Pasolini:Consumismo e Mass
Media nell'Italia del Secondo
Dopoguerra
Italiano
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La vita
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna nel 1922 da madre friulana e padre romagnolo. Tra il
1943 e 1949 si trova a vivere a Casarsa, in Friuli, paese natale della madre, dove è fuggito
in seguito all’8 settembre. Fin da giovane dimostra il suo interesse per la cultura popolare
e i dialetti italiani. Risale al 1942 la raccolta di poesie in friulano Poesie a Casarsa.
Durante il suo periodo friulano fonda l’"Academiuta de lenga friulana", un'associazione
culturale volta a preservare il dialetto friulano. Nel 1945 viene ucciso il fratello Guido,
partigiano della brigata Osoppo. Nello stesso anno Pier Paolo Pasolini si laurea in lettere
a Bologna. Nei primi anni dopo la guerra Pasolini si iscrive al PCI di Udine, da cui verrà
però espulso nel 1949, a seguito di accuse di corruzione di minori ed atti osceni in luogo
pubblico, che si riveleranno poi infondate.
Nel 1950 si trasferisce con la madre a Roma. Nel 1953 lavora a un’antologia di poesia
popolare per la casa editrice Guanda, e nel 1954 pubblica la sua raccolta di poesie in
friulano, La meglio gioventù, con cui vince il premio “Giosuè Carducci”. Nello stesso
anno collabora alla sceneggiatura del film La donna del fiume, avvicinandosi al cinema.
Nel 1955 pubblica Ragazzi di vita, romanzo sulla vita dei ragazzi delle borgate romane,
con cui è entrato in contatto dal suo arrivo nella capitale. Il libro ottiene un grande
successo di pubblico, ma viene accusato di oscenità, a causa del tema della prostituzione
maschile. Pasolini subisce, quindi, un processo per pornografia da cui verrà assolto,
grazie anche alle testimonianze di intellettuali dell’epoca, come Giuseppe
Ungaretti. Nello stesso anno fonda la rivista “Officina” insieme a Roversi a Leonetti: la
rivista rappresenterà, insieme al "Verri", una delle esperienze intellettuali italiane più
significative del periodo.
Nel 1957 esce la raccolta di poemetti Le ceneri di Gramsci, duramente criticato da
intellettuali vicini al partito comunista, ad eccezione di Italo Calvino. Nel 1959 Pasolini
conclude Una vita violenta, un romanzo ancora una volta incentrato sui ragazzi delle
borgate, con risvolti politici - il protagonista della storia si considera inizialmente
fascista, in seguito si avvicina ai democristiani e infine al PCI -.
Negli anni ‘60 Pasolini passa al cinema: il suo esordio alla regia è il
film Accattone (1961), trasposizione dei temi letterari diRagazzi di vita e Una vita
violenta. Altri film di questi anni da ricordare, di cui firma sempre la sceneggiatura,
sono Mamma Roma (1962), Il vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e
uccellini (1965), Edipo re (1967), Teorema (1968) e Medea (1969).
Nei primi anni ‘70 Pasolini si dedica al progetto cinematografico, chiamato “trilogia della
vita”, che comprende tre film: Il Decameron (1971), tratto dalle novelle di Boccaccio, I
racconti di Canterbury (1972), tratti dall’opera di Chaucer, e infine Il fiore delle Mille e
una notte (1974).
A partire dal 1973 Pasolini incomincia a collaborare con il “Corriere della Sera”, con
articoli di argomento politico e di costume, che verranno poi raccolti nel 1975 in Scritti
Dopo quella data si scaglia più fortemente contro tutti gli aspetti delle società di massa,
dal potere ai mass media. I principali scritti sono pubblicati su riviste e quotidiani,
Corriere incluso, e riproposti in parte in Scritti Corsari (1975) e Lettere luterane (1976,
postuma). In Contro la Televisione (1973) Pasolini rileva come il centralismo della civiltà
dei consumi sia riuscito dove non è riuscito il centralismo fascista. La televisione, in tal
senso, è responsabile del processo di omologazione.
Pier Paolo Pasolini ha lasciato alla società civile e, in particolare, a quella italiana, un
debito che difficilmente verrà saldato. Colpevolizzato e tradito durante la sua esistenza,
emarginato e condannato dalla persecuzione piccolo-borghese (attraverso “armi” come
polizia e magistratura collezionò un numero impressionante di condanne penali per
presunte offese alla religione di Stato e al comune senso del pudore, oltraggi che, secondo
i suoi persecutori, erano contenuti nelle sue opere a carattere letterario e nei suoi film), a
trent’anni di distanza dalla sua morte il nostro Paese, che dovrebbe ricordarlo come una
delle sue più grandi espressioni culturali di tutti i tempi, grazie alla stupidità e al
clownesco delirio della classe politica attualmente al potere, riesce a trovare il modo di
“Vediamo: la parola ‘sviluppo’ ha oggi una rete di riferimenti che riguardano un contesto
indubbiamente di “destra”. […] Chi vuole infatti lo ‘sviluppo’? […] è evidente: a volere
lo ‘sviluppo’ in tal senso è chi produce; sono cioè gli industriali. […] gli industriali che
producono beni superflui. La tecnologia ha creato la possibilità di una industrializzazione
praticamente illimitata, e i cui caratteri sono ormai transnazionali. I consumatori di beni
superflui, sono da parte loro, irrazionalmente e inconsapevolmente d’accordo nel volere
lo ‘sviluppo’ (questo ‘sviluppo’). Per essi significa promozione sociale e liberazione, con
conseguente abiura dei valori culturali che avevano loro fornito i modelli di ‘poveri’, di
‘lavoratori’, di ‘risparmiatori’, di ‘soldati’, di ‘credenti’. La ‘massa’ è dunque per lo
‘sviluppo’: ma vive questa sua ideologia soltanto esistenzialmente, ed esistenzialmente è
portatrice dei nuovi valori del consumo. […] Chi vuole, invece, il ‘progresso’? Lo
vogliono coloro che non hanno interessi immediati da soddisfare, appunto, attraverso il
‘progresso’: lo vogliono gli operai, i contadini, gli intellettuali di sinistra. Lo vuole chi
lavora e chi è dunque sfruttato”.
Sono temi ancora attualissimi se si considera il fatto che esiste una grandissima parte di
umanità costretta alla fame a causa dell’egoistico e irrazionale “sviluppo” col quale
dobbiamo convivere. Pasolini vide il “terzo mondo” non a migliaia di chilometri di
distanza, ma lo trovò, si può dire, sotto casa, nel sottoproletariato urbano delle borgate
romane e tra i braccianti del meridione italiano. In queste realtà, la sensibilità del poeta,
abbinata alla sua grande preparazione intellettuale, potè esprimersi in profonde analisi
sociali e antropologiche, mettendo in luce aspetti che erano sfuggiti ai sociologi di
professione. In queste descrizioni, Pasolini sembra avvicinarsi alle tesi di Marcuse,
soprattutto de “L’uomo a una dimensione” e “L’ideologia della società industriale
avanzata” (1964), opere in cui il filosofo tedesco affidava la speranza di una liberazione
dell’uomo dalla repressione e strumentalizzazione delle tecnocrazie agli emarginati, ai
reietti e ai poveri del terzo mondo, e non a un proletariato che ormai era al servizio della
classe dominante e incapace di fare la rivoluzione. Così si esprimeva Marcuse:
Le parole finali di questo pezzo di Marcuse sono potentissime. Anche Pasolini, non meno
di Marcuse, non nutre grandi speranze nel proletariato, che ormai s’è a tal punto abituato
ai meccanismi della società del consumo (la cui “bontà” gli viene inculcata dai mass
media) da non saper più opporre ad essa alcuna resistenza. È piuttosto ai gruppi
sottoproletari, senza speranza e senza cultura, che bisogna volgere lo sguardo: è in
quest’ottica che si spiega perché il nostro autore, all’indomani degli scontri del
Sessantotto, si sia schierato al fianco dei poliziotti e contro i “figli di papà” che
protestavano:
Pasolini era un fervido sostenitore dei valori nati nel nostro paese dalla guerra di
Liberazione dai nazi-fascisti, conquista che fu determinante per lo sviluppo democratico
dell’Italia attraverso la nascita della Costituzione e dei diritti che questa carta tutela. Il
poeta di Casarsa, che aveva conosciuto direttamente i protagonisti di questa straordinaria
pagina della storia italiana (contadini, operai, donne, giovani appartenenti agli strati più
poveri del paese), vide compiersi sotto i suoi occhi quello che egli definì “il genocidio”,
ossia l’annientamento di larghe zone della società, a causa della forma di neo-capitalismo
detta “consumismo”, momento che culminò in Italia nei primi anni ’60 col cosiddetto
“boom economico”. In un intervento alla Festa dell’Unità di Milano del 1974, egli parlò
di vera e propria “estinzione culturale”, per via dell’acculturazione operata dalla
borghesia e il propagarsi dei suoi modelli di edonismo e di consumo. Anche a livello
linguistico Pasolini argomenta che l’operazione svolta dalla televisione, intesa come
strumento di diffusione degli ideali borghesi, ha ucciso la vitalità linguistica dialettale (ne
abbiamo un esempio col romanesco contenuto nel suo film del 1960 “Accattone”),
trasformando i giovani in vittime di una specie di “nevrosi afasica” costituita da mugolii,
spintoni, sghignazzi o da altre forme primitive e rozze di comunicazione. In questo senso,
Pasolini può dire che la “civiltà dei consumi” è riuscita a portare a compimento la tragica
impresa intrapresa ma non portata a termine dal fascismo:
“Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà
dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però
restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie)
continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si
limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli
imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati.
L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia
edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana.
Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne
all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del
sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente
unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del
sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione,
il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco
di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni
autenticità e concretezza. Ha imposto cioè - come dicevo - i suoi modelli: che sono i
modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo
che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del
consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e
ciecamente estraneo alle scienze umane”.
Questa acutissima radiografia dell’Italia che, dopo circa vent’anni conoscerà tangentopoli
e il marciume dei partiti che a lungo furono protagonisti della scena politica (in primis,
Democrazia Cristiana e Socialisti di Bettino Craxi), è, secondo alcune interpretazioni
della sua tragica morte, costata molto cara al regista. Anche noi non abbiamo le prove,