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Georges Simenon

LE LACRIME DI CERA

Racconto poliziesco. Il racconto è stato pubblicato per la prima volta nel


1936 sul “Paris Soir Dimanche”.

Simenon, Georges (Liegi 1903, Losanna 1989) scrittore belga è il creatore


del commissario di polizia francese Jules Maigret, protagonista di
numerosissimi romanzi e racconti. L’elemento caratteristico della produzione di
Simenon è l’accurata caratterizzazione psicologica dei personaggi e l’ampio
spazio dato alla descrizione degli ambienti in cui si svolgono le vicende.

I luoghi

Fu uno dei rari casi che avrebbero potuto essere risolti su piante e documenti,
per deduzione e seguendo i metodi della Scientifica. D’altronde, quando
Maigret lasciò il Quai des Orfèvres, conosceva tutto, comprese le botti.

Si aspettava di fare un breve viaggio nello spazio e fece un viaggio sfibrante


nel tempo.

Ad appena cento chilometri da Parigi, a Vitry-aux-Loges, scese da un trenino


assurdo come non se ne vedono più che nelle immagini di Epinal, e quando
parlò di tassì lo guardarono severamente, credendo che scherzasse. Fu sul
punto di fare il resto della strada sul barroccio del fornaio ma, all’ultimo
momento, riuscì a convincere il macellaio ad accompagnarlo con il suo
camioncino.

- Va spesso laggiù?-, domandò il commissario parlando del paesetto in cui lo


chiamava la sua inchiesta,
- Due volte alla settimana…Grazie a lei, gli abitanti avranno una razione di
carne supplementare...-

Maigret era nato quaranta chilometri più in là, sulle rive della Loire, eppure non
si aspettava che la foresta d’Orlèans avesse un aspetto così tragico.

Erano in piena foresta infatti. Il camioncino percorse una decina di chilometri


tra alberi di alto fusto prima di raggiungere un paese piantato in mezzo a una
radura.

- E’ qui?-

- La frazione dopo…-.

Non pioveva, ma la foresta era umida e il cielo, nella sua crudezza, di un


biancore opprimente. Gli alberi avevano perduto quasi tutte le foglie che
cominciavano a marcire, mentre qua e là si udivano degli scricchiolii e ogni
tanto, lontano, un colpo di fucile.

- C’è molta caccia?-

- Deve esser il signor duca..-

Ed ecco, in una radura più piccola delle precedenti, una trentina di casupole a
un piano che si stringevano intorno a una chiesa dal campanile aguzzo.
Nessuna di quelle case, certamente, doveva avere meno di un secolo e i tetti
scuri ne sottolineavano ancora il carattere arcigno.

- Mi farà scendere di fronte alla casa delle sorelle Potru…-.

- L’avevo indovinato. E’ davanti alla chiesa…-.

Maigret scese mentre il macellaio, un po’ più in là, apriva lo sportello


posteriore del camioncino e cercava di attirare qualche donnetta che non si
decideva a comprare della carne al di fuori dei giorni consacrati.

Maigret aveva studiato con tale cura la pianta stesa dai primi inquirenti, che
avrebbe potuto orientarsi a occhi chiusi nella casa.
E, più o meno, fu appunto quello che dovette fare, tanto erano buie le stanze.
Era proprio un viaggio nel tempo quello che il commissario effettuò entrando
nella bottega che sembrava sfidare il secolo. La luce vi era distribuita con la
stessa parsimonia come nelle tele dei vecchi maestri e i mobili, i muri, avevano
lo stesso colore bruno dei quadri antichi, con degli spruzzi, delle macchie
grigiastre nel chiaroscuro e all’improvviso un riflesso su un boccale o una
pentola di rame.

Da sessantacinque anni, da quando erano nate, le signorine Potru ( la


maggiore, almeno, perché la seconda non ne aveva che sessantadue) vivevano
in quella casa che, prima di loro, era stata sempre abitata dai genitori.

Da allora niente doveva essere cambiato, né il banco con la bilancia e le


scatole di caramelle né le due parti adibite l’una a merceria, l’altra a drogheria,
né il quadrato di zinco su cui si serviva da bere.

In un angolo, c’era un barile di petrolio vicino a un altro più piccolo, contenente


olio commestibile. In fondo, due tavole, un’altra a sinistra: lunghe tavole, con
la patina del tempo, fiancheggiate da sedili senza spalliera.

Una porta si aprì a sinistra. Una donna di trentadue o trentatré anni, che
teneva un bambino in braccio, guardò Maigret.

- Che c’è?-.

- Non si occupi di me…Vengo per l’inchiesta…E’ una vicina?-.

La donna, il cui ventre sporgeva sotto il grembiule, rispose:

- Sono Marie Lacore, la moglie del fabbro…-.

Fu scorgendo una lampada a petrolio appesa al soffitto, che Maigret si accorse


della mancanza di elettricità.

La seconda stanza, dove entrò senza essere invitato, era talmente scura che si
era contenti di trovarvi le fiamme di un fuoco a legna. Fu a quel chiarore che
Maigret vide un letto dai numerosi materassi, con un piumino rosso, gonfio
come un pallone e, in quel letto, una vecchia immobile, col viso duro e pallido
in cui soltanto gli occhi sembravano aver vita.

- Non parla ancora?-, domandò Maigret a Marie Lacore.

La donna fece cenno di no e il commissario alzò le spalle, sedette su una sedia


impagliata e prese di tasca dei documenti.

Il delitto

L’avvenimento, che risaliva a cinque giorni prima, non aveva in sé niente di


sensazionale. Le sorelle Potru, che vivevano sole nella casupola, avevano fama
di benestanti. Erano proprietarie di altre tre case del paese e avevano una
solida reputazione di avarizia. La notte dal venerdì al sabato ad alcuni vicini
era parso di aver sentito dei rumori, ma non se ne erano preoccupati. Sabato
all’alba, un contadino, passando, aveva visto la finestra della stanza
spalancata, si era avvicinato e aveva chiamato aiuto.

Vicino alla finestra, Amèlie Potru, in camicia da notte, era immersa in un lago
di sangue. Sul letto, con la faccia voltata verso il muro, sua sorella Margherite
era morta, il petto trapassato da tre coltellate, la guancia destra squarciata e
l’occhio a metà spaccato.

Amèlie, invece, viveva. Era stata lei a tentare di dare l’allarme aprendo la
finestra per poi cadere a terra, indebolita dalla perdita di sangue. Nessuna
delle sue undici ferite era grave e quasi tutte interessavano la spalla e il fianco
destro. Il secondo cassetto del comò era aperto, la biancheria sparpagliata e su
questa biancheria fu trovata una vecchia borsa di cuoio ammuffito in cui le due
sorelle dovevano aver l’abitudine di chiudere i loro documenti. A terra, un
libretto della Cassa di Risparmio, alcuni contratti di affitto e delle fatture di
fornitori.

Orlèans aveva svolto l’inchiesta. Maigret era in possesso non soltanto di una
pianta dettagliata dei luoghi, ma di fotografie e del verbale degli interrogatori.
La sorella morta, Margherite, era stata sepolta due giorni dopo. Quanto a
Amèlie, quando si era parlato di portarla all’ospedale, si era dibattuta
ferocemente, aggrappandosi con le unghie ai lenzuoli del letto, ordinando con
lo sguardo che la lasciassero in casa sua.

Il medico legale affermava che nessun organo era colpito, il mutismo doveva
perciò essere di origine traumatica. Erano cinque giorni che nessun suono
usciva dalle sue labbra, che stava là osservando, malgrado l’immobilità e le
bende, tutto quello che accadeva intorno a lei. E anche adesso non staccava lo
sguardo da Maigret.

Le testimonianze e le ipotesi

Tre ore dopo l’inchiesta del tribunale d’Orlèans, era stato arrestato un uomo
che tutto faceva credere fosse l’assassino. Era Marcel, figlio naturale della
sorella che era morta.

Infatti a ventitré anni, aveva avuto un figlio che adesso ne aveva trentanove e
che dopo essere stato guardiacaccia presso il duca, come tutti dicevano in
paese, lavorava come taglialegna nella foresta e abitava in una fattoria in
rovina a dieci chilometri di lì, vicino allo stagno del Loup-Pendu.

Maigret era andato a trovarlo in prigione. Era un bruto in tutta l’eccezione della
parola e a più riprese era sparito per settimane senza dare segno di vita a sua
moglie e ai suoi cinque figli che nutriva soprattutto di botte. Un ubriacone per
di più, un essere tarato.

Maigret volle rileggere il resoconto che Marcel gli aveva fatto di quella famosa
serata, nell’atmosfera in cui essa si era svolta:

Sono arrivato in bicicletta verso le sette, mentre – le donne- stavano per


mettersi a tavola. Ho bevuto un bicchiere al banco, poi sono andato ad
ammazzare un coniglio nel cortile, l’ho spellato e mia madre l’ha fatto cuocere.
Come sempre, mia zia ha brontolato, dato che non mi ha mai potuto soffrire…
La gente del paese confermava che Marcel aveva l’abitudine di andare così, a
fare bisboccia, in casa di sua madre che non osava rifiutargli niente e di sua zia
che aveva paura di lui.

- C’è stata un’altra lite perché ho preso una forma di formaggio nel negozio e
l’ho aperta…-.

- Che vino ha bevuto?-, insisté Maigret.

- Quello del negozio…-.

- Come eravate illuminati?-.

- Dalla lampada a petrolio…Dopo aver mangiato, mia madre che aveva i suoi
dolori si è messa a letto e mi ha chiesto di prendere le sue carte nel secondo
cassetto del comò. Mi ha dato la chiave. Mi sono avvicinato a lei con le carte e
abbiamo fatto il conto delle fatture, poiché era la fine del mese…-.

- Che altro c’era nella borsa?-.

- Dei titoli…Rendita e obbligazioni, un grosso pacco, per trentamila franchi e


più…-.

- Non è andato nella rimessa? non ha acceso la candela?-.

- Nemmeno per sogno…Alle nove e mezzo ho rimesso le carte nel cassetto e


me ne sono andato…Ho bevuto un altro bicchiere passando per il negozio…Se
le raccontano che ho ucciso le due vecchie, le dicono delle menzogne…Farebbe
meglio a interrogare lo jugoslavo…-.

Con grande meraviglia dell’avvocato di Marcel, Maigret non insistè nemmeno.


Quando a Yarko che chiamavano più spesso lo Jugò, perché era jugoslavo, era
un altro fenomeno che era capitato in paese dopo la guerra e c’era rimasto
vivendo solo in un’ala della casa vicina ed esercitando la professione di
carrettiere nella foresta.

Era anche un ubriacone che negli ultimi tempi le sorelle Potru si erano rifiutate
di servire, perché doveva loro già troppo denaro. Una volta Marcel, che era
presente, si era incaricato di mettere lo Jugò alla porta e gli aveva fatto
sanguinare il naso.

Le signorine Potru lo detestavano anche perché gli avevano affittato una


vecchia stalla, in fondo al cortile, dove teneva i suoi cavalli e di cui non pagava
il mensile. Lo Jugò, a quell’ora stava certamente caricando sul carro degli
alberi nella foresta.

E Maigret con le sue carte in mano seguiva la sua idea, si avvicinava al camino
dove, la mattina in cui era stato scoperto il delitto, si era trovato un coltello da
cucina tra la cenere, col manico completamente bruciato. Evidentemente
l’arma che era stata usata e il fuoco non permetteva di rilevarne le impronte.

Invece, sul cassetto del comò e sulla borsa di cuoio, le impronte di Marcel, e
soltanto le sue, erano numerose.

Sul candeliere che era stato trovato sulla tavole, c’erano soltanto impronte di
Amèlie Potru, che seguiva sempre Maigret con lo sguardo gelido.

- Suppongo che non voglia ancora decidersi a parlare?-, brontolò, accendendo


la pipa.

E si chinò per segnare sul pavimento col gesso le tracce di sangue riportate
sulla sua pianta.

- Si trattiene qualche minuto?-, gli domandò Marie Lacore. – Potrei andare a


mettere sul fuoco la cena…-.

Così il commissario restò solo in casa con la vecchia. Era la sua prima visita,
tuttavia, aveva già lavorato una giornata e una notte sul dossier e sulla pianta.
Orlèans aveva fatto le cose tanto bene che non aveva la minima sorpresa, se
non quella penosa di trovare la realtà ancora più sordida di quanto avesse
immaginato.

Eppure era figlio di contadini! Sapeva che certe frazioni di paese vivono ancora
oggi come nel tredicesimo o quattordicesimo secolo. Ma trovarsi all’improvviso
immerso in quel villaggio nella foresta, in quella casa, in quella stanza, vicino a
quella donna ferita di cui indovinava la mente vigile, lo colpiva come lo avrebbe
colpito un a visita in uno di quegli ospedali o ospizi in cui si nascondono le
peggiori mostruosità umane.

Fin dall’inizio del suo lavoro, a Parigi, aveva annotato qualche riflessione in
margine al rapporto:

1. Perché Marcel avrebbe bruciato il coltello senza preoccuparsi delle impronte


lasciate sul mobile e sulla borsa?

2. Perché, se si è servito della candela, l’ha riportata nella stanza e l’ha


spenta?

3. Perché le tracce di sangue non formano una linea dritta dal letto alla
finestra?

4. Perché, col rischio di essere riconosciuto lasciando la casa alle nove e


mezzo, Marcel è uscito dalla porta sulla strada invece che dalla porta del
cortile, che dà sulla campagna?

C’era, d’altronde, un elemento che scoraggiava l’avvocato di Marcel: nel letto


stesso delle due signorine era stato trovato un bottone della sua giacca, una
vecchia giacca da caccia di velluto a coste, ornata di bottoni caratteristici.

- E’ stato spellando il coniglio che ho urtato contro il letto e ho perduto un


bottone-, sosteneva Marcel.

Maigret, che aveva riletto le sue note, si alzò e guardò Amèlie con uno strano
sorriso perché le avrebbe fatto rabbia non poterlo seguire con gli occhi. Difatti
aprì la porta della rimessa, trovò uno stanzino appena illuminato da un
abbaino, della cataste di legna e, a sinistra, contro il muro, le famose botti.

Le due prime erano piene, l’una di vino rosso, l’altra di bianco. Le altre due
erano vuote, e su di una gli specialisti della Scientifica avevano rilevato delle
lacrime di cera che appartenevano alla candela trovata nella camera. Nel suo
rapporto, il commissario speciale di Orlèans diceva:
…E’ probabile che queste tracce siano state lasciate da Marcel quando è andato
a bere…Sua moglie ammette che quando è tornato a casa era completamente
ubriaco, e le tracce a zig zag della sua bicicletta sulla strada lo confermavano…

Maigret cercò intorno a sé qualcosa che non trovò, tornò nella camera, aprì la
finestra, non vide che due ragazzini che osservavano la casa.

- Senti piccolo, vuoi andarmi a cercare una sega?-.

- Una sega da legna?-.

Dietro di lui c’era sempre quel viso esangue, quelle pupille che si muovevano
nello stesso istante in cui si muoveva la grossa figura di Maigret.

Il bambino tornò con due seghe di forma diversa. In quel momento tornò Marie
Lacore.

- L’ho fatta aspettare?...Ho lasciato il piccolo a casa…Adesso bisogna che lo


pulisca…-

- Aspetti ancora qualche minuto….-.

- Intanto vado a mettere l’acqua a scaldare…-.

Sì Maigret preferiva abbandonare quella scena. Ne aveva abbastanza così.


Entrò nella rimessa, e osservando la botte con le lacrime di cera, vi introdusse
la sega e cominciò il suo lavoro.

Le spiegazioni

Sapeva cosa avrebbe scoperto. Era sicuro di sé. Se ancora il mattino poteva
aver avuto qualche dubbio, l’atmosfera della casa l’aveva confermato nella sua
idea.

E Amèlie Potru era proprio quella che si aspettava di trovare!

I muri trasudavano non solo avarizia, ma odio! E entrando, il commissario non


aveva visto una pila di giornali sul banco? Era una cosa molto importante e i
rapporti omettevano di segnalarla: le signorine Potru vendevano giornali!
Amèlie possedeva degli occhiali e non li portava durante il giorno: dunque ne
aveva bisogno per leggere! Dunque leggeva….

E il più grande ostacolo alla teoria del commissario spariva di colpo.

Una teoria basata sull’odio, l’odio inasprito nel corso di lunghi anni insieme, di
vita in comune in quella casa stretta; di notti nello stesso letto e di interessi
simili…

Margherite aveva avuto un bambino, aveva conosciuto l’amore, mentre la


sorella maggiore non aveva avuto nemmeno quella gioia! Per quindici o venti
anni il ragazzo era attaccato alle loro gonne poi, lasciato a se stesso, era
tornato spesso e sempre per mangiare, per bere, per chiedere denaro.

Denaro che apparteneva tanto a Amèlie, che a Margherite! Anche di più,


perché lei era la maggiore e quindi aveva lavorato più a lungo per
guadagnarlo!

Un odio attizzato dai mille incidenti della vita quotidiana, come quel coniglio
che si ammazzava per Marcel, quel formaggio che era là per essere venduto e
che egli cominciava cinicamente senza che la madre di opponesse…

Sì, Amèlie leggeva i giornali: doveva divorare il resoconto dei processi e


conosceva perciò l’importanza delle impronte digitali!

Amèlie aveva paura del nipote. Non perdonava a sua sorella di avergli fatto
vedere il nascondiglio in cui si trovava il loro denaro e, come era successo la
sera del dramma, di aver lasciato che le mani di Marcel toccassero quei titoli
che egli doveva desiderare fortemente.

- Un giorno, verrà ad assassinarci…-.

Maigret avrebbe giurato che quella frase era stata pronunciata molte volte in
casa. Seguitava a segare. Aveva caldo e si tolse il cappello e il cappotto che
posò sulla botte vicina. Il coniglio, il formaggio… poi all’improvviso quel
pensione che Marcel aveva messo da solo le sue impronte digitali sul cassetto
del comò e sulla borsa di cuoio ammuffito…se ancora non fosse bastato c’era
quel bottone che gli era caduto dalla giacca e che sua madre, già coricata, non
poteva cucirgli.

Ma, se Marcel aveva ucciso, perché mai avrebbe tolto il contenuto della borsa
sul posto invece che portare via tutto? Lo stesso, e a maggior ragione, si
poteva dire per Yarko che, Maigret ne era certo, non sapeva leggere.

Le ferite di Amèlie tutte sul lato destro, troppo numerose, troppo poco
profonde, erano state il punto di partenza…Maigret l’aveva immaginata goffa e
vile di fronte al dolore…non voleva morire, né soffrire a lungo e contava di dare
l’allarme ai vicini aprendo la finestra e gridando…

Un assassino le avrebbe lasciato il tempo di correre alla finestra? La sorte si


era beffata di lei facendola svenire prima che qualcuno si preoccupasse delle
sue grida e lasciandola senza cure tutta la notte!

Era così! Le cose non potevano essere andate che così. Aveva ucciso la sorella
mezza addormentata, poi, con la mano certamente ricoperta da uno straccio,
aveva aperto il comò, aveva vuotato la borsa perché per far accusare Marcel
bisognava che il denaro fosse scomparso!

Questa era la ragione della candela…

Dopo di che, sull’orlo del letto si era ferita in maniera incerta, timida, poi, come
provano le tracce di sangue, era andata verso il focolare per cancellare le
impronte bruciando il coltello!

Poi aveva raggiunto la finestra e….

Maigret, che aveva finito il suo lavoro, si voltò bruscamente. Gli arrivavano
delle voci e come il rumore di una lotta. Vide la porta aprirsi poi, nel vano, si
disegnò una figura ad un tempo bizzarra e sinistra, quella di Amèlie Potru
vestita di una strana gonnellina, di una camicia, le braccia e il busto coperti di
bende, lo sguardo fisso mentre, dietro di lei, Marie Lacore protestata contro
quell’imprudenza.
Ebbene! Maigret non trovò il coraggio di parlare. Preferì finire il suo lavoro e
quando infine la botte si spaccò in due non ebbe nemmeno un sospiro di
contentezza scoprendo dei rotoli di carta che erano naturalmente i titoli di
rendita e le obbligazioni che erano stati introdotti attraverso una fessura della
botte.

Avrebbe voluto andarsene subito o, come un qualunque Marcel, andare a bere


una gran sorsata di rum.

Amèlie seguitava a tacere. Aveva la bocca socchiusa. Se fosse svenuta sarebbe


caduta fra le braccia di Marie Lacore che era meno forte e più fragile a causa
del suo stato.

Tanto peggio! Era una scena di un’altra età, di un altro mondo. Maigret si
impadronì dei titoli, avanzò verso Amèlie che indietreggiava, posò infine le
carte sulla tavola della stanza.

- Vada a chiamarmi il sindaco…-, disse con voce secca, perché gli si stringeva
la gola, a Marie Lacore: - Mi servirà da testimone…-.

E, rivolto ad Amèlie:

- Sarà meglio che si corichi…-

Nonostante la sua curiosità professionale e benché fosse incallito, preferì non


guardarla. Sentì soltanto scricchiolare le molle del letto. Rimase là, con le
spalle voltate, fino all’arrivo di un fattore che era sindaco del villaggio e che
non osava entrare.

Non c’era telefono. Si dovette mandare un uomo in bicicletta a Vitry-aux-


Loges. I gendarmi arrivarono quasi insieme al camioncino del macellaio.

Il cielo era sempre così bianco e il vento agitava gli alberi.

- Ha trovato qualcosa?-.
Rispose evasivamente, senza gioia, eppure sapeva già che quel caso sarebbe
stato oggetto di lunghi studi per gli archivi criminali, non soltanto di Parigi ma
di Londra, di Berlino, di Vienna e perfino di New York.

A guardarlo, si sarebbe giurato che fosse ubriaco!

(Da: “Il Giallo” di Laura Bordese in “Edurete.org”


http://www.edurete.org/public/upload/Le%20lacrime%2
0di%20cera.htm, 27 marzo 2014)

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