernard Shaw, Aldous Huxley,
Anthony Ludovici, il professor George E. Coghill, Peter Macdonald, presero lezioni da Alexander.
Per tutta la vita il suo metodo trovò energico sostegno e diffusione anche grazie a donne influenti
come Esther Lawrence, Margaret Naumburg, Irene Tasker, Ethel Webb e Lulie Westfeldt.
Gli anni della guerra 1940-1943 Alexander li trascorse di nuovo in America, dove aprì anche una
scuola di formazione.
Nel 1941 uscì in America il suo quarto libro, The Universal Constant in Living, con la premessa
di George Ellett Coghill, eminente professore di biologia e anatomia comparata.
Dopo il ritorno a Londra Alexander si dedicò con grande successo all'ulteriore sviluppo e
diffusione del proprio metodo, lavorando contemporaneamente come insegnante e gestendo un
ambulatorio privato.
Medici famosi, come Sir Charles Sherrington, neurofisiologo e premio Nobel, il professor
Raymond Dart, antropologo, o Nikolaas Tinbergen, premio Nobel per la fisiologia, si
interessarono al suo lavoro e sostennero le sue scoperte empiriche con diversi articoli e
conferenze.
Oltre alle opere principali, F.M. Alexander pubblicò numerosi altri scritti.
Dopo la sua morte nel 1955 fu aperta una nuova scuola di formazione, che contribuì a diffondere
ulteriormente il suo metodo, prima in Inghilterra e in America e successivamente in tutto il
mondo.

3.2 Filosofia

La Tecnica Alexander si basa su una conoscenza pragmatica, acquisita empiricamente: quello


che penso e quello che faccio si influenzano reciprocamente, non sono separabili e costituiscono
un'unità. Alexander chiamò questa unità di corpo, mente e spirito il sé. Un "uso errato di sé" era
stata la causa dei sintomi di "raucedine" di Alexander e dei suoi altri disturbi. Di conseguenza,
così la sua conclusione, è un "uso errato di sé" il motivo di tutti i possibili sintomi, che possono
manifestarsi in modo più o meno evidente a seconda dell'intensità dello stimolo (situazione
scatenante). Di conseguenza non si deve combattere il sintomo, ma si deve piuttosto partire dal
sé, che funziona come un tutt'uno.

Il lavoro di F.M. Alexander può essere messo in relazione soprattutto con il pragmatismo di
William James, psicologo e filosofo statunitense (1842-1910), e quello di John Dewey, filosofo,
pedagogista e psicologo statunitense (1859-1952).
William James mostrò grande interesse per il lavoro di Alexander. Già nei primi scritti di
Alexander si può osservare l'influenza dell'opera principale di James, Principles of Psychology
(1890), nella quale quest'ultimo introduce il metodo empirico in psicologia – come metodo
sperimentale e fenomenologico allo stesso tempo – fondando così la psicologia scientifica come
disciplina autonoma nel Nord America. Quando più tardi prende piede in America la psicologia
sperimentale europea, che riconosce come scientificamente validi solo i dati osservabili
dall'esterno, William James trova questo semplicemente banale e insulso. Egli difenderà fino alla
morte l'approccio introspettivo all'essere umano, opponendo il proprio "funzionalismo" al
dualismo corpo-spirito e al positivismo, anche nel suo ruolo di presidente dell'Associazione
Americana di Psicologia (APA).

Il "funzionalismo" secondo James, cioè la relazione tra struttura e funzione, sottolinea il rapporto
interattivo tra corpo, mente e spirito. I processi mentali sono funzionali perché aiutano la persona
ad "adeguarsi" al proprio ambiente. Gli elementi della coscienza non possono essere studiati in
maniera isolata, perché sono una funzione del continuo flusso di coscienza, che si trova sempre
in interazione con le azioni della persona e con il suo ambiente.
Anche per John Dewey era di grande importanza la relazione tra struttura e funzione. Questo si
rivela, tra l'altro, anche nel fatto che Alexander, dopo il loro incontro nel 1916, ebbe in John
Dewey uno dei suoi principali sostenitori. Dewey ebbe grande influenza anche sui suoi libri, dei
quali scrisse molte positive recensioni.

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4 Modello teorico fondante
4.1 Concetti della Tecnica Alexander

Il modelli teorico della Tecnica Alexander si fonda sostanzialmente sui seguenti concetti in
collegamento tra loro.

4.1.1 Il sé come unità psicofisica

Corpo, mente e spirito costituiscono insieme il sé e si trovano in reciproca interazione. I pensieri


e sentimenti che si formano nella testa dipendono dal corpo, e a loro volta sentimenti e pensieri
influiscono sulla sensibilità e sulle azioni del corpo. F.M. Alexander coniò per questo il termine di
unità psicofisica.
L'essere umano ha sviluppato il proprio sé attraverso la propria storia personale e si trova
insieme al proprio ambiente in un costante processo di cambiamento. Egli ha capacità di
pensiero e azione autonomi ed è co-creatore attivo della propria vita e della propria salute.
La libertà di volontà richiede all'essere umano continua attenzione nei confronti di sé stesso e del
suo ambiente. Salute e malattia sono inserite in questo processo di attenzione e sono
espressione delle forze autoregolanti presenti nell'essere umano.

4.1.2 Controllo primario come sistema di autoregolazione

F.M. Alexander scoprì che la relazione dinamica tra la testa, il collo e il tronco ha un ruolo
decisivo per il coordinamento e il funzionamento di tutto l'organismo.
Se questa cooperazione resta priva di ostacoli, così che la testa è liberamente collegata alla
colonna vertebrale (non trattenuta), l'organismo agisce in maniera autoregolante.
F.M. Alexander chiamò questo relazione dinamica tra testa e colonna vertebrale rispetto all'intero
organismo e il relativo controllo di movimento e funzione controllo primario ("Primary Control").
Questo controllo integrante mantiene la libertà di movimento in tutto l'organismo, così che
l'energia viene trasmessa là dove è voluta, senza produrre un blocco là o altrove.
L'estrema concentrazione dei recettori che si trovano nella regione suboccipitale permette così
non solo la minuziosa regolazione motoria nell'equilibrio della testa. I segnali che partono da qui
giocano un ruolo significativo anche nelle informazioni di quelle istanze che controllano la
postura, il movimento e la funzione di tutto il corpo. Questo aspetto è così dominante che i
muscoli autoctoni profondi della nuca non devono essere considerati primariamente unità motorie
necessarie. Essi costituiscono piuttosto un sistema di recettori che - anche nel suo collegamento
con la vista, l'udito e l'olfatto - serve al controllo del movimento e delle funzioni di tutto
l'organismo.
F.M. Alexander osservò su sé stesso come la forza di questo controllo autoregolante può essere
limitata a causa dell'ingerenza muscolare dell'essere umano.
L'azione ostacolata del controllo primario si rispecchia nell'uso di sé (→ 4.1.3) della persona, con
corrispondente impedimento del corpo che si manifesta come "tensione muscolare male
distribuita", come "tensione eccessiva in un certo punto accompagnata da scarsa tensione in un
altro", spesso in collegamento con i più svariati sintomi fisici.

4.1.3 Uso di sé

Nel corso della sua ricerca F.M. Alexander riconobbe che in tutto l'organismo tutte le parti del
corpo lavorano in modo coerente. Ogni cambiamento che avviene in una parte del corpo si
ripercuote anche sull'intero organismo. Alexander chiamò uso di sé ("Use of the Self") l'uso che
l'essere umano fa sempre di tutto il proprio organismo.
Grazie a precise osservazioni del proprio modo di recitare, egli poté riconoscere che, con il suo
precedente uso di sé, l'eccessiva tensione muscolare riduceva l'intera sua corporatura, limitando

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così la forza autoregolante del controllo primario e procurandogli di conseguenza problemi di
voce e respirazione.
La qualità del controllo primario, sotto forma di cooperazione integrante, si manifesta nell'uso che
l'essere umano fa di sé; in particolare è la relazione testa-collo-tronco che si rivela in ogni
movimento o postura.
In generale non siamo coscienti del modo in cui gestiamo la mente e il corpo, o lo siamo solo
parzialmente. Ce ne accorgiamo in determinate circostanze, quando si manifestano disturbi o
malattie. Quando poi riusciamo a mettere in relazione i sintomi del malessere con il nostro uso di
sé e i pensieri e sentimenti che lo accompagnano, creiamo un importante presupposto per il
cambiamento.

4.1.4 Percezione sensoriale inaffidabile

La percezione umana è un processo soggettivo e individuale profondamente influenzato dal


corpo, dalle emozioni, dalle idee e dalla storia personale. Percepiamo noi stessi e il nostro
ambiente attraverso abitudini percettive sviluppate individualmente, che caratterizzano il nostro
uso di sé. Questi schemi percettivi possono trovarsi in contraddizione con la funzionalità ottimale
di corpo, mente e spirito. Possono limitare l'efficacia del controllo primario e provocare squilibri
psicofisici.
F.M. Alexander riconobbe per la prima volta nello specchio che non si muoveva così come
credeva e sentiva. Voleva evitare la riduzione della corporatura, tuttavia all'inizio della recitazione
lo specchio gli mostrò che egli ricadeva di nuovo nello schema familiare.
F.M. Alexander parlò a questo proposito di percezione sensoriale inaffidabile e quindi della
necessità di sviluppare mediante l'"apprendimento attraverso l'esperienza" (→ 4.2 e 6.2.1) una
percezione sensoriale più oggettiva.

4.1.5 La forza dell'abitudine

Le emozioni influiscono in modo determinante sul nostro comportamento. Si formano nella nostra
memoria dell'esperienza emotiva, che partecipa al controllo del nostro comportamento, valutando
le situazioni attuali in base alle esperienze fatte. Questa circostanza porta costanza e stabilità
nella nostra personalità. Persistere in determinati schemi a livello fisico, mentale ed emotivo ci
limita però anche nelle molteplici possibilità di reazione fondamentalmente a nostra disposizione.
La forza dell'abitudine può inoltre significare che persistiamo in comportamenti fisici che
influiscono eventualmente in modo negativo sulla nostra salute.
La dominanza di questo genere di abitudini può essere riconosciuta grazie all'autopercezione e
alla presa di coscienza delle esperienze pregresse e degli schemi di pensiero ad esse legati e
rielaborata di conseguenza anche a livello psicofisico.

4.2 Conseguenze per la procedura terapeutica

4.2.1 Trasmettere una nuova esperienza fisica

Gli schemi di movimento e pensiero sono sorti a causa della ripetizione di esperienze e si sono
memorizzati con il tempo nelle reti neuronali del nostro cervello.
Se vuole modificare determinati comportamenti, l'essere umano si basa sul repertorio di modi di
pensare e muoversi a sua disposizione, cosa che lo limita comunque nel suo spazio di manovra.
Se vediamo una persona che d’abitudine ha le spalle tirate in su e glielo diciamo, questa
cercherà probabilmente di abbassare le spalle con grande sforzo, ponendosi nuovamente in una
situazione di squilibrio. Sia nel tirare in su che nell'abbassare le spalle, la persona è guidata da
un uso di sé inconscio, che richiede l'abituale e spropositato impiego dei muscoli e compromette
l'attività del controllo primario.
A questo punto interviene la Tecnica Alexander, trasmettendo – attraverso il lavoro di contatto e
movimento (→ 6.3.1 e 6.3.2) – nuove esperienze a livello fisico. Con il contatto delicato
attraverso le mani della/del terapista da un lato si rafforza progressivamente l'azione integrante

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ESERCIZI DA FARE IN AUTONOMIA
Riposo Costruttivo

Come posso sdraiarmi nel riposo costruttivo?

• In primo luogo è necessario trovare una zona tranquilla e sufficientemente calda dove ci si
può sdraiare indisturbati.
• Sdraiarsi sul pavimento su un classico tappetino da pilates, anche un semplice tappeto può
essere sufficiente.
• Mettere un piccolo mucchio di libri sotto la testa come supporto – questo è un punto cruciale
che necessita, molto spesso, dell’intervento di un insegnante. Infatti stabilire l’esatta altezza
del supporto sotto la nuca è un fattore che dipenda dalle condizioni presenti nell’intera
struttura dell’allievo. Inizialmente 3 / 4 cm di spessore possono essere sufficienti.
• Piegare le ginocchia in modo che puntino verso l’alto – verso il soffitto – con i piedi adagiati
sul pavimento.
• Lasciare adagiare le mani sul vostro addome, le dita e i polsi completamente rilasciati.
• Mirate ad essere quasi completamente passivi fisicamente. Il corpo si “affonda” al suolo.
• Sii consapevole del terreno che sostiene la tua schiena, permettendo alle spalle di riposare
mentre la schiena si allarga e tutto il corpo si allunga e si espande.

Suggerimenti

• Se l’appoggio della testa sui libri da fastidio, si può rendere la superficie di appoggio un po’
più morbida ponendo un piccolo asciugamano o una sciarpa piegata sotto la nuca.
• Lasciate che i vostri occhi rimangano aperti, almeno per un po’, questo può essere un modo
utile per costruire una maggiore consapevolezza del vostro corpo.
• Se la parte bassa della schiena è dolorosa, può essere utile appoggiare le gambe su un divano
o sopra un cuscino. In questo modo le gambe possono riposare completamente e consentire
alla parte inferiore della schiena di rilassarsi.
• Le mani e le braccia possono adagiarsi sul tuo addome, oppure puoi distenderle a lato al di
sotto dell’altezza delle spalle, con i palmi rivolti verso l’alto.

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