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LE LACRIME DI CERA
I luoghi
Fu uno dei rari casi che avrebbero potuto essere risolti su piante e documenti,
per deduzione e seguendo i metodi della Scientifica. D’altronde, quando
Maigret lasciò il Quai des Orfèvres, conosceva tutto, comprese le botti.
Maigret era nato quaranta chilometri più in là, sulle rive della Loire, eppure non
si aspettava che la foresta d’Orlèans avesse un aspetto così tragico.
- E’ qui?-
- La frazione dopo…-.
Ed ecco, in una radura più piccola delle precedenti, una trentina di casupole a
un piano che si stringevano intorno a una chiesa dal campanile aguzzo.
Nessuna di quelle case, certamente, doveva avere meno di un secolo e i tetti
scuri ne sottolineavano ancora il carattere arcigno.
Maigret aveva studiato con tale cura la pianta stesa dai primi inquirenti, che
avrebbe potuto orientarsi a occhi chiusi nella casa.
E, più o meno, fu appunto quello che dovette fare, tanto erano buie le stanze.
Era proprio un viaggio nel tempo quello che il commissario effettuò entrando
nella bottega che sembrava sfidare il secolo. La luce vi era distribuita con la
stessa parsimonia come nelle tele dei vecchi maestri e i mobili, i muri, avevano
lo stesso colore bruno dei quadri antichi, con degli spruzzi, delle macchie
grigiastre nel chiaroscuro e all’improvviso un riflesso su un boccale o una
pentola di rame.
Una porta si aprì a sinistra. Una donna di trentadue o trentatré anni, che
teneva un bambino in braccio, guardò Maigret.
- Che c’è?-.
La seconda stanza, dove entrò senza essere invitato, era talmente scura che si
era contenti di trovarvi le fiamme di un fuoco a legna. Fu a quel chiarore che
Maigret vide un letto dai numerosi materassi, con un piumino rosso, gonfio
come un pallone e, in quel letto, una vecchia immobile, col viso duro e pallido
in cui soltanto gli occhi sembravano aver vita.
Il delitto
Vicino alla finestra, Amèlie Potru, in camicia da notte, era immersa in un lago
di sangue. Sul letto, con la faccia voltata verso il muro, sua sorella Margherite
era morta, il petto trapassato da tre coltellate, la guancia destra squarciata e
l’occhio a metà spaccato.
Amèlie, invece, viveva. Era stata lei a tentare di dare l’allarme aprendo la
finestra per poi cadere a terra, indebolita dalla perdita di sangue. Nessuna
delle sue undici ferite era grave e quasi tutte interessavano la spalla e il fianco
destro. Il secondo cassetto del comò era aperto, la biancheria sparpagliata e su
questa biancheria fu trovata una vecchia borsa di cuoio ammuffito in cui le due
sorelle dovevano aver l’abitudine di chiudere i loro documenti. A terra, un
libretto della Cassa di Risparmio, alcuni contratti di affitto e delle fatture di
fornitori.
Orlèans aveva svolto l’inchiesta. Maigret era in possesso non soltanto di una
pianta dettagliata dei luoghi, ma di fotografie e del verbale degli interrogatori.
La sorella morta, Margherite, era stata sepolta due giorni dopo. Quanto a
Amèlie, quando si era parlato di portarla all’ospedale, si era dibattuta
ferocemente, aggrappandosi con le unghie ai lenzuoli del letto, ordinando con
lo sguardo che la lasciassero in casa sua.
Il medico legale affermava che nessun organo era colpito, il mutismo doveva
perciò essere di origine traumatica. Erano cinque giorni che nessun suono
usciva dalle sue labbra, che stava là osservando, malgrado l’immobilità e le
bende, tutto quello che accadeva intorno a lei. E anche adesso non staccava lo
sguardo da Maigret.
Le testimonianze e le ipotesi
Tre ore dopo l’inchiesta del tribunale d’Orlèans, era stato arrestato un uomo
che tutto faceva credere fosse l’assassino. Era Marcel, figlio naturale della
sorella che era morta.
Infatti a ventitré anni, aveva avuto un figlio che adesso ne aveva trentanove e
che dopo essere stato guardiacaccia presso il duca, come tutti dicevano in
paese, lavorava come taglialegna nella foresta e abitava in una fattoria in
rovina a dieci chilometri di lì, vicino allo stagno del Loup-Pendu.
Maigret era andato a trovarlo in prigione. Era un bruto in tutta l’eccezione della
parola e a più riprese era sparito per settimane senza dare segno di vita a sua
moglie e ai suoi cinque figli che nutriva soprattutto di botte. Un ubriacone per
di più, un essere tarato.
Maigret volle rileggere il resoconto che Marcel gli aveva fatto di quella famosa
serata, nell’atmosfera in cui essa si era svolta:
- C’è stata un’altra lite perché ho preso una forma di formaggio nel negozio e
l’ho aperta…-.
- Dalla lampada a petrolio…Dopo aver mangiato, mia madre che aveva i suoi
dolori si è messa a letto e mi ha chiesto di prendere le sue carte nel secondo
cassetto del comò. Mi ha dato la chiave. Mi sono avvicinato a lei con le carte e
abbiamo fatto il conto delle fatture, poiché era la fine del mese…-.
Era anche un ubriacone che negli ultimi tempi le sorelle Potru si erano rifiutate
di servire, perché doveva loro già troppo denaro. Una volta Marcel, che era
presente, si era incaricato di mettere lo Jugò alla porta e gli aveva fatto
sanguinare il naso.
E Maigret con le sue carte in mano seguiva la sua idea, si avvicinava al camino
dove, la mattina in cui era stato scoperto il delitto, si era trovato un coltello da
cucina tra la cenere, col manico completamente bruciato. Evidentemente
l’arma che era stata usata e il fuoco non permetteva di rilevarne le impronte.
Invece, sul cassetto del comò e sulla borsa di cuoio, le impronte di Marcel, e
soltanto le sue, erano numerose.
Sul candeliere che era stato trovato sulla tavole, c’erano soltanto impronte di
Amèlie Potru, che seguiva sempre Maigret con lo sguardo gelido.
E si chinò per segnare sul pavimento col gesso le tracce di sangue riportate
sulla sua pianta.
Così il commissario restò solo in casa con la vecchia. Era la sua prima visita,
tuttavia, aveva già lavorato una giornata e una notte sul dossier e sulla pianta.
Orlèans aveva fatto le cose tanto bene che non aveva la minima sorpresa, se
non quella penosa di trovare la realtà ancora più sordida di quanto avesse
immaginato.
Eppure era figlio di contadini! Sapeva che certe frazioni di paese vivono ancora
oggi come nel tredicesimo o quattordicesimo secolo. Ma trovarsi all’improvviso
immerso in quel villaggio nella foresta, in quella casa, in quella stanza, vicino a
quella donna ferita di cui indovinava la mente vigile, lo colpiva come lo avrebbe
colpito un a visita in uno di quegli ospedali o ospizi in cui si nascondono le
peggiori mostruosità umane.
Fin dall’inizio del suo lavoro, a Parigi, aveva annotato qualche riflessione in
margine al rapporto:
3. Perché le tracce di sangue non formano una linea dritta dal letto alla
finestra?
Maigret, che aveva riletto le sue note, si alzò e guardò Amèlie con uno strano
sorriso perché le avrebbe fatto rabbia non poterlo seguire con gli occhi. Difatti
aprì la porta della rimessa, trovò uno stanzino appena illuminato da un
abbaino, della cataste di legna e, a sinistra, contro il muro, le famose botti.
Le due prime erano piene, l’una di vino rosso, l’altra di bianco. Le altre due
erano vuote, e su di una gli specialisti della Scientifica avevano rilevato delle
lacrime di cera che appartenevano alla candela trovata nella camera. Nel suo
rapporto, il commissario speciale di Orlèans diceva:
…E’ probabile che queste tracce siano state lasciate da Marcel quando è andato
a bere…Sua moglie ammette che quando è tornato a casa era completamente
ubriaco, e le tracce a zig zag della sua bicicletta sulla strada lo confermavano…
Maigret cercò intorno a sé qualcosa che non trovò, tornò nella camera, aprì la
finestra, non vide che due ragazzini che osservavano la casa.
Dietro di lui c’era sempre quel viso esangue, quelle pupille che si muovevano
nello stesso istante in cui si muoveva la grossa figura di Maigret.
Il bambino tornò con due seghe di forma diversa. In quel momento tornò Marie
Lacore.
Le spiegazioni
Sapeva cosa avrebbe scoperto. Era sicuro di sé. Se ancora il mattino poteva
aver avuto qualche dubbio, l’atmosfera della casa l’aveva confermato nella sua
idea.
Una teoria basata sull’odio, l’odio inasprito nel corso di lunghi anni insieme, di
vita in comune in quella casa stretta; di notti nello stesso letto e di interessi
simili…
Un odio attizzato dai mille incidenti della vita quotidiana, come quel coniglio
che si ammazzava per Marcel, quel formaggio che era là per essere venduto e
che egli cominciava cinicamente senza che la madre di opponesse…
Amèlie aveva paura del nipote. Non perdonava a sua sorella di avergli fatto
vedere il nascondiglio in cui si trovava il loro denaro e, come era successo la
sera del dramma, di aver lasciato che le mani di Marcel toccassero quei titoli
che egli doveva desiderare fortemente.
Maigret avrebbe giurato che quella frase era stata pronunciata molte volte in
casa. Seguitava a segare. Aveva caldo e si tolse il cappello e il cappotto che
posò sulla botte vicina. Il coniglio, il formaggio… poi all’improvviso quel
pensione che Marcel aveva messo da solo le sue impronte digitali sul cassetto
del comò e sulla borsa di cuoio ammuffito…se ancora non fosse bastato c’era
quel bottone che gli era caduto dalla giacca e che sua madre, già coricata, non
poteva cucirgli.
Ma, se Marcel aveva ucciso, perché mai avrebbe tolto il contenuto della borsa
sul posto invece che portare via tutto? Lo stesso, e a maggior ragione, si
poteva dire per Yarko che, Maigret ne era certo, non sapeva leggere.
Le ferite di Amèlie tutte sul lato destro, troppo numerose, troppo poco
profonde, erano state il punto di partenza…Maigret l’aveva immaginata goffa e
vile di fronte al dolore…non voleva morire, né soffrire a lungo e contava di dare
l’allarme ai vicini aprendo la finestra e gridando…
Era così! Le cose non potevano essere andate che così. Aveva ucciso la sorella
mezza addormentata, poi, con la mano certamente ricoperta da uno straccio,
aveva aperto il comò, aveva vuotato la borsa perché per far accusare Marcel
bisognava che il denaro fosse scomparso!
Dopo di che, sull’orlo del letto si era ferita in maniera incerta, timida, poi, come
provano le tracce di sangue, era andata verso il focolare per cancellare le
impronte bruciando il coltello!
Maigret, che aveva finito il suo lavoro, si voltò bruscamente. Gli arrivavano
delle voci e come il rumore di una lotta. Vide la porta aprirsi poi, nel vano, si
disegnò una figura ad un tempo bizzarra e sinistra, quella di Amèlie Potru
vestita di una strana gonnellina, di una camicia, le braccia e il busto coperti di
bende, lo sguardo fisso mentre, dietro di lei, Marie Lacore protestata contro
quell’imprudenza.
Ebbene! Maigret non trovò il coraggio di parlare. Preferì finire il suo lavoro e
quando infine la botte si spaccò in due non ebbe nemmeno un sospiro di
contentezza scoprendo dei rotoli di carta che erano naturalmente i titoli di
rendita e le obbligazioni che erano stati introdotti attraverso una fessura della
botte.
Tanto peggio! Era una scena di un’altra età, di un altro mondo. Maigret si
impadronì dei titoli, avanzò verso Amèlie che indietreggiava, posò infine le
carte sulla tavola della stanza.
- Vada a chiamarmi il sindaco…-, disse con voce secca, perché gli si stringeva
la gola, a Marie Lacore: - Mi servirà da testimone…-.
E, rivolto ad Amèlie:
- Ha trovato qualcosa?-.
Rispose evasivamente, senza gioia, eppure sapeva già che quel caso sarebbe
stato oggetto di lunghi studi per gli archivi criminali, non soltanto di Parigi ma
di Londra, di Berlino, di Vienna e perfino di New York.