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Pier Paolo

Pasolini:Consumismo e Mass
Media nell'Italia del Secondo
Dopoguerra
Italiano
10 pag.

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CONSUMISMO E MASS MEDIA NELL’ITALIA CONTEMPERANEA: PIER
PAOLO PASOLINI

La vita

Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna nel 1922 da madre friulana e padre romagnolo. Tra il
1943 e 1949 si trova a vivere a Casarsa, in Friuli, paese natale della madre, dove è fuggito
in seguito all’8 settembre. Fin da giovane dimostra il suo interesse per la cultura popolare
e i dialetti italiani. Risale al 1942 la raccolta di poesie in friulano Poesie a Casarsa.
Durante il suo periodo friulano fonda l’"Academiuta de lenga friulana", un'associazione
culturale volta a preservare il dialetto friulano. Nel 1945 viene ucciso il fratello Guido,
partigiano della brigata Osoppo. Nello stesso anno Pier Paolo Pasolini si laurea in lettere
a Bologna. Nei primi anni dopo la guerra Pasolini si iscrive al PCI di Udine, da cui verrà
però espulso nel 1949, a seguito di accuse di corruzione di minori ed atti osceni in luogo
pubblico, che si riveleranno poi infondate.
Nel 1950 si trasferisce con la madre a Roma. Nel 1953 lavora a un’antologia di poesia
popolare per la casa editrice Guanda, e nel 1954 pubblica la sua raccolta di poesie in
friulano, La meglio gioventù, con cui vince il premio “Giosuè Carducci”. Nello stesso
anno collabora alla sceneggiatura del film La donna del fiume, avvicinandosi al cinema.
Nel 1955 pubblica Ragazzi di vita, romanzo sulla vita dei ragazzi delle borgate romane,
con cui è entrato in contatto dal suo arrivo nella capitale. Il libro ottiene un grande
successo di pubblico, ma viene accusato di oscenità, a causa del tema della prostituzione
maschile. Pasolini subisce, quindi, un processo per pornografia da cui verrà assolto,
grazie anche alle testimonianze di intellettuali dell’epoca, come Giuseppe
Ungaretti. Nello stesso anno fonda la rivista “Officina” insieme a Roversi a Leonetti: la
rivista rappresenterà, insieme al "Verri", una delle esperienze intellettuali italiane più
significative del periodo.
Nel 1957 esce la raccolta di poemetti Le ceneri di Gramsci, duramente criticato da
intellettuali vicini al partito comunista, ad eccezione di Italo Calvino. Nel 1959 Pasolini
conclude Una vita violenta, un romanzo ancora una volta incentrato sui ragazzi delle
borgate, con risvolti politici - il protagonista della storia si considera inizialmente
fascista, in seguito si avvicina ai democristiani e infine al PCI -.
Negli anni ‘60 Pasolini passa al cinema: il suo esordio alla regia è il
film Accattone (1961), trasposizione dei temi letterari diRagazzi di vita e Una vita
violenta. Altri film di questi anni da ricordare, di cui firma sempre la sceneggiatura,
sono Mamma Roma (1962), Il vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e
uccellini (1965), Edipo re (1967), Teorema (1968) e Medea (1969).
Nei primi anni ‘70 Pasolini si dedica al progetto cinematografico, chiamato “trilogia della
vita”, che comprende tre film: Il Decameron (1971), tratto dalle novelle di Boccaccio, I
racconti di Canterbury (1972), tratti dall’opera di Chaucer, e infine Il fiore delle Mille e
una notte (1974).
A partire dal 1973 Pasolini incomincia a collaborare con il “Corriere della Sera”, con
articoli di argomento politico e di costume, che verranno poi raccolti nel 1975 in Scritti

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corsari e nel postumo Lettere luterane (1976).
Nel 1975 realizza quello che sarà il suo ultimo e più discusso film, Salò o le 120 giornate
di Sodoma. Ispirato dall’opera del marchese de Sade, Pasolini ambienta le vicende del
film nella Repubblica di Salò, dove quattro alti membri del partito rapiscono un gruppo di
ragazzi e ragazze per soddisfare le loro perversioni sessuali.
Nel novembre dello stesso anno (in un delitto che ancora ha molti lati oscuri...) Pier Paolo
Pasolini viene ucciso all’Idroscalo di Ostia, vicino a Roma. Lo scrittore e regista venne
percosso e travolto dalla sua stessa auto, secondo le ricostruzioni ufficiali, da Pino Pelosi,
“ragazzo di vita”, che Pasolini aveva caricato in macchina.
Nel 1992 esce postumo Petrolio, romanzo ideato nel 1972 e a cui Pasolini stava ancora
lavorando nel ‘75.

Pasolini contro l'omologazione culturale


Sin dagli anni Cinquanta Pasolini si è distinto per i frequenti interventi in dibattiti
culturali e politici. Pasolini concentra in articoli polemici questioni del secondo
dopoguerra, a cominciare dalla scomparsa delle culture popolari. Sino al 1968, egli spera
ancora in una difesa dei valori tradizionali, coniugando aspirazione alla rivoluzione e
rifiuto dei caratteri delle società capitalistiche.

Dopo quella data si scaglia più fortemente contro tutti gli aspetti delle società di massa,
dal potere ai mass media. I principali scritti sono pubblicati su riviste e quotidiani,
Corriere incluso, e riproposti in parte in Scritti Corsari (1975) e Lettere luterane (1976,
postuma). In Contro la Televisione (1973) Pasolini rileva come il centralismo della civiltà
dei consumi sia riuscito dove non è riuscito il centralismo fascista. La televisione, in tal
senso, è responsabile del processo di omologazione.

Sulla lingua italiana Pasolini fa alcune importanti osservazioni: in Nuove questioni


linguistiche (1964), Pasolini individua nel linguaggio della televisione e in quello
tecnico-scientifico delle industrie le componenti della nuova lingua nazionale, che presto
avrebbe omologato i dialetti. Pasolini si scaglierà contro questo esito, proponendo
un'estrema difesa dei dialetti.
IL PENSIERO

Pier Paolo Pasolini ha lasciato alla società civile e, in particolare, a quella italiana, un
debito che difficilmente verrà saldato. Colpevolizzato e tradito durante la sua esistenza,
emarginato e condannato dalla persecuzione piccolo-borghese (attraverso “armi” come
polizia e magistratura collezionò un numero impressionante di condanne penali per
presunte offese alla religione di Stato e al comune senso del pudore, oltraggi che, secondo
i suoi persecutori, erano contenuti nelle sue opere a carattere letterario e nei suoi film), a
trent’anni di distanza dalla sua morte il nostro Paese, che dovrebbe ricordarlo come una
delle sue più grandi espressioni culturali di tutti i tempi, grazie alla stupidità e al
clownesco delirio della classe politica attualmente al potere, riesce a trovare il modo di

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obliare cotanta grandezza tramite i penosi litigi tra vip nella sempre più immensa
discarica televisiva. Un solo dato a titolo di esempio: il film-testamento del poeta “Salò o
le 120 giornate di Sodoma” non è mai stato trasmesso da una Tv nazionale e,
probabilmente, non sarà data la possibilità di vederlo ancora per un numero imprecisato
di anni. “Critica” è il miglior modo per etichettare il pensiero pasoliniano: “critica” è una
parola che deriva dal greco krìno, col significato originario di “giudicare”; in seguito, con
Immanuel Kant, la “critica” diventa strumento con cui la ragione prende coscienza dei
propri limiti e possibilità, limitando la conoscenza al dato fenomenico e non alla “cosa in
sé”, confine oltre il quale la ragione non può inoltrarsi. Pasolini può essere considerato un
“sincretista”, un “filosofo” che, utilizzando gli strumenti a lui concessi dalla cultura del
suo tempo, e attingendo al patrimonio millenario delle culture precedenti (soprattutto dai
miti greci), ha saputo comprendere e trasmettere ai suoi contemporanei il molteplice e
complesso svilupparsi delle dinamiche sociali, politiche ed economiche. Si utilizza la
parola “sincretismo” per l’approccio critico pasoliniano, che non va confuso con un
disorganico miscuglio di discipline dalle quali attingere all’occorrenza.
Oggi è chiaro a chiunque che il “fascismo” non è l’opera di un Hitler o di un Mussolini,
ma che è l’espressione della struttura irrazionale dell’uomo di massa”.
Se ne erano già accorti anche i gerarchi nazisti. Goebbels scriveva nei suoi diari che le
masse sono molto più primitive di quanto possiamo immaginare: la propaganda
dev’essere essenzialmente semplice e basata sul meccanismo della “ripetizione”,
insistente e banale per far sì che i concetti (soprattutto i più idioti) si cristallizzino nella
mente delle persone; questa tecnica è oggi abusata dalle grandi industrie della pubblicità
e dai partiti politici che dispongono direttamente di grandi canali di comunicazione come
televisioni e giornali. È inoltre degno di nota che nel film a episodi di autori vari
“RoGoPaG” (Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti) del 1963, nel mediometraggio
diretto da Pasolini dal titolo “La ricotta”, il regista marxista interpretato da Orson Welles,
incalzato dalle domande di un noioso giornalista durante la scena della crocifissione di
Stracci, affermi: “ Ma lei non sa cosa è un uomo medio? È un mostro, un pericoloso
delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista!”. Va ricordato
che le reazioni nei confronti della pellicola da parte dei benpensanti borghesi furono
violente. Il ceto medio si sentì ancora una volta offeso e fece intervenire i suoi strumenti
di repressione: il 1º marzo 1963 il film venne sequestrato per “vilipendio alla religione di
Stato” e solo il 6 maggio 1964 la Corte d’appello di Roma assolverà il regista perché “il
fatto non costituisce reato”. Un’altra analogia storica che può avvicinare il pensiero di
Pasolini (oltre al suo odio nei confronti della mediocrità e del conformismo) alla Scuola
di Francoforte, è sicuramente data dalla sanguinosa dittatura di Mussolini che sconvolse
l’Italia nel ventennio fascista e, parallelamente, l’altrettanto barbarica e feroce
oppressione nazista in Germania. Adorno, Horkheimer, Marcuse ed altri esponenti di
spicco del pensiero critico furono costretti dai terribili eventi a fuggire negli Stati Uniti,
dove accentuarono ulteriormente il loro pessimismo, sentimento condensato in opere
memorabili come “Dialettica dell’illuminismo” di Horkheimer e Adorno, pubblicato per
la prima volta ad Amsterdam nel 1947, o “Eros e civiltà” di Marcuse, del 1955. Nella
celebre opera di Horkheimer e Adorno, il tema centrale è “l’autodistruzione
dell’illuminismo” che rappresenterebbe il declino dell’uomo e non il suo accrescimento
nei confronti della natura, in una continua degradazione e asservimento alla “ragione

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strumentale” che ottunde le capacità critiche dell’essere umano, ridotto a semplice
strumento dell’economia capitalistica. Scrivono i due autori: “L’illuminismo, nel senso
più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di
togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata
splende all’insegna di trionfale sventura. […] Gli uomini pagano l’accrescimento del loro
potere con l’estraniazione da ciò su cui lo esercitano. L’illuminismo si rapporta alle cose
come il dittatore agli uomini: che conosce in quanto è in grado di manipolarli”. Nato per
liberare l’uomo, l’illuminismo si è perversamente capovolto (e in ciò sta la sua dialettica)
in ciò contro cui combatteva: l’irrazionalità, la violenza, la barbarie. Pasolini fa un salto
in avanti chiedendosi se sia possibile conciliare le offerte sempre più superflue dateci
dalla tecnologia (intesa anche come applicazione scientifica) e le esigenze degli strati
sociali più deboli e, per questo motivo, maggiormente a rischio di sottomissione. La
questione è posta in un breve saggio dal titolo “Sviluppo e progresso” del 1973, nel quale
vengono esaminate le due parole sul piano socio-linguistico:

“Vediamo: la parola ‘sviluppo’ ha oggi una rete di riferimenti che riguardano un contesto
indubbiamente di “destra”. […] Chi vuole infatti lo ‘sviluppo’? […] è evidente: a volere
lo ‘sviluppo’ in tal senso è chi produce; sono cioè gli industriali. […] gli industriali che
producono beni superflui. La tecnologia ha creato la possibilità di una industrializzazione
praticamente illimitata, e i cui caratteri sono ormai transnazionali. I consumatori di beni
superflui, sono da parte loro, irrazionalmente e inconsapevolmente d’accordo nel volere
lo ‘sviluppo’ (questo ‘sviluppo’). Per essi significa promozione sociale e liberazione, con
conseguente abiura dei valori culturali che avevano loro fornito i modelli di ‘poveri’, di
‘lavoratori’, di ‘risparmiatori’, di ‘soldati’, di ‘credenti’. La ‘massa’ è dunque per lo
‘sviluppo’: ma vive questa sua ideologia soltanto esistenzialmente, ed esistenzialmente è
portatrice dei nuovi valori del consumo. […] Chi vuole, invece, il ‘progresso’? Lo
vogliono coloro che non hanno interessi immediati da soddisfare, appunto, attraverso il
‘progresso’: lo vogliono gli operai, i contadini, gli intellettuali di sinistra. Lo vuole chi
lavora e chi è dunque sfruttato”.

Sono temi ancora attualissimi se si considera il fatto che esiste una grandissima parte di
umanità costretta alla fame a causa dell’egoistico e irrazionale “sviluppo” col quale
dobbiamo convivere. Pasolini vide il “terzo mondo” non a migliaia di chilometri di
distanza, ma lo trovò, si può dire, sotto casa, nel sottoproletariato urbano delle borgate
romane e tra i braccianti del meridione italiano. In queste realtà, la sensibilità del poeta,
abbinata alla sua grande preparazione intellettuale, potè esprimersi in profonde analisi
sociali e antropologiche, mettendo in luce aspetti che erano sfuggiti ai sociologi di
professione. In queste descrizioni, Pasolini sembra avvicinarsi alle tesi di Marcuse,
soprattutto de “L’uomo a una dimensione” e “L’ideologia della società industriale
avanzata” (1964), opere in cui il filosofo tedesco affidava la speranza di una liberazione
dell’uomo dalla repressione e strumentalizzazione delle tecnocrazie agli emarginati, ai
reietti e ai poveri del terzo mondo, e non a un proletariato che ormai era al servizio della
classe dominante e incapace di fare la rivoluzione. Così si esprimeva Marcuse:

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“Tuttavia, al di sotto della base conservatrice, vi è il sostrato dei reietti e degli stranieri,
degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze di altri colori, dei disoccupati e degli inabili.
Essi permangono al di fuori del processo democratico. […] la loro opposizione è
rivoluzionaria anche se non lo è la loro coscienza. La loro opposizione colpisce il sistema
dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola le regole
del gioco, e così facendo mostra che è un gioco truccato. Quando si riuniscono e
scendono nelle strade, senza armi, senza protezione, per chiedere i più elementari diritti
civili, essi sanno di affrontare cani, pietre e bombe, galera, campi di concentramento,
persino la morte”

Le parole finali di questo pezzo di Marcuse sono potentissime. Anche Pasolini, non meno
di Marcuse, non nutre grandi speranze nel proletariato, che ormai s’è a tal punto abituato
ai meccanismi della società del consumo (la cui “bontà” gli viene inculcata dai mass
media) da non saper più opporre ad essa alcuna resistenza. È piuttosto ai gruppi
sottoproletari, senza speranza e senza cultura, che bisogna volgere lo sguardo: è in
quest’ottica che si spiega perché il nostro autore, all’indomani degli scontri del
Sessantotto, si sia schierato al fianco dei poliziotti e contro i “figli di papà” che
protestavano:

“Avete facce di figli di papà.


Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. […]
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,

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mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, amici” (“Il PCI ai giovani!”).

Pasolini era un fervido sostenitore dei valori nati nel nostro paese dalla guerra di
Liberazione dai nazi-fascisti, conquista che fu determinante per lo sviluppo democratico
dell’Italia attraverso la nascita della Costituzione e dei diritti che questa carta tutela. Il
poeta di Casarsa, che aveva conosciuto direttamente i protagonisti di questa straordinaria
pagina della storia italiana (contadini, operai, donne, giovani appartenenti agli strati più
poveri del paese), vide compiersi sotto i suoi occhi quello che egli definì “il genocidio”,
ossia l’annientamento di larghe zone della società, a causa della forma di neo-capitalismo
detta “consumismo”, momento che culminò in Italia nei primi anni ’60 col cosiddetto
“boom economico”. In un intervento alla Festa dell’Unità di Milano del 1974, egli parlò
di vera e propria “estinzione culturale”, per via dell’acculturazione operata dalla
borghesia e il propagarsi dei suoi modelli di edonismo e di consumo. Anche a livello
linguistico Pasolini argomenta che l’operazione svolta dalla televisione, intesa come
strumento di diffusione degli ideali borghesi, ha ucciso la vitalità linguistica dialettale (ne
abbiamo un esempio col romanesco contenuto nel suo film del 1960 “Accattone”),
trasformando i giovani in vittime di una specie di “nevrosi afasica” costituita da mugolii,
spintoni, sghignazzi o da altre forme primitive e rozze di comunicazione. In questo senso,
Pasolini può dire che la “civiltà dei consumi” è riuscita a portare a compimento la tragica
impresa intrapresa ma non portata a termine dal fascismo:

“Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà
dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però
restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie)
continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si
limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli
imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati.
L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia
edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana.
Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne
all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del
sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente
unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del
sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione,
il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco
di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni
autenticità e concretezza. Ha imposto cioè - come dicevo - i suoi modelli: che sono i
modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo
che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del
consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e
ciecamente estraneo alle scienze umane”.

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Ora, tutti questi sforzi, sia dei teorici francofortesi e sia dello stesso Pasolini, hanno
messo in luce i meccanismi che si innescano a livello di psicologia di massa, e che
risultano essere determinanti per l’ascesa di vecchi e nuovi regimi totalitari. Ma, nello
specifico di una realtà nazionale, è possibile individuare nettamente le responsabilità
dirette in queste derive politico-sociali? La risposta è sì. Pasolini fu forse il primo, in
questo paese, ad accusare un’intera classe dirigente di essere la causa primaria del
genocidio culturale del quale abbiamo trattato, anche a prezzo di terribili spargimenti di
sangue (fu anche il primo ad accusare la Democrazia Cristiana di essere la diretta
prosecuzione del regime fascista in Italia). Il pezzo di Pasolini apparso il 14 novembre
1974 sul Corriere della sera inizia in questo modo: “IO SO. […] Io so i nomi dei
responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili
delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. […] Io so tutti questi nomi e
so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non
ho le prove. Non ho nemmeno indizi”. Proprio in quanto intellettuale, Pasolini diceva di
sapere tutto ciò e aggiungeva: “il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese
sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un
Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico.”. Il 28
agosto 1975 (due mesi prima della morte) viene pubblicato su “Il mondo” l’articolo dal
titolo “Bisognerebbe processare i gerarchi Dc”, in cui il nostro autore fa nomi e cognomi
dei “fascisti” della Democrazia Cristiana:

“Andreotti, Fanfani, Rumor, e almeno una dozzina di altri potenti democristiani


(compreso per correttezza qualche presidente della Repubblica) dovrebbero essere, come
Nixon, trascinati sul banco degli imputati. […] E quivi accusati di una quantità sterminata
di reati […]: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione di denaro pubblico,
intrallazzzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia,
alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia, uso illecito
di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in
quanto colpevole incapacità di punire gli esecutori), distruzione paesaggistica e
urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani
(responsabilità, questa, aggravata dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilità della
condizione, come suol dirsi, paurosa, delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica
primaria, responsabilità dell’abbandono ‘selvaggio’ delle campagne, responsabilità
dell’esplosione ‘selvaggia’ della cultura di massa e dei mass media, responsabilità della
stupidità delittuosa della televisione, responsabilità del decadimento della Chiesa, e
infine, oltre a tutto il resto, magari, distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad
adulatori”.

Questa acutissima radiografia dell’Italia che, dopo circa vent’anni conoscerà tangentopoli
e il marciume dei partiti che a lungo furono protagonisti della scena politica (in primis,
Democrazia Cristiana e Socialisti di Bettino Craxi), è, secondo alcune interpretazioni
della sua tragica morte, costata molto cara al regista. Anche noi non abbiamo le prove,

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almeno per ora. Resta indubbio che le posizioni pasoliniane furono causa di pesanti
minacce nei confronti dello scrittore da frange di estrema destra o da chi lo considerava
un povero depravato omosessuale. Pasolini, anche senza minacce dirette alla sua persona,
era sufficientemente intelligente e sensibile per avvertirlo. Il suo ultimo film “Salò o le
120 giornate di Sodoma”, è un ennesimo atto d’accusa alla violenza della società
capitalistica e alla falsa morale borghese che, senza pietà, impone il suo essere nella
negazione dei diritti elementari della vita. Agli sciagurati “ospiti” della villa di Salò,
vittime delle nefandezze di quattro “Signori” (simbolica rappresentazione dei quattro
Poteri: nobiliare, ecclesiastico, giudiziario ed economico, autorità verso le quali l’umanità
vive da sempre in uno stato di soggezione) viene imposto di nutrirsi dei propri ed altrui
escrementi. Questa orripilante costrizione è però offerta su vassoi luccicanti e cucchiai
d’argento, atroci specchi della società dei consumi.
L’importanza dei mass-media
In molte sue opere, Pasolini sostiene che i mass-media, e soprattutto la televisione,
diffondono l’ideologia consumistica, omologano un paese prima ricco di differenze e
distruggono concretezza e autenticità della vita.
Nel primo, importante intervento l’autore si occupa dei cambiamenti culturali
determinati dalla società avanzata dei consumi, di cui è stato condizione un primo
cambiamento, quello delle infrastrutture: con le strade e la motorizzazione si è infatti
abolita la distanza materiale tra il centro e la periferia.
Un secondo processo ha toccato il sistema d’informazioni. Attraverso la TV il centro ha
assimilato a sé un paese differenziato culturalmente e storicamente, con una forza
omologatrice e distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Essa impone i suoi modelli:
non solo ad un uomo che consumi, ma che non usi altra ideologia che quella del
consumo. Prima omologava solo la Chiesa, mentre oggi si verifica una omologazione
laica. Le persone oggi “avvalorano la vita attraverso i Beni di consumo”, accettano cioè i
modelli e i sogni imposti dalla televisione, anche se non sono in grado di realizzarli,
rimanendo così vittime frustrate e nevrotiche o semplici caricature. Pasolini fa l’esempio
dei sottoproletari, che prima non si vergognavano di essere ignoranti, erano fieri del loro
patrimonio popolare, mentre oggi “hanno abiurato dal proprio modello culturale”.
In un contesto in cui molto tempo libero viene trascorso davanti alla TV, con conseguente
bombardamento ideologico, Pasolini chiede ai dirigenti televisivi di fare della TV un
elemento di cultura e non di anticultura o sottocultura consumistica, che faccia, per
esempio, pubblicità ai libri.
Sembra che ci sia una grande mistificazione operata dal consumismo e dalla TV. A prima
vista si può immaginare che il benessere, il consumismo e per esempio la TV facciano
avvicinare la gente spiritualmente e fisicamente, mentre l’opposto è vero: il consumismo
e la TV avvicinano solo i sogni alle persone, solo un’immagine lontana. L’uomo non è
mai stato così estraneo alla realtà come nella società dei consumi, e la perdita della realtà
equivale alla scomparsa del sacro. Nel mondo del consumo, della mercificazione totale,
mondo delle equi-valenze dove tutto è scambiabile con tutto, intercambiabile, e più nulla
è necessario, la realtà è irrimediabilmente perduta.

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Pasolini sostiene che la TV fa passare i messaggi, crea una nuova, falsa mentalità con la
propaganda del consumismo, trasmette solo le notizie “notiziabili”, ponendo enfasi solo
sugli stereotipi. Conseguentemente, la tendenza all’uso degli stereotipi nei mass-media
riduce la comprensione da parte del pubblico delle opere originali o delle informazioni,
considerate ingiustamente marginali.
Il nuovo potere, secondo Pasolini, proprio grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, ha
distrutto per sempre l’anima italiana, causandone la degenerazione intellettuale e
culturale. Pasolini vede così la crisi di forme superate di vita, nei nuovi ritmi del tempo
libero serale, passato appunto davanti alla televisione il cui bombardamento ideologico,
in assenza di pluralismo, diventa sempre più potente.
Nonostante le critiche di Pasolini e di altri intellettuali e scienziati, la situazione dal punto
di vista del pluralismo delle informazioni nei mass-media appare ancora preoccupante.
Anche Internet, come già le radio private del nostro Paese venne presentato come la
possibilità di comunicare con tutti, liberamente, anarchicamente. Come avvenuto per le
radio il finale della storia narra che a comunicare alla fine è uno solo, un solo pensiero,
una sola cultura, una unica invadente ideologia.
Che la TV e gli altri mass-media abbiano tuttora un grande potere è insomma dimostrato
dall’evidenza. Ciò non solo perché le persone dedicano loro una grande parte del loro
tempo libero, ma soprattutto perché diffondono in un modo unilaterale delle idee, come
sostiene Pasolini.
In un nuovo intervento risalente al luglio 1974, l’autore ribadisce che la nuova cultura
totalitaria è costituita soprattutto dalla TV. Secondo Pasolini la censura vaticana avrebbe
dovuto ad esempio colpire “Carosello”, programma prevalentemente pubblicitario con
siparietti, presentato alla televisione dal 1957, che impone un modello di vita antitetico
allo spirito evangelico, rappresentato qualunquisticamente per mezzo di un linguaggio
“totale”, il linguaggio del comportamento. L'unilaterale censura vaticana della TV è stata
invece una vera, paradossale tragedia: invece di bloccare il peggiore laicismo
consumistico, si è preoccupata di difendere lo schermo televisivo dalla cultura laica.
La TV, inoltre, come mezzo di comunicazione a distanza, fa allentare i rapporti di
comunicazione tradizionali e socievoli. La comunicazione a distanza influenza la
situazione comunicativa tradizionale, e sembra delineare una situazione nella quale si
rompe il tradizionale nesso tra spazi pubblici e comunicazione.
Un paragone abbastanza interessante tra la TV e i sistemi di controllo lo offre anche il
grande sociologo e filosofo polacco Zygmunt Baumann, che differenzia un potere che si
afferma costringendo da un altro che si afferma seducendo:
"Il Panopticon costringeva la gente a una posizione in cui poteva essere guardata. Il
Synopticon non ha bisogno di costringere nessuno, seduce la gente perché guardi."
Un aspetto interessante di tale seduzione sono gli idoli, attraverso i quali la televisione
stabilisce un falso rapporto di comunità, come spiega ancora Baumann, coerentemente
con le posizioni pasoliniane:

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"Gli idoli realizzano un piccolo miracolo: fanno accadere l’inconcepibile; evocano
l’“esperienza della comunità” senza che esista alcuna comunità reale, la gioia del senso di
appartenenza senza lo sconforto dei ceppi."
Nuovamente nel gennaio 1975 Pasolini sottolinea la funzione anti-culturale e oscurantista
dei mass-media, che fingono di rispettare ciò che in realtà disprezzano, mentre è
nell’ottobre dello stesso anno che l’autore affronta il nodo del rapporto tra politica e
informazione. Pasolini sostiene ora la presenza di un legame di complicità, di un
controllo: “i giornali sono complici degli uomini politici, e gli uomini politici sono
completamente fuori la realtà”.
Si può ancora discutere se i mass-media siano complici dei politici o se semplicemente
non abbiano neanche loro accesso alle informazioni più oggettive. Spesso una parte
minima dei fatti che accadono arrivano alle redazioni dei giornali (e telegiornali) perché
qualcuno si è preoccupato di trasmetterli, oppure perché i giornalisti stessi sono andati a
scovarli.
In Aboliamo la TV e la scuola d’obbligo del 18 ottobre 1975, Pasolini propone una
soluzione radicale per eliminare la criminalità in Italia: abolire la televisione e la scuola
d’obbligo. Da essa si può dunque, ancora una volta, dedurre che per l’autore i mass-
media ebbero una grande importanza nella vita quotidiana della popolazione italiana.

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